ANNO XXXVIII -N. 2 MARZO -APRILE 1986 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA 1987 




ABBONAMENTI ANNO 1987 

ANNO L. 40.000 
UN NUMERO SEPARATO ............. , ....�� lt 7.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in ltalia -Printed in ltaly 
Autorl1za1lone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lusllo 1966 


(8219010) Roma, 1987 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del� 
/'avv. Franco Favara} pag. 89 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITA~IA 
de/l'avv. Oscar 
E INTERNA� 
Fiumara} 125 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDI� 
ZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo} 1 154 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a 
Cenerini) 
cura de//'avv. Anna 
� 157 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Baflle} 
(a cura de/l'av� 
167 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura deg/J avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} � 208 
Parte seconda: QUESTIONI � RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � INDICE BIBLIOGRAFICO 
QUESTIONI 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
J 
lt 
39 
67 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicasio 
MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANcHIS, 
Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANOO, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

S. 
CELESTE, Brevi note sui criteri per la determinazione dell'indennit� 
nelle espropriazioni decretate dopo l'entrata in vigore 
della legge 27 giugno 1974, n. 247 I, 157 
F. 
FAVARA, I criteri di determinazione della indennit� di espropriazione 
(per i beni immobili) II, 39 
P. 
VITTORIA, Brevi considerazioni in margine ad una sentenza 
della Corte di cassazione in tema di sospensione dei lavori I, 216 

PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ATTO AMMINISTRATIVO 
-Atto -di 
ESPOPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ATTO AMMINISTRATIVO 
-Atto -di 
ESPOPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 
collegiale Partecipazione 
componente in conflitto di interessi 
-Illegittimit�, 208. 

COMPETENZA CIVILE 

-Medico mutualistico -Rapporto di 
lavoro parasubordinato -Art. 409 

n. 3 c.p.c. -Competenza giudice del 
lavoro; 154. 
COMUNIT� EUROPEE 

-Concorrenza -Fissazione delle tariffe 
aeree, 140. 

-Libera circolazione delle merci -Controlli 
sanitari sulle cagliate importate 
-Ritardi -Rilevanza, 136. 

-Organizzazione comune di mercato 
nel setore dello zucchero -Contributo 
alla produzione -Determinazione 
-Legittimit�, 125. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Caducazione di disposizione costituzionalmente 
illegittima -Produce 
caducazione anche dell'effetto di 
abrogazione, 114. 

-Conflitto di attribuzione -Termine 
per ricorrere -Conoscenza dell'atto 
impugnato, 89. � 

-Norme integrative per i giudizi Processo 
costituzionale -Inapplicabilit� 
delle norme sulla estinzione, 

112. 
- 
Sentenza additiva -Quando � consentita, 
123. 

DEMANIO 

-Alloggi di servizio -Sono beni strumentali 
all'attivit�-servizio, 97. 

-Indennit� espropriativa -Giudizio 
di opposizione alla stima -Quantificazione 
di detta indennit� -Criteri, 
con nota di G. CELESTE, 157. 

FALLIMENTO 

-Chiusura in mancanza di attivo Revoca 
della sentenza dichiarativa 
del fallimento -Compenso del curatore, 
99. 

-Liquf dazione dei compensi al curatore, 
ai patrocinatori e ad altri incaricati 
dell'amministrazione fallimentare 
-Reclami al tribunale fallimentare 
-Termine per la proposizione, 
100. 

-Opposizione a stato passivo -Creditori 
esclusi -Impugnazione dello 
stato passivo -Decreto di fissazione 
della udienza di comparizione -Comunicazione, 
101. 

-Opposizione a stato passivo -Creditori 
esclusi -Impugnazione dello 
stato passivo -Termine per la opposizione 
e per l'impugnazione, 100. 

LOCAZIONE 

-Immobili adibiti ad uso non abitativo 
-Proroga e rinnovazione unilaterale 
�ex lege � dei contratti -Illegittimit� 
costituzionale, 113. 

OBBLIGAZIONI (IN GENERALE) 

-Contratti della p.a. -Illegittimit� di 
atto della serie procedimentale -Effetti 
-Difetto di presupposti -Annullabilit� 
del contratto a richiesta 
della p.a., 208. 

-Contratti della p.a. -Invalidit� -Illegittimit� 
d'uno degli atti della se


-
-
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INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA Vll 

rie procedimentale -Insufficienza Determinazione 
d'una causa di invalidit� 
prevista dal codice civile -� 
Necessit�, 208. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Motivazione -Requisiti 
-Spettanza di agevolazioni -Motivazione 
� per relationem " -Legittimit�, 
200. 

~ 
Decumulo dei redditi dei coniugi Onere 
di domanda -Legittimit� costituzionale, 
93. 

-Determinazione sintetica del reddito 
complessivo -Non scomposizione dei 
redditi dei coniugi -Legittimit� costituzionale, 
93. 

-Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati 
-Agevolazione per le case di 
abitazione di lusso -Licenza di abitabilit� 
-Atti equipollenti -Ammissibilit�, 
167. 

-IRPEF -Dichiarazione del sostituto 
di imposta -Omessa presentazione 
-Non � mera violazione formale, 

105. 
-Lavoro dipendente -Spese per la 
produzione del reddito -Determinazione 
in misura forfettaria -Legittimit� 
costituzionale, 93. 

- 
Rettifica della dichiarazione ex art. 
36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 600 -Correzione di errori materiali 
e di calcolo -Correzioni di errori 
di applicazione della legge, 183. 
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Concordato 
fallimentare -Sentenza di omologazione 
-Imposta proporzionale, 192. 

-Imposte doganali -Manifesto di carico 
-Rilevanza -Merci iscritte ma 
non rinvenute -Si presumono immesse 
al consumo, 181. 

-IVA -Pena pecuniaria -Versamento 
del sesto del massimo -Nella 
procedura fallimentare -Inammissibilit� 
della questione, 104. 

-IV A -Pene pecuniarie -Delega legislativa 
-Principi e criteri direttivi 
-Sufficienza, 104. 

-IVA -Pene pecuniarie -Non irrogazione 
per versamento del sesto del 
massimo -Verbale di constatazione 
-Nozione pi� lata, 105. 

-IVA -Vendite fallimentari -Applicazione 
ad esse del regime IV A -Legittimit� 
costituzionale, 104. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento -Motivazione -Provvedimento 
di ammissione �all'esenzione 
-Necessit� -Motivazione insufficiente 
-Integrazione in giudizio Possibilit�, 
185.. 

-Accertamento -Motivazione -Provvedimento 
sul condono -Non necessita, 
186. 

-Accertamento -Notificazione -Irregolare 
consegna dell'atto -Nullit� Proposizione 
del ricorso -Sanatoria, 
206. 

- 
Condono -Natura -Effetti, 189. 

-Contenzioso tributario -Competenza 
delle Commissioni -n funzionale 
e inderogabile -Regolamento di 
competenza di ufficio -Ammissibilit�, 
168. 

-Contenzioso tributario -Competenza 
delle commissioni -Imposte dirette Rimborsi 
-Competenza della commissione 
in cui ha sede l'intendente 
di finanza cui spetta provvedere sul 
rimborso, 168. 

-Contenzioso tributario -Oggetto 
del processo -Accertamento -Difetto 
di motivazione -Dichiarazione di 
nullit�, 199. 

-Contenzioso tributario -Provvedimento 
impugnabile -Domanda di 
rimborso -Silenzio, 168. 

-Contenzioso tributario -Ricorso in 
grado di impugnazione -Motivi specifici 
-Necessit� -Motivazione 
� per relationem � -Inammissibilit�, 

199. 
VALLE D'AOSTA 

-Depositi presso aziende di credito Plafond 
-Disciplina differenziata Legittimit� 
costituzionale, 90. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 

CORTE COSTITUZIONALE 

25 maggio 1985, n. 177 (ord.) 

29 ottobre 1985, n. 242 

15 novembre 1985, n. 284 

15 novembre 1985, n. 287 

22 novembre 1985, n. 302 

22 novembre 1985, n. 303 

22 novembre 1985, n. 304 (ord.) 
14 aprile 1986, n. 88 

22 aprile 1986, n. 102 

23 aprile 1986, n. 108 

23 aprile 1986, n. 109 

23 aprile 1986, n. 111 

30 aprile 1986, n. 115 

30 aprile 1986, n. 116 

30 aprile 1986, n. 120 

23 maggio 1986, n. 128 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 

Sez. V, 22 gennaio 1986, nella causa 250/84 ..... 
S'ed. plen., 18 febbraio 1986, nella causa 35/84 . . . 
Sed. plen., 30 aprile 1986, nelle cause riunite 209-213/84 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 


Sez. Un., 27 luglio 1985, n. 
Sez. Un., 18 dicembre 1985, 
Sez. I, 10 gennaio 1986, n. 
Sez. Un., 16 gennaio 1986, 


Sez. I, 16 gennaio 1986, 
Sez. I, 17 gennaio 1986, 
Sez. I, 22 gennaio 1986, 
Sez. I, 25 gennaio 1986, 
Sez. I, 30 gennaio 1986, 
Sez. I, 4 febbraio 1986, 
Sez. I, 17 febbraio 1986, 

n. 
n. 
n. 
n. 
4372 .. 

n. 6457 
70 . . 
n. 210 
231 
261 
402 
492 
n. 599 
n. 681 
n. 937 
Pag. 

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90 
93 
97 
99 
100 
104 
112 
100 
113 
123 
104 
104 
105 
101 
105 

125 
136 
140 

157 
154 
167 
168 
181 
183 
185 
186 
189 
192 
199 

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Sez. Un., 3 marzo 1986, n. 1322 
Sez. I, 7 marzo 1986, n. 1506 . . " � 
199 
206 

PARTE SECONDA 

Questioni Pag. 39 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Questioni di legittimit� costituzionale: 
I -Norme dichiarate incostituzionali Pag. 67 
II -Questioni dichiarate non fondate 69 
III -Questioni proposte 70 


PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 maggio 1985, n. 177 (ord.) -. Pres. Roehrssen 
-Rel. Corasaniti. 

Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzione -Termine per ricorrere Conoscenza 
dell'atto impugnato. 

La piena conoscenza dell'atto da parte della Regione si ha nel 
momento -rilevante come dies a quo del termine per ricorrere in 
cui l'atto stesso perviene all'assessorato competente o comunque � 
dal medesimo conosciuto; la comunicazione fatta dall'assessorato al 
Presidente della Regione non vale a spostare la decorrenza del termine. 

(omissis) Considerato che, ai sensi del combinato 'disposto degli 
artt. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 27 delle norme integrative 
16 marzo 1956, il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla 
Regione nei confronti dello Stato deve essere notificato al Presidente 
del Consiglio dei ministri entro 60 giorni a decorrere dalla pubblicazione, 
notificazione o piena conoscenza dell'atto impugnato; 

. che la nota 7 aprile 1976, n. 6/470/76, del Ministero delle finanze, 
avverso la quale � proposta impugnazione, risulta pervenuta alla Regione 
Sicilia -Assessorato alle finanze in data 14 aprile 1976, come 
da timbro recante la suddetta intestazione, la data ed il n. 15615 di 
protocollo apposto a margine del primo foglio della nota ministeriale, 
mentre il ricorso � stato notificato al Presidente del Consiglio dei ministri 
il 1� luglio 1976, e quindi oltre il termine di sessanta giorni dalla 
piena conoscenza dell'atto da parte di organo della Regione Sicilia 
(tale � l'Assessore: cfr. artt. 12, 13 e 20 dello Statuto siciliano); 

che appare irrilevante la deduzione della ricorrente secondo la quale 
la conoscenza della nota sarebbe stata acquisita dal Presidente della 
Regione soltanto in data 4 maggio, a seguito di inoltro effettuato dall'Assessorato 
il 30 aprile 1976, in quanto, secondo la pi� recente giurisprudenza 
di questa Corte, la piena conoscenza dell'atto da parte della 
Regione deve ritenersi verificata nel momento in cui l'atto stesso � 
pervenuto all'assessorato competente, o comunque � conosciuto dal predetto, 
non valendo la tardiva comunicazione fatta dall'Assessore al Presidente 
della Regione a spostare la decorrenza del termine (cfr. sentenze 

n. 3 e n. 51 del 1978). (omissis) 

90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 ottobre 1985, n. 242 -Pres. Roehrssen -
Rel. Paladin -Regione Valle d'Aosta (avv. Romanelli) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Valle d'Aosta -Depositi presso aziende di credito -Plafond -Disciplina 

differenziata -Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 136; Statuto speciale Valle d'Aosta, artt. 12 e 50; legge 7 agosto 1982, 

n. 526, art. 38). 
Anche le regioni a statuto speciale sono tenute in materia di credito 
ad uniformarsi alla legislazione dello Stato; e nulla esige. che le 
finanze delle varie regioni differenziate siano identicamente regolate. 
Non � costituzionalmente illegittima la disposizione che impone anche 
alla regione Valle d'Aosta il limite delle somme depositabili presso 
aziende di credito. 

(omissis) L'art. 38, secondo e terzo comma, deHa legge 7 agosto 1982, 

n. 526 -cui si riferisce il ricorso in esame -prevede, da un lato, che 
�agli effetti delle disposizioni contenute negli artt. 31 della legge 5 agosto 
1978, n. 468, 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, e 10 della legge 
26 aprile 1982, n. 181, non sono computabili le somme costituenti entrate 
della regione Sicilia a norma dell'art. 36 dello Statuto della regione 
stessa e del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, 
e quelle alla medesima dovute o versate a norma dell'art. 38 di detto 
statuto, nonch� quelle costituenti entrate proprie della regione TrentinoAlto 
Adige e delle province autonome di Trento e Bolzano �; e, d'altro 
lato, precisa che � alle somme anzidette non si applicano le disposizioni 
recate dagli artt. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 40 della legge 
30 marzo 1981, n. 119 �. Tale disciplina viene congiuntamente impugnata 
-in sostanza -per non aver menzionato le entrate delle altre Regioni 
a statuto speciale, fra cui la ricorrente Valle d'Aosta, cos� discriminandola 
rispetto alla Sicilia ed al Trentino-Alto Adige, in violazione di una serie 
di precetti costituzionali e statutari. 
Ma l'oggetto dell'impugnazione rimane duplice. Sotto un primo profilo, 
cio�, la legittimit� delle norme in discussione viene contestata, se 
ed in quanto si possa desumerne che l'art. 31 della legge n. 468 del 
1978, riguardante il regime delle �giacenze di tesoreria delle regioni>>, 
ridivenga applicabile alla Valle d'Aosta, malgrado l'opposta decisione 
adottata dalla Corte mediante la sentenza n. 95 del 1981. Sotto un secondo 
profilo, le norme stesse sono invece denunciate nella parte concem�nte 
il richiamo all'art. 40 della legge n. 119 del 1981 (relativamente alle 
disponibilit� depositabili dalle Regiorii presso aziende di credito), in 
riferimento agli artt. 3 e 136 Cost., 12 e 50 dello Statuto speciale. 

Per contro, nessuna contestazione specifica investe il secondo comma t 
dell'impugnato art. 38, nella parte in cui si fa richiamo all'art. 10 della 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

legge n. 181 del 1982 (circa il riparto delle somme spettanti alle Regioni 
ed alle Province ad autonomia differenziata, per il finanziamento dei 
consultori familiari, per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze, 
per la protezione della maternit� e dell'infanzia). Su questo punto, 
infatti, la ricorrente ritorna a dolersi della �discriminazione� che sarebbe 
stata operata in suo danno, ma senza affatto chiarire in che 
consisterebbe la discriminazione stessa. 

Quanto al primo ordine di problemi, la difesa della Regione e l'Avvocatura 
dello Stato concordano giustamente nell'escludere che le norme 
impugnate valgano a riestendere, coinvolgendo la Valle d'Aosta, l'ambito 
di applicabilit� dell'art. 31 della legge n. 468 del 1978. 

Nella sua versione originaria, il primo comma di tale articolo prevedeva 
-in effetti -che tutte le Regioni, a statuto ordinario e speciale, 
avessero � l'obbligo di tenere le disponibilit� liquide, limitatamente 
alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio 
de11o Stato, in conti correnti non vincolati con il Tesoro �. Ma la norma 
stessa � stata dichiarata costituzionalmente illegittima, appunto nei 
riguardi della Valle, mediante la predetta sentenza n. 95 del 1981: che 
l'ha ritenuta incompatibile con l'art. 50, terzo comma, del relativo Statuto, 
per essere stata adottata in difetto del necessario � accordo con 
la giunta regionale � e per aver contraddetto, comunque, i disposti della 
legge 6 dicembre 1971, n. 1065, sull'ordinamento finanziario di quella 
Regione. Sicch� la rinnovata applicazione dell'art. 31, primo comma, 
determinerebbe in tal senso -come � stato osservato nel ricorso -la 
congiunta violazione dell'art. 50 dello Statuto speciale e dell'art. 136 
della Costituzione. 

Per altro, nulla consente di ritenere che la normativa impugnata 
debba interpretarsi in questi termini. Al contrario, fin dal periodo intercorrente 
fra la pronuncia ed il deposito della sentenza n. 95 del 1981, 
� entrato in vigore l'art. 40, quarto comma, della legge 30 marzo 1981, 

n. 119 (legge finanziaria 1981), che ha novellato l'art. 31, primo comma, 
della legge n. 468, ma introducendo un'espressa eccezione �per i fondi 
di cui all'art. 38 dello statuto della Regione siciliana, nonch� per quelli 
destinati alle altre regioni a statuto speciale ed alle province autonome 
di Trento e Bolzano, in base ai rispettivi statuti �. Mentre l'art. 38, 
secondo e terzo comma, della legge n. 526 del 1982 si � limitato -sul 
punto -a garantire pi� compiutamente (o con una maggiore precisione) 
la Regione Sicilia: la quale, da un lato, s'era vista respingere 
il proprio ricorso avverso l'art. 31 della legge n. 468, sempre in virt� 
della sentenza n. 95 del 1981; e, d'altro lato, non era stata esplicitamente 
esentata� dall'applicazione di tale disciplina -in conseguenza del citato 
art. 40, quarto comma, della legge n. 119 -se non � per i fondi di 
cui all'art. 38 dello statuto �, cio� con riguardo alle somme annualmente 
versate dallo Stato � a titolo di solidariet� nazionale �. 

92 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO. STATO 

Cosi ricostruite, dunque, le norme in esame non incorrono in alcuno 
dei prospettati vizi di legittimit� costituzionale. 

Quanto alla seconda delle due problematiche sollevate dal ricorso, 
l'impugnativa dev'essere respinta. n senza fondamento, infatti, che la 
difesa della Regione si appella anche in tal senso alla giurisprudenza 
della Corte, tornando ad invocare -in particolar modo -:-la sentenza 

n. 
95 del 1981. 
Nel quadro della complessa disciplina dettata dall'art. 40 della ilegge 
n. 119, vanno tenute accuratamente distinte le disposizioni del primo 
e del quarto comma: altro essendo il regime complessivo delle disponibilit� 
che gli enti gi� indicat.i dall' � originario primo comma del� 
['art. 31 della legge n. 468 possono mantenere... a qualunque titolo 
presso le aziende di credito�; ed altro la sorte specificamente riservata 
alle somme provenienti dal bilancio dello Stato e destinate ad affluire 
negli appositi conti intestati alle Regioni presso le tesorerie dello Stato. 
Nella sentenza n. 95 del 1981, la Corte ha affrontato unicamente il 
secondo e non il primo ordine di questioni. Viceversa, � nella sentenza 
n. 162 del 1982 che la Corte ha preso chiaramente posizione circa l'am� 
bito di applicabilit� dell'art. 40, primo comma, della legge n. 119, affer� 
mando la competenza dello Stato a dettare misure del genere, in nome. 
dell'indispensabile coordinamento finanziario e degli interessi nazionali 
concernenti la �disciplina del credito�; e precisando che non �ha rilievo, 
alla luce delle finalit� perseguite, distinguere tra Regioni a Statuto 
speciale e Regioni a Statuto ordinario, tutte ugualmente tenute in ma� 
teria di credito a uniformarsi alla legislazione dello Stato �. 
A rp.odificare tali conclusioni non valgono, d'altronde, i richiami 
del ricorso all'attuale ordinamento finanziario della Valle d'Aosta, stabilito 
dalla legge 26 novembre 1981, n. 690. L'incompatibH.it� fra tale 
ordinamento ed il primo comma del citato art. 40, che dovrebbe imporre 
anche in tal senso una sentenza interpretativa di rigetto, viene asserita 
ma non dimostrata. Ed � molto significativo, all'opposto, che gli interessi 
bancavi non figurino affatto fra le entrate regionali elencate dall'art. 
1 della legge n. 690 e che le giacenze di tesoreria non vengano 
considerate in alcun modo dalla legge medesima: il che conferma che, 
per modificare il regime di detti depositi, non era necessario alcun 

II

� accordo � fra lo Stato e la Regione, trattandosi .di questioni non incidenti 
sull'autonomia finanziaria regionale, costituzionalmente o statutariamente 
garantita (come � stato ancora rilevato dalla sentenza n. 162 

I 

del 
1982). 
Certo, tutto questo non toglie che, in definitiva, la discutibile solu


I 
zione accolta dall'art. 38, secondo e terzo comma, della legge n. 526 ! 
del 1982 finisca per privilegiare due sole Regioni a statuto speciale. ! 

i 

Ma la mancata inclusione della Valle d'Aosta, accanto alla Sicilia ed 
al Trentino-Alto Adige, non determilla la violazione di al-.:uno dei para-

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~-~ 



93

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

metri costituzionali e statutari addotti nel ricorso, per desumerne la 
lesione della � sfera della competenza assegnata alla Regione �. Nel vigente 
ordinamento, infatti, nulla esige che le finanze delle varie. Regioni differenziate 
vengano identicamente regolate; ed anzi gli stessi Statuti stanno 
a dimostrare che, in tal campo, le ragioni della specialit� prevalgono 
spesso sulle ragioni dell'uniformit� di trattamento. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 novembre 1985, n. 284 -Pres. Roehrssen -
Rel. Bucciare11i Ducci. 

Tributi erariali diretti -Decumulo dei redditi dei coniugi -Onere di 
domanda -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 24, 53 e 136; legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5)\ 

Tribunali erariali diretti -Determinazione sintetica del reddito complessivo 
-Non scomposizione dei redditi dei coniugi � Legittimit� costi� 
tuzionale. 
(Cost., art. 24; legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 4). 

Tributi erariali diretti -Lavoro dipendente � Spese per la produzione del 
reddito � Determinazione in misura forfettaria � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 30, 31 e 37; d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136). 

Non rientra nel potere di sindacato della Corte costituzionale valutare 
le misure con le quali il legislatore, nell'esercizio del suo potere 
discrezionale, ridisciplina a seguito di una pronuncia di incostituzionalit� 
situazioni complesse, semprech� tali misure non travalichino i 
limiti della ragionevolezza. Essendo fuori discussione la legittimit� in 
se stessa del ricorso alla determinazione sintetica del reddito complessivo, 
risulta materialmente impossibile scomporre in quote il reddito 
determinato in ordine al tenore di vita del contribuente e della sua 
famiglia, cos� da potere attribuire una quota al marito e un'altra alla 
moglie; ogni tentativo di scomposizione, tenuto conto del legittimo criterio 
di accertamento adottato, sarebbe arbitrario e privo di riscontro 
con la realt� concreta (1). 

Ragionevolmente il legislatore ha determinato in misura forfettaria 

le spese di produzione dei redditi di lavoro dipendente (2). 

(1) Oltre a dichiarare � fuori discussione la legittimit� in se stessa � del 
metodo sintetico, la Corte parrebbe consentire -e non solo con riguardo alla 
vicenda �transitoria� sottopostale -l'accertamento unitario a carico dei coniugi, 
quando emesso � con riferimento al tenore di vita�. 
(2) Irrisolto � il problema se la deduzione forfettaria di che trattasi debba 
essere espressa in termini di imponibile o possa esserlo in termini di imposta 
(o addirittura possa essere del tutto soppressa). 
2 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

94 

(omissis) La questione comunque si rivela non fondata anche in 
ordine alle altre ordinanze. Di fronte alla pronuncia di incostituzionalit� 
del cumulo d�i redditi tra coniugi, contenuta nella citata sentenza di 
questa Corte n. 179 del 1976, il legislatore si trov� infatti nella necessit� 
di adeguare fa normativa in materia cos� da renderla conforme al principio 
affermato dalla Corte anche per i rapporti tributari gi� insorti, 
ma comunque non definiti. Una situazione del tutto particolare e complessa 
era quella relativa alla pregressa imposta complementare, abolita 
dal 1� gennaio 1974. 

Invero se in linea di massima la sentenza di questa Corte poteva 
operare direttamente sui rapporti ancora in atto, secondo i princ�pi 
generali che regolano gli effetti delle pronuncie di incostituzionalit�, 
nella specie -quando cio� ricorrevano le due ipotesi indicate nel paragrafo 
precedente -il legislatore si trovava di fronte a casi peculiari 
rispetto ai quali la determinazione degli effetti della pronuncia si presentava 
estremamente difficile. Si verificavano, infatti, due situazioni transitorie 
particolarmente complesse -come giustamente osserva l'Avvocatura 
in uno degli atti di intervento -e cio� la ipotesi di un reddito 
complessivo dichiarato o accertato in via definitiva, mentre la relativa 
imposta non era stata interamente pagata alla data del 22 luglio 1976 e 
l'ipotesi in cui l'imposta fosse stata interamente pagata, sul reddito 
dichiarato, ma fosse stato notificato accertamento in rettifica o d'ufficio 
non divenuto definitivo alla data del 22 luglio 1976. 

In entrambi i casi J'obbligazione tributaria risultava o non ancora 
del tutto estinta sul piano della mera esecuzione (prima ipotesi); o 
estinta sul piano dell'esecuzione, ma ancora pendente per un accertamento 
in rettifica o d'ufficio non definitivo (seconda ipotesi). 

Limitatamente a queste due ipotesi -come si legge negli stessi 
lavori preparatori -il legislatore ha �scelto in via transitoria di imporre 
agli obbligati fa presentazione di una domanda entro un determinato 
termine per poter usufruire della tassazione separata. 

1 Tutto ci� premesso, si deve precisare che non rientra nel potere di 
sindacato di questa Corte valutare le misure con le quali il legislatore, 
nell'esercizio del suo potere discrezionale, ridisciplina a seguito di una 
pronuncia di incostituzionalit� situazioni complesse, gi� di per s� in fase 
transitoria a seguito di una riforma radicale del sistema tributario, 
come quella avvenuta con d.P.R. n. 597 del 1973 e con la legge n. 576 
del 1975; semprech� ben' inteso tali misure non trav�lichino i limiti della 
ragionevolezza. E del tutto ragionevole si rivela il criterio adottato di 
lasciare agli obbligati, nelle due particolari situazioni sopra descritte, la 
scelta, attraverso la presentazione o meno della domanda, tra il nuovo 
regime della tassazibne separata e il regime precedente, a seconda della 
valutazione in concreto di situazioni parzialmente maturate sotto la precedente 
normativa. La facolt� accordata ai contribuenti � venuta cos� a 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

conciliare gli interessi effettivi dei cittadini con le esigenze di buon andamento 
della pubblica amministrazione, sottraendo ad un meccanico 
automatismo una mole notevole di casi, che avrebbe comportato per 
l'Amministrazione un aggravio organizzativo difficilmente sopportabile, 
cui poteva non corrispondere l'interesse degli stessi contribuenti. 

Nessuno, quindi, degli invocati parametri costituzionali � stato violato, 
essendo le norme impugnate dirette proprio alla loro salvaguardia 
attraverso l'adeguamento della normativa transitoria alla pronuncia di 
questa Corte. E neppure � stato leso l'art. 24 della Costituzione, per la 
denunciata brevit� dei termini (venti giorni per il marito -e trenta per 
fa moglie) previsti per la presentazione della domanda. Questa Corte ha 
avuto, infatti, occasione di affermare pi� volte che la congruit� di un 
termine.va valutata non solo in rapporto all'interesse di chi ha l'onere 
di osservarlo, ma anche con riguardo alla funzione assegnata al termine 
nell'ordinamento giuridico (cfr. sentenze nn. 57 del 1962; 10 del 1970; 
138 del 1975 e 31 del 1977). Ed i termini di decadenza sopra descritti 
trovano giustificazione nella esigenza di una rapida definizione di controversie 
insorte in vigenza di un sistema tributario ormai abolito, per 
consentire all'Amministrazione tributaria un'adeguata predisposizione dei 
propri servizi. 

Con la seconda questione la Commissione tributaria centrale e la 
Commissione tributaria di Casale si chiedono se contrasti o meno con 
l'art. 24 della Costituzione l'ultimo comma del citato art. 4 della legge 

n. 751 del 1976, nella parte in cui vieta di chiedere la tassazione separata 
quando il reddito complessivo dei coniugi (comprensivo quindi di quello 
della moglie) sia stato determinato sinteticamente; per il dubbio che 
tale disposizione violi il diritto di difesa della moglie stessa. 
Anche questa questione prospettata nei termmi sopra indicati non � 
fondata. Dispone invero l'art. 137 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 che 
� se il tenore di vita del contribuente od altri elementi o circostanze 
di fatto fanno presumere un reddito netto superiore a quello risultante 
dalla denunci� analitica, il reddito complessivo netto viene determinato 
sinteticamente con riferimento al tenore di vita del contribuente o ad 
altri elementi o circostarize di fatto �. 

Essendo fuori discussione la legittimit� in se stessa del ricorso alla 
determinazione sintetica del reddito complessivo, risulta materialmente 
impossibile scomporre in quote il reddito determinato in ordine al tenore 
di vita del contribuente e della sua famiglia, cos� da potere attribuire una 
quota al m~rito e un'altra alla moglie; ogni tentativo di scomposizione, 
tenuto conto del legittimo criterio di accertamento adottato, sarebbe 
arbitrario e privo di riscontro con la realt� concreta. 

Non sussiste pertanto alcuna lesione dell'art. 24 della Costituzione, 
sotto il profilo che la norma impugnata priverebbe la moglie del diritto 


96 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

alla difesa, impedendole di interloquire a tutela della sua personale 
situazione, dal momento che l'impossibilit� di ricostruire il suo reddito 
esclude che essa possa assumere la veste di soggetto autonomo del rapporto 
tributario e nessuna violazione vi pu� essere del diritto di difesa 
per chi non � destinatario di un precetto e non � quindi obbligato nei 
confronti dell'Amministrazione. 

Con la quinta ed ultima questione infine la Corte deve decidere se 
contrasti o meno <;on gli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione l'art. 136 del 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico sulle imposte dirette), nella 
parte in cui limita la detraibilit� degli oneri da redditi di lavoro subordinato 
al 20 % dei redditi stessi, con un massimo di Jire 360.000; per il 
dubbio che tale norma introduca una ingiustificata disparit� di trattamento 
tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, violando altres� 
i princ�pi della tutela dell'istituto familiare, del dovere-diritto dei genitori 
all'istruzione e al mantenimento dei figli e della parit� dei sessi in 
materia di lavoro. 
Si precisa nell'ordinanza che tali lesioni deriverebbero dalla mancata 
deducibilit� dal reddito della moglie di quanto necessariamente speso 
per una adeguata custodia dei figli nelle ore che essa deve dedicare alla 
sua attivit� di insegnamento. 

La questione non � fondata. Per quanto attiene invero alla lamentata 
lesione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), essa non 
sussiste in quanto la diversit� di disciplina tra lavoratori subordinati e 
lavoratori autonomi, in materia di oneri deducibili, trova la sua giustificazione 
nella diversit� obiettiva di situazioni economiche tra Je due categorie 
di lavoratori in ordine agli oneri sostenuti per la produzione del 
reddito. E ragionevolmente il legislatore ha Jimitato tali oneri per i lavoratori 
dipendenti alle sole spese, non essendo ipotizzabili per questa 
categoria di lavorl:ltori passivit� o perdite -quali si riscontrano nella 
attivit� dei lavoratori autonomi -ed ha inoltre determinato le stesse 
spese di produzione dei lavoratori subordinati in misura forfettaria. 

N� sussiste i:l lamentato contrasto della norma impugnata con gli 
artt. 30, 31 e 37 della Costituzione. Secondo i princ�pi del nostro ordinamento 
tributario, infatti, il carattere peculiare degli oneri deducibili � 
di essere � inerenti alla produzione del reddito� del lavoratore, e non 
gi� erogazioni di reddito gi� prodotto. E rientrano certamente in quest'ultima 
categoria, e non nelle spese necessarie per la produzione di 
reddito, quelle sostenute dalla famiglia per il mantenimento, l'istruzione 
e l'educazione dei figli. 

All'interno, quindi, della logica generale che presiede al sistema tnbutario 
italiano la questione nori pu� trovare giuridico fondamento, in 
modo da assumere rilievo ai fini della .Jesione dei princ�pi costituzionali 
invocati. 

.. . I 


I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

97 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 novembre 1985, n. 287 -Pres. Paladin -Rel. 

Saja -Provincia di Bolzano (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio 

dei Ministri (Avv. Stato Mataloni). 

Demanio � Alloggi di servizio � Sono beni strumentali all'attivit�-servizio. 

Tra i beni � relativi a servizi di carattere nazionale � (rimasti di spettanza 
dello Stato) vanno compresi anche tutti gli alloggi dati (o da darsi) 
in concessione a dipendenti addetti �in loco� ai predetti servizi (1). 

(omissis) I tre ricorsi per conflitto di attribuzione -proposti, due, 
dalla Provincia autonoma di Bolzano e, uno, dallo Stato -hanno, 
come � stato enunciato in narrativa, il medesimo oggetto, rivendicandosi 
reciprocamente � dai due enti la competenza a disporre degli alloggi 
di servizio costruiti in Bolzano dall'Azienda di Stato per i servizi 
telefonici: pertanto i relativi giudi.zJi vanno riuniti per essere decisi con 
unica sentenza. 

A fondamento della propria pretesa la Provincia invoca gli artt. 8, 

n. 10 ,e 16 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, che approva il testo unico delle 
leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto 
Adige, in base ai quali essa ha la potest� legislativa primaria nonch� la 
competenza amministrativa in materia di edilizia co:munque sovvenzionata. 
La Provincia richiama anche l'art. 8, lett. b) d.P.R. 20 gennaio 
1973 n. 115 che, in attuazione del citato statuto speciale in materia di trasferimento 
alle due Province autonome di beni demaniali e patrimoniali 
dello Stato (e della Regione), dispone il passaggio degli alloggi economici 
e popolari di propriet� di quest'ultimo. 
A dire della Provincia, il trasferimento comprenderebbe anche gli 
immobili in questione, in quanto non sarebbe applicabile l'eccezione, prevista 
nello stesso art. 8 lett. b), riguardante gli alloggi la cui concessione 
sia essenzialmente condizionata alla prestazione in loco di un determinato 

(1) Negli anni Settanta, in nome di una gestione unitaria del problema 
della �casa� (e per ,secondare una tendenza al livellamento), si era smarrita 
la consapevolezza della specificit� delle esigenze abitative del personale statale 
sottoposto a trasferimenti frequenti e non solo in ambito � locale � (si pensi, 
ad esempio, alla soppressione dell'INCIS, ed alla abolizione di asseriti � privilegi 
� in sede di assegnazione di alloggi di edilizia pubblica). La sentenza in rassegna 
riconosce piena legittimit� ed ampia portata all'istituto giuridico dello 
� alloggio di servizio �: � tale non soltanto l'alloggio � di rappresentanza � o 
fisicamente inserito in un � impianto � adibito al pubblico servizio o in un 
edificio adibito a pubblico ufficio, ma qualsiasi alloggio � funzionalmente collegato
� all'attivit� svolta dalla amministrazione o azienda o, in genere, entit� datrice 
di lavoro. V'� di pi�: la sentenza opera una efficace trasposizione nell'ambito 
pubblicistico della nozione di � bene strumentale � che ha ricevuto elaborazione 
e riconoscimento (anche ai fini tributari) in relazione alla � impresa �. 

98 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

servizio presso pubbliche amministrazioni: in questa eccezione, sempre 
secondo la Provincia, rientrerebbero soltanto gli alloggi concessi intuitu 
ministerii ai pubblici dipendenti, ma non anche a queHi qui considerati, 
la cui costruzione era diretta ad evitare al personale situazioni di disagio 
derivanti dalla destinazione in citt� ove maggiore � la difficolt� di procurarsi 
abitazioni private. 

Obietta la difesa dello Stato che, se pure gli immobili in questione 
potessero rientrare nella previsione dell'art. 8 n. 10 Stat. cit. -sul che 
esso muove qualche dubbio -� decisivo il fatto che i medesimi rimangono 
di spettanza statale secondo il disposto dell'art. 68 dello stesso 
Statuto, che esclude le Province dalla successione nei beni demaniali e 
patrimoniali dello Stato � relativi a servizi di carattere nazionale �, 

Ne consegue, sempre secondo lo Stato, che gli alloggi di cui si tratta 
non possono rientrare nella previsione dell'art. 8 lett. b) delle Norme di 
attuazione ult. cit., essendo comunque riconducibili all'eccezione ivi prevista 
e relativa alle abitazioni concesse ai dipendenti pubblici. 

La pretesa della Provincia non sembra sorretta da valide ragioni, 
mentre risulta fondata quella dello Stato. 

Come si � detto, il cit. art. 68 dello Statuto, nell'indicare i beni rispetto 
ai quali le due province autonome succedono allo Stato, espressamente 
eccettua, tra l'altro, � quelli relativi... a servizi di carattere. nazionale... � 
tra i quali rientra certamente quello telefonico, rimasto di spettanza statale; 
e va da s� che la previsione normativa comprende non solo gli 
immobili in cui il servizio stesso viene espletato, ma anche quelli ad esso 
funzionalmente collegati. 

Ci� � stato correttamente tradotto nelle citate norme di attuazione, 
il cui art. 8 lett. b), come si � ora detto, esclude da1 trasferimento �gli 
alloggi la cui concessione sia essenzialmente condizionata alla prestazione 
in loco di un determinato servizio presso pubbliche amministrazioni 
(statali)... �, 

L'assunto della Provincia, secondo cui quest'ultima disposizione si 
riferisce soltanto agli alloggi concessi al dipendente intuitu ministerii, 
ossia con riguardo alle singole e specifiche funzioni da lui esercitate e 
con l'automatica cessazione al momento del venir meno dalla carica 
(prefetti, comandanti di reparti militari, ovvero impiegati della carriera 
esecutiva con funzioni di custodi) non pu� essere condiviso. 

Anzitutto, la formula adoperata non � nuova nella nostra legislazione 
(cfr. art. 2 lett. b) e c) d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2) ed � stata 
sempre e concordemente intesa dalla giurisprudenza della Cassazione e 
del Consiglio di Stato nel senso che comprende tutti gli alloggi comunque 
concessi ai dipendenti, alla sola condizione che essi espletino in loco 
le mansioni pubbliche, alle quali sono preposti. 

� da ritenere perci� che, se il legislatore del 1973 avesse voluto formulare 
una diversa previsione, altra sarebbe stata l'espressione da lui 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

adoperata, mentre il'impiego della medesima formula chiaramente manifesta 
la volont� di affermare lo stesso concetfo. 

E ci� aderisce pienamente alle finalit� dell'amministrazione centrale, 
la quale nel costruire gli alloggi del tipo in questione � mossa dall'intent� 
(come, in particolare, risulta espressamente per l'Azienda dei telefoni 
dal preambolo della legge di autorizzazione 11 dicembre 1952 n. 2521) � 
di evitare ai propri dipendenti le difficolt�, influenti negativamente sul 
funzionamento degli uffici, di soddisfare l'esigenza primaria dell'abitazione 
nelle localit� ove maggiore � la crisi degli alloggi. 

Pertanto, non essendo stato trasferito alla Provincia il servizio telefonico, 
che, come si � gi� detto, � rimasto nelle attribuzioni dello Stato, 
non possono non continuare ad appartenere a quest'ultimo (ed appunto 
sono esclusi dal trasferimento) anche i beni preordinati �al buon andamento 
del servizio stesso. 

In proposito, si pu� anche ricordare che l'art. 24 d.P.R. 22 marzo 1974 

n. 381 (norma di attuazione del pi� volte citato Statuto speciale in 
materia urbanistica e di opere pubbliche) riserva allo Stato la costruzione 
di alloggi per i propri dipendenti la cui concessione sia essenzialmente 
condizionata alla prestazione in loco di un determinato servizio: 
disposizione che, com'� evidente, ijsulta in linea con quella gi� esaminata 
dal ricordato art. 8, lett. b), d,P.R. n. 115 del 1973 e conferma ulteriormente 
l'interpretazione qui accolta. 
p.q.m. 
dichiara che spetta allo Stato provvedere all'assegnazione degli alloggi 
costruiti nel territorio della Provincia di Bolzano dall'Azienda statale 
per i servizi telefonici, per concederli ai propri dipendenti che prestano 
servizio in loco; ... 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 1985, n. 302 -Pres. Paladin -Rel. 
Andrioli -Curatore del fallimento Gargiulo Luisa (n.p.) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice Avv. Gen. Stato Chiarotti). 

Fallimento -Chlustira In mancanza di attivo -Revoca della sentenza dichiarativa 
de1. fallimento -Compenso del curatore. 
(Cost., artt. 3, 23 e 36; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 21 e 91). 

Non � costituzionalmente illegittima la mancata previsione di un 
compenso a carico dello Stato a favo re dei curatori fallimentari nei casi 
di chiusura del fallimento per mancanza o insufficienza di attivo o di 
revoca della sentenza dichiarativa del fallimento . 

�;.�.�.cr.'.��.c.-;..cr.�,..�,.,.,.����,,.,.,.,.�� ,.�� urrrr.�,�r.� ���������������������,�,�.�,�,�.�.���������������������������-�����������ᥥ����� 

100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 1985, n. 303 -Pres. Paladin -Rel. 
Andrioli -Boneschi (avv. Mazzei) e Cassa di risparmio di Ravenna 
(avv. Calzetta). 

Fallimento -Liquidazione dei compensi al curatore, ai patrocinatori e 

ad altri incaricati dell'amministrazione fallimentare -Reclami al 

tribunale fallimentare -Termine per la proposizione. 

(Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26). 

Contrasta con l'art. 24 comma secondo Cost. l'art. 26 della legge fallimentare, 
quanto al comma primo, nella parte in cui fa decorrere il 
termine di tre giorni per il reclamo al tribunale dalla data del decreto 
del giudice delegato anzich� dalla data della comunicazione dello stesso 
ritualmente eseguita, e quanto ai commi primo e secondo (in riferimento 
agli artt. 23 comma primo ed all'art. 25 n. 7 ultima proposizione), nella 
parte in cui assoggetta a reclamo al tribunale il decreto con il quale il 
giudice delegato liquida il compenso a qualsiasi incaricato per l'opera 
prestata nell'interesse del fallimento. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 aprile 1986, n. 102 -Pres. Paladin -Rel. 
Andrioli -Esattoria di Gela e Presidente Consiglio dei Ministri (Avv. 
Stato Siconolfi). 

Fallimento -Opposizione a stato passivo -Creditori esclusi -Impugnazione 
dello stato passivo -Termine per la opposizione e per l'impugnazione. 
(Cost., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 100). 

Contrastano con l'art. 24 comma secondo Cost. l'art. 98 comma primo 
e l'art. 100 comma primo della legge fallimentare, il primo nella parte 
in cui stabilisce che i creditori esclusi o ammessi con riserva possono 
fare opposizione entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo 
anzich� dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento 
con le quali il curatore deve dare notizia dell'avvenuto deposito 
ai creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo, ed 
il secondo nella parte in cui ciascun creditore pu� impugnare i crediti 
ammessi con ricorso al giudice delegato entro quindici giorni dal deposito 


dello stato passivo in cancelleria anzich� dalla data di ricezione delle 

I 

I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore deve 
dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che hanno presentato 
domanda di ammissione al passivo. 

IV 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1986, n. 120 -Pres. Paladin -Rel. 
Andrioli. 

Fallimento -Opposizione a stato passivo -Creditori esclusi -Impugnazione 

dello stato passivo -Decreto di fissazione della udienza di compari-. 

zione � Comunicazione. 

(Cast., art. 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 100). 

Contrastano con l'art. 24 comma secondo Cast., l'art. 98 comma 
secondo e l'art. 100 comma secondo della legge fallimentare, il primo 
nella parte in cui non prevede nei confronti del creditore opponente la 
comunicazione, almeno quindici giorni prima della udienza di comparizione, 
del decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorre il termine 
per la notificazione di esso al curatore, ed il secondo nella parte 
in cui non prevede nei confronti del creditore impugnante la comunicazione, 
almeno quindici giorni prima dell'udienza di comparizione, del 
decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorre il termine per 
la notificazione di esso al curatore e ai creditori i cui crediti sono impugnati. 


I 

In disparte il rilievo che nella prassi i giudici delegati si inducono 
ad indennizzare i professionisti, cui � affidata la curatela di fallimento che 
si appalesa privo di attivo suscettibile di ripartizione, con la nomina a 
curatori di fallimenti, nei quali la ripartizione di attivo sembra probabile, 
la questione d'incostituzionalit�, in riferimento sia a revoca di dichiarazione 
di fallimento sia a fallimento chiuso con insufficienza o carenza 
di attivo, � da giudicare infondata perch� nessuna delle disposizioni costituzionali 
addotte a parametri vale a giustificarla: non l'art. 23 �perch� 
la legalit� della imposizione di prestazione patrimoniale non vuol significare 
onerosit� della prestazione stessa e bando a uffici gratuiti di cui non 
difettano esempi nella patria legislazione; non l'art. 36 perch� il curatore 
farnmentare non pu� essere qu~lificato lavoratore nel senso al sostantivo 
assegnato nel Titolo III della Parte I della Carta Costituzionale, n� infine 
l'art. 3 perch� l'accettazione della nomina di curatore non � rivestita del 
carattere di obbligatoriet� che riviene alla nomina del perito dall'art. 314 
comma quarto c.p.p. 


102 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

III 

(omissis) Il sospetto d'incostituzionalit� dell'art. 98 comma primo 
( � I creditori esclusi o ammessi con riserva possono fare opposizione, 
entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo in cancelleria, pre


sentando ricorso al giudice delegato�) r.d. 16 marzo 1942, n. 267 ,� 
fondato perch� manifesta � l'offesa inflitta al diritto di difesa garantito 
-quale che sia lo stato e il grado del procedimento -dall'art. 24 

I

comma secondo Cost. 

Vero che questa Corte ebbe a dire infondata la questione con 
sent. 157/1971, ma non men vero che nell'area del diritto fallimentare 
l'art. 18 comma primo � stato con sent. 151/1980 dichiarato illegittimo 

i

nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione 
decorra per il debitore dall'affissione della sentenza che ne dichiara 
il fallimento, n� d~versa sorte � stata riservata con sent. 152/1980 all'art. 99 
comma quinto nella parte in cui fa decorrere i termini per appellare e 
proporre ricorso in Cassazione dalla affissione della sentenza resa sull'opposizione 
allo stato passivo, e con sent. 303/1985 all'art. 26 comma 
primo nella parte in cui fa decorrere il termine per il reclamo al tribunale 
dalla dat~ del decreto del giudice delegato di liquidazione del compenso 
a incaricati anzich� dalla data della comunicazione dello stesso ritualmente 
eseguita. 

Nella pi� ampia area delle procedure concorsuali estrafallimentari 
non sono da negligere la sent. 255/1974, che ebbe a dichiarare J'incostituzionalit� 
dell'art. 183 comma primo nella parte in cui per le parti 
costituite fa decorrere il termine per proporre appello contro la sentenza 
che omologa o respinge il concordato preventivo dall'affissione anzich� 
dalla data di ricezione della comunicazione della stessa e, in particolare 
guisa, la sent. 155/1980, che ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 209 comma secondo nella parte in cui prevede che il termine per 
le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorra dalla data 
del deposito, nehla cancelleria del tribunale dove l'impresa in liquidazione 
coatta amministrativa ha la sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi 
o respinti, formato dal commissario liquidatore, anzich� dalla data di 
ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il 
commissario liquidatore d� notizia dell'avvenuto deposito ai creditori le 
cui pretese non sono state in tutto o in parte ammesse. La circostanza 
che nella motivazione della sent. 155/1980 abbia questa Corte posto in 
rilievo le divergenze strutturali e qualif�catorie che separano l'accertamento 
del passivo a seconda che formi parte di fii,llimento ovvero di 
liquidazione coatta amministrativa, non giova a ravvisarvi, come ha argomentato 
l'interveniente Presidente del Consiglio� dei ministri, conferma 
deHa ratio decidendi che informava di s� la sent. 157/1971, non solo perch� 
le considerazioni sulla verificazione fallimentare dei crediti altro non erano 
che un obiter dictum, ma anche, e sopr-attutto, perch� la diversa strut




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

tura delle due verifiche evidenziata dalla natura amministrativa dell'elenco 
dei creditori ammessi e esclusi, formato dal commissario della 
I.e.a., non consentiva di far leva sul collegamento tra formazione dello 
stato passivo e opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi che ha 
indotto correnti dottrinali ad inserire l'accertamento del passivo faHimentare 
nella categoria dei processi di accertamento sommario di cui al 
Capo I del Libro IV del codice di procedura civile. 

Pertanto, la declaratoria di incostituzionalit� dell'art. 98 comma primo 
neHa parte in cui fa decorrere il termine per l'opposizione dal deposito 
dello stato passivo, si impone, e la sent. 155/1980 induce la Corte ad 
emettere pronuncia manipolativa additiva sostituendo nella funzione di 
dies a quo al deposito dello stato passivo la ricezione della raccomandata 
con avviso di ricevimento con la quafo il curatore �, ai sensi dell'art. 97 
comma terzo, tenuto a dar notizia ai creditori esclusi o ammessi con 
riserva. 

Non basta... reputa questa Corte che il detta~e del processo giusto a 
render concreto il quale si indirizzano non solo l'art. 24 comma secondo 
Cost., ma anche l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti 
dell'uomo e delle libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 
1950, e l'art. 15 del Patto internazionale di New York del 19 dicembre 1966, 
relativo ai diritti civili e politici, non sia in pieno realizzato se non si 
precisi che il curatore � tenuto a dar notizia non solo ai creditori in tutto 

o in parte esclusi o ammessi con riserva ma anche agli altri creditori 
che hanno proposto domanda di ammissione al passivo. 

Due ordini di motivi inducono a tanto la Corte. 

Il carattere concorsuale della ripartizione dell'attivo della quale la 
verificazione del passivo funge da presupposto, fa s� che ciascun creditore 
si atteggi rispetto a ciascun altro creditore quale homini lupus: 
del che rappresenta -ancor prima dell'art. 100 -incisiva immagine 
l'art. 96, comma secondo r.d. 267/1942, a tenor del quale il giudice delegato, 
che pur ha predisposto lo stato passivo, tien conto, nella adunanza 
fissata, ai sensi dell'art. 16 n. 5, nella sentenza dichiarativa di fallimento, 
del:le contestazioni e delle osservazioni degli interessati (creditori e terzi 
che vantano diritti reali su cose mobili del fallito), nonch� dei nuovi 
documenti esibiti, al fine di apportare le modificazioni e le integrazioni 
che ritiene necessarie. 

La finalit� pratica cui la verificazione dello stato passivo � indirizzata, 
ove la s'inquadri nella categoria degli accertamenti sommari, non 
consente che nella successiva fase a contraddittorio pieno sia modificata 
la sfera dei legittimati ad agire e a contraddire, quale delineata nel combinato 
disposto degli artt. 16 n. 5, 95 comma quarto e 96. 

Pertanto: tutti i creditori menzionati nello stato passivo -ammessi 

o no -debbono essere dal curatore notiziati mediante raccomandata 
con avviso di ricevimento. (omissis) 

I 

104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1,, 
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CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 1985, n. 304 (ord.) -Pres. Palal 
din -Rel. Borzellino. \ 

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I

Tributi erariali indiretti -IVA -Pena pecuniaria -Versamento del sesto 

del massimo -Nella procedura fallimentare -Inammissibilit� della I 

questione. 

(Cost., art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58). 

I 

Non pu� richiedersi alla Corte costituzionale di attribuire al curatore 
fallimentare la possibilit� di versare all'Ufficio I.V.A. una somma 
pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria (irrogata) entro trenta 
giorni dalla data di approvazione del piano di ripartizione finale (1). 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1986, n. 111 -Pres. Paladin -Rel. 
Gallo -Ugolini e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). 

Tributi erariali indiretti � IVA � Pene pecuniarie � Delega legislativa � Principi 
e criteri direttivi � Sufficienza. 
(Cost., art. 76; legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 43). 

I princ�pi e criteri direttivi indicati nell'art. 10, punti 7 e 11, della 
legge n. 825 del 1971 sono sufficientemente determinati, tenuto conto 
della preesistenza di una disciplina delle sanzioni tributarie e della previsione 
dei vari obb.lighi sostanziali e formali dei contribuenti. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1986, n. 115 -Pres. Paladin -Rel. 
Borzellino. 

Tributi erariali indiretti -IVA -Vendite fallimentari -Applicazione ad 
esse del regime IVA -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 76 e 87; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74 bis, come da d.P.R. 29 gen


naio 1979, n. 24). 

L'estensione del regime IVA alle vendite fallimentari finalizzate alla 
liquidazione delle attivit� � ragionevole e non contrasta con i princ�pi e 
criteri direttivi indicati dalla legge delega n. 825 del 1971. 

(1) La questione prospettata nella ordinanza di rimessione non avrebbe potu� 
to essere accolta anche perch� l'istituto del versamento del sesto concerne la 
� non-irrogazione � della pena pecuniaria (e non il venir meno della penalit� anteriormente 
irrogata). 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 105 

IV 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1986, n. 116 -Pres. Paladin -Rel. 
Borzellino. 

Tributi erariali indiretti � IVA � Pene pecuniarie � Non irrogazione per 

versamento del sesto del massimo� Verbale di constatazione� Nozione 

pi� lata. 

(Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, come da d.P.R. 29 gen


naio 1979, n. 24). 

Dopo le correzioni introdotte con d.P.R. n. 24 del 1979, la non-irrogazione 
delle pene pecuniarie per versamento del sesto del massimo pu� 
aversi in presenza di qualsiasi �atto ufficiale� di constatazione; non v'� 
quindi contrasto alcuno con il principio di eguaglianza. 

V 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1986, n. 128 -Pres. Pafadin -Rel. 
Gallo -Rigoni & Co. e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Salimei). 

Tributi erariali diretti -IRPEF -Dichiarazione del sostituto di imposta � 

Omessa presentazione � Non � mera violazione formale. 

(Cost., artt. 23 e 76; legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 

artt. 47 e 55). 

Gli illeciti tributari � di pericolo � non possono essere qualificati 
meramente formali; sono � di pericolo � gli illeciti di omessa dichiarazione 
e quelli mediante i quali, in generale, non si forniscon0 agli uffici 
tributari dati ed informazioni rilevanti per gli accertamenti (anche a 
carico di soggetti diversi da quello che tali dati ed informazioni avrebbe 
dovuto fornire) (2). 

I 

Ritenuto che con le ordinanze in epigrafe � stata sollevata in riferimento 
all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 58 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Imposta sul valore aggiunto) 
nella parte in cui non prevede la possibilit� per il curatore fallimentare 
di versare all'ufficio IVA una somma pari ad un sesto del massimo della 

(2) Il principio affermato nella sentenza, ed evidenziato nella massima, appare 
di notevole importanza non solo teorica, ed � suscettibile di applicazioni anche 
per gli illeciti tributari costituenti reato. 

106 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

pena entro trenta giorni dalla data di approvazione del piano di ripartizione 
finale; ... 

che l'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972 � stato sostituito, in tempi 
successivi alle ordinanze, dall'art. 1, del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24,. il 
quale, peraltro, non avendo modificato la norma impugnata in parte qua, 
non rende necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo per un 
nuovo esame sulla rilevanza; 

che la questione prospettata v�ene ad incidere sulla regolamentazione 
dei poteri del curatore fahlimentare attinenti alle modalit� dei 
pagamenti in favore dei creditori, oggetto di articolata e specifica disciplina 
normativa; 

che, pertanto, l'intervento della Corte implicherebbe, nell'ambito delle 
possibili diverse soluzioni all'interno di un complesso sistema normativo, 
scelte discrezionali che solo al legislatore � dato di effettuare. 

II 

Con ordinanza 22 ottobre 1979 la Commissione tributaria di primo 
grado di Trento sollevava questione di legittimit� costituzionale del~
�art. 43 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione all'art. 10, secondo 
comma, n. 11 della 1. 9 ottobre 1971, n. 825, con riferimento all'art. 76 Cost.; 
l'ordinanza rilevava che l'ampiezza della delega legislativa, di cui all'art. 10, 
secondo comma, n. 11 impugnata, non sembrava ossequiente ai princ�pi 
posti dall'art. 76 Cost. in quanto non sarebbero ravvisabili n� la 
� determinazione di princ�pi e criteri direttivi � n� gli � oggetti definiti � 
di cui parla il parametro costituzionale: in guista che le statuizioni contenute 
nell'art. 43 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 risulterebbero frutto 
di libera scelta del Governo anzich� espressione di delega del Parlamento. 
Secondo il Giudice tributario, infatti, la legge delega non precisa quali 
atti costituiscano violazioni da assoggettare a sanzioni, n� individua 
quali, per la maggiore gravit�, debbano essere puniti con pena detentiva. 
D'altra parte, la delega nemmeno fissa alcun criterio direttivo per la graduazione 
delle pene in rapporto alla entit� delle violazioni, n� detta 
princ�pi distintivi per la scelta in ordine alla specie delle sanzioni, n� 
infine, indica elementi idonei a configurare il rapporto fra imposta evasa 
e sanzione. (omissis) 

La sollevata questione non � fondata. Come ha rilevato l'Avvocatura 
generale dello Stato, � esatto che princ�pi e criteri direttivi (si tratti 

o non di concetti distinti) non sono comunque contenuti esclusivamente 
nel punto 11 del secondo comma dell'art. 10 della legge delega, 
ma si rinvengono anche nel punto 7 dello stesso comma e nel primo 
comma. 
In realt�, poi, � a tutto il complesso del sistema che occorre avere 
riguardo per giudicare della conformit� della delega ai rigorosi princ�pi 

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107

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

fissati dalla Costituzione, tenendo conto che al legislatore delegato era 
stato assegnato un compito ben preciso: e, cio�, quello di adeguare la 
disciplina delle sanzioni tributarie gi� esistenti, e predeterminate dalla 
legge, alle riforme che la stessa legge delega prevedeva. Tale compito 
doveva essere svolto perfe;zionando il sistema delle sanzioni attraverso 
una migliore commisurazi�ne delle sanzioni stesse alla effettiva entit� 
oggettiva e soggettiva delle violazioni. 

Sono, dunque, le nuove norme tributarie a disporre innanzitutto i 
vari obblighi sostanziali e formali dei contribuenti: obblighi che gi� 
configurano quei precetti che non restano, perci�, affidati all'inventiva 
del legislatore delegato. Per altro verso, poi, � il sistema tributario 
vigente, e quindi ancora una vola la legge non delegata, a prevedere 
le sanzioni amministrative dirette, che il legislatore delegato pu� comminare 
per la inosservanza di quei precetti. N� la discrezionalit� del 
legislatore delegato nella scelta dei precetti da sanzionare e delle sanzioni 
da adottare � senza limiti, posto che il delegante l'ha espressamente 
subordinata alla necessit� di commisurare e graduare queste ultime 
alla entit� delle violazioni. Si tratta, perci�, di una discrezionalit� minima, 
tale da rendere possibile al potere delegato di adeguare la disciplina 
della situazione preesistente alla riforma, perfezionando il sistema 
delle sanzioni, cos� come Ja delega prescrive. 

Ed � appena il caso di osservare che la Corte intende riferirsi alle 
sanzioni amministrative, essendo esclusa dai limiti di rilevanza della 
questione proposta ogni considerazione concernente le sanzioni penali. 

Cos� come, peraltro, appare evidente che l'impugnazione dell'art. 43 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, meramente conseguenziale a quella relativa 
all'art. 10 n. 11 della 1. 9 ottobre 1971, n. 825, deve essere parimenti 
respinta. 
III 

(omissis) L'art. 74 bis, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come 
introdotto dall'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687 (sostituito, ma 
senza incidenza in punto, dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), 
estende il regime d'imposta sul valore aggiunto alle vendite fallimentari, 
ponendo i relativi adempimenti a carico del curatore. Tuttavia, secondo 
i giudici a quibus tale norma sarebbe in contrasto con gli artt. 1 e 5 
della legge 9 ottobre 1971 n. 825 (delega legislativa al Governo della 
Repubblica per la riforma tributaria), ove � prevista l'applicabilit� del 
tributo in parola alle � cessioni di beni di ogni specie effettuate nell'esercizio 
di imprese� (cos� testualmente art. 5, n. l, legge n. 825) e tali 
non apparendo, in generale, le operazioni conseguenti al fallimento . 
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108 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sicch�, sempre a parere dei remittenti, risulterebbero violati (eccesso 
di delega) gli artt. 76, 77, primo comma, e 87, quinto comma, della 
Costituzione. 

Dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta per conto del Presidente 
del Consiglio dei ministri, � stata eccepita la inammissibilit� 
della questione sollevata dal giudice delegato al fallimento: difetterebbe, 
infatti, la sussistenza di un � giudizio �, non spettando al giudice a quo 
emettere, in fattispecie, una decisione nel merito e nei confronti dell'Amministrazione 
finanziaria. 

L'eccezione va accolta. In concreto, il curatore fallimentare aveva 
fatto istanza al giudice delegato affinch�, nell'esercizio dei poteri direttivi 
ex art. 25 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), 
questi avesse a chiarire l'assoggettamento o meno della vendita fallimentare 
all'imposta sul valore aggiunto (IVA). Sicch�, il provvedimento 
richiesto, chiaramente da emanarsi nell'ambito di una mera potest� 
direttiva, risulta privo delle connotazioni di esercizio della funzione 
giurisdizionale. 

Il � giudizio � incidentale di cui alla menzionata ordinanza va dichiarato, 
pertanto, inammissibile. 
L'incidente viene, peraltro, in rilievo nel merito con l'ordinanza della 
Commissione tributaria di Cremona. La questione non � fondata. 

Essa si incentra su di un assunto eccesso, ad opera del legislatore 
delegato, il quale avrebbe normativamente affermato l'applicabilit� del 
tributo, esorbitando dai princ�pi e criteri emanati con la legge n. 825/1971, 
determinanti l'assoggettamento all'imposta (art. 5, n. 1). delle cessioni 
effettuate nell'esercizio d'impresa. Esercizio questo che viene ora contestato 
nell'ambito proprio delle vendite fallimentari, finalizzate -quando 
siano al di fuori della continuazione temporanea dell'impresa (autorizzabile 
ex art. 90 regio decreto n. 267/1942) -alla liquidazione delle 
passivit� e delle attivit� ed al solo scopo, perci�, delle inerenti operazioni 
debitorie e creditorie. 

Ora � noto che l'attivit� liquidatoria � volta alla tutela di interessi 
precipuamente radicati nelle elaborazioni comuni largamente regolate 
nell'esperienza civilistica, con indubbia confliggenza, se esaminata in 
tali sensi, tra liquidazione da fallimento e normale esercizio d'impresa. 
Senonch�, � altrettanto rimarchevole che i princ�pi regolanti i rapporti 
privati in genere non si trapiantano per ci� stesso, integralmente, nella 
normativa tributaria cui essi danno origine. (omissis) 

Pu� essere conferente evidenziare, all'uopo, come anche nella identificazione 
positiva del reddito d'impresa i connotati deducibili delle 
norme civilistiche siano stati utilizzati, nel campo tributario, per dilatare 
in parte le configurazioni civilistiche medesime (sentenza n. 42 
del 1980), s� da trarne una concettualit� posi�va, pi� lata pei fini del 
carico tributario relativo. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

In concreto, adunq1:1e, con riferimento alila dedotta vicenda di applicazione 
dell'IVA, il legislatore tributario ha ragionevolmente mostrato, 
con stretto riferimento all'imposta di cui trattasi (a tanto conforta 
anche recente giurisprudenza della Corte di cassazione), di non voler 
distinguere tra l'attivit� gestionale dell'impresa e il momento della 
sua liquidazione, ancorch� coattiva. All'incontro, per gli specifici intenti 
di prelievo fiscale cui si riconducono i principi normativi relativi, ha 
proiettato in un unicum le due fasi: di gestione, cio�, e di liquidazione. 
Talch�, nessun eccesso di delega appare essersi prodotto negli ambiti 
puntuali di cui � questione. 

