ANNO XXI -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1969 ANNO XXI -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1969 
RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ROMA I

ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO� STATO 

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1969 iI 

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ABBONAMENTI 

ANNO � � � � � � � � � � � � � � � � � .. � � � . � � � � � � � � � L. 7 .500 
UN NUMERO SEPARATO .............. � � � � � 1.300 


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Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



(9211201) iR.oma, 1969 -Istituto Poligrafico dl1Jilo Stato P. V. 


INDICE 

Parte prima:, GIUR�ISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 
{a cura dell'avv. Michele Savarese} pag. 993 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
SDIZIONE {a cura 
SU QUESTIONI DI GIURIdell'avv. 
Benedetto Baccari) � I046 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE {a cura 
tro de Franciscij � � � 
dell'avv. 
� 
Pie
� I 066 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA {a cura del/'
avv. Ugo Gargiulo) . � � I 085 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA {a cura del/'avv. 
Giuseppe Angelini Rota e del/'avv. Carlo Bafile) � 1111 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE, 
APPALTI E FORNITURE {a-cura dell'avv. 
Franco Carusij . � 1182 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE {a cura dell'avv. Antonino 
Terranova} � I 194 

Parte seconda: QU�ESTIONI -RASSEGNE -CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 

RASSEGNA DI DOTTRINA (a cura del/'avv. Luigi Mazzella) . . . pag. 193 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE (a cura dell'avv. Arturo Marzano) � 196 
CONSULTAZIONI � 221 
NOTIZIARIO � 230 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



,ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


AZZARITI Giorgio, In tema di proponibilit� del giudizio di ottemperanza 
avverso una decisione amministrativa non ancora 
passata in yindir.ato . . . . . . . . . . . . . . 

CARUSI F., Sospensione dei lavori e riserve dell'appaltatore . 

DONADIO G., Natura giuridica del Fondo Speciale per gli usi 
di beneficenza e religione della citt� di Roma . . . . 

FERRI P. G., Annullamento di un provvedimento di revoca e 
preteso risarcimento dei danni . . . . . . 

PALATIELLO A., Appunti intorno al divieto del bis in idem 
e all'efficacia riflessa del giudicato penale . . 

ROSSI A., Osservazioni sull'-ammissione con riserva dei crediti 
di imposta nel passivo fallimentare . . 

SICONOLFI L., Illeciti in materia forestale 

1s 

pag. 
1094 
1184 
1211 
1046 

1199 
1120 
1194 



INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE PUBBLICHE 

-Alvei dei fiumi e dei torrenti Concetto 
-Demanialit�, 1080. 

ADOZIONE 

-Adozione speciale -Accertamento 
della situazione di abbandono 
-Disparit� di trattamento tra 
minori segnalati prima e dopo 
l'ottavo anno -Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione, 1004. 

AMMINISTRAZIONE DELLO STATO 


-Uffici -Organizzazione -Operativit� 
della riserva di legge di 
cui all'art. 97 Cost. -Limiti, 1094. 

APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Richieste 
dell'appaltatore di maggiori 
compensi per il prolungamento 
della durata dell'appalto 
conseguente a sospensione dei 
lavori per fatto dell'Amministrazione 
-Onere della riserva immediata 
dell'appaltatore -Esclusione, 
con nota di F. CARUsI, 
1184. 

ARBITRATO 

-Appalti di opere pubbliche disciplinati 
dal Capitolato generale 
approvato con d. P. R. 16 luglio 
1962, n. 1063 -Fondamento � ex 
lege � della competenza arbitrale 
alternativa a quella del G. O. Sussiste, 
1182. 

-Appalti di opere pubbliche disciplinati 
dal Capitolato generale 
approvato con d. P. R. 16 luglio 
1962, n. 1063 -Natura processuale 
dell'art. 47 del predetto Capitolato 
-Sussiste -Potere di 
scelta fra la competenza arbitrale 

e quella del G. O. -Diretta spettanza 
all'Avvocatura dello Stato 
-Sussiste, 1182. 

-Sentenza arbitrale -Impugnativa 
-Nullit� per violazione delle regole 
di diritto -Concetto, 1077. 

ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA 

.-Presupposti Consenso della 
parte danneggiata -Insussistenza, 
1069. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-V. Competenza e giurisdizione, 
Giustizia amministrativa. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE 

-Appalto per la riscossione delle 
imposte di consumo -Provvedimento 
di decadenza dell'appaltatore 
inadempiente -Controversia 
-Competenza dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria, 1057. 

-Espropriazione per pubblica utilit� 
-Retrocession� -Espropriazione 
non preordinata all'esecuzione 
di opere pubbliche -Inammissibilit� 
della retrocessione, 
1060. 

-Giudice ordinario in sede civile 
e penale -Ripartizione di competenza 
-Inderogabilit�, 1066. 

-Atto� amministrativo di revoca Lesione 
di diritti soggettivi -Insussistenza, 
con nota di P. G. FERRI, 
1046. 

-Retrocessione di beni espropriati 
per l'esecuzione. di opera pubblica 
-Ipotesi in cui un intero fondo 
sia rimasto inutilizzato -Necessit� 
della dichiarazione amministrativa 
di inservibilit�, 1060. 

-Spese di mantenimento in carcere 
-Controversie -Competenza 
funzionale del giudice penale, . 
1066. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

VI 

-Tariffe dei servizi pubblici di trasporto 
in concessione -Poteri 
dell'Amministrazione, con nota 
di P. G. FERRI, 1046. 

CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI 

-V. Sicilia. 

COSA GIUDICATA 

-Efficacia del giudicato per uno 
dei coimputati nei confronti degli 
altri ~ Divieto del bis in 
idem -Limiti di tale divieto Riesame 
della responsabilit� del 
coimputato assolto con sentenza 
irrevocabile -� ammesso ai fini 
di rivalutare le responsabilit� 
degli altri, con nota di A. PALATIELLO, 
1198. 

-V. �anche Giustizia amministrativa. 


COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 


-V. anche Adozione: Edilizia Economica 
e Popolare, Finanza locale, 
Friuli-Venezia Giulia, Impiegati 
dello Stato, Impiego pubblico, 
Imposta di registro, Previdenza 
ed assistenza, Reato, Sicilia, 
Trentino-Alto Adige, Valle 
d'Aosta. 

DEMANIO 

-V. Acque pubbliche. 

EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA. 


-Commissione di vigilanza -Decisione 
-Esecuzione da parte del 
Commissario governativo -Fattispecie, 
1089. 

-Cooperativa edilizia -Controversie 
sulla �qualit� di socio e sulla 
iscrizione �di un richiedente nell'elenco 
degli aspiranti soci Competenza 
della Commissione 
di vigilanza per l'edilizia popolare 
ed economica, 1089. 

-Procedimento sugli sfratti per 
morosit� -Termine per l'opposi


zione all'ingiunzione -Violazione 
del diritto di difesa -Illegittimit� 
costituzionale parziale, 1043. 

-Procedura espropriativa di cui 
alla Legge 18 aprile 1962, n. 167 
-Decreto di espropriazione -Requisiti 
di legittimit�, 1090. 

-V. anche Espropriazione per p.u. 

ENTI PUBBLICI 

-Organo collegiale -Illegittima 
composizione -Principio della 
validit� degli atti del funzionario 
di fatto -Inapplicabilit�, 
1087. 

-Organo collegiale -Illegittima 
composizione del collegio -Interesse 
alla impugnativa, 1086. 

-Organo collegiale -Illegittima 
partecipazione alla seduta di un 
estraneo -Discussione -Prova di 
resistenza Inammissibilit�, 
1086. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Dichiarazione di p. u. -Deposito 
del provvedimento per quindici 
giorni -Criterio di osservanza 
del termine, 1091. 

-Edilizia popolare ed economica Piani 
per l'edilizia economica e 
popolare -Attuazione -Dichiarazione 
di pubblica utilit� -Non 
occorre, 1090. 

-Occupazione temporanea d'urgenza 
-Revoca -Motivazione 
perplessa -Illegittimit�, 1090. 

-Procedura illegittima -Revoca 
prefettizia degli atti illegittimi 
e inizio di nuova procedura Legittimit�, 
1091. 

-V. anche Competenza e giurisdizione, 
Edilizia popolare ed economica, 
Giustizia amministrativa, 
Piano regolatore. 

EDILIZIA 

-Licenza edilizia -Potere del Sindaco 
in ordine ai lavori in corso 
-Non sussiste, 1088. 


INDICE 
VII 

-Licenza edilizia -Poteri attribuiti 
all'autorit� pubblica -Revoca 
e sospensione della licenza, 
1087. 

- 
Programma di fabbricazione 


� 
Natura -Contenuto -Vincoli di 
inedificabilit� o di particolare 
destinazione contenuti nel programma 
-Illegittimit�, 1087. 
- 
Regolamento comunale -Poteri 
concessi al Sindaco in�ordine alle 
licenze gi� concesse -Impugnativa 
dei provvedimenti del Sindaco 
-Impugnativa del regolamento, 
1087. 

FALLIMENTO 

-Liquidazione coatta amministrativa 
-Impugnativa di sentenza in 
tema di insinuazioni tardive di 
crediti -Termini ordinari, 1082. 

-V. anche Imposte e tasse in genere. 


FERROVIE 

- 
V. Obbligazioni e contratti. 

FINANZA LOCALE 

-Imposta di consumo -Definizione 
amministrativa delle trasgressioni 
-Illegittimit� costituzionale 
parziale, 996. 

FRIULI-VENEZIA GIULIA 

-Zona faunistica delle Alpi 
Estensione della normativa alle 
Provincie di Udine e Pordenone 
-Violazione della riserva di legge 
in materia penale -Esclusione, 
999. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Atto definitivo -Diniego di nulla 
osta da parte della Soprintendenza 
ai monumenti per costruzione 
edilizia -Non � atto definitivo, 
1092. 

-Atti impugnabili -Atti della 
espropriazione precedenti il de


creto del Prefetto -Impugnabi


lit� -Esclusione, 1092. 

-Eccesso di potere per perplessit� 
ed insufficiente motivazione Fattispecie, 
1092. 

-Giudicato -Esecuzione -Annullamento 
di gara per affidamento 
della Gestione di caff� ristoratore 
-Fattispecie, con nota di 
GIORGIO AzzARITI, 1094. 

-Giudicato -Esecuzione -Ricorso 
ex art. 27 n~ 4 t. u. n. 1054 del 
1924 -Decisione del Consiglio 
di Stato impugnata con ricorso 
per Cassazione -Proponibilit�, 
con nota di GIORGIO AZZARITI, 
1094. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Prescrizione biennale degli stipendi 
ed assegni -Illegittimit� 
costituzionale della normativa Esclusione, 
1002. 

-Impiegato dello Stato -Quote di 
aggiunta di famiglia -Non spettanza 
pei figli ricoverati presso ' 
istituti di istruzione e di educazione 
-Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione, 1023. 

IMPOSTA DI CONSUMO 

- 
V. Finanza locale. 

IMPOSTA DI REGISTRO 

-Agevolazioni ex art. 24 legge 28 
febbraio 1949, n. 43 in favore 
della Gestione Ina-Casa -Mancata 
comminatoria espressa di 
decadenza -Irrilevanza, 1118. 

-Agevolazioni ex art. 24 legge 28 
febbraio 1949, n. 43 in favore 
della Gestione Ina-Casa -Risoluzione 
consensuale di appalto Decadenza 
dalle agevolazioni accordate 
all'appalto -Si verifica, 
1118. 

-Associazione in partecipazione Base 
imponibile -Conferimento 
dell'uso temporaneo di immobili 
-Tassazione riferita al valore 
della propriet� degli immobili Legittimit�, 
1171. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Cessioni di crediti verso la pubblica 
Amministrazione in relazione 
a finanziamenti concessi da 
aziende ed enti di credito a favore 
di ditte commerciali' e industriali 
-Aliquota ridotta Correlazione 
fra i negozi -Criteri 
di determinazione -Apprezzamento 
del giudice di merito Fattispecie, 
1175. 

-Decadenza dai benefici fiscali per 
mancata registrazione nei termini 
di legge -Ambito di applicazione 
-Riduzioni accordate dalla 
legge organica di registro -Applicabilit�, 
1115. 

-Divieto di pronuncia per i giudici 
di base ad atti non registrati 
-Atti da registrare in caso 
d'uso -Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione, 1034. 

-Divieto di rilascio e di pronuncia 
in base �a sentenze non registrate 
-Riferibilit� anche alla 
tassa di titolo -Illegittimit� costituzionale, 
1034. 

-Enunciazione -Enunciazione giudiziale 
e convenzionale contenuta 
in sentenza -Ammissibilit�, 
1153. 

-Enunciazione -Enunciazione in 
sentenza -Atto enunciato soggetto 
a registrazione in caso d'uso Tassabilit� 
-Sussiste, 1153. 

- 
Occultamento di valore -Prova, 

1150. 
Societ� -Aumento di capitale Delibera 
dell'assemblea e sottoscrizione 
delle azioni -Rilevanza 
ai fini tributari della delibera 
-Benefici fiscali di natura 
soggettiva spettanti ai sottoscrittori 
delle azioni -Inapplicabilit� 
per la tassazione dell'aumento 
di capitale, 1142. 


-Societ� -Aumento di capitale Delibera 
dell'Assemblea e sottoscrizione 
delle azioni -Sistema 
di tassazione, 1142. 

Societ� -Trasferimento di quota 
di societ� a responsabilit� limitata 
-Tassa fissa ex art. 108 tariffa 
all. A -Pagamento contestuale 
del prezzo -Necessit� -Nozione, 
1169. . 

-Solidariet� tributaria -Prescrizione 
-Pendenza del giudizio di 

opposizione all'ingiunzione o del 
ricorso alle commissioni tributarie 
-Interruzione permanente Efficacia 
nei confronti degli altri 
coobbligati solidali -Sussistenza, 
con nota di F. PAGANO, 1178. 

-Tabella allegato B alla legge organica 
di registro -Natura, 1115. 

-Vendita coatta -Vendita con incanto 
e vendita senza incanto Accertamento 
di valore -Inapplicabilit�, 
1111. 

IMPOSTA DI SUCCESSIONE 

-Deduzione di passivit� -Atti di 
data certa -Necessit�, 1164. 

-Dilazione del pagamento -Acquiescenza 
alla imposizione -Insussistenza 
-Successiva impugnazione 
giudiziaria dell'accertamento 
-Proponibilit�, 1127. 

IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA 


Istanza di rimborso proposta oltre 
il termine dell'art. 47 legge 

n. 762 del 1940 -Azione giudiziaria 
-Onere delle spese, 1137. 
- 
Istanza di rimborso -Provvedimento 
amministrativo di non accoglimento 
per intempestivit� ex 
art. 47 legge n. 762 del 1940 Azione 
giudiziaria -Termine semestrale 
di decadenza -Inapplicabilit�, 
1136. 

IMPOSTE E TASSE IN GENERE. 

-Circolare ministeriale -Valore Riconoscimento 
del diritto del 
contribuente Impossibilit�, 
1162. 

Contenzioso -Decisione della 
Commissione Centrale che annulla 
l'accertamento -Proponibilit� 
dell'azione giudiziaria da 
parte dell'Amministrazione, 1132. 

-Fallimento -Credito tributario 
ammesso nel passivo con riserva 
della decisione della Commissione 
Centrale -Impugnativa giudiziaria 
avverso la decisione Improponibilit�, 
con nota di A. 
Ross1, 1120. 


INDICE 
IX 

-Imposte dirette -Dichiarazione 
a sanatoria dei redditi degli anni 
anteriori al 1950 -Facilitazioni 
-Si estendono anche ai redditi 
da dichiarare quale sostituto di 
imposta, 1165. 

Imposte indirette -Prescrizione Consolidazione 
del criterio di tassazione, 
1157. 

-Imposte indirette -Riscossione Ingiunzione 
-Posizione processuale 
delle parti -Poteri dell'ente 
creditore di mutare il titolo 
della pretesa, 1153. 

INFORTUNI SUL LAVORO 

- 
V. Previdenza e assistenza. 

ISTRUZIONE PUBBLICA 

- 
V. Valle d'Aosta. 

LOCAZIONE 

- 
V. Obbligazioni e contratti. 

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI. 

-Convenzioni tra l'Amm.ne F.S. e 
le Aziende private di ferrovie e 
tranvie in concessione -Maggiorazioni 
dei canoni e corrispettivi 
disposte con d. I. 2 agosto 1946, 

n. 70 -Transazioni -Applicabilit�, 
1077. 
- 
Pubblica Amministrazione -Forma 
scritta -Necessit� -Locazione 
-"Rinnovazione tacita Inammissibilit�, 
1069. 

OPERE PUBBLICHE 

- 
V. Appalto, Arbitrato. 

ORGANO COLLEGIALE 

- 
V. Enti pubblici. 

PECULATO 

-Elementi differenziatori del reato 
di truffa aggravata -Possesso 
giuridico del danaro -Pres. Cons. 

Amm. Fondo Speciale per usi' di 
beneficenza e di religione della 
citt� di Roma -Decreto Ministero 
Interno che autorizza i pagamenti 
-Induzione in errore Iter 
formativo di atto amministrativo 
complesso, con. nota di 

G. 
DoNADIO, 1211. 
PIANO REGOLATORE 

-Comune di Napoli -Espropriazioni 
nella c. d. zona industriale 
del porto di Napoli -Eccezione 
di illegittimit� costituzionale della 
normativa di tali espropriazioni 
in relazione all'art. 42 Cost. Manifesta 
infondatezza, 1093. 

-Comune di Napoli -Espropriazioni 
nella zona industriale del 
porto di Napoli -Nulla osta del 
Provveditore regionale alle 00. 
PP. al rilascio delle licenze edilizie 
da parte del Comune -Non 
vale come rinuncia all'espropriazione, 
1093. 

-Comune di Roma -Legge sul 
piano regolatore -Piani particolareggiati 
-Varianti -Procedimento 
-Poteri del Governo, 1085. 

-Comune di Roma -Piano regolatore 
generale Decreto di 
espropriazione -Indennit� -Legittimit� 
costi.tuzionale della norma 
di cui all'art. 4, terzo comma 

1. 24 marzo 1932, n. 355, in relazione 
all'art. 42, terzo comma 
Cost. -Nozione di indennizzo, 
1085. 
Comune di Roma -Piano regolatore 
generale -Piani particolareggiati 
-Termine finale di 
efficacia, 1085. 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

-Assegni di conto corrente postale 
-Mora -Atto di costituzione 
in mora -Atto di protesto -Idoneit� 
alla costituzione in mora 
del debitore ai sensi dell'articolo 
1219 -Esclusione, 1073. 

PRESCRIZIONE 

-V. Impiego pubblico, Imposta di 
registro. 

J 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

PREVIDENZA E ASSISTENZA 

-Infortuni sul lavoro -Agenti delle 
imposte di consumo -Esclusione 
dall'assicurazione obbligatoria 
fino al 10 gennaio 1966 Illegittimit� 
costituzionale, 1025. 

-Pensioni di previdenza sociale Divieto 
di cumulo con la retribuzione 
-Illegittimit� costituzionale 
per le pensioni di vecchiaia 
-Infondatezza della .questione 
per le altre pensioni, 1027. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Notificazioni -Notificazione alla 
persona giuridica -Consegna nel 
luogo indicato in una dichiarazione 
del destinatario corrispondente 
alla sede effettiva della societ� 
-� regolare, 1157. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Accertamenti ed operazioni tecniche 
compiute dalla polizia giudiziaria 
-Mancanza di garanzie 
difensive -Illegittimit� costituzionale 
parziale, 1013. 

-Nullit� -Interrogatorio dell'imputato 
avanti P.M., e mancata 
assistenza di legale abilitato alla 
professione forense -Nomina di 
ufficio -Difensore di fiducia, con 
nota di G. DoNADIO, 1211. 

-Prelievo di campioni ed analisi 
per reati riguardanti frodi nelle 
sostanze agrarie -Procedimento 
di revisione delle analisi -Fase 
preliminare al giudizio -Mancanza 
di garanzie difensive -Illegittimit� 
costituzionale parziale, 
1014. 

-Procedimento direttissimo per 
reati di stampa -Violazione del 
principio della precostituzione 
del Giudice e del diritto di difesa 
-Esclusione, 1006. 

-Relazione fra accusa contestata 
e sentenza -Mutamento essenziale 
e significativo del fatto 


Diritto alla difesa, con nota di 

G. DONADIO, 1211. 
REATO 

-Relazione adulterina e concubinato 
-Violazione del principio 
di eguaglianza fra i coniugi Illegittimit� 
costituzionale, 1009. 

-Reato forestale -D�penalizzazione 
-Sussiste, con nota di L. S1coNOLFI, 
1194. 

SICILIA 

Conflitto di attribuzioni -Riscossione 
delle imposte -Servizio 
di meccanizzazione .dei ruoli erariali 
e non erariali -Spetta alla 
Regione, 1022. 

-Legge regfonale a favore dei borsisti 
frequentatori dell'Istituto 
del restauro -Preferenza assoluta 
nell'impiego -Illegittimit� costituzionale 
-Mancata indicazione 
della copertura finanziaria 
Esclusione, 1039. 

SOCIET� 

-V. Imposta di registro. 

TRENTINO-ALTO ADIGE 

-Provincia di Bolzano -Tutela del 
paesaggio -Necessit� delle norme 
di attuazione dello Statuto Illegittimit� 
costituzionale della 
normativa -Esclusione, 993. 

VALLE D'AOSTA 

-Esami di maturit�, abilitazione e 
licenza media -Obbligo di svolgimento 
delle prove nella sola 
lingua italiana -Violazione della 
parit� linguistica francese -Illegittimit� 
costituzionale, 1031. 

VENDITA 

-V. Imposta di registro. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

15 luglio 1969, n. �136 . . . 
20 novembre 1969, n. 141 . 
20 novembre 1969, n. 142 . 
20 novembre 1969, n. 143 . 
3 dicembre 1969, n. 145 . 
3 dicembre 1969, n. 146 . 
3 dicembre 1969, n. 147 . 
3 dicembre 1969, n. 148 . 
3 dicembre 1969, n. 149 . 
17 dicembre 1969, n. 150 . 
17 dicembre 1969, n. 151 . 
17 dicembre 1969, n. 152 . 
22 dicembre 1969, n. 155 . 
22 dicembre 1969, n. 156 . 
22 dicembre 1969, n. 157 . 
22 dicembre 1969, n. 158 . 
22 dicembre 1969, n. 159 . 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 


Sez. I, 25 ottobre 1968, n. 3493 
Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1289 . . 
Sez. I, 30 aprile 1969, n. 1415 . . 
Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2205 . . 
Sez. Un., 26 giugno 1969, n. 2289 . 
Sez. Un., 27 giugno 1969, n. 2310 . 
Sez. I, 18 luglio 1969, n. 2662 . . 
Sez. Un. 29 luglio 1969, n. 2885 . 
Sez. Un., 31 luglio 1969, n. 2908 . . 
Sez. III, 10 settembre 1969, n. 3093 . 
Sez. Un., 22 settembre 1969, n. 3120 
Sez. Un., 4 ottobre 1969, n. 3174 . 
Sez. I, 16 ottobre 1969, n. 3336 . 
Sez. I, 28 ottobre 1969, n. 3535 . 
Sez. I, 28 ottobre 1969, n. 3536 
Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3586 . 
Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3597 . 
Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3598 . 
Sez. I, 11 novembre 1969, n. 3670 


pag. 993 
996 
999 
1002 
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1153 
1157 
1162 
1164 
1165 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sez. I, 11 novembre 1969, n. 3671 (in nota a Cass. 1.1 novembre 
1969, n. 3670) . . . . . . � . . . . . . . . . . . . . . pag. 1165 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3706 . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3707 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3708 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3709 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3710 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, �n. 3711 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3712 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3713 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . . . . . . . . . . . . . . 1169 
Sez. I, 14 novembre 1969, n. 3714 (in nota a Cass. 14 novembre 
1969, n. 3706) . . . 1169 
Sez. I, 22 novembre 1969, n. 3802 . 1171 
Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3938-. 1069 
Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3943 . 1073 
Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3951 . 1077 
Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3955 . 1080 
Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3957 . 1082 
Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4007 . 1175 
Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4006 (in nota a Cass. 19 dicembre 
1969, n. 4007) . . . 1175 
Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4008 (in nota a Cass. 19 dicembre 
1969, n. 4007) . . . 1175 
Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4009 (in nota a Cass. 19 dicembre 
1969, n. 4007) . . . . . 1175 
Sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022 . 1182 

CORTE D'APPELLO 

Napoli, 12 giugno 1969, n. 3831 pag. 1178 

LODO ARBITRALE 

4 ottobre 1969, n. 56 (Roma) . ...... pag. 1184 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 439 . pag. 1085 
Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 446 1086 

Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 457 


INDICE 

XIII 

Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 464 
Sez. IV, 10 ottopre 1969, n. 502 
Sez. IV, 17 ottobre 1969, n. 505 
Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 519 
Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 523 
Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 525 
Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 568 
Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 571 
Sez. VI, 27 giugno 1969, n. 319 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI. CASSAZIONE 

Sez. III, 25 ottobre 1968, n. 1410 
Sez. IV, 3 giugno 1969, n. 1772 . 
Sez. VI, 8 luglio 1969, n. 1637 . . 

.. 


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1089 
1090 
1090 
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1093 
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1194 
1198 
1211 

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SOMMARIO DELLA PARTE SECONDA 
RASSEGNA DI DOTTRINA 
SOMMARIO DELLA PARTE SECONDA 
RASSEGNA DI DOTTRINA 
ALmRANDI T., La sindacabilit�. del provvedimento amministrativo 
nel processo penale, Jovene, Napoli, 1969 . . . . . 
F. BENVENUTI e G. MIGLIO, L'unificazione amministrativa ed 
suoi protagonisti, Neri Pozza Editore, 1969 . . . . . . 
pag. 193� 
194 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
Leggi e decreti (segnalazioni) . . ....... pag. 196 

NORME SOTTOPOSTE A GtUDIZIO DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
-Norme dichiamte incostituzionali: 
codice penale, art. 559, terzo e quarto comma; art. 560 
primo, secondo e terzo comma, art. 561, art. 562, primo 
comma, secondo e terzo comma; art. 563 . . . . 
codice di procedura penale, art. 134, secondo comma, 
art. 222, secondo comma, art. 223 primo comma, articolo 
231, primo comma, art. 234 . . . . . . . . . 
r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 117 e 118, r. d. 
13 gennaio 1936, n. 2313 . . . . . . . . . . . 
r. d. 1. 15 ottobre 1925, n. 2033, art. 44, legge 27 febbraio 
1958, n. 190 . . . . . . . . . . . . . . . 
r. d. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 66 . . . . 
r. d. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 32, terzo e settimo 
comma ............ . 
legge 27 febbraio 1958, n. 190, art. 1 
d. P. R. 2 ottobre 1960, n. 1378 
d. P. R. 2 gennaio 1962, n. 912, articolo unico 
legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1 . . . . 
d.P. R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 199, 
comma ................ . 
secondo 
legge 4 luglio 1967, n. 580, art. 42 . . . . . 
legge 18 marzo 1968, n. 238, art. 5 lettera a e b 
d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 20, lettere a e b, 
artt. 21 e 23 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
d. 1. 15 febbraio 1969, n. 9, art. 5, terzo e quarto comma, 
art. 6, primo, secondo e terzo comma . 
legge reg. sic. appr. 17 luglio 1969, art. 5 ..... . 
-Norme delle quali � stata dichiarata non fondata la questione 
di legittimit�. costituzionale: 
codice civile, art. 314/4 . . . . 
codice di procedura penale, art. 502, primo e secondo 
comma ............... . 
196 
197 
197 
197 
198 
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201. 
201

INDICE xv 

r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 106 e 118 . pag. 201 

r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 106, 108 e 118, 
primo comma, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . 202 

r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033, artt. 41, 42, 43, 45 e 46 202 

d. I. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, primo comma . . . 202 

d. lg. lgt. 21 novembre 1945, n. 722, art. 2, sesto comma 202 
legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 21, terzo comma . 202 
legge 18 ottobre 1959, n. 945, art. 1 . . . . . . 203 
legge 30 dicembre 1959, n. 1234, articolo unico . . 203 
legge 13 novembre 1960, n. 1407, art. 13 . . . . . . 203 
legge reg. Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5 203 
legge reg. sarda 22 agosto 1967, n. 16 . . . . . 203 
legge 18 marzo 1968, n. 238, art. 5 lettere b e c . 203 

d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 20, lettera e 204 

-Norme delle quali � stato promosso giudizio di legittimitd 
costituzionale . . . . . . . . . . . . . 204 

-Norme delle quali il giudizio di legittimitd costituzionale 
� stato definito con pronunce di estinzione, di inammissibilitd, 
di manifesta infondatezza o di restituzione degli 
atti al giudice di merito . . . . . . . . . . . . . . 220 

INDICE DELLE CONSULTAZIONI (secondo l'ordine di materia) 

Acque pubbliche pag. 221 Ferrovie pag. 225 
Amministrazione Pub-Imposta di bollo 225 
blica 221 Imposta di consumo 225 
Appalto . . . . . . 221 Imposta di registro 225 
Comuni e Provincie 222 Imposta di ricchezza 
Concessioni Ammini-mobile 226 
strative . 222 Imposte di successione 226 
Contabilit� Generale Imposte e tasse 226 
dello Stato 223 Imposte varie . 227 
Contributi . 223 Invalidi di guerra . 227 
Demanio 223 Poste e telegrafi 227 
Donazione 224 Prescrizione . 228 
Espropriazione per Procedimento civile 228 
pubblica utilit� 224 Strade 228 
Esecuzione forzata 225 Trasporto . 229 

NOTIZIARIO . . pag. 230 


."! 

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PARTE PRIMA 

2 

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I 


GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 
E INTERNAZIONALE (*) 


CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1969, n. 136 -Pres. Branca -
Rel. Fragali -Tirelli (avv. Barbato) e Provincia di Bolzano (avv. 
Guarino). 

Trentino Alto-Adige -Provincia di Bolzano -Tutela del paesaggio Necessit� 
delle norme di attuazione dello Statuto -Illegittimit� 
costituzionale della normativa -Esclusione. 

(Cost. VIII disp. trans.; St. spec. Trentino-Alto-Adige art. 95; 1. prov. Bolzano 
24 luglio 1957, n. 8). 

Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale della legge 
della Provincia di Bolzano 24 luglio 1957, n. 8 suUa tutela del paesaggio 
per la mancanza delle norme di attuazione sul trasferimento delle relative 
funzioni dallo Stato alla Provincia (1). 

(Omissis). -� 2. -La parte privata invoca per� senza fondamento 
l'VIII disposizione transitoria della Costituzione per sostenere che, in 
ordine alla materia del paesaggio, era necessaria l'emanazione di norme 

(1) La questione, cui � rimasta estranea l'Avvocatura, era stata sollevata 
con ordinanza 3 novembre 1967 della V Sezione del Consiglio di Stato 
(Gazzetta Ufficiale Io giugno 1968, n. 138). 
� interessante l'affermazione di massima contenuta nell'ultima parte 
di motivazione della sentenza, secondo cui, quando lo Statuto delimita con 
precisione l'oggetto della potest� legislativa che essa attribuisce alla Regione 
o alla Provincia autonoma, la fonte statutaria deve ritener,si suffici.
ente a �conferire direttamente alla Regione o alla Provincia i poteri legislativi 
o amministrativi relativi a quella materia. 

La sentenza, ricordata in motivazione, 30 maggio 1963, n. 76, leggesi 
in Giur. cost., 1963, 629 e nota di CRISAFULLI, In tema di trasferimento alle 
Regioni delle funzioni amministrative. 

La sentenza 9 maggio 1968, n. 56, sulla non indennizzabilit� (relativa) 
dei vincoli a tutela del paesaggio nella Provincia di Bolzano, � pubblicata 
in questa Rassegna, 1968, 662. 

(*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha 
collaborato anche l'avv. RAFFAELE CANANzi. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di attuazione dello Statuto. La suddetta disposizione impone norme del 
genere esclusivamente per il trasferimento delle funzioni amministrative; 
e il suo testo infatti esige leggi dello Stato solo per regolare il passaggio 
delle funzioni statali � per ogni ramo della pubblica amministrazione
�, di funzioni cio� che, per lo stesso significato delle parole 
usate, non possono essere di potere legislativo. Nella sentenza 24 maggio 
1963, n. 76 la Corte afferm� che la norma transitoria succitata proclama 
la necessit� di una attuazione coordinata dei princ�pi costituzionali 
dell'autonomia e del decentramento regionale; ma lo afferm� con riferimento 
ad una legge regionale che riguardava unicamente l'esercizio di 
funzioni amministrative. E ci� a parte il problema della riferibilit� 
della norma alle regioni a statuto speciale; pr'oblema cui la Corte, nella 
sentenza 9 maggio 1961, n. 22, accenn� per una soluzione negativa. 

Non � concludente ai fini del decidere l'art. 95 dello Statuto del 
Trentino-Alto Adige, che prevede in via generica norme di attuazione 
da emanarsi .con decreto legislativo. Cos� disponendo lo Statuto ha regolato 
la forma che avrebbe dovuto assumere l'atto normativo, ove 
fosse stato necessario: sarebbe illogico intenderlo nel senso che abb:a 
voluto imporre l'emanazione di norme di esecuzione per tutte le materie 
statutarie, perch� si arriverebbe all'assurdo di giudicare che esse sono 
state previste anche per il caso in cui il testo statutario avesse avuto in 
s� piena completezza e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. 
In tali ipotesi norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi, 
per mancanza di oggetto; e nelle ipotesi stesse la competenza regionale 

o provinciale non potrebbe mai esercitarsi non ostante l'assenza di dubbi 
nei limiti della stessa. 
3. -Sono queste ultime considerazioni che fanno eisdudere la assolutezza 
del principio invocato dalla parte privata: lo stesso Consiglio 
di Stato ha riconosciuto che questo non � insuperabile, e si � limitato 
a porre in dubbio che la fattispecie rientri fra le eccezioni, sotto il profilo 
che la legge provinciale ha causato sottrazione di funzioni agli uffici 
statali e quindi trasferimento di tali funzioni ad uffici della provincia. 
La Corte, sintetizzando il suo pensiero nella sentenza 9 marzo 1962, 

n. 14, ritenne �che l'esigenza delle norme di attuazione si manifesta nel 
bisogno di dar vita, nell'ambito delle ben definite autonomie regionali, 
ad una organizzazione dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che 
si armonizzi con l'organizzazione dello Stato nell'unit� dell'ordinamento 
giuridico. Ora, nella specie, non si enunciano concrete esigenze del 
genere. 
Lo Statu,to della regione Trentino-Alto Adige, all'art. 13, statuisce 
che, nelle materie e nei limiti in cui la regione o la provincia pu� emanare 
norme legislative, le relative potest� amministrative, �che in base 
all'ordinamento preesistente �erano� attribuite allo Stato ovviamente 
non lo erano pi� in base allo Statuto, dovevano intendersi cio� passate 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 995 

alla regione o alla provincia per la forza immediata dell'atto �concessivo 
dell'autonomia. 

Non vale opporre che la legge denunziata riconosce la necessit� di 
coordinamenti fra la competenza provinciale e la competenza statale 
perch� statuisce all'art. 7 che i provvedimenti relativi ad opere pubbliche 
e ad opere dichiarate di pubbHca utilit� dallo Stato o dalla regione 
debbono essere adottati di concerto �con le amministrazioni interessate. 
La regola � ovvia, cosicch� sarebbe stato inutile inserirla in 
norme di attuazione; tanto pi� che i termini di quel concerto potrebbero 
essere definiti solo caso per caso. Non si chiadsce poi quali ulteriori 
norme di integrazione o di ,specificazione sarebbero state necessarie, 
oltre la previsione predetta: � altrettanto ovvio, che, fino a quando 
l'accordo con le amministrazioni statali non si raggiunga, ogni provvedimento 
provinciale mancherebbe del crisma della legittimit� e sarebbe 
stata altres� inutile una norma di attuazione che avesse disposto in tal 
senso. Ugualmente deve ragionarsi per ogni altra ipotesi in cui un 
provvedimento della provincia venisse ad incidere su beni appartenenti 
allo Stato o su materie di competenza dello stesso. 

Comunque non sarebbe logico ritenere, che fino a quando non si 
emanino prescrizioni del genere riguardo ad ipotesi astratte di incidenza 
dell'interesse statale, alla provincia rimanga inibito di esercitare 
la sua competenza esclusiva per quelle altre ipotesi �Che in concreto non 
coinvolgano interessi statali. La sentenza di questa Corte del 19 aprile 
1962, n. 37, ha potuto dare alla competenza della provincia di Bolzano 
in materia di paesaggio il limite dell'interesse della difesa militare non 
ostante l'assenza di norme d'attuazione; e pertanto deve contestarsi che 
questa mancanza rechi nell'attivit� amministrativa provinciale germi 
di pregiudizio alla protezione degli interessi estranei all'organo autonomo. 
Concorre a far ritenere esatta tale affermazione, non solo il 
fatto �Che, nella materia predetta, unicamente nel caso deciso con la 
sentenza da ultimo citata, si � profilato, nell'arco di un dodicennio, un 
conflitto di attribuzioni con i poteri dello Stato, ma l'ulteriore circostanza 
che il governo, nel memorandum alle Nazioni Unite ricordato 
dalla provincia, fond� anche sulla legge denunziata la prova dell'esercizio 
dell'autonoma potest� provinciale in modo ampio e regolare, cos� 
attestando che l'e.sercizio effettivo di quella potest�, o non turba gli 
interessi statali, o non ne impedisce la protezione. 

Con ci� non si intende certo dire che l'apprezzarp.ento discrezionale 
governativo possa di per S�i escludere la necessit� delle norme di attuazione 
ove in realt� ve ne sia bisogno, ma si intende dire che, essendo 
stata attribuita alla provincia una materia ben definita (e ben definita 
anche sulla base della legge statale 22 maggio 1939, n. 823, che quella 
provinciale ricalca), l'inutilit� dell'emanazione di norme di attuazione 
� provata dalla situazione di fatto; la quale non ne ha espresso mai la 


1:196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
I 

necessit� e non ha prospettato mai l'esigenza di armonizzazione di competenze. 
Proprio la mancanza in Bolzano di un ufficio .statale di attribuzioni 
limitate al territorio della provincia esclude �che la legge denunziata 
abbia disposto dell'organizzazione dello Stato; la competenza poi 
della sovraintendenza di Trento, � stata direttamente incisa dallo Statuto 
regionale, e rimane piena per la cura di quegli interessi che l'esercizio 
della funzione provinciale non deve mai compromettere. La competenza 
provinciale, per quanto esclusiva, trova sempre in quegli interessi 
un limite invalicabile: lo si ripete per ribadire i concetti espressi 
nella ricordata sentenza del 19 aprile 1962, n. 37 e nell'altra anteriore 
del 21 gennaio 1957, n. 23, anch'essa riguardante materia di competenza 
regionale primaria. 

Con che la Corte precisa il suo punto di vista sull'argomento. Sono 
le circostanze che indicano se e in che limiti l'esplicazione di potest� 
le�gis'lativa da parte di una regione o di una provincia autonoma in materia 
di propria competenza sia �condizionata all'emanazione di norme di 
attuazione dello statuto. In via di massima, quando delimita con precisione 
l'oggetto della potest� legislativa che essa attribuisce alla regione 

o alla provincia autonoma, la fonte statutaria deve ritenel'si sufficiente 
a conferire direttamente alla regione o alla provincia i-poteri legislativi 
e amministrativi relativi a quella materia (sente.nza 18 novembre 1958, 
n. 58); cosicch� la VIII disposizione della Costituzione, se applicabile 
nell'�mbito degli statuti speciali, riguarda il passaggio alle regioni o 
alle province autonome di quelle funzioni amministrative dello Stato 
che non possono ravvisarsi direttamente ad esse trasferite dallo statuto, 
e in ogni caso concerne il trasferimento alle regioni o alle province autonome 
di funzionari e di dipendenti dello Stato. 
4. -L'altra questione, quella della legittimit� dell'art. 7 della legge 
provinciale, in relazione al successivo art. 15, in quanto al v�ncolo di 
inedificabilit� non corrisponde un indennizzo, � stata decisa dalla Corte 
con la sentenza 9 mag�gio 1968, n. 56 nel senso della non fondatezza. 
Non si propongono motivi nuovi, n� la Corte trova. ragioni per 
ritornare sul suo giudizio. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 novembre 1969, n. 141 -Pres. Branca, 
Rei. Rossi -Principi (n. �C.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(Sost. avv..gen. dello Stato Chiarotti). 

Finanza locale -Imposta di consumo -Definizione amministrativa 
delle tras1;1ressioni -Illel;1ittimit� costituzionale parziale. 
(Cost., art. 113; t.u., 14 settembre 1931, n. 1175, art. 66, quarto comma). 

Lq, norma deH'art. 66 de! testo unico suita finanza locate, ap.provato 
con r.d. 14 settembre 1931, n. 11175, che consente L'obtazione amministra



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTXTUZIONALE E INTERNAZIONALE 997 

tiva deUe trasgressioni punibili con la sola pena dell'ammenda, non 
contr�sta con gli artt. 3 e 24 della Costituzione; essa, peraltro, � in 
contrasto con l'art. 113 della Costituzione nell'inciso contenuto nel quarto 
comma �e non compete gravame davanti all'autorit� giudiziaria� (1). 

(Omissis). -Il pretore di Recanati ha sottoposto all'esame della 
Corte la questione di legittimit� �costituzionale dell'art. 66 del testo 
unico p.er la finanza .locale sotto i seguenti profili: a) che il potere discrezionale 
all'autorit� amministrativa di ammettere o meno un soggetto 
all'oblazione, potrebbe violare il principio costituzionale di uguaglianza 
nonch� l'art. 113 della Carta, essendo espressamente escluso il sindacato 
giurisdizionale su di esso; b) che il suddetto potere, implicando la valutazione 
della sussistenza dell'estremo della frode, .elemento discretivo 
tra i delitti e le �contravvenzioni in tema di imposte di consumo, potrebbe 
dar luo~o all'esercizio di funzioni giurisdizionali e alla preclusione 
dell'azione penale, in contrasto con gli artt. 102 e 112 della Costituzione; 
c) che il denunciato procedimento di oblazione, condizionando l'esame 
della domanda di conciliazione al previo deposito di una cauzione 
(art. 236 del regolamento) violerebbe il diritto di difesa. 

1. -Va in primo luogo rilevato che la norma impugnata, con l'attribuire 
al Sindaco o alla Commi>sslone consorziale il potere di determinare 
volta per volta la somma da versare a titolo di oblazione, soddisfa 
all'esigenza di adeguare il disposto normativo alla particolarit� del 
caso concreto, il che � indispensabile per realizzare nei suoi veri termini 
il principio di uguaglianza, che s'.i traduce, in siffatti casi, in un principio 
di giusta proporzione (sentenza n. 95 del 1967). 
Aggiungasi, per quanto attiene al pi� ampio potere di decidere se 
ammettere o meno un soggetto alla conciliazione amministrativa, che 
esso non si risolve in una mera facolt� non legittimando la norma impugnata 
un trattamento differenziato di �caisi uguali. Invero l'esercizio di 
tale potere, regolato dai comuni princ�pi che assicurano la legittimit� 
dell'azione amministrativa, � suscettibile di riesame mediante i ricorsi 
amministrativi. 

Non pu� tuttavia ignora11si che la dtsposizione impugnata, pur ammettendo 
espressamente i ricorsi amministrativi contro la dedsione sull'istanza 
di oblazione, sembra aver voluto escludere ogni forma di ulteriore 
tutela giurisdizionale mediante l'inciso �e non compete gravame 
davanti all'autorit� giudiziaria�. 

(1) La questione era stata proposta con ordinanza 24 aprile 1968 del 
Pretore di Recanati (Gazzetta Ufficiale 6 luglio 1968, n. 170). 
La precedente sentenza pronunciata dalla Corte in tema di conciliazione 
amministrativa 8 luglio 1967, n. 95 � pubblicata in questa Rassegna, 
1967, 518. 



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998 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 

Tale disposto contrasta con il principio costituzionale secondo cui 
ocntro gli atti della pubblica amministrazione � sempre ammessa la 
tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli 
organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (art. 113 Cost.). 

Eliminato il predetto inciso, la discrezionalit� in esame, del cui 
esercizio la pubblica amministrazione deve dar �conto, � certamente 
sindacabile in sede di controllo giurisdizionale di legittimit� ed il 
privato pu� in tal modo far accertare l'eventuale vizio di disparit� di 
trattamento, skch� si palesa insussistente l'asserita violazione dell'art. 3 
della Costituzione. 

Esula poi dalla competenza di questa Corte l'esame dei limiti tem


porali entro i quali l'istanza di conciliazione amministrativa pu� essere 

presentata. 

2. -Deve ancora riaffermarsi il principio �che � non pu� dirsi esercizio 
di giurisdizione il potere di valutazione, che, come nel caso della 
istanza di oblazione, viene attribuito all'autorit� amministrativa, potere 
che, pur importando una valutazione del ,singolo caso, rimane di natura 
amministrativa e si svolge prima ed al di fuori del processo giurisdizionale 
� (sentenza n. 95 del 1967). 
N� pu� ritenersi che la facolt� della pubblica amministrazione di 
conciliare la trasgressione in caso ravvisi l'insussistenza della frode, 
precluda necessariamente l'esercizio dell'azione penale per delitto da 
parte degli organi che ne sono investiti qualora ne rkorrano gli estremi. 
Invero l'avvenuta oblazione non pu� impedire l'azione penale per una 
imputazione a titolo di delitto, per fattispecie riconosciute diverse e 
delittuose dall'organo giudiziario. 

Si palesa quindi insussistente anche l'asserita violazione degli articoli 
102 e 112 della Costituzione. 

3. -In ordine, infine, al preteso contrasto tra l'art. 24 della Carta e 
l'onere di versare una cauzione perch� l'istanza di oblazione possa 
essere presa in esame, occorre osservare, da un lato, che la richiesta 
garanzia non incide sul diritto alla tutela giudiziale di colui che ritenga 
di non aver commesso akuna infrazione, il quale .potr� far valere tutte 
le sue ragioni, senza oneri, nel procedimento penale; dall'altro, che il 
versamento di una modesta somma a garanzia soddisfa l'esigenza di 
evitare domande meramente dilatorie e non �contrasta, secondo il costante 
orientamento della Corte, con l'invocato art. 24 della Costituzione. 
N� pu� ignorarsi che un eventuale conflitto tra la norma di legge 
impugnata e la disposizione regolamentare, �che prevede la suddetta 
cauzione (art. 236 citato r.d.), rientra nella competenza dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria. -(Omissis). 

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PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 999 

CORTE COSTITUZIONALE, .20 novembre 1969, n. 142 -Pres. Branca � 
Rel. Crisafulli -Marconato ed altri (rt. c.) e Presidente Regione 
Friuli-Venezia Giulia (avv. Carbone). 

Friuli-Venezia Giulia -Zona faunistica delle Alpi -Estensione della 

normativa alle Provincie di Udine e Pordenone -Violazione della 

riserva di legge in materia penale -Esclusione. 

(Cost., art. 25; I. reg. 10 maggio 1966, n. 5). 

Non � fondata, con riferimento al principio della riserva d.i legge 
in materia penale, la questione di legittimit� costituzionale della legge 
regionale del Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5, che estende 
alle provincie di Udine e Pordenone la disciplina dettata dalla legislazione 
statale per la zona faunistica delle Alpi, poich� le sanzioni penaU 
continuano ad avere appiicazione per forza propria, in qualsiasi 
luogo in cui sia legittimamente vigente il rispettivo regime giuridico (1). 

(Omissis). -3. -La questione non � fondata. Per giungere a questa 
conclusione non � necessario riprendere in esame il problema generale 
della � riserva � istituita dal secondo comma dell'art. 25 della Costituzione 
n� quello dei limiti che ne derivano alla potest� legislativa delle 
Regioni anche se a statuto speciale, con particolare riferimento a materie 
(come quella in oggetto) la regolamentazione delle quali consi,ste, 
per la loro intrinseca natura, di autorizzazioni, limiti e divieti: che sarebbero 
vanificati se sprovvisti di adeguata sanzione. Nella specie oggi 
sottoposta al giudizio della Corte, infatti, la Regione altro non ha fatto 
se non esercitare la competenza legislativa primaria ad essa attribuita 
dall'art. 4 della legge costituzionale 31 dicembre 1963, n. 1, assoggettando 
l'intera Provincia di Udine e quella di Pordenone alla disciplina 

(1) La questione era stata sollevata, in via incidentale, da varie ordinanze 
di giudici di merito. 
La sentenza, pure in assenza dell'intervento dell'Avvocatura, merita 
una particolare segnalazione, perch� tocca la delicata tematica del raccordo 
fra la competenza legislativa delle Regioni e la normativa penale che resta 
pur sempre riservata allo Stato. 

La Corte ha ritenuto di non dovere affrontare, per ora, il problema 
frontale della configurabilit� di una competenza ad esclusione dell'altra, 
ed ha preferito, dato �che la fattispecie gliene offriva la possibilit�, risolvere 
la questione incidendo sul presupposto di fatto su cui la normativa statale 
opera, cio� la determinazione del perimetro della zona faunistica delle Alpi. 
E poich� non era contestabile la potest� legislativa regionale in materia 
di caccia, la conclusione adottata appare ineccepibile. 

Pi� delicata si presenterebbe la questione a fronte di una produzione 
legislativa regionale che, rprevedendo, in materia riservata alla Regione, 
autorizzazioni, limiti e divieti, per non renderli � vanificati -come la 



1000 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

giuridica sostantiva dettata dal testo unico del 1939 per la zona faunistica 
delle Alpi. Per conseguire tale risultato, la Regione ha operato 
mediante rinvio, facendo proprio il contenuto delle disposizioni legislative 
statali sulla zona delle Alpi. Va da s� che le sanzioni penali continuano 
a ricevere applicazione, per forza propria, ossia come sanzioni 
poste da leggi statali, in qualsiasi luogo .in cui .sia legittimamente vigente 
il rispettivo regime giuridico, e perci� anche nelle Province di 
Udine e Pordenone, dal momento che a. quel regime anch'esse sono 
state sottoposte. 

Non fa differenza che la legge statale intervenga successivamente a 
comminare .sanzioni penali per l'inosservanza di norme regionali o che, 
invece, come nel caso presente, tali sanzioni gi� esistano nella legislazione 
statale, identicamente operando cosi nell'ipotesi di trasgressione 
delle norme poste dalle leggi dello Stato, �come nell'ipotesi di trasgres.
sione di norme regionali posteriormente emanate ed aventi -nella 
.specie -lo stesso contenuto e lo stesso oggetto di quelle (tratte come 
sono, per rinvio, secondo si � detto, dalle disposizioni del t.u. del 1939). 
Tanto �Pi� che il testo unico non determina esso stesso, direttamente, 
l'ambito territoriale della zona faunistica delle Alpi, ma ne rimette la 
determinazione -nel restante territorio nazionale -a decreti del Ministro 
dell'Agricoltura e foreste. 

N� siffatta situazione viene a mutare allorch�, versandosi in materia 
di competenza della Regione e questa essendo stata esercitata, sia 
la Regione ad operare quella determinazione. Se alla Regione fosse vietato 
di legiferare, direttamente o mediante rinvio, in materia di caccia 
sol perch� le norme da essa emanate comportano l'applicazione di pene 
predisposte da norme statali con riferimento alle stesse fattispecie o 

Corte accenna -se sprovvisti di adeguata sanzione �, provvedesse ess� 

stessa ad un sistema sanzionatorio. 

Il problema, allora, potrebbe porsi sotto duplice profilo, a seconda che 
la regolamentazione delle sanzioni si esplichi mediante un formale rinvio 
all'analogo sistema .sanzionatorio statale, o che essa si ponga in posizione 
autonoma rispetto a questo. 

Mentre sembra da escludere in ogni caso la seconda soluzione, data 

la gi� rilevata competenza esclusiva dello Stato in materia penale, si po


trebbe ritenere valido il rinvio che la legislazione regionale operasse alla 

normativa generale statale sulle materie trasferite alla competenza regio


nale; ancora pi� valida si potrebbe ravvisare la soluzione che prevedesse 

una legge-cornice generale da parte dello Stato, contenente le sanzioni 

penali per tutte le violazioni alle leggi delle Regioni, nelle materie di 

competenza di queste. 

Per i precedenti della Corte .sull'esclusiva competenza dello Stato in 

materia penale, cfr. da ultimo, le sentenze 23 marzo 1966, n. 26, in questa 

Rassegna, 1966, 489; 15 maggio 1963, n. 68, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 

1169 e nota di DE FRANCO, Riflessi costituzionali della distinzione tra san


zione penale e sanzione amministrativa. b

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PARTE I, SEZ, I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1001 

a fattispecie comprensive anche di quelle risultanti dalla legge regionale, 
alla Regione verrebbe in realt� sottratta una competenza, che statuariamente 
le spetta. 

4. -Del pari prive di fondamento sono le ulteriori censure, adombrate 
nella motivazione dell'ordinanza del pretore di San Vito al Tagliamento. 
Cos� � del rilievo, secondo cui la legge regionale denunciata avrebbe 
perseguito il fine di consentire ai comuni inclusi nei territori delle 
Provincie di Udine e Pordenone la costituzione di riserve comunali di 
caccia: giacch� nessun argomento viene poi addotto per dimostrare che 
un tale fine sarebbe costituzionalmente vietato alla Regione, cos� che, 
anche ad ammettere che, in punto di fatto, l'illazione del pretore risponda 
al vero, non ne seguirebbe per ci� solo un vizio di legittimit� 
costituzionale della legge regionale. � da soggiunger:Si al riguardo che 
l'applicazione dello speciale regime della zona faunistica delle Alpi 
implica -oggettivamente -una maggiore tutela della fauna locale, 
ci� che senza dubbio � conforme all'interesse nazionale (cui genericamente 
si richiama la stessa ordinanza, come pure quella del pretore di 
Palmanova) che sta a fondamento della legtslazione statale in materia. 
Ne offre indiretta conferma l'art. 21 del decreto del Presidente della 
Repubblica 30 giugno 1951, n. 574, �Contenente norme di attuazione dello 
Statuto del Trentino-Alto Adige, che fa obbligo a questa Regione di non 
diminuire la protezione attualmente �Concessa alla selvaggina in dipendenza 
dell'appartenenza del territorio alla zona faunistica delle Alpi. 

Quanto alla' censura di violazione dei � principi che informano il 
nostro ordinamento giuridico�, per avere la legge regionale modificato i 
confini della zona delle Alpi senza i pareri prescritti dall'art. 5 del t.u. 
del 1939, � sufficiente osservare che la Regione non ha sostituito una 
propria legge ai concreti provvedimenti amministrativi che sarebbero, 
fuori della Regione, di �Competenza del Ministro dell'agricoltura e 'foreste; 
ma, legiferando per relationem, ha sottoposto una parte del suo 
territorio alla medesima identica disciplina .prevista dalla legge statale 
per le localit� rientranti nella zona faunistica delle Alpi. La vera portata 
della legge regionale denunciata sta precisamente, come gi� risulta dalle 
considerazioni sopra svolte al punto 2), in una equiparazione legale, ai 
fini della di,sci.plina della caccia, del territorio di Udine e Pordenone. agli 
altri territori nei quali vige lo speciale regime giurdco dettato per la 
zona delle Alpi. La Regione, in altre parole, ha scelto e adottato, in relazione 
alle provincie anzidette, la disciplina legislativa ritenuta pi� 
adeguata alle particolari esigenze locali e perci� all'interesse della stessa 
Regione; ma, anzich� formularla ex novo, ha manifestato la propria 

volont� legislativa rinviando a quella parte della legislazione statale da 
cui quella disciplina � posta. Per questo aspetto la situazione � analoga 
.a quella su cui ebbe gi� occasione di pronunciarsi questa Corte, sotto 

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1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

altro profilo, con la sentenza n. 11 del 3 marzo 1959, punto 1) della 

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motivazione, relativa alla legge regionale sarda 30 marzo 1957, nu-~:=~ 

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mero 30. -(Omissis). � 

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CORTE COSTITUZIONALE, 20 novembre 1969, n. 143 -Pres. Branca, 
Rel. Chiarelli -Ghini (avv. Cevolotto) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Azzariti). 

Impiego pubblico -Prescrizione biennale degli stipendi ed assegni Illegittimit� 
costituzionale della normativa -Esclusione. 

I

(Cost., artt. 36, 3; r.d_l. 19 gennaio 1939, n. 295, conv. in I. 2 giugno 19;39, n. 739). 

i

La normativa vigente per il rapporto di pubblico impiego sulla 
prescrittibiLit� biennale d_egli stipendi ed assegni dovuti al dipendente 
non contrasta con gli articoli 3 e 36 della Costituzione, a causa della 

i 

particolare forza di resistenza che caratterizza il relativo rapporto (1). 

I[ 

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(Omissis). -1. -La prima questione proposta nel presente giudizio 
� se per l'art. 2, primo comma, del d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, che sta


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bilisce la prescrizione biennale del diritto agli stipendi ed assegni degli � 

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impiegati dello Stato, sussistano le medesime ragioni di contrasto con 

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l'art. 36 della Costituzione, che questa Corte, nella sentenza 10 giugno 

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1966, n. 63, ravvis� negli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 e.e., (i~ 
limitatamente alla parte in cui consentono .che la prescrizione del diritto %. 
alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. 

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La risposta negativa � implicita nella stessa menzionata sentenza, 

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mla quale ebbe a rilevare, come si ricorda nell'ordinanza di rimessione, 

w.
la partkolare forza di resistenza che caratterizza il rapporto di pubblico 
impiego. Questa forza di resistenza � data da una disciplina che normalmente 
assicura la stabilit� del rapporto, e dalle garanzie di rimedi giurisdizionali 
contro l'illegittima risoluzione di esso, le quali escludono 
che il timore del licenziamento possa indurre l'impiegato a rinunziare 

I 

ai propri diritti. ~ 
Tale situazione � comune ai rapporti di pubblico impiego intercor, 
renti con lo Stato o con enti pubblici minori, e pertanto il regim~ delle ' 

' 

II

(1) La questione era stata proposta con ordinanza 23 maggio 1967 della 
VI Sezione del Consiglio di Stato (Gazzetta Ufficiale 10 agosto 1968, n. 203).. 

La precedente .sentenza della Corte 10 giugno 1966, n. 63, applicabile 
solo ai rapporti di impiego e lavoro privati, � pubblicata in questa Rassegna, 
1966, 758. 

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In dottrina, cfr. MARTONE, Decorrenza della prescrizione dei crediti di 
lavoro e stabilit�: dipendenti pubblici e dipendenti privati, Dir. lav., 1968" 
II, 274. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1003 

prescrizioni di cui alla norma impugnata non contrasta con l'art. 36 della 
Costituzione. 

2. -A diversa conclusione non si pu� giungere per i rapporti di 
pubblico impiego statale di carattere temporaneo, sui quali si � particolarmente 
soffermata la difesa del Ghini. 

Anche in essi l'impiegato � assiistito dalle garanzie dei rimedi giurisdizionali 
contro l'arbitraria risoluzione anticipata del rapporto: rimedi 
che si estendono al sindacato sull'eccesso di potere, come � confermato 
dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. 

Va inoltre considerato che, 1secondo l'ordinamento del pubblico 
impiego, le a,ssunzioni temporanee ~che, in linea di principio, sono 
escluse) hanno carattere precario, e la rinnovazione del relativo rapporto 
non presenta carattere di normalit�. La non rinnovazione costituisce, 
invece, un evento inerente alla natura del rapporto stesso. La previsione 
di essa non pone, pertanto, il lavoratore in una 1situazione di timore di 
un evento incerto, al quale egli sia esposto durante il rapporto, qual � 
il licenziamento nel rapporto di lavoro di diritto. ' 

Non ricorrono perci�, nel rapporto d'impiego temporaneo con lo 
Stato, le ragioni ,s:u cui 'si � basata, nella precedente sentenza di questa 
Corte, la dichiarazione di parziale illegittimit� costituzionale dei rkordati 
articoli del codice civile. 

3. -Infondata � anche la ql.;lestione di legittimit� �costituzionale della 
norma impugnata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. 
La dichiarazione di parziale illegittimit� costituzionale dei menzionati 
articoli del codke civile, contenuta nella sentenza n. 63 del 1966 
di questa Corte, riguarda i rapporti di lavoro regolati dal diritto privato 
e non si estende ai rapporti di pubblico impiego, sia che si tratti di 
rapporti con lo Stato, 1Sia che si tratti di rapporti con altri enti pubblici: 
il che, come si � accennato, si ricava inequivocabilmente dalla motivazione 
della detta sentenza n. 3: ( � In un rapporto non dotato �di quella 
resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, il 
timore del recesso, do� del licenziamento, spinge o pu� spingere il 
lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti�), alla 
stregua della quale va interpretato il dispositivo. Dalla parziale perdita 
di efficacia di quelle norme, �conseguita alla pronuncia della Corte ed ai 
sensi della medesima, non � pertanto derivata una situazione di diffe


rente trattamento per i dipendenti dello Stato rispetto ai dipendenti 
di altri enti pubblici, egualmente garantiti dall'ordinamento del pubblico 
impiego. 

Spetta al giudice di meri~o ,stabilire, nei singoli casi, se � stato 
posto in essere un rapporto di pubblico impiego, o se lo Stato o l'ente 
pubblico si � assoggettato alla disciplina di diritto �comune del rapporto 
di lavoro. -(Omissis). 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 145 -Pres. Branca. 
Rel. Trimarchi -Bassani (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(Sost. avv. gen. dello Stato Azzariti). 

Adozione speciale -Accertamento della situazione di abbandono Disparit� 
di trattamento tra minori segnalati prima e dopo l'ottavo 
anno -Ille!littimit� costituzionale -Esclusione. 

(Cost., art. 3; e.e., art. 314/4). 

Non � fondata, con riferimento al principio costituzionale di eguaglianza, 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 31414 e.e., 
suU'adozione speciale, per la sperequazione che si creerebbe tra i minori 
segnalati in situazione di abbandono entro l'ottavo a111no di vita e quelli 
non segnalati entro tale termine, quale presupposto per l'affidamento 
pre-adottivo (1). 

(Omissis). -Con la legge 5 giugno 1967, n. 431, istitutiva dell'adozione 
speciale, il legislatore ha voluto ampliare e migliorare la tutela 
per i minori che si trovino in situazione di abbandono materiale e 
morale, prevedendo che gli stessi, dichiarati in stato di adottabilit�, 
possano essere adottati, con la forza .speciale, da coniugi ed acquistare 
lo stato di figlio legittimo di costoro. 

Avvertita altres� l'esigenza di tutelare anche la famiglia legittima 

o naturale di detti minori, ha predisposto condizioni e procedimenti tali 
da rendere possibile l'adozione speciale, con i relativi effetti giuridici, 
solo nei �confronti dei minori, di cui, con le opportune .garanzie, sia 
accertata l'esistenza della gi� indicata situazione di abbandono materiale 
e morale. 
Di �codesta disciplina fa parte la previsione del procedimento che 
ha inizio a decorrere dal momento in cui l'organo giurisdizionale (giudice 
tutelare o tribunale per i minorenni) � messo in grado di avere conoscenza 
delle situazioni di abbandono, di minori di et� inferiore agli anni 
otto, �e termina �con la dichiarazione dei minori in stato di adottabilit�. 
Nell'ambito di detto procedimento che crea un presupposto per l'affidamento 
preadottivo, hanno rilievo la denuncia della situazione di abbandono 
(art. 314/5 del codice civile) da effettuarsi prima che ciascun 
minore abbia �Compiuto l'ottavo anno, e l'istanza diretta alla dichiarazione 
dei minori in stato di adottabilit�. Dall'esistenza della prima consegue 

(1) La questione era stata proposta con ordinanza 14 ottobre 1968 del 
Tribunale per i minorenni di Milano (Gazzetta Ufficiale 28 dicembre 1968, 
n. 329). 
In dottrina cfr. BITTO, La dichiarazione dello stato di adottabilit� nella 
legge 5 giugno 1967, n. 431 sull'adozione speciale, Temi, 1968, 73. 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1005


il necessario e doveroso compimento da parte del giudice tutelare e del 
tribunale per i minorenni, di attivit� ed atti, e, presentata l'istanza, 
dell'eventuale dichiarazione di adottabilit� come atto finale del procedimento 
(in una sua prima fase). 

3. -Ora, a proposito della questione di cui si discute nei termini 
sopra indicati, alla denuncia � ricollegata dall'ordinanza di rimessione 
l'asserita portata discriminatoria nei confronti dei minori di et� inferiore 
agli anni 'otto privi di assistenza materale e morale. 
Ma la tesi non � accettabile. 

� nella logica del procedimento e risponde alla sua natura e funzione 
che l'inizio di esso sia ricondotto alla conoscenza del fatto da 
accertare. 

D'altra parte l'istituto dell'adozione speciale risponde all'esigenza 
di consentire e favorire l'adozione del minore nei primi anni di vita, che 
sono ritenuti i pi� adatti per il migliore inserimento del minore stesso 
nella famiglia adottiva. 

In s�, quindi, codesta disciplina, la cui concreta determinazione va 
per altro ricondotta alla discrezionalit� di pertinenza del legislatore, 
appare certamente appropriata. Con il citato art. 314/5, tenuto conto 
delle possibili situazioni di abbandono dei minori, � dettata una serie 
di norme in virt� o in forza delle quali tutti coloro che di quelle situazioni 
siano o vengano a conoscenza, possono o debbono informarne, 
direttamente o 'meno, il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni; 
ed � cosi previsto un sistema di ,strumenti e di modi che ragionevolmente 
dovrebbero essere idonei e sufficienti per assicurare la conoscenza 

o conoscibilit� di tutte le situazioni di abbandono relative ai minori di 
et� inferiore agli anni otto. 
Tutto ci�, ovviamente, non .pu� escludere in fatto che un minore. 
pur trovandosi in quella situazione, non venga segnalato: ma sembra 
evidente come da una eventualit� del genere non possa dedursi l'esistenza 
dell'asserita disparit� di trattamento giuridico. 

4. -Fino al compimento dell'ottavo anno, tutti i minori privi di 
assistenza materiale o morale (e sempre-che la mancanza di assistenza 
non sia dovuta a forza maggiore) godono sul terreno legislativo di uno 
stesso trattamento: la situazione di abbandono in cui si trovano, pu� e 
deve essere oggetto di denuncia e quindi la possibilit� di essere dichiarati 
adottabili � aperta a tutti. 
Come si � gi� rilevato, il riferimento che con gli artt. 314/4 e 314/5 
vien fatto alla denuncia ed al termine massimo entro cui essa pu� aver 
luogo, appare sicuramente logico e razionale. E d'altra parte non � 
censurabile in questa sede che il legislatore abbia scelto come necessaria 
la via dell'accertamento, ad opera del tribunale per i minorenni, 
della �Situazione di abbandono, e non ne abbia ritenuto sufficiente altra 
tra quelle astrattamente possibili. 



1006 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� pu� influire a favore della contraria tesi il faUo che l'acquisto 
di una posizione giuridica di vanta.ggio, per i minori che siano segnalati, 
ed il mancato acquisto della stessa posizione da parte dei non segnalati, 
dipendano dal compimento o meno di un dato atto (denuncia) ad opera 
di soggetti diversi da quelli che .siano direttamente e personalmente 
interessati. Il sistema prescelto, tenuta ;presente l'et� dei soggetti meritevoli 
di tutela, e valutati gli interessi e le esigenze in considerazione, 
appare razionale. � previsto come possibile e doveroso l'intervento di 
chi ha la rappresentanza di quei soggetti o attende alla loro �cura o 
assistenza, ed � previsto pure come possibile l'intervento di �chiunque 
sia a conoscenza di situazioni di abbandono relative a minori di et� 
inferiore agli anni otto; ed � anche ammesso che la �segnalazione venga 
effettuata., �con l'istanza di cui al primo comma dell'art. 314/4, dal pubblico 
ministero, dalle istituzioni pubbliche e private di protezione e 
assistenza per l'infanzia e da chiunque abbia interesse. Si 1sono, cosi, 
tenute presenti le pi� varie, ampie ed articolate vie di informazione; 
ed � ;perci� ragionevole ritenere che l'interesse di tutti i minori in situazione 
di abbandono sia adeguatamente tutelato e salvaguardato. (
Omissis). 

CORTE COSTI':['UZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 146 -Pres. Branca 
Rel. Reale -Russo (n.c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. 
avv. gen. dello Stato Chiarotti). 

Procedimento penale -Procedimento direttissimo per reati di stampa 
-Violazione del principio della precostituzione del Giudice e 
del diritto di difesa -Esclusione. 

(Cost., artt. 25, 24; c.p.p. art. 502, comma primo e secondo; 1. 8 febbraio 1948, 

n. 47, art. 21, comma terzo). 
Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 502, 
primo e secondo comma, c.p.p, e dell'art. 21, terzo comma, della legge 
sulla stampa 8 febbraio 19.48, n. 47, in quanto la potest� spettante ai 
Pubblico Ministero di citazione direttissima dell'imputato davanti alla 
Sezione ed all'udienza che egl.i ritenga apportuna non incide sul principio 
della precostituzione del giudice e sul diritto di difesa (1). 

(1) La questione era stata proposta con varie ordinanze di giudici 
di merito. 
Per l'individuazione del concetto di �giudice naturale� cfr. �I giudizi 
di costituzionalit� ., 1961-65, pag. 294 e segg. 
Sul giudizio direttissimo in generale, cfT. GALLI, Rilievi in tema di 
presentazione dell'imputato all'udienza nel giudizio direttissimo, Riv. it. 
dir. e proc. pen., 1966, 709. 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1007 

(Omissis). -2. -Le questioni non sono fondate. 

Il procedimento direttissimo, disciplinato dagli articoli 502-505 del 
codice di procedura penale, nel �capo dei giudizi 1speciali, � infondato a 
criteri di rapidit� e immediatezza, preordinati alla esigenza di esemplarit� 
del giudizic. Esso � introdotto dal pubblico ministero, con richiesta 
di dibattimento contestuale alla presentazione dell'imputato, nelle ipotesi 
(soggette a verifica da parte del giudice) che l'imputato sia stato 
arrestato in flagranza di reato o �che il reato stesso sia stato commesso 
durante lo stato di detenzione o di internamento per misura di sicurezza 
e che, inoltre, la prova 'r1sulti agevole, senza cio� �che occorra procedere 
a speciali indagini. � richiesto altresi che il dibattimento venga iniziato 
senza indugio, se il tribunale siede in udienza penale, ovvero, esclusa 
tale possibilit�, nel termine perentorio di cinque giorni dall'arresto. 

Da tali requisiti si discosta l'istituto nei casi preveduti in varie leggi 
speciali come quella sulla stampa, le quali prescrivono �che per determinate 
categorie di reati si procede sempre, e non a discrezione del pubblico 
ministero, col rito direttissimo, ed anche se l'imputato non sia detenuto. 
In quest'ultima ipotesi la di lui citazione a giudizio � disposta dal Procuratore 
della Repubblica. 

La possibilit� prospettata nelle tre ordinanze che il pubblico ministero 
presenti l'imputato, in stato di costrizione fisica o a seguito di suo 
decreto di �citazione, davanti a quella delle sezioni del tribunale che 
egli ritenga disponibile, in considerazione delle esigenze del servizio, 
per lo svolgimento del dibattimento, non � espressamente disciplinata 
dalle norme impugnate. Essa �, tuttavia, praticamente configurabile 
~oltanto in quei tribunali il cui organico prevede una ;pluralit� di sezioni 

o comunque l'assegnazione di magistrati in numero superiore a quello 
richiesto per la composizione del �Collegio o dei collegi .giudicanti, in 
guisa da consentire l'avvicendarsi di detti mag1strati nello svolgimento 
dei compiti istituzionali. 

In riferimento a tale possibilit� � appunto denunziata la lesione del 
prindpio del giudice naturale. Tale principio esige anzitutto, secondo 
la giurisprudenza di questa Corte, che il giudice sia istituito in base a 
criteri generali fissati in anticipo (sent. _219/19518, 1/1965) e non in vista 

di determinate controversie; con riferimento cio� a fattispecie astratte 
e non gi� a posteriori, in relazione ad una ragiudicanda gi� insorta 

(sent. 88/1962, 130/1963, 156/19631), 

Esso esclude che sia lo stesso giudice a creare discrezionalmente 
ipotesi di spostamento della competenza (sent. 122/1963) e che l'accertamento 
dei presupposti legali relativi dipenda da valutazione non suscettibili 
di sindacato ad iniziativa ed a tutela delle parti (sent 130/1963). 

Orbene va ricordato che nel sistema positivo, a salvaguardia del 
detto principio, anche per .gli uffici giudiziari con pluralit� di sezioni e 
di magistrati addetti, esiste un �Complesso d norme volte a contemperare 

3 

. ' 

: 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'obiettivit� ed imparzialit� dei giudizi con le esigenze della continuit� 
e prontezza delle funzioni giurisdizionali, pur nei ca.si di mutamenti, di 
vacanze e di impedimenti. 

In particolare, quando il tribunale � costituito in pi� sezioni, sono 
annualmente designate (con apposite tabelle) le sezioni alle quali vengono 
devoluti promiscuamente o separatamente i diversi affari contenziosi 
civili e penali e si effettua la destinazione a ciascuna s.ezione dei 
vari magistr�ti, nel numero richiesto dalle esigenze del servizio. 

Altre norme (delle quali � stata esclusa la illegittimit� con la gi� 
menzionata sentenza n. 156 del 1963) prescrivono come si debba procedere 
a colmare i vuoti permanenti o temporanei che, per cause svariate, 
possono determinarsi negli uffici giudiziari, mediainte provvedimenti 
a loro volta di carattere permanente (assegnazione di nuovi 
magistrati) o contingente e temporaneo (supplenze, 1sostituzioni, applicazioni). 


Sono, poi, normalmente prestabiliti i giorni in cui ciascuna sezione 
terr� udienza nel corso dell'anno e turni di servizio dei giudici addetti 
a ciascun ufficio. 

Tanto premesso sembra evidente cl;te le norme impugnate, in quanto 
abilitano in casi eccezionali il pubblico ministero a disporre direttamente 
la presentazione o la citazione 'dell'imputato a giudizio davanti al 
tribunale e implicitamente consentono che lo stesso pubblico ministero 
diriga, discrezionalmente, la richiesta del giudizio dibattimentale ad 
una delle sezioni ed eventualmente ad uno dei collegi in cui la sezione 
dell'ufficio giudiziario sia articolata, non contrastano �con la garanzia 
del giudice naturale, quale giudice imparziale precostituito. 

Perver�, atteso che la composizione di ogni sezione e di ogni collegio 
risulta fatta secondo l'ordinamento e non appositamente per la decisione 
su ogni reato gi� �commesso, non manca, anche nell'ipotesi dell'art. 502, 
l'elemento della preventiva individuazione del giudice, che deve postularsi 
legata a criteri di obiettivit� e imparzialit�, quale che sia la composizione 
del colle.gio chiamato alla decisione ed esclusa qualsiasi incidenza 
su di questa della scelta operata dal pubblico ministero. 

Essa � fatta nell'esercizio di un potere che, a parte la sua natura, 
� ben pi� limitato di quello spettante al Presidente del Tribunale, a 
norma dell'art. 20 del regolamento per l'esecuzione del codice di. procedura 
penale, o esercitato dai presidente delle singole sezioni, circa la 
formazione dei ruoli e l'assegnazione dei procedimenti ai collegi: attribuzioni 
queste ultime di natura meramente ordinaria, la cui discrezionalit� 
risulta necessaria ad assicurare l'efficienza della funzione giurisdizionale. 


N� ai fini del decidere pu� avere rilevanza il distinguere fra l'ipotesi 
di presentazione dell'imputato detenuto all'udienza della sezione del 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1009 

tribunale e l'ipotesi di citazione dell'imputato libero, trattandosi di manifestazioni 
diverse dello stesso potere attribuito al pubblico ministero 
dall'art. 502 del codke di procedura penale, cio� di modalit� diverse 
dell'esercizio dell'azione penale, quale � configurato nell'ambito del 
rito direttissimo. 

Gli argom�nti sopra esposti invalidano nella specie l'affermazione 
che la scelta del pubblico ministero manchi di obiettivit�, in quanto 
si assume provenga da una delle parti in causa. 

Va rilevato, infine, ,che se in dipendenza della scelta compiuta dal 
pubblico ministero si profilasse per l'imputato il pericolo di un giudizio 
non imparziale, varrebbero ad eliminarlo, ricorrendo le ipotesi di legge, 
i rimedi previsti dall'ordinamento. Essi sono uguali, del resto, a quelli 
che potrebbero essere resi necessari da scelte del presidente e risultano 
invocabili fra l'altro nei casi di incompatibilit�, come pure in quelli che 
impongono la remissione del procedimento o la astensione o la ricusazione 
del giudice. 

3. -Per i motivi suesposti deve escludersi la illegittimit� sia del-
l'art. 502, primo comma (e ovviamente, per analogia di ragioni, anche 
i 

del secondo comma) del codice di procedura penale sia dell'art. 21, 

! 
comma terzo, della legge 8 febbraio 1948, n. 47, in riferimento all'art. 25, I 
primo comma, della Costituzione. I 
Gli stessi motivi portano a ritenere che la '.Potest� spettante al I 
pubblico mtnistero non pu� essere intesa nemmeno come antagonista al 

I

I,

diritto di difesa e incidente negativamente sull'equilibrio del contraddit-

I

torio penale. Ne consegue la infondatezza anche dell'analoga questione 

I 

sollevata, in rapporto all'art. 24, ,secondo comma, della Costituzione, dalla 
ordinanza del tribunale di Milano. -(Omissis). 

I

I 

I 

I 

I 

1 
I 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 147 -Pres. Branca -
Rel. Bonifacio -Rispoli ed altri (avv. Gullo, Salerni, Summa, Lia, 

l 

Roscioni). 

I 

! I 

Reato -Relazione adulterina e concubinato -Violazione del principio 

I

di eguaglianza fra i coniugi -Illegittimit� costit.zionale. 

I 

(Cost., art. 29, secondo comma, c.p., art. 559, comma terzo, 560, comma primo). 

I 

I 

La discrezionalitd politica del legislatore di stabilire sanzioni civili i, 

I 

o penali a tutela dell'obbligo di fedeltd coniugale non pu� essere eseri 
i 

citata che nel rispetto del principio .di eguaglianza morale e giuridica I 

i

dei coniugi, imposto dall'art. 29 della Costituzione; poich� le norme penali 
repressive della relazione adulterina e del concubinato contrastano 

I 

! 

I 
!
I 

-



1010 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con tale principio, ne va dichiarata l!inegittimit� costituzicmale, unitamente 
alle norme ad esse connesse (1). 

(Omissis). -1. -Le ordinanze di rimessione -denunziando gli articoli 
559, terzo comma (relazione adulterina), �e 560, primo comma (concubinato) 
del e.i;>. in riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione propongono 
identiche o connesse questioni di legittimit� costituzionale, 
e pertanto i relativi giudizi, �congiuntamente discussi nell'udienza pubbltca, 
vengono riuniti e decisi con unica sentenza. 

2. -Alcuni dei giudici a quo e, nella discussione orale, una delle 
parti in causa hanno sostenuto che alla dichiarazione dJ. illegittimit� 
costituzionale del primo �comma dell'art. 559 del c.p., pronunciata con la 
sentenza n. 126 del 16 dicembre 1968 di questa Corte, andrebbe riconosciuto 
l'effetto di una immediata caducazione o, quanto meno, di una 
conseguenziale ed automati,ca illegittimit� costituzionale del terzo comma 
dello stesso articolo. Tale tesi, basata sulla premessa che nel sistema 
dell'art. 559 la relazione adulterina sarebbe punita come circostanza 
aggravante speciale o come particolare ipotesi di continuazione del semplice 
adulterio, deve essere disattesa perch�, come la Corte avverti 
nella ricordata decisione, si tratta, invece di un delitto coo. propria, 
autonoma configurazione: ci� risulta dalla diversit� della fattispecie 
prevista dalla norma indicata, che non 1si esaurisce in una semplice ripetizione 
di singoli atti di adulterio, ed i�t confermato dalla circostanza 
che l� pena stabilita dalla legge non � differenziata, nel minimo, da 
quella che colpiva il reato di adulterio. 
3. -Due ordinanze del pretore di Roma (n. 114 e n. 193 del 1969) 
denunciano l'art. 560 del c.p., oltre che in riferimenti:> al principio di 
eguaglianza fra i coniugi, anche sotto il profilo della violazione della 
tutela che l'art. 29 della Costituzione accorda all'integrit� del nucleo 
familiare. Ad avviso di quel giudice, infatti, la rilevanza penale della 
(1) La questione era stata proposta con numerose ordinanze di .giudici 
di 
merito. 
Con questa sentenza, e dopo la precedente sentenza 19 dicembre 1968, 

n. 126 (in questa Rassegna, 1968, 907) richiamata in� motivazione, restano 
definitivamente espunte dall'ordinamento tutte le norme di carattere penale 
repressive delle violazioni dell'obbligo della fedelt� coniugale. 
Non che queste decisioni -come ha tenuto a precisare la Corte impediscano 
al legislatore, nella sua discrezionalit� politica, di comminare 
anche sanzioni penali per tali violazioni; ma � necessario che tali sanzioni 
non siano J.esive al principio di eguaglianza dei coniugi. 

La decisione in rassegna, ancorch� in linea con quella del 1968, tuttavia 
si pone in contrasto con la precedente decisione della stessa Corte 
28 novembre 1961, n. 64 (Giur. cost., 1961), la quale aveva escluso la 
sussistenza di ogni disparit� di trattamento fra coniugi nella repressione 
p�nale dell'adulterio. 



PARTE I, SJ!lZ, I, Git1}lIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1011 

inosservanza del dovere di fedelt� �coniugale comprometterebbe l'esistenza 
stessa della comunit� familiare, messa in pericolo dalla proposizione 
dell'istanza punitiva e dall'eventuale �condanna di uno dei coniugi. 

La Corte ritiene che la questione proposta in tali termini non possa 
essere accolta. Ed infatti, se � vero che l'art. 29 della Costituzione protegge 
la unit� familiare (fino al punto da sacrificare a questa, quando 
ci� sia assolutamente necessario, anche l'eguaglianza. fra i .coniugi) e se 
� indubbio che il legislatore ol'dinario non pu� dettare una disciplina 
non coerente con la protezione di quel bene, � altrettanto vero e certo 
che proprio a garanzia della suddetta unit� gli obblighi fondamentali 
che accompagnano il vincolo matrimoniale devono essere presidiati da 
sanz'ioni che risultino idonee a svolgere anche una funzione preventiva. 
Ed appartiene alla politica legislativa il !Potere di stabilire, in relazione 
ad. un determinato contesto storico, .Se siano sufficienti le sanzioni di 
nat.ra civile o se sia necessario. disporre anche misure penali. 

4. ,. La discrezionalit� politica del legislatore, tuttavia, non pu� essere 
esercitata che nel rispetto del prineipio di eguaglianza morale e 
giuridica dei coniugi, imposto dall'art. 29, secondo comma,. della Costituzione. 
.Ed � alla stregua di tale principio che l'indagine demandata 
alla Corte da tutte le ordinanze di rimessione deve essere ora rivolta 
a verificare se, dichiarati illegittimi il primo ed il secondo comma dell'art. 
559 del c.p., la residua disciplina contenuta nel terzo comma (relazione 
adulterina) e quella dettata dal primo comma dell'art. 560 (concubinatcr) 
-disposizioni entrambe impugnate -(pongano in essere una 
non .consentita disparit� di trattamento tra marito e moglie. 
5. -A tal proposito � di fondamentale importanza la constatazione 
che relazione adulterina e concubinato sono reati fra loro strutturalmente 
diversi. Si pu� qui prescindere dalla questione se l'espressione 
� tenere una concubina :. usata nel primo comma dell'art. 560 stia gi� ad 
indicare che la legge richieda, ai fini della punizione del marito, qualcosa 
di pi� della semplice relazione con una donna diversa dalla moglie. 
A mettere ili evidenza la netta differenza fra i due delitti � sufficiente 
la circostanza che per il reato di concubinato � necessario che la consumazione 
abbia luogo �nella casa coniugale o notoriamente altrove�, 
mentre per la relazione adulterina appaiono del tutto indifferenti le 
modalit� di svolgimento:. il eh.e � quanto dire che .quelle violazioni della 
fedelt� coniugale che sono necessarie e sufficienti ad integrare il reato 
di relazione adultel"ina �imputabile alla moglie non bastano, se commesse 
dal marito, a renderlo colpevole di concubinato. E se identici comportamenti 
sono penalmente rilevanti per l'un coniuge e irrilevanti per 
l'altro, bisogna concludere che le �disposizioni impugnate dettano una 
disciplina differenziata per il marito e per la moglie, nonostante che la 
legge (art. 143 e.e.) ponga a carico di entrambi il dovere di fedelt� 
coniugale. 

1012 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

6. -Per giustificare validamente sul piano costituzionale la riscontrata 
diversit� di trattamento non possono essere prese in �considerazione 
ragioni che non siano strettamente connesse con l'esigenza di salvaguardare 
l'unit� familiare. 
La Corte ha gi� affermato (.sent. n. 126 del 1968) che ai fini del 
controllo di legittimit� costituzionale dei diritti o degli obblighi conferiti 
o imposti dalla legge al marito ed alla moglie occorre far riferimento 
non gi� all'art. 3, ma all'art. 29 della Costituzione, ed ha interpretato 
quest'ultima disposizione (1sent. n. 127 dello stesso anno) nel 
senso che la Costituzione direttamente impone che la disdplina giuridica 
del matrimonio -col solo limite della unit� della famiglia -contempli 
obblighi e diritti eguali per l'uomo e per la donna. Ribadendo questi 
principi, ,si deve ritenere che in generale nella regolamentazione dei 
rapporti tra i �Coniugi nascenti dal matrimonio � vietato al legislatore 
di dar rilievo a ragioni di differenziazione diverse da quelle eoncernenti 
la predetta unit�. Per la materia qui in esame non possono, perci�, spiegare 
influenza tutte quelle valutazioni che si connettano alla supposta 
maggior gravit� della condotta infedele della moglie od al diverso atteggiamento 
della societ� di fronte all'infedelt� dell'uomo e della donna. 
Tutto il sistema desumibile dagli artt. 559 e 560 c.p. -come in occasione 
del controllo di legittimit� costituzionale del reato di adulterio la 
Corte ebbe gi� ad osservare -reca l'impronta di un'epoca nella quale 
la nodda non godeva della stessa posizione sociale dell'uomo e vedeva 
riflessa la sua situazione di netta inferiorit� nella disciplina dei redditi 
e dei doveri .coniugali. Non sta alla Corte verificare se e quali modificazioni 
in questo campo il nostro tempo abbia portato nella coscienza 
sociale. Ma � compito indiscutibile della Corte accertare l'insanabile 
contrasto fra quella disciplina, quale che ne sia stata la giustificazione 
originaria, ed il sopravvenuto principio costituzionale e dichiarare l'illegittimit� 
di tutte quelle disparit� di trattamento fra coniugi che non 
siano giustificate dall'unit� familiare: vale a dire dall'unico limite che 
la Costituzione prevede. 

A quest'ultimo proposito la Corte non pu� non confermare, per 
quanto concerne le attuali questioni, quanto fu detto in entrambe le 
ricordate decisioni dello scorso anno e, cio�, che il trattamento pi� severo 
per l'infedelt� della moglie, pi� indulgente per l'infedelt� del marito 
(e, do�, proprio la disparit� di trattamento) pu� addirittura esser 
causa di disgregazione della famiglia: in ogni caso � certo che non � 
possibile� considerarlo �come finalizzato alla tutela della sua unit�. Per 
giungere ad opposta conclusione non � certo pertinente affermare che la 
punizione della moglie fedifraga risponde all'esigenza di salvaguardare 
la famiglia. Poich� la tutela di tale esigenza deve necessariamente coordinar.
si col principio di eguaglianza, occorrerebbe dimostrare che, una 
volta stabilito che la relazione adulterina della donna debba costituire 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE l!: INTERNAZIONALE 1013 

reato, punire il marito per una fattispecie identica significherebbe mette~
e in pericolo l'unit~ del nucleo familiare. Ma � sufficiente enundare 
questa ipotesi di giustificazione per coglierne l'assoluta irrazionalit�. 

7. -A conclusione di quanto fin qui si � detto, si deve riconoscere 
che il terzo comma dell'art. 559 c.p., poich� punisce la moglie anche 
per fatti che se commessi dal marito sono penalmente irrilevanti, � costituzionalmente 
illegittimo. Ma la d1chiarazione di illegittimit� deve 
colpire altresi il primo comma dell'art. 560, sia perch� � il concorso 
di entrambe le norme ;penali che d� vita, a causa dell'eterogeneit� delle 
fattispecie delittuose in esse contemplate, ad una non consentita disparit� 
di trattamento fra moglie e marito, sia perch�, ove fosse annullata 
la sola previsione della relazione adulterina della moglie; l'ordinamento 
verrebbe a dar rilevanza unicamente, nei limiti dell'art. 560, alla infedelt� 
coniugale del marito, con conseguente identica violazione del principio 
di eguaglianza. 
In relazione a quanto si � detto nel n. 3, � opportuno rilevare che, 
derivando l'illegittimit� delle due disposizioni dalla disparit� di trattamento 
dei coniugi, il legislatore conserva, nell'ambito della sua discrezionalit� 
politica, il potere di stabilire se ed in quali ipotesi la violazione 
del dovere di fedelt� coniugale debba �costituire reato, ma nel 
rispetto dell'art. 29 della Costituzione sar� tenuto a dettare un'eguale 
disciplina per il marito e ;per la moglie. 

8. -All'illegittimit� costituzionale del terzo comma dell'art. 559 
e del primo comma dell'art. 560 c.p. � conseguenziale -e va dichiarata 
ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 ~l'illegittimit� 
delle seguenti disposizioni dello stesso 0codice: 1) art. 559, comma quarto; 
2) art. 560, commi secondo e terzo; 3) art. 561; 4) art. 562, primo 
comma, nella parte relativa al delitto previsto dall'art. 560; 5) art. 562, 
secondo e terzo comma; 6) art. 563. -(Omissis). 
I 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1969, n. 148 -Pres. Branca 
Rel. Bonifacio -Aliprandi ed altri (n. c.). 

Procedimento penale -Accertamentted operazioni tecniche compiute 
dalla polizia giudiziaria -Mancanza di garanzie difensive -Illegittimit� 
costituzionale parziale. 

(Cost., art. 24; c.p.p. art. 222, secondo comma, 223, primo comma). 

Sono cooStituzionalmente iUegittime, per violazione del diritto di 
difesa, le disposizioni degli articoli 222, primo comma e 223, primo 
comma, c.p.p. nella parte in cui escludono che agli accertamenti ed alle 


1014 RASSEGN11. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO !% 
~ 
operaziani tecniche della polizia giudiziaria si applichino gLi art. 390 e ~ 
ru. 

304 bis, ter e quater c:p.p.; nonch�, reliativamente alle stesse esclusioni, 
l'art. 222, secondo comma, 231, primo comma, 234 del medesimo codice; Il 
e l'art. 134, secondo comma, c.p.p., nella parte in. cui fa divieto agli ~~ 
ufficiali ed agenti di P.G. di ricevere la nomina del difensore di fiducia 
(1). 


II 

I


CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 196.9, n. 149 -Pres. Branca, 
ReZ.. Bonifado -Martellozzo (avv. Sermonti) e Presidente del Consiglio 
dei Ministri (Sost. avv. ge.n. dello Stato Agr�). 

I


Procedimento penale -Prelievo di campioni ed analisi per reati riguardanti 
frodi nelle sostanze agrarie -Procedimento di revisione 
delle analisi -Fase preliminare al giudizio -Mancanza di 

'

garanzie difensive -Illegittimit� costituzionale parziale. 

I


(Cost. art. 24; r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033, art. 44, mod. da legge 27 febbraio ffi 
1958, n. 190; 1. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1; 1. 4 luglio 1967, n. 580, art. 42). 

I 


I 00:-:�.

Poich� nel concetto di e procedimento~ di cui � parola nell'art. 24 
della Costituzione devono considerarsi rientranti anche gli atti di polizia 
giudiziaria, dal momento in cui iniziano le operazioni di revisione delle 
analisi dei campioni prelevati a seguito di denuncia per violazione delle [:i 
norme sulla preparazione ed il commercio di sostanze agrarie ed alimentari 
sono necessarie le garanzie di difesa, e pertanto sono costituzionalmente 
illegittime le norme delle relative leggi che escludcmo, in detto 
procedimento di revisione, l'applicazione degli art. 390, 304 bis, ter, e 
quater c.p.p. (2). 

I 


wJ

I .-:

i
i
� 
(Omissis). -2. -Per effetto della sentenza n. 86 del 11968 tutti gli 

I00 
l 
.

atti di polizia giudiziaria �compiuti o disposti dal Procuratore della Re


pubblica in forza dei poteri conferitigli dall'art. 232 del Codice di pro;; 
cedura penale devono essere assistiti, quando trovino corrispondenza 

' 

(1-2) Le questioni erano state proposte con varie ordinanze di giudici 

I
I
~l~ 
. 

di merito. <>.a

r,;;

Le due sentenze sono sulla stessa linea per quanto attiene alle garanzie 
di difesa sin dalla fase di indagini di polizia giudiziaria. � 
Quasi �ontestualmente alla pubblicazione delle sentenze � stata pubbli!)
Jj) 
cata l� legge 5 dicembre 1969, n. 932, la quale ha profondamente modificato 

~jjj]

la normativa vig.ente del Codice di procedura penale con J.'adeguamento 
delle relative disposizioni al p~ecetto sancito -dall'art. 24 della Costituzione. 

,,,!, 

i n 

~d!Fd!F~~4@"'4!!f4'~6116P47J 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1015 

negli atti contemplati negli art. 304 bis-quater, dalle stesse garanzie 
difensive predispost� per questi ultimi. Allo stesso regime devono sottostare 
gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria in base all'art. 225, vale 
a dire l'interrogatorio dell'imputato,� le ricognizioni, le ispezioni ed i. 
confronti. 

�Accertamenti deHo stato delle cose� ed �operazioni tecniche� 
sono invece previsti non nell'art. 225 ma negli artt. 222, secondo comma, 
e 223, primo comma, ora denunziati. La Corte ritfone che tali 
disposizioni incorrano nella stessa parziale illegittimit� costituzionale 
che fu accertata, nella precedente decisione, a proposito degli articoli 
225 e 2312, 

3. -Gli �accertamenti� comprendono indubbiamente le ispezioni 
dei luoghi per le quali, se compiute in istruttoria, l'art. 304 quater, a 
presidio di un minimo di difesa dell'imputato prevede il deposito dei 
verbali; �accertamenti� ed �operazioni tecniche�, nella genericit� 
delle loro espressioni, consentono l'espletamento di veri e propri atti 
peritali (tanto � vero che l'art. 223 stabilisce che la polizia possa aV'valersi, 
se necessario, di persone idonee), corrispondenti a quelli per i 
quali gli artt. 304 bis-quater dispongono adeguati interventi difensivi. 
I verbali concernenti le attivit� espletate dalla polizia ai sensi dell'articolo 
223 possono essere letti nel dibattimento -ultimo �omma articolo 
463 -senza che occorra il consenso delle parti e si acquisiscono 
cosi al processo elementi probatori di indubbia rilevanza. Non si pu� 
negare, dunque, l'interesse dell'indiziato ad esplicare, in relazione ad 
atti che possono avere un peso decisivo per le sorti del giudizio, quella 
stessa difesa che gli � consentita nella fase istruttoria e, per effetto della 
sentenza n. 86 del 1968, anche nelle indagini preliminari disposte dal 
Procuratore della Repubblica: tanto pi� che, essendo a tali atti la polizia 
abilitata solo quando ci sia fondato timore che lo stato delle cose 
o le tracce del reato si alterino o si disperdano (condizione enunciata 
nell'art. 222, ma che riguarda indwbbiamente anche le ulteriori specificazioni 
contenute nell'art. 223), si tratta di operazioni che il pi� delle 
volte non sono ripetibili e, quindi, non suscettibili di essere verificate 
e controllate nell'ulteriore corso del processo. 
4. -Tanto premesso, appare certo che le due. disposizioni in esame 
non garantiscono alcun diritto di difesa a chi sia indiziato del reato al 
quale �accertamenti� ed �operazioni tecniche� si riferiscono. Vero �1 
che l'art. 222 dispone che �per quanto � possibile � siano osservate le 
norme sulla istruzione formale: non si pu� tral�asciare di considerare, 
tuttavia, 1che questo rinvio -che pur dovrebbe essere interpretato in 
coerenza coi principi costituzionali �che presidiano l'ordinamento -resta 
nella prassi del tutto inoperante. N� varrebbe osservare che trattandosi 
di atti per definizione urgenti si cadrebbe nell'ipotesi nella quale lo 
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1016 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stesso giudice istruttore, in forza dell'ultimo comma dell'art. 304 ter 
pu� omettere l'avviso al difensore. Vale la pena di osservare in proposito 
che siffatta facolt� non preclude ogni garanzia difensiva (il difensore 
conserva il diritto di intervenire agli atti previsti nel primo comma 
dell'art. 304 bis ed i verbali concernenti tali atti e quelli indicati nell'art. 
304 quater devono pur sempre essere depositati), ed � di notevole 
rilievo il fatto che il suo valido esercizio viene condizionato, �a pena 
di nullit��, ad una specifica motivazione circa l'urgenza. 

Si pu� perci� concludere �che la dichiarazione di parziale illegittimit� 
costituzionale delle norme denunziate � il solo mezzo idoneo a 
conseguire il risultato di assicurare che la polizia giudiziaria -pur 
conservando integro l'essenziale potere di intervenire con assoluta immediatezza 
in caso di motivata urgenza -proceda, quando vi sia un 
indiziato del reato (cfr. art. 78, secondo comma, c.p.p.), col rispetto di 
quelle gar-anzie che lo stesso ordinamento conferisce all'interessato nella 
formazione delle prove utilizzabili nel .giudizio sulla sua colpevolezza. 

5. -Sebbene l'impugnativa propo'sta dalle ordinanze di rimessione 
riguardi solo gli ac.certamenti e le operazioni tecniche, la Corte ritiene 
di dover estendere, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n; 87, 
la dichiara7Jone di parziale illegittimit� a quella parte del secondo 
comma deiI'art. 222 �che abilita la polizia giudiziaria a procedere al 
sequestro del corpo del reato, con la conseguente applicabilit� del~ 
l'art. 304 quater. 
6. -Considerato che l'art. 2124 del codice di procedura penale gi� 
impone l'osservanza dell'art. 304 ter nelle perquisizioni personali e domiciliari 
e che l'art. 226, primo .comma, concerne solo particolari modalit� 
da osservarsi nel, sequestro di carte sigillate, sicch� questo, per 
quanto riguarda le garanzie difensive, soggiace alla disciplina dell'articolo 
222, secondo comma, quale risulta a seguito della dichiarazione 
di parziale illegittimit�), si pu� concludere che, in conseguenza delle 
statuizioni contenute nella sentenza n. 86 del 1968 e nella presente 
decisione, a tutti gli atti preistruttori che la polizia �giudiziaria compia 
nei confronti di un indiziato di reato si estendono le garanzie di difesa 
che gli artt. 304 bi.cl, ter e quater predispongono per i corrispondenti 
atti istruttori. 
7. -Poich� le ragioni della parziale illegittimit� costituzionale degli 
artt. 22.2, secondo comma, 223, primo �comma, e 225 del codice di procedura 
penale -fondate come sono sull'efficacia che gli atti ivi contemplati 
possono spiegare nel processo -valgono, com� la Corte gi� 
riscontr� (sent. n. 86 del 1968) a proposito dei poteri conferiti al procuratore 
della Repubblica dall'art. 232, anche Q.Uando gli stessi atti sono 
compiuti o disposti dall'autorit� giudiziaria nella fase delle indagini 
preliminari, la dichiarazione di parziale illegittimit� vene estesa, in 
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PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1017 

forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, all'art. 231, primo 
comma, �relativo agli atti del pretore, ed all'art. 234, concernente gli 
atti del procuratore generale presso la Corte di appello. 

8. -La dichiarazione di illegittimit� costituzionale deve essere 
estesa anche a quella parte dell'art. 134, secondo comma, del codice 
di procedura penale che fa divieto agli uffieiali ed agenti della polizia 
giudiziaria riguardano tutte. in vario modo, l'intervento del difensore 
e ne presuppongono quindi la possibilit� di nomina, quel divieto diventa 
sicuramente incompatibile con la nuova disciplina alla quale la materia 
in esame deve sottostare. -(Omissis). 
II 

(Omissis). -2. -Un .primo gruppo di ordinanze denunzia la disciplina 
che gli artt. 41-46 del r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 (convertito in 
legge 18 marzo 1926, n. 562, e modificato dalla legge 27 febbraio 1958, 

n. 190), concernente la repressione delle frodi nella preparazione e nel 
commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, dettano per i1 
prelievo dei �campioni, per la loro analisi e per la revisione di questa. 
Tali disposizioni vengono impugnate in riferimento all'art. 24 della 
Costituzione -e da alcune ordinanze anche in riferimento all'art. 3 in 
quanto precludono all'interessato l'esercizio di una qualsiasi difesa 
in relazione alla formazione di atti che, posti in essere dalla polizia 
giudiziaria a preordi.nari ad un processo penale, possono in questo venir 
utilizzati per una pronuncia di �colpevolezza. 
La Corte ha avuto modo di esaminare gli artt. 44 e 45 dello istesso 
decreto in due precedenti occasioni: nella prima (sent. n. 63 del 1963) al 
fine di accertare se la revisione delle analisi, demandata ad istituti tassati~
m(ente indicati dalla legge, vincoli il giudice all'accertamento 
compiuto dal perito, con conseguente compromissione sia del diritto di 
difesa �che della funzione giurisdizionale; nella seconda (sent. n. 6 del 
1965) per verificare se l'onere di un preventivo deposito imposto a chi 
chieda la revisione contrasti .con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. 

