ANNO XXXVII -N. 2 MARZO -APRILE 1985 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1985 ! I ABBONAMENTI ANNO 1985 ANNo ..... . ................................ L. 33.350 UN NUMERO SEPARATO .��������.� ,� ����.����� � 6.100 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in ltalia -Printed in ltal, Aurorbnslone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu1lio 1966 (62193~8) Roma, 1985 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDI C 'E Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: Sezlone seconda: Sezione terza: Sezione quarta: Sezione quinta: Sezione sesta: Sezione settima: Sezione ottava: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) . . . . . . GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . ,. GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli �avvocati Paolo Cosentino e Anna Cenerini) . . . . ,GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avvocati Raffaele Tamiozzo e. G. P. Po/lzzi) GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Baflle) GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) GIURISPRUDENZA PEN~LE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) pag. � li 1 li 1 li 205 246 270 277 292 308 324 346 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . . . . 63 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino,� Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI G. STIPO, Responsabilit� per i danni alla persona nel trasporto pe�' ferrovia .......................... . I, Z77 1 111r1r11:r&fillrill1lfiflrl~1r111r11rrr1ii1111r1;rlii:=:rlf11rt1~11=!!:111llirlil;!llfll�;friiift�:=i1i11:!r1~11r1=1~~111::111ri;l~f1w1r11 i PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque pubbliche -Concessione e derivazione -Sottensione di fatto Illecito permanente -Prescrittibilit� del di.ritto al risarcimento del danno -Esclusione, 334. -Acque pubbliche -Concessione e deriv32lione -Sottensione -Obb1i� ghi del nuovo concessionario -Durata -Commisurazione alla durata residua della concessione sottesa - Sottensione di piccola derivazione per foraa motrke -Esclus:ione Durata trentennale, 334. _ -Acque pubbliche -Tribunali regionali delle acque -Competenza per territorio -Criterio del forum rei sitae -Inderogabilit� della competenza, 342. APPALTO -Difficolt� di esecuZJi.one -Previsione in contratto -Diritto all'equo compenso -Esclusione, 3ll. ARBITRATO -Concessione di progettazione ed esecuzione di opere di 'c�>mpeten7.a della Oassa per il Mezzogiorno Norme vigenti per l'esecuzione delle opere pubbliche di competenza del minristero dei lavori pubblici Applicabilit� -Limiti -Clausola compromissoria -Composizione del collegio arbitrale -Tre membri Validit� della clausola -Sussiste, l24. CITTADINANZA -Acquisto -Figli minori dello straniero, 284. -Acquisto -Rilevanza della volont� dell'interessato -Elementi presuntiw, 284. COMPETENZA CIVILE -Impiego _pubblico -Pensione -Ripetizione di emolumenti non dovuti -Giurisdizione della Corte dei Conti, 292. COMUNIT� EUROPEE -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdi2' 1ionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale Esecuzione delle decisioni giudiziarie -Garanzie, 246. -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Esecuzione delle decisioni giudiziarie -Impugnazioni, 246. -Fondo europeo agvicolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) quidazione dei conti -Aiuti per la distillazione di vini da pasto -Mi- suve fiscali nazionali -Compatibilit�, 251. -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti -Spese relative al finanziamento di cerea!Ji trasferiti, 252. -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione dei conti � Spese. rela� tive alla promozione di campagne di :informazione pubblicitaria per le carni, 251. -Trasporti -Trasporto combinato -strada-ferrovia -Stazioni di scarico -del veicolo in un paese terzo -Au. torizzazione -Esclusione, 264. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione -Atti di organi giudi2'1iari -Interferenza in attivit� amministrative -Invalidabilit�, 205. INDICB DELLA GIURISPRUDENZA vu -Conflitto di attribuzione tra Stato , e Regione -Individuazione dell'organo regionale competente -Inammissibilit�, 205. -Ricorso d~llo Stato avverso delibera legislativa regionale riapprovata -Motivi diversi da quelld del previo rinvio governativo -foammissibilit�, 212. COSA GIUDICATA CIVILE -Rkorso dn Cassazione -Giudicato !interno -Preclusioni, 281. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Eguagldanza dei cittadini -Nella i�ruizione dei servizi pubblici -Doverosit�, 218. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Opera pubblica -Esecuzione in pendenm di occupazione legittima -Decreto di esproprio -Emanazione successiva ma nei termdm stabiliti dalla dichiarazione di p.u. -Efficacia Principio dell'occupazione acquisitiva -Esclusione, 287 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Sospensione atto impugnato -Diritto del difensore dd essere ascbltato in camera di consiglio -Contenuto strumentale -Ampiezza, 300. -Sospensione atto .impugnato -Esame deUa istanm -Data della camera di consiglio -Comunicazione ru diflensore -Quando non occorre, 300. -Sospensione atto ~mpugnato -Hsame deUa istanl'Ja -Data della. camera di consiglio -Comunicazione a1 difensore -Quando occoITe -Modalit� -Individuazione, 300. IMPIEGO PUBBLICO -Blocco delle assunzioni � -Esteso anche al personale rreg;ionale e delle USL -Legittimit� costii:uziooole Potere di derogaire al blocco -Spetta per detto personale alle Regioni, 217. -Indennit� di� anzdandt� -Indennit� buonuscita ENPAS -Natura previdenziale -Rivalutazione automatica del credito -Esclusione, 292. -S1Jipendi, assegni e indennit� -Interessi e vivalutazione monetaria Domanda -Non occorre -Ratio, 293. -Smpendi, assegni e indennit� -Interessi � e rivalutazione monetaria Pronuncia -d'ufficio -Art. 429 cod. proc. civ. -Inapplioabilit� ai dipendenti pubblici, 292. LAVORO -Avviamento al lavoro -Assunzi�ni obbligatorie -Facolt� di dfiutare lavoratori l.icenziati per giusta causa. -Sussiste, 217. REATO -Reati doganali -Contrabbando - Artt. 216 e 292 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 -lmporatzione temporanea di �imbarcazione da diporto S~ onamento in acque italiane oltre d:1 termine di un anno prev�isto dalla Convenzione di Ginewa 18 maggio 11956 resa esecutiva in ltaJia con legge 3 novembre 1961 n. 1553 -Omessa'' dichiarazione doganale & importazione definitiva - Sussistenm del reato, 346. - Reati doganali -Contrabbando - Artt. 216 e 292 t.u. 23 gennado 1973 n. 43 -Importazione temporanea di imbmcazione da diporto -Stazion: amento in acque italiane oltre :il termine di un aD!llO previsto dalla Convenzione di Ginevira �18 magg;io �1956 resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961 n. 1553 -Reato permanente -Indisponibilit� del natante per riparazioni -Interruzione della permanenza -Sequestro dcl n:atante -Cessazione della permanenza, 346. REGIONI -Autonomia finanziaria -Fondi per l'assistenm sanitaria -Vdncooi di destinazlione -Introdotti con legge statale -Legittimit� costituzionale; 218. - Contabfilit� delle USL -Predisposizione di capitolati -� attribuZJione vm RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO delle regioni -Albi dei fornitori Regole generali statali., 218. -Controlli sugli atti e sugli organi Scioglimento di oomit:iato di gestione di USL -Potere del Commissario del Governo -Legittimit� cost�ituzionaJe, 218. -Legge regionale -Mancata o tardiva approvmone -Non pu� dar� luogo a responsabilit�, 205. -Materia ass�istenza sanitaria e ospedaliera -Peculdariet� -ConcoI1So di competenze statiali regionali e .locali, 218. -Materia assistenza sanit:iaria e ospedaliera -Per.sonale sanlitario a rapporto convenzionale -Relativa disciplina -Non rientra in detta materia e compete alilo St:iato, 218. -TrasportJi pubblici di interesse re1gionale -Spese relative -Non possono essere poste a carico della regione se � di !interesse nazionale � -Riduzione dell'entit� � storica � dei flussi di risorse assegnate alle Regioni -Legittimit� costituzionale, 217. RESPONSABILIT� CIVILE -Trnsporto di persone su ferrovia On~ probatorio a carico del viag �giatore -Prova liberatoria della P.A. -Fattli.specie, con nota di G. STIPO, 277. - Trasporto di persone su ferrovia Responsabfil. it� della P.A. per danni subiti dal viaggiatore -Condizione, con nota di G. STIPO, 277. RESPONSABILIT� PATRIMONIALE. -Mezzi di conservazione della garanziia patrimoniale -Azione surrogatoria -Esperibilit� -Contro terzo debitore avente natura pubbildcistica -Sussiste, 340. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Giudi2fo di opposizione -Sull'esistenza dei presupposti del potere sanzionatorio -Giurisdizione civile -Sussiste -Conseguenze, 270. -OppoS1izione a decreto prefettizio - Accogliimento !in sede pretorile -Legittimit� -Fattispecie, 270. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditli di !!'kchezza mobile -Plusvalenza -Intento di �speculazione -Fattispecie, 314. -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbvicati -Agevolamone per le case di abitazione non di lusso -Ampliamento -Aumento de!Ja cubatura Non � necessario -Costruzioni di nuove unit� abitative -� sufficiente, 320. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Art. 36 d.P .R. 23 gennaio 1973 n. 43 Esportazione di imbarcazione da diporto -Immatricolazione o iscrizione nei !l'egistri di altro Stato Sufficienza, 346. -Esenzioil!i. e agev~zioni -Pluralit� di benefici -Scelta di uno di essi -Sopravvenuta decadenza -App1icabilit� di altro beneflicio � Esclusione, 313. -Imposta di registro -Accertamento di maggior valore -Difetto -� Ingiunzione -Non pu� valere quale accertamento -Esistenza di accertamento nei confrontli. di debitori solidali -Irnlevanza, 317. -Imposta di registro -Regime transitorio -Atti stipulati anteriormente al 1� gennaio 1973 e registrati suooessiV'a:mente -Applicabilit�� delle norme del d.P.R. 26 ottobre cl972 n. 634 -Condizioil!i., 308 � -Invim -Esenzione da Invim decennale -Immobili appartenenti ad ente privato -Esenzione a favor� deg1i �mmobili appartenenti ai benefici ecclesiastici -Non estendibi: lit�, 215. ' -Iva all'importazione -� diritto di confine -Accertamento e riscossione -Competenza esclusiva della Dogana, 346. - Iva all'importazione -Prescrizione ex art. 84 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 e non ex art. 57 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, 346. TRIBUTI LOCALI -Imposta comunale sull'incremento del valore degli immobili -Valore iniziale -Valore definitivo per condono -� vincolante, 3,18. ii b r::: ~� z- l INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 5 novembre 1984, n. 245 .ZO marzo 1985, n. 70 20 marzo 1985, n. 72 28 marzo 1985, !Il. 86 1 aprile 1985, n. 93 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 4a sez., 27 novembre �1984, nella causa 258/83 . . . . . . Sed. plen., 27 febbraio 11985, nelle due cause 55/83 e 56/83. 28 marzo 1985, nel1a causa 2/84 . . . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 21 giugno 1984, n. 3672. Sez. I, 29 ottobre 1984, n. 5527. Sez. I, 29 ottobre 1984, n. 5530. Sez. I, 22 novembre J.984, !Il. 6017. Sez. I, 23 novembre ,1984 n. 6070. Sez. I, 26 novembre 1984, n. 6106. Sez. I, 10 dicembre 1984, n. 6483. Sez. I, 18 dicembre 11&84, n. 6622. Sez. I, 18 dicembre 1984, IJl. 6630. Sez. I, 15 geI1I1Jaio 1985, n. {f} . Sez. Un., 16 gennaio 1985, n. 95 . Sez. I, 117 gennaio 11985, n. 116 . Sez. I, civ., 26 gennaio 1985, n. 383 . Sez. I, 26 gennaio 1985, n. 396 Sez. Un., 22 aprile 1985, n. 2645 . TRIBUNALE SUPERIORE, DELLE ACQUE 25 marzo 1985, n. 18 ...�......... . pag. 217 � 205 212 " )) 215 � 217 pag. 246 " 251 ,, 264 pag. 277 281 " ,. 284 � 324 308 " � 331 313 " � 314 � 317 � 3118 � 3.34 ,, 320 � 287 340 " ,. 270 Pag. 342 X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELJ...O STATQ GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 5 dicembre 1984, n. 21 . . Ad. Plen., 28 gennalio 1985, n. 1 Ad. Plen., (ord.) 20 f.iebbraio 1985, n. 2 . Ad. P1en., 15 aprile 1985, n. 13 . . . . . . GIURISDIZIONI PENALI ' CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sez. penale III, 24 aprile 11985, n. 3867 . I I I j ' jI I ) !> ! ' Pag. 292 ' 1 292 " 300 " ,. 293 Pag. 346 PARTE SECONDA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE I. -Norme dichiarate incostituzionali. Pag. 63 II. -Questioni dichiarate non fondate . 64 )) III. -Questioni proposte 66 ! - PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 20 marzo 1985, n 70 -Pres. Elia -Rel. Malagug�D; i � Regione Toscana (avv. Predieri e Siniscalco). Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione � Atti di organi giudiziari � Interferenza in attivit� amministrative � Invalidabilit�. Regioni � Legge regional~ � Mancata o tardiva approvazione � Non pu� dar luogo a responsablltt�. Corte costituzionale � Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione � In� divlduazfone dell'organo regionale competente � Inammissibilit�. L'ordinamento non attribuisce ad organi giudiziari poteri di stimolo dell'azione amministrativa o di codeterminazione dell'indirizza ammini� strativ�; gli atti emessi in violazione di tale principio sono suscettibili di invalidazione, oltre che con gli appositi strumenti processuali, anche con quello del conflitto di attrib�zione (1). La mancata o intempestiva approvazione di leggi regionali non � suscettibile di dar luogo a responsabilit� sia essa penale o civile o amministrativa. Il conflitto di attribuzione tra Stato e Regione non pu� avere ad oggetto la spettanza di determinate attribuzioni all'uno q all'altro degli organi dell'Ente. (omissis) Con i nove ricorsi di cui in narrativa, la Regione Toscana ha sollevato, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri,. altrettanti conflitti di attribuzione, chiedendo l'annullamento di undici provvedimenti (quattro mandati ed un ordine di comparizione, due comunicazioni giudiziarie e quattro � inviti � rivolti al Presidente della Giunta regionale Toscana) emessi dai Pretori di Firenze, Pisa, , Cascina, Pontedera, S. Miniato, Empoli, Pistoia, nonch� dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa, tra il febbraio 1983 e l'agosto 1984, nel corso di procedimenti penali attinenti alla tutela ambientale ed in particolare all'inquinamento delle acque. (1) Il principio affermato ha portata generale e pu� trovare applicazione anche nei rapporti tra organismi giudiziari ed amministrazioni statali. 206 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Assume la Regione Toscana che tali provvedimenti siano o esorbitanti dall'ambito di legittimo esercizio dei poteri giurisdizi�mali o lesivi della propria autonomia organizzativa ovvero confliggenti con la guarentigia dell'irresponsabilit� dei consiglieri regionali, di cui all'art. 122, quarto comma, Cost.. (omissis) Preliminarmente, deve essere dichiarata !'irricevibilit� dello scritto, definibile come memoria, inviato dal sostituto procuratore della Rep�blica presso il Tribunale di Massa; quel magistrato non � parte nel conflitto cui fa riferimento la memoria che, quand'anche, impropriamente, fosse qualificabile come atto di intervento, sarebbe pur sempre inammissibile in un conflitto fra enti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentt. nn. 206 del 1975 e 75 del 1977). Da tali precedenti la Corte non ritiene di potersi discostare, pur non ignorando l'esigenza di autonoma rappresentanza e difesa ,dell'ordine giudiziario anche nei conflitti tra Stato e Regioni nei quali siano in discussione provvedimenti giudiziari, sottesa all'iniziativa del sostituto procuratore, della Repubblica di Massa. Tanto ritenuto, � opportuno prendere in esame, anzitutto, il gruppo di ricorsi aventi ad oggetto i provvedimenti dei Pretori di Pisa, Cascina, Pontedera e S. Miniato. Come rileva la difesa della Regione ricorrente, i provvedimenti in esame, emessi da magistrati titolari di mandamenti tra loro contermini, sono strettamente collegati e costituiscono momenti di un intervento giudiziario sostanzialmente unitario nei confronti della Regi�ne Toscana. Con essi i quattro Pretori, assumendo come � dovuti � da parte del Presidente della Giunta regionale, ritenuto competente in materia, taltmi interventi urgenti in relazione allo Stato di grave inquinamento del fiume Amo (quale risultante da apposite indagini dei locali servizi multizonali di prevenzione) gli hanno rivolto �inviti� a comunicare entro termini brevi i provvedimenti adottati o adottandi, ovvero ad esercitare, tout court, i poteri previsti dalla legislazione sull'inquinamento relativi, tra l'altro: a) all'adozione di interventi restrittivi o integrativi (artt. 26 legge n. 319 del 1976 e 17 legge n. 650 del 1979) o di ordinanze contingibili ed urgenti (artt. 32 legge n. 833 del 1978, e 3 legge regionale n. 69 del 1983) a tutela della salute pubblica; b) all'esericizio dei compiti di indirizzo, organizzazione e coordinamento dell'attivit� degli enti locali (art. 6 1. r. n. 69/1983). La Regione Toscana contesta in radice la spettanza ad organi giudi: ziari del potere di adottare provvedimenti del genere e di porre in essere, in questo modo, una interferenza nelle attivit� amministrative (e, si p11� aggiungere nell'esercizio di funzioni normative o di indirizzo) di spettanza regionale, mediante interventi di stimolo, partecipazione e codeterminazione dei relativi procedimenti. Inoltre, la Regione denunzia la violazione della propria autonomia organizzativa che si vuole realizzata con l'attribuire al .Presidente della Giu:ota regionale la competenza ad adottare provvedimenti riservati, invece, al Consiglio regionale. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I ricorsi qui esaminati, meritano accoglimento. Preliminare ed assorbente � il motivo di ricorso con il quale viene negato in radice il potere di organi giudiziari di emettere provvedimenti quali quelli impugnati. Si tratta, all'evidenza, di provvedimenti atipici o anomali, che pur se emessi, come risulta dai richiami testuali in essi contenuti, nel corso di procedimenti penali, fuoriescono da quello schema processuale, caratterizzato da una progressione logica di atti finalizzata al raggiungimento della decisione giudiziaria. Al contrario, come � fatto palese con assoluta chiarezza nel contesto dei provvedimenti de quibus, gli inviti, le diffide, in buona sostanza gli ordini rivolti dai Pretori al Presidente della Giunta regionale, da un lato vogliono imporre un facere determinato coincidente con l'ottemperanza all'invito o all'ordine e dall'altro intendono prefigurare l'illeceit� penale delle eventuali condotte elusive degli inviti o degli ordini medesimi. Sufficiente, per la soluzione dei conflitti in esame, � il rilievo che non spetta ad organi giudiziari al�un potere di intervento nell'esercizio delle funzioni costituzionalmente riservate alla Regione. � indubbio che nel sistema costituzionale, funzione amministrativa e funzione giurisdizionale sono concepite e devono svolgersi in posizione di reciproca separazione (artt. 97, primo e secondo comma, 102, primo comma,_ 113, ultimo comma). In particolare, -ha osservato la Corte nella sentenza n. 150 del 1981 -l'art. 113, ultimo comma Cost. �rinviando alla legge la determinazione degli organi giudiziari abilitati ad annullare gli atti della pubblica amministrazione � � con ci� stesso � � esclude che spetti alle autorit� giudiziarie ordinarie di annullare gli atti amministrativi in mancanza di una previsione di legge; ed a pi� forte ragione comporta che tali autorit� non possano contrapporsi o sovrapporsi alle autorit� amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati�. Alla stregua di tali principi, deve (parimenti) negarsi che spetti ad organi giudiziari come in sostanza i Pretori hanno preteso di fare -dettare le linee dell'indirizzo amministrativo regionale nella materia de qua (inquinamento delle acque del fiume Amo), in ci� sostituendosi agli organi regionali competenti nella determinazione sia degli strumenti di intervento che dei tempi e modi di attuazione di tale indirizzo ed addirittura prescrivendo gli atti specifici che si ritiene debbano essere adottati). Determinazioni di tal genere esulano certamente dall'ambito di legittimo esercizio dei poteri giurisdizionali,�atteso che l'ordinamento non attribuisce ad organi giudiziari poteri di stimolo dell'azione amministrativa o di partecipazione o codeterminazione dell'indirizzo amministrativo; ed esse sono suscettibili di invalidazione, oltre che con gli appositi strumenti processuali, anche con quello del conflitto di attribuzione. La carenza di potere giurisdizionale si traduce infatti, qu�, in un'alterazione dell'ordine costituzionale delle competenze, posto che la pretesa di RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO esercitare poteri siffatti comporta l'invasione della sfera di autonomia costituzionalmente riservata alla regione Toscana, alla quale esclusivamente spetta l'esercizio delle funzioni che i magistrati hanno inteso condizionare. Tanto basta all'accoglimento dei ricorsi proposti dalla Regione; senza che occorra valutare l'ulteriore motivo di censura con il quale viene denunziata la possibile concreta turbativa dell'autonomo svolgimento dell'attivit� amministrativa dei competenti organi regionali, insita nella prefigurazione come penalmente sanzionate di condotte di costoro elusive degli � inviti � od ordini contenuti nei provvedimenti impugnati. Un secondo gmppo di conflitti concerne: I) il mandato di comparizione notificato il 7 febbraio 1983 nella parte in cui (capo a) della rubrica) il Pretore di Firenze ha contestato al Presidente e ad un assessore della Giunta regionale Toscana il fatto di aver indebitamente omesso � di far approvare tempestivamente dal Consiglio regionale la legge che delegava ai Comuni ed alle Province la funzione di rilasciare, le autorizzazioni previste dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1979, n. 650, in quanto detta legge fu approvata solo il 15 maggio 1980 �; II) l'ordine di comparizione notificato il 21 luglio 1983 nella parte in cui il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa ha contestato al Presidente -all'epoca -della Giunta regionale il fatto di aver � omesso di predisporre i necessari fondi di investimento, piani e programmi di realizzazione atti ad evitare o a prevenire il degrado idrogeologico� della zona del comprensorio di bonifica dell'ex lago Porta. In entrambi i casi qui considerati le condotte incriminate attengono al ritardato od omesso esercizio, che si presuppone dovuto di funzioni legislative spettanti alla Regione. Tanto risulta con chiarezza per quanto concerne non soltanto il mandato di comparizione emesso dal Pretore di Firenze, che riguarda specificatamente la � intempestiva � approvazione di una legge regionale, ma anche l'ordine di comparizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa, posto che �predisporre... fondi (di investimento)� altro non significa che approvare la (relativa) legge di spesa e/o di bliancio la cui esistenza � il logico presupposto per la predisposizione dei piani e programmi delle opere di bonifica. Questa Corte ha gi� precisato, in via generale, (sent. n. 69 del 1985) che le funzioni legislative e di indirizzo politico, nonch� quelle di controllo e di autorganizzazione, connotano il livello costituzionale dell'autonomia garantita alle regioni e che l'esercizio di esse, riservato al consiglio regionale, non pu� essere sindacato da organi giudiziari al fine di accertare l'eventuale responsabilit� dei soggetti deputati ad adempierle. PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In riferimento ai casi di specie, il principio ora enunciato conduce ad escludere che rispetto a materia di spettanza regionale -quale quella delle opere di bonifica -il giudice penale possa sindacare l'omesso o � intempestivo � esercizio della funzione legislativa dato che essa costituisce estrinsecazione delle scelte politiche -e perci� libere -della regione, con le quali si determina, nella materia medesima, l'indirizzo politico regionale. N� in diverso avviso -rispetto al caso di cui al provvedimento del Pretore di Firenze -pu� indurre il fatto che l'emananda legge regionale fosse vincolata, nei tempi e nei contenuti, dalla legge statale. Il vincolo posto da questa all'esercizio della funzione legislativa regionale pu� invero dar luogo, in caso di inosservanza, a responsabilit� politica; ed � appunto in riferimento a questa sfera di responsabilit� che -oltre ed al di l� della sanzione squisitamente politica consistente nella soggezione al giudizio del corpo elettorale -la Costituzione prevede, all'art. 126, che in caso di (atti contrari �alla Costituzione o) gravi violazioni di legge compiute dal Consiglio regionale possa farsi luogo alla sanzione consistente nello scioglimento del Consiglio medesimo. Tale essendo l'ordine delle responsabilit� che connota le attivit� legislativa e di indirizzo politico, ben si comprende come, in questa sfera, non possa trovare ingresso il sindac.ato di organi, come quelli giurisdizionali, cui sono deputate valutazioni di ordine giuridico, e non anche valutazioni politiche; e che, perci�, la � intempestiva � o mancata approvazione di leggi regionali -la si addebiti a consiglieri regionali ovvero al Presidente o ad un membro della Giunta regionale eletti, questi ultimi, tra i componenti del Consiglio regionale e tutti partecipanti, ad uguale titolo, all'esercizio della funzione legislativa -non sia suscettibile di dar luogo a responsabilit�, sia essa penale, ovvero civile o amministrativa. Tali attivit� sono, invero, coperte dall'eccezionale guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., la quale non intende certo assicurare una posizione di privilegio per i consiglieri regi�nali, ma preservare da interferenze e condizionamenti esterni le determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale. Alla diversa conclusione -di inammissibilit� -deve pervenirsi limitatamente a quelle parti dei provvedimenti giudiziari impugnati dei quali non viene pronunciato l'annullamento. Specificatamente, vengono ora in discussione: -il mandato di comparizione del Pretore di Firenze, notificato il 7 febbraio 1983, limitatamente ai capi b) e e) della rubrica: -l'ordine di comparizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa, notificato il 21 luglio 1983, nelle parti in cui viene contestata al Presidente della Giunta regionale