IV 

(omissis) L'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 
nel testo sostituito dall'art. 1 del successivo d.P.R. 29 gennaio 1979, 

n. 24, consente, in materia di imposta sul valore aggiunto (IV A) e per 
il caso di violazioni da parte del contribuente, di evitare la irrogazione 
della pena pecuniaria mediante il versamento di una somma pari al sesto 
del massimo della pena medesima. Ci� a condizione che in tali sensi 
si provveda nel termine di giorni trenta dalla data del � verbale di 
constatazione � della violazione. 
Secondo i giudici a quibus il disposto contrasterebbe con l'art. 3 
della Costituzione � (per la Commissione tributaria di Matera anche con 
l'art. 53), per una disparit� di trattamento fra i contribuenti oggetto 
di controllo cartolare e segnatamente que1li che avessero a presentare, 
spontaneamente, una rettifica di precedente dichiarazione del tributo 
(sono queste le fattispecie dedotte) e coloro i quali fossero oggetto, 
invece, di esplicita constatazione. 

La questione non � fondata. Per l'Avvocatura generale dello Stato, 
che ha dispiegato intervento, tale infondatezza discenderebbe dal disposto 
dell'art. 15, primo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme 
generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) l� 
dove ed in via generale appunto resta consentito ai trasgressori per violazione, 
comunque, delle norme finanziarie di corrispondere, con effetti 
liberatori, il sesto della pena pecuniaria relativa. 

Tale asserto, tuttavia, non ha pregio poich� -a ci� confortando 
anche la giurisprudenza tributaria -l'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 

n. 633 (cos� come ora sostituito, ma di ci� si dir� in appresso) ha introdotto 
un istituto assolutamente diverso dalla definizione in via breve 
prevista dal richiamato art. 15 della legge n. 4/1929, in quanto consente 
di determinare, con effetti estintivi della sola pena pecuniaria, iJ mero 
aspetto sanzionatorio delle violazioni, escludendosi, per intanto, il con

110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

testuale pagamento del tributo, cos� come richiesto invece dalla legge 
del 1929 con tutte le conseguenze a ci� inerenti. 

Per una corretta disamina de1la questione qui considerata -limitata 
come si � espresso alla estinzione della pena pecuniaria e fuori, 
pertanto, dalla portata della legge n. 4 del 1929 -va� chiarito che la 
dizione origin~ria dell'art. 58 circoscriveva la facolt� dei versamenti estintivi 
in parola ai soli casi relativi ad accessi, verifiche o indagini dell'Autorit� 
finanziaria, attivit� tutte correlate per principio generale (art. 24 
legge n. 4), ancor prima che in forza dell'art. 52, comma sesto, d.P.R. 

n. 633, al puntuale rigore di redazione del processo verbale delle operazioni 
accertative conseguenti. 
All'incontro, la nuova normativa (art. 1 del d.P.R. n. 24 del 1979) 
pone in luce un contenuto pi� ampio rispetto alla primitiva norma, dalla 
quale sono stati chiaramente espunti gli ambiti iniziali, strettamente 
connessi, come detto, ad un accertamento specifico -mediante accessi, 
verifiche o indagini -delle perpetrate violazioni. 

Consegue, e anche qui sorregge in parte la giurisprudenza tributaria, 
che fa lata dizione �verbale di constatazione�, se e quando svincolata 
dalle richiamate formalit� del procedimento ispettivo in contraddittorio 
ex art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 (suscettibile addirittura di operazioni 
necessitanti di autorizzazione dell'Autorit� gi.diziaria), consente di 
esser riportata, a seconda delle ipotesi che abbiano in concreto a ricorrere, 
alla pi� generale nozione di � atto ufficiale � di constatazione: con 
una flessibile equipollenza, cio�, fra documenti, pur sempre ufficiali 
quanto a origine e sostanza, che abbiano tuttavia, allorch� inerenti a 
fattispecie radicate su di un mero controllo cartolare, a trovare loro 
spiegazione funzionale e correlato senso tecnico nello svolgersi di situazioni 
concrete pur diverse, ma riconducibili onnicomprensivamente alla 
ratio di legge, ostativa comunque, ricorrendo la certezza documentale ai 
fini del versamento in termini, alle irrogande sanzioni pecuniarie. 

Il che comporta, indubbiamente, la collocazione paritaria delle varie 
situazioni, per gli scopi di cui � causa, non potendosi, pertanto, ravvisare 
inciso dalla norma l'art. 3 della Costituzione (e meno ancora il successivo 
art. 53, sul quale -peraltro -la relativa ordinanza non ha portato 
argomentazione di sorta). 

V 

L'ordinanza della Commissione tributaria di Bassano, pur impugnando 
norme emanate dal legislatore delegato, in realt� rivolge censura d'illegittimit� 
costituzionale esclusivamente e direttamente all'art. 10, comma 
secondo, n. 11 della legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, per 
asserita incompatibilit� nei confronti degli artt. 23 e 76 Cost. Afferma 
testualmente l'ordinanza che i decreti delegati �visti a monte, cio� i 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

in rapporto alla legge di delegazione n. 825/71, art. 10, punto 11, vanno 
censurati perch� tale legge appare viziata di validit� costituzionale. 

(omissis). 

Analoga questione propone anche la Commissione tributaria di 
Belluno. 

Tutto ci� precisato, deve qirsi che la sollevata questione non � fondata. 
� da escludersi, infatti, che -come sostiene il giudice tributario la 
delega in parola possa essere addirittura definita � in bianco � perch� 
attribuirebbe al potere delegato � un illimitato potere di scelta dei tipi 
di sanzione utilizzabili per punire gli illeciti, e di classi:ficazone dei fatti 
cui estende l'applicazione�: e ci�, in quanto indeterminati o assenti sarebbero 
i criteri direttivi. 

Come questa Corte ha rilevato in sentenza, n. 111 del 1986, occorre 
guardarsi da prospettive particolari che, avulse dal contesto del complesso 
generale del sistema, danno un concetto erroneo e riduttivo dei princ�pi 
fissati dal l~islatore delegante. Questi, infatti, ha assegnato al potere 
delegato un compito ben preciso, consistente nell'adeguazione della preesistente 
disciplina delle sanzioni tributarie alla riforma che Ja legge 
delega prefigurava. Ma non � vero che nella scelta dei precetti da sanLionare 
e in quella delle sanzioni da adottare il legislatore delegante non 
abbia indicato criteri e non abbia posto limiti al Governo. Quelle scelte, 
infatti, restano subordinate ad un preciso criterio indicato nella delega: . 
quello, cio�, di commisurare e graduare le sanzioni alla entit� delle 
violazioni, al fine di adeguare alla riforma la disciplina della situazione 
preesistente; e ci� nella prospettiva di un perfezionamento del sistema 
sanzionatorio. 

Costretto, pertanto, fra scelte obbligate su oggetti predeterminati e 
precisi criteri di scelta, non si pu� affermare che il Jegislatore delegato 
non abbia,, la strada segnata da princ�pi e criteri direttivi: giusta le 
indicazioni del dettato costituzionale. 

Deve dirsi, infine, che inconferente � il riferimento all'art. 23 Cost., 
essendo pacifico, per la stessa ordinanza di rimessione, che le prestazioni 
di cui ivi si parla sono nella specie stabilite per Jegge. 

Con le ordinanze delle Commissioni tributarie di Imperia e di 
Belluno si lamenta, ancora, che l'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973 

n. 600, non abbia .rispettato i princ�pi e i criteri dettati dall'art. 10, 
comma secondo, n. 11 de1la legge delega pi� volte citata, per tal modo 
violando gli artt. 76 e 77 Cost. La Commissione di Imperia fa inoltre 
riferimento all'art. 55 del d.P.R. n. 600 che violerebbe la legge di delegazione 
e si porrebbe anche in contrasto con l'art. 3 Cost. La situazione di 
fatt� � coi::riune alle due ordinanze ed � rappresentata dalla mancata presentazione 
della dichiarazione di sostituto d'imposta sul mod. 740, nonostante 
fossero state effettuate le ritenute, tuttavia regolarmente versate 
all'erario. 

112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sostengono i remittenti che le sanzioni previste per siffatte situazioni 
violerebbero i criteri dettati dal citato articolo de11a legge delega 
perch�, lungi dal commisurare le sanzioni stesse alla effettiva entit� 
oggettiva e soggettiva delle violazioni, il legisl�tore delegato avrebbe 
comminato una non diversificata sanzione tanto per il caso in esame 
quanto per� quello in cui la ritenuta d'acconto non fosse stata effettuata 
o, se effettuata, non fosse stata versata. 

Rilievo che, per verit�, sembrerebbe prima facie avere un qualche 
fondamento, quando per� non si rifletta alla ratio cui sono ispirati ~i 
obblighi che la legge impone al sostituto d'imposta. 

La dichiarazione, infatti, prevista nel mod. 770, non mira soltanto 
ad assicurare all'Erario la quota che il sostituto trattiene al sostituito, 
ma ha altres� valore cognitivo, in quanto consente agli uffici di apprendere 
che il sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli conseguentemente 
in grado di verificare l'esistenza e l'entit� delle dichiarazioni che 
egli a sua volta � obbligato a rendere, ed eventualmente a procedere 
agli accertamenti del caso. 

Sotto questo riguardo, quindi, non si tratta -come si sostiene di 
una mera violazione formale, ch� anzi essa riveste un notevole rilievo 
sostanziale, tale da corrispondere ai princ�pi di adeguata commisurazione 
in relazione alla situazione di pericolo che l'omissione viene a determinare 
per gli interessi dell'Erario. Peraltro, il giudice tributario ben pu� tenere 
conto, nella determinazione della pena in concreto, anche dei princ�pi 
dettati dall'art. 54 dello stesso decreto che fa riferimento alla gravit� 
del danno o del pericolo e alla personalit� dell'autore. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 aprile 1986, n. 88 � Pres. Paladin -Rel. 
Ferrari -S.p.A. So.Chi.mi.si., I.N.A.I.L. (avv. Napulitano) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Imponente). 

Corte Costituzionale � Nonne integrative per i giudizi -Processo costi-. 
tuzionale � Inapplicabilit� delle nonne sulla estinzione. 

Le norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale 
sono svolgimento ed integrazione della legge ordinaria n. 87 del 1953, 
a sua volta svolgimento ed integrazione delle leggi costituzionali n. 1 
del 1948, e n. 1 del 1953. 

(omissis) Preliminare all'esame del merito � la eccezione di cessazione 
della materia del contendere, proposta dalla difesa dell'INAIL. .. 
Si sostiene che la lite si sarebbe estinta in pendenza del giudizio costituzionale, 
dato che � a seguito della legge regionale siciliana 28 dicembre 
1979, n. 256 (art. 18) nonch� della legge statale n. 155 del 1981 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

(condono delle sanzioni in materia di pagamento contributi e preml 
assicurativi), i crediti dell'Istituto sono stati onorati�, Vero � -si 
soggiunge -che, a sensi dell'art. 22 delle Norme integrative per i giudizi 
davanti alla Corte costituzionale, � le norme sulla... estinzione del processo 
non si applicano ai giudizi davanti alla Corte costituzionale neppure 
nel caso in cui, per qualsiasi causa, sia venuto a cessare il giudizio 
rimasto sospeso davanti all'autorit� giurisdizionale, che ha promosso il 
giudizio di legittimit� costituzionale�, ma vero altres� che trattasi di 
� una norma interna di carattere di regolamentazione processuale�, che 
non pu� �� superare il disposto della legge �, la quale richiede che le 
questioni di legittimit� costituzionale siano rilevanti, prima che non 
manifestamente infondate. E la Corte nel caso di specie, non potrebbe, 
in conseguenza delle leggi test� menzionate, non rinviare la questione al 
giudice a quo per il riesame della rilevanza, stante che questa va valutata, 
al pari di quanto accade nell'ipotesi di jus superveniens, � al momento 
della decisione di costituzionalit� �. 

L'eccezione va rigettata. Le norme integrative per i giudizi davanti a 
questa Corte sono, coine del resto esplicitamente dice Jo stesso titolo 
dell'atto normativo in parola, svolgimento ed integrazione della I. 11 marzo 
1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte 
costituzionale e successive modificazioni), Ja quale a sua volta � svolgimento 
ed integrazione delle leggi costituzionali 9 febbraio 1948, n. 1 (norme 
sui giudizi di legittimit� costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza 
della Corte costituzionale) e 11 marzo 1953, n. 1 (norme integrative della 
Costituzione concernenti la Corte costituzionale). E come la suddetta 
legge ordinaria, disponendo (art. 23) che, per potersi sollevare questione 
di legittimit� costituzionale, occorre che � il giudizio non possa essere 
definito indipendentemente dalla risoluzione � di essa, ha introdotto il 
requisito della rilevanza, che non era previsto, n� dalla Costituzione, n� 
dalle due summenzionate leggi costituzionali, cos� l'art. 22 delle norme 
integrative adottate da questa Corte ha coerentemente statuito su un 
tema non previsto dalla legge n. 87 del 1953, cio� in ordine agli effetti 
dell'estinzione del processo sui giudizi rimasti sospesi davanti al giudice 
che ha promosso il giudizio di legittimit� costituzionale. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1986, n. 108 -Pres. Paladin -Rel. 
Saja -De Santis (avv. Barile, Marino, Stendardi e Caruso), Pugno 
(avv. Lo Cascio, Barile, Stendardi) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Baccari e avv. Stato Cosentino). 

Locazione -Immobili adibiti ad uso non abitativo -Proroga e rinnovazione 
unilaterale � ex lege � dei contratti -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 41 e 42; legge 25 luglio 1984, n. 377, art. 2; d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, 

conv. con legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1). 


114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corte Costituzionale � Caducazione di disposizione costituzionalmente 
illegittima � Produce caducazione anche dell'effetto di abrogazione. 

La funzione sociale della propriet� privata esprime il dovere di 
partecipare alla soddisfazione di interessi generali; sono costituzionalmente 
illegittime sia la disposizione (art. 2 legge n. 317 del 1984) di proroga 
legale fino al 31 dicembre 1984 dei rapporti locativi in corso aventi ad 
oggetto immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, sia la disposizione 
(art. 1 d.l. n. 12 del 1985 come convertito con l. n. 118 del 1985) 
attributiva al conduttore di un � diritto al rinnovo � del contratto avente 
ad oggetto uno dei predetti immobili (1). 

La caducazione di una disposizione per illegittimit� costituzionale 
importa il ripristino della norma da detta disposizione precedentemente 
abrogata, e quindi travolge anche l'effetto di abrogazione che essa aveva 
prodotto (2). 

(omissis) I provvedimenti di rimessione concernono i rapporti di 
locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, in 
corso al momento di entrata in vigore della I. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. 

(1) La sentenza in rassegna conferma -e giustamente -che l'art. 41 Cost. 
� �non pertinente alla materia �; il che -lo si osserva per inciso -dovrebbe 
definitivamente delegittimare le pressioni degli �operatori � interessati ad una 
qualificazione (ai fini I.V.A.) come �attivit� di impresa� del pi� o meno � abituale 
" dare immobili in locazione o affitto. La sentenza poggia su due parametri 
costituzionali e precisamente sull'art. 3 primo comma Cost. e sull'art. 42 secondo 
comma Cost.; non del tutto chiaro � per� l'equilibrio tra queste � due gambe �. 
Il parametro offerto dall'art. 3 Cost. appare pi� idoneo a cogliere i sostanziali 
effetti economici di �.una proroga (ex lege) generalizzata ed indifferenziata�: 
posto che i prezzi dei beni e servizi prodotti o distribuiti negli immobili sottoposti 
a proroga (e quindi meno �costosi�) sono determinati dall'incontro della 
domanda e dell'offerta di specifici beni e/o servizi sul mercato (e non dai maggiori 
o minori costi di produzione o distribuzione), l'intervento del � principe � a 
favore di taluni conduttori "--e persino a favore di tutti i conduttori -si risolve 
nell'attribuzione a costoro di super-profitti (ed eventualmente di plusvalori) 
�non guadagnati �. Il ricorso al parametro offerto dall'art. 42 Cost. si colloca 
invece nella scia di un atteggiamento tradizionale della giurisprudenza non 
solo costituzionale e non solo italiana (cfr. Mc AusLAN, The ideologies of planning 
law, 1980, Pergamon, 4): il diritto di propriet� � uno strumento giuridico 
� facile �, una sorta di passe-partout fin troppo agevolmente utilizzabile per risolvere 
i conflitti intersoggettivi ai quali -con una buona dose di �inerzia� concettuale 
(e di pi� o meno confessato conservatorismo politico) -sono assimilati 
i conflitti tra singoli e collettivit�; in realt�, un uso pi� affinato, misurato 
e critico dello strumento diritto di propriet� parrebbe auspicabile specie a livello 
di giudizio costituzionale. 
(2) La seconda massima merita una particolare sottolineatura. La Corte Costituzionale 
ha, nella sentenza 23-4-1974 n. 107 (punto 8) e nella sentenza in rassegna 
(punto 1), affermato il principio che la caducazione per illegittimit� costituzionale 
di una disposizione legislativa travolge anche l'effetto di abrogazione I 
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115

PARTE 1, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

legge sull'equo canone). La quale, al fine di regolare il graduale passaggio 
dal precedente regime vincolistico a quello libero, dispose, relativamente 
ai rapporti gi� soggetti a proroga, un'ulteriore proroga di quattro, 
cinque o sei anni, a seconda che i contratti fossero stati stipulati 
prima del 31 dicembre 1964 o tra il 1� gennaio 1965 e il 31 dicembre 1973 
ovvero successivamente a quest'ultima data (art. 67 cit., primo comma, 
lett. a), b) e e)); mentre, di quelli in corso non soggetti a proroga, 
stabill la protrazione coattiva di durata pari a quella prescritta per i 
nuovi contratti dagli artt. 27 e 42, primo comma (art. 71 I. cit.). 

Successivamente, con l'art. 15-bis del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, 
come convertito nella l. 25 marzo 1982, n. 94, fu disposta per i contratti 
di cui al citato art. 67 un'altra proroga di due anni, presa in esame da 
questa Corte con la sent. n. 89 del 1984, alla quale si far� pi� volte 
riferimento. 

In seguito, � sopravvenuta la I. 25 luglio 1984, n. 377, che nell'art. 2, 
secondo comma, ha statuito che le scadenze dei contratti di cui all'art. 67, 
primo comma, lett. a) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (ossia i contratti 

che la stessa aveva prodotto sulla normativa previgente; dal che consegue il 
" ripristino � di detta normativa. La affermazione, oltre che rilevante per la autorevolezza 
della Corte da cui proviene, � anche palesemente esatta. L'effetto di 
abrogazione � conseguenziale al sovrapporsi sulla normativa previgente della 
nuova disciplina ritenuta dal legislatore ordinario pi� consona alle mutate esigenze 
della collettivit�. Se questa nuova disciplina � dichiarata incostituzionale 
viene meno l'intero intervento modificativo dell'ordinamento, senza che possa 
separarsi e lasciar sopravvivere uno degli effetti dell'intervento stesso. N� pu� 
distinguersi -identiche essendo la � ratio " e la dinamica dell'effetto di abrogazione 
-tra l'ipotesi in cui esso sia implicitamente prodotto e l'ipotesi in cui 
esso � prodotto da disposizione esplicita � ad hoc�; in questa seconda ipotesi 
se la Corte Costituzionale non provvede quanto meno ai sensi dell'art. Zl della 
legge 11 marzo 1953, n. 87 (eventualmente anche ex art. 21 delle norme integrative 
16 marzo 1956), la relativa questione pu� essete esaminata dal giudice 
ordinario (in senso lato). 

Va pertanto aggiunto che non in tutte le situazioni il criterio di massima 

test� enunciato pu� essere seguito. Ogni meccanicismo in un argomento delicato 

quale quello in esame sarebbe poco congruo. Pu� cos� accadere che, per il con


tenuto stesso della sentenza dichiarativa della illegittimit� costituzionale e/o 

per il contesto normativo circostante la disposizione caducata, in luogo dell'ef


fetto di � ripristino � anzidetto si produca un effetto di espansione di altre 

disposizioni per cos� dire potenziate dalla pronuncia della Corte. 

Applicando quanto dianzi osservato ad un problema per l'Avvocatura di 

notevole importanza, sembra che -non sussistendo elementi che ne impedi


scano l'operare -il criterio di massima enunciato dalla Corte possa essere uti


lizzato per sostenere che -per quanto le disposizioni in tema di determinazione 

delle indennit� di espropriazione siano state caducate dalla sentenza Corte Cost. 

n. 5 del 1980 (e dalla sentenza n. 223 del 1983) -si � avuto ripristino delle disposizioni 
previgenti, non escluse quelle prescriventi l'applicabilit�, in vista della 
realizzazione di determinate categorie di opere, degli artt. 12 e 13 della legge 
�per Napoli � 15 gennaio 1885, n. 2892. 

116 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stipulati anteriormente al 31 dicembre 1964) erano prorogate sino al 31 
dicembre 1984: ed � contro questa disposizione che si appunta il sospetto 
di illegittimit� costituzionale del pretore di Bettola, sul rilievo che la 
nuova proroga sarebbe in contrasto con le norme degli artt. 42, 41 e 3 
della Costituzione. Infine � intervenuto il d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito 
nella legge 5 aprile 1985, n. 118, la quale nell'art. 1, comma 9-bis, 
tra l'altro: 1) ha disposto il rinnovo ex lege dei ricordati contratti previsti 
dagli artt. 67 e 71 cit. 1. n. 392 del 1978 per i periodi di cui all'art. 27 
di questa stessa legge (sei anni ovvero nove in caso di industrie alberghiere); 
2) ha fissato la nuova misura del canone sulla base di quello 
iniziale, rivalutato con le variazioni accertate dall'ISTAT dell'indice dei 
prezzi al consumo e aggiornato a partire dal secondo anno nella misura 
del 75 % delle variazioni stesse; 3) ha stabilito che al rinnovo non si fa 
luogo nel caso in cui il locatore abbia la necessit� di riottenere la disponibilit� 
dell'immobile per uno dei motivi indicati nell'art. 29 cit. 1. n. 392 
del 1978, regolando l'indennit� spettante al conduttore per la perdita 
dell'avviamento sulla base del canone corrente di mercato. 

Tale norma costituisce l'oggetto dell'impugnazione di tutte le altre 
ordinanze di rimessione, le quali, oltre a formulare in via preliminare 
due rilievi di cui si dir� in prosieguo, deducono fondatamente che il rinnovo 
imposto sarebbe in realt� una proroga del precedente rapporto 
locativo, anch'essa in contrasto con le ricordate disposizioni degli artt. 42, 
41 e 3 Cost. Non manca in verit�, tra i detti provvedimenti, qualche lieve 
differenza, tuttavia non rilevante, essendo stato impugnato da alcuni 
giudici a quibus integralmente il disposto del cit. art. 1, comma 9-bis, 
il cui contenuto va pertanto esaminato nella sua interezza con riferimento 
ai parametri sopra ricordati. 

Alcune ordinanze peraltro denunciano anche i commi 9-ter, 9-quater 
e 9-quiquies, che regolano, nell'ambito della normativa in oggetto, la 
disdetta del locatore, l'efficacia dei provvedimenti di rilascio e i giudizi 
in corso: censure, queste, su cui logicamente influir� la decisione della 
questione principale nel caso in cui essa venga ritenuta fondata. 

Cosi precisati il quadro normativo e l'oggetto del giudizio, ritiene 
utile la Corte muovere da una premessa di carattere comune alle questioni 
soll�vate, richiamando la sua precedente giurisprudenza, con la 
quale ha reiteratamente osservato come i limiti legali al diritto di 
propriet�, previsti dall'art. 42 Cost. al fine di assicurarne la funzione 
so�iale, consentano di ritenere Iegittima la disciplina vincolistica, a condizione 
che essa abbia un carattere straordinario e temporaneo (cfr., 
tra le altre, le sentt. n. 3 e 225/1976). Pertanto ha insistentemente rivolto 
invito al legislatore a non dare alla detta disciplina un carattere di ordinariet� 
che ne avrebbe compromesso l'aderenza ai princ�pi costituzionali: 
invito accolto con la ricordata 1. n. 392 del 1978, la quale ha posto una 
nuova e permanente regolamentazione del contratto di locazione di im




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

mobili urbani ed ha altres� disciplinato transitoriamente il graduale passaggio 
dal vecchio regime vincolistico a quello da essa introdotto, conferendo 
maggior rilievo all'autonomia privata. 

Successivamente a detta normativa, la Corte con la sentenza n. 89 
del 1984, specificamente attinente ai rapporti locativi degli immobili ad 
uso non abitativo, ha ritenuto che sfiorasse il limite della legittimit� 
costituzionale la ricordata proroga concessa con l'art. 15-bis cit. 1. n. 94 
del 1982, avvertendo che non ne sarebbero state ammissibili altre successive, 
giacch� esse sostanzialmente avrebbero perpetuato quel regime 
vincolistico, incompatibile -se ulteriormente protratto dopo vari decenni 
di vigenza -con la tutela attribuita al diritto di propriet� dalla 
Carta fondamentale. 

Ci� posto, osserva la Corte, rispetto alla prima questione (quella 
sollevata dal pretore di Bettola), che l'art. 2 1. n. 377 del 1984 prevede 
senza alcun dubbio una proroga legale in quanto dispone la protrazione 
coattiva del precedente rapporto locativo oltre il termine finale pattuito 
dalle parti. In tal senso � concorde l'orientamento della giurisprudenza 
e de11a dottrina, le quali correttamente richiamano la formulazione 
l�tterale usata (�le scadenze... sono prorogate... �), nonch� l'intenzione del 
legislatore, resa palese dai lavori preparatori, �nei quali si fa sempre 
riferimento all'istituto predetto. Del resto, ci� � ammesso incondizionatamente 
anche dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, pur aderendo 
in linea di principio al contenuto della sent. n. 89/1984, deduce che 
tuttavia nella specie non potrebbe ravvisarsi un'illegittima cqmpressione 
della posizione del proprietario a causa della limitata durata della proroga 
(sei mesi) stabilita dalla richiamata legge 377 del 1984. 

La Corte non ritiene per� di poter condividere tale deduzione, e ci� 
per un duplice ordine di motivi. 

� intuitivo infatti come non possa escludersi la violazione di un 
diritto costituzionalmente garantito, � sol perch� essa � temporalmente 
limitata. La nostra Costituzione dispone che � la propriet� privata � 
riconosciuta e garantita dalla legge� (art. 42, secondo comma), in armonia 
peraltro con un principio generalmente condiviso e sancito anche 
nell'art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata 
alla unanimit� da tutti gli Stati aderenti all'ONU, secondo cui: �ogni 
individuo ha diritto di avere una propriet� personale o in comune con 
altri; nessun individuo pu� essere arbitrariamente privato della sua 
propriet��. Non � consentito perci� al legislatore ordinario intervenire 
liberamente su tale posizione soggettiva, che pu� essere legittimamente 
compressa sol quando lo esiga il limite della � funzione sociale �, considerato 
nello stesso precetto costituzionale poc'anzi ricordato: funzione 
sociale, la quale esprime, accanto alla somma dei poteri attribuiti al 
proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla soddisfazione 
di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di 


118 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

propriet� oome viene modernamente intesa e come � stata recepita dalla 
nostra Costituzione. Conseguentemente non ha fondamento la ricordata 
eccezione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui, in sostanza, non potrebbe 
considerarsi violazione del precetto costituzionale la compressione 
della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata sol perch� temporanea. 


Anche se limitato nel tempo, l'intervento legislativo risulta Jegittimo 
unicamente se ricorrono le condizioni poste dalla Costituzione, il che 
nella specie non � neppure dedotto, facendosi leva esclusivamente sull'entit� 
temporale della proroga. 

Ma, oltre a ci�, va osservato che il riferimento dell'Avvocatura dello 
Stato alla brevit� del termine in questione non � per nulla esatto. La 
proroga de qua, infatti, non pu� essere considerata isolatamente, avulsa 
cio� dal quadro normativo generale, nell'ambito del quale, in effetti, essa 
funziona come presupposto di un'ulteriore e lunga protrazione del rapporto, 
autoritativamente imposta. Per vero, la stessa � stata seguita 
dal d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, che nell'art. 1, comma 8; ha prorogato gli 
stessi contratti considerati dalla I. n. 377 del 1984 di altri sei mesi, mentre 
la legge di conversione n. 118 del 1985 (art. 1, comma 9-bis) ha disposto 
anche il �rinnovo� dei medesimi negozi (e di quelli indicati alle lettere 
b) e e) del gi� cit. art. 67 I. n. 392 del 1978). Rinnovo che, al di l� 
dell'espressione letterale adoperata, come tra breve si dir�, costituisce 
un'altra vera e propria proroga legale, rispetto alla quale la ricordata 
disposizione dell'art. 2 t n. 377 del 1984 costituisce appunto il momento 
preliminare, essendo noto come, secondo la giurisprudenza ordinaria, la 
proroga (o il rinnovo) ha per indefettibile presupposto la pendenza del 
rapporto e non � quindi ammissibile quando questo si � comunque esaurito: 
il che si sarebbe verificato nella specie senza le due proroghe semestrali 
sopra indicate. 

Portando ora J'esame sul cit. art. l, comma 9-bis I. n. 118 del 1985, 
la cui legittimit� costituzionale � messa in dubbio in tutti i rimanenti 
provvedimenti di rimessione,... (omissis) ... rileva la Corte che, durante i 
lavori preparatori della norma in esame, espressamente fu ripetuto che 
la nuova regolamentazione intendeva uniformarsi rigorosamente al principio 
enunciato nella pi� volte ricordata decisione n. 89 del 1984, principio 
che non venne affatto messo in discussione. La norma, pertanto, 
non era diretta.-sempre secondo i lavori preparatori -a disporre una 
nuova proroga, ma perseguiva una finalit� diversa, ossia quella di inserire 
i rapporti di locazione non abitativa ancora in corso (comprendendovi, 
oltre ai contratti indicati nell'art. 67, anche quelli di cui all'art. 71, 
non considerati nella I. n. 94 del 1982) nel regime ordinario della cit. 

1. n. 392 deJ 1978, attraverso l'istituto della rinnovazione, proprio di 
quest'ultima legge (artt. 27, 28 e 29). 

PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Senonch� non sembra alla Corte che la normativa de qua consenta di 
considerare realizzato l'intento suddetto, cos� sul piano giuridico-formale 
come su quello dell'assetto sostanziale degli interessi, dovendosi invece 
ritenere che essa ha introdotto per J'appunto un'ulteriore proroga dei 
precedenti rapporti locativi. 

Da ci� muove la denuncia delle ordinanze di rimessione, seguite, nelle 
more� di questo giudizio, da numerose altre (tra cui una, di particolare 
rilievo, della Corte di cassazione), di contenuto analogo a quelle in epigrafe, 
e non incluse in questo giudizio solo per non essere state ancora 
compiute tutte fo formalit� prescritte dalla legge. 

Non potendosi ritenere, a rigor di termini, che sussista sulla norma 
impugnata un'interpretazione consolidata, in quanto l'esperienza giurisprudenziale 
risulta esclusivamente dagli stessi provvedimenti di rimessione, 
ed essendo l'elaborazione dottrinale, d'altra parte, contenuta in 
limiti estremamente ristretti, non pu� la Corte non soffermarsi sull'oggetto 
della suddetta disposizione attualmente sottoposta al suo esame. 

Al riguardo, va preliminarmente ricordato, -anche se l'argomento 
non ha peso decisivo -che la rubrica dell'impugnato art. 1 contiene 
l'espressione � proroga dei contratti... �, � ben vero che le espressioni 
dei titoli e delle rubriche non hanno forza cogente per l'interprete, ma 
�'altrettanto vero che esse non possono considerarsi completamente prive 
di significato, soprattutto quando, come nella specie, vi era aJ. fondo 
un problema di scelta legislativa, con i conseguenti riflessi anche di 
carattere terminologico. 

Comunque, di grande e decisiva importanza risulta la giuridica impossibilit� 
di porre sullo stesso piano la cosiddetta rinnovazione di cui al 
cit. art. l, comma 9-bis, e quella prevista dalla disciplina ordinaria 
(artt. 28 e 29 cit. I. n. 392 del 1978). Quest'ultima, invero, � caratterizzata 
dal fatto che le parti, nel momento in cui manifestano la volont� di stipulare, 
hanno contezza (e vogliono) che il rapporto, alla scadenza, si 
rinnover� ove si verifichi un determinato fatto o atto� (generalmente: la 
mancata disdetta). Nel caso in esame, per contro, la protrazione della 
durata del contratto � coattivamente imposta al locatore durante la 
pendenza del rapporto, sicch� la rinnovazione prescinde dalla sua volont� 
ed anzi pu�. ritenersi, secondo l'id quod plerumque accidit, che sia in 
contrasto con la medesima: con l'ovvia conseguenza che la formula letterale 
� nettamente smentita dall'essenza dell'istituto, nel quale deve 
chiaramente ravvisarsi la suddetta protrazione �coattiva, ossia proprio 
quella proroga legale che in sede di formazione della legge si era espressamente 
dichiarato di voler ripudiare. E pu� aggiungersi che un elemento 
di conferma si ricava dallo stesso contesto della previsione normativa 
(� ... il conduttore ha diritto al rinnovo... �), chiaramente espres.siva della 
particolare posizione di soggezione del locatore e tipica della legislazione 
vincolistica, mentre rispetto alla rinnovazione prevista dalla � disciplina 


120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

comune le due parti sono poste su un piano paritetico (art. 28: � ��.il 
contratto si rinnova tacitamente... �). 

N� vale opporre l'aumentata entit� del canone, il quale non corrisponde 
per� a quello di mercato, come invece � previsto (ben s'intende, 
per gli immobili destinati ad uso diverso dell'abitazione) nella disciplina 
dettata dalla legge n. 392/1978, ma � fissato dalla norma denunciata 
in misura assai spesso inferiore, mediante il ricorso ,all'artificioso meccanismo 
che prende a base il canone iniziale, rivalutato secondo gli 
indici ISTAT dei prezzi al consumo; questo meccanismo si presenta 
anche viziato da evidente irrazionalit� per la frequente eventualit� che le 
zone in cui si trovano gli immobili abbiano subito profonde modificazioni 
urbanistiche, con conseguenti mutamenti nel volume del traffico 
commerciale, sicch� il canone a suo tempo convenuto non risulta pi� 
neppure approssimativamente indicativo della nuova realt� economicosociale 
(di sviluppo ovvero di degrado). 

L'impossibilit�, infine; di considerare la normativa in esame come 
mezzo realmente diretto a ricondurre i contratti nella disciplina comune 
� resa pi� evidente dalla circostanza che la facolt� di non rinnovare il 
contratto, nel caso in cui il locatore � intenda � riottenere l'immobile 
per uno dei motivi di cui all'art. 29 1. n. 392/1978, � stata notevolmente 
ristretta, richiedendosi dalla legge impugnata che ricorra l'estremo della 
� necessit��: previsione, questa, tipica del regime vincolistico e perci� 
estranea al principio di autonomia negoziale, che, come s'� detto, caratterizza, 
pur con sensibili limitazioni, la citata legge del 1978. 

Da tutto ci� si trae il sicuro convincimento che la disciplina denunciata 
non pu� essere considerata come diretta a stabilire una regolamentazione 
riconducibile alla normativa comune, dovendosi, per contro, 
ravvisare la reintroduzione di una nuova proroga, pur essendo stato inequivocabilmente 
riconosciuto durante i lavori preparatori, come gi� s'� 
ricordato, che il ricorso ad essa sarebbe stato costituzionalmente illegittimo. 


Ci� detto, ritiene la Corte di dovere formulare due ulteriori considerazioni. 
Da qualche parte si � affermato, peraltro in modo generico 
e assiomatico, che una disciplina come quella impugnata' avrebbe impe~ 
dito l'aggravarsi della disoccupazione che, altrimenti, si sarebbe verificata 
nell'ambito delle varie attivit� d'impresa e professionali. 

Per contro, costituisce comune dato di esperienza che negli anni successivi 
a quello di emanazione della legge sull'equo canone (1978) vi � 
stato un notevolissimo aumento dell'attivit� imprenditoriale relativa alla 
fornitura di servizi, nuovi o tradizionali, resi dal mercato (e la diminuzione 
di quelli prestati dallo Stato e dagli enti pubblici) con il continuo 
sviluppo del settore economico cosiddetto terziario: il che ha comportato 
necessariamente l'esigenza di prendere in locazione gli immobili necessari 
per l'esercizio delle relative attivit� (locazioni stipulate sulla base 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDBNZA COSTITUZIONALE 

del canone di mercato, secondo la citata legge n. 392 del 1978), senza 
che ci� abbi:a ostacolato ovvero costituito remora al ricordato sviluppo 
imprenditoriale. 

Va inoltre rilevato che due ampie categorie di conduttori gi� operano 
con il canone corrente di mercato. Oltre a tutti quelli (e non sono 
pochi, in relazione a quanto ora detto) che hanno stipulato i contratti in 
questi ultimi otto anni, ossia successivamente all'entrata in vigore della 
legge n. 392 del-1978, si tratta altresl di coloro che, in numero niente 
affatto trascurabile, a seguito di tale legge hanno raggiunto accordi con i 
locatori, sicch� i relativi contratti sono ora assoggettati al regime 
ordinario. 

Pertanto, la disciplina denunciata, lungi dal sacrificare legittimamente 
il diritto di propriet� per la tutela di interessi generali, si risolve obiettivamente, 
e di sicuro contro l'intenzione del legislatore, nell'attribuzione 
di un lucro ad esclusivo favore del limitato numero di conduttori a cui 
essa si applica. 

Da tutte le osservazioni ora formulate discende chiaramente come 
le proroghe disposte dalle norme censurate non possano pi� trovare 
giustificazione in un quadro normativo che, superato il lungo periodo 
di emergenza, dal quale era scaturita l'esigenza della legislazione eccezionale 
vincolistica, aveva riportato dopo vari decenni (con la 1. n. 392 
del 1978) la materia nel regime ordinario. 

Il periodo transitorio stabilito dagli artt. 67 (con il successivo ampliamento. 
di cui all'art. 15-bis 1. n. 94 del 1982) e 71 era stato fissato con 
dimensioni tali da permettere un'ulteriore durata, eccezionalmente ampia, 
della disciplina vincolistica. Sicch� le ulteriori proroghe, e in particolare 
quella ex art. 1, comma 9-bis, in effetti si risolvono nell'irrazionale 
ripristino della legislazione eccezionale e temporanea e perci� offendono 
la coerenza dell'ordinamento, di cui la nuova legge del 1978 forma ormai 
parte integrante, in sostituzione della corrispondente normativa codicistica: 
ne risulta violato il diritto che la Costituzione, nell'art. 42, ha inteso 
riconoscere e proteggere da interferenze non giustificate da quella necessit� 
di tutelare un interesse generale, che integra il limite della funzione 
sociale della propriet� stessa. 

Non �, per contro, pertinente alla materia qui esaminata la tutela 
dell'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), che pure � stata invocata 
giacch� -come la Corte ha pi� volte osservato (sentt. n. 252 del 1983, 
89 del 1984, ord. n. 87 del 1985) -non � ravvisabile alcuna attivit� di 
impresa del locatore. 

D'altronde, non pu� la Corte esimersi dal rilevare che la disciplina 
impugnata risulta anche in contrasto con l'art. 3 Cost. Valgono in proposito 
le considerazioni svolte nel precedente paragrafo n. 8 e si deve 
inoltre aggiungere che tale disciplina pone una proroga llener.afo.zata ed 
indifferenziata, senza una previa valutazione comparativa delle condi



RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO

122 

zioni economiche del conduttore e del locatore: valutazione la quale 
sarebbe stata invece indispensabile per intuitive ragioni di giustizia 
sociale, del resto espressamente richiamate dalla Corte all'attenzione del 
legislatore (cfr. in particolare la sent. n. 3 del 1976). Dalle norme in esame 
pu� infatti conseguire, con evidente frattura del pi� elementare criterio 
logico, che, in mancanza di elementi discriminatori, categorie di con� 
duttori economicamente pi� forti si arricchiscano ai danni di categorie 
di locatori i quali si trovano in una posizione economica pi� debole: 
e ci� risulta in stridente contrasto con il principio di eguaglianza tutelato 
dal ricordato precetto costituzionale, che non consente sovvertimenti del 
genere, i quali si appalesano senza dubbio macroscopicamente irrazio


nali e contrari ai princ�pi della nostra Costituzione. 

Va quindi dichiarata l'illegittimit� costituzionale della norma impugnata 
dal pretore di Bettola, illegittimit� che, in applicazione dell'art. 27 

I. 11 marzo 1953, n. 87, si estende anche all'art. 1, commi 8 e 9, d.l. 7 febbraio 
1985, n. 12, convertito nella legge 5 aprile l985, n. 118, il quale ha 
ampliato la previsione normativa denunciata e conseguentemente risulta 
parimenti viziato. 
Deve poi essere dichiarata, in base alle precedenti osservazioni, 
l'illegittimit� costituzionale del comma 9-bis dell'art. 1, ora ricordato, 
nonch� dei commi 9-ter, quater e quinquies, pure impugnati dalle ordinanze 
di rimessione, i quali trovano il necessario presupposto nella disposizione 
viziata. 

La caducazione del comma 9-bis, espressamente abrogativo dell'art. 69 

l. n. 392/1978, importa, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. 
sent. n. 107 del 1974), il ripristino della norma precedentemente abrogata, 
daHa quale saranno di conseguenza regolati i rapporti giuridici !in essa 
considerati. 13 probabile che, nell'applicazione di tale norma, possano 
sorgere incertezze interpretative, essenzialmente derivanti dalla temporanea 
vigenza di quella attualmente annullata: in particolare, in materia 
di termini di decadenza potrebbe profilarsi il pericolo di un pregiudizio 
della parte che non abbia fatto valere tempestivamente (nei termini stabiliti 
nel testo originario del cit. art. ora ripristinato) le proprie ragioni, 
scusabilmente fondandosi sulla efficacia della norma ora dichiarata incostituzionale; 
pregiudizio che contrasterebbe certamente con lo spirito 
della presente pronuncia perch� lesivo delle posizioni soggettive, costituzionalmente 
rilevanti, qui considerate e tutelate. A tutto ci� non pu� 
ovviare questa Corte, per la sua posizione istituzionale, ma deve provvedere 
la giurisprudenza ordinaria, come gi� ha fatto recentemente in 
casi simili, salvo che se ne occupi il legislatore per adeguare in via 
normativa il sistema vigente alla presente decisione. 
La pronuncia di illegittimit� costituzionale non si estende ai commi 
9 sexies; septies et octies del cit. art. 1, in quanto essi contengono 
disposizioni che non si riferiscono affatto alle innovazioni dallo stesso 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

apportate ma concernono la regolamentazione ordinaria della locazione 
di immobili urbani per uso non abitativo. Precisamente, con il primo 
dei commi ora detti sono disciplinate diversamente le modalit� di 
revisione del canone, in sostituzione di quelle previste dall'art. 32 della 

1. n. 392 del 1978, mentre con gli altri due il legislatore ha inteso eliminare 
le incertezze ermeneutiche relative al criterio discriminatore, in 
tema di attivit� alberghiera, tra locazione di immobile, al quale si 
applica la ricordata 1. n. 392 del 1978, e affitto di azienda, a cui invece 
detta disciplina non sarebbe riferibile (sul punto, com'� noto, � stata 
peraltro eccepita da vari giudici una ingiustificata disparit� di trattamento): 
e ha fornito la definizione dei due tipi contrattuali, statuendo 
che � si ha locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i 
casi in cui l'attivit� alberghiera sia stata iniziata dal conduttore�. Tale 
norma, insieme a quellfl del comma 9 octies, che detta la disciplina 
transitoria della medesima materia, � chiaramente estranea all'oggetto 
di questo giudizio e pertanto non rimane coinvolta nella presente 
pronuncia. 
p.q.m. 
Dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 2, primo comma, legge 
25 luglio 1984, n. 377, dell'art. 1, commi 8 e 9, del d.l. 7 febbraio 1985, 

n. 12 convertito nella legge 5 aprile 1985, n. 118, e, dell'art. 1, commi 9 bis, 
9 ter, 9 quater e 9 quinquies, del cit. dl. 7 febbraio 1985, n. 12 convertito 
nella legge 5 aprile 1985, n. 118. 
CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile 1986, n. 109 -Pres. Paladin -Rel. 
Saja -s.r.l. Imm. Nuova Argentea e Presidente Consiglio dei Mi:
p.istri (avv. Stato Baccari). 

Corte Costituzionale � Sentenza additiva � Quando � consentita. 
(Cost., artt. 3, 24 e 42; d.!. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1). 

La Corte costituzionale pu� emettere una sentenza additiva solo 
quando la soluzione adeguatrice consegua necessariamente al giudizio 
di legittimit�, e non sia frutto di scelta discrezionale tra una pluralit� 
di soluzioni. 

(omissis) Il Pretore di Milano dubita della legittimit� costituzion~
le dell'art. l, settimo comma, d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito nella 

1. 5 aprile 1985, n. 118, che prevede la decadenza dal beneficio della 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sospensione della esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili 
abitativi per gli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata 
ovvero agevolata (nonch� per gli acquirenti di alloggi di 
questa seconda categoria), in caso di morosit� protratta per oltre tre 
mesi nel pagamento del canone e degli oneri accessori. Ritiene il giudice 
a quo che la disposizione suddetta ... riferendosi espressamente ai 
soggetti suindicati, esclude dalla decadenza tutti gli altri conduttori: il 
che contrasterebbe con l'art. 3, primo comma, Cost., relativo al principio 
di eguaglianza, non sussistendo alcuna plausibile ragione di non estendere 
la perdita del beneficio della sospensione dell'esecuzione a tutti 
i conduttori, che si siano resi morosi. Solo nella prima delle due ordi 
nanze il Pretore indica quali parametri anche gli artt. 24 e 42 Cost., limitandosi 
peraltro ad affermare che la denunciata disciplina violerebbe 
anche le norme suddette. 

La questione, come posta dal giudice a quo, si appalesa inammissibile. 
L'ordinanza di rimessione � diretta invero ad una pronuncia con 
cui questa Corte, sopprimendo la limitazione soggettiva sopra ricordata, 
estenda la disposizione impugnata a tutti i conduttori di alloggi destinati 
ad abitazione. 

Ma una decisione additiva � consentita, com'� ius receptum, soltanto 
quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione 
discrezionale ma consegua necessariamente al giudizio di legittimit�, 
s� che la Corte in realt� proceda ad un'estensione logicamente 
necessitata e spesso implicita nella potenzialit� interpretativa del contesto 
normativo in cui � inserita la disposizione impugnata. Quando 
invece si profili una pluralit� di soluzioni, derivanti da varie possibili 
valutazioni, l'intervento della Corte non � ammissibile, spettando la 
relativa scelta unicamente al legislatore. Ora, nel caso in esame, le 
ordinanze di rimessione sollecitano, come gi� si � detto, l'estensione 
del contenuto della norma impugnata al di l� dei soggetti espressamente 
indicati. Ma ci� implica la necessit� di valutare se opportunamente 
oppure no la prevista decadenza � stata limitata a coloro che, 
godendo dei particolari vantaggi dell'edilizia sovvenzionata o agevolata, 
hanno correlativamente obblighi pi� rigorosamente sanzionati: e giova 
aggiungere che una siffatta distinzione trova un precedente nel nostro 
ordinamento, in quanto l'art. 103 r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia 
popolare ed economica, prevede la decadenza dal diritto all'alloggio in 
caso di morosit� protratta per due o tre mensilit� consecutive, a seconda 
che si tratti del pagamento delle rate d'ammortamento o di spese generali; 
mentre la risoluzione del contratto esige, in linea generale, che 
il giudice accerti preventivamente la � non scarsa importanza � dell'inadempimento 
stesso (art. 1455 cod. civ.). La Corte quindi dovrebbe svolgere 
un'opera propria della funzione legislativa, il che ovviamente non 
le � consentito .(omissis). 

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SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 5a sez., 22 gennaio 
1986, nella causa 250/84 -Pres. Everling -Avv. Gen. Verloren 
Van Themaat -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal 
Tribunale di Roma nella causa soc. Eridania Zuccherifici Nazionali 
s.p.a. c. Cassa Conguaglio Zuccheri e Min. Finanze e Tesoro -
Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Consiglio delle C.E. 
(ag. Sacchettini e Brautigam),e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). 

Comunit� europee � Organizzazione comune di mercato nei settore dello 
zucchero -Contributo alla produzione � Determinazione � Legittimit�. 
(Trattato CEE, artt. 7, 39 e 40; reg. CEE del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785, 

artt. 24 e 28). 

Il contributo imposto ai produttori di zucchero in base agli artt. 24 
e 28 del reg. CEE del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785/81, non � discriminatorio 
nei confronti dei produttori italiani, in quanto la ripartizione 
degli oneri � conforme al principio di specializzazione regionale, 
principio base del mercato comune, il quale esige che la produzione 
possa .essere effettuata nel luogo pi� adeguato dal punto di vista economico, 
ed � consona al principio della solidariet� dei produttori, dato 
che la produzione effettiva costituisce un criterio legittimo per valutare 
ad un tempo l'importanza economica dei produttori e gli utili che essi 
ricavano dal sistema. Il sistema di intervento e di cofinanziamento 
istituito dal regolamento per consentire lo smaltimento delle eccedenze 
a prezzo garantito � consono all'interesse di tutti i produttori di zucchero 
della Comunit�, compresi i produttori italiani, nell'ambito di un 
principio cardine del mercato comune secondo cui � impossibile determinare 
in esso le imprese o lo Stato membro responsabili di un'eventuale 
sovrapproduzione (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 11 novembre 1983, pervenuta in cancelleria 
il 23 ottobre 1984, il Tribunale di Roma ha sottoposto a questa 
Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni vertenti 
sulla validit� degli artt. 24 e 28 del regolamento del Consiglio 30 giu


(1) Per una soluzione similare, relativamente al prelievo di corresponsabilit� 
per il latte, cfr. la sentenza della Corte 9 luglio 1985, nella causa 179/84, 
BOZZETTI, in questa Rassegna, 1985, I, 756. 
4 



RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO

126 

gno 1981, n. 1785, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel 
settore dello zucchero (G. U. n. L 177, pag. 4). 

2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di un'azione 
esperita dalla Eri.dania Zuccherifici Nazionali S.p.A., da altre quindici 
imprese saccarifere italiane, dal Consorzio Nazionale Bieticultori e dall'Associazione 
Nazionale Bieticultori contro la Cassa Conguaglio Zucchero 
e i Ministeri italiani delle Finanze e del Tesoro. Gli attori nella 
causa principale hanno ricevuto nel 1982 domande di pagamento dei 
contributi sulla produzione dello zucchero a norma degli artt. 24 e 28 
del regolamento n. 1785/81. Essi chiedono al Tribunale di Roma di 
dichiarare non dovuti i contributi richiesti, in ragione dell'illegittimit� 
del predetto regolamento, e di condannare le amministrazioni convenute 
alla restituzione dei contributi gi� versati, maggiorati degli interessi. 
3. -Il Tribunale di Roma, considerando che la decisione della causa 
dipende dal se le suddette disposizioni del regolamento n. 1785/81 siano 
ono valide, ha sospeso il procedimento ed ha chiesto a questa Corte 
di pronunziarsi in via pregiudiziale sulle seguenti questioni: � 
�a) Se l'art. 28 del regolamento del Consiglio (CEE) n. 1785-81, 
ponendo1a carico dei produttori italiani un contributo per lo smercio 
dello zucchero a prezzo garantito, calcolato in base alle quote di produzione 
determinate dall'art. 24, sia illegittimo per violazione del divieto 
di discriminazioni previsto dagli artt. 7 e 40, n. 3, del Trattato, nonch� 
per contrasto con il principio di proporzionalit� in relazione alle finalit� 
previste dall'art. 39, n. l, lett. b), dello stesso Trattato; 

b) se l'art. 24 del regolamento n. 1785/81, nel determinare le 
quote italiane di produzione A e il rapporto tra quota A e quota B sia 
illegittimo perch� carente di motivazione in relazione all'art. 190 del 
Trattato�. 

4. -Nella motivazione dell'ordinanza di rinvio il giudice nazionale 
osserva che l'Italia � lo Stato membro con il rapporto pi� basso tra i 
consumi interni e la quota A (85 % contro la media comunitaria del 
101 % ed il massimo del. 194 % per il Belgio). Ne conseguirebbe che 
l'Italia pu� esportare sofo zucchero prelevato dalla quota B, con un 
contributo pari al 39,5 % del prezzo d'intervento, mentre gli altri Stati 
membri possono esportare anche zucchero prelevato dalla quota A con 
il minor contributo del 2 %. Questa situazione sarebbe in contrasto con 
l'art. 7 del Trattato. 

5. -Secondo il giudice nazionale sussiste anche una discriminazione 
tra produttori ai sensi dell'art. 40, n. 3, 2" comma, del Trattato. Innanzitutto, 
il rapporto tra i contributi sulle quantit� prelevate dalla quota B 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 127 

e le quantit� assegnate a detta quota per l'Italia sarebbe il pi� alto 
della Comunit� (138 Lit./kg. rispetto alla media comunitaria di 113 
Lit./kg'.). In secondo luogo, i costi fissi di produzione per le quantit� 
assegnate in quota A all'Italia sarebbero i maggiori della Comunit� 
perch� la produzione media italiana per stabilimento sarebbe la pi� 
bassa (293.333 quintali rispetto alla media comunitaria di 466.471 quintali). 
Inoltre, i contributi imposti ai produttori italiani sulla quota B 
sarebbero sproporzionati rispetto allo scopo di cui all'art. 39, n. 1, lett. b), 
del Trattato, che mira a garantire un tenore di vita equo alla popolazione 
agricola. 

6. -Infine, sempre secondo l'ordinanza di rinvio, il regolamento 
n. 1785/81 non � adeguatamente motivato perch� si limita, per quanto 
riguarda le quote di produzione, ad' affermare che i motivi che hanno 
portato alla loro istituzione restano tuttora validi, senza spiegare le 
ragioni dell'irrilevanza dei mutamenti nella situazione del merq1to nel 
frattempo verificatisi. 
Sul sistema delle quote e dei contributi per la produzione dello zucchero. 

7. -L'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero 
� stata creata dal regolamento del Consiglio 18 dicembre 1967, n. 1009 
(G. U. n. 308, pag. 1). Detto regolamento ha istituito un sistema, valido 
inizialmente fino al luglio 1975, che attribuiva ad ogni impresa �una 
quota di base � nonch� una � quota massima � per. ciascuna stagione. 
Il quantitativo di zucchero eccedente la quota massima non poteva 
essere venduto nella Comunit�. Era parimenti contemplato un sistema 
comunitario di finanziamento per le spese di smercio delle eccedenze, 
che entro certi limiti venivano coperte da tutti i produttori mediante 
un contributo sulla produzione e per il resto erano a carico del bilancio 
comunitario. Questo sistema veniva rinnovato, con riserva di talune modifiche, 
dai regolamenti del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330 (G. U. 
n. L 359, pag. 1), e 24 giugno 1980, n. 1592 (G. U. n. L 160, pag. 12). 
Il regolamento n. 3330/74 aumentava le quote base soltanto per gli Stati 
membri principali produttori di zucchero e non, quindi, per l'Italia. 
L'aumento aveva lo scopo di controbilanciare gli effetti negativi delle 
importazioni di zucchero preferenziale proveniente dai paesi ACP in base 
agli impegni assunti dalla Comunit�. 
8. -La predetta normativa � stata sostituita, con effetto dal 1� luglio 
1981, dal regolamento del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785, di cui trattasi 
nel presente procedimento. Questo regolamento contempla tre tipi 
di quote. La quota A, che corrisponde al consumo di zucchero nella 
Comunit�, pu� essere liberamente messa in commercio nella Comunit� 

128 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e il suo smercio � garantito dal prezzo d'intervento. La quota B, che 
costituisce la parte della produzione di zucchero che eccede la quota 
base (quota A), ma non supera la �quota massima�, pari alla quota A 
moltiplicata per un determinato coefficiente. Essa pu� del pari essere 
messa liberamente in commercio nel mercato comune, ma senza la 
garanzia del prezzo d'intervento, o pu� essere esportata nei paesi terzi 
con una sovvenzione all'esportazione. Quest'ultima, pari alla differenza 
tra il prezzo d'intervento e il prezzo mondiale dello zucchero, viene versata 
sotto forma di restituzioni all'esportazione. Infine, la quota C, vale 
a dire la parte di produzione che eccede la �quota massima� (quote 
A e B), pu� essere smerciata solo nei paesi terzi senza sovvenzioni 
all'esportazione. 

9. -Il regolamento n. 1785/81 ha anche modificato il sistema di 
finanziamento degli oneri derivanti dall'esportazione dello rrucchero. 
Innanzitutto ha istituito il principio della responsabilit� integrale dei 
produttori, i quali devono accollarsi per intero le spese relative allo 
smercio sui mercati d'esportazione dei quantitativi di zucchero che fruiscono 
delle restituzioni. In secondo luogo assoggetta al contributo sulla 
produzione non solo lo zucchero prodotto nell'ambito della quota B, 
ma anche quello della quota A. 
10. -In base agli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785-81 il sistema 
cos� istituito � organizzato come segue: 
-I quantitativi di riferimento (�quantitativi di base�) per la fissazione 
delle quote base (�quote A�) sono immutati rispetto alla normativa 
precedente, ad eccezione del quantitativo base per l'Italia che 
passa da 1.230.000 tonnellate a 1.320.000 tonnellate (art. 24 del regolamento 
n. 1785/81); 


-le quote che superano le quote base, ma restano nei limiti della 
quota massima ( � quote B �), sono stabilite in funzione della produzione 
effettiva, ma non possono essere inferiori al 10 % delle quote base. 
Per tener conto dell'andamento regionale della produzione di barbabietola 
e di canna da zucchero, le quote B sono fissate in un quantitativo 
pari alla media della produzione pi� elevata constatata in tre 
delle ultime cinque stagioni (ibidem); 

-le spese relative allo smercio delle eccedenze derivanti dal rapporto 
tra la produzione e il consumo comunitari sono integralmente 
sostenute dai produttori; l'intera produzione nell'ambito delle quote 
A e B � assoggettata ad un contributo da versare secondo le seguenti 
modalit� (art. 28 del regolamento n. 1785/81): 

-la perdita complessiva derivante dallo smercio delle eccedenze 
di cui trattasi � dapprima ripartita su tutta la produzione nell'ambito� 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

delle quote A e B con un contributo sulla produzione massimo pari al 
2 % del prezzo d'intervento dello zucchero bianco; 

-la parte di tale perdita non coperta da detto contributo � coperta 
mediante un contributo supplementare sulla produzione ex quota B 
non superiore al 30 % dello stesso prezzo d'intervento. Tuttavia, qualora 
quest'ultimo sistema di finanziamento sia insufficiente, il limite massimo 
pu� essere aumentato fino al 37,5 %, di modo che l'onere totale 
gravante sulla produzione ex quota B pu� raggiungere il 39,5 %. 

Sulla prima questione 

Sull'asserita discriminazione 

11. -Nella prima parte della prima questione il giudice nazionale 
chiede in sostanza se il contributo imposto ai produttori italiani in 
base agli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785/81 sia in contrasto con 
il divieto di discriminazioni sancito dagli artt. 7 e 40, n. 3, del Trattato. 
12. -Gli attori nella causa principale e il Governo it�liano suggeriscono 
di risolvere detta questione in senso affermativo. A loro avviso, 
fa discriminazione deriva dal fatto che il totale degli oneri connessi al 
finanziamento del sistema delle quote � calcolato in base al consumo 
nella Comunit�, mentre gli oneri accollati alle singole imprese sono 
calcolati in base alla loro produzione effettiva nel periodo di riferimento. 
L'applicazione di parametri diversi relativamente al totale degli 
oneri ed alla ripartizione degli stessi tra i singoli operatori avrebbe 
la conseguenza che la quota A attribuita all'Italia e che � assoggettata 
ad un contributo del 2 % soltanto � fissata ad un livello nettamente 
inferiore al consumo nazionale italiano. 
13. -Gli attori nella causa principale deducono, a sostegno del 
loro assunto, vari dati di fatto. Innanzitutto, la quota base attribuita 
all'Italia non sarebbe stata aumentata tra il 1968 e il 1981, a differenza 
di quelle assegnate a tutti gli altri Stati membri. Inoltre, � vero che 
il regolamento n. 1785/81 ha assegnato all'Italia una quota A superiore 
del 7,3 % a quella precedente, ma la percentuale complessiva dell'aumento 
quota base/quota A italiana sarebbe sempre inferiore alla percentuale 
media di detto aumento nella Comunit� dal 1968 (18 %). Per contro, il 
-consumo di zucchero sarebbe aumentato in Italia del 9,1 % dal 1968, 
mentre sarebbe diminuito del 2,1 % nell'intera Comunit�. Di conseguenza, 
l'Italia sarebbe, assieme alla Repubblica federale di Germania, lo Stato 
membro che ha il pi� basso rapporto tra quota A e consumo interno 
(85 % contro la media comunitaria del 101 %). 

130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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14. -Ne consegue, secondo gli attori nella causa principale, che i ~: 
produttori italiani possono esportare solo zucchero di quota B, soggetto (:: 
ad un tributo superiore, e pertanto sopportano sulla loro quota B 
gli oneri generati dalle esportazioni dei produttori degli altri Stati 
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membri, che dispongono di una quota A superiore al consumo interno. 
In tal modo, i produttori italiani, che non avrebbero mai contribuito 

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a determinare eccedenze, sarebbero obbligati a finanziare lo smercio a 
prezzo garantito della produzione dei loro concorrenti comunitari. 

15. -Il Governo italiano rileva, a questo proposito, che la situazione 
sopra descritta rischia di perturbare progressivamente l'equilibrio produttivo 
nella Comunit�, poich� il produttore eccedentario, che subisce 
solo in parte gli effetti delle proprie eccedenze, � portato ad aumentare 
la produzione ed acquisisce cosi titolo ad un aumento della propria 
quota, mentre l'impresa che produce a costi pi� elevati e che in genere 
non crea eccedenze � costretta a contribuire agli oneri derivanti dall'esportazione 
di detta produzione eccedentaria. 
16. -Il Consiglio e la Commissione negano l'esistenza di una discriminazione 
in base alla nazionalit� o fra produttori della Comunit�. Le 
quote sarebbero fissate in base a criteri obiettivi con riguardo allo scopo 
della normativa, consistente nel garantire un certo inquadramento della 
produzione saccarifera permettendone, al tempo stesso, il riorientamento. 
17. -La Commissione precisa che la fissazione delle quote nazionali 
in base alla produzione effettiva de1le .imprese � conforme ai principi 
della solidariet� tra i produttori, della specializzazione della produzione 
e della libert� degli scambi intracomunitari. Se da questo 
sistema deriva, per i produttori italiani, un onere eventualmente diverso 
da quello sopportato dagli altri produttori della Comunit�, tale differenza 
sarebbe semplicemente il risultato di un diverso livello di produzione 
negli Stati membri. Per lo stesso motivo il rapporto tra i contributi 
riscossi e la quota B per l'Italia sarebbe privo di significato, 
poich� le imprese dei vari Stati membri userebbero sempre in misura 
variabile la loro quota B nel corso delle varie� stagioni. Per quanto 
riguarda l'asserita impossibilit�, per i produttori italiani, di esportare 
zucchero che non sia quello prodotto nell'ambito della quota B, la 
Commissione osserva che di fatto, i suddetti produttori non esportano 
lo zucchero prodotto sotto quota nei paesi terzi e che inoltre non vi � 
alcun rapporto tra la percezione dei contributi e la destinazione del 
prodotto. Infine, le restituzioni sarebbero versate senza alcuna distinzione 
all'esportazione di zucchero prodotto nell'ambito della quota A e di 
zucchero ex quota B. 
18. -Il Consiglio e la Commissione rilevano poi che in ragione della 
mancanza di competitivit� della produzione italiana di barbabietole i pro-
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

duttori italiani fruiscono, sotto vari aspetti, di un regime pi� favorevole 
di quello che vale per i produttori di altri Stati membri. Cos�, i quantitativi 
base per l'Italia sarebbero stati fissati fin dall'origine, col regolamento 
n. 1009/67, ad un livello superiore a quello dei quantitativi base 
attribuiti agli altri Stati membri; per di pi�, soltanto all'Italia sarebbe 
stata attribuita, col regolamento n. 1785/81, una quota A superiore al 
quantitativo base esistente. Inoltre, per quanto riguarda i produttori italiani, 
il contributo sulla produzione sarebbe calcolato rispetto al prezzo 
d'intervento e non rispetto al prezzo d'intervento derivato, pi� elevato, 
che vale per l'Italia in quanto zona deficitaria; di conseguenza i produttori 
italiani sarebbero in realt� assoggettati ad un contributo inferiore a 
quello gravante sugli altri produttori della Comunit�. Infine, il sistema in 
vigore autorizzerebbe l'Italia a concedere aiuti nazionali ai propri produttori 
di barbabietole e di zucchero, oltre alla garanzia dei prezzi stabiliti 
in funzione delle regioni, ed attribuirebbe al suddetto Stato membro 
anche la facolt� di modificare senza limiti le quote attribuite alle sue 
imprese qualora ci� sia necessario all'attuazione di progetti di ristrutturazione. 