Risulta evidente che le due questioni, nonostante la parziale identit� 
delle disposizioni impugnate e delle norme costituzionali di raffronto, 
ebbero un contenuto diver.so da quella ora in esame, sicch� le dichiarazioni 
di infondatezza allora pronunciate non costituiscono precedenti ai 
quali utilmente si possa far riferimento per la definizione degli attuali 
giudizi. 

3. -Il profilo di costituzionalit� sul quale la Corte ora � chiamata a 
pronunciarsi richiede, in primo luogo, che si accerti se la complessa 
attivit� che la legge demanda alla pubblica autorit� in tema di prelievo 
dei campioni, di analisi e di revisione di analisi delle sostanze di uso 
agrario e dei prodotti agrari possa rientrare in quel procedimento nel 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quale il secondo comma dell'art. 24 della Costituzione vuole sia garantita. 
la difesa come diritto inviolabile. 

A tal proposito la Corte, richiamando in modo particolare i princ�pi 
affermati nella sentenza n. 86 del 1968 o da essa desumibili, ritiene che 
se al termine � procedimento � si desse un significato restrittivo, con 
conseguente esclusione di tutte le attivit� poste in essere al di fuori del 
normale intervento del giudice, il principio costituzionale di cui si discorre 
perderebbe gran parte della sua effettivit�. Ed invero in un 
sistema processuale, quale � quello vigente, in �cui l'assunzione di vere 
e proprie prove di reit� -e, quindi, la formazione di atti che nel giudizio 
non hanno minore efficacia di quelli tipicamente istruttori --pu� 
avvenire in una fase anteriore o preliminare rispetto al processo, l'esclusione 
della partecipazione difensiva dell'interessato non pu� non essere 
considerata �come illegittima preclusione d~ll'esercizio di un diritto che 
la Costituzione definisce �-inviolabile�. Sembra indubbio, in altri termini, 
che se la legge ordinaria, collocando la formazione delle prove a carico 
di _un soggetto, ad opera di una pubblica autorit�, fuori del vero e 
proprio processo, potesse farne discendere l'inapplicabilit� delle garanzie 
difensive, il principio vigorosamente affermato dall'art. 24 della Costituzione 
correrebbe il rischio di essere sostanzialmente eluso. 

Queste ragioni gi� indussero la Corte, nella citata sentenza dello 
scorso anno, a ritenere che nel �concetto di � procedimento � rientrino 
anche gli atti di polizia .giudiziaria. Va tuttavia ricordato che in quella 
occasione fu ben chiarito che la dichiarazione di parziale illegittimit� 
dell'art. 2215 c.p.p. � non preclude alla polizia giudiziaria lo svolgimento 
di proprie indagini, ma pone limiti a quelle che si risolvono in veri e 
propri atti istruttori>. Deve ora esser ribadito che la linea di demarcazione 
fra indagini generiche ed atti istruttori si identifica necessariamente 
col momento in cui, in qualsiasi modo, un soggetto risulti indiziato 
di reit�. Questa demarcazione � da considerare essenziale per evitare 
che la nozione di procedimento si dilati al di l� di quei confini che sono 
da ritenere necessari e sufficienti per garantire a tutti il diritto di difesa: 
il quale, come � ovvio, non pu� essere operante prima che un indizio 
di reato ci sia e prima che esso si soggettivizzi nei confronti di una determinata 
persona. A partire da quel momento -gi� rilevante per la 
vigente legge processuale (art. 78, secondo comma, cod. proc. pen.), che 
proprio ai fini della tutela dell'imputato d� di questo una definizione 
estesa a chi Ǐ indicato �Come reo o risulta indiziato di reit�� ---'" devono 
operare i meccanismi idonei a garantire almeno un minimo di contraddit


torio, di assistenza e di difesa. 

4. -Applicando gli anzidetti principi all'attuale questione, si deve 
ritenere che sono infondate le censure che investono quelle disposizioni 
(articoli 41, 42, 43 e 46) che si riferiscono all'attivit� di prelievo dei 
campioni ed alla prima analisi: conclusione negativa che discende dalla 

PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1019 

considerazione che finch� l'indagine tecnica non ha portato alla conclusione 
che �le sostanze analizzate non rispondono, in tutto o in parte, 
alle condizioni o ai requisiti prescritti � non c'� n� indizio di reato n� 
indiziato di reit�. Prelievo di �campioni ed analisi rientrano in una tipica 
attivit� amministrativa di controllo alla quale -anche al fine di una 
rigorosa e necessaria tutela della salute pubblica e, cio�, di un diritto 
dell'individuo e di un interesse della .collettivit� �che l'art. 32 della Costituzione 
considera fondamentali -sono assoggettati tutti �coloro che 
preparano e commerciano sostanze di uso agrario e prodotti agrari. I 
relativi atti, che non presuppongono affatto .n indizio di reato, sono, 
dunque, espressione di un potere formalmente e sostanzialmente amministrativo. 


La dichiarazione di infondatezza si estende anche ad alcune disposizioni 
legislative di integrazione o di modificazione del decreto n. 2033 
del 1925 che si riferiscono ai prelievi dei campioni e che 1sono state impugnate 
dal pretore di Santa Maria Capua Vetere (ord. n. 50 del 1969) 
congiuntamente ed in relazione all'art. 41 del p1redetto decreto. Si tratta 
dell'art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945, che abilita i funzionari e 
gli �agenti delegati dalle amministrazioni a procedere direttamente al 
sequestro della merce ed al prelievo dei campioni; dell'articolo unico 
della legge 30 dicembre 1959, n. 1:2:3'4, che consente ai funzionari ed 
agenti di accedere liberamente ed anche di notte nei locali di produzione 
e di commercio delle sostanze agrarie; e dell'art. 13 della legge 13 novembre 
1960, n. 1407, eontenente �norme per la classificazione e la 
vendita di oli di oliva�, nella parte in cui rende applicabili alla materia 
sia l'art. 41 del decreto d�l 1925 sia le altre disposizioni legislative innanzi 
indicate. Ai poteri di vigilanza e di prelievo dei campioni si riferiscono 
anche gli articoli 93 e 94 del r.d. 1� luglio 1926, n. 1361, ma la 
relativa questione, proposta ,dalla stessa ordinanza, deve essere dichiarata 
inammissibile in quanto essa investe un regolamento di esecuzione 
e, quindi, un atto non avente forza di legge. 

5. -Passando all'esame dell'art. 44 che disciplina la revisione dell'analisi, 
si deve osservare che se durante le operazioni di prelievo e 
di prima anal1si manca il presupposto necessario perch� possa venire 
in discussione il diritto di difesa, diversa � la situazione a partire dal 
mGmento in cui l'analisi stessa abbia dato esito sfavorevole. 
La legge dispone (art. 44, primo �comma) in proposito che il capo 
del laboratorio trasmetta una denuncia alla competente autorit� giudiziaria 
e, nel contempo, dia comunicazione dell'esito dell'indagine all'interessato: 
quest'ultimo potr� impugnarlo inoltrando alla stessa autorit� 
una richiesta di revisione (art. 44, terzo comma), che sar� espletata 
da uno degli istituti indicati nell'art. 45. 

� evidente che nel momento stesso in cui risulta che le sostanze 
non rispondono alle condizioni ed ai requisiti previsti dalla legge, colui 


1020 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al quale viene addebitato il reato deve essere messo in grado di difendersi. 
E se � vero che il potere di chiedere la revisione, accordatogli 
dalla legge, rappresenta di per s� un mezzo di difesa, non � men vero 
che la fase di revisione -nonostante che si svolga quando un indizio 
di reit� � gi� sorto e, per di pi�, quando l'autorit� giudiziaria � gi� stata 

investita dalla denuncia -non � assistita da quelle garanzie che gli 
articoli 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale (col necessario 
presupposto d�ll'applicazione dell'art. 390 per quanto riguarda la 
nomina del difensore) stabiliscono per gli atti peritali che vengono assunti 
nella fase istruttoria, formale o sommarla, del processo. 

Queste carenze inducono a ritenere che la disciplina in esame incorra 
in una parziale illegittimit� costituzionale. Per contrastare sif:
fatta conclusione non vale rilevare che l'istanza 'viene inoltrata all'autorit� 
giudiziaria n� che questa conserva i normali poteri di libera valutazione 
dei risultati della revisione e pu�, se lo ritiene opportuno, 
disporre una nuova perizia. Per quanto riguarda il primo punto, l'innovazione 
introdotta dall'art. 1 della legge 27 febbraio 1'9,58, n. 190, 
ha ben scarso significato sotto il profilo qui considerato, perch� non � 
dato vedere in che modo il diritto di difesa dell'inter:essato si arricchisca 
per il solo fatto che l'istanza di revisione non � direttamente rivolta agli 
istituti competenti a norma di legge, ma all'autorit� giudiziaria. Pi� 
approfondita considerazione merita il secondo argomento. Ad avviso 
della Corte � certo che il giudice, non vincolato nel suo giudizio dai 
risultati dell'analisi o della sua revisione (cfr. sent. n. 63 del 1963), 
pu� motivatamente discostarsene tenendo anche conto degli elementi 
di. valutazione critica offertigli dall'imputato e pu� anche nominare 
un perito per nuove indagini: in questi sensi, del resto, � costantemente 
orientata la giurisprudenza ordinaria. Questi complessi poteri del giudice, 
tuttavia, dimostrano solo che la disciplina in esame non intacca 
il principio costituzionale secondo il quale �il giudice � soggetto soltanto 
alla legge� (art. 102 Cost.). Ma tale principio, che pur costituisce 
cardine essenziale di un ordinamento che riconosca e garantisca il diritto 
di difesa (che, ovvi~ente, sarebbe gravemente pregiudicato ove 
a chi giudka non venisse garantita la pi� a'ssoluta indipendenza), non 
� di per s� .sufficiente a soddisfare quel diritto: occorre che la parte 
sia titolare di adeguati poteri ;processuali e possa esser presente l� dove 
si assumono quelle prove che il giudice poi valuter� e prender� a base 
del suo convincimento. Nel caso attuale non conta che il giudice possa 
disattendere i risultati della revisione. Conta, invece, che, fondandosi su 
di essi, egli ;possa pervenire ad una pronunzia di colpevolezza, nonostante 
che l'imputato non abbia potuto partecipare alle relative operazioni 
con quelle facolt� difensive che la stessa legge processuale considera 
essenziali nella fase istruttoria: facolt�, .giova aggiungere, che 
il Jegislato,. non ha ritenuto affatto ouperflue per il fatto che il giudice . 

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PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1021 

del dibattimento conserva di fronte alle perizie istruttorie i :Suoi poteri 
di valutazione e di nuove indagini peritali (art. 314 ultmo comma). 

L'l:!rt. 44 deve essere pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo 
nella parte in cui per la revisione delle analisi esso esclude le 
garanzie di difesa, prevtste dagli articoli 390, 304 bis, ter e quater 
del 'c.p.p. 

La questione avente ad oggetto l'art. 45 dello stesso decreto deve 
essere invece dichiarata non fondata, perch� queila disposizione non 
riguarda� le modalit� del ;procedimento di revisione, ma si limita ad 
indicare gli i,stituti competenti ad effettuarla e ad imporre l'onere della 
cauzione. 

6. -Le conclusioni ora raggiunte in ordine alla parziale illegittimit� 
costituzionale dell'art. 44 del r.d.l. n. 2033 del 1925, l'analoga 
pronunzia alla quale infra (n. 7) si perverr� per l'art. 1 della legge 
30 aprile 1962, n. 283, e, infine, la parziale illegittimit� del secondo 
comma dell'art. 222 e del primo comma dell'art. 223 c.p.p. dichiarata 
con la sentenza n. 148 pronunziata in data di oggi fanno considerare 
assorbito il profilo di illegittimit� per violazione dell'art. 3 proposto 
dal pretore di Brescia (ord. n. 163 del 1968), dal pretore di Camposampiero 
(ord. n. 2�60 del 1968) e dal pretore di Castelfranco Veneto (ord. 
n. 86 del 1969). Ed infatti, a seguito delle suddette statuizioni, all'indiziato 
di reato -si tratti delle procedure di revisione previste dalle 
due leggi specia~i o d�lle operazioni tecniche affidate dal codice alla 
polizia giudiziaria -spetteranno tutte le garanzie predisposte per le 
perizie assunte nella fase istruttoria. 
7. -Le ragioni esposte a proposito del r.d.l. 15 ottobre 1925, numero 
2033, conducono ad un'analoga dichiarazione di parziale illegittimit� 
costituzionale dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283, 
concernente la disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze 
alimentari e delle bevande, impugnato da un secondo gruppo di 
ordinanze. Anche qui le ispezioni, i prelievi dei campioni e la loro 
prima analisi si inquadrano nella vigilanza amministrativa a tutela della 
salute pubblica e, in quanto intervengono prima che�ci sia un indiziato 
di reato, non possono essere considerati atti processuali di istruttoria: la 
revisione delle analisi, invece, per i motivi gi� innanzi illustrati, deve 
essere assistita dalle normali garanzie dife.nsive. Rispetto al decreto del 
1925 non costituis�e rilevante differenza la circostanza che nella procedura 
prevista dalla legge in esame -salvo il caso di frode tossica o 
comunque dannosa alla salute (art. 1, ultimo �comma, nel testo risultante 
dalle modifiche apportate dalla legge 2.6 febbraio 1963, n. 441) -la 
denuncia all'autorit� giudiziaria avviene solo in caso di inutile decorrenza 
del termine per la richiesta di revisione o quando quest'ultima 
abbia confermato il risultato della prima analisi. Ed infatti, sulla base 
delle considerazioni svolte nel n. 3 e 'secondo i princ�;pi affermati nella 
: 

Ettffilf�ffftitfilN%0%fiffffilfilITfffff:filfffillfrufill'fiffi�jillfifffffff:I@lffff~IlffWfmlfW!Wffffffmtffi1Kttlfilf@f:lM 


1022 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sentenza n. 86 del 1968, l'esercizio del diritto di difesa non pu� dipendere 
dal fatto �che l'autorit� giudiziaria sia stata gi� investita dalla denuncia 
o dal rapporto. Del resto val la pena di rilevare che il confronto 
tra la disciplina dettata dal r.d.l. n. 2033 del 1925 e quella contenuta 
nella legge n. 283 del 1962 conferma l'esattezza di tale impostazione: 
sarebbe infatti del tutto illogico ed irrazionale applicare le 
garanzie di difesa quando l'istanza di revisione 1segue alla denuncia e 
viene rivolta all'autorit� giudiziaria e negarle quando, pur spiegando 
lo stesso grado di efficacia nel successivo processo, l'ef�ito della revisione 
condiziona l'obbligo di denuncia. 

8. -Le stesse considerazioni fin qui svolte valgono a giustificare, in 
identici termini e sempre limitatamente alla revisione della prima analisi, 
la dichiarazione di parziale illegittimit� costituzionale dell'art. 42 
della legge 4 luglio �1967, n. 580 (concernente la disciplina per la lavorazione 
e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste 
. alimentari), 
denunziato dal pretore di Sant'Elpidio a Mare (ord. n. 185 
del 1969). Anche a proposito della disciplina contenuta in questa legge 
non pu� influire sulla decisione qualche particolarit� ad essa peculiare. 
Tanto �' a dirsi della facolt� che -nei �casi di denuncie immediate di 
delitti contemplati dagli articoli 438-452 c.p. -l'ottavo comma dell'impugnato 
art. 42 attribuisce all'autorit� giudiziaria, alla quale si 
lascia la scelta di disporre la revisione nei modi previsti dalla legge 
stessa ovvero la perizia ai sensi degli articoli 314, 391 e 3198 del c.p.p. 
Ed invero se la predetta autorit� pu� optare per la revisione da eseguire 
a cura dell'Istituto superiore di sanit�, non si possono negare all'interessato 
quelle garanzie delle quali egli indubbiamente .godrebbe 
ove si procedesse alle normali perizie. Ancora una volta si pu� constatare 
quanto sarebbe arbitrario far dipendere da una diversit� di meccanismi 
procedurali la presenza o l'assenza della difesa nella formazione 
di atti istruttori di identica efficacia . ..__ (Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1969, n. 150 -Pres. Branca, 
ReZ. Fragali -Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello 
Stato Albisinni) c. Presidente Regione Siciliana (avv. Sorrentino, 
Virga, Salerno). 

Sicilia -Conflitto di attribuzione -Riscossione delle imposte -Servizio 
di meccanizzazione dei ruoli erariali e non erariali -Spetta 
alla Re~ione. 

(St. reg. sic.� art. 14,20; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, art. 8). 

Spetta alla Regione siciliana la competenza a provvedere sul servizio 
della meccanizzazione dei ruoli relativamente alle entrate erariaii e 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE ' 1023 

non erariali riscosse in Sic�lia, poich� si tratta di redazione dei ruoZ.i 
non come procedimento� giuridico di imposizione, ma come mera operazione 
materiale (1). 

(1) La Corte ha fondato la sua pronuncia ,sulla circostanza di fatto che 
la meccanizzazione dei ruoli � una mera operazione materiale, lasciando 
impregiudicata la questione dell'ambito di applicabilit� della materia di 
� riscossione ., per la quale si � avuto il trasferimento delle attribuzioni 
dallo Stato alla Regione. 
CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 196'9, n. 151 " Pres. Branca; 
Rel. Real& -De Marco (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(Sost. avv. gen. dello Stato Casamassima). 

Impiegati dello Stato -Quote di aggiunta di famiglia -Non spettanza 

pei figli ricoverati presso istituti di istruzione e di educazione 


Illegittimit� costituzionale -Esclusione. 

(Cost., artt. 3, 34; d.1.1. 21 novembre 1945, n. 722, art. 2, sesto comma). 

L'esclusione della corresponsione delle quote di aggiunta di famiglia 
ai dipendenti statali, relatlivamente ai figli ricovernti gratuitamente 
presso istituti di istruzione o di educazione, disposta daU'm"t. 2, sesto 
comma del-21 novembre 1945, n. 722, non contrasta col principio costituzionale 
di eguaglianza n� con quello del diritto allo studio (1). 

(Omissis). ~. 1. -Il decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 
1945, n. 722, istitutivo di una indennit� mensile di carovita a favore dei 
dipendenti statali, nell'art. 2, quinto comma, accorda al personale maschile 
coniugato e al personale vedovo con prole minorenne, per ciascuno 
dei familiari a carico, una quota complementare mensile, che ha 
poi assunto la denominazione di quota di aggiunta di famiglia con l'art. 4 
del successivo d.P.R. 17 agosto 1955, n. 767. 

Il successivo sesto comma stabilisce, in particolare, che ai fini della 

(1) La questione era stata proposta dal giudice conciliatore di Vico 
Equense con ordinanza 11 maggio 1968 (Gazzetta Ufficiale 10 agosto 1968, 
n. 
203). 
In dottrina, per i riflessi costituzionali dell'assegno di studio, cfr. Ricco, 
Aspetti dell'ordinamento universitario italiano; note sull'assegno di studio, 
Foro napolet., 1968, III, 24. 

4 



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1024 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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concessione della quota aggiuntiva non si tiene ,conto, fra le altre persone, 

�dei figli minorenni ricoverati .gratuitamente �presso istituti di istruzione 
o di educazione �. 

Dopo aver rilevato che la suddetta disposizione � applicata anche 
nel caso che il ricovero presso istituti di istruzione consegue all'assegnazione 
di una borsa di studio, in base a valutazione, per concorso, 
del merito scolastico, il conciliatore ne denunzia l'illegittimit�, alla 
stregua dei principi enunciati�negli artt. 3 e 34 della Costituzione. Sussisterebbe, 
secondo il giudice �a quo�, una disparit� di trattamento 
rispetto alla disciplina dell'assegno di studio universitario, istituito con 
la legge 14 febbraio 1963, n. 80 (le cui misure sono state aumentate 
con la recente legge 21 aprile 1969, n. 162), ed alla disciplina delle 
borse di studio, da attribuire ai giovani laureati per il compimento di 
particolari studi e ricerche, ai sensi dell'art. 32 della legge 31 ottobre 
1966, n. 942 e del relativo regolamento approvato con decreto 2 marzo 
1967 del Ministro della pubblica istruzione. 

Soltanto nel primo caso, e cio� in pregiudizio del genitore il cui 
figlio sia os_pitato gratuitamente in un istituto di istruzione, � disposta 
l'esclusione della quota aggiunta di famiglia, ancorch� in tutte le ipotesi 
ricordate si prevedevano invece identici requisiti d'i merito e pari condizioni 
economiche familiari. 

La questione non � fondata. 

2. -Il sesto comma dell'art. 2 del d.1.1. n. 722 del 1945 va posto in 
relazione col principio fondamentale, contenuto nel precedente quinto 
comma, 'che subordina la concessione dell'aggiunta di famiglia al :fatto 
che il figlio minorenne (o, se studente universitario, per la durata del 
corso legale di studi e comunque non oltre il ,compimento del 26� anno 
di et�, come dispone la successiva J.egge 11 febbraio 1963, n. 79) sia a 
carico del genitore: � richiesto, cio�, che su quest'ultimo gravino gli 
oneri economici attinenti a tutte le necessit� di vita: quindi non solo 
quelle concernenti l'istruzione e l'educazione, ma anche le altre riguardanti 
ad esempio il vitto, l'alloggio, il vestiario. 
Orbene, la diversit� di disciplina nella normativa in esame appare 
determinata da una discrezionalit� legislativa per �cui sono state diversamente 
considerate le situazioni sopra indicate. 

Simile valutazione deve qualificarsi razionale, giacch�, mentre con 
l'ospitalit� gratuita in istituti e collegi si debbono normalmente considerare 
,soddisfatte le essenziali necessit� di vita, onde il soggetto non pu� 
dirsi a carico del genitore, eguale affermazione non �, di norma, consentita 
per i casi di concessione di assegni o di borse di studio: benefic'i 
questi che, intesi a sopperire ai maggiori oneri della istruzione superiore, 
sono diretti ad alleviare solo in parte l'onere del genitore relativo 
al mantenimento ed all'educazione della prole. 

II 



PARTE I, SE;Z. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1025 

Quanto sopra basta ad escludere la fondatezza della questione alla 
stregua dell'art. 3 della Costituzione, posto che la diversit�. di trattamento 
legislativo risponde a sostanziale diversit� delle fattispecie regolate. 

3. -� poi insussistente anche la denunziata violazione dell'art. 34 
della Costituzione nella parte in cui, dopo essersi ,dichiarato che i capaci 
e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i 
pi� alti gradi degli studi, si prevede a loro favore l'adozione di opportune 
provvidenze. 
La dtsposizione impugnata non incide affatto sulle situazioni protette 
dalla norma costituzionale suddetta. Essa, ,comportando l'esclusione 
dell'aggiunta di famiglia per il caso di ospitalit� gratuita in istituti o 
collegi, presuppone non pregiudicato, anzi ampiamente assicurato in 
tal modo, il diritto all'istruzione. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1969, n. 152 -Pres. Branca, 
ReZ. Verzl -INAIL (avv. Flamini). 

Previdenza e assistenza sociale -Infortuni sul lavoro -Agenti delle 

imposte di consumo -Esclusione dall'assicurazione obbligatoria 

fino al 1 gennaio 1966 -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3; d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 199). 

� costituzionalmente illegittimo, con riferimento al principio di 
eguaglianza, l'art. 199 del testo unico delle norme sull'assicurazione 
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e Ze malattie professionali, 
awrovato con d.P.R. 30 giugno 19:65, n. 1124, nella parte in cui introduce 
l'obbligo assicurativo per gli agenti delle imposte di consumo solo 
a partire dal 1� gennaio 1966 in avanti (1). 

(Omissis). -La questione della illegittimit� dell'art. 199, se�condo 
comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 11214, .sollevata dalla ordinanza 
della Corte di Cassazione in riferimento all'art. 3 della Costituzione, � 
fondata. Il t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro 

(1) La questione era istata proposta con ordinanza 5 febbraio 1968 della 
Corte Suprema di Cassazione (Gazzetta Ufficiale 13 luglio 1968, n. 177). 
In dottrina, sulla identificazione delle lavorazioni predette, con riferimento 
alla �manualit�> delle attribuzioni �svolte, cfr. CANovr, Il requisito 
della manualit� del lavoro ai fini della ricorrenza dell'assicurazione obbligatoria, 
Mass. giur. Lavoro, 1956, 179; SIMI, I soggetti dell'assicurazione 
contro gli infortuni sul lavoro, Rass. lavoro, 1965, 1479. 



1026 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato col detto 
decreto -dopo avere disposto, all'art. 4, terzo comma, che tra le 
persone assicurate sono compresi anche gli agenti delle imposte di 
consumo �Che, pur vincolati da rapporto impiegatizio, per l'eserdzio 
delle proprie mansioni, si avvalgono non in via occasionale di veicoli a 
motore da essi personalmente condotti -contiene, fra le norme generali, 
transitorie e finali, quella impugnata, la quale rinvia alla data del 
1� gennaio 1966 l'inizio dell'obbligo assicurativo per i suindicati agenti. 
Siffatta norma crea incertezza e disparit� di trattamento per tutto il 
periodo precedente al gennaio 1966. 

Sotto il vigore del regio decreto-legge 17 agosto 1935, n. i765, 
l'art. 1 n. 2 e l'art. 18 disponevano che sono compresi nella assicurazione 
coloro che fuori del proprio domicilio, in modo permanente o avventizio, 
prestano, alle dipendenze e sotto la direzione altrui, opera manuale 
retribuita, quando siano esposti al.rischio dipendente dall'uso di macchine 
per il loro �servizio. E l'art. 2 del r.d. 15 dicembre 1936, n. 2276, precisava 
che si considerano addetti a prestare servizio presso macchine mosse 
da agente inanimato o presso i motori di esse o presso apparecchi a 
pressione tutti coloro che compioni funzioni in dipendenza e per effetto 
delle quali �sono �esposti al pericolo di infortunio direttamente prodotto 
dalle macchine, dai motori o dagli apparecchi suddetti. 

Poich� la giurisprudenza era contrastante sulla applicabilit� o meno 
di tali norme anche agli agenti delle imposte di consumo, che si servono 
di veicoli a motore, il legislatore, con l'art. 4, terzo comma, del testo 
unico del 1965 ha inteso eliminare ogni dubbio circa l'obbligo dell'assicurazione; 
ma il rinvio dell'inizio di tale obbligo al 1� gennaio 1966, 
disporto dall'art. 199, conferisce alla norma dell'art. 4 un carattere 
innovativo, con la .conseguenza che, fino al gennaio 1966, l'obbligo assicurativo 
si deve ritenere insussistente. 

La Corte di cassazione, che nella ordinanza di rimessione dichiara 
di �non potere escludere che nella previsione legislativa del 1935 possano 
rientrare gli agenti in questione � ha ritenuto di non dover prescindere 
dall'esame del t.u. del 1965 e dal rilievo che la norma impugnata crea 
una ingiustificata disparit� di trattamento da sottoporre al sindacato di 
costituzionalit�. 

Ed � ovvia la denunziata disparit� di trattamento derivante dal fatto 
che, per gli agenti di cui si discute, sia stato escluso l'obbligo dell'assicurazione, 
fino alla data del 1� gennaio 1966 mentre tutti gli altri lavoratori 
dipendenti 1sottoposti al medesimo rischio per il loro servizio presso 
macchine, fruiscono della tutela assicurativa, a prescindere dalla qualifica, 
anche impiegatizia, loro spettante nella impresa e dallo espletamento 
di altre eventuali mansioni non manuali (art. 2 del r.d. 15 dicembre 
1936, n. 2276). -(Omissis). 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1027 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 155 -Pres. Branca -
Rel. Verz� -Fornezza, Casini ed altri (avv. Dalla Santa, Andreoni, 
Piccardi, Barile, Agostino), I.N.P.S. (avv. Cannella) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Savarese). 

Previdenza ed assistenza -Pensioni di previdenza sociale -Divieto 
di cumulo con la retribuzione -Ille~ittimit� costituzionale per 
le pensioni di vecchiaia -Infondatezza della questione per le altre 
pensioni. 

(Cost., artt. 3, 4, 35, 36 e 38; I. 18 marzo 1968, n. 238, art. 5, lett. a, b, e; d.P.R. 
27 aprile 1968, n. 488, art. 20, lett. a, b, e). 

� fondata, con riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, la 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 5 legge 18 marzo 19:68, 

n. 238, lettera a e b, nonch� deil'art. 20, lettera a e b del d.P.R. 27 
aprile 19:68, n. 488, norme che anteriormente alla legge 30 aprile 1969, 
n. 153, vietavano in via assoluta il cumulo fra pensioni di vecchiaia e 
retribuzione~ Non � fondata, invece la stessa questione con riferimento 
alle pensioni di invalidit� e di anzianit�, neanche con riferimento al 
principio costituzionale di eguaglianza (1). 
(Omissis). -2. -Viene denunziata l'illegittimit� dell'art. 5 della 
legge 18 marzo 1968, n. 238, che conferisce al Governo la delega ad 
emanare norme intese a stabilire che -con decorrenza dal 1 � maggio 
1968 -le pensioni dell'I.N.P.S. di vecchiaia, di anzianit� e di invalidit� 
non sono cumulabili, totalmente o parzialmente, con la retribuzione 
percepita dai pensionati �che ,continuano a lavorare; e vengono denunziati 
gli artt. 210, 21 e 28 della legge delegata (d.P.R. 27 aprile 1968, 

n. 488) che, fra l'altro, prescrivono che il datore di lavoro ha l'obbligo 
di detrarre dalla retribuzione una somma pari all'importo della pensione 
(o della quota di e,ssa) non dovuta e di versarla all'Istituto nazionale 
della previdenza sociale. Secondo le ordinanze, il divieto di cumulo 
della pensione con la retribuzione non soltanto crea un trattamento' 
differenziato rispetto ad altre ,categorie, ma pone altresi una 
(1) La questione era stata proposta con sette ordinanze di giudizi di 
merito, anteriormente alla pubblicazione della legge 30 aprile 1969, n. 153, 
la quale disciplina ex novo la materia, per il periodo successivo al 1� maggio 
1969, allentando notevolmente il divieto di cumulo per le pensioni di 
vecchiaia e per quelle di invalidit�. ,, 
Gi� in precedenza, con la sentenza 1� giugno 1963, n. 105 (Giur. Cost., 
1963), la Corte aveva ritenuto legittimo il divieto di cumulo fra pensioni 
e stipendi dei dipendenti statali. 

In dottrina, sulla natura delle pensioni di previdenza sociale, cfr. CANNELLA, 
Corso dir. prev. sociale, Milano, 1959, 104 segg. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

1028 

alternativa fra diritto al lavoro e diritto alla pensione gi� maturato 
ed acquisito, mentre la particolare disciplina si traduce in una diminuzione 
della retribuzione per ragioni del tutto estranee alla quantit� e 
qualit� del lavoro prestato. Dal che deriverebbe la violazione degli 
artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione. 

Le norme impugnate sono state modificate dalla legge 30 aprile 
1969, n. 153, in senso pi� favorevole ai pensionati, ma la questione continua 
ad avere rilevanza per il periodo 1� maggio 1968-1� maggio 1969, 
in quanto da quest'ultima data trova applicazione la nuova legge. 

3. -Va precisato, preliminarmente, che la retribuzione non subisce 
di fatto alcuna riduzione per effetto del divieto di cumulo. Se � pur 
esatto che il datore di lavoro opera una trattenuta sul salario, il relativo 
importo viene indirettamente restituito al lavoratore giacch� la 
peusione, invece di essere ridotta, � corrisposta per intero. Il legislatore 
ha fatto ricorso al sistema del pagamento integrale della pensione con 
rimborso all'I.N.P.S. della quota non dovuta, allo scopo di evitare riliquidazioni 
e�continui conteggi, realizzando in tal modo economia di lavoro, 
risparmio di tempo ed innegabile vantaggio per il pensionato che, 
in caso diverso, si vedrebbe sospendere per lungo tempo il pagamento 
della pensione ad ogni cambiamento della posizione lavorativa. E, se 
ha fatto obbligo al datore di lavoro (piuttosto che allo stesso pensionato) 
di effettuare il rimborso all'I.N.P.S., il legislatore si � avvalso dei 
suoi poteri discrezionali scegliendo il mezzo ritenuto migliore e pi� sicuro. 
Non hanno fondamento le critiche mosse a siffatta disciplina: il pensionato 
otterrebbe per via della pensione quanto gli verrebbe detratto dalla 
retribuzione; il pagamento effettuato con la pensione si ricollegherebbe 
a ragioni �creditizie �che nulla hanno a t:he vedere col compenso dovuto 
per la ;prestazione della attivit� lavorativa; il pagamento viene effettuato, 
in parte bimestralmente, da persona diversa dal datore di lavoro, ecc. 
Esse non tengono conto che, in materia di cumulo, la pensione e la 
retribuzione hanno zone di interferenza che occorre disciplinare, e non 
danno il debito peso alle necessit� derivanti dalla difficolt� di regolare 
uniformemente un grande numero di casi di singoli lavoratori con posizioni 
assicurative svariatissime. Comunque, non si pu� affermare che 
detta disciplina sia violatrice dei principi costituzionali invocati. 
Le norme impugnate attengono .soltanto al trattamento previdenziale; 
ed � 1sulla pensione che si opera la riduzione. 

4. -In merito a tale riduzione, va osservato che -quale che sia la 
natura ,giuridica della pensione -� �certo che essa assolve ad una funzione 
previdenziale. Il suo scopo � quello di sopperire al rischio del 
lavoratore di ;perdere o diminuire il proprio guadagno e di mancare dei 
mezzi di sussistenza, quando, col venire meno delle forze per invalidit� 
o vecchiaia, non � pi� in grado di lavorare. Assicurando al lavoratore 
una entrata periodica atta a fronteggiare i bisogni di vita nel periodo 

PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1029 

successivo alla cessazione del lavoro, la pensione deve per sua natura 
collegarsi nel quantum alla particolare situazione personale e familiare 
degli aventi diritto. Diventa definitiva soltanto dopo la cessazione completa 
del lavoro, ma, se maturata ed acquisita anteriormente a tale 
momento, pu� essere riliquidata ed aumentata per effetto delle ulteriori 
contribuzioni conseguenti alla suocessiva opera prestata. Nel tempo 
stesso, il legislatore tiene conto del guadagno derivante dalla ulteriore 
attivit� lavorativa e della variazione in meglio dello stato di bisogno 
per le esigenze di vita del pensionato, ed opera perci� una riduzione. 
Per tali motivi non contrasta con l'art. 36 n� l'art. 38 della Costituzione 
il fatto che il trattamento pensionistico venga ridotto perch� con esso 
concorre il godimento di un trattamento per attivit� lavorativa, che 
viene a ridurre l'esigenza previdenziale in funzione della quale fu predisposta 
la provvidenza pensionistica (vedi sentenza di questa Corte n. 105 
del 1963). 

5. -Affermata tuttavia I.a legittimit� del divieto di �cumulo fra pensione 
e retribuzione, la Corte ritiene che il precetto dell'art. 36, che 
assicura al lavoratore una retribuzione proporzionata alla quantit� e 
qualit� del suo lavoro, e quello dell'art. 38 della Costituzione relativo 
ai mezzi 1;1deguati alle esigenze di vita del pensionato sono violati dalle 
norme impugnate nella parte in cui esse dispongono �che non sono 
cumulabili totalmente o parzialmente con la retribuzione le pensioni 
di vecchiaia. La Corte ritiene sindacare il modo di esercizio della discrezionalit� 
legislativa per quel che riguarda la congruit� della riduzione 
della pensione rispetto agli elementi essenziali del rapporto sociale creato 
dagli artt. 36 e 38 della Costituzione, in quanto il riferimento dell'art. 36 
alla proporzione della retribuzione dovuta al prestatore d'opera costituisce, 
sotto un particolare aspetto, sviluppo del principio generale di 
uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Orbene, non sembra 
razionale che al pensionato venga tolta una parte di quello che gli 
sarebbe spettato in base ai contdbuti versati, i quali, se accontonati nel 
corso degli anni, avrebbero raggiunto somme notevoli. 
Per quanto, in un sistema mutualistico e di solidariet� sociale quale 
� quello dell'INPS, i contributi del lavoratore servano per il conseguimento 
di finalit� che trascendono .gli interessi dei singoli ed abbia.no 
carattere generale, pur tuttavia � in.negabile che essi danno vita ad un 
diritto del prestatore d'opera a conseguire le prestazioni previdenziali: 
il che vuol significare che il legislatore non pu� -senza violare quel 
principio di proporzionalit� che sorregge il sistema pensionistico non 
tener conto delle contribuzioni dei prestatori d'opera. Lo stesso 
legislatore ha riesaminato questo problema del cumulo per dargli una 
soluzione pi� equa, e, con la legge 3.0 aprile 1969 n. 153 ha disposto che, 
a decorrere dal 1� maggio 1969, non sono c.mulabili, �Con la retribuzione, 
nella misura del 50 per cento del loro importo, le quote ecce



1030 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

denti il trattamento minimo delle pensioni di invalidit� e vecchiaia. Or, 
mentre � evidente la ragionevolezza della nuova nor1!1a, la quale non 
toglie al pensionato pi� di quello che gli sarebbe approssimativamente 
spettato per effetto dei contributi versati, lo stesso non pu� dirsi per le 
norme impugnate, le quali pertanto vanno dichiarate illegittime. 

Per quanto riguarda invece le pensioni di invalidit� e di anzianit�, 
la questione non � fondata. Poich� isecondo la legge del 1968 le pensioni 
di invalidit� sono ridotte di una quota pari ad un terzo. del loro ammontare, 
non si riscontra la lamentata .sperequazione rispetto ai contributi 
versati. 

Le particolari, poi, della pensione di anzianit� �consentono il divieto 
totale del cumuio con la retribuzione. Tale pensione infatti viene liquidata 
dopo 35 anni di contribuzione, indipendentemente dal raggiungimento 
della et� pensionabile, dal che deriva una sensibile riduzione dei 
limiti di �et�. � pertanto un beneficio concesso al lavoratore, e, come 
tale, pu� essere limitato al solo caso di cessazione effettiva del lavoro. 

6. -In riferimento al solo art. 3 della Costituzione, la questione non � 
fondat~. Le differenti condizioni soggettive ed oggettive dei soggetti 
all'assicuraizone generale obbligatoria .contro la invalidit�, la vecchiaia 
ed i superstiti, nonch� le differenze notevolissime delle posizioni assicurative 
delle varie categorie non consentono una uniforme di:sciplina, chi:: 
non distingua fra situazione e situazione e tratti tutti alla stessa stregua. 
Le discriminazioni lamentate dalle ordinanze sono necessarie per evitare 
un livellamento generale che riuscirebbe ingiusto, e sono sorrette da 
ragionevoli motivi, che consentono di fare un trattamento differenziato. 
In particolare va osservato che fra il pensionato che lavora avendo 
ancora forza e capacit� sufficienti ed il pensionato che non pu� pi� 
esplicare attivit� lavorativa sussiste una :grande differenza, di indiscutibile 
rilievo agli effetti della pensione, sotto il riflesso dello stato di 
bisogno in cui il pensionato che non pu� lavorare viene a trovarsi. � 
conforme alle esigenze volute dall'art. 38 il �corrispondergli la intera 
pensione, mentre il divieto di �cumulo per il pensionato che gode di un 
trattamento di lavoro oltre quello pensionistico rispetta un principio 
di giustizia distributiva. 

Il differente trattamento fatto ai lavoratori agricoli per i quali la 
pensione � cumulabile con la retribuzione, � sorretto da speciali motivi. 
Le esigenze dell'agricoltura, la progressiva rarefazione nelle .campagne 
delle forze di lavoro attratte da maggiori retribuzioni nell'industria, il 
settore particolarmente depresso �caratterizzato da prevalente occasionalit� 
dell'occupazione, hanno indotto il legislatore a favorire in tutti i 
modi il lavoro nelle campagne, �concedendo anche l'agevolazione del 
cumulo della .pensione con la retribuzione. Si tratta di motivi ragionevoli 
ed apprezzabili, che giustificano il trattamento particolare. i. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1031 

E infine le pensioni spettanti agli impiegati statali, quelle a carico 
di enti pubblici diversi dalla previdenza sociale, e quelle a carico dei 
Fondi speciali dello stesso INPS sono soggette a discipline ben distinte 
da quella dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidit�, la 
vecchiaia e i superstiti. � sufficiente accennare alla continuit� ed alla 
durata del rapporto di impiego, nonch� all'entit� dei contributi versati 
dagli stessi impiegati. 

La questione � infondata anche in riferimento agli articoli 4 e 35 
della Costituzione. Il riconoscimento del diritto al lavoro e la tutela 
del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni non sono vulnerati dal 
divieto di cumulo. Non pu� infatti �costituire ostacolo effettivo all'attivit� 
lavorativa la ci11costanza �che il pensionato non possa godere, per intero, 
di due diversi trattamenti, quello di lavoro e quello pensionistico. 


(Omiss~). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 156 -Pres. Branca -
Rel. Mortati -Presidente Regione Valle d'Aosta (avv. Benvenuti, 
Lorenzoni) c. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv.. gen. 
dello Stato Savarese). I 

Valle d'Aosta -Esami di maturit�, abilitazione e licenza media -Obl 


l

bligo di svolgimento delle prove nella sola lingua italiana 


I 

i

Violazione della parit� linguistica francese -Illegittimit� costiI 


tuzionale. 

I

(st. Valle d'Aosta, art. 38; d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, mod. da 1. di conv. 5 aprile 
1969, n. 119, art. 5, terzo e quarto comma, art. 6, primo, secondo e terzo comma). 


I 
Sono costituzionalmente illegittime, per violazione del principio I

! 

!

della parit� linguistica dell'italiano e del francese, stabilita dall'art. 38 

I 

i

dello Statuto valdostano, le d~osizioni del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, 
convertito nella legge 5 aprile 19:69, n. 119, le quali prescrivono che le I


I 

prove ed il colloquio dell'esame di maturit� e di licenza della scuola 
media debbano svolgersi solo nezia lingua italiana (1). 

I 

I 

(1) Anteriormente alla notifica del ricorso il Mini.stero della P. I. aveva I 
emanato la circolare 30 aprile 1969, n. 3288, con la quale si consentiva ai 
candidati della Valle di Aosta di svolgere le rprove di esame, a loro scelta, 
I 

I

in italiano od in francese. La sentenza adegua, sul piano formale, quella 
che gi� costituiva la prassi di applicazione della nuova normativa sugli l esami. I 

Sull'esame di Stato, come momento autoritativo dell'istruzione, cfr., l in dottrina, NIGRO, Libert� della scuola e universit� private, Foro amm., I 
i1958, I, 3; 130; PoTOTSCHIG, Insegnamento, istruzione, scuola, Giur. Cost., 
1964, 361; CRISAFULLI, La scuola nella Costituzione, in Studi in onore di 
De Francesco, Milano, II, 284. 'i 

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BASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -1. -Si presenta anzitutto il quesito se la legge 5 aprile 
1969, n. 119, di conversione, con modificazione, del d.l. 15 febbraio 1969, 

n. 9, riguardante il riordinamento degli esami di Stato di maturit�, nel 
disporre, con l'emendamento aggiuntivo al quarto comma dell'art. 5, 
che nelle zone dove esistono scuole nelle quali l'insegnamento si svolge 
in lingua diversa dall'italiano le prove di maturit� saranno effettuate 
nella rispettiva lingua, possa ritenersi applicabile anche alla Valle d'Aosta. 
La risposta non pu� non essere negativa, dato che le sole disposizioni 
costituzionali le quali �consentano l'esistenza nel territorio nazionale 
di scuole �con lingua d'insegnamento diversa dall'italiana sono quelle 
previste, per la provincia di Bolzano, .dall'art. 15 dello :statuto della 
Regione Trentino-Alto Adige, mentre ben diverso � il regime vigente 
nella Valle d'Aosta, caratterizzato dalla presenza di un unico tipo di 
scuola, con insegnamento nelle due lingue italiana e francese. Mentre 
in un caso, muovendosi_ dal presupposto di una lingua materna degli 
alunni diversa dall'italiana, si consente che l'interno insegnamento venga 
impartito nella lingua stessa, viceversa nell'altro caso � appunto la 
mancanza di una lingua materna propria di alcuni e non di altri che 
conduce a �consentire il diverso trattamento costituito dall'uso promiscuo 
delle due lingue. 
Discende da tali rilievi l'impossibilit� di una interpretazione adeguatrice 
della norma impugnata, qual'� stata prospettata dalla difesa 
della regione e sembra fatta propria anche dall'Avvocatura. Per le 
stesse ragioni esposte si deve ritenere che la circolare del Ministero 
della pubblica istruzione in data 30 aprile 196'9 la quale autorizza i 
candidati a sostenere le prove di esame in una delle due lingue a loro 
scelta, non vale ad escludere la persistenza dell'interesse a ricorrere da 
parte della Regione, contrariamente a quanto viene asserito dalla stessa 
Avvocatura. 

2. -Passando al merito, la Corte ritiene che il ricorso sia fondato. 
Infatti la parificazione della lingua francese a quella italiana disposta 
con il primo comma dell'art. 38 dello Statuto � fondata sulla constatazione 
di una situazione di pieno bilinguismo sussistente di fatto nella 
Regione, dalla-quale .si sono fatti discendere effetti costituzionalmente 
garantiti circa l'eguale uso delle due lingue, in modo da escludere che 
nella Valle sia da attribuire la qualifica di �ufficiale� all'una o all'altra 
(diversamente da quanto accade nella provincia mistilingue di Bolzano, 
dove, secondo l'art. 84 dello Statuto, lingua ufficiale � considerata 
l'italiano). 
Se quella indicata � la ratio ispiratrice del primo comma citato se 
ne pu� dedurre che la disposizione del secondo comma dello stesso articolo 
(che consente la redazione degli atti pubblici in una delle due 
lingue, ad eccezione di quelli giurisdizionali da effettuare solo in italiano), 
nonch� l'altra dell'art. 39, ultimo comma (secondo cui nelle 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1033 

scuole di ogni ordine -e .grado l'insegnamento in lingua francese � limitato 
solo ad alcune materie) non possono essere invocate a sostegno di 
un'interpretazione restrittiva della :portata del comma precedente, rivestendo 
invece evidente carattere di eccezioni alla regola della parit�, al 
di l� delle quali questa deve necessariamente riprendere pieno vigore 
cosi da consentire l'uso dell'una o dell'altra a scelta dei soggetti interessati. 


Tale regola non pu� non trovare applicazione anche nei confronti 
degli esami di maturit�. Ci� non gi� per il motivo fatto valere dalla 
difesa regionale, secondo cui l'appUcazione della legge impugnata farebbe 
venire meno la facolt� garantita dal secondo comma dell'art. 38 
di redigere in francese l'atto pubblico di conferimento del diploma, dato 
l'asserito obbligo di conformarsi alla lingua con cui furono sostenute 
le prove, le quali costituirebbero parte integrante del diploma stesso 
(poich�, anche ad ammettere l'esistenza di un rapporto di integrazione 
che leghi le une all'altro, nulla osterebbe alla differenziazione di espressione 
linguistica fra i due, in modo non diverso da quello che potrebbe 
accadere, per esempio, nel caso di sentenze �che sono da redigere sempre 
in italiano anche s~ siano basate su un complesso di elementi raccolti e 
verbalizzati in lingua francese), bensi sulla base della diversa considerazione, 
fatta prima valere, del carattere tassativo da conferire alle 
deroghe al principio di parit�, non estensibili a situazioni diverse da 
quelle testualmente previste. A nulla vale opporre, ,come fa 1'Avvocatura, 
che l'esame di Stato proietta i suoi effetti al di l� dell'ambito della 
Regione ed oltre il settore dell'istruzione secondaria, essendo chiaro 
che la pratica utilizzazione nel ,campo professionale del titolo cosi conseguito 
al di l� del territorio regionale ~i render� possibile solo a patto 
che, l'interessato dimostri il pieno possesso della lingua italiana; possesso 
che, del resto, dovrebbe essere presunto, se si tiene conto della 
prescrizione dell'art. 39, primo comma, per cui all'insegnamento delle 
due lingue deve essere dedicato in tutte le scuole di ogni ordine e grado 
un eguale numero di ore settimanali. Analogamente nessun valore � da 
attribuire all'altra� asserzione della difesa dello Stato, secondo cui la 
materia dell'esame de quo esula dalla �competenza, riferendosi anche a 
rapporti con autorit� non regionali sedenti nella Valle. Infatti quello 
che solo importa, al fine di assicurare la condizione messa in rilievo dal1'
Avvocatura, della perfetta eguaglianza di tutti i candidati, quale che 
sia la parte del territorio in cui le prove siano sostenute, � che queste 
si svolgano in modo uniforme sulla base di norme e di programmi stabiliti 
dallo Stato: esigenza questa che per la Valle � pienamente assicurata 
dall'art. 40 dello Statuto, il quale testualmente richiama le une 
e gli altri. 

Elementi di giudizio per la riisoluzione della controversia in senso 
diverso non possono trarsi neppure dalla norma statutaria che disci




1034 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

plina le modalit� dell'uso delle lingue per quanto riguarda l'insegnamento 
(art. 39 ultimo comma) poich� l'esame di Stato attiene ad una 
sfera del tutto diversa da quella dell'insegnamento. D'altra parte, anche 
se un parallelismo fra l'uno e l'altro si potesse porre, esso condurrebbe 

a richiedere non gi� la piena appUcazione della norma impugnata, cos� 
com'� ritenuto dall'Avvocatura ma, al pi�, che lo svolgimento delle 
prove nelle varie materie dovrebbe avvenire nella stessa lingua in cui 
era stato impartito l'insegnamento delle medesime. -(Omissis). 
.�: 
:-�'. 
CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 157 -Pres. Branca -
Rel. De Marco -Cerruti ed altri (n.c.) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Tracanna). 
Imposta di registro Divieto 
di rilascio e di pronuncia in base a sentenze 
non registrate -Riferibilit� anche alla tassa di titolo -Illegittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 3, 24, 113; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 117 e 118, mod. da 
art. 1 r.d. 13 gennaio 1936, n. 2313). 
Imposta di registro Divieto 
di pronuncia per i giudici in base ad atti 
non registrati. -Atti da registrare in caso d'uso -Illegittimit� 
costituzionale. -Esclusione. 
(Cost., art. 3, 24, 101, 113; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 106, 108, 118). 
Sono costituzionalmente illegittimi, perch� si traducono in una sostanziale 
applicazione del �solve et repete �, le disposizioni degli articoli 
117 e 118 nella vigente legge di registro nella parte in ciii stabiliscono, 
per i funziona1�i delle cancellerie giudiziarie, il divieto di rilasciare 
copie o estratti di sentenze non registrate, e per i giu,dici, il 
divieto di emettere pronuncie giurisdizionali, anche quando si contesti 
la legittimit� dell'imposta di titolo, accertata in base alle sentenze 
stesse (1). 
(1-2) La questione era stata proposta con tre diverse ordinanze ai giudici 
di merito: Trib. Ferrara, 23 gennaio 1968 (Gazz. Uff. 11 maggio 1968, 
n. 120), Corte App. Bologna 3 novembre 1967 (Gazz. Uff. 18 maggio 1968, 
n. 127), Trib. Locri, 7 agosto 1968 (Gazz. Uff. 12 ottobre 1968, n. 261). 
La precedente sentenza della Corte, richiamata in motivazione 9 aprile 
1963, n. 45, leggesi in Riv. dir. proc., 1965, 443 e nota di CoMOGLIO, L'art. 24 
della Costituzione e gli oneri fiscali nel processo. 
il da ricordare, poi, che sempre sull'art. 117 legge di registro, la 
Corte aveva emanato altra declaratoria di illegittimit� costituzionale rela



PARTE. I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1035 

Non � fondata la questione di legittimitd costituzionale, in relazione 
ai principi costituzionali di eguaglianza, di difesa, e di indipendenza 
del giudice, delle disposizioni della vigente legge di registro le 
quali vietano il rilascio di copie e le pronuncie giurisdizionali in base 
ad atti non registrati, ancorch� soggetti a registrazione solo in caso 

d'uso (2). 

(Omissis). -1. -I tre giudizi, come sopra promossi, vanno riuniti, 
in quanto hanno per oggetto J.a denunzia di incostituzionalit�, sia pure 
sotto profili diversi, delle stesse norme del regio decreto 30 dicembre � 
1923, n. 3269, contenente la legge del registro. 

2. -In ordine logico, '�!l opportuno esaminare per primo il giudizio 
promosso �con lordinanza del tribunale di Locri. 
Con tale ordinanza, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, 
si denunzia la illegittimit� costituzionale degli artt. 106 e 118 
del regio decreto 30 dicembre 19.23, n. 3269, in forza dei quali, rispettivamente, 
gli atti soggetti a registrazione non possono farsi valere in 
giudizio finch� non siano registrati ed � fatto divieto ai giudici di pronunziare 
sentenze o emettere decreti o provvedimenti in base ad atti 
soggetti a registrazione e non registrati: le due norme sarebbero illegittime 
�per difetto della tutela giurisdizionale, la quale � voluta dalla 
Costituzione e deve essere libera, accessibile alla totalit� dei cittadini e, 
in particolare, non limitata da impedimenti ispirati a ragioni fiscali�. 

In riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione � 
gi� stata dichiarata infondata con la sentenza di <luesta Corte 4 aprile 
1964, n. 45, con la quale si � affermato: a) essere irrazionale che, sotto 
il pretesto del rispetto del principio di e.guaglianza, si consenta alla 
parte di trarre vantaggio dalla sua -condizione patrimoniale attuale per 
continuare a sottrarsi all'adempimento di un'obbligazione che si sarebbe 
dovuta soddisfare gi� prima del giudizio; b) non essere esatto che gli 
obblighi e gli oneri posti dalle norme denunziate impediscono la tutela 
giurisdizionale del diritto fondato .su una scrittura non registrata, in 
quanto, non ottemperando all'obbligo della registrazione, la parte dispone 
della funzione probatoria documentale, che la scrittura era chiamata 
a svolgere, sulla base di una valutazione di convenienza compiuta 
come in ogni -caso in cui la legge assoggetta ad oneri l'esercizio di un 
diritto. 

tivamente all'improcedibilit� dell'appello per la mancata produzione della 
sentenza registrata (sent. 2 luglio 1966, n. 80, in questa Rassegna, 1966, 775). 

Per l'infondatezza della questione relativa alla tassa di titolo, invece, 
cfr. la sentenza 8 luglio 1967, n. 94, in questa Rassegna, 1967, 517. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Non risulta che la questione sia .gi� 1Stata esaminata anche in riferimento 
all'art. 113 della Costituzione. 

� � chiaro, peraltro, che le stesse considerazioni, test� riportate, in 
base alle quali si � affermata la infondatezza della questione� in riferimento 
all'art. 24 della Costituzione, valgono anche a dimostrarne la 
infondatezza, in riferimento all'art. 113. 

3. ~ Sempre in ordine logico, � opportuno ;passare all'esame del 
giudizio promosso con l'ordinanza del tribunale di Ferrara. 
Le questioni sottoposte all'esame della Corte con tale ordinanza, 
possono cosi riassumersi : 

a) se siano in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione le 
norme contenute negli artt. 106, 108 e 118, comma primo, n. 2 ed ultima 
parte, della legge sull'imposta di registro, approvata con r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3269, modificata dall'art. 1 del r.d. 13 gennaio 1963, 

n. 23131, nella parte ideale in 1cui .dovrebbero essere applicate anche agli 
atti soggetti a registrazione soltanto in caso d'uso; 
b) se sia in contrasto con l'art. 101 della Costituzione (principio 
dell'assoggettamento dei giudici soltanto alla legge) la norma dell'articolo 
118, comma primo ed ultima parte, della citata legge di registro, 
nella ;parte in cui, dopo aver posto divieto ai giudici di emettere pronunzie 
in base ad atti soggetti a registrazione e non registrati, statuisce 
che i trasgressori sono tenuti al pagamento della tassa di registro e delle 
sopratasse dovute per l'atto non registrato, salvo regresso verso le parti, 
assoggettando, �cosi, i giudici a rispondere dei loro atti davanti a uffici 
finanziari del potere tsecutivo. 

A) In ordine alla prima questione si rileva: in sostanza il tema 
della controversia resta �Circoscritto all'accertare se fra gli atti soggetti 
a registrazione a termine fisso e quelli soggetti a registrazione in caso 
d'uso vi siano differenze tali da imporre una diversa valutazione della 
costituzionalit�, rispetto a quest'ultima categoria di atti, della norma 
(art. 106 della legge di registro) in forza della quale gli atti dell'uno 
e dell'altro tipo non possono farsi valere in giudizio se non siano stati 
registrati. 

Ove differenze di tale rilievo non risultassero, non resterebbe che 
uniformarsi, come si � fatto nel giudizio promosso con l'ordinanza del 
tribunale di Locri; alla precedente giurisprudenza in materia di questa 
Corte. 

Orbene, rispetto all'obbligo della previa registrazione ne�cessaria 
per far valere tali atti in giudizio, nella stessa ordinanza di rinvio si 
ammette che il citato art. 106 della legge di registro non fa differenza 
fra le due categorie di atti. 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1037 

Vero � che si richiama l'art. 85 della le.gge di registro, che si riferisce 
ai soli atti soggetti a registrazione a termine :fisso, per adombrare 
una differenza di disciplina legislativa tra le due categorie di atti. 

.. Basta, per�, leggere il citato articolo per rilevare come esso abbia 
il solo scopo di precisare che l'obbligo della previa registrazione, per 
gli atti che vi siano soggetti in termine fisso, sussiste anche quando la 
produzione in giudizio avvenga prima della scadenza di tale termine. 

Dall'art. 12, n. 1 della legge di registro risulta, poi, come l'uso prevalente 
che d� luogo all'obbligo di registrazione, per gli atti che vi sono 
soggetti soltanto in tal caso, � appunto quello della produzione in giudizio. 
Perci� � anche maggiore l'analogia del relativo onere con la vera 
e pr~pria tassa giudiziaria, rispetto a quello gravante sugli atti soggetti 
a registrazione in termine fisso, onere che ne accentua la stretta e razionale 
correlazione col processo e dimostra nel contempo che non 
incide sull'azione. 

Su un solo punto, che a questo riguardo viene accennato nell'ordinanza 
di rinvio, potrebbe profilarsi una notevole e sostanziale differenza 
tra atti soggetti a registrazione in termine fisso ed atti sog.getti 
a registrazione in caso d'uso: 

Per la prima di tali categorie di atti (tranne che nell'ipotesi contemplata 
nel sopra esaminato art. 85) di regola avviene�che se l'atto, 
quando si vuole far valere in giudizio, non � stato ancora registrato, chi 
lo produce si trova nelle condizioni di un inadempiente agli obblighi 
fiscali, che non pu�, quindi, lamentarsi di una eccessiva onerosit�, che 
gli impedirebbe l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale. 

P~r la seconda categoria, invece, poich� l'obbligo della registrazione 
sorge soltanto nel momento in cui si vuol fare uso dell'atto che 
vi :�i soggetto, con la produzione in giudizio, non si pu� parlare di pregressa 
inadempienza e poich� l'onere fiscale � commisurato ad una 
percentuale del valore del negozio, indipendentemente dall'entit� della 
pretesa fatta valere in giudizio, �che pu� essere circoscritta ad una parte 
trascurabile del negozio stesso (caso limite), non solo non si potrebbe 
parlare di onere strettamente correlato al processo, ma si dovrebbe ammettere, 
data la sproporzione tra l'importo della tassa da pagare ed il 
valore di quanto s'intende conseguire� in giudizio, un vero e proprio 
impedimento all'esercizio del diritto di azione. 

A tale dubbio, tuttavia, pu� rispondersi che, anzitutto, anche chi 
voglia produrre in giudizio un atto soggetto a regiJstrazione soltanto in 
caso d'uso, se non lo registra, diventa inadempiente all'obbligo fi.scale. 

In secondo luogo basta tener presente la tabella D allegata alla 
legge di registro, che contempla gli atti soggetti a registrazione soltanto 
in caso d'uso, per rilevare che la loro natura � tale da far escfodere 
che possano presentarsi casi limite come quello ipotizzato nell'ordinanza 
di rinvio. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Del resto proprio la fattispecie all'esame del giudice a quo dimostra 
come anche una domanda parziale finisce col porre in discussione l'intero 
negozio. 

Mentre, proprio il .sorgere dell'obbligo fiscale nel momento in cui 
l'atto si vuole far valere in giudizio, come gi� si � posto in rilievo, conferma, 
anzkh� escludere, la correlazione di tale obbligo col processo e 
ne ac�centua l'analogia con le tasse giudiziarie. 

Comunque, anche a voler ammettere che in casi limite l'importo 
dell'onere fiscale possa essere sproporzionato rispetto alla pretesa fatta 
valere in giudizio, a parte, per i meno �abbienti, la possibilit� della 
registrazione a debito, in base alla legge 1sul gratuito patrocinio, non 
ne deriverebbe addirittura compr~ssione del diritto di azione. 

Infatti nell'ordinamento giuridico posto in essere dalla Costituzione 
i diritti dei cittadini sono armonicamente coordinati con quelli della 
comunit� in modo che finiscono con il limitarsi a vicenda, restando 
nella legittimit� costituzionale. 

Il principio che garantisce al cittadino la tutela ,giurisdizionale dei 
suoi diritti (art. 24) va, cosi, �coordinato con quello �che, �come � posto 
in rilievo nella pi� volte dtata �sentenza n. 45 del 1963, � �condizione di 
vita per la comunit�, dell'interesse generale alla riscossione dei tributi, 
che � pure garantito dalla Costituzione (art. 53). 

Nessun dubbio, quindi, che quando non si tratti di contestare la 
legittimit� dell'imposizione di un tributo (solve et repete) non contrasti 
con la Costituzione il condizionare l'esercizio del diritto del cittadino 
alla tutela giurisdizionale, all'adempimento del suo dovere di 
contribuente. 

Quest'ultima considerazione vale anche a dimostrare come non 
abbiano fondamento i dubbi �circa l'esattezza della valutazione, nell'applicazione 
concreta, da parte di questa Corte, di taluni principi da essa 
stessa affermati, che affiorano nell'ordinanza di rinvio.. 

La prima delle sollevate questioni �, pertanto, infondata. 

B) In ordine alla seconda questione si rileva: 

L'art. 101 della Costituzione nello statuire che �i giudici sono soggetti 
soltanto alla legge� ha voluto garantire l'indipendenza dei giudici 
nell'esercizio delle loro delicate funzioni. 

Legge � anche quella fiscale e, quindi, anche ad essa i giudici sono 
soggetti. 

Che, se poi, dalla inosservanza di tale legge possa derivare l'assoggettamento 
del giudice a taluni sanzioni, applicate da organi del potere 
esecutivo, quali sono gli uffici finanziari, ci� non implica che i 
giudici siano assoggettati a tali organi: implica soltanto che i giudici, 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1039 

come tutti gli altri cittadini, debbono .subire quanto quella legge dispone 
nei confronti di tutti coloro che non la osservano. 
Anche questa seconda questione �, pertanto, infondata. 

4. -Infine, in ordine al giudizio instaurato con l'ordinanza della 
Corte d'appello di Bologna, si rileva: 
Con l'ordinanza di rinvio si denunzia, per �contrasto con gli artt. 3, 
24 e 113 della Costituzione, l'art. 117 della legge di registro, nella parte 
in cui vieta il rilascio di originali, copie o estratti di sentenze, �che non 
siano state registrate, senza distinguere tra la semplice tassa di sentenza 
e. la cosiddetta �tassa di titolo� imposta sul contenuto della sentenza 
stessa, nel quale si ravvisi l'enunciazione della esigenza di un 
negozio giuridico, soggetto a registrazione, quando il rifascio della copia 
della sentenza sia richiesto per contestare in giudizio la legittimit� deria 
imposizione della detta tassa di titolo. 

La questione � fondata. 

In questo .caso, infatti, la sentenza costituisce la base dell'accertamento 
fi.scale la cui legittimit� viene contestata in giudizio e, quindi, 
costituisce l'oggetto del giudizio stesso. 

Il condizionare il rilascio della .copia di tale sentenza al pagamento 
della tassa, contro l'imposizione della quale si intende a,gire in �giudizio 
si traduce in una vera. applicazione de�a regola del salve et repete 
gi� dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 21 del 
1961. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 158 -Pres. Branca -
Rel. Oggioni -Commissario dello Stato per la Regione Siciliana 
(Sost. avv. gen. dello Stato Savarese) c. Presidente Regione Siciliana 
(avv. Maniscalco-Basile). 

Sicilia -Legge regionale a favore dei borsisti frequentatori dell'Istituto 
del restauro -Preferenza assoluta nell'impiego ~ lllegittitimit� 
costituzionale -Mancata indicazione della copertura finanziaria 
-Esclusione. 

(Cost.. artt. 3, 120, 81; 1. reg. 17 luglio 1969). 

� costituzionalmente iUegittimo l'art. 5 della legge' regionale siciliana 
17 luglio 1969 .,,.-la quale ha, peraltro, assolto all'obbligo della 
copertura finanziaria prescritto dall'art. 81 deUa Costituzione -nella 
parte in cui, senza valutazione del merito comparativo, accorda titolo 


1040 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

preferenziale assoluto per l'utilizzazione nel laboratorio del restauro 
in Palerm� ai soli aspiranti aventi stabile dimora nella Regione (1). 

(Omissis). -1. -L'impugnativa della legge regionale s1ciliana 17 
luglio 1969 � basata su di un duplice o~dfue di motivi. 

Un primo motivo riguarda l'attribuzione di titolo preferenziale, per 
l'esercizio di attivit� professionale presso il Laboratorio del restauro in 
Palermo, a coloro che, gi� diplomati nello Istituto centrale di Roma 
con borsa di studio triennale conferita dalla Regione, abbiano stabile 
dimora in un Comune della Sicilia (art. 5 legge predetta). Questa ultima 
condizione costituirebbe privilegio riservato ad una determinata categoria 
di persone, contrastante con il principio della generale parit� di 
trattamento ed in particolare �con l'esigenza che tutti i cittadini possano 
acced,ere in qualunque parte del territorio nazionale per e.sercitarvi 
professione, impiego o lavoro (artt. 3 e 120 della Costituzione). 

Col .secondo motivo, si assume che l'art. 6 della legge conterrebbe, 
per quanto riguarda lo stanziamento di spese occorrenti per finanziare 
le borse di studio, un rinvio al bilancio preventivo 1969, privo della 
necessaria 'Specificazione di mezzi garantiti, richiesta dall'art. 81, quarto 
comma, della Costituzione. 

2. -In merito al primo motivo, la Corte osserva che l'attribuzione 
di preferenza assoluta ai residenti nella Regione, gi� beneficiari di borse 
di studio, a~piranti ad una collocazione lavorativa .presso il Laboratorio 
del restauro (ufficio pubblico, dipendente dalla Sovraintendenza) importa 
una illegittima restrizione all'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti 
sia dall'art. 51 della Costituzione .sia, nel particolare ambito regionale, 
dal successivo art. 120. 
Non �, di per s�, anomalo che, per la selezione degli aspiranti, sia 
riconosciuto titolo preferenziale al diploma �conseguito presso la scuola 
annessa all'Istituto centrale del restauro: il che verrebbe ad assicurare 
il poss.esso dei migliori requisiti attitudinali, oggettivamente considerati, 
n� sarebbe irrazionale che, a parit� di altri titoli, sa preferito chi risieda 
in Sicilia. Ma altrettanto non � per l'esclusivit� riservata ai diplomati, 
che abbiano fruito della borsa di studio, solo in quanto, con riferimento 
all'art. 1 della legge, risultino residenti in Sicilia. 

(1) La sentenza ha parzialmente accolto il ricorso al Commissario dello 
Stato, per la violazione della libert� di stabilimento garantito a tutti i 
cittadini dell'art. 120 della Costituzione. 
Al proposito le sentenze della Corte richiamate in motivazione 8 giugno 
1963, n. 86 e 16 febbraio 1963, n. 12, si leggono, rispettivamente, in 
Giur. it., 1963, I, 1, 1050 e 703. , 

Sull'interpretazione dell'art. 81 della Costituzi�ne, oltre alle sentenze 
richiamate nel testo, cfr. la sentenza 6 febbraio 1969, n. 8, in questa Rassegna, 
1969, 16. 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1041 

L'elemento residenza viene qui ad assumere un valore condizionante, 
con l'effetto di �conferire ad esso, in ogni .caso, la priorit� su ogni altra 
valutazione comparativa di merito. 

Il � titolo preferenziale � che ne deriva si risolve cos� in ;privilegio 
a�ccordato, con precedenza as:Soluta, ai residenti in quanto tali, con menomazione 
delle legittime aspettative che, sul piano nazionale, possano 
competere ad altri candidati. 

Non � dubbio che in questo senso debba essere considerato l'art. 5 
della legge che, nella sua formula espressa in unica direzione, non consente 
meno rigida interpretazione. T.anto pi� se lo :Si �confronti con l'art. 2 
dove, sia pure ad altri effetti, il caso di pi� candidati all'ammissione al 
corso d'insegnamento, che siano classificati a pari merito, � invero preso 
in considerazione e risolto, mediante un criterio di prevalenza basato 
solo sul migliore risultato negli esami precedenti. 

La giurisprudenza di questa Corte, nel segnare i limiti del potere 
del legislatore regionale di provvedere nella materia indicata dall'art. 120 
della Costituzione in relazione con l'art. 51 ha statuito che detti limiti 
non possono essere superati ove, senza necessit�, mediante discipline 
differenziate, venga intaccato il principio fondamentale di uguaglianza 
di tutti i cittadini nella unit� del territorio nazionale. Possono bens� 
darsi discriminazioni, ma debbono corrispondere a situazioni diversificate, 
connesse con l'esistenza di particolari e razionali motivi di pi� idonea 
organizzazione di servizi (sentenze n. 15 del 1960; n. 13 del 1961: n. 12 e 

n. 
86 del 1963). 
Nel caso in esame, l'eccezione al principio di parit� non � razionalmente 
giustificabile. 
Si contra;ppongono motivi soltanto utilitari che avrebbero ispirato 
la norma: garantire, cio�, la continuit� del 'servizio da parte di chi, 
localizzato nell'isola, � presumibile che intenda permanervi. Ma sotto 
il profilo della legittimit� costituzionale, non � razionale e quindi � 
illegittimo, subordinare un principio generale a motivi descritti come 
meramente pratici. Soprattutto, non � razionale n� corrisponde propriamente 
al fine di una migliore organizzazione del servizio, che sia data 
prevalenza assoluta, in materia di assunzioni impiegatizie, a situazioni 
estrinseche di residenza su istituazioni intrinseche di merito. E ci� senza 
quei contemperamenti equilibratori, che servano a conciliare il rispetto 
di principii intangibili con determinate opportunit� contingenti. 

In conseguenza, secondo gli esposti motivi deve essere dichiarata 
l'illegittimit� dell'art. 5 della legge impugnata, nella parte in cui, escludendo 
la possibUit� di valutazione del merito comparativo, concede un 
aprioristico titolo preferenziale ai soli residenti in sede regionale. 

3. -Col secondo motivo d'impugnazione, si prospetta una questione 
autonoma dalla .precedente e relativa ai mezzi di finanziamento per l'attribuzione 
delle borse di studio, mezzi che �s� assumono indicati in modo 

1042 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

difforme da quanto prescritto nell'art. 81, terzo e quarto comma, della 
Costituzione. 
L'impugnativa non � fondata. 

� vero che l'indicazione della fonte e del modo di reperimento dei 
mezzi finanziari occorrenti per sostenere nuove o maggiori spese pubbliche, 
deve essere contenuta non nella legge formale di approvazione del 
bilancio ma nella legge sostanziale istitutiva dei servizi da cui dette spese 
derivano (art. 81, terzo e quarto �comma, della Costituzione estensibile, 
com'� pacifi.co, anche al legislatore regionale). 

;� vero altresi che la legge sostanziale non deve limitarsi ad indicare 
genericamente i mezzi di copertura di nuove e maggiori spese, rinviandone 
la loro iscrizione nei successivi stati di previsione delle spese, e, 
quindi, basandosi su futuri ceispiti di entrata incerti ed eventuali: ma 
occorre che sia la stessa legge che prevede la spesa ad indicare i mezzi 
preesistenti per farvi fronte (sentenze n. 16 e 31 de.I 1961; n. 1 del 1966; 

n. 47-49 del 1967; n. 17 del 1968). Peraltro, nel caso in esame, la legge 
sostanziale del 1969 ha disposto (art. 6) che il prelievo della somma necessaria 
per attuarne i fini, debba essere effettuato dagli stanziamenti 
compresi nel capitolo 10833 del bilancio, cio� dagli stanziamenti de~ 
fondo speciale riguardante .gli oneri per � provvedimenti legislativi in 
corso�. 
Non v'�, quindi, un mero rinvio ad ancora incerte previsioni future, 
ma ad uno stanziamento gi� concretamente disposto per provvedere in 
genere a provvedimenti legislativi in elaborazione, nella quale categoria, 
in forza della sopraggiunta legge impugnata, � venuto ad inserirsi lo 
specifico stanziamento in esame, che rappresenta uno stanziamento di 
trenta milioni nel quadro globale di oltre quattro miliardi, riservati ai 
predetti scopi. Il quale stanziamento va r�ferito ad un impegno di spesa 
che, nel particolare caso in esame, offre e deve offrire, per conseguire 
gil effetti che il legislatore regionale si � proposto, garanzia di continuit� 
della erogazione, per sua natura di durata poliennale (tre anni di concessione 
per ciascun borsista, nello spazio di dieci anni). 

Non vale contestare quanto sopra col rilievo che, nell'elenco alle.
gato alla legge di bilancio, non � compreso il provvedimento contenuto 
nella legge ,sostanziale in esame. L'elenco, appunto perch� si riferisce 
ad una situazione legislativa ancora fluida e in via di definizione, non 
ha e non pu� avere, nel momento in cui � stato compilato, che un valore 
indicativo, ancora suscettibile di integrazioni o sostituzioni e non vincolante 
in senso assoluto. 

L'obbligo imposto al legi.slatore dell'art. 81, quarto comma, risulta, 
pertanto, osservato nel particolare caso, in cui l'intero;impegno di spesa 
trova totale copertura nella cifra come sopra stanziata in bilancio. (
Omissis). 

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PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1043 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1969, n. 159 -Pres. Branca -
Rel. Benedetti -Nocera ed altri (n.c.) c. Presidente Consiglio dei 
Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Tracanna). 

Edilizia popola~e ed economica -Procedimento sugli sfratti per mo


rosit� -Termine per l'opposizione all'ingiunzione -Violazione 

del diritto di difesa -Illegittimit� costituzionale parziale. 

(Cost. art. 3, 24; t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 32). 

L'art. 32 del t.u. sull'edilizia popolare ed economica 28 aprile 1938, 

n. 1165, non contrasta con il principio di eguaglianza e del diritto di 
dif�sa nella parte in cui unifica le procedure� di sfratto e di ingiunzione 
di pagamento degli inquilini morosi; contrasta con de�tti principi nelle 
parti in cui, per il pagamento dei canoni scaduti e per l'opposizione 
al decreto ingiuntivo, fissa termini diversi da quelli previsti dal Codice 
di procedura civile per l'oT'dinario procedimento ingiuntivo (1). 
(Omissis). -3. -Venendo all'esame dei rilievi formulati la Corte 
non ravvisa alcun contrasto tra gli artt. 3 e 24 della Costituzione e le 
disposizioni riguardanti l'unificazione delle procedure di ingiunzione di 
pagamento e di sfratto e la conseguente mancanza di una ordinanza 
di convalida. Tali particolarit� infatti, tendendo ad assicurare all'Istituto 
una procedura pi� rapida per il recupero dei canoni scaduti e per 
il rilas�io dell'alloggio da parte dell'inquilino inadempiente, si giustificano 
con la necessit� di garantire il perseguimento degli scopi di 
pubblico interesse dell'Istituto e non comportano alcuna menomazione 
dei diritti di difesa e di tutela giurisdizionale del soggetto privato. 

� agevole dimostrare che non sussiste l'asserita identit� di situazione 
tra l'inquilino di una privata abitazione ed il concessionario di 
un alloggio popolare sul piano del rapporto locativo che li lega ai 
rispettivi proprietari dell'immobile. Nel primo caso ci si trova in presenza 
di un proprietario privato che dall'investimento di un capitale 
nell:acquisto di una casa e dalla locazione della stessa si propone di 
realizzare un profitto come corrispettivo del capitale impiegato, sicch� 
il rapporto che si stahilisce con l'inquilino � di natura esclusivamente 

(1) La questione era stata proposta con ordinanza 7 novembre 1967 
del Conciliatore di Napoli (Gazzetta Ufficiale 18 maggio 1968 n. 127) e 
con altre ordinanze di giudici di merito. 
In dottrina, sul rapporto fra Istituti ed assegnatari degli alloggi, cfr. 
Visco, Valore giU1�idico del contratto di locazione per gli assegnatari degli 
alloggi dell'Istituto case popolari, Nuqvo diritto, 1966, 841; CAVALLO, Figure 
soggettive nell'assegnazione in propriet� di alloggi popolari ed elC'Onomici, 
Riv. giur. edil., 1966, I, 1548. 



1044 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

privatistica. Nel secondo caso, invece, proprietario dell'alloggio concesso 
in uso � un ente pubblico creato dallo Stato� per il soddisfacimento di 
un proprio fine che si identifica con l'interesse e l'obbligo sociale di 
costruire appartamenti economici da porre a disposizione delle categorie 
di cittadini meno abbienti e pi� b[sognosi. I canoni da questi corrisposti, 
determinati dagli Istituti in base a precisi requisit fissati dall'art. 21 
del t.u., sono pi� modesti di quelli correnti sul mercato e non equiparabili 
alla controprestazione in senso privatistico dato che esula dagli 
Istituti in questione ogni finalit� speculativa o di lucro. Ovviamente 
la natura pubblicistica sia degli enti che della funzione dai medesimi 
esplicata si ripercuote sul rapporto che si instaura tra l'Istituto e l'assegnatario 
allorch� l'alloggio del primo viene concesso in uso al secondo, 
rappo�rto che, secondo la dominante giurisprudenza, trae origine da un 
atto di assegnazione avente il carattere della concessione amministrativa 
sebbene dalla stessa scaturiscano poi diritti soggettivi a favore 
del privato. 

Dal concorso degli indicati elementi � quindi agevole inferire che 
il rapporto intercedente tra Istituti per le case popolari ed assegnatari 
degli alloggi presenta peculiarit� e caratteristiche proprie, non riscontrabili 
nel comune rapporto di locazione, onde una diversa disciplina 
dello sfratto per morosit� appare obbiettivamente possibile e razionalmente 
giustificabile. 

4. -Non altrettanto pu� di�rsi in ordine ai termini fissati dall'art. 32 
del t.u. per l'opposizione al decreto ingiuntivo (5 giorni) e per il pagamento 
dei canoni scaduti (10 giorni), termini notevolmente pi� brevi 
di quelli stabiliti dall'art. 641 del codice di rito per l'ordinario procedimento 
di ingiunzione. 
La Corte ha gi� avuto occasione di affermare che la congruit� di 
un termine deve essere valutata tanto in rapporto all'interesse del 
soggetto che ha l'onere di compiere un certo atto per salvaguardare i 
propri diritti, quanto in relazione alla funzione assegnata all'istituto 
nel sistema dell'intero ordinamento giuridico. Ha tuttavia precisato che 
il diritto di difesa, al pari di ogni altro diritto garantito dalla Costituzione, 
deve essere regolato in modo da assicurarne la effettivit�. 
Orbene, facendo applicazio:ne di tali enunciazioni al caso di specie, � 
da rilevare che se � vero che le finalit� sociali cui attendono gli Istituti 
per le case popolari valgono a legittimare un procedimento coattivo 
di pi� rapida definizione, non � men vero che i termini assegnati dalla 
norma denunciata per l'eventuale opposizione e per sanare la mora 
sono cos� ristretti da rendere estremamente difficile la possibilit� per 
l'assegnatario dell'alloggio di approntare un'utile difesa. Insufficienza 
di termini che apparr� ancor pi� evidente ove si ponga mente sia alla 
circostanza che destinatari degli stessi sono soggetti la cui tutela, in 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 1045 

considerazione delle loro modeste possibilit� economiche, potr� rendere 
necessario il ricorso all'istituto del gratuito patrocinio; sia all'estrema 
gravit� della conseguenza che discende dal loro inutile decorso -e 
che non pu� essere in nessun caso evitata non essendo prevista l'opposizione 
tardiva -e cio� la perdita dell'abitazione. 

Va pertanto dichiarata l'incostituzionalit� della norma impugnata 
limitatamente a quelle parti in cui per l'opposizione e per l'adempimento 
fissa gli anzidetti inadeguati termini in luogo di quelli stabiliti 
dall'art. 641 del codice di procedura civile per il comune procedimento 
ingiuntivo. -(Omissis). 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 giugno 1969, n. 2289 -Pres. 
Scarpello -Est. Aliotta -P. M. Tavolaro I. (conf.) -Assessorato 
Turiismo Regione Siciliana (avv. Stato Conti) c. Soc. S.A.I.A. (avv. 
Sorrentino e Pensovecchio). 

Competenza e giurisdizione -Tariffe dei servizi pubblici di trasporto 

in concessione -Poteri dell'Amministrazione. 

(d.lgt. 16 aprile 1948, n. 539, art. 1). 

Competenza e giurisdizione -Provvedimento di revoca -Lesione di 
diritti soggettivi -Insussistenza. 

(1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 2). 
La determinazione delle tariffe dei servizi pubblici di trasporto in 
concessione, in virt� deU'art. 1 del d.lgt. 16 aprile 1948, n. 539, costituisce 
espressione di un potere eminentemente discrezionale, che spetta 
al Ministero dei Trasporti (e, neWambito della Sicilia, all'Amministrazione 
regionale), non gi� nella sua eventuale veste di Amministrazione 
concedente, ma quale autorit� cui � devoluta la regolamentazione dei 
prezzi nell'interesse della collettivit� (1). 

Le revoca, in qualunque forma esercitata, pur costituendo, per il 
suo carattere negativo.. un atto di natura giuridica diversa da quello 
sul quale opera, tuttavia, implicando il riesame della stessa situazione 
giuridica che dette luogo all'emanazione deLl'atto revocato, � estrinsecazione 
di uno stesso potere e pone quindi l'Amministrazione che lo 
esercita, di fronte al privato, nella stessa posizione giuridica esistente 
al momento in cui fu emanato il provvedimento oggetto dell'autotutela. 
Se, dunque, la situazione presistente era di interesse legittimo, essa permane 
tale anche all'atto dell'esercizio del potere di revoca (2). 

(1-4) Annullamento di un provvedimento di revoca e preteso risarcimento 
dei ,danni. 
(1-4) Il caso deciso dalla sentenza delle Sezioni Unite riproponeva la 
questione se il privato che abbia ottenuto l'annullamento giurisdizionale 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1047 

Pertanto, la revoca o la sospensione di un aumento tariffario precedentemente 
accordato al concessionario non determina la lesione di 
alcun diritto soggettivo, che non pu� sussistere nei confronti dell'Amministrazione, 
titolare del potere di 1�egolamentazione dei prezzi e del 
relativo potere di revoca (3). 

� improponibile la domanda di risarcimento dei danni derivanti 
da lesione di interessi legittimi (4). 

(Omissis). -Con decreto n. 1304 del 23 ,giugno 1961 l'Assessorato 
del turismo, comunicazioni e trasporti della Regione Siciliana autorizzava 
la Societ� per azioni Industria Autobus (S.A.I.A.), concessionaria 
della gestione della rete di autolinee urbane di Palermo, ad elevare in 
determinate misure le tariffe sino ad allora praticate. Gli aumenti cominciarono 
ad avere attuazione a :partire dal 3 luglio 1961. Con successivo 
provvedimento in data 27 stesso mese deliber� di sospendere l'applicazione 
delle nuove tariffe e la Societ� diede esecuzione a tale provvedimento 
a partire dal 2 settembre 1961. 

A seguito di ricorso della S.A.I.A., il Consiglio di Giustizia Ammi~ 
nistrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, con ordinanza 
28 settembre 1961, sospese la esecuzione del provvedimento im


di un provvedimento amminiistrativo possa per ci� solo considerarsi legittimato 
a proporre dinanzi al giudice ordinario una domanda di risarcimento 
del danno inerente agli effetti spiegati dall'atto annullato. 

La risposta della Corte Suprema � stata ancora una volta -e non 
poteva non essere -negativa, poich� il ritenere la pronunzia di annullamento 
del giudice amministrativo un titolo di per s� sufficiente a fondare 
l'azione di danno significherebbe accettare il principio della risarcibilit� 
della lesione dell'interesse legittimo. 

Salvo i casi di giurisdizione esclusiva, il giudicato amministrativo non 
pu� realizzare altra situazione giuridica soggettiva che non sia l'interesse 
legittimo; di �questo solo pu� affermare la concreta esistenza e accertarne 
l'offesa. Ne segue quindi che se la volont� di legge dichiarata nella decisione 
del giudice amministrativo viene posta come causa petendi dell'azione 
di danno, a questa non si fornisce altra base che non sia la lesione dell'interesse 
legittimo. Tanto la giurisprudenza quanto la prevalente dottrina 
sono ben ferme nel sostenere la irrisarcibilit� di questa lesione (1), che 
si spiega prima ancora che con ragioni estrinseche inerenti alla 'l'ipartizione 
delle potest� giurisdizionali, con la stessa struttura intima dell'interesse 
legittimo. Deve dirsi anzi che i pi� recenti studi tesi a dare una visione 

(1) Auss1, La responsabilitd della P. A., Giuffre, 1955, p. 79; SANDULLI, Manuale 
di Diritto amministrativo, Jovene, 1969, p. 672; CASETTA, L'illecito degli Enti Pubblici, 
1953, p. 3 e seg.; Gu1ccIARDI, La Giustizia amministrativa, Cedam, 1954, pp. 27 e 456; 
G. V1GNoccHI, La risarcibilitd dei danni derivati da lesioni di interessi legittimi, 
Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1963, 565; Cass. 31 ottobre 1958, n. 3S86, Riv. Dir. proc., 
1960, 304; Cass. 18 giugno 1959, n. 1918, Giust. civ. 1960, I 570; Cass. 2.3 ottobre l!J61, 
n. 2348, Foro it., 1962, I, 53. 

1048 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pugnato e quindi la S.A.I.A., a partire dal 16 ottobre 1:961, riprese ad 
applicare le tariffe maggiorate con il precedente decreto. Successivamente, 
con altro decreto in data 19 aprile 1962, l'Assessorato revoc� il 
provvedimento di sospensione delle nuove tariffe, che fu poi annullato 
con decisione 8 febbraio 1964 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa. 

A seguito di che, con atto 3 aprile 1964, la S.A.I.A., premesso quanto 
sopra, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo l'Assessorato 
.per sentirlo condannare al risardmento dei danni, nella misura 
di L. 69.641.680, causatale dall'illegittimo provvedimento di sospensione 
delle nuove tariffe maggiorate per il periodo in cui queste non 
avevano potuto avere applicazione. 

Costituito in giudizio, l'Assessorato eccepiva anzitutto, tra l'altro, 
il difetto di ,giurisdizione dell'Autorit� Giudiziaria a conoscere della 
controversia, non sussistendo un diritto soggettivo della Societ� attrice 
di fronte all'ampia discrezionalit� attribuita alla pubblica Amministrazione 
per la determinazione delle tariffe relative ai pubbliei servizi 
di trasporto. A seguito dell'espletamento di una consulenza tecnica, il 
Tribunale, con sentenza 3 maggio 1966, disattesa la eccezione di difetto 
di giurisdizione, accolse in quanto di ragione la domanda, condannando 
l'Assessorato a .�pagare alla S.A.I.A., a titolo di danni, la somma di 

L. 33.189.110, oltre accessori. A seguito di gravami, �principale della 
S.A.I.A. e incidentale dell'Assessorato, la Corte di Appello di Palermo, 
pi� chiara e rigorosa di questa figura, hanno contribuito ad avvalorare 
la tesi della irrisarcibilit� della sua lesione. 

La situazione soggettiva interesse legittimo �. uno dei termini del rapporto 
che si instaura tra <privato e P. A. ad essa facendo riscontro il potere 
autoritativo spettante a quest'ultima. Delle due situazioni correlate potest�interesse' 
legittimo solo la prima ha un valore sostanziale nel senso che al 
suo titolare � dato di agire in modo da realizzare l'interesse che lo anima, 
laddove la seconda ha una portata meramente strumentale trovando essa 
soddisfazione solo mediante l'attuazione del potere (2). 

L'utilit� garantita dall'interesse legittimo � infatti quella che si ottiene, 
non gi� con la esplicazione di una facultas agendi come � per il 
diritto soggettivo, ma solo grazie all'attivit� dell'Amministrazione di corretto 
esercizio del potere, attivit� che non rappresenta poi l'adempimento 
di un obbligo ma l'assolvimento della funzione cui si collega il potere 
esercitato. 

Intervenuto l'annullamento giurisdizionale dell'atto in funzione di tu


tela dell'interesse legittimo leso dall'illegittimo esercizio del potere, la 

piena attuazione della situazione giuridica del privato non pu� non restare 

ancora affidata -come era prima della lesione -alla esplicazione di una 

attivit� amministrativa e precisamente a quella che il soggetto pubbilco 

� tenuto a porre in essere, per dovere di ottemperanza al giudicato, sempre 

(2) M. S. �GIANNINI, Discorso Generale sulla Giustizia Amministrativa, II, Riv. 
�ir. proc., 1964, p. 31; NICOL�, Istituzioni di diritto privato, Giuf'fr� 1962, p. 55 e seg. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1049 

eon sentenza 15 giugno 1967, in parziale riforma di quella del Tribunale-, 
aumentava la misura della somma liquidata a titolo di risarcimento 
dei danni a L. 41.486.386, oltre accessori. 

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Assessorato, 
deducendo due rriezzi di annullamento; resiste con controricorso 
la S.A.I.A.; entrambi hanno presentato memoria. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo il l'licorrente Assessorato, denunziando la violazione 
dell'art_. 2 legge 20 marzo 1865, ali. E, sul contenzioso amministrativo, 
sostiene che erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto 
che il provvedimento con il quale esso Assessorato aveva autorizzato 
l'aumento delle tariffe avesse fatto sorgere anche nei suoi confronti e a 
favore della societ� concessionaria un diritto soggettivo all'applicazione 
delle nuove tariffe, diritto che sarebbe stato leso dal 1successivo provvedimento 
di sospensione, a seguito dell'annullamento del quale, ripristinato 
in pieno il diritto soggettivo, illegittimamente affievolito, conseguiva 
in favore della S.A.I.A. il diritto al relativo risarcimento del 
danno; invece il diritto all'applicazione delle nuove tariffe sussisteva 
soltanto nei �confronti dei privati utenti ma non anche nei confronti di 
esso Assessorato, che, nell'autorizzare l'aumento e nel sospendere sue-

comunque in vista della soddisfazione del pubblico interesse (3). Ci� non 
solo attua, ma altresi esaurisce la tutela giuridica inerente alla situazione 
interesse legittimo, se per definizione al titolare di questa non compete 
altro bene della vita che non sia quello offertogli dal corretto assolvimento 
della funzione amministrativa. 

Non contraddicono questo principio fondamentale quei casi in cui la 
giurisprudenza sembra aver ammesso la proponibilit� di una azione di 
danno dinnanzi all'A.G.O. contro la P.A. in connessione con un precedente 
annullamento giurisdizionale di atto amministrativo. 

� infatti concepibile che il giudicato amministrativo di annullamento 
si presenti come presupposto necessario per la esperibilit� di una azione 
di danno contro la P. A. 

Ammettere ci� non significa peraltro concepire una prosecuzione di 
tutela dell'interesse legittimo nelle forme esclusivamente proprie del diritto 
soggettivo, purch� �Si tenga ben ferma la necessit� che venga ad essere 
mutata non soltanto la forma della tutela giurisdizionale invocata, ma 
anche e soprattutto la ragione sostanziale della tutela stessa. Occorre in 
altri termini che si trascorra dalla !relazione potest�-interesse legittimo, 
che aveva improntato la controversia amminist.rativa, ad un rapporto diritto 
soggettivo-obbligo la cui attuale vigenza e l'esigenza della sua realizzazione 
si ponga come conseguenza della eliminazione retroattiva degli 
-effetti dell'atto amministrativo. ' 

(3) BENVENUTI, Il giudicato amministrativo, E. D. p. 910 e seg. 
i 

1 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cessivamente tale provvedimento, non aveva agito quale organo dell'ente 
che aveva concesso alla S.A.I.A. la gestione del pubblico servizio 
di trasporto, ma quale organo titolare del potere di regolamentazione 
delle tariffe dei pubblici servizi di trasporto, gi� in precedenza attribuito 
al Ministero dei Trasporti, trasferito poi alla Regione Siciliana 
in conseguenza di decentramento operato con d.P.R. 17 dicembre 1953, 

n. 1113; che comunque esso Assessorato, anche dopo la emanazione del 
provvedimento con il quale aveva autorizzato l'aumento delle tariffe, 
poteva legittimamente esercitare il relativo potere di autotutela, mediante 
annullamento, revoca o sospensione dello stesso; non preesistendo, 
quindi, al provvedimento di sospensione una situazione di diritto soggettivo, 
ma soltanto di interesse legittimo, non era proponibile nei confronti 
di esso Assessorato per violazione dello stesso un'azione diretta 
a conseguir-e il risarcimento dei danni. 
La censura, che ha natura assorbente, � fondata. Per una chiara 
impostazione della delicata qu�stione occorr.e prendere le mosse dal-
l'atto originario di concessione, con il quale furono stabiliti i prezzi del 
pubblico servizio di trasporti in questione; successivamente la S.A.I.A. 
si rivolse all'Assessorato del turismo, �commercio e trasporti della Re-

Prosecuzione di tutela quindi solo sotto un profilo di semplice conseguenzialit� 
nel senso che il giudicato amministrativo era� mezzo necessario 
per rimettere in vigore e rendere operante una posizione di diritto soggettivo 
che esige ora la sua piena realizzazione anche nella forma risarcitoria 
a causa dell'ostacolo frapposto al suo esercizio dalla forza degradatrice 
dell'atto annullato. 

� questa per� una evenienza che la giurisprudenza ( 4) ha registrato 
solo in relazione ad una ben definita classe di provvedimenti che la sistematica 
definisce atti ablatori. 

In questi atti si assiste aUa vicenda per cui di fronte al potere della 

P. A. sta un diritto soggettivo perfetto nel .senso che la garanzia fornita. 
al privato dalla norma in ordine al godimento di un bene della vita � 
valida ed effettiva anche nei confronti della P. A. Il potere autoritativo 
di estinguere quel diritto trova la sua ragione di essere non gi� nella irrilevanza 
del diritto stesso verso l'Amministrazione, ma nella incompatibilit� 
tra la permanenza della situazione giuridica privata e la soddisfazione 
di un pubblico interesse. 
A ci� fa riscontro il particolare contenuto dell'interesse legittimo che 
si collega al provvedimento ablatorio; ad esso � generalmente riconosciuta 
una posizione di strumentalit� rispetto al diritto che � esposto al� potere 
di affievolimento. Nella sequenza del procedimento ablatorio l'interesse 
legittimo opera dal momento in cui si rende concreta ed effettiva la sog


(4) Cass. 13 ottobre 1955, n. 3124, Giust. civ., 1956, I, 21 Cass. 15 aprile 1958,. 
n. 1217, Foro it., 1958, I, 677; Cass. 30 gennaio 1967, n. 250, Foro amm., 1967, I. 
1, 316; Cass. Sez. Un., 12 aprile 1965, n. 657, Foro it., 1965, I, 1211; Cass. Sez: Un., 
17 maggio 1968, n. 1544, in Foro it., 1968, I, 2443. Sul punto anche ALESSI, op. cit.~ 
p. 82. 

PARTE I1 SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1051 

gione Siciliana, chiedendo un aumento del prezzo delle tariffe, che fu 
autorizzato. Nell'emettere il relativo provvedimento, di natura eminentemente 
discrezionale, l'Assessorato non agi quale organo dell'ente concedente, 
parte nel relativo rapporto di concessione, ma quale organo 
che, nell'ambito della Regione Siciliana, esercitava quel potere di regolamentazione 
dei prezzi dei pubblici servizi di trasporto in concessione, 
normalmente attribuito al Ministero dei Trasporti o ad altri enti 
od organi periferici per effetto di decentramento istituzionale o organico; 
per ,cui la �convergenza nell'Assessorato della qualit� di organo 
dell'ente concedente e di organo al quale era devoluta la regolamentazione 
dei prezzi dei pubblici servizi di trasporto lin concessione nell'ambito 
della Regione Siciliana fu dovuto soltanto ad una situazione 
determinatasi in virt� delle varie disposizioni successivamente emanate 
in materia. Infatti, in base all'art. 4 del d.1.1. 19 ottobre 1944, nu-� 
mero 347, era attribuito al Comitato interministeriale dei prezzi (C.I.P.) 
il potere di � determinare i prezzi di qualsiasi merce... nonch� i prezzi 
dei servizi e delle prestazioni, di modificare, se del caso, quelli gi� fissati 
dalle competenti autorit� �. Successivamente, con l'art. 1 d.lgt. 16 
aprile 1948, n. 539, le attribuzioni e le facolt� riconosciute al C.I.P. 

gezione del diritto al potere dell'Amministrazione; e opera non gi� in 
surrogazione del diritto bensi in funzione della sua conservazione o ripristinazione 
(5). ' 

Questo stretto nesso di strumentalit� tra l'interesse legittimo e il diritto 
soggettivo spiega il perch� dopo il giudicato di annullamento del 
provvedimento ablatorio possa risultare priva di valore pratico e quindi 
irrilevante una ulteriore realizzazione dell'interesse legittimo attraverso 
l'attivit� amministrativa di ottemperanza. 

In realt� l'interesse legittimo ha esaurito la sua funzione con l'ottenere 
la ripristinazione del diritto illegittimamente affievolito ed' ora il privato 
ha solo interesse ad ottenere dinanzi all'A.G.O. la riparazione per l'inerzia 
cui il diritto � stato costretto dalla efficacia compressiva dell'atto annullato. 

Un caso tipico � quello del proprietario che, ottenuto l'annullamento 
del decreto di espropriazione, agisce in giudizio per conseguire il risarcimento 
sostitutivo della restituzione del bene resa impossibile dalla intervenuta 
destinazione di esso ad opera pubblica.. 

La sentenza in rassegna ha il pregio di chiarire la radicale differenza 
che esiste tra il provvedimento ablatorio vero e proprio e l'atto con cui 
l'Amministrazione, revocando un suo provvedimento, toglie al privato una 
utilit� gi� attribuitagli con l'atto revocato. Ci� col risultato di escludere 
che in questo secondo caso sia proponibile un'azione di danno in base alla 
situazione giuridica creata dall'annullamento dell'atto di revoca e diretta 
a conseguire in via risarcitoria quei vantaggi economici che la perdurante 
efficacia dell'atto revocato avrebbe assicurato. 

A questa esatta conclusione la Corte � pervenuta grazie a una chiara 

(5) M. s. GIANNINI, Discorso gen., cit. p. 39; SANDULLI, op. cit., p. fl8 e seg. 

1052 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO S'.1'ATO 

furono devolute, per quanto concerne le tariffe dei pubblici serv1z1 m 
concessione, al Ministero dei Trasporti. Questi poteri furono quindi decentrati, 
a norma del d.P.R. 17 dicembre 1953, n. 1113, nell'ambito del 
territorio della Regione Siciliana, all'Amministrazione regionale. Dalle 
citate disposizioni si desume che, dopo la stipula dell'atto di concessione, 
l'unica fonte normativa di determinazione delle tariffe dei trasporti in 
concessione era l'Assessorato del turismo, del commercio e dei trasporti 
della Regione Siciliana, ;:tl quale del resto si rivolse la stessa S.A.I.A. 
per ottenere l'autorizzazione all'aumento delle tariffe; la determinazione 
dell'Assessorato circa l'importo delle .tariffe s'inserisce per altro nel 
rapp�rto di concessione, assumendo il carattere di clausola autoritariamente 
imposta. In conseguenza della natura eminentemente discrezionale 
del relativo potere attribuito all'Assessorato, che lo esercita nell'interesse 
pubblico per il buon andamento del servizio, nessun diritto 
soggettivo pu� riconoscersi al concessionario a conseguire un eventuale 
aumento delle tariffe ma soltanto un interesse legittimo. 

Nella specie l'Assessorato, dopo avere autorizzato la S.A.I.A. ad aumentare 
le tariffe, con successivo provvedimento sospese l'applicazione 
delle nuove tariffe. Tale ultimo .provvedimento fu dapprima sospeso e 
quindi annullato, a seguito di ricorso della �concessionaria societ�, dal 

visione della relazione intercorrente tra potere di revoca e diritti soggettivi 
del privato sorgenti dall'atto da revocare. 