Toscana l'omissione di atti amministrativi (specificati in narrativa) ritenuti di sua competenza, quale �dirigente responsabile della Regione� stessa; RASSEGN,4. DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -i tre mandati di comparizione del Pretore di Firenze notificati, tutti, il 19 maggio 1983; -le comunicazioni giudiziarie 1� agosto 1984 del Pretore di Empoli e 2 agosto del Pretore di Pistoia. Con tali provvedimenti si � mossa contestazione al Presidente della Regione Toscana, e/o ad assessori, ovvero si � dato avviso agli stessi della pendenza di procedimenti penali per il mancato compimento di atti amministrativi o, comunque, per il mancato esercizio di determinate competenze nei termini fissati da leggi statali (individuazione delle aree di smaltimento 1e deposito dei fanghi, definizione della disciplina degli scarichi, sostituzione della regione ai comuni inadempienti nell'esercizio di competenze loro delegate, adozione di interventi restrittivi o integrativi a tutela della salute pubblica) ovvero, ancora, per concorso nel reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata (art. 25, terzo comma, d.P.R. 915/1982). Con i ricorsi ora in discussione, la Regione non ha lamentato la violazione della guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost.; o laddove lo ha fatto ha del tutto omesso di fornire in proposito specifica motivazione; sicch� tale censura non pu� essere presa in consi�lerazionc. La Regione Toscana, peraltro basa fondamentalmente i ricorsi in esame sull'assunto che, secondo l'ordine istituzionale delle competenze gli adempimenti di cui � cenno nei provvedimenti impugnati spetterebbero al Consiglio -in quanto titolare delle competenze residuali non devolute con legge regionale ad altri organi (art. 21 lett. p) St.) -e che al Presidente (mero primus inter pares) o agli assessori non competerebbe neanche di dare impulso alla loro adozione. Con tale prospettazione, quindi, la Regione, non contesta la spettanza ad organi giudiziari del potere di procedere all'accertamento di eventuali responsabilit� penali di singoli membri di organi regionali in relazione all'esercizio -o al mancato esercizio -di determinate funzioni amministrative di sicura competenza regionale, ma semplicemente denuncia gli errori nei quali sarebbero incorsi i giudici nella identificazione dei soggetti cui spetta reserctzio delle specifiche funzioni amministrative di volta in volta considerate; errori da verificarsi in riferimento al riparto delle funziom ammmistrauve regionali tra gli organi regionali quali operato dallo statuto e aa 1egg1 reg1onall. La Regione, in definitiva, chiei:Ie alla Corte di correggere gli errori nei quali assume siano incorsi i giudici nei provvedimenti impugnati, cos� attribuendo alla Corte medesima un ruolo di giudice dell'impugnazione che, all'evidenza, non le compete. _ Invero, il conflitto di attribuzione tra enu previsto dall'art. 39 I. n. 87 del 1953 pu� avere ad oggetto solo gll attt invasivi della sfera di com petenza costituzionalmente attribuita all'Ente, e non anche vicende in cui PARTE I, SUZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITOZIONALE non si controverte n� della spettanza del potere (nella specie, giurisdizionale) a chi l'atto ha posto in essere, n� della spettanza o non spettanza all'ente ricorrente in quanto tale (nella specie, la Regione) di determinate attribuzioni, bens� solo della spettanza di queste all'uno od all'altro degli organi dell'ente medesimo: questioni, queste ultime, la cui risoluzione spetta a:d altri giudici. La riprova di ci� sta nel fatto che non � dato comprendere come provvedimenti giudiziari -per di pi� provenienti da organi inquirenti, e quindi soggetti al vaglio degli organi giudicanti -possano essere ritenuti idonei ad alterare le competenze statutarie, a turbarne l'ordinato assetto e addirittura a determinare -secondo quanto pretende la difesa della ricorrente -una modificazione della forma di governo regionale. Poich� la produzione di effetti giuridici di tale natura � evidentemente da escludersi, i provvedimenti impugnati non sono suscettibili di dar luogo alla lesione lamentata dalla Regione ricorrente. Deve, perci�, trovare conferma l'orientamento che questa medesima Corte ha espresso a partire dalla sentenza n. 289 del 1974 ed ha poi costantemente ribadito con le sentenze nn. 30 e 31 del 1980 e con le ordinanze nn. 77 e 98 del 1981. Con tale orientamento si sono ritenuti � idonei a dar luogo a conflitti di attribuzioni tra $tato e Regioni � � anche atti giurisdizionali o comunque strumentalmente inerenti all'esplicazione di funzioni giurisdizionali � � quante volte si assuma che ridondino iR una invasione o menomazione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente�; ma si � nel contempo, esclusa l'aminissibilit� dei ricorsi . quando con essi si pretenda di � censurare il modo come la giurisdizione si � concretamente esplicata, denunciando errori in iudicando nei quali il giudice� (nella fattispecie allora esaminata, �amministrativo�) �sarebbe incorso� (sentenza n. 289/1974). La conclusione cui la Corte perviene non implica, ovviamente, giudizio di sorta sulla pertinenza e fondatezza, da valutare nelle sedi proprie, delle argomentazioni difensive della Regione Toscana, ma ne esclude soltanto la rilevanza ai fini della decisfone dei ricorsi, posto che esse non conducono a ravvisare alcuna violazione della sfera di competenza regionale costituzionalmente garantita. p. q. m. I. -dichiara irricevibile la memoria del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa pervenuta in cancelleria il 7 novembre 1982 ...; II. -dichiara che non spetta ad organi giudiziari di emanare atti contenenti l'� invito � al Presidente della Giunta regionale ad adottare pr�vvedimenti di competenza regionale in materia di inquinamento delle I .~ 212 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Il I acque ed a comunicare in tempi brevi le determinazioni al riguardo e, i (. ~. di conseguenza, annulla...; III. -a) dichiara che non spetta ad organi giudiziari di procedere all'accertamento dell'eventuale responsabilit� penale del Presidente o di un assessore della Giunta regionale per la ritardata approvazione della legge di delega a Comuni e Province della funzione di rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 2 della legge 24 dicembre 1979, n. 650 e, di conseguenza, ... annulla limitatamente al capo a), il mandato di comparizione emesso il 25 gennaio 1983 dal Pretore di Firenze; b) dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Toscana con il ricorso medesimo per la parte concernente i capi b) e c) del predetto mandato di comparizione; IV. -a) dichiara che non spetta ad organi giudiziari di procedere all'accertamento dell'eventuale responsabilit� penale del Presidente della Giunta regionflle per l'omessa predisposizione di fondi di investimento necessari al finanziamento di opere di bonifica ed all'attuazione dei piani e programmi all'uopo necessari e, di conseguenZa annulla, per questa parte, l'ordine di comparizione emesso il 21 luglio 1983 dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa; b) dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Toscana con il ricorso medesimo per la restante parte del predetto ordine di comparizione; (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 20 marzo 1985, n. 72 -Pres. Elia -Rel. Greco Presidente Consiglio dei Ministri (vice Avv. Gen. Stato Azzariti) e Regione Lombardia (n.p.). Corte costituzionale -Ricorso dello Stato avverso delibera legislativaregionale riapprovata -Motivi diversi da quelli del previo rinvio governativo -Inammissibilit�. Poich� il procedimento previsto dall'art. 127 Cast. per l'impugnativa delle delibere legislative regionali � unitario, il rinvio al Consiglio regionale per il riesame non costituisce fase autonoma rispetto al processo costituzionale. E pertanto inammissibile il ricorso alla Corte costituzionale proposto dallo Stato per motivi diversi da quelli indicati nell'atto che ha disposto il rinvio per il riesame (1). (omissis) Con il ricorso di cui in narrativa, il Governo della Repubblica ha impugnato, in via diretta, la legge approvata dal Consiglio regio (1) Si richiama il commento alla sentenza n. 107 del 1983 (in questa Rassegna, 1983, I, 438), osservando come medio tempore nulla abbia ridotto la separatezza ivi segnalata. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nale della Lombardia il 3 gennaio 1980 e riapprovata, dopo il rinvio del Governo, il 13 marzo dello stesso anno. La impugnativa del Governo � determinata dalla constatazione che la detta legge proroga, per la seconda volta, i trattamenti erogati al personale dipendente per lavoro straordinario, pi� favorevoli rispetto a quelli previsti dall'"'-ccordo relativo al contratto nazionale di lavoro per il personale delle regioni a statuto ordinario e limitati, per la detta pattuizione, al 31 dicembre 1979. E ne assume la illegittimit� costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 36, 97, 117, 119 Cost.. Passando all'esame dei motivi della impugnazione, sembra alla Corte di dover accertare se essi corrispondano ai motivi dedotti dallo stesso ricorrente in sede di 'richiesta di riesame della legge regionale di cui trattasi, anche al fine di determinare gli esatti termini delle questioni da decidere. Con costante giurisprudenza, questa Corte (sent. n. 8 del 1967, n. 147 del 1972, n. 123 del 1975, n. 132 del 1975, n. 92 del 1976, n. 127 del 1976, n. 212 del 1976, n. 107 del 1983) ha affermato l'unitariet� del procedimento previsto dall'art. 127 Cost. per l'impugnativa delle leggi regionali viziate di incostituzionalit� e la impossibilit� di distinguere in esso, come due fasi autonome, il rinvio al Consiglio regionale per il riesame della legge e la eventuale impugnativa di questa dinanzi alla Corte per vizio di incostituzionalit�. L'atto motivato del Consiglio dei ministri di rinvio al Consiglio regionale, per riesame della legge regionale per vizi di legittimit� costituzionale, rileva anche per l'eventuale ricorso alla Corte per illegittimit� costituzionale come predeterminazione da parte del Governo delle linee essenziali di quest'ultimo e del conseguente giudizio di legittimit�. Onde sussiste l'esigenza che il Consiglio regionale, gi� dalla fase di rinvio, sia posto nella condizione di conoscere i vizi di legittimit� del suo provvedimento legislativo, riscontrati dal Governo al fine di esaminarli ed eliminarli nella successiva, eventuale rielaborazione e riapprovazione della legge. Sicch� sono inaminissibili il ricorso o i motivi che non presentino la necessaria corrispondenza tra le censure in esso svolte ed il motivo o i motivi del precedente rinvio. � altres� principio costantemente affennato quello secondo cui la necessaria rilevata corrispondenza tra i motivi del rinvio ed i motivi del ricorso possa considerarsi soddisfatta da una sintetica esposizione ed enunciazione delle ragioni del ricorso nell'atto di rinvio, sempre per� che dal confronto risulti quanto meno una omogeneit� ed identit� di contenuti dei due atti, una corrispondenza di genere a specie. Cos�, invero, si � ritenuto che non si possa esigere che il testo del rinvio menzioni puntualmente ed integralmente le disposizioni costituzionali o statutarie sulle quali poi si fonda il ricorso; e si � riconosciuta alla Corte la possibilit� di integrare le lacune o le inesattezze delle deduzioni quando ne risulti per� indubbio il contenuto (sent. n. 127/76). 214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nella fattispecie, col telegramma che ha disposto il rinvio per riesame, � dedotto solo il contrasto della legge con il principio di perequazione vigente nella legislazione in ordine al trattamento economico dei dipendenti regionali, recepito anche nel contratto unico nazionale, che non consentirebbe proroghe dei pi� favorevoli compensi per lavoro straordinario goduti in atto, oltre il termine del 31 dicembre 1979. Non risultano assolutamente dedotte, nemmeno in forma sintetica e concisa, n� la violazione degli artt. 3 e 36 Cost., per la verificata disparit� di trattamento in tema di compenso per lavoro straordinario tra dipendenti della Regione Lombardia e dipendenti di altre regioni a statuto ordinario che non hanno prorogato il trattamento di miglior favore, nonch� tra i dipendenti della detta regione ed i dipendenti statali, n� la violazione del principio della equa proporzione tra retribuzione e qualit� e quantit� di lavoro, assicurata dall'int~rvenuto accordo nazionale. Non sono state nemmeno dedotte la violazione dei principi di imparzialit� e di buon andamento della pubblica amministrazone (art. 97 Cost.) che il ricorrente, peraltro, collega alla violazione dei principi di cui al precedente motivo; n� la violazione dell'art. 119 Cost. per il contrasto, verificatosi per effetto della disposta protrazione del trattamento di miglior favore, con il principio del coordinamento della finanza pubblica, assicurato dai procedimenti di formazione delle norme relative al trattamento economico dei dipendenti pubblici. Pertanto, i suddetti motivi non possono formare oggetto del successivo giudizio di impugnativa alla stregua dei surrichiamati principi, anche secondo la loro pi� lata interpretazione. Non resta quindi che esaminare la dedotta violazione del principio generale, cui sarebbe improntata la legislazione, della perequazione del trattamento dei dipendenti pubblici regionali e statali di cui all'art. 117, primo comma, Cost .. Detta violazione, in sostanza, si f� discendere dalla inosservanza dell'accordo nazionale intervenuto tra i rappresentanti delle regioni a statuto ordinario e le associazioni sindacali di categoria, con l'intervento del rappresentante del Governo. (omissis) Per quanto riguarda il merito, come gi� affermato da questa Corte (sent. n. 290 del 1984 e n. 219 del 1984), stante l'autonomia delle regioni in materia di ordinamento degli uffici e la correlata riserva di legge di cui all'art. 117, primo comma, Cost., spetta, in ogni caso, alle leggi regionali non la pura e semplice riproduzione dell'accordo sindacale ma-il suo adeguamento, quando sia necessario, � alla peculiarit� del funzionamento degli uffici ed alla disponibilit� del bilancio regionale. ' Anche per quanto riguarda pi� specificamente il dedotto contrasto con i principi vigenti della legislazione, rivolti al soddisfacimento delk esigenze perequative in ordine al trattamento economico dei dipendenti regionali, recepite nell'accordo per il contratto unico nazionale dei dipen PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE denti delle regioni a statuto ordinario, il riferimento ai surrichiamati principi � del tutto generico e si risolve unicamente nella denuncia della pretesa illegittimit� della legge impugnata perch� introduce una deroga al trattamento previsto dal menzionato accordo nazionale con la disposta proroga per un anno del trattamento di maggior favore, ossia dell'erogazione del maggior compenso per il lavoro straordinario dei dipendenti della Regione Lombardia rispetto a quello sancito nel menzionato accordo. E la pretesa violazione delle esigenze perequative per il personale della regione si risolve sempre nella violazione dell'accordo nazin� nale in quanto queste esigenze, sebbene affermatesi nella legislazione regionale, in concreto sono pur sempre quelle recepite nel contratto nazionale. Nessun altro riferimento pi� specifico � dato desumere dalla nota di rinvio. Sicch�, il Consiglio regionale, in sede di riesame di nuova deliberazione del disegno di legge, occupandosi esclusivamente del contenuto della detta nota, ha giustamente ritenuto prevalente l'autonomia regionale anche in questo specifico settore. p. q. m. dichiara: a) inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale. del disegno di legge della Regione Lombardia approvato il 3 gennaio 1980 e riapprovato il 13 marzo dello stesso anno, sollevate, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Governo della Repubblica, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e 119 Cost.; b) non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dello stesso disegno di legge di cui sub a) in relazione all'art. 117, primo comma, Cost.. CORTE COSTITUZIONALE, 28 marzo 1985, n. 86 � Pres. Roehrssen - Rel. Paladin -Opera Pia Fo� ed altro (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi erariali indiretti -Invim -Esenzione da Invim decennale � ImmobiU appartenenti ad ente privato -Esenzione a favore degli immobili appartenenti ai benefici ecclesiastici -Non estendibilit� (Cost. artt. 3, 8, 19 e 20; legge 16 dicembre 1977 n. 904, art. 8). Premesso che la Corte costituzionale non pu� estendere l'ambito di applicazione di disposizioni legislative le quali concedono agevolazioni tributarie se non quando lo esiga la ratio di tali agevolazioni, non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 8, terza comma, della legge 16 dicembre 1977 n. 904, nella parte in cui limita l'esonero RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO dall'imposta di cui all'art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 ai benefici ecclesiastici, escludendo dall'esonero stesso quelle istituzioni aventi personalit� giuridica e dotazione patrimoniale immobiliare, che siano espressione o emanazione di confessioni religiose ammesse dallo Stato e diverse dalla religione cattolica (1). (1) Gli incrementi di valore dei beni patrimoniali (capital gains) sono in altri Paesi sottoposti ad imposizione diretta tendenzialmente generalizzata (os&ia non limitata ai soli immobili). Nel nostro Paese si � invece preferito introdurre un tributo che coinvolge solo gli immobili e � poggia� prevalentemente sulle imposte indirette sui trasferimenti (di registro e sulle successioni e donazioni); a fianco di un tributo cos� strutturato si � collocata la cosiddetta INVIM decennale, che nel testo del 1972 era circoscritta alle sole � societ� di gestione di immobili �. Il collegamento con le imposte sui trasferimenti, che forse � stato visto come una � semplificazione�, ha per� finito per far perdere la sensibilit� per la natura sostanzialmente � patrimoniale � del tributo in questione (in proposito, cfr. Corte cost., n. 126 del 1979). Di qui, da un lato la poco coerente (con la test� rammentata natura �patrimoniale�) deducibilit� dell'INVIM dal reddito di impresa introdotta con la legge n. 904 del 1977. Di qui, d'altro lato il proliferare di esclusioni esenzioni e riduzioni rispqndenti ad una logica per cos� dire " reddituale � anzich� � patrimoniale �. Il caso deciso dalla Corte costituzionale ne � un esempio: un soggetto collegato con una comunit� israelitica ha chiesto di fruire dell'esenzione dalla INVIM decennale prevista per gli immobili appartenenti ai � benefici ecclesiastici � dalla menzionata legge n. 904 del 1977; e la Corte ha dichiarato non fondata la questione dopo aver collegato l'esenzione con la disciplina dell'assegno supplementare di congrua (in pratica, si avrebbe una partita di giro). In realt�, se l'INVIM avesse a sopravivere come � oggi alle numerose e non irragionevoli proposte di una radicale trasformazione, si porrebbe il problema di una rimeditazione su parecchie delle norme � derogatorie � attualmente in vigore. Ad esempio, poco giustificato � divenuto l'ultimo comma dell'art. 2 d.P.R. n. 643 del 1972 (nel testo ora vigente), dopo che l'indennit� di espropriazione per p.u. � in pratica tornata a coincidere con il valore venale del bene espropriato (anzi spesso lo supera). N� pare giustificato lasciar �fuori campo� INVIM il caso di trasferimenti operati mediante sentenza che liquida il risarcimento del danno da occupare permanentemente seguita dalla realizzazione di opere pubbliche. Ancora, parecchio discutibili sono la esenzione (art. 25, secondo comma, lett. e) e la riduzione (art. 25, quinto comma, lett. a) a favore degli enti � privati � di cui all'art. 2, l�tt. e, del d.P.R. IRPEG n. 598 del 1973. All'interno di tale categoria di soggetti cercano sovente � rifugio fiscale � soggetti che si vestono da non esercenti (prevalentemente) attivit� commerciali e che invece prest~no servizi di supporto ad attivit� commerciali e quindi svolgono attivit� da qualificarsi esse pure commerciali (si pensi, ad esempio, alle associazioni di categoria operanti ad esempio nella consulenza o nel lobbying a favore degli associati, ovvero -secondo taluno -si pensi ai consorzi cosiddetti � normativi �, ossia non direttamente �operativi�, costituiti tra imprese). Le menzionate disposizioni parlano di � attivit� istituzionali � degli enti, espressione che -malgrano l'ampio uso fattone dalla normativa in tema di I.V.A. -mal si attaglia ai soggetti � privati �; invero � ravvisabile qualche irrazionalit� nel collegamento di esen PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zioni o agevolazioni fiscali ad una tipologia di soggetti e/o ad una tipologia di attivit� che (entrambe) la stessa entit� interessata pone autonomamente in essere per cos� dire � su misura � (ad esempio, con atto costitutivo o addirittura con delibera interna). Ancora, la legge parla, in relazione all'INVIM decennale, di � fabbricati desti� nati all'esercizio di attivit� commerciali '" di � immobili totalmente destinati allo svolgimento... di attivit�... didattiche, culturali, ricreative e sportj.ve,. di � terreni o fabbricati destinati all'esercizio di attivit� agricole�, e cos� via, facendo riferimento ad una destinazione certamente meritevole di ogni considerazione ma ancor pi� sicuramente non eterna e perci� reversibile (magari previa �radicale trasformazione�). Al momento della cessazione della destinazione, bisognerebbe � fare un po' di conti � e vedere se, per avventura, l'immobile si sia plusvalorato durante gli anni (o decenni) coperti da esenzione; invece, salvo errore, sul punto nulla � detto. CORTE COSTITUZIONALE, 1 aprile 1985, n. 93 -Pres. Elia -Rel. Reale Gallo ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carbone). Lavoro -Avviamento al lavoro -Assunzioni obbligatorie -Facolt� di rifiutare lavoratori licenziati per giusta causa -Sussiste. (Cost. artt. 3 e 41; I. 2 aprile 1968 n. 482, artt. 10 e 11). Anche nell'ambito delle assunzioni obbligatorie di cui alla legge n. 482 del 1968 � applicabile la disposizione contenuta nel quinto comma dell'art. 15 della legge n. 264 del 1949, secondo il quale il datore di lavoro pu� rifiutare di assumere lavoratori, avviati dall'ufficio competente, quali siano stati precedentemente da lui licenziati per giusta causa. CORTE COSTITUZIONALE, 5 novembre 1984, n. 245 -Pres. Elia -Rel. Paladin -Regione Veneto (avv. Berti), Regione Trentino-Alto Adige e Province aut. di Trento e Bolzano (avv. Guarino e Riz), Regione Sicilia (avv. Fazio), Regione Campania (avv. Cioffi), Regione Toscana (avv. Predieri), Regione Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia (avv. Onida) e Presidente del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti e avv. Stato Vittoria). Regioni -Trasporti pubblici di interesse regionale -Spese relative -Non possono essere poste a carico della regione se � di interesse nazionale � -Riduzione dell'entit� � storica � dei flussi di risorse assegnate alle Regioni -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 81, 117 e 119; !. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7). Impiego pubblico -Blocco delle assunzioni -Esteso anche al personale regionale e delle USL -Legittimit� costituzionale -Potere di derogare al blocco -Spetta per detto personale alle Regioni. (Cost., artt. 5, 115, 117 e 118; !. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 19). 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Regioni � Materia assistenza sanitaria e ospedaliera � Personale sanitario a rapporto convenzionale � Relativa disciplina � Non rientra in detta materia e compete allo Stato. (Cost., art. 117; I. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 24). Regioni � Autonomia finanziaria � Fondi per l'assistenza sanitaria � Vincoli di destinazione � Introdotti con legge statale � Legittimit� costitu zionale. (Statuto Trentino A. A., artt. 4, 9, 16 e 54; I. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25). Costituzione della Repubblica � Eguaglianza dei cittadini � Nella fruizione dei servizi pubblici � Doverosit�. (Statuto Trentino A. A., art. 78; I. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 27). Regioni � Controlli sugli atti e sugli organi -Scioglimento di comitato di gestione di USL � Potere del Commissario del Governo � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 5, 115, 117; 118, 123 e 130; I. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 28). Regioni � Materia assistenza sanitaria e ospedaliera -Peculiariet� � Concorso di competenze statali regionali e locali. (Cost., artt. 117 e 119; I. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25). Regioni � Contabilit� delle USL � Predisposizione di capitolati � � attribuzione delle regioni -Albi dei fornitori -Regole generali statali. (Cost., artt. 117 e 118; I. 27 dicembre 1983, n. 730, art. 31). Lo Stato non pu�, in nome del coordinamento finanziario, fronteggiare una spesa di interesse nazionale (nella specie, per il ripianamento dei disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale), ricorrendo al gettito di tributi regionali al quale devono essere equiparate le entrate affluenti alle regioni dal �fondo comune� di cui all'art. 8 legge n. 151 del 1981. Peraltro, nuove leggi statali possono modificare (e ridurre) l'entit� (in termini reali) � storica � dei flussi di risorse attribuite dallo Stato alle Regioni. La legge statale pu� disporre il blocco -purch� circoscritto entro limiti temporali ragionevoli (e tale ragionevolezza non � esclusa dalla proroga del blocco disposto l'anno precedente) -delle assunzioni nelle amministrazioni regionali e nelle unit� sanitarie locali, ma non pu� avocare a s� il potere di derogare a tale blocco. Non rientra nella materia �assistenza sanitaria ed ospedaliera� la competenza a disciplinare (mediante leggi o accordi collettivi nazionali) il trattamento del personale sanitario a rapporto convenzionale. La legge statale pu� stabilire, anche nei confronti delle province di Trento e di Bolzano, quote di utilizzazione -rispettivamente � parte corrente � e � in conto capitale � -dei fondi destinati al finanziamento delle funzioni esercitate in materia sanitaria i quali non transitino attraverso il fondo sanitario nazionale. PARm I, SHZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE L'eguaglianza dei cittadini della Repubblica nei confronti dei servizi resi dagli apparati pubblici (nella specie, il servizio sanitario) � valore costituzionale la cui salvaguardia � affidata al legislatore statale. Spetta in prima linea al legislatore statale disciplinare il controllo sugli atti degli enti locali (cui sono assimilate le unit� sanitarie locali quali s'trutture operative dei comuni e delle comunit� montane); e spetta al legislatore statale disciplinare il controllo sugli organi (nella specie, scioglimento del comitato di gestione di USL). Non contrasta con la Costituzione la disposizione che, in caso di disavanw non ripianabile, attribuisce al commissario del Governo il potere di sciogliere il comitato, di gestione di una USL. L'� assistenza sanitaria ed ospedaliera �, sebbene compresa nell'elenco dell'art. 117 Cost., non � materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale: sia per la particolare intensit� dei limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle Regioni, sia per le peculiari forme e modalit� di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia -soprattutto -per i tipici rapporti che l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima. � costituzionalmente illegittimo l'art. 29, comma secondo, n. l, della legge n. '730 del 1983, nella parte in cui prevede che, per ripianare il disavanzo delle unit� sanitarie locali, le Regioni sono tenute -anzich� facoltizzate -a prelevare i fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, quanto alle Regioni a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti, quanto alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome. Spetta alle regioni predisporre capitolati generali e speciali per le for.niture di beni e servizi alle USL; lo Stato pu� invece stabilire in via amministrativa tipologie, classi di appartenenza, e requisiti per l'inserzione negli albi regionali dei fornitori del Servizio sanitario nazionale. (omissis) I dieci giudizi in esame si prestano ad essere riuniti e decisi con unica sentenza, poich� riguardano tutti la legge 27 dicembre 1983, n. 730, intitolata � Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1984) � ... Seguendo l'ordine testuale della legge n. 730, vanno prese anzitutto in considerazione le questioni concernenti il finanziamento dei trasporti pubblici locali... ...L'art. 7, comma tredicesimo, stabilisce che �i disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale, non ripianabili con i contributi regionali di esercizio di cui all'art. 5 della legge 10 aprile 1981, n. 151, devono essere coperti dalle regioni o province autonome mediante adeguamenti tariffari stabiliti con il concorso degli enti locali interessati o con prelievo dai fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della 220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 16 maggio 1970, n. 281, per le regioni a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti per le regioni a statuto speciale o province autonome �. Senonch� le ricorrenti Regioni di diritto comune censurano la disposizione che le obbliga a coprire i disavanzi, facendoli gravare sulla finanza regionale, nella misura occorrente per surrogare o per integrare gli �adeguamenti tariffari �; e, sotto questo aspetto, denunciano in particolar modo la violazione degli artt. 81, comma quarto, 117 e 119 della Costituzione. Da un lato, infatti, la norma impugnata comporterebbe oneri a carico dei loro bilanci, senza assegnare alle Regioni le somme occorrenti per farvi fronte; d'altro lato, la norma stessa vincolerebbe ad una specifica destinazione mezzi finanziari liberamente disponibili da parte regionale, nell'esercizio della loro autonomia legislativa. Di pi�: la disciplina in esame verrebbe in tal senso a contraddire puntualmente una pronuncia della Corte, adottata mediante la sentenza n. 307 del 1983, nella parte in cui questa ha annullato l'art. 31, comma primo, lett. a, del d.l. n. 55 del 1983. (omissis) N� gli �adeguamenti tariffari� potrebbero bastare allo scopo, consentendo alle Regioni di rendere del tutto inoperante la previsione denunciata: sia perch� le Regioni non sarebbero in grado di incidere sulle tariffe -stando al testuale disposto dell'art. 7, comma tredicesimo -senza il �concorso degli enti locali interessati�; sia perch� si tratterebbe di ripianare non soltanto i deficit degli anni a venire, ma anche i disavanzi' gi� prodottisi in passato; sia perch� occorrerebbe provvedere al ripiano per ogni singola azienda deficitaria, laddove le Regioni non disporrebbero di alcuna competenza -specialmente nel caso dei servizi direttamente assunti dagli enti locali -quanto alla gestione ed alle spese delle aziende stesse. Cos� ricostruiti, i ricorsi vanno in questa parte accolti.... Per averne la dimostrazione, basta rileggere la motivazione svolta dalla sentenza n. 307, nel risolvere l'analogo problema posto dal citato art. 31, comma primo, lett. a, del d.l. n. 55 del 1983. Gi� in quell'occasione, la Corte ha ritenuto che l'imporre alle Regioni obblighi del genere contrasti anzitutto con ci� che la Costituzione prescrive nel secondo comma dell'art. 119, ossia che le Regioni dispongano di � tributi propri� (oltre che di � quote di tributi erariali�), per fronteggiare autonomamente �le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali�, in chiara contrapposizione ai � contributi speciali � previsti dal terzo comma, in ordine ai quali pu� essere invece vincolato l'esercizio della legislazione e dell'amministrazione regionale; sicch� non pu� ammettersi che, in nome del coordinamento finanziario, lo Stato faccia fronte ad una spesa di interesse nazionale ricorrendo ai tributi regionali, senza con ci� vulnerare l'autonomia legislativa locale assieme all'autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite. Nel porre a carico delle Regioni la spesa in questione -concludeva sul punto la detta sentenza -sarebbe dunque occorso che il legi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE slatore statale disponesse un'apposita copertura finanziaria: in difetto della quale, dalla lesione degli artt. 117 e 119 discendeva altres� la violazione dell'art. 81, comma quarto, Cost. Ora, tutti questi assunti sono sostanzialmente riferibili al problema in esame, sebbene la norma dettata dall'art. 7, comma tredicesimo, della legge n. 730 del 1983 riguardi il �fondo comune� (ovvero le corrispondenti entrate delle Regioni o Province a statuto speciale) anzich� i tributi regionali � prop:d �. Infatti, .non vi � dubbio che le quote dei tributi erariali in base alle quali si determina l'ammontare del fondo predetto ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281 -rientrino anch'esse nella previsione del primo capoverso dell'art. 119 Cost.; e la parificazione fra i cosiddetti � tributi propri � ed il � fondo comune � risulta confermata, a questi effetti, sia dall'art. 1 della stessa legge n. 281 del '70, sia dall'art. 8, comma primo, della legge 19 maggio 1976, n. 335. In entrambe le ipotesi, dunque, si tratta di risorse autonomamente utilizzabili dalle Regioni, per assolvere all'intero complesso delle loro � funzioni normali � -secondo le priorit� determinate dagli organi regionali di governo senza alcun vincolo a specifiche destinazioni: tanto pi� quando il legislatore statale abbia gi� provveduto alle spese di interesse nazionale mediante appositi fondi speciali, come quello � per il ripiano dei disavanzi di esercizio� delle aziende di trasporto, istituito dall'art. 9 della �legge quadro� n. 151 del 1981. D'altra parte, non giova replicare che la disciplina in discussione (diversamente dall'art. 31, comma primo, lett. a, deI d.I. n. 55/1983) farebbe cadere l'accento sugli �adeguamenti tariffari�: cui le Regioni sarebbero comunque tenute, in virt� del principio di corrispondenza fra le tariffe ed il �costo effettivo del servizio�, gi� stabilito dall'art. 6, comma primo, lett. b, della ricordata �legge quadro� sui trasporti pubblici locali. La norma richiamata dall'Avvocatura prescrive bens� la copertura dei costi attraverso � i ricavi del traffico... derivanti dall'applicazione delle tariffe minime stabilite dalla regione�, ma �nella misura che verr� stabilita annualmente per le varie zone ambientali omogenee del territorio nazionale con decreto del Ministro dei trasporti... �; e dal recente decreto ministeriale 13 giugno 1983 (pubbl. in G. U. 20 agosto 1983, n. 228) si desume che le aliquote minime oscillano fra il 35 % dei costi (relativamente ai trasporti extra-urbani del centro-nord) e il 17 % dei costi medesimi (re. lativamente ai trasporti urbani nella citt� di Napoli). Ad aggravare il caso, � anzi sopraggiunta -in attuazione del d.I. n. 10 del 1984 (recante, fra l'altro, misure urgenti in materia di tariffe) la delibera n. 10/1984 del Comitato interministeriale prezzi (tuttora valida ai sensi della legge n. 219 del 1984) la quale ha stabilito, al punto 4, che per l'anno in corso � le tariffe del trasporto urbano e delle autolinee in concessione... dovranno essere mantenute ferme agli attuali livelli �. Ma l'art. 7, comma tredicesimo, della legge n. 730 del 1983 dev'esser di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 222 chiarato costituzionalmente illegittimo, pur senza utilizzare quest'ultimo ordine di considerazioni (tenuto conto che la predetta delibera del CIP � stata a sua volta impugnata dalla Regione Toscana e che la Corte deve ancora pronunciarsi in proposito). Indipendentemente dall'attuale blocco delle tariffe dei servizi di . trasporto pubblico locale, la denunciata norma si pone infatti in contrasto -per tutte le ragioni ,in precedenza esposte -con gli artt. 117, 119 ed 81, comma quarto, della Costituzione (mentre rimangono assorbite le� ulteriori censure prospettate dai ricorsi in esame). Le Regioni Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia contestano inoltre la legittimit� costituzionale dell'undicesimo e del dodicesimo comma dell'art. 7, rispettivamente concernente l'ammontare del Fondo nazionale per i trasporti quanto agli anni 1982 e 1983. Pi� di preciso, l'undicesimo comma dell'art. 7 stabilisce che � il fondo nazionale per i trasporti per l'anno 1982, determinato in via provvisoria in lire 2.900 miliardi dall'art. 27 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51 � definitivamente determinato in lire 2.922 miliardi�; ed aggiunge che �gli, importi di cui al secondo comma dell'art. 27 dello stesso decreto-legge non utilizzati per lire 88,5 miliardi per la determinazione definitiva del predetto fondo, vengono destinati al finanziamento del fondo relativo all'anno 1983 �. Cos� disponep.do, per�, la disciplina impugnata lederebbe secondo le Regioni ricorrenti -l'autonomia regionale, come pure il quarto comma dell'art. 81 Cost., dal momento che l'importo del fondo verrebbe in tal modo fissato al di sotto della misura risultante da una corretta applicazione dell'art. 9 della � legge quadro � sui trasporti pubblici locali. Effettivamente, il secondo comma dell'art. 9 I. cit. aveva previsto che il fondo in questione fosse �dotato per il 1982 di un importo pari a quello corrisposto a qualsiasi titolo per l'anno 1981 dalle regioni, dalle province e dai comuni, direttamente o indirettamente, in favore delle aziende di cui al primo comma e per le finalit� ivi considerate�; ed il terzo comma aveva a sua volta disposto che �per il 1982 e per gli anni successivi detto importo � venisse � modificato anche in relazione all'incremento della componente prezzi nella variazione del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato, verificatasi nell'anno precedente e risultante nella relazione generale sulla situazione economica del Paese �. Ma la definizione della cosiddetta quota storica del fondo, corrispondente al complesso delle precedenti assegnazioni regionali, provinciali e comunali, risult� molto complessa e fu ritardata nel tempo; sicch� l'art. 27, comma primo, del decret�- legge n. 786 del 1981, ad oltre otto mesi dall'entrata in vigore della �legge quadro�, si limit� ad operare una determinazione provvisoria, nella misura di 2.900 miliardi, pari alfa somma della � quota storica � quantificata in 2.500 miliardi e di ulteriori 400 miliardi corrisposti dallo Stato a titolo di aumento del 16 %, per compensare l'intervenuto incremento dei prezzi (ma gi� diversamente -per dichiarazione dello stesso PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE legislatore statale -da quanto in origine previsto nel citato art. 9, comma terzo). Ed � soltanto in virt� della legge finanziaria 1984 che si � giunti alla determinazione definitiva, con una maggiorazione di 22 miliardi rispetto all'importo provvisorio: maggiorazione per altro insufficiente -stando ai tre ricorsi in discussione -in quanto l'entit�. effettiva della � quota storica � era stata nel frattempo valutata in 2.610,5 miliardi, superando di 88,5 miliardi l'importo fissato dalla norma impugnata, che invece ha stornato quest'ultima somma, destinandola al finanziamento del fondo per il 1983. Con ci� l'intera questione finisce per vertere sugli aspetti quantitativi della determinazione del fondo trasporti per il 1982, con particolare riguardo alla cosiddetta quota storica del fondo medesimo. (omissis) Tuttavia, questa Corte non � dell'avviso che censure cos� prospettate, fondate o meno che siano sul piano fattuale, bastino a concretare una lesione dell'autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni, n� una violazione del precetto che impone la copertura finanziaria degli oneri gravanti sulla finanza pubblica allargata. Quanto al quarto comma dell'art. 81 Cost., non si pu� dire che le somme in questione fossero gi� state determinate ed assegnate alle Regioni, per esser poi ridotte al momento della loro materiale erogazione. Al contrario, la definitiva determinazione di esse, comunque disposta in misura superiore alla determinazione provvisoria del dicembre 1981, non ha avuto luogo se non per effetto della norma che le tre Regioni ricorrenti denunciano nel presente giudizio. Se dunque, in precedenza, le Regioni stesse hanno stanziato ulteriori contributi per il ripiano di disavanzi di esercizio riguardanti le aziende di trasporto pubblico locale, ci� ha rappresentato il frutto di loro autonome scelte, concretate mediante il ricorso ad entrate regionali gi� disponibili allo scopo: senza di che le leggi locali di spesa avrebbero violato a loro volta il quarto comma dell'art. 81, visto che oneri del genere non possono venire legittimamente fronteggiati con fondi � derivanti da entrate gi� previste dalla normazione � statale, ma non ancora assegnati alle amministrazioni regionali, a conclusione dei necessari � adempimenti procedurali� (come questa Corte ha precisato nella sentenza n. 54 del 1983). D'altro lato, quanto all'autonomia regionale in genere ed all'autonomia finanziaria in particolare, la Costituzione non ha certo vietato che nuove leggi statali intervengano a modificare la legislazione preesistente, anche per ci� che riguarda i proventi attribuiti dallo Stato alle Regioni; ed il mancato o incompleto rispetto degli affidamenti che il legislatore statale abbia dato alle amministrazioni regionali si presta -in ipotesi a venir censurato sul piano politico, ma non si risolve necessariamente, secondo l'ordinamento italiano, in un fattore d'illegittimit� costituzionale. La ricordata sentenza n. 307 del 1983 ha chiarito, in proposito, che � l'attribuzione alle regioni dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento 224 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO delle loro finalit� � non � � definita dal precetto costituzionale in termini quantitativi; essa va, nel tempo, costantemente adeguata alle concrete esigenze di espletamento delle funzioni regionali, nei limiti della compatibilit� con i vincoli generali nascenti dalle preminenti esigenze della finanza pubblica nel suo insieme � ed alla sola condizione � che non venga gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva corrispondenza ... fra bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte �. Il che, tutta� via, non � stato dedotto nel caso che ora � in esame. (omissis) Considerazioni analoghe valgono anche in ordine al dodi�esimo comma dell'art. 7, per cui �l'importo di lire 2.900 miliardi del fondo nazionale per i trasporti relativo all'anno 1983, di cui al secondo comma dell'art. 5 della legge 26 aprile 1983, n. 130, � elevato a lire 3.132,5 miliardi, di cui lire 144 miliardi sono iscritte nel bilancio dello Stato per l'esercizio finanziario 1984 �. Al che si aggiunge l'abrogazione dei �commi 5.1, 5.2 e 5.3 dell'art. 31 del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131 �; mentre le Regioni vengono facoltizzate a �corrispondere un contributo per il ripiano del disavanzo di esercizio relativo all'anno 1983 superiore a quello attribuito nell'anno 1982 esclusivamente alle aziende che hanno applicato, e per le quali siano in atto al 31 dicembre 1983, gli adeguamenti tariffari previsti dall'art. 31 del predetto decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55 �. (omissis) * * * L'art. 19 della legge n. 730 viene impugnato unicamente dalla Regione Veneto, anche �in relazione �.all'art. 16 della legge stessa, come si precisa nelle premesse del ricorso. Nel disporre la proroga del � blocco delle assunzioni �, gi� previsto dall'art. 9, comma terzo, della legge n. 130 del 1983, le disposizioni denunciate avrebbero anzitutto conferito � carattere di normalit� a una misura eccezionale�, contravvenendo alle indicazioni date dalla Corte con la sentenza n. 307 del medesimo anno. Pi� specificamente, tali disposizioni avrebbero invaso, sotto un triplice aspetto, la competenza costituzionalmente riservata alle Regioni: in primo luogo, perch� il terzo comma dell'art. 19, richiamando. l'art. 9, comma quinto, della legge n. 130, continua a subordinare le �nuove assunzioni� presso le � amministrazioni regionali � al rispetto di appositi atti governativi d'indirizzo e coordinamento; in secondo luogo, perch� il quarto comma dell'art. 19, pur demandando alle Regioni le valutazioni delle � eventuali necessit� di assunzioni di personale � presso le unit� sanitarie locali, stabilisce anche in tal caso che le autorizzazioni regionali vanno disposte � nei limiti fissati dagli atti di indirizzo e coordinamento emanati ai sensi del quinto comma dell'art. 9 della legge 26 aprile 1983, n. 130 �; in terzo luogo, per ch� la mancata considerazione degli � enti amministrativi dipendenti dalla Regione � lascia intendere che resta � impregiudicato il potere statale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENzA COSTitUZIONALB per tutti quegli enti che, pur diversi da quelli del servizio sanitario e dalle amministrazioni regionali in senso stretto, rientrano tuttavia nell'area delle competenze regionali anche per quanto concerne la disciplina e la provvista dei loro organ�ci e delle assunzioni di personale �. Ed il raffronto fra l'art. 19 e l'art. 16 della legge n. 730, che riconosce ai Comuni e alle Province -come si afferma nel ricorso -� una sfera di autodeterminazione in materia... pi� ampia di quella regionale �, varrebbe a confermare la sussistenza dei prospettati vizi di legittimit� costituzionale. In realt�, sui primi due motivi specificamente dedotti nel ricorso, la Corte si � gi� pronunciata con quella stessa sentenza n. 307 del 1983, da cui la ricorrente vorrebbe trarre argomento per fondare le proprie censure. Con quella decisione s'� infatti annullato l'art. 9, comma quarto, della citata legge n. 130, nella parte in cui non conferiva alle Regioni la potest� di determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui fosse indispensabile procedere ad assunzione di personale nelle unit� sanitari locali; ma si sono mantenute espressamente ferme, anche nel dispositivo della decisione stessa, � le funzioni di indirizzo e coordinamento previste dall'art. 5 legge 23 dicembre 1978 n. 833 �. Del pari, si � dichiarata non fondata la questione di legittimit� costituzionale concernente l'art. 9, comma quinto, in base all'assunto che tale norma prevedeva (e tuttora prevede) �il possibile contenuto degli atti di indirizzo e coordinamento, rappresentato non da pure e semplici prescrizioni di blocco delle assunzioni, derogabile solo in casi stabiliti da organi governativi, ma dall'individuazione di limiti entro i quali debba risultare contenuta la spesa delle regioni derivante da nuove assunzioni, limiti superabili solo in presenza di valutazioni di indispensabilit�, da compiersi, ad opera dei competenti organi regionali, con procedure non riproduttive di quella configurata dal quarto comma dello stesso articolo, ma su di questa esemplate �. N� vale obiettare che il �blocco delle assunzioni�, in quanto protratto per l'intero anno in corso, avrebbe superato quei � limiti temporali non irragionevoli�, che la Corte stimava rispettati sin quando la detta misura di contenimento restava circoscritta al 1983. Come l'Avvocatura dello Stato .ha posto in rilievo, � il carattere transitorio della Inisura non viene meno... per la sola ragione della sua proroga� (ed anzi �l'esigenza straordinaria di freno alla dilatazione della spesa pubblica che giustific� il divieto di assunzioni nell'anno 1983 lo giustifica ancora nel 1984 �); tanto pi� che il primo comma dell'impugnato art. 19 ha notevolmente esteso la serie delle ipotesi nelle quali il blocco non opera, rispetto alle originarie previsioni dell'art. 9, comma terzo, della legge n. 130. Se poi si considera che, nella specie, spetta alle Regioni individuare i singoli casi nei quali risulti indispensabile derogare al blocco stesso, ne viene ulteriormente confermata l'infondatezza delle due prime RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO impugnaziom m esame.. E l'estrinseco richiamo alle diverse situazioni disciplinate dall'art. 16 della legge n. 730 non pu� far mutare le conclusioni cos� raggiunte. Per contro, dev'essere accolto il terzo degli indicati motivi di ricorso. (omissis) Nel merito non si giustifica il fatto che il legislatore statale, tanto nella legge n. 130 quanto nella legge n. 730 del 1983, abbia preso in specifica considerazione le assunzioni di personale presso le �amministrazioni regionali�, trascurando quegli �enti amministrativi dipendenti�, che pur non confondendosi con le �amministrazioni� stesse vengono affiancati agli �uffici� dell'ente Regione per mezzo del citato disposto costituzionale. L'incoerenza della vigente disciplina sul � blocco delle assunzioni � � anzi accentuata da ci� che l'immissione di nuovo personale nelle unit� sanitarie locali, entro i limiti fissati dagli atti governativi di indirizzo e coordinamento, ricade attualmente nella competenza regionale, malgrado le � strutture operative � in questione facciano capo ai Comuni (od alle comunit� montane) anzich� alle Regioni, in base all'art. 15, comma primo, della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale. Non a caso, la prima Commissione permanente del Senato aveva espresso in tal senso l'avviso che la legge finanziaria 1984 dovesse affermare la competenza delle Regioni � non solo per il personale del servizio sanitario, ma, pi� in generale, per tutto il personale dipendente da enti pubblici regionali� (Atti Senato, 20 ottobre 1983, n. 195-A). Senonch� il detto parere, che avrebbe portato alle loro naturali conseguenze le indicazioni offerte dalla sentenza n. 307/1983 circa le unit� sanitarie locali, � stato disatteso dal Parlamento nel seguito dei lavori preparatori della legge n. 730. E dunque la Corte deve ora restaurare la competenza regionale costituzionalmente garantita in materia, dichiarando l'illegittimit� dell'art. 19, comma terzo, nella parte in cui non prevede -. alle stesse condizioni stabilite per le � amministrazioni regionali � -che siano le Regioni (e non il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, sentito il Ministro del tesoro) a determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia indispensabile procedere alle assunzioni di personale presso gli enti amministrativi da esse dipendenti. * * * L'art. 24, comma primo, della legge n. 730 (in combinazione con l'art. 32, comma quinto, della legge stessa) viene a sua volta impugnato dalla Regione Toscana: con particolare riguardo alla lettera b, che demanda agli accordi collettivi nazionali, stipulati in base all'art. 48 della legge n. 833 del 1978, �l'istituzione di commissioni professionali a livello regionale con la partecipazione di rappresentanti dei medici convenzio PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nati..., scelti tra esperti qualificati delle strutture pubbliche universitarie e ospedaliere, e dell'ordine professionale, con il compito di definire gli standards medi assistenziali e di fissare la procedura per le verifiche di qualit� dell'assistenza�; al che si aggiunge -secondo la disposizione denunciata -che � nella definizione degli standards medi assistenziali dovranno altres� essere previste le ipotesi di eccessi di spesa che potranno dar luogo, ove non giustificati, a sanzioni da determinarsi secondo i criteri previsti dal punto 3, terzo comma, del richiamato art. 48 �. La Regione ricorrente assume che le funzioni attribuite alle dette commissioni professionali interferirebbero con la competehza regionale in materia di �assistenza sanitaria ed ospedaliera�: venendo a ledere, pi� precisamente, la potest� di organizzare le strutture sanitarie sul piano regionale ed infraregionale, nonch� la potest� di definire le regole organizzative attinenti alla gestione in loco del servizio sanitario nazionale, che l'art. 11 della legge n. 833 del 1978 avrebbe invece incluso tra le funzioni legislative ed amministrative spettanti in tal campo alle Regioni. Di qui la connessa impugnazione dell'art. 32, comma quinto, che impone alle commissioni regionali di controllo di cui all'art. 24 di � valutare con particolare attenzione i dati relativi alle prestazioni in questione (diagnostica specialistica ad alto costo) e alla spesa conseguente�; tanto pi� che quest'ultima disposizione sarebbe ulteriormente viziata per contrasto con l'art. 130 Cost., il quale riserva ad appositi organi della Regione il controllo sugli atti degli enti locali (unit� sanitarie locali comprese) e per ci� stesso preclude -a quanto si adduce nel ricorso -la configurabilit� di anomali controlli del genere in esame. Per