19. -Si deve innanzitutto constatare che, come hanno spiegato la 
Commissione e il Consiglio, il sistema di quote per la produzione dello 
zucchero � un elemento essenziale dell'organizzazione comune dei mercati 
in questo settore. Esso � inteso, in una situazione di eccedenza, tanto 
sul mercato comunitario quanto sul mercato mondiale, a contenere la.. 
produzione ravvicinandola il pi� possibile al consumo interno, promuovendo 
nel contempo la specializzazione regionale. A questo scopo esso 
garantisce lo smercio a prezzo garantito dei quantitativi stabiliti mediante 
un sistema di copertura delle spese relative allo smercio, che sono sopportate 
solidalmente da tutti i produttori. In base a detto sistema di 
copertura, sulla quota A, che rappresenta il consumo interno, viene 
riscosso solo un contributo minimo, mentre la quota B, destinata essenzialmente 
all'esportazione, � soggetta ad un contributo molto pi� elevato, 
di misura tale da consentire il finanziamento delle restituzioni necessarie 
e, nel contempo, da avere un effetto dissuasivo sui produttori. 
20. ~-Ci� premesso, a ragione il Consiglio ha ripartito le quote fissate 
tra le singole imprese in base alla loro produzione effettiva. Siffatta 
ripartizione degli oneri � infatti conforme al principio della specializzazione 
regionale, principio base del mercato comune, n quale esige che la 
produzione possa essere effettuata nel luogo pi� adeguato dal punto di 
vista economico. Detta ripartizione � inoltre consona al principio della 
solidariet� dei produttori, dato che la produzione costituisce un criterio 
legittimo per valutare ad un tempo l'importanza economica dei produttori 
e gli utili che essi ricavano dal sistema. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

21. � Il fatto che la ripartizione degli oneri tra le imprese in funzione 
della produzione comporti per a'ltalia una quota A inferiore ,al suo 
consumo interno ed un rapporto particolarmente elevato tra i contributi 
riscossi e la sua quota B non pu� autorizzare un giudizio diverso. Invero, 
tali conseguenze derivano proprio dall'esigenza che in un mercato comune, 
caratterizzato da una specializzazione regionale, la produzione negli 
Stati membri, considerati individualmente, possa svilupparsi indipendentemente 
dal volume del consumo negli stessi Stati. Esse non possono 
pertanto costituire una discriminazione. 

22. � La censura di discriminazione risulta ancor pi� ingiustificata 
ove si considerino le disposizioni criticate nel contesto del regolamento 
di cui fanno parte. Proprio per attenuare le disparit� causate dalle difficolt� 
di caratere strutturale proprie dell'Italia, il Consiglio ha contem. 
plato, a corredo del sistema delle quote, vari provvedimenti specifici che 
si caratterizzano come aiuti ai produttori italiani, quali un quantitativo 
base pi� elevato sin dall'inizio, un prezzo d'intervento pi� alto e l'autoriz� 
zazione a concedere aiuti nazionali. 
23. � Gli attori nella causa principale e il Governo italiano sostengono 
poi che la normativa controversa � discriminatoria in quanto le 
quote attribuite in media agli stabilimenti italiani sono inferiori alle 
quote medie assegnate agli stabilimenti della Comunit� (29.233 tonnellate 
rispetto a 51.873 tonnellate). Ne conseguirebbe che i costi fissi che i produttori 
italiani devono sopportare sono superiori a quelli gravanti sui 
produttori di altri Stati membri; ci� avrebbe causato il fallimento di 
varie imprese italiane. 
24. -Il Consiglio e la Commissione ribattono che le quote di produzione 
sono attribuite non agli stabilimenti, ma alle imprese e che le 
imprese italiane dispongono in media del quantitativo ex quota A pi� 
elevato nella Comunit�. Essi, per�, non contestano che i costi della produzione 
di zucchero in Italia siano superiori alla media comunitaria. 

25. -A questo proposito si deve ricordare che il sistema delle quote 
ha lo scopo non gi� di favorire le imprese meno redditizie, ma di garantire 
un certo inquadramento della produzione permettendone al tempo 
stesso il riorientamento in funzione delle esigenze del mercato. Pertanto, 
� legittimo non tener conto delle differenze dei costi di produzione al 
!

momento della ripartizione delle quote tra i singoli operatori. Ci� vale 

~ 

a maggior ragione se si considera che nella fattispecie il sistema delle 
quote � corredato di un complesso di provvedimenti destinati a com-� 
pensare almeno in parte le difficolt� di carattere strutturale delle regioni 
meno favorite. 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

26. -Dalle considerazioni che precedono emerge che i produttori italiani 
non sono affatto discriminati rispetto agli altri produttori della Comunit�. 
Pertanto, l'argomento relativo all'asserita violazione degli artt. 7 e 40, 
n. 3, del Trattato dev'essere disatteso. 
Sull'asserita violazione dell'art. 39, n. 1, lett. b) del Trattato. 

27. -Nella seconda parte della prima questione il giudice nazionale 
chiede in sostanza se il livello del contributo imposto ai produttori itaJiani 
in forza degli artt. 24 e 28 del regolamento n. 1785/81 sia in contrasto 
con lo scopo stabilito dall'art. 39, n. l, lett. b), del Trattato. A 
tenore di questa disposizione, la politica agricola comune mira ad � assicurare... 
un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in particolare 
al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano 
nell'agricoltura �. 
28. -Secondo gli attori della causa principale, detta questione deve 
essere risolta affermativamente, poich� i produttori italiani non sono 
responsabili delle eccedenze di zucchero la cui esistenza ha determinato 
l'istituzione del regime controverso. In particolare essi osservano, a questo 
proposito, che il contributo sulla quota B impone ai produttori italiani 
un sacrificio sproporzionato e inoltre si ripercuote nella misura del 
60 % sui bieticultori italiani. Detti fattori determinerebbero una diminuzione 
del reddito dei produttori italiani in contrasto con lo scopo indicato 
nell'art. 39, n. 1, lett. b), del Trattato. 
29. -Il Consiglio e la Commissione sostengono per contro che la 
normativa di cui trattasi � strutturata in modo da tener sufficientemente 
conto delle esigenze specifiche delle zone deficitarie nelle quali rientra 
l'Italia. Innanzitutto, in queste zone il prezzo minimo sia della barbabietola 
A sia della barbabietola B sarebbe pi� elevato. Inoltre, dato che 
il contributo sulla produzione dello zucchero � calcolato sul prezzo d'intervento 
e non sul prezzo d'intervento derivato, i bieticultori italiani pagherebbero, 
in percentuale, per lo zucchero B un contributo inferiore 
di quello dovuto dai produttori degli altri Stati membri (28,8 % del prezzo 
d'intervento contro 30 % per la stagione 1981/82). Per di pi�, i produttori 
italiani di barbabietole e di zucchero fruirebbero degli aiuti nazionali 
autorizzati dall'art. 46 del regolamento n. 1785/81. Infine, poich� 
fa produzione italiana di zucchero B sarebbe attualmente quasi nulla, i 
iproduttori italiani non pagherebbero, in pratica, alcun tributo relativamente 
a detto zucchero. La Commissione rileva inoltre che proprio il 
sistema delle quote ha permesso la conservazione della produzione di 
barbabietole in Italia, anche se il loro contenuto utile � notevolmente 
inferiore a quello delle barbabietole prodotte in altri Stati membri. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

30. -Nella misura in cui tali argomenti sono identici a quelli dedotti 
a sostegno della prima censura, � sufficiente rinviare alle considerazioni 
sopra svolte. 
31. -Per quanto riguarda l'assunto degli attori nella causa principale 
secondo cui il sistema istituito dal regolamento n. 1785/81 non � atto a garantire 
un tenore di vita equo ai produttori italiani e segnatamente ai bieticultori, 
si dev~ ricordare che il mercato de11o zucchero � caratterizzato 
in complesso da una produzione eccedentaria. Di conseguenza, il sistema 
d'intervento e di cofinanziamento istituito per consentire lo smaltimento 
delle eccedenze a prezzo garantito � consono all'interesse di tutti i produttori 
di zucchero della Comunit�, compresi i produttori italiani. Come 
la Commissione ha giustamente rilevato, il prezzo minimo in tale modo 
garantito ha per l'appunto lo scopo ,di tutelare i redditi di tutti i produttori 
suddettt. 
32. -Non � pertanto lecito ritenere che la misura degli oneri che 
derivano dal sistema p�r i produttori italiani sia in contrasto con lo 
scopo indicato nell'art. 39, n. 1, lett. b), del Trattato. In particolare, 
si deve respingere l'argomento secondo cui detti produttori sono tenuti 
a concorrere al finanziamento dello smaltimento delle eccedenze di cui 
non sono responsabili. Siffatto modo di vedere � incompatibile col principio 
stesso di un merc~to comune nel quale � impossibile determinare 
le imprese o lo Stato membro responsabili di un'eventuale sovrapproduzione. 
Ne consegue, per quanto concerne il sistema istituito dal regolamento 
n. 1785/81, che tutte le imprese che superino la propria quota A 
producono per definizione eccedenze destinate all'esportazione. 
33. -Pertanto, anche l'argomento relativo a~l'asserita infrazione dell'art. 
39, n. l, lett. b), del Trattato dev'essere disatteso. 
Sulla seconda questione. 

34. -Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza 
se l'art. 24 del regolamento n. 1785/81 sia valido con riguardo all'obbligo 
di motivazione sancito dall'art. 190 del Trattato. 
35. -Gli attori nella causa principale e il Governo italiano sostengono 
che il regolamento n. 1785/81 non contiene una motivazione sufficiente 
relativamente alla determinazione delle quote per l'Italia. Nel preambolo 
del regolamento ci si limiterebbe ad affermare che i motivi che 
hanno finora indotto la Comunit� ad applicare un sistema di quote di 
produzione restano tuttora validi. Mancherebbe per� qualsiasi indicazione 
relativa all'entit� delle quote ed al fatto che la situazione sul piano 
della produzione e dei consumi nei vari Stati membri e la struttura dei 
contributi sono nel frattempo mutate. 
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PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

36. -Il Consiglio e la Commissione assumono, dal canto loro, che 
l'obbligo stabilito dall'art. 190 del Trattato � stato adempiuto poich� una 
pi� ampia motivazione figura nel preambolo dei. precedenti regolamenti 
nn. 1009/67 e 3330/74, ead essa si fa rinvio nel preambolo del regolamento 
n. 1785/81. 
37. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, la motivazione 
prescritta dall'art. 190 del Trattato dev'essere adeguata alla natura dell'atto 
considerato. Essa deve far apparire in forma chiara e non equivoca 
l'iter logico seguito dall'autorit� comunitaria da cui promana l'atto, 
onde consentire agli interessati di riconoscere le ragioni del provvedimento 
adottato e onde perll!ettere alla Corte di esercitare il proprio controllo. 
38. -Emerge inoltre dalla predetta giurisprudenza, da ultimo confermata 
nella sentenza 28 ottobre 1982 (cause riunite 292 e 293/81, Lion 
e Haentjens, Racc. pag. 3887), come non si possa esigere che la motivaz10ne 
dei regolamenti specifichi i vari elementi di fatto o di diritto, talvolta 
molto numerosi e complessi, che costituiscono oggetto dei regolamenti 
qualora questi siano in armonia con il contesto normativo di c:ui 
fanno parte. Di conseguenza, se l'atto contestato evidenzia nella sua 
essenza lo scopo perseguito dall'istituzione, � eccessivo pretendere la 
motivazione specifica di ciascuna delle scelte d'indole tecnica da essa 
operate. 
39. -� questo il caso del regolamento n. 1785/81 per quanto riguarda 
la giustificazione del sistema delle quote di produzione. Infatti, dalla motivazione 
esposta a questo proposito nel preambolo del suddetto regolamento, 
e segnatamente nell'undicesimo punto, letta congiuntamente al 
preambolo dei precedenti regolamenti nn. 1009/67 e 3330/74, emergono in 
modo chiaro e univoco i motivi che hanno indotto il Consiglio a conservare 
nelle linee generali il sistema gi� esistente pur modificandolo su taluni 
punti, in particolare per quanto concerne le basi di calcolo delle quote 
e il finanziamento del sistema. Siffatta motivazione � sufficiente per consentire 
agli operatori interessati di conoscere la ragion d'essere della 
normativa contestata e per permettere alla Corte di esercitare il proprio 
controllo. 
40. -Di conseguenza, l'argomento relativo all'asserita insufficienza di 
motivazione, in contrasto con l'art. 190 del Trattato, dev'essere anch'esso 
disatteso. 
41. -Per tutti i motivi s~pra esposti, si deve rispondere al Tribunale 
di Roma che l'esame delle questioni sollevate non ha messo in luce 
elementi atti ad inficiare la validit� degli artt. 24 e 28 del regolamento 
del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785. (omissis) 

136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 
18 febbraio 1986, nella causa 35/84 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. 
Lenz -Commissione delle C.E. (ag. Traversa e Van Rijn) c. Repubblica 
italiana (avv. Stato Fiumara). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci � Controlli sanitari 

sulle cagliate importate -Ritardi -Rilevanza. 

(Trattato CEE, artt. 30 e 36; reg. CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, art. 22). 

Non costituiscono misure equivalenti a restrizioni quantitative alla 
importazione controlli sanitari intensivi su partite di merci (cagliate) 
sospette di essere dannose per la salute pubblica, n� i connessi ritardi 
nel trasporto, se questi avrebbero potuto essere sensibilmente ridotti ove 
le ditte interessate avessero accettato di proseguire il viaggio in vincolo 
sanitario in attesa dei risultati degli esami di laboratorio (1). 

(omissis) 1. -Con atto depositato presso la cancelleria della Corte 
il 9 febbraio 1984, la Commissione delle Comunit� Europee ha presentato, 
in forza dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso mirante a far dichia. 
rare che, imponendo restrizioni all'importazione di cagliate provenienti 
da un altro Stato membro, la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE, e dall'art. 22, n. 1, del 
regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione 
comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari 
(G. U. n. L 148, pag. 13). 

(1) Secondo la giurisprudenza della Corte controlli sanitari, riguardanti sia 
la salute umana che quella degli animali, eseguiti alla frontiera sulle merci importate, 
costituiscono una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative 
e sono pertanto vietati, a meno che siano giustificati da altre disposizioni comunitarie, 
fra cui, in particolare, l'art. 36 del Trattato. (sentenza 15 dicembre 1976, 
nella causa 35/76, SIMMENTHAL, in Racc., 1976, 1871, e 22 marzo 1983, nella causa 
42/83, COMMISSIONE c. REP. FRANCESE, ibidem, 1983, 1013). Nel caso di specie, � 
stato dimostrato in causa che i controlli sulle partite di cagliata provenienti 
dalla Germania, lungi dall'essere espressione di una tendenza generale o il risultato 
di una prassi generalizzata, erano stati eseguiti essendo sorto il sospetto 
concreto che il prodotto fosse dannoso per la salute umana in quanto contaminato 
da germi di origine fecale a livelli inaccettabili. 
Sulla rilevanza di ritardi da parte delle autorit� amministrative del paese 
importatore ad eseguire controlli si veda anche la precedente sentenza della 
Corte 28 gennaio 1986, nella causa 188/84, COMMISSIONE c. REP. FRANCESE, ancora inedit�, 
con la quale � stato precisato che frequenti e rilevanti ritardi nel trattamento 
delle domande da parte delle autorit� di controllo per il visto o l'omologazione 
di macchine e apparecchi usati per la lavorazione del legno possono 
rendere le importazioni pi� difficili ed onerose e, pertanto, costituire misure 
d'effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato, 
sempre che non si tratti di ritardi cui soggiacciono anche le domande dei produttori 
nazionali che non godono di alcuna priorit�. 


PARTE I, SEZ. II,. GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 137 

2. -Nel 1982, la Commissione riceveva, da parte di due imprese lattiero-
casearie stabilite nella Repubblica federale di Germania, alcune 
proteste, dalle quali risultava che: 
1) al momento dell'importazione in Italia, i formaggi del tipo 
cagliata provenienti dalla Germania erano sottoposti periodicamente, ed 
in particolare nell'estate del 1982, a controlli sanitari sistematici; 

2) gli autocarri che trasportavano le cagliate erano trattenuti alla 
frontiera per parecchi giorni (nei casi presi in considerazione~ 3 e 7 
giorni) in attesa dei risultati degli esami di laboratorio; 

3) le decisioni sull'ammissione delle cagliate erano adottate una 
settimana o pi� dopo che il risultato dell'analisi era conosciuto; 

4) le decisioni orali comportanti il r~fiuto di ammettere le cagliate 
in Italia non venivano affatto confermate per iscritto o, tutt'al pi�, Jo 
erano dopo diversi mesi. 

3. -Con telescritto 21 giugno 1982 la Commissione informava la Rappresentanza 
permanente d'Italia dei fatti riferitile. Sottolineando che 
questi fatti costituivano violazione dell'art. 30 del Trattato CEE e dell'art. 
22 del regolamento del Consiglio n. 804/68, la Commissione invitava 
il Governo italiano a presentare le proprie osservazioni. 
4. -In risposta al telescritto, con lettera 5 luglio 1982, la Rappresentanza 
permanente d'Italia faceva presente che gli esami batteriologici a 
campione effettuati sulle cagliate refrigerate di origine e provenienza 
tedesca erano giustificati da ragioni attinenti alla tutela della salute 
umana, tenuto conto degli esiti sfavorevoli delle analisi effettuate su 
partite di cagliate provenienti da numerose latterie tedesche. Le analisi 
effettuate avrebbero in particolare permesso di riscontrare un elevato 
contenuto di �Escherichia coli�, da cui risultava chiaramente un livello 
di contaminazione fecale del prodotto assolutamente inaccettabile in base 
alle norme del � Codex Alimentarius � predisposto dall'Organizzazione 
mondiale della Sanit�. Le autorit� tedesche sarebbero state invitate, al 
fine di migliorare la qualit� igienica delle cagliate esportate in Italia, a 
far in modo che le medesime fossero prodotte con latte trattato termicamente. 
Fino a quando non fosse stato possibile registrare un'apprezzabile 
miglioramento dei requisiti igienico-sanitari delle cagliate importate 
dalla Germania, l'Italia avrebbe continuato a disporre i controlli, 
ovvero a prendere altri provvedimenti in linea con la condotta fino ad 
allora seguita. Era inevitabile, secondo le autorit� italiane, che vi fossero 
ritardi nel trasporto delle cagliate. Tali ritardi avrebbero potuto essere 
sensibilmente ridotti qualora le ditte interessate si fossero impegnate 
ad attenersi a tutte le disposizioni del Ministero italiano della Sanit�. 

138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In questo caso, infatti, le partite sottoposte a campionamento avrebbero 
potuto proseguire verso le localit� di destinazione in vincolo sanitario, in 
attesa dei risultati degli esami di laboratorio che richiedevano, di regola, 
almeno 4 giorni lavorativi. 

5. -Non convinta dagli argomenti delle autorit� italiane, la Commissione 
comunicava al Governo italiano, con lettera 7 marzo 1983, cli 
ritenere che le restrizioni imposte dall'Italia alle importazioni di cagliate 
costituissero violazione dell'art. 30 del Trattato CEE e dell'art. 22, n. l, 
del regolamento del Consiglio n. 804/68, senza peraltro essere giustificate 
in base all'art. 36 del Tr�ttato. Essa invitava pertanto il Governo italiano 
a presentare le proprie osservazioni entro il termine di due mesi. 
6. -Poich� questa lettera era rimasta senza risposta, la Commissione 
inviava al Governo italiano, con lettera 26 ottobre 1983, un parere motivato 
nel quale faceva valere che l'Italia, imponendo restrizioni alle importazioni 
di cagliate provenienti dalla Germania, era venuta meno agli obblighi 
impostile dall'art. 30 del Trattato e dall'art. 22, n. 1, del regolamento 
del Consiglio n. 804/68. La Commissione chiedeva all'Italia di adottare i 
provvedimenti necessari per conformarsi al parere motivato entro il termine 
di un mese dalla notifica dello stesso. 
7. -Non avendo ricevuto alcuna risposta al parere motivato, la Commissione, 
a norma dell'art. 169, secondo comma, del Trattato CEE, ha 
proposto alla Corte il presente ricorso. 
8. -A sostegno del proprio ricorso la Commissione adduce quattro 
addebiti vertenti, rispettivamente: 
a) sui controJli sistematici sulle cagliate importate; 
b) sul blocco alla frontiera, per pi� giorni, degli autocarri adibiti 
al trasporto delle cagliate; 
e) sul termine di una settimana o pi� necessario perch� vengano 
adottate le decisioni relative all'ammissione delle cagliate; 
d) sull'assenza della conferma scritta del rifiuto di ammettere le 
cagliate in Italia o sul ritardo cli tale conferma. 

9. -L'addebito pi� grave dedotto dalla Commissione riguardava asseriti 
controlli sanitari sistematici da parte delle autorit� italiane delle 
partite di cagliate provenienti dalla Repubblica federale di Germania. 
Di fronte alle prove prodotte dal Governo italiano nel corso della fase 
scritta, la Commissione ha rinunciato, nella replica, a questo addebito. 
Il Governo italiano ha infatti dimostrato che, nel 1982, su 10.000 partite 
' --,-l 



PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

di formaggi importati (ivi comprese le forniture di cagliate) solo 84 sono 
state sottoposte a controlli. Inoltre, dalla risposta fornita dal Governo 
italiano in data 11 gennaio 1985, risulta che sono stati effettuati 19 controlli 
relativi a partite di cagliate, 11 delle quali non soddisfacevano le 
condizioni sanitarie richieste. 

10. -Ne deriva che il ricorso della Commissione riguarda soltanto 
tre addebiti di importanza secondaria. Va notato che tali addebiti si 
ricollegavano, nella loro presentazione iniziale, agli argomenti relativi 
al carattere sistematico dei controlli, e che essi hanno perso gran parte 
della loro importanza dopo la rinuncia agli argomenti stessi. 
11. -Va aggiunto che la Commissione non � riuscita a convincere la 
Corte che gli addebiti da lei formulati si riferivano a episodi rientranti 
in una tendenza generale, o che erano il risultato di una prassi generalizzata. 
Anzi, la Commissione non � riuscita a smentire il Governo italiano 
quan'fio quest'ultimo ha dichiarato alla Corte che questi episodi costituivano 
casi isolati per i quali esistevano motivi precisi per effettuare dei 
controlli intensivi, essendo stato rilevato, nelle cagliate in questione, 
un elevato tasso di �Escherichia coli�, che attestava una contaminazione 
di origine fecale a livello del tutto inaccettabile. 
12. -Pi� in particolare, per quel che riguarda gli asseriti ritardi, 
la Commissione non � stata in grado di produrre prove idonee a confutare 
i chiarimenti forniti dal Governo italiano, stando ai quali le analisi 
batteriologiche a campione effettuate sulle cagliate provenienti dalla 
Germania erano giustificate da ragioni attinenti alla tutela della salute 
umana, tenuto conto che una gran parte dei risultati di queste analisi 
dimostrava che la qualit� delle cagliate, dal punto di vista igienico, era 
inaccettabile. La Commissione non � neppure stata in gr~do di confutare 
l'affermazione del Governo italiano secondo la quale i ritardi nel trasporto 
delle cagliate potrebbero essere sensibilmente ridotti qualora le 
ditte interessate si impegnassero a rispettare le disposizioni del Ministero 
italiano della Sanit�, permettendo cos� che le partite 1sottoposte a 
campionamento proseguano verso le localit� di destinazione in vincol0sanitario, 
in attesa dei risultati degli esami di laboratorio. 
13. -Stando cos� le cose, la Commissione non ha provato l'esistenza 
di una violazione dell'art. 30 del Trattato. 
14. -Poich� nessuno degli addebiti mossi dalla Commissione merita 
accoglimento, occorre respingere il ricorso per inadempimento presentato 
dalla Commissione contro la Repubblica italiana. (omissis) 

140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. Plen., 
30 aprile 1986, nelle cause riunite 209-213/84 -Pres. Mackenzie Stuart -
Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal 
Tribunale di polizia di Parigi nei procedimenti penali contro L. Asjes 
e altri -Interv.: Governi francese (ag. Guillaume e de Margerie), 
italiano (avv. Stato Braguglia), dei Paesi Bassi (ag. Verkade e Bos) 
e del Regno Unito (ag. Braggins e Pratt) e Commissione delle C.E. 
(ag. Amphoux). 

Comunit� europee -Concorrenza � Fissazione delle tariffe aeree. 

(Trattato CEE, artt. 3, 5, 85, 87, 88 e 89; Convenzione di Chicago 7 dicembre 1944, 
appr. e resa esec. in Italia con d.lg. 6 marzo 1948, n. 616, ratif. con legge 17 aprile 1956, 

n. 561). 
E contrario agli obblighi derivanti agli Stati membri dal combinato 
disposto dell'art. 5 del Trattato CEE e degli artt. 3, lett. f), e 85, in 
particolare n. l, dello stesso Trattato, omologare tariffe aeree e rafforzarne 
cos� gli effetti qualora, in assenza di una normativa adottata 
dal Consiglio in base all'art. 87, sia constatato, nelle forme e secondo le 
procedure descritte all'art. 88 o all'art. 89, n. 2, che tali tariffe sono 
il risultato di un accordo, della decisione di un'associazione d'imprese o 
di una pratica concordata contrari all'art. 85 (1). 

(omissis) 1. -Con cinque sentenze in data 2 marzo 1984, pervenute 
il 17 agosto 1984, il Tribuna! de police (Tribunale penale) di Parigi ha 
proposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una 
questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione di talune disposizioni 
del suddetto Trattato onde poter verificar� la compatibilit� con tali disposizioni 
della procedura obbligatoria di omologazione contemplata dalla 
legge francese per le tariffe aeree. 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di diversi procedimenti 
penali intentati contro responsabili di compagnie di navigazione 
aerea e di agenzie di viaggio, imputati di aver praticato, in violazione degli 
(1) Sentenza di rilevante importanza con la quale la Corte si occupa -a 
quanto consta per la prima volta -dello spinoso problema della concorrenza 
nel settore dei trasporti aerei. 
La sentenza ha dovuto affrontare anzitutto la questione dell'applicabilit� 
stessa delle regole comunitarie sulla concorrenza al settore considerato e l'ha 
risolta affermativamente, in riferimento all'art. 84, n. 2, del Trattato CEE, statuendo 
che � ... i trasporti aerei, cos� come le altre forme di trasporto, restano 
soggetti alle norme generali del Trattato, ivi comprese quelle in materia di concorrenza
� (punto 45 della motivazione). 

Dopo tale affermazione di principio, che deriva direttamente dai principi stabiliti 
con la sentenza 4 aprile 1974, in causa 167/73 (citata in motivazione, punto 
31), la Corte � passata a constatare le conseguenze dell'assenza, nel settore 



PARTE I, SPZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 141 

artt. L 330-3, R 330-9 e R 330-15 del Codice dell'aviazione civile francese, 
tariffe per la vendita di biglietti di trasporto aereo non sottoposte all'omologazion~ 
del ministro competente per l'aviazione civile o diverse dalle 
tariffe omologate. 

3. -Il precitato art. L 330-3 dispone che il trasporto aereo pu� essere 
effettuato solo da imprese autorizzate dal ministro competente per l'aviazione 
civile. Tali imprese debbono inoltre sottoporre le loro tariffe alla 
omologazione dello stesso ministro. L'art. R 330-9 precisa i dati da 
fornire a tal fine. A norma del secondo comma di tale articolo, le disposizioni 
di cui trattasi si applicano anche ad imprese straniere. L'art. R 330-15 
commina, come pena per la violazione di tali disposizioni, la reclusione 
da �10 giorni ad un mese e/o un'ammenda da 600 a 1.000 FF. 
Una decisione di omologazione della tariffa proposta da una compagnia 
aerea ha quindi l'effetto di rendere tale tariffa obbligatoria per tutti gli 
operatori economici che vendano biglietti di tale compagnia per il percorso 
che ha form�to oggetto della domanda di omologazione. 
4. � Investito di questi procedimenti penali, il Tribuna! de polke di 
Parigi si � posto il problema della compatibilit� del sistema, quale emerge 
dalle precitate disposizioni, col Trattato CEE e, in particolare, con 
l'art. 85; n. l, del Trattato, in quanto tali disposizioni darebbero vita, 
secondo il Tribunale, ad una concertazione tra le compagnie di trasporti 
aerei contraria al suddetto articolo. Il Tribuna! de polke ha altresi 
respinto l'obiezione secondo cui l'art. 85 non si applicherebbe al settore 
dei trasporti aerei, in forza dell'art. 84, n. 2, considerando che tale disposizione 
mira semplicemente a demandare l'istituzione di una politica 
comune nel settore di cui trattasi ad una decisione del Consiglio, senza 
peraltro sottrarre tale settore all'applicazione delle altre norme del 
Trattato, quali l'art. 85. 
dei trasporti aerei, di una normativa di applicazione degli articoli 85 e 86 del 
Trattato, che il Consiglio avrebbe dovuto adottare ai sensi dell'art. 87. 

In tale situazione la Corte ha riconosciuto l'applicabilit� degli articoli 88 
e 89, subordinando espressamente il potere dei giudici nazionali, di constatare 
l'eventuale incompatibilit� di tariffe aeree �concertate �, a decisioni prese dalle 
autorit� nazionali competenti in forza dell'art. 88 o dalla Commissione in forza 
dell'art. 89. 

Sotto tale profilo la sentenza in esame rivela il .notevole equilibrio della 
Corte: la quale da un lato, nell'attuale situazione praticamente non regolamen� 
tata, ha escluso interventi autonomi dei giudizi nazionali, che potrebbero rivelarsi 
episodici, non univoci e forieri di pregiudizievoli conseguenze nel delicato 
settore dei trasporti aerei; dall'altro non ha per� mancato di stimolare la Commissione 
ad esercitare il potere che l'art. 89 del Trattato CEE ad essa attribuisce. 

Le conseguenze di tale sentenza non si sono fatte ,attendere a lungo. Pur 
continuando i lavori in seno al Consiglio per varare una regolamentazione 
ex art. 87, la Commissione infatti ha gi� avviato procedure ai sensi dell'art. 89 
nei confronti delle pi� importanti compagnie aeree degli Stati membri. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

142 

S. -Stando cos� le cose, il giudice nazionale ha deciso di sospendere 
il giudizio e di adire la Corte � affinch� venga statuito sulla conformit� 
degli artt. L 330-3, R 330-9 e R 330-15 del Codice dell'aviazione civile 
francese alla normativa comunitaria �. 
6. � A norma dell'art. 20 del protocollo sullo Statuto della Corte, hanno 
presentato osservazioni scritte le tre societ� civilmente responsabili 
nei giudizi principali, la societ� Nouvelles Fronti�res S.A., nelle cause 212 
e 213/84, e le societ� Compagnie National Air France (Air France) e 
Koninklijke Luctvaar Maatschappij N.V. (K.L.M.), rispettivamente, nelle 
cause 212/84 e 209/84, nonch� i Governi della Repubblica francese, della 
Repubblica italiana, del Regno dei Paesi Bassi e del Regno Unito e la 
Commissione delle Comunit� Europee. 
7. � Con ordinanza 26 settembre 1984, la Corte ha deciso, a norma 
dell'art. 43 del regolamento di procedura, di riunire le cause ai fini del 
procedimento e della sentenza. 
A) Sulla competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale. 

8. � La Air France, la K.L.M. ed i Governi francese ed italiano hanno 
avanzato talune obiezioni in ordine alla competenza della Corte a risolvere 
la questione pregiudiziale sollevata dal giudice nazionale. 
9. �In primo luogo, la Air France e la K.L.M., col sostegno del Governo 
francese, ranno rilevare che una pronunzia della Corte in ordine a tale 
questione pregiudiziale sarebbe superflua, in quanto il giudice nazionale 
avrebbe gi� preso posizione, nella sentenza di rinvio, sia sull'applicazione 
dell'art. 85 al settore dei trasporti aerei, sia sulla nullit�, a norma del 
n. 2 di tale articolo, delle concertazioni tariffarie sottostanti alle tariffe di 
cui trattasi nei giudizi principali. 
10. � Va osservato al riguardo che, secondo una giurisprudenza 
costante, nell'ambito della ripartizione delle funzioni giurisdizionali tra 
il giudice nazionale e la Corte operata dall'art. 177 del Trattato, spetta al 
giudice nazionale valutare, con piena cognizione di causa, la pertinenza 
delle questioni di diritto sollevate dalla controversia sottopostagli � e la 
necessit� di una pronunzia� pregiudiziale ai fini della sentenza definitiva 
(cfr. in particolare sentenza 14 febbraio 1980, causa 53/79, ONPTS c/ 
Damiani, Racc. pag. 273). 
11. � In secondo luogo, la Air France e la K.L.M. fanno valere che 
la descrizione della legge francese contenuta nella sentenza di rinvio 
sarebbe viziata da errori in quanto il giudice nazionale non ha tenuto 
conto delle disposizioni degli accordi internazionali esistenti in materia. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

12. -A questo proposito va innanzitutto ricordato che, poich� il 
procedimento pregiudiziale istituito dall'art. 177 non � diretto all'interpretazione 
di norme legislative o regolamentari nazionali (cfr., di recente, 
sentenza 13 marzo 1984, causa 16/83, Prantl, Racc. pag. 1299), eventuali 
inesattezze contenute nella descrizione delle disposizioni nazionali litigiose 
operata, nella sentenza di rinvio, dal giudice nazionale, non pu� 
avere la conseguenza di privare Ja Corte della competenza a risolvere 
la questione pregiudiziale proposta da eietto giudice. 
13. -Quanto all'eventuale incidenza degli accordi internazionali in 
materia di aviazione civile sulla valutazione, nei confronti del diritto 
comunitario, delle disposizioni nazionali del tipo di quelle considerate 
dal giudice nazionale nelle presenti controversie, va osservato che l'esistenza 
di tali accordi non costituisce una circostanza tale da privare la 
Corte della competenza che le � propria, a norma dell'art. 177 del Trattato 
CEE, per l'interpretazione delle norme pertinenti di diritto comuni� 
tario. 
14. -In terzo luogo, la Air France, la K.L.M. ed il Governo italiano 
fanno rilevare che il giudice nazionale omette di precisare la norma di 
diritto comunitario la conformit� alla quale da parte della legge francese 
di cui � causa dovrebbe essere valutata dalla Corte. 
15. -:E: sufficiente constatare, al riguardo, che, come risulta dalla 
lettura della sentenza di rinvio, la questione � sollevata in relazione alle 
norme del Trattato in materia di concorrenza. 
16. -Di conseguenza, vanno respinte le obiezioni mosse 'in ordine alla 
competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale proposta dal 
giudice nazionale nelle presenti controversie. 
17. -Detta questione va tuttavia intesa come diretta ad accertare se 
ed in che misura sia contrario agli obblighi imposti agli Stati membri 
in materia di tutela deLlibero gioco della concorrenza nel mercato comune 
dagli artt. 5, 3, lett. f), e 85, in particolare� n. 1, del Trattato CEE, 
applicare norme di uno Stato membro che istituiscono, per le tariffe 
di trasporto aereo, una procedura obbligatoria di omologazione sanzionando, 
anche penalmente, il mancato rispetto delle tariffe cos� omologate 
qualora sia constatato che tali tariffe sono il risultato di un 
accordo, di una decisione o di una pratica concordata contrari al precitato 
art. 85. 
B) Sulla disciplina internazionale dei trasporti aerei. 

18. -Per meglio collocare nel suo contesto giuridico la legge francese 
a cui si riferisce il giudice nazionale, il Governo francese; nelle sue 
osservazioni scritte, ha illustrato il quadro generale degli accordi inter

144 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nazionali esistenti in materia di aviazione civile. A tale proposito, esso 
ha citato la convenzione base relativa all'aviazione civile internazionale 
sottoscritta a Chicago il 7 dicembre 1944 (Raccolta dei trattati delle 
Nazioni Unite, volume 15, pag. 295), nonch� l'insieme degli altri accordi 
internazionali che ne sono derivati. 

19. -La convenzione di Chicago dispone, all'art. 6, che �nessun. 
servizio internazionale pu� essere esercitato al di sopra o all'interno del 
territorio di uno Stato contraente, salvo permesso speciale o altra autorizzazione 
di detto Stato e in conformit� alle condizioni di tale permesso 
o autorizzazione �. Essa non contiene disposizioni in materia di tariffe 
non essendo stato possibile concludere un accordo in materia tra gli 
Stati firmatari. 
20. -Il precitato art. 6, che sancisce il principio della sovranit� 
di ciascuno Stato sullo spazio aereo sovrastante il suo territorio, ha 
condotto alla conclusione di una rete di accordi bilaterali attraverso 
quali gli Stati autorizzano la creazione di una o pi� linee aeree tra i 
loro rispettivi territori. 
21. -Taluni accordi bilaterali, concepiti secondo modelli di applicazione 
generalizzata, quali il c.d. accordo delle Bermude II tra gli 
Stati Uniti e la Gran Bretagna, concluso il 13 luglio 1977, definiscono 
le linee autorizzate nonch� gli scali nei paesi interessati e stabiliscono 
che ciascuno Stato firmatario designa le compagnie aeree autorizzate 
ad esercitare i diritti riconosciuti dall'accordo di cui trattasi. Detti accordi 
garantiscono che tutte le compagnie aeree autorizzate potranno 
gestire tali linee alle stesse condizioni. Tali accordi dispongono altres� 
che le tariffe dei servizi aerei sono fissate dalle compagnie autorizzate 
ad effettuare il servizio sulle linee considerate da ciascun accordo. Tali 
tariffe sono poi sottoposte all'approvazione delle autorit� degli Stati 
firmatari. In questo tipo di accordo bilaterale, gli Stati firmatari rivelano 
per� la loro preferenza a che le tariffe siano fissate in comune 
dalle compagnie autorizzate e, se possibile, siano trattate nell'ambito 
dell'Associazione del Trasporto Aereo Internazionale (l.A.T.A.). 
22. -La I.A.T.A. � un'associazione di diritto privato creata dalle compagnie 
di trasporti aerei in occasione di una conferenza da esse tenuta 
all'Avana nell'aprile 1945. Una delle sue attivit� consiste nell'offrire alle 
compagnie che effettuano il servizio su rotte situate in una stessa 
regione un ambito in cui esse possono decidere tariffe coordinate. Tali 
tariffe sono poi sottoposte all'approvazione degli Stati interessati, in 
conformit� a quanto disposto dai vari accordi bilaterali. 
23. -Un sistema analogo a quello dei summenzionati accordi bilaterali 
per la fissazione delle tariffe � contemplato dall'accordo multi~ 


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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNUARIA E INTERNAZIONALE 145 

laterale sulla procedura da applicare alla fissazione delle tariffe aeree 
regolari, concluso il 19 luglio 1967 nell'ambito del Consiglio d'Europa e 
ratificato da taluni Stati membri. 

24. -Il Governo francese, dopo aver ricordato il contesto internazionale 
in precedenza descritto, ha precisato che le disposizioni legislative 
e regolamentari francesi di cui tr�ttasi nelle cause principali 
si collocano in tale ambito. Tuttavia, esso non ha sostenuto che gli 
accordi internazionali in precedenza menzionati obblighino gli Stati 
membri che li hanno firmati a non osservare le regole di concorrenza 
del Trattato CEE. 
25. -La posizione del Governo francese al riguardo � condivisa, in 
sostanza, dalle altre parti che hanno presentato osservazioni nelle cause 
in esame, le quali hanno anch'esse menzionato il contesto internazionale 
descritto dal Governo francese. 
26. -Stando cos� le cose, gli accordi internazionali menzionati gal 
� Governo fraricese 
e dalle altre parti non� ostano a che la Corte esamini 
la questione sollevata dal giudice nazionale in relazione alle� norme di 
diritto comunitario a cui tale giudice fa riferimento. 

C) Sull'applicabilit� ai trasporti aerei delle regole di concorrenza del 
Trattato. 

27. -Intesa nel senso sopra definito, la questione sollevata dal giudice 
nazionale richiede che venga precisato se il diritto comunitario 
comporti obblighi incombenti agli Stati membri, in forza dell'art. 5 
del Trattato, in materia di concorrenza nel settore dei trasporti aerei. 
A tal fine, � necessario verificare, in via preliminare, se le regole di 
concorrenza stabilite dal Tr�ttato, allo stato attuale del diritto comunitario, 
si applichino alle imprese rientranti nel settore di cui � causa. 
28. -Al riguardo deve in primo luogo prendersi in considerazione 
l'art. 84 con cui si conclude il titolo IV della seconda parte del Trattato, 
consacrato ai trasporti. 
29. -Tale articolo recita: 
� 1. Le disposizioni del presente titolo si applicano ai trasporti 
ferroviari, su strada e per vie navigabili. 
2. Il Consiglio, con deliberazione unanime, potr� decidere se, in 
quale misura e con quale procedura, potranno essere prese opportune 
disposizioni per la navigazione marittima ed aerea �. 

146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

{: 

30. -Nelle loro osservazioni, la societ� Nouvelles Fronti�res, il GoI 
!:

verno del Regno Unito e la Commissione fanno valere che tale articolo 
non pu� escludere l'applicazione al settore dei trasporti aerei delle norme 
del Trattato in materia di concorrenza, in particolare dell'art. 85. 

I !: 

31. -Al riguardo, essi fanno riferimento alla sentenza 4 aprile 1974 
(causa 167/73, Commissione c/ Repubblica francese, Racc. pag. 359), 
in cui la Corte ha riconosciuto che l'art. 84, n. 2, lungi dall'escludere 
l'applicazione del Trattato ai tipi di trasporto considerati da tale 
disposizione, dispone soltanto che ad, essi non si applicheranno ipso iure 
1 

le norme specifiche del titolo relativo ai trasporti e che pertanto gli 
stessi, cosi come le altre forme di trasporto, rimangono soggetti alle 
norme generali del Trattato. 

32. -Essi sostengono che, fra le norme generali del Trattato, figurano 
anche le norme relative alla concorrenza. Queste ultime dovrebbero 
quindi potersi applicare ai trasporti aerei indipendentemente da qualsiasi 
decisione del Consiglio ai sensi dell'art. 84, n. 2. 
33. -La soluzione opposta � propugnata dal Governo francese. 
34. -Tale Governo fa valere che fa soluzione adottata dalla Corte 
nella sua precitata sentenza r~guardava esclusivamente le norme contenute 
nella seconda parte del Trattato riguardanti i fondamenti della 
Comunit� e non pu� quindi essere trasposta alle regole di concorrenza, 
che sono contenute nella terza parte dello stesso Trattato, relativa alla 
politica della Comunit�. 
35. -Va ricordato che, ai sensi dell'art. 74, che apre il titolo relativo 
ai trasporti, � gli Stati membri perseguono gli obiettivi del Trattato 
per quanto riguarda la materia disciplinata dal presente titolo, nel 
quadro di una politica comune dei trasporti �. 
36. -Dalla formulazione stessa di tale norma risulta che gli obiettivi 
del Trattato, ivi compreso quello sancito all'art. 3, lett. f), e consistente 
nella creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza 
non sia falsata nel mercato comune, sono validi anche per il 
settore dei trasporti. 
37. -Ai sensi dell'art. 61 del Trattato, la libera circolazione dei 
servizi in materia di trasporti non � disciplinata dalle disposizioni del 
capo relativo alla prestazione di servizi, ma da quelle del titolo relativo 
alla politica comune dei trasporti. Nel settore dei trasporti, l'obiettivo 
fissato dall'art. 59 del Trattato e -consistente nella soppressione, 
durante il periodo transitorio, delle restrizioni alla libera prestazione 
dei servizi, avrebbe quindi dovuto essere raggiunto nell'ambito dell.a 
politica comune definita agli artt. 74 e 75. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

38. -Nessun'altra disposizione del Trattato subordina invece la sua 
applicazione al settore dei trasporti alla realizzazione di una politica 
comune in tale settore. 
39. -Per quanto riguarda in particolare le regole di concorrenza, 
va ricordato che, a norma dell'art. 77 sono compatibili col Trattato 
� gli aiuti richiesti dalle necessit� del coordinamento dei trasporti ovvero 
corrispondenti al rimborso di talune servit� inerenti alla nozione di 
pubblico servizio �. Una norma siffatta presuppone chiaramente che le 
regole di concorrenza del Trattato, di cui fanno parte le norme relative 
agli aiuti statali, si applichino al settore dei trasporti indipendentemente 
dalla realizzazione di una politica comune in tale settore. 
40. -Occorre inoltre osservare che il Trattato, quando ha inteso sottrarre 
talune attivit� all'applicazione delle regole di concorrenza, ha 
stabilito una deroga espressa a tale fine. Ci� avviene per quanto riguarda 
la produzione e il commercio dei prodotti agricoli, a cui le regole di 
concorrenza, a norma dell'art. 42, si applicano soltanto � nella misura 
determinata dal Consiglio, nel quadro delle disposizioni e conformemente 
ana procedura di cui all'articolo 43, paragrafi 2 e 3, avuto riguardo agli 
obiettivi enunciati nell'articolo 39 �. 
41. -Per i trasporti non esiste alcuna norma del Trattato che, analogamente 
all'art. 42, escluda l'applicazione delle regole di concorrenza 
o la subordini ad una decisione del Consiglio. 
42. -Deve pertanto concludersi che le regole di concorrenza del 
Trattato, ed in particolare quelle dettate dagli artt. 85-90, si applicano 
al settore dei trasporti. 
43. -Per quanto concerne p1u m particolare la navigazione aerea, 
va constatato che l'art. 84 del Trattato, come risulta dalla sua stessa 
formulazione e dalla sua collocazione nel Trattato, mira semplicemente 
a definire l'ambito di applicazione degli artt. 74 e segg. in relazione alle 
diverse forme di trasporto, operando una distinzione tra i trasporti 
ferroviari, su strada e per vie navigabili considerati al n. 1, da una 
parte, ed i trasporti marittimi e. aerei che formano oggetto del n. 2; 
dall'altra. 
44. � Quanto al suddetto n. 2, la Corte ha precisato, nella sua precitata 
sentenza 4 aprile 1974, che tale disposizione ha il solo scopo di 
escludere, salvo decisione contraria del Consiglio, l'applicazione ai trasporti 
marittimi ed aerei del titolo IV della seconda parte del Trattato 
relativa alla politica comune dei trasporti. 

148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

45. -Ne consegue che i trasporti aerei, cosi come le altre forme 
di trasporto, restano soggetti alle norme generali del Trattato, ivi comprese 
quelle in materia di concorrenza. 
D) Sulle conseguenze dell'assenza, nel settore dei trasporti aerei, di una 
normativa di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato. 

46. -Nelle loro osservazioni scritte, la Air France e la K.L.M., nonch� 
i Governi francese, italiano, olandese e la Commissione hanno sottolineato 
che, nel settore dei trasporti aerei manca, allo stato attuale, una nor.
mativa quale quella contemplata dall'art. 87. 
47. -Stando cosi le cose, l'applicazione a tale settore degli artt. 85 
e 86 rientra, a parere dei Governi francese e italiano, nella competenza 
delle autorit� nazionali considerate all'art. 88 del Trattato. Tali autorit� 
potrebbero altresi accordare, nei casi di cui all'art. 85, n. 3, esenzioni 
al divieto sancito al n. 1. 
48. -Il Governo dei Paesi Bassi ritiene anch'esso che, in assenza 
di provv�dimenti di applicazione degli artt. 85 e 86, spetti alle autorit� 
nazio.3:l.i ai sensi dell'art. 88, ma anche alla .Commissione in forza dell'art. 
89, assicurare l'osservanza di tali norme. Detto Governo sostiene 
che non � possibile constatare, nell'ambito di un procedimento pregiudiziale 
come quello in corso, l'esistenza di un'infrazione. 
49. -A parere della Commissione, invece, l'assenza dei provvedimenti 
di applicazione di cui all'art. 8? non osta a che i giudici nazionali siano 
eventualmente chiamati a pronunziarsi sulla compatibilit� di un accordo 
o di una prassi determinata con le regole di concorrenza, essendo 
queste ultime direttamente efficaci. 
50. -Va ricordato che, a norma dell'art. 87, n. 1, il Consiglio, con 
deliberazione unanime entro il termine di tre anni dall'entrata in 
vigore del Trattato, o a maggioranza qualificata dopo la scadenza di 
tale termine, � stabilisce tutti i regolamenti o le direttive utili ai fini 
dell'applicazione dei principi contemplati dagli articoli 85 e 86 �. Come 
risulta dal primo �onsiderando del regolamento del Consiglio 6 febbraio 
1962, n. 17 (G. U., pag. 204), l'adozione di tali regolamenti o direttive 
� necessaria � per stabilire un regime inteso a garantire che la 
concorrenza non sia falsata nel mercato comune � e per � provvedere 
all'applicazione equilibrata degli articoli 85 e 86 in modo uniforme negli 
Stati membri �. 
51. -Tuttavia, malgrado una proposta in tal senso formulata dalla 
Commissione (G. U. 1982, n. C 78, pag. 2), il Consiglio, fino ad ora, non 
ha adottato una siffatta normativa valida per i trasporti aerei. Infatti. 
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PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 149 

il regolamento n. 17, in forza del regolamento 26 novembre 1962, n. 141 

(G. U., pag. 204), � stato reso inapplicabile a tale settore e, di conseguenza, 
tale normativa � stata adottata soltanto per i trasporti ferroviari, 
su strada e per vie navigabili (cfr. regolamento 19 luglio 1968, 
n. 1017, G. U. n. L 175, pag. 15). 
52. -In assenza di una normativa quale quella contemplata dall'art. 
87 del Trattato, restano pertinenti alla materia gli artt. 88 e 89. 
53. -Ai sensi del primo di tali articoli, �fino al momento dell'entrata 
in vigore delle disposizioni adottate in applicazione dell'art. 87, le autorit� 
degli Stati membri decidono in merito all'ammissibilit� di intese 
ed allo sfruttamento abusivo di una posizione dominante nel mercato 
comune, in conformit� del diritto nazionale interno e delle disposizioni 
dell'art. 55, in particolare del paragrafo 3, e dell'art. 86 �. 
54. -Tale norm~ impone quindi alle � autorit� degli Stati membri � 
l'obbligo di applicare gli artt. 85, in particolare il n. 3, e 86 fino al 
momento in cui non venga adottata una normativa ai sensi dell'art. 87. 
55. -Come la Corte ha precisato nella sua sentenza 30 gennaio 1974 
(causa 127/73, BRT, Racc. pag. 51), la nozione di �autorit� degli Stati 
membri� di cui all'art.1 88 designa sia le autorit� amministrative incaricate, 
nella maggior parte degli Stati membri, di applicare la legge 
nazionale sulla concorrenza sotto il controllo di legittimit� operato 
dai giudici competenti, sia i giudici ai quali, in altri Stati membri, 
tale compito sia stato specificamente affidato. 
56. -Cos� intesa, la nozione di � autorit� degli Stati membri � ai 
sensi dell'art. 88 non comprende i giudici penali che hanno il compito 
di provvedere alla repressione delle infrazioni alla legge. 
57. -A quanto risulta dagli atti delle caus� in esame, le concertazioni 
tariffarie sottostanti ai procedimenti penali di cui trattasi nelle 
cause principali non hanno formato oggetto di alcuna decisione adottata, 
in forza dell'art. 88, dalle autorit� francesi competenti e diretta 
a conttollare. l'ammissibilit� di tali accordi nei confronti delle norme 
francesi in materia di concorrenza nonch� dell'art. 85, in particolare 
del n. 3 di quest'ultimo. Il Governo francese stesso ha escluso che una 
decisione del genere possa considerarsi compresa nella decisione di 
omologazione di cui hanno beneficiato le tariffe di cui trattasi. 
58. ~ Quanto all'art. 89, tale norma disciplina i poteri della Commissione 
durante il periodo che precede l'entrata in vigore della normativa 
considerata dall'art. 87. Tali poteri consistono nella facolt� di 
istruire, a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio, � i casi di presunta 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

150 

infrazione ai principi � fissati dagli artt. 85 e 86 e di proporre, qualora 
essa constati l'esistenza di un'infrazione, �i mezzi atti a porvi termine�. 
Nel caso in cui non sia posto termine alle infrazioni, l'art. 89, n. 2, 
attribuisce alla Commissione il potere di constatare l'infrazione �con 
una decisione motivata � che pu� formare oggetto di pubblicazione e 
di autorizzare gli Stati membri � ad adottare le necessarie misure, di 
cui definisce le condizioni e modalit�, per rimediare alla situazione�. 

59.� Tuttavia, la Commissione non ha sostenuto di aver esercitato, 
nei confronti delle concertazioni tariffarie di cui � causa, i poteri che 
le sono conferiti dall'art. 89, in particolare quello, di cui al n. 2 di tale 
norma, di constatare, tramite decisione motivata, l'esistenza di una 
infrazione all'art. 85. 

60. � Stando cos� le cose, occorre chiedersi se, in assenza di una 
regolamentazione o direttiva, adottata dal Consiglio sulla .base dell'art. 87, 
da applicarsi al settore dei trasporti aerei, un giudice nazionale, che 
non sia una delle autorit� degli Stati membri considerate dall'art. 88, 
fruisca nondimeno del potere di constatare, nell'ambito di controversie 
come quelle di cui trattasi nei giudizi principali, l'incompatibilit� con 
l'art. 85 .di una concertazione tariffaria tra compagnie aeree, qualora 
tale concertazione non abbia costitt,iito oggetto n� di una decisione presa 
in forza dell'art. 88 dalle autorit� nazionali competenti, n� di una decisione 
proveniente dalla Commissione in applicazione dell'art. 89 e, in 
particolare, del n. 2 di quest'ultimo. 
61. -A questo proposito, va ricordato che, come fa Corte ha dichiarato 
nella sua sentenza 6 aprile 1962 (causa 13/61, Bosch, Racc. pag. 91), 
� gli artt. 88 e 89 non sono atti a garantire l'applicazione completa ed 
integrale dell'articolo 85 e non sono quindi di per s� sufficienti a far 
ritenere che quest'ultimo articolo avrebbe avuto pieno effetto fin dall'entrata 
in vigore del Trattato�. 
62. -In realt�, l'art. 88 contempla la possibilit� di una decisione 
delle autorit� nazionali sull'ammissibilit� di intese , solo qualora queste 
ultime siano sottoposte all'approvazione di dette autorit� nell'ambito 
della normativa vigente nel loro paese in materia di concorrenza. D'altra 
parte, secondo l'art. 89, la Commissione, pur essendo autorizzata a constatare 
eventuali violazioni degli artt. 85 e 86, non � competente a concedere 
dichiarazioni di esenzione ai sensi dell'art. 85, n. 3. 
63. -Stando cos� le cose, il fatto che un'intesa possa rientrare nell'ambito 
di applicazione dell'art. 85 non � sufficiente a farla considerare 
senz'altro vietata a norma del n. 1 di detto articolo e, pertanto, nulla 
ipso iure aii sensi del n. 2 dello stesso. 

PARm I, SEZ. ,II, GIURIS. COMUNITARIA E INTEltNAZIONALB 

64. -Tale conclusione sarebbe infatti contraria al principio generale 
della certezza del diritto -norma giuridica che, come la Corte ha 
dichiarato nella sua precitata sentenza 6 apvile 1962, va osservata nell'applicazione 
del Trattato -dato che porterebbe a sanzionare con un 
divieto e una nul~it� ipso iure taluni accordi, prima ancora che sia stato 
possibile constatare se nei loro confronti si applichi l'art. 85 nel suo 
insieme. 
65. -Va invece riconosciuto che, come la Corte ha precisato nella 
sua sentenza 6 aprile 1962, fino all'entrata in vigore di un regolamento 
o di una direttiva di applicazione degli artt. 85 e 86 ai sensi dell'art. 87, 
il divieto di cui all'art. 85, n. l, nonch� la nullit� assoluta di cui al n. 2 
�ello stesso articolo, operano solo nei confronti degli accordi e delle 
decisioni che le autorit� degli Stati membri, sulla base dell'art. 88, 
hanno considerato vietati dall'art. 85, n. 1, e non autorizzabili ai sensi 
dell'art. 85, n. 3, oppure nei riguardi dei quali la Commissione abbia 
proceduto alla constatazione contemplata nell'art. 89, n. 2. 
66. -La Commissione sostiene, tuttavia, che i principi che discendono 
dalla precitata sentenza 6 aprile 1962 non possono essere estesi 
alle intese in materia di trasporti aerei. Infatti, secondo la Commissione, 
le circostanze della fattispecie ivi presa in esame, quali H fatto che si 
vertesse su accordi conclusi prima dell'entrata in vigore del Trattato 
e notificabili ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 17, nonch� l'esistenza 
di tale regolamento all'epoca della trattazione di tale causa, non si 
ritrovano per quanto riguarda le intese nel settore di cui � causa. 
67. -Tali argomenti non possono essere accolti. I principi derivanti 
dalla precitata sentenza 6 aprile 1962 rimangono validi in quanto non 
sono intervenuti n� regolamenti, n� direttive ai sensi dell'art. 87 e, 
di conseguenza, non � stata istituita alcuna procedura per dare applicazione 
all'art. 85, n. 3. 
68. -Deve pertanto concludersi che, in mancanza di una decisione 
adottata, in forza dell'art. 88, dalle autorit� nazionali competenti con 
cui venga constatato che una determinata concertazione tariffaria tra 
compagnie aeree � vietata dall'art. 85, n. 1, e non pu� essere esentata 
da tale divieto a norma del n. 3 dello stesso articolo, o in mancanza 
di una decisione presa dalla Commissione a norma dell'art. 89, n. 2, 
e diretta a constatare, nei confronti di una siffatta concertazione, l'esistenza 
di un'infral'lione all'art. 85, n. l, un giudice nazionale come quello 
che ha adito la Corte nelle presenti controversie non ha il potere di 
constatare, di sua iniziativa, l'incompatibilit� della concertazione tariffaria 
di cui trattasi con l'art. 85, n. 1. 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

69. -Occorre tuttavia precisare che, in attesa di una normativa quale 
quella contemplata dall'art. 87, da applicare al settore di cui trattasi, 
se viene effettuato un accertamento di questo genere, vuoi ad iniziativa 
delle autorit� nazionali in forza dell'art. 88, vuoi ad iniziativa della 
Commissione a norma dell'art. 89, n. 2, i giudici nazionali devono trarne 
tutte le� conseguenze e desumerne, iin particolare, ai sensi dell'art. 85, 
n. 2, la nullit� assoluta �delle concertazioni tariffarie oggetto di tale 
accertamento. 
E) Sulla compatibilit� col diritto comunitario di una procedura nazionale 
di omologazione delle tariffe aeree. 

70. -Va poi esaminato il problema di stabilire se ed in che misura 
sia contrario agli obblighi imposti agli Stati membri in forza del combinato 
disposto dell'art. 5 del Trattato CEE e degli artt. 3, let. f), e 85, 
applicare le disposizioni nazionali del tipo di quelle considerate dal giudice 
nazionale, che prescrivono, per le tariffe del trasporto aereo, una 
procedura obbligatori.a di omologazione e che sanzionano, anche penalmente, 
l'inosservanza . delle tariffe cos� omologate, qualora, in assenza 
di regolamenti o direttive ai sensi dell'art. 87 del suddetto Trattato, 
sia stato constatato, nelle forme e secondo le procedure descritte all'art. 88 
o all'art. 89, n. 2, che tali tariffe sono il risultato di un accordo, di una 
decisione di associazione d'imprese o di una pratica concordata contrari 
al precitato art. 85. 
71. -Va ricordato che, come risulta da una giurisprudenza costante, 
anche se gli artt. 85 e 86 del Trattato riguardano il comportamento delle 
imprese e non provvedimenti legislativi o regolamentari degli Stati membri, 
il Trattato obbliga tuttavia questi ultimi ad astenersi dall'emanare 
o dal mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere praticamente 
inefficaci tali norme (sentenza 16 novembre 1977, causa 13/77, 
Inno, Racc. pag. 2115). 
72. -Ci� si verifica in particolare nel caso in cui uno Stato membro 
imponga o favorisca la conclusione di intese contrarie all'art. 85 o ne 
rafforzi gli effetti. 
73. -Secondo la Air France, la K.L.M. ed il Governo francese, le 
concertazioni tariffarie tra compagnie aeree non sono dovute all'esist�nza 
di una procedura obbligatoria di omologazione delle tariffe, come quella 
in vigore in Francia, ma dipendono da decisioni prese in piena indipendenza 
dalle compagnie dei diversi Stati, nell'ambito della I.A.T.A. o in 
un contesto analogo. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTER. ...AZIONALI! 