� frequente l'affermazione che la revocabilit� del provvedimento incontra 
un limite insuperabile nell'esistenza di di'I'itti che abbiano la loro 
fonte nell'atto da revocare. Se ci� si intende nel senso che la presenza o 
meno della facolt� di revoca in capo all'Amministrazione� vada di volta 
in volta accertata rilevando se il provvedimento abbia creato a favore del 
privato una situazione avente la struttura e la consistenza di diritto soggettivo, 
l'enunciazione sembra senz'altro inesatta. 

La facolt� dell'Amministrazione di ;rivedere i propri atti viziati da 
inopportunit� e di eliminarne gli effetti trova la sua giustificazione nel 
fatto che l'organo pubblico, provvedendo su un certo oggetto, come non 
esaurisce in relazione ad esso la propria funzione di cura dell'interesse 
pubblico, cos� conserva i relativi poteri che, per assicurare la permanente 
adeguatezza dell'assetto giuridico al mutare delle circostanze, sono ancora 
esercitabili nella forma riparatoria del riesame dell'atto e della sua eventuale 
revoca. � invero largamente accolta l'opinione cui aderisce anche la 
sentenza in rassegna, che vede la facolt� di revoca non gi� come un autonomo 
potere di carattere generale al pari della potest� di annullamento 
d'ufficio, bens� come una esplicazione dello ,stesso specifico potere che ha 
dato vita al provvedimento primario (6). 

Perci� l'unico criterio che pare esatto per giudicare caso per caso 

della revocabilit� di un atto amministrativo sembra essere quello -del 

(6) La giurisprudenza � costante nell'esigere che la revoca venga adottata col 
rispetto delle forme e del procedimento proprio dell'atto da revocare: Cons. Stato, 
V, 21 aprile 1950, n. 489, in Rass. C. S., 1950, p. 530; VI, 23 dicembre 1952, n. 1032, 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1053 

Consiglio di Giustizia .per la Regione Siciliana, il quale motivava la 
relativa decisione, considerando che, .pur non potendosi negare .che il 
provvedimento impugnato costituisse estrinsecazione di un potere di 
autotutela effettivamente spettante all'Amministrazione �Regionale, tuttavia 
era stato esercitato in modo illegittimo, non essendo previsto in 
via generale il potere di sospendere un provvedimento gi� emesso, in 
attesa di ulteriore istruttoria. diretta a stabilire se debba procedersi o 
meno alla revoca dello stesso; dovendo invece l'Amministrazione, se ne 
ricorrono i presupposti, solo dopo l'acquisizione degli opportuni elementi 
di giudizio, emettere direttamente il provvedimento di revoca. 
In sostanza dunque il provvedimento di .sospenSione incise, quale atto di 
autotutela, sia pure illegittimamente esercitata, sull'atto amministrativo 
discrezionale con 'il quale era stato autorizzato l'aumento delle tariffe, 
che divenne temporaneame:n:'te inefficace. Orbene la revoca, in 
qualunque forma esercitata, pur costituendo per il suo carattere negativo 
un atto di natura giuridica diversa da quello sul quale opera, tuttavia, 
implicando il riesame della stessa situazione giuridica che dette 
luogo all'emanazione dell'atto revocato, � estrinsecazione di uno stesso 
potere e pone quindi l'Amministrazione �che la esercita di fronte al 
privato nella stessa posizione giuridica esistente al momento in cui fu 

resto ampiamente seguito -della permanenza o meno in capo all'Ammi


nistrazione della potest� di provvedere sulla materia che � gi� stata oggetto 

di una determinazione discrezionale� (7). 

Si tratta in sostanza di vedere se l'interesse pubblico, per la materia 

cui attiene e per il modo in cui � inteso dalla norma attributiva della 

relativa funzione, postula o meno la necessit� di una �continua verifica 

della sua soddisfazione in Telazicine all'evolversi e al mutare delle vicende 

pratiche; se la risposta � positiva, alla P. A. va senz'altro riconosciuto il 

potere di riesame e di revoca dell'atto. 

Ci� appare con la massima evidenza nella materia investita dal caso 
�deciso: il potere di fissazione autoritativa dei prezzi di beni e servizi non 

pu� evidentemente esaurirsi nel singolo provvedimento determinativo che 

rappresenta soltanto un punto di equilibrio instabile su una linea di svi


luppo di una attivit� amministrativa continuata nel tempo. Qui la identit� 

funzionale tra atto di revoca e atto revocato raggiunge forse la sua mas


sima espressione, dato .che il primo appare non altro che un nuovo PTOV


vedimento di fissazione del prezzo nella misura che era originariamente 

in vigore. 

Tali essendo la natura e i presupposti del potere di revoca, � agevole 

convincersi che non esiste una necessaria. inconciliabilit� tra la Tevocabi


Iit� dell'atto e la costituzione ad op~ra del medesimo di diritti soggettivi 

Rass. C. S., 1952, p. 1710; IV, 15 febbraio 1961, n. 103, Ross. C. s., 1961, p. 257. In 
dottrina vedi ALESSI, La revoca, in Noviss. Digesto, p, 806; S. ROMANO, Corso di Dir. 
amm. 1937, p. 288; M. S. GIANNINI, Atto amministrativo, E. D., p. 193. ' 

(7) SANDULLI, n procedimento amm., Giuffr�, 1964, p. 397 e seg.; Cons. Giust. 
Amm. Reg. Sic., 25 giugno 1966, n. 435. 

1054 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
emanato il provvedimento oggetto della autotutela. Se dunque la situazione 
preesistente era d'interesse legittimo, essa permane tale anche 
all'atto dell'esercizio del potere di revoca. 
Ci� premesso si rileva che la S.A.I.A. ha in sostanza basato la sua 
richiesta di risarcimento di danni su due tesi giuridiche; con una prima 
tesi sostiene che l'Assessorato non aveva il potere di sospendere il 
provved'imento di aumento delle tariffe; con una seconda tesi sostiene 
poi che il provvedimento di sospensione costituiva esercizio illegittimo 
del potere di autotutela; in entrambi i casi il provvedimento di sospensione 
avrebbe inciso su. una situazione di diritto soggettivo, costituita 
dal diritto acquistato, in virt� del precedente provvedimento, di applicare 
le nuove tariffe maggiorate, diritto che sussisterebbe anche nei 
confronti dell'Assessorato. Nel pr~o caso la lesione del diritto soggettivo 
sarebbe stata operata �in conseguenza dell'esercizio di un potere 
inesistente; nel secondo ca,so il diritto sog.gettivo preesistente, affievolito 
per effetto dell'illegittimo provvedimento di sospe!lsione, sarebbe� 
stato ripristinato a seguito dell'annullamento dell'atto lesivo da parte 
del giudice amministrativo. Senonch� la prima tesi � in contrasto oltre 
che con l'iter processuale seguito dalla S.A.I.A., �che ha adito direttamente 
il giudice amministrativo, mentre, se si fosse trattato di potere 
a favore di pri.vati. Infatti se la revocabilit� dell'atto � conseguenza di un 
modo di essere del potere in base al quale � emanato, V�enendo perci� ad 
esprimersi come una qualit� strutturale dell'atto stesso, essa appare entro 
una certa misura svincolata dalla natura degli effetti giuridici dell'atto, 
operando non sulla loro qualit� ma, semmai, come limite-condizionante la 
loro stabilit� e la loro durata. La piena compatibilit� delle due situazioni 
trova una conferma evidente nelle concessioni su beni demaniali che, pur 
essendo indubbiamente revocabili per assicurare la perenne conformit� all'interesse 
pubblico dell'uso del bene, conferiscono tuttavia al concessionario 
una utilit� giui"idicamente garantita secondo il paradigma del diritto 
soggettivo. 
Esiste purtuttavia una contraddizione nella coesistenza di una tutela 
piena del privato e della facolt� della P. A. di togliere ad essa ogni valore 
mediante la revoca dell'atto costitutivo del diritto; ma essa non pu� essere 
san�ta altrimenti che constatando una limitazione della rilevanza della 
tutela come diritto soggettivo ad una sfera cui resti estranea la P. A. 
�L'utilit� attribuita dal provvedimento risulta cio� garantita in modo .pieno 
e incondizionato solo nei confronti dei terzi estranei al rapporto creato 
-dall'atto, mentre nei confronti dell'Autorit� che ha el'.):lanato l'atto e ha 
potest� di revocarlo la situazione giuridica del privato deve assumere un 
con~enuto ben diverso. ? 
Se la emanazione dell'atto non impedisce la intatta permanenza del 
potere in capo all'Amministrazione che in tal modo conserva la piena 
disponibilit� degli effetti dell'atto, deve ritenersi che questo, come non ha 
modificato la posizione dell'org'ano pubblico in ordine alla materia che � t:=:: 
stata oggetto di statuizione, cos� non ha nemmeno mutato la condizione 
in cui il privato versava nei confronti della P. A. prima della emanazione ~ii:::: 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1055 

inesistente, avrebbe dovuto adire prima il giudice ordinario -con lo 
stesso contenuto del giudicato amministrativo che la S.A.I.A. fa valere, 
ponendolo a base dell'azione di risarcimento di danni, in quanto, come 
si � gi� accennato, il provvedimento di sospensione fu annullato perch� 
ritenuto esercizio illegittimo di un potere di autotutela, che per altro 
si riconosceva spettare all'Assessorato, �anche se doveva essere esercitato 
in altra forma. Ma l'errore fondamentale, �che inficia alla base l'azione 
proposta daUa S.A.I.A., sta nel �sostenere che l'esercizio illegittimo del 
potere d!i autotutela abbia -inciso su di una preesistente posizione di diritto 
soggettivo, il che deve essere escluso nel modo pi� assoluto. Infatti, 
in relazione a quanto si � premesso, � chiaro -che la concessionaria 
S.A.I.A., che prima dell'emanazione dell'atto con il �quale era stato 
concesso l'aumento delle tariffe non era titolare di un diritto soggettivo 
a conseguire l'aumento stesso, essendo la relativa determinazione amministrativa 
devoluta al potere discrezionale dell'Amministrazione, non 
'si trovava, dopo l'emanazione di tale atto, di fronte all'Amministrazione 
che esercitava il potere di autotutela, in una situazione sog,gettiva 
diversliJ., �che permaneva invece di :interesse legittimo. N� era configurabile, 
di fronte all'esercizio del potere di autotutela, anche se illegitti


del provvedimento; essa conserva Q.Uindi, prima e dopo l'atto, la originaria 
natura di interesse legittimo. 

Per descrivere questa condizione giuridica del privato si preferisce 
usare l'espressione � diritto affievolito �; ma essa va evidentemente riferita 
alla situazione giuridica vista nel suo complesso, volendo infatti plasticamente 
descrivere il vuoto di tutela che caratterizza la posizione del 
privato nei confronti della P. A. raffrontato alla pienezza di protezione 
accordata nei riguardi di terzi soggetti. Se la situazione complessa viene 
invece scomposta secondo le diverse direzioni in cui. opera, la relazione 
tra privato e P. A. non pu� :risultare altra che quella di interesse legittimo 
(8). 

Se si vuole ad ogni modo ragionare in termini di diritto affievolito, 
occorre guardarsi dal trascurare la profonda differenza che corre tra la 
subordinazione del diritto creato dall'atto al potere di revoca e la soggezione 
dei diritti soggettivi privati che hanno fonte autonoma alle varie 
forme di potere ablatorio spettanti alle PP.AA. 

Nel primo caso il diritto creato dall'atto a favore del privato versa 
ab origine in una ctmdizione di fievolezza che � connaturale al tipo di efficacia 
del suo fatto costitutivo: la revocabilit� dell'atto, operando per cosi 
dire dall'interno di questo in quanto espressione �lello stesso potere, infonde 
una condizione di originaria precariet� agli effetti del provvedimento tuttora 
disponibili da parte della P.A. Fenomeno ben diverso � invece quello 
del diritto nato perfetto il quale si presenta come autonomo quanto alla 

(8) ZANOBINI, Corso Dir. Amm., Giuffr�, 1958, I, p. 329; ALESSI, La revoca, cit., 
p. 807 SANDULLI, Manuale, cit., p. 43i. In giurisprudenza vedi Cons. Stato, V, 31 maggio 
1957, n. 379, Rass. C. S:, 1957, p. 751; V, 31 marzo 1951, n. 235, Rass. C. S., 
1951, p. 239; V, 17 febbraio 1951, n. 73, Rass. C. S., 1951, p. 124. 6 




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mamente esercitato, lo affievolimento di un diritto soggettivo che in 
realt� non poteva sussistere nei confronti dell'Assessorato, titolare del 
potere di regolamentazione dell� tariffe dei pubblici servizi di trasporto 
in concessione. Occorre in pro:posito distinguere, relativamente 
al provvedimento di aumento delle tariffe, la posizione giuridica del 
concessionario nei confronti dei privati utenti e dell'Assessorato: mentre 
sorge nel concessionario il diritto di pretendere dal privato utente il 
prezzo maggiorato, nessuna situazione di diritto soggettivo sorge nei 
confronti dell'Amministrazione �che ha emanato il provvedimento, titolare 
del relativo potere di revoca, nei cui confronti la posizione del 
concessionario � quella di un semplice interesse legittimo al mantenimento 
delle nuove tariffe. 

Ne consegue l'improponibilit� della domanda di risarcimento dei 
danni che, �Com'� ormai ius receptum, non pu� essere esperita in materia 
di violazione di interessi legittimi, anche dopo l'annullamento da 
parte del giudice amministrativo del provvedimento illegittimo che ha 
pregiudizievolmente inciso su tale situazione preesistente1 che costituisce 
l'unico rimedio giuridico approntato dall'ordinamento a tutela 
dell'interesse del concessionario. 

sua esistenza e quasi contrapposto al potere dell'Amministrazione. Solo 
con il concreto esercizio del potere questo subisce quella degradazione 
che gli fa perdere valore nei confronti dell'Autorit�. 

La radicale diferenza tra le due situazioni, per quanto concerne la 
posizi9ne del privato verso la P.A., � bene illuminata dal diverso regime 
in ordine alla indennizzabilit� del sacrificio imposto legittimamente al 
privato. 

Mentre l'attribuzione di un indennizzo � normalmente connessa alla 
emanazione del provvedimento ablatorio, la revoca del provvedimento a 
carattere concessorio che aveva creato diritti a favore del privato � di 
regola esente da un obbligo di indennit� (9). E ci� si spiega tenendo conto 
che mentre nell'un caso il diritto viene si sottratto ma non disconosciuto 
(10) dall'Autorit� che ne opera il sacrificio, nel secondo il diritto � 
irrilevante -cio� inesistente -nei confronti del soggetto pubblico titolare 
del potere che ne provoca l'estinzione. 

:t quindi pienamente conforme alla sostanza delle cose il ritenere che 
il giudicato amministrativo di annullamento della revoca di un provvedimento 
costitutivo di diritti affievoliti a favore del privato, non determinando 
la reviviscenza di un raporto diritto-obbligo tra privato e P.A. 
(rapporto che non esisteva anche prima della revoca) del quale si possa 
chiedere, assumendolo violato, la reintegrazione, non � idoneo a fonda.Te 
una sua azione di risarcimento del danno proponibile dinnanzi al giudice 
dei diritti. 

P. G. FERRI 
(9) ALESSI, La responsabilitd, cit., p. 350; Cons. stato, VI, 6 giugno 1969. 
n. 266, Foro it., 1969, Ili, 398. 
(10) s. PUGLIATTI, Acquisto del diritto, E. D., p. 512. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1057 

�. 
La ritenuta esistenza di un potere di revoca vale altresl a. dimestrare 
l'infondatezza della tesi sostenuta dalla resistente soci�t� circa 
il difetto di potere dell'Amministrazione di modificare la tariffa di 
propria iniziativa, senza cio� una formale richiesta del concessionario. 

Pertanto, in accoglimento del primo ~otivo del ricorso, va dichiarata 
improponibile la domanda di rl�arcimento di danni proposta dalla 
S.A.I.A., con conseguente cassazione senza rinvio�� della .sentenza impugnata. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASS~ZIONE, Sez. Un., 29 luglio 1969, n. 2885 -Pres. 
Scarpello -Est. D'Armiento -P. M. Di Majo (conf.). Salvatore (avv. 
d'Angelantonio) c. Prefetto Ravenna (avv. Stato Foligno) e Comune 
Conselice (avv. Jossa e Gualandi). 

Competenza e giurisdizione -Appalto per la riscossione delle imposte 
di consumo -Provvedimento di decadenza dell'appaltatore inadempiente 
-Controversia -Competenza dell'�utorit� giudiziaria 
ordinaria. 

(t.u. 1-:, settembre 1931, n. 1175, artt. 87; I. 20 marzo 1865, n .2248, all. E, art. 2). 
L'appalto per la riscossione delle imposte di consumo va inquadrato 
nello schema della concessione-contratto (1). 

Appartengono alla competenza del giudice ordinario le controversie 
relative all'esecuzione delle disposizioni del contratto; e cos�, in particolare, 
le controversie nascenti dalla pronuncia di decadenza dell'appaltatore 
inadempiente (2). 

(Omissis). -I ricorrenti, denunziando la violazione dell'art. 26. 

r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, censurano. la decisione del Consiglio di 
Stato per avere questa ritenuto che la decadenza comminata dal Sindaco 
di Conselice non trovava � suo fondamento nell'art'. 87 del T.U.F.L., 
ma nella convenzionale estensione del contenuto di detta norma stabilita 
dall'art. 12 del contratto di appalto, il quale comprende, nei motivi di 
(1-2) Con Ia sentenza impugnata, il Consiglio di Stato aveva negato 
la propria giurisdizione, ritenendo che il provvedimento di decadenza non 
trovasse il proprio fondamento nell'art. 87 del t.u. sulla finanza locale, 
ma nel.le disposizioni del disciplinare di appalto. La decisione in rassegna 
sembra andare oltre ed affermare, in ogni caso, la giurisdizione del giudice 
ordinario per tutte le controversie nascenti da provvedimenti di decadenza 
per inadempimento agli obblighi dell'appaltatore, anche ai sensi dell'art. 87. 

Non risultano precedenti decisioni in materia della S.C. 



1058 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

decadenza dalla concessione, non solo il mancato versamento delle 
somme effettivamente riscosse, ma anche il mancato versamento degl'interi 
ratei dei minimi garantiti. 

Sostengono i ricorrenti che il Comune non aveva agito nell'esereizio 
di un diritto nascente dalla convenzione, ma quale autorit� amministrativa 
nell'esercizio della potest� tipica di revoca ad nutum della 
�concessione, mediante la comminatoria di decadenza del concessionario. 
Ed aggiungono che il rilievo del_ giudice amministrativo secondo il 
,quale, della specie, non sussisteva l'ipotesi di decadenza di cui all'art. 87 
del T.U.F.L., (in quanto trattasi di omesso versamento dei minimi 
garantiti) poteva valere esclusivamente ai fini di giudicare della legittimit� 
o meno dell'esercizio del potere di dichiarare la decadenza, ma 
non certo per negare la giurisdizione di legittimit�. 

Il ricorso non � fondato, avendo il Consiglio di Stato. rettamente 
denegato la sua giurisdizione nella causa de qua, in ci.li la materia 
controversa concerne un rapporto che viene in considerazione sotto 
.l'aspetto privatistico, e cio� sotto l'aspetto di diritti ed obblighi scambievoli. 
nascenti da contratto, senz'alcun potere di supremazia esercitato 
dalla Pubblica Amministrazione sul privato concessionari.o. 

� noto che il congegno attraverso il quale sorge la concessione 
di un pubblico servizio, qual'� quello della riscossione delle imposte 
date in appalto, � costituito da due diversi atti giuridici: l'uno, di 
natura pubblicistica, con cui l'amministrazione decide di dare in cc~cessione 
il pubblico servizio; l'altro, di diritto privato, con cui la Pubblica 
Amministrazione, in attuazione della propria decisione, stipula 
la convenzione con il privato. Come la dottrina e la giurisprudenza hanno 
avuto modo di elaborare e di chiarire, sono ravvisabili, in tali ipotesi, 
delle concessioni contratto, risultanti dall'inserimento, nell'atto autoritativo 
della c9ncessione (di per s� discrezionale e revocabile), di un 
contratto sotto forma di capitolato d'oneri o disciplinare in cui la Pubblica 
Amministrazione ed il privato concessionario, agendo su di un 
piano di parit�, si riconoscono diritti ed obblighi reciproci. 

Ora, dalla� volazione del rapporto contrattuale di appalto sorgono 
in testa al privato concessionario diritti soggettivi perfetti, tutelabili 
come tali davanti al giudice ordinario, fatta salva la ipotesi in cui la 
pubblica amministrazione, per necessit� ed esigenze d'interesse pubblico, 
ritenga d'intervenire e di risolvere di ufficio, durante lo svolgimento 
del rapporto, la concessione, nella quale ipotesi i diritti del concessionario 
si affievoliscono e degradano ad interessi legittimi. 

Ci� posto, la risoluzione del problema di giurisdizione, che interessa, 
si concentra ed esaurisce nell'esame del tema deUa controversia, 
per desumerne se esso attiene alla materia della concessione ovvero a 
quella del contratto, tenendo presente che l'oggetto della domanda, dal 
quale � determinata la decisione circa la giurisdizione, appare inteso, 


PJ\l!ITE I, SEZ. U; Gl:URIS. SU QUEST!ONI DI GIUl!l�SDlZioNE 1059 

dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, nei pi� recenti �rientatnenti, 
come causa petendi e non anche come petitum, cio� co:me ragione 
della domanda -e non pure come richiesta di un certo tipo di 
provvedimenti. � 

Tale esame della pretesa avanzata dalla ditta Langione nei confronti 
del comtme di Conselice, e delle difese ed eccezioni opposte e 
s()~leyl�!cte .di;t q~t't�lti'.lllo contro la.� prima�, convince che la controversia 

. 
conce~e la sfeta del rapporto privatistico del contratti? di appalto, e 
non . rigU:al'da, invece,, lf.1 _. _co_ncessione amministrativa del servizio, che 
Vel_'osilnJtinente sarebbe continuato a �svolgersi� sino al termine prefisso, 
ql;l.~Ioran?n �~ossej;o__ i?ltervetiute .. le lament.ate inadempienze ai-patti 

..-.dellaoonvenz1one da part� del privato concession�rio; 
Ed inyero) la ditta Langione; col ricorso 19 ottobre 1960 al Con.
si~lio ~i ~tato1'. ha i~pugnato il __ dec:i:eto del__-Sindaco di Conseli.ce in 
data .1'7 Ottobre . t.958 _col quale_ si._. di<lbiarava__�d~ad~ta la .� ditta _� st.essa 
.daWappi:d.to del� servi~o di ri$cossione delle imposte df'consutno _a causa 
deUe sist~matiche inadempienze aWobbZigo-. dei v~Tsatn~?l;!i mensHi; "e 
�9n .l'ip,dicl;l<tl,)l".�cQ:fs~ 11i 99l:l�igJio d.t)$tl!lt9 la 91tta Lf.lngicme,. Ptll:' chied~
do -l'~nnuUa~eI1to 9e1..de~et9 c:lJ. deca4�nza del!'appl!llto .. (petitum), 
s.os~11~i.11l~�nte col'ltestava, _sl;\Ua base del contratto. di appalto, (causa 
petendi) }~esistenza. dede� pretese inadempienze al versamento dei contl'ibuti,. 
~. c9munqu.e $()stet1ey11. che. t11.li. inadempienze non potevano dar 

lU�go, mai,��allo adottato pr(}vveditrtento di �deca.dehza. �� 

Il Cotn.une d~ �?ns~lice1 dal canto suo, sosteneva di avere �agito 
neli~ambifo���del coritratto,�'in�� difesa dei diritti scaturenti dal -rapporto 
convenzionale, in conformit� di apposita clausola del capitolato d'ap


palto; 

Chiariva e precisava il Comune, ripetendo ci� cbe gi� aveva contestato 
col decreto impugnato, che l'appaltatore era in ritardo nel versamento 
delle-riscossioni di_, iao� giorni per-l'anno 1957 -e.di 102 giorni 
p:erl'anno _1958,-oltre.. ad essereinadempiente_all'obJ::>ligo dei versamenti 
del'ratei del minimo garantito. 

Precisava; � altresi, �il Comune di Conselice -come peraltro risultava 
dallo stesso decreto -di avere adottato il provvedimento in appli<!
azfone dell'art. 12 del Capitolato di appalto, che facultizza l'ente 
appal.t.te, nef~asQ (if lilall.<!'ta temt>estiva r1$cossi�rie . dei tributi .per . 
inadempimento dell'esattore, �alla immediata dedatatoria di decadenza 
e all'estromiss.i.one dell'appaltatore della gestione del servizio, indipendentemente 
da qualsiasi opposizione giudiziaria o amtninistrativa, ai 

� sensi dell'art. 87, comma secondo, T.U.F.L. approvato con r.d: 14 settembre 
1931, n. 1175. 

L'ambito della contesa, dunque, non si discosta molto da una comune 
lite circa i diritti ed obblighi scambievoli derivanti ai contraenti 
da un contratto di appalto, e si tratter� di giudicare, alla luce delle 


1060 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

risultanze e alla stregua della convenzione, se le pretese inadempienze 
sussistevano e se la loro entit� autorizzava la risoluzione in tronco del 
rapporto, nel che si sostanzia, giuridicamente e praticamente, l'impugnato 
provvedimento del Comune. 

Cosi individuato e precisato il petitum sostanziale della pretesa 
azionata dalla ditta Langione e delle difese opposte dal Comune di 
Conselice, deve riconoscersi che l'impugnata decisione del Consiglio 
di Stato non merita censura. -(Omissis). 

CORTE DI C.ASSAZIONE, Sez. Un., 31 luglio 1969, n. 2908 -Pres. 
Stella Richter -Est. De Santis -P. M. Di Majo (conf.) -Strigari 
(avv. ;Dori�i e Rosa) c. Ministero della Pubblica Istruzione (avv. 
Stato Conti). 

C9mpetenza ,e, giurisdizione -Espropriazione per pubblica utilit� Retrocessione 
-Espl:"opriazione non preordinata all'esecuzione 
di opere pubbliche -Inammissibilit� della retrocessione. 

(1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 60 e segg.; 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, 
art. 2). 
Competenza�� e giurisdizione -Retrocessione di beni espropriati per 
l'esecuzione di opera pubblica -Ipotesi in cui un intero fondo sia 
rimasto inutilizzato -Necessit� della dichiarazione amministrativa 
di inservibilit�. 

(1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 61). 
La retrocessione dei beni espropriati � inammissibile in tutti i casi 
in cui l'espropriazione sia valsa a soddisfare direttamente esigenze e 
bisogni della collettivit�, indipendentemente dall'impiego del bene 
esp1�opriato nell'esecuzione di un'opera pubblica (1). 

(1) Il princ1p10 di �Cui alla prima massim~ �. di indubbia esattezza. 
La retrocessione presuppone necessariamente che l'espropriazione sia stata 
preordinata �all'esecuzione di un'opera di pubblica utilit�. � proprio questo 
carattere strumentale dell'espropriazione, rispetto al perseguimento di un 
fine pubblico ulteriore (la realizzazione dell'opera), che spiega e giustifica 
l'obbligo dell'espropriante di retrocedere il bene ove questo non sia in 
concreto servito, o non possa pi� servire, allo scopo per il quale ne era 
stato disposto il trasferimento coattivo. � 
Ben diversa � la situazione in tutti i numerosi casi in cui l'espropriazione 
non costituisce semplicemente il mezzo per render possibile la concreta 
realizzazione di uno scopo ulteriore, ma soddisfa direttamente, essa 
stessa, l'interesse pubblico che .la giustifica. Qui, un diritto alla retroces



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1061 

Ove l'espropriazione sia stata disposta per l'esecuzione di un'opera 
pubblica e questa sia stata effettivamente realizzata nell'ambito del 
compendio immobiliare espropriato, l'eventuale retrocessione dei fondi 
che, quantunque compresi in tale compendio, siano rimasti totalmente 
inutilizzabili � disciplinata dagli artt. 60 e 61 della legge sulle espropriazioni. 
La domanda di retrocessione �, pertanto, proponibile solo se 
sia intervenuta la dichiarazione amministrativa di inservibilit� dei beni 
relitti (2). 

(Omissis). -La eccezione di improponibilit� assoluta della domanda 
opposta dall'Amministrazione pubblica agli Stringari deve essere 
esaminata per prima, dato il suo valore prevalente ed assorbente. 
Come si � gi� esposto, 1'Amministrazione dello Stato sostiene che non 
sia affatto consentita la retrocessione in favore degli Stringari dei 
beni in questione, dato che la loro espropriazione fu disposta non per 
la esecuzione di un'opera pubblica, ma per un fine realizzabile, ed in 
effetti realizzato, immediatamente, quello cio� della conservazi�>ne dei 
ruderi delle antiche terme romane di Baia e della creazione di una 
zona di rispetto intorno ad essi. 

A fondamento di questo assunto l'Amministrazione dello Stato 
ricorda che la espropriazione fu nella specie disposta in base alla legge 
20 giugno 1.909, n. 364 (ora sostituita dalla legge� 19 giugno 1939, numero 
'1089 sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico), che 
attribuiva al Governo la facolt� di espropriare terreni privati quando 
occorreva � provvedrre alla conservazione di ruderi e di monumenti, 

' venuti in luce casualmente o in seguito a scavi, come alla delimitazione 
della zona di rispetto e alla costruzione di strade di accesso �. 
Inoltre il d.l. 30 novembre 1936, n. 2125 aveva dichiarato di pubblica 
utilit� non la esecuzione di alcuna opera, ma le stesse espropriazioni 
e, ad avviso della ricorrente, ci� dimostrerebbe che il fine pub


sione non pu� mai, neppure in astratto, configurarsi; e, quindi, fa relativa 
domanda �deve considerarsi assolutamente improponibile. 

In tal senso la Suprema Corte aveva gi� avuto occasione di pronunciarsi, 
nella sentenza 2 febbraio 1963, n. 183 (in Foro it., 1963, I, 230), 
relativamente alle espropriazioni disposte in attuazione delle J.eggi sulla 
riforma fondiaria. La �sentenza in rassegna riconosce il carattere generale 
del principio e, in particolare, la sua aipplicabilit� alle espropriazioni disposte 
al fine di preservare ruderi o monumenti e di assicurare loro una 
convi�niente zona di rispetto (artt. 54 e 55 1. 1,0 giugno 1939, n. 1(}89). Nella 
specie, per�, trattandosi di espropriazione disposta al fine della realizzazione 
di un �parco monumentale.; .si � ritenuto che ci si trovasse di 
fronte ad una comune ipotesi di espropriazione preordinata all'esecuzione 
di un'opera di pubblica utilit�: il �Che appare, in realt�, criticabile, non 
potendosi negare che il fine della pura e semplice conservazione dei ruderi 
e della creazione di una zona di rispetto costituisse, quanto meno, una 


1062 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

blico perseguito sarebbe stato soddisfatto immediatamente, per effetto 
delle espropriazioni stesse, ed indipendentemente dalla esecuzione dl 
altre opere. 

L'assunto dell'amministrazione non pu� essere condiviso. 

Questa Corte ha gi� altra volta ritenuto (sent. n. 183 del 1963) 
che vi sono espropriazioni che valgono a soddisfare direttamente esigenze 
e bisogni della collettivit�, indipendentemente dall'impiego df.l 
bene espropriato nella esecuzione di un'opera pubblica e non ha motivo 
per modificare questo suo convincimento. 

Si deve anche riconoscere che oltre a quella altra volta considerata, 
e cio� alla espropriazione disposta in attuazione delle leggi sulla 
riforma fondiaria, altra ipotesi di espropriazione non preordinata alla 
esecuzione di opera pubblica pu� essere quella che ha per oggetto 
fondi in cui si trovano ruderi e monumenti e le circostanti zone di 
rispetto, gi� prev:ista dalla legge 20 giugno 1909, n. 364 ed ora dalla 
legge 10 giugno 1939, n. 1089 (artt. 54 e 55). 

Il fine di utilit� generale della conservazione e della sistemazione 

dei monumenti o dei resti archeologici pu� essere infatti raggiunto tal


volta anche con la sola espropriazione. di beni. 

In tutti questi casi la retrocessione dei beni espropriati risulta 

inammissibile nun potendosi mai verificare il presupposto necessario 

di ogni retrocessione, quello cio� che il bene non sia utilizzato per il 

fine alla cui realizzazione era stata predisposta la espropriazione. 

Tuttavia, nella specie, proprio il r.d. 30 novembre 1936, n. 2125 

manifestava espressamente che la espropriazione era preordinata ad 

un fine specifico, che era quello della creazione di un parco e che 

con tale mezzo si intendeva procedere alla sistemazione della zona in 

cui si trovavano gli avanzi delle terme romane. 

Pertanto era predisposta la espropriazione di tutti i suoli che, a 

quel tempo, erano ritenuti necessari per la realizzazione dell'opera, che 

ragione giustificativa concorrente (insieme alla realizzazione del � parco �) 
della disposta espropriazione. 

(2) SuHa differenza fra le due figure di retrocessione previste, rispettivamente, 
dagli artt. 60 e 61 e dall'art. 63 della legge 25 giugno 1865, 
n. 2359, cfr.: Cass., Sez. Un., 4 marzo 1966, n. 634, in Giust. civ., 1966, I, 
1786. � insegnamento costante della giurisprudenza del Supremo Collegio 
che all'ipotesi di mancata esecuzione dell'opera (art. 63) debba equipararsi 
l'altra dell'esecuzione in luogo diverso da quello originariamente previsto 
(v., ad es., Cass., 18 novembre 1961, n. 2693, in Foro it., 1962, I, 231). 
La sentenza in rassegna opportunamente precisa, per�, che si versa pur 
sempre nell'ipotesi di retrocessione dei c.d. relitti (artt. 60 e 61), allorch� 
l'opera sia stata eseguita nell'ambito dell'intero compendio immobiliare 
espropriato, anche se un intero fondo di uno dei proprietari espropriati 
sia rimasto inutilizzato. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1063 

si voleva monumentale, e non solo� di quelli, verosimilmente meno 
estesi, che sarebbero occorsi per la sola conservazione dei resti archeologici 
e la creazione di una zona di rispetto intorno ad essi. 

Nessuna importanza pu� avere, ai fini di una diversa interpretazione, 
il fatto che il decreto sopra citato dichiarava di pubblica utilit� 
le stesse espropriazioni. 

Invero, anche quando queste sono disposte per la diretta ed immediata 
realizzazione di un fine di utilit� generale e non per la ulteriore 
esecuzione di un'opera pubblica, non pu� mai correttamente dirsi 
che siano di pubblica utilit� le espropriazioni in se stesse. 

Per rimanere nell'ambito della materia della presente causa, il 
fine di utilit� generale � quello della conservazione e della sistemazione 
dei resti archeologici; la espropriazione resta pur sempre un 
mezzo per il raggiungimento di tal� fine, che in alcuni casi si consegue 
attraverso la espropriazione ed, in altri, usando il bene espropriato per 
la esecuzione �di un'opera pubblica~ 

La palese imprecisione di linguaggio del testo legislativo non giustifica 
dunque alcuna ulteriore illazione a favore deJla tesi della assoluta 
improponibilit� della domanda cos� come non la giustifica il generico 
richiamo dell� legge n. 364 del 1909 contenuto, insieme con quello 
delle norme della legg~ fondamentale sulla espropriazione, nel preambolo 
del r.d. n. 2125 del 1936. 

Ha invece una determinante importanza la prefissione di un termine, 
contenuto in detto decreto, oltre che per le espropriazioni anche 
per la esecuzione dei lavori, termine pi� volte in seguito prorogato 
con successivi provvedimenti legislativi. Questo infatti dimostra in 
maniera univoca che non la sola espropriazione sarebbe bastata a conseguire 
il fine di utilit� generale, ma che occorreva invece eseguire 
delle opere, alla cui realizzazione era preordinata la espropriazione. 

Esclusa la dedotta assoluta improponibilit� della domanda ed occorrendo 
quindi esaminare quale retrocessione sia ipotizzabile nella 
specie, se cio� quella prevista e regolata dall'art. 63 della legge sulle 
espropriazioni. (25 giugno 186�5, n. 2359) o quella prevista e regolata 
dagli artt. 60 e 61, va innanzi tutto precisato che gli istanti Stringari 
avevano espressamente dedotto, con il loro ricorso, che nella specie il 
parco era stato realizzato,' peraltro in misura ridotta rispetto a quella 
originariamene prevista, ma saltant�> su fondi espropriati in danno di 
altri, senza comprendervi in alcuna misura quelli gi� appartenenti ad 
essi Stringari ed espropriati in loro danno. 

Avevano aggiunto che questa ipotesi, di opera pubblica eseguita 
su fondi diversi da quelli espropriati per la sua realizzazione, deve 
essere equiparata all'altra della totale mancata esecuzione, e che in 
entrambe le ipotesi � applicabile la disc1plina dell'art. 63 della legge 
sulle espropriazioni. 



1064 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Solo con la memoria difensiva e, successivamente, nella discussione 
orale, � stata contestata, nell'interesse degli Stringari, la esecuzione 
di una qualsiasi opera di sistemazione, mediante creazione di un 
parco, della zona in cui si trovano i resti delle terme romane di Baia. 

La inattendibilit� di questa tardiva contestazione � del tutto palese, 
in quanto che successiva all'esplicito contrario riconoscimento della 
parte. 

Nel decidere la presente causa deve aversi pertanto per certo e 
fermo che la esecuzione dell'opera, per cui la espropriazione in esame 
era stata disposta, ha avuto luogo, mediante la creazione di un parco, 
sia� pure di ridotte dimensioni. 

Ci� basta a rendere inapplicabile la norma dell'art. 63 della legge 
sulle espropriazioni, poich� la ipotesi in essa prevista si realizza solo 
quando 1' � opera non siasi eseguita e siano trascorsi i termini a tal 
uopo concessi o prorogati �. 

Quando invece l'opera pubblica sia stata eseguita e � qualche fondo 
a tal fine acquistato non ricevette in tutto o in parte la preveduta 
destinazione ., la ipotesi che si verifica � quella dell'art. 60 della legge. 

Il criterio di distinzione delle due fattispecie legali non sta dunque 
nel fatto che il fondo espropriato sia totalmente o parzialmente inutilizzato, 
potendc.ai verificare anche nella ipotesi dell'art. 60 che un 
:fondo resti totalmente inutilizzato essendosi eseguita l'opera pubblica 
solo su altri fondi, dell'intero compendio immobiliare espropriato, come 
� espressamente previsto dal testo legislativo. Il criterio di distinzione 
sta invece nella avvenuta o non avvenuta esecuzione dell'opera, e 
poich� nella specie, come si � visto, per la originaria ammissione degli 
stessi Stringari deve ritenersi che l'opera pubblica sia stata realizzata, 
non pu� dubitarsi che le norme in base alle quali pu� richiedersi la 
retrocessione dei beni nori utilizzati siano quelle degli artt. 60 e 61 
della legge sulle espropriazioni. 

Vanamente poi gli Stringari sostengono, con richiami alla giurisprudenza 
di questa Corte, che alla ipotesi di mancata esecuzione del-
l'opera debba equipararsi l'altra della esecuzione in luogo diverso da 
quello originariamente previsto. 

Questo principio � stato in realt� affermato altre volte da questa 
Corte (sent. n. 1698 del 1954 e n. 2809 del 1966), che non avrebbe 
motivo per discostarsene se se ne verificassero i presupposti di fatto. 

Ma ci� deve escludersi per la natura stessa dell'opera da eseguire 
ed in effetti eseguita, relativa alla sistemazione mediante creazione di 
un parco di una zona di terreno ben determinata e non sostituibile, per 
la presenza dei resti archeologici di cui si voleva assicurare la conservazione. 


Ben diverse, e lontane da quella presente, le fattispecie altre volte 

considerate, tra cui quella di una strada o di un tronco ferroviario rea




PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1065 

lizzati con un percorso, diverso da quello originariamente previsto. In 
tali casi, in realt�, l'opera per la quale la espropriazione era stata 
disposta non pu� dirsi eseguita, essendosene invece realizzata un'altra, 
diversa da quella originariamente prevista.per la sua diversa ubicazione. 

Nel caso in esame invece l'opera eseguita � proprio quella per cui 
le espropriazioni furono disposte, ma:, secondo l'assunto degli Stringari, 
senza che i loro fondi venissero utilizzati nella sua realizzazione. 

Le conseguenze che derivano da quanto innanzi� esposto sono del 
tutto chiare ed evidenti; invero, mentre nella ipotesi prevista dall'articolo 
63 della legge sulle espropriazioni rientra nei poteri dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria dichiarare la decadenza della dichiarazione di 
pubblica utilit�, dipendente dalla mancata esecuzion� dell'opera, e conseguentemente 
ordinare Ja restituzione dei beni espropriati, nella ipotesi 
di beni non utilizzati per la esecuzione dell'opera, peraltro avvenuta, 
spetta all'autorit� amministrativa, e precisamente al prefetto, di 
dichiarare che i beni pi� non servono all'opera pubblica (art. 61, ultimo 
comma). Solo dopo tale dichiarazione si potr� chiedere dinanzi alla 
autorit� giudiziaria la restituzione dei fondi. 

Poich� non risulta esservi stata nella specie alcuna dichiarazione 

da parte del prefetto che i fondi degli Stringari non servono all'opera 

pubblica per cui furrmo espropriati, deve dichiararsi il difetto di 

giurisdizier.1e dell'autorit� giudiziaria ordinaria relativamente alla do


manda proposta dai medesimi Stringari, i quali vanno perci� condan


nati alla perdita del deposito. -(Omissis). 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 10 settembre 1969, n. 3093 -P1�es. 

Marletta -Est. Cusani -P. M. Calderara (diff.) -Rossi (avv. Qalmone 

e Gatteschi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiullo). 

Competenza e giurisdizione -Giudice ordinario in sede civile e penale Ripartizione 
di competenza -Inderogabilit�. 

Competenza e giurisdizione -Spese di mantenimento in carcere Controversie 
-Competenza funzionale del giudice penale. 

Le funzioni giurisdizionali del giudice .ordinario in sede civile ed 
in sede penale 1�.wlizzano una ripartizione di competenza interna a carattere 
funzionale ed inderogabile, che pu� essere rilevata di Ufficio anche 
in Cassazione. 

Rientra nella competenza del giudice penale la cognizione delle 
controversie inerenti l'esecuzione dei provvedimenti emanati, attinenti 
sia all'interpretazione del giudicato che al rapporto esecutivo e quindi. 
alla durata ed alle modalit� essenziali della pena e, fra quest,~, quelle 
relative alla liquidazione ed attribuzione delle spese di mantenimento 
in carcere, nonch� quelle di natura civile che comunque si ricolleghin<> 
alla esecuzione del provvedimento penale, purch� non concerna-v-o la 
propriet� delle cose o la esecuzione sia stata promossa da privati. 

(Omissis). -Stabilita la amm1ssibilit� dell'impugnazione, deve 
rilevarsi che essa pone, al di l� delle intenzioni del ricorrente, un deli
�cato problema circa la discriminazione tra le funzioni giurisdizionali 
attribuite al giudice ordinario in sede civile ed in sede penale; discriminazione 
che, secondo un criterio larghissimamente seguito in dottrina 

(1) Per riferimenti sulla discriminazione delle funzioni giurisdizionali 
tra giudice civile e penale cfr. REDENTI, Diritto proc. civ., I, 134; ANDRIOLI, 
Lezioni I, pag. 74. 
La sentenza 31 marzo 1952, n. 879, citata in motivazione si legge in 
Giur. it., 1952, I, 636 con nota di IANNuzz1; la sentenza 24 maggio 1960, 

n. 1324, si legge in Foro it., 1960, I, 109. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1067 

e giudsprudenza, d� luogo ad una vera e propria divisione di sfere di 

.competenza, alla quale anche l'autorevole dottrina che la configura 

come competenza interna riconosce il concorrente carattere di compe


tenza funzionale che, come tale, d� luogo a veri e propri ra.pporti di 

-competenza �strictu sensu � ed inderogabile (cfr. 427/51, 879/52, 

2736/55, 1329/60). . 

Oggetto delle censure contenute nel ricorso, nella loro quasi totaldt�, 

� la decisione adottata nel merito della Corte d'Appello. Uno solo dei 

mezzi di annullamento, il secondo, prospetta una marginale questione 

di competenza in ordine ad uno solo dei profili della opposizione pro


posta dal Rossi. 

� ovvio, peraltro, da un lato che la questione di competenza � 

.strettamente .pregiudiziale ed investe nel suo complesso la proposta 

azione e, dall'altro, che -trattandosi di .cornpetenza inderogabile -la 

questione dev'essere vagliata e risolta d'ufficio anche da questa Supl'ema 

Corte. 

Si duole nel secondo mezzo il Rossi che nella sentenza impugnata 
.sia stata affermata la competenza del Giudice dell'esecuzione penqle in 
tema di liquidazione delle spese di mantenimento in carcere. E sul 
punto assume che tale tema � estraneo alle sue. domande, le quali non 
.concernono la congruit� della diaria bensl la legittimit� della misura � 
della mercede e della sua ripartizione, e che perci� giustamente il Giudice 
penale avrebbe dichiarato la propria incompetenza. 

L'assunto � infondato, come ora si vedr�, ma cionostante -anzi 
.appunto per que~to -la sentenza� impugnata ~erita censura. 

Va intanto rilevato, per l'esattezza, che negli atti non v'� traccia 
.del provvedimento che si assume essere statQ emanato dal Giudice dell'esecuzione 
.penale e che .peraltro -stando agli ,stessi riferimenti delle 
parti -esso non conterrebbe affatto una pronunzia sulla competenza. 

Quanto alla sentenza qui ora impugnata, deve osservarsi che -se 
-esattamente vi si � affermato che per le controversie sulla liquidazione 
ed attribuzione delle .spese di mantenimento in carcere la �competenza 
.spetta al Giudice dell'esecuzione penale, che provvede con le forme 
stabilite dagli artt. 628 e seg. c.p.p. ~si � per� errato ~el ritenere �che 
ci� comportasse il rigetto dell'opposizione e nel non rilevare che l'intero 
oggetto dell'opposizione proposta dal Rossi .nicadeva nell'ambito della 
fase esecutiva del processo penale che, nella ripartizione della potest� 
giurisdizionale tra Giudice civile �e Giudice penale, � riservata a quest'ultimo 
ed � devoluta inderogabilmente al Giudice dell'esecuzione 
penale. 

Invero il vigente codice di procedura penale attribuisce al Giudice 
che ha emanato un provvedimento la cognizione di tutte le controversie 
insorgenti in relazione alla sua esecuzione, cio� -come si � rilevato in 



1068 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dottrina -non solo ogni divergenza di interpretazione relativa al giu


dicato ma anche' ogni questione riguardante l'eventuale sopravvenuta 

estinzione del rapporto esecutivo e l'applicazione di qualsiasi norma che � 

abbia importanza al fine di determinare il �contenuto di detto rapporto. 

Sul regime giuridico del condannato,� pertanto -ed in particolare sui 

limiti della pena (che non possono essere ampliati con arbitrari aggrava


menti), quindi tanto sulla sua durata quanto sulle sue modalit� essen


2iiali -� chiamato a pronunziarsi sempre ed esclusivamente il giudice 

dell'esecuzione penale. Ed a questo il Leg.islatore ha ritenuto di attri


buire espressamente anche tutte le questioni di natura civile (ad ecce


zione di quelle relative alla propriet� delle cose) che �comunque si 

ricolleghino alla esecu2iione del provvedimento penale: specifiche con


troversie sono indicate negli articoli 292, 612, 618, 619, 674 e 675 c.p.p., 

ma i�art. 632 c.p.p.p richiama globalmente ogni questione insorta nel


l'esecuzione civile in materia penale, con una disposizione tanto lata e 

comprensiva �che nella Relazione parve necessario �hiarire che essa 

non doveva ritenersi operativa in ogni caso, essendo rimaste salve 

quelle dalla Tariffa Penale (che peraltro non contengono alcun rinvio 

al codice di procedura civile -in tema di opposizione) e, per il solo caso 

di esecuzione promossa da privati, quelle della proc~dura civile.

� 

Nella specie non solo trattasi di controversia insorta in relazione 
all'esecuzione �civile derivante da sentenza penale ma la sua risoluzione 
-essendosi contestati in definitiva i connotati di afilittivit�, di ammenda 
e di rieducazione che si profilano per il lavoro carcerar-io, o, quanto 
meno, la loro portata discriminante rispetto al lavoro prestato nell'espletamento 
di un rapporto estraneo alla pretesa punitiva dello Stato. postula 
la definizione di quelli che sono il contenuto e la natura effettivi 
della pena della reclusione nel nostro ordinamento, la sua idole e portata, 
il grado ed intens�it� della sua affiittivit�, materia che con tutta evidenza 
appartiene alla funzione penale e non pu� non essere attribuita al 
Giudice che di tale funzione � investito. 

Questa Corte Suprema, nel cassare una sentenza emanata da Giudice 
civile in tipica materia di esecuzione penale ( 979/52), ha gi� avuto 
occasione di rilevare che per il contenzioso esecutivo penale � predisposta 
una specifica sede provvista di particolare competenza funzionale; 
sede cui non pu�, tra l'altro, rimanere estraneo il P. M. pel prevalente 
interesse pubblico che la distingue. E non � inopportuno notare: a) che 
l'unica pronunzia in merito alla legittimit� della determinazione della 
mercede e della remunerazione � quella emanata dalla prima sezione 
Penale il 22 gennaio 1960 (rie. Giannini) avverso una rituale ordinanza 
ex articoli 612/628 c.p.p. del Giudice dell'esecuzione penale con la quale 
era stata rigettata l'opposizione proposta dal condannato avverso il 
precetto di pagamento delle spese di mantenimento in carcere; b) che 


llil 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1069 

anche la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 124 e seg. 

r.d. 18 giugno 1931, n. 287, dichiarata del resto inammissibile con sentenza 
91/68 della Corte Costituzionale, � stata sollevata dal Giudice 
dell'esecuzione penale. 
� dunque chiaro che era davanti al Giudice dell'esecuzione penale 
che, a norma dell'art. 616 c.p.c., il Pretore avrebbe dovuto rimettere 
le parti e che, senza scendere all'esame delle censure di merito, deve 
ora .cassarsi la sentenza impugnat_a, con la quale il giudice civile ha 
ritenuto di definire la controversia invece di rilevare la propria incompetenza 
funzionale. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 196,9, n. 3938 -Pres. 
Rossano -Est. Della Valle -P. M. Pedaci (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Alibrandi) c. Guasco (avv. Porto e Parisi). 

Arricchimento senza causa -Presupposti -Consenso della parte dan.
neggiata -Insussistenza. 

(e.e. art. 2041). 
Obbligazioni e contratti -Pubblica amministrazione -Forma scritta Necessit� 
-Locazione -Rinnovazione tacita -Inammissibilit�. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, regolamento di contabilit�, e.e. art. 1597). 
L'azione di arricchimento indebito non � proponibile ove lo squi


librio economico prodottosi in favore di una parte in pregiudizio del


l'altra, trovi la sua causa giustificatrice in una disposizione normativa 

ovvero in un atto volontario avente carattere negoziale, che riveli il 

consenso di colui che di poi si assume danneggiato. (1). 

Un tale atto, ove promani dalla P.A., d~ve necessariamente rivestire 

la forma scritta e pertanto in nessun caso pu� essere assunto a valida 

espressione di consenso una tacita manifestazione di volontd desunta 

(1) Gli estremi del rimedio previsto dagli artt. 2041-2042 e.civ. sono 
l'arricchimento di colui contro il quale si agisce, conseguito a spese dell'attore 
(nesso causale); non giustificabile nei confronti del danneggiato e 
non ripetibile con altra azione. 
In ordine al requisito concernente la causa giustificatrice, la giurisprudenza 
� costante nel .senso di ritenere improponibile l'azione allorch� 
il trasferimento dell'utilit� economica trovi giustificazione in una norma 
legale o negoziale (cfr. Cass. 9 agosto 1967, n. 2118; 22 genaio 1959, n. 155, 
in Giur. it., 1959, I, 286; 5 maggio 1956, n. 1427; in Giust. civ., 1967, I, 1247. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dalle circostanze di fatto (fattispecie in tema di rinnovazione tacita di 
locazione non configura.bile nei confronti deLLa P.A.) (2). 

(Omissis). -Con un unico mezzo la riicorrente Amministrazione 
Finanziaria dello Stato, denunciando la violazione e la falsa applicazione 
degli artt. 2041, 1321 e 1350 e.e., censura la rSentenza impugnata 
per aver ritenuto applicabile nei .confronti della Pubblica Amministrazione 
l'istituto della riconduzione tacita del eontratto di locazione e 
per avere poi ravvisato nella mancata tempestiva richiesta di maggiori 
canoni, da parte di essa ricorrente, e nel rilascio di quietanze senza 
riserve, un comportamento incompatibile con la richiesta di aumenti 
successivamente avanzata. 

La censura � fondata. 

La Corte di merito ha invero affermato ehe l'azione di arricchimento 
proposta dall'Amministrazione finanziaria, pure essendo ritualmente 
ammissibile in grado di appello in quanto non potevasi definire 
� nuova � rispetto alla domanda formulata in primo grado, era tuttavia 
inaecoglibile nel merito dovendosi considerare, in linea di diritto, che 
.siffatta azione nOn ha alcuna ragione d'es.sere quando il trasferimento 
dell'utilit� economica trova la sua giustificazione nel tacito consenso 
della parte cht assume di essere stata danneggi�ta e, in linea di fatto, 
che nella .specie non si poteva parlare di � occupazione senza una giu.sta 
causa � dal momento che la Guasco aveva continuato, col tacito eonsenso 
della Amministral!'lione demaniale proprietaria, ad occupare l'alloggio, 
ed a corrisponderne il canone nella misura in origine stabilita, 
anche dopo la scadenza della concessione in uso che di detto alloggio 
aveva ottenuto il defunto suo genitore. � 

La stessa Corte ha ancora aggiunto che l'obiettare che la volont� 
di obbligar.si della .Pubblica Amministrazione non � desumibile da 
�f�cta �concludentia � ma deve essere espressa nelle forme tassativamente 
volute dalla legge non valeva, d'altra parte, ad infirmare la 
validit� delle considerazioni dianzi esposte, dovendosi al riguardo tener 
presente, da un lato, che nella specie trattavasi non gi� di giudicare 

(2) Che gli enti pubblici non possono assumere impegni e concludere 
contratti se non nelle forme stabilite dalle leggi e dai regolamenti ed in 
particolare, per quanto concerne la manifestazione di volont�, che questa 
debba promanare dall'organo cui � attribuita la legale rappresentanza dell'ente, 
attraverso il procedimento all'uopo predeterminato (deliberazione, 
scelta del contraente ecc.), la giurisprudenza � ormai consolidata, cfr. Cass. 
17 agosto 1965, n. 1965; 9 aprile 1965, n. 627, in Giust. civ., 1965, I, 1859; 
26 marzo 1964, n. 686; 10 ottobre 1962, n. 2919; 18 aprile 1962, n. 758. 
Sull'inammissibilit� della rinnovazione tacita del contratto di locazione 
.stipulato con la P.A. cfr. Cass. 17 agosto 1965, n. 1965, in questa Rassegna, 
1965, I, 1176, con nota di MAND�. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1071 

della validit� di un atto amministrativo o di un contratto stipulato da 
un ente pubblico ma soltanto di valutare le conseguenze di un pregresso 
stato di fatto i cui effetti giuridici erano limitati alla sua stessa durata 
nel tempo, e ricordare dall'altro, che nei confronti dei terzi la Pubblica 
Amministrazione � tenuta essa pure all'osservanza di quei supremi 
principi etioi che nei. rapporti tra privati si convertono dn norme giuridiche; 
e che perci� sarebbe stato �sommamente iniquo� dichiarare la 
Guasco, a distanza di tanto tempo e contro ogni logica e legittima previsione, 
obbligata ad eseguire delle prestazionli pecuniarie, delle quali, 
stando al comportamento assunto e mantenuto dall'Amministrazione 
Demaniale proprietaria dell'immobile, nulla avrebbe mai la.sciato ragionevolmente 
sospettare o presagire che sarebbe stato un giorno preteso 
il tardivo adempimento. 

Ma le �considerazioni come sopra esposte si rivelano prive di giuridica 
consistenza. 

� ben vero infatti -che come questa Suprema Corte ha avuto 
gi� altre volte occasione di rilevare (Cass. 9 agosto 1967, n. 2118 e 22 
gennaio 1959, n. 155) -l'azione di cui all'art. 2041 cod. civ. non � 
�proponibile quando lo_ .squilibrio economico prodottosi a favore di una 
parte in pregiudizio dell'altra �sia riconducibile eziologicamente 9lla 
volont� di quest'ultima, e cio� quando il trasferimento dell'utilit� economica 
r.ipeta la sua causa genetica del consenso della parte che assume 
di aver riportato un danno e di voler essere di tale c:Ianno indennizzata, 
mancando in tal caso quell'arricchimento � indebito � o �senza causa � 
che di essa azione costituisce l'indispensabile presupposto logico condizionato 
-ma � anche vero che perch� possa spiegare siffatta efficacia 
preclusiva � necessario che il consenso all'altrui locupletazione, e quindi 
alla correlativa diminuzione del patrimonio pr�prio, sia sostanzialmente 
e formalmente valido, e cio� che non solo provenga dal �soggetto abilitato 
a prestarlo nella legittima sfera della propria autonomia negoziale ma 
che sia altre.si espresso, nei singoli casi, nelle forme e nei modi stabiliti 
dalle disposizioni di legge in vigore. 

Al lume di tale principio, e posto che la Pubblica Amministrazione, 
attesi i fini pubblicistici perseguiti .ed i controlli cui deve conseguentemente 
sottostare nello spiegamento della propria attivit�, non pu� assumere 
impegni e concludere contratti se non nelle forme indicate dalle 
leggi e dai regolamenti, e. pu� manifestare legittimamente la sua volont� 
negomale soltanto �con dcliberazioni degli organi competenti e con 
l'osservanza degli adempimenti e dei eontrolli all'uopo previsti (Cass. 
17 agosto 1965, n~ 1965 e 26 marzo 1964, n. 6�86), erronea in mancanza 
di una delibera valida ed operante � l'affermazione della Corte torinese 
secondo cui, con l'astenersi dal richiedere maggiori canoni e col rilasciare 
senza alcuna riserva le quietanze relative alle somme ricevute 
l'Amministrazione finanziaria avrebbe tenuto un comportamento incom


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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

patibile con la successiva r�chiesta di aumento ed avrebbe quincli, in 
realta, consentito tacitament~, dando ad ,esso col fatto proprio una 
efficacia giustificazione, quell'arricchimento da parte della Guasco del 
quale 'solo pi� tardi si era poi fatta a denunciare l'ingiustizia per mancanza 
di causa. 

N� vale opporre che nella specie non si controverterebbe sulla 
validit� di un atto o di un contratto ma semplicemente sulle conseguenze 
di un pregresso stato di fatto produttivo di effetti giuridici limitati al 
periodo della sua attuazione. 

Da ci� che l'arricchimento, perch� possa dirsi �non indebito�, deve 
trovare la sua .giustificazione o in una disposizione di legge o in una 
convenzione intervenuta tra le parti deriva, invero, che nel caso in 
cui -come nella specie -si voglia ravvisare la giustificazione come 
sopra richiesta in un determinato �stato di fatto� quel che rileva non 
� tale � stato � ,considerato nel suo aspetto meramente ohiettivo e 
fenomenico, ma � il comportamento che ha ad esso data causa, vale a 
dire l'atto volontario mediante il quale, in mancanza di una specifica 
convenzione, la parte che lamenta di aver subito il depauperamento ha 
posto in essere i presupposti causali della .situazione di fatto prodottasi. 

Come sostitutivo, nei suoi effetti pratici, di un atto e contenuto 
negoziale quale � la ��convenzione � tra le parti � lo � stato di fatto � 
in tanto pu� essere cio� assunto, come giustificazione dell'arricchimento 
conseguito da una parte con pregiudizio dell'altra lin quanto sia riconducibile 
ad un atto di volont� che, per essere rivelatore del consenso 
prestato da colui che lo compie al trasferimento dell'utilit� economica 
dal proprio all'altrui patrimonio, ha esso pure indubbio carattere e 
contenuto negoziale. 

Che l'Amministrazione finanziaria abbia lasciato che la Guasco 
continuasse per alcuni anni ad occupare come per lo innanzi, l'alloggio 
anche dopo la morte del padre, e la scadenza dell'originaria concessione 
in uso e non abbia mai espresso, durante tale peviodo, alcuna riserva 
in ordine alla congruit� del ,canone che la occupante aveva continuato 
a corrisponderle nella medesima modesta misura in origine stabilita � 
pertanto circostanza a inidonea a fungere da valida causa di legittimit� 
del godimento dell'alloggio da parte della Guasco, non potendo in 
difetto di una manifestazione di volont� rivestita di quella forma scritta 
che nei contratti de.gli enti pubblici ha, come si � detto, valore costitutivo 
essere in alcun caso a'ssunta come valida espressione del� consenso� 
vale a dire della volontaria adesione data dall'Amministrazione stessa 
al particolare � arricchimento � che la Guasco, col risparmiare la spesa 
che per ottenere la disponibilit� di un alloggio simile a quello occupato 
avrebbe dovuto presumibilmente sostenere e quindi, col �conseguire 
un'utilit� formante oggetto di un diritto non suo, era riuscita in effetti 
a realizzare. -(Omissis). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1073 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3943 -Pres. Favara 
-Est. Usai -P. M. Raja (conf.) -Ministero delle Poste e Telecomunicazioni 
(avv. Stato R. Bronzini) c. Casali e Polidori (avv. 
Pesaturo). 

Assegni di conto corrente postale -Natura -Girata -Funzione di mero 
trasferimento -Protesto -Inammissibilit�. 

(c. postale 27 febbraio 1936, n. 645, artt. 111 e segg.; r.d. 30 maggio 1940, n. 775,. 
artt. 123 e segg.). 
Obbligazioni e contratti -Mora -Atto di costituzione iil mora -Atto 
di protesto -Idoneit� alla costituzione in mora del debitore ai 
sensi dell'art. 1219 -Esclusione. 

(c. civ. art. 1219). 
La girata degli assegni postali, la cui circolazione prima del visto 
da parte dell'Ufficio si basa sulla fiducia neiza promessa del traente e 
senza alcun obbligo del trattario, non ha funzioni di garanzia ma di semplice 
trasferimento sicch� per essi non � ammesso l'istituto del protesto, 
la cui preminente ragione giustificativa riposa sull'azione cii regresso (1). 

L'atto di protesto, pur rientrando genericame.nte nell'ampia categoria 
degli atti di messa in mora, non vale per� a costituire in mora il 
debitore ai sensi deli'art. 1219 e.e., attese le peculiari sue caratteristiche 
sostanziali e formali, che non ne consentono l'applicazione oltre 
le specifiche finalit� stabilite dalle 'leggi che lo prevedono (2). 

(1) In senso conforme cfr Appello Finanze, 25 maggio 1964 in Foro 
Padano 1965, 93; Tribunale Firenze, 11 novembre 1961 . in Banca borsa 
e titoli di credito 1962, II, 470. 
La fondamentale differenza degli assegni postali, che costituiscono veri 
e propri titoli di credito all'ordine o nominativi (artt. 111-121 cod. postale; 
124-126 reg.to), rispetto a quelli bancari, riposa nel visto da .parte dell'Ufficio 
detentore del conto corrente postale, dal quale consegue: 1) che 
l'assegno non pu� pi� essere revocato dal correntista (arg. art. 126 c. Postale); 
2) che in caso di mancata riscossione gli assegni si prescrivono a 
favore della Posta e non del correntista (c. Postale art. 129). 

Per tal modo il visto produce lo stesso effetto del passaggio della prov


vista dal delegante al delegato (art. 1270 comma 1� c. civ.), per il quale la 

delegazione diviene irrevocabile da parte del traente e l'Amministrazione 

assume un'obbligazione diretta verso il portatore del titolo. 

Gli assegni non ancora vistati vengono trasmessi sulla sola fiducia 

nella promessa del traente, escluso ogni obbligo del trattario. 

In dottrina cfr. PELL1zz1 in Enciclopedia del diritto. voce � conto corrente 
postale� p. 673; TONNI in Banca, Borsa e titoli di credito, 1962, 
II, 470. 

(2) Sui reqiusiti dell'atto di costituzione in mora, da effettuarsi mediante 
intimazione o richiesta scritta ma non sostituibile da altro atto 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Col primo mezzo la ricorrente deduce ai sensi de�


l'art. 360 nn. 3. e 5 c.p.c. la violazione e la falsa applicazione: degli ar


ticoli 51 e ,segg. legge cambiaria 14 dicembre 1933, n. 1736; degli arti


coli 107 e segg. (con particolare riferimento agli artt. 111, 118, 119,_ 

120, 121, 123 lettera b e 125) del .e.post . .approvato con r.d. ~7 febbraio 

1936, n. 645; degli artt. 123, 124, 12'7 e 128 del relativo regolamento 

approvato con r.d. 30 maggio 1940, n. 775; degli artt. 2008 e segg, e.e. 

nonch� il difetto e la contraddittoriet� della motivazione. 

Pi� precisamente l'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni 
censura la sentenza impugnata perch�, dopo aver escluso l'ammissibilit� 
del protesto in quanto previsto esclusivamente agli effetti dell'azione 
di regresso, non ammessa per' gli assegni postali, e dopo aver 
escluso la colpa del notaio per l'opinabile applicabilit� del protesto 
all'assegno postale, riconoscendo in tal modo l'errore in cui il notaio 
stesso era incorso nel levare il protesto, aveva tuttavia ritenuto che il 
protesto medesimo costituiva sempre un diritto del portatore del titolo 
onde procurarsi la prova certa dell'inadempimento dell'Amministrazione 
allo scopo di poter fare valere la sua responsabilit� e che quindi il protesto 
poteva, anche se non doveva, essere levato. 

La ricorrente aggiunge �che, cos� ragionando, la Corte del merito 
aveva dtsapplicato gli stessi esatti principi giuridici costituenti le sue . 
premesse, incorrendo in tal modo nella violazione delle norme poste a 
base di tali premesse e nel vizio di contraddittoria ed illogica motivazione, 
violando, per giunta, anche le norme sui titoli di credito, che non 
prevedono il protesto, ed assegnando a quest'ultimo la funzione del tutto 
accessoria e facoltativa di semplice constatazione dell'inadempimento, 
quasi che il protesto potesse equipararsi alla messa in mora del debitore, 
rispetto alla quale costituiva invece un atto formalmente e sostanzialmente 
diverso. 

Il motivo � fondato. 

da cui si desuma l'interesse della prestazione ma non la pretesa attuale 
ad ottenerla cfr. Cass. 25 ottobre 1966, n. 2599 in Foro it., 1966, I, 2109 e 
giurisprudenza ivi richiamata. 

Secondo una definizione comunemente accettata, l'atto di :protesto � un 
atto solenne, per il quale si richiede la forma scritta ad substantiam, diretto 
ad accertare da un lato l'esercizio del diritto cambiario da parte del possessore 
o detentore del titolo o di ogni altro interessato e dall'altro l'inadempimento 
o, pi� genericamente, la risposta negativa dell'obbligo cambiario 
o, in caso di assegno, del trattario. 

Due sono pertanto le funzioni prevalenti dell'atto di protesto: la 
prima probatoria, diretta a constatare talune circostanze rilevanti per 
l'attuazione dei diritti cambiari; la seconda di assicurare agli obbligati in 
regresso le garazie necessarie ed al titolare il mezzo per giungere al 
pagamento. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

La sentenza impugnata �, invero, partita, come riconosce persino 
la stessa ricorrente, da esatte premesse quando ha affermato �Che per gli 
assegni postali il protesto non era necessario, dato che esso trovava 
la sua ragione d'essere nell'azione di regresso, la quale non era ammessa 
per tutti i titoli di credito, bens� solo per quelli dell'ordine 
in cui la girata avesse anche funzione di garanzia, mentre tale funzione 
non aveva la girata nell'assegno postale, in quanto la sua circolazione, 
quando, come quello in esame, non era vistato, avveniva sulla sola fiducia 
nella promessa del trante, senza alcun obbligo da parte del 
trattatario. 

A maggior chiarimento e conforto di tali premesse occorre aggiungere 
che i casi nei quali la girata ha, accanto alla funzione di trasferimento 
anche quella di garanzia, sono solo quelli stabiliti dalla legge 
ovvero dalla volont� delle parti mediante apposita clausola risultante 
dal titolo (art. 2012 e.e.) e che nessuna norma del codice postale e del 
relativo regolamento �consente di dedurre che il legislatore abbia attribuito 
alla girata degli assegni postali anche la funzione di garanzia. 

Gli assegrii stessi sono, anzi, definiti (prima del visto, che li rende 
analoghi agli assegni' bancari con copertura garantita) fiduciari (ar. 119 

c. post.) per significare, appunto, che possono essere trasmessi sulla sola 
fiducia nella promessa del traente. 
Dato che precedentemente al codice postale la dottrina aveva gi� 
messo in luce la duplice funzione della girata ed era divisa nell'attribuire 
alla girata degli assegni postali anche la :f~nzione di garanzia, il 
legislatore, al quale, il problema qulindi era noto, se avesse voluto riconos
�cere alla girata degli assegni postali anche detta funzione, lo avrebbe 
fatto in modo espresso. 

Nessun dubbio, dunque, come � ormai pacifico in dottrina, che debba 
escludersi �che nell'assegno postale la girata abbia anche funzione di 
garanzia. 

Orbene, dalle anzidette sue premesse, ora accertate, esatte, la Corte 
di appello doveva logicamente dedurre che, non sussistendo per l'assegno 
postale la ragione che giustificava il protesto, costituita dall'azione 
di regresso, il protesto stesso non poteva essere levato. Ed, invero, da 
tale conclusione la sentenza .impugnata non si � del tutto discostata 
perch� ha riconosciuto che il protesto non era per la detta ragione, necessario 
ma ha aggiunto che tuttavfa poteva essere ugualmente levato, 
trattandosi di atto che attestava, con efficacia di prova piena contro la 
Amministrazione postale, che l'assegno era stato presentato per il pagamento 
e non era stato pagato. Quindi il protesto costituiva pur sempre 
un diritto del portatore dell'assegno postale a procurarsi la prova certa 
dell'inadempimento, identificandosi nella constatazione legale del rifiuto 
del pagamento. 


1076 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ma tali affermazioni della Corte del merito sono inficiate da un 
errore, che sta alla loro base e che � �costituito dalla equiparazione tra 
atto di protesto e atto di messa in mora, quasi che il protesto possa 
essere usato, a facolt� del creditore, anche al semplice fine di costituire 
in mora il debitore ai sensi dell'art. 1219 e.e. Ora, bench� l'atto di costituzione 
in mora possa essere eseguito anche a mezzo di pubblico ufficiale 
autorizzat? ad attribuirgli pubblica fede, deve per� escludersi 
che anche tale atto di costituzione in mora eseguito da un pubblico ufficiale 
possa identificarsi con un atto di protesto, dato che quest'ultimo, 
pur rientrando, in senso ampio, nella categoria degli atti di costituzione 
in mora, si distingue da tutti gli altri atti del gen�re per peculiari caratteristiche 
.sostanziali e formali, le quali non consentono che la sua 
applicazione possa essere estesa a fattispecie estranee alla finalit� per il 
cui conseguimento la leg.ge ha previsto il protesto stesso. 

Sotto l'aspetto sostanziale, invero, il protesto adempie in modo specifico 
allo 1scopo di consentire, come si � visto, l'azione di regresso, della 
quale costituisce presupposto. La circostanza che, attraverso il protesto, 
possano essere conseguiti pure altri scopi e che spesso venga usato anche 
solo in vista di essi, non esclude che la ragione per la quale lo prescrivono 
tutte le leggi �Che lo prevedono sia costituita dall'azione di regresso 
e che, quindi, il protesto non possa venir levato che in relazione 
a titoli di credito che tale azione consentono. 

Appunto per questa ragione il codice �civile non contempla il protesto. 
nel trattare dei titoli di �Crediito, in quanto essi, salvo qiversa disposizione 
di legge o clausola contraria risultante dal titolo, non attribuiscono 
alla girata funzione di garanzia (art. 2012) con conseguente azione 
di regresso. 

Dal lato formale, poi, il protesto � disciplinato dalle leggi che lo 
prevedono (artt. 51, 68, 69, 70, 71 e 73 r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669, 
sulla cambiale 45, 46, 60, 61, 62, 63 e 65 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, 
sugli assegni) in modo cos� preciso da attribuirgli caratteristiche particolari. 
A ci� si aggiunge (vedi legge 12 febbraio 1955, n. 77) l'obbligo 
della pubblicazione dei protesti in speciali elenchi ufficiali a cura delle 
Camere di commercio, la cui importanza, per le grav;i conseguenze che 
tale pubblicazione comporta, � talmente nota da non aver bisogno di 
essere illustrata. 

Esclusa la equiparazione .tra protesfo e atto generico di costituzione 
in mora, e pil� precisamente, che possa in .sostituzione dell'atto di costituzione 
in mora usarsi il protesto, deve concludersi che il protesto 
stesso non pu� essere levato che nei casi in cui sussiste, almeno in 
astratto, il fine principale, costituito dalla azione di regresso, in considerazione 
del quale la legge ha previsto il protesto medesimo, e c10e, 
esclusivamente per constatare il mancato pagamento di titoli di credito 

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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1077 

che consentono la detta azione di regresso, azione che invece, come ha 
esattamente riconosciuto anche la 1sentenza impugnata, non � ammessa 
per gli assegni postali. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, 13 dicembre 1969, n. 3951 -Pres. Marletta Est. 
Ferrone Capano -P. M. Trotta (conf.) -S.p.A. Ferrovia Suzzara 
-Ferrara (avv. Lorenzoni) c. Amministrazione Ferrovie dello 
Stato (avv. Stato Conti). 

Arbitrato -Sentenza arbitrale -Impugnativa -Nullit� per violazione 
delle regole di diritto -Concetto. 

(c.p.c. art. 829 u.p.). 
Obbligazioni e contratti -Convenzioni tra l'Amm.ne F. S. e le Aziende 
private di ferrovie e tranvie in concessione -Maggiorazioni dei 
canoni e corrispettivi disposte con d. 1. 2 agosto 1946, n. 70 -Transazioni 
-Applicabilit�. 

(d.l.C.P.S. 2 agosto 1946, n. 70, art. 1) 
Il concetto di inosservanza delle regole di diritto per la quale � 
ammessa l'impugnativa della sentenza arbitrale, � analogo a quello di 
violazione e falsa applicazione delle norme di diritto concernente il 
Ticorso pe1� Cassazioiie ai sensi dell'art. 360, n. 3 c.p.c., onde non si sustanzia 
necessariamente in nuove argomentazioni ben potendo la censura 
riproporre le medesime questioni gi� prospettate e non accolte nella 
impugnata sentenza (1). 

La maggiorazione disposta dal d.l. 2 agosto 1946, n. 70, dei canoni 
e dei corrispettivi stabiiiti nelle convenzioni tra l'Amministrazione 
FF.SS. e le aziende delle ferrovie e tranvie concesse all'industria p1"ivata 
per regolare i servizi 'cumulativi e di corrispondenza e scambi 
merci, si applica a tutte le convenzioni ancorch� abbiano carattere transativo. 


(Omissis). -Col primo ?1otivo, nel denunciare la viiolazione dell'art. 
82H, ultimo comma, c.p.c., nonch� dei principi generali in materia 
di impugnazione dei lodi arbitrali, la riicorrente si duole che non sia 

(1) Giuriisprudenza costante; cfr. Cass. 21 marzo 1969, n. 899; 13 maggio 
1968, n. 1491; 8agosto 1959, n. 2501, in Giust. civ., 1960, I, 131. 
Con l'art. 829 c.p.c. il legislatore ha unificato e circoscritto le impugnative 
di appello e dell'azione di nullit� contemplate nel codice di rito 
del 1865 (artt. 28 e 32), disciplinando nella prima parte gli errores in procedendo 
con carattere di irrinunziabilit�, corrispondenti ai casi di nullit� 
del codice abrogato, e nella seconda parte gli errores in iudicando, rispetto 



1078 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stata accolta l'eccezione pregiudiziale da essa sollevata nel .giudizio di 
merito, secondo cui l'impugnazione della sentenza arbitrale, .proposta 
dall'.Ammi.nistrazione delle Ferrovie dello Sta~o, non prospettava specifici 
motivi di nullit�, ed era perci� inammissibile, essendosi l'Amministrazione 
ferroviaria limitata a riproporre �tutte le ragioni gi� dedotte 
nel giudizio arbitrale � ed a sottoporre alla Corte d'appello �le 
stesse questioni (risolte col lodo) senza enunciare i motivi di nullit� �. 

La doglianza � infondata. 

� esatto ,che la inosservanza delle regole di diritto, per la quale � 
ammesso, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 829 c.p.c., l'impugnazione 
di nullit� della sentenza arbitrale, deve essere intesa nello stesso senso 
della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, che per 
l'art. 360 n. 3 costituiscono motivi di ricorso per cassazione. Ed � altresi 
esatto .che l'atto di impugnazione della sentenza arbitrale deve contenere 
la specificazione dei motivi di nullit�. che si intendono far valere, 
a norma dell'art. 829 c.p.c. Ma ci� non significa che i motivi di 
nullit� debbono concretarsi in �nuove argomentazioni contro le statuizioni 
del lodo�, o, �comunque, in questioni o ragioni diverse da quelle 
gi� :prospettate nel giudizio arbitrale. Allorquando la controversia verta 
sull'ambito di applicazione di una legge, la parte che propugna una determinata 
interpretazione, ed in tale assunto rimane soccombente, propone 
una valida impugnazione della .sentenza arbitrale, ai sensi del 
citato art. 829, col riproporre la questione e le relative argomentazioni 
(circa l'ambito di applicazione di quella data legge) e col dedurre che 
la diversa dnter:pretazione adottata dagli arbitri � errata, onde la nullit� 
del lodo. 

Nel caso in esame, la questione da risolvere consisteva nello stabilire 
l'ambito di applicazione del d.l. 2 agosto 1946, n. 70, e do� se 
tale decreto, la cui interpretazione era controversa fra le parti, fosse 

o non fosse applicabile alle convenzioni intercorse fra le parti medesime 
(ed in particolare a quella del 20 maggio 1901, con la quale era 
stata modifi.cata la precedente convenzione del 6 marzo 1891). Era questa 
(fra le altre) la questione sottoposta al collegio arbitrale, che la risolse 
in senso negativo, e cio� in senso sfavorevole all'Amministrazione ferrovtiaria. 
La stessa questione venne riproposta alla Corte d'appello, la 
ai quali � dato di rinunziare all'impugnativa, col dichiarare il lodo non 
soggetto a gravame o con l'autorizzare il giudizio di equit�. 

L'impugnazione si svolge alla stregua di un giudizio di secondo grado, 
sostanzialmente assimilabile all'appello (cfr. Cass. 10 gennaio 1966, n. 183 
in Arbitrati e Appalti 1967, 356; 21 giugno 1965, n. 1298, in Giust. civ., 1965, 
I, 2224). 

Circa la natura di giudizio di mera legittimit� devoluto alla competenza 
della Corte di Appello cfr. Cass. 3 luglio 1967, n. 1626; 13 maggio 
1968, n. 1491. 

f 

~dllrdllra!i1!4!18!il!A1'1LA1'Al'I~ 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1079 

quale rilev� che l'atto di impugnazione conteneva �un ampio svolgimento 
delle ragioni per le quali il lodo impugnato doveva (secondo 
l'Amministrazione ferroviaria) considera11si nullo, non avendo gli arbitri 
osservato le regole di diritto�. 

Esattamente, dunque, � stata disattesa l'eccezione di inammissibilit� 
dell'impugnazione; e senza fondamento la ricorrente se ne duole 
col primo motivo del presente ricorso, che va perci� rigettato. (
Omissis). 

(Omissis). --Col terzo motivo si censura l'impugnata sentenza, 
ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., per avere ritenuto che il d.l. 2 agosto 
1946, n. 70, sia applicabile anche alle convenzioni aventi carattere transattivo 
e, in particolare, a quella inter�corsa fra le parti il 20 maggio 
1901. 

Anche questa censura � infondata. 

L'art. 1 del decreto n. 70 del 1946 dispone che d. canoni ed i corrispettivi 
(ad eccezione di quelli indicati nell'art. 3) previsti dalle convenzioni 
stipulate fra le Ferrovie dello Stato e le aziende delle ferrovie 

I 

e tramvie concesse all'indust11ia privata � per r.egolare i servizi cumulativi 
e di corrispondenza e di scambio merci �, anche se scadute o di


I

sdette, ma tuttavia in atto o in attesa di rinnovazione, sono maggiorati 
in via provvdsoria nella stessa misura degli aumenti apportati alle ta! 
riffe dei prezzi di trasporto delle cose, rispetto alle tariffe in vigore 
sulle linee concesse anteriormente al 10 giugno 1944. l 

l I 

Esattamente la Corte d'appello ha rilevato che n� la lettera n� la 
ratio della norma �consentono di limitarne l'applicazione alle sole con


I 

!

venzioni non aventi carattere transattivo. 

i

La formulazione letterale della norma, che contempla in via generica 
e generale le �convenzioni� stipulate fra le Ferrovie dello Stato I 
]e le aziende delle ferrovie e tramvie concesse all'industria privata, non 

~ 

ha riguardo alla natura delle ,convenzioni, ma solo all'oggetto delle 

I 

stesse (convenzioni stipulate �per regolare i servizi cumulativi e di 

I 

corrispondenza e di scambio merci�). Nessuna limitazione o diS<:riminazione 
n� implicita, lll� tanto meno esplicita -� posta in ordine alla I 


! 
natura, al carattere o alla qualificazione giuridica delle convenzioni, co! 


I ' 
i I 

sicch� � da ritenere che tutte le convenzioni attinenti al regolamento 
dei predetti servizi, ancorch� aventi carattere transattivo, rientrino nella 
previsione della norma e siano soggette alle maggiorazioni da questa 
stabilite. Ci� che � necessario e sufficiente, affinch� siffatta soggezione ' 

,, 

si verifichi, � che la convenzione sia stata stipulata �per regolare i 

' 1

servizi cumulativi e di corrispondenza e di scambio merci�. 

A tale conclusione conduce anche la ratio della norma, giacch� 
scopo del legislatore fu quello di adeguare i canoni ed i corrispettivi 
anzidetti ai, nuovi valori monetari, determinati dagli eventi bellici e 


1080 .l:iASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dalla svalutazione della lira, per cui la rivalutazione (corrispondente a 
quella delle tariffe ferroviarie) doveva estendersi a tutti d canoni e corrispettivi, 
con la sola eccezione di quelli espressamente esclusi o diversamente 
regolati (indicati nell'art. 3), quale che fosse la natura giuridica 
della convenzione. Come bene ha rilevato la Corte di merito, non 
v'erano ragioni, n� emergono dalla lettera o dalla ratio della norma, 
che le convenzioni di natura transattiva fossero sottratte al nuovo regime 
di rivalutazione m�netaria dei predetti canoni e �corrispettivi. In 
senso contrario, anzi, sta� la considerazione �che col decreto "in parola 
fu adottata una misura legislativa di .carattere generale, concernente 
tutti i servizi cumulativi e. di corrispondenza e scambio merci, volta 
a ristabilire un equilibrio fra costi e corrispettivi, al fine di un risanamento 
economico dell'azienda ferroviaria dello Stato. 

Non giova opporre �che, nella specie, la convenzione del 1901, oltre 
che stipulata in sede transattiva,. ridusse taluni canoni e corrispettivi, 
postd a carico dell'attuale ricorrente con la precedente convenzione del 
1891, in considerazione dei danni alla stessa arrecati, per cui le somme 
cos� determinate non erano riconducibili al concetto di corrispettivo di 
un servizio. L'obiezione non ha pregio, perch� la maggiorazione imposta 
dal decreto del 1946 non �comportava per l'attuale ricorrente (concessionaria 
della ferrovia Suzzara-Ferrara) una revoca, o una riduzione, o 
comunque una modifica delle agevolazioni concesse �con la convenzione 
del 1901, ma solo un adeguamento dei canoni e corrispettivi al mutato 
valore della moneta, in modo da vistabilire l'originario equilibrio fra 
prestazioni e controprestazioni, ancorch� determinato in via transattiva 
e con riguardo a:i danni sofferti da una delle parti. ~ (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3955 -Pres. 
Rossano -Est. Ferrone Capano -P. M. De Marco (conf.) -Flaccomio 
(avv. Antonuccio e Pino) c. Ministero Finanze (avv. Stato 
Zoboli). 

Acque pubbliche -Alvei dei fiumi e dei torrenti -Concetto -Demanialit�. 


(cc. art. 822). 
Rientrano nel concetto di alveo e pertanto fanno parte del demanio 
idrico in quanto destinate a regolare il deflusso ed il regime delle acque 
pubbliche, le sponde o rive interne dei fiumi e torrenti, soggette ad essere 
sommerse dalle piene ordinarie. Si appartengono invece ai pro



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVXLE 1081 

prietari rivieraschi le sponde o rive esterne, soggette soio alle piene 
straordinarie (1). 

(Omissis). -Col primo motivo si denuncia la violazione e falsa 
applicazione degli artt. 822 e 823 e.e., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., 
per essere stata ravvisata l'esistenza di un bene demaniale (alveo), laddove 
-secondo la ricorrente -trattavasi di bene immobile di propriet� 
prdvata, tale risultante da atti negoziali e da pronunce giudiziali. 

La doglianza � totalmente infondata. 

� principio pi� volte affermato da questo Supremo Collegio che 
nell'ambito del demanio idrico rientrano gli alvei dei fiumi e torrenti, 
costituiti da quei tratti di terreno sui quali l'acqua scorre fino al limite 
delle piene normali. Ne consegue che le sponde o rive interne, ossfa 
quelle zone soggette ad essere sommerise dalle piene ordinarie dei fiumi 

o torrenti, rientrano nel concetto di alveo e costituiscono beni demaniali, 
a differenza delle sponde o rive esterne, soggette solo alle piene 
straordinarie, ,che appartengono, invece, ai proprietard dei fondi rivieraschi. 
Del resto, come questa Corte ha pi� volte precisato, la demanialit� 
delle a�cque si estende, oltre che all'alveo, anche alle rive, agli 
argini e ad ogni altra opera destinata a regolare il deflusso ed il regime 
delle acque pubbliche. 
A tali principi si � attenuta l'impugnata sentenza, che perci� si 
sottrae alle generiche censure formulate dalla ricorrente.. Basta rilevare 
che i giudici di merito, dopo aver esattamente enunciato il concetto giu


(1) Cfr. Cass. 11 febbraio 1967, n. 348. 
,La natura demaniale degli alvei, cio� di quella parte di terreno scavata 
dal deflusso delle acque e dalle stesse occupata nei periodi di piena 
normale, gi� controversa� in passato (cfr. PACELLI -Acque Pubbliche) � 
ormai acquisita convenendosi, in base anche alle disposizioni delle leggi 
speciali (r.d. 25 luglio 1904, n. 525; 1. 13 luglio 1919, n. 774; t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775) che nel far menzione dei fiumi, torrenti ecc. con la 
norma di cui all'art. 822 e.e. si sia inteso far riferimento al bene nel suo 
complesso, cfr. Cass. 11 maggio 1942, n. 1227, in Foro it., 1942, I, 831. 

Circa poi i limiti dell'alveo, l'art. 93 del t.u. 1904, n. 523 precisa che 

�formano parte degli alvei i rami, canali e diversivi dei fiumi, torrenti, 
rivi e colatori pubblici, ancorch� in �alcun tempo dell'anno rimangano 
asciutti�. 
Tale principio � stato poi dalla giurisprudenza puntualizzato come nella 
sentenza che si annota, nel senso cio� che l'alveo si estende fino ai limiti 
del terreno che l'acqua raggiunge nelle piene normali, cfr. Appello Brescia, 
20 maggio 1931, in Giur. it., 1932, II, 103; Tribunale Regionale delle Acque 
di Venezia 27 settembre 1951, in Foro pad., 1953, I, 201. 

Circa l'analoga natura giuridica delle acque subalvee cfr. Trib. Superiore 
Acque 6 marzo 1967, n. 5, in questa Rassegna, 1967, I, 317. 
In dottrina cfr. RESTA, Commentario di Scialoja, e Branca, 1960, sub 
art. 822, p.83; BuscA, Le acque nella legislazione italiana, Utet, 1962, 277. 



1082 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1:1 
riidico di �alveo � (in conformit� alla giurisprudenza di questa Suprema m 
Corte), hanno esaminato tutte le risultanze probatorie acquisite al pro-
ce.sso, ed in particolare quelle acquisite attraverso la duplice ispezione Jj 
della localit�, ed hanno accertato, con ampia ed ineccepibile motivazione, 
che la zona di terreno in ,contestazione � � obiettivamente desti1:
1 
nata ad essere attraversata, in tutta la sua estensione fino al vecchio 
muro di �rgine, dai vari rami e bracci attivi del corso d'acqua, e costi


I

tuisce quindi il naturale alveo del torrente, ricorrendo nella specie 

I ~ 

l'ipotesi di una di quelle fiumare, caratteristiche dell'Italia meridionale, 
con letto ampio ed in prevalenza ghiaioso o ciottoloso, quasi sempre 
asciutto, ma tuttavia in atto inserviente, nella sua integrit�, all'improvviso 
e normale deflusso delle acque torrentizie�. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1969, n. 3957 -Pres. 
Favara -Est. Mazzacane -P. M. Raja (conf.) -Ministero del Tesoro Comitato 
Interministeriale Previdenze agli Statali (avv. Stato Soprano) 
c. Ente Italiano Cooperativo Approvvigionamenti (avv. 

I

w

Nuzzo). ~ 

Fallimento -Liquidazione coatta amministrativa -Impugnativa di 
sentenza in tema di insinuazioni tardive di crediti -Termini ordinari. 


(Decreto 16 marzo 1942, n. 267, artt. 99, comma 4� e 5�; 101, 209; c.p.c. articoJi 
(.325, 326). 


I ~

Le disposizioni che in tema di impugnazione detta la legge falli:~ 
mentare, non costituiscono un organico sistema neLla disciplina dei relativi 
giudizi che ne consenta la interpretazione analogica, ma si pongono, 
in deroga a quelle del diritto comune, come norme eccezionali restrittit'e 
della facolt� di impugnazione, per una pi� rapida definizione delle specifiche 
controversie previste. 

I

Pertanto la disciplina di cui all'art. 99 comma 4� e 5� L. F., concer


:::

nente l'opposizione allo stato passi'VO, non si estende ai gi.udizi ine1�enti TI;[ 

I 
~ 

@ 
In senso conforme cfr. Cass. 7 febbraio 1961, n. 249, in Diritto fall., 1961,. 
II, 44; 31 marzo 1959, n. 949, in Foro it., 1959, I, 1684; 20 marzo 1958, n. 924,. 
in Dfritto fall., 1958, II, 194. In dottrina cfr. AzzoLINA n fallimento, 1961, 

p. 766; LIMARDO in Diritto fallimentale, 1958, II, 194; contra PROVINCIALI,. 
Manuale di diritto fallimentare, 3n ediz., 755; SATTA, lstit. di diritto fallimentare, 
5a ediz., 276, che sottolinea l'unicit� del sistema di forme e d'impugnazioni 
stabilito dal diritto vigente in materia di accertamento del pasr 


sivo e per i vari procedimenti da esso derivanti. 

I,. 

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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 1083 

le dichiarazioni tardive dei crediti; per i quali le impugnazioni sono 
invece regolate dalle pi� generali norme degli artt. ,125 e 326 c.p.c. 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso si denuncia la violazione 
degli .artt. 325, 326 e 327 c.p ..c. e degli artt. 98, 99, 101, 208 e 209 
della legge fallimentare, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Si sostiene 
che la Corte del merito, avendo qua1ificato la domanda della Amministrazione 
come insinuazione tardiva del credito, avrebbe dovuto ritenere 
applicabili, ai fini della decisione sulla tempestivit� dell'appello proposto 
dalla stessa Amministrazione contro la sentenza del Trbunale, le norme 
di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. poich� le impugnazioni delle sentenze 
pronunziate nei giudizi relativi a dichiarazioni tardive di credito non 
sono regolate dalle norme eccezionali di cui all'art. 99 della stessa legge, 
ma delle norme comuni di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., con la conseguenza 
che i termini non decorrono dalla affissione della sentenza alla 
porta del tribunale fallimentare, ma dalla notifica della sentenza, o, in 
mancanza, della sua pubblicazione. I

I

La censura � fondata. i 
La questione prospettata � ,stata gi� esaminata e� decisa da questa l 
jCorte Suprema nel senso indicato dalla ricorrente (sent. n. 249 del 1961, 

i

!

n..949 del 1959, n. 924 del 1958) e da tale indirizzo, che risponde ad 

! ! 

una rigorosa interpretazione della legge fallimentare, non vi � motivo 
di discostarsi. ! 
Invero il legislatore non ha �creato, .nella legge fallimentare, un 
organico sistema di impugnazione, n� ha previsto norme comuni suscet


I

tibili di applicazione analogica all'interno del sistema. Esso, invece, si 
� limitato a dettare particolari disposizioni, quanto ai termini di impu. 
! ! 
gnazione, ed alla loro decorrenza esclusivamente in determinate controversie 
per le quali ha ritenuto necessaria una pi� rapida definizione. Le 


I

predette disposizioni hanno carattere eccezionale poich�, in deroga alle 

i 

norme comuni, restringono le facolt� d'impugnazione del soggetto interessato: 
Fra tali disposizioni � compresa quella di cui all'art. 99 L. F. 
in materia giudizi relativi alle opposizioni dello stato passivo. Essa, 
per H suo carattere eccezionale, non pu� essere analogicamente estesa 
ai giudizi relativi a dichiarazioni tardive di crediti di cui all'art. 101 

I

L. F. e all'art. 200 L. F. (per le amministrazioni controllate) poich� si 
tratta di istituti strutturalmente diversi: l'opposizione costituisce una 
pretesa diretta alla modifica di uno stato passivo gi� costituito in contrasto 
con quanto dedotto dall'opponente mentre l'insinuazione tardiva 
� costituita dalla richiesta di una decisione, che, pur importando modiI 


ficazione del provvedimento di cui all'art. 97 L. F., non vuol significare I 

~ 

censura del medesimo (onde pu� essere proposta sino a che non siano i 
esaurite le ripartizioni dell'attivo fallimentare). Pertanto il semplice 

I

richiamo fatto dall'art. 101 all'art. 98 L. F., in ordine ai termini di 

I 

I 

.. . ! 


1084 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

comparizione delle parti, non pu� significare che le distinte procedure� 
previste in tali disposizioni siano state equiparate s� da doversi osservare 
per le sentenze eme&se nei giudizi di insinuazione tardiva la norma 
eccezionale prevista dall'art. 99 L. F. 1soltanto per i giudizi relativi alle 
opposizioni dei creditori esclusi o ammessi �con riserva. Anzi; l'art. 101 

L. F., facendo richiamo esclusivamente al terzo comma dell'art. 98 L. F.,, 
fa presumere che il legislatore abbia voluto a ragion veduta escludere, 
.per il procedimento di insinuazione tardiva, l'applicazione delle altre 
disposizioni eccezionali contenute nell'art. 99 L. F. -(Omissis). 
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i,i,., 

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SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 439 -Pres. Landi 
-Est. Fortini Del Giglio -Soc. imm. Toniolli L. C. (avv. !annetti 
del Grande e !emolo) c. Comune di Roma (avv. Rago), Soc. gen 
immobiliare (avv. Giannini M. S.), Ministero dei lavori pubblici e 
Prefetto di Roma (avv. Stato Peronaci). 

Piano regolatore -Comune di Roma -Legge sul piano regolatore Piani 
particolareggiati -Varianti -Procedimento -Poteri del 
Governo. 

Piano regolatore -Comune di Roma -Piano regolatore generale Piani 
particolareggiati -Termine finale di efficacia. 

Piano regolatore -Comune di Roma -Piano regolatore generale Decreto 
di espropriazione -Indennit� -Legittimit� costituzionale 
della norma di cui all'art. 4, terzo comma I. 24 marzo 1932, 

n. 355, in relazione all'art. 42, terzo comma Cost. -Nozione di 
indennizzo. 
La legge sul piano regolatore generale del Comune di Roma consente 
che i piani particolareggiati di esecuzione abbiano efficacia fino' a 
quando sia efficace il piano generale; inoltre i detti piani regolatori, 
generali e particolareggiati, possono subire varianti, secondo il p!l'ocedimento 
di cui aU'art. 20 .l. 24 marzo 1932, n. 355, integrato daiL'art. 4 

r.d.l. 17 ottobre 1935, n. 1987, convertito in l. 4 giugno 1936, n."1210, in 
virt� deiLe quali norme ben pu� il Governo emanare disposizioni per 
il piano regolatore di Roma, esercitando le attribuzioni di propria competenza 
istituzionale (1). 
I piani particolareggiati di esecuzione del piano re�golatore generale 
del Comune di Roma sono soggetti al termine finale di efficacia del 

(1) Sul piano regolatore di Roma e sulla procedura per l'approvazione 
delle varianti si veda Sez. IV, 12 luglio 1967, n. 313, Il Consiglio di Stato, 
1967, I, 1142; id., 17 settembre 1965, n. 547, ivi, 1965, I, 1425; id., 14 maggio 
1969, n. 184, ivi, 1969, I, 753. 

1086 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

detto piano genera.le, anche se nessun termine � previsto esplicitamente 

per la loro efficacia (2). 

L'art. 4 terzo comma l. 24 marzo 1932, .n. 355, che regola i'inden'
nit� di espropriazione per le opere previste nel piano regolatoll'e generale 
del Comune di Roma, non � in contrasto con la norma di cui 
all'art.. 42 terzo comma Cost.: poich�, infatti, la citata nOll'ma della 
Costituzione non richiede che l'espropriato riceva un ristoro integrale 
del sacrificio subito, essendo sufficientJe che la P. A. gli garantisca un 
contributo o una riparazione neLla misura stabilita dal legislatore, � da 
ritenere legittima la citata norma di cui all'art. 4 della l. 355 del 1932, 
la quale 1�agguaglia l'indennizzo al puro valore venale del terreno 
espropriato, e cio� al giusto prezzo riferito al momento della espropriazione 
(3). 

� (2) Circa la legittimit� costituzionale dell'art. 1, 3� comma del d.1. 29 
marzo 1966, n. 128, convertito nella legge 26 maggio 1966, n. 311, che determina 
l'influenza del nuovo piano sui piani particolareggiati in pendenza ,& 
'

di esecuzione, in relazione agli art. 3, 102 �e VI disp. trans. Cost., cfr. Corte 

Cost., 2 luglio 1968, n. 89, in questa Rassegna, 1968, I, 704. ' 

(3) Cfr., in termini, Sez. IV, 5 luglio 1967, n. 274, in questa Rassegna, 
1967, I, 1092; cfr. anche Corte Cost., 20 giugno 1968, n. 78, ivi 1968, I, 703, 
che ha ritenuto costituzionalmente legittimo l'art. 6 del r.d.1. 6 luglio 1931, 
n. 981, il quale sancisce l'obbligo per i proprietari dei terreni confinanti con 
IIle nuove piazze o vie di cedere gratuitamente il terreno corrispondente alla 
met� della larghezza stradale, in compenso della riduzione del contributo !i 

~::::

di miglioria: il citato art. 6, infatti, non appare in contrasto con l'art. 42 
della Costituzione, perch� la norma in esso contenuta rappresenta un semM 
plice modo di adempimento dell'obbligazione tributaria, inerente al conli 


-:..; 

tributo di miglioria. 

Si veda anche Cass. S.U., 7 ottobre 1964, n. 2545, Foro it., Rep. 1964, v. 
Piano Regolatore, n. 142; e CANFORA F., In tema di espropriazioni di aree 
destinate a strade, piazze e i;pazi di uso pubblico in esecuzione del Piano 
regolatore di Roma, Temi rom., 1968, 409. 

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. 
' 

.

I

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 446 -Pres. Landi ::=* 
-Est. Benvenuto -Roveri (avv. Magno) e De Luca (avv.ti Romanelli 

w 

L. e G.) c. Registro aeronautico italiano e Ministero dei trasporti e 
I..

dell'aviazione civile (avv. Stato Casamassima) e Aldinio (avv. Pic


cardi). , 

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I, 

w 

Enti pubblici -Organo collegiale -Illegittima composizione del collegio 
-Interesse alla impugnativa. 

Enti pubblici -Organo collegiale -Illegittima partecipazione alla se


duta di�un estraneo -Discussione -Prova di resistenza -Inam


missibilit�. 
r~ 

Jlll 

~~,,~~..,J 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1087 

Enti pubblici -Organo collegiale -Illegittima comparizione -Principio 
della validit� degli atti del funzionario di fatto -Inapplicabilit�. 


Quando venga dedotta in sede giurisdizionale la lesione di un interesse 
legittimo determinato da provvedimento emanato da un organo 
collegiale irregolarmente costituito, ben pu� il ricorrente contestare la 
validit� degli atti del procedimento formativo dell'organo collegiale, 
senza che gli possa essere opposta la scadenza dei termini per ricorrere 
contro i detti atti; tale interesse sorge nel momento in cui l'organo 
collegiale emana il provvedimento lesivo dell'interesse legittimo (1). 