risolver.e i problemi cos� prospettati, giova premettere che l'art. 48 della legge n. 833 del 1978 considera -direttamente od indirettamente -ogni aspetto dell'ordinamento del � personale sanitario a rapporto convenzionale�, con il dichiarato scopo di garantire, �sull'intero territorio nazionale�, � l'uniformit� del trattamento economico e normativo � del personale medesimo, in vista di quell� eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio� (proclamata dall'art. l, comma terzo, della stessa legge n. 833) che rappresenta il primario motivo ispiratore della riforma sanitaria. Ai contratti collettivi da esso previsti, cui devono � del tutto � conformarsi le convenzioni delle quali si tratta, l'art. 48 devolve pertanto -in particolar modo -il compito di regolare � il rapporto ottimale medico-assistibili..., fatto salvo il diritto di libera scelta del medico per ogni cittadino�, �il numero massimo degli assistiti per ciascun medico � e, soprattutto, � le forme di controllo sull'attivit� dei medici convenzionati nonch� le ipotesi di infrazione da parte dei medici degli obblighi derivanti dalla convenzione, le conseguenti sanzioni, compresa la risoluzione del rapporto convenzionale, e il procedimento per la loro irrogazione, salvaguardando il principio della contestazione degli addebiti e fissando la composizione di commissioni paritetiche di disciplina � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dllll.O STATO 228 (come si legge nel terzo comma, nn. 1, 5 ed 8). Ed � appunto in questo quadro (del quale la Regione Toscana non contesta affatto la legittimit� costituzionale) che s'inserisce la norma impugnata, avendo principalmente di mira la determinazione di criteri concernenti il cosiddetto comportamento prescrittivo dei medici convenzionati, al duplice fine di limitare la corrispondente spesa sanitaria e di rendere possibile, nel caso di un'ingiustificata violazione dei criteri medesimi, la decadenza dal rapporto convenzionale. L'art. 24, comma primo, lett. b, della legge n. 730 non implica dunque -come vorrebbe il ricorso -una rottura della logica alla quale � ispirato l'art. 48 della legge n. 833; bens� costituisce, dal punto di vista delle rispettive competenze statali e regionali, una puntuale conferma della logica stessa. Ben diversamente dal personale delle unit� sanitarie locali, in ordine al quale spetta alle Regioni un consistente complesso di poteri, il personale sanitario a rapporto convenzionale viene interamente regolato per mezzo di norme legislative statali ovvero di appositi accordi collettivi nazionali (sia pure stipulati da una delegazione dei poteri pubblici, comprensiva di cinque rappresentanti regionali); mentre ad ogni singola Regione l'art. 48 riserva il solo compito di autorizzare le temporanee deroghe di cui al terzo comma, punto 5, quanto �al numero massimo degli assistiti e delle ore di servizio ambulatoriale �. Ci� spiega per quali motivi il Parlamento, discostandosi dal testo presentato dal Governo, abbia approvato la norma che ora � in discussione. Determinante, cio�, si � rivelata l'esigenza -pi� volte segnalata nel corso dei lavori preparatori -di evitare ingerenze di stampo burocratico nell'esercizio della libera professione medica. E ne offre la riprova l'esordio dell'art. 24, comma primo, che subordina i previsti contratti collettivi nazionali �al fine di razionalizzare l'erogazione delle prestazioni sanitarie in regime convenzionale, nel rispetto dell'autonomia e del segreto professionale dei sanitari convenzionati �. Certo, la soluzione cosi accolta potrebbe dare luogo ad inconvenienti, perch� suscettibile delle pi� diverse applicazioni nell'ambito del territorio nazionale. Ma, entro la particolare prospettiva del presente giudizio, rimane fermo che gli obblighi gravanti sul personale in esame non costituiscono -secondo il vigente sistema -l'oggetto di alcuna potest� legislativa regionale propria: il che dovrebbe escludere, del pari, la stessa possibilit� di un conflitto fra gli � standards medi assistenziali �, prefigurati dal primo comma, lett. b, dell'art. 24, ed i �piani sanitari regionali�, periodicamente approvati dai legislatori locali, in base all'art. 55 della legge n. 833. Di conseguenza, la prima delle proposte questioni deve dirsi non fondata. E la medesima conclusione vale per l'impugnativa concernente l'art. 32, comma quinto: poich� il cosiddetto � controllo sull'attivit� dei medici convenzionati � -gi� fondato sull'art. 48, comma terzo, punto 8, della legge n. 833 -non ha nulla a che vedere PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE con il controllo sugli atti degli enti locali, considerati dall'art. 130 della Costituzione. La Regione Trentino-Alto Adige e le Province di Trento e di Bolzano contestano la legittimit� costituzionale dell'art. 25, comma secondo, della legge finanziaria 1984: per cui, �a modifica di quanto previsto dall'art. 69 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, le somme di cui alle lett. b), e) e e) del primo comma dello stesso articolo sono trattenute dalle unit� sanitarie locali, dalle regioni e province autonome e sono utilizzate per il 50 per cento ad integrazione del finanziamento di parte corrente e per il 50 per cento per l'acquisto di attrezzature in conto capitale�. a) Di tale disciplina, la Regione e le Province autonome censurano la parte che prescrive un rigido criterio di riparto e di utilizzo delle somme in esame, destinandole rispettivamente alle spese sanitarie correnti ed alle spese di investimento. Da un lato, cio�, il ricorso regionale assume che la norma impugnata invaderebbe -senza il supporto di alcuna riforma economico-sociale della Repubblica -una competenza riservata alla legislazione primaria del Trentino-Alto Adige, quale I'� ordinamento degli enti sanitari ed ospedalieri� (ex art. 4 n. 7 St.): competenza che la Regione avrebbe gi� esercitato, mediante le leggi n. 6 del 1980 e n. 1 del 1981. D'altro lato, i ricorsi provinciali si dolgono del vincolo di destinazione che l'art. 25, comma secondo, verrebbe ad imporre sulle somme � trattenute � dalle Province stesse, in aperto contrasto con l'art. 30 della legge provinciale n. 7 del 1979 (recante �norme in materia di bilancio e di contabilit� generale della Provincia autonoma di Trento �), come pure con l'art. 28 della legge provinciale n. 8 del 1980 (recante � norme in materia di bilancio e di contabilit� generale della Provincia autonoma di Bolzano�); ma i detti ricorsi denunciano, inoltre, i corrispondenti vincoli imposti alle unit� sanitarie locali operanti nel Trentino Alto Adige, traendo argomento dalla competenza provinciale relativa ai controlli sugli atti e sugli organi delle unit� medesime. Ora; per ci� che riguarda la Regione, � fondamentalmente esatta la replica proposta dall'Avvocatura dello Stato: vale a dire, che la competenza regionale concernente l'ordinamento delle unit� sanitarie locali non include � i contenuti del loro agire �. Effettivamente, secondo lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, la competenza in tema di � igiene e sanit�, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera�, non spetta alla Regione bensi alle Province (ex art. 9 n. 10 St.). N� le due leggi regionali richiamate dal ricorso danno fondamento all'impugnativa. Vero �, viceversa, che la legge n. 6 del 1980, recante I'� ordinamento delle unit� sanitarie locali �, non contiene alcuna previsione che collida od interferisca con la norma impugnata; mentre la legge n. 1 del 1981, intitolata �Disciplina della contabilit� delle unit� sanitarie locali�, demanda ai piani sanitari provinciali -in base al primo comma dell'art. 4 -la de 230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO terminazione delle entrate � da destinare rispettivamente al finanziamento delle spese correnti e di quelle in conto capitale�: ma, con ci� stesso, conferma che norme del genere di quella impugnata condizionano -se mai -l'esercizio delle funzioni spettanti in materia alle Province e non alla Regione Trentino-Alto Adige. b) Quanto invece ai ricorsi provinciali, occorre anzitutto chiarire quale sia la natura delle somme che vengono attualmente � trattenute � dalle Province e dalle unit� sanitarie locali, per effetto del secondo comma dell'art. 25, a modifica dell'art. 69, comma primo, lett. b, e ed e, della �egge n. 833 del 1978. Precedentemente all'entrata in vigore della legge finanziaria 1984, le somme in questione -comprendenti gli importi gi� destinati dalle Province medesime (n01."!-ch� dalle Regioni, dai Comuni e da altri enti pubblici) � al finanziamento delle funzioni esercitate in materia sanitaria�, al pari dei �proventi� e dei �redditi netti derivanti dal patrimonio trasferito ai comuni per le unit� sanitarie locali� e dei �proventi derivanti da attivit� a pagamento svolte dalle unit�... e dai presidi sanitari ad esse collegati... � -venivano tutte versate � all'entrata del bilancio dello Stato�, per confluire nel fondo sanitario nazionale: come precisava -in riferimento all'art. 69, comma primo, lett. b -l'art. 52, comma primo, della legge n. 833. Ma la destinazione di questi mezzi al finanziamento della spesa sanitaria non � affatto cessata nel momento in cui la stessa norma denunciata ne ha consentito l'immediato utilizzo da parte degli enti pubblici ivi indicati, senza pi� farle passare attraverso il fondo sanitario nazionale; e tale destinazione giustifica -sul piano costituzionale -i vincoli contestualmente imposti quanto all'uso delle somme cos� �trattenute�. In altre parole, una v�lta che dette somme venivano esentate dal rispetto degli � indici � e degli � standards � che il CIPE definisce � distintamente � -in base all'art. 51, comma secondo, della legge n. 833 -� per la spesa corrente e per la spesa in conto capitale � da fronteggiare mediante l'apposito fondo sanitario nazionale, la legge finanziaria 1984 ha direttamente fissato un analogo criterio di riparto: la rigidit� del quale pu� rappresentare, eventualmente, una ragione di critica sotto il profilo della tecnica o della politica legislativa, ma non si risolve in un vizio sindacabile da questa Corte. Cos� stando le cose, non � pertinente il richiamo dei ricorsi alle leggi provinciali di contabilit�, l� dove esse prevedono (alla stregua dell'art. 21, comma primo, della legge n. 335 del 1976) che i fondi comunque assegnati alle Province affluiscano ai rispettivi bilanci � senza vincolo a specifiche destinazioni �. Se tale pretesa venisse condotta alle sue naturali conseguenze, nell'ambito del servizio sanitario, ci� comporterebbe che le stesse quote del fondo nazionale, annualmente trasferite alle am PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 231 ministrazioni provinciali, possano venire utilizzate dai legislatori locali per coprire spese del tutto esorbitanti dal campo della sanit� pubblica. Ma ci� si porrebbe in palese contrasto con le caratteristiche fondamentali della riforma sanitaria, cio� con � l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio� e con la conseguente competenza dello Stato a fissare �i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantiti a tutti i cittadini� (artt. 1, comma terzo, e 3, comma secondo, della legge n. 833 del 1978): riforma che in tal senso vincola anche le Province di Trento e di Bolzano, quanto alle stesse materie attribuite alla loro competenza legislativa primaria. A pi� forte ragione, d'altronde, la conclusione non muta per ci� che riguarda le unit� sanitarie locali ed i piani sanitari provinciali, in quanto competenti a programmare l'utilizzo delle somme disponibili da parte delle unit� medesime: giacch� in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera le Province autonome non sono dotate se non di potest� legislativa concorrente, sul medesimo piano delle Regioni ordinarie. N� giova argomentare che i controlli provinciali sugli .enti locali minori coinvolgono i bilanci delle U.S.L.: altro essendo il controllo -come ha giustamente rilevato l'Avvocatura dello Stato -ed altro l'indirizzo delle attivit� spettanti alle strutture sanitarie locali. Relativamente al secondo comma dell'art. 25, tanto il ricorso regionale quanto i due ricorsi provinciali si dimostrano quindi infondati in tutti i loro aspetti. Oltre che dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalle Province di Trento e di Bolzano, il terzo comma dell'art. 25 viene censurato dalla Regione Sicilia. Tuttavia, i primi tre ricorsi hanno specifico riferimento all'ultimo periodo del comma stesso; mentre il ricorso siciliano sembra mettere in questione le sole previsioni contenute nel periodo iniziale. Secondo le disposizioni impugnate, � le regioni e le province autonome possono con propria legge assicurare prestazioni di assistenza sanitaria aggiuntive a quelle previste dal precedente primo comma, con prelievo dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, per le regioni a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti per le regioni a statuto speciale o province autonome ovvero attingendo ad economie di gestione delle somme loro attribuite dal fondo sanitario nazionale�; ma �le regioni e le province autonome sono tenute, nel caso, ad instaurare una contabilit� separata �. Quest'ultima previsione costituisce, appunto, l'unico oggetto dell'impugnazione proposta dalla Regione Trentino-Alto Adige e dale due Province autonome: le quali si dolgono del vincolo che ne discenderebbe, sia quanto alla contabilit� regionale e provinciale, sia quanto alla contabilit� delle U.S.L., dal momento che sotto entrambi i profili si tratterebbe di materie rispettivamente riservate alla competenza della Regione o delle Province medesime. Per contro, la Sicilia osserva che l'art. 25, comma terzo, primo periodo, �pur RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rimettendo alle Regioni la facolt� di assicurare con propria legge prestazioni... aggiuntive...., nella pratica... costringe la Regione siciliana, che sar� sicuramente obbligata ad integrare la quota F.S.N. assegnata per il 1984 gi� sottodimensionata anche rispetto ad altre regioni, a ricorrere alle... entrate di parte corrente�: donde �una ingerenza nell'autonomia finanziaria� regionale, che verrebbe a contraddire l'art. 119 della Costituzione e l'art. 19 dello Statuto speciale. Il ricorso della Regione Sicilia non si regge, per altro, sopra nessun fondamento giuridico. La lettera dell'art. 25, comma terzo, � ben chiara nel senso che la Regione non � affatto costretta ma facoltizzata ad assicurare � prestazioni... aggiuntive �. E la denunciata insufficienza del fondo sanitario nazionale, con particolare riguardo alla quota spettante alla Sicilia, avrebbe potuto assumere un qualche rilievo, se l'impugnativa si fosse rivolta contro il primo comma dell'art. 25, relativo all'entit� del fondo per il triennio 1984-86, o contro i criteri di riparto del fondo medesimo nell'esercizio 1984, quali sono fissati dall'art. 27, comma primo, della legge n. 730; mentre non incide in nessun modo sull'attuale giudizio di legittimit� costituzionale. Pi� complesso � il discorso concernente l'ultimo periodo dell'art. 25, comma terzo, poich� la questione proposta dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalle Province di Trento e di Bolzano non pu� essere risolta, se non vengono preliminarmente individuati la sfera di efficacia ~d il significato della norma di cui si discute. In proposito, le parti ricorrenti ed il Presidente del Consiglio dei ministri si sono chiesti anzituttO se l'obbligo d'� instaurare una contabilit� separata � si riferisca alle Regioni ed alle Province autonome, in quanto assicurino le previste � prestazioni... aggiuntive�, ovvero riguardi le unit� sanitarie locali o infine coinvolga le une e le altre, all'atto in cui deliberino di erogare le prestazioni stesse; ed in quest'ultimo senso la norma � stata intesa dall'Avvocatura dello Stato. Senonch� la Corte � dell'avviso che l'imposizione in esame attenga unicamente alle amministrazioni regionali e provinciali. Il testo dell'art. 45, comma terzo, ultimo periodo, dispone senz'altro in questi soli termini. E l'indicazione offerta dalla lettera pu� ritenersi univoca, sia perch� le unit� sanitarie locali non vengono nemmeno menzionate nel periodo iniziale, diversamente da ci� che si riscontra nel secondo' comma del medesimo articolo; sia anche perch� le Province di Trento e Bolzano non possono entrare in considerazione se non per quanto concerne le rispettive contabilit� provinciali, dal momento che nel Trentino-Alto Adige l'ordinamento e la contabilit� delle U.S.L. sono riservate alla competenza regionale. Ci� premesso, rimane da stabilire in che consista il vincolo che la norma impugnata determina. E, per questa parte, la Corte ritiene fondata l'interpretazione proposta dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale detta norma comporterebbe � nulla pi� che la specificazione di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE un princ1p10 di contabilit� pubblica�: principio gi� stabilito, in linea generale e nei confronti delle Regioni di diritto com�ne, dall'art. 9, comma quarto, lett. b) e d) della legge n. 335 del 1976, per cui �non possono essere incluse comunque nel medesimo capitolo... spese per l'adempimento delle funzioni normali della regione e spese per il finanziamento di ulteriori programmi di sviluppo � ovvero � spese relative a obiettivi per perseguire i quali la regione goda di finanziamenti da parte dello Stato, iscritti nello stato di previsione dell'entrata dello stesso bilancio, ed altre spese� (ma si veda inoltre l'art. 10, comma secondo, legge cit.). Pi� precisamente, l'ultimo comma dell'art. 25 sta a significare, sotto questo aspetto, che la contabilit� relativa alle spese autonomamente disposte dalle Regioni e dalle Province autonome dev'esser tenuta distinta da quella relativa alle spese finanziate mediante il fondo sanitario nazionale: il che si giustifica per le stesse Regioni e Province a statuto speciale, posto che lo Stato ha l'interesse a veder evidenziata quella parte della spesa sanitaria che viene invece a gravare sui mezzi finanziari destinati al servizio sanitario nazionale, per assicurare -come gi� si diceva -i livelli delle prestazioni sanitarie comunque garantiti a tutti i cittadini. Cosl ricostruito, il periodo finale dell'art. 25, comma terzo, resiste alle censure prospettate dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalle Province di Trento e di Bolzano. La Regione Sicilia e le Province di Trento e di Bolzano denunciano altres� l'art. 27 della legge n. 730. Ma, anche in tal caso, il ricorso siciliano si distingue nettamente dalle impugnative delle due Province autonome. (omissis). Va invece affrontata nel merito la questione proposta dalle due Province autohome, relativamente all'ultimo comma dell'art'. 27. Disponendo che � il terzo periodo del primo comma dell'art. 80 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, � abrogato�, la legge finanziaria 1984 avrebbe violato -secondo i ricorsi provinciali -l'art. 78 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, escludendone l'applicazione in ordine al finanziamento della spesa sanitaria, gi� prevista dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale: la quale statuiva, nel passo dell'art. 80, comma primo, reso inefficace dall'impugnata clausola abrogativa, che � per il finanziamento relativo alle materie di cui alla presente legge� dovesse appunto applicarsi � quanto disposto dall'art. 78 del ... decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e relativi parametri�. Nello sforzo di eliminare il problema alla radice, l'Avvocatura dello Stato ha proposto un'interpretazione fortemente riduttiva del citato arti colo 80, comma primo, terzo periodo, � nel senso che le Province auto nome di Bolzano e di Trento, in non diversa guisa dalle regioni a sta tuto speciale, dovessero vedersi attribuite quote del fondo sanitario :q.azio nale, determinate mediante forme procedimentali e criteri di riparti 'RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 234 zione identici per tutte le regioni... ferma restando la partecipazione al gettito dei tributi erariali preveduta dall'art. 78 St. �. Ma questa tesi non pu� esser condivisa dalla Corte, perch� la norma attualmente abrogata riguardava -alla lettera -il solo � finanziamento relativo alle materie di cui alla presente legge�; sicch� l'unica via per non privare la norma stessa di significato consisteva nel concepirla come una deroga ai comuni criteri di riparto del fondo sanitario nazionale, fissati dall'art. 51 della legge n. 833 del 1978. Precisamente in tal senso, d'altronde, l'art. 6 bis, comma primo, del decreto-legge n. 663 del 1979, come convertito nella legge n. 33 del 1980, dettava un'apposita disposizione per le Province di Trento e di Bolzano, in tema di � riparto delle quote del fondo sanitario nazionale ad esse assegnate ai sensi degli artt. 51 e 80 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 �; mentre l'esplicito riferimento all'art. 80, quanto alle assegnazioni disposte �a... favore� delle province predette, contraddistingueva del pari l'art. 5, comma primo, della legge n. 526 del 1982. Ed una serie di riprove ulteriori � stata infine fornita dalle concordi indicazioni dei lavori preparatori della legge finanziaria 1984, sia da parte dei sostenitori sia da parte dei critici della soluzione di cui si discute. Sul piano costituzionale, tuttavia, le proposte impugnative risultano infondate, poich� il richiamo dell'art. 78 St., originariamente contenuto nell'art. 80 della legge n. 833, non era affatto imposto dallo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, diversamente da ci� che i ricorsi in esa� me pretendono. In effetti, l'art. 78 non attiene in nessun modo alla spesa sanitaria ed alle relative entrate, ma si limita a prevedere quanto segue: � Allo scopo di adeguare le finanze delle province autonome al raggiungimento delle finalit� e all'esercizio delle funzioni stabilite dalla legge, � devoluta a ciascuna provincia ... una quota del gettito dell'imposta generale sull'entrata relativo al territorio regionale e delle tasse ed imposte sugli affari non indicati nei precedenti articoli al netto delle quote attribuite dalle leggi vigenti alle province e ad altri enti�; al che si aggiunge che � nella determinazione di detta quota sar� tenuto conto -in base ai parametri della popolazione e del territorio -anche delle spese per gli interventi generali dello Stato disposti nella restante parte del. territorio nazionale negli stessi settori di competenza delle province �, mentre la quota stessa � sar� stabilita annualmente d'accordo fra il Governo e il Presidente della giunta provinciale �. Giustamente, perci�, l'Avvocatura dello Stato osserva che quella gi� dettata dall'art. 80, comma primo, terzo periodo, della legge n. 833 non era una disciplina costituzionalmente necessitata, ma rappresentava il frutto di una libera scelta del legislatore. N� il superamento della scelta stessa pu� considerarsi privo di giustificazione, date le peculiari finalit� del fondo sanitario, che � stato istituito per garantire livelli minimi di prestazioni, �in modo uniforme su tutto il territorio nazionale� (come PARTE I, SEZ. I, GIUlUSPRUDENZA COSTITUZIONALE si precisa nel secondo comma del citato art. 51). Al contrario, � proprio �l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio� che rischiava di venire compromessa, qualora si fosse continuato ad applicare un differenziato meccanismo di� riparto del fondo medesimo, suscettibile di privilegiare gli abitanti del Trentino-Alto Adige, a detrimento di tutte le altre componenti del Paese. La sola Regione Veneto solleva un complesso di questioni di legittimit� costituzionale relative all'art. 28 della legge n. 730 e, pi� precisamente, al primo comma dell'articolo stesso: in cui si stabilisce che, �a decorrere dal 1984, qualora il consuntivo dell'esercizio finanziario si chiuda con un disavanzo non ripianabile con risorse a disposizione dell'unit� sanitaria locale e non siano previste misure adeguate per riassorbirlo entro il secondo anno successivo a quello cui si riferisce il consuntivo, la regione provvede ad esercitare, previa diffida, attraverso il comitato regionale di controllo, i poteri sostitutivi relativamente agli atti di competenza del comitato di gestione e dell'assemblea dell'unit� sanitaria locale, ovvero richiede, con deliberazione motivata in riferimento a inadempienze del comitato di gestione, lo scioglimento di quest'ultimo al commissario del Governo �. Stando al ricorso, l'art. 28 configurerebbe un � anomalo procedimento di controllo sull'organo di gestione delle USL, da attivarsi ma non da. condursi da parte della Regione �. Con ci�, in primo luogo, la disciplina denunciata lederebbe le attribuzioni regionali, sia perch� definirebbe in termini puntuali � le modalit� di funzionamento dell'organo regionale di controllo�, sovrapponendosi alle leggi locali competenti in materia, sia perch� introdurrebbe � una fattispecie di controllo sostitutivo... eterogeneo rispetto alle forme del controllo sulle USL e in ultima analisi inapplicabile �. In secondo luogo, il previsto scioglimento dei comitati di gestione delle unit� sanitarie ad opera del Commissario del Governo determinerebbe del pari � una forma di controllo ulteriore rispetto a quelle consentite dall'art. 130 Cost. �: poich� il controllo stesso, �sia per la misura prefigurata (scioglimento del Comitato di gestione), sia per l'organo competente a esercitarlo (Cominissario del Governo), sia per fa definizione dell'iniziativa in capo alla Regione�, non troverebbe � alcuna collocazione nel sistema dei controlli sugli enti locali � ed in ogni caso priverebbe la Regione di una competenza attribuitale dall'art. 130 Cost. e dall'art. 49 della legge n. 833 del 1978, senza affatto tener conto della circostanza che � buona parte delle USL � sarebbero �enti operanti integralmente in materie regionali�. (omissis) Nel merito il ricorso non � fondato, n� per quanto riguarda i poteri sostitutivi previsti dalla prima parte dell'art. 28, comma primo, n� relativamente all'alternativo scioglimento del comitato di gestione delle unit� sanitarie locali. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 236 a) In verit�, circa il primo ordine di problemi, questa Corte non pu� non rilevare l'incoerente sovrapporsi di varie leggi statali, che negli ultimi anni ha contraddistinto la disciplina del settore in discussione. Basti ricordare che la legge n. 833 del 1978 non prevede in modo specifico alcun tipo di poteri e di controlli sostitutivi nei confronti degli atti o delle attivit� spettanti alle USL, fatta eccezione per il disposto dell'art. SO, ultimo comma: il quale stabilisce che, nell'ipotesi di un �disavanzo complessivo�, �i comuni singoli o associati, e le comunit� montane sono tenuti a convocare nel termine di 30 giorni i rispettivi organi deliberanti al fine di adottare i provvedimenti necessari a riportare in equilibrio il conto di gestione dell'unit� sanitaria locale �. Per altro, in virt� dell'art. 13, comma secondo, della legge n. 181 del 1982 la competenza ad adottare � i provvedimenti necessari a riportare in equilibrio il conto � predetto viene devoluta alle Regioni, per il caso che i Comuni o le Comunit� montane non esercitino i compiti loro attribuiti, entro trenta giorni dall'invito regionale; mentre l'art. 1, comma decimo, del d.l. n. 463 del 1983, convertito nella legge n. 638 del medesimo anno, estende a sua volta i poteri surrogatori regionali, con riferimento a tutte le situazioni in cui le unit� sanitarie rimangano inerti o ritardino nell'adempimento dei doveri loro imposti -in via normativa ovvero in conseguenza di atti governativi di indirizzo e coordinamento. Lungo questa linea muoveva anche il progetto della legge finanziaria 1984, approvato dalla dodicesima Commissione permanente del Senato: secondo il quale doveva spettare alle Regioni (od al Presidente del Consiglio dei ministri, ove l'amministrazione regionale non avesse tempestivamente provveduto) l'esercizio dei poteri sostitutivi rispetto alle assemblee ed ai comitati di gestione delle USL gravate dai disavanzi in questione. E, viceversa, la norma impugnata ha mutato indirizzo, puntando sui comitati regionali di controllo, piuttusto che sugli organi regionali di amministrazione attiva. Per s� considerata, tuttavia, la soluzione in esame non appare lesiva di alcuna competenza regionale costituzionalmente garantita. L'esercizio di � poteri di controllo sostitutivo � da parte degli organi di cui al primo comma dell'art. 130 Cost. non rappresenta, infatti, il prodotto d'una invenzione della legge finanziaria 1984, ma trova preciso fondamento nell'art. 59, ultimo comma, della legge n. 62 del 1953. Ai sensi delle disposizioni gi� vigenti in materia, cui tale norma rinvia, i comitati regionali di controllo sono cio� titolari degli stessi poteri gi� esercitati dal prefetto e dalla giunta provinciale amministrativa, con particolare riguardo all'adozione degli � atti comunque obbligatori per legge �, previsti dagli artt. 19, 104 e 153 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383; ed altrettanto vale nel campo sanitario, dal momento che l'art. 49, comma primo, della legge n. 833 (sia prima che dopo la modifica apportata PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZ�ONALB dall'art. 13, comma quarto, della citata legge n. 181 del 1982) affida appunto ai comitati regionali il controllo sugli atti delle USL. Ora, il sintetico testo dell'impugnato art. 28, comma primo, lascia intendere che tale norma non innova affatto in tema di controlli sosti-. tutivi esercitabili dai comitati, bens� presuppone la circoscritta competenza gi� esistente in base alla legge n. 62 del 1953; e ne tratta al solo scopo di stabilire un rapporto fra i comitati stessi e la Regione, cui viene attribuito il potere-dovere di diffidare le unit� sanitarie locali deficitarie per poi sollecitare gli organi regionali di controllo, pur ferma restando la loro necessaria indipendenza. Rimane perci� impregiudicato (e non interessa alla Corte in questa sede) il problema degli ulteriori poteri esercitabili dagli organi regionali di amministrazione attiva, nei riguardi degli atti e delle attivit� spettanti alle USL; e non si concreta, d'altronde, alcuna usurpazione di potest� legislative riservate alla Regione stessa. Come questa Corte ha precisato fin dalla sentenza n. 40 del 1972, spetta in prima linea alle leggi della Repubblica, in attuazi�ne dell'art. 130 Cost., la disciplina dei controlli sugli atti degli .enti locali, cui sono assimilate le unit� sanitarie, quali �strutture operative� dei Comuni o delle Comunit� montane (in base agli artt. 13, commi primo e secondo, e 15, comma primo, della legge n. 833); sicch� non si applica in tal campo -allo stato attuale del diritto -il criterio affermato dalla Corte nella sentenza n. 178 del 1973 (e ribadito dall'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977), quanto alla piena competenza regionale sugli enti che agiscono nelle materie elencate dall'art. 117 Cost., ivi compresi i relativi controlli. Malgrado possa apparire macchinosa e dia testimonianza delle profonde incertezze del Parlamento, nel considerare l'intricato tema dei rapporti fra le varie amministrazioni cooperanti in materia sanitaria, la norma impugnata non � dunque in contrasto -nella sua prima parte -n� con l'art. 117 n� con l'art. 130 della Costituzione. b) Da tali premesse discende, per�, l'infondatezza delle stesse censure concernenti la seconda parte dell'art. 28, comma primo. Anche agli effetti dello scioglimento dei comitati di gestione delle USL, la riforma attuata dalla legge n. 833 del 1978 si discosta con nettezza dal precedente ordinamento sanitario: nell'ambito del quale i consigli di amministrazione degli enti ospedalieri potevano essere sciolti � con decreto motivato del Presidente della Regione su deliberazione della Giunta regio-� nale � (cfr. l'art. 17, comma primo, della legge n. 132 del 1968). Oggi, al contrario, i controlli sugli atti e sugli organi delle unit� sanitarie locali seguono puntualmente -in base all'espresso disposto dell'art. 49, comma secondo, della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale le sorti dei corrispondenti controlli relativi ai Comuni ed alle Province: con la conseguenza che i soli controlli sugli atti spettano agli appositi comitati regionali, mentre i controlli sugli organi rientrano nella competenza dello Stato. Ed in quest'ultimo campo ricadono senz'altro RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gli stessi scioglimenti dovuti a ragioni funzionali, sul tipo di quello previsto dalla norma in esame: per cui non � fondato l'assunto della ricorrente, che imputa all'art. 28, comma primo, l'aver trasformato in controllo sugli organi �quello che in realt� rimane un controllo sull'attivit� �. Se tale � il riparto fra le competenze statali e regionali, non hanno pregio nemmeno gli ulteriori argomenti addotti dalla difesa della Regione Veneto. Da una parte, non rileva ai fini del presente giudizio l'asserita anomalia di un controllo sugli organi affidato al Commissario del Governo (tanto pi� che la norma impugnata si presta, sul punto, ad essere diversamente interpretata ed applicata). D'altra parte, la Regione non pu� dolersi del fatto di venire chiamata a richiedere lo scioglimento dei comitati di gestione delle USL, nei casi indicati dal citato art. 28, comma primo: poich� il rapporto cos� prefigurato dalla legge finanziaria 1984 non implica affatto che l'amministrazione regionale venga impiegata �come soggetto ausiliare del controllo statale�, ma si colloca sul piano di una collaborazione fra lo Stato e la Regione stessa, che non trova ostacolo nel titolo V della Costituzione. Le Regioni Veneto, Sicilia, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia, nonch� la Provincia di Bolzano, impugnano ancora l'art. 29 della legge n. 730, con particolare riguardo al numero 1 del secondo comma: per cui le Regioni e le Province autonome, ogni qualvolta non siano sufficienti le disponibilit� complessive di parte corrente delle rispettive quote del fondo sanitario nazionale (ovvero le altre entrate di cui al citato secondo comma dell'art. 25), devono � ripianare il disavanzo delle unit� sanitarie locali� a decorrere dall'esercizio 1984, ricorrendo in primo luogo al � prelievo dei fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e per le regioni a statuto speciale o province autonome dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti �. Secondo le censure concordemente prospettate nei vari ricorsi, la norma in questione sarebbe viziata per ragioni analoghe a quelle gi� dedotte dalle Regioni ricorrenti, in ordine al tredicesimo comma dell'art. 7. All'onere finanziario fatto gravare sulle Regioni e sulle Province autonome non corrisponderebbe, cio�, l'assegnazione di adeguate risorse da parte dello Stato, vista la cronica insufficienza del fondo sanitario nazionale, che sarebbe d'altronde presunta dallo stesso art. 29; sicch� ne discenderebbe, anzitutto, un contrasto con quanto stabilito dall'art. 27 della legge n. 468 del 1978, in conseguente violazione del quarto comma dell'art. 81 Cost. Anche in questo caso, inoltre, la puntuale destinazione imposta dalla legge finanziaria 1984, concernente somme liberamente disponibili dalle Regioni e dalle Province autonome per l'adempimento delle loro �funzioni normali�, verrebbe a contraddire l'art. 119 Cost. (come pure i corrispondenti disposti degli Statuti speciali). Del resto, PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE -sarebbe tanto meno ammissibile che il controllore venga chiamato -come nella specie -a pagare i debiti del controllato, in quanto la gestione delle unit� sanitarie farebbe capo agli enti locali e non alle Regioni, stando alle chiare indicazioni fornite dagli artt. 10, comma secondo, 13, ~ommi primo e secondo, 15, comma primo, e 51, comma sesto, della legge n. 833 del 1978. Al che si aggiungerebbe, infine, che le stesse unit� sanitarie non sarebbero compiutamente in grado di programmare e di contenere le rispettive spese, data la rigidit� di esse e la loro stretta dipendenza dalle scelte degli organi centrali--di governo. Per valutare la fondatezza di simili assunti, occorre stabilire preliminarmente -nelle grandi linee -quale sia l'attuale regime della materia cui si riferiscono le impugnative in esame. L'Avvocatura dello Stato cerca infatti di resistere ai ricorsi regionai.i, deducendo che l'assistenza sanitaria Ǐ costituzionalmente attribuita... alle regioni�, con la conseguenza che � in base alla legge istitutiva �lel servizio sanitario nazionale, spetta alle regioni assicurare la corrispondenza tra costi del servizio ed i relativi benefici ..., come spetta l'esercizio dei poteri di controllo � sulle unit� sanitarie locali. Ma tale � attribuzione di competenza � -si osserva ancora nell'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri -non pu� non implicare, � proprio per il disposto dell'art. 119 Cost., la relativa responsabilit� finanziaria alla quale le regioni devono far fronte con i mezzi indicati al secondo e terzo �omma dell'articolo stesso�. (omissis) L'� assistenza sanitaria ed ospedaliera �, sebbene compresa nell'elenco dell'art. 117 Cost., non � materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale: sia per la particolare intensit� dei limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle Regioni, sia per le peculiari forme e modalit� di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia -soprattutto -per i tipici rapporti che. l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima. Sotto diversi aspetti, le caratteristiche ora accennate hanno anzi incominciato ad evidenziarsi gi� prima della profonda riforma introdotta dalla legge n. 833 del 1978. Sin dalla legge n. 132 del 1968 sono stati infatti costituiti su tutto il territorio nazionale appositi , enti ospedalieri, dotati di compiti testualmente definiti esclusivi e finanziati per mezzo d'uno specifico fondo nazionale (cfr. gli artt. 1, comma primo, e 33 legge cit.). E. quindi sopraggiunto il d.l. n. 264 del 1974 (convertito nella legge n. 386 del medesimo anno), che ha istituito a sua volta il �fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera�, da ripartire fra le varie Regioni, sotto forma di stanziamenti � iscritti in appositi capitoli del bilancio regionale� (ex art. 14 ss. d.l. et.). E un determinante passo verso l'istituzione del previsto servizio sanitario nazionale � stato poi compiuto dall'art. 32, comma primo, del d.P.R. n. 616 del 1977, che ha .. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 240 senz'altro attribuito �ai comuni, singoli ed associati, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, tutte le funzioni amministrative relative alla materia � dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, ad eccezione di quelle � espressamente riservate allo Stato, alle regioni e alle province �. Rispetto a questi precedenti normativi, la legge n. 833 del 1978 ha tuttavia complicato ulteriom1ente la distribuzione dei ruoli nel campo sanitario, fissando e distinguendo essenzialmente tre ordini di competenze: il primo dei quali spetta allo Stato, in nome del principio di eguaglianza di tutti i cittadini nei confronti del servizio (cfr. gli ar� 3 ss., 47, 48, 51, 53 legge cit.); mentre il secondo s'impernia sulle funzioni legislative e progran;1.matorie affidate alle Regioni (specialmente in base agli artt. 11, 15, comma nono, 50 e 55 legge cit.); ed il terzo interessa in sostanza quei nuovi organismi che sono le unit� sanitarie locali (sia pure concepite come �strutture operative� dei Comuni), le quali svolgono tutti i compiti residui, disponendo in tal senso d'una indubitabile autonomia gestionale ed organizzativa. N� questo disegno, per quanto integrato, derogato e corretto pi� volte dal legislatore statale (come gi� si notava, nell'affrontare le questioni di fegittimit� costituzionale concernenti l'art. 28 della legge n. 730), � stato mai. ripensato in modo organico: ch� anzi lo stesso progetto di riforma delle unit� sanitarie locali, predisposto dal Ministero della sanit�, continua a puntare -in ultima analisi -sull'autonomia delle USL, quali � aziende speciali � dei Comuni o delle Comunit� montane. Certo, ci� non significa che nel settore in esame il ruolo attribuito alle Regioni rim�nga secondario; e non vale ad escludere -in particolar modo -che le amministrazioni regionali siano provviste di specifici poteri, esercitabili per contenere la spesa sanitaria o per impedire il form�rsi di maggiori oneri. Basti qui ricordare -per averne la dimostrazione -i poteri di ridimensionamento delle strutture o dei servizi eccedenti o non essenziali o sottoutilizzati, impliciti nelle previsioni dell'art. 55 della legge n. 833 (relative ai �piani sanitari regionali�) e quindi esplicitate dall'art. 5, comma secondo, della legge n. 526 del 1982; come pure i poteri spettanti alle Regioni in tema di piante organiche delle USL, gi� in forza dell'art. 15, comma nono, n. 4, della legge n. 833 (cui si sono aggiunti -per effetto della sentenza n. 307 del 1983 -i provvedimenti autorizzativi delle assunzioni di nuovo personale, in deroga al blocco stabilito dalla legge finanziaria 1983); nonch� i poteri sostitutivi configurati da numerose leggi statali ed anche regionali, successive all'istituzione del servizio sanitario nazionale, alle quali si � per altro sovrapposto il citato art. 28 della legge finanziaria 1984. Senonch� nessuna di queste competenze basta a far concludere che le amministrazioni regionali portino dunque l'effettiva responsabilit� degli eventuali disavanzi delle U.S.L. Assunti del genere sono oltre tutto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE smentiti dalla considerazione che la parte essenziale della spesa sanitaria ed ospedaliera non pu� non gravare sullo Stato -come � confermato dal susseguirsi dei fondi speciali di cui si � fatto cenno -per l'evidente ragione che il diritto alla salute spetta egualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale. Non � pertanto casuale che la spesa in questione sia prevalentemente rigida e non si presti a venire manovrata, in qualche misura, se non dagli organi centrali di governo. � appunto l'esigenza di pari trattamento, sottesa all'intera riforma sanitaria, che spiega per quali motivi le singole Regioni non possano -almeno di regola -incidere sulla spesa farmaceutica e sugli altri oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, sui ricoveri ospedalieri, sullo stato giuridico ed economico del personale dipendente dalle U.S.L., sul regime del personale a rapporto convenzionale, sugli stessi acquisti dei beni e dei servizi indispensabili per il funzionamento delle unit� sanitarie locali. E non si pu� far richiamo, per argomentare il contrario, al secondo comma, numero 2, dell'art. 29 della legge fimuv:iaria 1984, in cui si prevede che le Regioni e le Province autonome stabiliscano � quote di partecipazione al costo delle prestazioni �. Per non violare l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio, la sfera di operativit� d'una norma siffatta dev'essere, invero, ridotta ai minimi termini; mentre � soltanto lo Stato che dispone, ancora una volta, della potest� di circoscrivere in tal senso la spesa, per mezzo dell'introduzione di tickets o con il ricorso ad altre analoghe misure di contenimento. In breve, gran parte . della spesa sanitaria si forma indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unit� sanitarie locali). Ma di questo dato l'art. 29 non tiene il minimo conto, imponendo comunque alla Regione il ripiano. del disavanzo, quali che siano i fattori che lo abbiano prodotto: in antitesi a quanto previsto dai seguente art. 30, che pone a carico degli enti locali e delle amministrazioni regionali il finanziamento delle � attivit� di tipo socio-assistenziale � pertinenti alle rispettive competenze e svolte per mezzo delle U.S.L., ma nelle misure ed alle condizioni autonomamente stabilite dalle amministrazioni e dagli enti medesimi. Del resto, non hanno fondamento le sole giustificazioni della norma impugnata che sono state addot.te nel corso dei lavori preparatori, allorch� si affermava che la norma stessa avrebbe superato il metodo del cosiddetto pie' di lista, senza per� determinare rilevanti oneri per le Regioni, data la prevedibile adeguatezza del fondo sanitario nazionale. In realt�, il � pie' di lista � permane, con la sola novit� rappresentata dal subentrare delle Regioni in luogo dello Stato; mentre il fondo sanitari() nazionale per il 1984, gi� contenuto nella misura di 34.000 miliardi per la parte corrente (in base al primo comma dell'art. 25 della �legge n. 730), risulta sottostimato di oltre 4.000 miliardi, secondo la recente relazione ministeriale sull'.andamento della spesa sanitaria (elaborata ai sensi del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 242 l'art. 32, secondo comma, 1. cit.). Ad evitare, per ora, che un deficit di tali proporzioni ricada senz'altro sulla finanza regionale, sta il terzo comma dell'art. 29, per cui le Regioni (ovvero le Province autonome) devono provvedere al ripiano limitatamente all'anno 1984, nella sola parte concernente il � disavanzo -della. gestione di competenza �. Ma il rimedio � piuttosto apparente che reale, poich� gli espedienti contabili non bastano di certo a soddisfare le necessit� del servizio sanitario; e resta fermo, comunque, che l'efficacia della disciplina impugnata non � temporanea bens� permanente, sicch� i suoi disposti sono destinati .ad operare senza limiti di sorta, quanto ai prossimi esercizi finanziari. Pertanto, sul medesimo piano dell'art. 7, comma tredicesir.o, anche l'art. 29, comma secondo, n. 1, della legge n. 730 risulta viziato d'illegittimit� costituzionale. Conclusivamente, tuttavia, la Corte deve ancora rilevare come l'intera vicenda delle impugnazioni regionali concernenti le � disposizioni in materia sanitaria�, dettate dalla legge finanziaria 1984, valga a comprovare l'esig�nza che il Parlamento riconsideri organicamente l'ordinamento del servizio sanitario nazionale. Non basta, cio�, che venga riformata e snellita -secondo lo schema predisposto dal Ministro della sanit� l'organizzazione interna delle unit� sanitarie locali. Occorre, del pari, chi:; si faccia chiarezza nell'attuale intreccio delle competenze, spettanti ai vari tipi di apparati corresponsabili in materia, evitando in particolar modo l'eccessiva moltiplicazione dei centri di autonomia, sia pure attuata nel formale rispetto della Costituzione. Ed � ben chiaro, d'altr�nde, che non servono allo scopo le leggi finanziarie, n� gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: l� dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, � infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel . tempo. Nell'ambito delle � disposizioni in materia sanitaria�, forma infine� oggetto d'impugnazione l'art. 31 �della legge n. 730. In base al primo comma di tale articolo, � il Ministro della sanit� provvede, con proprio decreto da emanarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, sentito il Consiglio sanitario nazionale, udito previamente il Con~ siglio di Stato, alla definizione di capitolati generali per forniture di beni e servizi alle unit� sanitarie locali, nonch� di capitolati speciali �, Con il secondo comma viene invece istituito � presso le regioni l'albo regionale dei fornitori del Servizio sanitario nazionale�; mentre allo stesso Ministro si affida il compito di provvedere, � con propri decreti, all'individuazione delle tipologie e delle classi di appartenenza, dei requisiti per l'iscrizione nel rispetto della normativa vigente nazionale e comunitaria �. & ,, i! ~~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSllTUZIONALE Mediante un congiunto riferimento ad entrambi i commi dell'art. 31, le Regioni Sicilia, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia deducono che tale disciplina violerebbe la competenza legislativa ed amministrativa regionale, dato che gli artt. 117 Cost. e 50 della legge n. 833 del 1978 (nonch� gli artt. 17 e 20 dello Statuto siciliano) riserverebbero alle Regioni medesime i settori dell' � amministrazione del patrimonio � e della �contabilit�� delle U.S.L., ivi compresa la disciplina della loro attivit� contrattuale. Per contro, l'aver conferito in materia poteri amministrativi e normativi al Ministro per la sanit�, senza nemmeno predeterminare limiti .e criteri, sarebbe non s,olo invasivo delle attribuzioni regionali ma anche lesivo del �principio della riserva di legge�, al quale andrebbe soggetta la stessa funzione governativa di indirizzo e coordinamento: anche se in questo specifico caso -aggiungono le difese regionali -detta funzione non assumerebbe alcun rilievo, trattandosi di un completo � esautoramento � delle Regioni, attuato nel campo dell' � assistenza sanitaria ed ospedaliera �, senza il-sostegno di alcuna effettiva esigenza di carattere unitario. Ed analoghe motivazioni si rinvengono nel ricorso del Veneto, sebbene quest'ultima Regione impugni unicamente il capoverso dell'articolo in esame. a) Secondo la Corte, i due commi dell'art. 31 richiedono invece una distinta considerazione. Circa il primo comma, va escluso anzitutto contrariamente a quanto sostiene l'Avvocatura dello Stato -che esso attribuisca al Ministro della sanit� una vera e propria funzione di indirizzo e coordinamento, derogan�lo all'art. 5 della legge n. 8~3 del 1978 (nel quale si riserva all'intero Governo l'esercizio della funzione medesima, per ci� che riguarda il potere esecutivo dello Stato), ma in termini � ugualmente rispettosi dell'autonomia amministrativa delle regioni �. Da un lato, infatti, non si pu� certo presl,lmere che una legge statale configuri una nuova e specifica funzione di indirizzo, concorrente con quella fondata sulle generali disposizioni dell'art. 5 della legge n. 833 e -prima ancora -dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975, senza precisare testualmente di quale natura siano i poteri in tal senso previsti� (e senza neanche indicare le norme che verrebbero cosi derogate). D'altro lato, � comunque decisiva la constatazione che, nel definire i capitolati per le forniture di beni e servizi alle unit� sanitarie locali, il Ministro non si limita affatto ad emanare direttive vincolanti le Regioni, ferma restando una qualche competenza regionale; bens� riassume un complesso di compiti gi� trasferiti alle Regioni stesse, cos� integralmente da esaurire le attribuzioni delle q.ali si tratta. Effettivamente, che sul punto sussista una competenza propria del~ l'ente Regione, non � stato negato dall'Avvocatura dello Stato; ed anzi rappresenta il naturale presupposto della tesi per cui l'art. 31, comma primo, conferirebbe al Ministro della sanit� una 'pura funzione di indi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rizzo e coordinamento. Ci� che pi� conta, la legge n. 833 del 1978 dispone con chiarezza che, nell'ambito delle norme statali di principio e ferme restando le competenze specificamente riservate allo Stato, spetta alla Regione disciplinare �l'organizzazione, la gestione e il funzionamento delle unit� sanitarie locali e dei loro servizi�, con particolare riguardo alla contabilit� (cfr. gli artt. 15, comma nono, e 50, comma primo). E che i �contratti di fornitura� facciano. in tal senso parte della contabilit� -poco importa se in base ad un concetto pi� o meno preciso ed aggiornato di tale materia -risulta testualmente dall'art. 50, comma primo, n. 8, 1. cit. S'intende che leggi stat~li successive possono bene dettare, nuove norme di principio e possono anche soddisfare ulteriori esigenze di carattere unitario, emerse in un momento posteriore all'istituzione del servizio sanitario -nazionale. Ma tale non �� il caso dei poteri ministeriali previsti dalla norma in questione: sia perch� la legge finanziaria 1984 si �. limitata a conferirli, senza fissare in proposito principi di sorta; sia perch� la Corte non ravvisa in questo campo la presenza di interessi che; �per natura o dimensione�, attengano all'� intera collettivit� nazionale � e restino � necessariamente affidati � all'apprezzamento degli organi centrali dj. governo: cos� da giustificare -secondo i criteri enunciati dalla sentenza n. 150 del 1982 -il ritrasferimento delle funzioni in esame dalle Regioni allo Stato. Non a caso, del resto, fin dal periodo fascista i capitolati generali delle Province e dei principali Comuni venivano compilati dagli stessi enti interessati (ai sensi dell'art. 294, comma primo, del r.d. n. 383 del 1934); il che conferma l'illegittimit� costituzionale dell'impugnato art. 31, comma primo, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. (nonch� delle corrispondenti disposizioni degli Statuti -speciali, quanto alle competenze regionali vertenti nel settore sanitario). b) Al contrario, le impugnative delle Regioni ricorrenti vanno respinte, per ci� che riguarda il capoverso del medesimo articolo. Diversamente dal primo comma, quest'ultima disposizione introduce una nuova disciplina di principio, vincolante la legislazione regionale, senza per altro esaurire la competenza gi� spettante alle Regioni. Viene infatti prevista, sull'intero territorio nazionale, l'istituzione di appositi albi regionali dei fornitori del servizio sanitario nazionale; ma rimane implicitamente fermo che l'istituzione stessa, come pure la tenuta degli albi in questione, compete alle Regioni e non al Ministro della sanit�. Quanto invece al Ministro, � vero che la norma impugnata gli conferisce espressamente la potest� di stabilire, in via amministrativa, le � tipologie � e le �classi di appartenenza�, nonch� i �requisiti per l'iscrizione� dei fornitori del servizio;� ma tali previsioni devono venire interpretate e valutate, considerando che il Ministro ha l'obbligo di assicurare il �rispetto della normativa vigente nazionale e comunitaria�, in vista dei PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE soli requisiti minimi, atti a garantire -ancora una volta -la fondamentale uniformit� delle prestazioni sanitarie. Cos� ricostruito, dunque, il secondo comma dell'art. 31 sfugge alle censure proposte dai ricorsi in esame. (omissis) p. q. m. 1) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 27 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, intitolata �Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge 'finanziaria 1984) �, promossa dalla Regione Sicilia, in riferimento agli artt. 17 e 20 dello Statuto della Regione medesima; 2) .dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 7, comma tredicesimo, della legge n. 730 del 1983, nella parte in cui prevede che, per la copertura dei disavanzi delle aziende d~ trasporto pubblico locale, non ripianabili con i contributi regionali di esetrcizio di cui all'art. 5 della legge n. 151 del 1981, le Regioni sono tenute -anzich� facoltizzate a prelevare i fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, quanto alle Regioni a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti, quanto alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome; 3) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 19, comma terzo, della legge n. 730 del 1983, nella parte in cui non prevede che siano le Regioni -anzich� il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, sentito il Ministro del tesoro -a determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzione di personale presso gli enti amministrativi dipendenti dalle Regioni medesime, ferme restando le funzioni di indirizzo e coordinamento previste per le amministrazioni regionali dal� l'art. 9, comma quinto, della legge n. 130 del 1983; 4) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 29, comma secondo, n. 1, della legge n. 730 del 1983, nella parte in cui prevede che, per ripianare il disavanzo delle unit� sanitarie locali, le Regioni sono tenute anzich� facoltizzate -a prelev�re i fondi necessari dalla quota del fon� do comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, quanto alle Re� gioni a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte cor� rente previste dai rispettivi ordinamenti, quanto alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome; 5) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 31, comma primo, della legge n. 730 del 1983i (omissis) SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 4a sez., 27 novembre 1984, nella causa 258/83 -Pres. Bosco -Avv. Gen. Slynn Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof nella causa Calzaturificio Brennero c. Wendel Gmbh -Iriterv.: Governi della Rep. Fed. di Germania (ag. Bohmer) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione C.E. (ag. Pipkom). Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Esecuzi~ne delle decisioni giudiziarie � Garanzie (Convenzione di Bruxelles Z1 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 38). Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Esecuzione delle decisioni giudiziarie � Impugnazioni (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 37). L'art. 38, 2� comma, della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dev'essere interpretato nel senso che il giudice dinanzi al quale venga proposta opposizione contro l'autorizzazione all'esecuzione concessa in base alla Convenzione pu� subordinare l'esecuzione alla costituzione di una garanzia solo al momento in cui statuisce sulla opposizione (1). (1) Il Bundesgerichtshof della Rep. Fed. di Germania aveva posto il primo quesito in termini molto generali, con riferimento al potere del giudice dello Stato dell'exequatur in forza dell'art. 38 della Convenzione di Bruxelles. Esso aveva chiesto infatti di conoscere se in forza dell'art. 38 n. 2 il giudice dell'ex quatur avesse potuto subordinare l'esecuzione della decisione alla costituzione di una garanzia solo con il provvedimento definitivo adottato sulla opposizione del debitore o anche in via provvisoria, in pendenza di tale opposizione, senza alcun riferimento alla natura del provvedimento emesso nello Stato di origine. La risposta data dalla Corte al quesito cos� posto va. certamente condivisa. V'� innanzi tutto da tener conto che la norma in questione prevede che il giudice possa �subordinare l'esecuzione� alla costituzione di una garanzia. Considerato che in forza del successivo art. 39, in pendenza �dell'opposizione, non si pu� procedere all'esecuzione, ma si possono solo porre in essere misure conservative, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 247 L'art. 37, 2� comma, della Convenzione 27 settembre 1968 dev'essere interpretato nel senso che esso consente il ricorso in cassazione e, nella Repubblica federale di 'Germania, la � Rechtsbeschwerde � soltanto contro la decisione che statuisce sull'opposizione (2). (omissis) 1. -Con ordinanza 12 ottobre 1983, pervenuta in cancelleria il 18 novembre 1983, il Bundesgerichtshof ha sottoposto a questa Corte, a norma del Protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione, da parte della Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e r�secuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in seguito: la Convenzione), due questioni appare evidente che l'esecuzione. di cui parla l'art. 38 � l'esecuzione ordinata in via definitiva. In caso contrario avremmo una garanzia concessa per mere misure conservative, cio� per una �non esecuzione �. In secondo luogo occorre considerare che il potere di imporre una cauzione � previsto solo nell'art. 38, cio� a proposito di decisioni dell'altro Stato non defi� nitive e non � invece previsto in linea generale in pendenza di qualsivoglia opposizione. Ci� significa chiaramente che la costituzione della garanzia � prevista non in considerazione della pendenza della opposizione, ma in considerazione , della non definitivit� della sentenza che si vuol eseguire. E allora appare evidente che la misura cautelare attiene al provvedimento finale del giudice dell'exequatur. Del resto il debitore � sufficientemente tutelato dalle iniziative che pu� assumere dinanzi al giudice dello Stato di origine, nonch� dalla decisione definitiva che assumer� il giudice dell'exequatur. Attribuirgli un'altra garanzia non esplicitamente prevista dalla convenzione significherebbe limitare ancor di pi� la forza esecutiva delle decisioni che la convenzione intende far riconoscere il pi� rapidamente possibile, limitando ingiustificatamente la forza della convenzione stessa. La formulazione in termini generali del primo quesito non ha, per�, consentito l'esame da parte della Corte di un altro aspetto interessante della fattispecie. Si trattava, invero, della esecuzione di un provvedimento di sequestro italiano, emesso con ordinanza dal giudice istruttore in pendenza della causa nel merito, cio� di un provvedimento cautelare che come tale -cio� come cautela -� definitivo e non autonomamente impugnabile: esso segue la sorte della decisione di merito, ma finch� qusta non � definitiva esso � immodificabile. Questa particolarit� -che � tipica di molti provvedimenti cautelari -avrebbe dovuto impedire in radice la applicazione dell'art. 38 della convenzione, il quale, come si � detto, riguarda solo i provvedimenti impugnabili in via ordinaria: con la conseguenza che non sembra che il giudice dell'exequatur avrebbe potuto subordinare la esecuzione del provvedimento stesso alla costituzione di una garanzia n� in via provvisoria, in pendenza del giudizio di opposizione, n� in sede di decisione finale su tale opposizione. La decisione cautelare emessa da uno Stato ha una sua funzione precisa, di fornire cio� una garanzia al creditore. Se essa � stata presa senza richiesta di alcuna controgaranzia da parte dello stesso giudice dello Stato di origine e senza che in tale Stato essa sia in s� stessa impugnabile in via ordinaria, non sembra vi sia ragione di ammettere che una siffatta controgaranzia possa esser posta dal giudice dell'exequatur. (2) Soluzione accettabile, il cui rigore appare mitigato dalla revocabilit� del provvedimento erroneo inoppugnabile. ' ' ' : llilitl�Wlwe�(l!f:llllllllllllrlllf~1111e::1:1rrllfl%Jzltrflliilrlfrtr11111w:1irr1[rli1fffifl?l&fill 248 ~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 37 e 38 della �convenzione. 2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra due imprese che fabbricano calzature: la Calzaturificio Brennero, con sede in Italia, e la ditta Wendel, con sede nella Repubblica federale di Germania. La prima otteneva da un Tribunale italiano, nei confronti della seconda, un provvedimento del quale mira ad ottenere l'esecuzione nel territorio della Repubblica federale di Germania in base alla Convenzione. 3. -Detto provvedimento veniva munito della formula esecutiva dal Presidente della Quarta Sezione civile del Landgericht di Detmold, il quale aut�rizzava al tempo stesso p:rovvedimenti cautelari sui beni della ditta tedesca. Poich� quest'ultima proponeva opposizione contro questa decisione a norma' dell'art. 36, 1� comma, della Convenzione, l'Oberlandesgericht di Hamm disponeva, prima di pronunciarsi sull'opposizione, che l'esecuzione del provvedimento di cui trattasi fosse subordinata alla costituzione, da parte della ditta italiana, di una garanzia, anche se l'esecuzione si limitava a provvedimenti cautelari. 4. -La Brennero impugnava la decisione dell'.Oberlandesgericht a norma dell'art. 37, 2� comma, della Convenzione con � Rechtsbeschwerde �, sostenendo che il giudice dinanzi al quale viene proposta opposizione contro la decisione che accorda l'esecuzione non pu� disporre la costituzione di una garanzia senza pronunciarsi contempor�neamente sull'opposizione. 5. -Il Bundesgerichtshof non, si era pronunciato sull'opposizione, ma aveva: seguito il suggerimento della Wendel di decidere in via preliminare sulla costituzione della garanzia. Trattandosi cos� di una decisione interlocutoria dell'Oberlandesgericht, non sarebbe certo se una � Rechtsbeswerde � proposta contro di essa sia ricevibile. Infatti, in base al diritto di procedura civile tedesco, tale ricorso non sarebbe ricevibile qualora sia diretto contro un'ordinanza interlocutoria di un Oberlandesgericht; il Bundesgerichtshof potrebbe quindi prenderlo in esame soltanto se esso fosse contemplato dalla Conversione. 6. -Ritenendo che l'interpretazione, su questo punto, degli artt. 37 e 38 della Convenzione sia necessaria ai fini del decidere, il Bundesgerichtshof ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1. Se l'Oberlandesgericht dinanzi al quale, nella Repubblica federale di Germania, il debitore abbia proposto opposizione, ai sensi degli artt. 36 e 37 della Convenzione, contro la decisione con cui � stata concessa l'esecuzione, possa ordinare a norma dell'art. 38, 2� comma, della Con::: 1:= PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE venzione, che l'esecuzione sia subordinata alla costituzione di una garanzia, solo nel contesto della sua decisione finale in ordine all'opposizione ovvero anche con provvedimento provvisorio nel corso del procedimento stesso. _ 2. Se, avverso un provvedimento provvisorio' con cui viene disposta la costituzione di una garanzia, emanato dall'Oberlandesgericht in base all'art. 38, 2� comma, della Convenzione nel corso del giudizio sull'opposizione, sia ammessa in applicazione diretta o analogica dell'art. 37, 2� comma, della Convenzione, la Rechtsbeschwerde dinanzi al Bundesgerichtshof. Sulla prima questione (art. 38). 7. -La ditta Brennero, il Governo italiano e la Commissione delle Comunit� Europee sostengono che l'art. 38 della Convenzione non permette al giudice dell'opposizione proposta contro la decisione che accorda l'esecuzione di emettere un provvedimento interlocutorio inteso alla costituzione di una garanzia senza pronunciarsi sull'opposizione. Il potere di emettere siffatto provvedimento sarebbe escluso dalla stessa lettera dell'art. 38, a termini del quale il giudice dell'opposizione pu� subordinare alla co,stituzione di una garanzia l'� esecuzione �, che sarebbe possibile solo dopo il rigetto dell'opposizione. L'esercizio, da parte del giudice adito, del potere di ordinare la costituzione di una garanzia mediante provvedimento interlocutorio contrasterebbe inoltre con lo scopo della Convenzione, la quale mirerebbe per l'appunto a rendere il pi� possibile semplice e sbrigativa la procedura di esecuzione di una decisione giudiziaria emessa in un altro Stato contraente. 8. -Secondo il Governo tedesco, il potere del giudice dell'opposizione di ordinare la costituzione di una garanzia in via interlocutoria, durante il procedimento di opposizione, � inteso ad evitare al debitore i rischi inerenti all'incertezza ancora sussistente circa l'esito del procedimento nello Stata d'origine poich� l'art. 38 riguarda soltanto l'ipotesi in cui la decisione da eseguire non abbia ancora la forza di cosa giudicata nello Stato d'origine. 9. -All'udienza, la ditta Wendel ha appoggiato questo punto di vista, facendo segnatamente valere che, mentre l'art. 38 concerne il caso in cui la decisione da eseguire � ancora impugnabile nello Stato d'origine, l'art. 39, che autorizza, in via provvisoria, provvedimenti cautelari, si applica solo nel caso in cui detta decisione sia divenuta definitiva in base al diritto dello Stato d'origine. Pertanto, in un caso come quello di specie, solo l'art. 38 sarebbe pertinente, mentre l'art. 39 non� potrebbe trovare applicazione. 250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 10. -Occorre innanzitutto ricordare, in proposito, che la Convenzione mira a limitare le condizioni alle quali pu� essere subordinata in un altro Stato contraente l'esecuzione per l'ottenimento dell'exequatur, pur conced�ndo alla parte contro cui � stata chiesta l'esecuzione la possibilit� di proporre opposizione. A differenza del procedimento iniziale inteso all'autorizzazione dell'esecuzione, il procedimento dinanzi al giudice dell'opposizione ha carattere contraddittorio. 11. -L'art. 39 della Convenzione disciplina i diritti della parte che ha ottenuto l'autorizzazione all'esecuzione, impugnata con l'opposizione. Fintantoch� non sia stata emessa una decisione sull'opposizione, pu� procedersi in base a detta disposizione, soltanto a �provvedimenti conservativi sui beni della parte contro cui � chiesta l'esecuzione �. Ne deriva che non pu� essere adottato alcun provvedimento esecutivo fino a quando il giudice dell'opposizione non abbia statuito. 12. -In questa prospettiva va interpretato l'art. 38, 2� comma, della Convenzione, a tenore del quale il 'giudi�e dell'opposizione pu� � subordinare l'esecuzione alla costituzione di una garanzia che provvede a determinare �. Questa norma assume rilievo per il fatto che, dal momento in cui il giudice statuisce sull'opposizione, non trovano pi� applicazione le limitazioni contemplate dall'art. 39: dei provvedimenti esecutivi sono quindi possibili anche se la decisione emessa pu� ancora costituire oggetto di ricorso in cassazione o di � Rechtsbeschwerde � in conformit� all'art. 37, 2� comma e se persino la sentenza emessa nello Stato d'origine � ancora impugnabile, ipotesi espressamente contemplata dall'art. 38. A questo momento la tutela degli interessi del debitore pu� esigere che l'esecuzione venga subordinata alla costituzione di una garanzia. 13. -Ne deriva che l'art. 38, 2� comma, della Convenzione dev'essere interpretato nel senso che n�giudice dinanzi al quale venga proposta opposizione contro l'autorizzazione all'esecuzione concessa in base alla Convenzione pu� subordinare l'esecuzione alla costituzione di una garanzia solo al momento in cui statuisce sull'opposizione. Sulla seconda questione (art. 37). , 14. -La ditta Brennero ha sottolineato che l'uniforme interpretazione della Convenzione sarebbe compromessa qualora la de�isione provvisoria o interlocutoria del giudice dell'opposizione non fosse impugnabile con ricorso in cassazione o con � Rechtsbeschwerde �. Secondo la Commissione e il Governo tedesco, per contro, l'art. 37, 2� comma, della Convenzione � chiaro in quanto consente espressamente la � Rechtsbeschwerde � solo contro la decisione definitiva sull'opposizione. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 251 15. -In base al 2� comma dell'art. 37, la decisione emessa sull'opposizione pu� costituire oggetto soltanto di ricorso in cassazione e, nella Repubblica federale di Germania, di � Rechtsbeschwerde �, Nell'ambito della struttura generale della Convenzione e alla luce di uno dei suoi scopi principali, cio� la semplificazione dei provvedimenti nello Stato in cui l'esecuzione viene chiesta, detta disposizione non pu� essere interpretata estensivamente in modo da consentire un gravame contro una decisione diversa da quella emessa sull'opposizione, per esempio l'impugnazione di un provvedimertto preparatorio o interlocutorio con cui si dispongano mezzi istruttori. 16. ,_ La seconda questione va dunque risolta come segue: l'art. 37, 2� comma, della Convenzione deve essere interpretato nel senso che esso consente il ricorso in cassazione e, nella Repubblica federale di Germania, la � Rechtsbeschwerde � soltanto contro la decisione che statuisce sull'opposizione. 17. -Anche� se nella fattispecie, la soluzione fornita alla seconda questione pu� indurre il Bundesgerichshof a dichiarare irricevibile la � Rechtsbeschwerde � contro la decisione dell'Oberlandesgericht, mentre detta� decisione dovrebbe considerarsi illegittima alla luce della soluzione fornita alla prima questione, spetta nondimeno all'Oberlandesgericht, al momento in c�i gli sar� nuovamente rimessa la causa, revocare la decisione interlocutoria nella parte in cui dispone la costituzione di una garanzia senza statuire sull'opposizione. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 27 febbraio 1985, nelle due cause 55/83 e 56/83 -Pres. Mackenzie Stuart � Avv. Gen. Slynn -Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle C.E. (ag. Campogrande). Comunit� europee � Fondo europeo agricolo di orienta.iento e garanzia (F.E.O.G.A.) � Liquidazione dei conti � Aiuti per la distillazione di vini da pasto � Misure fiscali nazionali � Compatibilit� (Regolamento CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; 28 aprile 1970, n. 816; 15 marzo 1976, n. 567; e 1 giugno 1976, n. 1281; decreto legge 18 marzo 1976, n. 46, conv. in legge 10 maggio 1976, n. 249). Comuriit� europee � Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) � Liquidazione dei conti � Spese relative alla promozione di campagne di informazione pubblicitaria per le carni (Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. ,1. 3 e 5; 16 luglio 1974, n. 1857; 18 novembre 1974, n. 2930). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 252 Comunit� europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Spese relative al finanziamento di cereali trasferiti, (Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 11 ottobre 1977, n. 2255). Allo stato attuale del diritto comunitario, caratterizzato da un'armo -nizzazione incompleta in questo settore, gli Stati membri conservano ampie co1npetenze in materia fiscale, in particolare per istituire imposte indirette sui prodotti alimentari, ma devono rispettare le norme del trat~ tato CEE, in particolare in materia agricola, astenendosi dall'adottare provvedimenti che possono turbare il funzionamento del meccanismo disposto dalle organizzazioni comuni di mercato. Non � provato che nella specie l'aumento del diritto erariale che colpisce in Italia solo l'alcool di melassa, disposto con il d.l. 18 marzo 1976, n. 46, conv. in legge 10 maggio 1976, n. 249, subito dopo, il regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 567, che aveva disposto un'operazione di distillazione di vini da pasto per far fronte alle difficolt� del mercato vinicolo, abbia esercitato un'influenza sul livello dei prezzi del mercato dell'alcool di vino e sia stato di natura tale da compromettere gli scopi e il funzionamento dell'organizzazione comune di mercato. Le spese sopportate dall'Italia secondo la normativa comunitaria per le operazioni di distillazioni suddette devono quindi essere imputate al F.E.O.G.A., limitatamente per� all'importo degli aiuti pagati esattamente secondo le modalit� stabilite da detta normativa (con esclusione, quindi, in particolare, degli aiuti pagati per contratti di distillazione non interamente eseguiti, ovvero in una soluzione anzich� in due) (1). (1) La Commissione, per escludere l'imputabilit� al F.E.O.G.A. dell'intera spesa relativa agli aiuti corrisposti per la distillazione dei vini da pasto, aveva rilevato che il provvedimento fiscale italian<;> doveva essere considerato come un provvedimento unilaterale, intervenuto in' un settore disciplinato da un'organizzazione comune di mercato, complementare al provvedimento comunitario, atto ad incidere sul processo di formazione dei prezzi e a compromettere la parit� di trattamento degli operatori economici e ad alterare le condizioni di concorrenza: il provvedimento nazionale avrebbe modificato le condizioni poste a base del provvedimento comunitario, sicch� l'onere delle provvidenze da questo stabilito non avrebbe pi� potuto essere sopportato dalla Comunit� (arg. da sentenza delia Corte di Giustizia 7 dicembre 1979, nelle cause 15 � 16/76, COMMISSIONE c. FRANCIA, in Racc., 1979, 321). Rispondendo allo specifico quesito posto dalla Corte, la Commissione aveva ulteriormente precisato che gli Stati non possono adottare unilateralmente provvedimenti atti a contribuire al buon funzionamento, nel suo territorio, di una misura comunitaria considerata inadeguata, ma aveva dovuto ammettere che diversa � la situazione allorch� lo Stato membro, nel persegl.tire obiettivi che rientrano nella sua sfera di competenza, interferisce o rischia di interferire sui meccanismi di cui si servono le organizzazioni comuni di mercato per raggiun� gere i propri obiettivi: in tali casi lo Stato membro � competente ad adottare la PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 253 Non possono essere imputate al F.E.O.G.A. le spese sopportate per le campagne di informazione pubblicitaria per le carni, in quanto tali campagne �non sono state portate a termine entro la data del 20 luglio 1975, fissata dall'art. 1 del regolamento CEE del Consiglio 18 novembre 1974, n. 2930 (2). Non possono essere imputate al F.E.O.G.A. le spese relative al finanziamento dei cereali trasferiti ai sensi del regolamento CEE del Consiglio 11 ottobre 1977, n. 2255, per la parte relativa a un preteso ma non dimostrato anticipo nel pagamento del (:Ontrovalore dei cereali stessi (3). I (omissis) 1. -Con atto depositato in cancelleria il 7 aprile 1983, la Repubblica italiana ha proposto a questa Corte, a norma dell'art. 173, 1 � comma, del Trattato CEE, un ricorso diretto all'annullamento parziale misura, ma questa non deve ostacolare, con i suoi effetti, il funzionamento dei meccanismi delle organizzazioni di mercato (cfr. sentenze della Corte 12 luglio 1979, nella causa 223/78, GRosou, in Racc., 1979, 2621, e in questa Rassegna, 1979, I, 418, in tema di interventi sul mercato dei prodotti agricoli nella fase di vendita al dettaglio, e 26 ottobre 1983, nella causa 297/82, Federazione Agricola Danese, in Racc., 1983, 3299). E nella specie, aveva precisato la Commissione, il provvedimento nazionale adottato in via unilaterale si presentava come incompatibile con il diritto comunitario contemporaneamente sia sotto il profilo della finalit� conseguita -che a suo avviso, a prescindere dalla forma adottata, non era solo quella fiscale -che sotto quello degli effetti prodotti. La Corte, pur riconoscendo in linea di principio che � la competenza fiscale propria degli Stati membri deve rispettare specialmente il principio essenziale secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di astenersi dall'adottare qualsiasi provvedimento che possa turbare il funzionamento del meccanismo disposto dalle organizzazioni comuni di mercato >>, ha osservato che nella specie non era stato affatto dimostrato dalla Commissione che la misura fiscale � abbia esercitato un'influenza sul livello dei prezzi del mercato dell'alcool di vino e sia stato di natura tale da compromettere gli scopi e il funzionamento dell'organizzazione comune del mercato vitivinicolo �, e ci� a prescindere dalle finalit� effettivamente perseguite, � da ritenersi quindi irrilevanti. Affermata in linea generale la imputabilit� della spesa al F.E.O.GA., la Corte, peraltro, ha limitato tale imputabilit� alle sole spese effettuate in esatta conformit� con la norma comunitaria, ribadendo cos� l'indirizzo finora seguito improntato alla necessit� di una interpretazione restrittiva delle condizioni per il riconoscimento delle spese a carico del F.E.O.G.A., anche �perch� la gestione della poli� tica agricola comune, in condizioni di parit� di trattamento fra gli operatori economici degli Stati membri, si oppone a che le autorit� nazionali di uno Stato membro favoriscano o sfavoriscano, interpretando estensivamente una certa norma, gli operatori di questo Stato nei confronti di quelli degli altri Stati membri � (cfr. le precedenti sentenze della Corte citate in motivazione, nonch~. per contro� versie riguardanti l'Italia, le sentenze 27 gennaio 1981, nella causa 1251/79 COMMIS� SIONE c. ITALIA, in questa Rassegna, 1971, I, 172 e 15 marzo 1983, nelle cause 61 e 62/82, COMMISSIONE c. ITALIA, ibidem, 1983, I, 291, e sentenze ivi citate). (2 -3) Questioni di specie alle quali la Corte ha dato soluzioni che appaiono da condivid~re. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO SfATO 254 della decisione della Commissione l4 gennaio 1983, n. 83/37, relativa alla liquidazione dei conti presentati dall'Ital)a p~r le spese dell'esercizio 1976 finanziate dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia, sezione �garanzia� (G. U. n. L 38, pag. 30). 2. -Il ricorso � volto all'annullamento di questa decisione nella parte in cui esclude dall'imputazione al FEAOG, in primo luogo, la somma di Lit. 8.461.391.059, relativa al pagamento di aiuti alla distillazione di vini da pasto, e in secondo luogo, la somma di Lit. 401.250.000, relativa al pagamento di spese concernenti la promozione di campagne d'informazione pubblicitaria per la carne. Sulla mancata imputazione al FEAOG, da parte della Commissione, delle spese relative alla distillazione di vini da pasto. 3. -Con regolamento 15 marzo 1976, n. 567 (G. U. n. L 67, pag. 25), il Consiglio decideva di procedere ad un'operazione di distillazione di vini da pasto per far fronte alle difficolt� del mercato vinicolo caratterizzato da riserve troppo consistenti e da prezzi inferiori ai prezzi d'intervento. Poich� tale provvedimento non aveva prodotto tutti gli effetti previsti, il Consiglio riteneva necessario disporre, con il regolamento 1� giugno 1976, n. 1281 (G. U. n. L 144, pag. 1), una seconda serie di operazioni di distillazione. 4. -I due precitati regolamenti sono stati adottati in applicazione dell'art. 7 del regolamento del Consiglio 28 aprile 1970, n. 816, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (G. U. n. L 99, pag. 1), che consente il ricorso ad operazioni di distillazione di vini e stabilisce le condizioni in cui sono effettuate tali operazioni, onde garantire in particolare che l'equilibrio del mercato dell'alcol etilico non venga compromesso. 5. -Il sistema adottato nella fattispecie era impostato, in primo luogo, sulla conclusione di contratti revocabili di consegna fra produttori e distillatori e, ih secondo luogo, sulla fissazione di un prezzo minimo di acquisto dei vini da pasto, superiore ai corsi del mercato, che i distillatori dovevano pagare i produttori. La differenza fra il costo deM'alcol cos� ottenuto ed il prezzo di vendita dello stesso alcol, in condizioni normali di commercializzazione, era compensata da un aiuto versato dagli enti d'intrevento ed imputabile al FEAOG, sezione � garanzia�. L'aiuto era stato fissato ad un livello tale da rendere possibile la commercializzazione dei prodotti ottenuti. 6. -La Commissione rifiutava di imputare al FEAOG le spese relative a queste operazioni intraprese dall'ente d'intervento italiano competente (l'AIMA) per tre motivi: il motivo principale si fonda sul fatto che l'Italia, !::~ !l i?: ~~~ PARTE I, SEZ, II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 255 a detta della Commissione, awebbe adottato un provvedimento fiscale che costituiva un aiuto indiretto in aggiunta all'aiuto comunitario; gli altri motivi si fondano, in primo luogo, sul fatto che l'AIMA avrebbe versato gran parte degli aiuti a produttori i quali avevano consegnato , solo una parte del quantitativo di vino pattuito, in contrasto con l'art. 2, n. 4, e con l'art. 6, n. 3, del regolamento n. 567/76, e in secondo luogo, suhla circostanza che l'AIMA avrebbe corisposto l'aiuto in un'unica soluzione, anzich� in due, in cotrasto con l'art. 2, nn. 3 e 5, del regolamento n. 567/76. Sul motivo principale secondo cui l'Italia avrebbe adottato un provvedimento fiscale che costituiva un aiuto indiretto aggiuntivo all'aiuto comunitario e di natura tale da modificare gli effetti dell'operazione comunitaria di aiuto alla distillazione. 7. -Non � contestato il fatto che, tre giorno dopo la pubblicazione del regolamento n. 567/76, l'Italia adottava il decreto-legge 18 marzo 1976 n. 46, recante misure urgenti in materia tributaria (convertito �poi nella legge 10 maggio 1976, n. 249), che stabiliva, fra l'altro, l'imposizione di un diritto erariale maggiorato sull'alcol proveniente dal melasso. Questa misura fiscale provocava un'inversione dei rapporti di prezzo fra i due alcoli, dato che il prezzo dell'alcol di melasso passava da 143.000 lire per ettolitro a 188.000 per ettolitro, e quello dell'alcol di vino da 147 000 per ettolitro a 185.000 per ettolitro. 8. -Il Governo italiano sostiene, in via principale, che il provvedimento fiscale litigioso rientra nella sua esclusiva competenza ed aveva lo scopo essenziale d'incrementare il gettito fiscale e di procedere, per tener conto degli effetti dell'inflazione, ad un semplice adeguamento delle imposte sull'alcol di melasso che non erano state modificate dal 1955; questa misura avrebbe interessato gli alcoli in genere senza favorire l'alcol di vino in particolare; infine, essa non avrebbe comportato la concessione di benefici supplementari ingiustificati per i distillatori italiani. 9. -La Commissione sostiene, per contro, che vi � stata appunto una � manovra fiscale � da parte del Governo italiano, consistente in una repentina inversione dei rapporti di prezzo fra gli alcoli a vantaggio dell'alcol di vino, ed avente per oggetto ed effetto l'aumento del �margine di beneficio possibile � dei distillatori di vino, che erano cosi posti in grado di ripercuotere in favore dei viticoltori, in tutto o in parte, tale margine supplementare. In effetti, i distillatori italiani di alcol di vino avrebbero avuto, grazie a questo provvedimento nazionale, la possibilit� di pagare ai produttori di vino un prezzo superiore al prezzo minimo, di occupare maggiori spazi di mercato a danno dei produttori dell'alcol di melassa, e di ottenere margini di guadagno superiori a quelli che 5 i! 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I avrebbero ottenuto in un libero mercato corretto soltanto dall'aiuto comunitario. In ogni caso, i produttori avrebbero realizzato un guadagno totale maggiore poich� avrebbero consegnato alla distillazione maggiori I quantit�'di vino. i I 10. -Si tratterebbe dunque, secondo la Commissione, di un provvedimento unilaterale, adottato in un settore disciplinato da un'organizzazione comune di mercato, complementare rispetto al provvedimento comunitario, di natura tale da incidere sul processo di formazione dei prezzi, da compromettere la parit� di trattamento degli operatori economici e da modificare le condizioni di concorrenza. Secondo la Commissione, solamente la Comunit� era competente a garantire o modificare J'equilibrio del mercato dell'alcol etilico, in occasione dell'attuazione di provvedimenti comunitari di distillazione di vini da tavola. 11. -Va rilevato che allo stato attuale del diritto comunitario, caratterizzato da un'armonizzazione incompleta in questo� settore, gli Stati membri hanno conservato ampie competenze in materia fiscale, in particolare per istituire imposte indirette sui prodotti alimentari. Nell'esercizio di queste competenze, gli Stati membri devono tuttavia rispettare le relative norme del Trattato. In materia agricola, questa competenza fiscale propria degli Stati membri deve rispettare specialmente il principio essenziale secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di astenersi dall'adottare qualsiasi provvedimento che possa turbare il funziomvnento del meccanismo disposto dalle organizzazioni comuni di' mercato. 12. -Come la Corte ha ricordato nelle sentenze 29 novembre 1978 (causa 83/78, Pigs Marketing Board, Racc. pag. 2347) e 26 giugno 1979 (causa 177/78, Pigs and Bacon Commission, Racc. pag. 2161), quando, in forza dell'art. 40 del Trattato, la Comunit� ha emanato una normativa che istituisce un'organizzazione comune di mercato in un determinato settore, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi da qualsiasi provvedimento che vi deroghi o ne pregiudichi l'efficacia. La Corte ha altres� precisato, nella sentenza 10 marzo 1981 (cause riunite 36 e 71/80, lrish Cremery Milk, Racc. pag. 735), che i cong~gni delle organizzazioni comuni di cui trattasi hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un livello di prezzi, agli stadi della produzione e del commercio all'ingrosso, che tenga conto tanto degli interessi del complesso della produzione comunitaria nel settore considerato, quanto di quelli dei consumatori, e che garantisca gli approvvigionamenti senza incitare ad un eccesso di produzione. Questi scopi potrebbero essere compromessi da provvedimenti nazionali adottati unilateralmente che influissero in modo sensibile, anche solo involontariamente, sul livello dei prezzi del mercato. 13. -Tuttavia � opportuno osservare, nella specie, che il provvedimento fiscale litigioso fa parte di un insieme di disposizioni fiscali PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 257 tendenti ad aumentare le entrate percepite dallo Stato e che non � contestato che esso costituisca un'adeguamento dell'imposta sull'alcol di melassa immutata da vent~ anni, nonostante l'erosione monetaria. Inoltre, questa imposta non colpisce l'alcol proveniente dalla distillazione del vino, che forma oggetto dell'organizzazione del mercato vitivinicolo, esclusivamente interessata nel caso di specie, ma l'alcol di melassa. 14. -Stando cos� le cose, per ammettere che l'aumento dell'imposta in questione abbia permesso di aumentare le quantit� di vino consegnate alla distillazione, sarebbe necessario dimostrare, in primo luogo, che i distillatori di vino abbiano potuto accrescere � i loro margini di beneficio possibili � aumentando i prezzi di vendita sino al livello raggiunto dall'alcol di melassa, e, in secondo luogo, che essi abbiano effettivamente ripercosso almeno una parte di questo guadagno supplementare a favore dei produttori di vino, facendo aumentare in modo analogo il prezzo d'acquisto dei vini consegnati alla distillazione. 15. -~ giocoforza constatare che n� i documenti agli atti n� la trattazione orale dinanzi alla Corte hanno apportato dati numerici che provino la realt� di queste ipotesi. In particolare, non � stato dimostrato che i distillatori abbiano effettivamente offerto ai produttori di vino prezzi pi� vantaggiosi, stimolando questi ultimi a consegnare alla distillazione quantit� di vino maggiori. 16. -Alla luce di quanto sopra, e senza che sia necessario indagare se il provvedimento fiscale litigioso perseguisse una finalit� diversa da quella dell'aumento del gettito dell'imposta di cui trattasi, si deve riconoscere che dall'insieme dei documenti sottoposti all'esame della Corte non risulta che questo provvedimento abbia esercitato un'influenza sul livello dei prezzi del mercato dell'alcol di vino e sia stato di natura tale da compromettere gli scopi ed il funzionamento dell'organizzazione co-' mune del mercato vitivinicolo. Il primo motivo addotto dalla Commissione per rifiutare di imputare al FEAOG le spese sostenute dall'AIMA per gli aiuti alla distillazione dei vini da tavola non pu� dunque essere accolto. Sul motivo accessorio secondo cui l'AIMA avrebbe versato gran parte degli aiuti, a produttori per contratti di distillazione non interamente eseguiti, in contrasto con il regolamento n. 567/76. 17. -Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 6 del regolamento n. 567/76, l'ente d'intervento versa l'aiuto ai produttori in due soluzioni: la prima sotto forma di anticipo, entro quindici giorni dell'approvazione del contratto, la seconda, che costituisce il saldo dell'aiuto, quando, a norma dell'art. 6, n. 3, � vfone fornita la prova che l'intero quantitativo di vino previsto dal contratto -fatto salvo quanto disposto all'art. 4 � stato distillato�. 1111111r11J11111111111�1111111111&111111111111111111111111w�rt1 258 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 18. -La Commissione ha imputato alla Repubblica italiana e al suo ente d'intervento di aver versato l'aiuto senza avere la prova che l'intero quantitativo di vino previsto dal contratto fosse stato distillato. 19. -Il Governo italiano sostiene in via principale che, a norma dell'art. 1 del regolamento n. 567/76, i contr�tti di consegna di vino da pasto per la distillazion~ sono revocabili e che il legislatore comunitario non ha inteso fissare un limite all'autonomia dei contraenti, bensi determinare unicamente le modalit� di pagamento del saldo dell'aiuto subordinando questo pagamento alla prova che l'intero quantitativo di vino consegnato in esecuzione del contratto sia stato effettivamente distillato. Tenuto conto della finalit� dell'aiuto, che era quella di ristabilire l'equilibrio del mercato, la tesi della Commissione si baserebbe su di un'errata interpretazione della normativa, che verrebbe a creare una discriminazione fra i produttori che hanno eseguito in parte i contratti di distillazione e quelli che non li hanno eseguiti affi;itto. 20. -In via subordinata, il Governo italiano sostiene che le spese devono essere lasciate a carico del FEAOG per i contratti completamente eseguiti. 21. -Va rilevato, come la Corte ha affermato nella sentenza 7 febbraio 1979 (cause riunite 15 e 16/76, Governo francese c/ Commissione, Racc. pag. 321), che nei casi in cui la normativa comunitaria subordina la corresponsione dell'aiuto al fatto che al momento del pagamento siano state osservate talune formalit� di prova, l'aiuto corrisposto non tenendo conto di tale condizione non � conforme al diritto comunitario e la relativa spesa non pu� quindi, in linea di principio, essere posta a carico del FEAOG in occasione della liquidazione dei conti per l'esercizio considerato. 22. -La Commissione fa giustamente osservare che l'interpretazione proposta del Governo italiano � contraria alla lettera del precitato art. 6, n. 3, che esige, come condizione per il pagamento dell'aiuto, che l'intero quantitativo di vino previsto dal contratto sia stato distillato. 23. -D'altronde, se � esatto che i contratti di consegna di vini da pasto per la distillazione sono definiti come revocabili dall'art. 1 del regolamento n. 567/76, i termini e le condizioni per l'esercizio di questo diritto di revoca sono stati precisati sia dagli artt. 1 e 4 del regolamento n. 567/76, sia dall'art. 4 del regolamento della Commissione 15 marzo 1976, n. 588, relativo alle modalit� d'applicazione delle operazioni di distillazione dei vini da pasto (G.U. n. L 69, pag. 48). Essi consentono di esercitare, entro determinati termini, la facolt� di rinunciare a un tale contratto di distillazione unicamente nel caso in cui la situazione del mercato permetta una migliore valorizzazione del vino per i produttori. Queste norme non �hanno dunque n� lo scopo, n� l'effetto, di far venir meno l'obbligo, im PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 259 posto dall'art. 6, n. 3, del regolamento n. 567/76, di subordinare il versamento del saldo dell'aiuto alla verifica della completa esecuzione del contratto. Per quel che riguarda questo punto, gli argomenti del Governo italiano vanno quindi respinti. 24. -Invece, cos� come sostenuto dal Governo italiano e riconosciuto dalla stessa Commissione, vanno imputate al FEAOG le spese che riguardano i contratti per cui l'ente d'intervento pu� provare la completa esecuzione in conformit� a quanto richiesto dal precitato art. 6, n. 3, del regolamento n. 567/76. La Commissione ha d'altronde precisato di essere disposta a procedere ad una verifica contabile bilaterale delle diverse operazioni dopo la pronunzia della presente sentenza. 25. -Questa Corte deve pertanto constatare che solamente le spese eseguite in corretta applicazione dell'art. 6, n. 3, del regolamento n. 567/76 vanno imputate al FEAOG. Ne consegue che le parti dovranno procedere ad una verifica contabile bilaterale onde determinare, su questa base, quali siano effettivamente le somme da imputare al FEAOG. Sul motivo accessorio secondo cui l'AIMA, in contrasto con l'art. 2, nn. 3 e 5, del regolamento n. 567/76, avrebbe corrisposto l'aiuto in una sola volta e non in due soluzioni. 26. -Come detto poc'anzi, a norma del combinato disposto dell'art. 2, nn. 3 e 5, e dell'art. 6, n. 3, del regolamento n. 567/76, l'ente d'intervehto concede ai produttori l'aiuto sotto forma di due versamenti: in primo luogo, un anticipo entro quindici giorni dall'approvazione del contratto, e in secondo luogo, il saldo quando viene fornita la prova che l'intero quantitativo di vino previsto dal contratto � stato distillato. Queste disposizioni sono giustificate, come risulta dal settimo considerando del regolamento n. 567/76, dalla necessit� di prevedere meccanismi di pagamento-che consentano in particolare l'immediato versamento di una quota del prezzo d'acquisto, nell'intento di agevolare la decisione dei produttori desiderosi di far distillare il vino. 27. -Va innanzitutto rilevato che questo motivo accessorio del rifiuto opposto dalla Commissione all'imputazione al FEAOG, pu� riguardare sole le operazioni di distillazione disciplinate dal precitato regolamento n. 567/76, poich� a norma dell'art. 2 del summenzionato regolamento del Consiglio n. 1281/76, nel contesto della seconda serie di operazioni di distillazione, il pagamento del prezzo minimo d'acquisto pu� essere effettuato dall'ente d'intervento in una sola volta, dopo la distillazione del quantitativo totale di vino indicato nel contratto. 28. -Il Governo italiano ha riconosciuto che, in un certo numero di casi, il suo ente d'intervento ha versato l'aiuto in un solo importo e 260 RASSEGNA DEIJ.!AVVOCATURA DELLO STATO non in due soluzioni come disposto dall'art. 2 del regolamento n. 567/76. Tuttavia, � stato fatto ricorso, a tale prassi solamente in casi limitati e per ragioni di opportunit�, e cio� allorch� non era possibile versare l'acconto entro i termini stabiliti e ricorrevano le condizioni per il pagamento in un'unica soluzione dell'intero aiuto. Di conseguenza, il Governo italiano ne deduce, in via principale, tenuto conto della finalit� dell'aiuto, che una simile condizione di forma � di poco momento e, in via subordinata, che la parte delle spese non inte,ressata da questi argomenti della Commissione, deve comunque rimanere a carico del FEAOG. 29. -La Commissione sostiene invece che questa prassi � stata in �realt� generalizzata e che il mancato pagamento di anticipi ai produttori ha costituito un grave elemento di non conformit� nell'esecuzione delle operazioni di distillazione, tenuto conto in particolare dell'effetto dissuasivo che essa ha potuto avere, effetto dissuasivo che � stato inoltre aggravato dai ritardi nei pagamenti. 30. -Tuttavfa, La Commissione ha ammesso, in occasione dell'udienza, che questo motivo accessorio non era di natura tale da comportare il .rifiuto dell'imputazione al FEAOG di tutti gli aiuti alla distillazione versati in esecuzione del regolamento n. 567/76, bens� solamente delle spese per aiuti relativi ai contratti per i quali l'aiuto � stato versato in un'unica soluzione. 31. -Come la Corte ha dicl�arato nella sentenza 7 febbraio 1979 (causa 11/76, Paesi Bassi c/ Commissione, Racc. pag. 245), l'art. 8 del regolamento del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, relativo al finanziamento della politica agricola comunt:! (G.U. n. L 94, pag. 13), permette alla Commissione di porre a carico del FEAOG solamente gli importi corrisposti in conformit� alle norme emanate per i vari settori dell'agricoltura, lasciando a carico degli Stati membri qualsiasi altro importo versato. La Corte ha d'altro canto rilevato anche la necessit� di un'interpretazione restrittiva delle condizioni per il riconoscimento delle spese a carico del FEAOG, perch� la gestione della politica agricola comune, in condizioni di parit� di trattamento fra gli operatori economici degli Stati membri, si oppone a che le autorit� nazionali di uno Stato membro favoriscano o sfavoriscano interpretando estertsivamente una certa norma, gli operatori di questo Stato nei confronti di quelli degli altri Stati membri. 32. -Orbene, l'art. 2 del regolamento n. 567/76 imponeva agli Stati membri di procedere al versamento degli aiuti non in forma di importo unico, bens�, in primo luogo, mediante un anticipo immediato destinato ad agevolare la decisione dei produttori desiderosi di far distillare il vino, e, in secondo luogo mediante un saldo preceduto dalla verifica che l'intero quantitativo di vino previsto dal contratto fosse stato effettivamente distillato. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 33. -La Commissione sostiene quindi con ragione che l'importo corrispondente agli aiuti relativi ai contratti che sono stati liquidati in una sola soluzione e non con i due versamenti di cui al regolamento n. 567/76, non va imputato al FEAOG e resta a carico dello Stato membro interessato. Invece, il Governo italiano � legittimato a chiedere che l'importo degli aiuti relativi ai contratti liquidati in modo conforme ai regolamenti nn. 567/76 e 1281/76 sia imputato al FEAOG. Ne consegue che le parti dovranno procedere ad una verifica contabile bilaterale onde determinare, su questa base, quali siano effettivamente le somme da imputare al FEAOG. Sulla mancata imputazione al FEAOG delle spese relative alla promozione di campagne. d'informazione p~bblicitaria per le carni. 34. -In forza del combinato disposto dell'art. 1 del regolamento del Consiglio 16 luglio 1974, n. 1857 (G.U. n. L 195, pag. 17), e dell'art. 1 del regolamento del Consiglio 18 novembre 1974, n. 2930 (G.U. n. L 311, pag. 6), gli Stati membri erano stati autorizzati a promuovere, entro il 20 luglio 1975, campagne d'informazione pubblicitaria per le carni, onde meglio orientare lfl scelta dei consumatori. Il FEAOG, sezione�� garanzia�, finanziava tali campagne sino a concorrenza del 50% delle spese sostenute. 35. -� pacifico che l'Italia ha effettuato tali campagne pubblicitarie dopo il termine del 20 luglio 1975. Questo ritardo � stato alla base del rifiuto della Commissione di imputare al FEAOG le spese corrispondenti. 36. -Il Governo italiano ha sostenuto di aver male interpretato il termine �promuovere�, da esso inteso non nel senso di �attuare�, bens� di �completare il necessario iter per l'attuazione della campagna�; esso ha rilevato, a questo proposito, che tutti i provvedimenti preparatori erano stati adottati in effetti prima del 20 luglio 1975. 37. -La Commissione sostiene giustamente, basandosi sulla formulazione stessa delle norme, sulla logica del sistema e sul carattere congiunturale del provvedimento, che non era possibile alcun errore d'interpretazione e che le campagne pubblicitarie in questione dovevano essere effettivamente terminate non oltre il 20 luglio 1975. Dalla stessa lettera dell'art. 1 del regolamento n. 2930/74, che dispone che gli Stati membri possono promuovere campagne d'informazione pubblicitaria durante il periodo che va fino al 20 luglio 1975, e dal secondo punto della motivazione di questo regolamento, in base al quale queste campagne termineranno alla stessa data della campagna prevista per le carni bovine, risulta che la data del 20 luglio 1975 era, senza alcuna possibilit� d'equivoco, quella in cui le campagne pubblicitarie dovevano terminare e non quella in cui 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ..O STATO dovevano essere completati provvedimenti preparatori di tali campagne pubblicitarie. 38. -Stando cos� le cose, le spese inerenti alla promozione di queste campagne pubblicitarie non possono essere imputate al FEAOG ed il ricorso va respinto su questo capo. 39. -Dall'insieme di quanto precede risulta che la decisione della Commissione 14 gennaio 1983, n. 83/37, va annullata nella parte in cui esclude dall'imputazione al FEAOG il pagamento degli aiuti alla distillazione dei vini da pasto versati ai produttori italiani in forza di contratti di distallazione integralmente eseguiti e liquidati conformemente al disposto dell'art. 2 del regolamento n. 567/76, quindi dell'art. 2 del regolamento n. 1281/76, successivamente in vigore. Il ricorso va invece respinto sugli altri capi della domanda. (omissis) II (omissis) 1. -Con atto depositato in cancelleria il 7 aprile 1983, la Repubblica italiana ha proposto a questa Corte, a norma dell'art. 173, 1� comma, del Trattato CEE, un ricorso diretto all'annullamento parziale della decisione della Commissione 14 gennaio 1983, n. 83/48, relativa alla liquidazione dei conti presentati dall'Italia per le spese dell'esercizio 1977 finanziate dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia, sezione �garanzia� (G.U. n. L40, pag. 55). 2. -Il ricorso � volto all'annullamento di questa decisione nella parte in cui esclude dall'imputazione al FEAOG in primo luogo un importo di Lit. 9.368.828.535, relativo al pagamento di aiuti alla distillazione di vini da pasto, e in secondo luogo un importo di Lit. 543.747.547, relativo alle spese per il finanziamento di cereali trasferiti. (omissis) (1) Sulla mancata imputazione al FEAOG delle spese relative al finanziamento dei cereali trasferiti. 34. -Per far fronte alle particolari .difficolt� di approvvigionamento di frumento tenero constatate in Italia nel corso del 1977, il Consiglio, con regolamento 11 ottobre 1977, n. 2255 (G. U. n. L 261, pag. 4), decideva che l'ente d'intervento tedesco mettesse a disposizione dell'AIMA 200.000 (1) Si omette la parte della motivazione inerente alla � mancata imp�tazione al FEAOG, da parte della Commissione, delle spese relative alla distillazione di vini da pasto �, in quanto identica a quella, per la stessa questione, della sentenza precedente. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE tonnellate di frumento tenero panificabile, da prendersi in consegna da parte di quest'ultimo ente non oltre il 31 dicembre 1977. 35. -Secondo le particolari modalit� disposte per questa operazione di trasferimento dal regolamento n. 2255/77, in deroga alle norme generali di cui al regolamento n. 787/69, alla chiusura dell'esercizio 1977 l'AIMA doveva rimborsare al FEAOG, con esborso effettivo, il prezzo d'acquisto del frumento trasferito. Solamente a partire da questa data, e cio� dal 1� gennaio 1978, questo ente d'intervento aveva diritto al rimborso, da parte del FEAOG, delle relative spese di finanziamento, cio� delle spese corrispondenti agli interessi a carico dell'ente d'intervento e relativi agli importi da esso anticipati per tale acquisto. 