74. -Per il Governo del Regno Unito e per la Commissione, invece, 
mentre le disposizioni nazionali in materia di omologazione delle tariffe 
aeree non costituiscono, di per s�, provvedimenti che obblighino le 
imprese a sottrarsi agli obblighi che discendono dall'art. 85, diverso sarebbe 
il caso se le autorit� nazionali esigessero che le compagnie sottoponessero 
loro esclusivamente tariffe convenute fra le stesse, ad esempio 
nell'ambito della I.A.T.A., rifiutando l'omologazione di tariffe presentate 
in forma autonoma. 
75. -Al riguardo va osservato che la valutazione nei confronti del 
diritto comunitario dell'applicazione di disposizioni nazionali del tipo 
di quelle considerate dal giudice nazionale deve operarsi tenendo conto 
della natura delle tariffe oggetto dell'omologazione e della loro compatibilit� 
col diritto comunitario. 
76. -Qualora le concertazioni attraverso cui sono state fissate le 
tariffe aeree abbiano formato oggetto di una decisione delle autorit� 
nazionali competenti ai sensi dell'art. 88, o della Commissione ai sensi 
dell'art. 89, n. 2, con cui sia stata constatata l'incompatibilit� di dette 
concertazioni con l'art. 85, � contrario agli obblighi incombenti agli 
Stati membri in materia di concorrenza omologare tali tariffe e rafforzarne 
cos� gli effetti. 
77. -La questione proposta dal giudice nazionale va pertanto risolta 
nel senso che � contrario agli obblighi derivanti agli Stati membri dal 
combinato disposto dell'art. 5 del Trattato CEE e degli artt. 3, lett. f), 
e 85, in particolare n. 1, dello stesso Trattato, omologare tariffe aeree 
e rafforzarne cos� gli effetti qualora, in assenza di una normativa adottata 
dal Consiglio in base all'art. 87, sia constatato, nelle forme e 
secondo le procedure descritte all'art. 88 o all'art. 89, n. 2, che tali 
tariffe sono il risultato di un accordo, della decisione di un'associazione 
d'imprese o di una pratica concordata contrari all'art. 85. (omissis) 

SEZIONE TERZA 
GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
SEZIONE TERZA 
GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 dicembre 1985, n. 6457 -Pres. 
Moscone -Rel. Colasurdo -P. M. Caristo (concl. conf.) -Comune di 
Roma (avv. Scotto e Lesti) c. Zavettieri � (avv. Medugno) nonch� 
Ministero del Tesoro (avv. Stato Arena). 
Competenza civile -Medico mutualistico -Rapporto di lavoro parasubordinato 
-Art. 409 n. 3 c.p.c. -Competenza giudice del lavoro. 
Il rapporto di �lavoro tra gli enti assistenziali e i medici mutualistici 
con incarico ambulatoriale ha natura di prestazione d'opera continuativa 
e coordinata, ma senza vincolo di subordinazione, cos� da non 
costituire n� un rapporto d'impiego pubblico n� un rapporto di prestazione 
d'opera intellettuale autonoma, per ricondursi nell'ambito della 
c.d. parasubordinazione disciplinata dall'art. 409 n. 3 c.p.c., come tale 
rientrante nella cognizione del Pretore in funzione di giudice del 
lavoro (1). 
(omissis) Seppure ammissibile, il ricorso, tuttav>ia, non merita accoglimento. 
Con i tre mezzi di censura, denunciando la violazione delle norme 
di legge relative, il Comune sostiene: 
1) che l'appello sarebbe stato erroneamente ritenuto inammissibile 
per difetto di autorizzazione del sindaco; 
2) che la sentenza di appello sarebbe illegittima in quanto emessa 
da un giudice carente di giurisdizione, essendo di pubblico impiego 
il rapporto lavorativo dedotto in giudizio; 
3) che Il;\ dichiarazione di inammissibilit� del gravame principale 
avrebbe dovuto essere estesa a quello incidentale, anche se autonomo, 
stante l'avvenuta riooione degli appelli. 
Nessuna di queste doglianze appare fondata. 
Il giudice di secondo grado ha rilevato che il rappresentante del 
Comune non aveva fornito dimostrazione di essere stato autorizzato 
(1) Giurisprudenza ormai costante: Cass. Sez. Un. 28 giugno 1984, n. 315, 
in Foro It., 1984, I, 1813, con nota di richiami giurisprudenziali e di dottrina; 
Cass. Sez. Un. 4 ottobre 1984, n. 4909; Cass. Sez. Lav. 12 novembre 1984, n. 5701. iI 
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PARTE I, SEZ. Ili, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 155 

all'impugnazione, tanto che la difesa aveva addirittura chiesto un rinvio 
dell'udienza di discussione per produrre la documentazione relativa. 

Da questo il Tribunale ha necessariamente dedotto che il sindaco 
risultava privo di legitimatio ad processum, per cui il rapporto processuale 
non si era costituito, rendendo inammissibile, di conseguenza, 
l'impugnazione. 

Con la censura in esame il Comune non disconosce the una delibera 
ad hoc non sia stata adottata, ma pretende di ricavare l'esistenza dell'autorizzazione 
dalla delibera di giunta che autorizzava il versamento 
di un congruo acconto sulla somma liquidata dal pretore dietro impegno, 
da parte della Zavattieri, di non iniZJiare procedure esecutive fino alla 
decisione di secondo grado. 

I termini stessi della proposi2l�one condannano inevitabilmente la 
doglianza, stante la diversa finalit� del provvedimento adottato, che non 
consente di mutuare dall'accenno all'avvenuta proposizione dell'appello 
contenuto nella motivazione del provvedimento l'autorizzazione a impugnare 
la sentenza del pretore, conclusione che appare confermata dall'espressa 
riserva di ogni diritto in ordine alle altre iniziative giudiziali 
contenute nel dispositivo. 

La dichiarazione di inammissjbilit� del gravame, legittimamente 
adottata dal Tribunale, rende infondato anche il secondo motivo per la 
preclusione derivante dalla formazione del giudicato sul punto della 
giurisdizione, affermata in favore del giudice ordinario dal pretore per 
essere il rapporto lavorativo di parasubordinazione, e non gi� di pubblico 
impiego, come sosteneva il Comune. 

Anche il terzo mezzo di censura deve essere rigettato, perch� la 
riunione delle impugnazioni proposte contro la stessa sentenza non vale 
ad accomunarle necessariamente alla sorte di quella principale. 

Ci� avviene quando l'impugnazione incidentale sia dipendente, cos� 
da trovare nella principale .il suo presupposto necessario, ma non quando 
invece sia autonoma, com'era quella della Zavattieri per la sua essenza e 
per ammissione dello stesso ricorrente. 

In tale caso, invero, l'appello � inoidentale solo per la sua successione 
cronologica nei riguardi di quello proposto per primo, cos� da 
conservare la propria individualit� e restare assoggettato al rispetto del 
termine preV'isto per l'appello principale (art. 325 c.p.c.), che nel caso 
specifico � stato puntualmente osservato. 

Resta da esaminare il ricorso incidentale, con cui il Ministero del 
Tesoro denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 409 c.p.c., in 
relazione agli artt. 2222 e 2223 e.e., sostenendo che il giudice del lavoro 
avrebbe erroneamente ritenuto che la questione concernesse un rapporto 
di lavoro parasubordinato, quando invece aveva per oggetto una prestazione 
d'opera intellettuale, sottratta alla cognizione del giudice del 
lavoro. 


156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il tribunale, in effetti, non si � dato carico della questione sottopostagli 
dalla parte, dichiarandola esplicitamente assorbita dal provvedi~ 
mento di rimessione al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio 
(anche se forse per questa via � venuto a riconoscere per implicito 
la competenza del giudice del lavoro), ma, trattandosi di una questione 
di competenza, essa pu� e deve essere esaminata da questa Corte. 

Non ricorre tuttavia la dedotta incompetenza, essendo fermo, ormai, 
nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite che il rapporto di lavoro 
che si stabilisce fra gli enti assistenziali e i medici mutualistici con incarico 
ambulatoriale ha natura di presta~ione d'opera continuativa e coordinata, 
ma senza vincolo di subordina2lione, cos� da non costituire n� 
un rapporto di impiego pubblico n� un rapporto di prestazione d'opera 
intellettuale autonoma, per ricondursi nell'ambito della c.d. � parasubordinazione 
� disciplinata dall'art. 409 n. 3 c.p.c. 

Il principio � stato confermato di recente nei riguardi del medie<? 
specialista addetto a un ambulatorio dell'ONMI o, dopo lo scioglimento 
di queste, del consorzio sanitario locale subentrato nella relativa attivit� 
(sentt. 2 maggio 1983, n. 3007 e 3008). 

Nella specifica controversia, in ordine alla questione della competenza 
in materia di opposizione alla esecuzione forzata del credito riconosciuto 
dal giudice del lavoro, queste Sezioni Unite hanno riconosciuto la 
competenza dello stesso giudice pure nei riguardi dell'opposizione, secondo 
il disposto dell'art. 618-bis c.p.c. 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 luglio 1985, n. 4372 -Pres. Moscone 
-Est. Sensale -P. M. Fabi -A.N.A.S. (avv. Stato Bmni) c. 
Galassi Luigi (avv. Merlini). 

Espropriazione per pubb1ica utilit� -Indennit� espropriativa -Giudizio 
di opposizione alla stima -Quantificazione di detta indennit� -Criteri. 

Con riguardo a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla 
realizzazione di opere o di interventi dello Stato e degli altri Enti pubblici, 
ancorch� attuate a norma della l. 25 giugno 1865, n. 2359, per 
le quali il decreto di espropriazione sia stato emesso dopo l'entrata 
in vigore del comma premesso all'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115 
dalla l. di conversione 27 giugno 1974, n. 247, il Giudice dell'opposizione 
avverso la stima dell'indennit� espropriativa ha il potere-dovere di quantificare 
l'indennit� medesima secondo le norme di cui alla l. 22 ottobre 
1971 n. 1365 e successive disposizioni, trattandosi di suoli agricoli, ovvero, 
a seguito della dichiarazione d'incostituzionalit� dell'art. 16, commi 
quinto, sesto e settimo della citata legge del 1971, cos� come modificati 
dalla l. 28 gennaio 1977 n. 10, limitatamente alle aree fabbricabili, nonch� 
delle norme che, a partire da quelle della legge 29 luglio 1980, n. 385 
hanno reintrodotto in via provvisoria i criteri stessi, di quantificare 
l'indennit� ricercando la disciplina applicabile alle aree edificabili, in 
quanto le sentenze della Corte Costituzionale non implicano una carenza 
del potere espropriativo, n� un totale vuoto normativo, ma l'operativit� 
delle disposizioni di quelle altre leggi derogate dalle norme dichiarate 
incostituzionali. (1) 

(omissis) 3. -La questione prospettata nel ricorso � stata gi� esaminata, 
anche con riferimento alla giurisdizione, dalle SS.UU. con le 
sentenze n. 4690/81 e 1673/82 (e, con soluzioni conformi, dalle sentenze 

Brevi note sui criteri per la determinazione dell'indennit� nelle espropriazioni 
decretate dopo l'entrata in vigore della I. 27 giugno 1974, n. 247. 

Con la sentenza che si commenta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
riconfermano il principio secondo il quale, dopo l'entrata in vigore del comma 
premesso dalla legge di conversione 27 giugno 1974, n. 247 all'art. 4 del d.l. 2 maggio 
1974, n. 115, l'indennit� deve essere determinata, per tutte le espropriazioni, 
secondo i criteri � tabellari � dettati dal titolo Il della legge 22 ottobre 1971, 

n. 865, -c.d. � legge sulla casa� -ovvero secondo quegli analoghi criteri dettati 
da successive disposizioni (su tali disposizioni e sulle modificazioni apportate 
6 



158 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

2509/81, 3553/81, 1754/82, 3338/82 e 3247/83 della prima sezione). I principi 
enunciati dalle richiamate sentenze, nelle quali la questione risulta 
ampiamente trattata, possono compendiarsi nelle seguenti proposizioni. 
Per tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di 
opere o d'interventi dello Stato e degli altri enti pubblici, anche non 
territoriali, ancorch� attuate a norma della legge 2? giugno 1865, n. 2359, 
per le quali il decreto di espropriazione sia stato emanato dopo l'entrata 
in vigore del comma premesso all'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115 
dalla legge di conversione 27 giugno 1974, n. 247, l'indennit� deve essere 
determinata, anche in sede di giudizio df opposizione alla stima, secondo 
i criteri dettati dal titolo secondo della legge 22 ottobre 1971, n. 865, 
ed, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980, 
dichiarativa dell'illegittimit� costituzionale dell'art. 16, commi 4�, 5�, 
6� e 7�, della citata legge del 1971 e successive modificazioni, secondo 
gli analoghi criter.i dettati in via provvisoria, salvo conguaglio, dalla 
legge 29 luglio 1980 n. 385 e successive proroghe, di immediata applicabilit� 
in tutti i procedimenti amministrativi o giudiziari in cui la 
liquidazione dell'indennit�, soggetta alla disciplina dichi�rata incostitu


al sistema normativo per effetto della sentenza della Corte Costituzionale v. infra). 

Pi� in particolare, la Corte afferma il principio che l'A.G.O., in sede di opposizione 
alla stima, ha il potere-dovere di applicare il criterio � tabellare'" disapplicando 
il diverso criterio di cui alla legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359, 
che fosse stato, in sede amministrativa, adottato per i procedimenti regolati 
da quest'ultima legge. 

L'affermazione di tale principio, enunciato per la prima volta dalle S. U. con 
la sentenza 21 luglio 1981, n. 4690 (in Giust. Civ. 1982, I, 4 ss. nonch� in Foro lt. 
1982, I, .1, 126 ss. con nota di F. PIETRASANTI) e, quindi, confermato con la sentenza 
S. U. 15 marzo 1982, rn. 1673 (in Giust. Civ. 1982, I, 1516 ss.), conclude una 
evoluzione progressiva, ma non senza contrasti, dell'orientamento della Suprema 
Corte. 

Come � noto, gravi dubbi interpretativi erano sorti sul punto gi� in sede 
di applicazione della � legge sulla casa �, specialmente in merito alla corretta 
interpretazione dell'art. 9 1. cit., il quale, tra l'altro, faceva riferimento alle 
espropriazioni finalizzate a � singole opere pubbliche >>. 

Le incertezze, anzi, furono accresciute da una successiva legge di interpretazione 
autentica (v. l'art. 1 ter l. 25 febbraio 1972, n. 13, nonch� la rettifica pubblicata 
sulla G. U. n. 62 del 6 marzo successivo). 

La dottrina, infatti, sostenne, da un lato, la tesi dell'applicabilit� delle disposizioni 
della � legge sulla casa � a � singole opere pubbliche � solo in quanto esse 
fossero connesse all'attuazione di interventi nel settore dell'edilizia abitativa 
(cfr. MAROTTA, Sui limiti di applicabilit� della legge per la casa, in Riv. giur. edil. 
1972, Il, 39 ss.) e, dall'altro, invece, la tesi pi� estensiva secondo la quale la 
nuova disciplina, anzich� derogare, per casi eccezionali, alle norme della cd. legge 
fondamentale, andava applicata alla generalit� degli interventi espropriativi (cfr. 
PREDIERI, MORBIDELLI, BRUNEU.I e BAATOLI, La riforma della casa, Milano, 1971, 
pp. 107 ss.; PIANESI, Alcune considerazioni intorno alle nuove norme sulla espropriazione, 
in Riv. Giur. edil., 1972, Il, 53). Restavano escluse, secondo quest'ultima 
tesi, le sole espropriazioni finalizzate ad opere di interesse generale, ma 


PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVll.E 

159 

zion.ale, non sia divenuta definitiva, salvo, peraltro, il controllo della 
non manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale 
dell'indicata normativa provvisoria, da operarsi in sede di rinvio; con 
la precisazione che la sopravvenuta dichiarazione di illegittimit� costituzionale 
dei criter.i dettati da tali norme non incide sulla ritualit� del 
pregresso procedimento amministrativo e della instaurazione del giudizio 
di opposizione davanti al giudice ordinario. 

Sennonch�, dopo la proposizione del iricorso da parte dell'ANAS, la 
Corte Costituzionale, con la sentenza 19 luglio 1983, n. 223, ha dichiarato 
illegittimi, per violazione degli artt. 42, 3� comma, e 136, 1� comma, 
della Costituzione, gli artt. l, 1�, 2�, 3�, 4� e 5� comma, 2 e 3 della 
legge n. 385/80, nonch� gli artt. unici delle leggi 25 settembre 1981, 

n. 535, 29 luglio 1982, n. 481 e 23 dicembre 1982, n. 943, rilevando che le 
citate leggi avevano restaurato gli stessi criteri di commisurazione 
della indennit� di espropriazione, che essa aveva gi� dichiarato illegittimi 
con la sentenza n. 5/80, e che il carattere �provvisorio� dell'indennit� 
non giustificava tale reiterazione, in quanto l'acconto rappresentava, 
per intanto, l'unico indennizzo cui gli espropriati avevano diritto, mentre 
del conguaglio (cui fa cenno il secondo comma dell'art. 1 della legge 
che non possono considerarsi pubbliche, come gli stabilimenti industriali (cfr. 
CAIANIELLO, La nuova disciplina delle espropriazioni, in Riv. Giur. edil., 1972, Il, 

p. 
27). 
La giurisprudenza (Cass. 29 ottobre 1979, n. 5644, in Rep. Giur. lt., 1979, 
v. Espropriazione, n. 51; Cons. St., Comm. speciale, parere 24 giugno 1972, in Foro 
Amm., 1972, I, 2, 1347Y accoglieva la tesi pi� restrittiva, ma non senza contrasti 
(v. Cons. St. Sez. IV, 12 novembre 1974, n. 786, in Cons. St., 1974, I, 1384). 
Con il comma, premesso dalla legge di conversione, al dJ. n. 115 del 1974, 
il legislatore intese allora superare tali perplessit�, realizzando l'unificazione dei 
criteri di indennizzo per tutte le espropriazioni, sia di interesse statale che r�gionale, 
ferme restando le rispettive competenze in materia (cfr. Cons. St., Comm. 
spec., parere 20 gennaio 1975, in Riv. Giur. edil., 1975, I, 245). 

Il coordinamento di questa nuova normativa con quella che disciplina le 
competenze ed i procedimenti da ,adottare, che sqno diversi, come � noto, a 
seconda che si applichi la legge fondamentale o la legge sulla casa, ha dato luogo 
ad una figura di �procedimento misto�. 

Tale ipotesi ricorreva per le espropriazioni iniziate nel vigore della legge 
fondamentale e regolate perci� da questa legge, ma decretate dopo l'entrata in 
vigore della I. n. 247 del 1974, ed alle quali sono perci� applicabili, solo per 
quanto concerne la determinazione dell'indennit�, le norme della � legge sulla 
casa�. 

Ma sorse cos� l'ulteriore problema della individuazione dei criteri di stima 
da applicare in sede giudiziaria nei procedimenti promossi in base alla legge 
fondamentale e ancora in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 274 cit. 
e precisamente in quei procedimenti nei quali alla predetta data l'indennit� non 
era ancora stata determinata in modo definitivo n� era stata ancora decretata 
l'espropriazione. 

La giurisprudenza aveva da tempo affermato che i criteri indennitari dovevano 
essere� sempre individuati sulla base della legge in virt� della quale era 



160 

RASSEGNA DELL'AVVOCATUR4. DELLO STATO 

385/80) nulla era dato sapere, non essendone state neppure enunciate 
le caratteristiche essenziali e .i criteri informatori, non escludendo la 
norma che esso potesse essere addirittura negativo e non essendo stato 
previsto alcun effetto conseguente all'inutile scadenza del termine indicato 
per l'emanazione dell'apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate 
illegittime, termine che gi� per due volte era scaduto ed era stato 
prorogato con le leggi, anch'esse dichiarate illegittime, 481/82 e 943/82. 

4. In relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 5/80 e, 
conseguentemente, alla successiva pronunzia n. 223/83, sorge tuttavia 
la questione circa l'ambito di estensione della declaratoria d'illegittimit� 
costituzionale contenuta nella sentenza n. 5/80; se cio� essa abbia prodotto 
la caducazione delle norme dichiarate illegittime in tutto l'ambito 
della loro previsione (e quindi prescindendo specificamente dalla natura 
agricola o edificatoria dell'area espropriata), come sembrerebbe dedursi 
dal dispositivo, o soltanto, invece, in quanto riferite alle aree con 
vocazione edificatoria, come potrebbe argomentarsi dalle ragioni della 
decisione svolta nella motivazione nonch� dall'oggetto della disciplina 
transitoria prevista dalla legge 385/80, secondo quanto risultante dalla 
stata disposta l'espropriazione (cfr. per es.: Cass. S. U. 25 febbraio 1967, n. 431, 
in Riv. Giur. edil., 1967, I, 979) e questo orientamento fu richiamato per risolvere 
il problema in esame (cfr. per es.: Cass. 6 ottobre 1976, n. 3290; in Rep. 
Giur. It., 1976, v. Espropriazioni, n. 65; Cass. 22 luglio 1978, n. 3668, ibidem, 1978, 

v. cit. n. 49; Cass. 9 febbraio 1979, n. 900, in Giust. Civ., 1979, I, 1781 con nota di 
Carbone). 
Veniva perci� accolta la tesi che nei procedimenti ablatori ancora in corso 
e regolati dalla I. fondamentale avrebbero dovuto essere applicati in sede giudiziaria 
i criteri dettati da quest'ultima legge e non quelli introdotti dalla legge 
sulla casa, pur dopo la novella del 1974. 

La tesi trovava anche sostegno in dottrina (MAROTTA, I nuovi profili dell'espropriazione 
per pubblica utilit�, Padova, 1983, pp. 77 ss.). 

La Cassazione motivava la soluzione accolta con il rispetto dei limiti fissati 
dall'art. 4 l. abol. cont. amm. al Giudice Ordinario, osservando che l'applicazione 
in sede di opposizione alla stima di un criterio indennitario diverso da quello 
dettato dalla legge in base alla quale l'espropriazione veniva disposta si risolveva 
in un sindacato sull'esercizio del potere discrezionale attribuito alla P. A. 
per la scelta del procedimento. 

In sostanza, pur dopo l'entrata in vigore della I. 247 del 1974, non poteva 
il Giudice, in sede di opposizione alla stima, fare applicazione dei diversi criteri 
dettati dalla �legge sulla casa� (la c.d. stima �tabellare�), poich� i suoi poteri 
per la determinazione quantitativa dell'indennit� trovavano un limite nella scelta 
compiuta dall'Amministrazione espropriante. 

Questa motivazione, tralaticiamente accolta nelle sentenze sopracitate, veniva 
criticata dall'Avvocatura dello Stato (cfr. relazione dell'Avvocato Generale 
dello Stato, anni 1976-80, voi. Ili, p. 421 ss.). 

Si osservava anzitutto che il riferimento al divieto per l'A.G.O. di modificare 
l'atto amministrativo non appariva pertinente. La stima dei valori dei beni, 
infatti, non forma oggetto del decreto di esproprio ma ne costituisce soltanto 
un presupposto estrinseco, come si desume dalla cir�ostanza che l'autorit� che 



161

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

intitolazione della medesima. Invero, ove la dichiarazione d'incostituzionalit� 
dovesse riferirsi alla sola determinazione della indennit� di 
espropriazione delle aree edificabili, si renderebbe necessario accertare 
in primo luogo la natura del terreno de quo, soltanto nel caso della sua 
edificabilit� ponendosi il problema di individuare la disciplina da applicarsi 
in luogo di quella dichiarata incostituzionale con la citata sentenza 

n. 223/83: problema, in relazione al quale deve richiamarsi quanto le 
SS.UU. hanno precisato con la sentenza n. 5383 del 1984, e cio�: a) che l'essere 
venuti meno i criteri di determinazione della indennit�, caducati dalle 
citate sentenze della Corte Costituzionale, non si traduce nella carenza 
del potere di espropriazione (e di occupazione d'urgenza) nelle ipotesi 
in cui quei criteri non siano pi� applicabili; b) che, in base all'art. 12 
disp. sulla legge in generale, non sono astrattamente configurabili S�� 
tuazioni insuscettibili di disciplina giuridica; e) che il significato di tale 
norma va oltre la sua portata regolatrice dei criteri d'interpretazione 
della legge e contiene il fondamentale pr,incipio secondo il quale, in via 
generale, non esistono nell'ordinamento vuoti normativi cui non si possa 
rimediare -nell'ambito di una potenziale copertura da parte dell'ordinamento 
dell'intera area delle situazioni di fatto rilevanti per il 
diritto -mediante il ricorso a quelle norme e a quei principi che sono 
.dettati proprio per il caso in cui una norma, precisa ed espressa, 
non si rinvenga nell'ordinamento. 

lo emana � tenuta soltanto a verificare l'avvenuto pagamento o deposito dell'in


dennit�. 

In secondo luogo, neppure appariva corretto fondarsi sull'esistenza di un 

potere discrezionale di scelta da parte della P. A. poich� la I. 1974 n. 247 aveva 

unificato i criteri indennitari, rendendo, quindi, irrilevante, a questo riguardo, 

la identificazione della causa della espropri:�zione e la adozione del procedimento 

disciplinato dalla I. fondamentale o di quello disciplinato dalla � legge per 

la casa�. 

Queste argomentazioni furono accolte dalla Corte di Cassazione nella citata 

sentenza S. U. 21 luglio 1981, n. 4690, la quale si poneva sulla scia della decisione 

12 marzo 1980, n. 1643 (in Giust. civ., 1980, I, 1279). 

In quest'ultima sentenza, anticipando in modo significativo il successivo orien


tamento, infatti, la Corte considerava insindacabile la scelta dei criteri inden


nitari, dettati dalla I. fondamentale, da parte dell'A.G.O. soltanto con riferimento 

alle espropriazioni decretate prima dell'entrata in vigore della I. 1974 n. 247. 

Cos� argomentando la Corte lasciava impregiudicata la questione per le espro


priazioni decretate dopo l'entrata in vigore della citata legge, e quindi, ancora 

in corso al momento dell'estensione dei criteri di cui alla 1. 865 del 1971. 

Per quest'ultima ipotesi, successivamente, con la citata sentenza 21 luglio 

1981, le S. U., mentre riaffermavano l'insindacabilit� della scelta del procedimen


to da adottare, accoglievano il principio, sostenuto anche dall'Avvocatura dello 

Stato, che l'A.G.O. in sede di opposizione pu�, e, anzi, deve, nel determinare la 

giusta indennit�, attenersi esclusivamente ai criteri della � legge sulla casa >>, 

quale che fosse il procedimento adottato, per tutte le espropriazioni ancora 

in corso. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 163 

tema d'interpretazione delle sentenze della Corte costituzionale, dove 
maggiormente � riscontrabile quella intima compenetrazione che sussiste 
tra le ragioni che hanno determinato la pronuncia, contenute 
nella parte motiva, e il dispositivo che enuncia il comando giuridico; 
e) adottando il modello della sentenza il legislatore non pu� non avere 
inteso che fossero applicabili, in materia d'interpretazione delle sentenze 
della Corte Costituzionale le regole di interpretazione proprie 
di quel tipo di atti; d) non rileva il fatto che il solo dispositivo della 
sentenza della Corte sia pubblicato nelle forme previste per la pubblicazione 
dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo, poich�, a 
parte il rilievo che anche tali decisioni (compresa la parte motiva) sono 
rese pubbliche con il deposito in cancelleria, le forme attraverso le 
quali � reso riconoscibile l'atto giuridico non possono condizionarne 
l'intima essenza; e il dispositivo rimane tale, anche se ad esso sia 
limitata la pubblicazione, e, quale dispositivo di una sentenza, rimand;i 
necessariamente, in maniera precisa ed inequivoca, alle ragioni che 
ne hanno determinato l'emanazione. 

to alla contestazione del privato, ad una nuova e definitiva determinazione (cfr. 
anche: Cass. 21 ottobre 1977, n. 4522, in Rep. Giust. Civ., 1976, v. Espropriazione, 

n. 176). 
Il principio di diritto cos� enunciato fu poi confermato, con motivazione 
sostanzialmente analoga, dalla sentenza S. U. 15 marzo 1982, n. 1673, sopra citata, 
e, quindi, � stato accoltll dalle sentenze della Prima Sezione citate nella motivazione 
della decisi�>ne che si annota. 

In conclusione, dopo l'entrata in vigore della 1. n. 247 del 1974, le espropriazioni 
di competenza statale sono compiute con un � procedimento misto � in 
seguito all'estensione ad esse del criterio tabellare di stima.. Questo criterio deve 
essere adottato in sede giudiziale anche qualora la P. A., avendo iniziato la procedura 
espropriativa secondo la legge fondamentale prima dell'entrata in vigore 
della predetta normativa, avesse adottato il diverso criterio dettato da quest'ultima 
legge. 

E ci sembra che questo principio meriti tuttora adesione. 

Sono state cos� decisamente superate le perplessit� manifestate in senso 
contrario dalla dottrina (v. MAROTTA, op. ult. cit., p. 79 ss.) la quale tuttora insiste, 
ma invero senza addurre nuove argomentazioni, fondandosi sul divieto di 
cui all'art. 4 1. abol. cont. amm. 

E, del resto, l'inconsistenza di tale rilievo � stata, poi, colta dalle S. U. le 
quali hanno affermato, in seguito, che lo stesso potere di scelta del procedimento 
espropriativo era stato soppresso dalla legge 1974 n. 247 (cfr. Cass. 18 marzo 
1982, n. 1754, in Giur. It., 1982, I, 1, 1430). 

Peraltro, in senso contrario alla tesi accolta dalle Sezioni Unite viene segnalata 
dalla dottrina (Marotta, op. loc. ult. cit.) la sentenza Cass. 11 agosto 1982, 

n. 4525 (in Foro lt., 1983, I, 1, 396 ss.). 
Ma il richiamo non � del tutto pertinente poich� essa concerne una fattispecie 
diversa e precisamente quella di un'espropriazione, di competenza statale, 
decretata prima dell'entrata in vigore della 1. 247 del 1974 e sulla base 
delle disposizioni di cui alla legge fondamentale. 

La sentenza citata contiene, peraltro, la riconferma di un altro principio 
di notevole interesse, al quale si era gi� fatto riferimento, e, cio�, quello �he 



164 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

6. Interpretato alla luce della motivazione, il dispositivo della sen� 
tenza della Corte costituzionale, come con la pronunzia 5401/84 si 
� ritenuto, deve essere inteso nel senso che i criteri di determinazione 
della indennit� di espropriazione, in tanto sono da ritenere caducati, 
in quanto si riferiscano alle aree con destinazione edilizia. Infatti, 
soltanto per le aree suddette valgono Je considerazioni svolte nella 
parte moti'1a della sentenza, la quale ha sottolineato il contrasto del� 
l'art. 16 della legge 865/71 con gli artt. 3 e 42 Cost., in quanto applica 
criteri estimativi che astraggono e prescindono del tutto dalle caratteristiche 
del bene espropriato, onde possono condurre alla liquidazione 
di indennit� del tutto irrisorie, e perch�, riconoscendo a tal fine la 
distinzione fra aree interne ed esterne al centro edificato, pu� con� 
durre ad una diversit� di trattamento di situazioni identiche, come 
pu� accadere per le aree contigue, ma esterne ai centri edificati, che 
hanno comunque destinazione edificatoria. 
Dalla motivazione risulta invece, che, per quanto riguarda le aree 
con destinazione agricola, non sussiste alcuna 11agione d'illegittimit�, dato 

per la individuazione dei criteri da applicare occorre, di regola, far riferimento 
alla data in cui � stata decretata l'espropriazione senza che possa rilevare la 
sopravvenienza di nuove disposizioni. 

La regola generale cos� enunciata � limitata dalla normativa posta dalla 
disposizione transitoria di cui all'art. 19 I. 28 gennaio 1977, n. 10 che ha esteso 
le disposizioni di cui all'art. 14 della stessa legge (innovatrice dei criteri det� 
tati dalla legge 865/1971) a tutte le espropriazioni in corso, anche se sia stato 
emanato il decreto e purch� la relativa indennit� non sia stata definitivamente 
stimata in sede amministrativa o giudiziale (in quest'ultimo caso con sentenza 
passata in cosa giudicata). 

Per individuare la normativa applicabile occorre, dunque, distinguere tra 
espropriazioX�i decretate prima o dopo la novella del 1974. Mentre per le prime 
i criteri indennitari saranno quelli vigenti all'epoca dell'emanazione del decreto, 
per le espropriazioni posteriori i criteri saranno quelli vigenti nel momento in 
cui viene definita la opposizione giudiziale. 

Questa regola, che sembra fondata su una corretta delimitazione della por� 
tata innovativa della legge 1977 n. 10, fu enunciata dalla Cassazione con la sen� 
tenza 30 maggio 1978, n. 2736 (in Rep. Giur. it., 1977, v. Espropriazioni n. 42; 
conf.: Cass. 6 luglio 1978, n. 3348, in Foro it., 1979, I, 137) ed ebbe poi l'avallo 
delle Sezioni Unite (22 luglio 1978, n. 3668, in Rep. Giur. it., 1978, v. Espropriazione 
n. 49). L'operativit� del cit. art. 19, secondo l'interpretazione accolta, rimarrebbe, 
infatti, circoscritta alle espropriazioni disposte in base alla legge sulla 
casa nonch� a quelle regolate dalla legge fondamentale ma, in quanto posteriori 
alla novella del 1974, disciplinate dalle norme del titolo II della predetta legge 
865/1971 ai fini della determinazione della indennit�. 

In sintesi, solo per le espropriazioni decretate in epoca posteriore ad � in 
corso �, nel senso sopra precisato, si pone, in concreto, un problema di jus 
superveniens. La dottrina dominante ha condiviso questa interpretazione (cfr. 
MAROTTA, op. ult. cit., p. 99 ss. ed ivi citazioni). 

Ovviamente, allo stato, dopo le sentenze dichiarative di illegittimit� costituzionale 
di cui si dir� sub n. 2, il problema dell'applicazione dei criteri di 
� stima tabellare� nei c.d. procedimenti misti, pu� porsi solo per i fondi rustici. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

165 

che in tal caso la norma tiene presenti le caratteristiche oggettive del 

�� 
bene espropriato, in quanto � prevede che per i terreni agricoli l'indennit� 
di esproprio sia fissata con specifico riferimento alle colture 
effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in relazione all'esercizio 
dell'azienda agricola�; e stabilisce in tal modo �l'esatto 
criterio che l'indennit� va liquidata in base al valore effettivo del bene 
espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche ed alla 
sua destinazione economica�, onde �l'avere pretermesso tali riferimenti 
per le -aree con destinazione edilizia e adottato per queste criteri astratti 
ed irrazionali, determina una ulteriore disparit� di trattamento fra gli 
espropriati� (n. 5 della motivazione); 

7. -Applicando i principi accennati al presente giudizio, ne consegue 
che si rende necessario accertare in primo luogo la natura del 
terreno de quo, soltanto nel caso della sua edificabilit� ponendosi il 
problema di individuare la disciplina da applicarsi in luogo di quella 
dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 223/83. Invero, la necessit� 
di accertare la natura del terreno espropriato non � stata con-
Infatti, con la sentenza che si annota, la Corte ha confermato anche l'orientamento, 
condiviso dall'Avvocatura dello Stato, secondo il quale la dichiarazione 
di incostituzionalit� della normativa che dettava i criteri della � stima tabellare 
� � limitata all'espropriazione dei suoli edificatori, con la conseguenza che 
i predetti criteri sono ancora vigenti per quanto concerne i fondi rustici. 

Come � noto, in seguito alla sentenza Corte Cost. 30 gennaio 1980, n. 5 (in 
Rass. Avv. Stato, 1980, I, 486) veniva dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 
16, commi 4, 5, 6 e 7, della legge 865/1971, cos� come modificato dalla legge 
28 gennaio 1977, n. 10. 

Il legislatore interveniva a colmare la lacuna con la 1. 29 luglio 1980, n. 385, 
la quale dettava, in via temporanea e salvo conguaglio, criteri analoghi a quelli 
caducati per effetto della sentenza della Corte. 

Con successiva sentenza ,19 luglio 1983, n. 223 (in Rass. Avv. Stato, 1984, I, 
413 ss.)\ la Corte dichiarava, poi, l'illegittimit� costituzionale di questa ultima e 
delle sue successive proroghe. 

Ma la stessa Corte, gi� con l'ordinanza n. 84 dell'8 giugno 1980 (in Giur. 
Cost., 1980, 718) aveva affermato che la precedente dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale investiva le norme di cui alla I. 10/1977 solo limitatamente alla 
espropriazione dei fondi edificatori. 

La Corte di Cassazione, dopo la pronunzia di incostituzionalit� della 1. 385/80, 
era pervenuta alle stesse conclusioni con la sentenza 24 ottobre 1984, n. 5401 
(in Giust. Civ., 1984, I, 2706 ss.), in base all'argomentazione che il dispositivo 
delle sentenze della Corte Costituzionale va interpretato anche alla luce della corrispondente 
motivazione. Nel caso che interessa, infatti, risultava che per le 
aree agricole non sussistevano ragioni di illegittimit�. Per le aree edificatorie, 
invece, essendo state caducate le predette norme, hanno riacquistato operativit� 
le disposizioni precedenti a quelle dichiarate incostituzionali con la conseguenza 
che il Giudice dovr� procedere ad una ricognizione del sistema normativo per 
individuare, a seconda del caso concreto, il criterio indennitario applicabile. 

GIUSPPPE CELESTE 



166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

siderata dalla Corte d'Appello, sull'erronea premessa -giustamente 
censurata nel ricorso -di dover applicare, comunque, i criteri dettati 
dalla legge del 1865; d'altra parte, non � stata tenuta presente dalla 
ricorrente, sul presupposto -non pi� sostenibile . dopo le citate declaratorie 
d'incostituzionalit� -che i criteri da applicare ai fini della 
determinazione della indennit� siano in ogni caso quelli stabiliti dalla 
legge 865/71, n� dalla resistente, la quale, muovendo dalla erronea 
convinzione della caducazione dei criteri suddetti sia per i terreni agricoli 
sia per quelli edificatori, ha sostenuto doversi in ogni caso fare 
applicazione dei criteri di cui alla legge del 1865, richiamando la sentenza 
n. 3208/84 della prima se2lione, che, conformemente ad altre decisioni 
(1197, 3278, 3314, 5260 e 6427 del 1984), ha -si -titenuto che 
il vuoto normativo aperto dalle citate sentenze d'incostituzionalit� debba 
colmarsi con le norme dettate dalla legge del 1865, ma con riguardo 
ad ipotesi in cui la qualit� edificatoria del terreno espropriato non 
era in discussione. 

8. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve 
essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di 
Roma, la quale riesaminer� la controversia avendo presente, da un. lato, 
i principi affermati dalle sentenze delle SS.UU. 4690/81 e 1673/82 (disattesi 
dalla sentenza impugnata) e, dall'altro, quelli enunciati dalla sentenza 
5401/84; e proceder� all'accertamento della natura del terreno 
espropriato, che, se risulter� agricolo, soggiacer� ai criteri di cui alla 
legge 865/71, come modificata dalla legge 10/77, e, se risulter� edificatorio, 
render� necessaria la ricerca della disciplina applicabile in luogo 
di quella dichiarata incostituzionale. (omissis) 

SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 gennaio 1986, n. 70 -Pres. Scanzano Est. 
Rossi -P. M. Tridico (conf.). -Sette (avv. Perrone) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Zotta). 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati � 

Agevolazione per le case di abitazione di lusso � Licenza di abitabilit� � 

Atti equipollenti -Ammissibilit�. 

(Legge 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). 

L'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408, che stabilisce l'esenzione 
venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, richiede la dichiarazione di 
abitabilit� ma non specifica se debba trattarsi di dichiarazione da rilasciarsi 
dai competenti uffici comunali; conseguentemente l'abitabilit� pu� 
essere dimostrata con altre prove equipollenti provenienti da altri organi 

o da certificazioni della effettiva abitazione (1). 
(omissis) Nel resto, va rilevata la fondatezza del ricorso, con il cui 
primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del 
citato art. 13 della L. 408/1949, ripetendo in sostanza che la dichiarazione 
di abitabilit� con essa prevista pu� essere sostituita con la prova della 
effettiva abitazione. 

La decisione della commissione centrale si discosta senza convincenti 
ragioni dalla giurisprudenza di questa Corte, cui invece esattamente si 
ispira la tesi dei ricorrenti (cfr. sent. 9 maggio 1977 n. 1773). 

Il citato art. 13 espressamente richiede la dichiarazione di abitabilit� 
ma non specifica che debba trattarsi di dichiarazioni da rilasciarsi dai 
competenti uffici comunali. 

(1) La pronunzia, richiamando un remoto precedente (Cass. 9 maggio 1977, 
n. 1773, che per� � riferita all'art. 17 della legge n. 408 del 1949) � in netto 
contrasto con la giurisprudenza costante (Cass. 19 novembre 1979, n. 6028, in questa 
Rassegna, 1980, I, 441) che ha puntualmente sottolineato la differenza fra 
l'art. 17, che presuppone oltre alla dichiarazione di abitabilit� anche la effettiva 
abitazione, e l'art. 13 che subordina l'esenzione alla dichiarazione di abitabilit� 
disciplinata nell'art. 221 del t.u. delle leggi sanitarie e non ammette equipollenti. 
Certificazioni di altri organi o constatazioni notarili o altre prove possono 
certificare la abitazione, che � un fatto, ma non la abitabilit� che � un giudizio 
dell'organo competente. 



168 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Nel qual senso non giova richiamare il successivo art. 17 della legge 
stessa; e neppure l'art. 221 del t.u. leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, 
che prevede l'autorizzazione del sindaco ma soltanto con esclusivo riferimento 
alle condizioni igieniche e alla corrisoondenza della costruzione 
al progetto approvato. 

Ed anche per il citato art. 17 come per l'art. 13 in esame, la dichiarazione 
di abitabilit� � richiesta soltanto per farne decorrere il quadriennio 
entro il quale il legi~latore ha inteso limitare l'applicabilit� del beneficio 
della esenzione a case ultimate ed idonee all'abitazione, onde assicurarne 
l'immissione in commercio e nella disponibilit� ediliza, ad evidenti 
fini sociali. 

Non c'� ragione quindi per ritenere che la norma in questione ipotizzi 
una formale certificazione di abitabilit� come attuazione di un compito 
specifico ed esclusivo degli organi comunali. 

Determinante per essa, ~l rilevato fine acceleratorio perseguito dal 
legislatore, � come si � visto l'accertamento dell'avvenuto completamento 
della costruzione e della sua abitabilit�: accertamento non conseguibile 
con ogni mezzo di prova, ma documentalmente � dichiarato �. 

I

Perci� stesso, non deve escludersi che sia rispondente a tali finalit� e 
portata della norma in questione la prova di tale accertamento conte


j

nuta in provvedimenti di altri organi pubblici, ovvero fornita con la 

~ 

dimostrazione della effettiva destinazione dell'immobile ad abitazione, f 
risultante da verbale notarile o da altre prove documentali di partico! 
lare valore, che possano essere considerate equipollenti alla ufficiale 
�dichiarazione� in questione. (omissis). 

I

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 16 gennaio 1986, n. 210 -Pres. Mosco'
1 
ne -Est. Cantillo -Regolamento di competenza di ufficio. f: 

I I 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Competenza delle Commissioni 
-~ funzionale e inderogabile -Regolamento di competenza di 
ufficio -Ammissibilit�. 

I 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2 e 39; c.p.c., artt. 28, 45, 50). 
Tributi in genere � Contenzioso tributario � Provvedimento impugnabile � 
Domanda di rimborso � Silenzio. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 
Tributi in genere � Contenzioso tributario -Competenza delle commissioni � 
Imposte dirette � Rimborsi � Competenza della commissione in cui 
ha sede l'intendente di finanza cui spetta provvedere sul rimborso. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 2 e 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 37 e 38). 
I

La competenza territoriale delle commissioni � anche funzionale e I 
quindi inderogabile,� l'incompetenza deve essere rilevata di ufficio con I

I 

I \ 

I 
.\ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 169 

decisidne che deve indicare la commissione competente innanzi alla quale 
il giudizio prosegue per effetto di traslatio indicii; la commissione d~signata 
che si ritenga a sua volta incompetente deve richiedere il regolamento 
d'ufficio a norma dell'art. 45 c.p.c. previsto legislativamente attraverso 
il rinvio contenuto nell'art. 39 del d.P.R. n. 636/1972 (1). 

Il silenzio mantenuto sulla domanda di rimborso ha contenuto di 
provvedimento negativo contro il quale va rivolta l'impugnazione (2). 

Sul ricorso. proposto contro il provvedimento esplicito o implicito 
di rimborso di imposte dirette � competente la commissione del luogo 
in cui ha sede l'intendente di finanza cui spetta di provvedere sul rimborso 
e non gi� l'ufficio distrettuale delle imposte competente a ricevere 
la dichiarazione (3). 

(omissis) Alfredo Corbellaro, con ricorso alla Commissione tributaria 
di primo grado di Milano del 27 settembre 1979, premesso che la locale 
Intendenza di finanza rion aveva emesso alcun provvedimento sulla sua 
domanda di rimborso di L. 1.533.600 versate per imposta locale sui 
redditi (i.1.o.r.), non dovuta perch� afferente a redditi di lavoro autonomo, 
ed altres� che erano trascorsi novanta giorni dall'intimazione prevista 
dall'art. 16, terzo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, proponeva impugnazione 
avverso il provvedimento di rifiuto implicito nel silenzio e chiedeva 
che venisse affermato il suo diritto alla restituzione della somma 
suddetta. 

La Commissione di Milano, con decisione del 3 giugno 1981, dichiarava 
la propria incompetenza a decidere la controversia e disponeva la trasmissione 
degli atti alla Commissione tributaria di primo grado di Monza, 
ritenendola competente per il motivo che l'Ufficio delle imposte al quale 
era stata presentata la dichiarazione rientrava nella circoscrizione della 
medesima. 

La Commissione di Monza, con ordinanza del 29 giugno 1983 ritenendosi 
� sua volta incompetente, sollevava conflitto ai sensi dell'art. 45 

(1-3) La prima massima riconosce applicabile al giudizio delle comm1ss10ni 
l'art. 45 c.p.c. sul regolamento di competenza di ufficio, come gi� aveva fatto 
precedentemente la sent. 5 febbraio 1982, n. 658, in questa Rassegna, 1982, I, 793. 

:E> importante l'affermazione che l'incompetenza, pur funzionale, non da luogo 
a inammissibilit� del ricorso ma produce translatio iudicii con salvezza del 
termine di decadenza. Quanto alla prosecuzione del processo innanzi alla commissione 
designata competente si ritiene che spetti alla parte l'onere della riassunzione 
ex art. 50 c.p.c., ma ci� non � oggetto specifico di pronuncia. Resta 
insoluto, per espr�ssa dichiarazione, il problema dell'ammissibilit� del regolamento 
necessario e del regolamento facoltativo (art. 42 e 43 c.p.c.). 

L'argomento della seconda massima ha dato occasione a varie affermazioni 
sulla natura del processo che destano viva perplessit� e che sono poco 
pertinenti alla materia controversa. 

La terza massima � da condividere pienamente. 



170 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cod. proc. civ. e chiedeva a questa Corte di indicare il giudice competente. 


Osservava che nel nuovo contenzioso tributario il regolamento di 
competenza � rimedio necessario per dirimere situazioni conflittuali altrimenti 
ineliminabili e deve ritenersi ammissibile sia in forza del rinvio 
dell'art. 39 del d.P.R. n. 636 del 1972 alle norme che disciplinano l'istituto 
nel codice processuale civile e sia in relazione all'accentuato collegamento 
tra le commissioni tributarie e il giudice ordinario, per cui non 
si riscontra quella netta separazione dalla giurisdizione ordinaria che 
preclude alla Corte di cassazione di regolare le questioni di ripartizione 
della competenza tra organi di una stessa giurisdizione speciale. 

Premesso poi, che nel processo tributario la competenza territoriale 
si determina in relazione all'atto impugnato, la Commissione rilevava che 
competente a decidere il ricorso in oggetto era quella di Milano, in quanto 
il provvedimento negativo, insito nel silenzio, er~ dell'intendente di 
Finanza di quella citt� ed a nulla rilevava l'attivit� impositiva in precedenza 
compiuta dall'Ufficio delle imposte dirette di Monza. 

Il Procuratore Generale ha concluso per l'inammissibilit� del ricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -Le Sezioni unite sono chiamate a comporre il contrasto ohe 
si � determinato nella giurisprudenza della prima Sezione di questa 
Corte in ordine all'ammissibilit� del regolamento di ufficio della competenza 
nelle controversie devolute alla cognizione delle commissioni tributarie. 
Il problema � stato risolto negativamente da numerose pronunzie 
(dalla n. 479 del 1976 alla n. 1385 del 1982), le quali hanno sostanzialmente 
utilizzato lo stesso argomento' in base al quale l'ammissibilit� 
del rimedio era stata esclusa, con costante giurisprudenza, nel vigore 
del precedente contenzioso. Si � osservato, in particolare, che il regolamento 
di competenza, a differenza di quello di giurisdizione, � istituto 
interno alla giurisdizione ordinaria, previsto soltanto per la ripartizione 
dei compiti tra organi appartenenti ad essa, mentre � indiscutibile 
il carattere di giurisdizione speciale delle commissioni tributarie; 
e ci� -si � aggiunto -evidenziando un'oggettiva incompatibilit� 
del regolamento con la natura propria del processo tributario, 
pone altres� fuori causa il rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636, al primo libro del codice di procedura civile, espressamente 
limitato alle disposizioni compatibili con il giudizio speciale. 
H regolamento � stato ritenuto ammissibile invece, dalJa sentenza 
5 febbraio 1982, n. 658, sul duplice rilievo che l'art. 39 cit., sebbene 
di per s� non decisivo, � idoneo ad attribuire base normativa all'estensione 
del rimedio al processo tributario e che l'intervento della Corte 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

di cassazione, quale supremo organo regolatore della competenza, non 
pu� essere considerato estraneo al sistema, in quanto la specialit� 
della giurisdizione in materia risulta fortemente attenuata dalla partecipazione 
ad essa della corte di appello. 

Le Sezioni unite ritengono di prestare adesione a quest'ultimo indirizzo. 


2. -Nel sistema del contenzioso delineato dal d.P.R. n. 636 del 1972 
(modif. con d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) la distribuzione della potest� 
giurisdizionale fra le commissioni tributarie di primo grado, le 
quali hanno cognizione generale su tutte le materie devolute alla giurisdizione 
speciale tributaria, � prevista soltanto in termini di competenza 
territoriale ed � regolata dall'art. 2, primo e secondo comma: 
le �commissioni hanno sedi identiche a quelle dei tribunali e la loro 
competenza per territorio coincide con il circondario del tribunale del 
luogo in cui ciascuna ha sede; il criterio di determinazione della competenza, 
poi, � correlato all'ufficio finanziario che ha em�sso il provvedimento 
impugnato, per cui ciascuna commissione ha cogmzione sui 
ricorsi contro gli atti degli uffici che ricadono nel suo terr~torio 
(tranne che per i ruoli formati dai Centri di servizio, per i quali il 
ricorso va proposto alla commissione nella cui circoscrizione ha sede 
l'ufficio delle imposte che ha accertato il tributo). 
La legge non contiene norme sulla competenza, in particolare -per 
quanto qui interessa ~ non disciplina specificamente il fenomeno dell'incompetenza, 
in ordine al rilievo e alle conseguenze della presentazione 
del ricorso ad una commissione tributaria � diversa da quella 
cui spetta, in base al criterio suddetto, la cognizione della controversia, 
e viene immediatamente in considerazione, quindi, l'art. 39 cit., il quale 
detta una disposizione di chiusura, per cui al procedimento � si applicano, 
in quanto compatibili con le� norme del presente decreto e delle 
leggi che disciplinano le singole imposte, le norme contenute nel primo 
libro del codice di procedura civile, con esclusione degli articoli da 
61 a 67, dell'art. 68 primo e secondo comma, degli artt. da 90 a 97 e 
dell'art. 128 �. 

Tra le norme cos� escluse dal rinvio non vi sono quelle comprese 
nelle sezioni V e VI del capo I, che disciplinano, fra l'altro,' l'incompetenza 
e il regolamento di competenza, e perci� occorre individuare, 
nei limiti richiesti dallo specifico problema in esame, l'ambito della 
normativa che, per effetto del richiamo, deve ritenersi r�cepita nel 
processo tributario. E, come in ogni altra ipotesi in cui il ricorso alla 
tecnica del rinvio (c.d. recettizio o materiale) attiene ad un complesso 
determinato di disposizioni, richiamate in quanto risultino coerenti 
con il sistema che debbono integrare, l'indagine ricognitiva va scandita 
in due momenti, occorrendo accertare se anche nel processo tributario 
si configuri, senza essere disciplinata direttamente o indiret



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

172 

tamente dalla legge relativa, una situazione processuale avente le stesse 
caratteristiche di quella oggetto delle disposizioni richiamate; e, in 
secondo luogo, se la disciplina risultante dalle stesse sia compatibile, 

o meno, con norme del processo tributario o delle singole imposte, 
ovvero con i princ�pi propri dell'ordinamento tributario, intesa l'incompatibilit� 
non solo come contrasto assoluto, ma anche limitato e tuttavia 
tale da comportare una disarmonia che non pu� ritenersi autorizzata. 
3. -Sotto il primo profilo, va anzitutto ribadito -in c�nformit� 
a quanto pacificamente si ritiene in dottrina o in giurisprudenza che 
la competenza territoriale delle commissioni tributarie ha carattere 
funzionale, dovencj.osi qualificare inderogabile ai sensi dell'art. 28 
cod. proc. civ. 
L'inderogabilit�, sebbene non dichiarata expressis verbis dal legislatore, 
insita nella natura e nell'oggetto della giurisdizione e risulta 
in modo certo da ci�, che la ripartizione circoscrizione delle commissioni 
non soddisfa solo l'esigenza tecnico-organizzativa di distribuzione 
quantitativa degli affari, ma � funzionale ad un diretto legame delle 
commissioni medesime col territorio, affinch� le controversie siano per 
quanto possibile conosciute da giudici del luogo in cui la ricchezza 
viene prodotta e assoggettata a tassazione. 

Al riguardo, � sufficiente sottolineare che la residenza in uno dei 
comuni del territorio della commissione � requisito essenziale della 
nomina dei componenti, i quali .decadono dall'ufficio ove tale requisito 
venga successivamente a mancare (art. 4, lett. f; art. 6 lett. a); e che i 
componenti medesimi debbono essere scelti, per una quota pari alla 
met� dei membri, fra persone designate dai consigli comunali dei 
comuni compresi nella circoscrizione (art. 2, terzo comma; le stesse 
regole vigono per le commissioni di secondo grado: art. 3). 

Il carattere funzionale della competenza comporta, fra l'altro, secondo 
quanto dispone l'art. 38, primo comma, cod. proc. civ., che l'incompetenza 
della commissione adita pu� essere rilevata, anche di ufficio, 
in ogni stato e grado del processo, sia nelle varie fasi davanti' alle 
commissioni che innanzi alla corte di appello o nel giudizio di cassazione. 


4. -Anche nel processo tributario innanzi alle commissioni, poi, 
vige il principio, del pari posto dal codice di rito, secondo cui il difetto 
di competenza deve essere accertato e dichiarato dalle commissioni 
con pronuncia formale, mediante decisione, resa ai sensi dell'art. 20, con 
la quale viene risolta in via preliminare la questione di competenza. 
Di ci� si � talvolta dubitato, sostenendosi che la mancanza di una 
apposita disciplina al riguardo corrisponda ad una precisa scelta del 
legislatore nel senso di assimilare l'incompetenza ad un vizio del ri




PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

corso, che perci� sarebbe inidoneo a costituire un valido rapporto processuale; 
pertanto, rilevato il vizio, il giudice tributario non dovrebbe 
dichiarare l'incompetenza, ma l'inammissibilit� del ricorso (che, se ancora 
possibile, andrebbe riproposto ex novo al giudice competente). 

Senonch� l'opinione, oltre a contraddire un orientamento della dottrina 
e della giurisprudenza assolutamente pacifico gi� nel vigore del 
precedente contenzioso -per cui la competenza del giudice costituisce, 
come nell'ordinario processo civile, un presupposto processuale o (secondo 
l'indirizzo pi� recente) una condizione della decisione di merito, 
che non incide, dunque, sulla validit� dell'atto introduttivo della lite � 
priva di qualsiasi base normativa, giacch� l'incompetenza non � annoverata 
tra i vizi che, ai sensi dell'art. 15, ultimo comma, del d.P.R. 

n. 636 del 1972, danno luogo ad inammissibilit� del ricorso; e, per converso, 
l'assenza di una particolare regolamentazione al riguardo rende 
operante, come si � detto, il rinvio di cui all'art. 39 cit., sicch� la disciplina 
in ordine alla pronuncia e alle conseguenze dell'incompetenza 
� quella stessa del codice di rito. 
5. -Con la pronunzia che dichiara l'incompetenza deve essere altres� 
designato, secondo la regola generale racchiusa nell'art. 44 cod. 
proc. civ., il giudice innanzi al quale il giudizio deve proseguire, essendo 
applicabile al processo tributario anche l'istituto della translatio iudicii, 
per cui il ricorso presentato al giudice incompetente conserva i suoi 
effetti processuali e sostanziali e il processo, in seguito alla pronuncia� 
di incompetenza, continua davanti a quello indicato come competente, 
per modo che si verifica solo una modificazione del rapporto processuale, 
validamente instaurato. 
Il principio -che � corollario della natura di presupposto della 
trattazione del merito riconosciuta alla competenza ed � ormai comune 
ad ogni settore del diritto. processuale (v., per il processo amministrativo, 
l'art. 31 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034) risulta dal combinato 
disposto degli artt. 44, 45, 49 e 50 cod. proc. civ., per i quali opera 
il rinvio di cui all'art. 39 cit., ed � pienamente in linea con le finalit� 
di celerit� ed economia processuali alle quali � improntato il processo, 
nonch� con il carattere (parzialmente) officioso del medesimo. 

Su ci� convengono dottrina e giurisprudenza prevalenti, mentre si 
discute se sia compatibile con questo carattere del giudizio tributario 
il rigoroso rispetto del procedimento delineato per la prosecuzione del 
giudizio dall'art. 50, che, in coerenza con la natura dispositiva del 
processo, viene rimessa all'iniziativa della parte interessata, la quale 
vi deve provvedere mediante apposito atto di riassunzione nel termine� 
stabilito dal giudice (e in via suppletiva dalla stessa disposizione), la 
cui inosservanza � causa di estinzione del processo. 

In verit�, non sembra che vi siano ostacoli alla ricezione di questo 
sistema, ove si consideri, da un lato, che anche nel processo tributario 

., 


174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

incombe sulla parte istante l'onere di realizzare i presupposti del rap


porto processuale e, dall'altro, che la sanzione di estinzione del processo 

per inosservanza di oneri di questo tipo non � estranea al medesimo 

giudizio (v. art. 22, modif. dall'art. 14 del d.P.R. n. 739 del 1981, che 

prevede quella conseguenza per la mancata presentazione, nel termine 

di un anno della copia dell'atto di appello destinata all'ufficio; nonch� 

la disposizione transitoria di cui all'art. 44, v. d.P.R. n. 636, ri~ar


dante l'estinzione del processo per omessa presentazione dell'istanza 

di trattazione). 

Senza dire che la riassunzione ad istanza di parte � espressamente 

prevista dall'art. 40, ultimo comma, del d.P.R. n. 636, nell'ipotesi in 

cui, in seguito a sentenza di annullamento resa dalla corte di appello, 

la controversia debba proseguire innanzi alla commissione tributaria 

di secondo grado (o di primo grado) designata per il rinvio, presso 

la quale il giudizio va riassunto mediante ricorso (cio� nelle forme 

di cui agli artt. 15 e 17) entro un determinato termine dalla notifica


zione della sentenza. 

Ma non occorre qui affrontare funditus il problema, che � irrilevante 
ai fini della specifica questione in esame. Infatti, ove pure il 
meccanismo della riassunzione fosse da ritenere incompatibile con le 
caratteristiche del processo, non per questo potrebbe negarsi la . vigenza 
del principio della translatio, che non si ricava soltanto dall'art. 50 cit. 
� ed � suscettibile di operare indipendentemente dalle modalit� suddette, 
attraverso una trasmigrazione del processo disposta di � ufficio, realizzando 
d'imperio, cio�, quell'effetto che il codice riserva all'iniziativa 

della parte. 

Infine, va detto che la commissione successivamente investita della 

controversia non � vincolata, ai sensi dell'art. 44 cod. proc. civ., alla 

designazione contenuta nella pronuncia di incompetenza della commis


sione adita per prima, ma pu� a sua volta ritenersi incompetente, stante 

il carattere inderogabile della competenza. 

6. � Il rapido excursus della disciplina dell'incompetenza dimostra, 
quindi, che nel processo tributario si riscontrano tutti i presupposti i 
quali possono dar luogo alla situazione conflittuale prevista dall'art. 45 
cod. proc. civ., in presenza della quale il giudice successivamente adito 
viene privato del potere di statuire sulla propria competenza, e, ove 
ritenga di essere incompetente, deve provocare la decisione della questione 
relativa da parte della Corte Suprema; e conseguentemente si 
giustifica l'applicabilit� del regolamento, quale rimedio atto ad impedire 
che il conflitto negativo di competenza si trasformi da virtuale in 
attuale. 
In proposito, nelle sentenze contrarie all'ammissibilit� del regolamento, 
� ricorrente l'affermazione secondo cui � il verificarsi della situazione 
conflittuale non resterebbe senza soluzione, poich� l'ordinamento 


i 

I ! 


PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

175 

contempla la possibilit� dell'impugnazione per qualsiasi violazione di 
legge, sia pure con mezzi esperibili nell'ambito dello stesso contenzioso 
tributario (v., da ultimo, la sent. n. 1385 del 1982). 

Il rilievo, per�, non � convincente, perch� in realt� gli ordinari 
mezzi di impugnazione non solo non possono impedire l'insorgere del 
conflitto, ma-in taluni casi non valgono neppure a rimuoverlo. 

Tanto � a dirsi nell'ipotesi in eui il contribuente faccia acquiescenza 
alla prima sentenza e il giudice designato declini, a sua volta, la 
propria competenza: ove questa seconda pronunzia venga confermata 
in tutti i gradi del giudizio o, comunque, passi in giudicato, il conflitto 
negativo diventa ineliminabile e si traduce in un sostanziale diniego 
di giustizia. E una situazione identica si pu� avere nell'ipotesi 
opposta, quando il gravame proposto avverso la prima declinatoria 
di incompetenza venga respinto con decisione passata in giudicato: poich� 
neppure in tal caso l'indicazione diventa incontestabile per il giudice 
dichiarato competente, questo pu� ugualmente negare la propria competenza 
riproducendosi, di conseguenza, il conflitto dianzi evidenziato. 

Inoltre, il fine istituzionale del regolamento di competenza � anche 
quello di provocare una pronta e definitiva decisione della questione di 
competenza, evitando che essa sia mantenuta in tutti i gradi del giudizio, 
con il rischio che la c9ntroversia venga attribuita ad un diverso 
giudice di primo grado soltanto all'esito dell'intero processo; la quale 
finalit� assume massimo rilievo nel processo tributario, in cui � maggiore 
il numero delle possibili impugnazioni (v. sent. n. 658 del 1982). 

Si deve riconoscere quindi, che il rinvio dell'art. 39 cit. � idoneo 
ad operare in relazione al regolamento di competenza di ufficio, posto 
che le fattispecie per le quali � previsto si verificano allo stesso modo 
nel processo tributario e in esso non formano oggetto di una. specifica 
e diversa normativa. 