Quando la deliberazione dell'organo collegiale � preceduta dalla 
discussione, � illegittimo il provvedime11,to adottato avendo partecipa.to 
alla seduta un estraneo, n� � ammissibile la c.d. prova di resistenza, 
perch� il membro estraneo, attraverso la discussione, pu� avere influito 
sull'o1�ientamenvo degli altri partecipanti (2). 

In te.ma di atti degli organi collegiali irregolarmente composti non 
pu� trovare applicazione il principio della validit� degli atti del funzionario 
di fatto (3). 

(1-3) Sul problema, in genere, degli organi collegiali, s� veda Sez. IV, 
26 febbraio 1964, n. 84, n Consigilo di Stato, 1964, I, 258; id., 26 gennaio 
1966, n. 49, ivi, 1966, I, 44; e GARGIULO V., I collegi amministrativi, Na::poli, 
1962. Sulla terza massima non constano precedenti specifici. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 457 -Pres. 
Tozzi -Est. Napolitano -De Bartolo ,ed altri (avv.ti Tabel, De Luca 
e Pallottino) c. Comune di Cosenza (avv.ti Giorgianni e Loria) e 
Ministeri dei Lavori pubblici e della Sanit� (avv. Stato Peronaci). 

Edilizia -Licenza edilizia -Poteri attribuiti all'autorit� pubblica Revoca 
e sospensione della licenza. 

Edilizia -Regolamento comunale -Poteri conc~ssi al Sindaco in ordine 
alle licenze gi� concesse -Impugnativa dei provvedimenti del 
Sfudaco -Impugnativa del Regolamento. 

Edilizia -Programma di fabbricazione -Natura -Contenuto -Vincoli 
di inedificabilit� o di particolare destinazione contenuti nel programma 
-Illegittintlt�. 

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1088 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Edilizia -Licenza edilizia -Potere del Sindaco in ordine ai lavori in 
corso -Non sussiste. 

Rilasciata la licenza edilizia, l'Autorit� pubblica pu� e deve continuare 
a tutelare gli interessi pubblici connessi all'attivit� svolta dal 

privato durante L'esercizio delle facolt� concesse con la licenza, onde 
ben pu� quest'ultima, a giudizio discrezionale della menzionata Autorit�, 
essere revocata o sospesa (1). 
Quando il regolamento edilizio, senza abrogare automaticamente le 
licenze gi� rilasciate, attribuisca al Sindaco il potere di riesaminare i 
casi dubbi, adottando i conseguenziali provi,edimenti, il privato ben 
pu�, in sede di impugnativa dei provvedimenti del Sindaco, ricorrere 
avverso il detto regolamento ~dilizio (2). 
Il programma di fabbricazione ha la stessa natura del regolamento 
edilizio, ed il suo contenuto � precisato dall'art. 34 l. 17 agosto 1942, 
n. 1150, il quale ne limita l'ambito alla sola zonizzazione (delimitazione 
delle zone, indicazione detze direttrici di espansione, ecc), con la conseguenza 
che esso non pu� legittimamente contenere vincoli di inedificabilit� 
o di particolare destinazione (3). 
(l)Sull'annullamento d'ufficio; la revoca e la sospensione della licenza 
edilizia quali strumenti di tutela del pubblico interesse si vedano, tra le 
molte, Sez. V, 14 febbraio 1967, n. 118, Il Consiglio di Stato, 1967, I, 169, la 
quale ha ritenuto la necessit� di una esplicita e congrua motivazione per 
l'annullamento d'ufficio della licenza per esigenze di pubblico interesse; 
id., 7 aprile 1967, n. 230, ivi, 669, la quale ha affermato che la licenza 
edilizia non pu� essere annullata per ragioni di opportunit�, in quanto per il 
rilascio di essa non � riservato all'Amministrazione comunale alcun margine 
di opportunit� e convenienza, potendo solo costatarsi se il progetto 
sia o meno conforme alle prescrizioni vigenti; id., 31 ottobre 1967, n. 1435, 
ivi, 1906, la quale ha ritenuto che il sindaco � titolare della potest� di 
revoca del provvedimento autorizzativo, qualora riconosca la sussistenza 
di elementi per i quali il detto provvedimento non sarebbe potuto essere 
emanato. 
(2) Il piano regolatore generale, che contenga prescrizioni lesive dello 
interesse legittimo, � stato ritenuto direttamente impugnabile, prescindendo 
dall'emanazione del provvedimento esecutivo del Sindaco, dalla Sez. V, 13 
gennaio 1967,cn. 14, Il Consiglio di Stato. 1967, I, 8 e dalla Sez. IV, 27 febbraio 
1959, n. 269, ivi, 1959, I, 173. 
(3) Si veda, in termini, Sez. V, 11 luglio 1967, n. 877, Il Consi.glio di 
Stato, 1967, I, 1314; id.. 20 maggio 1969, n. 524, ivi, 1969, I, 878. Si veda pure 
il parere della Sez. II, 11 marzo 1969, n. 120, ivi, 1969, I, 1060 e dee. Sez. IV, 
6 dicembre 1968, n. 741, in questa Rassegna, 1968, I, 998. Cfr. anche MARIANI 
M., Ancora sui regolamenti edilizi e sui progetti di fabbricazione, Comuni 
Italia, 1968, 3; TESTA V., Brevi appunti sul contenuto del programma di 
fabbricazione, Il Consiglio di Stato, 1969, II, 833. r 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1089 

Rilasciata la licenza edilizia, il Sindaco non ha il potere di sospenderne 
in via cautelativa la validit� al fine di accertare la rispondenza 
della costruzione in corso alle norme che regolano la materia (4). 

(4) � stato, tuttavia, ritenuto che il Sindaco pu� sospendere i lavori per 
divergenza qualitativa dalla licenza, ma tale ordinanza cessa di avere 
efficacia se entro un mese dalla sua notificazione non siano stati adottati 
e notificati i provvedimenti definitivi (cfr. legge 17 agosto 1952, n. 1150, 
art. 22): Sez. V, 27 settembre 1967, n. 1077, Il Consiglio di Stato, 1967, I, 
1644. Il Sindaco pu� anche sospendere i lavori per accertato contrasto con 
le prescrizioni sui limiti d'altezza, secondo la Sez. V, 21 aprile 1967, n. 306, 
Il Consiglio di Stato, 1967, I, 689. In dottrina: DI LORENZO I., L'annuizamento 
di licenze edilizie, Il Consiglio di Stato, 1968, II, 970; SILVESTRI E,. 
La vigilanza repressiva del Sindaco sull'attivit� edilizia, Atti XII conv. 
scienza amm., 63. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 29 settembre 1969, n. 464 -Pres. 
Potenza -Est. Benvenuto -Ciamei (avv. Barillaro) c. Comm. vigilanza 
ed. pop. ed econ. (avv. Stato Peronaci) ed altri. 

Edilizia popolare ed economica -Cooperativa edilizia -Controversie 
sulla qualit� di socio e sulla iscrizione di un richiedente nell'elenco 
degli aspiranti soci -Competenza della Commissione di vigilanza 
per l'edilizia popolare ed economica. 

Edilizia popolare ed economica -Commissione di vigilanza -Decisione Esecuzione 
da parte del Commissario governativo -Fattispecie. 

Ai sensi degli artt. 131 e 94 t.u. 28 aprile 1938, n. 1265, le controversie 
sulla qualit� di socio di una cooperativa edilizia a contributo 
statale e sulla iscrizione di un richiedente nell'elenco degli aspiranti 
soci sono di competenza della Commissione di vigilanza per l'edilizia 
popolare ed economica, con salvezza dei successivo ricorso al Consiglio 
di Stato in sede giurisdizionale, in quanto dette controversie non attengono 
ad un diritto soggettivo perfetto (1). 

Annullato dalla Commissione centrale il provvedimento con il 
quale il commissario governativo aveva posto nel nulla la originaria 
ammissione ad aspirante socio del ricorrente, il detto Commissario, 
dovendo dare esecuzione al menzfonato provvedimento decisorio, non 
pu� che reiscrivere l'interessato nell'elenco degli aspiranti soci con la 
decorrenza originaria (2). 

(1-2) Cfr. sez. VI, 27 settembre 1966, n. 698, Il Consiglio di Stato, 1966, 
I, 1560; Cass., S.U., 31 marzo 1967, n. 708, ivi, 1967, II, 696; id., 12 luglio 
1962, n. 1896, ivi, 1962, II, 505; Sez. VI, 27 maggio 1964, n. 421, ivi, 1964, I, 
1037; Cass., S.U., 6 ottobre 1964, n. 2522, in questa Rassegna, 1964, I, 867. 

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1090 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, S�z. IV, 10 ottobre 1969, n. 502 -Pres. Tozzi Est. 
Fortunato -Comune di Reggio Calabria (avv.ti Silvestri, Giuffr� 
e D'Atena) c. Prefetto di Reggio Calabria (avv. Stato Lancia). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione temporanea d'urgenza 
-Revoca -Motivazione perplessa -Illegittimit�. 

� da ritenere iltegittimo per eccesso di potere il provvedimento 
di revoca di precede1nti decreti di occupazione temporanea d'urgenza, 
quando .la contraddittoria e perplessa motivazione adottata non consenta 
oggettivamente di identificare il potere in concreto esercitato 
(annullamento per vizio originario di legittimit� o revoca per sopravvenuti 
vizi di merito), con la conseguente impossibilit� di verificare la 
.sussistenza dei presupposti necessari per la validit� del provvedimento 
di ritiro (1). 

(1) Cfr. Sez. IV, 6 novembre 1964, n. 1231, in questa Rassegna, 1964, 
I, 1118 con nota. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 17 ottobre 1969, n. 505 -Pres. Potenza 
-Est. Fortini del Giglio -Furini (avv. G. M. Dallari) c. Prefetto 
di Ravenna (avv. Stato Agr�). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Edilizia popolare ed economica Piani 
per l'edilizia economica e popolare -Attuazione -Dichiarazione 
di pubblica utilit� -Non occorre. 

Edilizia economica e popolare -Procedura espropriativa di cui alla 
Legge 18 aprile 1962, n. 167 -Decreto di espropriazione -Requisiti 
di legittimit�. 

Poich� i piani per l'edilizia popolare ed economica, approvati ai 
sensi dell'art. 8 della legge 18 aprile 1962, n. 167, equivalgono a dichiarazione 
di pubblica utilit�, � legittimo il decreto di espropriazione, 
emesso in attuazione del piano, in cui non si faccia menzione di un 
particolare atto di dichiarazione di pubblica utilit� (1). 

(1-2) Giurisprudenza pacifica. In genere, per la procedura di cui 
alla legge 18 aprile 1962, n. 167, si veda: Ad. plen. 26 agosto 1964, n. 19, 
Il Consiglio di Stato, 1964, I, 1413; Sez. IV, 6 febbraio 1959, n. 200, ivi, 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1091 

� legittimo il decreto di espropriazione emesso in attuazione del 
piano per l'edilizia economica e popolare non preceduto dal deposito 
del piano di esecuzione o dell'ordine prefettizio di esecuzione (2). 

1959, I, 143; id., 6 dicembre 1968, n. 746, ivi, 1968, I, 1998. In dottrina: 

G. SCOTTO, Brevi considerazioni sulla legge 18 aprile 1962, n. 167, Il Consiglio 
di Stato, 1968, II, 259. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 519 -Pres. Potenza 
-Est. Tozzi -Silva Ferrario (avv. Tuscolo) c. Prefetto di 
Cremona (avv. Stato Casamassima). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Dichiarazione di p. u. -Deposito 
del provvedimento per quindici giorni -Criterio di osservanza 
del termine. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Procedura illegittima -Revoca 
prefettizia degli atti illegittimi e inizio di nuova procedura -Legittimit�. 


Poich� la legge 25 giugno 1865, n. 2359 dispone che il deposito del 
provvedimento che dichiara la pubblica utilit� delle opere deve durare 
quindici giorni, la legge stessa � osservata quando risulti che� il deposito 
� in effetti durato per quindici giorni senza che possano essere 
invocati gli artt. 29q2 e.e. e 155 c.p.c., per i quali dies a quo non 
computatur in termine (1). 

� legittimo il provvedimento del Prefetto che, accertata la illegittimit� 
della procedura di espropriazione, annulli gli atti viziati, dando 
inizio a nuova p1�ocedura, pur in pendenza del ricorso al Consiglio di 
Stato, per soddisfare le esigenze di interesse pubblico connesse all'opera 
da realizzare (2). 

(1) Massima esatta. Sul principio della inapplicabilit� delle norme 
di cui agli artt. 2962 del codice civile e 155 del codice di procedura civile, 
nelle ipotesi in cui l'attivit� giuridica sia presa in considerazione con 
rgu�rdo alla sua intrinseca durata che si protrae per un certo periodo 
di tempo, cfr. Sez. V, 14 �aprile 1962, n. 348, Il Consiglio di Stato, 1962, 
I, 741. 
(2) Cfr. Sez. IV, 3 novembre 1965, n. 6751, Il Consiglio di Stato, 
1965, I, 1857. 
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1092 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 523 -Pres. Potenza 
-Est. Mezzanotte -Giustiniani (avv. Sorrentino) c. Comune 
di Genova (avv.ti Grasso e Romanelli) e Prefetto di Genova. 

Giustizia amministrativa .,. Atti impu~nabili -Atti della espropriazione 
precedenti il decreto del Prefetto -Impu~nabilit� Esclusione. 


GLi atti con i quali un Comune, ai sensi deU'art. 13 delta legge 5 
marzo 1963, n. 246, delibera di acquistare un'area fabbricabile e di 
chiedere al Prefetto il decreto di esproprio, nelta ipotesi deUa mancata 
adesione del proprietario, sono atti preparatori del decreto prefettizio 
e come tali non impugnabili (1). 

(1) Massima esatta: nel caso di specie,. infatti, si tratta di deliberazioni 
preparatorie che non hanno, di per s�, forza operativa. Cfr., in 
genere, M. S. GIANNINI, Decisioni e deliberazioni amministrative, Foro 
amm., 1946; NIGRO, Deliberazione amministrativa, Enciclopedia del Diritto, 
XI, 998 regg. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 525 -Pres. 
Stumpo -Est. Mezzanotte -Cantieri (avv. Viola) c. Ministero Pubblica 
Istruzione (avv. Stato Terranova). 

Giustizia amministrativa -Atto definitivo -Dinie~o di nulla osta da 
parte della Soprintendenza ai monumenti per costruzione edilizia Non 
� atto definitivo. 

Giustizia amministrativa -Eccesso di potere per perplessit� ed insufficiente 
motivazione -Fattispecie. 

Il diniego di nuita osta per costruzione edilizia da parte della Soprintendenza 
ai monumenti non � atto definitivo onde non pu� essere 
direttamente impugnato in sede giurisdizionale (1). 

(1) Cfr., in termini, Sez. IV, 21 febbraio 1968, n. 97, Il Consiglio di 
Stato, 1968, I, 161; in dottrina G. FURITANO, Competenza del Soprintendente 
ai monumenti o del Sindaco in tema di licenza edilizia, Il Consiglio 
di Stato, 1968, II, 688. Al provvedimento in questione � stata negata 
anche la natura di atto definitivo implicito; cfr. Sez. V, 15 maggio 1954, 
n. 488, Il Consiglio di Stato, 1954, I, 559, e, in dottrina, SPAGNUOLO-VIGoRITA, 
Motivazione del diniego di autorizzazione a costruire in zona di parti-
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1093 

� illegittimo per perplessit� ed insufficiente motivazione ii provvedimento 
ministeriale di rigetto del ricorso gerarchico contro ii diniego 
di nulla osta da parte della Soprintendenza ai monumenti in ordine 
alla costruzione di un edificio, quando il rigetto, pur negando il lamentato 
vizio di disparit� di trattamento, affermi l'esistenza di differenze 
ambientali tra i vari edifici omettendo di precisare in che cosa esse 
consistono (2). 

colare interesse paesistico o panorami/oo, Rivista giur. edil., 1959, II, 114; 
SPADACCINI, Diritto edilizio speciale, 1962, pag. 424. Cfr. anche Sez. IV, 
7 giugno 1967, n. 220, in questa Rassegna, 1967, 855. 

(2) � pacifico che la motivazione insufficiente o perplessa costituisca 
una figura sintomatica di eccesso di potere: cfr., in genere, SANDULLI, 
Manuale di diritto amministrativo, 1966, pag. 390 e segg. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 568 -Pres. Potenza 
-Est. Paleologo -Parodi (avv.ti Allorio e Di Nardo) c. Provveditore 
regionale 00.PP. per la Campania (avv. Stato Vitucci) 
ed altri. 

Piano regolatore -Comune di Napoli -Espropriazioni nella c. d. zona 
industriale del porto di Napoli -Eccezione di illegittimit� costituzionale 
della normativa di tali espropriazioni in relazione all'art. 
42 Cost. -Manifesta infondatezza. 

Piano Regolatore -Comune di Napoli -Espropriazioni nella zona industriale 
del porto di Napoli -~ulla osta del Provveditore regionale 
alle 00.PP. al rilascio delle licenze edilizie da parte del Comune 
-Non vale come rinuncia all'espropriazione. 

Alle espropriazioni nella c.d. zona industriale del porto di Napoli, 
previste per l'attuazione del piano regolatore, sono applicabili le norme 
indicate nell'art. 5 del r.d. 25 marzo 1923, n. 1018, in ordine alle quali 
� manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit�, in relazione 
all'art. 42 Cost., perch� la compressione che da dette norme deriva 
al diritto di propriet� � contenuta entro limiti temporali certi, non 
diversamente da quanto avviene per i piani regolatori particolareggiati 
(1). 

Il nulla osta del Provveditore regionale alle opere pubbliche al 
rilascio, da parte del Comune di Napoli, delle licenze edilizie in area 
non ancora espropriata, non pu� essere interpretato come rinuncia ad 
espropriare in futuro il terreno de quo, perch�, ai sensi dell'art. 5 cpv. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 25 marzo 1923, n. 1018, le espr0tpriazioni nella zona industriale del 
porto di Napoli debbono essere compiute mano a mano che se ne presenti 
la necessit� (2). 
(1-2) Massime esatte. Si veda S-ez. IV, 27 ottobre 1965, n. 639, Il Consiglio 
di Stato, I, 1646. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 ottobre 1969, n. 571 -Pres. Potenza 
-Est. Pezzana -De Longis ed altri (avv. Piccardi) c. Ministero 
turismo e spettacolo (avv. Stato Dallari) ed altri. 

Amministrazione dello Stato -Uffici -Organizzazione -Operativit� 
della riserva di legge di cui all'art. 97 Cost. -Limiti. 

La riserva di legge prevista daH'art. 9.7 della Costituzione per 
quanto attiene alla o-rganizzazione dei pubblici uffici vale sofo per gli 
uffici amministmtivi con rilevanza esterna, mentre l'organizzazione 
me-ramente interna pu� essere regolata da semplici atti amministrativi 
(nella specie, decreto del Ministero del turismo e dello� spettacolo eh~ 
riordinava una direzione generale) (1). 

(1) Cfr. Corte dei Conti, Sez. controllo, 18 dicembre 1948, n. 250, 
Foro it., 1949, III, 80, con nota. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 giugno 1969, n. 319 -Pres. Uccellatore 
-Est. Schinaia -Coop. Albergo Mensa Spettacolo Turismo 
(avv. Casoli) c. Ministero dei trasporti (avv. Stato Giorgio Azzariti), 
interv. C.l.G.A.R. (avv. Guarino). 

Giustizia Amministrativa -Giudicato -Esecuzione -Ricorso ex art. 27 

n. 4 t. u. n. 1054 del 1924 -Decisione del Consiglio di Stato impugnata 
con ricorso per Cassazione -Proponibilit�. 
Giustizia Amministrativa -Giudicato -Esecuzione -Annullamento 
di gara per affidamento della gestione di caff� ristoratore Fattispecie. 


La diversit�, dei sistemi nei quali si inquadrano la giustizia civile 
e la giustizia amministrativa esclude la possibilit� di riferimenti al 
diritt� processuale civile per determinare i presupposti del giudizio di 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1095 

ottemperanza di cui all'art. 27, n. 4 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054; ricorrendo 
perci� i presupposti dell'ottemperanza da parte dell'Amministrazione 
ad una decisione del Consiglio di Stato, il ricorso ai sensi del 
citato art. 27 � ammissibile anche se la decisione non sia passata in 
giudicato, essendo stato proposto ricorso alla Cassazione per difetto di 
giurisdizione (1). 

L'adempimento della decisione di un annuliamento di una gara per 
la gestione di un c~ff�-ristoratore per vizi del procedimento, non importa 
il ripristino del vecchio concessionario in tale gestione, il cui 
rapporto sia definitivamente cessato per scadenza del termine; importa, 
invece, la immediata indizione di una nuova gara per la rinnovazione 
del procedimento, con esclusione delle illegittimitd rilevate nella pronuncia 
di annullamento. 

(Omissis). -L'Amministrazione dei trasporti e la societ� controinteressata 
C.I.G.A.R. hanno preliminarmente eccepito la inammissibilit� 
del ricorso, proposto ai sensi dell'art. 27, n. 4 del t.u. 26 giugno 

(1-2) Per una fattispecie analoga (caso di ricorso per revocazione) 
cfr. Ad. Plen. 21 marzo 1969, n. 10, retro 477, con nota. 
Avverso la riportata decisione � stato proposto dall'Amministrazione 
ricorso per Cassazione, che qui si trascrive: 

In tema di proponibilit� del giudizio di ottemperanza avverso una decisione 
amministrativa non ancora passata in giudicato 

1. -Che la decisione emanata dal Consiglio di Stato a definizione del 
procedimento previsto dall'art. 27 n. 4 del t. u. n. 1054 del 1924 sia 
soggetta a ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per motivi 
attinenti alla giurisdizione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 111 della 
Costituzione e dell'art. 362 c. p. c. � principio chiaramente affermato 
dalle stesse Sezioni Unite (sent. 8 luglio 1953, n. 2157; 2 ottobre 1953, 
n. 
3141). 
Qui, per�, � opportuno rilevare che ambedue i motivi sui quali si 
fonda il presente ricorso sono, appunto, attinenti alla giurisdizione. 
Col primo motivo si vuo1 sostenere che il procedimento previsto dall'art. 
27 n. 4, diretto ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorit� 
amministrativa di conformarsi ad una decisione del Consiglio di Stato, 
non � esperibile quando la decisone stessa non sia passata in giudicato, 
per essere stato contro di essa proposto ricorso per Cassazione: ci� che, 
del resto, era stato costantemente affermato dal Consiglio di Stato prima 
del mutamento giurisprudenziale intervenuto con la decisione n. 10 in 
data 21 marzo 1969 dell'Adunanza plenaria. E poich� il citato art. 27 

n. 4 � indubbiamente una norma attributiva di competenza giurisdizionale, 
il sostenere, come si sostiene col primo motivo, che il Consiglio di Stato 
ha pronunziato al di l� dei limiti stabiliti da quella norma, equivale a 
sostenere che il giudice amministrativo era carente di giurisdizione. Il 
primo motivo �, in sostanza, del tutto analogo ai motivi proposti con i 
ricorsi nei quali si sosteneva che l'art. 27 n. 4 consente al supremo con-
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1096 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1924, n. 1054, per ottenere la esecuzione della decisione di questa 
Sezione del 18 ottobre 1968, rilevando che la decisione stessa �non ha 
fatto passaggio in �cosa giudicata essendo stato interposto contro di 
essa tempestivamente ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
per difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, giudizio quest'ultimo 
ancora pendente. 

L'eccezione � infondata. Infatti, secondo quanto ha ritenuto l'Adunanza 
Plenaria di questo Consiglio con decisione 21 marzo 1969, n. 10 dalla 
quale per la fondatezza delle ragioni che la sorreggono, il Collegio 
non intende discostarsi -alle decisioni giurisdizionali del Consiglio 
di Stato non sono applicabili tutte le norme sulla fondatezza del 
giudicato poste nel codice di procedura civile, stante la diversit� dei 

sesso amministrativo di provvedere sui ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento 
dell'obbligo di conformarsi al giud�cato dei Tribunali ordinari, 
ma non a quello dei giudici amministrativi ovvero al provvedimento 
emesso dal Presidente della Repubblica in seguito a ricorso straordinario: 
in entrambi i casi le Sezioni Unite, con le sentenze sopra ricordate, hanno 
affermato l'ammissibilit� dei ricorsi e dei motivi, esaminandoli nel 
merito per respingerne uno ed accogliere l'altro. 

Col secondo motivo si sostiene che era del tutto estranea dai limiti 
oggettivi della decisione n. 532 del 18 ottobre 1968 della VI Sezione del 
Consiglio di Stato --,-con la quale erano stati annullati l'art. 1 dell'invito 
di partecipazione alla licitazione privata per la gestione del caff� ristoratore 
della stazione ferroviaria di Bologna ed il d. m. n. 8177 del 1966 
che aveva determinato i criteri posti a base per la formazion~ della scheda 
segreta -la determinazione del modo in cui e, particolarmente, del 
quando, dovesse indirsi una nuova licitazione privata; che perci� il Consiglio 
di Stato, avendo con la decisione ora impugnata ordinato alla 
Amministrazione di indire una nuova gara entro sessanta giorni dalla 
comunicazione in via amministrativa della decisione stessa, ha pronunziato 
al di l� del limite del potere attribuito al supremo consesso amministrativo, 
dall'art. 27 n. 4. Si tratta, ancora, di motivo del tutto analogo 
ai motivi secondo e terzo del ricorso esaminato dalle Sezioni Unite con 
la pi� volte ricordata sentenza n. 2157 del 1953, ritenuti allora ammissibili 
ed anche fondati. 

PRIMO MOTIVO. -Difetto di giurisdizione -Viola;zione dell'art. 4 legge 
20 marzo 1865 n. 2248 allegato E e dell'art. 27 n. 4 t. u. 26 giugno 1924 

n. 1054 -Inammissibilit� del ricorso previsto dall'ultima norma sopra 
indicata nei confronti delle decisioni del Consiglio di Stato non passate 
in giudicato, per essere stato proposto ricorso per Cassazione. 
2. -La sentenza impugnata non contiene, sul punto, alcuna sostanziale 
motivazione, essendosi limitata a richiamare la decisione n. 10 del 
21 marzo 1969 che, come si � pi� volte osservato, ha introdotto il ricordato 
mutamento giurisprudenziale. 
Conviene quindi prendere le mosse da quella decisione dell'Adunanza 
plenaria, anche se intervenuta in diversa controversia alla quale 
era estranea l'Amministrazione ricorrente e qualsiasi altra Amministra



l'Al\'t& I, SEZ, IV, GIURISPRUDENZA AM:M;INISTllATIVA 1097 

sistemi nei quali si inquadrano la giustizia civile e la giustizia amministrativa, 
difi'erenza la quale esclude l� possibilit� di fare riferimento 
ai principi del diritto processuale civile al fine di determinare i presupposti 
del giudizio di ottemperanza ai sensi dell'art. 27, n. 4 del 
citato t.u. Pertanto, �ric.orrendone i presupposti, l'Amministrazione aveva 
l'obbligo di ottemperare alla decisione suddetta, nonostante la pendenza 
de~ ~V:an;\e su9ciett(l. 

. Nella specie ugualmente infondata � l'altra eccezione ~sollevata 
dalla (fifesa clella controinteressata -secondo la quale il ricorso sa#'
bl:l.e ina~issil:>;lle, mancancio il requisito indispensabile dell'inerzia 
deli'Ammini$trailone. 

. Si osserva in :r;n�o:pOsito che l'Amministrazione avrebbe esercitato 
il s.;o J;)l)tere discrezionale nel momento in cui con esecuzione alla detta 

:l;t�*� d~llo Stato. In essa il nuovo principio giurisprudenziale viene cosi 

� ~us#ficato: 
L'art 2''1. n; � 4 si ttfer.iva alle sentenze del giudice �ordinario le quali, 
per i :noti )imiti co$titu~ionali, non possono . cancellare dal mondo del 
lftir:itt<i! l'atto ammifiistrativo; la giurisprudenza del Consiglio di Stato 
ha aiietmato che la n�r:ina � applicabile, in via di analogia, anche al 
<.:lili!� di � inerz.ia � della Amministrazione di fronte ad una decisione dello 
.stesso Consi~~io di.. stato. 

Tale JlppUcazi()ne analogica richiede un adattamento della norma 
ar diverso ordlnamento nel quale viene trasferita, in modo da rendere 
. concrete ed efficaci le garanzie giurisdizionali, senza. sconvolgere il sistema. 

,Procedendo a siffatto � adattamento � la decisione asseriva che, se 
pure �l'art. 27 n. 4 parla espressamente di �giudicato� dei Tribunali, le 
norme nel Consiglio di Stato non adoperano mai la formula � pronuncia 
passata in giudi�ato �. Ci� non sarebbe casuale, ma deriverebbe dal 
:fatto che i principi relativi al giudicato dei Tribunali sarebbero diversi 
d� quelli relativi alla efficacia delle decisioni del Consiglio di Stato in 
ordine alla .legittimit� di un atto amministrativo. La norma dell'art. 324 

c.p..c., la quale stabilisce quando si debba intendere passata in giudicato 
una sentenza, si spiega in un sistema nel quale tutte le sentenze sono 
appellabili ed � sempre ammesso il ricorso per cassazione in via generale 
pe:i: vio.Iazione di legge. e nel quale la esecuzi()ne delle sentenze non ha 
luogo. normahnente dopo la pubblicazione della decisione, ma l'ordinamento 
prevede i mezzi per rendere provvisoriamente esecutorie le pronuncia 
avverso le quali � consentito un gravame. 
I .mezzi di impugnazione ammessi avverso le decisioni del Consiglio 
di� Stato sono, invece, pi� limitati rispetto all'elenco indicato dall'art. 324 
c.p.c.; la loro esecuzione ha luogo dopo la pubblicazione; non � previsto 
alcuno strumento per renderle provvisoriamente esecutorie malgrado la 
proposizione di alcun gravame. 

Perci� �non possono applicarsi alle decisioni� del Consiglio di Stato 
le norme le quali stabiliscono che non si intende passata in giudicato la 
sentenza soggetta a revocazione, pei motivi 5 e 4 dell'art. 395 c.p.c., ovver� 
a ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione: altrimenti, 
applicando a quelle decisioni il principio del c.p.c. che .non � eseguibile 
una sentenza che non � passata in giudicato, si permetterebbe alle Ammi




1098 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

decisione, indicendo la nuova gara per la gestione del caff�-ristoratore 
della Stazione centrale delle Ferrovie di Bologna, determinandolo in 
quello immediatamente successivo all'esito del detto ricorso per cassazione. 
Osserva infatti il Collegio che la censura � speciosa, trovando 
la sua confutazione nella motivazione posta a base del rigetto della 
censura or ora esaminata. Se, invero, un potere discrezionale del genere� 
dovesse riconoscersi indiscriminatamente all'Amministrazione, non v'ha 
dubbio che il ritenuto principio dell'obbligo dell'Amministrazione di 
dare immediata esecuzione alle decisioni di questo Consiglio sarebbe 
del tutto vanificato. Osserva, ancora in limine, la stessa controinteressata 
che il ricorso sarebbe inammissibile per essere stata la diffida 

nistrazioni Pubbliche di servirsi del ricorso per revocazione e del ricorso 
per cassazione a scopo defatigatorio. 

In effetti il particolare sistema della giustizia amministrativa impedisce 
di ricorrere ai principi del diritto processuale civile al fine della 
determinazione dei presupposti per l'instaurazione del giudizio di ottemperanza: 
i rapporti pubblici in genere ed in particolare quelli amministrativi 
non tollerano che rimanga sospesa la esecutivit� dei provvedimenti 
adottati e perci� l'Amministrazione gode del privilegio della esecutoriet� 
dei suoi atti; altrettanto deve allora dirsi quando, nell'attivit� della 
Amministraz~one, si inserisca il provvedimento giurisdizionale che costi_. 
tuisce la pi� alta forma di manifestazione di volont� dello Stato. Non 
pu� quindi applicarsi alle decisioni del Consiglio di Stato il principio 
che non possar:w essere oggetto di esecuzione ex art. 27 n. t. u. n. 1054 
le sentenze rispetto alle quali non sia ancora trascorso il termine per 
proporre impugnazione. 

Ulteriore argomento a favore della tesi accolta viene 'desunto dal 
fatto che, nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, le parti sono poste 
in un piede di parit�: or non � dubbio che in caso di decisione di rigetto 
del ricorso l'atto impugnato riprender� immediatamente la sua efficacia, 
anche se la sua esecutoriet� era stata sospesa, malgrado sia stata proposta 
impugnazione; ugualmente deve perci� atteggiarsi l'obbligo dell'Amministrazione 
di prestare ossequio alla pronuncia intervenuta. 

Si osserva inoltre che, quando le decisioni del Consiglio di Stato 

abbiano carattere pregiudiziale rispetto ad una causa civile non risulta 

che il magistrato ordinario attenda, per adottare la sua pronuncia, che 

sia decorso il termine per proporre ricorso per revocazione o per cas


sazione. 

Non decisivo sembra, infine, l'inconveniente di costringere l'Ammi


nistrazione a dare esecuzione ad una pronuncia che potrebb�, in seguito, 

essere cassata o revocata: si tratta di inconveniente assai remoto, data 

la eccezionalit� dei rimedi. 

-3. -L'art. 27 n. 4 contiene una norma attributiva di giurisdizione e, 

per di pi�, di un potere giurisdizionale eccezionale quale � quello di 

merito: si tratta perci� di norma dalla natura, pi� che speciale, eccezio


nale, come tale insuscettibile di applicazione analogica. 

Se perci� si afferma, come fa la decisione sopra riassunta, che il 

principio della ammissibilit� del giudizio di ottemperanza alle decisioni 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1099 

ad eseguire la predetta decisione notificata al solo Ministero dei tra,
sporti e non anche all'Azienda autonoma delle ferrovie, che � anche 
l'autorit� tenuta a provvedere. 

Anche questa censura � infondata per il rilievo perentorio che, ai 
sensi dell'art. 1 del r.d.l. 22 maggio 1924, n. 868, modificato dal d.lgt. 
12 dicembre 1944, n. 413, � il Ministro dei trasporti e dell'aviazione 
dvile che presiede l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato. 

Orbene l'atto di diffida di cui all'art. 90 del r.d. 17 agosto 1907, 

n. 642 non solo venne intimato e notificato all'anzidetto Ministro nella 
qualit� di � presidente del Consiglio di amministrazione dell'Azienda 
autonoma delle Ferrovie dello Stato, ma venne anche notificato alla 
del Consiglio di Stato costituisce applicazione analogica dell'art. 27 n. 4, 
si fa una affermazione che, se non inesatta, � quanto meno pericolosa, 
tale cio� da rimettere in discussione la fondatezza del principio stesso. 

Ed invero la sentenza 8 luglio 1953, n. 2157, delle Sezioni Unite, che 
ebbe a confermare, sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, 
non contiene simile affermazione: che anzi quando se ne legge la motivazione, 
tutta tesa a ricercare la ratio della norma e ad accertare la sua 
validit� anche nella situazione che si produce� tra le parti per effetto del 
giudicato amministrativo di annullamento, appare chiaro che in quella 
occasione la Corte Suprema volle non gi� compiere una applicazione 
analogica della norma, ma limitarsi ad una sua interpretazione estensiva. 

La stessa ammissibilit� di una applicazione analogica dell'art. 27 n. 4 
� stata poi chiaramente esclusa con la sentenza, di poco successiva, in 
.data 2 ottobre 1953, n. 3141: in essa non solo si ricorda che con la prece.
dente sentenza era stato ritenuto che l'art. 27 n. 4 � si riferisce (non, 
.cio�, � applicabile analogicamente) non soltanto al giudicato ordinario, 
ma anche a quello amministrativo � ma si afferma anche solennemente 

� che ogni attivit� giurisdizionale deve esercitarsi nei limiti stabiliti dalla 
legge e dall'ordine costituito, senza l'osservanza dei quali anche il proposito, 
in s� lodevole, di realizzare una sostanziale giustizia pu� tralignare 
nell'arbitrio, e dar luogo �ad un'invadenza non consentita nella sfera di 
altri poteri dello Stato �; si aggiunge infine che la ammissibilit� del giudizio 
di ottemperanza alla decisione sul ricorso straordinario deve escludersi 
� anche a voler ammettere l'applicazione analogica dell'art. 27 
n. 4 � (il che significa che il problema � rimasto impregiudicato dopo 
la sentenza precedente). 
Se, perci�, come appare dalle due citate sentenze della Corte Suprema 
.e, comunque, come sembra necessario �ritenere per poter confermare la 
legittima ammissibilit� del giudizio di ottemperanza alle decisioni del 
�Consiglio di Stato, non di applicazione analogica si tratta, ma di mero 
riconoscimento che l'art. 27 n. 4 si riferisce anche al giudicato ammini.
strativo, del tutto ingiustificata appare l'opera d� adattamento compiuta 
nella sentenza in esame. L'art. 27 n. 4 si applica, cos� come �, tanto alle 
sentenze del giudice ordinario quanto alle decisioni del Consiglio di 
.stato e non � consentito all'interprete modificare la norma n� crearne una 

nuova. 
Ma, a parte questo primo ed assorbente rilievo, il Consiglio di� Stato, 
.nel procedere a detto adattamento, � giunto a risultati che valgono a 



1100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stessa Azienda autonoma. Si pu� perci� passare all'esame del merito del 
ricorso. Va premesso al riguardo che con la cennata decisione, pronunciata 
su una serie di ricorsi riuniti proposti dalla attuale ricorrente, 
la Sezione accolse per quanto di ragione alcuni rico.rsi e per l'effetto 
annull�: 

a) l'art. 1 dell'invito di partecipazione alla licitazione privata 
per la gestione del caff�-ristoratore della Stazione di Bologna; 
b) il decreto del Ministero dei trasporti del 25 ottobre 1966, 

n. 8177, indicato nel dispositivo mero errore materiale, ictu ocv,li rile� 
vabile dalla parte motiva (pp. 50 e 51), con gli estremi del 29 dicemsconvolgere 
il sistema, incidendo su quelli che sono i necessari presupposti 
del giudizio di ottemperanza previsto dall'art. 27 n. 4, 

4. -Alcune non recenti decisioni del Consiglio di Stato affermarono 
la ammissibilit� del giudizio di ottemperanza nei confronti de�le pronuncie 
giurisdizionali esecutive, anche se non passate in giudicato (v. Sez. 
V, 29 aprile 1910, in Foro It., 1910, III, 198 e, sia pure per implicito, 
31 gennaio 1947, ivi, 1947, III, 166). 
La dottrina pi� autorevole e prevalente era per� contraria (v. per 
tutti RANELLETTI, Sulla esecuzione in via amministrativa delle decisioni 
del Consiglio di Stato e delle Giunte Provinciali Amministrative, in Riv. 
trim. di dir. pubblico, 1951, 78 e segg.). Essa osservava che solo nel momento 
in cui la decisione giurisdizionale diventa definitiva e irrevocabile, 
vale a dire acquista autorit� di cosa giudicata (cosa giudicata formale) 
essa decide definitivamente ed irrevocabilmente la questione di cui si 
tratta, esprime come certo ed indiscutibile il diritto del caso concreto 
e lo impone in modo assolutamente obbligatorio alle parti cui la questione 
si estende (cosa giudicata sostanziale). Perci�, prima di questo 
momento, deve escludersi che l'autorit� amministrativa abbia l'obbligo 
di dare esecuzione alla decisione; questa resta, per lei, una facolt�, della 
quale anzi dovr� fare eventualmente uso molto cauto, per le conseguenze 
che dalla decisione del giudice della impugnazione, ed in particolare della 
Corte di Cassazione, nell'uno o nell'altro senso possano derivare. Altri 
argomenti venivano desunti dalla considerazione che l'obbligo di conformarsi 
ai giudicati, civili od amministrativi, � cosa diversa dalla esecuzione 
degli stessi, con la conseguenza che il giudizio di ottemperanza non � un 
procedimento esecutivo ma un giudizio di cognizione volto all'accertamento 
dell'obbligo (alcuni ritengono che non di � obbligo giuridico si 
tratti, ma di un dovere) dell'autorit� amministrativa di conformarsi al 
giudicato, sicch� � del tutto ininfluente, ai fini della proponibilit� di tale 
giudizio, il carattere esecutivo o meno della pronuncia giurisdizionale 
rilevando soltanto la sua forza di gil,ldicato. A sostegno della tesi sostenuta 
veniva infine richiamata la formulazione letterale non soltanto dall'art. 4 
della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo e dell'art. 27 

n. 4 t. u. n. 1054 del 1924, ma anche dell'art. 90 del regolamento di procedura 
(r.d. 17 agosto 1907, n. 642) per il quale i ricorsi in esame possono� 
essere proposti finch� duri l'azione di giudicato. 
I rilievi della dottrina furono accolti dal Consiglio di Stato che gi� 
con decisione Sez. 6a 21 novembre 1950 n. 413 (in Giur. compl. Cass. civ.,. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1101 

bre 1966, n. 8177, recante norme sul procedimento per la formazione 
della e scheda segreta �. 

� ben vero che espressamente nelle dette decisioni non vennero 
formalmente annullati altri atti del procedimento de quo (segnatamente: 
l'atto di aggiudicazione in favore della Societ� C.I.G.A.R. e 
relativa approvazione), per� non pu� sussistere dubbio che gli atti erano 
conseguenziali agli atti espressamente annullati e quindi restavano travolti. 
Pertanto in ottemperanza alla detta decisione l'Amministrazione 
ferroviaria aveva l'obbligo di rinnovare tutti gli atti della procedura 
relativi alla concessione del caff�-ristoratore suddetto secondo i criteri 

� 

1951, I, 855) aveva osservato che presupposto del giudizio di ottemperanza 
� il rifiuto d'esecuzione di un giudicato, cio� l'esistenza di una 
pronuncia che esaurisca il rapporto processuale e definisca in maniera 
irrevocabile l'intera controversia (e perci� aveva ritenuto inammissibile 
il giudizio di ottemperanza di una ordinanza di sospensione del provvedimento 
impugnato). La inammissibilit� del giudizio di ottemperanza nei 
confronti delle pronunce giurisdizionali non passate in giudicato pu�� 
dirsi ormai principio consolidato nella giurisprudenza del Consiglio di 
Stato (Sez. IV, 11 giugno 1954, n. 396 in Il Consiglio di Stato, 1954, 529; 
Sez. VI 25 ottobre 1955 n. 700, ivi, 1955, 1162; Sez. V, 28 novembre 1959, 

n. 783, in Foro amm., 1959, I, 1523; Cons. Giust. Amm., 17 giugno 1963, 
n. 166, in Il Consiglio di Stato, 1963, 1127; Sez. VI, 26 luglio 1964, n. 563, 
ivi, 1964, 1344; Cons. Giust. Amm. 27 agosto 1964, n. 319, ivi, 1585; Sez. VI, 
12 marzo 1965, n. 171, ivi, 1965, 556; Sez. VI, 25 marzo 1966, n. 286, ivi,. 
624): ci� perch� �� chiaro che in caso di conflitto (dell'interesse pubblico) 
con l'interesse del privato, il pronunciato giurisdizionale che dichiari 
ed accerti la sussistenza di un diritto subiettivo leso dall'azione amministrativa, 
�in tanto pu� determinare l'obbligo dell'Amministrazione di revocare 
o di annullare l'atto riconosciuto illegittimo, in quanto tale accertamento 
sia definitivo ed irrevocabile, perch� solo in presenza di una pronunzia 
che esaurisca il rapporto processuale e ponga fine alla controversia 
acquista definitiva certezza la pretesa giuridica del privato... Ne 
consegue che non � sufficiente, ai fini dell'esecuzfone del pronunciato 
giurisdizionale, che questo sia dalla legge o dal giudice dichiarato esecutivo, 
ma � necessario che costituisca giudicato in senso tecnico, e di 
giudicato appunto in senso formale parla l'art. 27 n. 4 �. 
La fondatezza del principio giurisprudenziale ora richiamato � stata, 
infine, sanzionata dalle Sezioni Unite civili della Corte Suprema con le 
due pi� volte ricordate sentenze n. 2157 e 3141 del 1953: con la seconda 
di dette sentenze fu invero precisato che pu� ammettersi che l'art. 27 

n. 4 si riferisce anche al giudicato� amministrativo solo � in base a considerazioni 
tratte essenzialmente dalla natura giurisdizionale della attivit� 
del Consiglio di Stato, allorch� essa si occupa dell'esecuzione del giudicato 
amministrativo, e dall'esigenza suprema, a tale attivit� inerente, 
della forza vincolante del giudicato (v. art. 2909 c. c.) e del rispetto ad 
essa dovuto anche da parte della Pubblica Amministrazione .. 
Deve allora dirsi che dalla stessa natura dell'obbligo dell'autorit� 
amministrativa di prestare ottemperanza alla decisione giurisdizionale e, 
perci�, del relativo giudizio, deriva che il passaggio in giudicato della 



1102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

adottati dal Consiglio di amministrazione nella 28" adunanza del 26 
luglio 1966 (diffusi con la circolare ministeriale del 12 agosto 1966 
pos C 311 -47-14-4), a partire dal bando parzialmente annullato come 
.si � detto. 

Fatte queste precisazioni, � subito da osservare ancora che una 
delle richieste avanzate dalla ricorrente, quella cio� tendente ad ottenere 
nei confronti dell'Amministrazione l'ordine di ripristino della 
ricorrent� Societ� CAMST, nelle more della indizione e dell'espleta


decisione giurisdizionale costituisce il presupposto necessario dell'uno e 
dell'altro. Del tutto irrilevanti appaiono allora le distinzioni, sottolineate 
nella decisione n. 10 dell'Adunanza Plenaria, tra le decisioni del Consiglio 
di Stato e le sentenze del giudice ordinario per quanto riguarda sia il 
numero dei mezzi di impugnazione alle quali le une e le altre sono soggette, 
sia il momento nel quale acquistano efficacia esecutiva. 

5. -Che la norma dell'art. 324 c.p.c. ed in genere le disposizioni di 
quel codice sulla cosa giudicata (formale) non siano applicabili alle 
decisioni del Cpnsiglio di Stato, costituisce affermazione forse inesatta, 
dovendosi piuttosto ritenere che le disposizioni del codice di procedura M 
civile siano applicabili ai procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni ammi~~ 
w

nistrative, ad integrazione di quelle contenute nei rispettivi regolamenti ft 
di procedura, fatta eccezione soltanto per quelle che abbiano una fisio


~;:

nomia peculiare tale da farle apparire dettate con esclusivo riferimento ~:) 
all'ordinario processo civile; dovendosi altresi ritenere che tra le disposizioni 
generali e comuni contenute nel codice di procedura civile, non 1:1~ 
si pu� non annoverare quella che regola le impugnazioni della sentenza 

!:!:

(tanto che � stata affermata la applicabilit� dell'art. 325 c.p.c.) e il pas


saggio della medesima in cosa giudicata poich� essa enuncia uno degli 

lii

elementi essenziali allo stesso concetto della giurisdizione (sul punto si 

m

veda RANELLETTI, op. cit., pp. 80-81). ~:=:;

[t

� per� certo che se pur voglia ritenersi necessaria ed ammissibile 
l'opera di adattamento dell'art. 27 n. 4 al diverso ordinamento nel quale r;~la norma viene trasferita, compito delfinterprete e del giudice � quello 

II, < 
' 

'

�di individuare, per il giudizio� di ottemperanza alla decisione del giudice 
amministrativo, un presupposto analogo a quello del giudizio relativo 
.al giudicato del giudice ordinario. Solo in tal modo pu� dirsi non si sia 

l

sconvolto il sistema. ' 

E tra la sentenza passata in giudicato e la decisione del giudice 
amministrativo, nei confronti della quale siano ancora aperti i termini di ' 
impugnazione, non vi � analogia; quanto meno l'analogia � pil). stretta con 
' 
la decisione nei confronti della quale i termini stessi siano scaduti. Invero, 
~ 
quali che siano le formule usate dalle norme sul Consiglio di Stato, � ~ 
certo che le decisioni del giudice amministrativo, fin quando sia pendente ~~ 

@

il termine per proporre avverso di esse i mezzi di impugnazione previsti 

w

dalla legge, non sono definitive ed irrevocabili (possono infatti essere 
poste nel nulla dal giudice della impugnazione), non esauriscono il rap~~~~ 
porto processuale n� pongono fine alla controversia (che possono continuare 
avanti al giudice della impugnazione), non attribuiscono definitiva �fjijj 
certezza alla pretesa giuridica del privato (la cui fondatezza resta condi


.zionata all'esito del giudizio di impugnazione). Non sono, insomma, assi


. II 


' ili" 

lfiillfllifrn[lf@NfMfilifflli&ffrtffff�iillrfffffaf[f[fif!Jilllimlf@illffffKf:IEm1filliliflW.fllifffilllffaJ[ff@ji[filfffifffffff:.J 


!'ARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1103 

mento della nuova gara, nella gestione del predetto caff�-ristoratore, 

� infondata. 

Infatti proprio con la decisione di cui si � chiesta l'esecuzione 

furono respinti i ricorsi proposti dalla ricorrente avverso i provvedi


menti (citata circolare 12 agosto 1966 e deliberazione del Consiglio di 

amministrazione del�26 luglio �1966) con i quali, ntutandosi il precedente 

sistenta c�nce.SSiomtle, erasi esclusa la prelazione nei confronti dei pre


cedenti concessionari scaduti (e tale era la CAMST rispetto alla gestione 

del caft�..ristoratore di cui si discute). 

stite d.alla forza vincolante del giudicato, quale � definita dall'art. 2909 

c. c., al :tfspetto della q�ale � tenuta anche la Pubblica Amministrazione. 
� Siccl�~ �t pretesa di impoTre aila P.A. l'eseet.tzione di una sentenza 
ai. di ~uori ~eiia ipotesi prevista dalla legge, costituisce manifesta invasione 
�elm $fefa delle attribuzioni della P. A. denun~bile alla Suprema Corte 
di CasS'azione. 

6. ..., Ma� nel caso risolto con la dech;ione ora impugnata (ed anche 
in quello �ui si riferiva la decisione n. 10 dell'Adunanza Plenaria) vi � 
qualche co$a di pi�: il giudizio di ottemperanza si riferiva. non gi� ad 
una decisione nei confronti della quale erano ancora �pendenti i termini 
d'impugnazione, ma ad u:na decisione che era st�ta di ;fatto impugnata. 
Ad � u:na decisione cio� le cui statuizioni, lu:ngi dall'aver attribuito definitiva 
certezza� alla pretesa giuridica del privato, erano state contestate con 
l'itnpugnaztone ed erano perci� incerte: in particolare, nella fattispecie 
ora all'esame, nella �quale era stato proposto ricorso alle Sezioni Vnite, 
era stata, ed �, contestata la stessa titolarit� da parte del Consiglio di 
� Stato 
del potere di fatto esercitato con le statuizioni contenute . nella 
decisione. � 

7. -Ugualmente irrilevanti sono, come si � accennato, le considerazioni 
relative al diverso momento in cui le sentenze del giudice. Ordinario 
acquistano efficacia esecutiva e le decisioni del Consiglio di Stato producono 
i loro effetti. Gi� si � ricordato, invero, che � ormai concordemente 
e giustamente ripudiata la tesi, .secondo la quale il giudizio di 
ottemperanza sarebbe ammissiblle nei confronti delle pronunce giurisdizionali 
esecutive, anche se non passate in giudicato; l'esecutivit� o meno 
della pronuncia � quindi circostanza irrilevante ai fini della ammissibilit� 
del giudizio.� 
Altrettanto deve dirsi per quanto riguarda l'altra considerazione che, 
mentre n codice di procedura ciV'ile prevede i mezzi per rendere provvisoriamente 
esecutorie �le sentenze awerso le quali � consentito un gravame 
mezzi analoghi non sono prev:isti dalle :norme regolanti il procedimento 
avanti al Consiglio di Stato: ci� � d.ovuto essenzialmente alla 
natura ed �gli effetti costitutivi della decisione del Consiglio di Stato, 
perci� non suscettibile di esecuzione coattiva (il che fu ritenuto dal 
Consiglio di Stato, Sez. V, con ordinanza 22 settembre 1959; n. 179, in 
Il Consiglio di Stato, 1959, 5, 1436). Per questa stessa ragione l'art. 8 
del regolamento 17 agosto 1907 n. 642 stabilisce (analogamente � quanto 
dispone l'art. 61 r. d. 17 agosto 1907, il. 643, per le decisioni della Giunta 
Provinciale Amministrativa) che l'esecuzione delle decisioni del Con� 

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1104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Perci� la ricorrente non pu� vantare alcuna legittima pretesa a 
vedersi ripristinare nella gestione, in virt� del precedente rapporto 
ormai definitivamente cessato per essere scaduta la relativa concessione. 

Infatti nella decisione di cui ora si chiede l'esecuzione fu chiaramente 
precisato che la CAiVIST, rispetto alla gara impugnata dalla 
quale usc� vincitrice dell� gara, aveva soltanto quell'interesse collegandosi 
alla� sua qualificazione di partecipante alla gara. Per� � evidente 
che in tal veste la CAMST non ha alcun titolo per aspirare alla gestione, 
sia pure provvisoria, del caff� ristoratore che ha gi� lasciato. 

siglio di Stato si fa in via amministrativa -il che vale ad escludere la 
possibilit� di esecuzione coattiva di esse -eccetto che per la parte riguardante 
la condanna alle spese. 

Ma quel che qui interessa rilevare � che l'eventuale concessione della 
provvisoria esecuzione delle sentenze del giudice ordinario non vale, per 
le ragioni gi� dette, a rendere ammissibile il giudizio di ottemperanza. 
Onde perde ogni rilievo l'osservazione che, se si ritiene non esperibile 
il giudizio di ottemperanza nei confronti delle pronunce del Consiglio di 
Stato che non siano passate in giudicato, si verrebbe a permettere alle 
Amministrazioni Pubbliche di servirsi del ricorso per revocazione e del 
ricorso alle Sezioni Unite della Corte Suprema a scopo. defatigatorio: 
anche ammessa in ipotesi la possibilit� cosi configurata � certo che questa 
sussisterebbe comunque nei confronti delle sentenze del giudice ordinario. 

La verit� � che il principio per il quale non pu� proporsi giudizio 
di ottemperanza nei confronti di decisioni giurisdizionali che non siano 
passate in giudicato � posto non gi� dal codice di procedura civile, ma 
dall'art. 27 n. 4 t. u. sul Consiglio di Stato e, prima ancora, dall'art. 4 
della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo che, come � 
noto, segnano il confine tra le attribuzioni dei poteri giurisdizionale ed 
esecutivo: affermare che il giudizio di ottemperanza � proponibile nei 
confronti di decisioni non passate in giudicato e, per di pi�, impugnate, 
non si pu� senza sconvolgere il sistema creato dalle due norme da ultimo 
richiamate. 

8. -Quanto si � ora osservato dimostra che il particolare sistema della 
giustizia amministrativa non offre alcun argomento a favore della tesi 
accolta dal Consiglio di Stato. 
Il giudizio di ottemperanza, si riferisca ad una sentenza del giudice 
ordinario ovvero ad una decisione. del Consiglio di Stato, opera pur sempre 
nel campo dei rapporti pubblici in genere: la sola differenza sta nella 
ampiezza dell'oggetto del giudizio stesso nel primo e nel secondo caso. 

La sentenza del giudice ordinario non pu� cancellare dal mondo del 
diritto l'atto amministrativo giudicato illegittimo: perci� il giudizio di 
ottemperanza avr� per oggetto l'accertamento dell'obbligo dell'Amministrazione 
di eliminare l'atto stesso e di adeguarsi al mutamento che deriva 
da tale eliminazione. 

La decisione del Consiglio di Stato, in virt� della sua natura costitutiva, 
ha per effetto l'annullamento dell'atto impugnato: appunto per 
questo � stata ritenuta -e da parte di alcuni autori si ritiene anco.ra fa 
inammissibilit� del giudizio di ottemperanza nei confronti di siffatte 


l'AltTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1105 

Con il ricorso si � inoltre chiesto .che alla Amministrazione fettoviaria, 
in ottemperanza al giudicato, sia ordinato di indire la nuova 
gara entro sessanta giorni. 

La difesa dell'Amministrazione, alla' quale si � associata nella 
udienza di discussione a difesa della controinteressata, deduce per�� 
che tale richiesta sarebbe inammissibile in quanto formulata per la 
prima.volta al Consiglio di Stato in sede di procedimento previsto dall'art. 
27j n. 4, citato e non anche con il precitato atto di messa in mora 

decisioni se:rnbrarido che l'annullamento dell'atto basti a restaurare l'ordine 
gil:U'i~ico. :Ma le Sezi�ni rj'nite ebbero a precisare� che, al di l� degli� effetti 
propri della decisione del giudice amministrativo, r!asidua pur sempre, 
~ome .0ggetto del . giudizio di ottemperanza, l'accertamento dell'obbligo 
dell'Ammiajstrazicme di adeguarsi alla� mutata situazione, compiendo. l'ulteriore 
.a.tti'ITit~ �he costittlisce n logico corollario del mutamento medesimo: 
si tratta, pE!rci�, Mllo stesso oggetto, anche se pi� limitato, del 
giudizio di ottemperanza alla decisi�ne del giudice ordinarie). 

La identit� dell'oggetto dimostra che nessuna ragione pu� giustificare 
la ricerca, relativamente al giudizio di ottemperanza alle decisioni del 
Consiglio di Sta.to, di regole speciali, diverse da quelle scritte nel nostro 
ordinamento; 

9~ -N� pu� dirsi che verrebbe lesa la condizione di parit� delle parti 
del giudizio .amministrativo: in caso di decisione di rigetto �o di inammissibilit� 
del ricorso l'atto impugnato riprender� immediatamente ed automaticamente 
la sua efficacia -malgrado l'impugnazione proposta -per 
effetto della esecutoriet� che caratterizza gli att� amministrativi e che 
non � pi�. impedita dalla ordinanza di sospensione la quale, provvedimento 
cautelare, � stata certamente rimossa dalla decisione definitiva. 

Non si tratta, perci�, di un diverso atteggiamento dell'obbligo delle 
parti di prestare ossequio alla pronuncia giurisdizionale. 

10. -Costituisc.e affermazione che non si � in grado n� di confermare 
n� di contestare in punto di fatto quella secondo la quale non risulterebbe 
che il Magistrato ordinario attenda, per emanare. la propria pronunzia, 
la scadenza dei termini per la proposizione delle impugnazioni ammesse 
contr<>. la de�isfone del COI)siglio di Stato su questione. pregiudiziale. Certo 
�, per�, che ci�, se avviene, costittlisce chiara violazione non solo del 
dispqsto dell'art. 297, primo comma c.p.c. ma anche dell'insegnamento 
di c�'desta Ecc.ma Corte Suprema che, con d�ecisione n. 1086 del 22 april� 
1950 ebbe a precisare che, qualoJ'lil nel provireclimento di sospensione non 
,sia fissata l'udienza in ctli il processo deve proseguire, � ie parti non 
possono chiedere la fissazione dell'udienza per la prosecuzione della causa 
se non dopo il passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia 
civile o amministrativa, poich� nel periodo di sospensione n� 
le parti n� il giudice possono compiere alcun atto del procedimento � (nello 
stesso senso v. Cass. 9 agosto 1951, n. 2482). 

Ed invero, se la ragione giustificatrice della sospensione necessaria 
del processo regolata dall'art. 295 c.p.c. consiste nella opportunit� di evitare 
il rischio di un conflitto di giudicati, ritenere possibile la decisione 
della causa principale in base alla risoluzione non definitiva della pregiu



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ai sensi dell'art. 90 del Regolamento di procedura. � ben vero che con 
detto atto erasi chiesto in primo luogo che l'Amministrazione adottasse 
i necessari provvedimenti per il � ripristino della situazione quo 
ante di Gestione della CAMST fino alla conclusione della nuova gara 
per l'assegnazione del caff�-ristoratore della Stazione di Bologna� 
per� non � men vero che formalmente si era chiesto che il Ministero 
dei Trasporti compisse la doverosa attivit� di ottemperanza alle predette 
decisioni della VI Sezione del Consiglio di Stato. Ed in queste 

diziale significa, ferma la possibilit� che la decisione della pregiudiziale 
muti attraverso l'iter delle impugnazioni, ammesse anche avverso la decisione 
del Consiglio di Stato, riconoscere la possibilit� che si verifichi quel 
conflitto che la norma intende evitare. 

Pu� perci� dirsi che n� la formulazione letterale degli artt. 295 e 297 
c.p.c., n� la ratio delle norme n� la giurisprudenza della Corte di Cassazione, 
giustifica che la decisione la q,uale definisca una controversia amministrativa 
sia soggetta, quanto meno agli effetti degli articoli suddetti, 
ad alcuna regolamentazione speciale, diversa da quella applicabile alla 
sentenza del giudice civile. 

Ma, come gi� si � osservato, per trovare alcun argomento pi� strettamente 
applicabile alle fattispecie definite con la decisione n. 10/1969 
dell'Adunanza Plenaria e con la decisione ora impugnata bisognava ricercare 
quale fosse stato, agli effetti degli artt. 295 e 297 c.p.c., l'atteggiamento 
del Magistrato ordinario di fronte non gi� ad. una decisione del 
Consiglio di Stato per la quale siano ancora pendenti i termini d'impugnazione, 
ma ad una decisione Jche sia stata di fatto impugnata. 

Or non sembra dubbio che in tal caso il periodo di sospensione debba 
perdurare fin quando non sia definito il giudizio� di impugnazione: se non 
altro perch�, a parte ogni questione sulla particolare natura ed efficacia 
delle decisioni del Consiglio di Stato, quella stessa pregiudizialit� che 
impose la sospensione del giudizio civile in attesa della decisione del 
giudice amministrativo, caratterizza anche il giudizio d'impugnazione avverso 
la decisione stessa. Infatti risulta pubblicata (in Foro it., 1967, I, 
299) la sentenza 21 novembre 1966 della Corte d'AppellQ di Napoli la 
quale ritenne di non dover sospendere la propria decisione in attesa che 
il Consiglio di Stato si pronunziasse sul ricorso per revocazione avverso 
la decisione emessa in precedenza, solo perch� la stessa Corte d'Appello 
aveva accertato, incidenter tantum, la palese inammissibilit� della istanza 
revocatoria. � certo discutibile l'esattezza di simile decisione con la quale 
il giudice ha ritenuto di poter egli stesso valutare, sia pure incidentalmente 
al solo fine della eventuale sospensione del processo, la ammissibilit� 
di una impugnazione proposta ad un diverso giudice speciale; quel 
che per� qui interessa rilevare � che, nella ipotesi ora ricordata, il giudice 
non ha riconosciuto alla decisione del Consiglio di Stato alcuna posizione 
di particolare privilegio o, comunque, una maggiore resistenza alle impugnazioni 
rispetto alle sentenze del giudice ordinario: se l'istanza revocatoria 
fosse stata ritenuta ammissibile quel gudizio avrebbe dovuto essere 
sospeso. 

11. -Come � stato osservato dalla dottrina. sopra ricordata, il principio, 
secondo il quale l'obbligo della Amministrazione di conformarsi alla pro

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1107 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1107 
attivit� non pu� non essere compresa anzitutto la indizione della nuova 
gara; richiesta questa meglio esplicata, ma non proposta per la prima 
volta, con la domanda rivolta a questo Consiglio per l'esecuzione 
della predetta decisione. 

Tale richiesta, come si � gi� posto in risalto, � fondata, non essendovi 
dubbio che dall'anzidetta decisione deriva l'obbligo dell'Amministrazione 
di indire una nuova gara. N� pu� dirsi, come si osserva dalle 
parti resistenti, e segnatamente dalla controinteressata, che, a seguito 

nuncia giurisdizionale sorge solo con il giudicato, trova la sua ragione 
nella esigenza di evitare che l'Amministrazione sia costretta a svolgere 
la propria attivit�, volta al consegui.mento dei ~ni di pubblico interesse, 
quando ancora lo stesso pubblico interesse od i modi per perseguirlo 
legittimamente non siano stati definitivamente accertati: di provvedervi, 
cio�, con atti che non siano definitivi, ma provvisori o quanto meno 
condizionati all'esito della impugnazione. � l'esigenza, vista sotto un 
diverso angolo visuale, di assicurare la pratica efficacia delle sentenze del 
giudice dell'impugnazione e, in particolare, della Corte di 'cassazione, 
suprema regolatrice� della giurisdizione. 

La stessa esigenza vale pienamente anche nei confronti delle decisioni 
del Consiglio di Stato; n� possono dirsi remoti od eccezionali i 
mezzi d'impugnazione previsti da norme di legge e di fatto, come � nella 
specie, proposti. Ch� anzi, a ben guardare, l'esigenza suddetta appare 
particolarmente evidente fin quando sia ammissibile, e ancor pi� se sia 
stato di fatto proposto, ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione, 
quando cio� sia contestato che la pronunzia provenga da un organo titolare 
del potere giurisdizionale di fatto esercitato, e, conseguentemente, 
venga lamentata la invasione della sfera di competenza dell'Esecutivo. 

SECONDO MOTIVO. -Difetto di giurisdizione -Violazione dell'art. 27 

n. 4 t. u. 26 giugno 1924, n. 1054 -Violazione dei limiti del potere del 
Consiglio di Stato nel giudizio di ottemperanza delle pr�prie pronunce 
di legittimit�. 
12. -Nelle osservazioni trasmesse alla segreteria della VI Sezione 
a sensi del secondo comma dell'art. 91 r. d. 17 agosto 1907, n. 642, il Ministero 
dei Trasporti, a parte alcuni rilievi sulla ammissibilit� del ricorso 
proposto dalla CAMST, aveva comunicato che l'Amministrazione stessa, 
constatata la pendenza del ricorso per Cassazione proposto dalla CIGAR 
ed il contrasto di interessi tra la CAMST e la stessa CIGAR, riteneva 
opportuno, anche in copsidez:azione dell'interesse pubblico all1:4_ regolare 
gestione del caff� ristoratore, prima di adottare qualsiasi provvedimento, 
attendere l'esito del ricorso per Cassazione. 
Ma il Consiglio di Stato ha ritenuto di poter ordinare al Ministero 
dei Trasporti di indire la nuova gara relativa alla concessione del caff� 
ristoratore di Bologna entro il termine di sessanta giorni dltlla comunicazione 
in via amministrativa della decisione. 

Ma se, come � stato precisato dalla pi� volte ricordata sentenza 

n. 2157 del 1953 delle Sezione Unite, il limite del potere attribuito in 
questa materia al giudice amministrativo deve trarsi dallo stesso limite 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della decisione che ha annullato il bando di gara, l'Amministrazione 
sarebbe stata reintegrata nella stessa posizione in cui essa si trovava 
prima della indizione e dello svolgimento della gara annullata, con la 
conseguenza che l'Amministrazione non era obbligata a procedere 
alla gara non appena si fosse verificata una carenza della gestione, 
vale a dire alla scadenza della precedente concessione. Invero con la 
gi� citata deliberazione 28a del Consiglio di Amministrazione e relativa 

oggettivo del giudicato amministrativo, non sembra dubbio che simile 
pronuncia abbia varcato detto limite. 

Come si � ricordato, la decisione n. 532 del 1968 aveva parzialmente 
annullato il d. m. 25 ottobre 1967, n. 8177 con il quale erano state dettate 
alcune modalit� per la redazione della scheda segreta, nonch� un articolo 
della lettera d'invito di partecipazione alla licitazione privata per la concessione 
del caff� ristoratore della stazione ferroviaria di Bologna. La 
decisione ora impugna~a, interpretando la precedente pronuncia n. 532, 
ha affermato che tale annullamento comportava anche la rimozione, quali 
atti conseguenziali, anche dell'atto di aggiudicazione in favore della CIGAR 
e la relativa approvazione (ci� sebbene i ricorsi specificamente prpposti 
contro questi due atti fossero stati espressamente respinti con la decisione 
n. 532). 

Ma, tutto ci� ammesso, l'annullamento di simili atti non comportava 
n� l'obbligo di indire una nuova gara per licitazione privata n�, tanto 
meno, la fissazione di alcun termine entro il quale la nuova gara avrebbe 
dovuto essere indetta: restava pur sempre riservato al potere discrezionale 
dell'Amministrazione stabilire i modi di attribuzione della gestione 
del caff� ristoratore e, ancor pi�, fissare il tempo della nuova 
gara onde assicurare ad essa il miglior eventuale risultato tecnico ed economico. 
E, come si ebbe cura di precisare nella memoria depositata al 
Consiglio di Stato, l'Amministrazione aveva ritenuto che dalla pendenza 
del ricorso per Cassazione derivava che la nuova gara avrebbe necessariamente 
portato ad una aggiudicazione provvisoria, soggetta alla condizione 
risolutiva del buon esito del ricorso il che avrebbe scoraggiato la 
concorrenza e pregiudicato il risultato, sia tecnico che economico, della 
gara stessa; che, inoltre, sarebbero stati certamente pregiudizievoli alla 
regolar-it� della gestione gli eventuali frequenti trasferimenti di questa 

(dalla CIGAR al nuovo vincitore e poi nuovamente da questo alla CIGAR 

in caso di accoglimento del ricorso per Cassazione). 

La decisione di attendere, prima di indire la nuova gara, l'esito del 

ricorso per Cassazione appariva perci� logicamente giustificata e rien


trante nell'ambito dei poteri discrezionali restduati all'Amministrazione 

dopo l'annullamento giurisdizionale della precedente aggiudicazione. La 

ipotesi portata a titolo esemplificativo nella sentenza n. 2157 delle Sezioni 

Unite � ben diversa da questa ora in esame: l'annullamento di un atto 

di licenziamento fa rivivere il rapporto d'impiego, onde l'Amministrazione 

� tenuta a riprendere immediatamente in servizio l'impiegato al quale 

il corrispondente diritto deriva direttamente dal rapporto; ma dall'annul


lamento di una gara deriva che gli effetti di questa vengano meno, restan


do pur sempre libera l'Amministrazione di decidere, sulla base dei propri 

criteri discrezionali, se, e specialmente quando, ripetere la gara stessa. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1109 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1109 
circolare, l'Amministrazione autolimitandosi ritenne essere conforme 
all'interesse pubblico che la concessione dei bar-ristoratori venisse attribuita 
a seguito di licitazione privata e nell'alveo della norma che disciplina 
la contabilit� di Stato. 

Ora, giova ribadire che detti atti non solo noo sono stati annullati, 
ma sop.o stati riconosciuti legittimi da questo Consiglio in questa 
ed in precedenti decisioni (Sez. VI, n. 393 e n. 44 del 1� giugno 1967) 

:il: il caso di rilevare come non sia esatta l'osservazione pur contenuta 
nella decisione. impugnata e cio� che se un potere discrezionale del genere 
dovesse riconoscersi all'Amministrazione verrebbe del tutto vanificato il 
principio dell'obbligo dell'Amministrazione di dare immediata esecuzione 
alle decisioni del Consiglio di Stato; invero la decisione di soprassedere 
fino all'-esito del ricorso per Cassazione, per indire la nuova gara, � stata 
adottata non gi�, o comunque non soltanto, nella considerazione generica 
ed astratta della pendenza di un ricorso per Cassazione, e quindi del mancato 
passaggio in giudicato della decisione del Consiglio di Stato, bensi 
per la valutazione concreta degli effetti ch�, nella particolare fattispecie, 
dalla pendenza del ricorso per Cassazione sarebbero derivati sulla nuova 
gara da indire. 

13. -La fondatezza della censura ora -svolta � del resto chiaramente� 
dimostrata dal fatto che l'obbligo dell'Amministrazione di indire la nuova 
gara viene, nella decisione impugnata, desunto -non gi� dalla precedente 
decisione n. 532, bensi dalla deliberazione adottata dal Consiglio di Amministrazione 
delle Ferrovie nella 28a seduta del 26 luglio 1966, nella 
quale si decise -e con ci� l'Amministrazione avrebbe autolimitato i 
propri poteri discrezionali -che le concessioni dei bar rfstoratori venissero 
attribuite a seguito di licitazione privata, nell'alveo della norma che 
disciplina la contabilit� di Stato. 
Simile argomentazione appare peraltro chiaramente inammissibile: 
invero oggetto del giudizio di ottemperanza � esclusivamente quello di 
accertare se l'Amministrazione abbia o meno adempiuto all'obbligo di 
conformarsi al giudicato, ma se il comportamento della Amministrazione 
abbia violato non gi� gli �obblighi derivanti dal giudicato, bensi limiti 
imposti alla sua attivit� da precedenti atti amministrativi, il vizio relativo 
sar� denunciabile con i normali mezzi di impugnazione, ma�non sar� certo 
riparabile col procedimento previsto dall'art. 27 n. 4. 

Deve infine aggiungersi che la citata deliberazione del Consiglio di 
Amministrazione, se stabili che le concessioni venissero attribuite mediante 
gare per licitazione privata, non fiss� -per� il termine entro il quale 
indire la gara stessa. � 

La determinazione di tale termine, non fissato n� dalla decisione 

n. 532 n� dalla d�iiberazione del Consiglio di Amministrazione, restava 
perci� riservata al potere discrezionale dell'Amministrazione stessa, in 
I

base a considerazioni di opportunit� e convenienza che essa soltanto 

I

poteva compiere; la decisione impugnata, fissando essa stessa, il termine : 
suddetto ha allora usurpato tale potere. -(Omissis). :! 

I

I 

GIORGIO AZZARITI l

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I 

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1110 BASSEGNA DELL1AVVOCATUBA DELLO STATO 

tanto � vero che, proprio sul rilievo della legittimit� di tali atti, s1 e 
escluso che i precedenti concessionari (fra i quali la CAMST) potess
�ero vantare alcune pretese per il rinnovo delle precedenti concessioni, 
soggette a diversa regolamentazione. 

Non pu� pertanto dubitarsi nella specie che l'Amministrazione 
sia tenuta, nell'ambito dei cennati atti, ad indire nuova gara esente dai 
vizi riscontrati. � poi appena il caso di osservare, stante la intervenuta 
decisione di annullamento, che 1'Amministrazione non � neppure libera 
di� scegliere il momento in cui deve procedere a rinnovare la gara: 
questa si impone con immediatezza proprio per effetto dell'anzidetta 
pronuncia. Pertanto va ordinato, come sopra precisato, dall'Amministrazione 
ferroviaria di indire nuova gara relativa alla gestione del 
caff�-ristoratore della Stazione di Bologna, entro giorni sessanta dalla 
comunicazione in via amministrativa dell� presente decisione. (
Omissis). 



SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 ottobre 1968, n. 3493 -Pres. Ros~ 
sano -Est. Malfitano -P. M. Raja (conci. conf.) -Borrelli (avv. 
Borrelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mazzella). 

Imposta di registro -Vendita coatta -Vendita con incanto e vendita 
senza incanto -Accertamento di valore -Inapplicabilit�. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 50). 
La norma de'll'art. 50 della legge di registiro che, nel ritenere dovuta 
la tassa proporzionale per la vendita ai pubblici incanti sul prezzo 
risultante dall'ultimo incanto, esclude l'accertamento di valore, si applica 
alle vendite coatte, sia che la vendita abbia avuto l�uogo con 
incanto -che era il sistema normale previsto dall'abrogato codice 
di procedura civile -sia che la vendita abbia avuto luogo senza incanto 
-che � il sistema normale nella esecuzione forzata, ordinaria 

o fallimentare, previsto dal vigente codice di procedura civile -purch� 
siano state osservate le norme dell'uno o dell'altro tipo di procedura 
esecutiva, che garantiscono, attraverso un procedimento essenzialmente 
pubblicistico, la realizzazione di un prezzo corrispondente al 
valore venale del bene venduto (1). 
(Omissis). -Con il primo motivo si sostiene che la Corte di merito 
iha erroneamente ritenuto che ai fini dell'applicazione dell'imposta. 
di registro potesse procedersi alla determinazione del valore venale 
degli immobili aggiudicati al Borrelli a seguito della vendita senza incanto 
disposta nella procedura fallimentare nei confronti di Oscar e 

(1) Con questa sentenza la Cassazione ha modificato il precedente 
orientamento di cui alle sentenze 3 marzo 1932, n. 758, in Riv. leg. fisc., 
1932, 419 e 11 gennaio 1943, n. 31, in Giur. it., 1943, I, 1, 124. 
Nello stesso senso della sentenza in rassegna, cfr. Comm. Centr. 13 
marzo 1964, n. 7252, in Giur. imp., 1964, n. 128 con nota adesiva; Comm. 
Centr. 16 maggio 1966, n. 31931;; Comm. Centr. 8 marzo 1966, n. 28980, 
in Dir. prat. trib., 1967, II, 714 con nota adesiva di CRoXATTO. 

In conseguenza del nuovo orientamento giurisprudenziale e data la 
sua delicatezza, l'Avvocatura ha riesaminato la questione in via generale, 
proponendo da ultimo alla Amministrazione di adeguare la propria attivit� 
a detto orientamento. Avendo il Ministero delle Finanze concordato 
sul punto, i principi di cui alla massima in esame non si prestano ad 
ulteriore utile commento. 



1112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Pasquale Bernardi, in quanto la disposizione di �cui al secondo comma 
dell'art. 50 della legge di registro 30 dicembre 1923, Ii. 3269, secondo 
la quale l'imposta proporzionale per la vendita di mobili o immobili ai 
pubblici incanti � dovuta sul prezzo della vendita risultante dall'ultimo 
incanto, � applicabile in ogni caso di vendita coatta, sia questa realizzata 
con il sistema dell'incanto sia con quello senza incanto e, .quindi, anche 
nell'ipotesi di vendita senza incanto disposta dal giudice delegato nel 
processo fallimentare. 

La censura � fondata. 

La disposizione dell'art. 50 della legge di registro che esclude 
l'accertamento di valore per i beni mobili e immobili trasferiti a seguito 
di pubblico incanto � ancorata al sistema delle vendite coatte 
disciplinate dal codice di procedura civile del 1865 vigente nel momento 
in cui essa fu emanata. 

Ora, poich� nel codice di procedura civile vigente .la vendita con 
incanto e quella senza incanto sono considerate sullo stesso piano, che 
anzi, pu� affermarsi che la nuova disciplina mostri preferenza per la 
vendita senza incanto allorch� prevede in via normale tale tipo di 
procedimento (art. 569, terzo comma, 575, primo comma, c.p.c.), occorre 
interpretare la. menzionata norma della legge di registro alla 
stregua della nuova realt� giuridica che influenza la norma medesima, 
la quale, nel suo nucleo essenziale, ha inteso sancire l'inammissibilit� 
del giudizio di valutazione da parte della finanza nelle vendite coatte, 
quando a tale giudizio si sia pervenuto attraverso l'apposito procedimento 
esecutivo con l'intervento del giudice, che, di per s�, toglie alla 
vendita del bene cosi realizzata quel carattere di negozio di natura 
privata, che soltanto pu� consentire la determinazione di un valore 
diverso dal prezzo. 

Se, quindi, la vendita forzata sia stata attuata con l'osservanza 
delle forme del procedimento espropriativo stabilito dalla legge, deve 
presumersi che il prezzo di aggiudicazione sia �corrispondente nella misura 
massima possibile in quel dato luogo e in quel momento al valore 
venale del bene acquistato sul libero mercato, che rappresenta ci� che 
il procedimento valutativo ricerca (v. sent. Corte Cost. n. 62 del 1965). 

Cosi identificata la e ratio � della disposizione di cui al secondo 

comma dell'art. 50 della legge di registro, deve ritenersi che essa sus


sista anche con la nuova disciplina dettata dal codice di rito per le 

vendite coatte, in quanto, sostituite alle antiquate strutture forme mo


derne pi� aderenti alle pratiche esigenze dei rapporti sociali, il .trasfe


rimento coatto del bene ha luogo, pur sempre, attraverso gli appositi 

strumenti esecutivi predisposti per il migliore rendimento economico 

dell'espropriazione. . 

Se, quindi, la citata disposizione esclude la applicabilit� del giudizio 

di valutazione nel presupposto che ogni procedura di pubblico incanto t 

r 

I ili' 
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,::: 

ff@lfffft@Ufi@ifi@ifafil'tUMf&mH%tff:fmfffG1fil@@fmiifffiif�irn�@fiiifffffffBffffffff:iliffif@fff@f@ffM%@H@if@f0Wfil~~i 



1113

PARTS l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TlUlJtl'TARIA 

dia garanzia di autenticit� e . di congruit� del prezzo di aggiudicazione, 

deve riconoscersi che tale presupposto sussiste anche con l'osservanza 

della nuova disciplina del procedimento esecutivo che equipara nel suo 

risultato finale la ven~ta all'incanto e quella senza ihcanto. 

Al riguardo � opportuno rilevare che anche la vendita senza incanto,. 
essendo una vendita� :forzata, � sottratta� alla garanzia� per i vizi 
de~ cosa, e ~a.impu~tiva p�r causa di leeione (art. 2922 e.e;) e che 
per gli inunobili la� vendita senza in.canto ha lu<.>go con lo stesso sistema 
'con. U q.ale si procede alla vendita con in�anto, cio� median:te la 
stiriia legale del valore dell'immobile e, :eventualmente,. giudiZiale (articoli535 
e 568 �.p.c.), con even.tuale � gara tra gli offerenti ... sull'offerta 
pi� alta se le O:ffert� J(>no :Pl� di .una :(art. 1)73 c.p.c.); e qualora il. giu. 
~i�Ellnon tit~nga.�.eBs.e:rvi �seria �probabilit� di�.miglior vendita �ll'in


cant<J� � (art. 572, terzo comma1 573, secondo comma). 

~gitingasi che l'aggiudicazione; sia nella vendita all'incanto che 

in 4.~ll;a ll.enza iricanto,. � un�provvedbnen.toc di. carattere esclusiva


me11te pubblicisUco, � giurisdizi011ale; �pur con ~etti privatistici, quale 

~tr-jnse�a~one>del p()Jtere gi.risdi~onale� di �vent'l.~e.�e ttasferire che 

l'<1rgano pubblico esereita nel .campo della e,spropriazione forzata .. 

E a tale principio. questa Corte Suprema si � recentemente� ispirata 

al!Otc:h� ha preci~to �h� R ;r~pporto di.mecUaziOne non � configurabile 

~~tto ~lle veridite .stud4zil,\n previl!te dagli ar:tt. 570 e segg. del c.p.c., 

s.\ll ri;flesso che il pai'ocednnento officioso � rigidamente articolato per 

la, scelta q�ll'acqui:i:-ente e tale da non. lasciare luogQ in alcun.. modo 

a u:n privato intervento 'di ihtermediazione � che il trasferimento della 

propriet� dall'esecutato all'aggiudicatario cQnsegue a un provvedimento 

dell'organo giurisdizionale (v. � sent. _n. 15 del 1968). 

Alla . stregua delle suesposte considerazioni si deve affermare: a) 

che il sist~a tenuto presente dalla disp0sizione � di cui al secondo 

comma dell'art. �50 della legge di registro non poteva essere che quello 

della vendita con incanto, perch� tal era quello normale previsto e�ll~ 

l'�'brogato .Codice di rito :nella esee.uzione forzat� (la vendita senza 

incanto ave\i'a carattere del tutto eccezionale: art. 610, terzo colrima, . 

vendita di frutti gi� raccolti; art. 639, secondo comma, vendita di 

aziOn.i industriali; art. 800 �od. comm. abr. vendita di immobili del 

fallite;).; �) . eh.e, secondo l'ordinamento . giuri!Uco. vigente, acc()t.nunati 

i due procedimenti e disciplinato ilststenia della vendita senza incanto 

come quello normale nella esecuzione forzata (art. 570 e segg. c.p.c.), 

:non v'� pi� motivo di distinguere tra l'uno e l'altro sistema, di tal che 

la norma fiscale deve trovare applicazione allorch� la vendita coatta 

sia conseguente all'osservanza dell'uno o dell'altro degli strumenti pre


disposti dall'ordinamento processuale. 

Per quanto attiene in particolare alle vendite di beni del :falli


mento, va rilevato che la legge fallimentare estende, in linea generale, 

., 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alle vendite di beni mobili e immobili del fallimento le disposizioni 
del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione (art. 
105) stabilendo, poi, per la vendita degli immobili, che questa normalmente 
abbia luogo con il sistema dell'incanto e che alla vendita degli 
stessi senza incanto si proceda �su proposta del curatore, sentito il 
comitato creditori e con l'assenso dei creditori ammessi al passivo 
aventi un diritto di prelazione sugli immobili, ove il giudice delegato 
la ritenga pi� vantaggiosa� (art. 108, primo comma). 

Da tale disciplina si evince che anche nel processo fallimentare la 
vendita con incanto e quella senza incanto sono sullo stesso piano, 
risultando in definitiva affidata all'organo pubblico giurisdizionale la 
scelta del sistema: con il quale debba essere eseguita l'espropriazione 
del bene ed essendo tale scelta sempre volta a fare acquisire al fallimento 
un prezzo � giusto ., corrispondente, cio�, il pi� possibile a 
quello di mercato. 

Che anzi la vendita degli immobili del fallimento offre maggiori 
garanzie di congruit� del prezzo di aggiudicazione, in quanto la legge 
fallimentare stabilisce che � il giudice che procede pu� sospendere la 
vendita (con incanto o senza) quando ritiene che il prezzo offerto sia 
notevolmente inferiore a quello giusto�. 

Pertanto, di fronte alla normativa vigente del processo di esecuzione 
ordinario e fallimentare appare superata l'interpretazione della 
cennata disposizione dell'art. 50 della legge di registro, data da questa 
Corte Suprema con le sentenze n. 758 del 1932 e 31 del 1943, secondo 
la quale la disposizione medesima � applicabile soltanto nell'ipotesi 
di vendita ai pubblici incanti. 

Posto che la nuova disciplina pi� non impone che l'espropriazione 
forzata abbia luogo con il sistema della vendita al pubblico incanto, ma 
a questo parifica e accomuna quello della vendita senza incanto, considerando 
l'esito dell'uno . e dell'altro procedimento in ogni caso come 
espressione del valore venale del bene, si deve concludere che nelle 
vendite coatte giudiziali non � ammesso l'accertamento di valore del 
bene trasferito da parte della finanza, in quanto l'osservanza dell'uno 

o dell'altro procedimento esecutivo (con incanto o senza), prestabilito 
dalle leggi processuali, garantisce la realizzazione di un prezzo rispondente 
al valore venale del bene venduto. 
Nella specie, la Corte di merito non si � uniformata a tale principio 
perch� ha ritenuto che 1'Amministrazione delle finanze potesse 
procedere all'accertamento del valore degli immobili aggiudicati al 
Borrelli a seguito di vendita senza incanto ordinata dal giudice delegato 
al fallimento di Oscar e Pasquale Bernardi al quale i beni medesimi 
appartenevano. -(Omissis). 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1115 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1289 -Pres. Pece Est. 
Berarducci -P. M. Toro (diff.) -Fiordiliso (avv. Manfredonia) 

c. Ministero delle Finanze (avv, Stato Coronas). 
Imposta di registro -Tabella allegato B alla legge organica di registro Natura. 


(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 5; tabella all. B). 
Imposta di registro .. Decadenza dai benefici fiscali per mancata regi


strazione nei termini di legge -Ambito di applicazione -Ridu


zioni accordate ~alla legge organica di registro -Applicabilit�. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 110; tabella all. B, art. 43). 
Le norme di cui ane tabeUe allegate alZa legge di registro si trovano, 
rispetto alle norme contenute in detta tegge, in un rapporto di 
semplice specificazione e di paritd, come confermato dall'indiscriminato 
rinvio fatto dall'art. 5 della stessa legge di registro. Pertanto la tabelZa 
B allegata alZa legge organica di registro costituisce parte integrante 
di questa (1). 

L'art. 11 O della legge di registro, che non distingue tra riduzione 
di carattere eccezionale e riduzione di carattere normale, e trra riduziooe 
di carattere temporaneo e riduzione di carattere permanente, n� 
contiene alcuna specificazione in ordine alle leggi di concessione del 
beneficio tributario, deve intendersi nel senso che comprenda tutte, 
indistintamente, le disposizioni legisZative con le quali sia stata concessa 
una riduzione dell'ordinaria imposta di registro, senza, pertanto, 
alcuna esclusione, daZZa s.anzione di de�cadenza, di quei benefici concessi 
con norme contenute nelZa stessa legge di registro (2). 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso, il Fiordiliso censura 
la sentenza impugnata per avere ritenuto che la tardiva registrazione 
di un atto di compravendita di fabbricato di nuova costruzione, im


(1) Il principio enunciato nella massima costituisce, da tempo, giurisprudenza 
costante. Le sentenze citate in motivazione possono leggersi: 
S. U. 18 febbraio 1963, n. 391, in questa Rassegna, 1963, 85, in motiv�zione; 
Cass. 27 luglio 1963, n. 2113, in Riv. leg. fisc., 1963, 2314; Cass. 25 novembre 
1963, n. 3032, ivi, 1964, 513. 
(2) 
Anche la seconda massima esprime l'orientamento consolidato 
della 
Corte Suprema. 
Fra le sentenze pi� recenti possono ricordarsi Cass. 26 ottobre 1966, 

n. 2610 (in questa Rassegna 1967, 137) che riafferma il principio in ordine 
alle agevolazioni in genere; Cass. 26 luglio 1966, n. 2067 (ivi 1966, 1100) 
che applica l'art. 110 anche nella ipotesi della tassa fissa, parificando 
quest'ultima ad un vero e proprio � beneficio di riduzione d'imposta �; 

1116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

porti decadenza per effetto della norma di cui all'art. 110 della legge 
organica di registro (r.d. '30 di~embre 1923, n. 3269), dal beneficio 
della riduzione della imposta alla met� concesso con l'art. 43 della 
tabella B allegata alla stessa legge. Assume il ricorrente che la norma 
dell'art. 110 sopra citata, nel prevedere la decadenza, in caso di tardiva 
registrazione, dai benefici della riduzione delle normali imposte 
di registro, si riferisce ai benefici che siano stati concessi � con leggi � 
diverse dalla stessa legge organica di registro. 

La tabella B allegata a detta legge forma, invece, afferma il ricorrente, 
parte integrante della stessa legge, e, pertanto, il beneficio della 
riduzione alla met� dell'ordinaria imposta di registro, concesso con 
l'art. 43 detta tabella, non pu� ritenersi compreso nella decadenza prevista 
dal predetto art. 110. 

Il motivo � infondato. 

� indubbiamente esatto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla 
decisione impugnata, la tabella B allegata alla legge organica di registro 
costituisce parte integrante di questa. Ci� � stato, invero, sempre 
affermato da questa Corte Suprema, che, ripetutamente, ha precisato 
anche che le norme di cui alle tabelle allegate alla legge di registro 
si trovano, rispetto alle norme contenute nella predetta legge, in un 
rapporto di semplice specificazione e di parit�, come confermato dall'indiscriminato 
rinvio fatto dall'art. 5 della stessa legge di registro 
e dal fatto che la relazione alla predetta legge ha, esplicitamente, 
qualificato le norme delle tabelle come sostitutive di altrettante norme 
della legge, giustificandone l'elencazione separata con ragioni di mera 
sinteticit� e chiarezza (cfr. sentenze n. 3032, n. 2113, n. 391 del 1963 
e sent. n. 1240 del 1962). 

Esatta non �, invece, la prima proposizione del sillogismo del 
ricorrente, ossia la premessa che l'art. 110 della legge di registro preveda 
la decadenza solo dai benefici concessi � con leggi � diverse e 
distinte dalla predetta legge di registro. Una� siffatta proposizione si 
basa, invero, su una interpretazione della norma in esame, che contrasta 
sia con la lettera che con la ratio della norma stessa. 

La dizione letterale della no~a. �tutti gli atti e contratti per i 
quali con leggi � stata concessa riduzione delle normali tasse di registro 
... �, non contiene, invero, alcuna specificazione in ordine alle 

� leggi � di concessione del beneficio tributario, di modo che deve 
ritenersi che nell'ampia accezione di tale dizione siano comprese tutte, 
Cass. 3 febbraio 1968, n. 349 (ivi 1968, 256) che segue le orme della precedente, 
ed infine, S.U. 29 maggio 1967, n. 1169 (ivi 1968, 237) che esplici�� 
tamente riconosce operante la comminatoria di decadenza ex art. 110 r. d. 
30 dicembre 1923, n. 3269, anche in ordine alle agevolazioni previste dall1t 
legge organica di registro. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

indistintamente le disposizioni legislative con le quali sia stata concessa 
una riduzione della ordinaria imposta di registro, senza, pertanto, 
alcuna esclusione, dalla sanzione di decadenza, di quei benefici concessi 
con norme contenute nella stessa legge di registro. E la conferma 
di ci� � data dalla ratio della norma in questione, la quale trova la sua 
giustificazione nell'intento del legislatore di stimolare la registrazione 
nei casi in cui le normali aliquote delJa imposta sono applicabili in 
misura ridotta, ossia in un intento che porta ad escludere, come assolutamente 
ingiustificata, una qualsiasi discriminazione tra riduzione delle 
normali imposte concessa con la stessa legge di registro e riduzione 
concessa con altre, distinte leggi. 

Giova, infine, ricordare -per esaurire l'argomento in esame che 
quanto sopra affermato trova conforto nello indirizzo sempre seguito 
da questa Corte Suprema in fattispecie analoghe, quali quelle 
relative alla tassa fissa pvevista nelle varie norme della stessa tabella 
B in questione (cfr. sent. n. 1169 del 1967 e numerose altre conformi). 


Si obietta dal ricorrente che, comunque, per gli atti richiamati 
nell'art. 43 della tabella B, la riduzione della tassa alla met�, rispetto 
a quella di cui all'art. 1 della Tariffa A, si presenta, come � stato ripetutamente 
affermato da questa Corte Suprema in tema di applicazione 
del beneficio concesso con .l'art. 17 della legge n. 408 del 1949, quale 
regime normale di tassazione, e che, pertanto, tale riduzione non rientra 
nel concetto di cui all'art. 110 della legge di registro, che comprende 
unicamente le riduzioni concesse con norme di carattere eccezionale. 


Ma l'obiezione si appalesa priva di consistenza sol che si consideri, 
da un lato, la portata generale della norma dell'art. 110, la quale non 
distingue tra riduzione di carattere eccezionale e riduzione di carattere 
normale,, o tra riduzione a carattere temporaneo e riduzione a carattere 
permanente, e, dall'altro lato, che questa Suprema Corte ha, si, 
affermato, nella giurisprudenza invocata a sostegno della propria tesi 
dal ricorrente, che la riduz.ione della tassa alla met�, concessa dall'ormai 
abrogato art. 43 della tabella B, costituiva, per gli atti nello 
stesso articolo indicati, il normale regime di tassazione, ma non ha, 
tuttavia, con ci� negato la natura di � riduzione � attribuita dall'articolo 
in questione al beneficio in esso previsto. Ed � ci� che, nella 
fattispecie, rileva, dal momento che, per escludere l'inquadramento 
del beneficio di cui all'art. 43 della tabella B nello schema giuridico 
dell'art. 110 della legge di registro, sarebbe stato necessario che il 
predetto art. 43 avesse contenuto una diversa struttura nella liquidazione 
dell'impo�sta (ved. testata della tabella B) e non gi� -come in 
realt� conteneva -una mera riduzione dell'imposta ordinaria prevista 
dall'art. 1 della Tariffa A. -(Omissis). 


1118 BASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CO:R.TE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 aprile 1969, n. 1415 -Pres. Pece Est. 
Pascasio -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Salto) c. Soc. p. A. Eridania Zuccherifici Nazionali 
(avv. Guidi ed Uckmar). 

Imposta di registro -Agevolazioni ex art. 24 legge 28 febbraio 1949, 

n. 'll3 in favore della Gestione Ina-Casa -Risoluzione consensuale 
di appalto -Decadenza dalle agevolazioni accordate all'appalto Si 
verifica. 
(1. 28 febbraio 1949, n. 43, art. 24). 
Imposta di registro -Agevolazioni ex art. 24 legge 28 febbraio 1949, 

n. 43 in favore della Gestione Ina-Casa -Mancata comminatoria 
espressa di decadenza -Irrilevanza. 
(l. 28 febbraio 1949, n. 43, art. 24). 
L'art. 24 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, ha stabilito benefici 
fiscali di natura mista, obbiettiva e soggettiva insieme, concernenti atti 
qualificati dal soggetvo che vi partecipa (Gestione Ina-Casa) e dallo 
scopo che perseguono. La ragione oggettiva del beneficio, derivante dal 
cotlegamento strumentale e dallo stesso rapporto di necessit� tra l'atto 
sottoposto a registrazione e le successive operazioni conducenti alla 
esecuzione delle opere che la legge intende incrementare, viene a cessare 
qualora le opere stesse non abbiano corso, e tanto pi� se non lo 
abbiano per volont� delle parti contraenti che abbiano stipulato un 
negozio risolutivo (1). 

L'esplicita comminatoria della decadenza dal beneficio fiscale accordato 
dalt'art. 24 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, � superflua in 
quanto, per far cessare detto beneficio, � sufficiente che venga meno 

(1) La prima parte della massima � conforme all'indirizzo giurisprudenziale 
gi� affermato nella sentenza 4 giugno 1968, n. 1688 (in questa 
Rassegna, 1968, 1, 486). 
L'interesse dell'affermazione contenuta nella sentenza in esame consiste 
nella � natura mista � del beneficio considerato, soggettivo ed oggettivo 
ad un tempo, collegato, cio�, da un lato all'ente che pone in essere 
le operazioni agevolate e dall'altro alla connessione necessaria tra l'atto 
agevolato e dette operazioni. Le conseguenze che la Corte ha tratto 
da tale particolare natura del beneficio sono ineccepibili perch�, laddove 
venga meno l'uno o l'altro dei due presupposti, l'agevolazione non pu� 
pi� essere riconosciuta operante esse'ndo, come si � visto, collegata ad un 
duplice ordine di limitazioni soggettive ed oggettive che tutte debbono 
sussistere perch� il beneficio sia applicabile. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1119 

per volont� delle partii o che, altr.imenti, sia certo non possa pi� veri


ficarsi la causalit� giuridica del beneficio stesso (2). 

(Omissis). -Con i due motivi di gravame, che, per la loro stretta 
connessione, � d'uopo esaminare congi_untamente, denunciando la violazione 
dell'art. 24, terzo comma, della legge 28 febbraio 1949, n. 43, 
degli artt. 8 e 10 della legge di registro e dei principi generali in 
materia tributaria, si censura la sentenza per avere, con difettosa motivazione, 
ritenuto che, per giustificare la pretesa tributaria, fosse necessaria 
la previsione di una decadenza per mancata attuazione dell'opera 
oggetto dell'appalto, mentre doveva ritenersi che la norma 
citata, secondo la sua co-rretta interpretazione, condiziona l'agevolazione 
alla costruzione dell'opera; sicch�, non essendosi questa veri~:icata, il 
beneficio non poteva essere mantenuto. La censura � fondata. 

Statuisce infatti il citato terzo comma dell'art. 24 che e tutti gli 

I

atti e contratti che si rendono necessari per le operazioni previste 
nella presente legge godono della esenzione dalle tasse di bollo, fatta 
eccezione per le cambiali, e sono soggetti alla imposta fissa minima di 
registro ed ipotecaria, salvi gli emolumenti dovuti ai conservatori dei 

I�

registri immobiliari �. 

I

Con ci� -come questa Corte ha rilevato in altra occasione (sent. 
4 giugno 1968, n. 1688) -sono stati stabiliti benefici fiscali di natura ! 

i 

Jl.l,ista, obiettiva e soggettiva insieme, concernenti atti qualificati dal ! 
soggetto che vi partecipa (Gestione Ina-Casa) e dallo scopo che per! 
seguono. La limitazione soggettiva � implicita nel riferimento alle ope


I

razioni che la legge commette alla Gestione Ina-Casa ed � veramente 
determinante, rispondendo alla ragione specifica della considerazione 

l1di favore, giustificata dalla esigenza di economicit� della gestione, che 
impiega in massima parte contributi di lavoratori per un fine di pro-

I 

i 

I ! 

(2) Sulla seconda massima non risultano precedenti. Della sua esattezza 
peraltro non pu� dubitarsi perch�, quando la legge agevolatrice 
subordina il beneficio a determinate condizioni, presupposti e finalit�, il 
mancato verificarsi di questi importa automaticamente l'applicazione della 1 
imposta nella misura normale. ! 
L'espressa comminatoria della decadenza non � necessaria perch� la i 
legge che accorda il beneficio, introducendo un'eccezione alla regola dell'ordinaria 
tassazione, trova i suoi limiti di app:icazione nella sua stessa 

I 

formulazione onde, non appena la fattispecie travalichi detti limiti, torna 

!

automaticamente nell'ambito della legge generale. 

Prefissione di termini, presentazione di apposita documentazione, !( 
adempimento di determinati obblighi, non rappresentano altro che indizi 
rivelatori della � causale giuridica del beneficio�, onde, quando essa sia 

I

altrimenti desumibile, la mancanza di detti elementi non impedisce che 

!

una comminatoria di decadenza, sia pure collegata ad altri presupposti, 
sia presente nella norma agevolatrice la quale, appunto, diviene inapplir 


I

cabile allorch� il suo scopo si riveli inattuabile. l 

10 1 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gi'esso sociale. La limitazione oggettiva, esplicita nel testo dell'art. 24, 
� precisata con la prescrizione che debba sussistere un rapporto di necessit� 
tra l'atto o contratto ed il compimento delle operazioni :Previste 
dalla legge, rapporto che implica un . collegamento strumentale 
univoco tra l'atto e gli scopi della gestione. 