7. -Il discorso si restringe cos� al secondo momento dell'indagine, 
relativo alla compatibilit� dell'istituto con i princ�pi proprio del contenzioso 
tributario, la quale -come si � anticipato -viene esclusa 
dall'indirizzo che qui si contrasta in base ad un unico argomento, 
che fa perno sulla natura di organi di giurisdizione speciale delle commissioni 
tributarie; in base a ci� si sostiene che i conflitti di competenza 
fra le stesse non possano essere regolati con il rimedio in esame, 
il quale riguarda i rapporti fra i giudici ordinari e ha radice nella 
loro dipendenza funzionale dalla Corte di Cassazione. 
g agevole scorgere l'equivoco che inficia questo ragionamento, che 
neglige, nella sostanza, il valore del rinvio normativo. 
:E:. esatto che il regolamento cli competenza � disciplinato quale 
istituto del processo che si svolge innanzi agli organi dell'autorit� giu


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n. n. 
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176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
diziaria ordinaria, rispetto ai quali il potere della Cassazione di regolare 
la competenza corrisponde alla sua posizione al vertice di quella 
giurisdizione; e ci� esclude che il rimedio possa essere applicato in via 
analogica ai processi che si svolgono innanzi a giudici speciali, sicch� 
correttamente se ne negava l'applicabilit� nel sistema del precedente 
contenzioso tributario, in cui mancava una disposizione analoga all'art. 
39 del d.P.R. n. 636 del 1972. 
Ma niente impedisce al legislatore ordinario di conferire alla Corte 
di Cassazione, con apposita norma, il potere di risolvere i conflitti di 
competenza interni ad una giurisdizione speciale (in considerazione anche 
della sua posizione costituzionale rispetto a tutte le giurisdizioni speciali, 
ex art. 111 Cost.); e una disposizione di questo tipo � insita nel 
rinvio di cui all'art. 39 cit., volto appunto a rendere applicabili norme 
ed istituti del processo ordinario a quello tributario. 
Con la tecnica del rinvio recettizio, infatti, si raggiunge lo scopo 
di rendere in determinate materie disposizioni riguardanti analoghe fattispecie 
di altre materie o settori dell'ordinamento, evitando di redigere 
un testo corrispondente a quello che si vuole recepire; e nella 
specie, attraverso il rinvio in questione, le norme che attribuiscono e 
disciplinano il potere della Cassazione di regolare i conflitti di competenza 
debbono ritenersi dettate anche per il proci::sso tributario, 
avendo, cio�, la valenza di enunciati che disciplinano direttamente le 
corrispondenti fattispecie di tale processo. 
Risulta rimosso ex lege, dunque, l'ostacolo costituito dalla qualit� 
di organi di giurisdizione speciale delle commissioni tributarie: il rinvio 
-si ripete -ha appunto la funzione di rendere applicabile l'istituto 
fuori del giudizio ordinario, estendendo cos� al processo tributario 
il potere della Cassazione di regolare la competenza; e non � possibile, 
di conseguenza, ragionare in termini di incompatibilit� del regolamento 
in relazione alla specialit� della giurisdizione, ipso iure superata 
dalla norma di rinvio. 
Il regolamento potrebbe essere ritenuto inammissibile, per effetto 
del limite di compatibilit� di cui all'art. 39 cit., solo per ragioni tecnicogiuridiche 
interne all'ordinamento tributario, con riferimento a regole 

o a princ�pi che ne escludessero la possibilit� di applicarlo. Ma non 
si rinvengono cause ostative di questo tipo e, anzi, l'assenza di una 
qualsiasi disciplina specifica al riguardo costituisce precisa conferma 
della portata del rinvio, ove si consideri che, in caso contrario, solo il 
processo tributario sarebbe privo di un mezzo volto a risolvere i conflitti 
di competenza, posto che un peculiare rimedio per decidere preventivamente 
le questioni di competenza � previsto anche nel processo 
amministrativo innanzi ai T.A.R., sebbene la competenza territoriale 
sia derogabile (art. 31 I. 1034 del 1971). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

8. -Sul piano teorico-sist�matico, poi, � stato esattamente osservato 
(con la sent. n. 658 del 1982) che l'ammissibilit� del regolamento � 
coerente con il peculiare assetto della giustizia tributaria. 
Mentre nel sistema precedente alla riforma le commissioni costituivano 
una giurisdizione speciale del tutto distinta da quella ordinaria, 
ciascuna svolgendosi secondo un modulo processuale compiuto nella 
struttura e nei suoi gradi, nell'attuale normativa � prevista una giurisdizione 
unitaria ed esclusiva, affidata insieme alle commissioni tributarie 
e alla corte di appello, istituzionalmente inserita come organo 
preposto ad un grado del giudizio in alternativa alla Commissione tributaria 
centrale. La dicotomia giudice ordinario-giudice speciale � stata 
composta, cio�, facendo concorrere alla stessa giurisdizione, intesa in 
senso oggettivo, un organo della giustizia ordinaria; e se � vero che 
ci� non incide n� sulla natura delle commissioni tributarie, che non 
vengono attratte nell'orbita della giurisdizione ordinaria, n� sulla punizione 
della corte di appello, che non si trasforma in giurisdizione speciale, 
non � men vero che in questo singolare modulo processuale 
la posizione della Corte di cassazione assume una diversa consistenza 
rispetto ad ogni altra giurisdizione speciale, appunto in relazione alla 
sua duplice funzione di giudice delle impugnazioni di legittimit� sia 
delle decisioni della Commissione centrale e sia delle decisioni della 
corte di appello (v. sent. S.U. n. 871 del 1984 e n. 2350 del 1983). 

Anche sotto questo profilo risulta razionale, quindi, l'estensione del 
potere della Cassazione di regolare la competenza. In proposito � sufficiente 
considerare che il processo svoltosi nei primi due gradi davanti 
alle commissioni pu� proseguire in sede di gravame innanzi alla corte 
di appello, sicch� la Cassazione, nel regolare la competenza fra le commissioni, 
regola indirettamente quella conseguenziale del giudice ordinario; 
e che una situazione conflittuale si pu� determinare anche in 
relazione ad una pronuncia della corte di appello che dichiari della 
commissione adita e, come consente l'art. 40 del d.P.R. n. 636 del 1972, 
designi come competente altra commissione di secondo grado (o di primo 
grado), la quale a sua volta si ritenga incompetente (v. ord. 18 settembre 
1976 n. 476): un tale conflitto non pu� che essere risolto dalla 
Corte di cassazione. 

In definitiva, si deve affermare che il regolamento di competenza 
di ufficio, previsto dall'art. 45 cod. proc. civ., si applica anche nel 
processo tributario, per risolvere i conflitti di competenza fra gli organi 
della giurisdizione speciale disciplinata dal d.P.R. 29 settembre 1972 

n. 636, e succ. modificazioni; pertanto la commissione tributaria indicata 
come competente nella pronunzia di incompetenza resa da quella 
adita per prima, ove ritenga a sua volta di essere incompetente, non pu� 
statuire sulla questione, ma deve provocarne la decisione da parte della 
Corte di Cassazione, chiedendo di ufficio il regolamento di competenza. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

178 

� opporttll�o sottolineare che questa conclusione, concernente appunto 
il regolamento di ufficio, lascia impregiudicata la questione circa 
l'ammissibilit� del regolamento necessario e di quello facoltativo di 
competenza (art. 42 e 43 cod. proc. civ.), rispetto ai quali si delinea 
una problematica parzialmente diversa. 

9. -Il conflitto di competenza deve essere risolto nel senso indicato 
dalla Commissione tributaria di primo grado di Monza, che ha 
chiesto il regolamento, appartenendo la controversia alla cognizione 
della Commissione tributaria di Milano. 
Questa ha negato la propria competenza in base all'opinione secondo 
cui nelle azioni di rimborso la contestazione riguarda in realt� 
l'ufficio fiscale competente per l'imposta che si assume indebitamente 
pagata, con il quale si � svolto il rapporto tributario nella fase del 
prelievo e al quale spetta la legittimazione a contraddire; conseguentemente 
la competenza giudiziale va determinata in relazione alla sede 
del medesimo ufficio e non a quella dell'Intendenza di finanza che ha 
proweduto o avrebbe dovuto prowedere sulla domanda di rimborso. 

La tesi non ha fondamento. 

L'azione di ripetizione di somme corrisposte a titolo di imposta, 
al cui rimborso il contribuente ritenga di avere diritto, � rimessa alla 
giurisdizione esclusiva � tributaria (fatta eccezione, owiamente, per i 
tributi non compresi nell'ambito di operativit� del d.P.R. n. 636 del 
1972; v. S.U. n. 2118 del 1981) ed � strutturata dall'art. 16 della legge che 
qui viene in considerazione nel testo originario, trattandosi di 
controversia insorta prima della novella n. 739 del 1981 -come azione 
di annullamento del prowedimento esplicito o implicito di rifiuto del 
rimborso, reso dall'amministrazione finanziaria sulla domanda che deve 
essere a'.ll'uopo necessariamente presentata in via amministrativa prima 
del giudizio. In particolare, ai sensi di detta norma, ove intervenga un 
espresso prowedimento di rigetto dell'istanza, il ricorso deve essere proposto 
nel termine ordinario di sessanta giorni dalla notificazione dell'atto; 
nel oaso, invece, di inerzia dell'Amministrazione protrattasi per oltre novanta 
giorni dalla notifica2lione dell'intimaiione . del contribuente a prov


vedere, il silenzio � si considera imposizione �, cio� atto impositivo impugnabile, 
e il ricorso si deve proporre nel termine ordinario decorrente 
dalla scadenza dei novanta giomi. Secondo uno schema ricorrente nella 
legislazione amministrativa -per cui, in determinate circostanze e specialmente 
a seguito di una provocazione del soggetto interessato, il silenzio 
dell'amministrazione assume ope legis un significato positivo o negativo 
specificamente stabilito -all'inerzia dell'Amministrazione finanziaria 
viene cos� attribuito il valore legale tipico di prowedimento di segno nega� 
tivo. E tal qualificazione del silenzio � in armonia con gli artt. 75 del 

d.P.R. n. 634 e 47 del d.P.R. n. 637 del 1973, i quali con formula solo in 

PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

apparenza diversa, �stabiliscono che la domanda di rimborso, trascorso UD 
certo termine, � si considera respinta �. 

In questo sistema, in cui l'azione di rimborso postula UD autonomo 
provvedimento esplicito o implicito di diniego e deve essere necessariamente 
proposta attraverso l'impugnativa del medesimo, la competenza 
non pu� che appartenere, secondo il disposto dell'art. 2, alla 
commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio finanziario 
che quel provvedimento ha reso (in pratica, l'Intendenza di finanza), 
a nulla rilevando, sotto questo profilo, che il rapporto sia stato 
in precedenza curato dall'ufficio competente per l'i:qiposta in contestazione. 


Come si � visto, il criterio stabilito dalla norma � rigorosamente 
formale, giacch� la competenza � legata alla sede dell'ufficio che ha 
adottato il provvedimento, vale a dire di un organo individuato in base 
al solo fatto di essere l'autore dell'atto che si impugna; ed � perci� 
esclusa in radice la possibilit� di determinare la competenza in relazione 
ad un diverso ufficio, qualificato in base ad elementi di altro 
tipo, quali quelli sostanziali attinenti allo svolgimento del rapporto tributario 
o, al limite, alla stessa potest� di emettere il provvedimento, 
che sono manifestamente estranei alla regola suddetta. Tanto meno. pu� 
venire in considerazione la legittimazione a contraddire dell'organo, 
concetto che nel processo tributario assume un significato peculiare e, 
comunque, nulla ha da vedere con il criterio di determinazione della 
competenza. Il quale, poi, non solo � funzionale allo scopo di -~corare 
la competenza ad UD elemento certo risultante dallo stesso provvedimento, 
ma � coerente con il carattere che contraddistingue il nuovo 
contenzioso tributario, modellato come processo di impugnazione di 
atti (v. sent. n. 2085 del 1985). 

Anche sotto questo aspetto si manifesta l'inconsistenza dell'opi


nione in esame, ove si consideri che ai sensi dell'art. 16, fuori dei casi 

in cui il diritto al rimboro sorga successivamente al pagamento (come 

ad es., per effetto di una pronuncia di incostituzionalit�), la relativa 

istanza � proponibile solo se il pagamento medesimo abbia � avuto 

luogo senza preventiva imposizione �, cio�, secondo la pi� precisa for


mula adoperata nel testo risultante dalla novella del 1981, per i versa


menti diretti e per i casi in cui non sia $tato notificato in precedenza 

un atto dell'ufficio autonomamente impugnabile, dovendo altrimenti l'im


p�gnativa essere rivolta contro tale atto (la cui eliminazione � pre


supposto del rimborso); e dunque non ha senso il riferimento alle 

fasi precedenti del rapporto, perch� non esiste un provvedimento del


l'Amministrazione suscettibile di impugnazione -conseguentemente ri


levante ai fini della competenza -diverso da quello di diniego emesso 

dall'intendente di finanza, al quale spetta la potest� di provvedere sui 

rimborsi nelle fattispecie che qui vengono in considerazione (art. 37 


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-

180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e 38 del d.P.R. n. 602 del 1973); in forza di tali disposizioni, per le imposte 
che, come l'Ilor, sono corrisposte mediante ritenute o versamenti 
diretti, la domanda di rimborso va fatta all'intendente di finanza 
della provincia in cui il contribuente ha il domicilio fiscale o nella quale 
ha sede l'esattoria che si � ricevuta il versamento). 

In alcune decisioni di commissioni di merito, poi, si trova invocato 
l'art. 31 del r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, secondo cui la competenza � 
�determinata dalla sede dell'ufficio che ha proceduto all'accertamento �; 
ma il riferimento � errato, perch� la norma non � pi� in vigore in 
forza dell'art. 46 del d.P.R. n. 636 del 1972, che oltre alle disposizioni 
della precedente legge ivi espressamente elencate, ha abrogato tutte 
le altre incondizionatamente come appunto la detta disposizione, chiaramente 
contrastante con la disciplina dianzi delineata. Per contro, l'in� 
terpretazione accolta � indirettamente confermata dall'art. 10, nono 
comma, del d.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, istitutivo dei centri di 
servizio, il quale dispone che la competenza territoriale per i ricorsi 
prodotti contro il ruolo formato da uno di tali centri spetta alla commissione 
nella cui circoscrizione si trova l'ufficio tributario che ha 
accertato l'imposta: da ci� si evince che il legislatore, quando ha 
inteso derogare all'ordinario criterio di determinazione della competenza, 
lo ha fatto espressamente. 

Giova avvertire che il principio che qui si afferma -secondo il 
quale la competenza sui ricorsi in materia di rimborso di ILOR appartiene 
alla commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede l'intendenza 
di finanza alla quale � stata presentata la domanda di restituzione 
del tributo, tanto se questa sia stata respinta con esplicito 
provvedimento, quanto se l'Amministrazione sia rimasta inerte -deve 
ritenersi valido anche in seguito alla novella n. 739 del 1981, che ha 
parzialmente modificato la precedente disciplina dell'art. 16 del d.P.R. 

n. 636 del 1972 in tema di azioni di rimborso. Il provvedimento negativo 
� stato, infatti, direttamente incluso nell'elenco degli atti impugnabili 
(la cui tassativit� � ormai fuori discussione, essendo stata espressamente 
sancita); e, se � vero che la valenza provvedimentale dell'inerzia 
(protrattasi oltre i novanta giorni) � meno chiara in quanto in questa 
ipotesi il ricorso � ora proponibile fino a quando il diritto al rimborso 
non � prescritto, non � men vero che la qualificazione del silenzio come 
provvedimento negativo tipizzato sembra doversi confermare alla stregua 
della normativa speciale in precedenza ricordata, rimasta invariata, 
e che, comunque, il problema non � rilevante ai fini della competenza, 
la quale deve essere necessariamente determinata allo stesso 
modo che nelle ipotesi di provvedimento negativo esplicito, cio� con 
riferimento alla sede dell'ufficio che avrebbe dovuto provvedere sulla 
domanda di rimborso. 

181

PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

Nella specie, questa venne presentata all'intendente di finanza di 
Milano e perci�, non essendo intervenuto nel termine un espresso provvedimento, 
correttamente il contribuente propose ricorso alla Commissione 
tributaria di quella citt�, a torto dichiaratasi incompetente. 

Deve pertanto essere affermata la competenza di detta commissione, 
senza che occorra provvedere sulle spese di questa fase del � giudizio, 
trattandosi di regolamento proposto. di ufficio. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 gennaio 1986 n. 231 -Pres. Moscone Est. 
Cantillo -P. M. Cantagalli (conf.) -Agenzia Marittima Berti c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). 

Tributi erariali indiretti � Imposte doganali -Manifesto di carico � Rilevanza 
� Merci iscritte ma non rinvenute � Si presumono immesse al 
consumo. 

(D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 36, 37 e 94).. 
Poich� il manifesto di carico deve contenere la indicazione della 
specie, quantit� e qualit� delle merci che costituiscono il carico e 
tiene quindi luogo della dichiarazione sommaria, devono presumersi immesse 
al consumo le merci iscritte non rinvenute all'atto delle operazioni 
doganali (art. 36 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43), a meno che non 
sia data la prova di una delle circostanze previste nell'art. 37. (1) 

(omissis) 1. -Con l'unico motivo, denunziando la violazione degli 
artt. 36, 37 e 94 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e 2727 ss. cod. civ., 
l'Agenzia marittima Berti s.p.a. deduce che erroneamente la Corte 
napoletana ha ritenuto sorta l'obbligazione tributaria in base alle risultanze 
del manifesto di carico, senza considerare che il presupposto del 
tributo, cio� l'immissione delle merci nel territorio doganale, � un fatto 
materiale che deve essere accertato oggettivamente, sicch� nella specie 
esso non poteva essere desunto utilizzando il solo documento, attraverso 
una presunzione di secondo grado confliggente con il divieto del praesumptum 
de praesunto, e negando ingresso ad una prova testimoniale 
articolata in senso contrario. 

La censura non � fondata. 

2. -L'atto denominato �manifesto di carico� -che deve essere 
obbligatoriamente tenuto, salve le eccezioni espressamente previste dalla 
legge, dai capitani delle navi di qualunque nazionalit� dirette in un 
(1) Decisione ineccepibile. 

182 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

porto dello Stato e viene compilato dallo stesso comandante ovvero 
rilasciato da autorit� consolari o doganali italiane o estere -contiene 
�le indicazioni della specie, quantit� (in peso o in volume) e qualit� 
delle merci alla rinfusa o dei colli che costituiscono il carico; e in 
relazione a questa funzione documentale, per cui la merce effettivamente 
trasportata deve necessariamente corrispondere a quella risultante 
dal manifesto, tiene luogo, per gli arrivi via mare, della dichiarazione 
sommaria obbligatoria prevista per tutte le merci immesse nel 
territorio doganale (art. 94 t.u. leggi doganali n. 43 del 1973). 
Esso, cio�, stante l'impossibilit� nei trasporti suddetti di accertare 
immediatamente la quantit� e qualit� della merce che attraversa la 
linea doganale -la quale coincide, ai sensi dell'art. 2 del T.U., con i 
confini del mare territoriale (e dello spazio aereo) -vale ad identificare 
le merci entrate nello spazio doganale che debbono essere presentate 
in dogana (art. 56, secondo comma); e correlativamente consente 
sia il controllo sulle stesse, ancorch� non debbano essere sbarcate 
in un porto dello Stato, e sia la foro presa in carico quando 
vengano sbarcate (nel qual caso deve essere consegnata in dogana 
una copia del manifesto in lingua italiana). 
In coerenza, poi, con la rivelata funzione del documento, � il capitano 
deve rendere conto, ad: ogni richiesta della dogana, delle merci 
inscritte a manifesto� (art. 111 t.u.), nonch� annotare e dichiarare le 
eventuali vicende comportanti discordanze tra manifesto e carico. 
Ci� posto, risulta evidente che per le merci elencate nel manifesto 
di carico l'arrivo in territorio doganale non risulta da presunzione 
-come a torto sostiene la ricorrente -ma � direttamente documentato 
dall'atto, cio� da dichiarazione all'uopo redatta o, comunque, fatta 
propria dal capitano della nave, responsabile delle merci nei confronti 
della dogana. E si comprende perch� le merci iscritte nel manifesto, 
ma non rinvenute all'atto delle operazioni doganali, si debbono r~tenere 
immesse definitivamente al consumo (salvi i casi di cui all'art. 37), 
9perando in pieno il disposto dell'art. 36, quinto comma, del t.u., che 
pone una presunzione correlata appunto ad una dichiarazione attestante 
l'esistenza delle merci al momento dell'entrata della nave nelle acque 
territoriali. 
Non si riscontra, dunque, alcuna di quelle presunzioni a catena 
ipotizzate dalla ricorrente, contrastanti con il principio che vieta il 
praesemptum de praesumpto; il manifesto di carico documenta la merce 
esistente a bordo e, in quanto presentato in dogana, comporta dichiarazione 
di arrivo nel territorio doganale delle merci in esso elencate; 
e ci� impone di presumere immessa al consumo la merce che, al 
momento dello sbarco, non viene pi� rinvenuta. ~ 
~ 
1 
I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 183 

Pertanto esattamente la Corte di merito ha ritenuto verificata, nella 
specie, la presunzione di immissione definitiva al consumo, sancita dall'art. 
36 cit., dato che l'arrivo delle merci in questione nel territorio 
doganale era documentato dal manifesto di carico. 

3. -In questa prospettiva, � infondata anche la critica relativa alla 
mancata ammissione della prova testimoniale, diretta a dimostrare che, 
una volta sbarcata, la merce non aveva subito alterazioni quantitative, 
essendo stata custodita sotto il diretto controllo della Guardia di 
Finanza. 
Giustamente la Corte ha osservato che, operando la presunzione di 
immissione definitiva al consumo, la circostanza oggetto della prova � 
irrilevante, in quanto non esclude l'eventualit� che la merce mancante 
possa essere stata sottratta ai vincoli doganali e immessa al consumo 
nel lasso di tempo tra l'ingresso nelle acque territoriali e l'arrivo nel 
porto di Napoli; per vincere la presunzione, invece, la ricorrente avrebbe 
dovuto provare una delle circostanze previste dall'art. 37 t.u., cio� la 
perdita o la distruzione della merce ovvero il verificarsi di variazioni 
quantitative dovute a cali naturali e tecnici. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 gennaio 1986 n. 261 -Pres. La Torre Est. 
Virgilio -P. M. Bennati (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Linguiti) c. Oriani (aVv. Seccarella). 

Tributi erariali diretti -Rettifica della dichiarazione ex art. 36-bis d.P .R. 
29 settembre 1973, n. 600 � Correzione di errori materiali e di calcolo Correzioni 
di errori di applicazione della legge. 

(D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis). 
In sede di liquidazione delle imposte dovute sulla scorta dei dati 
e degli elementi direttamente desumibili dalla dichiarazione e dai suoi 
allegati (art. 36 bis d.P.R. n. 600/1973), l'ufficio ha il potere di rettificare 
la dichiarazione in tutto quant? � necessario per rendere il carico dell'imposta 
esattamente commisurato a quello dovuto sulla base di quanto 
risulta dalla dichiarazione e quindi anche di correggere gli errori, non 
puramente materiali, attinenti alla determinazione dell'imponibile e dell'imposta; 
conseguentemente quando sia stato dichiarato per un fabbricato 
il reddito catastale e il maggiore reddito effettivo ma sia stata 
liquidata la imposta sul reddito catastale, legittimamente l'ufficio liquida 
e iscrive a ruolo l'imposta dovuta sul reddito effettivo (1). 

(1) Va pienamente condivisa la pronuncia, che � una delle prime che interviene 
sull'argomento. L'espressione, apparentemente restrittiva, di errori materiali 
o di calcolo, � posta in relazione alla determinazione degli imponibili e delle 
imposte; trattasi quindi non di errori meramente numerici ma di errori, elementari 
ed evidenti, sulla composizione dell'imponibile e la liquidazione della imposta. 

184 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) La ricorrente in via principale deduce con unico motivo, 

sotto il profilo della violazione dell'art. 36 bis e 38 -del d.P.R. n. 600 
del 1973, che la Corte di Appello erroneamente ha attribuito alla norma 
un contenuto ristretto alla correzione degli errori materiali o di cal


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colo, mentre essa consente la utilizzabilit� di tutti i dati ed elementi 
� desUllllibili direttamente � dalla dichiarazione e dai relativi allegati. 

La interpretazione data dalla Corte di Appello � sostanzialmente 
elisiva del primo comma dell'art. 36 bis, come risulta peraltro dal coordiI 
namento tra la indicata disposizione e l'art. 38, III comma che disciplina 
le ipotesi di necessit� di rettifica delle dichiarazioni presentate 
dal contribuente. 

Con il ricorso incidentale condizionato si sostiene che ai sensi dell'art. 
11, 3� comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (come modificato 
dal d.P.R. 24 dicembre 1976 n. 920) nei ruoli principali sono iscritte 
le imposte liquidate in base alla dichiarazione ai sensi dell'art. 36 bis 
e 36 ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; tale possibilit� � consentita 
in forza del 5� comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 920 del 1976, soltanto 
dalla data di entrata in vigore di questo provvedimento, cio� dal 20 gennaio 
1977, giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta 
Ufficiale. 

Nel caso di specie, >l'iscrizione � avvenuta nel ruolo 1976, emissione 
settembre, e perci� illegittimamente in quanto non era ancora entrato 
in vigore il d.P .R. n. 920 che confer� all'Amministrazione il potere di 
iscrizione nei ruoli principali delle imposte liquidate a norma dell'articolo 
36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973. 

Il ricorso principale � fondato. 

La norma della cui esatta interpretazione si discute (art. 36 bis 
citato) esprime nel titolo stesso �Liquidazione delle imposte -dovute 
in base alle dichiarazioni � -la sua concreta finalit� che � quella di 
porre gli uffici fiscali nella condizione di procedere sollecitamente, anche 
nell'interesse dei contribuenti, al calcolo dei tributi sulla base delle 
risultanze emergenti dalla dichiarazione dei redditi. 

In stretta correlazoine con questa finalit�, nel primo comma sono 
enunciati i criteri generali ai quali devono attenersi gli uffici, ed � inoltre 
stabilita la condizione-base (e dunque anche il limite) per� il legittimo 
esercizio del potere di correzione e di rettifica attribuito agli uffici. 

Tale condizione consiste nella esigenza che le liquidazioni delle 
imposte effettivamente dovute avvengano � sulla scorta dei dati e degli 
elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni stesse e dai relativi 
allegati �, come testualmente dispone la norma. 

Nel rispetto della indicata condizione, l'attivit� dell'amministrazione 
pu� dunque esplicarsi secondo una vasta gamma di ipotesi, le quali 
trovano la loro concreta tipicizzazione nelle lettere a), b), e), d) e) del 
secondo comma dell'art. 36 bis. 



PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 185 

Dall'esame critico delle fattispecie contemplate sotto tali lettere risulta 
che gli uffici fiscali -sempre con l'obbligo di dedurre i dati e 
gli elementi contabili e di valutazione delle stesse dichiarazioni presentate 
dal contribuente -sono legittimati a compiere tutte le operazioni 
necessarie per rettificare le inesattezze e gli errori riscontrati nella 
dichiarazione dei redditi, al fine di rendere il carico dell'imposta esattwnente 
commisurato a quello dovuto sulla scorta, cio� con l'ausilio 
e la guida, dei dati forniti dallo stesso contribuente. 

Nel quadro delle indicate possibilit� l'amministrazione aveva certamente 
il potere di correggere l'errore �nella determinazione dell'imponibile 
� (ipotesi di cui alla lett. �a� dell'art. 36 bis) commesso dal contribuente 
il quale, dopo aver indicato, nelle rispettive caselle del modulo, 
sia il reddito effettivo dei fabbricati (L. 7.500.000) sia quello calcolato 
in base al reddito catastale aggiornato (L. 1.300.000), consider� 
poi quest'ultimo quale reddito imponibile, e non gi� il reddito effettivo 
come chiaramente prescritto dalla legge. 

L'amministrazione, sostituendo il reddito da considerare a quello 
erroneamente indicato dal contribuente, si � legittimamente avvalsa del 
potere di correzione conferitole dalla legge perch� si � limitata ad attribuire 
ai dati contabili denunciati dal contribuente la loro effettiva rilevanza, 
ai fini della esatta determinazione dell'imponibile. 

Il ricorso principale deve pertanto essere accolto. (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 gennaio 1986 n. 402 -Pres. Scanzano Est. 
Finocchiaro -P. M. Di Renzo (diff.) -Soc. Riviera c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Corti). 

Tributi in genere -Accertamento -Motivazione -Provvedimento di ammis


sione all'esenzione -Necessit� -Motivazione insufficiente -Integra


zione in giudizio -Possibilit�. 

Anche il provvedimento di ammissione all'esenzione venticinquennale 
dall'imposta sui fabbricati deve essere motivato con la conseguenza che 
in caso di totale difetto di motivazione, o di motivazione soltanto apparente, 
la commissione deve dichiararne la nullit� senza poterne giudicare 
nel merito la fondatezza; solo in presenza di motivazione insufficiente 
(ma non totalmente mancante) la commissione pu� giudicare 
della fondatezza nel merito dell'atto impugnato, acquisendo anche d'ufficio 
gli elementi necessari (1). 

(1-2) La prima sentenza mostra con evidenza la pericolosit� della ripetizione 
acritica di formule correnti; essa infatti, rifacendosi a massime, molto 
generiche, riferite 'ad atti di accertamento della base imponibile, non si avvede 



186 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
II @ 

( 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 gennaio 1986 n. 492 -Pres. Santosuosso 
-Est. Rocchi -P. M. Minetti (conf.) Soc. IZDA (avv. Pellicciari) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). 

I 

iTributi in genere � Accertamento � Motivazione � Provvedimento sul con


dono � Non necessita. 

Il provvedimento sull'applicabilit� del condono con il quale non si 

I

esprime alcuna valutazione, non necessita di motivazione essendo questa 0 

I & 

implicita nella non rispondenza ai requisiti di legge (2). 

I 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce omessa pronuncia 
su punto decisivo della controversia per avere la Commissione tribu


Itaria centrale provveduto a decidere nel merito della controversia senza 
tener presente e senza pronunziare su quello che era l'oggetto del 

I 

che nel caso di specie si discuteva della spettanza della esenzione venticinquennale 
dall'imposta sui fabbricati che implicava un -accertamento del diritto e 
non certo una discussione sulla legittimit� dell'atto di diniego. Sulla stessa 
questione la sentenza delle Sez. Un. 3 marzo 1986 n. 1322 in questo fascicolo 
pag. 199, che pure non pu� essere condivisa nelle sue premesse, riconosce che 

nel caso di identificazione di una determinata disciplina legale la motivazione 
pu� esprimersi � in forma estremamente semplice e contratta �. 

Pi� in generale non pu� condividersi l'affermazione che motivazione e fondatezza 
del provvedimento agiscono su piani distinti con la conseguenza che la 
fondatezza del merito � inidonea a dimostrare la legittimit�, quasi che le 
domande proponibili contro l'accertamento siano due. Cosa accadr� se si 
affermer� (dal giudice di rinvio) che l'accertamento � illegittimo per difetto 
di motivazione? Sar� perci� solo da riconoscersi la spettanza dell'esenzione? 
Evidentemente no. Ed allora a che cosa sar� servita, soprattutto nell'interesse 
del contribuente, una dichiarazione di illegittimit� del provvedimento? 

La domanda che si propone con il ricorso � una soltanto e riguarda l'accertamento 
del rapporto di obbligazione; pu� anche, in casi ben delimitati, affacciarsi 
la questione di infruttuoso esercizio della potest� di accertamento, ma 
solo come effetto sostanziale sulla obbligazione. 

1\ certamente da condividere la seconda parte della massima che riconferma 
la possibilit� di decisione di merito che supera ogni questione sulla validit� formale 
dell'accertamento che abbia comunque messo il contribuente nella condizione 
di esercitare la difesa; troppo formale, specie in relazione al caso deciso, 
� per� la distinzione tra motivazione mancante e motivazione insufficiente. 

Assai pi� concreta la seconda sentenza che apprezza la differenza tra accer� 
tamento della base imponibile e provvedimento di ammissione al condono e 
svaluta il mito della motivazione quando sia in questione la applicazione della 
Jegge. 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ricorso dell'Ufficio e del controricorso della societ� e cio� la congruit� 
e sufficienza della motivazione dell'atto impositivo. 

Il ricorso � fondato, n� vale, al fine di respingerlo, il rilievo contenuto 
nel controricorso e per il quale sarebbe corretta la pronuncia della 
Commissione Tributaria Centrale che, ritenendo inadeguato il deliberato 
delle precedenti Commissioni per non essere il preteso difetto di 
motivazione n� rilevante n� in concreto esistente, � entrata nel merito 
del rapporto confermando l'inesistenza dei presupposti richiesti per 
l'invocata esenzione, in piena aderenza, al thema decidendi, l'ufficio 
avendo fra l'altro sempre dedotto, a giustificazione del suo operato, le 
violazioni edilizie come accertate dalla competente autorit� comunale. 

� infatti sufficiente osservare che la Commissione Tributaria Centrale 
non si � pronunciata sulla questione sottopostale circa la sufficienza 
della motivazione dell'atto con il quale � stata respinta la richiesta di 
esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, senza che possa 
ritenersi una pronuncia implicita sulla stessa la ritenuta fondatezza 
nel merito del provvedimento. 

La motivazione del pr�vvedimento amministrativo-tributario ha una 
duplice finalit�: quella di rendere esplicito e manifesto l'iter logicogiuridico 
seguito nella formazione dell'atto e quello di consentire ai 
destinatari la cognizione e la contestazione degli eventuali errori di 
fatto e di diritto che lo inficiano, sicch� � costante nella giurisprudenza 
di questa Corte l'affermazione secondo cui l'obbligo della motivazione 
� soddisfatto quando l'atto pone il contribuente nella condizione di 
potere efficacemente contestare nell'an e nel quantum la pretesa tributaria 
(cfr. fra le tante, Cass. 7 febbraio 1984 n. 932; Cass. 9 agosto 1982 

n. 5325; Cass. 19 giugno 1981 n. 4013; Cass. 12 febbraio 1981 n. 857). 
Da ci� deriva che si � ritenuto �nullo l'avviso di accertamento -ma 
il principio � da ritenere applicabile ad ogni atto amministrativo-tributario 
con il quale si provvede su un diritto soggettivo della parte -per 
la sua inidoneit� a raggiungere lo scopo assegnatogli dall'ordinamento, 
oltre che nei casi di totale mancanza della motivazione, anche nei casi 
ad essa equiparabili, quali l'esistenza di una motivazione soltanto apparente, 
di mero stile, che, per la sua genericit�, sarebbe applicabile a 
qualunque accertamento, essendo priva di riferimento al caso concreto 
(Cass. 30 luglio 1984 n. 4541; Cass. 9 agosto 1983 n. 5325), nonch� nelle 
ipotesi in cui, essendo previsto un parametro legislativo di valutazione, 
costituente criterio tassativo, lo stesso non sia stato esplicitato nell'atto 
di accertamento (cfr. Comm. Trib. Centr., sez un. 16 giugno 1983 

n. 1343). 
Sulla base di queste premesse appare evidente che motivazione del 
provvedimento e fondatezz� dello stesso agiscono su due piani nettamente 
distinti: il primo su quello della legittimit� dell'atto, il secondo 
su quello del merito dello stesso, con la naturale conseguenza che la 


188 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

eventuale fondatezza del secondo non � idonea a dimostrare la legittll.it� 
del primo. 

N� pu� invocarsi in contrario il principio secondo cui, per essere 
la giurisdizione delle Commissioni Tributarie non di annullamento, ma 
sul merito dell'atto amministrativo impugnato, la sanatoria del difetto 
di motivazione in sede contenziosa, in virt� dell'acquisizione, disposta 
anche d'ufficio, degli elementi necessari per il giudizio di merito, comporta 
il divieto di dichiarare la nullit� dell'atto assumendo la pronuncia 
delle Commissioni valore sostitutivo dell'originario provvedimento, dal 
momento che tale principio pu� essere applicato in presenza di una 
motivazione insufficiente e non anche in ipotesi di difetto assoluto di 
motivazione, che incidendo sulla formazione del rapporto giuridico e 
risolvendosi in un difetto di attivit� della P.A. (non surrogabile dal 
giudice) proprio a causa della nullit� di quell'atto di impulso che � 
l'accertamento, non pu� essere sanato per effetto dell'opposizione del 
contribuente (Cass. 9 agosto 1983, n. 5325). 

Concludendo, si deve quindi ritenere che qualora il contribuente, 
al quale �sia stato notificato avviso di accertamento che r~spinga la 
richiesta di esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, ricorra 
alle Commissioni tributarie eccependo il difetto di motivazione di tale 
atto, il giudice investito della controversia non pu� -al fine della reiezione 
del ricorso -accertare la fondatezza nel merito del provvedimento 
impugnato, ma deve innanzitutto stabilire la natura e l'entit� del vizio 
motivazionale denunciato e solo in ipotesi di insufficienza di motivazione 
pu� respingere il ricorso, ove acquisisca anche d'ufficio, elementi 
necessari per ritenere la fondatezza nel merito del provvedimento impugnato, 
mentre ove accerti il difetto assoluto di motivazione, nei sensi 
innanzi precisati, deve dichiarare la nullit� dell'atto, attesa la sua inidoneit� 
ad essere sanata da accertamenti sul merito. 

Tale indagine non � stata compiuta dalla Commissione Tributaria 
Centrale e, pertanto, in accoglimento del motivo di ricorso, va cassata 
la decisione impugnata e la causa rinviata alla stessa Commissione perch� 
si pronunzi sulla sufficienza e sulla congruit� della motivazione dell'atto 
di accertamento. (omissis) 

II 

(omissis) Col primo motivo -denunziando violazione dell'art. 37 

d.P.R. 645/1958 e dell'art. 18 d.P.R. 636/72 con riferimento agli artt. 3 
e 4 l. 823/1973 in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria 
motivazione su un punto decisivo della controversia -ila 
societ� ricorrente ripropone la questione del (preteso) difetto di motivazione 
del provvedimento di rigetto della domanda di condono, nel 
presupposto che a 'tale provvedimento vadano applicate le norme in 

PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 189 

tema di atti di accertamento, atteso che � anche esso un atto attinente 
alla fase di accertamento. 

La censura � infondata. 

Va rilevato, innanzitutto, che -a differenza che negli atti di 
accertamento d'imposta, in ordine ai quali l'Amministrazione finanziaria 
esprime la sua valutazione circa la rispondenza della dichiarazione del 
contribuente alla situazione reale e, in difetto di dichiarazione, valuta 
direttamente gli elementi attivi e passivi che portano al reddito imponibile, 
onde la necessit� che il contribuente sia posto in grado di 
conoscere come l'Ufficio sia giunto alla determinazione del reddito e 
del maggior reddito accertato -nelle ipotesi di definizione delle pendenze 
tributarie, l'Amministrazione finanziaria non esprime alcuna valutazione, 
limitandosi soltanto a verificare la sussistenza o meno dei requisiti 
indicati dalla legge, ai fini dell'accoglimento della richiesta di 
definizione. 

In ogni caso, peraltro, nella specie, la motivazione del provvedimento 
negativo del condono appare del tutto esauriente, in quanto (come esattamente 
rilevato dalla Commissione centrale), trattandosi di domanda 
specificatamente concernente il 1973, annualit� per la q�ale il decreto 
legge n. 660/1973 prevedeva �precise condizioni� per l'ammissione al 
condono ed essendo stato il contribuente reso edotto, con sufficiente 
chiarezza e coerenza, che la richiesta di definizione non corrispondeva 
� ai requisiti previsti �, tale formula non poteva riferirsi a motivi di 
diniego diversi da quelli stabiliti dalla legge. omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 gennaio 1986, n. 599 � Pres. Santosuosso 
-Est. Sgroi -P: M. Zema (diff.). Ministero delle Finanze 
(Avv. Stato Laporta) c. Valvassori (avv. Dal Verme). 

Tributi in genere -Condono � Natura � Effetti. 

(d.l. 5 novembre 1973 n. 6602, art. 11). 
Il condono tributario �non ha natura transattiva ma � l'esplicazione 
di una potest� amministrativa che deve essere necessariamente conforme 
alla norma che istituisce il condono; conseguentemente mentre non 
� minimamente applicabile l'art. 1969 e.e., il provvedimento di condono 
pu� essere annullato di ufficio o contestato dal contribuente per violazione 
delle norme del decreto di condono, per modificare parzialmente 
la definizione sia per escludere totalmente la condonabilit�. Il condono 
estingue l'intero giudizio pendente travolgendo anche l'effetto delle decisioni 
intervenute (1). 

(omissis) I ricorsi vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c. Con 
l'unico motivo, l'Amministrazione deduce la violazione e falsa applica


(1) Alcune opportune specificazioni, tutte di evidente esattezza. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

zione dell'art. 11 del d.l. n. 660 conv. in legge 19 dicembre 1973 n. 823, 
osservando che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che la 
� modifica � di cui alla citata norma coincida con la mera correzione e 
che la definizione della controversia ai sensi della legge citata vada 
inqua~rata nell'ambito dei negozi transattivi. 

L'Amministrazione osserva che la definizfone de qua � premessa da 
una richiesta del contribuente che d� impulso ad un procedimento amministrativo 
che si conclude con un provvedimento che sostituisce una 
obbligazione ad un'altra. La legge disciplina i casi in cui si pu� procedere 
ad annullamento (indicato col termine �modifica�) o ad una 
contestazione da parte del contribuente, con riferimento all'errore materiale 
ed alla violazione delle norme del decreto. 

D'altra parte, appare estraneo alla specie ogni principio desunto dalla 
disciplina della transazione. Ed infine, gli effetti processuali dell'estinzione 
non sono riconducibili all'art. 310 c.p.c. e, se l'Amministrazione 
annulla la definizione, il contribuente pu� contestare nuovamente la fondatezza 
della pretesa tributaria innanzi alle Commissioni, come era stato 
del resto riconosciuto con l'ordinanza di questa Corte del 27 dicembre 
1975. 

Il ricorso �, per quanto di ragione, fondato. 
Deve, in primo luogo, contestarsi l'assimilazione alla transazione 
dell'istituto della definizione regolato dal d.l. 5 novembre 1973 n. 660 
conv. in legge 19 dicembre 1973 n. 823, in quanto esso consiste in un 
procedimento amministrativo di determinazione dei tributi secondo parametri 
e criteri prefissati, in. ordine ai quali nessuno spazio ha l'autonomia 
contrattuale, ma si esplica una particolare potest� amministrativa 
concretata in un procedimento di liquidazione delle somme dovute. 
D'altra parte, in presenza di una norma quale � quella dell'art. 11 secondo 
comma, che ammette la modifica da parte dell'ufficio e la contestazione 
da parte del contribuente anche �per violazione delle norme 
del decreto�, non si vede l'utilit� di trarre elementi di interpretazione 
dalla disciplina della transazione, che contiene una norma del tutto 
opposta (art. 1969 e.e.). L'art. 11 suindicato ha un contenuto peculiare, 
in forza del quale la definizione intervenuta non pu� essere modificata 

o contestata per violazione delle norme ordinarie, riflettenti le imposte 
definite, appunto perch� si prescinde dalla soluzione delle controversie 
pendenti in base all'applicazione delle suddette norme e le controversie 
stesse vengono definite con l'applicazione dei criteri automatici fissati 
dal provvedimento di �condono�. Il provvedimento amministrativo che 
costituisce il punto di arrivo del procedimento avviato dall'istanza irrevocabile 
del contribuente deve, pertanto, essere conforme alle norme 
suddette; se le norme (e solo quelle) sono violate, esso pu� essere contestato 
dal contribuente. L'ampiezza della formula, sta ad indicare che 
il contribuente pu� chiedere l'annullamento in toto del provvedimento 
. ~ 

f 

f 


191

PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

di ammissione a godere dei vantaggi del procedimento di definizione 
(� ovvio che il contribuente far� la domanda se la ritiene vantaggiosa, 
nel suo calcolo di convenienza), se esso non � conforme alla normativa 
della legge n. 823. Appare del tutto irrazionale che invece, l'Amministrazione 
-come ha ritenuto la Corte d'appello di Milano -non possa 
contestare, con i suoi normali poteri di autotutela, la definizione intervenuta, 
non solo � modificandola � (per esempio, in punto di concreta 
J.iquidazione del dovuto), ma anche rimuovendola del tutto, qualora ritenga 
che la controversia definita non sia compresa fra quelle rientranti 
nell'ambito della legge n. 823. L'espressione �modificate� va intesa in 
tutta la sua latitudine, comprensiva di una �riapertura� della controversia 
nel caso che la definizione sia stata viziata dalla violazione delle 
norme del decreto e della legge sul condono (in tal senso, cfr. la relazione 
al disegno di legge, nonch� Cass. 5 luglio 1984 n. 3936; v. anche 
Cass. 5 novembre 1984 n. 5599). 

Nessuna delle conseguenze paventate o degli ostacoli ipotizzati dalla 
Corte d'appello pu� opporsi a tale elementare applicazione dei princ�pi 
generali, secondo cui gli atti amministrativi di attuazione di una certa 
normativa possono essere sempre impugnati dal cittadino ed annullati 
dalla P.A. per violazione delle norme di cui costituiscono applicazione. 
Invero, l'atto di annullamento dell'Ufficio pu� essere, ovviamente, impugnato 
a sua volta dal soggetto passivo, che potr� sostenere che, invece, 
la primitiva definizione era conforme alla legge n. 823 (senza poter 
riaprire la controversia definita); inoltre, poich�, l'atto di annullamento 
della definizione sar� normalmente accompagnato da una ripetizione 
del primitivo accertamento che aveva dato luogo alla controversia definita 
con la procedura della legge� n. 823, �contro tale accertamento potranno 
di nuovo esperirsi le impugnative normali. 

Nessun ostacolo pu� derivare dalla pronuncia dell'estinzione dei giudizi 
in c�rso, ai sensi del primo comma dell'art. 11, per le seguenti 
_ragioni: 

a) tale estinzione non ha nulla a che vedere con l'estinzione di cui 
agli artt. 306-310 c.p.c. Invero, le sentenze di merito pronunciate nel 
corso del processo, ovvero le sentenze di primo grado, nel caso che 
l'estinzione sopravvenga in appello; e le sentenze d'appello, nel caso 
che l'estinzione sopravvenga in cassazione, noh sono regolate dall'art. 310 


o dall'art. 338 c.p.c. Esse non passano affatto in giudicato, perch� la 
definizione della controversia attuata mediante la procedura di cui alla � 
legge n. 823 del 1973 contrasta inconciliabilmente col suddetto passaggio 
in giudicato. Si estingue l'intero giudizio, e non solo la fase del processo 
nel corso del quale interviene la definizione amministrativa; 
b) il giudice dinanzi al quale viene portato il provvedimento di 
ammissione al condono e di pagamento delle imposte liquidate non pu� 



192 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


sindacare se esso sia legittimo, ma deve soltanto prenderne atto (cfr. 
Cass. 21 febbraio 1979 n. 1112). Invero, una contestazione della legittimit� 
del procedimento di � condono� non pu� non seguire il normale 
iter amministrativo e giurisdizionale e non formarsi il giudicato su 
di esso, per effetto della pronuncia dell'ordinanza di estinzione del giudizio 
ex art. 11 cit. (come, del resto, ha riconosciuto l'ordinanza di 
questa C6rte del 27 dicembre 1975, che si � limitata a pronunciare la 
estinzione del precedente giudizio, facendo salvi i diritti dell'Ammini� 
strazione in separata sede). 

Applicando i suddetti princ�pi alla specie, � evidente che la Corte 
d'appello non avrebbe dovuto fermarsi a statuire la pretesa intangibilit� 
della definizione delle controversie di cui si tratta, ma avrebbe dovuto 
-sulla premessa della possibilit� dell'esercizio del potere di annullamento 
della P.A. -accertare in concreto (come chiedeva la Valvassori, 
contrariamente a quanto sostiene la ricorrente) se tale annullamento 
fosse legittimo, e cio� se effettivamente .le controversie di cui si trattava 
erano controversie attinenti all'imposta di registro, come tali rientranti 
nell'ambito della prima parte dell'art. 6, ovvero controversie non rien� 
tranti in detto ambito, come pretendeva l'Amministrazione. Tale giudizio 
non pu� essere dato in questa sede, perch� implica la valutazione di 
atti che � devoluta al giudice del merito, salvo il successivo controllo 
in sede di legittimit�. Si tratta di un giudizio da dare in base al rilievo 
che si trattava di applicare, nelle controversie originarie che erano state 
definite dalla contribuente, l'art. 5 del d.l. n. 90 del 1945; e che -con� 
trariamente a quanto sostiene la Valvassori nel controricorso -non � 
vincolato da alcun giudicato che non si � formato in quanto il precedente 
giudizio si � estinto in toto, come innanzi si � detto (pur non 
avendo, tale estinzione, una valenza definitiva a troncare ogni controversia 
sulla �applicazione� delle nonne del decreto n. 660 conv. in legge 

n. 823 del 1973). Per concludere, si tratta di accertare se le definizioni 
intervenute nel 1974 �violavano� (o meno) le norme del ripetuto decreto 
sul condono del 1973, secondo la richiesta formulata, in ulteriore subordine, 
dalla Valvassori nell'opposizione alle ingiunzioni del 1975. (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 febbraio 1986, n. 681 � Pres. La Torre � 
Est. Borr� � P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. Giardi (avv. Zaccagnini). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro -Concordato fallimentare � 
Sentenza di omologazione � Imposta proporzionale. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, tariffa A, art. 8 lett. e ed f). 
La sentenza di omologazione del concordato fallimentare, in quanto 
provvedimento che d� corpo all'obbligazione, � essa direttamente, indi



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

193 

pendentemente dal'enunciazione, soggetta all'imposta proporzionale dell'art. 
8 lett. c) della Tariffa A del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (1). 

(omissis) 1. -Con l'unico motivo di ricorso -deducendo violazione 
e falsa applicazione degli artt. 8, lettera e), e 9 della tariffa ali. A al 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, anche in relazione agli artt. 21 e 35 dello 
stesso d.P.R., il tutto in riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c. -assume 
la ricorrente che, collegandosi l'imposta di registro alla capacit� contributiva 
indirettamente dimostrata da un atto, convenzionale o giudiziale, 
relativo al contribuente, nessuna rilevanza pu� essere attribuita, in contrasto 
con il contenuto dell'atto medesimo, alla sua natura convenzionale 
o giudiziale, come � del resto confermato dal pieno parallelismo 
sistematico fra tassazione delle convenzioni e tassazione dei provvedimenti 
giurisdizionali aventi analogo oggetto._ 
Il fatto che la lettera f) della'rt. 8 della tariffa preveda la tassa fissa 
per gli atti giudiziali di omologazione non implica, secondo la ricorrente, 
che in tale tassazione si identifichi, e si esaurisca, il trattamento tributario 
del concordato preventivo, da un lato perch� questo ha per oggetto 
un regolamento originale di rapporti aventi contenuto patrimoniale e costituisc� 
pertanto materia naturalmente tassabile con l'imposta proporzionale, 
dall'altro perch� il riferimento agli atti giudiziali di omologazione, 
di cui alla citata lettera f), se interpretato in relazione al contenuto 
complessivn della norma e ai criteri di tassazione che la ispirano, 
non pu� altrimenti intendersi che come riguardante le sole omologazioni 
di atti a contenuto non patrimoniale. 

Neppure � decisivo, secondo l'Amministrazione finanziaria, il fatto 
che la tariffa vigente non riproduca una norma come quella dell'art. 32 
della precedente tariffa, che faceva esplicito riferimento ai concordati 
giudiziali e stragiudiziali, ci� potendo spiegarsi con il fine di semplificazione 
delle ipotesi tariffarie perseguito dal pi� recente legislatore. 

D'altra parte, se si ammette -come fa la decisione impugnata che 
un concordato stragiudiziale � ancor oggi assoggettato all'imposta 
proporzionale ai sensi dell'art. 9 della tariffa, non pu� porsi in dubbio 
che anche la sentenza di omologazione del concordato (preventivo o fallimentare) 
sia soggetta a tassazione con la stessa aliquota, sia che la si 

(1) Decisione da condividere pienamente che trasporta alla nuova legge di 
registro i concetti gi� affinati precedentemente. In senso conforme Cass. 10 luglio 
1984 n. 4044 in questa Rassegna 1984, I, 1002; sulla legge abrogata Cass. 6 gennaio 
1980 n. 119 e 14 aprile 1981 n. 2227, ivi, 1980, I, 631 e 1982, I, 776. Si pu� 
aggiungere che la sentenza di omologazione costituisce l'atto tassabile per tutte 
le convenzioni alle quali da efficacia, e non soltanto per il concordato vero e 
proprio, comprese quelle di garanzia prestata dai terzi; come tale pu� essere 
soggetta anche alle imposte di trasferimento delle lettere a) e b) dell'art. 8 
della tariffa. 

194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

voglia considerare come atto conclusivo del procedimento di concordato, 
e quindi tassabile in base all'art. 8, lettera e), della tariffa, sia che la 
si voglia assumere come atto giudiziale che enuncia la convenzione concordataria, 
tassabile in tal caso con la imposta (di titolo) di cui all'art. 9 
della tariffa stesa, in relazione agli artt. 21 e 35 della nuova legge di 
registro. 

2. -Alle considerazioni dell'Amministrazione finanziaria il resistente, 
oltre ad un generico richiamo ai motivi esposti dalla decisione impugnata, 
oppone il rilievo che, in presenza dello stato di insolvenza, non 
sussisterebbe la capacit� contributiva per la tassazione dell'atto. 
3. -Il ricorso � fondato e va accolto. 
� un dato sicuramente incontestabile (rilevato anche dalla decisione 
impugnata) che la precedente disciplina dell'imposizione del concordato, 
contenuta negli artt. 32 e 126 della tariffa del 1923, si collegava ad una 
concezione essenzialmente � contrattualistica � di tale istituto. Per un 
verso, infatti, l'art. 32 usava una formula ( � convenzioni e concordati 
fra i creditori e il loro debitore, stipulati tanto prima che dopo la dichiarazione 
di fallimento e contenenti obbligazioni di somme�) che evidentemente 
comprendeva tanto le figure di concordato (preventivo o 
fallimentare) quanto manifestazioni meramente private di contenuto analogo, 
e quindi, proprio per il fatto di considerare insieme le due ipotesi, 
non poteva non porre, anche nella prima, l'accento sul momento � contrattualistico 
�; in conformit�, del resto, con la concezione allora prevalente 
dell'istituto. Per altro verso, l'art. 126, prevedendo la distinta e 
concorrente imposizione della sentenza omologativa del concordato, confermava 
la scissione fra il momento giudiziale (assoggettato a tassa fissa) 
e il momento contrattuale che, costituendo il fulcro giuridico-economico 
del fenomeno concordatario, scontava l'imposta proporzionale. Espressione 
di tale concezione era fa prassi tributaria che sottoponeva a registro, 
con pagamento di imposta proporzionale, il verbale di accertamento 
di voto (in cui si scorgeva il momento adesivo alla proposta 
contrattuale del debitore), concorrentemente alla registrazione (a tassa 
fissa) della sentenza di omologazione del concordato. 

Pur con riguardo alle accennate disposizioni della vecchia legge, questa 
Corte, sensibile al mutamento di pensiero frattanto intervenuto in 
ordine all'istituto del concordato, propose una diversa costruzione del 
fenomeno. Fu affermato, infatti con particolare evidenza nella sentenza 

n. 119 del 1981; che �la sentenza di omologazione, ossia l'atto che, a 
conclusione di una complessa procedura, d� corpo a tale obbligazione 
(idest: l'obbligazione assunta dall'imprenditore di pagare determinate 
somme ai propri creditori) e trasforma in obbligo giuridico, vincolante 
per l'imprenditore e per tutti i creditori, la proposta originaria, � sog

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 195 

getta di per s� a tassazione (proporzionale), in quanto costituisce appunto 
l'atto (... � infatti indifferente che si tratti di atto unilaterale, contrattuale 
o giudiziario) da cui sorge l'obbligazione di pagare una determinata 
somma�; con l'ulteriore precisazione che �la sentenza di omologazione... 
non costituisce il mezzo attraverso cui la Finanza, in via indiretta, 
tassa determinati atti... gi� soggetti a tassazione prima che 
fossero enunciati nella sentenza o posti a fondamento delle sue statuizioni, 
ma costituisce l'oggetto diretto della tassazione, come atto di 
per s� produtivo di determinati effetti obbligatori a contenuto economico 
�. 

Tale pronuncia, cos� argomentata, reca chiari i segni della concezione 
pubblicistico-processuale del concordato, sia perch� ravvisa nella sentenza 
di omologazione non un mero momento di controllo rispetto alla 
autonomia espressa nel patto concordatario, ma l'atto conclusivo di una 
�complessa procedura�; sia perch� coglie la capacit� di tale sentenza 
di produrre effetti suoi propri (obbligatoriet� del concordato non solo 
per il debitore, ma per tutti i creditori, vale a dire anche per quelli 
rimasti estranei alla procedura o addirittura dissenzienti) che la concezione 
contrattualistica non � in grado di spiegare; sia infine perch�, 
proprio sulla base di tali premesse, riconosce nella sentenza omologativa, 
l'oggetto della tassazione proporzionale, e non in quanto essa enuncia 
un atto tassabile (quale potrebbe essere, ragionando secondo la 
vecchia concezione, l'accordo implicito nella manifestazione positiva del 
voto), ma in quanto costituisce, ex se, il fenomeno giuridico-economico 
cui l'imposizione direttamente ed immediatamente si collega. 

Se l'orientamento interpretativo era dunque gi� rivolto, sotto la 
precedente legislazione, a collegare l'espressione della capacit� contributiva 
al �concordato-provvedimento�, cio� alla sentenza di omologazione 
in quanto atto giurisdizionale autoritativo che conclude il procedimento 
e per forza propria realizza l'effetto della generale obbligatoriet� 
del concordato, non pu� non apparire sconcertante l'affermazione 
della decisione impugnata, secondo cui proprio dall'essere stato attribuito, 
nella nuova legge di registro, prevalente peso al carattere pubblicistico, 
del concordato, evitandosi ogni confusione con le private convenzioni 
di analogo contenuto, dovrebbe discendere la non tassabilit�, 
con imposta proporzionale, della sentenza conclusiva della procedura concordataria. 
Affermazione tanto pi� sconcertante in quanto, per le suddette 
private convenzioni, � invece riconosciuta, dalla decisione impugnata, 
la persistente assoggettabilit� al tributo proporzionale (ai sensi 
dell'art. 9 della nuova tariffa). 

Tale affermazione pretende fondarsi sulla non riproduzione di una 

norma come quella �di cui all'art. 32 de1la vecchia tariffa e sulla non 

prev1s1one esplicita -nell'art. 8 della nuova -della sentenza omolo


gativa del concordato fra i provvedimenti giurisdizionali tassabili con 

� .l'.I' � �.r..r.�r ,,..,._,. ���,. ................................................................-���-,-,.��.�,-.�.-���c.�.-.-.--.--.-.�.-.�rr.�r.-.-.�.-.�.-,�,�.-.� ����.-.����.-.����������.--.-.�.�.�..-.�.�.�.r.�.-.r.-.�.�r.-.�.-.�.�.�.-r.�.-.�.�.�.�.-.�.-.�.�.�.�r.�.�.�.�.�.�, 

196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

imposta proporzionale, e per altro verso sulla previsione, nella lettera f) 

i'

dell'art. 8, della tassa fissa per gli atti giudiziali di omologazione, fra 
i quali la sentenza predetta sarebbe da ricomprendere. 

r;

A parte il rilievo che l'omessa esplicita menzione dell'istituto in 

esame nella nuova tariffa ben pu� spiegarsi con la maggior sintesi e 
semplificazione che la caratterizzano in� obbedienza ad un criterio diret


I

tivo dettato dall'art. 7, secondo comma, della legge delega 9 ottobre 1971 

n. 825, � certo comunque che l'impostazione della decisione impugnata 
-in quanto nega la tassabilit� proporzionale della sentenza conclusiva 
della procedura concordataria e la ammette invece per atti meramente 
I

convenzionali di contenuto analogo -presupporrebbe preliminarmente, 
per essere almeno in astratto plausibile, due condizioni: da un lato che 
fosse da considerare abbandonato, nella nuova legge di registro, il principio 
per cui � il contenuto dell'atto, indipendentemente dalla natura stragiudiziale 
o giudiziale, a determinare l'imponibilit�; dall'altro che potesse 
ravvisarsi una ragfone per cui il concordato giudiziale non sarebbe 
espressione di capacit� contributiva mentre lo sono invece i c.d. � concordati 
stragiudiziali�, 

La non configurabilit� di siffatte condizioni � peraltro evidente. Va 
infatti rilevato, sotto il primo aspetto, che la elencazione degli atti 
giudiziali, operata dall'art. 8, non nasconde (come ha dimostrato la 
ricorrente attraverso raffronti analitici) il retrostante principio della 
uguaglianza di trattamento tributario fra atti giudiziali e negoziali di 
contenuto corrispondente; e, sotto il secondo aspetto, che non pu� ritenersi 
(anche alla luce dell'art. 19 della vigente legge di registro, per 
il quale � le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli 
effetti giuridici degli atti�) che gli �strumenti concordatari� escogitati 
dall'autonomia privata, evidentemente pi� approssimativi e pi� deboli 
nei loro effetti giuridici, possiedano una idoneit� ad esprimere 
capacit� contributiva che sarebbe invece negata al concordato giudiziale. 


Le accennate ipotesi, che dovrebbero fungere da condizioni di base 
dell'impostazione della decisione impugnata, sono in effetti tanto lontane 
dal vero che, se realmente il concordato (come concordato-provvedimento) 
fosse da considerare estraneo all'elencazione dell'art. 8 della 
tariffa o confinato nella categoria degli atti giudiziali di omologazione, 
con imposizione a tassa fissa, ci� non potrebbe significare (se non a 
prezzo di sospetta incostituzionalit� in relazione agli artt. 3 e 53 Cast.) � 
sottrazione dell'stituto concordatario all'imposizione proporzionale, ma 
implicherebbe la necessit� di ricostruire la fattispecie � tributaria in termini 
di enunciazione del � concordato-negozio � da parte della sentenza 
di omologazione, con tassabilit� proporzionale sotto questo profilo 
(art. 9 della tariffa in relazione agli artt. 21 e 35 del d.P.R. 634/1972). 
Ma questa tesi (che pure condurrebbe allo stesso risultato pratico ed 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

� sostenuta in subordine dalla ricorrente) sarebbe regressiva, perch� riporterebbe 
il baricento del fenomeno nel momento negoziale, in contrasto 
con l'evoluzione di pensiero che tende sempre pi� a porre l'accento 
sul profilo pubblicistico del concordato e con la stessa giurisprudenza 
di questa Corte (gi� maturata, come si � visto, con riferimento 
alla precedente legge di registro) secondo cui � la sentenza di omologazione 
ex se, per ci� che essa crea come suo proprio effetto, a costituire 
oggetto diretto del'imposizione tributaria. 

La tesi subordinata della Finanza non ha per� ragion d'essere, perch�, 
a ben vedere, � senz'altro possibile ricondurre il concordato-provvedimento 
entro la previsione dell'art. 8 della tariffa, indipendentemente 
dalla lettera f) relativa agli atti giudiziali di omologazione. Sembra invero 
alla Corte che la previsione della lettera e) di tale articolo ben si 
presti a recepire l'atto giudiziale conclusivo della procedura di concordato. 
Ci� non sarebbe agevolmente sostenibile con riguardo alla seconda 
parte della lettera e), in cui sono evocati �gli atti portanti condanna 
al pagamento di somme, valori' o altre prestazioni�, perch� il 
provvedimento in esame, pur contenendo il regolamento obbligatorio del 
passivo e vincolando al pagamento, non assume tecnicamente il carattere. 
di sentenza di condanna. Ma al detto inquadramento sembra senza 
sforzo prestarsi la prima parte della stessa lettera e), concernente gli 
� atti (giudiziali) aventi per oggetto beni e diritti diversi da quelli 
indicati alle lettere a) e b) �, relative -queste ultime -ai trasferimenti 

o costituzioni di diritti reali su beni immobili e agli atti aventi ad oggetto 
autoveicoli. 
Premesso che la formula test� riportata della lettera e) � ellittica 
e va integrata, come � stato precisato in dottrina, nel senso di � atti 
giudiziali aventi per oggetto il trasferimento di beni o diritti diversi o 
(ed � questo il punto che interessa) la costituzione di diritti diversi 
da quelli indicati nelle lettere precedenti�, appare tutt'altro che incongruo 
riportare a tale previsione pronunciata in negativo quanto alla 
natura e al contenuto dei diritti_ e, quindi, assai ampia ed elastica, 
la costituzione, che � effetto tipico del concordato, di un peculiare diritto 
al pagamento, nella struttura sostanziale non diverso dal diritto 
originariamente spettante al creditore, ma tuttavia costitutivamente contrassegnato, 
in senso negativo, dalla riduzione che esso autoritativamente 
subisce in termini di quantit� (falcidia concordataria) e, in senso posi� 
tivo, dal fatto che il suo soddisfacimento si svolge sotto la sorveglianza 
degli organi della procedura (artt. 136 e 185 legge fall.) e con il corredo 
di una sanzione (la risoluzione del concordato: artt. 137 e 186 stessa 
legge) che, per la sua officialit�, si rivela posta a presidio non tanto 
degli originari diritti sostanziali di credito quanto piuttosto di una �situazione 
soggettiva attiva di massa�, creata dal procedimento concorda



198 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tario e dalla sentenza che, chiudendolo, determina la obbligatoriet� dei 
suoi effetti. 

Siccome costituita di tale insieme di situazioni giuridiche (la cui 
definizione dogmatica potrebbe essere non semplice, ma alle quali in 
senso ampio pu� darsi, nei loro profili attivi, il nome di <~diritti�, per 
lo meno nel linguaggio, solitamente non raffinato, del legislatore tributario), 
la sentenza omologativa del concordato appare dunque pienamente 
inquadrabile nella previsione tariffaria sopra considerata ed � 
soggetta, quindi, alla relativa imposta proporzionale. 

� appena il caso di aggiungere che a ci� non � di ostacolo la disposizione 
della lettera f) dell'art. 8, concernente gli atti giudiziali �di 
omologazione �. 