Ora, si rende evidente che un simile collegamento strumentale e 
lo stesso rapporto di necessit� tra l'atto sottoposto a registrazione e le 
successive operazioni conducenti alla esecuzione delle opere che la 
legge intende incrementare mediante le agevolazioni in essa previste, 
vengono a cessare qualora le opere stesse non abbiano corso: e tanto 
pi� se non lo abbiano per volont� delle parti contraenti che -come 
nel caso in esame -abbiano stipulato un negozio risolutivo. A seguito 
di un simile negozio, infatti, il contratto di appalto sottoposto a registrazione 
torna in quella situazione di normalit� in relazione alla 
quale � soggetto ad imposta nella misura normale e non in quella 
ridotta in vista dei particolari sco.pi non pi� conseguiti. 

Vero � che -diversamente da altre leggi in materie analoghe la 
legge n. 43 del 1949 non contiene una espressa comminatoria di 
decadenza dalle agevolazioni tributarie per il caso di mancata realizzazione 
delle attivit� in vista delle quali le agevolazioni sono concesse. 
Ma, a parte il rilievo che la decadenza consegue, ove prevista, alla 
inosservanza di termini che la legge in esame non prefigge per l'esecuzione 
delle opere, la comminatoria sarebbe superflua per far cessare 
il beneficio fiscale quando viene meno per volont� delle parti o � certo 
che non si possa pi� verificare la causale giuridica del beneficio stesso, 
che nella specie � costituita dalla esigenza sociale di incrementare la 
costruzione di case per i lavoratori, sicch�, al venir meno dell'attivit� 
agevolata deve necessariamente seguire il venir meno dell'agevolazione. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2205 -Pres. Stella 
Richter -Est. Iannuzzi -P. M. Gentile (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Soprano) c. Fallimento Soc. Edilizia Biellese 
Immobiliare (avv. Rosati). 

Imposte e tasse in genere -Fallimento -Credito tributario ammesso 
nel passivo con riserva della decisione della Commissione Centrale 
-Impugnativa giudiziaria avverso la decisione -Improponibilit�. 


(r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 55 e 95). 
n provvedimento del giudice delegato che ammette nel passivo 
un credito tributario con riserva della decisione della Commissione 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1121 

Centrale, preclude la possibilitd di esperire impugnativa giudiziaria 
avverso la decisione pronunciata dalla Commissione (1). 

(Omissis). -Devesi disporre la riunione dei ricorsi, trattandosi 
di impugnazioni proposte contro una stessa sentenza. 

La Corte d'appello ha ritenuto che il provvedimento del giudice 
delegato al fallimento, 4i ammissione dei crediti dell'Amministrazione 
finanziaria al passivo con riserva della decisione della Commissione 
centrale per le imposte, importava che la ammissione stessa fosse stata 
sottoposta alla condizione di una decisione favorevole della predetta 
Commissione sulla pretesa tributaria; che, invece, la decisione emessa 
in senso sfavorevole all'Amministrazione finanziaria dalla Commissione 
centrale per le imposte aveva posto in essere una condizione risolutiva 
della ammissione dei crediti, i quali, �dovevano ritenersi esclusi 

(1) Osservazioni sull'ammissione con riserva dei crediti di imposta 
nel passivo fallimentare 
1. -Il caso sottoposto all'esame della Corte era in breve questo: in 
pendenza di appello alla Commissione Centrale, avverso una decisione 
della Commissione provinciale delle imposte indirette che aveva negato 
la legittimit� della pretesa tributaria, l'Amm.ne finanziaria chiedeva l'ammissione 
nel passivo del fallimento del credito in contestazione. Il Giudice 
delegato ammetteva nel passivo il credito con riserva della decisione della 
Commissione Centrale. 
A seguito, della decisione della Commissione, sfavorevole alla Finanza, 
l'Amm.ne, con ricorso nelle forme previste dall'art. 101 legge 
fallimentare, proponeva un'impugnativa giudiziale per un riesame da 
parte del Tribunale della decisione amministrativa. 

Il Tribunale e la Corte d'Appello dichiaravano improponibile la domanda 
e la Cassazione, con la sentenza in rassegna ha confermato tale 
pronunzia. 

La S. C. ha giustificato la sua decisione osservando che il procedimento 
di verifica dei crediti si conclude con il provvedimento di approvazione 
dello stato passivo il quale fa stato, in difetto di opposizione, per 
tutti i creditori, anche per quelli ammessi con riserva, precludendo una 
nuova domanda pur se spiegata in via tardiva e che la riserva, a cui 
era condizionata risolutivamente l'ammissione del credito, si era sciolta 
sfavorevolmente alla Finanza, in quanto la formula usata nel provvedimento 
dal giudice delegato doveva intendersi nel senso che � l'ammissione 
fosse sottoposta alla condizione di una pronunzia favorevole solo della 
Commissione centrale per le imposte �. 

2. -Sembra opportuno, in primo luogo, per evitare possibili equivoci 
in una materia cosi controversa, sottolineare che, contrariamente a quanto 
pare ritenere l'annotata decisione, l'affermazione giurisprudenziale (v. 
Cass. 18 gennaio 1961 n. 75, in Giust. civ. 1961, I, 189 con nota di BIANCHI 
n'EsPINOSA, Ammissione con riserva di documentazione e ammissione provvisoria 
di crediti al passivo fallimentare, e Cass. 11 marzo 1966, n. 684, in 
Giust. civ., 1966, I, 1069, con nota di CoLASURDo, Ancora qualche considerazione 
sull'ammissione lcon riserva al passivo del fallimento e in questa 

1122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dalla procedura concorsuale in virt� dell'efficacia preclusiva del decreto 
del giudice delegato. 

Con l'unico motivo l'Amministrazione finanziaria, denunciando la 
violazione degli artt. 13 e 146 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, dell'art. 
25 d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 2909 e.e. e 324 c.p.c., artt. 55, 
95, 98, 113 �e 117 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e 360 nn. 3 e 5 c.p.c., 
deduce che ha errato la Corte d'appello nel ritenere che l'accertamento 
dei crediti tributari ammessi con riserva al passivo del fallimento 
fosse vincolato alla decisione della Commissione centrale per le imposte 
e non fosse pi� suscettibile di una ulteriore pronuncia in sede giurisdizionale, 
ritenendosi, quindi, preclusa l'azione davanti al giudice ordinario 
ammessa dall'ari. 146 della legge sul registro. 

Osserva che la riserv:a dell'ammissione al passivo dei crediti di 
imposta all'esito della decisione della predetta Commissione doveva 
intendersi come ammissione condizionata al passaggio in giudicato della 
decisione stessa, senza l'esclusione, quindi, delle ulteriori fasi del giu


r~ 

Rassegna, 1966, I, 348 con nota di CARUSI, In tem~ di ammissione al pas'sivo ~ 
fallimentare con riserva di presentazione di documenti), secondo cui il 
creditore ammesso nel passivo del fallimento con riserva ha l'onere di 

I 

proporre opposizione allo stato passivo per conseguire lo scioglimento 

r

della riserva e in difetto l'ammissione perde il suo effetto, affermazione 
che ha risolto un problema vivamente dibattuto in dottrina (v. in senso 
conf. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano 1964, vol. II, 
1106 ss.; SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma 1964, p. 260 ss.; 
SPERANZA, Natura ed effetti dell'ammissione al passivo con riserva di produzione 
della �documentazi.one, in Foro it., 1959, IV, 148; BIANCHI �'EsPINOSA, 
nota cit.; contra per�: GRECO P., Sull'ammissione al passivo con 
riserva di prova nel procedimento fatlimentare, in Riv. dir. icomm., 1953, 
I, 55; FERRARA, Il Fallimento, Milano 1969, p. 368 ss.; DE SEMO, Diritto 
fallimentare, Padova 1961, p. 424; AzzoLINA, Il Fallimento, Torino 1953, 
vol. I, p. 611; SALVATORE, In tema di ammissione di credito al passivo fallimentare 
con riserva di. produzione di documentazione, in Giur. it., 1961, 
I, 1, 1295; DE MARTINI, Sulla �ammissione con riserva� al passivo del 
faUimento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 1171; CARUSI, nota cit.; 
CORSI, Ammissione al passivo con riserva di produzione di documenti, 

I 

in Riv. dir. civ., 1962, II, 427; CoLASURDO, nota cit. con ivi ulteriori richiami), 
riflette esclusivamente l'ipotesi di ammissione di credito al passivo 
con riserva di documentazione, mentre non riguarda, in alcun modo, 
l'ip9tesi, del tutto distinta, in cui si tratti di credito condizionale (non si 
dubita, conformemente a quanto d'altra parte gi� disponeva l'art. 766 
dell'aorogato cod. comm., che tra i crediti condizionali siano ricompresi 

,.I

anche quelli soggetti ad accertamento da parte di un giudice diverso 
da quello fallimentare e non attratti nella sua competenza. Conf. Cass. r� 
9 maggio 1955, n. 1329, in Foro it., 1956, I, 212 proprio in materia di 

t!�

crediti tributari contestati). ' 

..

In quest'ultima ipotesi (si � criticato anche dell'opportunit� dell'ac, 


costamento operato dal legislatore tra le due situazioni; v. PROVINCIALI, 

i.
op. cit., p. 1111, nota 87) l'ammissione con riserva � ritenuta possibile da 

I 1:: 

11, 

~~ 



PABTJ!l I,. SU; V, � GIURISP!lt1I>ENZA TRIBUTARIA 

dizio eonsentite dalla legge nel termine di sei mesi previsto dal citato 
art. 146 della legge di registro. " 
La . censura non � :fondata. 
No11 occorre riesaminare, per la risoluzione della eontroversia, il 
problema .di eanttere generale,. che ha :formato oggetto delle decisioni 
n" 684 detl'U illafao 1966'.e n. '75 dell8 genn~io 1961 di. questa Corte 

�l\Wl)l'~ll����se~����cio�~���il���et"editore�ᥥllmntesso��al��pa$si\to����del���:raiumento����eon 
l'i$jt;ya debli>a hl ()gni easo l)l'op~tte opposidorie allo.�stato passivo� per 
e()nsegu.f~ 1o $<1logUxnent() della riserva� . �� 
.. La c,ty,esti():rle l'ig.~a�.. 'lln a$petto particolare del.. probl�ma;. che, 
. eio�~ ne~Ia �#eefe i �r~~ti dell'.A.~tiistraz~f>ne Jina~ziaria furono am


~~-~:$~~~=4~~:.!"'!: 


.t Pl"9e~e:t:ttf pe:ttl'aeeertamento della legittimit�.��della pretesa����tri


t>~t#ia.. � .� �. � � 
� 

�l:~~~~-t~~~i,~~1~i:~~


casi) ..dl~sld()~~ li>l'9V'17JSQ~ia di " $Utt Mturci. ~) e l"ie()ll,QScb;da. dalla giul"
�SPl'UdelUi~ (\P, Pe:lr t�tte 1~ dl!e 4ecisi(>rii . della Corte �� SUJ>re~a sopracitat~
l come �oriseg�en:tli! necessMili! della. natUra .. particolare.. del ... credito

i:tlSinu�t�l.............................................. ����� ............................. �� � � � �� ����� ���� ������ �� �� .... ��� � � ... ��.. ������ �� � � .. � �� � � � 


' $1 dili!ctlte so]((). ~om~ er dt;1 chi. del?l>a essere . li!ciolta Ia riserva, dte~ 
il:el1d'.os.I! da a1eu~ (Cl!Ullco, QP� cit;; Fli�~; op; cit.� p. 369, nota 35; 

.� Cl()1tSX~ op; ejt;; �4'6)> cll� d�bba procedersi . con le forme della � istanza di 
insinuaziolle tardiva E! quindll in ,contraddittorio. . formale con �il curatore, 
mentre �altl'i���ritiene che tale���eompito� apetti ~vec� �al �ftldice delegato 
con Pr()~rio decreto a .. ncmna dell'art. 25 legge fallimentare� (v. Dm MAR


i'mx, op; c�t., P> ll80 e ss.). ' 
In ogni caso � J?asifieo. che allorch� sl tratta di .� cr~dito condizi.onat(} 
(o �che .nQn.�possa.farsi.valere se�non previa .escussione .di .. ut1. obbligato 
P:rincipate)i: Xamllijssion� 1;1l. passivo con ri$erva � non viene travolta dalla 
dichiataziQn&; ~ esf!elit()p,t{i; <!ltil~() stato :passivo, . s~ecll� .llo.n � ~ necel!sario 

propo'i:'re op~osizi()ne, comeirive�e�sf �iritenuto .iri �easo di �a:mn:iissiorie con 
riserva di documentazione.� 

(;:ire~, iri,fi'.nE!, u tem:po in cui deve essere sciolta Ia riserva, la dottrina 
sulla��}Jasfi����dell'~t���i~'i���se~i':>);ltii:ii.���el)~a~.� ��~��.<lt>.e()i:de'� ��nel...� ritener1a ... che ��non 
e$~$te.�uD.�� ljmi~���~~nJ;l)~fale,�� �di~~#~l!~et()��to.��.~efo�U�~erito�4ell����rfserva ��d�lla 

patticoiat~ .natura. del �l'edito, diii� verificarsi o menQi del �:fatti��� a �cui� il 
eredito � condizloriato, e tale momento pu� _addirittura essere posteriore 
all� ripartizione � ftnale �dell'attivo: :fallimentare (V'; per �tutti, �DE MA!tir:m1, 
op. cit., P� 1182 <ss.; P:RoVIN'cIALt, Manuale cit., p. 1372 ss. ove ulterl�ri 

richiami). 

3. -:t appena il caso di ricordare, inoltre, che in virt� del combinato 
disposto degli artt. 29 legge '7 agosto 1936 n. 1639 e 146 legge di registro, 
/quando 
si controverta circa la legittimit� di un'impoll!ta di regist.ro, sia 
il contribuente che l'Amm.ne possono adire le commissioni tributarie e, 


1124 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Successivamente al decreto di ammissione al passivo, che fu emesso 
in data 20 novembre 1962, la Commissione centrale per le imposte, con 
le decisioni 20 giugno 1962 e 20 febbraio 1963, respinse i gravami 
proposti dall'Amministrazione finanziaria contro le decisioni della 
Commissione provinciale che avieva dichiarato illegittime le ingiunzioni 
fiscali. A seguito di tali _decisioni, con distinti ricorsi al giudice 
delegato al fallimento, l'Amministrazione chiese nuovamente di essere 
ammessa al passivo del fallimento ai sensi dell'art. 101 della legge fallimentare 
� in riforma della pronuncia della Commissione centrale per 
le imposte>, 

I giudici del merito, di primo e di secondo grado, hanno dichiarato 
improponibili le domande di ammissione tardiva dei crediti tributari 
al passivo del fallimento. Ha considerato la Corte d'appello che l'Amministrazione 
aveva prestato acquiescenza al decreto del giudice dele


quindi, l'Autorit� Giudiziaria Ordinaria, onde ottenerne una pronunzia 
circa la legittimit� della pretesa fatta valere dalla Finanza. 

Peraltro, l'art. 145 consente al contribuente di adire direttamente 
l'Autorit� Giudiziaria senza necessit� che la vertenza sia stata portata 
all'esame dei collegi della giustizia tributaria il che, peraltro, non preclude 
di adire contemporaneamente anche questi ultimi giudici. 

A norma, poi, dell'art. 111 della Costituzione � pacifica:.iente ammesso 
il ricorso per Cassazione avverso la decisione della Commissione Centrale. 

4. -Premesso ci�, ricordiamo che il problema da risolvere nella 
vertenza che ha formato oggetto della decisione annotata era, come si 
� visto, quello del valore da attribuire alla espressione �con riserva della 
decisione della Commissione Centrale per le imposte > a cui era subordinata 
l'ammissione in via definitiva del credito dell'Amm.ne nel passivo 
del fallimento. 
Alla luce delle considerazioni svolte la soluzione adottata dalla Corte 
Suprema, sulla scorta dei giudici di merito, non pu� non apparire che 
meramente formalistica. 

Riconosciuto, infatti, che nella specie si trattava di ammissione con 
riserva dipendente, non da mancanza di documentazione, ma dalla particolare 
natura del credito (sottoposto alla condizione del suo definitivo 
accertamento); riconosciuto, altresi, che l'accertamento definitivo del credito, 
in virt� della speciale normativa regolante l'imposta di registro si 
realizza, a prescindere dalle ipotesi di mancata impugnazione, solo allorch� 
a seguito di proposizione di impugnativa giudiziaria avverso la decisione 
della Commissione, oppure a norma dell'art. 111 della Carta Costituzionale 
l'A.G.0. si sia pronunziata; appare evidente che l'espressione 
usata nel provvedimento del giudice delegato non poteva avere altro 
significato che quello di stabilire, essendo questi i limiti del proprio 
potere, che la riserva sarebbe stata sciolta all'esito della decisione della 
Commissione Centrale, sempre che la stessa fosse diventata definitiva per 
mancata impugnazione delle parti. 

La diversa interpretazione importa la conseguenza che il giudice 
delegato, attribuendosi compiti e poteri ad esso non riconosciuti, avrebbe 
inteso incidere sulla natura stessa del credito' insinuato trasformandolo 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1125 

gato, secondo cui l'ammissione al passivo, dei crediti era sottoposta 
alla condizione specifica dell'accertamento favorevole da parte della 
Commissione centrale per le imposte; per modo che, essendo mancata 
l'opposizione su tale punto, il decreto era divenuto definitivo; ed avendo 
la commissione deciso i ricorsi in senso sfavorevole all'amministrazione, 
s'era verificata la condizione risolutiva all'ammissione dei crediti, 
i quali dovevano ritenersi, quindi, definitivamente esclusi dalla 
procedura concorsuale. 

Ora tali argomentazioni appaiono ineccepibili e giustificano la 
pronuncia d'improponibilit� delle domande tardive di ammissione al 
passivo. Invero il procedimento di verificazione dei crediti si conclude 
con il provvedimento di approvazione dello stato passivo, il quale, in 
mancanza di opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva, 
fa stato nell'ambito del processo fallimentare allo stesso modo di una 
sentenza passata in giudicato avente efficacia preclusiva di ogni ulte


da condizionato al suo definitivo accertamento, da realizzarsi attraverso 
l'esperimento di tutti i rimedi giurisdizionali consentiti, all'esito della sola 
decisione della Commissione Centrale (qualunque essa fosse). 

Attraverso detto provvedimento, quindi, il giudice avrebbe non solo 
modificato la posizione creditoria dell'Amm.ne (contro cui, peraltro, 
l'Amm.ne stessa avrebbe avuto possibilit� di difesa attraverso l'opposizione 
ex art. 98 legge fallimentare), ma vincolato la massa dei creditori 
ad una decisione che avrebbe potuto essere ad essa sfavorevole. 

Si consideri, infatti, l'ipotesi che l'esito della decisione della Commissione 
Centrale fosse stato sfavorevole alla curatela. In tal caso, accogliendo 
la tesi della Cassazione, il curatore si sarebbe visto nell'impossibilit� 
di contrastare ormai la pretesa tributaria attraverso la proposizione 
di impugnativa giudiziaria (nelle diverse forme previste) non essendo 
consentito, come � evidente nel sistema, l'impugnativa del curatore 
contro il credito ammesso nel passivo, se non per revocazione, di cui 
non ricorrono qui gli estremi. 

In sostanza, seguendo l'interpretazione data al provvedimento di cui 
trattasi dalla annotata sentenza, il giudice, delegato invece di prendere 
atto della natura condizionata dal credito ed ammetterlo con riserva nel 
passivo del fallimento, avrebbe inteso modificare la natura stessa del 
credito insinuato (condizionandolo non alla definitivit� dell'accertamento, 
ma al solo esito della decisione della Commissione Centrale), il che non 
rientrava certamente nel suo potere e costituiva un'inammissibile limitazione 
dei diritti delle parti. . 

Se di tutte le implicazioni, che dalla tesi accolta discendono necessariamente, 
fosse stato tenuto conto e se sopratutto fossero state tenute 
presenti le gravi conseguenze che da essa derivano, sia per il creditore 
che per la curatela, sembra evidente che la S. C. non avrebbe potuto 
affermare che quella accolta era la volont� espressa dal giudice 
delegato nel provvedimento di ammissione, in definitiva, attribuendo al 
provvedimento stessb una natura abnorme, che certamente esso non aveva. 

Appare cos� per lo meno azzardata l'affermazione contenuta nella 

annotata sentenza, secondo cui l'apprezzamento sul punto dei giudici di 



1126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
riore possibilit� di contestazione o di modificazione della posizione 
accertata nei confronti dei predetti creditori, nonch� di presentare una 
dichiarazione tardiva per lo stesso credito escluso o ammesso con riserva 
senza peraltro addurre che la condizione alla quale era stata sottoposta 
l'ammissione del credito, si sia verificata, e meno ancora riconoscendo 
che essa non si � realizzata. 
Per sottrarsi al rigore di tale preclusione l'Amministrazione ricorrente 
deduce che la riserva si sarebbe dovuta intendere come estesa 
all'accertamento definitivo del cvedito anche davanti al giudice ordinario 
e non limitato alla decisione della commissione tributaria. Ma 
su tale punto i giudici del merito hanno ritenuto, con apprezzamento 
assolutamente corrispondente al significato letterale e logico del provvedimento 
del giudice delegato, che la ammissione fosse sottoposta alla 
condizione di una pronuncia favorevole solo della commissione centrale 
per le imposte. -(Omissis). 
merito sarebbe �assolutamente corrispondente al significato letterale e 
logico del provvedimento del giudice delegato �. 
5. -La questione pi� delicata che la controversia poneva e che la 
Corte Suprema non ha invece esaminato, era quella relativa alla via 
da seguire per portare all'esame del giudice ordinario la impugnazione 
avverso la decisione della Commissione Centrale. 
Come si � gi� ricordato una parte autorevole della dottrina (v. GREco, 
FERRARA e CORSI sopra cit.) ritiene che per sciogliere la riserva dovrebbe 
ricorrersi al ricorso previsto dall'art. 101 legge fallimentare. 
Ma, a prescindere dalla opinabilit� di tale soluzione (v. i rilievi 
critici di DE MARTINl, op. cit., p. 1181 ss.), nel caso in esame non si trattava 
di� sciogliere la riserva, a cui era subordinata l'ammissione del credito 
nel passivo fallimentare, ma di impugnare davanti all'A.G.O. una 
decisione dei giudici tributari, al fine di ottenere un accertamento definitivo 
sul credito tributario all'esito del quale avrebbe dovuto poi sciogliersi 
la riserva. 
E ci� � tanto vero che se per impugnare la decisione della Commissione 
Centrale invece della via offerta dall'art. 146 legge di registro, si 
fosse seguita quella prevista dall'art. 111 della Costituzione, a nessuno 
sarebbe venuto in mente di far precedere il ricorso per Cassazione dal 
ricorso al giudice delegato nelle forme di cui all'art. 101 legge fallimentare. 
N� il ricorso nelle forme previste dall'art. 101 sembrerebbe potersi 
giustificare con il richiamo all'art. 24 legge fallimentare, ritenendo che 
la competenza a decidere sull'impugnativa giudiziaria sia riservata al Tribunale 
fallimentare. 
Invero con il provvedimento di ammissione con riserva la fase di 
accertamento del credito per gli ol'gani fallimentari si � chiusa. 
La decisione sulla legittimit� della pretesa tributaria parrebbe rientrare 
ormai nell'ambito dei presupposti per lo sciogliomento della riserva 
e quindi, come gi� ha riconosciuto la Suprema Corte (v. sent. 23 marzo 
1957 n. 988, in questa Rivista, 1957, 49 con nota), andare soggetta alla 
normale competenza del foro erariale. 
A. ROSSI it 
~-:-o 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1127 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 luglio 1969, n. 2662 -Pres. Rossano 
-Est. Leone -P. M. Raja (conf.) -Magagnini (avv. Cavazzuti) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zoboli). 

Imposta di successione -Dilazione del pagamento -Acquiescenza alla 

imposizione -Insussistenza -Successiva impugnazione giudiziaria 

dell'accertamento -Proponibilit�. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, artt. 65, 94 e 97). 
L'art. 65 della legge tributaria sulle successioni concede il beneficio, 
ai debitori delle imposte di sucoessio1ne, di eseguire il pagamento 
a rate, in un termine non maggiore di sei anni, con la corresponsione 
deZZ'interesse a scalare del 5 % , previa iscrizione ipotecaria sugli immobili 
ereditari o con assunzione di ogni altra idonea garanzia. DaUa 
lettera di tale disposizione, che non ha alcun fine di pressione psicologica 
sui contribuente e anzi tende a rendere meno gravoso l'adempimento 
deZZ'obbiigo tributario, si evince che la concessione della dilazione 
e la' sottoscrizione del relativo cosidettJo atto di sottomissione, 
non determinano ex lege acquiescenza azza imposizione e rinunzia' al 
diritto di contestarla (1). 

(Omissis). -I cinque motivi di ricorso ripropongono il thema 
decidendum della causa nei suoi profili -distinti ma interdipendenti: 
a) se il procedimento di rateizzazione dell'imposta di successione importi 
ex lege acquiescenza all'accertamento dell'imposta; b) se, nel caso 
concreto, dal contenuto del rogito notarile che ha stabilito la ratizzazione 
dell'imposta si debba ricavare la volont� delle parti di accettare 
l'imposta liquidata, con rinunzia ad ogni azione diretta contro l'imposizione. 
I motivi di ricorso trattano i due aspetti della questione 
in modo unitario e complessivo, denunciando violazione degli articoli 
65, 94 e 97 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 e dell'art. 329 c.p.c. dai 
quali non si ricaverebbe il sistema normativo indicato dalla Corte di 

(1) La presente sentenza deve essere segnalata perch�, seppure contraria 
alle tesi sostenute nell'interesse dell'Amministrazione, fornisce una 
ampia e dettagliata disamina dell'argomento trattato, ed una esauriente 
motivazione delle conclusioni adottate. 
Tuttavia deve essere precisato e ribadito che l'atto di dilazione, pur 
se non costituisce implicita rinuncia al diritto di contestare l'accertamento, 
importa certamente la interruzione della prescrizione in ordine 
all'imposta dilazionata ed anzi, come ha ritenuto la Cass. 13 luglio 1968, 
n, 2'*90, in questa Rassegna, 1968, 1, 800, tale effetto interruttivo permane 
per tutta la pendenza della dilazione, e il nuovo termine di prescrizione 
riprende a decorrere solo nel caso e dal momento in cui si verifica la 
decadenza del contribuente dalla dilazione. 



1128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

appello circa l'esclusione di ulteriori contestazioni in ordine all'imposta 
ratizzata (I motivo), violazione delle norme di ermeneutica e del 
sistema di prova legale,. nell'interpretazione dell'atto di ratizzazione 
(II motivo), contraddittoriet� di motivazione (III motivo) e violazione 
degli artt. 12 e 14 disp. sulla legge in generale (IV motivo) nell'interpretazione 
degli artt. 65 e 94 del citato r.d. n. 3270 del 1923, erronea 
applicazione dell'art. 6 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, in ~onsiderazione 
della soppressione dell'obbligo del soive et repete e della 
conseguente irrilevanza, ai fini della proponibilit� dell'azione giudiziaria, 
della circostanza che l'irtlposta sia stata pagata o ratizzata (V 
motivo). 

Le censure sono fondate. 

L'art. 65 della legge tributaria sulle successioni concede il beneficio, 
ai debitori delle imposte di successione, di eseguire il pagamento 
a rate, in un termine non maggiore di sei anni, con la corresponsione 
dell'interesse a scalare del 5%', previa iscrizione ipotecaria sugli 
immobili ereditari e con assunzione di ogni altra idonea garanzia. Tale 
beneficio, che � un diritto per i debitori di imposte di�successione che 
riguardino valori immobiliari, � ispirato alla ratio di non costringere 
il contribuente, colpito da imposta di successione di importo notevole, 
relativo a beni immobili, a rovinose vendite dei beni ereditari per far 
fronte al pagamento del tributo e di consentire al contribuente stesso 
tale pagamento in tutto o prevalentemente con il reddito dei beni, 
comunque, di provvedere con un certo respiro alla conversione in 
denaro di questi ultimi, in modo e nel tempo pi� appropriati. 

La norma, perci�, non ha alcun fine di pressione psicologica sul 
contribuente, anzi tende a rendere meno gravoso l'adempimento del-
l'obbligo tributario, senza pregiudizio delle ragioni dell'Erario (che 
si cautela con l'iscrizione dell'ipoteca sugli immobili ereditari e con 
altre garanzie idonee), ma anche senza particolare vantaggio dell'Erario 
medesimo, quanto al regime dell'obbligazione tributaria, che 
rimane qual'� secondo la disciplina normativa del procedimento di 
imposizione. 

� indubbiamente eccessivo il rilievo giuridico che la Corte d'appello 
ha attribuito al nome con cui nell'art. 65 cit. � stato indicato 
l'atto scritto dal quale deve risultare la dilazione: atto di sottomissione 
e garanzia. 

La terminologia giuridica � molte volte cristallizzata nella significazione 
verbale di concetti e di istituti che si evolvono e si modificano, 
sicch� l'interprete che voglia utilizzarla non pu� esimersi dal 
verificare, volta per volta, che il nome risponda alla causa, al contenuto, 
alla forma dell'atto che il nome identifica, nella disciplina normativa 
vigente nel tempo in cui l'atto � stato compiuto. In tale pro-l.. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1129 

spettazione generale deve considerarsi che il cosiddetto atto di sottomissione 
dell'ultimo capoverso dell'art. 65 della legge tributaria sulle 
successioni non � altro che l'atto col quale, secondo quanto prescrive 
il VI cpv. del medesimo articolo, si fa risultare la dilazione chiesta 
ed accordata: quindi sottomissione alle condizioni stabilite dalla P. A. 
quanto al numero ed alle scadenze delle rate, quanto alle garanzie, 
quanto alla porzione di imposta dilazionata ed altre determinazioni 
strettamente riferibili alla dilazione; ma non ha fondamento razionale 
dedurre da detta qualificazione l'esistenza del debito e del suo ammontare. 
Invero presupposti della e sottomissione � non sono il rico


noscimento del debito e la rinunzia a contestarlo, ma soltanto quelli 
su indicati concernenti la dilazione, n� ha concretezza di valido argomento 
interpretativo l'altro rilievo terminologico circa le locuzioni � e 
simili�, usate nel detto art. 65, espressioni che dovrebbero affermare 
il concetto della definitivit� del rapporto tributario. 

Quando l'accertamento tributario sia esecutorio ancorch� non definitivo, 
esiste il titolo costitutivo del rapporto giuridico di credito 
in relazione al quale correttamente si parla di debitore, di creditore, 
di obbligo di pagamento, con la riserva implicita, stante il carattere 
non definitivo del titolo stesso, che questo successivamente possa venire 
dichiarato nullo o annullato. Lo stesso codice civile usa i nomi 
di debitore e creditor�e con riferimento ad un rapporto di credito meramente 
supposto per errore ed adempiuto in tale erronea supposizione 
(art. 2036 e.e.) mentre nel c.p.c. sono chiamati debitori e �creditori 
le parti del processo di esecuzione, anche se promosso su titolo non 
giudiziale e perci� opponibile o su titolo giudiziale non definitivo e, 
come tale, annullabile o modificabile. 

Del pari � erronea l'argomentazione secondo cui la rateazione dell'imposta 
pu� considerarsi legittima solo se concerna un rapporto tributario 
definitivamente accertato, risolvendosi altrimenti in e uno spostamento 
nel tempo dell'insorgenza dell'obbligo di imposta, con conseguente, 
arbitraria attribuzione di una competenza che �, invece, di 
stretta attinenza legislativa �. Infatti il legislatore ben pu�, nel suo 
sovrano apprezzamento delle esigen2Je di politica tributaria, regolare 
come crede il pagamento del tributo, anche in caso di accertamento 
esecutorio non dfinitivo, come appunto pu� ritenersi che abbia fatto 
nell'art. 65 della legge in esame. 

La Corte d'appello, a sostegno dell'interpretazione accolta, ha 
fatto poi riferimento agli inconvenienti che, seguendo la contraria interpretazione, 
si sarebbero verificati in costanza dell'applicazione del 
principio del solve et repete, inconvenienti indicati nel fatto che, avvenuta 
la rateazione col compimento del prescritto procedimento formale 
e con la costituzione delle garanzie, tale complessa attivit� sarebbe 

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1130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rimasta travolta, ammettenc;losi la possibilit� di .ulteriori contestazioni, 

dall'esigenza di pagare l'intero tributo, per rendere ammissibile l'azio


ne in adempimento del detto precetto del solve et repete. 

Ma poich� con tale comportamento contraddittorio del contri


buente (ovviamente dovuto a ragioni particolari di interesse) non solo 

non si verificava un danno per l'Erario, � anzi questo conseguiva in 

unica soluzione quello che doveva ormai ricevere con pagamenti ra


teali, l'inconveniente accennato si risolveva in� un certo pregiudizio 

del contribuente, solo arbitro del proprio interesse a promuovere la 

azione previo pagamento dell'intero tributo; con perdita del beneficio 

della dilazione; E non c'� motivo di ritenere che il legislatore abbia 

preso in considerazione, nello stabilire la norma dell'art. 65, l'ecce


zionale situazione di un contribuente particolarmente indeciso e per


plesso. Non c'� quindi ragione per attribuire all'istituto della dilazione 

del pagamento dell'imposta di successione un effetto implicito ma ne


cessario di riconoscimento del debito, effetto che ila norma concer


nente detto istituto non considera affatto e che sarebbe anche etica


mente riprovevole, perch�. fonderebbe un vantaggio per l'Erario su 

una situazione di libert� morale menomata per il contribuente, co


stretto a subire l'eventuale eccesso di imposizione per conseguire il 

beneficio della �dilazione. 

D'altra parte, se � ammesso che il pagamento, mezzo solutorio 
tipico, eseguito in adempimento di un . titolo esecutivo del quale sia 
minacciata l'esecuzione forzata, non comporta riconoscimento del debito 
adempiuto, non pu� non apparire contraria a tale principio, generalmente 
accettato sia nell'ambito del diritto privato sia in quello del 
diritto tributario, l'affermazione che il riconoscimento debba ritenersi 
imposto ex lege in caso di domanda di dilazione del pagamento intimato 
nelle medesime condizioni di coazione. Sussistono, infine, elementi 
normativi specifici per escludere siffatta volont� di legge� ed � strano 
� che essi siano stati utilizzati nella sentenza impugnata a sostegno della 

tesi ivi accolta. 

Dispone il r.d. 22 maggio 1910, n. 316 (art. 10) che se la domanda 

di dilazione concerne un debito d'imposta per il quale sia in corso 

contestazione giudiziale, la dilazione non pu� essere concessa senza 

sentire il parere dell'Avvocatura dello Stato. 

Il carattere regolamentare di tale norma nulla toglie alla sua effi


cacia di disposizione concorrente a costituire la disciplina normativa 

dell'istituto. Orbene la norma non comporta, per la concessione delle 

dilazioni, n� riconoscimento del debito n� rinuncia all'azione gi� pro


mossa, come si sarebbe dovuto stabilire se presupposto o effetto (questo 

delicato aspetto della questione non � esaminato nella sentenza impu


gnata) della dilazione del pagamento del tributo fosse la definitivit� 

e la non contestabilit� ulteriore dell'accertamento. 

---I 


~~ 



ancora la legge 5 :maggio 1951 che, nell'intento di favorire, ' ancora la legge 5 :maggio 1951 che, nell'intento di favorire, ' 
in. coerenza con l'applicazione della legge sulla perequatione tributaria, 
l'eliminazione delle controversie. in <:orso tra Erario e contribuente, disponeva 
potersi concedere dilazioni per il pagamento dei contributi 
contestati, dchiedeva esplicitamente per la concessione .della �dilazfone 
�b.e ~ .cont~t;uente .1tccett�S$� il l,'lebito d'inlposta, dinlomrando come 

ip�J:.�.1a:.��d1lazl~ne�. del �� fi(llblto �.. d'.~Posta.�.n?~�����sfa... pres11J?Posto. nec~~;ri(). in 
��..� N:ell~ secoit(i� ~~d.eili motNazione .l�� C()rte...di J\nc<>na .ha fon


����~i��~���kd0i~%~W~i:]i&c!Ji~fue~o~1e~~01rV:ili:0s~el�:hf:tut:��.�ife=~ 

d~l ro~t()~Picliettt.~ ~ov�ll1bre .19~~.di. coric(�l8$i()n.e (\eua dil!lzi?ne, nel 

� ct:@lle !{~~ani l\fa~afilni. dlfettafuent� . o� per � inezzo .� di . rappresental}
te, . d.iJhial'arono c}le ~ssi ) erano tenuti a. l)al;(are � . l'imposta. di succ�$
sfone di.r.. 9'.'19i�'.~9, �erano��. debitori �.. de}l'inlp.osta, che .e il debito 
d:b-nPo$t.Q � .. era.��in l'elazi~ne alla decisione della Commissione . J?rovincial�< 
delle bnposte di Ancona, cl:te U residuo debitQ sarebbe stato 
pagato .� � in cinque annualit�, � alle . precise sca.denze senllla ecc:ezioni e 
sen;za dil�~oni � che esse consentivano l'iscrizione ipotecaria. a garan., 
Ziti del i:tebito. 

Orbene: S'� gi� consid�rato che . se, in virt� di un titolo esecutorio 
.~�.�.. tenuti~ pagare u.na certa somma per un'obbligazione non �-erta, � 
giutidic~lll.�nte . c(>rretto. ed � . nell'uso ?()rrente indicare t�le situazione 
giutl!Jli-Oa�)~twale c~ll'le. quella di debitore, di persona� tE)7l.ta . a pagare, 
ten:1:dl( a pr~tare garan~a ecc.e senza che con ci� �Si� legittimino illazioni 
circa la definitivit� del . titolo e la . certezza dell'.obbligazi~ne. Ed 
� principio di ermeneutica d�i contratti, applicabile in forza del disposto 
dell'art. 1324 e.e. anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto 
patrimoniale, che, per quanto generali siano le espressioni usate 
nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti 
si� sono proposte di contrarre: la disposizione, concernente direttamente 



1132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'estensione dell'ambito oggettivo del regolamento dispositivo negoziale, 
� applicabile non solo quando questo sia riferibile a pi� situazioni 
che possano essere �considerate da diversi punti di vista, alcum 
pi� generali che tutte le comprenda, altri specifici a qualcuna di esse, 
ma pu� essere utilizzata anche in relazione ad un'unica situazione 
giuridica che possa essere considerata nella generalit� dei suoi effetti 

o in specifici suoi effetti patrimomali, nel qual caso le espressioni 
usate, che per la loro ampia portata potrebbero essere riferite alla 
totalit� degli effetti, debbono essere invece interpretate con esclusivo 
riguardo allo specifico risultato che le parti hanno inteso regolare. 
Ora quando, in �riguardo ad un rapporto di credito risultante da 
titolo munito di efficacia esecutiva ma tuttora impugnabile, i soggetti 
di esse si propongono di regolare la dilazione del pagamento, che sia 
stato riehiesto autoritativamente con minaccia di esecuzione forzata, 
appare contrario al richiamato principio ed intrinsecamente illogico 
interpretare le locuzioni usate nel senso diverso e pi� generale di riconoscere 
certo, a tutti gli effetti, il rapporto di credito, con implicita 
rinunzia all'impugnativa del titolo: il che � particolarmente da ritenere 
se, come nella specie, i soggetti abbiano, nel provvedere intorno al 
rapporto, indicato il titolo in virt� del quale il pagamento � richiesto 
senza nulla dire in ordine all'efficacia di tale titolo, che rimane, perci�, 
estranea al regolamento dispositivo adottato dalle parti. Di conseguenza, 
anche questo secondo profilo della motivazione, (cui si riferiscono 
le censure del secondo e terzo motivo del ricorso) risulta inficiato 
da errore giuridico e da illogicit�; riflessi questi, del resto, della 
presupposizione che la disciplina normativa della dilazione di cui all'art. 
65 della legge tributaria sulle successioni comporti in ogni caso 
la definitivit� e la non impugnabilit� dell'accertamento del tributo ove 
la dilazione sia chiesta ed accordata: opinione questa che, come s'� 
rilevato, � erronea. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 settembre 1969, 3120 -Pres. 
Flore -Est.. Geri -P. M. Di Majo (conf.) -iv.Iinistero delle Finanze 
(avv. Stato Azzariti) c. Agrelli (avv. Manfredonia e Sera). 

Imposte e tasse in genere -Contenzioso -Decisione della Commissione 
Centrale che annulla l'accertamento -Proponibilit� dell'azione 
giudiziaria da parte dell'Amministrazione. 

In virt� dei principio della prevalenza deLla giurisprudenza ordinaria, 
di ogni ordine e grado, suUa giurisdizione speciaie deUe Commissioni 
tributarie, tutte Le parti, siano esse la pubblica Amministlra


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1133 

zione o il privato contribuente, possono adire il giudice ordinario al 
fine specifico di rimuovere una decisione della commissione tributaria 
ritenuta non conforme a diritto. Nel caso in cui la Com.missione centrale 
delle imposte abbia definito il giudizio dinanzi alle commissioni 
annullando l'accertamento, la Amministrazione finanziaria ha interesse 
a proporre l'azione dinanzi all'autoritd giudiziaria ordinaria per riaprire 
il procedimento tributario solo apparentemente definito con la 
pronuncia della Commissione centrale (1). 


(Omissis). -Nel primo motivo del ricorso l'Amministrazione finanziaria 
deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 353 c.p.c., 
poich� la Corte d'Appello, avendo riconosciuta la giurisdizione del giudice 
ordinario, avrebbe dovuto rimettere le parti davanti al Tribunale, 
anzich� respingere la domanda per difetto di interesse. 


(1) La sentenza in esame deve essere segnalata per l'encomiabile 
vigore con cui ha ripudiato i principi affermati dalla Corte di Appello di 
Napoli e che, se condivisi, avrebbero potuto modificare radicalmente il 
vigente sistema del contenzioso tributario, ponendo l'Amministrazione in 
una condizione manifestamente deteriore rispetto a quella dei contribuenti. 
Infatti, secondo la tesi che le Sezioni Unite hanno ora ripudiato, allorch� 
il giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie si � concluso con una 
dichiarazione di nullit� dell'accertamento operato dall'ufficio, senza esame 
della legiettimit� sostanziale e della congruit� di esso, l'Amministrazione 
sarebbe priva di interesse a promuovere la successiva azione giudiziaria, 
non potendo questa condurre ad una riapertura del procedimento dinanzi 
alle commissioni e non potendo inoltre l'Autorit� giudiziaria ordinaria 
decidere in�ordine al quantum (estimazione semplice) dell'accertamento, 
ancorch� ritenesse infondata la relativa eccezione di nullit�. 


Ma � evidente la assoluta erroneit� di tale tesi, la quale non tiene conto 
del fatto che, essendo la giurisdizione ordinaria preordinata alla tutela dei 
diritti soggettivi connessi con un rapporto di imposta, essa non pu� essere 
limitata a carico di uno solo dei soggetti di quel rapporto, e si fonda altres� 
sull'inesistente principio che, definita in sede giudiziaria favorevolmente 
alla Finanza la controversia sulla legittimit� dell'accertamento, il procedimento 
contenzioso non possa essere riaperto dinanzi alle commissioni 
per la decisione delle questioni di semplice estimazione. 


In materia di imposte indirette, in cui a tale distinzione di controversie 
corrisponde la discriminazione delle competenze fra le stesse commissioni 
tributarie (di diritto e di valutazione), la necessit� della riassunzione 
del giudizio dinanzi alla commissione di valutazione dopo� 1a decisione, 
anche da parte dell'Autorit� giudiziaria ordinaria, della controversia 
di diritto, � stata ripetutamente affermata dalla Corte .di Cassazione 
I 
l!

(cfr. sent. 10 agosto 1968, n. 2737, in questa Rassegna, 1968, 1, 1005), ed 
� evidente che gli� stessi principi devono trovare applicazione anche in 
materia di imposte dirette, dato che la promiscuit� di competenza delle 
commissioni non pu� avere alcuna influenza in ordine alle esigenze logiche ! 
di graduata decisione di tutte le questioni controverse, siano e!lse di diritto i 
come di valutazione. 

I

I

! 



1134 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

I resistenti negano che la Corte di merito abbia affermato la giurisdizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria. In realt�, sostengono, 
avrebbe semplicemente rettificata la motivazione del primo giudice, 
fermo restando il dispositivo corrispondente, in quanto l'affermata carenza 
di interesse costituirebbe un profilo specifico del difetto di giurisdizione, 
quale conseguenza immediata e diretta dello stesso. 

Ci� perch� l'eventuale giudicato difforme del giudice ordinario 
non potrebbe travolgere la pronunzia di nullit� del procedimento accertativo 
da parte della Commissione Centrale, n� Sjirebbe ormai pi� 
riproponibile davanti alle Commissioni J.ocali un giudizio di estimazione 
semplice, ch'� sottratto, come � noto, alla cognizione del giudice 
ordinario. 

Questo primo motivo � fondato e merita accoglimento. 

Esso supera ed assorbe il secondo rendendone superfluo l'esame. 

Occorre anzitutto osservare come ee;attamente la Corte di merito 
abbia ammesso, sia pur in astratto, la proponibilit� davanti al gi~dice 
ordinario delle azioni dichiarative dirette ad accertare la legittimit� 
dell'operato dell'Amministrazione. 

� Ci� facendo essa intese inequivocabilmente affermare la propria 
giurisdizione e quindi quella negata dal primo giudice, davanti al quale 
avrebbe dovuto rimettere le parti ai sensi dell'art. 353 c.p.c., .affinch� 
non .soltanto si. pronunciasse sul :l;ondamento della domanda ~a anche 
sulla sussistenza o meno dell'interesse della P .A. a proporla. 

N� in contrario � possibile seguire l'ingegnosa co�struzione dei resistenti, 
i quali, attraverso una serie di ipotesi circa i rapporti fra il 
contenzioso ordinario e quello tributario delle Commissioni, vorrebbero 
assimilare il difetto d'interesse, alla cui affermazione la Corte di merito 
fu erroneamente indotta da una falsa prospettiva di quei rapporti, ad 
un particolare profilo del difetto di giuriSdizione del giudice ordinario, 
quale � quello in: materia di estimazione semplice. 

Questa Suprema Corte con una costantissima giurisprudenza, recentissimamente 
riaffermata, ha sempre �tenuto fermo il carattere giurisdizionale 
delle Commissioni tributarie ed il principio di autonomia 
delle due gi'1,J.risdizioni tributaria ed ordinaria. 

Nel difetto di norme legislative, che disciplinino i rapporti fra 
codesti due ordi'ni di giurisdizione, la giurisprudenza ha integrato il 
principio di autonomia con quello di prevalenza della giurisdizione 
ordinaria su quella speciale. 

Ci� risponde alla logica del sistema che al giudice ordinario, in 
virt� delle maggiori prerogative e guarentigie di cui � cfocondato, 
riserva di pronunciarsi dopo le commissioni tributarie e quindi naturalmente 
lo abilita a rimuovere gli effetti delle decisioni delle Commissioni 
tributarie stesse con la sua pronuncia. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Non ha rilievo, in questa controversia, fa questione relativa alla 
natura dell'accennato rimedio contro tali decisioni, -vagamente assimilabile 
per qualche suo generico aspetto alle impugnazioni straordinarie 
-ma � importante porne in evidenza la piena compatibilit� 
con i principi, nonch� il carattere rafforzativo della tutela ,apprestata 
alle parti, specialmente al contribuente, mediante la sostituzione di 
una pron�nzia, meno fornita di garanzie, con la sentenza del giudice, 
che ne � fornita nel pi� alto grado. 

N�, in contrario, vale richiamarsi alla riconosciuta ammissibilit� 
del ricorso per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, contro 
le decisioni della Commissione Centrale, per escludere, ai predetti 
fini, l'efficacia delle pronunzie dei giudici di merito, perch� anche 
l'accennato rimedio, mentre da un lato rafforza la tutela delle parti, 
dall'altro non pu� impedire l'applicazione e l'operativit� del principio 
di prevalenza della giurisdizione ordinaria di ogni ordine e grado.. 
Tutte le parti, quindi, siano esse la P. A. o il privato contribuente, ben 
possono, sia pur per opposti interessi e ragioni, adire il giudice ordinario 
proprio al fine specifico di rimu-0vere una decisione della Commissione 
tributaria, ritenuta non conforme a diritto. 

E come il privato si giova della rimozione di tale pronunzia a lui 
sfavore.vole, ci� vale anche per l'Amministrazione finanziaria, in quanto 
l'accoglimento della domanda dalla stessa proposta ben pu� consentire 
un diverso sviluppo, ad essa favorevole, dell'ulteriore corso del 
giudizio. 

Quanto precede giustifica di per s� l'accoglimento del ricorso e 
queste Sezioni Unite, a rigore, non dovrebbero occuparsi della sussistenza 
di un ulteriore interesse (oltre quello inerente alla domanda 
d'accertare la validit� del comportamento dll'Amministrazione) che 
riguarda il merito. La pretesa insussistenza del quale avrebbe proletticamente 
indotto la Corte di appello a negare la giurisdizione. Tuttavia 
pu� e.sSere utile rilevare che la pronunzia, che nega l'interesse 
nel caso, appare anch'essa �erronea. 

La domanda, alla quale debba essere dato legittimo ingresso, pu� 
servire pur sempre per interrompere un termine di prescrizione od 
evitar~ il verificarsi di una decadenza, -0ltre che a riaprire il procedimento 
tributario, solo apparentemente definito con la pronunzia della 
Commissione Centrale. 

N� il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in tema di estimazione 
semplice ha particolare rilievo, contrariamente a quanto appare 
dalla difesa dei resistenti, perch�, anche volendo prescindere 
dalla discussa possibilit� di rinnovare il procedimento estimativo, il 
problema se si verta in materia �di �estimazione complessa � sempre 
aperto, ove si consideri che l'esistenza di questioni giuridiche fram



1136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

miste a quelle di valutazione e la stessa domanda dichiarativa della 
validit� dell'accertamento postulano, nel loro insieme unitariamente 
considerato, un giudizio che non � solo apprezzamento di valore cio� 
di mera quantit�. 

L'influenza di queste considerazioni sulla sussistenza dell'interesse 
si dimostra determinante, rivelando, anche sotto questo profilo, l'erroneit� 
della denunziata sentenza. -(Omissis). 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 ottobre 1969, n. 3174 -Pres. Stella 
Richter -Est. Ferrati -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Terranova) c. Soc. Cotonificio Bustese e altre 
(avv. Scarpa e Viola). 

Imposta generale sull'entrata -Istanza di rimborso -Provvedimento 
amministrativo di non accoglimento per intempestivit� ex art. 47 
legge n. 762 del 1940 -Azione giudiziaria -Termine semestrale 
di decadenza -Inapplicabilit�. 

(1. 19 giugno 1940, ;n. 762, art. 47; r.d.1. 10 aprile 1923, n. 938, art. 1; r.d.1. 7 agosto 
1936, n. 1639, art. 29). 
La decadenza del contribuente dalla azione giudiziaria per il decorso 
del termine di sei mesi dalta comunicazione delta decisione amministrativa 
presuppone, da un lato, l'esistenza di una controversia e, dall'altro, 
il potere dell'organo amministrativo di risolvere la controversia 
medesima. Tali presupposti non sussistono' nel caso in cui la Amministrazione 
abbia riconosciuto che vi sia stata una indebita percezione 
di imposta, e che, per decorso del termine annuale di cui all'art. 47 
de.zla legge ige, essa non poteva adottare alcun provvedimento concreto 
in ordine alta istanza del contribuente (1). 

(1-2) ll princ1p10 �affermato dalla priima delle sentenze in esame costituisce 
una �conseguenza della nota interpretazione data dalla Corte di 
Cassazione :alla norm� dell'art. 47 della legge ige (cfr. Relazione Avv. 
Stato 1956-60, II, p. 724 e 1961-65, II, p. 663). 

Secondo tale interpretazione, il termine di un anno stabilito dalla 
detta norma per la proposizione della domanda di ripetizione dell'ige 
ingiustamente pagata, non sarebbe stabilito a pena di decadenza del contribuente 
dal relativo diritto, ma riguarderebbe soltanto il potere dell'Amministrazione 
di provvedere su tale domanda in via amministrativa, senza 
alcuna sanzione a carico del contribuente che potrebbe sempre proporre, 
in via giudiziaria e nel lungo termine di prescrizione, tale domanda. 

I motivi per cui tali affermazioni non appaiono esatte sono molteplici 
e riguardano, da un lato, la assurdit� di un limite temporale del potere 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1137 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 giugno 1969, n. 2310 -Pres. 
Flore -Est. Tamburrino -P. M. Di Majo (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Coronas) c. Soc. Sicilarma (avv. Uckmar). 

Imposta generale sull'entrata -Istanza di rimborso proposta oltre il 
termine dell'art. 47 legge n. 762 del 1940 -Azione giudiziaria Onere 
delle spese. 

(1. 19 giugno 1940, n. 762, art. 47; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 148). 
Nel caso in cui la domanda di rimborso di .ige ingiustamente pagata, 
seppure tardivamente proposta ai sensi dell'art. 47 della legge 

n. 762 del 1940, sia stata portata all'esame del giudice dopo la scadenza 
del termine di tre mesi dalla sua proposizione senza che la Amministrazione 
abbia adottato una determinazione conforme a giustizia, � 
legittima la condanna della stessa Amministrazione alle spese del giudizio 
(2). 
I 

(Omissis). -Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione 
finanziaria, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1 

r.d.l. 10 aprile 1933 (recte 1923), n. 938, 33 legge 23 aprile 1911, 
dell'Amministrazione di provvedere in ordine ad un determinato rapporto 
del quale continua a partecipare senza possibilit� di disporre per fatto 
esclusivo del contribuente, e, da un altro lato, la incongruit� di un ter


. mine che, seppure stabilito a carico del contribuente per la pi� sollecita 
definizione delle controversie relative ad un rapporto di imposta, si 
risolve in una limitazione dei potere dell'Amministrazione di provvedere 
in ordine a tale rapporto senza alcun pregiudizio a carico del contribuente 
che non ha osservato detto termine, e con il conseguente ritardo di 
quella definizione. 

Difatti tale interpretazione, almeno per alcuni aspetti, � stata gi� 
oggetto di recente implicito riesame da parte delle stesse Sezioni Unite 
della Cassazione le quali, con la seconda delle sentenze in esame, per 
risolvere la questione relativa all'onere delle spese del giudizio proposto 
dal contribuente senza l'osservanza del termine di cui all'art. 47, hanno 
ritenuto applicabile il principio generale desumibile dall'art. 148 della 
legge di registro, secondo la sua interpretazione giurisprudenziale ormai 
consolidata, con ci� riconoscendo all'Amministrazione il potere di provvedere 
sulla domanda di rimborso giudizialmente proposta anche oltre 
il termine di cui sopra, ed affermando conseguentemente che la sua 
condanna alle spese del giudizio � possibile solo se detto provvedimento 
non sia stato emesso entro tre mesi da quella proposizione. 

E siccome � evidente che non pu� essere la semplice iniziativa del 
contribuente a perpetuare un potere dell'Amministrazione che la legge 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

n. 509, 146 r.d.1. 30 dicembre 1923, n. 3269 e 29 r.d.l. 7 agosto 1936, 
n. 1639, si duole che la Corte veneta abbia introdotto una distinzione, 
che non � possibile ricavare dal sistema normativo, quando ha affermato 
che la pr�clusione alla proposizione dell'azione giudiziaria per 
il decorso del termine di sei mesi dalla comunicazione del provvedimento 
amministrativo sussiste solo se la decisione amministrativa 
negativa riguardi il merito della controversia tributaria e che la preclusione 
medesima non opera quando il rigetto dell'istanza sia basato 
sulla decorrenza del .termine specifico per l'espletamento dell'azione 
di rimborso in via amministrativa.� 
Secondo la ricorrente il sistema normativo che presiede alla disciplina 
dell'azione giudiziaria nella materia del contenzioso tributario, 
per quanto attiene al settore delle imposte indirette in cui � previsto 
l'esperimento del procedimento amministrativo, ha introdotto il principi�> 
del termine di decadenza per la proposizione della successiva 
azione giudiziaria ed il termine di decadenza � posto non in riferimento 
al diverso contenuto della pronuncia, ma al� fatto che sia stata 
emessa la pronuncia �di rigetto da parte dell'autorit� amministrativa; 
si afferma poi da parte della ricorrente non essere esatto qualificare 
come decisione avente ad oggetto la sussistenza o meno del potere di 
decidere la controversia quella riguardante il rigetto dell'istanza ex 
art. 47 siccome proposta oltre l'anno. 

Le sovraesposte censure non meritano accoglimento, poich� le 
stesse implicano una .gretta e formalistica interpretazione delle norme, 
intorno alle quali � sorta contestazione, senza alcuna aderenza all'effettiva 
realt� concreta. 

avrebbe limitato nel tempo, appare logico ritenere almeno quanto segue: 
il termine di cui all'art. 47 della legge ige non � stabilito a pena di decadenza 
del contribuente dal diritto al rimborso, e non impedisce la proposizione 
della relativa domanda nel termine di prescrizione. Su tale 
domanda l'Amministrazione pu� provvedere respingeJ;1.dola per motivi di 
merito e in tale ipotesi l'azione giudiziaria deve essere proposta nel generale 
termine di sei mesi dalla comunicazione del relativo provvedimnto 
(Cass. Sez. Un. 20 ottobre 1962, n. 3051, in questa Rassegna, 1963, 86). 

Qualora invece l'Amministrazione si limiti a dichiarare di non dover 
provvedere sulla domanda di rimborso per inosservanza del termine di 
cui all'art. 47, allora dalla comunicazione di tale provvedimento non pu� 
decorrere il termine generale di cui sopra, come � stabilito dalla prima 
delle sentenze in esame; ma ci�, si noti, non gi� perch� l'Amministrazione 
non aveva, in astratto, il potere di provvedere sulla domanda di rimborso, 
sibbene perch� essa non ha esercitato, in concreto, tale potere e non ha 
emesso quella decisione amministrativa che costituisce il presupposto per 
la decorrenza del detto termine di sei mesi. 

I precedenti giurisprudenziali richiamati nella motivazione della prima 
sentenza sono pubblicati in Foro it., 1963, 1, 235; ivi, 1958, 1, 1850; 
in questa Rassegna, 1968, 1, 109. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1139 

Giova invero considerare -e sul punto non sussiste controversia 
-che le societ� resistenti ebbero a corrispondere l'imposta 
generale sull'entrata in base ad un calcolo dell'imponibile che successivamente 
la stessa Amministrazione finanziaria ha riconosciuto errato 
diramando all'uopo opportune istruzioni per il futuro: � certo dunque 
che vi � stato da parte delle resistenti l'esborso di somme non dovute. 

� parimenti certo: 
1) che l'azione di ripetizione d'indebito � soggetta esclusivamente 
alla prescrizione decennale; 

2) che la domanda di rimborso in via amministrativa prevista 
dall'art. 47 legge 19 giugno 1940, n. 762 non � condizione di proponibilit� 
della domanda di ripetizione d'indebito. 

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato (sent. 28 gennaio 
1963, n. 139, 7 novembre 1957, n. 4259) che la disposizione dell'art. 47 
legge n. 762, la quale prescrive che le istanze di rimborso debbono 
essere presentate entro il termine di un anno dall'effettUato pagamento 
dell'imposta, � applicabile solo nel caso di istanze di rimborso prodotte 
in via amministrativa per tributi erroneamente corrisposti e non pu�, 
pertanto, riferirsi all'azione giudiziaria con cui il contribuente proponga 
la questione della sussistenza della obbligazione tributaria per 
dimostrare il proprio diritto al rimborso della imposta versata. 

Se pertanto il contribuente non � tenuto ad adire preventivamente 
l'autorit� amministrativa per ricuperare somme indebitamente corrisposte, 
si deve escludere che la proposizione di un eventuale ricorso 
amministrativo faccia sempre ed in ogni caso scattare in danno del 
contribuente il breve �termine di decadenza per la proposizione dell'azione 
giudiziaria. 

L'art. 1 r.d.l. 10 aprile 1923, n. 938, dispone effettivamente che, 
una volta proposto ricorso all'Intendente di finanza per la risoluzione 
in via amministrativa delle controversie riguardanti le tasse sugli 
affari, l'azione giudiziaria � esperibile entro il termine perentorio di 
sei mesi dalla comunicazione della decisione intendentizia; ma si pu� 
anzitutto dubitare che siffatta norma, dettata genericamente per la 
materia tributaria e successivamente trasfusa nel r.d.l. 7 agosto 1936, 

n. 1639, trovi necessariamente applicazione nel campo specifico dell'imposta 
genera.le sull'entrata, il cui contenzioso � disciplinato in modo 
preciso e completo nella l�gge che ha istituito l'imposta medesima. 
Comunque sia, � indiscutibile che la norma dell'art. 1, posta dalla 
ricorrente a fondamento del proprio assunto, presuppone da un lato 
l'esistenza di una controversia, dall'altro il potere dell'organo amministrativo 
di risolvere la controversia medesima. 

-Nella specie non ricorreva n� l'uno, n� l'altro requisito: non il 
primo perch� la stessa Amministrazione aveva riconosciuto, nel modo 
pi� aperto, che vi era stata un'indebita percezione di imposta, non il 



1140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

secondo perch� l'Amministrazione difettava del potere di porre riparo 
alla illegittima situazione che si era creata. 

Sotto il primo profilo � bene ricovdare che recentemente questa 
Oorte ha ritenuto che il decorso del termine per ricorrere contro le 
risultanze dei ruoli non impedisce alla Pubblica Amministazione di 
provvedere d'ufficio alla rettifica della erronea iscrizione e ne ha 
tratto la conseguenza che, avvenuto il riconoscimento dell'erroneit� 
dell'iscrizione a ruolo, la ripetizione dell'imposta indebitamente pagata 
pu� essere chiesta al giudice ordinario anche se il contribuente non 
abbia proposto ricorso amministrativo nel termine (sent. 31 gennaio 
1968, n. 314). 

Siffatto orientamento pu� essere utilmente richiamato nel caso 
concreto, quando si rifletta che la Amministrazione finanziaria, accortasi 
dell'errove commesso, si era prospettata il dubbio se fosse lecita 
la restituzione in via amministrativa, senza attendere la pronuncia 
del giudice, della maggior somma percetta ed aveva richiesto in proposito 
il parere del Consiglio di Stato. 

Ora questo (parere 7 aprile 1959, n. 304) ribadi anzitutto il principio 
che la norma del pi� volte citato art. 47, nel prevedere il rimborso 
in via anuninistrativa all'interessato, che lo richieda nel termine 
annuale, del pagamento dell'imposta, fissa � nei confronti delle Amministrazioni 
un termine, entro il quale � possibile una revisione su 
istanza degli interessati, in modo che si rivaluti l'accertamento dell'imposta, 
se ne verifichino i presupposti e le condizioni, con la possibilit� 
di annullare il precedente accertamento e la conseguente pretesa 
tributaria > : ne dedusse il Consiglio di Stato che, dopo il decorso 
dell'anno, la situazione si presenta diversa, poich� e si tratta di incidere 
su una situazione non soltanto .giuridicamente definita e completa 
nella sede amministrativa, ma per di pi� irrevocabile essendo la potest� 
di revisione non pi� esplicabile � e consider� che, decorso l'anno, 

�l'acquisizione patrimoniale dell'Amministrazione finanziaria diventa 
giuridicamente indisponibile dalla stessa, onde occorre la sentenza 
dell'autorit� giudiziaria che costituisce il necessario ed autonomo titolo 
del rimborso che comporta una erogazione a carico dell'Erario �. 
Se cosi � -e le argomentazioni addotte dal Supremo Consesso 
amministrativo appaiono giuridicamente corrette e convincenti -� 
di tutta evidenza come a torto si pretenda di fare applicazione nel 
caso concreto di una norma quale quella dell'art. 1 r.d. n. 938, dettata 
per tutt'altra ipotesi. 

Gli � che il reclamo amministrativo, che le societ� resistenti hanno 
presentato per un evidente errore, costituiva un atto perfettamente 
inutile ed incapace di spiegare gli effetti per i quali la legge lo prevede, 
giacch�, essendo ampiamente decorso il termine annuale del 
pagamento dell'imposta, la Amministrazione non poteva adottare alcun 

�11 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1141 

provvedimento concreto in ordine alla istanza del contribuente: contrariamente 
a quanto afferma la ricorrente, nella specie, proprio per 
le considerazioi:. esposte nel parere del Consiglio di Stato, difettava 
il potere dell'Amministrazione di provvedere nel merito, onde correttamente 
se ne � dedotto che la decorrenza del termine di sei mesi 
dalla comunicazione del provvedimento non pu� significare altro che 
il riconoscimento da parte del contribuente della carenza di potere 
della Amminjstrazione a pronunciare sul punto e non pu� importare 
assolutamente la decadenza del diritto di agire nella competente sede 
giudiziaria per la ripetizione dell'ind�bito. 

A torto si adduce a giustificazione della fissazione del termine di 
decadenza la esigenza della stabilit� della situazione giuridica inerente 
all'entrata fiscale, giacch� l'argomento si svuota di contenuto quando 
si consideri che una situazione di incertezza obbiettiva non pu� sussistere 
di fronte al riconoscimento del buon diritto del contribuente 
effettuato dall'Amministrazione, anche se, per le ragioni dianzi esposte, 
� indispensabile una pronuncia del giudice affinch� il riconoscimento 
medesimo abbia concreti effetti. 

Correttamente adunque � stato ritenuto che l'unico termine, che 
il contribuente dovesse osservare, fosse quello prescrizionale e poich� 
la domanda di ripetizione � stata avanzata con il rispetto di quel 
termine, il giudice non poteva esimersi dall'esaminarla nel merito. (
Omissis). 

II 

(Omissis). -Il secondo motivo del ricorso attiene alle spese delle 
fasi di merito, alle quali � stata condannata l'Amministrazione attuale 
iricorrente, la quale oggi ne assume la illegittimit�, invocando la compensazione 
obbligatoria, in quanto la Sicilarma -Soc. di Navigazione 

p. a., avrebbe chiesto il rimborso del debito di imposta, assunto non 
dovuto, oltre i termini previsti dall'art. 47 della legge n. 762 del 1940. 
In realt� l'art. 47 non � direttamente richiamabile; in quanto si limita 
a fissare alcuni termini per il rimborso. Potrebbe, nel caso, essere 
richiamato il principio generale, che trova il suo testo legislativo nella 
legge di registro, secondo cui l'Amministrazione, anche soccombente, 
non pu� essere condannata alle spese, quando l'azione giudiziaria sia 
promossa prima di iniziare il procedimento amministrativo per il rimborso 
prima che sia decorso un termine fissato dalla legge. Ma a proposito 
di questo principio generale, gi� la Corte Suprema ne ha ritenuta 
la inapplicabilit� allorch�, pur essendo stata l'azione giudiziaria 
proposta intempestivamente, la causa sia stata portata alla d~isione 
del giudice dopo trascorso il termine di legge, senza che l'Ammini

1142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

strazione abbia adottato una determinazione conforme a giustizia, 
essendo da considerare anche in questa ipotesi ugualmente raggiunta 
la finalit� presa di mira dal principio e d�;llla norma suddette, la finalit�, 
cio�, di offrire alla amministrazione la possibilit� di riesaminare 
il proprio operato e di provveder.e secondo giustizia sulle doglianze 
dei contribuenti. Ove questa possibilit� di riesame lAmministrazione 
abbia in concreto avuta e ci� nonostante non abbia proceduto al 
riesame medesimo insistendo nella lite, ben pu� essere condannata alle 
spese della lite stessa. Ed appunto i presupposti della eccezione di 
cui sopra sono stati accertati nella specie, in cui � provato che la 
domanda di rimborso, sebbene intempestivamente proposta � stata portata 
all'esame del giudice ben dopo la scadenza del termine 'di legge 
e che quindi lAmministrazione aveva tutta la possibilit� del riesame 
e del provvedimento di giustizia. In concreto, invece, tale riesame non 
� stato effettuato ed anzi lAmministrazione ha continuato nella affermazione 
della propria tesi in tutti i gradi del giudizio, opponendosi 
sempre alla domanda. Cosicch� legittimamente � stata condannata alle 
spese delle fasi di merito. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1969, n. 3336 -Pres. Rossano 
-Est. Della Valle -P. M. De Marco (conf.) -Soc. p. a. Finanziaria 
Ernesto Breda (avv.ti Visentini e Mandrioli) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Carafa). 

Imposta di registro -Societ� -Aumento di capitale -Delibera dell'assemblea 
e sottoscrizione delle azioni -Rilevanza ai fini tributari 
della delibera -Benefici fiscali di natura soggettiva spettanti 
ai sottoscrittori delle azioni -Inapplicabilit� per la tassazione 
dell'aumento di capitale. 

(1. 12 febbraio 1949, n. 33, art. 7; d.l. 9 settembre 1947, n. 889, art. 14). 
Imposta di registro -Societ� -Aumento di capitale -Delibera dell'assemblea 
e sottoscrizione delle azioni -Sistema di tassazione. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa all. A, art. 85; 1. 12 febbraio 1949 n. 33,, 
art. 7). 
In tema di aumento di capitale sociale il solo atto economicogiuridico 
rilevante ai fini fiscali � la delibera dell'assemblea e non la 
sottoscrizione delle azioni, giacch� quest'ultima, nella complessa oiierazione 
(aumento di -capitale) in cui viene ad inserirsi, ha le funzioni 
di cond.izione � sui generis �, il cui avveramento serve solo a mettere 
in moto il meccanismo della tassazione rispetto a un atto -la delibera 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1143 

dell'assemblea -che, in quanto dotato di propria validit� e autooomia, 
� gi� entrato potenzialmente nell'orbita tributaria, con la conseguenza 
che nella societ�, che ha deliberato l'aumento, va individuato ii solo 
soggetto su cui deve ricadere l'onere fiscale dell'operazione attraverso 
la quale ii deliberato aumento .. si � realizzato, essendo tale aumento 
disposto nel suo esclusivo interesse, mentre i sottoscrittori delle azioni 
non hanno alcuna rilevanza giuridica n� ai fini della tassazione n� ai 
fini di eventuali agevolazioni fiscali, come quelle previste dall'art. 14 
del d.l. 9 settembre 1947, n. 889 (1). 

Con la legge 12 febbraio 1949, n. 33, art. 7, il legislatore, in considerazione 
del fatto che, in tema di aumento di capitale sociale, a 
realizzare il movimento di ricchezza non � sufficiente la sola delibera 
che autorizza l'aumento del capitale sociale ma occorre concretamente 
l'effettiva sottoscrizione delle nuove azioni o il loro collocamento, non 
ha inteso affatto assoggettare al tributo la sottoscrizione delle azioni invece 
che la delibera, ma ha voluto soltanto determinare il momento 
in cui deve aver luogo la liquidazione dell'imposta di registro stabilendo 
due tempi successivi: un primo tempo che concerne la sottoposizione 
in via provvisoria detla delibera alla tassa fissa di cui all'art. 79 

J 

all. A legge di registro (art. 17); un secondo tempo -che si realizza I 
aZZorch� l'evento condizionante costituito dalla effettiva sottoscrizione 

i

delle azioni si sia avverato -, concernente la liquidazione definitiva I 
dell'imposta proporzionale commisurata all'importo complessivo delle I 
azioni sottoscritte o collocate (2). I. 

(Omissis). -Chiamata a stabilire se sull'operazione di aumento 
del capitale sociale deliberata dalla s.p.a. Breda il 4 agosto 1951 e 

I

successivamente attuata mediante sottoscrizione della quasi totalit� 
delle nuove azioni da parte del F.I.M. (Fondo per il finanziamento 

I 

(1-2) Giurisprudenza costante,� il cui orientamento si ricollega alla 
questione se si debba ritenere obbligata, per l'imposta di registro sugli 

I

aumenti di capitale, la sola societ� (cfr. Tribunale Firenze 14 novembre 
1968 in causa Hussmann c. Finanze, inedita) ovvero si possa affermare la 

I 

sussistenza anche dell'obbligazione solidale dei sottoscrittori delle nuove 
azioni. 

Per ritenere esatta la seconda soluzione occorrerebbe poter ricon�scere 
che l'imposta prevista dall'art. 85 della tariffa all. A alla legge organica 
di registro sia dovuta non in riferimento alla deliberazione sociale 
di aumento del capitale, bensi in relazione al negozio che successivamente 
si pone in essere tra la societ� ed i sottoscrittori delle azioni, i quali 
ultimi, allora, potrebbero essere considerati � parti contraenti � ai sensi 
e per gli effetti di cui all'art. 93, n. 1 della predetta legge. 

In altri termini, la deliberazione della societ� dovrebbe essere riguardata 
come atto (di proposta) non autonomamente imponibile, e dovrebbe 
perci� ritenersi �che soltanto con la sottoscrizione delle azioni (la quale 
realizzerebbe l'accettazione, e cosi determinerebbe l'incontro dei con




1144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

delle industrie meccaniche) fossero o no da applicare l� agevolazioni 
tributarie accordate a quest'uJ.timo dall'art. 14 d.l. 9 settembre 1947, 

n. 889, la Corte di Milano ha dato risposta negativa al quesito, osservando 
che soggetto passivo dell'imposta era, nella specie, la Breda e 
non il F.I.M. giacch� l'atto tassabile da prendere in considerazione, 
ai fini dell'imposta di registro, non era la sottoscrizione delle azioni 
effettuata dal F.I.M. ma era la delibera di aumento di capitale adottata 
dalla Breda che dall'operazione compiuta aveva tratto il duplice vantaggio 
di ottenere il bonifico di buona parte del suo debito e di veder 
congelata, al tempo stesso, la parte residuale di debito lasciata insoluta. 
Investendo tale decisione con tre distinti motivi di ricorso si duole 
anzitutto J.a Breda, col primo motivo, che la Corte di merito, violando 
e falsamente applicando l'art. 14 (in relazioae agli artt. 1 e 5) del 

d.l.C.P.S. 8 settembre 1947, n. 889 modificato con d.l.C.P.S. 28 novembre 
1947, n. 1225, gli artt. 79, 81 e 85 Tariffa All. A alla legge di 
registro 30 dicembre 1923, n. 3269, l'art. 17 stessa legge, l'art. 7 della 
legge 15 febbraio 1949, n. 33 e l'art. 2444 comma 2 e.e. in relazione 
all'art. 360, n. 3 c.p.c., non abbia considerato -nel ravvisare nella 
sola delibera di aumento di capitale e l'atto tassabile � con l'imposta 
sensi) si perfezionerebbe il contratto determinante il movimento di ricchezza, 
al quale la legge ricollegherebbe l'imposizione tributaria. 

Senonch�, deve considerarsi: che la deliberazione di aumento del 
capitale si traduce in una modifica dell'atto costitutivo (e.e. art. 2436, 'in 
relazione all'art. 2328, n. 4), la quale non pu� essere disposta che unilateralmente 
dalla societ�, e giammai col concorso della volont� di terzi; 
che, inoltre, la sottoscrizione delle azioni integra l'adesione al contratto 
di societ� e comporta l'attribuzione dello status di socio, con i diritti 
inerenti, ma non determina la conclusione di un autonomo negozio in 
ordine al conferimento dei beni, che �, invece, � atto inerente all'attuazione 
del rapporto sociale � (Cass. 24 maggio 1965, n. 999, Foro it., 1965, 
I, 1925). 

E poich�, dunque, va rilevata l'autonomia dei due esaminati negozi, 
l'uno concernente la modifica del contratto sociale e l'altro relativo alla 
partecipazione di terzi al contratto stesso, pu� gi� osservarsi che in tanto 
potrebbe aderirsi a quella seconda soluzione in quanto si potesse ritenere 
l'imposizione collegata non al fatto giuridico-economico che riguarda direttamente 
ed esclusivamente la societ�, e nemmeno alla oggettiva concreta 
attuazione dei conferimenti, bens� agli stessi successivi negozi di sottoscrizioni 
delle .nuove azioni. 

Tale ipotesi, per�, non pare avvalorata dalle disposizioni della legge 

di registro, la quale, richiamando per gli aumenti di capitale (art. 85 della 

tariffa A) le norme sulle costituzioni di societ� (art. 81 della medesima 

tariffa), per le quali ultime d� rilievo, appunto, all'atto di costituzione, 

e cio� al contratto sociale, sembra confermare, corrispondentemente, che 

per gli aumenti deve aversi riguardo agli atti modificativi del contratto 


1146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ficato non potendosi ammettere che si sia voluto considerare come 
atto imponibile un atto suscettibile di produrre soltanto e effetti padromici 
o procedimentali >. 

Quanto poi all'argomento tratto dalla Corte di merito dal disposto 
dell'art. 7 della legge 15 febbraio 1949, n. 33, e dal meccanismo della 
condizione sospensiva ivi richiamato, a sostegno della tesi della riferibilit� 
della tassazione alla semplice � delibera � e non all'aumento 
di capitale -(inteso, questo, come operazione complessa la cui tassabilit� 
� condizionata da quella � sottoscrizione delle azioni � che, con 
l'offrire la base imponibile, consente di commisurare esattamente l'imposta 
dovata) -, la ricorrente obietta infine che non � ammissibile, sul 
piano sistematico, che la delibera constituisca ad un tempo, � l'atto 
tassabile � e -come la legge esplicitamente la considera -l'� atto 
autorizzativo dell'atto tassabile � (aumento di capitale) e che, d'altra 
parte, il ritenere come � condizionato � non gi� un atto cui l'evento 
previsto in condizione si limita -com'� proprio della condizione 
sospensiva -a far mancare temporaneamente la sola efficacia, ma un 
atto sostanzialmente e fiscalmente inidoneo a produrre effetti propri se 
non integrato dall'atto che funge da elemento condizionante, si risolve 
in effetti in un'inammissibile deviazione dai principi generali posti in 
tema di condizione sospensiva. 

La dpglianza non � fondata. 

Come questa Suprema Corte ha gi� altre volte rilevato -(Cass. 
19 aprile 1961, n. 863 e 19 novembre 1959, n. 3411) -, con l'art. 7 
della legge 12 febbraio 1949, n. 33 il legislatore tributario, nell'intento 
di eliminare le frequenti incertezze manifestatesi in sede ,di applicazione 
pratica dell'art. 85 della summenzionata Tariffa All. A, ed in 
forza del potere spettantegli di configurare un istituto di diritto privato 
con criteri propri, anche in difformit� dai principi che sono propri di 
tale diritto, ha invero ritenuto che, in considerazione del fatto che a 
realizzare il trasferimento di ricchezza in favore della societ� non � 
sufficiente da sola la delibera che autorizza l'aumento del capitale 
sociale ma occorre che a questo primo atto faccia concretamente seguito 
l'effettiva sottoscrizione delle nuove azioni o il loro collocamento, fosse 
opportuno assoggettare esplicitamente l'� aumento di capitale � ad un 
regime fiscale analogo a quello degli atti sottoposti a condizfone 
sospensiva. 

Con ci� per� non ha inteso affatto assoggettare al tributo la sottoscrizione 
delle azioni invece che. la delibera, ma ha voluto soltanto 
determinare il momento in cui deve aver luogo la liquidazione del-
l'imposta proporzionale di registro, stabilendo che questa deve essere 
fatta nel momento in cui le azioni vengono sottoscritte o collocate e 
non in quello in cui viene deliberato dall'assemblea l'aumento di 
capitale. 


1148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nell'aumento di capitale sociale la posizione soggettiva dei sottoscrittori 
non ha pertanto, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, 
rilevanza giuridica alcuna, trattandosi di un'operazione effettuata 
nell'interesse ed � a profitto � della sola societ� che l'ha deliberata e 
che, con fare affluire per tale via nuove ricchezze nel proprio patrimonio, 
vede aumentate; con la maggiore dispO'Ilibilit� dei propri mezzi 
finanziari, le concrete possibilit� di realizzare i fini perseguiti. 

Possono bensl talvolta i sottoscrittori avere essi pure un particolare 
interesse personale nell'operazione, come nel caso -ad esempio dei 
sottoscrittori soci che, attraverso l'esercizio del diritto di opzione, 
mirano ad impedire in tutto o in parte che terzi estranei possano 
intromettersi nella compagine sociale o ad evitare che l'eventuale liquidazione 
fallimentare della societ� possa esporli ad un duplice danno, 
stante la qualit� che essi hanno di azionista e, al tempo stesso, di 
creditori della societ�; ma -come � stato gi� osservato da questa 
Suprema Corte nella citata sentenza n. 863 del 1961 -la circostanza 
� del tutto indifferente" non potendo l'eventuale confluenza, nel singolo 
sottoscrittore, di un vantaggio accidentale e riflesso far venir meno la 
e ratio � dell'enunciato principio fiscale, che risiede, giova ripeterlo, 
nell'interesse e nel profitto che la societ� ritrae dall'avveramento del1'
evento previsto in condizione. 

In quanto effettuato nell'interesse preminente della Breda e non 
nell'interesse del F.I.M., o per di lui conto, rettamente l'aumento di 
capitale di cui trattasi � stato pertanto dalla Corte milanese dichiarato 
escluso dal godimento delle agevolazioni fiscali previste dall'art. 14 
del d.l. 9 settembre 1947, n. 889. Esso costituisce invero un'operazione 
assolutamente estranea a tale norma, giacch� l'atto che in essa la legge 
considera t�ssabile non � la sottoscrizione ma � la delibera di aumento, 
con la conseguenza che, essendo la sola societ� il contribuente � inciso 
dalla tassazione �, nessuna influenza possono avere le condizioni soggettive 
del sottoscrittore, cui la legge non richiede tributo alcuno. 

Col secondo mezzo la ricorrente, denunciando la violazione e la 
falsa applicazione della legge istitutiva del F.I.M. con riguardo agli 
artt. 92 e 83 della legge di registro e 1301 e.e., o quanto meno l'omessa, 
contraddittoria od insufficiente motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, 
c.p.c., in ordine all'interesse del F.I.M. ed alle sue responsabilit� fiscali 
per l'atto di cui si discute, censura l'impugnata sent'enza per non aver 
considerato: 

a) che, essendo il F.I.M. l'azionista ~ quasi uni�co � della societ�, 
le finalit� istituzionali di questa venivano a coincidere sostanzialmente 
con quelle del F.I.M., identificandosi in un pi� ordinato svolgimento 
della produzione anche ai fini dell'occupazione operaia e del-
l'incremento delle esportazioni; 


PAR.TE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1149 

b) che, essendo strette le parti, la Breda e il F .I.M., dal vincolo 
della solidariet� tributaria, l'esenzione spettante a questo ultimo sarebbe 
venuta a risultare praticamente soppressa qualora la Breda non 
avesse assolto il proprio �debito nei confronti del fi.sco. 

Ma anche tale censura � priva di fondamento. Quanto al primo dei 
due rilievi in cui es.sa si articola va detto, infatti, che la Corte milanese, 
dopo avere esattamente avvertito che l'enunciazione degli scopi 
programmatici del F.I.M. di cui all'art. 1 del citato decreto n. 889 
del 1947 in tanto � valida in quanto � contenuta nei limiti e nella 
sfera di attivit� del Fondo stesso quali delineati nel successivo contesto 
della legge, ha del pari esattamente aggiunto -in applicazione 
del principio esposto da questa Suprema Corte nella summ~nzionata 
sent.enza n. 863 del 19 aprile 1961 in tema di confluenza d�ll'int�resse 
riflesso del sottoscrittore con quelJ.o preminente della societ� -che 
la sottoscrizione e l'acquisto� delle nuove azioni, pure rientrando entro 
i limiti suddetti, costituiscono tuttavia atti �he non hanno nei confronti 
del F.I.M; alcuna rilevanza fiScale, giacch� mancano di una loro 
autonomia funzionale per essere legati strumentalmente ad un atto 
della societ�, quale � la delibera da costei adottata in vista di un proprio 
interesse diretto ed immediato. 

Al secondo rilievo va opp�sto, invece, che il principio della solidariet� 
tribu~ria trova un limite nello status del soggetto esente per 
legge dal tributo, -nel senso che non opera nei confronti della parte 
ammessa, per motivi soggettivi, a beneficiare di un determinato trattamento 
fiscale di favore -, e che tale principio sarebbe stato, in ogni 
caso, per altra via inapplicabile nella Specie, dal momento che, per 
le ragioni dianzi espostse, il F.I.M. non solo non fu mai �parte contraente 
� nell'aumento di capitale ma non ebbe inoltre a profittare 
in alcun modo dell'avveramento della condizione (la sottoscrizione 
delle azioni), di cui si giov� viceversa la sola societ� ricorrente. 

Con il terzo ed ultimo motivo la societ� Breda, denunciando sotto 
altro profilo la violazione e la falsa applicazione delle norme istitutive 
de F.I.M. con riferimento all'art. 9 della legge di registro in relazione 
all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., sostiene infine che, stante la connessione 
esistente tra la delibera di aumento e la sottoscrizione delle azioni, si 
sarebbe dovuto, ai fini dell'applicazione dell'articolo summenzionato 
della legge di registro, considerare � prevalente � la sottoscrizione e 
dichiararla, di conseguenza, esente da tassazione come che effettuata 
da un soggetto -il F.I.M. -avente per legge diritto a tale esenzione. 

Ma tale tesi � inaccoglibile: sotto il profilo oggettivo, in quanto, 

unico �essendo l'atto tassabile -la � delibera di aumento � -manca, 

nella specie, quella duplicit� di tassazione, dell'atto � contenente � e 

dell'a.tto � contenuto., che l'art. 9 mira ad evitare in vista della sostan


ziale unicit� direzionale dei due atti tra loro connessi; sotto il profilo 

)7 

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1150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

formale, in quanto il rapporto esistente .tra la delibera e la sottoscrizione, 
trovando la sua causa unica nella disciplina della condizione 
sospensiva, non realizza quel particolare tipo di � collegamento � di 
cui alla previsione dell'art. 9, ed infine sotto il profilo so.ggettivo, in 
quanto l'articolo suddetto non incide in alcun modo sull'identificazione 
del soggetto passivo del tributo, che -nell'aumento �di capitale -� 
e rimane unicamente la societ� che ha deliberato l'aumento stesso e 
che ne ha tratto prevalentemente profitto. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 ottobre 1969, n. 3�535 -Pres. Marletta 
-Est. Usai -P. M. Gedda (conf.) -Soc. Montecatini Edison 
(avv. Salvucci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Coronas). 

Imposta di registro -Occultamento di valore -Prova. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 105). 
Per la dimostrazione deU'occuitamento di valore che d� luogo alle 
sanzioni. prei,ist!e daU'art. 105 della legge di registro, non si richiede� 
una prova legale o speciale, ma soltanto una prova sufficiente secondo 
il diritto comune; tale prova pu� naturalmente anche essere estrinseca 
all'atto registrato, non potendo la prova deU'occultamento di valore 
essere contenuta nello stesso atto occultato (1). 

(Omissis). -Col primo motivo la ricorrente, deducendo ai sensi 
dell'art. 360, nn. 3 e �5 cod. proc. civ. la violazione e la falsa applicazione 
dell'art. 105 della legge �di registro approvata con r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3269, .nonch� la contraddittoriet� della motivazione, censura 
la sentenza impugnata per aver riconosciuto sussistente un'occultazione 
di valore, pur ammettendo l'aS.Senza della prova legale. 

Il motivo � infondato. 

La Corte del merito ha, invero, rilevato che la sentenza del Tribunale 
di Genova aveva ritenuto che in quel giudizio non era stato 
contestato che al mediatore spettasse la provvigione del 2% , stabilita 
per la vendita degli stabili, sul prezzo di lire 40.000.000 ed aveva in 
conseguenza condannato la venditrice Societ� Maremontana, che si era 
assunta l'obbligo di corrispondere l'intera provvigione, a pagare a tale 
titolo la somma di L. 800.000 al mediatore Amerigo Maggi. 

(1) Massima esattissima sorretta da motivazione ineccepibile. Non 
constano precedenti specifici. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1151 

La Corte di Milano, ha, poi, aggiunto che, se non poteva parlarsi 
di prova a carico della Montecatini, la quale in quella causa, pur essendo 
parte, era rimasta spettatrice, dato che la provvigione era stata 
chiesta solo nei confronti della venditrice Societ� Maremontana, che 
si era assunta interamente H relativo obbligo, tuttavia l'occultamento, 
pur non sussistendo di esso la cosi detta prova legale, si evinceva 
ugualmente dal sicuro e non contraddetto assunto che il prezzo convenuto 
per la compravendita era quello di L. 40.000.000 anzich� quello 
di lire 15.000.000 denunciato nel rogito di vendita. 

Con tale motivazione la Corte di appello non si � contraddetta 
perch�, avendo .solo escluso che la sentenza di condanna della Maremontana 
al pagamento della mediazione facesse stato nei confronti 
della Montecatini e che in conseguenza sussistesse a carico di questa 
ultima la cosidetta prova legale dell'occultamento, ben poteva ritenere 
che tuttavia l'occultamento stesso fosse provato in base agli accertamenti 
contenuti nella detta sentenza del Tribunale di Genova. 

La contraria tesi reggerebbe solo se la dimostrazione dell'occultamento 
del prezzo non potesse essere fornita che mediante la cosiddetta 
prova legale, come sembra voglia sostenere la ricorrente, pur 
senza precisare l'esatto contenuto da attribuire alla espressione e prova 
legale � e pur senza chiarire quali argomenti suffraghino la necessit� 
di tale particolare prova. 

Ma l'art. 105 della legge di registro, pur richiedendo la prova 
che nell'atto sottoposto a registrazione � stato indicato intenzionalmente 
un corrispettivo inferiore a quello vero, non esige alcuna prova 
legale o speciale, ma semplicemente la .prova che il valore realmente 
pattuito era superiore a quello denunciato. 

Quindi l'effettiva sussistenza di tale prova deve essere accertata 
applicando i normali principi vigenti in materia e la relativa valutazione 
� rimessa al sovrano apprezzamento del giudice di merito, il 
quale � libero di attingere H pr�prio convincimento a quegli elementi 
probatori che ritenga pi� attendibili, con l'unico dovere di sorreggere 
il proprio convincimento con adeguata e logica motivazione. 

Orbene la Corte di Milano si � attenuta appunto a tali principi 
quando ha ritenuto che, nonostante la condotta passiva assunta dalla 
Montecatini nel giudizio promosso dal mediatore davanti al Tribunale 
di Genova, le risultanze accertate dalla sentenza, che aveva deciso 
tale giudizio condannando la Maremontana a pagare la provvigione, 
erano sufficienti a dimostrare la effettiva sussistenza dell'occultamento 
di cui all'art. 105 legge di registro, dato che le risultanze stesse avrebbero 
potuto �essere utilizzate a tale scopo anche se la Montecatini non 
aveva neppure partecipato al giudizio. 

E questo suo sovrano apprezzamento nella scelta e nella valutazione 
delle prove, la Corte del merito ha adeguatamente motivato 

lZ 



1152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rilevando che la Maremontana, ,cui incombeva l'obbligo di pagare la 
provvigione e , che aveva quindi interesse a contestare l'ammontare 
della stessa, non aveva mai negato la esattezza della somma richiesta 
a tale titolo in L.. 800.000, corrispondente alla percentuale del 2% 
spettante per le mediazioni di stabili, sul prezzo di lire 40.000.000, per 
il quale era stato venduto l'immobile. 

N� contro questa motivazione � stata proposta alcuna specifica 
censura, che non sia quella della necessit� della cosi detta prova legale 
e quella, da essa dipendente, della contraddittoriet�, entrambe gi� 
esaminate. 

Col secondo mezzo la ricorrente, deducendo la falsa applicazione 
dell'art. 73 della legge di registro e dell'art. 1 r.d.1. 26 settembre 
1935, n. 1749, all. A, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., anzitutto 
cen$ura la sentenza impugnata per aver dedotto la fondatezza della 
pretesa fiscale, non dall'intrinseco contenuto dell'atto registrato, della 
cui tassazione si tratta, sibbene da una sentenza non fatta per definirlo 
ed interpretarlo, ma avente occasione e portata diversa. 

Sostiene, poi, che, mentre l'art. 1 r.d.1. 26 settembre 1935, n. 1749, 
riguarda esclusivamente gli atti non registrati, la Corte di Milano, confondendo 
la sentenza del Tribunale di Genova con il rogito Pescini di 
compravendita, aveva applicato all'insieme la detta norma, che non 
poteva essere riferita all'atto notarile di compravendita debitamente 
registrato. 

Col terzo mezzo, che per una pi� organica trattazione � opportuno 
esaminare insieme al precedente, la ricorrente, deducendo la falsa 
interpretazione del combinato disposto dgli artt. 105, 46 e 47 della 
legge di registro, sostiene che la omissione nel contesto di un atto di 
beni, cose o rapporti, rispetto ai quali la legge di registro imponeva 
un indiscriminato e cumulativo trattamento tributario, non costituiva 
occultamento di valore, dato che la legge non obbligava i contraenti ad 
introdurre nell'atto, in contrasto con la loro volont�, la definizione di 
rapporti che essi non avevano voluto con l'atto stesso regolare, anche 
se tali rapporti, per presunzione di legge, dovevano, agli effetti fiscali, 
essere considerati unitariamente insieme a quello costituente l'oggetto 
dell'atto medesimo. 

Anche questi due motivi sono infondati. 
La tesi sostenuta con la prima parte del secondo mezzo, relativa 
alla invalidit� della prova dell'occultamento di valore in quanto non 
dedotta dall'intrinseco contenuto dell'atto registrato, della cui tassazione 
si discuteva, urta contro la stessa lo�gica perch� non � possibile 
pretendere, senza palese contraddizione, che risulti dallo stesso atto 
sottoposto a registrazione ci� che con l'atto medesimo si vuole occultare. 
Infatti, se l'esatto corrispettivo risultasse in qualsiasi modo dal



1154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'Amministrazione finanziaria convenuta nei giudizio di opposizione 
ad ingiunzione fiscale pu� Legittimamente opporre, ai fine di 
giustificare la sua pretesa, motivi giuridici diversi da queJLi addotti 
e fatti vale1�e in via amministrativa (3). 

(Omissis). -I due ricorsi relativi alla medesima sentenza debbono 
essere riuniti in applicazione del disposto dell'art. 335 c.p.c. 

� opportuno esaminare congiuntamente i primi tre motivi del ricorso 
principale, sia perch� propongono questioni connesse, sia nell'intento 
di dare delle stesse un'inquadramento sistematico che meglio 
ne chiarisca la soluzione. 

Il Pergola afferma nel primo motivo che la Corte ha errato nel 
ritenere che nella specie la �convenzione� de qua debba essere tassata 
in termine fisso, mentre la lettera-fideiussione va registrata solo in 
caso di uso; nella specie, perci�, andrebbe applicato non l'art. 54 tar. 
all. A alla legge di registro, ma l'art. 44 della tabella all. D, in relazione 
all'art. 62 1. reg. 

Nel secondo motivo il ricorrente assume che l'autorit� giudiziaria 
non avrebbe potuto applicare una tassazione diversa da quella eseguita 
dall'Ufficio del Registro, che si era richiamato alle norme relative alla 
registrazione della corrispondenza commerciale. 

Nel terzo motivo il Pergola sostiene che, trattandosi di enuncia


zione di convenzione estinta, l'imposta di registro non � dovuta, ai 

sensi d�l terzo comma dell'art. 62 1. reg. 

Le censure ora riassunte sono comuni in parte a quelle esposte 
dalla SIPAN nel ricorso incidentale, che nel primo motivo denuncia 
l'errore della Corte di appello di prendere in considerazione una situazione 
sostanzialmente diversa da quella posta a base dell'atto di imposizione 
tributaria e sostiene che la tassa dovrebbe essere riferita 
esclusivamente alla lettera di fideiussione ed applicata come tassa di 
titolo, la societ� ricorrente aggiunge non senza contraddizione, che 
�dovendo essere oggetto di tassazione la lettera �di fideiussione, dovrebbe 
farsi applicazione dell'art. 44 della tab. all. D della .legge di registro. 

A confutazione delle censure esposte, che questo Supremo Colle


gio giudica infondate, deve premettersi .che, come ritenuto e pi� volte 

ribadito nella giurisprudenza del Collegio stesso, il disposto dell'art. 62 

1. reg. in base al quale sono soggette a registrazione le enunciazioni, 
contenute in atti sottoposti a registrazione, di altri atti non registrati 
o di convenzioni verbali, � applicabile anche alle enunciazio-ni conte-
mente, fa una puntuale applicaziqne dell'art. 2 della legge di registro. 
Sulla terza massima la giurisprudenza � pacifica (cfr. C. BAFILE, Note sull'azione 
riconvenzionale della Finanza nel giudizio di opposizione all'ingiunzione 
fiscale, con numerose citazioni, in questa Rassegna, 1969, I, 527). 

-m"~d'Ji'.'.4!18~4il'!W' ~


... 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1155 

nute in sentenze (Cass., SS. UU., 16 giugno 1967, n. 1331). Sebbene 
la sentenza dovrebbe fare riferimento sofo ad atti o convenzioni verbali 
gi� sottoposti ad imposta di registro, � tuttavia possihile che, per 
inavvertita disapplicazione dei precetti di salvaguardia della obbligazione 
tributaria, essa recepisca il richiamo fatto dalle parti, al fine 
di sostenere le propre. domande od ec.cezioni, ad atti o convenzioni non 
registrate, venendo cosi a documentare tali dichiarazioni ed a dare 
ad esse un pi� o meno accentuato valore probatorio delle convenzioni 
cui si riferiscono: e ci� anc)le se la sentenza non pone tali dichiarazioni 
a fondamento della decisione in essa adottata, dato che, nel caso 
in cui tale collegamento razionale si costituisca, si dovrebbe parlare 
pi� propriamep.te della cosiddetta tassa di titolo, in applicazione dell'art. 
72 I. reg. Nella specie, appunto, � stata esclusa l'applicabilit� 
della tassa di titolo, perch� il Tribunale non ha n� argomentato in 
ordine al documento, n� deciso prendendolo in considerazione" secondo 
l'apprezzamento di fatto correttamente motivato, e perci� non censu~ 
rabile in questa sede di legittimit�, della Corte di appello. 

Quando, dunque, fuori dell'ipotesi prevista nell'art. 72 I. reg. si 
verifica il cennato riferimento, negli atti processuali, a convenzioni non 
registrate, utilizzato dalle parti e recepito nella sentenza, atto sottoposto 
a registrazione, appare �esatto ravvisare nella sentenza stessa 
l'enunciazione della convenzione indicata dalle parti nelle loro dichiarazioni. 
In ta.le caso l'enunciazione produce gli effetti dell'art. 62 

I. reg. anche se non tutti i soggetti della convenzione siano parti del 
processo concluso con la sentenza �enunciante, essendo sufficiente, perch� 
sorga l'obbligo della registrazione della convenzione enunciata, 
che, attraverso la sentenza le dichiarazioni enunciative restino accertate 
e siano riferibili a soggetti, con posizioni negoziali distinte, della 
convenzione medesima, tra i quali questa debba produrre effet!i. 
Talvolta la giurisprudenza ha dato dell'enunciazione in sentenza 
una nozione pi� ampia, sminuendo la distinzione tra imposta di enunciazione 
ed imposta di titolo, ma agli effetti della decisione della fattispecie 
in esame, � sufficiente l'impiego della nozione pi� propria 
soprariferita, che si richiama a dichiarazioni enunciative deHe parti, 
recepite in sentenza. 

Agli effetti dell'enunciazione, poi, la distinzione tra enunciazione 
di atti soggetti a registrazione in termine fisso e quella di atti soggetti 
a formalit� solo in caso di uso assume rilievo solo quanto al pagamento 
della sopratassa, dovuta nel primo caso se l'enunciazione avvenga 
dopo il decorso del termine fisso di registrazione. Per ogni altro 
riguardo la �distinzione � inefficiente e l'imposta di enunciazione � 
dovuta anche se relativa ad atto da registrarsi in caso di uso: deve, 
infatti, ravvisarsi uso di atto, agli effetti della legge di registro, anche 
quando il contenuto di esso � riportato in tutto, o in parte, negli atti 

@r@rW&'ffil0Iff#'@H"if@Iffiff@EtK%f@rffrf[f�Ii@IBKfNfilfiWltfffe{f�Mf@@fffilft#l@El&fE@@@mrnrn~mmmI@@MM@@m2 ' 


1156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

processuali compiuti dalle parti che dell'atto possono fare uso o con 
il loro intervento (art. 2, capv. n. 2, 1. reg.). 

Poich� nella specie la sopratassa non � stata applicata, la distinzione 
ora detta, alla quale entrambi i ricorrenti si richiamano, non 
spiega alcun effetto quanto all'obbligo di pagare l'imposta di registro 
sulla fideiussione enunciata nella sentenza del Tribunale di Milano del 
27 giugno 1960. 

Consegue che nella specie non pu� trovare applicazione, come 
vorrebbero i ricorrenti, il terzo comma qell'art. 62 1. reg. per effetto 
del quale non � dovuta tassa di registro, se la �convenzione verbale 
enunciata sia gi� estinta o si estingua con l'atto che contiene l'enunciazione; 
la convenzione enunciata nel caso in esame p.on � verbale 
essendo pacifico e stabilito in sentenza che essa � stata documentata da 
lettera-diretta dal fideiussore al creditore garantito e da questi integrata 
in conformit� dei patti ed utilizzata . 

Per sostenere il detto assunto la SIPAM ipotizza che la convenzione 
enunciata nella sentenza del Tribunale di Milano sia quella che 
sarebbe intercorsa tra il Pergola e la SIPAM concernente la prestazione 
della fideiussione verso la banca creditrice; ma di tale assunta 
p~rticolare convenzione, che dovrebbe avere carattere ed effetti di 
negozio preparatorio o preliminare, nessun cenno � fatto n� nella sentenza 
enunciante, n� negli atti di liquidazione dell'imposta, che applicano 
la tassa graduale stabilita per la fideiussione, n� nella sentenza 
ora impugnata, che, con corretta motivazione, ha identificato l'atto 
assoggettato ad imposizione nel contratto di fideiussione, intercorso 
tra il Pergola e la Banca, visto negli effetti che esso produce, anche 
in mancanza di apposita convenzione, tra garante e debitore principale. 

La precisazione fin qui fatta di situazioni concrete e di concetti 
giurid~ci giova alla soluzione della questione, proposta col secondo motivo 
del ricorso principale e richiamata anche nel ricoorso incidentale, 
circa l'asserito errore della Corte di merito, che avrebbe dato all'imposizione 
un fondamento �diverso da quello stabilito nell'ingiunzione 
fiscale ed applicato una diversa tassazione, ritenendo di restare nel 
limite del riesame del titolo giuridico posto a base della tassazione. 

:L"ale censura � infondata, perch� l'ingiunzione opposta basa la 
richiesta �di imposta suppletiva di registro c�ncernente la sentenza 

n. 2915 del 1960 del Tribunale di Milano sull'asserzione che nella sentenza 
� contenuta � enunciazione di lettera fideiussoria � e la Corte 
d'appello ha respinto l'opposizione, avendo ritenuto sussistente nella 
sentenza registrata l'enunciazione di fideiussione assunta verso la Banca 
e documentata da lettera diretta alla Banca creditrice; sicch� non sussiste 
la diversit� di prospettazione del fatto generatore d'imposta, 
essendo rimasto identico l'atto-negozio sottoposto a tassazione ed identico 
anche il mezzo tipico �di conoscenza legale che di tale atto ha 

. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1157 . PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1157 
avuto l'Ufficio (enunciazione) e, di conseguenza, la contestazione. si 
pone ancora oggi sul piano dell'inquadramento giuridico del cennato 
unico fatto generatore d'imposta: operazione giuridica che il giudice 
verifica anche d'ufficio, col pieno potere di applicare al caso concreto 
la norma giuridica che deve regolarlo. 

Ci� posto, pu� apparire anche superfluo il riferimento alle ripe~ 
tute affermazioni giurisprudenziali, le quali hanno stabilito che l'Amministrazione 
finanziaria quale convenuta nel giudizio di opposizione 
ad ingiunzione fiscale, pu� legittimamente opporre, al fine di giustificare 
l'imposta che forma oggetto dell'imposizione, motivi giuridici 
diversi da quelli addotti e fatti valere in sede tributaria (Cass. 8 gennaio 
1968, n. 38) e nella specie l'Amministrazione, fin con la .comparsa 
di risposta in primo grado, dedusse che trattavasi di tassazione relativa 
a convenzione scritta �di fideiussione, in applicazione dell'art. 62 

1. reg. di guisa che, se vi fosse stata acquisizione di un diverso .tftolo 
giuridico, essa sarebbe stata effetto di domanda riconvenzionale ravvisabile 
nella cennata deduzione dell'Amministrazione. -(Omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3586 -Pres. Pece 
-Est. Sposato -P. M. Toro (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Coronas) c. Soc. Saviat (avv. Uckmar). 

Procedimento civile -N~tiftcazioni -Notificazione alla persona giuridica 
-Consegna nel luogo indicato in una dichiarazione del destinatario 
corrispondente alla sede effettiva della societ� -E regolare. 


(c.p.c. art. 145; e.e. art. 46, 47 e 2436). 
Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Prescrizione -Consolidazione 
del criterio di tassazione. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 140 e 141). 
Legittimamente l'att!o di citazione viene notificato ad una persona 
giuridica nel luogo indicato in una sua precedente dichiarazione (e 
nella persona in essa designata come rappresentante) corrispondente 
alla effettiva sede sociale, se pur diversa da quella risultante dal 
registro detle societd (1). 

(1-2) La prima massima, che investe un problema generale. di diritto 
processuale, ha una particolare importanza anche nel procedimento tributario. 
Deve a�cogliersi con molto favore l'orientamento non formalistico 
che ritiene valida la notifica degli atti nel luogo indicato dal destinatario 
di essi anche se non corrispondente alla sede della societ� risultante dal 
registro� (o alla residenza anagrafica). Col superamento della solidariet� 
tributaria processuale, il problema delle notificazioni si ingigantisce e si 



-


1158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Con ii decorso del triennio la possibilit� di revisione del titolo 
della tassazione si prescrive sia per la Finanza che per il contribuente 
e la verificatasi consolidazione, � di ostacolo a. far valere i diritti che 
presuppongono la modificazione del titolo. La notifica di un supplemento 
inerente ad errore sulla determinazione della base imponibile 
(nella specie se l'imposta dovesse commisurarsi sui proventi lordi o 
netti) non consente al contribuente di rimettere in discussione la qualificazione 
dell'atto (neLla spe�cie concessione di pubblico servizio o autorizzazione 
amministrat.iva) (2). 

(Omissis). -La ricorrente Amministrazione delle Finanze <'l;enuncia 
la violazione e la falsa applicazione degli artt. 136 e 137 l.o.r. 2935, 
e 2944 e.e. e contraddittoriet� di motivazione nella sentenza impugnata. 
Deduce che questa -avendo esattamente ritenuto come gi� 
prescritta l'azione della societ� per chiedere la restituzione delle imposte 
pagate -avrebbe dovuto ritenere preclusa alla contribuente 
anche la possibilit� di contestare il titolo in base al quale le imposte 
erano state pagate, e di �Conseguenza, la possibilit� di contestare il pagamento 
dell'imposta suppletiva applicata sulla base del medesimo 
titolo (qualificazione dell'atto come concessione di pubblico servizio) 
non pi� contestabile per la verificatasi prescrizione. 

La SAVIAT denuncia, con .il primo mezzo del suo ricorso incidentale, 
la violazione dell'art. 145 �C.p.c.. Assume che, a norma del terzo 

giungerebbe a situazioni assurde se non si applicasse l'ultimo comma dell'art. 
9 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 nel senso che il domicilio dichiarato, 
che deve essere indicato da tutti i contribuenti (persone fisiche e 
giuridiche) 'in atti, contratti, denunce e dichiarazioni, sia vincolante per 
il dichiarante anche se difforme da quello ufficiale. Per alcuni profili del 
problema cfr. la nota di C. BAFILE, Considerazioni sulla notifica delle impugnazioni 
dell'Amministrazione Finanziaria nel processo tributario, in 
questa Rassegna, 1969, I, 127). 

Esattamente con la seconda massima si � ritenuto che non � di ostacolo 
alla consolidazione del criterio di tassazione l'intervenuto supplemento che, 
ferma restando la qualificazione giuridica data all'atto, abbia sollevato 
un pi� limitato problema (nella specie se l'aliquota dovesse commisurarsi 
ai proventi netti o a quelli lordi). A tale riguardo va precisato che in 
nessun caso la prescrizione interrotta dalla Finanza giova al contribuente, 
cosicch� la richiesta di supplemento non pu� consentirgli, oltre il triennio, 
di ampliare la controversia al di l� dell'oggetto del supplemento; al contrario 
per la Finanza sia l'interruzione da essa provocata sia quella proveniente 
dal contribuente consentono di rimettere in discussione tutta 
la materia tassabile. Pertanto se, come nel caso deciso, dopo la registrazione 
dell'atto � intervenuto un supplemento di oggetto limitato, la consolidazione 
del criterio di tassazione si verifica a danno del contribuente 
ma non a danno della Finanza (c'fr. C. BAFILE, Considerazioni sull'interruzione 
della prescrizione delle imposte indirette, in questa Rassegna, 
1969, I, 281). � 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1159 

comma di tale articolo, la notificazione alle persone giuridiche in 
luogo �diverso dalla loro sede ed in mani di persone diverse da quelle 
indicate nel primo conima, pu� essere eseguita soltanto nel caso che 
sia stato impossibile -e tale impossibilit� risulti dalle previe e vane 
ricerche dell'ufficiale giudiziario -eseguirla a norma del detto primo 
comma, a nulla, al'uopo, rilevando, che la persona giuridica abbia 
eletto un domicilio speciale. 

Con il secondo motivo la SAVIAT denunzia la violazione degli 
artt. 46 e 47 e 2436 e.e. ed omessa motivazione, sul punto, della sentenza 
impugnata sostenendo che domicilio speciale � quello che viene 
eletto per determinati atti ed affari, per cui una elezione del genere 
non pu� ravvisarsi nella generica comunicazione fatta con la lettera 
del 22 novembre 1958. Al contrario l'indirizzo comunicato con la detta 
lettera ed annotato nel registro delle imprese, doveva essere c�hsiderato 
come quello della nuova sede sociale di essa ricorrente; donde la 
nullit� della notificazione stante l'omessa previa ricerca, da parte 
dell'ufficiale giudiziario, delle persone indicate dal primo comma dell'art. 
145 c.p.c., nell'ordine ivi stabilito. 

La violazione deJrart. 141 I.o.r. � denunziata dalla SAVIAT con 
il terzo motivo, con il quale assume che il ricorso del 2 ottobre 1947, 
ancorch� enunciante la sola opposizione all'ingiunzione di pagamento 
della imposta suppletiva, � atto interruttivo della prescrizione anche 
dell'azione per la restituzione dell'imposta principale. 

Tali essendo le censure che da una parte e dall'altra vengono formulate 
contro la denunziata sentenza, � ovvio che, prin�e fra tutte 
debbano essere esaminate quelle esposte nel primo e nel secondo motivo 
del ricorso incidentale, posto che, se esse fossero fondate l'Amministrazione 
delle Finanze sarebbe decaduta dal diritto di proporre 
l'azione davanti al giudice ordinario e nessuna pretesa -neppur quella 
fondata sui principi dell'unit� dell'imposta di registro e del consolidamento 
del criterio di tassazione -essa potrebb.e far v�lere in giudizio. 
Ma le dette due censure, fondate non sono. Se, infatti, non a torto, la 
SAVIAT sostiene che nella pi� volte ricordata lettera del 22 settembre 
1958 non � ravvisabile una elezione di domicilio speciale -stante 
che in essa non vengono indicati atti o affari determinati per i quali 
l'elezione debba valere, n� esistono altri elementi atti a stabilire che 
l'elezione medesima sia stata compiuta proprio in vista del futuro 
giudizio contro lAmministrazione delle Finanze davanti al giudice ordinario 
-d'altra parte la stessa SAVIAT ammette che l'indirizzo comunicato 
con quella lett.era ed annotato nel registro delle imprese, 
corrispondeva alla nuova sede sociale. Ma se cosi �, ed anche soltanto 
ad ammettere �he, non essendo il mutamento di sede avvenuto in maniera 
formalmente regolare, l'indirizzo designasse la sede effettiva 
della societ� con le conseguenze di cui all'art. 46, secondo comma, e.e. 



1160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la notificazione deve considerarsi eseguita proprio nel luogo indicato 
dall'art. 145 c.p.c. N� � esatto che, pur eseguita la notificazione nel 
detto luogo, non sarebbe stato osservato l'ordine delle persone fisiche 
che il primo comma del citato art. 145 abilita a ricevere la copia dell'atto. 
Giusta tale ordine la copia deve essere consegnata, indifferentemente, 
al rappresentante della persona giuridica o alla persona incaricata 
di ricevere le notificazioni e, nel caso che l'uno o l'altro manchino, 
ad altra persona addetta alla sede. Nella specie non � ragionevolmente 
opinabile che, indicando nell'indirizzo, da essa comunicato 
al Tribunale, la persona del Rag. Giuliani, non intendesse designare 
costui come persona incaricata di ricevere, insieme con la corrispondenza, 
anche le notifiche degli atti giudiziari alla societ�, e che, indicando 
come sede sociale l'abitazione dello stesso Rag. Giuliani, eguale 
desigriazione non intendesse fare anche per le persone, capaci, della 
famiglia del ragioniere. Pertanto, mancando della fondatezza del primo 
motivo i presupposti di fatto, ed alla censura svolta nel secondo motivo, 
ogni rilevanza ai fini del decidere, l'uno e l'altro motivo debbono 
essere disattesi. 

Passando a trattare le questioni di diritto sostanziale, prospettate 
dalle ricorrenti, � da� osservare che la tesi sost~~uta nel ricorso principale, 
� fondata. 

Il rilievo della Corte d'appello -che la prescrizione non ha gli 
stessi effetti del giudicato, giacch�, se questo preclude, fra le parti, 
ogni ulteriore controversia non soltanto sul bene attribuito �dalla sentenza, 
ma anche sui presupposti necessari dell'attribuzione, la prescrizione, 
invece, all'infuori del diritto che n'� colpito, non ne estingue 
altri che abbiano con quello comunanza di fatti costitutivi -� in s�, 
esatto. Nella materia di che trattasi, per�, positive norme della l.o.r. 
sottopongono alla prescrizione triennale decorrente dalla data della 
registrazione, non solo i diritti che possono conseguire dalla modifica 
del titolo tassabile -il diritto del contribuente alla restituzione in 
tutto, o in parte, dell'imposta pagata, o quello 'di non pa~are il supplemento, 
o il diritto della Finanza al supplemento -ma lo stesso 
diritto alla detta modifica. Difatti. il primo comma (che stabilisce la 
prescrizione dell'azione del contribuente per la restituzione delle imposte 
pagate) ed il secondo comma dell'art. 136 I.o.r. (che stabilisce 
la prescrizione dell'azione della Finanza per richiedere i supplementi 
d'imposta) debbono essere intesi in coordinazione fra loro ed in coordinazione 
con l'art. 7 della stessa legge, che definisce come suppletive 
le imposte .che si applicano quando l'Ufficio del registro sia incorso, 
al momento della registrazione, in errore tanto sulla quantit� dell'imposta 
dovuta, quanto sui titoli tassabili risultanti dall'atto o dalla �denunzia. 
Passati, pertanto, i tre anni dalla registrazione, la Finanza non 
pu� pi� chiedere verun supplemento, neppure se l'identificazione del 

.. . I 


!B7W:;mP7J01F'.I!lifffilf%'.fP4'7"{?77fJf"'!�7lf:'00!;'Yl%7'T"D;"7�7ff.f%Xf;%[:1':1.iii2f'.74'i!J:J 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1161 

titolo tassabile risulti erronea. Ci� significa che, con il decorso di quei 

tre anni, la possibilit� di revisione del titolo � prescritta e che esso, 

�rmai consolidatosi, � di ostacolo a far valere diritti che presuppon


gano la sua modificazione. Che questo, poi, valga non soltanto nei con


fronti della Finanza, ma anche nei confronti del contribuente, non solo 

� ~ogicamente ovvio, ma � anche desumibile dal secondo comma del


l'art. 137 della stessa legge, secondo il quale il diritto alla restituzione 

della maggiore imposta pagata alla registrazione dei contratti a corri


spettivo variabile si prescrive entro un triennio dal giorno in cui venne 

accertato il valore definitivo. La maggiore imposta � naturalmente 

quella che tale risulti in rapporto al valore definitivamente accertato, 

ed � quindi, da escludere che il diritto alla restituzione, di cui parla 

la norma, possa essere esercitato in base aJ. presupposto dell'erronea 

identificazione del titolo tassabile: che, pertanto, decorso il triennio 

dalla registrazione, rimane intangibilmente fissato anche per i contratti 

a corrispettivo variabile e, quindi, a maggior ragione, per tutti gli 

altri atti e contratti, la cui registrazione, a differenza di quelli, pu� 

conseguire un'immediata definitivit� sotto tutti gli aspetti. 

Del resto la SAVIAT non nega che la tesi della Finanza sia, in 
s� stessa . esatta, ma ne contesta !l'applicabilit� nella specie, assumendo 
eh~ il criterio di tassazione non venne da essa contestato per la prima 
volta con la memoria del 15 febbraio 1956 e che, se con tale memoria 
venne ampliato il petitum dell'originario ricorso del 2 ottobre 1947 
-essendosi chiesto, con essa, oltre che l'annullamento del supplemento 
d'imposta, anche la restituzione dell'imposta principale -la 
causa petendi, comune alle due domande, cio� l'erronea determinazione 
del titolo tassabile, non poteva non essere stata dedotta nel ricorso originario. 
Assume, inoltre, che lo stesso Ufficio del registro, nel richiedere 
il supplemento d'imposta, aveva modificato il criterio originario 
della tassazoine, sicch� la contestazione della legittimit� dell'ingiunzione, 
si risolveva in quella del titolo in base al quale l'ingiunzione 
era stata i.ntimata. 

Tali rilievi, che la SAVIAT espone nel controricorso ed ai quali 
si richiama con il terzo motivo del ricorso incidentale, non aderiscono 
�alla fattispecie accertata nel giudizio di merito. L'ingiunzione venne 
intimata perch� -come in essa esplicitamente si diceva -l'imposta 
era stata, all'atto della registrazione, erroneamente calcolata soltanto 
sulla quota di spettanza della societ�, sicch� con il ricorso del 2 ottobre 
1947 con il quale la SAVIAT dichiarava, puramente e semplicemente, 
di voler ricorrere e contro l'ingiunzione di pagamento tassa 
suppletiva �, non venne per� nulla contestato che l'atto, soggetto alla 
registrazione, costituisse una concessione di pubblico servizio, cio� 
l'atto in relazione al quale, per l'appunto, !;Ufficio del registro assu~ 
meva che dovesse pagarsi una maggiore imposta. Che se poi la SA




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

VIAT, come pare, intende sostenere di avere impugnato anche il criterio 
di tassazione in base al quale le venne richiesta l'imposta supple~ 
tiva, non perch� il contratto soggetto alla registrazione fosse stato ritenuto 
come una concessione di pubblico servizio, ma perch� l'imposta 
veniva, con l'ingiunzione, applicata in misura pi� ampia che in sede 
di registrazione, neppure codesto assunto -a parte la questione se 
esso sia fondato e se fondata sia la contestazione contro l'applicazione 
dell'imposta su tutti i proventi della casa da gioco, una volta stabilito 
che si trattava di una �con�essione di servizio pubblico -pu� essere 
preso in considerazione. Invero, la statuizione del giudice di merito, 
secondo la quale il criterio di tassazione non venne per nulla impugnato 
con l'originario ricorso della SAVIAT, ma fu da essa impugnato 
soltanto con la memoria del 1956 e soltanto per il motivo che sarebbe 
stato erroneamente considerato come atto di concessione di un pubblico 
servizio quello che, secondo la societ�, era, invece, un semplice 
negozio autorizzativo, scaturisce da apprezzamenti di fatto che, correttamente 
motivati -in base all'interpretazione del contenuto e della 
portata dell'ingiunzione, del ricorso e della memoria -non sono censurabili 
in cassazione. 

Ci� posto, il ricorso dell'Amministrazione delle Finanze deve accogliersi 
ed, in sede di rinvio, della legittimit� dell'ingiunzione di 
pagamento dell'imposta suppletiva dovr� giudicarsi secondo il pirincipio 
del consolidamento del titolo della tassazione non impugnato 
nel triennio decorrente dalla data della registrazione. 

L'accoglimento del ricorso principale comporta il rigetto del terzo 
motivo del ricorso incidentale. Difatti, una volta posto che con il 
ricorso del 1947 non venne impugnato il criterio di tassazione, non pu� 
considerarsi ��interrotta da tale ricorso la prescrizione del diritto alla 
restituzione dell'imposta principale in base alla pretesa erroneit� dell'applicazione 
di quel criterio al momento della registrazione. (
Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1969, n. 3597 -Pres. Stella 
Richter -Est. Mazzacane -P. M. Pascalino (conf.) -Soc. Macchine 
Ing. Colorni (avv. Scarpa) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Coronas). 

Imposte e tasse in genere -Circolari ministeriali -Valore -Riconoscimento 
del diritto del contribuente -Impossibilit�. 

Le circolari ministeriali sono atti interni della P. A. destinati unicamente 
ad indirizzare o regolare in modo uniforme le attivit� degli 
organi inferiori e non hanno alcuna efficacia giuridica nei confronti � 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDl!:NZA TRIBUTARIA 1163 
di soggetti estranei neppure ai fini deWinterpretazione di noTme di 
PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDl!:NZA TRIBUTARIA 1163 
di soggetti estranei neppure ai fini deWinterpretazione di noTme di 
legge; le circolari quindi, anche� per la loro impersonalit�, non possono 
mai cO!/nportare un riconoscimento del diritto del contribuente (1) . 

.. 
(Omissis). -Con l'unico mezzo proposto la Soc. Colorni denuncia 
violazione e falsa applicazione dell'art. 2944 e.e. in relazione all'arti. 
colo 2946 e.e., ed all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonch� insufficiente e contraddittoria 
motivazione della sentenza impugnata, in relazione all'art. 
360, n. 5, c.p.c. Essa sostiene che la circolare n. 52 del 24 ottobre 
1961 non mirava solo ad informare gli uffici dipendenti e gli operatori 
economici quanto alla applicazione della legge per l'avvenire, 
ma riconosceva anche il diritto della soc. Colorni alla restituzione 
poich� essa aveva -chiarito che in passato si era proceduto ad una tassazione 
per un imponibile superiore a quello dovuto ed aveva specificato 
quale era� tale imponibile, con riferimento a dati chiaramente 
indicati in ogni bolletta doganale. Aggiunge la ricorrente che la Corte 
del �merito ha omesso di considerare che l'Amministrazione, in identiche 
circostanze, avev~ riconosciuto ad essa il diritto al rimborso 
della imposta corrisposta in misura superiore a quella dovuta. 
La censura � infondata. 
Le circolari ministeriali sono atti interni della Pubblica Amministrazione 
destinati unicamente ad indirizzare o regolare in modo uniforme 
la attivit� degli organi inferiori, e non hanno alcuna efficacia 
giuridica nei confronti dei sogg~tti estranei alla Pubblica Amininistrazione, 
neppure ai fini della interpretazione di determinare norme di 
legge. 
La Corte del merito ha quindi correttamente escluso, in consj.derazione 
della natura giuridica delle circolari predette, che la circolare 
ministeriale n..52 del 24 ottobre 1961 potesse avere rilevanza ai fini 
della invocata interruzione della prescrizione, spiegando che la comunicazione 
di essa anche a persone �estranee alla Amministrazione aveva 
il liinitato scopo di informare del suo contenuto (interpretazione �di 
una norma di legge) gli operatori economici del settore. 
La Corte, poi, lia esaminato il contenuto della circolare ed ha 
negato, uniformandosi ad esatti principi giuridici, che essa contenesse 
un atto di riconoscimento del diritto della societ� Colorni. Invero, � la 
dichiarazione di riconoscimento del debito, ai fini della interruzione 

(1) Massima da condividere pienamente. La circolare, sia per la sua 
natura, sia per l'indisponibilit� del credito di imposta, non pu� n� vincolare 
la Finanza ad una determinata interpretazione della norma n� contenere 
rinunce o riconoscimenti nei confronti di un contribuente, allo 
stesso modo in cui non pu� inasprire a danno del contribuente l'obbiettivit� 
della norma tributaria (v. Relazione Avv. Stato, 1961-65, II, 281). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della prescrizione, pu� avvenire non S:?lo nei confronti del titolare di 
un diritto ma anche nei confronti di un terzo, e pu� estrinsecarsi tanto 
in una dichiarazione esplicita quanto in qualsiasi altro fatto che implichi, 
comunque, in modo chiaro ed univoco, l'ammissione della esistenza 
del diritto. Orbene, la Corte del merito, esaminando analiticamente 
il contenuto della menzionata circolare, ha escluso, con accertamento 
di fatto sottratto al sindacato di legittimit� perch� congrua-� 
mente motivato ed immune da vizi logico-giuridici, la sussistenza dei 
menzionati requisiti, rilevando che dalla circolare stessa non risultava, 
n� la identificazione del creditore, n� l'ammontare del credito, nei suoi 
elementi specifici. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. i, 30 ottobre 1969, n. 3598 -Pres. Pece 
-Est. Pascasio -P. M. Gentile (diff.) -Bottazzi (avv. Canegallo) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 
Imposta di successione -Deduzione di passivit� -Atti di data certa Necessit�. 


(r.d. 30 dicemqre 1923, n. 3270, art. 45). 
Poich� agli effetti del secondo comma dell'art. 45 della legge sulle 
successioni, la prova delle passivit� pu� esser data solo mediante atti 
che abbiano acquistato data certa anteriormente ati'apertura della successione, 
non � censurabile la sentenza che non abbia preso in alcuna 
considerazione atti mancanti di tale certezza (1). 

(Omissis). -Con i due motivi che, per la loro connessione, vanno 
congiuntamente esaminati, i ricorrenti censurano la sentenza denunciando 
la violazione dell'art. 45, comma secondo, della legge 30 dicembre 
1923, n. 3270, per avere esclusa la deducibilit� della somma di 

L. 20.302.920, quale saldo passivo del conto corrente bancario intestato 
al defunto, negando che fosse stata fornita la prova dell'esistenza di 
un contratto in esecuzione del quale erano avvenuti l'emissione ed il 
pagamento dell'assegno, mentre tale prova risultava dalla lettera del 
Credito Italiano in data 11 novembre 1954, prodotta in giudizio, mediante 
la quale l'Istituto aveva disposto a favore del Bottazzi -di 
poi defunto -una provvista .di 20 milioni di lire, utilizzabile in conto 
corrente. 
(1) Massima di evidente esattezza (cfr. Cass. 22 marzo 1967, n. 652 in 
questa Rassegna, 1967, I, 460 con nota di M. CoNTI, Le passivit� e gli oneri 
aziendali nelt'imposta di successione). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1165 

La Corte di merito ha omesso di prendere in esame tale lettera 

che costituiva il contratto di apertura di credito in base al quale si 

era formata 'la passivit� a debito del defunto, mediante l'assegno an


zidetto, da lui emesso in vita. 

La censura di �omesso esame dei documenti indicati, per quanto 

esatta, non ha rilevanza ai fini di una decisione diversa da quella 

adottata dai primi giudici. 

Statuisce infatti il citato art. 45, secondo comma, della legge tri


butaria sulle successioni, che sono ammessi in deduzione i soli debiti 

certi e liquidi nascenti da scritture private che abbiano acquistato data 

certa anteriormente all'apertura della successione in uno dei modi 

indicati dall'art. 1327 e.e. 1865 (art.~ 2704 e.e. vigente) ,con esclu


sione della morte o della fisica impossibilit� del sottoscrittore. 

Oppone l'Amministrazione finanziaria-' e nulla i ricorrenti hanno 
dedotto in contrario -che le scritture di cui si addebita l'omesso 
esame ai giudici del merito, non avevano acquistato in alcuno dei 
modi predetti, quella certezza di data come innanzi prescritta e senza 
la quale non pu� ad esse attribuirsi l'effetto preteso. 

E, poich� frustra probatur quod probatum non relevat, � mani


I

festo che l'esame di una siffatta prova documentale, se pur fosse so


I

stanzialmente favorevole agli eredi Bottazzi, non potrebbe, in mancanza I 
dell'altro requisito formale della certezza di data tassativamente riI 


I

chiesto dalla legge, consentire la deduzione del debito di cui trattasi dal 

I 

l

valore dell'asse ereditario. I 
Pertanto, la Corte d'appello non � incorsa nella denunciata violal 
zione-della norma del citato art. 45 e poich� i documenti prodotti dai l 

I 

ricorrenti sono privi del predetto, essenziale requisito relativo alla ! 
l 
certezza della data, il ricorso deve essere respinto incorrendo i ricor


l 

renti nella perdita del deposito. -(Omissis). 

!l 

f 

CORTE DI CASSAZIONE. Sez. I, 11 novembre 1969, n. 3670 -Pres. 
Stella Richter -Est. Berarducci -P. M. Cacdoppoli (conf.) -Ministero 
delle Finanze' (avv. Stato Salvatori) c. Soc. Saim (avvocato 
Gaeta). 

Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Dichiarazione a sana


toria dei redditi degli anni anteriori al 1950 -Facilitazioni -Si 

estendono anche ai redditi da dichiarare quale sostituto d'imposta. 

(1. 11 gennaio 1951, n. 25, art. 33). 
Le facilitazioni previste daU'art. 33 della legge 11 gennaio 1951, 

n. 25, per le dichiarazioni a sanatoria dei redditi degli anni 1949 e 

1166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

precedenti, 1�iferite a tutti i contribuenti, si applicano sia per i redditi 
propri del dichiarante sia per quelli altrui per i quali il dichiarante 
� per legge sostituto di imposta agli effetti dell'accertamento e 
del pagamento (1). 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso si censura la sentenza 
impugnata per avere ritenuto che le particolari e transitorie agevolazioni 
previste dall'art. 33 della legge 11 gennaio 1951, n. 25, si applichino 
ai contribuenti non solo per le dichiarazioni di redditi propri, 
ma anche per le dichiarazioni di redditi altrui, sui quali essi siano 
tenuti, in forza di disposizioni �di legge, a pagare l'imposta. in luogo 
degli effettivi percettori; con diritto di rivalsa. Si assume che fa formulazione 
letterale della norma dell'art. 33 sopra citato, indicando, 
come oggetto della dichiarazione costituente il presupposto delle agevolazioni, 
� i redditi conseguiti� � tale da escludere, dall'ambito di applicazione 
della norma stessa, l'ipotesi del contribuente che dichiari i 
redditi altrui, in quanto l'espressione �redditi �Conseguiti � ha lo stesso 
significato dell'espressione �redditi propri � usata nell'art. 15 t.u. 24 
agosto 1877 n. 4021 in contrappostizione ai redditi altrui. Si afferma 
che non � possibile neppure una interpretazione estensiva della norma 
in questione, mancando, in relazione al caso del contribuente che dichiari 
redditi altrui, la eadem ratio in quanto detta norma � volta ad 
eliminare con un provvedimento di carattere generale, tutte le contestazioni 
pendenti sulla entit� del� reddito, contestazioni le quali non 
potevano interessare i contribuenti per rivalsa, obbligati al pagamento 
dell'imposta in luogo di altri e non in proprio, e non erano neppure 
ipotizzabili con riferimento all'ammontare del reddito imponibile relativo 
agli interessi passivi pagati dal dichiarante su obbligazioni da lui 
emesse, essendo in tal caso, l'ammontare del reddito assolutamente 
certo.. 

Il motivo � infondato. 

Devesi, innanzi tutto, rammentare che, in tema di interpretazione 
delle leggi, il significato tecnico-giuridico delle locuzioni adoperate in 
una determinata norma e, quindi, il precis� contenuto di questa, non 
possono essere colti se non inquadrando la �norma stessa nel contesto 
della legge in cui � inserita. 

Nel caso specifico �, pertanto, di fondamentale rilevanza il fatto 
che la legge n. 25 del 1951 � una legge avente carattere generale, nel 
senso che essa, ai fini della perequazione tributaria, disciplina la ma


\ 

(1) Identica � la coeva sentenza n. 3671. Non si rinvengono precedenti 
specifici. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1167 

teria della dichiarazione e dell'accertamento di tutti i redditi soggetti 
alle imposte dirette, ivi compresi, ovviamente, anche quei redditi soggetti 
all'imposta di ricchezza mobile per i quali l'obbligo di farne la 
denuncia e di pagare la relativa imposta ricade, non sul reddituario, 
ma sul soggetto debitore del reddito stesso. Inquadrata, quindi, la 
norma' in questione in tale legge, la prima osservazione che si impone 
� che la norma stessa non contiene alcuna specificazione in ordine 
ai contribuenti in essa menzionati. Essa, infatti, non specifica se i contribuenti 
cui viene concesso -con la esenzione da ogni penalit� e con 
il beneficio previsto dal secondo comma dello stesso articolo -la facolt� 
di dichiarare i redditi non dichiarati in precedenza, e di rettificare 
in aumento i redditi dichiarati o confermati 'col silenzio, siano 
unicamente i contribuenti tenuti alla dichiarazione dei redditi e non 
anche i contribuenti tenuti, oltre che alla dichiarazione dei redditi 
propri, anche alla dichiarazione dei redditi altrui. 

Ci� significa che il termine � contribuenti � � stato adoperato in 
armonia con il �carattere generale della legge in �Cui la norma � 'collocata, 
con riferimento pertanto, a tutti i contribuenti considerati dalla 
legge medesima presa nel suo complesso, ossia anche ai c�ntribuenti 
tenuti alla dichiarazione dei redditi altrui, -con la conseguenza che la 
successiva locuzione � redditi conseguiti � riferita ai contribuenti tenuti 
alla dichiarazione anche dei redditi altrui, oltre che ai contribuenti 
tenuti alla dichiarazione dei soli redditi propri, non ha, non pu� avere 
il significato ristretto di e redditi propri del dichiarante � o di � redditi 
conseguiti dal dichiarante �, come pretende la ricorrente, ma ha il solo 
significa~o che la logica �consente attribuirle, cio� il significato di � redditi 
conseguiti dal soggetto pas,sivo della imposta �. 

Questa interpretazione � confortata, peraltro, dalla ratio della 
norma che, volta a stimolare, per il conseguimento �della perequazione 
tributaria, quei contribuenti che avevano omesso la dovuta dichiarazione 
dei redditi, o avevano presentato una dichiarazione non 
veritiera, a regolarizzare entro un determinato termine la propria situazione 
tributaria, impedisce, in difetto di un qualsiasi particolare 
motivo, di ritenere che dalla previsione della norma stessa si siano 
volute escludere le irregolari situazioni tributarie aventi ad oggetto i 
redditi tassati per rivalsa. A questa ingiustificata conclusione, infatti, 
si perverrebbe seguendo la tesi della ricorrente, in quanto non devesi 
dimenticare che alla data della pubblicazione della legge n. 25 del 
1951, l'obbligo della dichiarazione dei redditi tassabili in via di rivalsa, 
non essendo mai entrato in vigore il d.l.l. 24 agosto 1945, n. 585, che 
all'art. 14 poneva l'obbligo della dichiarazione di tali redditi a carico 
anche del percipiente, oltre che del debitore del reddito, e non sussistendo 
ancora il t.u. sulla dichiarazione annuale dei redditi, approvato 

13 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con d.P.R. del 5 luglio 1951, n. 573, che nell'art. 5 ha recepito la 
norma dell'art. 14 del detto decreto legislativo luogotenenziale, gravava 
unicamente, per effetto dell'art. 15 del t.u. 24 agosto 1877, 

n. 4021, sul debitore del reddito, ossia sul sostituto di imposta. 
�Posto, dunque, che la norma in questione si riferisce anche ai contribuenti 
tenuti, per legge, a dichiarare i redditi altrui, ne conse:gue 
l'assoluta inconsistenza dell'assunto della ricorrente, secondo cui l'applicazione 
dell'anzidetta norma nei confronti del contribuente per rivalsa 
sarebbe in contrasto con la ratio di essa in quanto detto dichiarante 
sarebbe privo di interesse nei confronti delle contestazioni tributarie 
che riguardano il soggetto passivo dell'imposta. 

Giova, d'altra parte, aggiungere che non � neppure esatto che il 
sostituto di imposta non sia interessato all'accertamento dell'imposta 
che egli deve pagare in sostituzione del soggetto passivo dell'imposta 
medesima. Basta infatti ricordare che il sostituto di imposta prende il 
posto del soggetto passivo nell'intero rapporto tributario ed �, pertanto, 
obbligato a compiere tutti gli atti relativi all'accertamento del-
l'imposta, con la conseguenza che ove egli non adempia tale obbligo, 
pu� essere ritenuto responsabile nei confronti del sostituito. 

Del pari inconsistente �, poi, la tesi secondo cui il beneficio in 
questione � inapplicabile nel caso in cui l'oggetto della dichiarazione 
sia costituito 'da un reddito il cui ammontare, essendo certo, come nel 
caso degli interessi pagati da una societ� commerciale sulle obbligazioni 
da essa emesse, non pu� dar luogo ad alcuna contestazione. La 
norma del primo comma dell'art. 33 in oggetto, che � quella nel caso 
applicabile, inteso come si � gi� detto, a stimolare, ai fini del conseguimento 
della perequazione tributaria, i contribuenti i quali non avevano 
presentato la dovuta dichiarazione dei redditi o avevano presentato 
una dichiarazione non veritiera, a regolarizzare la propria situazione 
tributaria, presuppone unicamente l'omessa presentazione della 
dichiarazione prescritta dalla legge, o la presentazione di una dichiarazione 
non veritiera, e quindi, prescinde completamente alla contestabilit�, 
o meno, dell'ammontare dei redditi oggetto della dichiarazione. 

� N� giova, infine, opporre che l'applicazione del beneficio in questione 
al sostituto di imposta si risolverebbe in un ingiustificato regalo 
del fsco ad un soggetto del rapporto tributario che paga imposte per 
conto di altri e che sugli altri si rivale di tale pagamento. Non si considera, 
infatti, che proprio per effetto del diritto a rivalsa, il soggetto 
che, in definitiva, gode del beneficio, � il sostituito e non il sostituto 
d'imposta, presupponendo l'azione di rivalsa, che compete a quest'ultimo, 
l'effettivo p~gamento del tributo. 

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con le conseguenze di legge. (
Omissis). 


PARTE I, SEz, V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez.. I, 14 novembre 1969, n. 3706 -Pres. 
Favara -Est. Miele -P. M. Del Grosso (conf.) -Salomone (avv. 
Vicentini e Ivaldi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 

Imposta di registro -Societ� -Trasferimento di quote di societ� a re


sponsabilit� limitata -Tassa fissa ex art. 108 della tariffa ali. A 


Pa,g1:1:tn,ento contestuale del prezzo -Necessit� -Nozione. 

(i'.d/3� dicembr� l.923, n. 3269, tariffa ali. A art. 1�8; 1. 6 agosto 1954, n. 603, 
art. 36). 

La �usa fiS'sa di cui ali'art. 36 della legge 6 agosto 1954, n. 603, 
clie htt sostituito l'art. 108 della tariffa all. A della legge di regiS'tro, 

..�.� �.� �.�.�.�.�.�..��.��.�.�.�.�.� ..�. ��.�.�� .. . . 

~ ':f'l>l>~Ca alle Mg9~iazi<>ni di azi<>ni ed obbligazioni di societd. nazionali 
ed .ei't�re solo quando� il pagamento del corrispettivo �della ces~
i<;ine .<Wvi~ne (!'Ont�stit�~me:nte. a questa in uno dei modi specificati in 
4ettQ. atticolo {e cio� .con denaro, azioni od obbligazioni). Pert�nto, dc-
h.e~o U pagamen.to de:Z �prezzo avven.ire insieme al tTasferimento del 
titolo, ne consegue che di tale presupposto debba farsi menzione nel. 
l'atto stesso con la ape�if�cazione anche del mezzo di pagamen,to (de


naro, azioni od obbZigazioni). (1). 

(OrtiissiS'). -Con l'unico motivo. il ricorrente, deducendo la violazione 
d�ll'art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all'art. 108 della tariffa 
all. A alla legge di r�gistro, sostiene che la Corte di merito abbia errone�m�nte 
esclusa tapplicabilit� nella specie dell'art. 108,cit. in quanto, 
invece, la contestualit� del pagamento d�l prezzo pu� essere desunta 
da ordinade. esp:�essioni e non occonono speciliche espressioni di quietanza. 
Nel caso di specie, la Corte di merito non a\Teva considerato che 
si trattava di cessioni di quote di una societ� a responsabilit� limitata 
soggetta al� regime dell'art. 108 della tariffa ali. A e che, essendosi de


(1) In ordine allo specifico problema di cui alla controversia decisa 
dalla sen~nza Jn esame de\Te ricordarsi che in questa Rassegn� 1964, I, 
582 � stata criticata la sentenza 16 aprile 196~, n. 902 con cui la Cassazione 
aveva affermato che ., il pagamento del prezzo in denaro non contestualmente 
all'atto (di trasferimento di quote di societ� a responsabilit� limitata) 
non esclude la registrazione a ta-Ssa fissa; irempre. che il pagamento 
stesso non escluda essersi trattato di operazione che non esUli dalla pura 
commerciabilit� delle quote �. In quella occas1one si sono esposte le ragioni 
che giustificano una pi� rigorosa e puntuale applicazione dell'articolo 
108 della tariffa all. A, il quale fa del requisito della contestualitd del 
pagamento del prezzo in denaro o titoli un elemento essenziale ed insostituibile 
per la applicazione della tassa fissa in parola. 
Ora la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame e con altre otto 
di pari data fino alla n. 3714, ha confortato pienamente quelle osservazioni, 
in tal modo confermando le affermazioni di cui alla precedente sentenza 
29 settembre 1964, n. 2410, in questa Rassegna, 1964, I, 957. 



1170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

terminato il valore nominale della quota, si doveva ritenere �che questo 
equivalesse al pagamento del prezzo. Aggiunge il ricorrente che, trattandosi 
di atto soggetto alla tassazione surrogatoria, ci� � sufficiente 
ad escludere fa tesi della Corte di merito non risultando n� dall'atto 
n� da elementi a questo esterni che il pagamento non fosse stato contestuale 
alla cessione. 

La censura � infondata. Invero, come ha gi� ritenuto questa Suprema 
Corte (Cass., 23 settembre 1964, n. 2410), la tassa fissa di cui 
all'art. 36 della legge 6 agosto 1954, n. 603, che ha sostituito l'art. 108 
della tariffa all. A della legge di registro, si applica alle negoziazioni 
di azioni e obbligazioni di societ� nazionali ed estere solo quando il 
pagamento del corrispettivo della cessione a'[venga contestualmente 
a questa in uno dei modi specificati in detto articolo (e cio� denaro, 
azioni od obbligazioni). Invero in detto articolo si condiziona espres.
samente l'assoggettamento alla tassa fissa al presupposto che: � il 
prezzo sia pagato nell'atto stesso dall'acquirente �con denaro, con azioni 
od obbligazioni �. Pertanto, dovendo il pagamento del prezzo avvenire 
insieme al trasferimento del titolo, ne viene che di tale presupposto 
debba farsi menzione nell'atto stesso con la specificazione anche del 
mezzo di pagamento usato (denaro, azione od obbligazione). Indubbiamente 
non � necessario all'uopo che �si faccia uso di una formula 
sacramentale, ma � indispensabile che l'atto attesti, in un qualsiasi 
modo, che il pagamento � avvenuto. Che tale requisito della contestualit� 
possa aversi anche quando il prezzo sia gi� stato pagato, � 
stato ritenuto da questa Suprema Corte con sentenza 16 aprile 1964, 

n. 902, ma di ci�, in quel caso esaminato, si era espressa menzione 
nell'atto di trasferimento dei titoli esaminato dalla Corte. 
Pertanto, qualora manchi la menzione del pagamento contestuale, 
a tale mancanza non potrebbe supplirsi col riferimento ad atti o documenti 
estranei all'atto da tassare o tanto meno presumersi il pagamento 
contestuale in base ad es. alla natura onerosa dell'atto, come 
.sostiene il ricorrente. 

Il ricorrente accenna che, accogliendosi tale tesi a carattere restrittivo, 
si assoggetterebbe il trasferimenfo a duplice tassazione ma 
anche tale rilievo non ha fondamento. Innanzitutto non in ogni caso 
la duplicazione di tassazione � illegittima quando vi sia una precisa 
volont� di legge, ma tale questione poteva proporsi nel vigore dell'art. 
108 della tariffa ali. A nella sua formula originaria, nella quale si 
considerava azioni ed obbligazioni: � soggette alla tassa .�.annuale di 
negoziazione � onde poteva ricavarsi la ratio di evitare la doppia imposizione. 
Attualmente per� la formula dell'art. 108, come � stata modificata 
dall'art. 36 della legge 6 agosto 1954, n. 603, non menziona pi� 
la tassa di negoziazione, soppressa dall'art. 26 della stessa legge e a 
questa non pu� ritenersi sostituita: la imposta delle societ�, istituita con 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1171 

detta legge (ora art. 145, t.u. 29 gennaio 1958, n. 645) la quale costituisce 
un nuovo tributo in quanto ha per oggetto non gi� la suscettivit� 
di negoziazione dei titoli e degli atti contemplati dalla legge 3 
settembre 1949, n. 1173, ma il patrimonio ed il reddito della societ�, 
patrimonio e reddito da determinare con i criteri posti dagli artt. 2 e 
segg. della legge stessa (ora art. 145 t.u. imposte dirette). Pertanto 
deve concludersi che fa tassazione degli atti di negoziazione dei titoli 
secondo l'attuale art. 108 della tariffa ali. A, costituisce un regime 
speciale tributario, soggetto alle precise condizioni indicate nello stesso 
articolo e non pu� sorgere alcuna que1stione di eventuale doppia 
imposizione. 

Posti tali principi giuridici ai quali si � attenuto il giudice di merito, 
l'interpretazione dell'atto di trasferimento dei titoli nel senso 
che contenga oppure no la menzione del contestuale pagamento, costituisce 
una questione di fatto, rimessa al giudice di merito, onde la 
motivazione adottata se congrua e corretta e compiuta con la osservanza 
delle norme interpretative dei contratti si sottrae a censura in 
questa sede di legittimit�. La Corte di merito ha esaurientemente motivato 
circa la mancanza nell'atto della menzione del contestuale pagamento, 
onde la sentenza nori merita censura. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 novembre 1969, n. 3802 -Pres. 
Rossano -Est. Usai -P. M. Chir� (conf.) -Chiesa Maria v�ed. Gal�ssi 
ed altri (avv. Pazienza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Sorce). 

Imposta di registro -Associazione in partecipazione -Base imponibile 


Conferimento dell'uso temporaneo di immobili -Tassazione ri


ferita al valore della propriet� degli immobili -Legittimit�. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa ali. A art. 81). 
Nel caso di una associazione in partecipazione costituita col conferimento 
dell'uso temporaneo di immobili, la base imponibile per la 
applicazione dell'imposta di registro � costitJUita, ai sensi dell'art. 81 
della tariffa all. A, dal valore del conferimento, e cio� dal valore degli 
immobili, a prescindere dalla natura del diritto su di essi conferito 
nell'associazione (1). 

(1) La presente sentenza, che nelle linee generali relative al sistema 
di tassazione del contratto di associazione in partecipazione si adegua alla 
giurisprudenza consolidata per cui si veda da ultimo Cass. 30 dicembre 
1968, n. 4082, in questa Rassegna, 1968, I, 1106 con nota di R. SEM

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Con il primo mezzo i ricorrenti, deducendo la violazione 
o la falsa applicazione dell'art. 8 della legge di registro in relazione 
all'art. 360, n. 3, c.p.c., sostengono che la Corte del merito non 
ha tenuto presente la disposizione del citato art. 8, per cui l'imposta 
di registro deve essere applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti 
dell'atto. e, cio�, individuando la vera natura del contratto concluso 
e applicando l'imposta ai soli rapporti compresi nell'effettivo 
contenuto dell'atto. 

Invece, bench� nella scrittura privata, della cui registrazione si 
trattava., fosse stato conferito esclusivamente l'uso temporaneo :dell'immobile 
per destinarlo ad albergo, la Corte del merito aveva ritenuto 
che l'imposta dovesse calcolarsi come se fosse stata conferita la propriet�, 
andando in tal modo fuori dal contenuto dell'atto ed in contrasto 
con la natura dello stesso. 

Ci� senza alcuna giuridica ragione perch� non esisteva alcuna 
norma secondo la quale il conferimento dell'uso di un bene dovesse 
tassarsi in base al valore della propriet� di esso. Infatti la nota all'art. 
81 della tariffa allegato A della, legge di registro disponeva che 
l'imposta si applicava sul valore dei beni conferiti, ragione per cui se 
il bene conferito era costituito dall'uso di un immobile, doveva essere 
assoggettato ad imposta il valore dell'uso e non quello della propriet�. 

Il motivo � infondato. 

Il richiamo all'art. 8 della legge di registro �, invero, inconferente 
perch� � certo e pacifi.co che nell'atto in questione l'immobile venne 
conferito in uso nella associazione in partecipazione stipulata dalle 
parti per la durata di �cinque anni, salvo tacita rinnovazione annuale. 
Non esiste, quindi, alcuna controversia sulla intrinseca natura e gli 
effetti di tale atto. 

Il problema �, invece, altro : se, per tale conferimento in uso, la 
base imponibile dell'imposta di registro debba essere costituita dal valore 
dell'immobile come nel caso di conferimento in propriet�. 

BIANTE, deve essere segnalata per aver posto l'accento sul fatto che, non 
soltanto il conferimento tassabile pu� essere costituito dalla cessione in 
semplice uso o godimento di un bene, ma, anche in tale caso, la base imponibile 
deve essere costituita dal valore lordo del bene conferito, senza 
alcuna rilevanza della natura del diritto su tale bene attribuito all'associante. 


In proposito appare esattissima la considerazione che, anche nel caso 
di conferimento in propriet�, il bene deve essere restituito all'associato, 
in natura o per tantundem anche come liquidazione di quota, al cessare 
del r�pporto, onde, in definitiva, oltre che dal pun1o di vista tributario, 
anche da quello di diritto comune, la distinzione tra conferimento in propriet� 
e in uso nell'associazione in partecipazione, non ha rilevanza fondamentale. 


:-:-:�

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1173 

L'argomento addotto dai ricorrenti per escludere l'equiparazione 
� tratto dalla nota all'art. 81 della tariffa ali. A alla legge di registro 
che dispone: � L'imposta si applica sul valore lordo dei beni �conferiti 
in societ� �. Ci� in quanto i � beni conferiti � sarebbero nella specie 
costituiti dall'uso dell'immobile. 

Tale interpretazione � erronea dato che la nota ha riferimento 
al valore lordo dei beni conferiti ed � quindi ad essa estranea ogni 
considerazione irelativa, anzich� ai beni e al loro valore, alla natura 
dei diritti sui beni conferiti. 

L'argomento pu� ritorcersi contro la tesi dei ricorrenti rilevamiosi 
che la norma stabilisce che la determinazione della base imponibile 
deve essere eseguita calcolando il valore lordo dei beni conferiti, ma 
non menziona, escludendo con ci� per il contenuto stesso della previsione 
che concerne l'aspetto economico del bene come tale, che debba 
essere, considerata la natura del diritto trasmesso sul bene conferito. 

Ma l'argomento risolutivo non � costituito da tale nota, ma dall'intera 
disposizione del citatO art. 81, che per determinare l'oggetto 
dell'imposta usa sempre il termine � conferimento., che nel diritto 
privato � di significato amplissimo, dato che comprende ogni prestazione 
e quindi qualsiasi bene o diritto che abbia valore di uso o di 
scambio. Da ci� il principio che la tassazione ha luogo anche a prescindere 
da un trasferimento della propriet� o di altro diritto, giacch� 
essa colpisce il conferimento in s�, vale a dire l'apporto dei beni-alla 
societ� o all'associazione. Tanto � vero che l'imposta � stata ritenuta 
applicabile anche ai beni conferiti dall'associante, nonostante che essi 
rimangano di sua propriet�, non potendo essere trasferiti alla associazione, 
che non ha autonomia patrimoniale (Cass., S�z. Un., 18 febbraio 
1963, n. 391). ~: 

Del resto, anche nel caso di beni conferiti dall'associato mediante 
il trasferimento in propriet� degli stessi all'associante, quest'ultimo � 
sempre tenuto alla loro restituzione alla fine del rapporto: in natura, 
se il �conferimento � stato fatto con tale patto, ovvero, in �caso diverso, 
mediante il pagamento del loro valore. E quindi la differenza tra il 
conferimento nella associazione in propriet� o in uso risulta nella 
sostanza molto attenuata e non tale da esigere una diversa tassazione. 

Col secondo mezzo i ricorrenti, deducendo ai sensi dell'art. 360, 

n. 5, c.p.c. l'omesso esame di fatti decisivi, censurano la sentenza impugnata 
per non aver motivato sulle segitenti eccezioni, da essi svolte 
nella comparsa conclusionale 28 ottobre 1964: 
1) Nella scrittura 1� giugno 1946 era stabilito che il �corrispettivo 
per il conferimento in uso del fabbricato era costituito dal 25% 
degli incassi dell'albergo, ed in conto di tali futuri corrispettivi erano 
state versate L. 800.000, le quali non cessavano di essere un corrispettivo, 
per quanto parziale, e come tali erano state considerate dall'Uf


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1174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ficio del registro, che aveva basato sulla detta somma la sua tassazione. 

Dopo tale accertamento, quindi, si sarebbe potuto promuovere la 
apposita p:rocedura per l'accertamento del maggior valore della .cosa 
conferita entro il termine perentorio di cui all'art. 21 del r.d.1. 7 agosto 
1936, n. 1639, modificato con la legge 19 febbraio 1942, n. 133, ma 
non era consentito accertare l'imposta in via suppletiva sul conferimento 
della propriet� dell'immobile. 

2) Dato che in sede di registrazione non erano stati tassati i beni 
i:iegli associati, era legittimo l'acceramento della imposta suppletiva, ma 
solo limitatamente all'arredamento dell'albergo, non anche dell'avviamento, 
del quale nella scrittura 1� giugno non si parlava. 

3) Sul conferimento dell'uso dell'albergo non era dovuta l'imposta 
di �conferimento di beni immobili, ma quella di "Conferimento di beni 
mobili, perch� il godimento conferito non era di natura reale, ma 
personale. 

Anche questo motivo � infondato. 

La Corte d'appello ha, invero, motivato diffusamente sulla eccezione, 
oggetto della prima censura, considerando che la fattispecie 
non concerneva un accertamento di maggior valore, giusta il procedi


, mento di cui al d.1. 7 agosto 193'6, n. 1639, dato che tale procedimento 
partiva dal presupposto della esatta identificazione del bene e 
del diritto tassabile e trovava ragione nella non congruit� dei valori 
dichiarati dalle parti o determinati dall'ufficio. Nella specie, era stato, 
invece, eseguito un accertamento suppletivo di imposta, fondato su 
una diversa identificazione dei diritti e dei beni da valutare e da porre 
a base del calcolo per la dete�rminazione della base imponibile, e per 
tale accertamento la legge non prevedeva una particolare procedura 
di liquidazione in con.$raddittorio col co;ntribue:r:ite preliminarmente 

.all'instaurazione dell'azione di riscossione e non richiedeva la proposizione 
di speciali atti entr~ termini perentori. 

E in proposito la Corte del merito ha compiuto approfondita indagine 
-circa la volont� manifestata e attuata dall'Ufficio all'atto della 
registrazione, dopo aver esaminato e confutato tutti gli argomenti addotti 
dagli eredi Galassi ed in particolare .la tesi che la somma di lire 

800.000 costituisce il corrispettivo o il valore dell'uso dell'immobile 
oggetto del conferimento. A confutazione di tale argomento la Corte 
ha chiarito che l'Ufficio assumendo a base della tassazione il valore 
di L. 800.000, non aveva inteso riferirsi all'immobile conferito, bensi 
al valore da attribuire ai .fini fiscali al contratto di associazione; valore 
che l'Ufficio stesso aveva erroneamente ritenuto che si dovesse rapportare 
al corrispettivo stabilito in favore dell'associato�, anzich� al 
valore lordo dei beni conferiti, errando inoltre. una seconda volta nel 
ritenere che detto corrispettivo fosse costituito dalla somma di lire 
800.000, dalle parti invece fissato come semplice acconto. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1175� 

Deve, dunque, escludersi che sussista l'omesso esame di cui al n. 1). 

La censura di cui al n. 2) non riguarda un punto decisivo, bens� 
un semplice argomento privo di tale valore, perch� dalla circostanza che� 
la scrittura 10 giugno 1946 non menzionasse l'avviamento non poteva 
certo dedursi che esso non fosse compreso nell'oggetto dei conferimenti 
complessivamente fatti dall'associato e dall'associante (Cass., 
Sez. Un., 18 febbraio 1963, n. 391). 

La motivazione svolta dalla Coi:te di Appello, ha escluso, per implicito, 
la validit� del detto argomento, dato che in essa � chiarito che 
dovevano essere assogg�ettati ad imposta, appunto, tutti i conferimenti 
si.a dell'associato che dell'associante, secondo i valori effettivi, e che da 
ci� conseguiva che nella specie l'oggetto della somma di tali conferimenti 
era costituito da un'azienda alberghiera, della quale l'avviamento 
costituiva un attributo. 

La censura di cui al n. 3) non concerne l'omesso esame di un fatto,. 
ma una questione di diritto; se, cio�, sul conferimento dell'uso di un 
immobile adibito ad albergo fosse applicabile, invece dell'imposta per 
il conferimento di beni immobili, quella stabilita per il conferimento 
di beni mobili, in quanto il conferito godimento non sarebbe di natura 
reale, ma personale. 

E la fondatezza di tale questione di diritto risulta, implicitamente, 
ma chiaramente esclusa da tutta la motivazione della sentenza impugnata, 
dato che in essa si dimostra, come � stato chiarito nell'esame del 
primo mezzo, che per determinre l'imposta, non deve farsi riferimento� 
alla natura del diritto che viene trasmesso sul bene conferito, bens� 
alla natura del bene conferito, che� costituisce l'oggetto dell'imposizione. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 dicembre 1969, n. 4007 -Pres. 
Pece -Est. Falletti -P. M. Pandolfelli (diff.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Lancia) c. Cassa Centrale di Risparmio Vittorio 
Emanuele. 

Imposta di registro -�Cessioni di crediti verso la pubblica Amministrazione 
in relazione a finanziamenti concessi da aziende ed enti 
di credito a favore di ditte commerciali e industriali -Aliquota 
ridotta -Correlazione fra i negozi -Criteri di determinazione Apprezzamento 
del giudice di merito -Fattispecie. 

(r.d. 30 dicembre 1933, n. 3269, tariffa A. art. 4 lett. c. e nota aggiunta, art. 28 
lett. e; 1. 4 aprile 1953, n. 261, art. 1 e 2). 
Il beneficio della registrazione con l'aliquota ridotta di cui alla 
lettera c) deU'art. 4 tabella A della legge di registro � a.pplicabile 



1176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alle cessioni di crediti verso la Pubblica amministrazione connesse con 
finanziamenti concessi da aziende ed enti di credito a favore di ditte 
commerciali e industrali, quando fra i due negozi sussista una stretta 
ed assoluta dipendenza tale che la cessione non possa essere utilizzata 
per operazioni diverse da quelle previste nell'atto. Non � censurabile 
la motivazione della sentenza di merito che abbia ritenuto impossibile 
l'estensione degli effetti della cessione in base ad una clauso�la contrattuale 
che consente alla banca di �.tilizzare il credito ceduto � per 
rivalersi di ogni altro suo credito semprech� attinente o dipendente 
dalla presente cessione o dal presente finanziamento � (1). 

(Omissis). -I due motivi del ricorso, �con cui, sotto il profilo sostanziale 
delle norme regolanti la fattispecie (artt. 4 e 28 lett. e della 
tariffa ali. A legge di registro; artt. 1 e 2 leg~e 4 aprile 1953, n. 261) 
e sotto il profilo complementare dei criteri interpretativi dettati dalla 
stessa legge di registro (art. 8), si denunciano violazioni ed omissioni 
di uguale o concorrente contenuto, sono entrambi infondati. 

Le norme citate �consentono il beneficio della registrazione con 
aliquota ridotta per le cessioni di crediti verso pubbliche amministrazioni 
e per i finanziamenti corrispettivamente concessi dalle aziende 
di credto soggette alla disicplina del d.l. 12 marzo 1936, n. 375 (un 
trattamento di favore inteso ad agevolare la provvista dei capitali 
necessari per pubbliche forniture), purch� negli atti relativi siano spe.cificamente 
indicate le operazioni cui essi si riferiscono e purch� la 
loro efficacia non sia estesa ad altre operazioni. Quindi, per poter fruire 
del beneficio, oecorre che tra le due operazioni di finanziamento e di 
cessione sussista una stretta ed assoluta interdipendenza: l'atto di ces


(1) Identiche sono le sentenze in pari data n. 4006, 4008 e 4009. 
Sulla questione v. le due note di C. BAFILE, Considerazioni sul trattamento 
fiscale delle cessioni di credito connesse ad operazioni bancarie di 
finanziamento, in questa Rassegna, 1966, I, 1308, e Nuove �onsiderazioni 
sul trattamento fiscale delle cessioni di credito connesse con operaziolJi 
bancarie di finanziamento, ivi, 1969, I, 273. La S.C. si mostra ancora una 
volta arrendevole verso il giudicato di merito; viene cos� avallata l'affermazione 
non certo persuasiva che per assicurare in modo rigoroso l'esclusiva 
dipendenza della cessione dal finanziamento pattuito e, a tal fine, 
limitare i normali effetti della cessione, � sufficiente la clausola del negozio 
che consente alla banca di utilizzare i proventi della cessione � per rivalersi 
di ogni altro suo credito sempre che attinente o dipendente dalla 
presente cessione o dal presente finanziamento �. Una tale clausola non 
solo non vieta alla banca di compensare i proventi della cessione con 
altri suoi crediti ma espressamente consente l'impiego della cessione 
non soltanto per coprire il finanziamento previsto nell'atto, ma anche per 
soddisfare ogni credito attinente o dipend�nte, che � necessariamente un 
credito diverso da quello direttamente nascente dal negozio di finanzia


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1177 

sione deve essere concepito e congegnato in modo tale da escludere 
ab origine che il medesimo, durante lo svolgimento del rapporto, possa 
servire ad operazioni diverse da quelle in esso specificate. 

La ricorrente critica la sentenza impugnata perch� questa, nell'esame 
dell'atto e nella verifica della sua rispondenza ai detti requisiti, non 
�avrebbe considerato le contrastanti caratteristiche delle seguenti -clausole: 
a) la possibilit� di utilizzare � rotativamente � il finanziamento 
mediante un conto corrente; b) l'obbligo imposto al cedente di soddisfare 
il credito della Cassa anche indipendentemente dalla cessione; 
e) l'ultrattivit� della �cessione rispetto al finanziamento; d) la sproporzione 
tra l'importo del finanziamento e l'importo del credito ceduto. 

La sentenza si � invece soffermata con particolare, sia pur suc


cinta, analisi su ciascuno dei punti cosi rilevati, spiegando come per 

sua natura la �cessoine, poich� essa doveva garantire il rimborso delle 

somme anticipate dalla Cassa, non poteva che perdurare, restare cio� 

ultrattiva, fin quando non fosse esaurita l'operazione di finanziamento; 

che il divario tra l'importo del credito ceduto e l'importo del finan


ziamento er:a soltanto apparente, perch� proprio la eccepita � rotati


vit� � del finanziamento ne comportava la reiterazione progressiva; 

che comunque una radicale ed esauriente confutazione a questa e alle 

altre obiezioni dell'appellante (odierna ricorrente) poteva desumel'\Si da 

un'ulteriore clausola dell'atto (art. 8) secondo cui � le somme riscosse 

dalla Cassa in esecuzione della cessione devono essere da essa esclusi


vamente trattenute a decurt!izione del suo credito per capitale, inte


ressi ed accessori del finanziamento; sui mandati da incassare l'Isti


tuto ha diritto di rivalersi per ogni suo credito semprech� attinente e 

dipendente dalla presente cessione e dal presente finanziamento �. La 

Corte d'Appello ha pertanto escluso che l'atto consentisse alla Banca 

mento, e perfino per ogni credito attinente o dipendente dalla cessione, 

che pu� non aver nulla a che fare con il finanziamento. 

� poi una vera abdicazione non rinvenire un vizio logico ed un errore 

giuridico nell'affermazione che una tale clausola costituisce un patto con


trario all'art. 1853 c. c.; il patto contrario ad una norma deve essere 

espresso e non pu� derivare per implicito da una clausola che definisce i 

poteri di una delle parti; stabilire le facolt� di un contraente non significa 

porre divieti per quel che non � previsto. Non si pu� partire dal presup


posto che tutto ci� che non � consentito � vietato; vale invece il principio 

contrario che ci� che non � vietato � consentito se esiste una facolt� am


messa dalla legge salvo patto contrario. � un ricorrente equivoco delle 

sentenze di merito ricercare tutte le rigorose limitazioni che in via di 

principio la S. C. ritiene necessarie nella sola clausola contrattuale che 

definisce i poteri concessi alla banca, clausola che non pu� contenere limi


tazioni dei poteri autonomamente posseduti dalla banca stessa; ma bisogna 

registrare una riluttanza della Corte regolatrice a rimuovere questi errori 

che solo apparentemente sono coperti dall'apprezzamento di merito. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di destinare legittimamente ad operazioni diverse i crediti incassati 
dalla Banca, anche nell'eventualit� che l'esazione potesse avvenire 
dopo l'interruzione e la revoca del finanziamento �. A tal fine sarebpe 
occorsa un'ulteriore manifestazione di volont� da parte del cedente, 
che, in termini perentori, � da escludere possa ritenersi inserita nell'atto 
oggetto della tassazione�. 

L'interpretazione data cosi alla scrittura e il convincimento trattone 
dal giudice di merito, correttamente espressi e logicamente ineccepibili, 
dimostrano con risolutiva completezza che sotto ogni riguardo 
il congegno del contratto era tale da soddisfare il requisito ed assicurare 
la permanenza dell'inscindibile connessione tra C�ssione e finan:ziamento: 
la Banca, secondo il limite rigoroso dell'art. 8 citato, non 
poteva rivalersi sulla cessio,ne di alcun suo credito che non rientrasse 
nel pattuito finanziamento. 

Nella natura appunto del 'limite, testual~ e sostanziale, e negli 
effetti obiettivamente circoscritti di cui l'atto era capace la Corte 
d'Appello ha parimenti ravvisato, secondo il criterio prescritto dall'articolo 
8 della legge di registro, la conferma anche sistematica delle 
sue precedenti considerazioni, dovendosi ancora ripetere che e nella 
specie la convenzione, obiettivament valutata, non solo non si presta 
ma anzi vieta alcuna utilizzazione e destinazione diversa da quella 
in essa stabilite: non �, cio�, atta a produrre, neppure potenzialmente, 
effetti diversi o contrastanti con quelli per i quali � stato 
concesso il beneficio tributario �; anche sotto questo aspetto qualsiasi 
frattura tra cessione e finanziamento � deve reputarsi impedita dalla 
rigorosa limitazione imposta nell'utilizzazione del credito ceduto �. 


(Omissis). 

CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, 12 giugno 1969, n. 3831 -Pres. 
Pellettieri -Est. Ceppaluni -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Pagano) c. Banca Commerciale Italiana (avv. Capaccioli). 

Imposta di registro -Solidariet� tributaria -Prescrizione -Pendenza 
del giudizio di opposizione all'ingiunzione o del ricorso alle commissioni 
tributarie -Interruzione permanente -Efficacia nei 
confronti degli altri coobbligati solidali -Sussistenza. 

(r.d. 30 dicembre 1923�. n. 3269, artt. 140 e 141; e.e. art. 1310). 
La sospensione della prescrizione durante il giudizio di opposizione, 
disposta dalL'art. 140 della legge� di registro, e la sospensione durante 
il procedimento dinanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi del. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1179 

.successivo art. 141, protraggono l'effetto interruttivo della domanda e 
del ricorso. Tali casi di interruzione perman~nte hanno effetto anche 
nei confronti dei coobligati solidali, a norma dell'art. 1310, primo comma, 
e.e. (1). 

(Omissis). -L'eccezione di prescrizione proposta con il primo 
motivo di gravame, � chiaramente destituita di fondamento. 

Invero l'appellante riconosce che, la prescrizione venne interrotta 
con la notificazione della ingiunzione alla condebitrice solidale soc. Lanificio 
Vesuvio e che tale interruzione opera anche nei suoi confronti 
ni virt� dell'art. 1310, primo cqmma, e.e. secondo il quale gli atti con 
i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori 
in solido hanno effetto riguardo agli altri debitori �. Sostiene per� che 
successivamente � decorso un nuovo periodo prescrizionale e che nei 
suoi confronti non opera la sospensione derivante dalle opposizioni 
proposte, in via giudiziaria e davanti alle Commissioni tributarie, dalla 
soc. Lanificio del Vesuvio, in quanto a norma dell'art. 1310, secondo 
comma, e.e., � La sospensione della prescrizione nei rapporti di uno 
dei debitori in f!Olido non ha effetto riguardo agli altri �. 

La erroneit� di tale assunto risulta evidente sol che si consideri che 
i casi di sospensione sono quelli tassativamente previsti dagli artt. 2941 

(1) In armonia con i principi affermati dalla Corte Costituzionale con 
le sentenze n. 48 del 16 maggio 1968 (in questa Rassegna, 1968, I, 859) e 
n. 139 del 28 dicembre 1968 (ibid. 1968, I, 927), la solidariet� tributaria, 
cui prima venivano riconosciute caratteristiche peculiari che la sottraevano 
alla disciplina dell'analogo istituto di diritto privato (v. Cass. 30 novembre 
1967, n. 2856, in Foro it., 1968, I, 426; Cassa. 2 ottobre 1962, n. 2800, 
in Riv. leg. fisc., 1963, 625; Cass. 19 giugno 1962, n. 1554, in questa Rassegna, 
1962, 144; Cass. 13 ottobre 1958, n. 3228, in Riv. leg., fisc., 1959, 230) 
viene ora considerata non dissimile dalla comune solidariet� e disciplinata 
dalle medesime norme (v. Cass. 20 gennaio 1969, n. 135, �in questa Rassegna, 
1969, I, 293, in tema di inopponibilit� agli altri condebitori solidali 
del giudicato intervenuto tra l'Amministrazione finanziaria ed un condebitore, 
ai sensi dell'art. 1306 primo comma c. c.; Cass. 28 ottobre 1969, 
n. 3534, in Foro it., 1969, I, 2764, secondo cui la mancata tempestiva oppo,
sizione alla ingiunzione fiscale da parte del contribuente, al quale l'ingiunzione 
stessa � stata notificata, non impedisce all'altro condebitore 
.solidale, cui l'ingiunzione sia stata successivamente notificata, di proporre, 
.a sua volta, opposizione). 
Sulla base, appunto, delle norme del codice civile relative alle obbli.
gazioni solidali, la sentenza che si annota ha deciso il caso di specie. Nel 
.sistema del codice civile vigente la sospensione della prescrizione ha luogo 
nei soli casi previsti dagli artt. 2941 e 2942 c. c., mentre sono state espres.
samente abrogate tutte le altre cause di sospensione (art. 247 disp. att.), 



uso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e 2942 e.e. e tutti riconducibili a situazioni strettamente pel'Sonali del 
soggetto che viene preso in considerazione nei suoi rapporti con l'altro 
soggetto dell'obbligazione (art. 2941) oppure in se e per se (art. 2942). 

Il secondo comma dell'art. 1310 si riferisce proprio a queste ipotesi 
e costit�isce un'applicazione del principio gen~rale che, in mate;
ria di obbligazione solidali, gli atti o fatti strettamente personali 
non producano effetti nei confronti dei condebitori. 

Questo prncipio non si applica all'interruzione, che non presuppone 
situazioni strettamente personali del soggetto nei cui confronti si 
verifica, onde la estensibilit� dei suoi effetti sancita dal primo comma 
dell'art. 1310. 

Ora, com'� noto, vi sono atti interruttivi con effetti istantanei, 
nel senso che dal compimento dell'atto comincia a decorrere il nuovo 
termine prescrizionale, ed atti interruttivi con effetti permanenti, nel 
senso che il nuovo termine comincia a decorrere dal momento in �cui 
cessa l'efficacia della causa interruttiva. In questa ultima categoria 
la domanda giudiziale, per la quale l'art. 2945 e.e. dispone che la prescrizione 
non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sen


ed esclusivamente a tali casi si riferisce l'art. 1310 secondo comma c. c., 
quando parla di effetto sospensivo della prescrizione, non estensibile al 
condebitore solidale. 

La pendenza del giudizio, nel sistema del nuovo codice (art. 2945 
secondo comma c. c.), non costituisce causa di sospensione della prescrizione, 
ma impedisce che la stessa, interrotta con la domanda giudiziale, 
ricominci a decorrere fino a che non sia passata in giudicato la sentenza 
che definisce il giudizio. 

In proposito si � parlato di �interruzione permanente� (Azzariti e 

Scarpello, Commentario Scialoja e Branca, libro VI, sub art. 1945 c. c., 

p. 607) ed esattamente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 11& 
dell'8 luglio 1969 (in questa Rassegna, 1969, I, 801), nel dichiarare infondata 
la questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 141 della legge 
di registro, ha rilevato come la sospensione della prescrizione, ivi disposta, 
� non nega ai condebitori d'imposta il pote.re di far valere il decorso del 
tempo stabilito per l'estinzione del diritto, ove sia maturato, ma impedisce 
che questo tempo maturi per tutta la durata dell'effetto interruttivo�. 
La sospensione della prescrizione durante il giudizio di opposizione 
contro l'ingiunzione, disposta dall'art. 140 secondo comma della legge di 
registro, e la sospensione durante il procedimento dinanzi alle Commissioni 
tributarie, ai sensi del successivo art. 141 primo comma, costituiscono appunto 
casi del protrarsi dell'effetto interruttivo della domanda e del ricorso, 
estranei alla limitazione dell'art. 1310 secondo comma c. c. ed aventi, 
invece, effetto nei confronti di tutti i condebitori a norma del primo 
comma dello stesso articolo (v. BERLIRI, Le leggi di registro, ed. 1947,. 
pp. 382 e 383-4). 

F. PAGANO 
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?ARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1181 

tenza che definisce il giudizio. La pendenza del giudizio quindi non 
determina la sospensione della prescrizione, ma impedisce che essa, 
interrotta dalla domanda, ricominci a decorrere. 

Si tratta dunque di un'ipotesi che non rientra nella previsione 
del secondo comma dell'art. 1310 bens� in quella del primo comma per 
cui la protrazione degli effetti interruttivi si estende a tutti i condebitori. 


Ora, applicando questi principi al caso in esame, va rilevato che 
tra la definizione dei giudizi instaurati dalla condebitrice e l'inizio del 
presente giudizio non � decorso il termine triennale di prescrizione e, 
pertanto, la pretesa tributaria non � colpita da prescrizione. (
Omissisx. 



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SEZIONE SESTA 

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GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE J:i:i 
PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022 -Pres. 

I

Rossano -Est. Falletti -P. M. Pedace (conf.) -Societ� Ferroce-ill 
mento -Costruzioni e lavori pubblici (avv. Bonifazi, Pallottino, 

m 

Andrioli) c. Azienda Nazionale Autonoma Strade -A.N.A.S. (avv. 

I 
rnru

Stato Conti). 

Arbitrato -Appalti di opere pubbliche 'disciplinati dal Capitolato ge-@

).f:

nerale approvato con d. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Fondamento 

@ 
�ex lege� della competenza arbitrale alternativa a quella del G. 

~ 

O. -Sussiste. fa 
@

(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 43 e 47). 
.Arbitrato -Appalti di opere pubbliche disciplinati dal Capitolato generale 
approvato con d. P. R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Natura processuale 
dell'art. 47 del predetto Capitolato -Sussiste -Potere 
di scelta fra la competenza arbitrale e quella del G. O. -Diretta 
spettanza all'Avvocatura dello Stato -Sussiste. 

(d.P.R. :).6 luglio 1962, n. 1063, art. 47; t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, artt. l, 13). 
Negli appaLti di opere pubbliche disciplinati dal d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063 la competenza arbitrale ha natura processuale e diretto 
fondamento nella legge, che la prevede come facoltativa ed alternativa 

IN 

�rispetto alla competenza del Giudice oll"dinario (1). 

L'art. 47 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che attribuisce alle parti la 
jacolt� di scelta fra il Giudice ordinario e quello arbitrale e disciplina 
gli atti relativi, ha natura di norma processuale e; pe.l/"banto, � l'Avvo


I11 

catura deLlo Stato, rappresentante � ex lege � della Pubblica Ammini.
strazione, l'organo cui esclusivamente compete d'esprimere e svolgere, 
nell'interesse della medesima, quella facolt� (2). 

i

(1-2) Sembra quasi superfluo segnalare l'importanza della sentenza qui 
�sopra massimata, la quale, decidendo su un ricorso per regolamento di 1::1: 
competenza, proposto avverso una sentenza del Tribunale di Roma (che 
.aveva ritenuta valida ed efficace la dichiarazione dell'Avvocatura dello 