La tesi secondo cui quest'ultima espressione attrarrebbe necessariamente 
nell'orbita della lettera f) la sentenza di omologazione del concordato 
si basa su una suggestione meramente letterale, cio� su una 
semplice coincidenza nominalistica fra il tipo di atti ivi considerati e la 
denominazione (derivante dalla tradizione) della sentenza di cui si tratta: 
coincidenza, ovviamente, non decisiva, una volta dimostrato che tale 
sentenza, lungi dal risolversi in un controllo ab externo su un atto di 
autonomia, come accade per le vere e proprie omologazioni, rappresenta 
invece la conclusione di un procedimento giurisdizionale e realizza 
effetti che trascendono il momento (peraltro anch'esso inserito nel procedimento 
complessivo) della manifestazione di volont� dei creditori attraverso 
il voto. 

Semmai � da precisare che la tesi qui accolta non implica -come 
sembra ritenere l'Amministrazione ricorrente -che la lettera f) si riferisca 
soltanto alle omologazioni di atti a contenuto non patrimoniale, 
ben potendo esistere anche atti a contenuto patrimoniale (per esempio 
la costituzione di una societ� di capitali) per i quali � prevista una vera 
e proporia omologazione giudiziale, che come tale sconta l'imposta 
fissa di cui alla lettera f), in concomitanza, ove del caso, con l'imposta 
proporzionale dovuta sull'atto omologato, laddove, invece, nell'ipotesi della 
sentenza omologativa del concordato, � questa stessa, per tutte le ragioni 
dette, l'oggetto immediato ed esclusivo dell'imposizione proporzionale. 


Le riflessioni fin qui svolte (cui si conviene, in chiusura, l'avvertenza 
che ad esse � rimasta estranea la considerazione del concordato preventivo 
con cessione dei beni, come anche la questione, adombrata a scopo 
argomentativo dalla ricorrente ma estranea al giudizio, della estensione 
dell'imponibile anche ai crediti privilegiati) non sono, infine, neppure 
infirmate dal rilievo difensivo del resistente, secondo cui, in presenza 
dello stato di insolvenza, sarebbe per definizione da escludere una capacit� 
contributiva. � infatti ben noto che manifestazioni di questa possono 
aversi anche nel quadro di procedure concorsuali. (omissis)'. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 199 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1986, n. 937 -Pres. Granata 
-Est. Maltese -P. M. Valente (diff.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Di Pace) c. Soc. Aerfer. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso in grado di impugnazione 
� Motivi specifici -Necessit� -Motivazione � per relationem � Inammissibilit�. 


(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 22, 25 e 26). 
Per l'ammissibilit� dell'impugnazione di una decisione di commissione 
tributaria � necessario che l'atto di impugnazione contenga motivi 
di censura specifici; non soddisfa tale esigenza una motivazione per 

relationem (1). 

(omissis) Con il ricorso incidentale la soc. Aerfer sostiene che erroneamente 
e in violazione degli artt. 22 e 25 d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636 in rel. agli artt. 342 e 366 c.p.c., la Commissione centrale avrebbe 
ritenuto ammissibile l'appello per relationem della Finanza; inoltre secondo 
la soc. ricorrente, la Commissione avrebbe omesso di dichiarare 
inammissibile il ricorso, sebbene questo mancasse, come l'atto d'appello, 
dell'esposizione dei fatti e di una specifica indicazione dei motivi. 
Il ricorso incidentale � fondato e deve essere accolto. 

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, �ai fini dell'ammissibilit� 
della impugnazione avverso la decisione di una commissione tributaria 
.� necessario che l'atto di impugnazione contenga motivi di censura 
specifici� (Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3175). 

Nel caso in argomento, la Commissione centrale ha omesso di dichiarare 
inammissibile il ricorso, che mancava -come l'atto di appello, 
gi� dichiarato inammissibile dalla Commissione di secondo grado della 
specifi�a enunciazione dei motivi, indicati per relationem. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 3 marzo 1986 n. 1322 -Pres. Granata Est. 
-Cantillo -P. M. Pandolfelli (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Palatiello) c. Oreggia. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Oggetto del processo � Accer� 
tamento � Difetto di motivazione � Dichiarazione di nullit�. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, az:tt. 16 e 21, come modificato con d.P.R. 21 novembre 
1981, n. 739). 
(1) Giurisprudenza che si va a consolidare: Cass. 15 luglio 1983 n. 4868 in 
questa Rassegna, 1983, I, 948; 12 giugno 1984, n. 3541, ivi, 1984, I, 801. 

200 

RASSBGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Motivazione � Requisiti � Spet� 
tanza di agevolazioni � Motivazione � per relationem � � Legittimit�. 

Anche se il processo tributario innanzi alle commissioni era. di 
accertamento del rapporto e non di annullamento dell'atto (ma ci� 
deve essere verificato a seguito delle incisive modificazioni introdotte 
con il d.P.R. 21 novembre 1981 n. 739) il giudice deve emanare una 
pronunzia di solo annullamento quando l'atto di accertamento � infi� 
ciato da vizi che incidono sulla sostanza, come l'incompetenza assoluta 
e la mancanza di motivazione, non essendo in tal caso consentita una 
indagine di merito (1). 

L'obbligo di motivazione dell'accertamento normalmente necessario 
per gli atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo 
articolata e complessa, si attenua per gli altri atti di identificazione di 
una determinata disciplina legale, come nell'atto di diniego della agevolazione 
per le case di abitazione in contrasto con la concessione edilizia 
nel qual caso � legittima la motivazione per relationem alla comunicazione 
del comune che contenga l'indicazione delle violazioni urbanistiche 
(2). 

(omissis) La domanda di Mario Oreggia e Maria Bertoldi diretta ad 
ottenere l'esenzione venticinquennale dall'I.L.O.R. sul reddito di un 
loro fabbricato in Loano, con provvedimento del 22 settembre '76 veniva 
respinta dall'Ufficio distrettuale di Albenga per il motivo che l'immobile 
era stato costruito in violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 
della legge 6 agosto 1967, n. 765, essendo difforme dalla licenza edilizia. 

I contribuenti proponevano ricorso con il quale sostenevano che 
la motivazione dell'atto era insufficiente, in quanto non evidenziava il 
tipo e l'entit� dell'asserita violazione, e, in subordine, che il diniego 
del beneficio doveva essere limitato alle parti dell'edificio eventualmente 
realizzate in contrasto con la licenza. 

(1-2) Identiche sono le sentenze in pari data dal n. 1323 al n. 1336, in data 
5 marzo 1986, dal n. 1420 al n. 1436, in data 2 aprile 1986, dal n. 2246 al n. 2250 
e in data 3 aprile 1986 dal n. 2285 al n. 2291. 

Una riconferma quasi testuale della sentenza 23 marzo 1985 n. 2085, in questa 
Rassegna 1985, I, 659 con nota di C. BAFILE, Nuovi orizzonti per il processo 
tributario? Restano valide le osservazioni contenute in quella nota. 

Le sentenze sono peraltro meno dirompenti di quanto pu� apparire ad un 
primo esame. Il processo tributario � s� definito di impugnazione di atti ma non 
di annullamento di atti; la dichiarazione di nullit� dell'accertamento non � tanto 
un annullamento formale, ma una affermazione sostanziale di inesistenza dell'ob� 
bligazione. Non sono quindi messi in discussione i presupposti essenziali sulla 
natura legale dell'obbligazione e l'effetto dichiarativo dell'accertamento, non 
�stante siano presenti alcune affermazioni, peraltro non pertinenti al decisum, 
che possono ingenerare malintesi. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

La Commissione tributaria di primo grado di Savona annullava il 
provvedimento, ritenendo sussistere il vizio di motivazione. 

La pronunzia ven~va confermata dalla Commissione di secondo grado 
e, con la decisione ora denunziata del 19 maggio 1983, dalla Commissione 
tributaria centrale. 

Premesso che l'art. 15 della legge n. 765 del 1967 individua in modo 
specifico le violazioni che, per i fabbricati non conformi alla licenza 
edilizia, comportano la perdita delle agevolazioni fiscali, la Commissione 
centrale ha osservato che il procedimento di accertamento dell'illecito 
da parte del Comune � del tutto distinto da quello che, sulla 
base di una mera segnalazione del Comune, deve essere promosso 
dall'Intendenza di Finanza, la quale, mentre non pu� sindacare la 
regolarit� del primo procedimento, deve tuttavia verificare in concreto, 
eventualmente con l'acquisizione di prove documentali, l'esistenza di 
una delle violazioni previste dalla norma suddetta, conseguentemente 
precisando nel provvedimento la natura e l'entit� dell'illecito cui � 
correlato, in modo da porre il contribuente nella condizione di potersi 
difendere. 

Nella specie, invece, l'atto non contiene alcuna informazione al 
riguardo, essendo motivato con la mera enunciazione di una non precisata 
� viqlazione delle norme edilizie, di cui all'art. 15 cit. �. 

Anche ad escludere, poi, il difetto assoluto di motivazione, certamente 
l'Ufficio avrebbe dovuto, in corso di causa, fornire la prova in 
ordine al tipo e all'entit� delle violazioni contestate dal Comune, in 
modo da permettere il controllo sulla legittimit� del provvedimento 
sanzionatorio fiscale. 

Ma questo onere probatorio non era stato adempiuto dall'Amministrazione 
n� nelle fasi di merito n� in quella sede, sicch� -ha concluso 
la Commissione -la pronunzia impugnata deve essere tenuta 
ferma anche per questa diversa ragione, conseguenzialmente integrando 
e correggendo la motivazione nel senso che l'annullamento del provvedimento 
di diniego scaturisce sia da vizio proprio dell'atto e sia dalla 
mancanza di successiva allegazione probatoria �da parte dell'Ufficio, il 
quale, quindi, deve adottare una nuova determinazione in ordine alla 
spettanza, o meno, delle agevolazioni in oggetto. 

Avverso la decisione l'amministrazione ha proposto ricorso in base 
a due motivi. 
Le controparti non hanno presentato difese. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione, denunziando 
la violazione dei princip� che definiscono l'ambito della giurisdizione 
tributaria, sostiene che la Commissione centrale, una volta ritenuto 

202 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-per altro erroneamente (per le ragioni di cui al secondo mezzo) l'assoluto 
difetto di motivazione del provvedimento di diniego del beneficio 
fiscale, non poteva limitarsi a rilevarne la nullit�, ma, trattandosi 
di un giudizio di accertamento di rapporti e non di mero annullamento, 

avrebbe dovuto prendere direttamente in esame il rapporto d'imposta 
e statuire sulla spettanza, o meno, dell'esenzione. 
La censura � infondata. 

2. -Anzitutto, essa non involge un problema di giurisdizione, come 
si � dedotto, invece, con il ricorso (perci� rimesso alle Sezioni Unite). 
Si configura una questione di giurisdizione, secondo la nozione che 
si ricava dall'art. 41 cod. proc. civ., quando si discute se il potere giurisdizionale 
sulla controversia spetti al giudice ordinario o ad un giudice 
speciale, ad uno o ad altro giudice speciale ovvero non appartenga ad 
alcun giudice, per essere la domanda assolutamente improponibile. 

Nel caso in esame, invece, non si contesta che la controversia rientra 
nella giurisdizione del giudice tributario e neppure che a questo compete 
il potere di revocare o modificare gli atti dell'amministrazione impugnati 
bensl si discute dell'oggetto del processo e della tipologia delle 
decisioni che possono essere rese da detto giudice, il quale, a parere della 
ricorrente, non potrebbe limitarsi a dichiarare l'invalidit� dell'atto impugnato, 
ma dovrebbe in ogni caso, a prescindere dagli eventuali vizi 
del medesimo, statuire sul merito del rapporto (sicch� nella specie, a 
ben guardare, pi� che un eccesso, si denunzia un difetto di esercizio 
del potere giurisdizionale). 

'L� quale problematica �riguarda, manifestamente, le caratteristiche 
proprie della� giurisdizione, non i suoi limiti esterni. 

3. -La tesi della ricorrente muove dall'orientamento, largamente 
prevalente in giurisprudenza e in dottrina prima della riforma del contenzioso, 
che ravvisa l'oggetto del processo tributario nel diretto accertamento, 
con funzione dichiarativa, dell'esistenza e dell'ammontare dell'obbligazione 
ex lege, a prescindere dagli atti attraverso i quali si 
esercita l'azione amministrativa di prelievo e si svolge il rapporto d'imposta 
nelle varie fasi: in questa ottica, infatti, diventa irrilevante, in 
sede giudiziale, il vizio di motivazione dell'atto impositivo, posto che 
l'omissione o l'illogicit� della stessa non pu� mai condurre al rigetto 
di una pretesa dell;amministrazione che sia sostanzialmente fondata. 
Ma l'indirizzo -che pur dopo la legge di riforma (d.P.R. n. 636 
del 1972) ha trovato eco in qualche pronunzia di questa Corte (anche 
a sezioni unite: da ultimo, sent. n. 1471 del 1980; ma v., in diverso senso, 
ord. n. 577 del 1975 e sent. n. 4507 del 1978) -non pu� essere condiviso 
nel sistema del nuovo contenzioso, in cui il processo � strutturato come 
impugnativa di specifici provvedimenti dell'amministrazione e il giudizio 
concerne la legittimit� formale e sostanziale degli stessi, si�ch�, da un 

......................................�.�.'.�.�.�.�.�.'.'.�,'.�.'N.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.��� ���"�"�'�����������"�� ������������� .�..,, ... , ,.,...,,,., ....... ,. ., � . 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

lato, vengono in rilievo i vizi relativi alla regolarit� formale degli atti 

o del procedimento o, pi� in generale, inerenti all'osservanza di norme 
di azione, e, dall'altro il riesame del merito del rapporto d'imposta 
-dunque l'accertamento dell'obbligazione tributaria -avviene in funzione 
dell'atto impugnato, in quanto il giudice deve direttamente accertare, 
nei limiti della contestazione, i presupposti materiali e giuridici 
della pretesa dell'amministrazione assunti a fondamento del provvedimento 
medesimo. 
Questi' lineamenti del processo -che pongono in primo piano, anche 
ai fini della tutela giurisdizionale, l'esercizio del potere impositivo, il 
quale si estrinseca appunto in una serie normativamente predeterminata 
di atti, ciascuno produttivo di effetti e in rapporto di autonomia 
nella complessa dinamica del prelievo -risultano ancora pi� evidenti 
alla stregua delle incisive modificazioni introdotte con il d.P.R. 21 novembre 
1981, n. 739. l! stata, fra l'altro, sancita fa tassatiV'it� dell'elenco 
degli atti contro cui � ammesso il ricorso, venendo cos� il rapporto rigidamente 
scandito nelle fasi del complessivo procedimento� di prelievo 
segnate da detti atti, per modo che l'accertamento del rapporto medesimo 
� circoscritto alla fase corrispondente alla sequenza procedimentale 
che mette capo al provvedimento impugnato, rimanendo preclusa 
qualsiasi contestazione riflettente la fase precedente, conclusa ton 
un atto compreso fra quelli impugnabili, ma non impugnato o altrimenti 
diventato definitivo; ed � stato altres� espressamente recepito il 
principio che i vizi formali -tra i quali il difetto di motivazione possono 
condurre all'annullamento dell'atto (art. 21, nel nuovo testo), 
sicch� ogni dubbio al riguardo deve ritenersi superato. 

D'altra parte, come questa Corte ha gi� avuto modo di avvertire 
(con la sentenza della prima Sezione n. 2085 del 1985, resa in una controversia 
in tutto uguale), anche prescindendo dal nuovo dato normativo 
occorre ammettere che la pronunzia del giudice deve necessariamente 
arrestarsi all'annullamento dell'atto impugnato se i vizi formali 
che loinficiano incidono sulla sostanza del rapporto, precludendo l'indagine 
sul merito dell'obbligazione tributaria, come nei casi di incompetenza 
assoluta dell'organo o di mancanza di motivazione. 

In particolare, con riferimento a quest'ultima ipotesi, che qui interessa, 
la tutela giurisdizionale non pu� che consistere nell'invalidazione 
del provvedimento quando la carenza di motivazione sia tale da non 
consentire l'identificazione degli elementi materiali e giuridici cui � correlata 
la pretesa tributaria e, di conseguenza, il contr�llo degli stessi 
da parte del contribuente e il loro accertamento ad opera del giudice 
tributario; il quale ai fini del riesame di merito dispone di un ampio 
potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di 
accertamento di rapporti innanzi al giudice ordinario), ma non pu�, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

204 

ovviamente, sostituirsi all'amministrazione nella ricerca dei presupposti 
del rapporto d'imposta. 

Appunto in questi sensi la fattispecie � disciplinata dall'art. 21 cit. 
(nel nuovo testo), il quale, mentre dispone in via generale che il giudice, 
nel caso rilevi � un vizio di incompetenza o che comunque non 
attiene all'esistenza o all'ammontare del credito tributario�, deve sospendere 
il giudizio ed assegnare un termine all'amministrazione per 
rinnovare l'atto viziato, esclude che possa � provvedersi a rinnovazione 
... quando il vizio consista nel difetto di motivazione�; la quale 
disposizione comporta che l'esistenza del vizio d� luogo necessariamente 
all'annullamento dell'atto, senza alcuna possibilit� di un accertamento 
giurisdizionale di merito (ci� che conferma la natura non sostitutiva 
del giudizio speciale tributario). 

Pertanto, sul piano della tipologia delle decisioni, va conclusivamente 
affermato che il giudice tributario ha il potere di emettere pronunzie 
limitate all'invalidazione dell'atto impositivo carente di motivazione, 
potere che aveva gi� prima della novella del 1981; e ci� � sufficiente 
a respingere la censura in esame, risultando la questione circoscritta 
all'oggetto del secondo mezzo, che impone di controllare la decisione 
.di annullamento sotto il profilo della logicit� e correttezza delle ragioni 
in base alle quali il provvedimento � stato ritenuto non congruamente 
motivato. 

Giova avvertire, poi, che nella presente controversia, insorta in epoca 
precedente all'entrata in vigore del cit. d.P.R. n. 739 del 1981, non viene 
in rilievo il delicato problema -che avrebbe carattere pregiudiziale circa 
l'ammissibilit� dell'impugnazione dei provvedimenti (come quello 
in esame) relativi alla spettanza di agevolazioni fiscali, in quanto non 
compresi nell'elenco degli atti contro i quali, ai sensi dell'art. 16 del 

d.P.R. n. 636 del 1972, � possibile proporre ricorso. Invero, l'elenco 
medesimo, modificato con l'aggiunta di altri provvedimenti tipici, � 
stato reso tassativo, come si � detto, soltanto con la novella (il nuovo 
testo dell'art. 16 espressamente stabilisce che non possono essere autonomamente 
impugnati gli atti diversi da quelli ivi indicati), mentre in 
passato, in assenza di un analogo disposto, l'indicazione degli atti 
doveva ritenersi esemplificativa; la possibilit� di ricorrere direttamente 
contro i provvedimenti in materia di agevolazioni veniva, quindi, generalmente 
riconosciuta (e nella specie non � stata contestata dall'amministrazione). 
4. -Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 15 
della legge n. 765 del 1967 e vizi della motivazione, la ricorrente sostiene 
che erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto sussistere il vizio 
suddetto, laddove il provvedimento di diniego delle agevolazioni in 
questione, meramente conseguenziale alla segnalazione del Comune ri

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

guardante una delle violazioni edilizie cui la norma ricollega la sanzione 
fiscale, deve ritenersi sufficientemente motivato attraverso il riferimento 
alla segnalazione medesima ed alla disposizione di legge. 

La censura � fondata. 

Altre volte questa Corte ha avvertito che l'obbligo di ,motivare gli 
atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e funzione 
che essi hanno in base alle norme loro proprie, giacch�, accanto ad 
atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata 
e complessa, e assumono, quindi, una veste formale e un contenuto 
precisamente regolato dalla legge (ad es., l'avviso di accertamento, nelle 
imposte dirette come in quelle indirette), ve ne sono altri in cui la 
funzione viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, 
risolvendosi talvolta nella mera imposizione di una determinata disci� 
plina. � in relazione al contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, 
quindi, che deve essere verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, 
nel senso che questo deve ritenersi adempiuto allorch� la motivazione, 
ancorch� sommaria e semplificata, sia tale da esternare le ragioni del 
provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi e logico-deduttivi, 
e consentendo di conseguenza al destinatario di svolgere efficacemente 
la propria difesa attraverso la tempestiva e motivata impugnazione 
giurisdizionale dell'atto medesimo. 

Ora, per le opere realizzate in contrasto con la concessione edilizia, 
l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, prevede -quale ulteriore sanzione 
dell'illecito edilizio -l'esclusione de iure delle vigenti agevola� 
zioni fiscali nel caso che le difformit� riguardino violazioni di altezza, � 
distacchi, cubatura o superficie coperta, le quali eccedano, per ogni singola 
unit� immobiliare, il due per cento delle misure prescritte; e all'uopo 
il Comune � obbligato a segnalare entro un certo termine sif� 
fatte violazioni all'Amministrazione finanziaria, la quale, non essendo 
normativamente previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione 
attraverso un provvedimento o di diniego del beneficio non ancora concesso 
o di revoca (o decadenza) di quello gi� concesso. 

Si tratta, quindi, di un atto rigidamente vincolato, rispetto al quale 
l'Amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento discrezionale, 
in quanto � obbligata ad emetterlo in base ai risultati dell'accertamento 
compiuto dall'autorit� locale cui spetta la vigilanza in materia edilizia; 
e di tale accertamento l'autore dell'illecito riceve formale notizia gi� 
attraverso la notifica della diffida del Sindaco, che costituisce il primo 
atto del procedimento repressivo dell'abuso edilizio. 

Il provvedimento in oggetto deve ritenersi, quindi, sufficientemente 

motivato. attraverso l'indicazione dell'accertamento amministrativo che 

ha dato luogo alla comunicazione comunale e della norma di legge 

che prevede la perdita automatica del beneficio fiscale, giacch� in tal 

modo risultano enunciati in modo intellegibile al destinatario i presup



206 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO� STATO 

posti di fatto e di diritto dell'atto, cio� sia l'esistenza della violazione 
e sia l'appartenenza della stessa al novero di quelle che, ai sensi dell'art. 
15 cit., comportano la sanzione fiscale; n� ha rilievo che si tratta 
di una motivazione per relationem, la quale � sicuramente ammissibile 
sempre che l'atto al quale si fa rinvio sia idoneo a mettere il contribuente 
nella condizione di conoscere esattamente le ragioni che sorreggono 
il provvedimento (in relazione ad una fattispecie uguale a quella 
in esame � stato appunto affermato che sussiste difetto di motivazione 
quando neppure dalle ordinanze comunali risulti contestata specificamente 
una delle violazioni d cui all'art. 15 cit., v. sent. n. 6470 del 1983). 

Nel caso in esame, il provvedimento di diniego dell'esenzione venticinquennale 
conteneva, come risulta dalla decisione impugnata, entrambe 
le indicazioni suddette; e risulta del tutto immotivata l'affermazione 
che il riferimento alla violazione contestata dal Comune non 
fosse idonea ad individuare le ragioni della samione, laddove il contribuente 
si era difeso anche nel merito, contestando l'entit� della violazione 
e sostenendo, fra l'altro, che il riferimento della norma alla 
� singola unit� immobiliare �, introduceva un limite alla fattispecie sanzionatoria, 
che la rendeva in concreto inapplicabile. 

Pertanto la decisione impugnat~ deve essere cassata con rinvio alla 
stessa Commissione Tributaria Centrale, la quale proceder� a nuovo esame 
della controversia alla stregua dei principi di diritto e dei rilievi sopra 
svolti, tenendo altres� presente che l'accertamento della spettanza del 
diritto alle agevolazioni fiscali d� luogo ad una questione di fatto non 
inerente a valutazione estimativa e perci� rientra nella cognizione della 
Commissione medesima. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 marzo 1986, n. 1506 -Pres. La Torre Est. 
Maltese -P. M. Martinelli (conf.). -Cantoni c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Cosentino). 

Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Irregolare consegna 
del1'atto � Nullit� -Proposizione de1 ricorso -Sanatoria. 

(D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60). 
La nullit� della notificazio,ne per essere stata effettuata la consegna 
in luogo diverso da quello prescritto ma pur avente attinenza con il 
destinatario � sanata ex tunc dalla proposizione del ricorso (1). 

(1) La decisione � importante perch� estende il princ1p10 costantemente 
affermato nell'ambito del processo (irregolare notifica dell'atto introduttivo 
sanata dalla costituzione dell'intimato) alla notifica dell'accertamento sanata 
dalla proposizione del ricorso. 
Nello stesso senso Cass. 24 maggio 1984 n. 3191, in questa Rassegna, 1984, 
I, 780. 


PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) Col primo mezzo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 
35, lett. F, d.P.R. n. 645 del 29 gennaio 1958 e 60, lett. E, decr. n. 600 
del 1973; 139, 140, 148 del codice di procedura civile. 

Sostiene che, non essendo stata eseguita la notificazione dell'avviso 
di accertamento secondo il rito prescritto dalle citate disposizioni, si� 
dovrebbe parlare non di nullit� sanabile e sanata bens� di radicale inesistenza 
dell'atto impositivo. 

Il motivo � infondato. 

Secondo il disposto dell'art. 60, decr. n. 600 del 1973 �la notificazione 
degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al 
contribuente � eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 ss. c.p.c. 
con le seguenti modifiche: 

(.....) 

e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non 
vi � abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l'avviso del deposito 
prescritto dall'art. 140 del codice di procedura civile si affigge nell'albo 
del Comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per 
ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello dell'affissione 
�. 

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che � la nullit� della 
notificazione dell'atto introduttivo di un procedimento, per essere stata 
effettuata in luogo diverso da quello prescritto, ma pur sempre avente 
attinenza con il destinatario, ha carattere relativo e, come tale, rimane 
sanata � ex tunc � per effetto della costituzione della parte cui era diretta, 
ai sensi dell'art. 156, comma 3 c.p.c. � (Cass., 4 agosto 1977, n. 3481). E 
ancora: �Ai sensi dell'art. 156, terzo comma cod. proc. civ., il quale trova 
applicazione anche nei procedimenti dinanzi alle commissioni tributarie, 
l'invalidit� della notificazione dell'atto introduttivo (nella specie, ricorso 
dell'ufficio alla Commissione tributaria centrale), per inosservanza delle 
disposizioni relative alla persona e al luogo dove deve essere consegnata 
la copia dell'atto stesso, integra, ove tale consegna sia comunque avvenuta 
a persona e in luogo aventi qualche riferimento con il destinatario 
una nullit� sanabile � ex tunc � per effetto della costituzione del destina-� 
tario medesimo� (Cass. 26 settembre 1978, n. 4318). 

Nel caso in esame -come esattamente rileva l'Avvocatura dello 
Stato -la notificazione dell'avviso al contribuente � av'venuta alla madre 
di lui, nella casa di residenza della stessa e di ultima residenza in Italia 
del Cantoni. 

Trattasi, quindi, di notificazione effettuata a persona e. in luogo 
aventi qualche riferimento con il destinatario dell'atto. 

Ne consegue che si deve parlare non di atto impositivo inesistente 
ma di una notificazione nulla, sanata dal tempestivo ricorso. (dep. il 14 febbraio 
1978) che il contribuente ha proposto contro l'avviso di accertamento. 
(omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1985, n. 5712 -Pres. Scanzano 
-Rel. Caturani -P. M. Minetti (concl. conf.). -Fini (avv. Del 
Frate) c. A.N.A.S. (avv. Stato Onufrio). 

Arbitrato -Impugnazione per nullit� -Inosservanza di regole di diritto Equivale 
a violazione. e falsa applicazione di norme di diritto. 
(Cod. proc. civ., artt. 360, n. 3, e 829). 

Obbligazioni (in generale) -Contratti della p.a. -Invalidit� -Illegittimit� 
d'uno deg'li atti della serie procedimenta1e � Insufficienza � Detenninazione 
d'una causa di invalidit� prevista dal codice civile -Necessit�. 


Atto amministrativo � Atto collegiale � Partecipazione di componente in 
confitto di interessi -Illegittimit�. 
(Cod. proc. civ., art. 51; cod. civ., art. 2373). 

Obbligazioni (in generale) -Contratti della p.a. -Illegittimit� di atto deUa 
serie procedimentale � Effetti -Difetto di presupposti -Annullabilit� 
del contratto a richiesta della p.a. 
(Cod. civ., artt. 322, 377, 396, 424, 1425, 1427 ss., 1414). 

Il vizio di nullit� del lodo arbitrale sotto il profilo dell'inosservanza 
da parte d,egli arbitri delle regole di diritto ha la stessa estensione 
del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui 
all'art. 360 n. 3 c.p.c. (1). 

Quando si controverte della validit� di un contratto, anche se parte 
ne sia l'autorit� amministrativa, le cause di invalidit� vanno individuate 
in base al codice civile. Ne deriva che, in presenza della illegittimit� di un 
atto della serie procedimentale che precede il contratto, l'invalidit� di 
questo non pu� essere affermata come conseguenza della disapplicazione 
dell'atto amministrativo, ma solo in quanto l'illegittimit� dell'atto amministrativo 
dia luogo ad una situazione riconducibile allo schema d'una 
delle cause di invalidit� prevedute dal codice civile (2). 

(1) Nello stesso senso, Cass. 19 gennaio 1979 n. 394, in questa Rassegna 1979, 
I, 573. 
(24) La giurisprudenza amministrativa ritiene che il componente di organo 
collegiale versi in situazione di incompatibilit�, quando la determinazione da 
adottare interessi soggetti legati con lui da vincoli di parentela entro il quarto 
grado. L'incompatibilit� � affermata talora in base alle norme in tema di astensione 
dettate per gli organi giurisdizionali, talaltra in base a norme contenute 
! 

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I 

I 

. Ii 


PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICJ 209 

La deliberazione di un organo amministrativo, cui abbia partecipato 
un componente che avrebbe dovuto astenersi, � illegittima perch� la situazione 
di incompatibilit� in cui versa il componente determina la 
carenza di legittimazione all'esercizio della funzione e d� luogo ad irregolare 
costituzione dell'organo (3). 

L'illegittimit� di un atto della serie procedimentale, che precede il 
contratto stipulato dalla p.a. (nella specie, di un parere espresso dal 
consiglio di amministrazione dell'Anas), d� luogo ad un difetto di presupposti 
del contratto che si traduce in difetto di legittimazione a contrarre; 
ne � conseguenza l'annullabilit� del contratto, che pu� essere 
fatta valere dalla p.a., nel cui interesse sono poste le norme che ne disciplinano 
il procedimento (4). 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

(omissis) Con il primo motivo, denunziando violazione degli artt. 827, 
828 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente si duole che la 
Corte di appello, riesaminando il giudizio espresso dagli arbitri sulla 
volont� negoziale delle parti in sede di� stipula del contratto di conferimento 
dell'inci:trico per la compilazione del progetto de quo, avrebbe 
travalicato i limiti del processo di impugnazione del lodo per nullit�, 
limitato a casi ben determinati. 

La censura non � fondata. 

La Corte d'appello ha esaminato il dedotto VIZIO di nullit� del lodo 
arbitrale sotto il profilo della inosservanza da parte degli arbitri delle 
regole di diritto (art. 829 ultimo comma c.p.c.). 

Ora � noto che tale inosservanza va intesa nello stesso senso della 
violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all'art. 360 

n. 3 c.p.c. (cfr. la sent. n. 5190 del 1977). E non � dubbio che i motivi di 
impugnazione fatti valere dall'ANAS innanzi alla Corte d'Appello riflettevano 
non gi� valutazioni di mero fatto, come sostenuto dal ricorrente in 
questa sede, ma questioni di diritto relative alla incidenza sul contratto 
in leggi amministrative (ad es., art. 279 t.u. legge com. e prov. del 1934) o ad 
un principio generale dell'ordinamento operante pur in assenza di specifiche 
disposizioni: cfr. C.G.A.R.S., 28 ottobre 1966 n. 502, Cons. Stato 1966, I, 1879; Cons. 
St., V, 15 ottobre 1968 n. 1218, ivi, 1968, I, 1718; Cons. St., IV, 27 ottobre 1970 

n. 746, ibidem, 1970, I, 1620; Cons. St., IV, 16 marzo 1971 n. 283, Cons. Stato 1971, 
I, 406; Cons. St., VI, 28 settembre 1977 n. 764, ivi, 1977, I, 1341 (s.m.). 
L'incompatibilit� .� ritenuta sussistere quando l'interesse al contenuto della 
delibera sia diretto. Per esemplificazioni su tale nozione, cfr., Cons. St., IV, 
27 luglio 1967 n. 362, Cons. Stato 1967, I, 1197; Cons. St., V, 15 ottobre 1968 

n. 1218, cit.; Cons. St., V, 19 dicembre 1980 n. 989, Cons. Stato 1980, I, 1692 (ad 
avviso del quale l'interesse � diretto, � quando la deliberazione concerne vicende 
riguardanti i soggetti nei cui confronti sussiste il predetto vincolo, e non anche 
i casi concernenti persone che si trovino in posizione concorrente e dialettica 
rispetto a colui nei cui confronti sussiste il vincolo o, comunque, un personale 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA -DELLO STATO 

della illegittimit� del parere del consiglio di amministrazione dell'ANAS 
che ne precedette la stipulazione. 

Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo, denunziando violazione 
e falsa applicazione degli artt. 1337, 1439 e 1440 e.e. nonch� difetto di 
motivazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), si assume che: a) la Corte d'appello 
non poteva censurare in sede di legittimit� l'affidamento che il comportamento 
dell'ANAS aveva ingenerato nella parte privata; b) la Corte 
avrebbe oscillato tra la nullit� e l'annullamento del contratto e trascurato 
di considerare che non sussistevano i presupposti per pronunciare l'annullamento 
per dolo; e) la partecipazione del soggetto che avrebbe dovuto 
astenersi dalla delibera che espresse parere favorevole alla conclusione 
del contratto in tanto avrebbe potuto incidere sulla sua validit� in quanto 
si fosse provato che senza l'intervento di quel soggetto, il consiglio di ' 
amministrazione dell'ANAS si sarebbe diversamente orientato. 

Le riassunte censure sono infondate nei termini che sono precisati 
dalle seguenti considerazioni. Costituisce un punto fermo del presente 
giudizio che il parere favorevole alla stipula del contratto in questione 
fu deliberato dal Consiglio di amministrazione dell'ANAS con la partecipazione 
di un componente, l'ing. Chiatante, che avrebbe dovuto astenersi 
per interesse personale al conferimento dell'incarico al ricorrente, 
socio di studio del proprio figlio, tanto che entrambi furono condannati 
per il reato di interesse privato in atti di ufficio, in un giudizio definito 
con sentenza che dichiarava estinto il reato per prescrizione. 

� altresl necessario premettere alla esposizione che segue la disciplina 
normativa che regol� la conclusione del contratto di cui si contende 
tra le parti. 

Nell� specie il parere del consiglio di amministrazione dell'ANAS � 

stato espresso ai sensi d~ll'ultimo comma dell'art. 14 della l. 7 febbraio 

1961 n. 59. La norma, dopo di avere, :nei commi precedenti, previsti i 

casi in cui deve essere richiesto il parere in questione (tra i quali non 

rientra il caso in esame), statuisce che il consiglio di amministrazione... 

interesse�); Cons. St., I, par. 23 ottobre 1981 n. 384/79, Cons. Stato 1984, I, 207; 

Cons. St.,.VI, 6 giugno 1984 n. 365, ivi, 1984, I, 877. 

La partecipazione all'adunanza, del soggetto in posizione di incompatibilit�, 

rende irregolare la composizione dell'organo e viziato da illegittimit� l'atto da 

esso adottato: Cons. St., Ag., par. 7 dicembre 1961 n. 413, Cons. Stato 1962, I, 

1706; Cons. St., IV, 27 ottobre 1970 n. 746, cit. ed in genere la giurisprudenza 

prima richiamata. 

In dottrina, sull'argomento, cfr. VALENTINI, La collegialit� nella teoria del


l'organizzazione, Milano, Giuffr�, 1968, pag. 283 ss. 

Nel senso che le irregolarit� relative �l procedimento di formazione di 

un contratto stipulato dalla P.A. diano luogo ad annullabilit� e che il motivo 

di annullamento possa essere dedotto solo dalla stessa P. A., nel cui interesse 

le forme omesse sono prescritte, cfr. Cass. 7 marzo 1984 n. 1578, Giust. civ. Mars. 

1984, 504; Cass. 24 maggio 1979 n. 2996, ivi, 1979, 1291; Cass. 10 aprile 1978 n. 1668, ,.i 

Giust. civ. 1978, I, 1248. 

! 

I: 
\'. 


PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

esprime il parere su ogni altro argomento sul quale il ministro ritenga 
opportuno sentirlo. 

La fattispecie in esame presuppone quindi che l'iniziativa circa la 
audizione dell'organo consultivo nell'ambito della stessa organizzazione 
amministrativa facente capo all'ANAS, sia stata assunta dall'organo deputato 
alla stipula del contratto di conferimento dell'incarico per la redazfone 
dei progetti che interessano il presente giudzio. 

Questo rilievo, tuttavia, non incide sulla rilevanza che la (dedotta) 
illegittimit� del parere pu� avere prodotto sulla validit� del contratto, 
perch� se la legge prevede che la iniziativa circa la richiesta del parere 
all'organo consultivo da parte dell'amministrazione attiva sia assunta da 
quest'ultima, ove lo ritenga opportuno ai fini della regolarit� del procedimento, 
una volta che questo giudizio di convenienza sia stato espresso 
dalla suddetta amministrazione, il parere si inserisce nel procedimento 
amministrativo come un requisito essenziale la cui illegittimit� non pu� 
non riflettersi sugli altri atti della serie procedimentale ed in definitiva 
(come si vedr�) stilla stessa validit� del contratto. 

Esula inoltre dai limiti del presente giudizio la problematica � introdotta 
dal ricorrente circa la responsabilit� della p.a. per culpa in contrahendo 
(art. 1337 e.e.), la quale non solo non si � fatta valere in sede di 
giudizio di impugnazione del lodo, ma � incompatibile con la fattispecie 
in esame in cui il procedimento formativo del contratto di cui si discute 
la validit�, non si � interrotto nella fase delle trattative, ma � pervenuto 
alla fase della stipulazione. 

Ci� premesso, le questioni che nell'ordine logico il Collegio deve 
affrontare, nei limiti delle censure proposte, sono le seguenti: a) se ed in 
che modo la violazione dell'obbligo di astensione di uno dei componenti 
dell'organo consultivo incida sulla legittimit� del parere; b) ove si 
ritenga che il parere sia illegittimo per la ragione sub a), come operi 
tale vizio, verificatosi nell'ambito del procedimento la stipula del contratto, 
nella validit� di quest'ultimo. 

Impostato in questi termini il tlzema decidendum, il problema sub a) 
presuppone che sia risolto positivamente il quesito pregiudiziale consistente 
nel decidere, posta la (indiscussa) giurisdizione del giudice ordinario 
nel presente giudizio in cui si tratta di giudicare della validit� di 
un contratto della p.a., da cui non possono non derivare per le parti 
contraenti che, diritti soggettivi -quale sia il fondamento giuridico dei 
poteri di cognizione dell'A.G.O. nella soggetta materia. 

La Corte d'appello, seguendo su questo punto le orme del lodo arbi


trale, ha ragionato in termini di disapplicazione dell'atto amministrativo 

illegittimo (art. 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo), 

sia pur pervenendo ad un risultato diametralmente opposto a quello 

espresso dal Collegio arbitrale. Infatti, come � pacifico in causa, mentre 

il lodo ha ritenuto di non poter esaminare la legittimit� del parere, non 


I 

212 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO suro 

I 

ravvisando nella fattispecie gli estremi per la disapplicazione dell'atto 

I 

amministrativo, la Corte di Appello ha invece ritenuto che ne sussistes~~ 


!i

sero i presupposti ed ha perci� proceduto all'esame circa la illegittimit� 

fi 

del parere e la sua incidenza sul contratto. ~: 

Ritiene il Collegio che, pur essendo esatta la tesi che esclude in 
materia l'istituto della disapplicazione dell'atto amministrativo, in quanto 
non � in questione un diritto che si pretende leso da un atto amministrativo, 
ma il diritto di credito azionato dal ricorrente trova la sua 

II

fonte in un contratto, mentre le eccezioni dell'ANAS tendono ad ottenere 
una pronuncia di invalidit� del suddetto contratto, non � vera la conseguenza 
che in tal modo dovrebbe escludersi la incidenza della (eventuale) 
illegittimit� del parere sul contratto. 

I 

~ 

Non � dubbio che� quando si discorre della validit� o meno di un 

I ~ 

contratto anche se parte ne sia l'autorit� amministrativa, le cause di 
invalidit� sono di diritto privato e devono pertanto trarsi dal codice 
civile. ~ 

I 
,,. 

Non � dubbio altres� che il vizio, per incidere sul contratto, deve 
essere proprio di esso onde non sarebbe ammissibile in materia la applicazione 
del principio tipico del procedimento amministrativo, secondo il % 
quale la illegittimit� di uno degli atti dell'iter procedimentale determina 
!: 
ji 
di per s� la invalidit� derivata dall'atto conclusivo della serie. Il prini~ 


i:
cipio che riguarda la validit� dei provvedimenti amministrativi non pu� 
essere esteso fino a comprendere il rapporto logico-giuridico che pur 
sussiste tra gli atti che precedono per legge la stipulazione del contratto 
dell'autorit� amministrativa e quest'ultimo. 

I

In tal caso � in questione la validit� di un atto di autonomia 

r: 
privata cui hanno partecipato con pari determinazione causale -in 
ordine agli effetti giuridici -entrambe le parti contraenti (art. 1326 e.e.). 
Tuttavia se � impossibile far derivare automaticamente dal vizio di un 
atto del procedimento la invalidit� del contratto, � possibile che un 

! 

tale vizio vada inquadrato nell'ambito delle cause che incidono diretta


mente sul contratto secondo i princ�pi privatistici, cui si presuppone che_ 

il contratto anche in tale ipotesi sia pur sempre soggetto, salve le 

I 

norme speciali che siano previste dalla legge. 
Concludendo su questo punto, pu� quindi affermarsi che nella ipo


I 

tesi in esame l'istituto della disapplicazione esula dal presente giudizio 
anche perch� trattandosi di giudicare della validit� di un contratto, il 

I 1

giudice ove riscontri la illegittimit� di un atto della serie procedimentale f 

!f 

che ne precede la stipulazione, non pu� limitarsi a rifiutarne l'applicazione, 
secondo la logica della disapplicazione, ma deve spingere il 
proprio esame per decidere nei singoli casi che influenza abbia avuto 
sulla conclusione dell'atto di autonomia privata la illegittimit� di uno 

I 

degli atti presupposti con efficacia di giudicato. ' 

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PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 213 

Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha esaminato la legittimit� 
del parere de quo, ed � pervenuta alla conclusione della sua 
intrinseca illegittimit�. 

~ noto che ai collegi amministrativi si applicano quali norme di 
carattere generale, gli istituti dell'astensione e della ricusazione previsti 
dal codice di rito (sent. n. 127 del 1979). 

Se il soggetto componente dell'organo collegiale versi nelle condizioni 
di incompatibilit� prevista dall'art. 51 c.p.c., si produce ex lege 
una sua carenza di legittimazione all'esercizio dei suoi compiti, la quale 
si riflette sull'attivit� del collegio determinando la invalidit� della deliberazione. 


Se il componente il collegio non pu� svolgere il proprio ufficio in 
condizioni di imparzialit�, deve astenersi ed ove ci� non avvenga vuol 
dire che l'organo ha deliberato tenendo presenti interessi diversi da 
quelli di cui per legge devono �ssere portatori i suoi componenti e l'adunanza 
non pu� dirsi per ci� regolarmente costituita (cfr. per la giurisprudenza 
amministrativa, cons. Stato Sez. VI, n. 761 del 1977; Id. n. 17 
del 1976). 

Non pu� quindi seguirsi la tesi del ricorrente che riecheggiando 
la disciplina privatistica, vorrebbe estendere alla materia in. esame la 
disciplina delle delibere delle societ� per azioni per le quali, in caso 
di conflitto di interessi del socio con quelli della societ�, il diritto cli 
voto non pu� essere esercitato a pena di annullabilit� della delibera, 
se senza il voto del socio che avrebbe dovuto astenersi dalla votazione 
non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza e sempre che la 
deliberazione possa recare danno alla societ� (art. 2373 e.e.). I princ�pi 
di diritto privato che rispondono a diverse esigenze e dove � in gioco la 
tutela dell'interesse della societ� e non l'interesse pubblico, non sono 
in �parte qua estensibili al diritto amministrativo dove la violazione di 
legge determina in ogni caso la illegittimit� dell'atto a prescindere dalla 
incidenza che essa abbia potuto in concreto esplicare sul suo contenuto, 
in quanto il pregiudizio � per legge in re ipsa. 

Ritenuta .la illegittimit� del parere del consiglio di amministrazione 
dell'ANAS, deve applicarsi la regola gi� accolta da una costante giurisprudenza 
di questa Corte (cfr. le sentenze nn. 1578/84; 2996/79; 937/79; 
1668/78), secondo cui in tema di vizi concernenti l'attivit� negoziale 
degli enti pubblici -sia che si riferiscano al processo di formazione 
della volont� dell'ente sia che si riferiscano alla fase preparatoria ad essa 
precedente -il negozio comunque stipulato � annullabile ad iniziativa 
esclusiva dell'ente pubblico, tranne che non ricorra una ipotesi di straripamento 
di potere nel qual caso il negozio � radicalmente nullo. 

Il principio che si trae dalla accennata giurisprudenza � dunque che 
il contratto della P.A. posto in essere in mancanza (cui deve parificarsi 
la invalidit�) degli atti della serie procedimentale che ne costituiscono 

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214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

antecedenti in senso logico-giuridico � annullabile e non gi� colpito da 
nullit� assoluta. 

La invalidit� che colpisce il contratto � di diritto privato e riguarda 
il negozio come atto di autonomia privata, il che spiega come il potere 
di chiederne al giudice ~'annullamento sia concesso soltanto all'autorit� 
amministrativa, nel cui interesse sono poste le norme giuridiche che ne 
disciplinano il relativo procedimento (art. 1441 e.e.). 

L'interesse pubblico -d'altra parte -essendo negli atti di diritto 
privato della P.A. estraneo alla loro causa negozial�, risulta privo di 
qualsiasi rilevanza come criterio determinante della loro disciplina che 
resta -per quanto concerne il trattamento della invalidit� -soggetta, 
per regola, al diritto privato (cfr. nella motivazione la sentenza n. 4820/84 
ed i precedenti ivi richiamati). 

L'indagine deve quindi concentrarsi nello stabilire in che modo il 
vizio dell'atto presupposto possa incidere sulla validit� del contratto 
della P.A., secondo la disciplina privatistica. 

Il codice civile prevede che il contratto � annullabile per incapacit� 
di contrattare o per incapacit� di intendere o di volere di una delle 
parti (art. 1425), per vizio del consenso (errore, violenza, dolo: art. 1427 
e segg.) e per difetto dei presupposti del contratto, come la mancanza 
delle prescritte autorizzazioni per i contratti dei minori e degli incapaci 
(artt. 322, 377, 396, 424). 

Escluso, per principio, che la erronea o insufficiente valutazione 
dell'interesse pubblico da parte della P.A. contraente, per difetto del prescritto 
parere, possa penetrare nella struttura del contratto viziandolo 
nei suoi elementi essenziali, � esclusa altres� la riconducibilit� del vizio 
del procedimento amministrativo nell'ambito dei vizi della volont� contrattuale 
dell'autorit�. amministrativa. 

Anche l'altra alternativa della incapacit� di agire o dell'incapacit� 
di intendere o di volere � estranea alla invalidit� in questione, non incidendo 
il vizio del parere sulla capacit� di agire dell'organo n� sulla 
capacit� di intendere e di volere del titolare dell'organo. 

Non resta quindi che ricondurre la invalidit� del contratto della p.a. 
per vizio del parere nell'ambito dei vizi che attengono ai presupposti 
del contratto, i quali incidono, come antecedenti necessari della stipulazione, 
sulla sua validit� per difetto di legittimazione dell'organo di 
amministrazion~ attiva. Questi, infatti, per una tipica valutazione dell'ordinamento 
giuridico, non versa nelle condizioni oggettive previste dalla 
legge per procedere ad una valida stipula del contratto. 

Alla stregua delle considerazioni che precedono deve concludersi che 
la sentenza impugnata si sottrae alle proposte censure, pur se va corretta 
nella qualificazione giuridica dell'accertato vizio negoziale. 

Anche se impropriamente la Corte d'appello ha discorso di annullamento 
del contratto per vizio del consenso, da tutto il contesto della 



PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

motivazione risulta che i giudici del merito hanno perfettamente percepito 
il problema di diritto loro sottoposto con la impugnazione del 
loro, allorch� hanno rilevato il nesso oggettivo che sussiste tra i vizi 
del procedime.to amministrativo che precede la stipula dei contratti 
della p.a. e questi ultimi, nel senso che il vizio di un atto (come il parere) 
che costituisce un antecedente logico-giuridico della stipulazione 
vizia il contratto determinandone la invalidit�. 

~ quindi richiamata a sproposito dal ricorrente la disciplina dei i\T�Z� 
della volont� contrattuale con particolare riferimento al dolo (art. 1439 
e.e.) ed ai requisiti che si richiedono in tal caso per pervenire all'annullamento 
del contratto. La sentenza impugnata ha fatto riferimento al 
dolo soltanto per porre in rilievo la volontaria partecipazione del componente 
dell'organo consultivo alla deliberazione del parere del consiglio 
di amministrazione dell'ANAS nonch� la deliberata violazione del 
dovere di astensione da parte sua, in un senso pertanto del tutto diverso 
da quello che � presupposto dal dolo come vizio della volont� nella 
formazione del contratto. 

Altrettanto deve ritenersi non pertinente in questa sede la (dedotta) 
accettazione della prestazione contrattuale da parte dell'ANAS, la quale 
non pu� essere opposta dalla parte privata neppure sotto il profilo di 
una pretesa convalida del contratto annullabile, non fatta valere in sede 
di giudizio di impugnazione del lodo e della quale in quella sede non 
si � provata comunque la ricorrenza dei requisiti (cfr. la sentenza numero 
3553/79). 

Altro � ovviamente esperire l'amone generale di arricchimento senza 
causa (art. 2041 e.e.), ove ne ricorrano i presupposti da accertarsi nella 
sede competente. 

In definitiva, il ricorso, in tutti i motivi in cui si articola, deve 
essere respinto. 
Le spese del giudizio seguono, come per legge il criterio della socc�imbenza 
(art. 385 c.p.c.). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 dicembre 1985, n. 6492 -Pres. Scanzano 
-Rel. Di Salvo -P. M. Di Renzo (conci. diff.). Viro (avv. Della 
Pietra) c. Comune di San Giorgio a Cremano (avv. Giordano e Tatriele). 


Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione � Illecita protrazione � 
Domanda giudiziale di risarcimento dei danni � Prima della ripresa 
dei lavori � Ammissibilit� � Onere di riserva nel verbale di ripresa � 
Insussistenza. 

(D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30). 
E ammissibile la domanda giudiziale con cui l'appaltatore chieda il 
risarcimento dei danni sostenendo che l'Amministrazione appaltante si 


216 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBU.O STATO 
� resa inadempiente in quanto protrae la sospensione dei lavori oltre 
il tempo per cui poteva essere mantenuta. La domanda proposta prima 
della ripresa dei lavori tiene luogo della riserva, sicch� la domanda non 
� resa inammissibile dalla mancata inserzione della riserva nel verbale 
di ripresa dei lavori, una volta che questa venga successivamente ordinata 
U). 
(omissis) Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli 
artt. 16, 53, 54 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e degli artt. 112, 113, 
115 c.p.c., nonch� insufficienza ed illogicit� della motivazione. Afferma che 
la notificazione della citazione con la quale aveva chiesto la condanna 
del comune al pagamento delle spese derivanti dalla sospensione dei 
lavori era avvenuta quando nessuna decadenza poteva essersi verificata, 
mancando il presupposto della ripresa dei lavori e sostiene che l'instaurazione 
del giudizio valeva ad extrapolare dal pi� complesso rapporto 
giuridico la questione sulla quale il giudice era tenuto a pronunziarsi 
senza tener conto del fatto che successivamente l'ordine di sospensione 
era stato rimosso; sostiene che la domanda giudiziale aveva impedito 
gli effetti della decadenza dal diritto di chiedere il risarcimento dei 
danni. 
Il ,ricorso � fondato nei limiti che saranno precisati. 
Il problema relativo alla proposizione della riserva nei pubblici appalti 
� stato ripetutamente esaminato da questo supremo collegio il 
quale � pervenuto a conclusioni univoche che la sentenza impugnata 
ha in parte richiamato senza per� farne esatta applicazione nel caso 
concreto che presenta aspetti differenziati rispetto alle massime richiamate. 
(1) Brevi considerazioni in margme ad una sentenza della Corte di cassazione 
in tema di sospensione dei lavori. 
La decisione � stata resa in causa in cui non era presente un'amministrazione 
difesa dall'Avvocatura dello Stato; la si pubblica per l'evidente interessP 
delle affermazioni in essa contenute a riguardo dei modi della tutela dell'appai� 
tatore in presenza del protrarsi della sospensione dei lavori ordinata dall'amministrazione. 
Sull'argomento la Corte di cassazione era intervenuta di recente, prima con 
la sentenza 17 marzo 1982 n. 1728, pubblicata in questa Rassegna 1983, I, 190 ed in 
Riv. giur. edilizia 1982, Il, 147 con nota di ToMASUOLO, La sospensione dei lavori 
nell'appalto di opere pubbliche: rifusione degli oneri sostenuti dall'appaltatore 
e risarcimento dei danni, poi con la sentenza 4 settembre 1984 n. 4759, pubblicata 
in Foro it. 1984, I, 2102 e Giust. civ. 1985, I, 1992 con nota di P. CARBONE, 
Considerazioni in tema di sospensione dei lavori. 
Il caso deciso � rappresentato da una sospensione ordinata per la sopraggiunta 
necessit� di procedere alla redazione ed approvazione di una variante: 
216 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBU.O STATO 
� resa inadempiente in quanto protrae la sospensione dei lavori oltre 
il tempo per cui poteva essere mantenuta. La domanda proposta prima 
della ripresa dei lavori tiene luogo della riserva, sicch� la domanda non 
� resa inammissibile dalla mancata inserzione della riserva nel verbale 
di ripresa dei lavori, una volta che questa venga successivamente ordinata 
U). 
(omissis) Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli 
artt. 16, 53, 54 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e degli artt. 112, 113, 
115 c.p.c., nonch� insufficienza ed illogicit� della motivazione. Afferma che 
la notificazione della citazione con la quale aveva chiesto la condanna 
del comune al pagamento delle spese derivanti dalla sospensione dei 
lavori era avvenuta quando nessuna decadenza poteva essersi verificata, 
mancando il presupposto della ripresa dei lavori e sostiene che l'instaurazione 
del giudizio valeva ad extrapolare dal pi� complesso rapporto 
giuridico la questione sulla quale il giudice era tenuto a pronunziarsi 
senza tener conto del fatto che successivamente l'ordine di sospensione 
era stato rimosso; sostiene che la domanda giudiziale aveva impedito 
gli effetti della decadenza dal diritto di chiedere il risarcimento dei 
danni. 
Il ,ricorso � fondato nei limiti che saranno precisati. 
Il problema relativo alla proposizione della riserva nei pubblici appalti 
� stato ripetutamente esaminato da questo supremo collegio il 
quale � pervenuto a conclusioni univoche che la sentenza impugnata 
ha in parte richiamato senza per� farne esatta applicazione nel caso 
concreto che presenta aspetti differenziati rispetto alle massime richiamate. 
(1) Brevi considerazioni in margme ad una sentenza della Corte di cassazione 
in tema di sospensione dei lavori. 
La decisione � stata resa in causa in cui non era presente un'amministrazione 
difesa dall'Avvocatura dello Stato; la si pubblica per l'evidente interessP 
delle affermazioni in essa contenute a riguardo dei modi della tutela dell'appai� 
tatore in presenza del protrarsi della sospensione dei lavori ordinata dall'amministrazione. 
Sull'argomento la Corte di cassazione era intervenuta di recente, prima con 
la sentenza 17 marzo 1982 n. 1728, pubblicata in questa Rassegna 1983, I, 190 ed in 
Riv. giur. edilizia 1982, Il, 147 con nota di ToMASUOLO, La sospensione dei lavori 
nell'appalto di opere pubbliche: rifusione degli oneri sostenuti dall'appaltatore 
e risarcimento dei danni, poi con la sentenza 4 settembre 1984 n. 4759, pubblicata 
in Foro it. 1984, I, 2102 e Giust. civ. 1985, I, 1992 con nota di P. CARBONE, 
Considerazioni in tema di sospensione dei lavori. 
Il caso deciso � rappresentato da una sospensione ordinata per la sopraggiunta 
necessit� di procedere alla redazione ed approvazione di una variante: 
dunque, di una sospensione legittimamente disposta ex art. 30, comma 2, 

d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063; come tale considerata anche dalla cassazione, 
comunque accettata senza riserve. Alla protrazione di tale sospensione l'appai� i' 
~: 

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E: 
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1. 
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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 217 

Nei pubblici appalti l'onere di formulare la riserva per i compensi 
cui l'appaltatore ritiene di avere diritto ha carattere generale; infatti 
la necessit� della sua tempestiva formulazione e della successiva quantificazione 
nel registro di contabilit� sussiste per tutte le pretese che 
siano idonee ad incidere sul compenso complessivo spettante all'appaltatore, 
quali che siano le componenti ed i titoli delle medesime (Cass. 
1979, n. 394). 

L'onere della riserva, pertanto, non riguarda solo le pretese che 
traggano origine dal modo di rilevamento e di registrazione dei lavori 
via via eseguiti, ma riguarda anche le richieste di ulteriori compensi 
ed indennizzi per i lavori eseguiti, qualunque ne sia il titolo e quindi, 
anche l'equo compenso cui l'appaltatore ha diritto, a norma del secondo 
comma del'art. 1664 e.e. nonch� ogni altra richiesta di compenso ed 
indennizzo qualunque ne sia il titolo, purch� concernente prestazioni o 
fatti dannosi strettamente connessi con l'esecuzione dei lavori e, quindi, 
anche i compensi e gli indennizzi eventualmente spettanti all'appaltatore 
per effetto della sospensione dei lavori disposta dall'amministrazione 
committente. 

L'obbligo della riserva, che come si � detto, ha carattere generale 
persegue il triplice scopo: a) di consentire all'amministrazione appaltante 
la verificazione dei fatti suscettibili di aggravare l'entit� della 
spesa prevista, onde renderne pi� sicuro e meno dispendioso l'accertamento; 
b) tenere in evidenza l'ammontare della spesa dell'opera in 
itinere in maniera che l'amministrazione, tenendo presente il quadro 
complessivo delle esigenze di bilancio, possa provvedere, , se necessario, 
alla tempestiva integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti; 

tatore aveva reagito proponendo una domanda di condanna al risarcimento del 
danno che la sospensione era venuta cagionandogli. 

La Corte d'appello aveva ritenuto la domanda inammissibile perch� aveva 
considerato che l'appaltatore aveva accettato la sospensione senza riserve, men� 
tre, se pure in seguito aveva diffidato l'amministrazione ad ordinare la ripresa 
dei lavori (circa 1 anno dopo la 'loro sospensione) e poi l'aveva citata in giudizio 
(dopo altri nove mesi), non aveva inserito riserva nel verbale di ripresa, 
quando questa era stata infine ordinata. 

L'appaltatore aveva sostenuto che, quando egli aveva proposto la domanda 
di condanna, nessuna decadenza s'era prodotta, giacch� questa avrebbe potuto 
essere determinata solo da una ripresa dei lavori accettata senza riserva, ma, 
al momento della domanda la ripresa dei lavori non era stata ancora ordinata. 

S'era in presenza d'una domanda di condanna al pagamento d'una somma che 
l'appaltatore richiedeva a titolo di risarcimento del danno, assumendo che l'amministrazione 
gliel'avesse causato con un comportamento qualificabile come 
inadempimento. 

La Corte d'appello aveva considerato che per proporre una qualsiasi domanda 
di indennit� sulla base di un rapporto di cui non si chiede la risoluzione, 
� necessario aver in precedenza formulato la relativa riserva, che invece mancava. 
La sostanza della decisione della Corte di cassazione sta nell'aver ritenuto 



218 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

e) mettere in grado l'amministrazione di adottare nell'ambito dei propri 
poteri, ogni altra possibile determinazione, inducendosi, se del caso, ad 
esercitare la potest� di risoluzione unilaterale del contratto. L'onere 
della riserva, pertanto, sussiste ogni qual volta venga in esame una 
situazione suscettibile di risolversi in danno o, comunque, in un aumento 
. di spesa e sussiste, non solo rispetto ai fatti transeunti, ma anche 
per quelli continuativi i quali presentano anzi una pi� accentuata idoneit� 
a riflettersi sul costo complessivo dell'opera. Infatti, la circostanza 
che il fatto non abbia carattere istantaneo, ma consista in una situazione 
il cui svolgimento si protragga nel tempo, incide soltanto sul 
momento in cui l'onere sorge e si articola sui due tempi della iscrizione 
e della successiva esplicazione mediante l'indicazione delle cifre 

cui si ritiene di avere diritto. 

La decadenza dell'appaltatore dal diritto a maggiori compensi od 

indennizzi, per l'inadempimento dell'onere di tempestiva formulazione 

della riserva, non soffre deroga per le pretese che traggono origine da 

fatti di natura continuativa, per le quali il predetto onere diventa 

attuale nel momento in cui la relativa situazione generatrice sia obietti


vamente riscontrabile, con media diligenza, mentre l'impossibilit� di 

determinare il quantum giustifica solo il ritardo della quantificazione 

che deve essere effettuato successivamente nei documenti contabili. 

L'obbligo di tempestiva formulazione delle riserve non sussiste per� 

per le pretese implicanti la valutazione giuridica dei fatti e comporta


menti non controversie e diretta ad ottenere la risoluzione del contratto 

per colpa dell'amministrazione e la condanna di questa al risarcimento 

dei conseguenti danni (Cass. 1983, n. 4760); nonch� per i fatti estranei 

che, nel caso, in cui non era possibile inserire una riserva nel registro conta


bile, non si poteva richiedere che la riserva fosse apposta e che era contrario 

agli stessi interessi dell'amministrazione, a tutela dei quali si � sancito il rela


tivo onere, postulare che l'appaltatore non potesse validamente contestare il 

danno all'amministrazione e dovesse, per farlo, attendere che esso si aggravasse 

sino alla successiva ripresa dei lavori. 

Si consideri a questo punto che dall'art. 54 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350 

derivano secondo la giurisprudenza due effetti: la comminatoria d'una decadenza, 

per il caso che la riserva non sia formulata oltre un certo momento; l'imposi


zione di un onere, che consiste nel dover formulare la riserva su un atto conta


bile, come condizione per impedire che se ne consolidino le risultanze e per 

poter far valere giudizialmente la pretesa non accolta in via amministrativa. 

Nel caso, rispetto alla domanda giudiziale della cui ammissibilit� si discu


teva, veniva in discussione rton il primo .aspetto, ma il secondo. La decisione 

della Corte di cassazione pu� dirsi allora che abbia individuato un limite al 

principio della formalit� della riserva. 

Prima di concludere questa breve osservazione preme di fare ancora una 

considerazione. 