I h 

!I� 


;::: 

~~~~~~~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 1183 

(Omissis). -L'art. 43 del Capitolato generale dei Lavori Pubblici 

(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) dispone che le controversie fra l'Amministrazione 
e l'appaltatore ,siano deferite al giuda.zio di un collegio arbitrale. 
Ma il successivo art. 47 attribuisce ad entrambe le parti la facolt� 
di derogare alla competenza arbitrale: l'attore pu� proporre la domanda 
davanti al giudice ordinario anzich� davanti agli arbitri: uguale facolt� 
spetta al �convenuto, cui sia stata notificata la domanda di arbitrato. �A 
questo fine -continua l'art. 47 cit. -il convenuto deve notificare la 
sua determinazione all'altra parte, la quale, ove intenda proseguire il 
giudizio, deve proporre domanda al giudice competente�. 
La competenza arbitrale ha dunque �diretto fondamento nella legge, 
la quale peraltro le' attribuisce un carattere meramente facoltativo, ponendola 
come alternativa alla competenza del giudice ordinario. Quest'ultima, 
anzi, cio� la sua determinazione potestativa, assume .un aspetto 
prevalente, poich� la deroga riguarda soltanto la designazione originaria 
� ex lege � o la scelta aderente del giudice arbitrale, soggette a 
venir meno, se entro il termine stabilito la controparte manifesti la propria 
opzione per il giudice ordinario. Non � dunque una scelta, che 
presupponga o comporti il potere di modificare o perfino di costituire 
un patto contrattuale come quello che nella domanda di arbitrato o 
nella sua declinatoria l'istante configura, � sub specie� di un compromesso 
futuro, eventualmente stipulabile in forma tacita ed esplicazione, 
quindi, di una attivit� radicata nell'ambito del diritto sostanziale, spettante 
alla persona del titolare e sottratta alle iniziative discrezionali del 
suo rappresentante processuale. Cosi la domanda di arbitrato come la 
sua declinatoria e l'opzione del giudice ordinario sono nella specie atti 
meramente processuali, essendo processuale appunto, e fondata diretta-

Stato, di deroga alla competenza arbitrale, sebbene l'atto relativo non 
risultasse preceduto da una deliberazione interna dell'A.N.A.S.), ha ribadito: 
a) la natura di norme di diritto obiettivo, vere e proprie norme di 
legge in senso sostanziale, delle disposizioni del Capitolato generale per gli 
appalti d'opere pubbliche (v., in proposito, nota redazionale, in questa 
Rassegna, 1969, I, 345 e segg.); b) in particolare, la natura processuale dell'art. 
47 Cap. gen. 1962 (v., in senso conforme, oltre alla giurisprudenza 
citata nel testo della sentenza, Cass., 9 aprile 1965, n. 623, in questa Rassegna, 
1965, I, 415, nonch�, per la precisazione della inderogabilit� delle 
norme del Capitolato generale oo.pp. sulla disciplina dell'arbitrato, Cass., 
17 marzo 1969, n. 857, in questa Rassegna, 1969, I, 349), giungendo, quindi, 
alle stesse conclusioni, a cui risulta gi� pervenuta, in altra vertenza, la 
Corte d'Appello di Roma -segnatamente anche in ordine alla diretta 
spettanza dell'Avvocatura dello Stato del potere di impugnazione della pronuncia 
arbitrale -nella elaborata sentenza 18 febbraio 1969, n. 336 (in 
questa Rassegna, 1969, I, 151 e segg., in part. 159, nella motivazione), i concetti 
della quale trovano, quindi, ora, autorevole riscontro e sussidio di 
ulteriori argomenti nella giurisprudenza della Suprema Corte regolatrice. 

14 


1184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente sulla legge, la competenza alternativa e facoltativa �dell'uno o 
dell'altro giudice. 
La scelta rientra, pertanto, nella disponibilit� tecnica del procuratore, 
non diversamente dai casi in cui il medesimo ha il potere di proporre 

o meno la eccezione di compromesso, di proporre l'eccezione di incompetenza 
territoriale, di aderire alla indicazione del foro proposto � ex 
adverso � (Cass. 1961, n. 2202; 1962, n. 1575). Perci� anche l'atto con cui 
si dichiara alla controparte la determinazione di escludere il giudizio 
arbitrale, secondo il disposto dell'art. 47 dt., non ammette akun sindacato 
o contestazione circa la corrispondenza interna della volont� in tal 
modo manifestata. Se, infatti, non � dubbio che l'Avvocatura dello Stato, 
rappresentante � ex lege � della Pubblica Amministrazione, pu� iniziare 
il processo davanti al giudice ordinario anzich� davanti al collegio arbitrale, 
sarebbe illogico ritenere che le manchi viceversa il potere di 
declinare la medesima competenza, quando la controparte abbia invece 
adito il collegio arbitrale: si negherebbe all'Avvocatura in via di eccezione 
l'identico potere che invece le si riconosce in via di azione. 
La natura processuale dell'art. 47, proprio nell'essenza della norma 
che attribuisce alle parti la facolt� di scelta fra il giudice ordinario e 
il giudice arbitrale e, disciplina l'esercizio degli atti relativi, � stata 
pi� volte riconosciuta, con giurisprudenza ormai consolidata, da questa 
Suprema Corte (Cass. 1'966, n. 2176; 1966, n. 2483; 1964, n. 1988; 1965, 

n. 461). Da questo carattere processuale discende dunque �che l'Avvocatura 
dello Stato, secondo le funzioni e i poteri ad essa pertinenti (articoli 
1 e 13 t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611), � appunto l'organo cui comp~te 
di esprimere e svolgere, nell'interesse dell'Amministrazione, quella facolt� 
di scelta. -(Omiissis). 
LODO ARBITRALE, 4 ottobre 1969, n. 56 (Roma) -Pres. Piroso -Est. 
Franceschelli -Impresa Cavallaro (avv. Carbone) c. Assessorati ai 
Lavori Pubblici e alle Finanze della Regione Siciliana (avv. Stato 
Del Greco). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Richieste dell'appaltatore di 
maggiori compensi per il prolungamento della durata dell'appalto 
conseguente a sospensione dei lavori per fatto dell'Amministrazione 
-Onere della riserva immediata dell'appaltatore -Esclusione. 


(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 89). 
� tempestiva la riserva, relativa ci richieste dell'appaltatore di 
maggiori compensi o indennizzi per sospensione dei Lavori disposta 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 1185 

per fatto dall'Amministrazione, pur se sia stata iscritta solo a chiusura 
della contabilit� deU'appaito (1). 

(Omissis). -L'Amministrazione convenuta solleva detta eccezione 
con la seconda memoria, estendendola, in una prima enunciazione (f. 6),. 
a �tutte le riserve�, ma precisando successivamente (f. 39) che essa si 
riferisce alle riserve di cui ai quesiti da 1 a 39, con eccezione dei quesiti 
11, 15 e 35. Nell'ambito di questa precisazione, l'Amministrazione evidenzia, 
poi, un particolare interesse alla dimostrazione del fondamento 

(1) Sospensione dei lavori e riserve dell'appaltatore. 
1. -Il concetto che la funzione essenziale della riserva, nell'appalto 
di opera pubblica, si fondi sulla esigenza di apprestare a favore dell'Amministrazione 
uno strumento idoneo al permanente controllo del costo dell'opera, 
per l'adozione di tempestive misure atte da evitare scoperti finanziari, 
rappresenta una fondamentale acquisizione della recente, pi� oculata 
giurisprudenza, la quale, nella ricostruzione dell'istituto, quale esso si 
presenta de jure condito, ha messo in evidenza che il sistema di 
misurazione e di determinazione del compenso globale si risolve nella 
misurazione ed applicazione dei prezzi convenuti per le singole unit� di 
lavoro, nei quali rifluiscono determinate aliquote di maggiorazione non 
solo per l'utile dell'appaltatore, ma anche pel rimborso degli oneri generali, 
(artt. 20 e 21 d. m. 29 maggio 1895, mod. con d. C. P.S. 15 luglio 1947, n. 763), 
di guisa che � rimane fuori del sistema la possibilit� di configurare ragioni di 
compenso che a quell'onere siano sottratte �. �, pertanto, � in relazione alle 
singole unit� di lavoro via via eseguite e contabilizzate che, in forza dei principi 
enunciati, deve l'appaltatore fare annotare le sue pretese a maggiori 
compensi per qualsiasi titolo ., e cio� anche quelle � in dipendenza del prolungamento 
dei lavori dovuto a fatto dell'Amministrazione oltre il termine 
contrattuale �. Infatti, come s'� avvertito, � le voci che in tal caso vengono in 
gioco (costo della mano d'opera e dei materiali; ammortamento degli impianti 
e del macchinario; spese di custodia e di manutenzione del cantiere; 
ulteriori spese generali) non hanno, nel sistema di determinazione del com


ienso contrattuale, una rilevanza autonoma, ma si riflettono anch'esse sui 
~.ezzi calcolati e pattuiti per le -singole unit� di lavoro � (cosi Corte App. 
'1la, 19 aprile 1966, n. 666, in questa Rassegna, 1966, I, 712 e 721 e segg.; 
~ttembre 1968, n. 2301, ivi, 1968, I, 1110 e 1118 e segg.; 30 novembre 
� n. 2790, ivi, 1968, I, 1111 e 1125 e segg.; 23 gennaio 1969, n. 113, ivi, 
'{, 350 e 353 e segg.). Inevitabile corollario di tale principi � che � la 
'ospensione dei lavori, quando concreti una situazione dannosa rico'
t e valutabile nel tempo stesso della interruzione, � da ritenere sog


�~nere della riserva., il quale diventa, comunque, attuale �quanto 
'de di verbale di ripresa, giacch� tale adempimento formale inter~
1tdo tale pregiudizio economico ricadente sull'impresa � gi� ma~�
� nei suoi elementi causali e determinativi essenziali� (Corte App. 
.eterna, 23 gennaio 1969, n. 113, cit., in questa Rassegna, 1969, I, 355). Ed 
infatti l'appaltatore, all'atto della firma del verbale di ripresa dei lavori, 
� in grado di apprezzare la stessa dannosit� del ritardo in relazione ad 
eventuali rincari di mano d'opera o materiali, noli ecc. e, quindi, di indicare 
la presunta misura di cui ritenga debbano essere incrementati i prezzi 
unitari. Altrettanto sar�, a fortiori, in grado di fare, all'atto della firma 


1186 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO 

della sollevata eccezione nei confronti dei quesiti da 1 a 8, che concernono 
le domande fondate ,sul pregiudizio che si assume derivato 
all'Impresa dai periodi di proroga e di sospensione dei lavori, quesiti 
che hanno un peso preminente, in senso economico, nella ridondante serie 
sottoposta alla decisione del Collegio. 

Sostiene, dunque, la convenuta Amministrazione che le riserve di 
cui precede sono tardive, perch� di esse non vi � traccia nei documenti 
formati nel corso dell'appalto, .e sono state proposte solo a lavori ultimati 
da oltre due anni, all'atto della chiusura del registro di contabilit� 
per la redazione del conto finale, il 15 maggio 1962: le relative domande 
non potrebbero, quindi, esser.e prese in alcuna considerazione, ai sensi 
dell'art. 41 del capitolato generale 28 maggio 1895. 

Con ampia ed aprrofondita disanima della normativa, con riferi:
mento a recenti pronunzie di Corti di merito, la Difesa della Amministrazione 
deduce a fondamento della tesi: 

a) che scopo fondamentale della normativa sulla contabilit� dei 
lavori nei pubblici appalti � quello di assicurare in ogni momento alla 
Pubblica Amministrazione la completa consapevolezza e conoscenza del 

del registro di contabilit�, immediatamente successiva alla ripresa dei 
lavorii mentre, se aumenti di quelle componenti dovessero ancora verificarsi, 
nell'ulteriore corso dei medesimi, ritardato per effetto della sospensione 
(o della proroga che sia stato costretto a chiedere pel fatto dell'Amministrazione), 
egli potr� e dovr� -ove intenda averne ristoro -formulare 
nuova riserva, all'atto della firma del registro di contabilit� immediatamente 
successiva alle contabilizzazioni coi prezzi che ritenga debbano 
essere incrementati di una ulteriore aliquota rispetto a quella gi� richiesta. 

2. -La pronuncia arbitrale ,sopra massimata, discostandosi da tale insegnamento, 
ha ritenuto possibile e producente contrapporre una � contabilit� 
vera e propria � ai verbali di sospensione e ripresa dei lavori (ma 
v. invece DEL GRECO, in questa Rassegna, 1967, I, 32.3) ed al fine di salvare 
da decadenza riserve iscritte soltanto in sede di contabilit� finale, per 
maggiori compensi, richiesti a motivo del ritardato svolgimento dell'appalto, 
conseguente a sospensioni o proroghe causate da fatto dell'Amministrazione, 
ha affermato che � debbono iscriversi obbligatoriamente nel registro 
di contabilit� esclusivamente le annotazioni e riserve riguardanti le partite 
di lavoro e le somministrazioni fatte dall'appaltatore e non pure quelle 
relative ad altri oggetti, affatto estranei alla :finalit� di documentare cronologicamente 
l'opera nel suo iter esecutivo, che � propria di tale registro 
._ Che, viceversa, anche i verbali di sospensione e ripresa dei lavori 
debbano essere firmati dall'appaltatore e siano sede di riserve � testualmente 
detto dall'art. 16 r.d. 28 maggio 1895, n. 350; che siano documenti 
contabili anch'essi, come quelli di cui parla l'art. 89 stesso Regolamento, � 
pure dimostrato dal testo dell'art. 16, che richiama espressamente l'art. 89. 
Non manca, peraltro, giurisprudenza arbitrale, la quale perviene a 
conclusioni opposte a quelle del lodo in rassegna, rilevando (Lodo, 19 dicembre 
1962, n. 66 -Roma, Arbitrati e appalti, 1963, 201) che � il regolamento 
non prende in espressa considerazione l'ipotesi che l'appaltatore 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 1187 

costo della opera: tale scopo � perseguito con un sistema legale per 
l'acquisizione della certezza sulla definitivit� della spesa, che trova la 
sua espressione nell'art. 54 del Regolamento (r.d. 25 maggio 1895, 

n. 350), che pone all'a.ppaltatore l'onere dell'iscrizione delle riserve nel 
registro di contabilit�, e commina la decadenza dell'appaltatore stesso 
dal � diritto di far valere riserve e domande � che si riferiscono ai fatti 
registrati, che, in mancanza di riserva, � si avranno come accertati �; 
b) l'onere� della riserva e della sua trascrizione nel registro di 
contabilit� non si riferisce solo alle partite contabili in senso stretto, 
ma anche a situazioni temporaneamente non connesse alla contabilizzazione 
dei lavori. A tale esigenza si ispirano le norme del citato Regolamento 
sulla consegna de� lavori (artt, 10 e 11); sulla sospensione e 
ripresa degli stessi (art. 16); sulla determinazione di nuovi prezzi (articoli 
21 e 22); sulle contestazioni in genere, sulle controversie relative a 
pres�crizioni della Direzione dei Lavori (art. 213) ed altre; 

e) nel conto final.e non possono essere iscritte domande per oggetto 

o importo diverso da quelle formulate nel registro di contabilit� durante 
lo svolgimento dei lavori (art. 64). 
firmi i verbali in parola senza riserve; ma la dichiarata perentoriet� del 
termine da assegnarsi all'appaltatore, nel caso di mancato intervento alla 
firma, e la sanzione della inefficacia, espressamente comminata per le eccezioni 
e le domande proposte con rituale riserva, ma non riportate nel 
registro di contabilit� nei modi e nei termini di sopra richiamati (agli 
artt. 53 e 54 Reg.), ben valgono a giustificare l'affermazione che la firma 
senza riserva dei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori precluda, 
al pari dell'inutile decorso del cennato termine di grazia (di cui all'art. 89 
richiamato dall'art. 16), la facolt� dell'appaltatore di proporre utilmente 
eccezioni e domande, comunque afferenti alla legittimit� della sospensione 
e della sua durata: essendo ovvio che a eccezioni e domande non proposte 
con rituale e tempestiva riserva debba negarsi � a fortiori � quella efficacia 
che il Regolamento nega a eccezioni e domande, proposte con rituale e 
tempestiva riserva, ma non ripetute ritualmente e tempestivamente nel registro 
di contabilit� (v. anche il perspicuo Lodo 17 marzo 1967, n. 18 Roma, 
in questa Rassegna, 1967, I, 320 e segg.). 

La verit� � che la pronuncia arbitrale sopra massimata si sofferma 
sulla interpretazione dell'art. 37 Reg., che vuole sia letterale (ma come si 
fa ad interpretare una norma, ossia � uno strumento foggiato per disciplinare 
la vita di relazione �, se non si determina il significato �del suo 
testo, e ci�, per di P.i�, in rapporto alle altre del sistema, in cui quella � 
stata inserita? � L'ufflcio essenziale dell'interprete non pu� variare secondo 
che sia chiamato ad applicare leggi chiare oppure ambigue, ma deve avere 
un compito unitario, da perseguire in tutti i casi . . . La valutazione di 
chiarezza dev'essere, se mai, un risultato del processo interpretativo � : 
BETTI, L'interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, 
183), ma non tiene conto, pur citandolo, del precedente art. 36, dalla lettura 
del quale avrebbe ricavato che � tutti i fatti producenti spesa per l'esecuzione 
dell'opera� (e, quindi, anche quelli che l'appaltatore pretende di 
attribuire a � colpa � della P. A.) formano � oggetto della contabilit� � del




1188 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Da questi principii l'Amministrazione deduce che, nella specie, 
l'Impresa appaltatrice avr.ebbe dovuto iscrivere le sue riserve nel registro 
di contabilit� e, ;per quanto .concerne le disposte sospensioni, nei 
relativi verbali di sospensione e ripresa dei lavori: non avendo adempiuto 
a questo duplice onere, nessun effetto, ai fini di evitarle la decadenza 
dai prospettati diritti, pu� avere l'iscrizione delle riserve effettuate 
neJ: conto finale. 

Il Collegio osserva �che si pu� consentire solo parzialmente sulla 
tesi esposta, come risulter� da quanto si viene a considerare. 

Sembra opportuno, anzitutto, osservare �come non si possa costruire 
l'intera sistematica del regime delle riserve su una sola presunta ratio 
legis e, in particolare, su quella prospettata dalla difesa dell'Amministrazione. 
Come � noto, nell'interpretazione delle norme giuridiche 
(art. 12 Preleggi), � consentito procedere alla indagine sull'effettiva e 
precisa � mens legis �, alla ricerca di un pensiero del legislatore diverso 
da quello manifestamente reso, solo nei casi in cui la lettera della legge 
non � chiara ed inequivocabile. (Cass., 5 ottobre 1964, n. 2514). Nella 
specie, il richiamato art. 37 Reg. chiarisce, nel suo immediato significato 

l'appalto, la quale si concreta in atti di � accertamento � e di � registrazione� 
(cit. art. 36 Reg.), n� considera che pur le pretese che l'appaltatore 
accampi in relazione al prolungamento della durata dell'appalto investono 
necessariamente �le partite di lavoro e le somministrazioni fatte dall'appaltatore 
�. Se poi a tutto ci� si aggiunga una pi� penetrante considerazione 
della giurisprudenza della Corte di Cassazione, pur citata dal lodo, 
apparir� chiaro che gi� con la sentenza 4 dicembre 1967, n. 2869 la Suprema 
Corte regolatrice ha avvisato al concetto che, nel caso di ritardato 
svolgimento dell'appalto, il danno si traduce in un aumento dei prezzi, 
che si ripercuote � sul complesso dei lavori � (in questa Rassegna, 1968, 
I, 121), mentre, poi, la sua pi� recente sentenza 30 giugno 1969, n. 2393 
(in questa Rassegna, 1969, I, 220) ha finalmente accettato ta ricostruzione 
della � ratio � dell'istituto perspicuamente offerta daila Corte d'appello 
romana, solo facendo ancora credito alla nozione di � fatto continuativo �, 
per la soluzione del problema della quantificazione della riserva. Messa, 
per�, la questione in tali diversi termini, si appalesa la inanit� delle 
argomentazioni addotte dal lodo (aff�f�nare, ad es., che l'omissione 
della tempestiva riserva ha per effetto di � consolidare la situazione contabile 
registrata� significa esattamente affermare e non gi� negare -come 
pur ritiene il lodo -la decadenza dell'appaltatore dal diritto di far valere 
ulteriori pretese 'traenti titolo dai fatti registrati) e si chiarisce che, a sostegno 
della giurisprudenza della Corte d'Appello romana e pel superamento 
della nozione di fatto continuativo, basta dimostrare, una volta ammessi i 
prticedenti concetti, che, secondo media diligenza e buona fede (sulla obiettivit� 
di tali criteri, v. CoTTINO, L'impossibilit� ecc., Milano, 1955, 46 e segg., 
in part. 55, 105 e segg.), l'appaltatore, all'atto della ripresa dei lavori, � ben 
in grado di indicare l'aliquota di incremento dei prezzi dell'appalto, a cui 
ritenga di aver diritto, per effetto dei rincari dei costi, verificatisi durante 
il periodo delia sospensione, onde non pu� essere esonerato dall'onere della 
riserva, salve, come s'� accennato, le ulteriori pretese, da avanzare in se



PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 1189 

letterale, che l'aggiornamento continuo e preciso della contabilit� dei 
lavori ha lo scopo, oltre che di permettere di rilasciare prontamente i 
certificati di avanzamento ai fini del pagamento degli acconti, anche di 
consentire �con sicurezza � di procedere all'esecuzione progressiva dell'opera 
� entro i limiti delle somme autorizzate., ovvero �di provvedere 
i fondi necessari, se quelli autorizzati si rivelino insufficienti. Questi 
sono gli unici, dichiarati, chiari e pratici scopi della norma. Ne consegue 
che sd tratta di scopi che ispirano la contabilit� dei lavori in senso 
stretto e proprio; onde la norma che espressamente li ;pone Circoscrive 
la sua efficacia appunto in detto ambito, che �;, anche esso, chiaramente 
definito dalla legge, attraverso le minuziose regole dettate sia per individuare 
le fonti e causali di spesa (artt. 36 e 37); sia i documenti nei 
quali. eS1Se trovano la sede di registrazione (art. 38); sia, infine, le modalit� 
della registrazione (artt. 85 e segg.). 

Da queste semplici e chiare regole non sembra possa desumersi 
quel principio generale, in ordine alle riserve, enunciato dalla difesa 
dell'Amministrazione, per cui, essendo ordinate ai �soli fini dell'accertamento 
cronologico e continuativo del costo, persino eventuale, del


guito, con lo stesso onere di immediatezza, ove dovessero verificarsi altri 
fatti dannosi (rincari di prezzi), che quegli assuma ascrivibili allo stesso 
prolungamento della durata dell'appalto per colpa dell'Amministrazione. 

3. -La ricordata sentenza 30 giugno 1969, n. 2393 della Corte di Cassazione 
rappresenta veramente una tappa fondamentale nella evoluzione 
della giurisprudenza della Suprema Corte Tegolatrice in materia di riserve 
nell'appalto di opere pubbliche: essa, riconoscendo in pieno l'esattezza 
della tesi dell'Avvocatura dello Stato, che il fondamento della decadenza 
sancita per l'omissione o la tardivit� delle riserve dell'appaltatore si ritrova 
nella necessit� di garantire alla P. A. appaltante una pi� pronta ed 
efficace difesa di fronte a richieste di compensi addizionali ingiustificate 
e la possibilit� di modificare il progetto, a seguito di tali richieste, o di 
adottare eventualmente le altre determinazioni del caso, ha finito per romperla, 
in effetti, con il luogo comune della differibilit� della riserva in 
funzione della ulteriore e persistente accertabilit� del fatto dannoso (in 
tali sensi, invece, ancora, Cass., 4 dicembre 1967, n. 2869, in questa Rassegna, 
1968, I, 119), sottolineando, piuttosto, che, secondo il sistema normativo 
speciale, � non �, infatti, l'Amministrazione, che deve, per prima, 
adottare e far conoscere all'appaltatore le proprie determinazioni sui fatti 
che nel corso del rapporto si verificano, salvo il diritto di quest'ultimo di 
formulare la riserva, bensi all'appaltatore, ove intenda far valere il diritto 
ad un equo compenso per l'eccessiva onerosit� .dell'impegno assunto, incombe 
l'onere di formulare la richiesta tempestivamente �. 
4. -Ma, se � cos�, se � incontestabile che, a norma degli artt. 36 e 89 
r.d. n. 350 del 1895, tutti i doc.menti, che accertano o registrano fatti 
dell'appalto produttivi di spesa e sono soggetti alla firma dell'appaltatore, 
costituiscono la ioontabilit� dell'appalto (cfr. anche art. 30 Cap. gen. oo.pp. 
1895 ed art. 26 Cap. gen. oo. pp. 1962), se � altrettanto incontestabile, pertanto, 
che il registro di contabilit� non � l'unica sede di formulazione di 
tempestive riserve, pur costituendo sede di necessaria ripetizione (art. 89, 

1190 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'opera, le riserve debbono essere proposte e trascritte (nel registro di 
contabilit�) contestualmente anche ad atti che non attengono affatto alla 
contabilit� in senso proprio dell'opera, quaU, ad esempio, le sospensioni 
dei lavori ed altri fatti, che possano dar luogo a contestazioni ed a 
domande dell'appaltatore e che possano comportare aumenti del costo 
predetto. 

In realt�, l'efficacia di quelle regole si esplica solo nell'ambito della 
contabilit� vera e propria: si � ritenuto, al riguardo, che debbono inserirsi 
obbligatoriamente nel registro di contabilit� esclusivamente le annotazioni 
e riserve riguardanti le partite di lavoro e le somministrazioni 
fatte dall'appaltatore e non pure quelle relative ad altri oggetti affatto 
estranei alla finalit� di documentare cronologicamente l'opera nel suo 

� � iter � esecutivo, che � propria di tale registro (Cass., 28 ottobre 1965, 

n. 2290). 
Ma ancor pi� rileva osservare che quelle regole non escludono affatto 
l'altro pr.incipio, desunto dalla prevalente giurisprudenza e da 

buona parte della dottrina, quale � ratio � della normativa sulle riserve: 
cio� che scopo del legislatore sia quello di rendere possibile, attraverso 
la tempestivit� della riserva, un efficace e tempestivo controllo da 
parte della Amministrazione sulla domanda dell'appaltatore. (Cass., 4 

ult. comma, r.d. n. 350 del 1895) delle stesse, allorch� queste debbano essere 
tempestivamente iscritte in altri documenti gi� formati e firmati (se 

l'appaltatore intenda far valere pretese nascenti da fatti da quelli accertati: 
� questo il retto significato dell'espressione � l'appaltatore avrd facoltd, 
all'atto della firma, d'iscrivere in succinto in quei documenti contabili 
che devono essere da lui firmati le riserve e domande che creder� 
del propPio interesse� di cui al primo comma dell'art. 89 cit. Reg. n. 350 
del 1895), appare pienamente dimostrata l'esattezza di quella giurisprudenza, 
che ritiene, viceversa, tardiva e decaduta l� riserva di maggiori 
compensi, per la sospensione dovuta a fatto dell'Amministrazione, qualora 
essa non sia stata formulata daH'appaitatore, quanto meno con la firma 
del verbale di �ripresa dei lavori e, quindi, ripetuta nel registro di contabilit� 
ed infine (art. 64, ult. comma, Reg. n. 350 del 1895 cit.) confermata 
con la firma del conto finale (oltre ai lodi in precedenza citati, v. Corte 
App. Roma, 28 settembre 1968, n. 2301, in questa Rassegna, 1968, I, 1110, 
sub 2; 23 gennaio 1969, n. 113, ivi, 1969, I, 351, sub 2, nonch� 355 e seg., 
nella motivazione). Contro di essa non varr� addurre che, secondo la ricordata 
sentenza n. 2393 del 1969 della Corte di Cassazione, nel caso di 
fatto continuativo, l'onere della tempestiva riserva va ritenuto operante 

� al momento in cui si renda manifesta la rilevanza causale del fatto generatore 
della situazione dannosa e si disponga,� di ogni elemento necessario 
per indicare l'importo del compenso richiesto sotto forma di maggiore 
onere ., poich� tale momento, secondo media diligenza e buona fede, non 
pu� non coincidere con la ripresa dei lavori, allorch� � trascorso il periodo 
di sospensione e se ne pu�, quindi, valutare la durata e con essa l'effettivo 
rincaro dei prezzi della mano d'opera e di mercato. D'altra parte, deve esser 
chiaro che, ammesso �il diverso fondamento dell'istituto della riserva sopra 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. iN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 1191 

dicembre 1967, n. 2869). Ne consegue che per taluni fatti, quali i fatti 
continuativi e quelli sempre accertabili, l'onere della riserva si procrastina 
e, in particolare, per i primi (fatti continuativi) fino a quando� 
perdurino o fino al momento in cui � si renda manifesta la rilevanza 
causale del fatto generatore della situazione dannosa e si disponga di 
ogni elemento necessario per indicare l'importo del compenso richiesto 
sotto forma di maggiori oneri � (Cass., 30 giugno 1969, n. 2393). 

Il Collegio, a maggioranza, dissenziente l'Arbitro nominato dalla 
Amministrazione convenuta, ritiene che questi siano i principi da applicare 
alla specie, per quanto concerne le riserve e i quesiti relativi 
alle sospensioni dei lav~ri. Si tratta, invero, di fatti a carattere tipicamente 
continuativo, e comunque sempre accertabili, in quanto storicamente 
documentati e in s� pacifici, per i quali la valutazione del 
pregiudizio economico, sotto forma di .aggravio di oneri, non � compiutamente 
effettuabile che ad opera compiuta, e pi� precisamente in 
sede di conto finale, allorch� sono chiari all'appaltatore tutti i termini 
della gestione economica dell'appalto. 

N� si dica che tale momento � o pu� essere quello della ripresa 
dei lavori, onde la procrastinazione del termine per la riserva sarebbe 
ammissibile solo fino a tale atto. Si tratta, invero, di fatti il cui effetto 
pregiudizievole pu� essere percepito soltanto complessivamente e sue-

accennato, l'onere della quantificazione non pu� che riferirsi al momento in 
cui la riserva � formulata, dovendo dalla sua osservanza essere appunto 
assicurato all'Amministrazione un quadro costante dell'andamento del costo 
dell'appalto, di guisa che alla c.d. continuit� del fatto non pu� che 
corrispondere una continuit� dell'onere della riserva, sotto il profilo della 
sua quantificazione. E qui si dissipa un altro equivoco: continuit� dell'onere, 
in costanza di durata dell'appalto, non significa certo impossibilit� 
della quantificazione, anzi rappresenta proprio il mezzo per renderla possibile, 
osservando un comportamento improntato a diligenza e buona fede, 
in rapporto ad una peculiare esigenza dell'appalto di opera pubblica, che, 

� sovrastando il regime privatistico dei comuni contratti d'appalto e le 
norme generali ad essi applicabili, impone la sua tutela in quanto espressione 
di un particolare interesse di cui sono portatori lo Stato e gli enti 
ad esso assimilati� (cos� App. Roma, 30 novembre 1968, n. 2790, in 
questa Rassegna, 1968, I, 1125, nella motivazione; per il rilievo dell'insopprimibile 
profilo publbicistico del contratto d'appalto d'opera pubblica, 
v. gi� Cass., 29 marzo 1943, n. 719, Giur. op. pubbL, 1943, I, 206, nella motivazione; 
30 ottobre 1954, n. 4190, Foro pad., 1955, I, 1023; 23 luglio 1969, 
n. 2766, in questa Rassegna, 1969, I, 762). Sarebbe, viceversa, eccessiva 
e viene ripudiata dalla migliore dottrina ogni diversa argomentazione, 
che, partendo da una pretesa impossibilit� della. quantificazione, sostenesse, 
addirittura, la necessit� di disapplicare tutto l'art. 54 Reg. r. d. 
n. 350 del 1895 (sulla legittimit� del quale, con riguardo alla comminatoria 
di decadenza delle riserve, v. Cass., 9 giugno 1960, n. 1524, Giust. civ., 
Mass., 1960, 568; 12 giugno 1963, n. 1568, id., Mass., 1963, 740, sub 3), anzich� 
soltanto l'ultima parte del terzo comma, relativa alla quantificazione: � la 

1192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cessivamente, in un bilancio che necessariamente pu� essere compiuto 
soltanto � a posteriori�. In particolare, ci� risulta evidente, nella specie, 
ove si consideri, ad esempio, il contenuto del quesito n. 7, relativo alla 
domanda di cm:responsione di una rilevante somma per rincari nelle 
paghe degli operai e nei prezzi dei trasporti e dei materiali da costruzione, 
rincari, che, con un'esecuzione, dei lavori nei tempi e termini convenuti, 
sarebbero stati evitati (secondo l'Impresa): si tratta di elementi, 
che di per ,se stessi non sono accertabili �che ad opera .eseguita, cio� 
quando i costi effettivamente sostenuti possono essere confrontati con 
quelli correnti entro i tempi di effettuazione dell'opera, ove non fossero 
,intervenute le sospensioni dei lavori. 

Ci� premesso, non appare tuttavia fuor di luogo rilevare che la 
sistematica esposta dalla difesa della Pubblica Amministrazione sul 
regime delle riserve sembra incontrare anche un'altra obiezione. 

Come � noto, l'onere della riserva ha la funzione di mantenere in 
colui che la propone il diritto di -impugnare i risultati dei dati contabili, 
o, con pi� precisione, quanto risulti esplicitamente o implicitamente 
dai dati stessi. La normativa � chiara, in proposito: gli artt. 54, 3� 
comma; 64, 3� comma; 89, 3� comma; 107, 3� comma del Regolamento 
stabiliscono tutti che, in caso di omissione di riserva, �si avranno per 
accertati i fatti registrati�. 

L'omissione ha, dunque, un effetto positivo ed uno negativo: il 
primo � quello di consolidare la situazione �contabile registrata; il secondo 
� quello di impedire ogni impugnazione di detta situazione all'appaltatore. 


dispensa dall'onere non pu� andare -invero -oltre la ragione che la 
determina� (CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 1964, 782; 

v. anche CAPACCIOLI, Riserve e collaudo, Milano, 1960, 88-89, nonch� nota 
redazionale in questa Rassegna, 1969, I, 221-224). 
5. -Le precedenti considerazioni sono state fatte per gli appalti di 
opere pubbliche a prezzi unitari, che � il sistema generalmente seguito. 
Per quanto concerne gli appalti a farfait, deve avvertirsi che l'art. 118 
del r.d. n. 350 del 1895 dispone l'applicabilit� anche ad essi delle norme 
del Regolamento � in tutto ci� che sia compatibile con la natura di tali 
contratti�. Dato, adunque, che anche per tali appalti, nei quali il rischio 
della maggiore quantit� di lavoro, resasi necessaria ri�spetto a quella prevedibile, 
grava sull'appaltatore, si ponga un problema di pretese di costui 
a maggiori compensi, ad es. per la maggior durata del lavoro conseguente 
a sospensione per fatto dell'Amministrazione, sembra agevole osservare 
che, in quanto anche in essi v'� una contabilit� di � tutti i fatti produttivi 
di spesa per l'esecuzione dell'opera � (art. 36 r.d. n. 350 del 1895) e si 
proceda all'annotamento dei lavori per aliquote ai sensi dell'art. 46 r.d. 
n. 350 del 1895, non pu� esser dubbio l'onere della riserva immediata 
dell'appaltatore ,secondo i principi dianzi esposti. 
F.C. 
@IrtRf.ifiiNfififf%ffffff:ff@fgfftf@fm0rfff[ff@[f@IfffffWMffMM1ffff@ffifftillffiEmmmmmr&E@ff@iimff@fil@ff@f#EfE@ff~ ' 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 1193 

Va, tuttavia, chiarito che l'-0missione della riserva non incide che 
indirettamente sui diritti dell'appaltatore, do� nel senso che egli non 
potr� far valere diritti che abbiano a fondamento fatti diversi da quelli 
registrati; per converso, l'omissione non incide su pretese dell'appaltatore 
che non abbiano come � causa petendi � fatti diversi da quelli registrati, 
ma anzi traggano proprio da .essi la propria rag-ione. 

Applicando questi principi all'esame dell'eccezione di decadenza sollevata 
nei confronti dei quesiti da 1 a 8 -cio�� in materia di richiesta 
di indennizzi per pregiudizio economico derivato dalle sospensioni dei 
lavori -si osserva che l'effetto dell'omissione di riserva dell'Impresa 
nei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori non pu� essere che 
quello di avere � per accertati i fatti e le drcostanze registrate� nei 
documenti, cio� nei vertbali stessi, come appunto statuisce l'art. 89 Regolamento, 
invocato dalla difesa dell'Amministrazione quale caposaldo 
della sua tesi. Ma l'avere �per accertati i fatti e le circostanze� di cui 
ai verbali in questione non altro pu� significare, se non che l'appaltatore 
non potr� avanzare pretese fondate su fatti e �Circostanze diverse da 
quelle: in particolare, non sar� contestabile il fatto in s� dell'avvenuta 
sospensione; la sua durata; i fatti addotti a sua giustificazione e ogni 
altra circostanza risultante dai verbali .stessi. Ma l'appaltatore potr� 
egualmente far valere diritti che abbiano 'a fondamento proprio i fatti 
e le circostanze risultanti dai verbali. N� varrebbe obiettare che talora 
il Regolamento usi il termine di �accettazione� con riferimento ai 
dati contabili �accertati�: � stato dimostrato, invero, dalla migliore 
dottrina, che nell'omissione di riserva non si pu� configurare un'ipotesi 
di acquiescenza dell'appaltatore, perch� gli effetti di essa si producono 
in forza del Regolamento, e l'omissione stessa vale come mero fatto, 
in cui � manifestamente� irrilevante .n suo stesso .carattere volontario 

o involontario. 
La tesi ora esposta non solo non contrasta, ma anzi si accorda con 
l'altra, sopra richiamata, che ravvisa la �ratio � del regime delle riserve 
nella esigenza di assicurare all'Amministrazione la possibilit� di un 
efficace controllo sulle pretese dell'appaltatore, in quanto la tesi stessa 
presuppone e comporta appunto che ali'Amministrazione non possa essere 
opposta alcuna pretesa fondata su fatti e situazioni diverse da quelle 
.� ac-certat� � e quindi ben note all'Amministrazione stessa. Alla quale, 

\el resto, non pu� sfuggire !'.intrinseca .capacit� di danno di talune si.-
uazioni, quali le sogpensioni dei lavori (� an debeatur �) n� l'impossibilit� 
della predeterminazione quantitativa di esso ( � quantum debeatur 
�). 

Anche sotto questo profilo, dunque, appare non fondata l'eccezione 
sollevata, nei confronti dei quesiti da 1 a 8. -(Omissis). 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 25 ottobre 1968, n. 1410 -Pres. 
D'Amario -Est. Giovannelli -P. M. Ilari (conf.) -Rie. Cifarelli. 

Reato -Reato forestale -Depenalizzazione -Sussiste. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267, artt. 10, 26, 28). 
A mente della legge 9 ottobre 1967, n. 950, relativa alle sanzioni 
per i trasgressori delle norme dii polizia forestale, per le violazioni delle 
norme medesime contenute nei regolamenti di cui all'art. 10 del r.d. � 
30 dicembre 1923, n. 3267, si applica ia sanzione amministrativa pecuniaria 
nel caso in cui il bestiiame venga immesso in un fondo in violazione 
ai divieti di pascolo e nel caso in cui vengano abbattute piante 
e ceppaie (1). 

(1) Illeciti in materia forestale. 
(1) La peculiarit� della materia postula di necessit� un ordinato esame 
delle fonti normative che la regolano, come premessa per la retta soluzione 
della fattispecie. 
. Atteso l'assorbente interesse pubblico derivante dalla stabilit� del suolo 
e dal ):>uon regime delle acque -e avvenimenti recenti ne costituiscono 
la tragica riprova -a datare dall'abrogata legge 20 giugno 1877, n. 3917 
dll'attuale disciplina di cui al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 e relativo regolamento 
di cui al r.d. 16 maggio 1926, n. 1126, il legislatore pose in essere 
l'istituto del vincolo sui terreni, dapprima definito come vincolo forestale, 
cd attualmente come idrogeologico. 

Quest'ultimo, con visione pi� ampia ed unitaria rispetto al primo, per 
il perseguimento dei fini sopra indicati (vedasi art. 1 legge forestale) pone 
in essere, a carico dei predi vincolati, delle limitazioni attinenti alla trasformazione 
dei boschi e dei terreni saldi, alle modalit� del governo dei 
medesimi, all'utilizzazione dei cespugli, al dissodamento dei terreni saldi, 
alla messa a cultura in genere dei predi (artt. 7, 8, 9) (ved. A. SANDULLI, Enciclopedia 
giuridica, vol. V, p. 617, voce Boschi). 

Peraltro la concreta e minuta disciplina dell'istituto, veniva demandata 
a regolamenti da emettersi a cura dell'Autorit� Provinciale, pi� adatta 
all'apprezzamento delle situazioni ambientali -dapprima dei Comitati 
Forestali e in seguito, con d.1.1. 21 settembre 1944, n. 315 delle Camere di 
Commercio, Industria e Agricoltura, territorialmente competenti -� (ve



PAR'.l'E I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1195 

dansi altresi gli articoli 19, 20, 41, 43, 44 del r.d. 16 maggio 1926, n. 1126, 
che costituisce il regolamento della legge forestale del 1923). 

Le prescrizioni di massima, da emanarsi con le modalit� di cui all'articolo 
10, comma 1� venivano completate da norme di polizia forestale poste 
a tutela della loro osservanza (art. 10, comma 2�), onde ai ridetti organi 
periferici veniva attribuita altres� la potest� di porre in essere veri e propri 
precetti penali, con previsione di reati contravvenzidnali, col limite, in 
termini di sanzione, di cui all'art. 650 c.p. (art. 11). 

In definitiva, tali illeciti perseguivano un interesse squisitamente amministrativo 
� si �caratterizzavano per una funzione preventiva e, quindi, 
conservativa della situazione prediale, che prescindeva in genere dall'esistenza 
di un danno (vedasi l'art. 19 �del Regolamento della legge forestale). 

Fondamentale in materia appare la pronunzia della Corte Costituzionale 
del 17 marzo 1966, n. 26, investita dall'esame degli artt. 8, 9, 10, 1� della 
legge forestale, per dedotto contrasto con gli artt. 3, 25, 70 della Costituzione. 


La Corte ritenne che unicamente l'art. 11 della legge, e non anche gli 
altri denunciati, violasse un precetto costituzionale (art. 25, comma 2� della 
Costituzione). 

Invero, tale norma della Carta costituzionale che pone in essere il 
principio della riserva legislativa nella materia penale, trovava, secondo 
la pronunzia in esame, retta e puntuale applicazione nel mentovato art. 11 
�della legge, limitatamente alla parte precettiva. 
.. La Corte cio�, conformente �all'indirizzo adottato in altre pronunzie, 
ritenne che l'area della potest� normativa rimessa alle prescrizioni di mas1>
ima ricevesse dalla legge forestale e dall'art. 19 del Regolamento sufficinte 
specificazione in quanto veniva a risultare circoscritta e delimitata 
nelle finalit� e nel contenuto. 

Pertanto, poich� i poteri attribuiti all'Autorit� Amm.va periferica (le 
Camere di Commercio) apparivano tutt'altro che arbitrari, m� si presentavano 
puntualmente ed adeguatamente finalizzati, doveva consi'lierarsi 
sostanzialmente osservata la riserva legislativa di cui all'art. 25, comma 2� 
della Costituzione. Ci� per� solo, come si � detto, per quanto atteneva allo 
aspetto precettivo della normativa, ma non anche a quello sanzionatorio, 
in quanto � il principio costituzionale della legalit� della pena (�) da interpretare 
pi� rigorosamente, nel senso che essa esige che sia soltanto la legge 

(o un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale misura debba essere 

repressa la trasgressione dei precetti che vede sanzionati penalmente �. 

Pertanto, era da considerarsi incostituzionale l'art. 11 della legge fore
�stale, in quanto demandava alle norme locali di polizia forestale emanate 
dalle Camere di Commercio di stabilire a propria scelta, non importa se 
entro limiti" tassativi, indicati col:). riferimento a un precetto generale altrimenti 
applicabile) le sanzioni penali da comminare ai trasgressori �(riserva 
.di legge assoluta). (Vedasi sul punto: MERUSI F., Sanzioni per i trasgressori 
delle norme di polizia forestale, in Riv. dir. agr., 1968, I, 543). 

Poich�, quindi, veniva a determinarsi in materia, a seguito di tale pronunzia, 
una situazione carenziale, il legislatore intervenne, sanando la 
�acuna con la legge n. 950 del 1967, in virt� della quale �per la violazione 
delle norme di polizia forestale di cui all'art. 10 del r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3267 � si comminava la sanzione amministrativa del pagamento 
�di una somma fissa o variabile secondo i casi. 

Si rilevi che altri provvedimenti legislativi si sono ispirati, in quest'ul


timo temoo, al criterio della depenalizzazione di norme penali. (Vedansi 

gli artt. 5 e seguenti della legge 3 maggio 1967, n. 3171 in tema di circo




1196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

laz�one stradale; gli ratt. 5 e 6 del d. I. 17 marzo 1967, n. 211 in materia 
di prodotti ortofrutticoli). 

Va ora fatto un cenno ai cos� detti �reati forestali ., la cui disciplina 
� dato cogliere negli artt. da 24 a 38 della legge forestale. 

I caratteri differenziali di questi, dagli illeciti di cui si � dianzi discorso, 
sono costituiti dal fatto che hanno a loro oggetto azioni produttive di danno 
e perseguono interessi di carattere generale attinenti alla tutela dell'intera 
collettivit� (e non meramente amministrativi come i primi). 

La minuta disamina della normativa conferma l'interpretazione superiormente 
data. 

Sono soggetti attivi di tali reati sia i proprietari, amministratori o possessori 
dei predi soggetti a vincolo, per i quali, attesa la loro posizione nei 
confronti della realit�, vengono comminati inasprimenti nelle sanzioni; sia 
i terzi in genere che, con la loro attivit� criminosa, versino negli illeciti 
in parola. 

L'elemento materiale presuppone pur sempre la mancata osservanza 
delle prescrizioni di massima emanate dall'Autorit� competente, con in pi� 
l'elemento specifico caratterizzante, rappresentato dal p;regiudizio concreto 
arrecato alle cose, vuoi perch� siano stati effettuati lavori non consentiti 
di dissodamento o di cultura, vuoi perch� le piante siano state tagliate o 
danneggiate -o siano stati comunque arrecati danni di vario tipo merc� 
attivit� specificamente vietate. 

La sanzione � costituita, secondo i casi o da ammenda (vedasi l'art. 24} 

o da pena pecuniaria (vedasi art. 26) �che, ai sensi dell'art. 7 ultimo comma 
delle disposizioni di coordinamento e transitorie al Codice Penale, ha an-� 
ch'essa natura di ammenda. Tale principio � peraltro ribadito dall'art. 34 
della legge che sancisce, nel caso di mancato pagamento di essa, la commutazione 
nell'arresto, a seconda del suo ammontare. 
Per una pi� completa visione del sistema, si aggiunge che, nella ma


teria in esame, � stato ritenuto: 

a) che l'art. 29 della Legge Forestale, nel rimettere alla stima degli 

agenti forestali la valutazione del danno �che costituisce la base per la 

determinazione della penalit�, non si rimette alla loro discrezionalit�, ma. 

a mezzo del Regolamento approvato con r.d. del 1926, n. 1126, ne fissa i 

criteri di guida per la quantificazione (Cass. pen., 25 giugno 1963, in Giust.. 

pen., 1964, II, 464). Il giudice pertanto, anche nel far propri i risultati dei 

tecnici,, recepisce dalla legge i principi per l'individuazione della pena 

(Cass. pen., 6 ottobre 1967, in Cass. pen. mass., 1968, p. 1023); 

b) che, nei limiti di valore consentiti (vedansi artt. 35 e 36 della.. 

legge), il procedimento relativo ai reati forestali � costituito dalla fase 

amministrativa nel corso della quale si pu� conciliare la pendenza, ed. 

inoltre, in via successiva ed eventuale, decorso tale termine, � costituito� 

dalla fase processuale. Peraltro, il mancato rispetto della fase amministra


tiva non costituisce condizione di procedibilit� (Cass. pen., 23 ottobre 1963~ 

Cass. pen., Mass., 1964, 728; Cass. pen., 6 aprile 1966, Cass. pen., Mass.,. 

1967, 471). 

L'escursus che precede dovrebbe consentire un pi� agevole colloca-� 

mento della legge di depenalizzazione nell'ambito del sistema. 

$i nutre viva perplessit� sull'esattezza del principio, accolto dal Su-premo 
Collegio con sentenza deUa III Sezione Penale 1~ maggio 1968 (ve-� 
dasi Giust. Pen., 1969, parte II, 157), �e ribadito con la pronunzia che si 
annota, ancorch� in via del tutto implicita e senza la completa motivazione� 
che � dato leggere nella prima. 

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-


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1197 

Pare c10e che, pur dopo l'entrata in vigore della legge n. 950/1967, 
i reati forestali non si siano trasformati in illeciti amministrativi, ma continuino 
ad avere natura di fattispecie penalmente rilevanti. 

Confortano tale opinione considerazioni di ordine sistematico. 

La sede della loro disciplina non � invero riscontrabile � nei regolamenti 
di cui all'art. 10 del r .d. del 1923, n. 3267 �. La configurazione dei 
reati forestali si �ricava invece dagli artt. da 24 in poi della legge forestale 
in tutta la loro completezza. 

Questi ultimi disposti di legge hanno rilievo di norme incriminatrici 

o penali, che rinviano ai regolamenti delle Camere di Commercio unicamente 
per recepire la specificazione delle prescrizioni singole, la mancata 
osservanza delle quali si pone come premessa del danno ar:recato ai predi; 
e sono comprensive altresi della corrispondente sanzione in relazione ai 
diversi tipi di illecito. 
Le norme di polizia forestale, in contrario, mutuano dalla legge forestale 
�soltanto i criteri direttivi o di massima, alla cui realizzazione sono poi 
preordinati i noti regolamenti. 

Questi quindi, nel dettare la disciplina concreta delle prescrizioni, assumono 
il rilievo di norme incriminatrici o di primo grado in quanto configurano 
tali illeciti nella loro interezza (vedasi ANTOLISEI, Manuale di 
diritto penale, parte generale, p. 32). 

A parte quindi la gi� rilevata difformit� strutturale ed ontologica tra 
i due tipi di infrazioni, si ritiene che la portata delle disposizioni depenalizzatrici, 
giusta la dizione adoperata dal legislatore, investa soltanto le 
norme di polizia che ripetono dai regol;:imenti la loro disciplina e non 
anche i reati forestali, che, come si � visto, hanno altra sedes materiae. 

Soccorre, peraltro, a favore della tesi qui sostenuta il criterio pi� 
strettamente interpretativo. La legge di depenalizzazione pi� volte citata 
fa esclusivo riferimento alle norme di polizia, ma ignora i reati forestali. 

Il ritenere che essa abbia disciplinato funditus ed in modo organico 
l'intera materia sanzionatoria in esame, abrogando quindi le previsioni di 
cui agli artt. 26 e 28 quali fattispecie penalmente rilevanti, presuppone 
ovviamente un'interpretazione del pensiero del legislatore che va oltre la 
lettera da lui adoperata. 

peraltro all'accoglimento dell'interpretazione estensiva, nel senso ritenuto 
dal Supremo Collegio nella pronunzia che si annota, osta la basilare 
considerazione che, malgrado il susseguirsi di disposizioni legislative, inspirate 
a nuovi criteri informatori, una disposizione continua a dispiegare 
tutta la sua efficacia, a meno che: 1) o sia espressamente abrogata; 2) o le 
sue norme siano in palese ed evidente contrasto con le norme sopravvenute 
(Cass., 28 luglio 1962, n. 2230). 

Ora, a parte il fatto che la prima ipotesi. non ricorre, non pare che 
-attesa la chiarezza del dettato legislativo (art. 12 delle preleggi comma 
primo) -si possa de plano, attribuire alla legge del 1967, in esame, una 
chiara volont� di ampliamento della regolamentazione innovatrice anche 
ad ipotesi delittuose, di natura diversa che non risultano espresse, o in 
verun modo richiamate, come � per i reati forestali. 

N� deve trarre in errore la particolarit� del sistema sanzionatorio approntato 
dalla legge del 1967, che, nella sua variet�, prevede anche la 
corresponsione di somme proporzionali al numero di piante abbattute 0 
di animali abusivamente immessi a pascolare su terreni vincolati. 

Trattasi di un espediente di politica retributiva che mira a graduare 
il sacrificio pecuniario, entro certi limiti, al rilievo del fatto commesso, ma 
che non attenta o comunque altera le linee degli istituti come delineati. 


1198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Si � voluto cio�, in alcuni casi, rafforzare una tutela la cui importanza 
era resa palese da avvenimenti che colpivano l'intera collettivit�. 

In definitiva, segnatamente nella materia esaminata, in cui le singole 
norme costituiscono regole di un sistema peculiare e specifico, a struttura 
logico-unitaria; deve di necessit� darsi alle parole il significato accolto 
dal sistema medesimo. � 

Prescinderne equivale alterare le linee portanti di una costruzione giuridica 
ben delineata, per perseguire la ricerca di una pretesa volont� contraria 
del legislatore che trova �smentita nel testo normativo da interpretare. 

Si pu� concludere che con la legge n. 950 del 1967 si � creato un sistema 
di sanzioni amministrative, particolare per le modalit� con cui esse 
vengono comminate, in accordo col carattere dei precetti cui si riferiscono 
e degli interessi tutelati. 

L'obietto giuridico �, per�, del tutto dissimile dagli interessi pubblici 
di carattere generale tutelati dalle norme sui re.ati forestali. 
Nulla pare quindi innovato rispetto alle disposizioni che non siano 
collegate agli artt. 10 e 11 della legge forestale. 
Tre ordini di disposizioni autonome e diverse possono quindi trovare 
applicazione : 
1) quelle del codice penale, allorquando vengano commessi reati 
comuni. 

Si abbiano presenti le ipotesi delittuose di cui agli artt. 449 (delitti 
colposi di danno); 624 (furto); 632 (deviazione di acque e modificazione 
dello stato dei luoghi); 633 (invasione di edifici); 635 (danneggiamento); 
636 (introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo); 
637 (ingresso abusivo nel fondo altrui) ecc.; 

2) le norme relative ai reati forestali, dettate a tutela di interessi 
.generali, che sopra si sono esaminate (artt. 24 e seguenti legge forestale); 
3) le disposizioni che riguardano la violazione delle prescrizioni di 

massima e di polizia. 

Queste non hanno carattere penale, ma costituiscono illeciti ammini
�strativi -sottratti al potere decisionale del giudice -e comportano, come 
conseguenza, solo l'obbligo di corrispondere una somma di denaro. 

Non sono suscettibili di essere assorbite dalle sanzioni penali ma con-
corrono necessariamente con esse. 

Peraltro le fattispecie criminose di cui sub 1) e 2) possono, secondo 
i casi, concorrere ai sensi dell'art. 28, o assorbirsi giusta il disposto dell'art. 
30 della legge medesima, in conformit� dei principi generali di diritto 
penale (vedansi gli artt. 15 e 81 parte I c.p.). 

Uno stesso comportamento umano pu� trovare perci� definizione giuridica 
in relazione a tre diversi tipi di illecito con i correlati autonomi 
ordini di sanzione, che vanno applicati distintamente. 

L. SICONOLFI 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 3 .giugno 1969, n. 1772 -Pres. leardi 
-Rel. Nucci -P. M. M.acucci (conf.) -Rie. De Bonis e Cusimano 
(avv. Stato Petroni). 

Cosa giudicata -Efficacia del giudicato per uno dei coimputati nei 
confronti degli altri -Divieto del bis in idem -Limiti di tale divieto 
-Riesame della responsabilit� del coimputato assolto con 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1199 

sentenza irrevocabile -� ammesso ai fini di rivalutare le responsabilit� 
degli altri. 

Anche quando si � formato il giudicato di assoluzione nei confronti 
di uno dei coimputati, ben pu� il giudice, nel prnsieguo della 
azione penale nei confronti degli altri, riesaminare lib�ramente l'intera 
fattispecie allo scopo di accertare l'esatta misura della responsabilit� 
dei prevenuti; infatti la preclusione di cui aU'art. 90 c.p.p. non opera 
in modo assoluto ed universale, ma. agisce solo nei confronti di colui 
verso il quale si � verificata la 'consunzione dell'actio (1). 

(Omissis). ~ Col 10 motivo si sostiene violazione, da parte della 
sentenza denunciata, dell'art. 546 c.p.p., per non essersi il giudice di 
rinvio uniformato alla sentenza di questa Corte, per quanto riguarda la 
questione di diritto con essa decisa. 

Col 2� motivo si deduce, di conseguenza, violazione altresi dell'articolo 
90 c.p.p., in quanto si trattava di riesaminare la condotta del 
Cirasegna solo nei confronti dei� 2 coimputati. 

I due motivi, per la loro connessione, possono venire trattati congiuntamente. 


Entrambi sono fondati. 

La Corte di rinvio, ritenendo che, come sopra, si era formato il 
giudicato sul negato nesso causale del fatto del Cirasegna con l'evento, 

(1) Appunti intorno al divieto del bis in idem e all'efficacia riflessa del 
giudicato penale. 
La Corte di Cassazione, con la sentenza che si annota, ha ribadito, 
in conformit� con un orientamento giurisprudenziale che pu� ormai dirsi 
pacifico (1), che il formarsi del giudicato nei confronti di un coimputato 
non impedisce al giudice di riesaminare l'intera fattispecie allo scopo di 
enuclearne gli elementi idonei a condurre ad una esatta valutazione delle 
responsabilit� degli altri coimputati, nei confronti dei quali sia ancora in 
fase di svolgimento l'azione penale; in questa libera rivalutazione dei fatti 
e, quindi, delle responsabilit�, il giudice pu� anche pervenire a soluzioni 
contraddittorie rispetto alle enunciazioni del giudicato formatosi, senza 

(1 Cfr., tra le molte, Cass.. S. U., 19 giugno 1957, Riv. it. dir. proc. pen., 1958, 
200, con nota di E. Dosr; Cass. 6 febbraio 1967, Giust. Pen. 1967, III, 735; Cass. 30 ottobre 
1957, ivi 1958, II. 697; Cass. 17 gennaio 1958, Riv. Pen. 1958, II, 619; Casa. 4 
aprile 1952, ivi 1952, 499; Cass. 16 aprile 1956, Arch. Pen. 1957, II, 312; Cass. 2 aprile 
1965, Giust. Pen. 1965, III, 590 m. 686; Cass. 7 giugno 1965, ivi 1966, III, 93; Cass. 
26 gennaio 1954, Arch. pen., 1954, II, 538, dove si legge che e ... l'assoluzione definitiva 
consuma l'azione pe;nale nei confronti della persona chiamata in giudizio, ma... 
il riesame di quanto specificamente dedotto contro costui non � successivamente 
precluso, salvo eccezioni particolari, in occasione del procedimento da svolgersi a 
carico di altre persone, alle quali siano contestati gli stessi fatti, o addirittura fatti, 
come nel caso de quo, meramente concorrenti�� 

15 



1200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

considerato come derivante unicamente dalla deviazione intempestiva 
sulla destra, fatta dall'autocarro militare in sorpasso a distanza irregolare, 
ha concluso che, di conseguenza, non poteva in nessun senso 
pi� venir Tiesaminata la condotta del medesimo, sotto qualsiasi profilo. 

Trattasi di argomentazioni del tutto viziate, e in nuce. 

Ritenuto invero, dalla prima sentenza della Corte di appello, gi� 
annullata, che non costituivano elemento di colpa a carico del Ciras.
egna, le circostanze addebitate al medesimo, ed esaminate con con


�' 

peraltro che a tale libert� sia di ostacolo la norma contenuta nell'art. 90 

c.p.p. (ne bis in idem). 
L'enunciazione pu� essere senz'altro condivisa, giaccl;l� la preclusione 
ex re iudicata in ordine ad un determinato fatto opera, ex art. 90 cit., 
solo quoad eandem personam; n� pu� in contrario obiettarsi che, in tal 
modo, possono venire ad esistere dei giudicati contraddittori, sia perch� 
l'inconveniente � previsto dall'ordinamento, il quale predispone specifici 
rimedi contro tale eventualit� (cfr., ad esempio, l'art. 544 n. 1) (2), sia 
perch� il trionfo della verit� materiale � un bene pi� importante dell'eventuale 
menzionato conflitto. 

I limiti soggettivi della preclusione risultano chiaramente enunciati 
nella norma in esame, onde non possono essere sollevati seri dubbi circa 
la validit� del ricordato orientamento, a meno che non si voglia negare, 
in linea di principio, la possibilit� del formarsi del giudicato parziale, 
cio� del giudicato relativo ad uno soltanto dei coimputati (3): tale negazione 
del giudicato parziale, peraltro, non avrebbe pregio, come risulta 
evidente sol che si consideri che in un medesimo procedimento possono 
ben coesistere vari rapporti processuali, ognuno dei quali pu� avere uno 
sviluppo ed una sorte propria, e diversa rispetto a quella degli altri; non 
� affatto anormale quindi che la sentenza, la quale definisce uno dei singoli 
rapporti, possa diventare irrevocabile nei confronti del soggetto passivo 
del rapporto definito, mentre non lo div�enti, ad esempio per interposto 
gravame, nei confronti del soggetto di uno dei rapporti non conclusi (4). 

Posto che l'imputato, condannato o prosciolto con sentenza divenuta 
irrevocabile, non pu� essere di nuovo sottoposto a procedimento penale 
per il medesimo fatto, viene da domandarsi se tale preclusione, che di 
regola, appunto, opera strettamente ad personam, influisca in qualche modo 


(2) Cfr. Lozzx G., Con-ftitti di giudicati e favor rei, Riv. it. dir. proc. pen. 1965, 
1188, dove vengono illustrati i vari conflitti di giudicati in materia penale (conflitti 
teorici, pratici e teorico-pratici) con la descrizione dei vari rimedi previsti dalla 
legge per la risoluzione di essi. 
(3) Tra i negatori del giudicato parziale sembra essere il FRANcm;NA G., L'ostacolo 
del giudicato all'applicazione dell'art. 152 del codtce di procedura penale, Giust. 
pen., 1965, III, 272, quando osserva che � nel giudizio penale, esclusa l'ipotesi espressamente 
prevista dell'annullamento parziale con rinvio, non si forma mai il giudicato 
parzialto, come risulta dalle norme che regolano l'impugnazione parziale nel processo 
cumulativo >. 
(4) Cfr. CoDAGNONE M., Appunti sull'effetto devolutivo dell'appello, Giust. pen., 
1962, III, 457. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1201 

elusione a suo favore, da questo non poteva tuttavia derivare l'illazione, 
che le stesse circostanze, che la Corte di merito aveva poi essenzialmente 
fondato sulla situazione soggettiva del Cirasegn.a, p~ facendo 
parte del fatto complessivamente e poliedricamente ascritto anche 
al ricorrente, non potessero tuttavia, per la preclusione derivata dal 
giudicato, formatosi unicamente nei confronti del Cirasegna, essere comunque 
rivalutati, a favore o meno, nei riguardi dei due coimputati 
ricorrenti, e nei riflessi dei quali era rimasta in vita, ed in pieno svolgimento, 
ancora l'azione penale. 

anche nei riguardi di altri soggetti, siano questi stati o meno presenti, in 
veste di coimputati, nel processo �Concluso con la detta condanna o proscioglimento. 
� 

Il problema proposto si innesta nella pi� vasta questione del valore 
della res iudicata (5): infatti, se si ritiene che il giudicato penale valga 
erga omnes (6), e cio� anche nei confronti di quelle persone che non hanno I 
ottenuto dalla sentenza un giudizio definitivo, il giudice dei coimputati, 

I

continuando l'azione penale nei loro confronti, dovr� in ogni caso. tener 

I

conto del giudicato gi� formatosi e mai �potr� emettere una pronuncia che 

I

ad esso sia contraddittoria: cos�, ad esempio, se si � formato il giudicato 

\ 

di assoluzione nei confronti di Tizio per insussistenza del fatto, non potr� 

! 

I f. 

(5) Sul punto della natura e degli effetti della cosa giudicata penale, anche in 
relazione a quella civile, cfr. DE LUCA �G., I limiti soggettivi della cosa giudicata 
penale, Milano 1963; "GuARNERI G., AutOTit� della cosa giudicata penale nel giudizio 
civile, Milano 1942, 244; GoLDSCHMIDT, Materielles Justzrecht, FeStgabe fur 
I 

Hubler, Berlin 1905, 124, il quale ritiene la res iudicata penale sostanzialmente diversa 
da quella civile; VANNINI, Manuale di diritto processuale, italiano, Milano 1953, 255. ! 


(6) Cfr., ad esempio, VANNINI, op. e !oc. cit.; Rocco ART., Trattato della cosa i 
giudicata .come causa di estinzione delt'azione penale, Modena 1900, I, 229; MANZINI, 
i 

I 
!Trattato di diritto processuale penale, Torino 1954, IV, 463. Naturalmente, gli Autori 
non mancano di indicare limiti ed eccezioni al detto principio dell'autorit� assoluta 
del giudicato: per esempio VANNINI, cit., ritiene che tale valore universale ed assoluto 
si abbia soltanto nella ipotesi in cui � l'imputato sia stato prosciolto, con sentenza 
passata in giudicato, con la formula della insussistenza del fatto... Ci� � evidente: 
la sentenza che proscioglie con tiile formula finisce con il costituire la dichiarazione 
giudiziale che nessuna persona ha potuto commettere il fatto, poich� tale 

i

fatto non sussiste �. Altri ritengono l'efficacia assoluta del giudicato anche nelle 

'ipotesi di assoluzione dell'imputato perch� il fatto non � provato o non costituisce 

reato: cfr. ALoisI, Manuale pratico di procedura penale, Milano 1933, IV, 522; SABA


TINI G., Istituzioni di diritto processuale penale, Napoli 1933, 355; negano, invece, 

che l'efficacia assoluta del giudicato si determini anche nei riguardi delle sentenze 

di proscioglimento per insufficienza di prove, il MANZINI, L'art. 90 cod. proc. pen. e 

i concorrenti estranei al primo giudizio, Ann. dir. .e proc. pen., 1939, 998, e il BER


NIERI, Il ne bis in idem e il requisito dell'eadem persona, ivi 1939, 1000. Tra i pi� 

recenti, ANGIONI M., Nozione e limiti della cosa giud.icata penale, Riv. pen., 1964, 

I, 513, il quale ammette l'efficacia preclusiva erga omnes del giudicato di assoluzione 

per insussistenza del fatto,e di quello che dichiara estinto il reato per una causa 

obiettiva comune (per esempio: prescrizione), individuando il fondamento della 

preclusione nell'art. 554 n. 1 e nella giuridica inammissibilit� di sentenze contrad� 

I

dittorie. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tutto .ci� ha importato �una non giustificata estensione dell'art. 90 
c.p.p., e dei suoi effetti, che vanno considerati soprattutto, anche nel 
campo del diritto penale, come int~r partes. E questa Corte, con perfetta 
aderenza ai suoi compiti giurisdizionali, si era soffermata nel 
vizio logico e sulla carenza della motivazione che, sotto questo aspetto, 
presentava la sentenza annullata in rapporto al grado di responsabilit� 
dei ricorrenti, da considerare necessariamente anche in riflesso ail'azione 
e al fatto del Cirasegna, e con la piena libert� che spettava al riesame, 
all'uopo, del giudice di merito, nei riguardi degli stessi, tanto 

il giudice condannare Caio per aver commesso quello stesso fatto. Al contrario, 
il giudice conserver� tutti i suoi poteri giurisdizionali se si ritiene 
che il giudicato,formatosi nei confronti di Tizio, non � la verit� assoluta 
e indiscutibile, non � l'opinione ufficiale e immutabile dell'ordinamento, 
ma rappresenta soltanto la conclusione dell'actio nei confronti di Tizio e 
pertanto, se pro veritate habenda est, lo � solo e semplicemente nei confronti 
di lui (7). 

Non � forse inutile ricordare come il principio della efficacia erga 
omnes della cosa giudicata in genere, e ~enale in specie, sia il frutto di 
concettualizzazioni non del tutto esatte sotto il profilo scientifico (8); certo 
� che il valore logico della res iudicata (il sillogismo della sentenza, visto 
come strumento di affermazione della verit� oggettiva) ancora oggi, spesso, 
domina e supera l'aspetta pratico del giudicato (9), conducendo gli Autori 
a soluzioni non sempre confortate dal diritto positivo. Cosi, a volte, viene 
trascurata l'esistenza di norme di legge le quali sono idonee a demolire 
le pi� seducenti costruzioni logiche. Un simile equivoco si � determinato 
anche in ordine alla questione che ci occupa, perch� nel sistema del nostro 

(7) Nega l'efficacia erga omnes del giudicato, tra gli altri, il il BucoLo c., Sul 
giudicato penale, Giust. pen., 1963, III, 423, il quale ammette che � il principio di 
efficacia erga omnes o non trova applicazione o va inteso in senso molto relativo>: 
cosi pure LEONE G., Istituzioni di diritto procesruale penale, Napoli 1965, II, 426 
segg.; ONDEI E., Inesistenza dell'efficacia riff.essa dei giudicati penali 8'U altri giudizi 
penati, Giust. pen., 1949, III, 14, il quale ritiene che, ex art. 90 c.p.p., il giudicato 
penale non pu� avere nessuna efficacia per impedire un ulteriore giudizio, su altre 
persone circa lo stesso fatto, o su altri fatti circa la stessa persona, qualunque sia 
il nesso tra questi e il fatto giudicato. Cfr. anche MARCONI-MARONGIU, La procedura 
penale italiana, I, 28; ADDAMIANO, Sulla inff.uenza del giudicato penale nel processo 
penale, Arch. pen., 1951, 169. Anche la giurisprudenza �, ormai da decenni, orientata 
in tal senso: cfr., ad esempio, Cass. 18 febbraio 1937, Giust. pen., 1938, II, c. 110, 
dove si afferma che l'autorit� del� giudicato � limitata all'oggetto ed ai soggetti del 
giudizio in cui la sentenza fu pronunziata, onde essa non pu� valere in giudizi 
diversi�: anche Trib. Venezia 21 giugno 1949, Arch. pen., 1950, II, 333. 
(8) Cfr., per tutti, DE LucA, I limiti soggettivi ecc., cit., il quale svolge una 
pregevole sintesi degli sviluppi di tali concettualizzazioni nella storia del pensiero 
giuridico, sia per quanto riguarda la res iudicata i,11 genere, sia per ci� che attiene 
al giudicato penale in specie. 
(9) Cfr. DE LucA, op. cit.. � proprio da questa affermazione del giudicato come 
valore logico, e come strumento di ricerca della verit� assoluta, predominante sull'aspetto 
pratico del medesimo, che nasce la premessa per la dottrina dell'efficacia 
assoluta, e vincolante per tutto l'ordinamento, della cosa giudicata. 

1203

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

quoad poenann (perch� non fu negato il minimo), quanto agli effetti 
civili, che non decadevano poi nei confronti del Cirasegna per la formula 
di assoluzione, punto su cui non � il caso qui di soffermarsi. 

Dal diverso criterio adottato dalla sentenza impugnata, che ha 
inoltre nettamente distinto l'ipotesi che si fosse trattato di terzi non 
~putati (anche quindi se fosse stata esclusa), ben potrebbe impor~
a legittimazione d.i un vizio in iudicando, il che � del tutto al 
�.. <].ell'intenzione del legislatore, nello stabilire la preclusione 

1'\te una sola norma che possa sorreggere la tesi della 

�~:rsale del giudicato penale: tale costruzione �; 

~t. 90, che riconduce chiaramente nei pi� rigo


..Jsione nascente dal giudicato, nonch� dall'arti


iiunge ad addolcire la stessa preclusione sog


) rei. 

..ddere che possa essere sostenuta l'efficacia erga 

;�nale, con le �conseguenze che ne derivano in ordine 

.Alti di altre pel'SOne per il medesimo fatto, pure se a 

/'principio fossero invocati importanti elementi, quale il 

,Jstico del processo penale o la conseguente necessit� del


di una verit� oggettiva (res iudicata pro veritate habe


/ne venisse individuata la giustificazione "� nella struttura del 

,Aale, nella funzione della giurisdizione penale e nel criterio 

Jre tra azione e sentenza penale � (11), o infine in una forma 

.tdizialit� che esisterebbe tra i due giudizi, enucleata attraverso una 

f1 interpretazione analogica dell'art. 18 c.p.p. (12). 

,;;a realt� � che, nel sistema del diritto positivo vigente, il terzo � 

.tpletamente insensibile di fronte al giudicato penale (13), anche se 

,desto si forma nei confronti di un coimputato, in relazione al medesimo 

fatto sul quale si svolge il secondo giudizio: poich� infatti � promana da 

tutto il sistema che il processo penale non ha scopi gnoseologici ma essen


zialmente pratici � (14), si spiega la preminente importanza che rivestono 

alcuni principi, quale quello dell'accertamento della c.d. verit� materiale, 

del libero convincimento del giudice etc., i quali ispirano ogni norma del 

procedimento e giustificano le molte deroghe che la legge positiva apporta 

ai rigori logici di qualsiasi costruzione scientifica. Cosi, in teoria, potrebbe 

{10) Cosi il MAZZINI, Diritto processuale penale italiano, Torino 1949, IV, 440, e 
Trattato di diritto penale italiano, Torino 1950, V, 842; Rocco ART., Trattato della 
cosa giudicata etc., cit., 229. 

{11) Cosi il SABATINI Gu., Istituzioni di diritto processuale penale, Napoli 
1933, 355. 
{12) Cosi il FoscHINI, La p?"egiudizialitd nel processo penale, Milano 1942, 393; 
altri ancora affermano la pregiudizialit�, con i vincoli che ne derivano, argomentando 
per analogia dall'art. 2Q3 c.p.p.: MAssA, L'effetto estensivo della impugnazione 
penale, Napoli 1955, 150; AL01s1, Manuale, cit., Milano 1952, IlI, 178. 
{13) Cosi, ad esempio, VENDITTI, Cosa giudicata penale; efficacia riff.essa in altri 
giudizi, Arch. rie. giur., 1950, 602; ONDEI, op. e loc. cit.; AnDAMIANO, op. e loc. cit. 
{14) Cosi si legge in Cass. 5 febbraio 1965, Giur. it., 1965, II, 305. 


1204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

processuale in oggetto, cos� come si evince dalla lettera anche dello 
stesso art. 90 c.p.p. 

Questa Corte ha gi� ripetutamente deciso che il detto art. 90 c.p.p. 
non � applicabile al caso in cui, passata in giudicato la sentenza che 
nega la colpa di uno degli imputati, il coimputato chieda l'esclusione 
della propria responsabilit� (o anche, come nella specie, l'attenuazione) 
per essere in_ colpa l'imputato assolto. Il coimputato conserva sempre 
l'imprescindibile diritto di vedere riesaminata la condotta del prosciolto 
in proiezione e nei riflessi di quella che pu� essere invece la sua responsabilit�, 
nel che il giudice adito non pu� perdere la propria li-

anche sostenersi che la res iudicata rappresenti l'accertamento universale 
della verit�, la parola ufficiale dell'ordinamento in ordine ad un determinato 
rapporto; ma in pratica questa efficacia erga omnes della cosa giudicata 
cozza contro le menzionate esigenze presseologiche e di giustizia 
sostanziale, le quali tanto permeano il sistema del procedimento penale, da 
poter essere addirittura sussunte quali criteri ermeneutici, cio� quali 
principi giuridici e metri di valutazione del sistema medesimo. 

La realt� � che non pu� essere elaborato un concetto di res iudicata 
in via meramente teorica, costruendo quasi una platonica idealit� assoluta 
e immutabile da riscop;rire a tutti i costi nei singoli sistemi positivi; 
a mio avviso, le istanze teoriche e le costruzioni logiche non hanno pregio 
-o al pi� lo hanno come esercitazioni accademiche -se non tengono 
conto di quella che � l'unica realt� positiva: la norma giuridica; ed � proprio 
questa 'a dimostrare come il processo penale sia ispirato a tutt'altri 
principi da quelli sui quali dovrebbe poggiare la costruzione del giudicato 
valido erga omnes: la ricerca della verit� materiale (15), per esempio, 
quale strumento di tutela dei sacrosanti diritti dell'imputato e della sua 
libert�, e la conseguente n�gazione di ogni prova legale (16), dimostrano 
che, allo stato, il sistema processuale respinge una qualunque idea di giudicato 
valevole erga omnes (17), proprio perch� questo: a) precluderebbe 
al giudice del secondo processo di formare il suo convincimento in piena 

(15) Cfr. ANGIONI M., Nozione e limiti della cosa giudicata penale, Riv. pen., 
1964, I, 513. 
(16) Cfr. ANGIONI M., op. e !oc. cit. 
(17) Non mi pare, tuttavia, che detta efficacia universale del giudicato penale 
possa farsi discendere dalla pretesa irrilevanza del contenuto concreto della sentenza, 
cio� dalla mancanza di un effetto dichiarativo della medesima, come sostiene il DE 
LucA; cit., 163. Analizza;ndo la norma di cui all'art. 90 c.p.p.p in relazione alla parallela 
norma di cui all'art. 2909 e.e., l'A. osserva che il primo articolo non parla di 
c05a giudicata, ma di irrevocabilit� della sentenza, con ci� discostandosi notevolmente 
dal concetto espresso nel secondo degli articoli citati; sempre a detta dell'A., la 
norma di cui all'art. 2909 e.e. ha riguardo all'accertamento contenuto nella sentenza 
passata in giudicato e dispone che tale accertamento fa stato ad ogni effetto tra le 
parti, i loro eredi o aventi causa, laddove l'art. 90 c.p.p.p non farebbe alcuna menzione 
dell'accertamento contenuto nella sentenza : in tanto una sentenza pu� fare 
stato erga omnes, in quanto rilevi il contenuto del suo accertamento, la sua statuizione 
e quindi la sua incidenza nell'ordine giuridico sostanziale; secondo l'A., nella sentenza 
penale mancherebbe ogni accertamento e sarebbe quindi e proprio l'indifferenza 
del contenuto della decisione rispetto al prodursi degli effetti del giudicato 
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PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1205 

bert� di valutazione, pur considerando doverosamente quelle che furono 
le argomentazioni della motivazione della sentenza di proscioglimento. 
Espressamente questa Corte ha ancora ritenuto che in tal 
caso si esula dal principio del ne bis in idem, sul quale si impernia 
l'art. 90 e.p.p. in oggetto, ehe, si ripete, pone una .preclusione processuale 
valida inter partes, e solo di riflesso erga Ol/nnes. 

Va considerato anche che, per l'art. 545 c.p.p., la sentenza parzialmente 
annullata acquista autorit� di cosa giudicata nelle parti che 
non hanno connessione essenziale con quella annullata. Da ci� discende 
l'importante principio, che i I.imiti attribuiti all'annullamento al giudice 

libert�; b) rappresenterebbe una forma di prova legale, cio� di elemento 
precostituito, formatosi 'al di fuori e prima del processo nel quale influisce; 
e) postulerebbe una osmosi tra i due giudizi, tale da influenzare negativamente 
il diritto alla difesa e lo stesso favor rei; d) se il giudicato valesse 
erga omnes, dovrebbe ritenersi che l'accertamento di corresponsabilit� a 
carico di un sog,getto non imputato vincoli il ,giudice nel processo a carico di 

che dimostra l'assurdit� dell'efficacia erga omnes, salva l'ipotesi eccezionale di cui 
all'art. 203 c.p.p. � (pag. 163). 

Mi pare che non sia questa la via esatta per giungere alla conclusione della 
indifferenza dei terzi in ordine alla sentenza irrevocabile : intanto, non � esatto 
ritenere che la sentenza penale non contenga un accertamento, o che esso non sia 
preso in considerazione dall'art. 90 .c.p.p., perch� in detta norma si parla di sentenza 
di condanna o di proscioglimento, quindi si considera anche il contenuto della 
decisione, il suo accertamento in ordine ad un certo fatto ed al rapporto processuale 
che intorno a questo si innesta: si potr� dire, al massimo, che detto accertamento 

(di colpevolezza o di innocenza o di non punibilit�, ecc.) e la conseguente statuizione 
(di condanna o di proscioglimento) ;non fa stato nei confronti degli eredi o aventi 
causa: ma ci� dipende dalla natura personale del rapporto processuale, non da un 
carattere specifico della res iudicata n�, tanto meno, dalla irrilevanza dell'accertamento 
ivi contenuto. Insomma, quello che distingue l'efficacia del giudicato penale 
rispetto agli effetti della res iudicata civile, non � la mancanza o la irrilevanza 
dell'accertamento contenuto nel primo, ma il suo operare in un genere di rapporti, 
affatto diversi da quelli intorno ai quali opera il giudicato civile, dove sono in gioco 
interessi del tutto personali, la cui sorte � incomunicabile. 

� stato inoltre osservato che l'art. 90 non parla di cosa giudicata, ma di sentenza 
irrevocabile: concetti indubbiamente non coincidenti, perch�, ad esempio, � 
sentenza irrevocabile anche quella di proscioglimento per difetto di querela, che, 
pure, non contiene la res iudicata: cfr. GRIECO A., Osservazioni sul� ne bis in idem., 
Giust. pen., 1953, III, 18. Da qui si � dedotto {cfr. GRIECO, �it.) che la legge non fa 
discendere la preclusione di cui all'art. 90 ex re iudicata, ma dalla irrevocabilit�, il 
che comporterebbe conseguenze diverse da quelle che deriverebbero dalla esistenza 
di una preclusio ex re iudicata; occorrerebbe, quindi, secondo la detta dottrina, impostare 
il problema del divieto del bis in idem, sotto questo profilo, abbandonando la 
impostazione tradizionale. Non mi pare che questi rilievi siano risolutivi, perch� � 
lo stesso art. 90 a stabilire gli esatti limiti della preclusione, da un lato parlando di 
sentenza irrevocabile di condanna (la quale ha il carattere della res iudicata), dall'altro 
fissando tassativamente i casi in cui non opera la preclusione in virt� di 
sentenza di proscioglimento (artt. 17, 89, 402). E allora, in sostanza, i limiti della 
preclusione llon derivano dalla irrevocabilit�, ma proprio dal giudicato, perch� � 
la stessa norma a ribadire che in quei casi in cui si abbia la irrevocabilit�, e non il 
giudicato (artt. 17, 89, 402). la preclusione non opera. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cli rinvio hanno una diversa estensione nei casi di annullamento per 
violazione di legge, e in quelli invece per difetto di motivazione, ex 
art. 475 n. 3 c.p.p. In questo secondo caso invece, a differenza che nel 
primo, l'annullamento, nel ,campo in cui esso � delimitato, travolge 
la valutazione dei fatti compiuti dalla sentenza cassata, e autorizza il 
giudice cli rinvio a un nuovo e pi� completo riesame dei medesimi, cosi 
proiettati sotto il profilo particolare dell'influenza sulla responsabilit� 
di altri coimputati. 

E ,2-uesto tanto pi� in quanto, come gi� ritenuto, il giudice di rinvio 
non ha mai alcuna facolt� di sindacare o considerare nulla una sentenza 

costui, onde la seconda sentenza non dovrebbe far altro che dichiarare 
l'esistenza del giudicato e automaticamente infliggere la pena: cosi, grazie 
alla teoria del giudicato v>alevole erga omnes, si potrebbero avere dei 
giudizi contro taluno senza che l'interessato vi partecipi! (18). 

Quindi mi pare che questi elementi portino ad escludere la rilevanza 
del giudicato penale erga omnes e la sua incidenza su qualsiasi altro processo, 
anche svolto per il medesimo fatto; n� si dimentichi che ogni valore 
giuridico � relativo, nel senso che la medesima realt� ontologica pu� rilevare 
diversamente a seconda dell'angolo di visuale da cui viene considerata 
(un contratto �, per esempio, negozio giuridico tra gli stipulanti, ma 
un fatto rispetto ad altri, ecc.), onde l'indagine e la valUtazione di una 
determinata fattispecie in ordine ad una certa imputazione �, relativamente 
all'imputato, il presupposto della condanna o del proscioglimento, 
ma � un semplice fatto storico rispetto agli estranei; quindi il gi� avvenuto 
giudizio, su quel determinato fatto, vale, rispetto ad un diverso rapporto 
processuale, al pi� come precedente storico, e la sua influenza si 
esaurisce tutta su di un piano meramente psicologico. In altri termini, 
l'accertamento -positivo o negativo -di un determinato fatto vale come 
presupposto della condanna o dell'assoluzione solo rispetto all'imputato, 
perch� l'accertamento ha una vita ed un valore in relazione al rapporto 
processuale in cui si innesta; fuori di questo il detto accertamento non � 
pi� il presupposto della condanna o dell'assoluzione, ma .� un mero fatto 
storico, che, giuridicamente, non vincola n� il giudice, n� il P.M. 

Pertanto, la norma di cui all'art. 90 c.p.p. non impedisce che il punto 
della sussistenza o meno dell'illecito venga riesaminato soltanto nei confronti 
di quelli, tra i prosciolti, che figurano soggetti passivi dell'impugnazione 
proposta dall'organo dell'accusa, o di quel condannato appellante che 
chieda il riesame della condotta del prosciolto al fine di dimostrare che 

(18) Quindi sono proprio i principi informatori del processo penale ad escludere 
la rilevanza erga omnes del giudicato : e tale considerazione appare tanto pi� efficace, 
se si considera che i detti principi fondamentali sono stati accolti nel testo o 
almeno, nello spirito della Costituzione. Pu� quindi ripetersi anche per il diritto 
positivo italiano quanto ha ritenuto per il proprio ordinamento la Corte Costituzionale 
della Repubblica Federale Germanica, con decisione del 18 dicembre 1953, n. 16, 
Entsch. �des BVG, III, 249: e Il principio del ne bis in idem, sviluppato prima della 
entrata in vigore della Grundgesetz va interpretato anche alla luce del Grund � 
(cfr. anche l'ordinanza di detta Corte Costituzionale in data 7 marzo 1968, n. 15, 
Foro it., 1968, IV, c. 100). 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1207 

di annullamento, ma deve comunque uniformarsi alle direttive della 
stessa perch� altrimenti usurperebbe le funzioni di quest'ultima. 

N� sembra inutile poi ricordare, �che ci� che passa in giudicato 
nella sentenza penale � il dispositivo, non la motivazione, anche se 
t;iuesta � premessa imprescindibile del medesimo. Ed all'uopo pu� ben 
rilevarsi, che nella specie il riesame della condotta del Cirasegna venne 
richiesto ben pi� sul suo comportamento soggettivo, nel frangente che 
si era creato, che nella obbiettivit� dei fatti materiali. 

Gi� il principio cosi enunciato, fu consolidato e affermato dall'autorit� 
delle S. U. presso questa Corte, (19-2-1957 Dosi) che afferma-

questi, con la sua condotta, fu, ad esempio, l'unica causa dell'illecito (19): 
la sentenza irrevocabile estingue una sola azione penale (20), quella, 
appunto, relativa al rapporto giuridico concluso con la condanna o l'asso-� 
luzione. 

Legittimamente � stato, pertanto, deciso, in conformit� dei detti principi, 
che l'accertamento giudiziale irrevocabile della partecipazione di due 
imputati al delitto di furto non autorizza, di per s�, l'affermazione che � 
terzo concorrente debba, perci� solo, rispondere dell'aggravante di cui 
all'art. 625, n. 5 c.p. (21); che, ritenuto dai primi giudici che il fatto 
ascritto agli imputati costituisse un determinato reato e di conseguenza 
dichiarata l'amnistia, non � precluso ai giudici di secondo grado, su appello 
del P.M. nei confronti di uno solo degli imputati, di valutare diversamente 
le prove nei limiti della contestazione e di pervenire ad una diversa 
qualificazione che escluda l'applicazione della causa estintiva del reato (22); 
che l'appello del P.M. contro taluno soltanto dei concorrenti in un reato, 
assolto perch� il fatto non costituisce reato, pur avendo carattere oggettivo, 
non � precluso dal passaggio in giudicato della pronuncia nei confronti 
dell'imputato assolto (23); che assolto uno dei coimputati con formula 
piena dall'accusa di omicidio, nulla vieta che il condannato appellante 
prospetti l'ipotesi di colpa concorrente od esclusiva dell'assolto (24); che 

(19) Cfr. Cass. 7 giugno 1965, Giust. pen., 1966, III, 93. 
(20) Si pu� anche dire che la consunzione determinata dalla sentenza irrevocabile 
e non riguardi l'azione (che come potere delle parti verso il giudice non si 
estingue mai) ma la giurisdizione: l'art. 90 non dichiara estinta l'azione, cio� il 
diritto mediante il quale si fa valere in giudizio la pretesa punitiva e nemmeno la 
pretesa punitiva, bensi il potere del giudice � : Gnu:co A., Osservazioni ecc., cit�., 
perch� tale affermazione appare in fondo un modo diverso di dire la medesima cosa 
e comunque non provoca, almeno nella interPretazione del GnIEco, pratiche conseguenze 
in ordine al problema dei limiti dell'art. 90. Tale opinione andrebbe, invece, 
vagliata pi� cautamente se portasse a conclusioni diverse da quelle cui si perviene 
alla luce della preclusione come consumazione dell'actio, cio� come causa estintiva 
di questa (cfr. Rocco ART., Trattato detla cosa giudicata ecc., cit.). 
(21) Cass. 4 aprile 1952, cit.; Cass. 5 novembre 1952, Arch. pen., 1952, II, 224 
e nonostante il parere nettamente discorde di tutta la dottrina�: ANGIONI M., Nozione 
e limiti ecc., cit. 
(22) Cass. 7 giugno 1965, Giust. pen., 1966, III, 93. 
(23) Cass., S. U., 19 giugno 1957, cit. 
(24) Cass. 26 gennaio 1954, cit. 

1208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rono il princ1p10 che �la cosa giudicata ::penale non � gi� un effetto 
della sentenza, ma un carattere e modalit� della stessa, e a prescindere 
dai limiti in cui esso giudicato pu� articolare erga omnes, perch� la 
sua irrevocabilit� � sempre limitata alla parte, nei cui confronti si � 
formata:.. 

Limite che, processualmente e sostanzialmente, ben sussiste nella 
specie. 

nessuna preclusione a danno dell'imputato di calunnia deriva dalla sentenza 
che ha assolto con formula piena il calunniato (25): tutte esatte applicazioni 
del principio secondo il quale la preclusione ex re iudicata opera 
soltanto rispetto a colui che fu soggetto passivo del rapporto processuale 
conclusosi con la condanna o il proscioglimento (26). 

(25) Cosi � stato ritenuto dalla Cassazione gi� con la sentenza 18 febbraio 1937, 
cit. Il problema � stato comunque particolarmente dibattuto; tra i fautori della 
preclusione nascente dall'assoluzione del calunniato con formula piena, a carico 
del processo contro il calunniatore, sono da ricordare, tra gli altri, VmorrA, Autorit� 
del giudicato penale rispetto ai giudizio di calunnia, Arch. pen., 19I�O, II, 336; LEoNE 
G., Lineamenti di diritto processuale penale, Napoli 1949, I, 121: ANGIONI M., 
Nozione e limiti ecc., cit.: naturalmente, i giudici del calunniatore conservano ogni 
libert� in ordine alla valutazione dell'elemento psicologico. Ma la tesi � inaccettabile, 
per quanto sopra accen.ato, perch� in tal modo il giudizio contro il calunniatore 
si risolverebbe in una mera formalit�: la sentenza non potrebbe fare altro 
che applicare la pena -salva sempre l'indagine circa il dolo -perch� la precedente 
sentenza -emessa contro di lui e senza di lui -ha gi� pronunciato la sua condanna. 
Contra, e cio� per l'assenza di qualunque preclusione, tra gli altri, ADDAMIANO, 
Sulla. influenza del giudicato penale ecc., cit. e MAncONI-MARONGIU, La procedura 
penale ecc., cit. Del resto lo stesso art. 18 del codice, in tema di pregiudiziali penali 
a processi penali, s~ limita a, statuire che l'unica incidenza che pu� avere il processo 
pregiudiziale su quello pregiudicato consiste nella determinazione del rinvio 
di quest'ultimo fino a che sia pronunciata la sentenza indicata nel primo capoverso 
dell'art. 3. 
Analogo problema � sorto per il furto e la ricettazione, ed � da ritenere che 
quanto si � detto per il problema della calunnia pu� valere anche per tale fattispecie: 
cfr. lo scritto del CARNELUTTI in Riv. di dir. proc. 1948, 10. 

(26) Perch� operi la preclusione, occorre che il fatto sia il medesimo, n� rileva 
che esso sia divers~�nte considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze. 
Secondo la communis opinio, il e fatto medesimo �, di cui alla citata norma, � solo 
la condotta, non anche l'evento, per cui la preclusione operebbe ogni volta in cui 
quella condotta, a parte i risultati, cio� a parte l'evento, sia gi� stata giudicata. Si 
sostiene, infatti, che e l'irrilevanza... sia della qualificazione giuridica del fatto in 
genere sia dell'evento in specie (� neppure se... diversamente considerato... per il 
grado �) giustifica questa risposta, Sicch� �n definitiva l'eadem res in penale � costituita 
soltanto dalla condotta (azione od omissione) imputata e sulla quale si � giudi� 
cato �: cfr. LEONE G., Istituzioni ecc., cit. 1965, 434; MANzmr, Trattato di diritto processuale 
penale, Torino 1956, IV, 455. Tale opinione, che trova un autorevole conforto 
nella Relazione al Re (n. 45), non � accettata, a mio avviso esattamente, dalla giurisprudenza: 
ad esempio, cfr. Cass. 27 novembre 1958, Giust. pen., 1959, III, 338, 
m. 419; Cass. 15 ottobre 1959, ivi 1960, III, 173, m. 225; Cass. 23 ottobre 1961, ivi 
1962, III, 386, m. 605; non manca, comunque, in dottrina, chi ripudia la communis 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1209 

In particolare questa Corte ha poi ancora deciso, che, in tema di 
colpa (quale � quello che afferisce nella specie) il giudice di rinvio 
pu� sempre esaminare la questione del concorso di colpa del coimputato 
assolto, nei cui confronti la .sentenza di assoluzione sia gi� passata 
in .giudicato, e ci� in costanza dell'art. 548 c.p.p. nell'obbligo del giudice 
di :rinvio di uniformarsi alla decisione di annullamento, emessa in sede 
di legittimit� e nei limiti posti dalla stessa. 

opinio: cfr. ANGIONI M., Nozione e limiti ecc., cit. 525: CANTAGALLI R., e Ne bts in 
idem � e nozione di medesimo fatto, Giust. pen., 1964, III, 152. � probabile che l'equivoco 
in cui cade la dottrina dominante nel ritenere che l'art. 90 intenda per medesimo 
e fatto � solo la e condotta � e non pure l'evento, si fondi su una inesatta 
nozione del concetto di e grado > : il grado del reato non � l'evento, ma � l'intensit� 
dell'illecito, la sua maggiore o minore gravit� (cfr. art. 133 c.p.), cio�, come insegnava 
il CARRARA, Programma, Parte generale par. 128 e segg., il grado comprende 
tutti quegli elementi per i quali e la quantit� astratta (del reato) rimane sempre 
la istessa, ma si modifica la quantit� concreta del malefizio per una accidentale deficienza 
nei suoi elementi costitutivi... per cause psicologiche att4J,enti alla imputabilit� 
del soggetto, come l'et�, il sordomutismo, la pazzia, e... cause ideologiche, 
come l'ignoranza, l'errore... e i fenomeni di conato, delitto mancato... �. Mi pare 
pregevole, in proposito, i�osservazione del CANTAGALLI R., Ne bis in idem ecc. cit., 
il quale ricorda come tale opinione sia stata integralmente accolta nella formulazione 
dell'art. 435 del codice di procedura penale del 1913, il 'quale � stato travasato 
nell'attuale art. 90. Il grado, perci�, non � l'evento, ma � l'atteggiarsi concreto della 
condotta, in ordine a tutto quel complesso di elementi che la rendono pi� o meno 
grave (es.: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo, modalit� dell'azione; gravit� 
del danno o del pericolo cagionato; intensit� del dolo o grad� della colpa, ecc.) 
Cosi, ad esempio, l'evento della morte non pu� considerarsi solo pi� grave rispetto 
a quello delle lesioni: l'evento e morte > � diverso dall'evento e lesioni ., anche 
perch�, nel primo caso, � offeso il bene della vita, mentre, nella seconda ipotesi, il 
bene della incolumit� personale : contra, BucoLo C., Sul giudicato penale, Giust. 
pen., 1963, III, 423, e MANzmr, da lui cit.; parimenti, non mi pare esatto sostenere 
che e l'azione che va dalla percossa all'omicidio, dal danneggiamento alla devastazione, 
dagli atti contrari alla decenza agli atti osceni, dal sequestro di persona alla 
schiavit.�, dalla istigazione all'aborto al procurato aborto, resta unica ed assume 
un solo titolo di reato, pi� o meno grave a seconda del grado in cui essa si ferma � 

(BucoLo, op. e Zoe. cit.): qui si tratta di eventi diversi, quindi di fatti diversi, in 

ordine ai quali non opera la preclusione ex art. 90 c.p.p, Viceversa, � medesimo il 

fatto, ma diverso il grado, nel delitto commesso per colpa grave rispetto a quello 

commesso per colpa lieve, o frigido pacatoque animo rispetto al dolo d'impeto, o 

per un movente in certo senso � comprensibile � (a parte l'attenuante di cui al


l'art. 62 n. 1 c.p.), ecc. Ritengo quindi che l'espressione � fatto � venga assunta, 

nella predetta norma, � nel suo significato comune, per designare l'elemento ma


teriale del reato nei suoi tre momenti: condotta, evento, nesso di causalit� fisica ,; : 

Cass. 9 aprile 1956, Giust. pen., ~956, III; 403, m. 368 e ANGIONI M., op. e Zoe. cit. 

Di conseguenza, il condannato per lesioni �ben pu� essere sottoposto a nuovo giu


dizio per omicidio preterintenzionale; il prosciolto per difetto di querela dall'impu


tazione di percosse ben pu� essere sottoposto a nuovo processo se il soggetto pas


sivo muore; chi � stato assolto dall'imputazione di istigazione all'aborto � ben pas


sibile di giudizio per il procurato aborto, perch� in questi e simili esempi, con la 

realizzazione dell'evento, si determina un fatto diverso, non una semplice modifi


cazione del grado. 

A. PALATIELLO 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La sentenza denunciata era ben facoltata a negare ancora, con 
corretta motivazione, la colpa concorsuale del Cirasegna, ma non a 
rifiutarsi all'indagine demandata sulla stessa. 

Ribadendo ancora il concetto, che nella specie la condotta del 
Cirasegna non era considerata da sola, ma connessa e conglobata con 
quella dei coimputati, in guisa da costituire parte distinta, se �pure 
di un unico fatto, quanto sopra si inquadra nel principio ormai recepito, 
che la preclusione di cui all'art. 90 c.p.p. si fonda non gi� sull'essenza 
della cosa giudicata, ma sulla irrevocabilit� della stessa, nei riguardi 
delle persone, nei cui confronti vi � stata la consunzione processuale, 
ma non agisce in modo assoluto ed esclusivo, ai fini della decisione nei 
riguardi di altri, coimputati o non coimputati che siano, e gli effetti 
dal giudicato si verificano solo nei �confronti di eadem res et persona, 
per. cui l'azione penale ha trovato il suo epilogo nella regiudicata. Se 
di fronte al dispositivo della sentenza non sono possibili confronti di 
sorta, ben diversamente accade in rHlesso alle argomentazioni logiche 
che giustificano le manifestazioni di volont� espressa nel primo, ma che 
possono benissimo �essere rivalutate, completate o anche sostituite, ai 
fini della responsabilit� penale non pi� del soggetto, ma di altri. 

Va richiamata all'uopo ben utilmente una pi� recente decisione di 
questa Corte (IV, 6 febbraio 1967, Campagnoli, G P 1967, IV, 735), per 
cui U giudice di appello pu�, ,sulla sola impugnazione dell'imputato, 
altresi escludere il concorso di colpa di altro coimputato, ammesso dal 
1� giudke, anche se l'altro non si era gravato, e sempre che resti ferma 
la specie e misura della pena gi� irrogata dal 1� giudice. 

In conclusione, a torto nella specie la sentenza denw{ciata ha 
ritenuta preclusa, ai fini della ulteriore rivalutazione della entit� della 
colpa dei due ricorrenti, ogni indagine in quello che poteva essere 
l'apporto e la colpa concorsuale del Cirasegna, perch� il medesimo 
era stato assolto perch� il fatto non costituisce reato. Se su questo 
punto si era formata la regiudicata, peraltro, lo era solo nei suoi 
confronti, e non agli effetti della correlazione, e quindi della precisa 
determinazione di quelle degli altri due, per i quali era ad ogni effetto 
ancora aperto il rapporto processuale di cognizione. 

La �causa va perci� rinviata ad altro giudice, che, limitatamente 

alla colpa concorrente del Cirasegna, la riesaminer� al riguardo, e, ove 

la riconosca, ne determiner� l'entit� in termini matematici, da ripor


tare nel �dispositivo, data la presenza della parte civile di giudizio. 

(Omissis). 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDl!:NZA PENALE 1211 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 8 luglio 196,9, n. 1637 -Pres. Rosso 
-Rel. Del Pozzo -P. M. Lenzi (conf.) -Rie. Dainotto ed altri. 

Procedimento penale -Nullit� -Interrogatorio dell'imputato avanti 
al P. M., e mancata assistenza di legale abilitato alla professione 
forense -Nomina di ufficio -Difensore di fiducia. 

(c.p.p., artt. 128; 134; 389; 390; 185 n. 3; 412). 

Peculato -Elementi differenziatori dal reato di truffa aggravata Possesso 
giuridico del danaro -Pres. Cons. Amn�. Fondo Speciale 
per usi di beneficenza e di religione della citt� di Roma Decreto 
Ministero Interno che autorizza i pagamenti -Induzione 
in errore -Iter formativo di atto amministrativo complesso. 

(artt. 314; 640; 48 c.p.; legge 11 giugno 1873, n. 1402). 

Procedimento penale -Relazione fra accusa contestata e sentenza Mutamento 
essenziale e significativo del fatto -Diritto alla difesa. 
(c.p.p., art. 477). 

La nomina di un patrono non iscritto nelt'albo degli avvocati e 
procuratori produce nullit� assoluta, se avviene su impulso di ufficio, 
non quando discende da iniziativa propria ed esclusiva deLl'imputato (1). 

Scoperta la carenza di un vaLido difensore, iZ giudice istruttore provvede 
a nominare un difensore di ufficio, senza interpellare previamente 
l'imputato, perch� designi altro patrono di fiducia (2). 

(1) In senso conforme vedasi Cass. 24 ottopre 1951, in Giust. pen., 1952, 
P. III, p. 1158, massime 140-141; Cass. 20 febbraio 1957, PADOVAN, in Riv. 
pen., 1957, P. II, p. 355, sempre con riferimento a nullit� assoluta, quando 
il difetto di un valido difensore sia imputabile a nomina del giudice. La 
sentenza Cass. 18 dicembre 1931, in Giust. pen., 1933, P. IV, p, 57, espressamente 
afferma che non pu� opporre la nullit� l'imputato che vi dava 
causa, avendo nominato un difensore sprovvisto dei requisiti richiesti dalla 
legge. 
Contra, vedasi LEONE, Trattato dir. proc. pen., vol. I, ed. 1961, p. 723 

� perch� si tratta di un interesse che supera lo stretto ambito della parte, 
e tocca le radici del procedimento, dovendosi considerare l'esigenza di una 
permanente assistenza difensiva fissata nell'art. 189, n. 3, anche sotto 
l'aspetto della capacit� tecnica della persona investita dell'ufficio di difensore�. 
A quest'ultima opinione non sembra aderire Cass. 9 maggio 1966 
(Mass. Cass. Penale annotato, 1967, p. 587, massima 890; e Giust. pen., 1967, 
P. III, p. 462, massima 364, ricorrente Quersi). 
(2) Non si rinvengono precedenti in termini, ma la massima appare 
conforme ai principi generali. Vedasi MANZINI, Dir. proc. pen., vol. II, 
ed. VI, p, 561, 576 segg., per generici riferimenti al riguardo. 

aU'autore mediato, si deve tener conto della qualit� giuridica dell'autore 
materiale (indotto in errore), il quale, come Presidente del Consiglio di 
Amministrazione, partecipava all'iter dispositivo di pecunia, posseduta 
dal Consiglio di Amministrazione del Fondo Speciale per gli usi di 
Beneficenza e di religione della citt� di Roma, insieme con il Ministero 
deU'interno (3). 

(3) Natura giuridica del Fondo Speciale per gli usi di beneftcienza e 
religione della citt� di Roma. 
Sembra 0pportuno premettere che, in primo gredo, oltre il Ministero 
del Tesoro, chiese di costituirsi parte civile ap.che il Fondo .Speciale per 
usi di beneficenza e di religione della citt� di Roma, in proprio, quale 
persona giuridica pubblica. 

Invece, il Tribunale Penale di Roma, con ordinanza dibattimentale 6 
giugno 1966, ritenne che detto Fondo Speciale deve immedesimarsi con i:l 
Ministero dell'Interno -Direz. Gen. Fondo Culto, di cui costituirebbe 
mero organo amministrativo. 

Tale questione riflette le sue conseguenze giuridiche sui fatti costitutivi 
dell'attivit� criminosa, per individuare il soggetto titolare del possesso 
della pecunia; la natura esterna (o meno) del visto del Ministero 
Interno, per erogazione dei sussidi deliberati dal Cons. Amm. Fondo Speciale; 
� nomen iuris > di truffa (amnistiata), anzich� di peculato ecc., come 
si chiarir� in seguito. 

Nella sentenza Tribunale Penale di Roma 18 giugno 1966, si legge 
testualmente: �Il Fondo venne istituito originariamente con legge 11 
giugno 1873, n. 1402, che, nell'estendere alle provincie romane le leggi 
eversive dell'asse ecclesiastico, vigenti nelle regioni liberate prima di 
Roma, attribu� al Fondo stesso la finalit� di sopperire alle esigenze di 
beneficenza e di religione della citt� di Roma. La destinazione di questo 
Fondo fu assunta tra i fini propri dello Stato, con la legge piemontese del 
28 maggio 1855, n. 878, e con quella del 13 maggio 1871, n. 214. Pertanto, 
� corretto ritenere che per effetto delle leggi eversive nella titolarit� dei 
beni formanti il patrimonio dell'ente, debba escludersi che il Fondo in 
parola abbia potuto costituire, fino dalla ,sua origine, qualcosa di pi� di 
una semplice azienda autonoma statale, con patrimonio vincolato da onere 
specifico. L'evoluzione legislativa del Fondo, e precisamente l'affidamento 
dell'amministrazione alla Dir. Gen. del Culto, posta prima alle dipendenze 
del Ministero di Grazia e Giustizia (r.d. 14 dicempre 1866, n. 3384), e quindi 
alle dipendenze del Ministero dell'Interno (r.d. 20' luglio 1932, n. 884); l'appartenenza 
degli impiegati del Fondo all'Amministrazione dello Stato 

(Ministero Interno), ai sensi dell'art. 2 legge 14 luglio 1887, n. 4728 e r;d.1. 18 
settembre 1933, n. 1281; ed ancora la sottoposizione dei bilanci del Fondo 
all'approvazione del Parlamento, ai sensi dell'art. 20 legge 27 maggio 1929, 

n. 848; e l'inserimento dei bilanci stessi in un capitolo separato del bilancio 
dell'Amministrazione di Grazia e Giustizia prima, e dell'Interno poi; ed 
ir..fine l'applicabilit�, nei confronti del Fondo, di tutte le disposizioni che 
regolano le Amministrazioni dello Stato (ai sensi della gi� citata legge 
n. 848 del 1939), portano i giudici a concludere che il Fondo di Beneficenza 
e di Religione per la Citt� di Roma costituisce un organo dell'Ammini~ 
strazione dell'Interno, dotato di autonomia patrimoniale. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1213 

Per il peculato, ii possesso deUa cosa deve essere un antecedente 
de�Za condotta; se, invece, si ottiene l'impossessamento della cosa, come 

e Non ignora chi giudica che la do~trina � divisa sull'argomento, in 
quanto. parte di essa condivide il pensiero riassunto dal Tribunale (IAcuzxo, 
Nuo'l)o Digesto, p. 515; PETRONCELJ:.I, Dir. Eccles .� p. 163, anno 1961; CORAZZINI, 
pir. Ecci.~ P� 36, anno 1929; PIGA, Dir. Ecci., p. 92, anno 1939; FALco, 
Dir. Ji1c'Cl., p>402; anno 1938), mentre altri studiosi tendono, per contro, a 
c<:>ruigurare il�Fondo di Roma, come un ente dotato di propria personalit� 
gi'~idica, sebbenesorretto.<Ja.�Uno stretto rapporto con lo Stato. Tale teorli:
t. ~ s()pratutto, sostenuta dallo JEMoLO (in Dir. Ecci., p. 247, anno 1954);

91:11 $.ANDur..u (in Dir. a:m1m., p, 240, ann() 1959); e dall'ORLANDo (Dig. it., 
pV5$V)��� 
. . . �(:i!: tatto certo., rileva il Collegio, a conforto del proprio pensiero, il cui 
epll()ga i! $tltto di negare aLFbnd� la legitti:inaZione alla costituzione di 
P~l'te ?ivile, rilevare come lo stato di previsione dell'entr.ata del Fondo di 
BEi;neficenza e di Religfone. per la� citt� di Roma, per l'esercizio finanziario 
1"' 11:tllio 1956..30 gi'lJgn() 195'7, abbia considerato come entrata ordinaria, 
all~art; 4; la assegnazione corrisposta dal Te11oro dello Stato Italiano, ai 
sensi dell'art. 5 delrelativo stato di previsione, in lire 186.266.600; ed ancora 
.come l'art..�21 del .mede11ln:lo stato di previsione del Fondo di Roma, per 
l'identico periodi> considerato, abbia previsto come spesa ordinaria la somma 
di lire 34.415.0�o �. 
In sen110 contrario alla tesi ora esposta del Tribunale Penale di Roma, 
si rappresenta che, nella Relazione Avvocatura Stato 1961-65, voi. III, 
463.,.46.6, viene ritenuta pi� fondata la dottrina che afferma la persistenza 
della personalit� giuridica per il Fondo del Ctllto, in base a ragioni che 
sembrano militare anche in favore di una p�rsonalit� giuridica pubblica, 
per il separato Fondo Speciale di Beneficenza e di Religione della citt� 
di :Roma . 

.Quest'ultimo � amministrato da un consiglio, composto di dieci membri 

� cinque dei quali designati dall'autorit� ecclesiastica ., cio� in sostanza 
da. autorit� statale straniera (Citt� del Vaticano). 
Orbene, tale designazione appare inconciliabile con l'autonomta dello 
Stato Italiano, ove il Fondo Speciale sia considerato (secondo la tesi del 
Tribunale di Roma) un organo del Ministero dell'Interno, i cui membri 
evidentemente, in �inea ;di principio, non possono eS$ere � designati � da 
autorit� estranea all'Amministrazione Italiana. 

Tale particolarit� Sfl!mbra offrir.e un argomento in pi� a sostegno dello 
assunto, che il Fondo Speciale � una per11ona giuridica pubblica (estranea 
alla Amm.ne statuale), p�r il cui Consiglio di amm.ne risulta, invece, 
ammissibile una mera designazione (diversa dalla nomina), dell'autorit� 
ecclesiastica, in ragione di una parte dei membri (50 % ). 

Ci� posto, si aggiunge che, nella specie, il Pres. del Cons. di Amministrazione 
del Fondo Speciale era e autore immediato � del falso verbale 
di delibera consiliare mod. 106, predisposto da impiegato infedele � autore 
mediato ., che glielo faceva sottoscrivere, con erogazioni di sussidi, non 
decisi dal Cons. di amm.ne, verso terzi che non ne avevano diritto. Sia il 
Pres. Cons. di Amministrazione, sia l'impiegato infedele � singulatim � non 
avevano possesso giuridico, e materiale, della pecunia pubblica erogata 
indebitamente. 

Infatti, il pagamento effettivo dei sussidi, a fini di beneficenza e religione, 
avveniva attraverso decreto del Ministero Interno, e atto dovuto � non 

-�--}"'" 

__ ;::::: Y..



1214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

effetto della condotta (conseguenza deUa commissione del reato), si ha 
truffa (4). 

potendo il Ministro negare la ermss1one del decreto, in presenza di una 
deliberazione del Consiglio di Amministrazione (art. 49, r.d. 18 novembre 
1923, n. 2440). 

e Il concetto di atto complesso (da distinguersi all'atto collettivo, dal 
contratto, dal procedimento) resta circoscritto a quelle ipotesi, nelle quali 
le volont� dei diversi organi, o soggetti, cooperanno ad unico fine, e si 
fondono in una manifestazione unica> (LANDI e POTENZA, Manuale Dir. 
Amm., ed. 1960, p. 203). 

Nella specie, la Corte Suprema giudica realizzato un tipo �sui generis� 
di atto complesso, unica manifestazione di volont� cui hanno partecipato 
vari organi dello stesso Ministero dell'Interno, con attivit� tutte necessarie 
al fine di erogare i sussidi del Fondo Speciale, de quo agitur, compreso fra 
detti organi statali. 

Invece, ove il Fondo Speciale Beneficenza-Religione di Roma venga 
ritenuto persona giuridica pubblica, autonoma rispetto alla Amministrazione 
del Ministero dell'Interno, non potrebbe ravvisarsi un atto complesso, 
ma una pluralit� di atti, vale a dire: 1) deliber�a del Cons. Amministrazione, 
unico organo (non statale) che dispone del patrimonio del Fondo 
Speciale; 2) Visto di controllo Ministero Interno, che attiene all'efficacia esecutiva 
della delibera, cui lo stesso rimane estraneo (accertamento di mera 
regolarit� dell'atto). 

Ne discende che (secondo la tesi del condannato �ricorrente) unico ufficio 
possessore della pecunia sarebbe il Consiglio di Amministrazione, 
organo collegiale, nei cui confronti l'imputato non ha svolto alcuna attivit� 
diretta, per appropriarsi di danaro pubblico (ai fini di respingere il 
e nomen iuris > di peculato). 

In verit�, solo nei confronti p~rsonali del Pres. Consiglio di Amministrazione 
fu aperata l'induzione in errore, quando (dopo la seduta collegiale) 
sottoscriveva il verbale correlativo, mediante un'attivit� che l'A.G.O. 
definisce di certificazione, rispetto all'originale, compilato durante la seduta 
del Consiglio di Amministrazione. 

Senonch�, appare evidente che l'induzione in errore dell'organo monocratico 
(Presidente) faceva �costituire� un atto scritto e formale, assolutamente 
necessario per disporre i pagamenti, in senso difforme alla volont� 
manifestata dall'organo collegiale di gestione (Cons. di Amm.ne). Pertanto, 
dovrebbesi ravvisare peculato (giammai truffa), anche se il Fondo Speciale 
fosse qualificato ente pubblico, non statuale, e si escludesse l'esistenza di 
un vero atto complesso. 

La sentenza Cass. pen., Sez. III, 8 maggio 1961, Falso (in Mass. Cass. 
pen., 1964, p. 645, massima 1375) afferma responsabile di pe�ulato colui che, 
ingannando altro P.U. (direttore di scuola) si fa rilasciare, mediante raggiri, 
ordinativi di pagamento, al fine di distrarre il danaro consegnatogli. 

Ancora in Giu.r it., 1969, P. II, p. 11, � pubblicata sentenza Cass. 26 
novembre 1966, Galgano, connota di Rosx, circa pluralit� di soggetti che 
partecipano all'erogazione del danaro, con potere di disporre il pagamento 
(per varie competenze), per� disgiunto da una detenzione materiale delle 
somme, come nella specie ora in esame. 

(4) Vedasi Cass. 19 aprile 1966, VARALLI, in Foro it., 1967, P. II, p. 165, 
in senso conforme. Ci limitiamo a citare STEFANO RICCIO, Delitti contro la 
P.A., ed. Utet, 1955, p. 172, dove leggesi: e Non ha importanza se, avendo 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1215 

Non ogni insorgenza nuova, rispetto all'accusa originaria, entra 
nell'ambito deU'art. 477 c.p.p., ma solo quel mutamento di circostanze, 
fatti, o riferimenti che sia essenziale, e significativo, tale cio� da i.mmutare 
la configurazione giuridica deila fattispecie (5). 

(Omissis). -Passando all'esame dei motivi per Dainotto Stelvio, 
non ha consistenza, anzitutto, il mezzo con ,cui lamentasi eITonea applicazione 
di legge, e vizio di motivazione in ordine all'asserita mancata 
assistenza da parte d'idoneo difensore. L'eccezione di nullit�, proposta 
in primo grado ed in appello, venne reietta motivatamente e dal ;primo 
e dal secondo giudice, con argomentazioni sostanzialmente valide. 

Vero � che nell'interrogatorio avanti al P. M. del 21 gennaio 1960 

(f. 131 voi. a.g.) il Dainotto, richiestone, asseri di voler nominare un 
difensore di fiducia in persona di un soggetto, �che risult� poi non essere 
iscritto ad alcun albo professionale forense. E vero anche �che, nel 
primo interrogatorio reso al giudice istruttore, il 25 ottobre 1962 (f. 
167), l'imputato riconferm� come difensore di fiducia la stessa persona. 
:iy.ta subito dopo, all'atto di disporre il deposito dello inteITogatorio, il 
G.I. si avvide, dalla relata dello ufficiale giudiziario, della situazione 
anormale, che immediatamente provvide a risanare, nominando il 6 
novembre 1962, un difensore di ufficio nella persona dell'attuale patrono 
del Dainotto (f. 171). E nel corso di un secondo inteITogatorio 
dav.anti al G.I., il 10 novembre 1965, l'imputato provvide anzi a nominare 
di fiducia �l patrono gi� assegnatogli di ufficio (f. 559). In tal 
situazione processuale non si i�! verificata alcuna essenziale violazione 
di norme di legge, in relazione ai diritti della difesa, tenuto ;presente: 
un possesso qualunque, il P.U. consegua l'impossessamento materiale attraverso 
l'artificio o il raggiro; essendo il possesso anteriore alla condotta si 
ha peculato. Se il possesso � un presupposto del peculato, questo deve 
esistere prima della condotta; e quando esiste prima della condotta, in modo 
che su di esso la condotta si svolga, le modalit� della condotta non valgono 
a modificare il titolo del reato. E non si tratta dell!atteggiarsi dell'elemento 
soggettivo, bensi della struttura oggettiva. Risponde di peculato il P.U. che, 
pur non avendo, per ragione del suo ufficio o servizio, la disponibilit� di 
danaro appartenente alla P.A., riesca ad appropriarsene, determinando il 

P.U. avente tale disponibilit�, a firmare in buona fede un mandato di pagamento, 
in favore di un terzo non avente diritto al pagamento �. 
(5) Trattasi di giurisprudenza consolidata, perch� non vi � differenza 
ontologica (e capacit� di danno per la difesa del prevenuto), tra il fatto 
giudicato e quello contestato, anche quando si correggono errori dell'imputazione 
originaria (in Giur. it., 1969, P. II, p. 424 e 478, vedasi Cass., 
Sez. V, 29 novembre 1968; Cass., Sez. V, 7 novembre 1968). 
Con particolare riguardo ai reati colposi, vedasi in Rass. Avv. Stato, 
1969, P.I., Sez. VII, p. 359 e segg., nota di A. PALATIELLo, e precedenti vari, 
ivi citati. � 

GIUSEPPE DONADIO 

16 



1216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a) che all'atto del primo interrogatorio, in sede di sommaria istruzione, 
verificatosi nel 1960, ancora non era stata emessa la nota decisione della 
Corte Costituzionale che dichiar� incostituzionale l'art. 3'9�2, comma 1�, 

c.p.p. per quanto esclude l'applicazione degli artt. 304 bis, ter e quater 
all'istruzione sommaria (sent. 52 del 16-26 giugno 1965); che subito dopo 
l'interrogatorio reso al G.I., si cur� l'adempimento dell'art. 304 quater 
c.p.p., ed accertata la situazione anormale, immediatamente si provvide 
alla nomina di un difensore di ufficio; e) �che il G.I. non era affatto tenuto 
ad interpellare l'imputato, perch� provvedesse a sostituire il difensore 
invalidamente nominato, sibbene solo a nominare un difensore 
di ufficio, essendosi precisamente verificato uno dei casi previsti dall'articolo 
1'28 p.p. c.p.p. (caso C�iO� assimilabile a quello dell'imputato che 
�rimane privo> del difensore); nomina che, del resto, s'intende revocata 
de iure con la dichiarazione dell'imputato, nel corso del suo 
secondo interrogatorio davanti al G.I.; d) n� pu�, quindi, sostenersi 
che l'imputato sia rimasto privo di difesa, in seguito a condotta processuale 
del giudice; il P.M. procedente ed il G.I. non erano nella materiale 
possibilit� di co11-tr0Hare, ex abrupto, la validit� della nomina 
effettuata dal Dainotto di un difensore di fiducia, posto che, fuori dell'ambito 
del giudizio di mera legittimit�, ove � previsto un albo nazionale, 
non vi � un albo degli avvocati e procuratori a livello nazionale, 
e sempre sussiste la possibilit�, quindi, della nomina di un patrono 
iscritto ad albo professionale di qualche lontano tribunale; e) 
la denunziata nullit�, in sostanza, si sarebbe verificata qualora la nomina 
del patrono non iscritto all',albo degli avvocati e procuratori fosse 
avvenuta per attivit� di ufficio; non anche quando la nomina di un 
soggetto inidoneo ad esercitare il mandato diiScenda da iniziativa p�ropria 
ed esclusiva dell'imputato. 
Infondato � anche il secondo mezzo proposto dalla difesa Dainotto. 

Si assume l'insostenibilit� di una fattispecie di peculato, e al pi� 
l'esistenza di una truffa aggravata, posto che l'induzione in errore fu 
operata nei confronti del Presidente del Consiglio di Amministrazione 
del Fondo, ma quest'ultimo non aveva � possesso giuridico > delle somme 
erogate, che spettava unicamente al Consiglio; mentre, d'altronde, 
il decreto del Ministro per autorizzare il pagamento dei mandati era 
semplice atto dovuto, privo di possibilit� di esame del merito. La tesi, 
acutamente prospettata gi� ai giudici di merito, ed ancora da ultimo 
nella memoria difensiva, fu reietta dall'impugnata sentenza, con motivazio:
ne completa ed organica, e in seguito ad un .giudizio di fatto sulle 
modalit� della condotta, che in questa sede � incensurabile. Rilev� 
il giudice di appello come, in effetti, ad esser tratto in errore fosse il 
Presidente del consiglio di amministrazione; e come quest'ultimo non 
avesse, di f�tto, autonomo potere di disposizione delle somme; ma osserv� 
pure come le argomentazioni della difesa, che ne deduce l'esistenza 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 1217 

di una truffa anzich� del peculato, fossero viziate dalla limitazione dell'indagine 
ad un solo momento dell'iter formativo dell'atto, il quale, 
per esser ��complesso> nasce dall'integrazione di varie attivit� preparatorie, 
deliberative, certificative e finali. L'induzione in errore da parte 
del Dainotto si verific� cosi, nei confronti di uno solo degli anelli necessari 
a comporre la catena, al cui termine vi � la percezione dei sussidi, 
ma non v'ha dubbio che tale induzione fosse efficiente e risolutiva 
ai fini della consumazione della condotta. E non v'ha neppure dubbio, 
per la Corte di merito, che se il Presidente avesse di sua in�iziativa redatto 
falsi verbali, certificandoli �con la propria firma ed ottenendo cos� 
l'emissione dei decreti ministeriali, avrebbe con ci� commesso delitto 
di peculato; ma poich� ,il Presidente fu indotto in errore dal Dainotto, 
il peculato venne da quest'ultimo commesso..Contro siffatta argomentazione, 
si obbietta principalmente dal ricorrente: che non si tratt� 
affatto di atto amministrativo complesso; che il possesso giuridico delle 
somme erogande non spettava al Ministro, ma al Consiglio di Amministrazione. 
Ma tali obbiezioni, pure acute e penetranti, non sono risolutive; 
in particolare, non sono idonee a dimostrare l'errore commesso 
nella determinazione della fattispecie giuridica. Prescindendo dalle riserve 
teoriche sulla natura ed il carattere del c.d. atto amministrativo 
complesso, deve riconoscersi che il problema non � terminologico, n� 
di definizione. La possibilit� di costruire una figura di atto complesso 
sarebbe preclusa dal fatto che il Fondo per la citt� di Roma costituirebbe 
�persona giuridica a s� stante, che non si �Confonde affatto con la 
p.a.; e non si potrebbe mai integraa:-e, allora, l'attivit� di una persona 
giuridica privata, con quella del Ministro. Ma deve in contrario rilevarsi, 
anche prescindendo dalla considerazione che il primo giudice 
escluse la costituzione di P.C. del Fondo per il culto, proprio perch� 
ritenne questo ultimo un elemento integrante del Ministero, che gi� 
erasi �costituito p.c., che il carattere pubblicistico della persona giuridica 
di �cui trattasi non � disputabile, vuoi per le modalit� della sua creazione 
(per legge dello Stato), vuoi per l'organizzazione della sua struttura, 
legata strettamente alla Direzione generale del Fondo per il Culto, 
vuoi per �i caratteri delle finalit� assegnat,e, e delle modalit� di loro 
realizzazione pratica. Non si vede alcuna preclusione razionale o sistematica, 
allora, a quell'integrazione fra le attivit� del Consiglio e del 

l


I 



Presidente, e quella del Ministro, che fu ritenuta dai giudici di merito 
a fondamento della �Convinzione che, nella specie, fosse realizzato un 
tipo -.sia pure sui generis -:--di atto complesso, a concretare il quale 
� concorresse l'attivit� del Consiglio, e poi quella del Presidente, ed infine 
del Ministro. N� maggior valore ha l'altra obbiezione: pure ammettendo 
che la disponibilit� giuridica delle somme erogande spettasse al. 
Consiglio, � dato di fatto inconfutabile che a rendere esigibile dette 
somme dovesse intervenire l'attivit�, sia pure doverosa e limitata al 




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

controllo di legittimit�, del Ministro. L'argomentazione dell'impugnata 
sentenza, pertanto, regge sostanzialmente all'urto delle censure mossele; 
ed esatta, pertanto, � la �concorde conclusione cui giunsero i primi 
ed i secondi giudici, ritenendo realizzata la particolare figura di peculato, 
mediante induzione in errore. 

(Omissis). -Neppure merita accoglimento il quarto mezzo Dainotto: 
lamentasi qui violazione delle regole di correlazione fra l'accusa 
contestata e la sentenza, perch�, mentre il capo d'imputazione parlava 
d'induzione in errore del Presidente del consiglio di amministrazione, 
il quale ultimo avrebbe avuto il possesso per ragion del suo 
ufficio delle somme appropriat�si dal Dainotto, la sentenza ritenne invece 
�che il �possesso delle somme spettasse non gi� al suddetto Presidente, 
ma al Ministro. Sarebbe.si, con ci� immutato sensibilmente e significativamente 
il fatto. Ma questo S.C. non condivide tale visione, alquanto 
rigoristica, della nozione di �fatto>. 

L'art. 477 cpv. c.p.p. ipotizza il caso �Che in dibattimento �il fatto 
risulti diverso da quello enunciato > negli atti fondamentali di contestazione 
dell'accusa. Ma, poich� � chiaro che le regole della correlazione 
sono dettate dalla esigeinza di una chiara ed onesta informazione, 
affinch� l'imputato si possa difendere su di un ben �circoscritto terreno 
di accuse e di contestazioni, ne consegue che, non ogni insorgenza nuova 
che si verifichi rispetto all'accusa originaria, entra nell'ambito dell'articolo 
477 c.p.p.; ma solo quel mutamento di �circostanze o fatti o riferimenti, 
che risponda ai seguenti caratteri: sia cio� un mutamento � essenziale 
> e nello stesso tempo �significativo>, tale do� da immutare 
la configurazione giuridica della fattispecie. Applicando tali elementari 
nozioni (sulle quali si � del resto da lungo tempo soffermato questo 
S.C., sottolineando con importanti sentenze che non ogni mutamento 
del fatto, ma solo quello che sia di tal rilievo da mutare i confini della 
contestazione, e pregiudicare quindi i diritti e gl'interessi della difesa, 
possa esser compreso nella previsione dell'art. 477 c.p.p.) deve dedursene 
che la mutazione dell'organo titolare del diritto di disporre delle 
somme (Presidente del consiglio �di amministrazione, secondo l'imputazione; 
Ministro, secondo la sentenza di appello) non rappresenta affatto 
una mutazione del � fatto >; e, quanto meno, non una immutazione essenziale 
e significativa. -(Omissis). 


PARTE SECONDA 




RASSEGNA DI DOTTRINA 


A.LIBRANDI T., La sindacabilit� clel provvedimento amministrativo nel processo 
penale, Jovene, Napoli, 1969, pagg. 162. 

Il libro recensito rappresenta l'ulteriore maturazione di intuizioni gi� 
in parte sviluppate in un lungo articolo pubblicato nel. 1966 su questa 
stessa Rassegna. Non si tratta, per�, di un puro e semplice syiluppo di 
tesi gi� enunciate in quella sede bensl di un radicale ripensamento dell'argomento, 
che si riflette sia sulla ben maggiore organicit� della trattazione 
che sul merito delle soluzioni accolte. Dell'articolo del 1966 rimane 
essenzialmente l'esigenza di sottolineare gli aspetti peculiari che la problematica 
della sindacabilit� dell'atto amministrativo assume in sede penale; 
e, certo, non ultimo pregio del lavoro � di essere il primo compiuto 
tentativo di sistemazione organica di una materia, sulla quale a tutt'oggi 
in dottrina non risultano che scarsi contributi settoriali. 

Il libro � diviso in tre capitoli. Il primo � dedicato alla ricostruzione 
tipologica ed alla qualificazione funzionale delle varie ipotesi di rilevanza 
dell'atto �amministrativo nella fattispecie penale. Sulla scorta di un'ampia 
casistica, condotta prevalentemente in relazione al peculato per distrazione, 
l'autore perviene alla conclusione che l'atto in sede penale venga in esame 
non come elemento della condotta criminosa ma come fonte di qualificazione 
della condotta stessa. Si intende, poi, che, in omaggio al principio 
della ger&-chia delle fonti, l'atto stesso sar�, a sua volta, passibile di valutazione 
in.raffronto alla norma di legge formale; pertanto, ben si giustifica 
la formula di qualificazione di secondo grado, impiegata per descrivere 
la funzione che in questa prospettiva competerebbe all'atto amministrativo 
ai fini della valutazione penale. 

Da tale impostazione prende fisionomia tutto il resto del lavoro, che 
si svolge attraverso l'indagine della Tilevanza nel giudizio penale dei classici 
vizi di legittimit� dell'atto. Cosi, nel secondo capitolo si esamina il 
vizio di violazione di legge in senso stretto e quello di merito; quest'ultimo 
di gran lunga prevalente nella economia della trattazione, come �, 
del resto, ben coerente alle maggiori difficolt� teoriche che impone la posizione 
del concetto di merito. Sul punto l'autore, rifacendosi sia alla tradizionale 
�nozione del merito amministrativo come conformit� alle c.d. regole 
di buona amministrazione sia all'altra concezione dottrinale che nel controllo 
di merito ravvisa un puro e semplice rifacimento dell'iter di formazione 
del provvedimento, finisce c�n l'escludere in entrambi i casi che il 
giudice penale possa pervenire al sindacato del vizio relativo; accettando 
la prima tesi, perch� una norma interna (quale la regola di buona amministrazione) 
non pu� interferire in qualificazioni poste da una norma inderogabile 
come � quella penale, accettando la seconda, perch� la resa del 
giudizio penale � attivit� sindacatoria (e sanzionatoria) che 'perci� solo 
differisce strutturalmente dalla pura e semplice rinnovazione di una attivit� 
amministrativa precedentemente svolta. 

Il terzo capitolo, infine, � d�dicato all'analisi della rilevanza dell'eccesso 
di potere da cui sia inficiato l'atto che viene in considerazione nel 
giudizio penale. Al riguardo l'autore (ed � questo uno dei punti in cui il 
suo discorso appare pi� evidentemente approfondito rispetto all'articolo 
del 1966) ritiene che in astratto nulla vieti al giudice penale di sindacare 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'eccesso ma che, in concreto, un sindacato di tal fatta non sia suscettibile 
di utili (o, almeno, di decisivi) esiti ai fini del giudizio. Poich�, infatti, 
l'eccesso di potere varrebbe, secondo i casi, ad indiziare un vizio di violazione 
di legge in senso stretto o un vizio di merito, nel primo caso l'indagine 
del giudice dovrebbe estendersi alla violazione di legge sottostante 
(in cui l'eccesso finirebbe con l'essere completamente assorbito), nel secondo 
caso il sindacato giudiziale finirebbe con l'arrestarsi dinanzi alla 
insindacabilit� del merito dell'atto. � evidente che tali conclusioni dipendono 
dall'avere assunto una nozione processualistica dell'eccesso, che finisce 
con il negare natura sostanziale a questo tipo di vizio, ridotto a 
funzione di spia di altri difetti dell'atto, e perci� a mero ausilio dell'attivit� 
del gi'udice. A questo delicato problema di teoria generale sono dedicate 
alcune delle pagine pi� stimolanti del libro, ed � giusto sottolineare 
che lo specifico profilo penalistico, sotto il quale l'indagine � condotta, 
giova indubbiamente a confortare la validit� della tesi dell'autore. 

Si tratta, come rilevasi, di un lavoro che ha una profonda impostazione 
dogmatica pur tenendo in debito conto l'orientamento giurisprudenziale 
pi� recente, e va pertanto segnalato all'attenzione dei lettori, per un 
proficuo approfondimento dell'argomento trattato. 

U. GARGIULO 
L'unificazione amministrativa ed i suoi protagonisti, a cura di FELICIANO 
BENVENUTI e GIANFRANCO MIGLIO, Neri Pozza Editore, 1969, pagg. 451. 

L'Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica ha finalmente 
pubblicato, per i tipi dell'editore Neri Pozza la prima raccolta degli atti 
del Congresso celebrativo del Centenario delle leggi amministrative di 
unificazione, svoltosi sotto il patronato del Presidente della Repubblica. 
Il libro in rassegna rappresenta il volume generale introduttivo ed � stato 
curato da Feliciano Benvenuti e da Gianfranco Miglio. Ad esso seguiranno 
altri dieci volumi relativi: a) all'ordinamento sanitario (due volumi, l'uno 
a cura di Renato Alessi sull'Amministrazione sanitaria, l'altro a cura di 
Pietro Bodda su Gli ospedali e le farmacie); b) all'ordinamento comunale 
e provinciale (due volumi, l'uno a cura di Massimo Severo Giannini sui 
Comuni, l'altro a cura di Antonio Amorth sulle Provincie); c) alla tutela 
del cittadino (due volumi, l'uno a cura di Giovanni Miele sulla Giustizia 
amministrativa, l'altro a cura di Paolo Barile sulla Pubblica sicurezza); 
d) alle opere pubbliche (due volumi, l'uno sui lavori pubblici a cura di 
Aldo Sandulli e l'altro sull'espropriazione per pubblica utilit� a cura di, 
Umberto Pototschnig); e) all'istruzione ed al culto (anche qui due volumi, 
!"uno a cura di Carlo Maria Iaccarino sull'istruzione, l'altro a cura di Pietro 
Agostino D'Avack �Sulla legislazione ecclesiastica). Come risulta chiaro, il 
piano dell'opera � vasto, organico, completo e la sua esecuzione � affidata 
ai migliori specialisti della materia. 

Il taglio politico, oltre che giuridico, degli scritti che vi sono compresi 
distingue il volume in rassegna dagli altri. Come acutamente osserva Miglio, 
l'opera legislativa del 1864-65 rappresent� per se stessa ed anzi presuppose 
una decisione politica di storica portata. Finch� non si giunse ad 
essa per l'ordinamento del neo-costituito Stato Italiano rimase aperta almeno, 
ma non solo, teoricamente -la possibilit� di un assetto notevolmente 
diverso. 


PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 195 

Le leggi del 1865 vengono riguardate, nel volume, come l'espressione 
finale e concreta di una scelta di fondo che defin� i tratti decisivi del nuovo 
Stato e collocate nel quadro essenzialmente politico del Regno Italiano. 
Non mancano gli accenti critici. Il Benvenuti, in uno scritto fortemente 
polemico, denuncia la mitizzazione della legislazione del 65 esprimendo 
l'avviso che essa fu una legge improvvisa, un'apparizione dall'alto che si 
impose per le esigenze del momento, una legge fuori della storia individuale 
dei legislatori �Che l'avevano votata, degli ammin�stratori che la 
dovevano applicare e fuori della storia collettiva del popolo a cui era applicata: 
una legge in tutti i sensi straniera, calata per necessit� in una 
realt� che non era ancora pronta ad accettarla. 

Completano il volume scritti a carattere storiografico di Roberto Ruffilli 
(sul Governo, Parlamento e correnti politiche nella genesi della legge 
20 marzo 1865), di Bruno Malinverni (su Francesco Rastelli, patriota, giureconsuito, 
deputato, propugnatore e collaboratore dell'unificazione morale, 
amministrativa e legislativa dell'Italia), di Paul Guichonnet (su Carlo Cadorna, 
Luigi Federico Menabrea e le leggi del 1865), di Francesco Brancato, 
Aldo Berselli, Livio Pivano, Giuseppe Panzini, Giorgio Berti, Filippo 
Sacini e Francesco Traniello sul pensiero, in ordine all'unificazione amministrativa 
dello Stato Italiano, di Francesco Crispi, Marco Minghetti, 
Urbano Rattazzi, Filippo Sullana, Bettino Ricasoli, Francesco Porgateo e 
Stefano Jacini. 

L.M. 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


LEGGI E DECRETI (*) 

Legge 7 ottobre 1969, n. 742. -Dispone la sospensione dei termini 
processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative 
dal 10 agosto al 15 settembre, precisando tra l'altro che � ove il 
decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione l'inizio stesso � 
differito alla fine di detto periodo� (G. U. 5 novembre 1969, n. 281). 

legge 7 novembre 1969, n. 780. -Modifica l'a:rticolo 389 del codice 
di procedura penale, con nuove indicazioni dei casi in cui si procede 
con istruzione sommaria (G. U. 17 novembre 1969, n. 290). 

legge 5 ctlcembre 1969, n. 932. -Modifica gli articoli 78, 134, 225, 
231, 232, 238, 304 e 390 del codice di procedura penale, ed aggiunge 
l'articolo 249 bis, con nuove disposizioni in merito alle indagini preliminari, 
al diritto di difesa, all'avviso di procedimento ed alla nomina 
del difensore (G. U. 17 dicembre 1969, n. 317). 

NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO 
DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE* 


NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice penale, art. 559 (Adulterio), terzo e quarto comma; art. 560 
(Concubinato), primo, secondo e terzo comma, art. 561 (Casi di non punibilit�. 
Circostanza attenuante); art. 562 (Pena accessoria e sanzione 
civile), primo comma, nella parte relativa alla perdita dell'autorit� maritale 
per effetto della condanna per il delitto di concubinato, secondo 
e terzo comma; art. 563 (Estinzione del reato) (1). 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 147, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con cinquantuno ordinanze di varie autorit� giudiziarie (G. U. 
10 dicembre 1969, n. 311). 

(*) Si segnalano i provvedimenti ritenuti di maggiore interesse. 

(*) Tra parentesi gli articoli della Costituzione in riferimento ai quali sono 
state proposte o decise le questioni di legittimit� costituzionale. 

(1) Il quarto comma dell'art. 559, il secondo ed il terzo comma dell'art. 560 
e gli artt. 561, 562 e 563 del codice penale sono stati dichiarati incostituzionali in 
applicazione dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 197 

codice di procedura penale, art. 134 (Nomina dei difensori di fiducia), 
secondo comma, nella parte in cui fa divieto agli ufficiali ed agli agenti 
della polizia di ricevere la nomina del difensore di fi!fucia; art. 222 
(Atti concernenti l'arresto; assicurazione del COIJ'PO del reato), secondo 
comma, nella parte in cui si esclude che agli accertamenti ed alle operazioni 
tecniche della polizia giudiziaria si applichino gli artt. 390, 
304 bis, ter e quater del codice di procedura .penale e nella parte in 
cui si esclude che al �sequestro si applichino gli artt. 390 e 304 quater; 
art. 223 (Ausiliari della polizia giudiziaria), primo comma, nella parte 
in cui si esclude che agli accertamenti ed alle operazioni tecniche 
della polizia giudiziaria si applichino gli artt. 390, 304 bis, ter e quater 
del codice� di procedura penale; art. 231 (Atti e informative del pretore), 
primo comma, nella parte in cui si esclude che agli atti di polizia 
giudiziaria compiuti o disposti dal pretore si applichino gli artt. 390, 
304 bis, ter e quater; art. 234 (Atti del procuratore generale presso la 
corte di appello), nella parte in cui si esclude che agli atti di polizia 
giudiziaria compiuti o disposti dal procuratore generale presso la Corte 
di <appello si applichino gli artt. 390, 304 bis, ter e quater (2). 


I 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 148, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 

Ordinanze di rim�ssione 11 novembre 1968 del Tribunale di Tre. 
I 
viso (G. U. 12 febbraio 1969, n. 38), 13 novembre 1968 della Corte di 
appello di Milano (G. U. 26 febbraio 1969, n. 52) e 21 gennaio 1969 
del Pretore di Cassano d'Adda (G. U. 26 marzo 1969, n. 78). 

i 

r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (Legge del registro), artt. 117 e 118, 
I 
i 
modificati con l'art. 1 (3) del r. d. 13 CJennalo 1936, n. 2313, nella parte in i 
cui stabiliscono che i funzionari delle cancellerie giudiziarie non possono 
rilasciare copie o estratti di sentenze non registrate ed i giudici I 
emettere sentenze, decreti o altri provvedimenti sulla base di tali I 

I 

copie ed estratti, anche quando si contesti la legittimit� della imposta 

I

di titolo, accertata in base alle sentenze stesse (4). 
I 
I

I

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 157, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. i 
Ordinanza di rimessione 3 novembre 1967 della Corte di appello 

I

di Bologna, G. U. 18 maggio 1968, n. 127. 

r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033 (Norme per la repressione delle frodi 
I 

. nella preparazione e nel commercio �di sostanze di uso agrario e di 
I 

I 

i 

I

(2) La illegittimit� costituzionale degli articoli 134, secondo comma, 222, seI 
condo comma (sotto il secondo profilo sopra indicato), 201, primo comma, e 234, I 
e stata dichiarata ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Gli articoli I 
134 e 231 sono stati modificati con la legge 5 dicembre 1969, n. 932. ! 

i 
13 gennaio 1136, n. 2313, e non dall'art. 1. 1 
'I 

(3) L'art. 118 della legge del registro � stato modificato dall'art. 3 del r.d. 
(4) In riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 113 della Costituzione, altre questioni 
! 

di legittimit� costituzionale dell'art. 118 della legge del registro sono state dichiarate, 
con la stessa sentenza, non fondate. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

prodotti agrari), convertito con legge 18 marzo 1926, n. 562, art. 44, 
nel testo modificato dalla legge 27 febbraio 1958, n. 190, nella parte in 
cui per la revisione delle analisi esclude l'applicazione degli a�rtt. 390, 
304 bis, ter e quater del codice di procedura penale. 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con diciannove ordinanze di varie autorit� giudiziarie (G. U. 
10 dicembre 1969, n. 311). � 

r. d. 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico delle norme per la finanza 
locale), art. 66, limitatamente all'inciso � e non compete gravame 
davanti all'autorit� giudiziaria �. 
Sentenza 20 novembre 1969, n. 141, G. U. 26 novembre 1969, 

n. 
299. 
Ordinanza di rimessione 24 aprile 1968 del Pretore di Recanati, 
G. U. 6 luglio 1968, n. 170. 
r. d. 28 a.prile 1938, n. 1165 (Testo unico delle disposiziolfl,i sun'edilizia 
popolare ed economica), art. 32, terzo e settimo c:omma, nella parte 
in cui per il pagamento dei canoni scaduti e per l'opposizione al decreto 
ingiuntivo fissano termini diversi da quelli previsti dall'art. 641 del 
codice di procedura civile per l'ordinario procedimento ingiuntivo. 
Sentenza 22 dicembre 1969, n. 159, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con quattordici ordinanze di varie autorit� giudiziarie (G. U. 
24 dicembre 196�9, n. 324). 

legge 27 febbraio 1958, n. 190 (Modifica agli articoli 44 e 45 de�l 
decreto-legge 15 ottobre 1925, n. 2033, COlfl,Vertito nella legge 18 marzo 
1926, n. 562, concernenti la repressione delle frodi nella preparazione 
e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrarai), art. 1, 
che modifica l'art. 44 del d. 1. 15 ottobre 1925, n. 2033, nella parte 
in cui per la revisione delle analisi esclude l'applicazione degli articoli 
390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale. 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con diciannove ordinanze di varie autorit� giudiziarie (G. U. 
10 dicembre 1969, n. 311). 

d. P. R. 2 �ottobre 1960, n. 1378 (Norrme sul trattamento ecolfl,omico 
e norrmativo dei lavoratori dipendenti dalle imprese esercenti la produzione 
del cemento, amianto-cemento e la. produzione promiscua di 
cemento, calce e gesso), articolo unic:o, nella parte in cui rende obbligatorio 
erga omnes il tentativo di conciliazione, preveduto dall'art. 50 
del contratto collettivo nazionale 24 ottobre 1958 per gli intermedi e 
dall'art. 44 del contmtto collettivo nazionale 11 dicembre 1958 per gli 
impiegati, dipendenti dalle imprese esercenti la produzione del cemen

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 199 

to ed amianto-cemento e la produzione promiscua .di ~emento, calce 
e gesso. 

Sentenza 26 dicembre 1969, n. 161, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. 
Ordinanze di rimessione 26 aprile 1968 e 21 febbraio 1969 del 
Tribunale di Palermo (G. U. 31 agosto 1968, n. 222 e 18 giugno 1969, 

n. 152). 
d, P. R. 2 gennaio 1962, n. 912 (N<Yrme sul trattamento economico 
e normativo degli impiegati di 1a e di .2a categoria, del personale subalterno, 
degli operai, delle guardie notturne e del personale di fatica, 
dipendenti daUe Casse di risparmio, Monti di credito su pegno di prima 
categ<Yria ed Enti equiparati), articolo. unico, nella parte in cui rende 
obbligatorio erga omnes l'art. 36, comma nono, del contratto collettivo� 
nazionale 28 febbraio 1941 per i dipendenti delle Casse di risparmio, 
dei Monti di credito su pegno di prima categoria e degli enti equiparati, 
nel testo modificato dall'art. 14 della Convenzione collettiva 
14 ottobre 1953. 

Sentenza 17 dicembre 196�9, n. 153, G. U. 24 dicembre 1969, 

n. 
324. 
Ordinanza di rimessione 23 maggio 1968 del Pretore di Mantova, 
G. U. 28 settembre 1968, n. 248. 
legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 
e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 
27 luglio� 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e 
della vendita deUe sostanze alimentari e delle bevande), art. 1, nella 
parte in cui per la revisione delle analisi esclude l'applicazione degli 
articoli 390, 304 bis, ter e, quater del codice di procedura penale. 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con diciannove ordinanze di varie autorit� giudiziarie (G. U. 
10 dicembre 1969, n. 311). 

d. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per 
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malat1Jie 
professionali), art. 199, secondo comma, nella parte in cui esclude 
che gli agenti delle imposte di consumo di cui al terzo comma dell'art. 
4 dello stesso decreto, siano �soggetti all'assicurazione obbligatoria 
fino alla data del 10 gennaio 1966. 
Sentenza 17 dicembre 1969, n. 152, G. U. 24 dicembre 1969, 

n. 324. 
Ordinanza di rimessione 5 febbraio 1968 della seconda sezione 
della Corte di cassazione, G. U. 13 luglio 1968, n. 177. 

legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio 
dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), 
art. 42, nella parte in cui per la revisione delle analisi esclude l'appli




200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura 
penale. 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con diciannove ordinanze di varie autorit� giudiziarie (G. U. 
10 dicembre 1'969, n. 311). 

legge 18 marzo 1968, n. 238 (Nucivi termini per l'emanazione dei 
provvedimenti di cui all'art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e 
norme integrative della medesima), art. 5, lettere a e b, nella parte in 
cui dispone che le pensioni di vecchiaia non sono cumulabili con la 
retribuzione. 

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 155, G. U. 24 . dicembre 1969, 

n. 324 (5). 
Ordinanze di rimessione 13 luglio 1968 e 25 novembre 1968 del 
Pretore di Firenze (G. U. 12 ottobre 1968, n. 261 e 29 gennaio 1969, 

n. 25), 9 novembre 1968 del Pretore di Roma (G. U. 26 marzo 1969, 
n. 78), e 18 marzo 1969 del Tribunale di Reggio Emilia (G. U. 11 giugno 
1969, n. 145). 
d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo 
delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria), art. 20, 
lettere a e b, nella parte in cui dispongono che le pensioni di vecchiaia 
non sono cumulabili con la retribuzione; artt. 21 e 23, nelle parti in cui 
si riferiscono alla pensione di vecchiaia (6). 
Sentenza 22 dicembre 1969, n. 155, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. 
Ordinanze di rimessione 13 luglio 1968 e 25 novembre 1968 del 
Pretol'e di Firenze (G. U. 12 ottobre 1968, n. 261 e 29 gennaio 1969, 

n. 25), 2 agosto 1968 (due) del Pretore di Venezia (G. U. 12 ottobre 
1968, n. 261), 28 agosto 1968 del Pretore di Cagliari (G. U. 26 ottobre 
1968, n. 275), 9 novembre 11968 e 10 marzo 1969 del Pretore di Roma 
(G. U. 26 marzo 1969, n. 78 e 18 giugno 1969, n. 152), 18 marzo 1969 
del Tribunale di Reggio Emilia (G. U. 11 giugno 1969, n. 145) e 15 
marzo 1969 del Pretore di Riva del Garda (G. U. 11 giugno 1969, 
n. 145). 
d. I. 15 febbraio 1969, n. 9 (Riordinamento degli esami di Stato di 
maturitd, di abilitazione e di licenza della scuola media), art. 5, terzo 
e quarto comma, e art. 6, primo, secondo e terzo comma (Jllodificati dall'articolo 
unico della legge di conversione 5 aprile 1969, n. 119), nella 
(5) Con la stessa sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 5, lettere b� e e, in riferimento 
agli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione. 
(6) Con la stessa sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 20, lettera e, in riferimento agli 
artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 201 

parte in cui prescrivono che le prove d'esame ed il colloquio per gli 
esami di Stato nella Regione della Valle d'Aosta siano da effettuare 
obbligatoriamente con l'uso della lingua italiana. 

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 1'56, G. U. 24 ,dicembre 1969, n. 324. 
Ricorso della Regione autonoma della Valle d'Aosta depositato il 
22 maggio 1969, G. U. 18 giugno 1969, n,--152. 

legge reg. sic:. appr. 17 I�gllo 1969 (Istituzione di una borsa di studio 
per amevi sicitiani presso Z'Istituto centrate det restauro in Roma), 
art. 5, nella parte in cui, senza valutazione del merito comparativo, 
aocovda titolo preferenziale assoluto per la utilizzazione del Labora� 
torio di restauro in Palermo, ai soli aspiranti aventi stabile dimora in 
un comune della Regione. 

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 158, G. U. 24 dicembre 1969, 

n. 324. 
Ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana depo� 
sitato il 30 luglio 1969, G. U. 13 agosto 1969, n. 207. 

NORME DELLE QUALI � STATA DICHIARATA NON FONDATA 
LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE 

Codice c:lvlle, art. 314/4 (inserito dall'art. 4 della legge 5 giugno 
1967, n. 431) (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 145, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanza di rimessione 14 ottobre )968 del Tribunale per i 
minorenni di Milano, G. U. 28 dicembre 1968, n. 329. 

c:.odic:e di procedura penale, art. 502 (Corsi e modi det giudizio direttissimo), 
primo e sec:�ondo c:omma (artt. 24, secondo comma, e 25, primo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 146, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanze di rimessione 15 ottobre 1968 del Tribunale di Milano 

(G. U. 29 gennaio 1969, n. 25), 15 gennaio 1969 del Tribunale di Palermo 
(G. U. 2 aprile 1969, n. 85), e 12 marzo 1969 del Tribunale di 
Napoli (G. U. 18 giugno 1969, n. 152). 
r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (Legge det registro), artt. 106 e 118 
(artt. 3, 24 e 113 della Costituzione) (7). 
Sentenza 22 dicembre 1969, n. 157, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. 
Ordinanza di rimessione 7 agosto 1968 del Tribunale di Locri, 

G. U. 12 ottobre 1968, n. 261. 
(7) L'art. 118 della legge del registro � stato dichiarato incostituzionale, con 
la stessa sentenza, nella parte in cui stabilisce che i giudici non possono emettere 

202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (Legge del registro), artt. 106, 108 
e 118, primo comma, n. 2, nella parte in cui sono applicabili anche agli 
atti soggetti a registrazione in caso.d'uso (artt. 3, 24, 101 e 113 della 
Costituzione) (7). 
Sentenza 22 dicembre 1969, n. 1'57, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. 
Ordinanza di rimessione 23 gennaio 1968 del Tribunale di Ferrara, 

G. U. 11 maggio 1�968, n. 120. 
r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033 (Norme per la repressione deUe 
frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario 
e di prodotti agrari), convertito in legge 18 marzo 1926, n. 562, artt. 41, 
42, 43, 45 e 46 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, pronunciata nei giudizi riuniti 
promossi con diciannove Ol"dinanze di varie autorit� giudiziarie 

(G. U. 10 dicembre 1969, n. 311). 
d. I. 19 gennaio 1939, n. 295 (Rec1.11pero dei crediti verso impiegati e 
pensionati e prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed altri emolumenti), 
convertito con legge 2 giugno 1939, n. 739, art. 2, primo 
comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 20 novembre 1969, n. 143, G. U. 26 novembre 1969, 

n. 299. 
Ordinanza di rimessione 23 maggio 1967 della sesta sezione del 
Consiglio di Stato, G. U. 10 agosto 1968, n. 203. 

d. lg. lgt. 21 novembre 1945, n. 722 (Provvedimenti economici a 
favore dei dipendenti statali), art. 2, sesto comma (artt. 3 e 34 della 
Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1969, n. 151, G. U. 24 dicembre 1969, 

n. 324. 
Ordinanza di rimessione 11 maggio 1968 del giudice conciliatore 
di Vico Equense, G. U. 10 agosto 1968, n. 203. 

legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), art. 21, 
terzo comma (artt. 24, secondo comma, e 25, primo �comma, della Costituzione). 


Sentenza 3 dicembre 1969, n. 146, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanza di rimessione 15 ottobre 1968 del Tribunale di Milano, 

G. U. 29 gennaio 1969, n. 25. 
legge 18 ottobre 1959, n. 945 (Modificazioni ed integrazioni del regio 
decre.to-legge 15 o�ttobre 1925, n. 2033, convertito nella legge 18 .marzo 

sentenze, decreti o altri provvedimenti sulla base di copie ed estratti di sentenze 
~on registrate, anche quando si contesti la legittimit� della imposta di titolo, accertata 
in base alle sentenze stesse. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 203 

1926, n. 562, sulla repressione delle frodi nella preparazione e nel 
commercio delle .sostanze di uso agrario e di prmlotti agrari), art. 1 

(artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanza di rimessione 25 giugno 1969 del Pretore di Reggio 
Calabria, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. 

legge 30 dicembre 1959, n. 1234 (Vigilanza per la repressione delle 
frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario 
e di prodotti agrari), articolo unico (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanza di rimessione 3 dicembre 1968 del Pretore di Santa 
Maria Capua Vetere, G. U. 26 marzo 1969, n. 78. 

legge 13 novembre 1960, n. 1407 (Norme per la classificazione e la 
vendita degli oli di oliva), art. 13 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanza di rimessione 3. dicembre 1968 del Pretore di Santa 
Maria Capua Vetere, G. U. 26 marzo 1969, n. 78. 

legge reg. Friuli Venezia-Giulia 1 O maggio 1966, n. 5 (Estensione a tutto 
il territorio della provincia di Udine, compreso ii circondario di Pordenone, 
delle facolt� riservistiche d,ella zona delle Alpi) (artt. 25, secondo 
comma, 3 e 5 della Costituzione). 

Sentenza 20 novembre 1969, n. 142, G. U. 26 novembre 1969, 

n. 299. 
Ordinanze di rimessione 14 marzo 1968 del Pretoredi Palmanova 
GG. U. 6 luglio 1968, n. 170), 3 maggio 1968 del Pretore di San Vito 
al Tagliamento (G. U. 10 agosto 1968, n. 203), e 28 giugno 1968 del 
Pretore di Udine (G. U. 8 gennaio 1969, n. 6). 

legge reg. sarda 22 agosto 1967, n. 16 (Riduzione dei canoni di affitto 
dei pascoli per l'annata agraria 1966-67 in Sardegna) (art. 3, lettera 
d dello Statuto speciale per la Sardegna e art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 160, G. U.. 24 dicembre 1969, n. 324. 
Ordinanza di rimessione 23 aprile 1968 della sezione specializzata 
agraria del Tribunale di Oristano, G. U. 10 agosto 1968, n. 203. 

legge 18 marzo 1968, n. 238 (Nuovi termini per l'emanazione dei 
provvedimenti di cui all'art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e 
norme integrative della medesima), art. 5, lettere b e e (artt. 3, 4, 35, 
36 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 155, G. U. 24 dicembre 1969, 
n..324 (8). 

(8) Con la stessa sentenza la Corte costituzi0I1ale ha dichiarato la illegittimit� 
costituzione dell'art. 5, lettere a e b, nella parte in cui dispongono che le pensioni di 
vecchiaia non sono cumulabili con la pensione. 
17 



'204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ordinanze di rimessione 13 luglio 1968 e 25 novembre 1968 del 
Pretore di Firenze (G. U. 12 ottobre 1968, n. 261 e 29 gennaio 1969, 

n. 25), 9 novembre 1968 del Pretore di Roma (G. U. 26 marzo 1969, 
n. 78), e 18 marzo 1969 del Tribunale di Reggio Emilia (G. U. 11 
giu~o 1969, n. 145). 
d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo 
delle pensioni a carico delt'assicurazicme generale obbligatoria), art. 20, 
lettera c (artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 22 dicembre 1969, n. 155, G. U. 24 dicembre 1969, 

n. 324 (9): 
Ordinanze di rimessione 13 luglio� 1968 e 25 novembre 1968 del 
Preto'l'e di .Firenze (G. U. 12 ottobre 1961, n. 261 e 29 gennaio 1969, 

n. 25), 2 agosto 1968 (due) del Pretore di Venezia (G. U. 12 ottobre 
1968, n. 261), 28 agosto 1968 del Pretore di Cagliari (G. U. 26 ottobre 
1968, n. 275), 9 novembre 1968 e 10 marzo 1969 del Pretore di Roma 
(G. U. 26 marzo 1969, n. 78 e 18 giugno 1969, n. 152), 18 marzo 1969 
del Tribunale di Reggio Emilia (G. U. 11 giugno 1969, n. 145), e 15 
marzo 1969 del Pretore di Riva del Garda (G. U. 11 giugno 1969, 
n. 145). 
legge reg. sic. approv. 17 luglio 1969 (Istituzione di una borsa di studio 
per anievi sicitiani presso l'Istituto centrale del restauro in Roma), 
art. 6 (art. 81, quarto comma, della Costituzione). 

Sentenza 22 dicembre 1969, n. 158, G. U. 24 dicembre 1969, 

n. 324. 
Rico�rso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana depositato 
il 30 luglio 1969, G. U. 13 agosto 1969, n. 207. 

NORME DELLE QUALI � STATO PROMOSSO 
GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE 


Codice civile, art. 1751 (Indennit� per lo scioglimento del contrat


to), in quanto prevede il diritto dell'agente all'indennit� solo per la 
ipotesi in cui il contratto� di agenzia a tempo indeterminato si sciolga 
per fatto non imputabile all'agente (art. 36 della Costituzione) (10). 

Tribunale di Padova, ordinanza 24 giugno 1969, G. V. 5 novembre 
1969, n. 280. 

(9) Con la stessa sentenza la Corte costituziohale ha dichiarato la illegittimit� 
costituzionale dell'art. 20, lettere a e b, nella parte in cui dispongono che le pensioni 
di vecchiaia non sono cumulabili con la retribuzione, e gli artt. 21 e 2.3 nelle 
parti in cui si riferiscono alla pensione di vecchiaia. 
(10) Questione gi� proposta dalla t�rza sezione della Corte di cassazione (ordinanze 
3 luglio 1968, G. U. 28 settembre 1968, n. 248, e 19 novembre 1968, G. U. 26 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 205 

codice di procedura civile, art. 514 (Cose mobili assolutamente impignorabili), 
in quanto, escludendo dalle espropriazioni forzate, con eccessiva 
e sproporzionata prevalenza dell'interesse creditizio sull'interesse 
alla tutela della persona umana, un troppo esiguo numero di cose, 
consente il pignoramento di beni, quali i mobili di casa e di cucina, 
strettamente attinenti allo svolgimento della persona umana ed alla 
decorosa convivenza del nucleo familiare, e necessari per l'attuazione 
del mantenimento, della istruzione e dell'educazione della prole (articoli 
2, 29 e 30 della Costituzione). 

Pretore di Borgo Val di Taro, ordinanza 26 luglio 1969, G. u: 5 
novembre 1969, n. 280. 

codice penale, art. 8 (Delitto politico commesso all'estero), primo 
e secondo comma, in quanto condiziona l'esercizio dell'azione penale 
alla richiesta dell'autorit� amministrativa (artt. 3 e 112 della Costituzione). 


Corte di appello di Venezia, ordinanza 5 luglio 1969, G. U. 24 
dicembre 1969, n. 324 (11). 

codice penale, art. 92 (Ubriachezza vio�lenta o colposa ovvero preordinata), 
in quanto esclude ogni indagine sulla capacit� di intendere e 
di volere del soggetto che abbia commesso il fatto in stato di ubriachezza 
e impone al tempo stesso di stabilire l'esistenza del dolo o 
della colpa con riferimento all'atteggiamento della volont� al� momento 
del fatto (art. 27 della Costituzione) (12). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 10 settembre 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

codice penale, art. 168 (Revoca della sospensione), prima parte, n. 2, 
sia in quanto comporta la revoca della sospensione condizionale della 
pena anche quando la condanna successiva sia relativa a fatto legato � 
con il nesso della continuazione con quelli in precedenza puniti, con 
disparit� di trattamento tra i responsabili di reato continuato che 
abbiano riportato complessivamente una pena ricompresa nei limiti 
stabiliti per l'applicazione del beneficio, a seconda che siano stati condannati 
con una sola sentenza o con due o pi� sentenze (art. 3 della 
Costituzione) (13), sia in quanto la revoca della sospensione condizio


marzo 1969, n. 78), dalla Corte di appello di Milano (ordinanza 7 febbraio -1969, G. U. 
23 aprile 1969, n. 105) e dal tribunale di Bologna (ordinanze 9 e 11 aprile 1969, 

G. U. 16 luglio 1969, n. 179 e 23 luglio 1969, n. 186). 
(11) Con la stessa ordinanza la Corte di appello di Venezia ha ritenuto la 
questione maJlifestamente infondata �in riferimento agli artt. 10, 25, 101 e 104 
della Costituzione. 
(12) Questione gi� proposta dal pretore di Roma (ordinanza 1� marzo 1969, 
G. U. 11 giugno 1969, n. 145) e dalla Corte di assise di Padova (ordinanza 3 marzo 
1969, G. U. 13 agosto 1969, n. 207). 
(13) Questione gi� proposta dal tribunale di Livorno (ordinanza 2 dicembre 
1968, G. U. 29 gennaio 1969, n. 25). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nale viene a dipendere dal comportamento dell'imputato anteriore alla 
concessione del beneficio (art. 27 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 16 giugno 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

\ 
' 

c:odlc:e penale, art. 559 (Adulterio), terzo �c:omma, in quanto punisce 
la relazione adulterina della moglie in ipotesi nella quale la corrispondente 
condotta del marito non costituisce reato (artt. 3 e 29 della 
Costituzione) (14). 

Pretore di Milano, ordinanza 3 marzo 1969, G. U. 10 dicembre 
1969, n. 311. 
Pretore di Cropani, ordinanza 17 maggio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 
Tribunale di Monza, ordinanza 30 maggio 1969, G. U. 10 dicembre 
1969, n. 311. 
Pretore di Roma, ordinanza 24 giugno 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 
Pretore di Postiglione, ordinanza 9 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 
Pretore di Capri, ordinanza 25 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 
Pretore di Napoli, ordinanza 2 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 
1969, n. 311. 

c:odic:e penale, art. 560 (Concubinato), in quanto punisce la relazione 
adulterina del marito, con criterio diverso da quello stabilito per la 
moglie .dall'art. 559, terzo comma, del codice penale, solo quando ricorrano 
gli ulteriori elementi della notoriet� o della convivenza dei 
eoncubini nella casa coniugale (art. 29 della Costituzione) (15). 

Tribunale di Genova, ordinanza 10 luglio 1969, q. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 

c:odic:e penale, art. 635 (Danneggiamento), sec:ondo c:omma, n. 2, in 
quanto assume come fondamento dell'aggravante speciale, con ingiustificata 
discriminazione a danno dei lavoratori (art. 3, primo e secondo 
comma, della Costituzione), il nesso di occasionalit� con l'eserdzio 
del diritto di sciopero. (art. 40 della Costituzione) (16). 

Pretore di Brescia, ordinanza 2 ottobre 1969, G. U. 24 dicembre 

1969, n. 324. 

(14) Il terzo comma dell'art. 55"9 del codice penale � stato dichiarato incostituzionale 
con sentenza 3 dicembre 1969, n. 147. I primi due commi della disposizione 
sono stati dichiarati incostituzionali con sentenza 19 dicembre 1968, n. 126. 
(15) Disposizione dichiarata incostituzionale con sentenza 3 dicembre 1969, 
n. 147. 
(16) Questione dichiarata non fondata, secondo jlrgomentazioni criticate nella 
sopra indicata ordinanza, con sentenza 8 luglio 1957, n. 110. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 207 

codice penale, art. 708 (Possesso ingiustificato di valori), in quanto 
assume come elemento di reato le condizioni personali e sociali dell'imputato 
(art. 3 della Costituzione) (17) e presume la provenienza 
delittuosa degli oggetti trovati in possesso all'imputato (art. 27 della 
Costituzione) (18). 

Pretore di Firenze, ordinanza 13 maggio 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 

codice di procedura penale, art. 46 (Effetti della connessione sulla 
competenza per materia), secondo comma, in quanto rimette alla discrezionale 
valutazione del giudice di separare i procedimenti connessi, e 
di far rivivere, quindi, per i singoli procedimenti la originaria competenza 
(art. 25 della Costituzione) (19). 

Pretore di Nocera Inferiore, ordinanza 12 maggio 1969, G. U. 5 
novembre 1969, n. 280. 

codice di procedura penale, art. 93 (Dichiarazione costitutiva di parte 
civile), secondo comma, e art. 94 (Formalit� della costituzione di parte 
civile), primo e secondo comma, in quanto consentono alla persona offesa 
dal reato di introdurre l'azione civile nel processo penale direttamente 
al dibattimento, e con la sola sommaria esposizione dei motivi che giu'stificano 
la costituzione di parte civile, con sostanziale pregiudizio della 
difesa dell'imputato convenuto (artt. 3 e 24 della Costituzione) (20). 

Pretore di Postigione, ordinanza 9 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

codice di .procedura penale, art. 151 (Deposito in cancelleria dei provvedimenti 
del giudice e relativo avviso�), terzo comma, negli incisi � nel 
caso preveduto nel primo capoverso � e � nel caso preveduto nella 
prima parte, al difensore che abbia proposto la impugnazione ed a 
quello che sia stato designato nella dichiarazione di impugnazione � , in 

(17) Disposizione gi� dichiarata incostituzionale, nei sopra indicati limiti, cor 
sentenza 19 luglio 1968, n. 110. 
(18) Questione gi� proposta dallo stesso pretore con ordinanza 28 marzo 1&69, 
G. U. 2 luglio 1969, n. 165. 
(19) Questione proposta con richiamo ai principi affermati nella sentenza 1a. 
luglio 1963, n. 130, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la 
questione di legittimit� costituzionale degli artt. 45 e 46 del codice di procedura 
penale, nell'affermato presupposto che la connessione costituisca criterio fondamentale 
e certo per la determinazione della competenza, essendo il potere del giudice� 
chiaramente circoscritto. 
(20) Questione gi� proposta dal pretore di San Giovanni Valdarno (ordinanza 
30 gennaio 1969, G. U. 26 marzo 1969, n. 78) e dal tribunale di Arezzo (ordinanza 
7 febbraio 1969, G. U. 26 marzo 1969, n. 78). 

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quan o consen e c e avviso i epos1 o. e a sentenza sia noti �cato 
direttamente all'imputato, quando questi abbia proposto l'impugna-1:: 
zione e non abbia nominato un difensore nella dichiarazione di appello ; 
(art. 24, secondo �comma, della Costituzione) (21). f 

Corte di cassazione, quarta sezione penale, ordinanza 19 maggio 
1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 280. 


codice di procedura penale, art. 151 (Deposito in cancelleria dei prov


I

�Vedimenti del giudice e relativo avviso), terzo comma, in quanto, nel 
limitare l'obbligo della notificazione dell'avviso di deposito della sentenza 
al difens�re che abbia proposto l'impugnazione o a quello che 
sia stato nominato dall'imputato nella dichiarazione di impugnazione, 
non prevede l'obbligo della notificazione al difensore del dibattimento 
che pu� invece sottoscrivere i motivi di appello pur non avendo proposto 
la impugnazione (art. 24, secondo comma, della Costituzione) (22). 

-~ 

Pretore di Alessandria, ordinanza 14 ottobre 1969, G. U. 24 dicembre 
1969, n. 324. 


codice di procedura penale, art. 175 (Notificazione ad altre persone), 
in quanto esclude la necessit� della notificazione alla parte offesa che 
risieda all'estero (art. 24 della Costituzione). (23). 


Tribunale di Genova, ordinanza 6 agosto 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299 . 


.codice di procedura .penale, art. 255 (Determinazione della pena agli 
effetti degli articoli precedenti), in quanto, non escludendo la recidiva 
dalle circostanze aggravanti, impone al giudice di tenerne conto nella 
determinazione della obbligatoriet� del� mandato di cattura, e rende 
possibile l'emissione del mandato di cattura in ragione di una condizione 
personale dell'imputato (art. 3 della Costituzione). 


Tr_ibunale di Torino, ordinanza 27 maggio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 


codice di procedura penale, art. 398 (Poteri del pretore nel procedimento 
con istruzione somimaria), terzo comma, in quanto non prevede 
la contestazione del fatto quando si proceda al compimento di atti di 


(21) Questione gi� proposta, sotto analogo profilo, dal tribunale di Marsala 
(ordinanza 15 aprile 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243). 
(22) Questione gi� proposta dal tribunale di Marsala (ordinanza 15 aprile 1969, 
G. U. 24 settembre 1969, n. 243). 
(23) Questione gi� proposta dal tribunale di Torino (ordinanza .31 marzo 1969, 
G. U. 13 agosto 1969, n. 207). 
I 

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:: 
~~~ 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 209 

polizia giudiziaria (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della 
Costituzione) (24) (25). 

Tribunale di Ferrara, ordinanza 23 maggio 1969, G. U. 24 dicembre 
1969, n. 324. 

codice di procedura penale, art. 468 (Discussione finale), primo com� 
ma, in quanto consente alla parte civile di determinare l'ammontare 
dei danni in sede di conclusioni, precludendo all'imputato, quale convenuto, 
la possibilit� di una efficace e tempestiva difesa in ordine 
alla richiesta di risarcimento (artt. 3 e 24 della Costituzione) (26). 

Pretore di Postiglione, ordinanza 9 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

codice di procedura penale, art+. 506, 507, 508, 509 e 510 (Giudizio 
per decreto), in quanto consentono al pretore di emettere decreto 
penale di condanna senza prima interrogare l'interessato (art. 24 della 
Costituzione) (27). 

Pretore di Cant�, ordinanze 7 marzo 1969 (quattro), G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

codice di procedura penale, art. 510 (Giudizio conseguente all'opposizione), 
primo comma, in quanto, con disciplina diversa da quella stabilita 
per gli imputati. rinviati a giudizio a seguito di normale decreto 
di citazione o sentenza di rinvio a giudizio, non consente all'opponente 

(24) Questione gi� proposta (e con analog.o riferimento alla qualificazione degli 
atti di polizia giudiziaria contenuta nella sentenza 5 luglio 1968, n. 86 della Corte 
costituzionale) dal pretore di Ronciglione (ordinanza 3 dicembre 1968, G. u. 12 marzo 
1969, n. 66), dal tribunale di Ferrara (ordinanze 10 dicembre 1968 e 30 gennaio 
1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243), e dal tribunale di Como (ordinanza 21 febbraio 
1969, G. U. 21 maggio 1969, n. 128). 
(25) L'art. 398 del codice di procedura penale, � limitatamente alle parti in 
cui, nei procedimenti di competenza del pretore, non prevede la contestazione del 
fatto e l'interrogatorio dell'imputato, qualora si proceda al compimento di atti di 
istruzione ., � stato dichiarato incostituzionale con sentenza 28 aprile 1966, n. 33. 
La questione di legittimit� costituzionale della disposizione, nella parte in cui non 
prevede l'obbligo della contestazione del fatto qualora non si proceda al compimento 
di atti di istruzione, � stata invece dichiarata non fondata, in riferimento 
all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, con sentenza 18 aprile 1967, n. 46. Per 
altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione v. sentenze 24 maggio 
1967, n. 61 e 15 dicembre 1967, n. 151. 
L'art. 398 del codice di procedura penale � stato peraltro sostituito con legge 
7 novembre 1969, n. 780. 

(26) Questio.e gi� proposta dal tribunale di Arezzo (ordinanza 7 febbraio 
1969, G. U. 26 marzo� 1969, n. 78). 
(27) Questione dichiarata non fondata con sentenza 23 dicembre 1963, n. 170 
e riproposta, <11nche dal pretore di Tione (ordinanza 28 gennaio 1969, G. U. 16 aprile 
1969, n. 98), con richiamo ai principi affermati dalla Corte costituzionale nelle 
sentenze 15 dicembre 1967, n. 151 e 5 luglio 1968, n. 86. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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di essere .giudicato in contumacia (artt. 3 e 24, secondo comma, della 
Costituzione) (28). ~ 


i::: 

~i

Pretore di Torino, ordinanza 13 giugno 1969, G. U. 24 dicembre W1969, n. 324. (:: 

[ 

c:odlc:e di procedura penale, art. 522 (Questioni di nullit�), ultima 1:~\ 
parte, in quanto, escludendo l'appellabilit� della sentenza di merito 
resa nella disciplinata ipotesi dal giudice di secondo grado, non consente 
di assicurare il doppio giudizio di merito (art. 24 della Costi


I

tuzione) (29). 

Tribunale di Viterbo, ordinanza 30 maggio 1969, G. U. 5 novem


I 

bre 1969, n. 280. 

l

c:odlc:e della navigazione (r. d. 30 marzo 1942, n. 327), art. 1238 (Com. 


petenza per le contravvenzioni), art. 1242 (Decreto di condanna) e arti� . 
c:olo 1243 (Dichiarazione di opposizione e d'impugnazione) (30), in quan


I

to attribuiscono funzioni giurisdizionali all'autorit� amministrativa (ar' 


i;;

ticolo 101, secondo comma, della Costituzione) (31). 

i~ 

' 
'
ii=

Comandante del porto di Salerno, ordinanze 16 settembre 1969 i='P 
(due), G. U. 26 novembre 1969, n. 299 (art. 101, secondo comma, della 
Costituzione). 

I 

Comandante del porto di Venezia, ordinanza 5 agosto 1969, G. U. 
26 novembre 1969, n. 299 (artt. 101; secondo comma, e 108, secondo 

I

,.~ 

comma, della Costituzione). ::; 

r. cf, I. 19 ottobre 1923, n. 2328 (Disposizioni generali annesse per 
la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ~I 
ai pubblici servizi di trasporto in concessione), art. 21 delle disposizioni ; 
annesse, in quanto prevede H diritto del lavoratore al riposo secondo 111: 
I lii 

(28) Questione dichiarata non fondata con sentenze 23 dicembre 1963, n. 170, 
15 dicembre 1967, n. 136, e 26 marzo 1969, n. 48. ,
' 

. 

.

(29) Altra questione di illegittimit� costituzionale � stata dichiarata non fondata, 
in riferimento all'art. 24 della Costituzione, con sentenza 31 maggio 1965, n. 41. .
' 

(30) Per I'a.rt. 1243 la questione � proposta solo dal comandante del porto 
di Venezia. 
(.31) Questione dichiarata non fondata con sentenze 10 giugno 1960, n. 41 
(art. 102 della Costituzione), 3 luglio 1967, n. 79 (art. 104, primo comma, della 
Costituzione) e 19 dicembre 1968, n. 128 (disp. trans. VI e artt. 25 e 102 della Co-. 
stituzione). La. questione � stata gi� riproposta dal pretore di :Recanati in riferi


Ii

mento agli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione 

(ordinanza 11 aprile 1969, G. U. 18 giugno 1969, n. 152), dal tribunale di �rotone 
in riferimento agli artt. 25 e 102 della Costituzione [ordinanze 29 aprile 1969 (due), 
G. U. 9 luglio 1969, n. 172), dal comandante del porto di Castellammare di Stabia 
in� riferimento agli artt. 101, 102 e 108 della Costituzione (ordinanza 15 aprile 1969, 
G. U. 8 ottobre 1969, n. 256) e del capo del circondario marittimo di Porto Stefano 
in riferimento agli artt. 101 e 108, secondo comma, della Costituzione (ordinanza 5 
luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269). Altra questiorte dell'art. 1238 del codice 
della navigazione � stata proposta, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della 

X 

. x' 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 211 

un criterio che prescinde dalla cadenza settimanale (art. 36 della Costituzione) 
(32). 

Pretore di Milano, ordinanza 24 maggio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

r. d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (Legge del registro), art. 98, in 
quanto consente l'emissione dell'ordine di pagamento senza contraddittorio, 
e senza che il giudice adito per la dichiarazione di illegittimit� 
dell'ordine possa emettere un provvedimento che durante la istruzione 
della causa paralizzi la esecutivit� dell'ordine di pagamento 
(art. 24 della Costituzione) (33). 
Pretore di Bergamo, ordinanza 16 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033 (Norme per la repressione delle frodi 
nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti 
agrari), art. 44 e 45, in quanto non consentono la partecipazione 
dell'interessato alle operazioni di prelevamento e di analisi dei campioni 
(artt. 3 e 24 della Costituzione) (34). 
Pretore di Casale Monferrato, ordinanza 1<> ottobre 1969, G. U. 10 
dicembre 1969, n. 311. 

legge 16 giugno 1927, (n. 1776, recte:) n. 1766 (Riordinamento degli 
usi civici), art. 27, primo comma, e ultimo comma, e 29, second�o comma, in 
quanto consentono al commissario regionale degli usi civici di pronunciare, 
in sede giurisdizionale, sulla legittimit� dei suoi stessi provvedimenti 
(artt. 108, secondo comma, e 25 della Costituzione) (35). 

Corte di appello di Roma, ordinanza 9 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280 (36). 

Costituzione, dal comandante del porto di Pesaro (ordinanza 18 luglio 1969, G. U. 
22 ottobre 1969, n. 269). 

(32) L'analoga disposizione dell'art. 16 � stata dichiarata incostituzionale con 
sentenza 15 dicembre 1967, n. 150. 
(33) Questione proposta dal pretore di Bergamo con ordinanza 25 gennaio 
1968 (G. U. 20 aprile 1968, n. 102), e in ordine alla quale la Corte costituzionale, 
con ordinanza 14 maggio 1969, n. 90, aveva disposto' la restituzione degli atti per un 
nuovo giudizio sulla rilevanza. 
(34) L'art. 44 del r.d.l. 25 ottobre 1925, n. 2033 � stato dichiarato incostituzionale, 
con sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, nella parte in cui per la revisione 
delle analisi esclude l'applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice 
di procedura penale. La questione di legittimit� costituzionale dell'art. 45 � stata 
invece dichiarata, con la stessa sentenza, non fondata (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
(35) Questione gi� proposta dalla stessa Corte di appello (ordinanze 27 marzo 
1969 (tre), G. U. 161 luglio 1969, n. 179). 
(36) C�n la stessa ordinanza, la questione � stata ritenuta manifestamente 
infondata in riferimento agli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione. 

::;:: .,

-.... 




212 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r. d. I. 22 dlc:embre 1927, n. 2448 (Provvedimenti a favore del comune 
di Sanremo), art. 1, primo c:omma, in quanto attribuisce all'autorit� 
amministrativa una potest� sostanzialmente legislativa, svincolata da 
ogni limite temporale e da qualsiasi indicazione �di oggetto e di criteri 
direttivi (art. 76 della Costituzione) e consente all'autorit� amministrativa 
di dispensare dall'osservanza della legge, anche penale (art. 25, 
~ secondo comma, della Costituzione), il comune di San Remo (art. 3, 
primo comma, della Costituzione). 

Consiglio di Stato, quinta sezione, ordinanza 10 giugno 1969, G. U. 
26 novembre 1969, n. 299. 

legge 27 dic:embre 1928, n. 3125 (Conversione in legge del regio decreto-
legge 22 dicembre 1927, n. 2448, recante provvedimenti a favore 
del comune di San Remo), che converte in legge il r. d. 1. 22 dicembre 
1927, n. 2448, che attribuisce all'autorit� amministrativa, senza limitazioni 
temporali e senza indicazioni di oggetto e di criteri direttivi, 
una potest� sostanzialmente legislativa (art. 76 della Costituzione) e 
consente all'autorit� amministrativa di dispensare dall'osservanza della 
legge, anche penale (art. 25, secondo comma, della Costituzione), il 
comune di San Remo (art. 3, primo comma, della Costituzione). 

Consiglio di Stato, quinta sezione, ordinanza 10 giugno 1969, G. U. 
26 novembre 1969, n. 299. 

r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicuTezza), 
art. 18, terzo comma, in quanto consente di punire chi sia intervenuto 
a riunioni non preavvisato per il solo fatto che prenda la parola 
(art. 21 della Costituzione) (37). 
Pretore di Verona, ordinanza 8 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 
1969, n. 311. 

r. d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicuTezza), 
art. 220, in quanto, nel disporre l'arresto del contravventore alla 
norma di cui all'art. 85, che prevede solo la pena dell'ammenda, consente 
una privazione preventiva della libert� personale in vista del 
giudizio su reato per il quale nessuna pena detentiva � prevista (artt. 13 
e 27 della Costituzione) (38). 
Pretore di Sampierdarena, ordinanza-7 ottobre 1969, G. U. 10 dicembre 
1969, n. 311. 

(37) L'art. 18 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, nella parte relativa alle riunioni 
non tenute in luogo pubblico, � stato dichiarato incostituzionale con sentenza 8 aprile 
1958, n. 27. Altra questione � stata invece dichiarata non fondata, in riferimento 
all'art. 27 della Costituzione, con sentenza 3 luglio 1956, n. 9. 
(38) Questione gi� proposta dal pretore di Roma in riferimento all'art. 13 
della Costituzione (ordinanza 20 agosto 1968, G. U. 8 gennaio 1969, n. 6) e dal pretore 
di Torino in riferimento all'art. 3 della Costituzione (ordinanze 24 ottobre 
1968, G. U. 28 dicembre 1968, n. 329, e 26 ottobre 1968, G. U. 8 gennaio 1969, n. 6). 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 213 

r. d. 18 giugno 1931, n. 787 (Regolamento per gli istituti di prevenzione 
e di pena), art. 123, terzo comma, in quanto consente alla direzione 
del penitenziario di derogare alle disposizioni concernenti il riposo festivo 
(artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 36, terzo comma, della 
Costituzione); art. 124, primo e sec�ondo comma, in quanto esclude la retribuzione 
per il periodo di tirocinio, e art. 126, primo comma, in quanto 
condiziona alla discrezionale valutazione del direttore l'ammissione del 
detenuto al lavoro remunerato (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma 
e 36, primo comma, della Costituzione); art. 125, primo e terzo comma, 
in quanto con5ente di determinare la misura della retribuzione del 
detenuto senza aver riguardo al minimo vitale del lavoratore e della 
sua famiglia (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 36, primo comma 
della Costituzione); art. 125, sesto comma, in quanto dispone la devoluzione 
allo Stato di parte della remunerazione da corrispondere ai detenuti 
ammessi al lavoro (artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 53 
della Costituzione) (39). 
Tribunale di Torino, ordinanza 22 maggio 1969, G. u.. 5 novembre 
1969, n. 280. 

r. d. 17 agosto 1935, n. 1765 (Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria 
degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali), art. 4, 
quinto comma, in quanto stabilisce il termine di un anno, a pena di 
decadenza, per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento di danni 
derivanti da infortuni sul lavoro (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione) (40). 
Tribunale di Genova, ordinanza 14 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

r. d. I. 7 agosto 1936, n. 1639 (Riforma degli ordinamenti tributari), 
art. 22, terzo comma, in quanto esclude dalla cognizione dell'autorit� 
(39) Questioni gi� proposte, per gli artt. 125 e 126, dalla Corte di assise di 
Torino (ordinanza 18 giugno 1968, G. U. 14 dicembre 1968, n. 318). Dal tribunale 
di Torino le questioni vengono proposte, in considerazione di precedenti pronunce 
di inammissibilit� rese dalla Corte costituzionale per la ritenuta natura regolamentare 
del r.d. 18 giugno 1931, n. 787, nell'affermato presupposto che al regolamento, 
tn quanto emanato in. attenzione della delega conferita con la legge 24 dicembre 
1925, n. 2260, sia invece da riconoscere natura di atto avente forza di legge. 
(40) Questione gi� proposta dal tribunale di Roma (ordinanza 3 febbraio 1968, 
G. U. 14 settembre 1968, n. 235) e, sotto differente profilo (in quanto cio� il termine 
di decadenza decorre anche durante il rapporto di lavoro), dalla Corte di appello 
di Potenza (ordinanza 18 giugno 1969, G. U. 6 agosto 1969, n. 200). Il quinto comma 
dell'art. 4 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765 � ,stato dichiarato incostituzionale, con 
sentenza 9 marzo 1967, n. 22, � in quanto consente che il giudice civile possa accertare 
che il fatto che ha provocato l'infortunio costituisca reato soltanto nella 
ipotesi di estinzione dell'azione penale per morte dell'imputato o per amnistia, senza 
menzionare l'ipotesi di prescrizione del reato �. La disposizione � riprodotta all'articolo 
10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, dichiarato incostituzionale, 
con la stessa sentenza e negli stessi limiti, in applicazione dell'art. 27, ultima 
parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87. 

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214 RASSEGNA DELL'AVVOCAT�BA DELLO STATO m 

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giudiziaria ordinaria le controversie relative a semplice estimazione di 

lredditi (art. 113 della Costituzione) (41). ;::: 

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Trbiunale di Milano, ordinanza 18 aprile 1969, G. U. 10 dicembre r' 
1969, n. 311. 

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r. d. I. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle 
assicurazioni obbligatorie per l'invaUdit� e la vecchiaia, per la tubercolosi 
e per la disoccupazione involontaria), convertito, con modifiche, 
nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, art. 10, in quanto stabilisce, ai fini 
della qualificazione di invalido, differenti percentuali di riduzione della 
capacit� di guadagno per gli operai e per gli impiegati (art. 3 della 
Costituzione). 
Tribunale di Potenza, ordinanza 10 luglio 1969, G. U. 10 dicembre 
1969, n. 311 (42). 

r. d. I. 2 gennaio 1940, n. 2 (Istituzione di una imposta generale sull'entrata), 
convertito con legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 47, in quanto 
esclude il rimborso dell'imposta erroneamente corrisposta a mezzo marche, 
rimborso invece consentito quando la imposta non dovuta sia stata 
corrisposta con versamento in conto corrente (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 4 giugno 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (O'l'dinamento giudiziario), artt. 2, secondo 
comma, e 72, terzo comma, in quanto consentono agli avvocati di esercitare 
la funzione di pubblico ministero nell'udienza del pretore (artt. 104, 
primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, quarto �Comma, 
e 108, secondo comina, della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 12 luglio 1969, G. U. 24 dicembre 
1969, n. 324. 

r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), art. 31, limitatamente 
all'espressione � in sottordine � e art. 34, primo comma, in quanto 
distinguono i magistrati delle preture secondo criterio gerarchico 
(artt. 101 e 107, terzo comma, della Costituzione) (43) e consentono al 
(41) L'art. 22, terzo comma, der r.d.l. 7 agosto 1136, n. 1639 � stato dichiarate 
incostituzionale, con sentenza 11 luglio 1969, n. 125, � limitatamente alla parte in 
cui condiziona l'esercizio dell'azione del contribuente dinanzi all'autoritd giudiziaria 
all'iscrizione a ruolo dell'imposta �. 
(42) Con la stessa ordinanza il tribunale di Potenza ha ritenuto manifestamente 
infondata la questione di legittimit� della norma in riferimento agli artt. 26, 36 
e 38 della Costituzione. 
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(43) Questione gi� proposta, anche per gli artt. 4 e 39, quarto comma, dal 
pretore di Bologna (ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 12 marzo 1969, n. 66). 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 215 

pretore dirigente, quando la funzione istruttoria e quella dibattimentale 
siano affidate a magistrati diversi, di scegliere per ciascun processo il 
giudice del dibattimento (art. 25, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 26 giugno 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

r. d. 16 marzo 1942, n. 267 (Discipli?!-a del fallimento, del concordato 
preventivo, de.zl'amministrazione controllata e deila liquidazione� coatta 
amministrativa), art. 147, secondo comma, in quanto preclude al creditore 
la possibilit� di chiedere la dichiarazione di societ� relativamente ad 
una impresa che sia stata dichiarata fallita come impresa individuale 
(art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione) (44). 
Tribunale di Livorno, ordinanza 12 giugno 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

d. lg. lgt. 9 giugno 1945, n. 387 (Modificazioni al testo unico 28 aprile 
1938, n. 1165, sull'edilizia popolare ed economica per quanto concerne 
le assegnazioni di alloggi dell'I.N.C.I.S. e degli Istituti autonomi per le 
case popolari e revoca delle assegnazio-ni illegittime di allo�ggi fatte 
dagli Istituti anzidetti), artt. 4 e 5, in quanto consentono all'Istituto 
autonomo per le case popolari di risolvere il contratto di locazione 
(artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di L'Aquila, ordinanza 1� ottobre 1969, G. U. 
10 dicembre 1969, n. 311. 

legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti 
delle persone pericolose per la sicurezza e pe'I' la pubblica moralit�), 

.art. 2, in quanto consente al questore di limitare la libert� di circolazione 
anche per motivi di pubblica moralit� (art. 16 della Costituzione) 
(45). 

Pretore di Novi Ligure, ordinanza 18 settemre 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 

legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti 
delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralit�), 

(44) Sotto diverso, ma in alcuni aspetti analogo profilo, la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, numero 
267, � stata gi� proposta, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo 
.e secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dal tribunale di Udine 
(ordinanza 8 noveinbre 1968, G. U. 29 gennaio 1969, n. 25). 

(45) Questione gi� proposta dal tribunale di Vibo Valentia (ordinanza 31 gennaio 
1969, G. U. 9 aprile 1969, n. 91). 

216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

art. 4, secondo comma, in quanto prevede come facoltativa l'assistenza 
di un difensore (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione) (46). 

Tribunale di Torino, ordinanza 10 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte 
dirette), art. 206, in quanto consente all'esattore di procedere all'esecuzione 
forzata anche nell'ipotesi di fallimento del debitore d'imposta 
(art. 3 della Costituzione) (47). 
Pretore di Vittoria, ordinanza 14 maggio 1969, G. U. 24 dicembre 
1969, n. 324. 

d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte 
dirette), art. 207, lettera b, in quanto impedisce al coniuge, ai parenti 
ed agli affini entro il terzo grado del contribuente di proporre opposizione 
di terzo (artt. 3, 24, 42, 47 e 113 della Costituzione) (48). 
Pretore di San Giovanni in Fiore, ordinanza 30 luglio 1969, G. U. 
10 dicembre 1969, n. 311. 

d. P. R. 19 maggio 1958, n. 719 (Regolamento per la disciplina igienica 
della produzione e del commercio delle acque gassate e delle bibite 
analcooliche gassate e non gassate confezionate in recipienti chiusi), 
art. 35, secondo comma, in quanto non consente all'interessato di partecipare 
alle operazioni di analisi di campioni (art. 24 della Costituzione) 
(49). 
Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 26 settembre 1969, 

G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
legge 5 aprile 1961, n. 322 (Misura della compartecipazione alle pene 
pecuniarie per gli scopritori delle frodi nella preparazione e nel commercio 
dei prodotti agrari e delle sostanze di uso agrario), articolo unico, 
in quanto attribuisce agli agenti e funzionari che prelevano i campioni 
e che eseguono le analisi met� dell'importo delle pene pecuniarie pagate 

(46) Questione gi� proposta dallo stesso tribunale (ordinanza 13 dicembre 
1968, G. U. 26 febbraio 1969, n. 52). 
(47) Questione gi� dichiarata non fondata, in riferimento anche all'art. 24 
della Costituzione, con sentenza 12 luglio 1967, n. 115. 
(48) Questione gi� dichiarata non fondata, sotto i molteplici profili prospettati, 
con sentenze 16 giugno 1964, n. 42 (artt. 24, primo comma, e 42, secondo comma, 
della Costituzione), 26 novembre 1964, n. 93 (artt. 3, 24, primo comma, e 42, secondo 
e terzo comma, della Costituzione) e 26 giugno 1969, n. 107 (artt. 3, primo 
comma, 24, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 42, secondo 
comma, della Costituzione), e riproposta con le sopra indicate ordinanze per la 
disparit� di trattamento che si assume conseguente alla declaratoria di illegittimit� 
costituzionale dell'art. 622 del codice di procedura civile (sentenza 15 dicembre 
1967, n. 143). 
(49) Cfr. sentenza 3 dicembre 1969, n. 149 della Corte costituzionale. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 217 

in applicazione delle disposizioni di legge sulla repressione delle frodi 
nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di 
prodotti agrari, legittimando un interesse privato in atti di ufficio e 
compromettendo la imparzialit� delle attivit� svolte dai funzionari remunerati 
attraverso una percentuale sulle multe e sulle ammende inflitte 
(artt. 98, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 26 maggio 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 

legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 
e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 
27 lv,glio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della 
vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), art. 1, modificato 
dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1963, n. 441, in quanto, nel disciplinare 
le modalit� delle ispezioni, dei prelievi e delle analisi dei campioni, 
non prevede l'intervento dell'interessato (artt. 3, primo comma, e 24, 
secondo comma, della Costituzione) (50). 

Pretore di Novi Ligure, ordinanza 20 settembre 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 
Pretore di Monza, ordinanza 8 luglio 1969, G. U. 26 novembre 1969, 
Il� 299. 
Pretore di Casale Monferrato, ordinanza 1� ottobre 1969, G. U. 10 
dicembre 1969, n. 311. 

legge 29 settembre 1962, n. 1462 (Norme di modifica ed integrazione 
delle leggi 10 agosto 1950, n. 646, 29 luglio 1957, n. 634 e 18 luglio 1959, 

n. 555, recanti provvedimenti per il Mezzogiorno), art. 2, ultimo comma, 
in quanto consente di determinare le indennit� di espropriazione secondo 
valori calcolati con riferimento ad epoca fino a dodici anni anteriore al 
provvedimento espropriativo (art. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione) 
(51). 
Tribunale di Bari, Ol'dinanze 10, 17 e 24 aprile 1969 (quattro complessivamente), 
G. U. 5 novembre 1969, n. 280. 

legge 14 novembre 1962, n. 161 O (Provvidenze per la regolarizzazione 
del diritto di propriet� in favore della piccola propriet� rurale), prorogata 
con legge 9 ottobre 1967, n. 952, art. 4, in quanto riferisce anche 
ai soggetti controinteressati la conoscenza legale conseguente alla pub


(50) L'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283 � stato dichiarato incostituzionale, 
con sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, nella parte in cui per la revisione delle 
analisi esclude l'applicazione degli artt. 390, 304-bis, ter e quater del codice di procedura 
penale. 
(51) Questione gi� proposta, con numerose ordinanze, dallo stesso tribunale 
(v. ntro, ll,157 e 105, ed ivi nota 74). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

blicit�, nelle indicate forme, dell'istanza diretta ad ottenere il riconoscimento 
di propriet� (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanze 23 luglio 1969 (due), G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 

le99e 26, febbraio 1963, n. 441 (Modifiche ed integrazioni alla 1,e,gge 
30 aprile 1962, n. ,283, sulla disciplina igienica della produzione e della 
vendita delle sostanze alimentari e delle bevande,, ed al decreto del 
Presidente della Repubblica 11 agostJo 1959, n. 750), art. 1, che modifica 
l'art. 1 della le99e 30 aprile 1962, n. 283, in quanto, nel disciplinare le 
modalit� delle ispezioni, dei prelievi e delle analisi dei campioni, non 
prevede l'intervento dell'interessato (artt. 3, primo comma, e 24, secondo 
comma, della Costituzione) (52). 

Pretore di Novi Ligure, ordinanza 20 settembre 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 

le99e 2 marzo 1963, n. 320 (Disciplina delle controversie innanzi alle 
Sezioni specializzate agrarie), artt. 3, quarto comma, e 4, primo comma, in 
quanto consentono al potere esecutivo di interferire nella nomina degli 
esperti, con attivit� prevalente e tale da incidere sui poteri valutativi 
e discrezionali del Consiglio superiore della magistratura (artt. 104, 105 
e 108, secondo comma, della Costituzione) (53). 

Tribunale di Vibo Valentia, ordinanze 29 luglio 1969 (tre), G. U. 
10 dicembre' 1969, n. 311. 

d. P. R. 30 9iu9no 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per 
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie 
professionali); nella parte in cui non riproduce, e quindi abroga, l'art. 18 
del r. d. I. 23 agosto 1917, n. 1450, convertito in legge 17 aprile 1925, 
n. 473 (art. 76 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il Tribunale di Trapani, ordinanza 3 settembre 
1969, G. U. 5 novembre 1969, n. 2'80. 

le99e 17 ottobre 1967, n. 977 (Tutela del lavoro dei fanciuUi e degli 
adolescenti), art. 26, in quanto prevede la stessa pena minima per violazioni 
di diversa gravit�, quali l'assunzione per un sol giorno di un solo 

(52) Cfr. nota 50. 
(53) Questione gi� proposta dalla sezione speciale agrarie del tribunale di 
Roma (ordinanze 25 gennaio 1969 (tre), G. U. 6 agosto 1969, n. 200), e, per l'articolo 
3, dal tribunale di Reggio �alabria (ordinanza 5 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269); e per gli artt. 3, quarto comma e 4, secondo comma, dal tribunale 
di Rieti (ordinanza 24 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269). 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 219 

minore e l'assunzione per pi� giorni di diversi lavoratori di minore et� 
(art. 3, primo comma, della Costituzione) (54). 

Pretore di Genzano di Roma, ordinanza 24 settembre 1969, G. U. 
24 dicembre 1969, n. 324. 

legge 17 ottobre 1967, n. 977 (Tutela del lavoro dei faticiuUi e degli 
adolescenti), art. 28, in quanto rimette la valutazione della pericolosit� 
del lavoro, per le attivit� non industriali, all'apprezzamento discrezionale 
di organi amministrativi (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). 


Pretore di Nicosia, ordinanza 17 giugno 1969, G. U. 26 novembre 
1969, n. 299. 

d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo 
'delle pensioni a carico dell'assicurazione gener.ale obbligatoria), artt. 20 
e 21, in quanto escludono la cumulabilit� della pensione di anzianit� � 
con la retribuzione, con disparit� di trattamento tra i pensionati a seconda 
che prestino o no attivit� lavorativa alle dipendenze di terzi e 
impongono ai prestatori d'opera pensionati una retribuzione inferiore 
a quella cui avrebbero diritto (artt. 3 e 36 della Costituzione) (55). 
Tribunale di Udine, ordinanza 11 luglio 1969, G. U. 5 novembre 
1969, n. 280. 


legge reg. sarda 5 dicembre 1968, rlappr. 6 novembre 1969 (Posizione 
e trattamento dei dipendenti della Regione sarda eletti a cariche� presso 
enti autonomi territoriali) (art. 127 della Costituzione). 

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri depositato il 1� 
dicembre 1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 


legge reg. sarda 17 dicembre 1968, rlappr. 6 novembre 1969 (Autorizzazione 
al trasporto all'esercizio successivo degli ordini di accreditamento 
emessi dail'Amministrazione regionale per spese in conto capi


tale) (art. 127 della Costituzione). 

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri depositato 1 � dicembre 
1969, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 

(54) Questione gi� proposta dal pretore di Velletri (ordinanza 15 novembre 
1968, G. U. 12 febbraio 1969, n. 38) e dal pretore di Fondi (ordinanza 29 gennaio 
1969, G. U. 9 aprile 1969, n. 91). 
(55) Con sentenza 22 dicembre 1969, n. 155 la Corte costituzionale ha dichia� 
rato la illegittimit� costituzionale dell'art. 20, lettere a e b, nella parte in cui dispongono 
che le pensioni di vecchiaia non sono cumulabili con la retribuzione, e degli 
artt. 21 e 23, nelle parti in cui si riferiscono alla pensione di vecchiaia; la questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 20, lettera c, in riferimento agli articoli 
3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione, � stata invece dichiarata, co1;1 la stessa 
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sentenza, non fondata. 
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220 

legge reg. sic. appr. 12 novembre 1969 (Modifica aria legge regionale 
1� febbraio 1963, n. 11, concernente: �Conglobamento ed adeguamento 
delle retribuzioni del personale dell'Amministrazione regionale>). 

Commissario dello Stato per la Regione siciliana, ricorso depositato 
il 25 novembre 1969, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. 

NORME DELLE QUALI IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE 
� STATO DEFINITO CON PRONUNCE DI ESTINZIONE, 
DI INAMMISSIBILITA, DI MANIFESTA INFONDATEZZA O DI RESTITUZIONE 
DEGLI ATTI AL GIUDICE DI MERITO 


R. d. 1� luglio 1926, n: 1361 (Regolamento per l'esecuzione del regiq 
decreto 15 ottobre 1925, n. 2033, convertito in legge con la legge 18 
marzo 1926, n. 562, concernente la repressione delle frodi nella prepaI 
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razione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), 
artt. 93 e 94 (artt. 3 e 24 della Costituzione) -Inammissibilit�. 

Sentenza 3 dicembre 1969, n. 149, G. U. 10 dicembre 1969, n. 311. 
Ordinanza di rimessione 3 dicembre 1968 del pretore di Santa Maria 
Capua Vetere, G. U. 26 marzo 1969, n. 78. 

legge 31 marzo 1956, n. 294 (Provvedimenti per la salvaguardia del 

Icarattere lagunare e monumentale di Venezia attraverso opere di risanamento 
civico e d'interesse turistico), art. 4, quarto comma �. seconda parte, 
nel testo sostitutivo dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526 (art. 3 della 
Costituzione) -Manifesta infondatezza (56). 

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; 

Ordinanza 17 dicembre 1969, n. 154, G. U. 24 dicembre 1969, n. 324. 

Ordinanza di rimessione 1� febbraio 1968 del Tribunale di Venezia, < 
.G. U. 10 agosto 1968, n. 203. 

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(56) Questione dichiarata non fondata cort sentenza 19 lugHo 1968, n. 107. !)~ 

CONSULTAZIONI 


ACQUE PUBBLICHE 

Concessione d'utenza con plurime opere di presa -Canone. 

Se le derivazioni d'acqua pubblica ad uso diverso da quello agricolo, 

godute da una pluralit� di utenti, siano da considerare a tutti gli effetti 

come utenze distinte, anche se hanno la presa in comune (n. 101). 

Se tale principio trovi applicazione nella diversa ipotesi in cui unico 

sia il titolare dell'utenza, pur essendo plurime le opere di presa (n. 101). 

Se in questo caso, agli effetti della determinazione del canone occorra 

stabilire, in relazione a ciascuna fattispecie, se si tratti di un'unica utenza 

(il che comporta l'applicabilit� di un solo canone commisurato all'entit� 

complessiva della concessione), oppure di pi� utenze concesse con il mede


simo atto (con la conseguenza che ogni singola derivazione dovr� essere 

assoggettata a distinto canone, osservato il limite minimo di cui all'ultimo 

capoverso dell'art. 35 del t.u. 1775/1933) (n. 101). 

Se tra gli elementi obbiettivi rilevanti ai fini del suddetto esame, 

possano indicarsi la natura del sistema idrografico da cui le acque ven


gono attinte e l'entit� della derivazione, anche in rapporto alle portate 

ottenibili con le singole opere di presa, con particolare riguardo alla 

destinazione specifica delle acque derivate (n. 101). 

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA 

Abitazioni per lavoratori dipendenti. 

Se l'assegnatario con� patto di locazione possa chiedere la trasforma


zione del titolo di assegnazione in quello di patto di riscatto (n. 345). 

Se la decorrenza del termine venticinquennale per il riscatto possa 

farsi coincidere con la data di stipulazione del nuovo contratto di asse


gnazione (n. 345). 

Se i canoni di locazione gi� versati prima della data del nuovo contratto 
di assegnazione' possono essere detratti dal costo globale di riscatto 
' (n. 345). 

Azione di rivalsa nei confronti del dipendente Ipotesi di surrogazione 
legale. 

Se l'azione di rivalsa dell'Amministrazione nei confronti del suo dipendente 
che con dolo o colpa grave abbia arrecato danni ad altri, costituisca 
una ipotesi di surrogazione legale ex art. 1203 n. 3 e.e. (n. 346). 

APPALTO 

Collaudo: riserve iscritte dall'appaltatore -Prescrizione per decorso del 
tempo -Escluiione. 

Se, nel caso in cui la Pubblica Amministraz~one appaltante abbia lasciato 
decorrere oltre 10 anni dal collaudo senza adottare alcu~a determi




RASSEGNA DELL'AVVOCAT�RA DELLO STATO

222 

nazione sulle riserve scritte dall'appaltatore e questi non abbia a sua volta 
riaffermato, tramite un qualche atto, le pretese insite nelle riserve stesse,. 
sia opponibile all'appaltatore la prescrizione del debito (n. 331). 

COMUNI E PROVINCE 

Statuto speciale Trentito-Alto Adige art. 16 -Possibilit� di delega ad organi 
di polizia statale. 

Se ai sensi dell'art. 16, primo e secondo comma, dello Statuto T .A.A. 
e degli artt. 47 e 48 delle norme di attuazione approvate con d.P.R. 30 giugno 
1951, n. 574, i Presidenti delle Giunte provinciali di Trento e Bolzano 
possano delegare, in materia di malati di mente, i provvedimenti ad essi 
attribuiti ai Questori od ai Commissari di P. S. (n. 135). 

Spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegr�fici. 

Se il contributo dei Comuni per le spese di affitto dei locali adibiti 
ad uffici telegrafici abbia un diverso fondamento a seconda che trattisi di 
uffici telegrafici istituiti nei capoluoghi di mandamento e nei Comuni di 
frontiera (legge 28 giugno 1885, n. 3200 in relazione all'art. 91 lett. b n. 32 
della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383) o di uffici istituiti 
in qualsiasi altra localit� del territorio nazionale e non aventi la loro sede 
nell'ufficio postale (r.d. 19 luglio 1941, n. 1198) (n. 134). 

Se nel primo caso si tratti di obbligazione ex lege, nel secondo di 
obbligazione ex contractu, ma in entrambi i casi la semplice delibera adottata 
dai Comuni interessati, non estrinsecatisi in apposita convenzione con 
l'Amministrazione P. T., non costituisca elemento valido per l'efficacia del 
suddetto obbligo (n. 134). 

Tuttavia, se nel caso di obbligazione ex lege, la Amministrazione P. T., 
se non pu� chiedere l'adempimento in forma specifica dell'obbligo imposto 
ai Comuni delle citate norme, possa agire in giudizio per ottenere il risarcimento 
dei danni derivanti dalla violazione dell'obbligo del medesimo 

(n. 134). 
CONCESSIONI AMMINISTRATIVE 

Concessioni di utenze di acque pubbliche. 

Se le derivazioni d'acqua pubblica ad uso diverso da quello agricolo, 
godute da una pluralit� di utenti, siano da considerare a tutti gli effetti 
come utenze distinte, anche se hanno la presa in comune (n. 93). . 

Se tale principio trovi applicazione nella diversa ipotesi in cui l'unico 
sia il titolare dell'utenza, pur essendo plurime le opere di presa (n. 93). 

Se in questo caso, agli effetti della determinazione del canone occorra 
stabilire, in relazione a ciascuna fattispecie, se si tratti di un'unica utenza 
(il che comporta l'applicabilit� di un solo canone commisurato all'entit� 
complessiva della concessione), oppure di pi� utenze concesse con il medesimo 
atto (con la conseguenza che ogni singola derivazione dovr� essere 
assoggettata a distinto canone, osservato il limite minimo di cui all'ultimo 
capoverso dell'art. 35 del t.u. 1775/1933) (n. 93). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

Se tra gli elementi obiettivi rilevanti ai fini del suddetto esame, possano 
indicarsi la natura del sistema idrografico da cui le acque vengono 
attinte e l'entit� della derivazione, anche in rapporto alle portate ottenihili 
con le singole opere di presa, con particolare riguardo alla destinazione 
specifica delle acque derivate (n. 93). 

CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO 

Li.miti di pignorabilit� e sequestrabilit� deHa buonuscita E.N.P.A.S. 

Se da parte delle Amministrazioni statali siano sequestrabili, ai sensi 
dell'art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, o pignorabili in via giudiziaria, 
le somme dovute dall'E.N.P.A.S. ai dipendenti statali a titolo di 
indennit� di buonuscita (n. 238). 

CONTRIBUTI 

Contributi di miglioria. 

Se il termine di cui all'art. 8 del r.d.1. 28 novembre 1938, n. 2000 sia 
di decadenza ovvero di prescrizione (n. 84). 

Spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrafici. 

Se il contributo dei Comuni per le spese di affitto dei locali �dibiti 
ad uffici telegrafici abbia un divl'!rso fondamento a seconda che trattisi di 
uffici telegrafici istituiti nei capoluoghi di mandamento e nei Comuni di 
frontiera (legge 28 giugno 1885, n. 3200 in relazione all'art. 91 lett. b n. 32 
della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383) o di uffici istituiti 
in qualsiasi altra localit� del territorio nazionale e non aventi la loro sede 
nell'ufficio postale (r.d. 19 luglio 1941, n. 1198) (n. 83). 

Se nel primo caso si tratti di obbligazione ex lege, nel secondo di 
obbligazione ex contractu, ma in entrambi i casi la semplice delibera adotta.
ta dai Comuni interessati, non estrinsecatasi in apposita convenzione con 
l'Amministrazione P. T., non costituisca elemento valido per l'efficacia del 
suddetto obbligo (n. 83). 

Tuttavia, se nel caso di obbligazione ex lege, l'Amministrazione P. T., 
se non pu� chiedere l'adempimento in forma specifica dell'obbligo imposto 
ai Comuni dalle citate 'norme, possa agire in giudizio per ottenere il risarcimento 
dei danni derivanti dalla violazione dell'obbligo medesimo (n. 83). 

DEMANIO 

Distanza dalle strade delle costruzioni -D.M. 1 aprile 1968 -Decorrenza, 

Se il d.m. 1 aprile 1968, av�nte natura di regolamento ministeriale, 
abbia efficacia dopo il periodo di vacatio legis '(n. 228). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

~ 


Se conservino efficacia le licenze edilizie rilasciate prima della legge 
ponte del 1967 con il rispetto delle distanze imposte dalle precedenti disposizioni, 
oppure dopo l'entrata in vigore dell'altra legge con il riitpetto 
delle distanze da essa previste in via provvisoria (art. 19) anche se quest'ultime 
risultassero poi inferiori a quelle stabilite con il d;m. del 1968 

(n. 228). 
Se l'art. 19 della legge ponte del 1967 e il d.m. 1 aprile 1968 abbiano 
innovato in merito alle sanzioni comminate dall'art. 1 del r.d. 1740/1933 
per l'inosservanza delle distanze nelle costruzioni della strada (n. 228) 

Sconfinamenti di private costruzioni ai danni del Demanio stradale -Legge 
6 agosto 1967, n. 765 e dd.mm. 1 aprile 1968 e 2 aprile 1968. 

Se le licenze edilizie concesse nella vigenza e col rispetto del disposto 
dell'art. 19 1. 6 agosto 1967, n. 765 conservino efficacia anche dopo l'emanazione 
dei dd.mm. 1 aprile 1968 e 2 aprile 1968 coi quali le distanze delle 
vie di comunicazione stradali sono state determinate in misura maggiore 

(n. 229). 
DONAZIONE 

Donazione all'I.S.E.S. -Necessit� dell'autorizzazione governativa -Esclusione. 


Se, ai sensi della legge 15 febbraio 1963, n. 133, l'I.S.E.S. possa legittimamente 
stipulare, quale donatario, atti pubblici di donazione, relativi 
ad attivit� patrimoniali del Comitato UNRRA-CASAS (n. 41). 

Se le donazioni, per le quali sia gi� intervenuta l'accettazione da parte 
dell'Amministrazione aiuti internazionali, possano essere ridotte in atto 
pubblico senza necessit� dell'autorizzazione governativa (n. 41). 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� 

L. 2 dicembre 1967, n. 1231, art. 3 -L. 20 marzo 1968, n. 391. 
Se il versamento presso la Cassa depositi e prestiti della indennit� 
determinata per le espropriazioni previste dalla 1. 2 dicembre 1967, n. 1231 
debba essere disposto dal prefetto o dall'autorit� giudiziaria (n. 285). 

Momento del. passaggio di propriet� nelle procedure espropriative nelle 
nuove Province. 

Se nelle procedure espropriative svolte nelle nuove province la propriet� 
dei beni espropriati si trasferisca al momento della intavolazione 

o alla data del decreto di espropriazione (n. 286). 
Se la intavolazione, nelle more della procedura espropriativa del 
diritto di propriet� a favore di persona diversa dell'espropriato, possa 
fare arrestare il corso della procedura in modo da impedire la intavolazione 
del decreto di espropriazione (n. 286). 

I I 
[ 



PARTE II, CONSULTAZIONI 225 

ESECUZIONE FORZATA 

Espropriazione nei confronti dell'Enel, del credito spettante al debitore 
d'imposta -Foro competente. 

Se sia competente il foro di Roma, ove � la sede centrale dell'E.N.E.L., 
per l'espropriazione ed il sequestro dell'indennizzo spettante al debitore 
d'imposta a seguito della nazionalizzazione dell'impresa elettrica (n. 45). 

FERROVIE 

Responsabilit� penale del personale ferroviario. 

Se l'art. 104 delle �ondizioni e . tariffe del trasporto da parte delle 
ferrovie dello Stato valga ad esonerare da responsabilit� penale il personale 
ferroviaria in ipotesi di maltrattamenti. d'animali posti in essere dal 
privato utente del trasporto (n. 407). 

IMPOSTA DI BOLLO 

Commissioni tributarie -Competenza. 

Se ai sensi dell'art. 30 del d.P.R. 25 giugno 1953, n. 492 sia configurabile, 
in materia di imposta di bollo, la competenza delle Commissfoni 
tributarie (n. 42). 

Se l'obbligo della rimessione degli atti da parte dell'Intendenza di 
finanza alla Commissione tributaria sussista anche nel caso in cui la questione 
proposta non sia ritenuta di competenza della Commissione stessa 

(n. 42). 
Se la definizione amministrativa prevista dall'art. 15 della legge "( gennaio 
1929, n. 4 debba ritenersi irrevocabile (n. 42). 

IMPOSTA DI CONSUMO 

Applicabilit� sui residui sgrassati del cacao. 

Se sia applicabile, pur nel silenzio della legge, l'imposta di consumo 
relativamente ai residui sgrassati del cacao (n. 17). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

Agevolazioni fiscali previste dalla legge 2 luglio 1949, n. 408 per l'acquisto 
di aree fabbricabili -Inclusione dell'area acquistata nei piani di zona 
di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167. 

Se gli obblighi imposti ai proprietari delle aree che la legge 18 aprile 
1962, n. 167 (disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili 
per l'edilizia economica e popolare) abbia incluso nei piani di zona valgano 
a configurare il caso di forza maggiore agli effetti dell'art. 20 della legge 
2 luglio 1949, n. 408 per coloro che avevano in precedenza acquistato 'e 
aree stesse usufruendo dei benefici di cui. all'art. 14 di quest'ultima legge 

(n. 310). 

~-x�x.,.,

/ 

226 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAT� 

Agevolazioni per l'edilizia -L. 2 luglio 1949, n. 408 -Acquisto di un'area 
da parte di pi� persone, pro-indiviso, e costituzione di reciproci diritti 
di superficie. 

Se nel caso di acquisto di un'area da parte di pi� persone, pro-indiviso, 
e di contestuale o successiva reciproca costituzione di diritti di superficie 
tra gli acquirenti, competano ugualmente i benefici relativamente all'ac-� 
quisto; se inoltre siano o meno applicabili i benefici dell'atto di costituzione 
dei diritti di superficie (n. 311). 

Case da gioco -Limiti dell'obbligo di denuncia annuale dei proventi lordi. 

Se sia configurabile per ciascun anno l'obbligo della denunzia dei 
proventi di gestione conseguiti dalle case da gioco (n. 312). 

Se l'obbligo della denuncia dei proventi di gestione conseguiti dalle 
case da gioco possa ritenersi sussistente solo se il relativo corrispettivo 
sia stato accertato in modo definitivo (n. 312). 

Valutazione -Vendite coatte. 

l ~ 

Se sia ammissibile il procedimento di valutazione nel caso di vendite 
coatte, anche fallimentali, eseguite senza incanto (rif.to a disposizione 
art. 50 legge registro) (n. 313). 

I

IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE 

Trattenuta. 

J 

Se sugli interessi dovuti sulle indennit� liquidate per i casi di ritardo, I' perdita o avaria sulle merci trasportate debba essere trattenuta l'imposta 
di ricchezza mobile ai sensi dell'art. 126 d�l t.u. sulle imposte dirette 

(n. 46). 
IMPOSTE DI SUCCESSIONE 

Assoggettabilit� delle obbligazioni I.M.I. 

Se i titoli obbligazionari emessi dall'I.M.I. siano soggetti all'imposta 
di successione (n. 64). 

IMPOSTE E TASSE 
"' 

Contenzioso tributario -Decisioni di valutazione sulla natura edificabile ~ 
di un terreno -Ricorso ex art. 29, terzo comma, r.d.l. 1639�36 -Am-!:=: 
missibilit� -Limiti. r 

Se avverso le decisioni delle Commissioni provinciali, sezione di va-IJlJ 
lutazione, con le quali sia stata definita la natura rustica o edificabile di ~:=: 
un terreno, sia ammissibile l'impugnativa all'Autorit� giudiziaria ordinaria 
e~ art, 29, terzQ comma, r.d.1. 1639/36 (n. 515). 

______,~ 



PARTE II, CONSULTAZIONI 227 

Interessi relativi a crediti t'l'ibutari. 

Se per gli interessi relativi a crediti tributari sia applicabile la stessa 
prescrizione prevista per le singole imposte a cui si riferiscono, ovvero 
quella quinquennale di cui all'art. 2948 e.e. (n. 514). 

Se l'interruzione della prescrizione operata con riguardo al credito di 
imposta operi anche per gli interessi relativi al credito medesimo (n. 514) 

IMPOSTE VARIE 

Imposta di fabbricazione sugli oHi minerali -Natura del termine cH cui 
aWart. 20 del r.dJ. 28 febbraio 1939, n. 334. 

Se il termine biennale per la proposizione della domanda di rimborso 
delle somme corrisposte in pi� a titolo di imposta di fabbricazione degli 
olii minerali, di cui all'art. 20 del r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, sia di 
prescrizione ovvero di decadenza (n. 21). 

INVALIDI DI GUERRA 

Riscossione -Procedura nei confronti dei soci morosi. 

Se la Cassa depositi e prestiti ovvero l'Ente edilizio per mutilati ed 
invalidi di guerra possa, nei confronti dei soci delle cooperative morosi 
per passivit� sociali, utilizzare la procedura privilegiata prevista dall'art. 65 
del t.u. 28 aprile 1938, n. 1165 (n. 26). 

POSTE E TELEGRAFI 

Spese di affitto dei locali adibiti ad uffici telegrafici. 

Se il contributo dei Comuni per le spese di affitto dei locali adibiti 
ad uffici telegrafici abbia un diverso fondamento a seconda che trattisi di 
uffici telegrafici istituiti nei capoluoghi di mandamento e nei Comuni di 
frontiera (legge 28 giugno 1885, n. 3200 in relazione all'art. 91, lett. b, n. 32 
della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383) o di uffici istituiti 
in qualsiasi altra localit� del territorio nazionale e non aventi la loro sede 
nell'ufficio postale (r.d. 17 luglio 1941, n. 1198) (n. 132). 

Se nel primo caso si tratti di obbligazione ex lege, nel secondo dl 
obbligazione ex contractu, ma in entrambi i casi la semplice delibera adottat 
adai Comuni interessati, non estrinsecatasi in apposita convenzione con 
l'Amministrazione P.T., non costituisca elemento valido per l'efficacia del 
suddetto obbligo (n. 13b2). 

Tuttavia, se nel caso di obbligazione ex lege, l'Amministrazione P.T., 
se non pu� chiedere l'adempimento in forma specifica dell'obbligo imposto 
ai Comuni delle citate norme, possa agire in giudizio per ottenere il risarcimento 
dei danni derivanti dalla violazione dell'obbligo medesimo (n. 132). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

PRESCRIZIONE 

Azione di rivalsa dell'Amministrazione pubblica nei confronti del dipendente 
-Termini. 

Se i pi� lunghi termini prescrizionali previsti dall'art. 2947 e.e. si 
applichino anche all'Amministrazione che agisca. in via di rivalsa nei confronti 
del proprio dipendente che abbia, con dolo o colpa grave, arrecato 
danni ad altri (n. 70). 

Interessi relativi a crediti tributari. 

Se per gli interessi relativi ai crediti tributari sia applicabile la 
stessa prescrizione prevista per le �Singole imposte a cui si riferiscono, 
ovvero quella quinquennale di cui all'art. 2948 n.c.c. (n. 69). 

Se l'interruzione della prescrizione operata con riguardo al credito di 
imposta operi anche per gli interessi relativi al credito medesimo (n. 69). 

PROCEDIMENTO CIVILE / 

Pignoramento presso terzi -Oneri successivi all'ordinanza di assegnazione. 

Se l'adempimento dell'ordinanza di assegnazione emessa dal pretore ad 
esito della procedura esecutiva presso terzi debba subordinarsi alla prova 
a carico del credito espropriante dell'avvenuta notificazione dell'ordinanza 
stessa al debitore espropriato (n. 42). 

STRADE 

Distanza dalle strade delle costruzioni d.m. 1� aprile 1968 decorrenza. 

Se il d.m. 1� aprile 1968, avente natura di regolamento ministeriale, 
abbia efficacia dopo il periodo di vacatio legis (n. 76). 

Se conservino efficacia le licenze edilizie rilasciate prima della legge 
ponte del 1967 con il rispetto delle distanze imposte dalle precedenti disposizioni, 
oppure dopo l'entrata in vigore dell'altra legge con il rispetto delle 
distanie da essa previste in via provisoria (art. 19) anche se quest'ultime 
risultassero �poi inferiori a quelle .stabilite con il d.m. del 1968 (n. 76). 

S� l'art, 19 della legge ponte del 1967 e il d.m. 1� aprile 1968 abbiano innovato 
iri merito alle sanzioni comminate dall'art. 1 del r.d. 1740/33 per 
l'inosservanza delle distanze nelle costruzioni della strada (n. 76). 

Sconfinamenti di private costruzioni ai danni del Demanio stradale l. 6 
agosto 1967 n. 765 e dd.mm.. 1� aprile 1968 e 2 aprile 1968. 

Se le licenze edilizie concesse nella vigenza e col rispetto del 'disposto 
dell'art. 19 I. 6 agosto 1967, n. 765 conservino efficacia anche dopo l'emanazione 
dei dd.mm. 10 aprile 1968 e 2 aprile 1968, coi quali le distanze dalle 
via di comunicazione stradali sono state determinate in misura maggior� 
(n. 77).. 


PAtt1':1i: Ii, �o:NstiLTAZIONt 229 

TRASPORTO 

Condono di sanzioni disciplinari ex legge 18 marzo 1968, n. 250 -Estensione. 


Se sia applicabile la legge 18 marzo 1968, n. 250 relativa al condono 
delle sanzioni disciplinari agli addetti dei servizi di trasporto in concessione 
esercitati: 

a) da aziende municipalizzate (n. 71); 
b) da aziende private (n. 71); 
c) in regime di gestione governativa (n. 71). 


Responsabilit� penale del personale ferroviario. 

Se l'art. 104 delle condizioni e tariffe del trasporto da parte delle ferrovie 
dello Stato valga ad esonerare da responsabilit� penale il personale 
ferroviario in ipotesi di maltrattamenti d'animali posti in essere dal privato 
utente del trasporto (n. 72). 

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NOTIZIARIO 


Si sono svolte recentemente cerimonie di commiato in onore degli 
avvocati dello Stato Giuseppe Capece Minutolo, Aristide Salvatori ed 
Achille Salemi, collocati a riposo. 


L'avvocato Giuseppe Capece Minutolo entr� in magistratura, come 
uditore giudiziario, nel 1923 ed in Avvocatura, come aggiunto di procura 


� di 2� classe, l'anno successivo. Nel 1930 fu nominato Sostituto Avvocato 
e trasferito da Napoli a Messina. Ritorn� a Napoli nel 1934 dove esercit� 
le sue f�nzioni fino al 1950, data della sua nomina ad Avvocato Distrettuale 
di Ancona. Dal 1952 al 1965 resse l'Avvocatura distrettuale di Bari; fu, 
quindi, trasferito a Roma per svolgervi le funzioni di Vice Avvocato Generale 
dello Stato. Il collocamento a riposo � avvenuto, per raggiunti limiti 
di et�,. il 19 giugno 1969. 
Entrato direttamente nell'Avvocatura dello Stato, nel 1924, l'avvocato 
Achille Salemi ha anch'egli percorso i gradi della carriera fino a quello di 
vice Avvocato Generale dello Stato. Senatore della Republbica per una legislatura, 
l'avvo�ato Salemi � stato collocato a riposo, il 15 dicembre 1969, 
per raggiunti limiti di et�. � 
Anche l'avvocato Aristide Salvatori inizi� la sua carriera nella magistratura, 
ottenendo nel 1935 la nomina ad uditore giudiziario. Pass� in 
Avvocatura, come Sostituto Avvocato, nel 1941, avendo come prima sede in 
lavoro Firenze. Trasferito nel 1946 a Roma, ha perco.rso in questa citt� 
tutti i gradi della carriera fino a quello di vice Avvocato Generale dello 
Stato. Il collocamento a riposo � avvenuto per sua domanda. 

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