La Corte di cassazione non ha dovuto affrontare il problema consistente 

nello stabilire, a partire da quale momento si sposta sull'amministrazione l'onere 

I 

I 

. . ' 


PARTE. I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 219 

all'oggetto dell'appalto (Cass. 1981, n. 5300) o alla finalit� di documentazione 
cronologica dell'iter esecutivo dell'opera, quali ad es. la rivalsa 
delle imposte (Cass. 1973, n. 2486) o la decorrenza degli interessi di mora 
(Cass. 1969, n. 4046) ovvero allorch� la pretesa dell'appaltatore dipende 
dalla rettificazione di errori materiali contenuti nel registro di contabilit� 
che siano controllabili ed emendabili in base a semplici verificazioni, 
secondo la normale diligenza delle parti interessate (Cass. 1982, 

n. 2102); l'onere della riserva non esiste nemmeno quando l'appaltatore 
chiede la risoluzione del contratto per inadempimento dell'amministrazione 
che al;>bia illegittimamente protratto la sospensione dei lavori 
(Cass. 1982, n. 1728); n� quando l'appaltatore chieda il risarcimento 
dei danni causati da ritardi gravemente colposi o dolosi dell'appellante 
nell'emissione dei certificati di acconto, nella redazione dello stato dei 
lavori e nella esecuzione del collaudo (Cass. 1973, n. 2168); n� quando 
manchi l'inerenza della maggiore spesa alla esecuzione dell'opera come 
nel caso di illecito extracontrattuale della stazione appaltante, caratterizzato 
da un collegamento meramente occasionale con la esecuzione dell'opera 
(Cass. 1971, n. 1384). 
La fattispecie in esame si caratterizza per la circostanza che, protraendosi 
nel tempo la sospensione dei lavori legittimamente disposta 
dall'amministrazione committente e determinando essa sempre maggiori 
oneri a carico dell'appaltatore, questi, non venendogli esibito alcun documento 
amministrativo o atto contabile da parte dell'amministrazione, 
non ha alcuna. possibilit� di formulare la riserva informando la committente 
dei maggiori oneri determinati dalla preesistente inattivit� amministrativa. 


del danno, che l'appaltatore subisce in conseguenza del protrarsi illecito di una 
sospensione inizialmente legittima o comunque accettata senza riserve: se dal 
momento in cui viene meno o avrebbe potuto esser rimossa la ragione che 
aveva determinato la sospensione o dal momento in cui l'appaltatore contesta 
all'amministrazione di ritenerla inadempiente perch� non torna ad ordinare la 
ripresa dei lavori. Nel caso, ad es., la domanda era stata preceduta da una 
diffida ad ordinare la ripresa dei lavori. 

Se la soluzione fosse nel secondo senso, l'eccezione al principio della 
formalit� della riserva, che si desume oggi dalla sentenza della Corte di cassazione, 
sarebbe solo apparente, mentre ne risulterebbe rafforzata la regola, che 
l'appaltatore ha l'onere di denunciare all'amministrazione le cause produttive di 
danno, non appena ne avverte la rilevanza causale. 

Pu� notarsi che un analogo meccanismo -che prescinde dalla riserva, 

ma la sostituisce con una dichiarazione dell'appaltatore, volta a spostare sul


l'amministrazione l'onere della sospensione che si protragga ulteriormente -� 

quello strutturato dal secondo comma dell'art. 30 del d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063 per il caso del protrarsi, della causa che ha imposto una sospensione 
legittima, oltre il termine preveduto dallo stesso art. 30. 
PAOLO VITTORIA 



220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Si tratta, quindi, di stabilire se le richieste formulate dall'appaltatore 
e l'atto di citazione da lui notificato per chiedere il risarcimento dei 
danni costituiscano atti idonei ed equivalenti, quanto ai foro effetti, 
alla riserva. 

La sentenza impugnata ha escluso tale equivalenza ed il comune 
di S. Giorgio a Cremano sostiene che l'appaltatore avrebbe dovuto attendere 
la ripresa dei lavori per inserire la riserva nel relativo verbale. 

Questa tesi non pu� essere seguita. Pur essendo pacifico che le 
pretese dell'appaltatore in ordine ai maggiori oneri incontrati durante 
il periodo di sospensione dei lavori, devono essere fatte valere mediante 
la formulazione di apposita riserva nel verbale di ripresa dei lavori, 
occorre esaminare se nel periodo precedente a tale momento -quando 
la sospensione dei lavori disposta dall'amministrazione committente, si 
protragga illegittimamente, oltre i limiti segnati dall'art. 30 del d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063, dopo che siano venute meno le cause di forza 
maggiore o le ragioni di pubblico interesse o necessit� giustificative della 
sospensione medesima -l'appaltatore sia privo di ogni mezzo di difesa 
e debba attendere passivamente l'ordine di ripresa dei lavori assistendo 
all'aumento dei costi, che possono nel tempo diventare tanto elevati da 
determinare la crisi finanziaria dell'impresa e che, comunque, si riflettono 
sull'onere complessivo della spesa a carico dell'amministrazione 
committente. 

Il collegio ritiene che nel caso predetto in cui non esiste la possi


bilit� di inserire la riserva nei documenti contabili, l'appaltatore possa 

adottare iniziative che abbiano effetti equivalenti e che siano idonee 

a raggungere le finalit� proprie della riserva, che sono state prima 

richiamate. 

Tale valore pu� attribuirsi, in particolare, alla citazione in giudizio 

dell'amministrazione perch� tale iniziativa � idonea a tutelare i contrap


posti interessi delle due parti, offrendo essa l'unico possibile mezzo di 

difesa all'appaltatore di fronte al comportamento doloso o gravemente 

colposo dell'amministrazione e di tutelare al tempo stesso, l'amministra


zione che viene con tale mezzo informata del forte aumento delle spese 

derivanti dalla sospensione dei lavori e dal comportamento omissivo, met


tendola in grado di adottare le opportune iniziative per porre fine a tale 

lievitazione mediante la emissione dell'ordine di ripresa (come ha fatto 

nel caso in esame), ovvero adottando le opportune iniziative per garan


tirsi la disponibilit� dei maggiori mezzi finanziari occorrenti, nonch� le 

altre possibili determinazioni che possono arrivare fino all'eserczio della 

potest� di risoluzione unilaterale del contratto (art. 354, I. 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. F) quando le previsioni originarie dell'onere delle spese vengano 
notevolmente superate e la costruzione dell'opera rischi di diventare 
troppo pesante per la collettivit�. 

PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 221 

Viene cos� garantito il raggiungimento delle finalit� proprie della 
riserva, mentre, al contrario, il negare che nel caso indicato, l'atto di 
citazione abbia valore equivalente alla riserva (che, durante la sospensione 
dei lavori, si ripete, � impossibile formulare) contrasterebbe con 
l'interesse della pubblica amministrazione ad avere in costante evidenza 
il costo dell'opera pubblica. 

L'amministrazione, infatti, ai sensi dell'art. 30 comma II, parte I 
del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, � obbligata, ove la sospensione dei 
lavori da essa disposta superi i termini per la medesima previsti a subire 
gli effetti della domanda c:;lell'appaltatore di risoluzione del contratto 
per inadempimento ad essa addebitabile ed, ove essa si opponga �allo 
scioglimento � obbligata anche alla rifusione dei maggiori oneri (Cass. 
1982, n. 1728; 1984, n. 4759). 

La soluzione adottata si ricollega alla gi� riconosciuta esclusione 
della necessit� della riserva quando l'amministrazione abbia adottato 
un comportamento doloso o gravemente colposo nell'eseguire adempimenti 
amministrativi (1974, n. 78; 1983, n. 1728) ed a tutti gli altri casi 
gi� ricordati nei quali � stato riconosciuto non sussistente l'obbligo 
della preventiva ris.erva. Essa �, altres�, coerente con il principio di 
diritto affermato da questa Corte in ordine alla esclusione della necessit� 
di una determinazione dell'amministrazione ai fini della tutela dei 
diritti dell'appaltatore nel caso di ingiustificato ritardo dell'amministrazione 
nell'effettuare il collaudo. g stato, invero, affermato che il 
collaudo, pur se richiesto dall'art. 44 del capitolato generale per le 
opere pubbliche (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) come presupposto del 
procedimento arbitrale o giudiziario, non � un obbligo che si presenta 
tuttavia con carattere di assolutezza, perch� il di'lieto di proposizione 
della domanda � inoperante, oltre che nelle ipotesi espressamente previste 
dall'art. 44, anche -quando il diritto vantato dall'istante resterebbe 
privo di tutela se l'azione non fosse svincolata dal presupposto del 
collaudo medesimo, come nel caso in cui fa lite vertesse sul diritto dell'appaltatore 
ad ottenere il collaudo stesso o l'appaltatore avesse diffidato 
la pubblica amministrazione a compierlo e fosse decorso un cos� 
lungo tempo da rendere l'inerzia equivalente a rifiuto (Cass. 1970, n. 455). 

L'ipotesi oggetto del presente ricorso presenta cos� evidenti elementi 
di identit� con quelli ora ricordati che sussistendo la medesima 
ratio deve essere adottata la stessa conclusione. 

Il comune di S. Giorgio a Cremano sostiene che, in ogni caso, essendo 
ripresi i lavori in epoca successiva alla instaurazione del giudizio, l'appaltatore 
avrebbe dovuto ugualmente formulare la riserva nel relativo 
verbale. La tesi non pu� essere accolta perch�, una volta accertato che 
ricorrendo i presupposti prima indicati, la domanda giudiziale pu� considerarsi 
equivalente alla riserva che non era possibile formulare, costituirebbe 
un inutile formalismo esigere che essa venga nuovamente 


222 RASSEGNA DELL'AVVOCATUR<\ DELLQ STATO 
proposta, quando gli effetti ad essa propri si 
sarebbe inoltre del tutto ultronea rispetto ai 
ha assegnato. 
sono gi� prodotti ed essa 
sensi che il legislatore le 
Il Comune di S. Giorgio a Cremano ha proposto ricorso incidentale 
condizionato prospettando violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 
43, 44, 46 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1062; sostiene che la domanda 
giudiziale pu� essere proposta solo dopo l'approvazione del collaudo, e, 
comunque, solo dopo la risoluzione delle contestazioni in via amministrativa. 
i'.:a questione non � stata esaminata dalla Corte di merito 1 che l'ha 
dichiarata assorbita e non pu�, quindi, essere proposta in questa sede; 
essa dovr�, pertanto, essere oggetto di valutazione da parte del giudice 
di rinvio che, a seguito della cassazione della sentenza impugnata, per 
effetto dell'accoglimento del ricorso principale, si designa in altra sezione 
della Corte d'appello di Napoli, la quale provveder�, applicando 
i princ�pi di diritto sopra enunciati, anche in ordine alle spese del presente 
giudizio di legittimit�. (omissis) 


PARTE SECONDA 



QUESTIONI 


Franc� Favara 

I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELLA INDENNITA. 
DI ESPROPRIAZIONE (PER I BENI IMMOBILI) * 


1. .L'art. 42 Cost. e l'art. 39 legge n. 2359 del 1865. � 2. Fragilit� del criterio 
basato sul � prezw come se �. -3. C1�iteri basati sul reddito dell'immobile. 
-4. Criteri basati su valori imponibili. � 5. La misura legale della 
edificabilit�. � 6. Contenuti della propriet� e strumenti urbanistici. 
1. � Ho proposto al prof. Cerulli Irelli, attento ed efficiente organizzatore 
di questo Convegno, l'argomento � criteri di determinazione dell'indennit�
�, avendo maturato il convincimento che sia necessario e 
proficuo sottoporre ad ulteriore analisi l'espressione utilizzata dal noto 
art. 39 della legge n. 2359 del 1865 � giusto prezzo che a giudizio dei 
periti avrebbe awto l'immobile in una libera contrattazione �. Essa si 
traduce, in pratica, in una sorta di delega allo stimatore, di recezione 
poco e mal filtrata di � regole dell'arte � discusse e discutibili quali 
sono state e sono quelle via via elaborate dai cultori di �estimo�; 
e non riesce a supplire ad una sostanziale assenza di regole giuridiche 
puntuali, che ingenera incertezze e contraddizioni persino ne�la giurisprudenza 
della Corte di cassazione, costretta a pronunciarsi � caso 
per caso� con l'occhio rivolto pi� al �merito� che al tessuto normativo. 
Sicch�, nel corso dei decenni, si � a1la11gato il distacco tra criteri di 
� estimo � e cornice legislativa, distacco che invece sarebbe bene rimuovere 
o quanto meno ridurre. 
Inoltre, la espressione usata dall'art. 39 ha prodotto una pregiudizievole 
� rimozione � -sul piano logic6 e psicologico prima ancora che 
su quello giuridico -della pur delicata e rilevante problematica relativa 
ai cosiddetti � contenuti � della propriet�, rectius delle propriet� (al 
plurale). g -questo dei �contenuti� -un tema affascinante e dibattutissimo, 
come confermato dalle relazioni finora ascoltate, anche e 
soprattutto per la grande adattabilit� della nozione giuridica di propriet� 
al mutare degli assetti politici ed economici di qualsivoglia societ�, 
e per la conseguente � relativit� � delle propriet� nel tempo e nello 

(*) Relazione tenuta il 24 gennaio 1986 in occasione di Convegno sulla espropriazione 
per pubblica utilit�. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

40 

spazio (1). La nozione giuridica di propriet� pi� che un �dato� concet� 
tuale e politico risulta una �variabile dipendente�, il terreno di un 
mai concluso scontro non soltanto tra possidentes attributari di potest� 
sulle cose ed � esclusi � assoggettati a doveri giuridici di astensione 
(astensione dal turbare le potest� dominicali altrui), ma anche -ed � 
quest�, malgrado le apparenze, lo scontro pi� duro (2) -tra possidentes; 
ad esempio, tra proprietari � statici � portati a considerare, in nome 
della �tradizione�, definitivamente cristallizzati e resi �essenziali� tutti 
i � contenuti � della loro contingente situazione economica e giuridica, 
ed operatori impegnati nei processi di trasformazione e creazione della 
ricchezza portati invece a ridimensionare e storicizzare la propriet� ed 
a ridurla a mero � fattore della produzione �, a mere commodity. Di 
questa � relativit� � dei contenuti delle propriet�, l'art. 39 non si d� 
carico alcuno, anche per la presenza di quel distacco di cui si � d�tto 
dianzi e che � servito e serve ad isolare il � giudizio dei periti � dal 
contesto giuridico-politico, a banalizzare ogni problematicit� nascondendola 
ed appiattendola sotto le parvenze aritmetiche del calcolo � caso 
per caso�. 

Doveroso appare dunque l'interrogativo se -oggi, nel 1986 -sia 
ancora il caso di lasciare una tanto ampia delega al � giudizio dei periti 
�, o se invece il legislatore ed il giurista debbano recuperare alla 
regola giuridica il territorio da questa sostanzialmente abbandonato 
nel 1865. Anzitutto, giova ricordare le osservazioni fatte da Pototschnig 
in occasione del convegno di Firenze per il centenario delle leggi_ di 
unificazione amministrativa: la legge n. 2359 del 1865 � nata non come 
legge generale o fondamentale per tutte le espropriazioni ma come legge 
per le espropriazioni occorrenti alla realizzazione di grandi opere pubbliche 
rivolte -come si disse allora -a � cementare l'unit� nazio


(1) Una preziosa panoramica della sterminata letteratura sulla propriet� � 
fornita dalla �antologia� a cura di. ALPA e BESSONE, Poteri dei privati e statuto 
della propriet�, CEDAM, I e II vol. 1980, III vol. 1982 (specie nel vol. Il, Storia, 
funzione sociale e pubblici interventi). Altra � antologia '" di taglio pi� filosofico, 
� quella di Guozz1, Le teorie della propriet� da Lutero a Babeu, Loescher, 1978. 
(2) Un esempio di scontro duro dei nostri giorni � quello, ancora aperto, 
tra ambienti della grande industria privata interessati ad attirare � risparmio � 
attraverso il collocamento di titoli azionari e gli operatori interessati, essi pure, 
ad attirare �risparmio � attraverso il collocamento di certificati immobiliari: 
� uno scontro che si svolge sul terreno della legislazione societaria e tributaria, 
e che fa rammentare alcune osservazioni di MANDELVILLE (The fable of the bees: 
or private vices, public benefits, del 1705) sul ruolo della legge nel dare soluzioni 
� virtuose � -talvolta con l'ausilio di alcune ipocrisie -a scontri tra interessi 
antagonistici suscitati da �vizi � privati. 

Va peraltro precisato -per prevenire ogni equivoco -che esattamente � 
stata segnalata l'impossibilit� di condurre alla garanzia proprietaria �la intera 
area dei rapporti tra cittadini e Stato con rilevanza economica� (RODOT�, Il terribile 
diritto, il Mulino, 1981, 36). 



41

PARTE II, QUBSTIONI 

nale � (3). Legge dunque al servizio della realizzazione di opere pubbliche, 
anzi di opere pubbliche da individuare � singulatim � e non per 
�categorie�; ed infatti leggi diverse dalla n. 2359 -coeva quella 
per opere ferroviarie, successive le altre -hanno proclamato la pubblica 
utilit� di intere categorie di opere. La legge n. 2359 del 1865 non 
� stata scritta per fronteggia~e fenomeni pi� vasti, quali lo sviluppo 
dei centri abitati o� addirittura le �riforme� di struttura di segmenti 
dell'apparato produttivo. 

Per quanto concerne lo sviluppo delle citt�, la legge n. 2359 si 
limita ad accennare -in modo visibilmente molto marginale -piuttosto 
a talune opere pubbliche urbane (allargamento ed apertura di 
strade e piazze, et similia) che alla pianificazione urbanistica come concepita
� nel nostro secolo. Del tutto assente, e comprensibilmente, il tema 
delle � riforme � delle strutture produttive, dalle grandi bonifiche per 
l'agricoltura alle � statalizzazioni � o � nazionalizzazioni � di imprese infrastrutturali 
(si pensi alle ferrovie) bancario-assicurative (si pensi agli 
Istituti di emissione ed allo I.N.A.) e industriali; tema questo che emerger� 
solo dopo, nell'epoca giolittiana (salva qualche anticipaziom~ r.oncernente 
le bonifiche e la propriet� agricola). 

A questo proposito, si consenta un inciso. In seno all'Assemblea costituente, 
il dibattito sull'odierno art. 42 Cost. si � soffermato pressoch� 
esclusivamente sul tema della compatibilit� tra � riforme � di struttura 
dell'economia e salvaguardia della propriet� (4). I problemi spiccioli, potrebbe 
dirsi di �estimo�, relativi alla espropriazione di singoli beni 
sono stati, e giustamente, lasciati in disparte. Questa impostazione la 
ritroviamo nelle prime sentenze della Corte costituzionale in materia, 
nella nota formula � il massimo di contributo � che pu� essere assegnato 
al privato compatibilmente con l'obiettivo prioritario del soddisfacimento 
dell'interesse generale alla fattibilit� della � riforma � o dell'intervento 
pubblico. A partire dalla met� degli anni Sessanta, invece, 
la Corte costituzionale -con pronunce sempre meno ispirate a judicial 
self restraint -si � calata in dimensioni pi� di dettaglio, ravvisando 
nell'art. 42 Cost. non tanto una garanzia rispetto alle �riforme�, quanto 
una salvaguardia prima del � contenuto minimo � delle' propriet� fondiarie 
e poi ,addirittura di alcuni, per vero molto opinabili, � contenuti � 
tutt'altro che � minimi � di dette propriet�. Sicch�, anche per effetto 
di una avvertibile tendenza alla trasformazione di fatto del giudizio 
costituzionale in fase, potrebbe dirsi in appendice, dei giudizi � a tutela � 
delle situazioni soggettive, la portata dell'art. 42 Cost. ha sub�to un 

(3) POTOTSCHNIG, L'espropriazione per pubblica utilit�, in Le opere pubbliche, 
II, 1967, 12. 
(4) RoooT�, op. cit., 259 e seg., e Commentario alla Costituzione, a cura di 
Branca, art. 42, Zanichelli, 1982, 76 e seg. 

42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

processo di espansione, analogamente a quanto era in precedenza accaduto 
per la legge n. 2359 del 1865 � promossa sul campo � a legge fondamentale 
dal lavorio di correnti dottrinali e giurisprudenziali. 

Tornando alla legge n. 2359, giova rammentare anche un'altra osser


vazione di Pototschnig: �in quegli anni (1865), specie nelle province 
meridionali dove si doveva realizzare la maggior parte delle nuove opere 
pubbliche, le aree avevano sul libero mercato prezzi modestissimi e la 
loro reperibilit� non costituiva affatto urt problema� (5). Osservazione 
questa di notevole importanza per chi si accinga ad una medit�zione 
sulla �delega� al �giudizio dei periti� contenuta nell'art. 39 citato. 
Che di mera � delega � si tratti e non di criterio legale per la determinazione 
dell'indennit� emerge con tutta chiarezza sia dalla longevit� 
della disposizione, longevit� dovuta proprio alla sua flessibilit� anzi dal 
suo essere � vuota � di prescrizioni, sia dalla analisi logica della formula 
� giusto prezzo che avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione
�, Trattasi di una formula che si basa su un �come se� (come se 
si fosse avuta la libera contrattazione di compravendita), che rinvia 
dunque ad un � giudizio ipotetico �, anzi spesso ad un giudizio doppiamente 
o addirittura pi� volte ipotetico; cosa questa che accade quando 
il giudizio ipotetico deve essere integrato e corretto da alcune considerazioni 
(ad esempio, il non doversi tener conto di taluni incrementi 
di valore, �come se� non fossero sopravvenuti). 
Per di pi�, l'art. 39 nel valorizzare un giudizio una o pi� volte 
ipotetico, una serie di �come se�, non stabilisce neppure con esattezza 
tutti i termini di questo giudizio. Domattina, altri relatori parleranno 
del profilo comparativistico, e non desidero anticipare alcunch� di quanto 
meglio di me essi diranno. Sofo per chiarire quanto test� osservato, mi 
si consenta un breve accenno alla legislazione britannica; 'nelle cosiddette 
rules del 1919 e nel Compensation act del 1961 v'� una disposizione 
simile al nostro art. 39, e si parla di � amount wich the land, if sold 
in the open market by a willing seller, might be expected to realise �. 
Ma accanto a questa formula v'� sovente una specificazione, indicandosi 
che il valore da stimare � il current use value o existing use value, 
ossia il valore � in atto � e non quello � in potenza � del bene, in relazione. 
alla sua corrente o esistente utilizzazione. Nel nostro art. 39 una 
siffatta precisazione manca; e la delega al �giudizio dei periti� risulta 
conseguentemente amplissima. 
* * * 
2. -A questo punto -prima di proseguire il discorso -riterrei 
opportuna una notazione d'ordine sistematico. Le norme in tema di 
(5) POTOTSCHNIG, op. cit., 50. 
I 
I 



PARTE II, QUESTIONI 

determmazione dell'indennit� possono ripartirsi in due grandi categorie, 
a seconda che: 

I. -stabiliscano criteri � determinati � che poggiano direttamente su 
dati storici, su fatti cio� effettivamente verificatisi e quindi direttamente 
accertabili anche in sede giudiziaria alla stregua di qualsiasi altro fatto 
giuridicamente rilevante; tali fatti possono essere -senza che la cosa 
rilevi granch� per quanto ora ci interessa -o fatti per cos� dire �a 
formazione pubblica � (ad esempio, il reddito dominicale catastalmente 
determinato a fini fiscali, il valore definitivamente accertato ai fini di 
una imposizione sui trasferimenti o di una imposta patrimoniale) ovvero 
fatti posti in essere dai �privati � (ad esempio, il canone risultante da 
un contratto di locazione avente data certa, il prezzo di recente compravendita 
del bene poi espropriato risultante dal relativo �ontratto); 
II. -prevedano invece la mediazione di una vera e propria �stima�, 
cio� di un atto intermedio espressivo di un apprezzamento per sua 
natura posto in essere da uomini ed esprimente una � sintesi � di accertamenti 
ed opinioni; questo atto intermedio pu� in sede giudiziaria 
essere �sindacato�, a seconda dei casi, dall'esterno o nell'intimo, ma 
non costituisce di per s� oggetto di accertamento in punto di fatto 
(ovviamente si prescinde dall'1potesi abnorme di occultamento del documento 
contenente la �stima�). 
Questa seconda categoria di norme pu� -essa pure -esprimere 
(e bene fa se esprime) dei criteri, i quali per� hanno natura e destinatari 
diversi dai criteri stabiliti dalle norme della prima categoria. 
I criteri espressi dalla seconda categoria di norme, oltre ad essere 
indirizzati in prima battuta a stimatori, sono in misura pi� o meno 
ampia � aperti � ed � indeterminati �. Giova precisare che un atto intermedio 
-magari denominato �stima� -p�� aversi pure quando si 
faccia applicazione dei criteri �determinati � poggianti su dati storici; 
pu� aversi infatti la necessit� di acclarare le �grandezze materiali� 
(ad esempio l'estensione di un terreno) ed altre circostanze oggettive 
rilevanti (ad esempio la coltura in esso praticata). Tuttavia permane la 
contrapposizione logica tra i due tipi di criteri e le due categorie di 
norme che li prevedono. 

Ora l'art. 39 non soltanto palesemente va classificato tra le norme 
della seconda categoria, ma -come si � detto -� singolarmente 
�vuoto �, privo cio� della indicazione di criteri seppur � indeterminati �. 
Nella sostanza, l'art. 39 non discosta di molto dall'art. 2056 cod. civ. 
come integrato dalle disposizioni da questo richiamate; tant'� che, da 
una ventina d'anni, per ragioni a tutti note, la normativa sulla determinazione 
dell'indennizzo � di fatto soverchiata dalla pi� generale normativa 
sulla determinazione dei risarcimenti da occupazione ultrabiennale 
o del tutto abusiva, senza che per solito gravi conseguenze siano 


44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

derivate ai pubblici dipendenti addetti alle procedure di espropriazione. 
Siamo cio� caduti in una situazione pratica non molto lontana da quella 
data dall'editto 3 luglio 1852 dello Stato pontificio che, per la determinazione 
dell'indenit�, si limitava a prescrivere, al par. 7, �si terr� conto 
del dl.lilo diretto ed indiretto che ricevono gli interessati, qualunque ne 
sia la causa �. 

L'esilit� dei criteri indicati dalla legge n. 2359 del 1865 e in particolare 
la fragilit� logica del riferimento all'ipotetico � prezzo che avrebbe 
avuto l'immobile� e cio� del primo dei �come se� cui si � accennato, 
sono stati rilevati da pi� parti, e gi� nell'ultimo terzo del secolo scorso. 
Cos�, persino cultori di �estimo� hanno segnalato l'inconciliabilit� logica 
della nozione di �prezzo�, che � dato storico suscettibile di rilevazione, 
con la nozione di �valore stimato �, che � risultato di un giudizio 
complesso e � di sintesi �; inconciliabilit� che non si attenua affatto 
se per �prezzo� si intende �prezzo di mercato�, esso pure dato storico, 
la cui consistenza pu� essere rilevata solo se ed in quanto si abbia 
un mercato, e cio� si abbiano fungibilit� e serialit� dei beni compravenduti 
(e gi� questo manca in larga parte del settore immobiliare), 
pluralit�, contemporaneit,� e conoscibilit� delle contrattazioni, compilabilit� 
di mercuriali, etc. Non pu� aversi �prezzo di mercato� in assenza 
di mercato, anzi di un mercato � attivo �; se un mercato non v'� o 
� scarsamente attivo, cosa che accade normalmente per beni immobili 
�fuori serie� o di notevole consistenza, si perviene addirittura ad una 
sorta di praesumptio de praesumpto, posto che il valore di stima del 
bene specifico da espropriare finisce per essere presunto pari non gi� 
a beni dello stesso tipo concretamente trattati sullo stesso mercato 
nel quale il bene espropriando confluirebbe se fosse compravenduto, 
ma pari a quello di altri beni a loro volta presunti similari a quello 
da espropriare. 

Invero, il � prezzo come se � ipotizzato dall'art. 39 non esiste in 
natura, non � rilevabile n� pensabile, come prezzo di uno specifico 
bene, se si eccettua il caso -infrequente -dello stesso bene assoggettato 
ad espropriazione acquistato dall'espropriato poco tempo prima 
(cosiddetta � autocomparazione storica�). ll. �prezzo come se,� � ipotizzabile 
solo come prezzo di beni diversi da quello da espropriare, e 
reputati, con apprezzamento inevitabilmente complesso ed opinabile, 
comparabili con quello da espropriare (6). Ed in effetti, l'esperienza lo 
insegna, soprattutto questa attivit� di comparazione -attraverso la 
fitta selva delle innumerevoli e mutevoli situazioni materiali e � variabili 
� giuridiche -costituisce il compito pi� impegnativo di chi si trovi 
ad applicare l'art. 39. Il �giudizio dei periti� da tale articolo previsto 

(6) " ... la comparazione � il carattere immanente del metodo di stima� 
(MALACARNE, Lineamenti di teoria del giudizio di stima, Edagricole, 1977, 149 e seg.).� 

PARm II. QUESTIONI 4J 

punta non gi� all'acclaramento del prezzo �come se�, che esiste solo 
nell'immaginifico testo legislativo, ma a stabilire qualche approssimativa 
comparazione con altri beni e con i prezzi effettivi per essi, e per 

essi soltanto, rilevati. 

Come noto, il compito dello stimatore si fa ancor pi� complesso 
-e la sua discrezionalit� tecnica ancora pi� ampia -quando il bene 
da espropriare �,vale � non per quel che esso � � in atto �, ma per le 
trasformazioni che esso pu� subire in esito ad un processo produttivo. 
In questo caso -molto frequente (si pensi alla edificazione) -il ricorso 
alla comparazione diviene problematico, posto che il cosiddetto � valore 
di trasformazione � tende a ricollegarsi non tanto all'eventuale prezzo di 
mercato del bene da trasformare, quanto all'ipotetico futuro -e spesso 
molto futuro -prezzo di mercato dei prodotti finiti risultanti dalla 
trasformazione (7). AJ.la comparazione sono offerte perci� due diverse 
�pietre di paragone�: l'una �attuale� e l'altra �potenziale�; questa 
seconda � una comparazione per cos� dire al quadrato, parecchio aleatoria, 
poco o punto consentita dall'art. 39, e cionondimeno sovente praticata. 


Ma una volta giunti ad un siffatto grado di distacco dalla realt� 
e quindi di � astrazione � -che non debbano adottarsi � elementi di 
valutazione del tutto astratti� ce lo insegna la sentenza n. 5 del 1980 
della Corte costituzionale -v'� da chiedersi se il � giudizio dei periti � 
cui l'art. 39 si affida sia veramente il pi� naturale, il pi� razionale, 
degli strumenti di cui l'ordinamento possa disporre. E vi sarebbe da 
chiedersi inoltre se quel principio di compatibilit� dell'indennit� con 
le � riforme � -e non delle � riforme � con l'insieme delle indennit� che 
chiaramente emerge dagli atti della Assemblea costituente possa 
considerasi fedelmente attuato da una normativa che, oltre a dare 
risultati in qualche misura � astratti � rispetto al bene da espropriare, 
� del tutto � astratta � rispetto alle esigenze pubbliche da soddisfare. 

* * * 

3. -Alla pnma di queste due domande una risposta pu� venire dalla 
storia ~egislativa del nostro stesso Paese. 
Le �regie lettere patenti� emanate il 6 aprile 1839 da Carlo Alberto 
e contenti � le regole da osservarsi nei casi di espropriazione per 
opere di pubblica utilit� �, stabilivano -negli artt. 27 e seguenti -cri


(7) " Stabilito il presumibile periodo di tempo entro cui le costruzioni previste 
potranno essere progettate approvate e quindi realizzate, � necessario procedere 
ad una valutazione del pi� probabile apprezzamento che il mercato locale 
di tali immobili esprimer� a tale data futura; si tratta evidentemente di previsione 
non semplice ed immediata in quanto riferita di norma ad un tempo futuro 
... � (OREFICE, Estimo, UTET, 1984, 234). 

46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
teri di determinazione dell'indennit� che merita ricordare (anche perch� 
qualche commentatore ha ritenuto che essi grosso modo coincidessero 
con quelli praticati dopo la legge n. 2359 del 1865): �nel procedere 
alla stima il perito dovr�... desumere il valore reale (il significato delle 
parole�� valore reale� si contrappone a quello di �valore relativo�) 
dagli atti di vendita di data recente, di affi.ttamento e .locazioni attuali 
seguiti senza frode ed, in mancanza di questi, dal reddito netto calcolato 
sopra un decennio�; �relativamente ai fabbricati si avr� �inoltre 
riguardo al valore intrinseco del materiale che lo costituisce ed al valore 
estrinseco, vale a dire al reddito netto calcolato esso pure sopra un 
decennio�. 
In sostanza, due erano i criteri indicati, entrambi ancorati a dati 
storici effettivamente verificatisi e sottoposti alla condizione della assenza 
di � frode �: il primo, quello del �prezzo effettivo comprovato da 
atti di vendita di data recente; il secondo, quello del reddito effettivo, sia 
esso reddito attuale reso netto e quindi capitalizzato, sia esso reddito 
non attuale e complessivamente conseguito nell'arco di un decennio. Per 
ovvie ragioni questo secondo criterio, del reddito effettivo, era quello 
pi� frequentemente utilizzato. 
Non occorre spendere molte parole per dimostrare come l'ancoraggio 
al reddito attuale o pregresso, pur garantendo appieno la concretezza 
.della �stima� cio� l'aderenza di essa al bene nella sua specificit�, auto46 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
teri di determinazione dell'indennit� che merita ricordare (anche perch� 
qualche commentatore ha ritenuto che essi grosso modo coincidessero 
con quelli praticati dopo la legge n. 2359 del 1865): �nel procedere 
alla stima il perito dovr�... desumere il valore reale (il significato delle 
parole�� valore reale� si contrappone a quello di �valore relativo�) 
dagli atti di vendita di data recente, di affi.ttamento e .locazioni attuali 
seguiti senza frode ed, in mancanza di questi, dal reddito netto calcolato 
sopra un decennio�; �relativamente ai fabbricati si avr� �inoltre 
riguardo al valore intrinseco del materiale che lo costituisce ed al valore 
estrinseco, vale a dire al reddito netto calcolato esso pure sopra un 
decennio�. 
In sostanza, due erano i criteri indicati, entrambi ancorati a dati 
storici effettivamente verificatisi e sottoposti alla condizione della assenza 
di � frode �: il primo, quello del �prezzo effettivo comprovato da 
atti di vendita di data recente; il secondo, quello del reddito effettivo, sia 
esso reddito attuale reso netto e quindi capitalizzato, sia esso reddito 
non attuale e complessivamente conseguito nell'arco di un decennio. Per 
ovvie ragioni questo secondo criterio, del reddito effettivo, era quello 
pi� frequentemente utilizzato. 
Non occorre spendere molte parole per dimostrare come l'ancoraggio 
al reddito attuale o pregresso, pur garantendo appieno la concretezza 
.della �stima� cio� l'aderenza di essa al bene nella sua specificit�, automaticamente 
escluda in radice sia la necessit� del ricorso a complesse 
ed opinabili comparazioni sia l'incidenza delle cosiddette �suscettivit��, 
ossia delle speranze -pi� o meno oggettivamente fondate -di realizzare 
plusvalenze non ancora �maturate�, non ancora tradottesi in 
incrementi di redditivit� e per tale via definitivamente incorporate nella 
consistenza economica del bene. Tutti i criteri basati sul reddito -ci 
si riferisca al reddito effettivo ovvero al reddito �normale� detto anche 
�ordinario�, quale quello catastalmente determinato per fini fiscali considerano 
l'utilizzazione in atto del bene e non quella potenziale o 
addirittura � sperata �; -essi quindi non favoriscono l'espropriato, con 
la sola eccezione -per vero hic et nunc alquanto marginale -del proprietario 
di slums fatiscenti e cionondimeno locati a canoni onerosi. 

N� pu� pensarsi che le � lettere patenti � albertine fossero ingenue 
e prive di retroterra culturale. Fin dal secolo precedente -ossia dal 
Settecento -vivace era stato, specie in seno alla fiorentina Accademia 
dei Georgofili, il dibattito tra � attualisti � e � suscettivisti � (8); i 
cultori di � estimo � dell'epoca avevano lungamente ed approfonditamente 
dibattuto -pur senza la pretesa di fare � scienza � -se fosse pi� 

(8) Ne hanno riferito recentemente DI FAZIO, Attualisti e suscettivisti del 
XVIII e XIX secolo, in Tecnica agricola, 1968, n. 2, e Fusco GIRARD, La evoluzione 
della logica estimativa, Napoli, 1974. 

PARTE II, QUESTIONI 47 

corretto procedere alle � � stime � dei beni fondiari solo sulla base della 
destinazione e � in genere delle condizioni � attuali � o invece considerando 
anche le possibilit� latenti o �sperate-�. Divergenza di opinioni 
-questa -successivamente composta con il ricorso ai principi detti 
� della ordinariet� � e � della permanenza delle condizioni � (9), ossia 
con il ricorso allo strumento di una prevedibilit� resa oggettiva ed attendibile 
dal fatto di essere basata su situazioni a) che sono certezza gi� 
�in atto� e b) delle quali sia non solo consentito ma doveroso presumere 
l'invariato permanere nel corso di un futuro temporalmente circoscritto 
entro il cosiddetto � orizzonte economico � (l'arco cio� di due-tre 
anni, oltre il quale ogni previsione, e non solo economica, diviene fantasiosa). 
Un processo logico che gli statistici denominerebbero di � estrapolazione
�, costruito per� sulla base di dati di partenza e di elementi 
di giudizio tutti attuali, anzi attualmente certi. 

Le � lettere patenti � albertine dunque non ignoravano ma respingevano 
la nozione di �valore venale�, o meglio la utilizzavano solo laddove 
non era possibile fare altrimenti, e cio� per l'espropriazione parziale. 
Avendo peraltro cura di precisare che � qualora per6 l'eseguimento del 
lavoro procurasse un aumento di valore immediato e speciale al rimanente 
della propriet�, dovr� il perito farsene carico nel calcolare l'indennit�... 
�. 

Questo il diritto sardo rimasto vigente fino alla legge n. 2359 del 
1865. N� pu� dirsi che le norme sarde fossero un �caso isolato�; criteri 
simili erano praticati persino nel Regno Italico di napoleonica istituzione, 
e qua e l� erano rimasti in vigore dopo la Restaurazione. 

La legge del 1865 quindi � stata -in parte qua -notevolmente innovativa. 
Non � dato ricostruire esattamente quali considerazioni abbiano 
condotto a tale innovazione: la relazione che ha accompagnato la legge � 
del 1865, interessante in alcune parti (ad esempio nelle pagine in cui 
d� conto delle pressioni volte a ridurre al minimo la normativa urbanistica), 
sul punto della determinazione dell'indennit�, si limita a ripetere 
le parole del testo legislativo. 

Il Sabbatini, nel suo ancora fondamentale commento alle leggi sulle 
espropriazioni, ha dettagliatamente narrato le vicende politico-parlamentari 
che hanno condotto al nuovo testo (10). Il progetto governativo 
Pisanelli riproduceva alla lettera (con una marginale aggiunta) i 
criteri delle �lettere patenti � albertine, ed aveva avuto un assenso di 
massima dalla Camera dei Deputati. Per evitare i ritardi dovuti al trasferimento 
della capitale da Torino a Firenze, anche il progetto di legge 

(9) SAJA, La stima del prezzo e del costo, in Riv. Catasto e serv. tecnici 
erariali, 1954, n. 3, e DI Cocco, La valutazione dei beni economici, 1960, 33. 
(10) Commento alle leggi sulle espropriazioni per pubblica utilit�, Ili, ed., 
vol. I, 1913, 685. 
� ' � ��ᥥ-.-,�.-.-.--:�:�:�:.-:�:�:�:�:.-:.-:�z�z.-:.-:.-:..-:�z.-:.-:-:�:-:.-:.-:-:-z�:�z�:-z-:r:.:-: ��ᥥ��ᥥ� � . .-.�.-.-.�.-.-.-.-.-.---------:~_:.:��-�:�����:�: 

48 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 
in questione veniva incluso nel novero di quei provvedimenti legislativi 
48 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 
in questione veniva incluso nel novero di quei provvedimenti legislativi 
la cui emanazione �senza mutarne i princ�pi direttivi� fu devoluta al 
Governo da una legge-omnibus -diremmo oggi -� di delega �. In tale 
fase, la Commissione parlamentare istituita dalla Camera � per l'unificazione 
legislativa�, anzich� limitarsi a proporre circoscritti ritocchi, introdusse 
la modifica che lo stesso Pisanelli cos� comment� � si stim� 
opportuno di chiarire il concetto degli artt. 37, 38 e 39 e furono ad essi 
surrogati i due seguenti articoli� (gli attuali 39 e 40). In pratica, nessuna 
adeguata spiegazione. 

Qualche commentatore, anche in epoca relativamente recente, ha sostenuto 
che la modifica apportata nel 1865 era coerente alla filosofia 
politica del liberalismo ed alla proclamata �inviolabilit�� della propriet� 
privata. Tutto ci� � solo in parte esatto: in quegli anni si descriveva 
l'espropriazione come un �ritorno della propriet� individuale 
sotto una forma di propriet� generale servente ad uso pubblic��; ossia 
in termini -direbbero ancor oggi i giuristi angloamericani -di recupero 
dello eminent domain, di reviviscenza delle latenti potest� reali 
del �principe� su ogni parte del territorio dello Stato. Ed in effetti, 
persino nel quadro di costruzioni teoriche che riconducono. la propriet� 
ai diritti fondamentali di libert� (impostazione questa, come noto, non 
condivisa dalla nostra Costituzione), ben � possibile configurare l'espropriazione 
alla stregua di una circoscritta revoca di quel vistoso � fatto 
di diffuso decentramento� che, in ultima analisi, costituisce il substrato 
del riconoscimento delle propriet� private e delle potest� a queste inerenti. 

N� pu� ritenersi che la � funzione sociale � della propriet� sia � scoperta 
� di questo secolo� (per solito la si fa risalire agli anni della prima 
guerra mondiale). Si consenta di ricordare le parole di una sentenza 
datata 7 febbraio 1881 della Cassazione fiorentina: �nello stato sociale 
il diritto di propriet� non pu� essere effrenato... il potere sociale ha 
il dovere e il diritto di stabilire tali limiti nel pubblico interesse ... perch� 
siffatte restrizioni sono stabilite nell'interesse comune e reciproco, 
perci� le utilit�, che ne rimangono sacrificate, non danno azione a reclamare 
indennit�... n� l'art. 29 dello Statuto, che dichiara inviolabili 
tutte le propriet�, ha potuto intendere di quella propriet� illimitata, 
incompatibile con lo stato di societ� civile �. 

Sono parole -queste -che, seppur riferite a � limitazioni � anzich� 
a �funzioni�, potrebbero stare benissimo in una sentenza dei giorni 
nostri, e che paiono in consonanza con i risultati di recenti studi condotti 
negli Stati Uniti da Ackermann (11) ed altri sullo economie 
foundation of property law sulla essenziale rilevanza delle externalities 
per la configurazione oltre che per la valutazione delle propriet� fondiarie. 


(11) Economie foundation of property law, Brown & .Co, 1975. 

PARTE II, QUESTIONI 49 

Nel ricercare le considerazioni che hanno portato alla innovazione 
del 1865, riterrei quindi un po' arbitrario il ricorso a facili schemetti 
ideologici, e piuttosto preferirei formulare altre ipotesi: la pi� semplice 
potrebbe essere quella che i pochi �addetti ai lavori� dell'epoca, avendo 
dinanzi a s� un territorio ben poco urbanizzato (le grandi citt� a quel 
tempo avevano pi� o meno duecentomila abitanti) e prevedendo di costruire 
opere infrastrutturali soprattutto nel Meridione, neppure si siano 
resi conto della cospi�ua differenza tra i criteri stabiliti dalle � lettere 
patenti� albertine e il �nuovo� testo dell'art. 39; e quindi abbiano ritenuto 
convienente aoquisire, a prezzo relativamente modesto, il � consenso 
� della :PTopriet� fondiaria agraria ed urbana alla � grande avventura
� (all'epoca era tale) della unificazione nazionale. 

Della inadeguatezza dell'art. 39 il legislatore nazionale si rendeva conto 
alcuni anni dopo, non a caso in relazione ad un intervento pubblico 
all'interno di aree urbane. La nota legge n. 2892 del 1885 per Napoli 
(ma essa � stata prontamente applicata anche in altre citt�, ad esempio 
per lo �sventramento� del �mercato vecchio�, oggi piazza della Repubblica, 
a Firenze), altro non dispone se non un parziale ritorno alle � lettere 
patenti� albertine: la �media� prevista da quella legge -e che 
oggi seppur con qualche diversit�, ha ispirato il d.d.l. Nicolazzi n. 475 
Atti Senato IX legislatura (12) -�, a ben vedere, solo un mix, una 
miscela, tra il criterio del reddito effettivo o catastale (poco rileva 
se coacervato o capitalizzato) adottato dalle �lettere patenti� e la ricostruzione 
in esito ad apprezzamento tecnico-induttivo dell'ipotetico 
�prezzo come se�, alias valore venale, prevista dall'art. 39 della legge 
del 1865. Apparentemente una soluzione di compromesso, in realt� una 
soluzione che ha perpetuato la �rimozione�, l'accantonamento della 
problematica relativa ai �contenuti� della propriet� urbana, senza nep-� 
pur esigere la contropartita di una cospicua riduzione dell'ammontare 
degli indennizzi (anche perch� la componente affidata al � giudizio dei 
periti � � stata sovente chiamata a riassorbire almeno in parte le eventuali 
sottovalutazioni derivanti dall'altra componente). 

Resta il fatto che la legge per Napoli -ancorch� insufficiente nel 
definire i � contenuti � della propriet� -si � rivelata normativa meno 
peggiore dell'art. 39; al punto che alle soglie degli anni Settanta del 
nostro secolo essa \"" per effetto delle numerose note leggi che la richiamavano 
-operava pi� frequentemente di quanto non operasse 
l'art. 39. Sicch�, soltanto un fatto di �tecnica legislativa�, quale il for


(12) Hanno utilizzato � medie � simili a quella recentemente proposta, ad 
esempio l'art. 7 della legge 3 gennaio 1963 n. 3 per Siena (richiamato dalla legge 
23 febbraio 1968 n. 124 per rbino), l'art. 23 della legge 16 febbraio 1958 n. 126 
in tema di strade, la legge 24 marzo 1932 n. 355 relativa al P.R.G. di Roma, la 
legge 10 febbraio 1936 n. 1208 per il quartiere di S. Croce in Firenze. 

JO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

male modo di esprimersi dei testi legislativi, ha finito per conservare 
alla legge del 1865 l'immeritata e, a ben vedere, ingiustificata � aureola� 
di legge fondamentale. Ed una meditata analisi delle conseguenze eliminatorie 
della sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale dovrebbe 
condurre la giurisprudenza -al presente ancora non � consolidata � a 
dar rilievo piuttosto alla esigenza sostanziale di recupero dell'ambito 
di effettiva applicazione della legge per Napoli, che allo � accidente � 
della � tecnica legislativa � utilizzata dalle leggi di estensione di tale 
ambito. 

Del resto, la Corte costituzionale ha, nella sentenza 23 aprile 1974 

n. 107 (punto 8), affermato il principio che la caducazione per illegittimit� 
costituzionale di una disposizione legislativa travolge anche l'effetto 
di abrogazione che la stessa aveva prodotto sulla normativa previgente; 
dal che consegue il � ripristino � di detta normativa. La affermazione, 
oltre che rilevante per la autorevolezza della Corte da cui 
proviene, � anche palesemente esatta. L'effetto di abrogazione � conseguenziale 
al sovrapporsi sulla normativa previgente della nuova disciplina 
ritenuta dal legislatore ordinario pi� consona alle mutate esigenze della 
collettivit�. Se questa nuova disciplina � dichiarata incostituzionale viene 
meno l'intero intervento modificativo dell'ordinamento, senza che possa 
separarsi e lasciar sopravvivere uno degli effetti dell'intervento stesso. 
N� pu� distinguersi -identiche essendo la ratio e la dinamica dell'effetto 
di abrogazione -tra l'ipotesi in cui esso sia implicitamente prodotto 
e l'ipotesi in cui esso � prodotto da disposizione esplicita ad hoc; 
in questa seconda ipotesi, se la Corte costituzionale non provvede quanto 
meno ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87 (eventualmente 
anche ex art. 21 delle norme integrative 16 marzo 1956), la relativa 
questione pu� essere esaminata dal Giudice ordinario (in senso lato). 
Ovviamente non in tutte le situazioni il criterio di massima test� 
enunciato pu� essere seguito; ogni meccanicismo in un argomento delicato 
quale quello in esame sarebbe poco congruo. Pu� cos� accadere 
che, per il contenuto stesso della sentenza dichiarativa della illegittimit� 
costituzionale e/o per il contesto normativo circostante la disposizione 
caducata, in luogo dell'effetto di � ripristino � anzidetto, si produca un 
effetto di espansione di altre disposizioni. 

Come si � accennato, ad un mix non lontano da quello previsto dalla 
legge per Napoli pare orientato il testo elaborato dalla VIII commissione 
del Senato, testo che peraltro in molti punti si rivela poco soddisfacente. 
Per il momento mi soffermo su un punto, e cio� sui � tagli� 
previsti nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 1 ( � l'importo cos� 
determinato � ridotto di un terzo�) e nel secondo comma dell'art. 2 
(�ridotto di due terzi�). Per come sono state scritte, queste disposizioni 
danno a vedere di operare una parziale � sottrazione di valore � 

I

non adeguatamente sorretta da razionale giustificazione o, secondo altra r 

! [ 

I 

! 


PARTE II, QUESTIONI J1 

lettura, una imposizione patrimoniale anomala priva dei connotati prescritti 
dall'art. 53 Cost. (generalit� e rapporto con la �capacit� contributiva
�); esse appaiono dunque prevedibili �bersagli� per giudizi di 
legittimit� costituzionale, e persino �vittime� da eventualmente sacrificare 
per salvare un mix nel quale implicitamente si d� a vedere di 
non credere appieno. Laddove invece una maggiore consapevolezza della 
consistenza scientifica di criteri ancorati al reddito attuale o pregresso 
potrebbe suggerire soluzioni atte a conferire a criteri siffatti un � peso � 
maggiore del 50 % (teorico) ipotizzato. Molte le soluzioni pensabili; ad 
esempio, potrebbe pensarsi ad un mix composto da tre entit� (con pari 
�peso�): reddito catastalmente determinato (ovviamente quale risultante 
dall'applicazione dei coefficienti di rivalutazione), reddito effettivo netto 
del quinquennio precedente l'approvazione del progetto moltiplicato per 
due o per tre (con facolt� per l'espropriante di dimostrare l'eventuale 
frode), e �prezzo come se� apprezzato dai periti. Un mix cos� composto 
potrebbe condurre a risultati pratici (in termini di onere globale per 
la collettivit�) non lontani da quelli cui pervengono i �tagli� anzidetti, 
senza per� incorrere nella �rozzezza� e fragilit� di essi (va peraltro 
rammentato che una decurtazione del 25 % � rinvenibile dall'art. 12 
della legge n. 1676 del 1960 relativa alla costruzione di abitazioni per 
lavoratori agricoli). 

Qualche parola dovrebbe a questo punto essere dedicata a quei 
provvedimenti legislativi (r.dJl. n. 3267 del 1923 sui boschi, r.d.1. n. 1606 
del 1926 sulla O.N.C., r.d.1. n. 215 del 1933 sulla bonifica integrale) che 
hanno adottato criteri di indennizzo basati esclusivamente sul reddito 
(o minor reddito) dei terreni espropriati. Poich� per� si tratta di norme 
a portata circoscritta e praticamente esaurita, mi limiter� ad una osservazione 
che qualcuno potr� ritenere �maliziosa�:� quando si tratta di 
�pagare le tasse� la propriet� (sia fondiaria che di qualsiasi altro tipo) 
si batte perch� sia considerato il reddito e soltanto il reddito; quando 
si tratta di ricevere l'indennit� di espropriazione la propriet� si batte 
perch� sia considerato il valore-capitale e soltanto questo, salvo variazioni 
e complicazioni nei casi in cui l'espropriazione �serve� direttamente 
ad altri privati, per solito imprenditori. 

* * * 

4. -L'osservazione �maliziosa� test� fatta conduce naturaliter a parlare 
dei tentativi di collegare l'indennit� di espropriazione al valore imponibile 
determinato ai fini di una imposizione di tipo patrimoniale. 
Un primo tentativo si � avuto in era giolittiana, con l'art. 9 della legge 
11 luglio 1907 n. 502 per la citt� di Roma. Ivi si disponeva che �il Municipio 
di Roma � autorizzato a espropriare le aree fabbricabili comprese 
nel perimetro del nuovo piano regolatore a un prezzo corrispondente al 
valore dichiarato dal proprietario delle aree agli effetti della tassa sulle 

f2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

aree stesse... � (introdotta per tutto il territorio nazionale con legge 
8 luglio 1904 n. 320). 

La disposizione, rimasta nell'ordinamento fino al 1923 -anno in cui 
la tassa sulle aree fabbricabili � stata soppressa e sostituita da contributi 
di miglioria -, ha avuto non frequente applicazione, anche per la 
forte litigiosit� originata dal tributo cui essa si collegava. 

Pressoch� nulla applicazione ha avuto la semi-ignorata analoga disposizione 
contenuta nell'art. 13 della legge 5 marzo 1963 n. 246 istitutiva 
dell'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili. Tra 
l'altro, in relazione a questa disposizione era obiettato che la � minaccia 
di esproprio � costituiva una � artificiosa alterazione del normale equilibrio
� di una imposizione, che non era stata prevista l'ipotesi della 
omessa dichiarazione da parte del contribuente, e che comunque si stabiliva 
un distacco temporale troppo ampio tra momento cui la dichiarazione 
si riferiva e momento dell'espropriazione. 

Come noto, recentemente una proposta legislativa simile a quella 
prevista dalla ricordata legge del 1907 � stata avanzata, ma ha incontrato 
un pressoch� generale rifiuto. Del resto, sia la legge del 1907 
che quella del 1963 avevano posto disposizioni solo facoltativamente utilizzabili 
(e solo ad iniziativa dei Comuni), non disposizioni di necessaria 
e generale applicazione. 

Di necessaria applicazione -e quindi concretamente applicato l'art. 
18 della legge 21 ottobre 1950 n. 841 sulla riforma agraria, ove 
per� l'indennit� era collegata ad una vicenda fiscale straordinaria e 
perci� puntuale nel tempo, quale l'imposta straordinaria progressiva 
sul patrimonio -istituita nel 1947. 

Se si prescinde da quest'ultima legge -di � grande riforma � pu� 
dirsi che i criteri di determinazione dell'indennit� collegati ad 
imposizioni di tipo patrimoniale si sono rivelati marginali e poco praticabili; 
la adozione di criteri siffatti appare poco consigliabile anche 
perch� essi effettivamente turbano la struttura ed i meccanismi dell'imposta 
cui essi sarebbero agganciati e lasciano spazio troppo ampio alla 
� inventiva� fraudolenta. 

Peraltro, qualche opportunit� potrebbe presentare una considerazione, 
in sede di determinazione della �indennit�, del corrispettivo dichiarato 
in contratto di trasferimento dell'immobile espropriato quando tale 
corrispettivo � ritenuto inferiore al � congruo � da accertamento del 
� valore venale � compiuto ai fini dell'imposizione di registro; non opportuna 
invece -aggiunge subito -una considerazione del corrispettivo 
fatturato ai fini LV.A., il quale (specie quando la operazione 
� effettuata tra imi;irenditori) � poco o punto affidabile e per di pi� 
sottratto a rettifica fiscale. 

Una considerazione -al limite parziale (ad esempio, � l'indennit� 
non pu� essere inferiore ai tre quarti del prezzo ... ecc.�) -del predetto 



PARTE II, QUESTIONI 

corrispettivo fiscalmente controllato potrebbe costituire un correttivo 
all'applicazione di criteri basati esclusivamente o pq:~valentemente sul 
reddito (effettivo e/o catastale); un correttivo utile a smussare qualche 
punta di pi� evidente sacrificio (si pensi alla ipotesi di un immobile 
acquistato poco tempo prima della sua espropriazione) (13). 

Non opportuno sarebbe, per contto, riconoscere un analogo correttivo 
in relazione alle valutazioni fiscali per l'applicazione della INVIM 
decennale; tali valutazioni -che oltretutto neppur si traducono in 
�valori di libro� -non offrirebbero adeguate garanzie di affidabilit� 
se caricate di significati extrafiscali. 

* * * 

5. -Sin qui si � trattato dei criteri di determinazione dell'indennit� 
in termini astratti e generali. Un discorso che si fermasse a questo 
punto sarebbe. affetto da quelle insufficienze e lacunosit� che, all'inizio 
di questa relazione, si sono contestate al legislatore del 1865. D'altro 
canto, un discorso che scendesse ad analizzare i vari e mutevoli � contenuti
� delle propriet� (al plurale), oltre a risultare non comprimibile 
nelle dimensioni di questa gi� lunga relazione, con ogni probabilit� si 
smarrirebbe tra le onde delle inevitabili conflittualit� e nel mare dei 
riferimenti culturali: malgrado da molti decenni si parli di � funzione 
sociale�, non � ancora stato definito neppure se questa comprima le 
propriet� dall'esterno (formula questa giustamente ritenuta � difensiva 
della propriet� tradizionale�) o invece permei dall'interno la struttura 
e lo spessore delle propriet�. Occorre dunque circoscrivere al massimo 
il tema; e rinunciare a talune delle cautele solitamente praticate dai 
giuristi che desiderano apparire meri � tecnici �. 
Si � accennato all'inizio ai � contenuti � della propriet� urbana; ed 
in effetti qualsiasi criterio che, per la determinazione dell'indennit� di 
espropriazione, si riferisca al � valore venale � inevitabilmente impatta 
con il problema dei � contenuti � anzidetti, e -come si � detto -risulta 
carente ed incompleto se lo �rimuove� o lo ignora o lo minimizza. 
Cionondimeno, malgrado oltre un secolo di vertiginoso sviluppo 
delle citt�, ci troviamo -nella effettivit� del �diritto vivente� -privi 
di esplicite soddisfacenti indicazioni legislative dei criteri da seguirsi, 
ed ancora nelle mani del �giudizio dei periti�; quanto alla giurisprudenza 
della stessa Corte di cassazione, essa appare pi� vittima della incertezza 
della erraticit� e persino della fragilit� delle leggi, che protagonista 
di una efficace � supplenza �. A questo proposito, osservo che il sotto


(13) Diversa � la considerazione data alla � estimation faite par le service 
de domaines � o � r�sultant de l'avis �msi par la commission des op�rations immobili�res 
� dal primo alinea dell'art. 13-17 del Code de l'expropriation francese. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

titolo del nostro Convegno -� verso un nuovo diritto � -ci ricorda che 
il giurista non deve solo classificare catalogare e descrivere. 

Su queste premesse, oserei rammentare che gi� adesso -e quindi 
senza necessit� di un �nuovo diritto� scritto -l'ordinamento normativo 
pone un criterio, come si dir� �generale�, per la determinazione 
dell'indennizzo per l'espropriazione di aree inedificate o di aree sulle 
quali insistono costruzioni provvisorie o costruzioni da demolire perch� 
contrastanti con l'assetto da imprimere al territorio. Il critel'io � enunciato 
da un � triangolo � di disposizioni, due delle quali presenti ab 
origine nella legge urbanistica del 1942, ed una terza disposizione nella 

stessa legge inserita ad opera della �legge-ponte� del 1967 (e ritoccata 
dalla legge Bucalossi del 1977). 
Quest'ultima disposizione -di �diritto urbanistico�, ma con ri


flessi vistosi sul � diritto privato � che non pare siano stati ancora 
apprezzati appieno (14) -� posta dai commi primo, terzo e quinto 
dell'art. 41 quinquies introdotto nella legge urbanistica dall'art. 17 della 
�legge ponte�, in parte modificati dall'ultimo comma dell'art. 4 della 
legge n. 10 del 1977. Trattasi della nota disciplina degli standards generali 
ope legis, che pone � limiti � operanti in assenza degli strumenti 
urbanistici generali alla edificazione sia � a scopo residenziale � sia di 
fabbricati � produttivi �. In pratica, gli standards in questione -differenziati 
tra centri storici o di pregio ambientale ( � le aree libere sono 
inedificabili�), centri abitati perimetrati, ed aree esterne ai centri abitati 
perimetrati (queste ultime attualmente edificabili �scopo residen


m3

ziale� solo entro il limite volumetrico di 0,03 per metro quadro e 
per scopi �produttivi� entro il rapporto di copertura di 1/10) -concernono 
qualsiasi trasformazione urbanistico-edilizia ad opera di privati 
ed inoltre gran parte delle trasformazioni urbanistico-edilizie ad opera 
di soggetti pubblici. Sicch�, � consentito, anzi doveroso, affermare che 
gli standards generali definiscono ope legis la misura della edificabilit� 
in assenza di strumenti urbanistici. 

(14) Probabilmente ci� � dovuto alla cricostanza che la portata innovativa delle 
disposizioni delle quali si va a dire, introdotte dalla legge-ponte del 1967, � 
stata molto presto messa in ombra da altre leggi -la n. 865 del 1971, la n. 247 
del 1974 e la n. 10 del 1977 -le quali hanno dettagliatamente disciplinato la determinazione 
dell'indennit� di espropriazione, adottando lo strumento del valore 
agricolo medio della singola regione agraria, come noto moltiplicato -per le 
aree comprese nei centri urbani edificati -per alcuni coefficienti rigidamente 
stabiliti ex lege. Soluzione questa carica di intime contraddizioni logico-giuridiche 
(l'appropriazione privata dei plusvalori � al tempo stesso negata e, seppur in 
misura ridotta, riconosciuta) esplose in corso dei giudizi di legittimit� costituzionale. 
Va comunque osservato che la Corte costituzionale, se ha potuto e 
dovuto disvelare le contraddizioni di quel meccanismo, non � ancora pervenuta 
(neppure nella sentenza n. 231 del 1984) a formulare � suggerimenti � tali da 
precludere la ricerca di soluzioni meno onerose, rectius � meno impossibili �, 
dell'integrale ristoro. 

PARTE II, QUESTIONI 

Nessuna propriet� fondiaria ha dunque in s� -a far tempo dal 
1967 -un quantum di edificabilit�, di suscettivit� edificatoria, superiore 
a quella prescritta dagli standards generali ope legis; solo entro i � limiti 
� quantitativi da tali standards fissati pu� parlarsi della edificabilit� 
come � naturale � attributo della propriet� fondiaria. Con ogni riserva 
-s'intende -su quell'aggettivo �naturale �: giustamente ha scritto 
Bentham (15) che � non esiste propriet� naturale, la propriet� � in 
tutto e per tutto creatura della legge�; a maggior ragione non esiste 
-sul piano filosofico -una edificabilit� naturale. 

� stato rilevato (16) �Che la legislazione regionale non pu� modificare 
gli standards urbanistici generali in melius (per i proprietari); a rigore, 
per vero, una competenza legislativa regionale in materia dovrebbe essere 
esclusa del tutto, in relazione alla incidenza diretta di detti standards 
sulle �propriet� private� oltre che e prima che sulla disciplina urbanistica.. 


Ovviamente, da quanto test� detto discende automaticamente -e 
senza necessit� di roboanti proclamazioni circa una totale scissione dello 
jus aedificandi dalla propriet� fondiaria -che tutta la edificabilit� � in 
pi� � consentita dalla approvazione degli strumenti urbanistici generali � 
�costituita>>, � �creata� da questi (17). 

Non avvertito ancora con la necessaria chiarezza e consapevolezza 
� che la � delegificazione � dei piani regolatori generali operata essen


(15) Principles of the civil code, in The works (a cura di J. Bowring), 
Edimburgh, 1859, vol. I, 308. 
(16) PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977 n. 10, Giuffr�, 1977, 42; ITALIA, in 
La nuova legge sui suoli, Giuffr�, 1977, 11; CARULLO, L'edificabilit� dei suoli, 
CEDAM, 1983, 88. 
(17) Giustamente ha osservato P. STELLA RICHTER, nella pi� interessante monografia 
di diritto urbanistico, pubblicata in questi anni (Profili funzionali dell'urbanistica, 
ed. Giuffr�, 1984, 80), che �oramai, per diritto positivo, il piano 
regolatore non pu� pi� essere considerato un atto che pone limiti ad una propriet� 
altrimenti tendenzialmente illimitata, ma -proprio al contrario -uno 
strumento necessario. per sbloccare una situazione di partenza rigorosamente 
costretta; il rovesciamento di rapporti in tal guisa attuato dal legislatore �si � 
rilevato assai importante per .... avviare il lungo cammino verso l'attuazione di 
una rete completa di piani regolatori su tutto il territorio nazionale �. 
Ancor pi� chiaramente lo stesso Autore ha scritto (ivi, 135): �L'idea di 
una edificabilit� libera da parte del proprietario, nel rispetto delle eventuali limitazioni 
introdotte dalla disciplina urbanistica per fini generali, non trova pi� 
riscontro nel sistema della normativa vigente; oggi il piano regolatore si atteggia 
sostanzialmente come atto che attribuisce facolt� di edificare ai proprietari, 
piuttosto che come atto che comprime o sopprime tali facolt�. L'edificabilit� � 
propriamente uno dei possibili effetti del potere conformativo della propriet�, 
che si esercita in sede di pianificazione urbanistica �. Nello stesso senso, in pre 
cedenza, SPANTIGATI, Manuale di diritto urbanistico, Giuffr�, 1969, 216; cfr. anche 
AMOROSINO, Vincoli urbanistici ed indennit� di esproprio, in Riv. giur., ed, 1984, 
II, 248. 



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56 R.\SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

zialmente dalla legge urbanistica del 1942 ha dato origine ad una diso


I f 
mogeneit� giuridica, che non poco influisce sull'approccio ai temi dei 
�contenuti� delle propriet� e (di riflesso) della determinazione dell'indennit� 
di espropriazione, tra diritti di propriet� fondiaria riconosciuti 
direttamente dalla legge e per definizione tendenti alla perpetuit� ed alla 
assolutezza -attributi questi �divini� e perci� �terribili� (come rile


II 
vato da Beccaria e oggi da Rodot�) -e prescrizioni poste dagli strumenti 
generali di pianificazione urbanistica le quali, proprio perch� 
espresse da atti di amministrazione, appaiono caduche ed agevolmente 
modificabili anche quando non sottoposte a limite prestabilito di durata. 
Ora, questa disomogeneit� pu� ritenersi in qualche misura superata e 
risolta, per certi versi con un ritorno alla situazione che si aveva 
quando i piani regolatori erano approvati con legge (talvolta includente 
disposizioni speciali ad hoc in tema di espropriazione), nel momento 
in cui quello stesso legislatore ordinario statale, cui la Costituzione 
ha assegnato il compito di � riconoscere e garantire � la propriet� privata 
e di determinarne �i limiti allo scopo di assicurarne la funzione 

~:~ 

sociale e di renderla accessibile a tutti�, ha fissato -appunto ape tl=i

>.:

legis -limiti � quantitativi � alla edificabilit� � naturale � ed ha stabilito 
che la edificabilit� �in pi�� non � �naturale� alla propriet� ~! 
fondiaria ma � �costituita� dagli strumenti urbanistici generali. 


lll

Il secondo degli angoli del �triangolo� cui si � accennato dianzi 
� dato da una disposizione che in quasi mezzo secolo � rimasta un . :: 
po' in ombra, tanto che essa � raramente menzionata nei repertori di 
giurisprudenza (per solito per escluderne l'applicabilit� al caso sub 

judice) ed � distrattamente commentata dagli scrittori: alludo all'art. 38 
della legge urbanistica del 1942, articolo che -come noto -recita 
� per la determinazione dell'indennit� di espropriazione delle aree di cui 
all'art. 18 �, ossia delle aree inedificate e delle aree su cui insistano 
costruzioni provvisorie o contrastanti con la destinazione di zona, �non 
si terr� conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente 
che indirettamente all'approvazione del p.r.g. ed alla sua attuazione �. 

Trattasi di una disposizione antica, specie se si tiene conto dei suoi 
precedenti storici: l'art. 4 secondo comma e l'art. 5 del r.d.1. 6 luglio 1931 

n. 981 di approvazione del piano regolatore della citt� di Roma (leggermente 
diversa la form.lazione contenuta nell'articolo unico del r.d.1. 
5 settembre 1938 n. 1623 modificativo delle leggi sui piani regolatori 
di Milano e di Como); di una disposizione che pu� ritenersi persino 
ultrasecolare se si considera che essa applica ed estende il principio 
enunciato nell'art. 42 della legge sulle espropriazioni n. 2359 del 1865. 
A questo proposito � doveroso rammentare anche gli artt. 4 e 5 
della legge 5 aprile 1908 n. 141 di approvazione del piano regolatore 
di Torino (disposizioni poi riprese da altre leggi, ad esempio da quella 
sul piano regolatore di Ancona). Il secondo di questi articoli, e cio� 



PARTE II, QUESTIONI J7 

l'art. 5, enuncia il criterio -poi adottato anche dall'art. 4 secondo 
comma della legge n. 981 del 1931 test� citata -secondo cui l'indennit� 
di espropriazione delle aree destinate a strade e piazze � dovr� sempre 
ragguagliarsi al puro valore del terreno considerato indipendentemente 
dalla sua edificabilit��. L'art. 4 � andato molto pi� in l�, e ha prescritto 
(si noti, senza seguito di controversie) la cessione gratuita di suoli al 
Comune (18). 

L'art. 38 della legge del 1942 ha dunque precedenti significativi. 
Esso detta un criterio il cui ambito di applicazione deve ritenersi ormai 
divenuto �generale� (questo � un passaggio parecchio importante e 
delicato), nel senso che il criterio enunciato riguarda tutte le espropriazioni 
di aree inedificate o a queste equiparate, anche quando non disposte 
(a favore dei comuni) ai sensi dell'art. 18 della legge urbanistica. 
Nell'art. 38 si parla infatti di �aree di cui all'art. 18 � e non di � espropriazioni 
di cui all'art. 18 �; e quindi n� il riferimento ai �comuni� n� 
quello alle �zone di espansione dell'aggregato urbano � hanno -a mio 
avviso -modo di operare. L'unica condizione richiesta � che le espropriazioni 
siano � dipendenti dall'attuazione dei piani regolatori�. Del 
resto, il principio di eguaglianza enunciato dall'art. 3 Cost. non pu� essere 
invocato �a senso unico�: esso necessariamente comporta -in assenza 
di ratio particolare o di esplicita disposizione -anche una sia pur 
tendenziale eguaglianza tra soggeti esproprianti (19). 

Nei confronti di tutti i soggetti esproprianti il criterio � estimativo � 
tende dunque ad essere unitario; e deve preferirsi una interpretazione 
che, in conformit� con l'art. 3 Cost., assegni una portata � generale � al 
criterio, del resto equo e razionale, posto dall'art. 38. 

(18) Giova rammentarne il testo: �Addivenendosi dalla citt� di Torino alla 
formazione e sistemazione di nuove vie, o piazze, o corsi, compresi nel piano 
generale edilizio, sar� dovuto, in conformit� di quanto � sancito dall'articolo 77 
della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per causa di utilit� pubblica, 
dai proprietari confinanti o contigui il contributo seguente: 
-ciascuno dei proprietari confinanti con le nuove vie, con le piazze e coi 
corsi, dovr� cedere gratuitamente alla citt� il suolo stradale per la larghezza di 
metri nove per ogni fronte di cui sia proprietario, e, qualora egli non abbia 
la propriet� di detto suolo, sar� tenuto a rimborsare alla citt� il prezzo che 
questa dovr� pagare per rendersene cessionaria; per le vie di larghezza inferiore 
ai diciotto metri l'obbligo della cessione del suolo o del rimborso del prezzo 
resta ridotto alla met� della larghezza effettiva della via, sempre per ognuna 
delle due. fronti ... 

-i proprietari di terreni sui quali, oltre alle vie e piazze, o corsi, siano 
nel piano generale edilizio progettati portici, dovranno, oltre i contributi suindicati, 
lasciare, senza indennit�, libere al pubblico transito le zone destinate ai 
portici, anche prima che questi siano costruiti�. 

(19) Ci� � stato avvertito anche dalla Corte di cassazione nella ordinanza 
27 marzo 1985 di rimessione alla Corte costituzionale del dubbio sulla costituzionalit� 
dell'art. 17 della legge n. 865 del 1971. 

J8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Per dimostrare che questo criterio � equo e razionale non pare 
indispensabile ripercorrere una volta di pi� le decine di migliaia di 
pagine scritte da economisti e da giuristi in tema di sviluppo delle citt� 
e rendita fondiaria (nelle sue varie sottospecie, �di posizione�, �di 
destinazione�, ecc.) (20). Mi limito molto brevemente a constatare che 
il mutamento di destinazione (Nutzungswechsel) prodotto da un fenomeno 
collettivo tanto complesso e costoso quale l'espansione della citt� 
costituisce una � esternalit� positiva � (21) rispetto alle singole, pi� o 
meno minuscole, propriet� individuali, costituisce cio� qualcosa che a 
queste non attiene ab origine (e che neppure � stato ad esso aggiunto 
dall'opera del proprietario). I conseguenti incrementi di valore sono 
creati dagli � altri � ed altrove, fuori dai confini territoriali delle singole 
propriet�; negarne l'appropriazione privata da parte del proprietario � 
quindi solo impedire che attraverso detti confini si immetta un quid 
estraneo ai � contenuti � originari delle propriet� stesse, impedire che 
la collettivit� degli � altri >>, degli � esclusi >>, paghi una ricchezza che 
essa stessa ha creato dal nulla. 

L'art. 38 � -appunto -coerente all'orientamento che �riconosce 
carattere espropriativo (soltanto) a quegli interventi sulla propriet� non 
importa se aventi o meno una efficacia generale -i quali impediscano 
al proprietario l'utilizzazione in atto del suo bene � (22); e taH 
oggettivamente non sono gli interventi progettati dagli strumenti urbanistici 
per lo sviluppo urbano. 

Il terzo angolo dell'immaginario � triangolo � � dato dal primo com


ma dell'art. 7 della legge urbanistica. Questa disposizione, gi� nella 

originaria stesura del 1942 ha proclamato che i piani regolatori �devono 

(20) Rammento unicamente la raccomandazione approvata dalla Conferenza 
della O.N.U. sugli insediamenti umani tenutasi a Vancouver nel giugno 1976: 
� Profitti eccessivi risultanti dall'accrescimento del valore dei terreni dovuto 
all'urbanizzazione ... sono una delle cause di concentrazione della ricchezza in 
mani private; la fiscalit� deve essere considerata ... anche come strumento ... 
per esercitare un controllo sul mercato fondiario e per redistribuire all'insieme 
degli abitanti i benefici degli accrescimenti non guadagnati del valore dei 
terreni�. 
Come noto, largo spazio all'argomento della formazione del valore delle aree 
� stato dedicato da MARSHALL nei suoi Principi di economia (trad. it., UTET, 
1972). Egli ha enunciato la contrapposizione tra �valore privato>>, formato 
per l'opera e la spesa del proprietario, e � valore pubblico >>, formato per l'azione 
di soggetti diversi dal proprietario. 

(21) � ... la citt� � il regno delle esternalit� e dei beni pubblici, e quindi 
il meccanismo del mercato � tanto pi� incapace di fornire una allocazione 
efficente delle risorse quanto pi� si basi su un assetto istituzionale in cui campeggi 
la figura tradizionale della propriet� privata � (GAMBARO, La propriet� 
edilizia, in Trattato di diritto privato, UTET, VII, 1982, 486). 
(22) D'ANGELO, Limitazioni autoritative della facolt� di edificare e diritto 
all'indennizo, Morano, 1963, 181. 

PARTE II, QUESTIONI f9 

considerare la totalit� del territorio comunale�. Dopo gli interventi legislativi 
degli anni Settanta (ed in particolare dopo la legge n. 10 ed il 

d.P.R. n. 616 del 1977) quello ci.ella globalit� � divenuto connotato pacifico 
della pianificazione urbanistica, con superamento dei limiti impliciti 
nell'art. 1 della legge del 1942. 
Quotidianamente si usa la espressione �governo del territorio�, che 
appunto sintetizza un metodo unitario e totalizzante di amministrazione. 
Conseguentemente, tutte le trasformazioni edilizie ed urbanistiche, anche 
-e prime fra tutte -quelle da prodursi mediante opere pubbliche, 
coinvolgono la pianificazione urbanistica (2), e si traducono o in previsioni 
di piano regolatore (eventualmente espresse da '�varianti�) o, nei 
casi e nei modi previsti dalla legge (e -s'intende -dalla Costituzione), 
in provvedimenti statali di pianificazione territoriale per cos� dire sovraordinata 
a quella elaborata in sede locale e regionale (mi riferisco 
a provvedimenti di cosiddetta �urbanistica statale�, sui quali egregiamente 
hanno scritto De Lise e Cerulli Irelli (24). 

Dunque, tutte o quasi tutte le utilizzazioni del territorio eccedenti 
la edificabilit� �naturale� della propriet� fondiaria (quale fissata dagli 
standards ape legis) transitano attraverso la pianificazione urbanistica 
e quindi, per definizione, � dipendono dall'attuazione � di strumenti urbanistici 
generali �costitutivi� della edificabilit� �in pi��; e tutte queste 
utilizzazioni del territorio conseguentemente rientrano nell'ambito di 
applicazione dell'art. 38. Il � triangolo � cos� si chiude, e si costruisce 
a sistema: un sistema che � riconosce e garantisce � un livello quantitativo 
di edificabilit� � naturale � intrinseca a tutta la propriet� fondiaria 
ed � quindi pi� soffice del drastico (e non caducato) penultimo comma 
dell'art. 16 della legge n. 865 del 1971 che recita �nella determinazione 
dell'indennit� non deve tenersi alcun conto dell'utilizzabilit� dell'area 
ai fini dell'edificazione�; un sistema che per� -al tempo stesso assegna 
agli strumenti urbanistici generali una efficacia �creativa� delle 
edificabilit� ulteriori. Si consenta di osservare che, forse, se la sommariamente 
descritta portata implicita della disciplina degli standards urbanistici 
generali fosse stata apprezzata appieno fin dal 1967, si sarebbe 
potuto evitare di caricare l'istituto della � concessione edilizia � di compiti 
innovativi che esso si � rivelato non in grado di sopportare da solo. 

Si potr� osservare il sistema test� proposto perviene -quanto 
alla incidenza del valore di edificabilit� ai fini della determinazione 
della indennit� di espropriazione -ad una soluzione per molti versi 

(23) SoRACE, L'espropriazione per pubblica utilit�, in N.mo Dig. Jt. (appendice), 
par. 7, e giurisprudenza ivi citata nella nota 15. 
(24) DE LISE, Disciplina urbanistica e opere pubbliche, in Studi per il centocinquantenario 
del Consiglio di Stato, Il, Poligrafico, 1981, 917; CERULLI IRELLI, 
Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, Riv. trim. dir. pub., 1985, 
386. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

60 

simile a quella risultante in Francia per effetto riflesso della normativa 
sul plafond l�gal de densit� (come noto rapporto tra superfice dell'area 
e superfice calpestabile dell'edificato, rapporto fissato in 1: 1 per tutta 
la Francia, eccettuata Parigi ove � di 1: 1,5) (25). 

In effetti � proprio cos�, la soluzione logico-giuridica cui si mira 
� la stessa, anche se la edificabilit� � naturale � riconosciuta dai nostri 
standards urbanistici generali � quantitativamente inferiore a quella 
riconosciuta in Francia dal plafond. Non desidero anticipare quanto 
meglio di me domani probabilmente in proposito sar� detto nelle relazioni 
sui profili comparativistici; mi limito solo a ricordare che la 
alinea 2 del II paragrafo dell'art. 13-15 del code de l'expropriation (per 
tale parte emanato con decreto n. 77 -392 del 28 marzo 1977) chiaramente 
stabilisce (la traduzione � mia): �nella valutazione dei terreni 
qualificati edificabili ai sensi del comma precedente, le potenzialit� di 
edificazione non possono essere considerate superiori a quelle che risultano 
dal limite legale di densit�� (ossia dal plafond l�gal de densit�). 
Poche parole; ma quanto incisive! 

Altro vi sarebbe da dire -sempre rimanendo in tema di diritto 
francese -sulla qualificazione di un terreno come edificabile: osservo 
soltanto che la nostra Corte costituzionale sembra aver avuto ben presente 
anche l'anzidetto art. 13-15, quando, nella sentenza n. 231 del 1984, 
ha aderito all'opinione secondo cui l'edificabilit� �pu� essere desunta, 
oltre che dall'ubicazione dell'area nel centro abitato, dall'esistenza di 
strade pubbliche, nelle immediate adiacenze di collegamento con il 
nucleo urbano, dalla presenza di servizi pubblici necessari alla vita 
cittadina, e da altri analoghi e puntuali elementi di valutazione�. Dovrebbe 
comunque restare fermo, come rilevato dalla Corte di Cassazione 
francese (26), che il giudizio sulla qualificazione di un'area come 
edificabile � separato (e preliminare) rispetto al giudizio per la determinazione 
dell'indennit�, e che in questo secondo giudizio opera il 
limite da plafond (come in Italia potrebbe operare il limite da standards). 

Va comunque osservato come poco opportuna, oltre che poco corretta 
sul piano logico, sia una normativa che, per la determinazione 
dell'indennit� di espropriazione, poggi sulla distinzione tra �aree edificabili 
� e � aree agricole �. Purtroppo, per un motivo contingente e tutto 
considerato futile (l'aver la Corte costituzionale censurato solo i criteri 
dettati dal legislatore per le aree edificabili), il menzionato testo elaborato 
dalla VIII commissione del Senato proprio questo fa: se detto 
testo avesse a divenir legge, la preliminare qualificazione dei singoli 
terreni, oltre ad ingenerare un voluminoso contenzioso, darebbe parvenza 

(25) � Au-del� du plafond l�gal de densit� l'exercice du droit de construire 
rel�ve de la collectivit� � (art. L 112-1 del Code de l'urbanisme). 
(26) Nella sentenza 3 marzo 1983, riportata in Rass. Avv. Stato, 1984, I, 666. 

61

PARTE II, QUESTIONI 

di legittimazione e diseguaglianze poco o punto giustificate (si pensi a 
quella iniqua � stortura � che � la attuale disciplina della � indennit� 
aggiuntiva� a favore dei coltivatori) e potrebbe in prospettiva divenire 
strumento di aggiramento e svuotamento del criterio della � edificabilit� 
legale� enunciato nel secondo comma dell'art. 1 (criterio del quale 
tra breve si dir�). 

In realt�, la contrapposizione tra � edificabili � e " agricole � � irrazionale: 
nessun terreno � interamente ed illimitatamente edificabile, e solo 
per pochi terreni la edificabilit� � totalmente e definitivamente da escludersi. 
La edificabilit� va da un minimo (tendente a zero) ad un massimo 
(tendente all'infinito), con una gamma a sua volta pure infinita di situazioni 
quantitative intermedie; la edificabilit� � dunque una misura quantitativa, 
non una categoria concettuale qualitativa. Logica ed equit� 
concordemente impongono di stabilire frontiere quantitative (27), corne 
gi� si � fatto per gli standards e per il plafond, e come pu� farsi riconoscendo 
piena rilevanza, ai fini della determinazione della indennit� de qua, 
a tutto l'armamentario quantitativo gi� disponibile negli strumenti urbanistici 
(28). 

* * * 

6. -Ovviamente la ricostruzione " di sistema � q'ui prospettata non 
vale di per s� ad assicurare il rispetto del principio di eguaglianza: necessariamente, 
il piano regolatore � crea � edificabilit� � in pi� � per alcuni 
proprietari soltanto e non per tutti. Ma la disuguaglianza ha origine e 
causa nello strumento urbanistico, che del resto per sua natura persegue 
(27) Del resto in una operazione di delimitazione in termini quantitativi 
si concreta la individuazione e separazione del development value largamente 
praticata negli U.S.A., che precede il distacco -ivi operato con strumenti 
pi� spesso contrattuali che legislativi -del development right (noi diremmo 
ius aedificandi). E quantitativa, da noi, la nozione di aree edificabili rinvenibile 
nella legge 5 marzo 1963 n. 246. 
(28) Non pare sia stato fatto finora un esercizio di comparazione tra 
evoluzione della disciplina in materia di edificazione privata ed ev�luzione 
della disciplina in materia di acque, risorsa quest'ultima -come il � territorio 
� e in genere lo " spazio� -scarsa rispetto ai bisogni della (o delle) 
collettivit� e suscettibile di plusvalori determinati dallo sviluppo economico. 
La ��pubblicizzazione� di tutte le acque che �abbiano od acquistino attitudine 
ad usi di pubblico generale interesse � ed il connesso venir meno 
dei diritti � perpetui � di derivazione, � vicenda che i fragori della prima guerra 
mondiale hanno attutito ma che ha inciso non poco sulla propriet� fondiaria; 
e la anzidetta � attitudine � � sovente correlata ad una valutazione comparativa 
(talvolta operata da documenti di pianificazione) di dati quantitativi relativi 
da un lato ai bisogni � di pubblico generale interesse � e �d'altro lato 
alle risorse idriche concretamente disponibili. Persino la normativa in tema 
di oneri per le opere idrauliche, con la nota classificazione di cose, presenta 
qualche aspetto comparabile con la normativa in tema di opere di urbanizzazione. 

62 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

proprio lo scopo di discriminare e selezionare le aree per le diverse 
destinazioni, non ha origine e causa nella determinazione dell'indennit� di 
espropriazione. Non � all'interno di questa indennit� che pu� essere ricercata 
ed assicurata la �uguaglianza� tra i proprietari cui si consente di 
costruire ed altri proprietari (29). 

Su questo punto -parecchio importante -sia consentito esprimere 
un rispettoso ma netto dissenso, sul piano logico-giuridico, rispetto a 
qualche brano della sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale. 
Ivi si fa un ricorso pervero eccessivo e poco pertinente all'art. 3 Cost.; 
col risultato di allineare �verso l'alto� il trattamento da garantire a tutti 
i proprietari fondiari, e cio� di considerare non solo edificabile, ma addirittura 
edificabile per la pi� vantaggiosa deHe destinazioni (l'edificazione 
privata ad elevata intensit�), ogni e qualsiasi centimetro quadrato del 
territorio. Quasi che fosse possibile costruire dovunque, a tappeto, concretamente 
senza necessit� di strade, spazi pubblici, di opere di urbanizzazione, 
di infrastrutture di uso collettivo; quasi che la citt� non fosse 
un luogo sociale, dove lo spazio adibibile al � privato � �, se si considerano 
anche le necessarie distanze tra edifici, quantitativamente molto inferiore 
a quello occorrente per il � collettivo � e per una vivibile convivenza. 
In sintesi, la �copertura� del territorio con edifici privati costituisce 
l'eccezione, non la regola; e su una eccezione non pu� costruirsi 
un parametro di eguaglianza. 

Qualcuno potrebbe avere la sensazione che quanto test� sostenuto 
sia troppo lontano dal � diritto vivente >>. Una siffatta sensazione non � 
proprio esatta. La giurisprudenza della Corte di cassazione non � univoca; 
non mancano per� pronunce nel senso qui auspicato. Ad esempio, 
la sentenza 9 agosto 1985 n. 4422 � stata cos� massimata: �Nella determinazione 
del valore di mercato di un terreno, al fine della liquidazione 
dell'indennit� di espropriazione, non deve tenersi conto dell'incidenza 
negativa dei vincoli di destinazione che vengano fissati dagli strumenti 
urbanistici nell'ambito della cosiddetta zonizzazione del territorio, e cio� 
nell'esercizio del potere di disciplinare il godimento della propriet� privata 
per assicurarne la sua funzione anche sociale, atteso che essi, a differenza 
dei vincoli preordinati a successiva espropriazione, non si traducono 
in un sacrificio di tipo ablatorio del diritto dominicale su beni 
determinati, e si sottraggono quindi al principio dell'indennizzabilit� posto 
dall'art. 42 terzo comma Cost. � (30). 

(29) � L'attivit� espropriativa non � attivit� di conformazione '� RoDOT�, 
Il terribile diritto cit., 397. Nel senso che le vicende traslative della propriet� 
(o di facolt� ad essa inerenti) �non riguardano in alcun modo la conformazione 
di questa, perch� hanno necessariamente per oggetto una propriet� 
esistente e quinCJ.i gi� conformata '" SoRACE, Espropriazione della propriet� e 
misura dell'indennizzo �, Giuffr�, 1974, 336. 
(30) La sentenza (pubblicata in Riv. giur. ed., 1985, I, 736), per pervenire 
a riconoscere rilevanza alle � destinazioni di zona� reputa utile, forse nella 

PARTE II, QUESTIONI 6J 

Nello stesso senso, la sentenza 2 aprile 1985 n. 2248 ha affermato che 
�in presenza di un preciso .strumento urbanistico, gi� in vigore od anche 
in itinere, � questo che costituisce il parametro fondamentale per l'accertamento 
del carattere agricolo o edificatorio del fondo e dei limiti 
della sua edificabilit�, pur dovendosi tener conto, per la determinazione 
del valore per i terreni destinati dal piano regolatore ad uso agricolo, 
della pi� proficua utilizzazione dei fabbricati che possono esservi costruiti, 
ancorch� nei pi� ristretti indici stabiliti per le zone agricole�. 

Ancora, la sentenza 28 gennaio 1983 n. 776 � stata co_s� massimata: 
� Ai fini della determinazione dell'indennit� espropriativa, va riconosciuta 
natura edificatoria ad un terreno originariamente agricolo esclusivamente 
quando lo strumento urbanistico ne preveda la destinazione ad opere di 
edilizia residenziale privata, ossia quando non solo ne preveda l'edificabilit�, 
ma ne consenta lo sfruttamento allo stesso proprietario, il quale, 
concorrendo ogni altra condizione, ha diritto di ottenere la concessione 
edilizia; conseguentemente, se l'unica costruzione prevista nel terreno di 
cui trattasi � quella di un'opera di interesse pubblico e generale, come 
nel caso di verde pubblico attrezzato, l'indennizzo, in caso di successiva 
espropriazione, deve tener conto unicamente della natura originariamente 
agricola del suolo�. 

ricerca di una sintesi tra i diversi orientamenti giurisprudenziali, contrapporle . 
ai � vincoli preordinati a successiva espropriazione �, col risultato di scivolare 
in obiter dieta. Comunque di detta sentenza giova riportare il brano che segue: 
� La zonizzazione opera a monte dei vincoli espropriativi, nel senso che essa, 
qualificando le singole zone in un certo modo, determina la conformazione 
giuridica degli inerenti diritti dominicali e rientra, quindi nell'area della 
riserva (relativa) di legge statuita dall'art. 42, comma 2, della Carta costituzionale, 
per garantire, mediante interventi legislativi diretti o attributivi di 
analoghi poteri (istituzionalizzati, in relazione ai programmi di fabbricazione, 
dall'art. 34 della legge urbanistica) all'autorit� amministrativa, l'aderenza della 
propriet� privata alla funzione sociale, che concorre alla sua strutturazione 
e ne. fonda la copertura istituzionale. Rispetto alle manifestazioni della potest� 
conformativa cos� intesa -le quali, proprio perch� afferiscono al regime 
giuridico e, quindi, alla fisionomia stessa del privato assetto proprietario, 
possono tradursi in provvedimenti che ne delimitano la portata, senza obbligo 
di indennizzo -il fenomeno espropriativo (nella tradizionale accezione traslativa 
o nella versione sostanzialistica della diminuzione di valore recepita 
dalla Corte costituzionale e nella quale tal.ni vincoli espropriativi vengono 
iscritti) si propone come vicenda ulteriore collegata alla concreta emersione 
di specifici interessi pubblici, variamente accertati, i quali non sono ascrivibili 
al modo d'essere astratto della propriet� privata, ma, sul presupposto, 
anzi, che essa, cos� come preventivamente conformata dai provvedimenti volti 
ad assicurarne la funzione sociale, debba, tuttavia, cedere, nei casi singoli, 
ad esigenze di interesse generale, reclamano la legittimazione del titolare e, 
dunque, il sacrificio di un diritto (la propriet�) che la legge riconosce, pur 
ammettendone la recessione, e che proprio per questo non � avocabile alla 
collettivit� senza indennizzo (art. 42, comma 3, Cost.) �. 



64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel senso test� auspicato sembra orientato, seppure con alcune ambiguit�, 
il secondo comma dell'art. 1 del gi� :ricordato testo elaborato dalla 
VIII commissione del Senato. La prima parte del comma recita � per la 
valutazione della edificabilit� delle aree si devono considerare le possibilit� 
legali ed effettive di edificazione �. La formula, oltre che non del 
tutto puntuale sul piano tecnico-legislativo (ad esempio, la � edificabilit�
� non � oggetto di �valutazione�, semmai di acclaramento), presenta 
qualche oscurit� quando usa l'endiadi �legali ed effettive� (anzich� 
solo la parola �legali�). � ben vero che in essa � usata la congiuntiva 

�e� e non la disgiuntiva �o�, per H che le parole �ed effettive� acquisiscono 
un preciso significato con riferimento alla normativa sui programmi 
pluriennali di attuazione; tuttavia non pu� escludersi che interprestazioni 
pi� favorevoli alla propriet� finiscano per assegnare a dette 
parole, col pretesto di generalizzarne la portata, un significato che attribuisca 
rilevanza alle �possibilit� effettive� ancorch� non ancora divenute 
�legali� (31). 
Non precisa � inoltre l'espressione �possibilit� ... di edificazione�. 
Tali possibilit� devono essere riferite ad un soggetto, il � privato � proprietario 
(o titolare di equivalente diritto reale); posto che in astratto 
anche la realizzazione di un'opera pubblica pu� essere ritenuta � edificazione
�, la disposizione diverrebbe ingestibile (e cio� in pratica caduca) 
se non fosse riferita soltanto alle specifiche possibilit� di � edificazione 
privata �. 

Perplessit� ancora maggiori suscita la seconda parte del comma, 
ove si legge � possibilit� ... preesistenti all'apposizione del vincolo preordinato 
all'esproprio �. Anzitutto, perch� essa utilizza una nozione tormentata 
e, tutto considerato, poco precisa, anzi di dubbia validit� concettuale 
-malgrado il grande uso che anche di recente se ne � fatto (32) qual 
� la nozione � vincolo�; le norme fondamentali della legislazione 
urbanistica poggiano piuttosto sulla nozione di � destinazione � e su 
determinazioni quantitative della edificabilit� (in termini di volumetrie 

(31) Una ambiguit� per molti versi simile si rinviene nella sentenza n. 5 
del 1980 della Corte costituzionale. In essa si legge dapprima che �il sistema 
normativo ... demanda alla pubblica autorit� ogni determinazione sul se, sul 
come e anche sul quando ... dell'edificazione� e che �relativamente ai suoli 
destinati dagli strumenti urbanistici all'edilizia residenziale privata ... l'avente 
diritto pu� solo costruire entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti 
urbanistici "� Poco dopo si qualifica �esatto � il criterio di determinazione 
dell'indennit� �in base al valore effettivo del bene esorooriato ... in relazione alle 
sue caratteristiche ed alla sua destinazione economica �. Anche l� v'� dunque 
un giuoco di aggettivi equivoci, quali � effettivo � ed � economica�. 
(32) Si allude soprattutto alla sentenza n. 92 del 1982 della Corte Costituzionale, 
commentata -per solito criticamente -da molti scrittori (tra gli 
altri, l'autore della presente relazione, con la nota Un altro colpo alla legge 
Bucalossi, n. 10 del 1977, in Rass: Avv. Stato, 1982, I, 644). 

65

PARTE II, QUESTIONI 

o di �rapporti di copertura�) che sulla noizone, molto grezza,_ di �vincolo
�. A fortiori, ancor meno corretta e meno coerente con le grandi 
linee della legislazione urbanistica � la sub-nozione cli � vincolo preordinato 
all'esproprio�: le prescrizioni urbanistiche sono tutte e parimenti 
preordinate, per definizione, all'assetto del territorio, e non pare configurabile, 
se non in termini molto empirici, una speciale categoria di 
prescrizioni urbanistiche �preordinate all'esproprio� (33). 
Quand'anche si ritenesse di superare tutti questi scrupoli concettuali 
rimarrebbero le difficolt� determinate dalle parole �preesistenti 
all'apposjzione del vincolo �. In primo luogo esse potrebbero finire per 
condizionare l'operativit� dell'intero comma: potrebbe infatti sostenersi 
che in assenza di � apposizione di vincolo preordinato � esso non si 
applica affatto, conclusione questa piuttosto grave dal momento che 
non tutto il territorio nazionale � coperto da strumenti urbanistici 
abilitati a prescrivere localizzazioni e che la durata dei �vincoli� � 
stata resa relativamente breve mediante il ripescaggio della legge n. 1187 
del 1968. In secondo luogo, esse consolidano e rendop.o perpetuo il 
vantaggio dei proprietari di aree al presente non (o non pi�) assoggettate 
a �localizzazioni�; gli strumenti urbanistici generali avrebbero 
cos� una perpetuit� �a senso unico�, sarebbero al tempo stesso temporanei 
per quanto limitano le possibilit� di edificare ed eterni per 
quanto le riconoscono. In terzo luogo, esse (le parole � preesistenti all'apposizione 
del vincolo�) sembrano ignorare completamente i programmi 
pluriennali di attuazione, e tutto quanto questi vietano ed 
impongono. Ed infine -quel che pi� rileva -tali parole, se interpretate 
alla lettera hanno una portata sostanzialmente retroattiva le 
cui conseguenze sono persino tanto assurde da risultare incredibili: 
l'indennit� per una espropriazione dovrebbe, per caso, considerare anche 
fumose �aspettative� di coloro che molti anni prima, anteriormente 
all'apposizione del vincolo, pensavano di poter costruire? 

Lo scopo pratico della seconda parte del comma � palesemente quello 
di salvaguardare posizioni che, con parecchia grossolanit�, potremmo 
denominare �diritti quesiti�, e -pi� in generale -di evitare che le 
prescrizioni urbanistiche di � localizzazione � divengano espediente abu


(33) Una � diversit� di funzioni ,, tra � prescrizioni di zona della cui gamma 
i cosidetti vincoli di inedificabilit� sono solo una tra le moltissime specie � 
e previsioni di ~ocalizzazione di opere pubbliche � ravvisata da AMOROSINO, 
op. cit., 260. 
Va peraltro rammentato che la nozione di �aree assoggettate ... a vincolo 
di inedificabilit� o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di 
edilizia residenziale pubblica ... � si rinviene ora nell'art. 4 secondo comma 
della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che nel successivo art. 7 sesto comma si 
parla di � terreni sottoposti ... a vincolo di inedificabilit� � (nozione questa 
ritenuta pi� circoscritta dell'altra da GIUFFR�, Sanatoria e repressione degli 
abusi edilizi, Jovene, 1985, 28). 



66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sivamente praticato per ridurre o magari aumentare (ipotesi quest'ultima 
da non escludere a priori) l'entit� delle indennit� di espropriazione. 
Scopo senza dubbio meritevole di essere perseguito, ma mediante una 
disposizione meglio e pi� cautamente formulata. 

Ad esempio, potrebbe scriversi: �L'edificabilit� delle aree � determinata 
avendo riguardo unicamente alle possibilit� di edificazione riconosciute 
al proprietario dalla legge o dagli strumenti urbanistici, com� 
preso il programma pluriennale di attuazione, in vigore nel giorno di 
emissione dell'atto che dichiara od implica la pubblica utilit� dell'opera 

o dell'intervento ovvero che altrimenti adibisce l'immobile all'uso pubblico 
o di pubblico interesse. Non si tiene conto, tuttavia, delle prescrizioni 
urbanistiche che impongono o fanno venir meno, in tutto o in 
parte, la localizzazione di edifici pubblici o di uso pubblico o di opere 
o impianti di interesse collettivo o sociale o la destinazione a spazi di 
uso pubblico o che comunque riducono o aumentano le volumetrie o 
le superfici edificabili ad opera del privato quando sono state emanate 
nei cinque anni anteriori alla predetta data di riferimento e sono state 
preordinate a modificare l'ammontare dell'indennit� di espropriazione�. 
In conclusione, un �nuovo diritto� che -senza l'ambizione di 
ridisciplinare tutto ab avo -si limitasse a rafforzare l'orientamento 
giurisprudenziale dianzi riferito e ad indebolire il diverso orientamento 
che invece reputa doversi �prescindere� dall'incidenza negativa delle 
prescrizioni urbanistiche o almeno di alcune di esse, un �nuovo diritto� 
siffatto incontrerebbe forse minori resistenze e sarebbe ben difficilmente 
attaccabile da sospetti di lillegittimit� costituzionale. 

A questo punto, vi sarebbe da trarre qualche conclusione di sintesi 
da tutto questo discorso che potrebbe e dovrebbe continuare ben oltre 
il tempo oggi disponibile (si pensi, ad esempio, all'argomento data di 
riferimento dell'indennizzo, che deve essere per il momento accantonato). 
Ritengo per� che non sia il caso di sottrarvi ancora .minuti preziosi 
per rappresentare una conclusione di sintesi che, forse a torto, 
riterrei agevolmente ricostruibile e quindi superflua. 

Ringrazio per la cortese attenzione. 

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I 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 67, nella parte in cui non prevede la facolt� 
di riscattare il servizio prestato in qualit� di assistente volontario nelle universit� 
o negli istituti di istruzione superiore. 
Sentenza 12 marzo 1986, n. 46, G. V. 19 marzo 1986, n. 11. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo, secondo e terzo comma, nella 
parte in cui. si assoggettano al reclamo al tribunale, nel termine di tre giorni 
decorrenti dalla data del decreto del giudice delegato anzich� dalla data della 
comunicazione dello stesso debitamente eseguita, i provvedimenti del giudice 
delegato alla amministrazione c::ontrollata con contenuto decisorio sui diritti 
soggettivi. 
Sentenza 24 marzo 1986, n; 55, G. V. 26 marzo 1986, n. 12. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, primo comma, nella parte in cui stabilisce 
che i creditori esclusi o ammessi con riserva possono fare opposizione 
entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo anzich� dalla data di 
ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le quali il curatore 
deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che hanno presentato 
domanda di ammissione al passivo. 
Sentenza 22 aprile 1986, n. 102, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100, primo comma, nella parte in cui ciascun 
creditore pu� impugnare i crediti ammessi con ricorso al giudice delegato 
entro quindici giorni dal deposito dello stato passivo in cancelleria anzich� 
dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento con le 
quali il curatore deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai creditori che 
hanno presentato domanda di ammissione al passivo. 
Sentenza 22 aprile 1986, ri. 102, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 14 marzo 1961, n. 132, art. l, nella parte in cui esclude dal beneficio 
della riversibilit� della pensione il vedovo di pensionata gi� dipendente del 
cessato regime austro-ungarico o dell'ex Stato libero di Fiume. 

Sentenza 12 marzo 1986, n. 49, G. V. 19 marzo 1986, n. 11. 

d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 134, secondo comma, nella parte in cui 
stabilisce che i reati previsti dagli artt. da 157 a 163 del codice penale militare 
di pace appartengono alla cognizione dell'autorit� giudiziaria militare quando 
siano commessi da iscritti di leva. 
Sentenza 24 aprile 1986, n. 112, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11, nella parte in cui stabilisce che gli 
obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile siano sottoposti 
alla giurisdizione dei tribunali militari. 

Sentenza 24 aprile 1986, n. 113, G. V. 30 aprile 1986, n. 17. 

12 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5, terzo comma, n. 3, e d.P.R. 11 luglio 
1980, n. 382, art. 50, n. 3, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella 
parte in cui non contemplano tra le qualifiche da ammettere ai giudizi di 
idoneit� gli aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, 
nominati in base a pubblico concorso, che, entro l'anno accademico 1979-80, 
abbiano svolto per un triennio attivit� didattica e scientifica, quest'ultima 
comprovata da pubblicazioni edite documentate dal preside della facolt� in 
base ad atti risalenti al periodo di svolgimento delle attivit� medesime. 

Sentenza 14 aprile 1986, n. 89, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 50, n. 3 e legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5, 
terzo comma, n. 3, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte, in 
cui non contemplano tra le qualifiche da ammettere ai giudizi di idoneit� gli 
aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, nominati in 
base a pubblico concorso, che, entro l'anno accademico 1979-80, abbiano svolto 
P.er un triennio attivit� didattica e scientifica, quest'ultima comprovata da pubblicazioni 
edite documentate dal preside della facolt� in base ad atti risalenti 
al periodo di svolgimento delle attivit� medesime. 
Sentenza 14 aprile 1986, n. 89, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 

legge 25 luglio 1984, n. 377, art. 2, primo comma. 

Sentenza 23 aprile 1986, n. 108, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, ottavo e nono comma [convertito in legge 
5 aprile 1985, n. 118]. 
Sentenza 23 aprile 1986, n. 108, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-quinquies 
[convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118]. 
Sentenza 23 aprile 1986, n. 108, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

codice di procedura civile, art. 328, nella parte in cui non prevede tra i 
motivi di interruzione del termine di cui all'art. 325 del c.p.c. la morte, la radiazione 
e la sospensione dall'albo del procuratore costituito, sopravvenute nel 
corso del termine stesso. 

Sentenza 3 marzo 1986, n. 41, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (testo sostituito in forza 
dell'art. 6 della legge 12 agosto 1982, n. 532), nella parte in cui non riconosce 
all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza 
di revoca del mandato di cattura. 


Sentenza 23 aprile 1986, n. 110, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (testo sostituito in 
forza dell'art. 18 della legge 28 luglio 1984, n. 398), nella parte in cui non riconosce 
all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta 
l'istanza di revoca del mandato di cattura. 


Sentenza 23 aprile 1986, n. 110, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

I 

I 

I

I 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZCONE 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 35, 36 e 
97 della Costituzione). 

Sentenza 24 marzo 1986, n. 52, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 

codice penale, art. 505 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 24 marzo 1986, n. 53, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 


codice di procedura penale, artt. 146, 314 e 317 (art. 13 della Costituzione). 
Sentenza 24 marzo 1986, n. 54, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 

codice di procedura penale, art. 500 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 26 marzo 1986, n. 63, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 


r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 21 (art. 53 della Costituzione). 
Sentenza 26 marzo 1986, n. 65, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 
r.d.l. 8 maggio 1924, n. 745, art. 99 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 2 aprile 1986, n. 73, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. 
r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 49, secondo comma (artt. 23 e 35 della 
Costituzione). 
Sentenza 14 aprile 1986, n. 88, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. d) (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 12 marzo 1986, n. 47, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 
legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 11, secondo comma (art. 3 della Costi 
tuzione). 

Sentenza 2 aprile 1986, n. 72, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. 

legge 21 marzo 1967, n. 158, articolo unico (artt. 25, 41 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 3 marzo 1986, n. 42, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

legge 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 26 marzo 1986, n. 62, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 


d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276, artt. 1, primo comma, lett. b), limitatamente 
alle parole � al compimento dei quali il rapporto � risolto di diritto �, e 4 
(artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 3 marzo 1986, n. 40, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 


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legge 17 luglio 1890, n. 6972, art. 1 (art. 38 della Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 28 giugno 1985, n. 765, G. U. 5 marzo 
1986, n. �9, 

r.dl. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 68 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 12 marzo 1985, n. 671, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 71, secondo comma (artt. 24 e 113 della 
Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 5 febbraio 1985, n. 629, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
Corte dei conti, ordinanza 7 novembre 1984, n. 696/85, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 191 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 4 marzo 1985, 

n. 758, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
r~d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3, 13, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione). 


Pretore di Fermo, ordinanza 27 aprile 1983, n. 630/85, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217, secondo comma (artt. 24 e 25 della 
Costituzione). 
Pretore di Fermo, ordinanze (due) 28 novembre 1984 e 11 novembre 1985, 
nn. 784 e 785/85, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 29 marzo 1985, 

n. 843, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a) (artt. 32 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 18 giugno 1985, 

n. 783, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. 
d.l. 5 maggio 1957, n. 271, art. 15, primo comma [conv. in legge 2 luglio 1957, 
n. 474] (art. 53 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 16 aprile 1985, n. 590, G. U. 5 marzo 1986, 

n. 9. 
legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Pescara, ordinanza 21 novembre 1985, n. 55/86, G. U. 2 aprile 
1986, n. 13. 

legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, lett. b) (artt. 3, 36, 38 
e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 13 giugno 1985, 

n. 8/86, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art.-80-bis (art. 27 della Costituzione). 
Pretore di Novafeltria, ordinanza 17 maggio 1985, n. 772, G-U. 12 marzo 1986, 
n. 10. 
legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 5 febbraio 1985, n. 629, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 


legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. b) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Viterbo, ordinanza 11 giugno 1985, n. 769, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11 (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Perugia, ordinanza 28 giugno 1985, n. 686, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 36 e 53 della Costituzione). 


Pretore di Firenze, ordinanza 10 dicembre 1984, n. 672/85, G. U. 5 marzo 1986, 

n. 9. 
legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 (art. 24 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 27 marzo 1985, n. 897, G. U. 30 aprile 1986, 


n. 17. 
legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1, 2 e 3, commi primo, secondo e terzo 
(artt. 3, 38 e 81 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 702, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Modena, ordinanza 19 giugno 1985, n. 703, G. U. 12 marzo 1986, 
Il-10. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3, 38 e 81 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 702, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
legge 29 ottobre 1971, n. 889, artt. 5, ultimo comma, e 17 (artt. 36 e 38 
della Costituzione). 

Tribunale di Foggia, ordinanza 4 luglio 1985, n. 668, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 15, 22, quarto comma, e 30 (art. 24 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 4 marzo 1985, 

n. 758, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 6, primo e secondo comma, e 9 (artt. 3, 53 
e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 19 giugno 1985, 

n. 786, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 6 maggio 1985, n. 837, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 e subordinatamente art. 5 (artt. 3 e 
53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Novara, ordinanza 15 aprile 1985, 

n. 737, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 13 e 46 cpv. (artt. 3, 38, 
53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Matera, ordinanza 30 novembre 
1985, n. 127/86, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 19 marzo 1985, 

n. 741, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art., 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grad� di Sondrio, ordinanza 17 maggio 1985, 
n. 635, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 
Commissione tributaria di primo grado di Busto Arsizio, ordinanza 29 ottobre 
1984, n. 744/85, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, quinto comma (artt. 3, 53 e 77 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 4 ottobre 
1984, n. 738/85, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23, secondo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Matera, ordinanza 30 novembre 
1985, n. 127/86, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). 
Commissione .tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 13 giugno 
1985, n. 734, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55, terzo comma, prima parte (art. 3 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 5 marzo 1985, 

n. 900, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
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d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, sesto comma (art. 24 della Costi� 
tuzione) 
Commissione tributaria di primo grado di Lecce, ordinanza 6 giugno 1985, 

n. 747, G. U. 19 marz~ 1986, n. 11. 
dJ. 8 luglio 1974, n. 25.5 [conv. in legge 10 agosto 1974, n. 352] (artt. 3, 10 e 
11 della Costituzione). 

Tribunale di Novara, ordinanza 11 marzo 1985, n. 810, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
legge 12 febbraio 1975, n. 6, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Perugia, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 9/86, G. U. 5 mar� 
zo 1986, n. 9. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 16 luglio 1985, n. 763, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 
10. 
Tribunale di Sondrio, ordinanza 16 luglio 1985, n. 762, G. U. 2 aprile 1986, 
n. 13. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Saronno, ordinanza 19 aprile 1985, n. 705, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3 e 38 'della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 753, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 

legge 12 luglio 1975, n. 311, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 9 novembre 1984, n. 884/85; G. U. 23 aprile 
1986, n. 16. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 72 e 80 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 5 aprile 1985, n. 730, G. U. 26 marzo 1986, 

n. 12. 
Tribunale 
di Milano, ordinanza 5 aprile 1985, n. 731, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 
Tribunale di Milano, ordinanza 29 marzo 1985, n. 732, G. U. 9 aprile 1986, 

n. 14. 
d.l. 
4 marzo 1976, n. 31, art. 1, sesto comma [conv. in legge 30 aprile 1976, 
n. 159] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Voghera, ordinanza 6 maggio 1985, n. 711, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
dJ. 8 ottobre 1976, n. 691, art. 8 [conv. in legge 30 novembre 1976, D� 786] 
(artt. 3, 47 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Rapallo, ordinanza 10 ottobre 1985, n. 798, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 

76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 23 dicembre 1977, n. 936, art. 9 [conv. in legge 23 febbraio 1978, n�. 38] 
(artt. 3, 47 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Rapallo, ordinanza 10 ottobre 1985, n. 798, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
d.l. 23 dicembre 1977, n. 942 [conv. in legge 27 febbraio 1978, n. 41] (artt. 3 
e 38 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 753, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 

legge 27 febbraio 1978, n. 41 (in particolare art. 1) (artt. 3 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 753, G. U. 26 marzo 1986, 

n. 12. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 26, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 11 aprile 1985, n. 733, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 43, 44 e 45, primo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 

Pretore di Lecco, ordinanza 1 ottobre 1985, n. 778, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Napoli, ordinanza 5 luglio 1985, n. 634, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 (art. 42 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 14 maggio 1985, n. 677, G. U. 5 marzo 1986, 
Il. 9. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 [sostituito dall'art. 1, comma 9-bis, legge 
5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Varazze, ordinanza 10 settembre 1985, n. 770, G. U. 16 aprile 1986, 
Il. 15. 

Tribunale di Genova, ordinanza 14 maggio 1985, n. 779, G. U. 16 aprile 1986, 

n. 15. 
d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, secondo comma (art. 76 della Costituzione). 
I

Commissione tributaria di primo grado di Belluno, ordinanze (tre) 30 maggio 
1985, nn. 712-714, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. ! 
! 

legge 21 dicembre 1978, n. 843 (in part. art. 18) (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 753, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 

I 

1 

~

legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3 e 23 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1985, n. 761, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

I 
I


I 

-



PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Roma,. ordinanza 23 luglio 1985, n. 752, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 

legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Enna, ordinanza 18 giugno 1985, n. 631, G. U. 5 marzo i986, n. 9. 

d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, artt. 1 e 2 [conv. in legge 3 aprile 1979, n. 95] 
(art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 4 marzo 1985, 

n. 758, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
legge reg. Umbria 14 maggio 1979, n. 20 (artt. 24, 41, 42, 97 e 113 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 2 marzo 1981, 

n. 875/85, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 
legge reg. Lazio 28 settembre 1979, n. 79, art. 4 (art. 119 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 12 novembre 1985, n. 141/86, G. U. 19 marzo 
1986, n. 11. 
Tribunale di Roma, ordinanze (quattordici) 22 novembre 1985, nn. 84-97/86, 

G. V. 19 marzo 1986, n. 11. 
Tribunale di Roma, ordinanza 5 ottobre 1984, n. 142/86, G. U. 19 marzo 1986, 
n. 11. 
legge reg. Toscana 20 dicembre 1979, n. 67, art. 1 (art. 117 della Costituzione). 


Consiglio di' Stato, ordinanza 29 giugno 1984, n. 874/85, G. V. 23 aprile 1986, 

n. 16. 
dJ. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1985, n. 761, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, primo comma [conv. in legge 29 feb� 
braio 1980, n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Parma, ordinanza 26 febbraio 1985, n. 745, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 12 giugno e 13 maggio 1985, nn. 707 e 
708, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

legge reg. Puglia 12 maggio 1980, n. 43, art. S, secondo comma (artt. 3, 36 
e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ordinanza 20 febbraio 1985, 

n. 628, G. V. 5 marzo 1986, n. 9. 

78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanze (due) 19 giugno e 29 maggio 1985, nn. 609-610, 

G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
Pretore di Roma, ordinanza 8 luglio 1985, n. 754, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 
Pretore di Roma, ordinanza 10 luglio 1985, n. 773, G. U. 16 aprile 1986, n. 15. 
legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (art. 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 10 aprile 1985, n. 755, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 13 novembre 1985, n. 136/86, G. U. 9 aprile 
1986, n. 14. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1, terzo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 14 dicembre 1984, n. 673/85, G. U. 26 marzo 
1986, n. 12. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Parma, ordinanza 26 febbraio 1985, n. 745, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanze (due) 12 giugno e 13 maggio 1985, nn. 707 
e 708, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 25 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 21 febbraio 1985, n. 157/86, G. U. 23 aprile 
1986, n. 16. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 26, primo e secondo comma (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Enna, ordinanza 11 giugno 1985, n. 735, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

legge 22 dicembre 1980, n. 928, art. 2, terzo comma (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 13 marzo 1984, 

n. 756/85, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 
legge reg. Puglia 13 febbraio 1981, n. 19, art. 3 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ordinanza 20 febbraio 
1985, n. 628, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, secondo e quinto comma (artt. 3 e 51 
della Costituzione). 

Tribunale di Brescia, ordinanza 23 agosto 1985, n. 858, G. U. 23 aprile 
1986, n. 16. 

legge 23 aprile .1981, n. 155, art. 19 (artt. 36 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 10 dicembre 1984, n. 672/85, G. U. 5 marzo 
1986, n. 9. 

cli. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 13 novembre 1985, n. 136/86, G. U. 9 aprile 
1986, n. 14. 

dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
. (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 12 giugno e 13 maggio 1985, nn. 707 
e 708, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 
Pretore di Firenze, ordinanza 14 dicembre 1984, n. 673/85, G. U. 26 marzo 
1986, n. 12. 
Pretore di Parma, ordinanza 26 febbraio 1985, n. 745, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 26 settembre 1981, n. 537, art. 12 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 23 luglio 1985, n. 752, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 54 e 77 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 24 ma22io 1985, n. 748, G. U. 5 marzo 
1986, n. 9. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pergine Valsugana, ordinanza 23 luglio 1985, n. 776, G. U. 16 aprile 
1986, n: 15. 

dJ. 26 novembre 1981, n. 678, art. 1, nono e decimo comma [conv. in legge 
26 gennaio 1982, n. 12] (artt. 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 7 marzo 
e 28 febbraio 1985, nn. 859 e 860, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 

legge reg. Liguria 17 febbraio 1982, n. 8, art. 4 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (tredici) 14 febbraio 
1985, nn. 821-833, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 

Tribunale di Bologna, ordinanza 13 novembre 1985, n. 136/86, G. U. 9 aprile 
1986, n. 14. 


80 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 23 luglio 1985, n. 752, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 12 giugno e 13 maggio 1985, nn. 707 
e 708, G. U. -12 marzo 1986, n. 10. 

Pretore di Firenze, ordinanza 14 dicembre 1984, n. 673/85, G. U. 26 marzo 
1986, n. 12. 

Pretore di Parma, ordinanza 26 febbraio 1985, n. 745, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, primo e quarto comma (artt. 3 e 53 
della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1985, n. 761, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 16, primo e terzo comma (artt. 3, 35, 41, 
42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Salerno, ordinanza 5 luglio 1985, n. 792, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
legge reg. Lombardia 30 giugno 1982, n. 30, art. 1, secondo comma (artt. 3, 
4, 51 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 12 luglio 
1984, n. 904/85, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

dJ. 2 luglio 1982, n. 402, art. 5 [nel testo modif. dalla legge di conversione 
3 settembre 1982, n. 627] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pisticci, ordinanza 23 luglio 1985, n. 636, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 16 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 
e 97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Isernia, ordinanza 13 giugno 
1985, n. 767, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 

dJ. 10 luglio 1982, n. 429, art. 32 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3, 

24 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, ordinanza 13 
1985, n. 734, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 13 
bre 1984, n. 898/85, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

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PARTE II, RASSl,lGNA DI LEGISLAZIONE 81 

dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 6 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Novara, ordinanza 3 luglio 1985, 

n. 846, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 
legge reg. Toscana 6 dicembre 1982, n. 90, art. 3 (art. 117 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, ordinanza 29 giugno 1984, n. 874/85, G. U. 23 aprile 1986, 

n. 16. 
dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 26, quarto comma [conv. in legge 26 aprile 
1983, n. 131] (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 1 luglio 1985, 

n. 743, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 
d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 30 bis [art. aggiunto dalla legge 26 aprile 1983, 
n. 131, di conversione] (artt. 3, 38 e 81 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanze 8 febbraio 1985, n. 702, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 30.bls (artt. 5, 81, 114, 128 e 136 della 
Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 24 luglio 1985, n. 706, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 30-ter (artt. 3, 38 e 81 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 702, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. in legge 11 novembre 1983, 
n. 638] (artt. 3, 23 53 e 97 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 13 novembre 1985, n. 136/86, G. U. 9 apri,le 
1986, n. 14. 

d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. in legge 11 novembre 1983, 
n. 638] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Parma, ordinanza 26 febbraio 1985, n. 745, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 10 novembre 1983, n. 638, articolo unico (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Perugia, ordinanza 28 giugno 1985, n. 686, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

legge 11 novembre 1983, n. 638, artt. 4 e 14 (artt. 3, 38 e 53 della Cos1Utuzione). 


Pretore di. Roma, ordinanza 23 luglio 1985, n. 752, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13 . 

82 RASSEGNA DEl..l.'AVVOCATURA DELLO STATO 

le~ge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 12 giugno e 13 maggio 1985, nn. 7fJ7 
e 708, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 134 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanze (26) 19 e 26 novembre 1984, nn. 641-666/85, 

G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 

Tribunale di Bologna, ordinanza 13 novembre 1985, n. 136/86, G. U. 9 aprile 
1986, n. 14. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 23 luglio 1985, n. 752, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 26 febbraio 1985, n. 745, G. U. 2 aprile 1986, 

n. 13. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33, � n. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1985, n. 761, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Campobasso, ordinanza 28 ottobre 1985, n. 853, G. U. 23 aprile 
1986, n. 16. 

legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
17 luglio 1985, n. 839, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

legge 16 luglio 1984, n. 326, artt. 3 e 19 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
17 luglio 1985, n. 838, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 19 (art. 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
17 luglio 1985, n. 838, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 

legge 30 luglio 1984, n. 399, art. 8, secondo comma (artt. 3, 24 e 25 della 
Costituzione). 

Pretore di Enna, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 78/86, G. U. 23 aprile 1986, 

n. 16. 
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PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24, 25, 101, 102, 103, 
113, 134, 136 e 137 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 6 giugno 1985, 

n. 844, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 
legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, artt. 35, primo e secondo 
comma, e 47, primo comma (artt. 3, 4, 51, 81, 97 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 10 maggio 
1985, n. 774, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, settimo comma [conv. in legge 5 aprile 
1985, n. 118] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 26 giugno 1985, n. 704, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 
10. 
dl. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [come inserito dalla legge 
S aprile 1985, n. 118] (artt. 3, 24, 41, 42, 101 e 102 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 18 giugno 1985, n. 820, G. U. 23 aprile 1986, 

n. 16. 
d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [convertito in legge 5 aprile 
1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 8 maggio 1985, n. 739, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 
11. 
Pretore di Milano, ordinanza 25 giugno 1985, n. 736, G.U. 2 aprile 1986, 
n. 
13. 
Pretore di Milano, ordinanza 14 giugno 1985, n. 791, G. U. 16 aprile 1986, 
n. 
15. 
dl. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [convertito in legge 5 aprile 
1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 14 agosto 1985, n. 746, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 
11. 
Tribunale di Monza, ordinanze (due) 4 luglio 1985, nn. 633 e 797, G. U. 
5 marzo 
1986, n. 9 e 19 marzo 1986, n. 11. 
Tribunale di Monza, ordinanza 11 luglio 1985, n. 7%, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 
11. 
Tribunale di Monza, ordinanza 11 luglio 1985, n. 795, G. U. 23 aprile 1986, 
n. 
16. 
Pretore di Roma, ordinanza 19 luglio 1985, n. 819, G. U. 23 aprile 1986, 
n. 16. 
d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, ter e quater [conv. in legge 
S aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanze (tre) 26 giugno 1985, nn. 699-701, G. U. 19 marzo 
1986, n. 11. 


84 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (artt. 2, 3, 32, 101 e 112 della Costituzione). 


Pretore di Pizzo, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 845, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35, 38 e 44 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Lucera, ordinanze (due) 2 luglio 1985, nn. 694-695, G. U. 19 marzo 
1986, n. 11. 

legge 27 marzo 1985, n. 103, art. 6 (artt. 101 e 104 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 13 settembre 1985, n. 811, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 20 luglio 1985, n. 842, G. U. 23 aprile 1986, 

n. 16. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 4 luglio 1985, n. 710, G. U. 12 marzo 1986, n. 10. 
Pretore di Cento, ordinanza 10 luglio 1985, n. 751, G. U. 2 aprile 1986, n. 13. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 41 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Verbania, ordinanze (due) 16 e 31 maggio 1985, nn. 749-750, G. U. 
2 aprile 1986, n. 13. 
Pretore di Roma, ordinanza 20 maggio 1985, n. 777, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, n. 9-bis (art. 42 ,della Costituzione). 

Tribunale di Forl�, ordinanza 6 giugno 1985, n. 740, G. U. 19 marzo 1986, 

n. 11. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis, primo alinea (artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 20 luglio 1985, n. 688, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
Pretore di Roma, ordinanza 17 luglio 1985, n. 691, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
Pretore di Roma, ordinanza 6 giugno 1985, n. 766, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 
Pretore di Roma, ordinanza 22 luglio 1985, n. 759, G. U. 9 aprile 1986, n. 14. 
Pretore di Roma, ordinanza 3 ottobre 1985, n. 848, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 

legge S aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis, primo alinea (artt. 41 e 42 
della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 15 giugno 1985, n. 689, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 
Pretore di Roma, ordinanza 6 luglio 1985, n. 690, G. U. 19 marzo 1986, n. 11. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE BJ 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, primo alinea, e 9-quater 
(artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 17 luglio 1985, n. 692, G. U. 26 marzo 1986, n. 12. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter quater, e quinquies (art. 42 
della Costituzione). 

Tribunale di Messina, ordinanza 10 giugno 1985, n. 764, G. U. 9 aprile 1986, 

n. 14. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, quater e quinquies (artt. 3 e 
42 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 26 giugno 1985, n. 693, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 1, 2 e 4 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 137, G. U. 12 marzo 1986, 

n. 10. 
disegno legge reg. Veneto approvato il 24 ottobre 1985, art. 1 (artt. 97 e 117 
della Costituzione). 

Presidenza Consiglio dei Ministri, ricorso 28 marzo 1986, n. 5, G. U. 16 aprile 
1986, n. 15. 

legge 24 dicembre 1985, n. 776, art. 2, lett. e) e f) (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 

Regione Liguria, ricorso 6 febbraio 1986, n. 2, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

d.P.R. 30 dicembre 1985, n. 789, artt. 9 e 10 (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Regione Liguria, ricorso 7 febbraio 1986, n. 3, G. U. 5 marzo 1986, n. 9. 

legge 15 gennaio 1986, n. 4 (art. 4, n. 7 dello statuto reg. T.-A.A.). 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 26 febbraio 1986, n. 4, G. U. 12 marzo 
1986, n. 10. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, artt. 3, terzo comma, secondo alinea, e 35 
(artt. 20, 36, 37, 38 e 43 dello statuto speciale siciliano). 

Regione Sicilia, ricorso 4 aprile 1986, n. 7, G. U. 23 aprile 1986, n. 16. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 6, diciannovesimo comma (artt. 117 e 118 
della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 4 aprile 1986, n. 9, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 10, diciassettesimo e diciottesimo comma 
(artt. 81, 97, 117 e 118 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 4 aprile 1986, n. 9, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

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legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 10, diciassettesimo e diciottest,mo comma 
(artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Regione Lombardia, ricorso 7 aprile 1986, n. 12, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 12, quarto comma (artt. 81, 97, 117, 118 e 
119 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 4 aprile 1986, n. 9, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 12, quarto, quinto, settimo e ottavo comma 
(artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Regione Lombardia, ricorso 7 aprile 1986, n. 12, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 15 (artt. 117 e 118 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 4 aprile 1986, n. 9, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 35 (art. 3 della Costituzione e artt. 4, n. l, 
16, 6 e 104, primo comma, dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 4 aprile 1986, n. 8, G. U. 23 aprile 1986, 

n. 16. 
d.P.R. 28 febbraio 1986, n. 47, artt. 9, primo e se�ondo comma e 10 (artt. 117, 
118 e 119 della Costituzione). 
Regione Liguria, ricorso 5 aprile 1986, n. 11, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

d.P.R. 28 febbraio 1986, n. 47, art. 11, primo, quarto, quinto, sesto e settimo 
comma (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Regione Toscana, ricorso 4 aprile 1986, n. 10, G. U. 30 aprile 1986, n. 17. 

legge 28 febbraio 1986, n. 47, artt. da 31 a 44 (artt. 3, 77 e 128 della Costituzione). 
Pretore di Pietrasanta, ordinanze (quattro) 31 agosto 1985, nn. 799-802, G. U. 
30 aprile 1986, n. 17. 

dis~ di legge reg. Sicilia approvato il 13 marzo 19~ art. 19 (art. 51, 
primo comma, della Costituzione). 

Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 28 marzo 1986, n. 6, 

G. U. 16 aprile 1986, n. 15.