36. -Inoltre, una dicl�arazione a verbale in sede di Consiglio aveva autorizzato l'AIMA ad anticipare le operazioni di chiusura dell'esercizio al 1� dicembre 1977, a condizione che il controvalore del frumento venisse effettivamente pagato al FEAOG a tale data. In questa ipotesi, il diritto dell'AIMA al rimborso, da parte del FEAOG, delle spese di finanziamento era cos� subordinato all'effettivo pagamento del prodotto il 1� dicembre 1977. 37. -Mentre il Governo italiano sostiene di avere effettuato tale pagamento il 1� dicembre 1977 e di aver quindi diritto al rimborso delle spese di finanziamento sostenute a partire da questa data, la Commissione sostiene invece, corroborando le sue affermazioni con la produzione di stati di tesoreria, che l'AIMA non si � valsa della facolt� di anticipare il pagamento al 1� dicembre 1977 e che a questa data non � stato effettuato alcun pagamento. Pertanto, la Repubblica italiana non poteva reclamare per il mese di dicembre 1977 spese di finanziamento non effettuate e che l'AIMA, in realt�, aveva sostenuto solo dall'inizio dell'esercizio 1978. 38. -Invitata dalla Corte a produrre, prima dell'udienza, il documento comprovante il pagamento effettivo, ossia accompagnato da un esborso al 1� dicembre 1977, dell'importo del frumento trasferito, la Repubblica italiana non � stata in grado di presentare un documento del genere. Essa ha sostenuto invece che non � possibile fornire tale prova documentale in quanto la gestione dei fondi comunitari si effettua attraverso una semplice partita di giro, mediante un conto che riporta contemporaneamente gli addebiti e gli accrediti. 39. -Quest'argomento non pu� essere accolto. Come la Commissione ha affermato durante l'udienza, senza essere contraddetta, questa istituzione tiene la contabilit� di tutte le operazioni comunicatele dagli enti d'intervento, e non esiste nessuna traccia sui suoi libri contabili di un pagamento effettivo da parte dell'AIMA, durante l'esercizio 1977, del frumento trasferito. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 264 40. -Stando cos� le cose, la Corte pu� soltanto constatare che la Repubblica italiana non ha fornito la prova di aver anticipato al 1� dicembre 1977 il pagamento del frumento trasferito. Di conseguenza, la Commissione ha giustamente rifiutato di imputare al FEAOG le spese di fi. nanziamento che sarebbero state sostenute a partire dal 1� dicembre 1977. Pertanto, il ricorso va respinto su questo capo. 41. -Dall'insieme di quanto precede risulta che la decisione della Commissione 14 gennaio 1983, n. 83/48, va annullata nella parte in cui esclude dall'imputazione al FEAOG il pagamento degli aiuti alla distillazione dei vini da pasto versati ai produttori italiani in forza di contratti di distillazione integralmente eseguiti e liquidati conformemente al disposto dell'art. 2 del regolamento n. 567/76, quindi dell'art. 2 del regolamento n. 1281/76, successivamente in vigore. Il ricorso va invece respinto sugli altri capi della domanda. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 28 marzo, 1985, nella causa 2/84 � Pres. Mackenzie Stuart� Avv. Gen. Darmon � Commissione delle C.E. (ag. Marenco e Abate) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit� europee � Trasporti � Trasporto combinato strada-ferrovia Stazioni di scarico del veicolo in un paese terzo � Autorizzazione � Esclusione (Trattato CEE, artt. 74 e 75; direttiva CEE del Consiglio 17 febbraio 1975, n. 75/130). La direttiva CEE del Consiglio 17 febbraio 1975, n. 75/130, va interpretata nel senso che essa si applica anche al trasporto combinato strada/ ferrovia fra due Stati membri che comporti l'attraversamento di un paese terzo, anche se il veicolo stradale venga scaricato in una stazione ferroviaria del paese terzo, purch�, tuttavia, questa sia la stazione adeguata pi� yicina al punto di scarico della merce trasportata e purch� lo scarico del veicolo venga effettivamente comprovato mediante l'apposizione, sul documento di trasporto, del timbro dell'amministrazione ferroviaria nella stazione suddetta. In tal caso non pu�, quindi, essere richiesta un'autorizzazione di trasporto (1). (1) Questione molto dubbia (e in effetti le conclusioni dell'Avvocato Generale erano favorevoli al punto di vista italiano), che ha giustificato, pur in presenza di una pronuncia di condanna, una inusitata esplicita dichiarazione di non censurabilit� del comportamento del Governo italiano per aver ritenuto opportuna una pronunzia giurisdizionale prima di accettare l'interpretazione sostenuta dalla Commissione, nonch� la compensazione delle spese. Restano, invero, le perplessit� derivanti dal far discendere l'applicabilit� della direttiva dalla PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 265 (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 3 gennaio 1984, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare che la Repubblica italiana, esigendo un'autorizzazione di trasporto per i veicoli stradali immatricolati nella Repubblica federale di Germania e inoltrati verso l'Italia per ferrovia fino alla stazione di Lugano, allorch� questa � la stazione adeguata di scarico pi� vicina al punto di scarico della merce, � venuta meno agli obblighi impostile dalla direttiva del Consiglio 17 febbraio 1975, n. 75/130, relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti di merci combinati strada/ferrovia fra Stati membri (G.U. n. L48, pag. 31), e in particolare dall'art. 2 della stessa. 2. -La suddetta direttiva si inserisce nell'ambito della politica comune dei trasporti contemplata dagli artt. 74 e 75 del Trattato, e mira a svincolare da ogni restrizione quantitativa i trasporti internazionali su strada di merci fra Stati me:tnbri che si avvalgono delle reti ferroviarie in modo da ridurre al minimo il percorso stradale. Ai termini del secondo punto del preambolo della direttiva, l'impiego della tecnica strada/ferrovia offre vantaggi sul piano economico; inoltre, essa ha lo scopo di snellire la circolazione stradale e di aumentare in tal modo la sicurezza e si inserisce pure in una azione di protezione dell'ambiente. 3. -A tenore dell'art. l, la direttiva si applica ai suddetti trasporti se il veicolo stradale o la parte dello stesso destinata ad alloggiare il carico sono trasportati per ferrovia dalla stazione adeguata di carico del veicolo pi� vicina al punto di carico della merce fino alla stazione adeguata di scarico del veicolo pi� vicina al punto di scarico della merce. 4. -L'art. 2 della direttiva prescrive agli Stati membri di esonerare i trasporti di cui all'art. 1 da qualsiasi regime di contingentamento e di autorizzazione. 5. -Onde evitare abusi, gli artt. 3 e 4 contemplano talune misure di controllo. A norma dell'art. 3, nel documento di trasporto devono essere indicate le stazioni ferroviarie di carico e di scarico del veicolo e tali menzioni devono essere confermate mediante apposizione di un timbro delle amministrazioni ferroviarie nelle stazioni suddette. 6. -Emerge dal fascicolo che talune imprese di trasporto aventi sede nella Repubblica federale di Germania, effettuando 'trasporti da quebuona volont� e dallo spirito di collaborazione delle autorit� di un paese terzo, indipendentemente dall'esistenza di accordi ed obblighi conseguenti, e dalla necessit� che si � avvertita, a livello �omunitario (decisione del Consiglio 26 marzo 1981), di aprire negoziati con i paesi terzi anche per raggiungere tali accordi e costituire i corrispondenti obblighi. 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sto paese verso l'Italia del Nord, inoltravano i loro veicoli per ferrovia fino alla stazione di Lugano, in !svizzera, poich� questa stazione era pi� vicina al punto di scarico della merce delle stazioni italiane attrezzate per permettere le operazioni di scarico di veicoli stradali. Tuttavia, le autorit� italiane di frontiera esigevano un'autorizzazione di trasporto all'entrata di detti veicoli in Italia per strada, considerando la direttiva inapplicabile quando la stazione di scarico del veicolo sia situata nel territorio di un paese terzo. 7. -Il Governo della Repubblica federale di Germania segnalava alla Commissione l'interpretazione data alla direttiva dalle autorit� italiane e la prassi da queste seguita. La Commissione, considerando il comportamento delle autorit� italiane non conforme alla corretta interpretazione della direttiva, chiedeva, con lettera 22 luglio 1982, alla Repubblica italiana di presentare le proprie osservazioni. 8. -Poich� la risposta del Governo italiano non era considerata soddisfacente, la Commissione, con lettera 2 marzo 1983, inviava un parere motivato alle autorit� italiane. 9. -Dopo che il Governo italiano aveva contestato gli argomenti svolti nel parere motivato, la Commissione proponeva il presente ricorso. 10. -A sostegno del ricorso, la Commissione si richiama in particolare al testo della direttiva, che non contempla alcuna deroga per il caso in cui la stazione pi� vicina al punto di scarico sia situata nel territorio di un paese terzo. A suo avviso, tenuto conto della posizione geografica dell'Italia e del percorso delle grandi correnti commerciali che dagli altri Stati membri confluiscono verso l'Italia settentrionale, l'interpretazione difesa dalle autorit� italiane priva la direttiva di una parte del suo effetto utile per quanto riguarda l'Italia. 11. -Il Governo italiano sostiene che la direttiva concerne soltanto i trasporti fra Stati membri. A suo parere, se la direttiva avesse voluto riferirsi anche a stazioni situate nel territorio di paesi terzi lo avrebbe indicato espressamente. 12. -Secondo il Governo italiano, se si seguisse l'interpretazione caldeggiata dalla Commissione, il trasporto all'interno del paese di destinazione potrebbe effettuarsi solo su strada e quindi, nella fattispecie, l'Italia resterebb� priva dei vantaggi che sono alla base della liberalizzazione voluta dalla direttiva. 13. -Peraltro, il sistema di controllo contemplato dalla direttiva osterebbe all'interpretazione proposta dalla Commissione. In particolare, ; ~~~ i:' PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 26? gli obblighi che l'art. 3 della direttiva imporrebbe alle amministrazioni ferroviarie non potrebbero riguardare le amministrazoini ferroviarie dei paesi terzi, a meno che questi paesi non abbiano concluso accordi in questo senso con la Comunit�. Non si potrebbe fondatamente sostenere che il sistema instaurato dalla direttiva possa funzionare grazie alla spontanea collaborazione delle ferrovie dei paesi terzi. 14. -Questa tesi sarebbe chiaramente confermata dalla decisione del Consiglio 26 marzo 1981, relativa all'apertura di negoziati fra la Comunit� Economica Europea ed alcuni paesi terzi per la fissazione di norme comuni applicabili a taluni trasporti di merci combinati strada/ferrovia. Secondo il preambolo di questa decisione, tali negoziati avrebbero lo scopo di estendere a taluni paesi terzi, compresa la Svizzera, l'applicazione del regime contemplato dalla direttiva. Il Governo italiano sottolinea che, a tenore delle direttive di negoziato allegate alla decisione, le trattative debbono comprendere, fra l'altro, i trasporti �tra due Stati membri e in transito sul territorio di un paese terzo (se il trasporto stradale comporta l'attraversamento di una frontiera tra uno Stato membro ed un paese terzo)�. 15. -In particolare, il Governo italiano rileva che il testo precitato � corredato della seguente nota: � I trasporti fra due Stati membri che comportano un transito interamente ferroviario sul territorio di un paese1 terzo sono gi� compresi nel campo di applicazione della direttiva �. Da questa nota esso deduce, a contrario, che i trasporti combinati nell'ambito dei quali la frontiera fra un paese terzo ed uno Stato membro sia valicata su strada sono esclusi dalla sfera d'applicazione della direttiva. 16. -Di fronte a questi argomenti, occorre anzitutto constatare che la direttiva concerne i trasporti combinati strada/ferrovia fra due Stati membri anche quando comportino l'attraversamento del territorio di uno o pi� paesi terzi. Poich� l'operazione di trasporto � in tal modo considerata come un'operazione unitaria dal luogo di partenza al luogo d'arrivo, il fatto che la direttiva non contempli alcuna eccezione per il caso in cui una delle stazioni utilizzate sia situata in un paese terzo' costituisce effettivamente un indizio favorevole all'interpretazione della Commissione. 17. -Inoltre, e soprattutto, questa interpretazione trova conferma negli � scopi della direttiva quali emergono dai precitati punti del suo preambolo. I vantaggi di questo modo di trasporto devono essere valutati con riguardo agli interessi della Comunit� nel suo insieme. Il semplice fatto che nello Stato membro di destinazione il trasporto si effettui unicamente su strada non pu� quindi privare il trasporto combinato strada/ ferrovia dei suddetti vantaggi. Peraltro, e contrariamente a quanto 268 RASSEGNA DBIL'AVVOCATURA DELLO STATO sostiene il Governo italiano, di questi vantaggi fruisce anche lo Stato di destinazione in quanto il tragitto stradale da percorrervi si trova in tal modo ridotto. 18. -~ vero che l'art. 3 della direttiva contempla la collaborazione delle amministrazioni ferroviarie al sistema di controllo e che una direttiva non pu� imporre siffatto dovere di collaborazione alle amministrazioni di un paese terzo. Tuttavia, come la Commissione ha giustamente rilevato, l'apposizione del timbro della stazione interessata serve soltanto a comprovare il tragitto effettivamente percorso per ferrovia. Tenuto conto della stretta collaborazione fra tutte le amministrazioni ferroviarie europee, non vi � motivo alcuno di dubitare del valore probante di questa attestazione dell'amministrazione di un paese terzo, anche se il suo rilascio non costituisce adempimento di un obbligo. 19. -Pertanto, la direttiva di cui trattasi dev'essere interpretata nel senso che essa si applica anche al trasporto combinato strada/ferrovia fra due Stati membri che comporti l'attraversamento di un paese terzo, anche se il veicolo stradale venga scaricato in una stazione ferroviaria del paese terzo, purch�, tuttavia, questa sia la stazione adeguata pi� vicina al punto di scarico della merce trasportata e purch� lo scarico del veicolo venga effettivamente comprovato mediante l'apposizione, sul documento di trasporto, del timbro dell'amministrazione ferroviaria nella stazione suddetta. 20. -Questa interpretazione non pu� essere validamente contestata con riferimento alla precitata decisione 26 marzo 1981, relativa all'apertura di negoziati con taluni paesi terzi. Considerata nel suo contesto, la nota che figura nelle direttive di negoziato non consente di giungere alla conclusione che ne trae, a contrario, il Governo italiano. 21. -Infatti, la suddetta decisione non mira affatto a precisare la portata dalla direttiva, ma � intesa unicamente ad autorizzare l'apertura di negoziati ed a, fornire direttive per la loro conduzione. Questi negoziati hanno lo scopo di organizzare la cooperazione con taluni paesi terzi e di garantire i diritti reciproci dei partecipanti agli accordi perseguiti. Anche se la direttiva si applica in via di principio a trasporti tra Stati membri che comportino l'attraversamento su strada della frontiera fra uno Stato membro e un paese terzo e anche se, in taluni casi, come quello dei veicoli scaricati a Lugano, il paese terzo interessato fornisce 'gi� spontaneamente la necessaria collaborazione all'applicazione della direttiva, � stato nondimeno necessario includere questi trasporti nelle direttive di negoziato per assoggettare questa collaborazione alla disciplina degli accordi perseguiti. Per contro, nel caso, contemplato dalla nota, del tragitto interamente ferroviario nel paese terzo interessato, la collaborazione delle autorit� di questo paese non � necessaria per l'applicazione della direttiva PARTE J, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ' e questo caso ha potuto quindi essere escluso dalle direttive di negoziato, come disposto dalla nota citata. 22. -Dall'insieme delle considerazioni che precedono deriva che la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dalla direttiva del Consiglio 17 febbraio 1975, n. 75/130, e in particolare dell'art. 2 di questa, esigendo un'autorizzazione di trasporto per i veicoli stradali immatricolati nella Repubblica federale di Germania e inoltrati verso l'Italia per ferrovia fino alla stazione di Lugano, qualora questa sia la stazione adeguata di scarico del veicolo pi� vicina al punto di scarico della merce e il trasportatore sia in grado di comprovare il tragitto percorso per ferrovia in conformit� all'art. 3 della direttiva. Sulle spese. 23. -A norma dell'art. 69, paragrafo 2, del regolamento di procedura; la parte soccombente � condannata alle spese. Tuttavia, a norma del paragrafo 3, 1� comma, dello stesso articolo, la Corte pu� compensare le spese in tutto o in parte per motivi eccezionali. 24. -Tenuto conto dei dubbi cui danno adito le disposizioni comunitarie che la Corte ha interpretato in questa sede, il Governo italiano non pu� essere censurato per aver ritenuto opportuna una pronunzia giurisdizionale prima di accettare l'interpretazione sostenuta dalla Commissione. Tenuto conto di queste circostanze eccezionali, sembra equo compensare le spese. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 aprile 1985, n. 2645 -Pres. Mirabelli -Rel. Menichino -P. M. Sgroi (concl. diff.) -Ministero dell'Interno (avv. Stato Azzariti) c. Ditta Sasso (avv. Geremia, Verda, Grande Stevens, Siniscalco). Sanzioni amministrative -Giudizio di opposizione -Sull'esistenza del presupposti del potere sanzionatorio -Giurisdizione civile � Sussiste � Conseguenze. (Legge 3 maggio 1967, n. 317; I. 4 agosto 1973 n. 496). Sanzioni amministrative -Opposizione a decreto prefettizio -Accoglimento in sede pretorile -Legittimit� � Fattispecie. (D.l. 24 luglio 1973, n. 427, art. 5). In materia di sanzioni pecuniarie comminate ai sensi della legge n. 317/1967, qualora insorga controversia circa la esistenza dei presupposti del potere sanzionatorio, l'opposizione a tal fine proposta dal privato rientra nelle attribuzioni giurisdizionale del giudice ordinario, in quanto si ricollega al diritto soggettivo dell'opponente di non essere sottoposto al pagamento di somme al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, a fronte di un provvedimento sanzionatorio della p.a., che ha natura meramente punitiva e non � alternativo ad interventi di tipo ripristinatorio (1). Non � viziata la sentenza del pretore, che, accogliendo l'opposizione a decreto prefettizio infliggente sanzioni amministrative pecuniarie, di (1) Sull'ambito della cogmz10ne riservata al Pretore in materia in linea con le affermazioni contenute nella sentenza che si annota cfr. Cass., 6 giugno 1977, n. 2499, Mass., 1977; id., 19 marzo 1980 n. 1802, ivi, 1980; id., 26 ottobre 1981, � n. 5582, in Foro it., 1982, I, 432 con nota di richiami; id., 27 giugno 1983 n. 4404, in questa Rassegna, 1984, I, 695; id. 22 novembre 1984, n. 5594, Mass. 1984; id., 4 dicembre 1984, n. 6348, ibidem . L'affermazione, contenuta nella sentenza in epigrafe, che al provvedimento sanzionatorio opposto ed annullato si sostituisca direttamente la sentenza resa nel giudizio di opposizione, non trova riscontro n� nella giurisprudenza, che ha sempre riconosciuto la piena operativit� dei limiti di cui agli artt. 4 e 5 L.A.C., n� nella dottrina ed � vivacemente criticata da C.M. BARONE, che annota la sentenza de quo, in Foro it., 1985, I, 1295. In dottrina cfr. M.A. SANDULLI, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Jovene, Napoli, 1983. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 271 chiari illegittimo il provvedimento della Giunta e poi del C.I.P. per violazione delle norme di legge sulla individuazione delle singole domande di aumento del prezzo dell'olio di oliva presentate dai produttori e sulla corrispondente valutazione delle relative risultanze documentali ed istruttorie, non essendo consentito a tali organi della p.a. emettere -in virt� del d.l. 427/73 -porvvedimenti di ufficio e generalizzati per gruppi di domande e di imprese (2). Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente deduce il difetto di giurisdizione della A.G.O. per avere il Pretore ecceduto i suoi limiti di giurisdiziom: estendendo il controllo di legittimit� anche ai provvedimenti del C.I.P.; essa assume che tali provvedimenti, concretandosi i.Il atti discrezionali nei cui confronti � da escludersi la titolarit� di un diritto soggettivo nell'interessato, sono invece soggetti unicamente al controllo del G.A. Con il seconc\o motivo la stessa P.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. S comma 4� del d:.l. 24 luglio 1973 n. 427 (conv. in 1. 496/73), ed il vizio di eccesso di potere giurisdizionale, articolando le due censure: a) che il Pretore aveva erroneamente parificato un provvedimento espresso della P.A. a quello, previsto dalla legge come unicamente desumibile dal silenzio della stessa P.A.; e ci� perch� il primo, pur se illegittimo, esiste e da esso non pu� trarsi la presunzione di una volont� dell'amministrazione contraria a quella manifestata; b) che il Pretore, trasformando il provvedimento di rigetto in uno, sia pure tacito di accoglimento aveva violato i limiti del potere del G.O. per i quali � vietato a costui di modificare l'atto amministrativo. Con il terzo motivo la stessa P.A. ricorrente lamenta ancora la violazione dell'art. S d.l. 427-1973 e dell'art. 3 d.l.c.p.s. 15 settembre 1947 n. 896, nonch� l'eccesso di potere giurisdizionale, in quanto il Pretore aveva violato i limiti di merito dei provvedimenti del C.I.P., ed aveva inesattamente interpretato l'art. 5 del d.l. 427/1973 il quale non vieta i provvedimenti cumulativi di rigetto, n� il rigetto di pi� domande per impossibilit� di adeguato e tempestivo controllo, e non impon� una mo( 2) Sulla natura dei comitati interministeriali e dei loro provvedimenti cfr. Cass., 23 aprile 1979, n. 2278, in Foro it., 1979, I, 1548; Cons. Stato 5 marzo 1982, n. 105, ivi, 1982, III, 266; id. 2 aprile 1982, n. 163, ibidem, con nota redazionale. In dottrina cfr. la voce Prezzi imposti, di A. Liserre, nel dizionario del diritto privato a cura di N. Irti, pp. 677-92; A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1984, pp. 381 e ss. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 272 tivazione diversa per ogni singolo atto; inoltre essa aggiunge che la pretesa tardivit� del provvedimento del C.I.P. n. 32 del 1974 � in contrasto con l'art. 3 d.l. 896/1947, per il quale le delibere, adottate in via di urgenza dalla Giunta, sotto sottoposte a ratifica del C.l.P. nella sua prima riunione successiva. In ordine al primo motivo, devesi affermare l'esistenza del potere giurisdizionale del Giudice Ordinario, su tutti gli atti incidenti nell'unitario procedimento che viene a concludersi con il provvedimento sanzionatorio che � l'oggetto dell'impugnativa davanti al Pretore. Secondo il costante orientamento seguito da questa S.C., in materia di sanzioni pecuniarie comminate ai sensi della legge 3 maggio 1967 n. 317, e da norme che a questa si richiamano (quale � l'art. 10 del d.l. 24 luglio 1973 n. 427 conv. in legge 4 agosto 1973 n. 496), qualora insorga controversia circa l'esistenza dei presupposti del potere sanzionatorio, l'opposizione a tal fine proposta dal privato, assoggettato a detta sanzione, rientra nelle attribuzioni giurisdizionali del giudice ordinario, in quanto si ricollega al diritto soggettivo dell'opponente di non �essere sottoposto al pagamento di somme all'infuori dei casi espressamente previsti dalla legge, a fronte di un provvedimento sanzionatorio della P.A. che ha natura meramente punitiva e non si pone su un piano di alternativit� con interventi di tipo ripristinatorio (sent. 5 maggio 1980 n. 2923; 16 febbraio 1984 n. 1151). Inoltre nella attuazione di simili poteri, il giudice ordinario pu� valutare tutti gli atti del procedimento con cui si � pervenuti alla irrogazione della sanzione stessa, e rispetto a ciascuno � tuttavia tenuto soltanto alla mera declaratoria di disapplicazione di quello fra gli atti cJ1e sia risultato affetto da illegittimit� (artt. 4, 2� comma e 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248 ali. E) cos� disconoscendone l'efficacia dispositiva che esso dovrebbe avere nella disciplina del rapporto controverso e decidendo come se quell'atto non esistesse. Ma il presupposto di tale disapplicazione � pur sempre un sindacato di legittimit�, da parte del giudice ordinario, che si estende al provvedimento che � alla base della sanzione pecuniaria inflitta, e che pur non estendendosi (perci�) al merito del provvedimento medesimo, non � nemmeno circoscritto alla relativa legittimit� formale, ma ha un contenuto pi� penetrante in quanto comprende l'indagine sull'esistenza nella Pubblica Amministrazione del potere di emettere l'atto e sui vizi eventuali dello stesso (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere: quest'ultimo quanto meno sotto il profilo dello sviamento). Pertanto rientra nei poteri del giudice ordinario non soltanto il controllo della validit� del provvedimento direttamente sanzion~torio, e quindi la connessa pronuncia di annullamento di questo, con diretta sostituzione ad esso della sentenza che accolga l'opposizione. Invero nei detti poteri -indirizzati a tale ultimo fine -rientra anche il sindacato sulla validit� sostanziale del detto provvedimento in relazione diretta con il potere della P.A. e con l'atto che ne � il presupposto, PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sotto il profilo sia dell'esistenza di tale potere sia dell'osservanza delle norme di legge che ne regolano l'intero relativo procedimento (sent. 5 novembre 1973 n. 2864; 22 aprile 1976 n. 1441; 27 novembre 1978 n. 4892; 16 dicembre 1978 n. 6020; 11 novembre 1982 n. 5945; 15 novembre 1982 n. 6092; 16 giugno 1983 n. 4143; 16 febbraio 1984 n. 1152; 22 novembre 1984 n. 5994; 4 dicembre 1984 n. 6348). Tale orientamento, � bene precisare attesa la peculiare natura dei provvedimenti della P.A. che (come si dir�) sono stati a base del potere sanzionatorio in esame, risponde alla particolare disciplina dell'opposizione alle sanzioni pecuniarie di cui alla citata legge 3 maggio 1967 n. 317 (vigente all'epoca dei fatti) e di quella successiva 24 dicembre 1975 n. 706 sulla c.d. �depenalizzazione�; non senza considerare -seppur non rilevando ai fini della decisione, e quindi per mero scrupolo di completezza !' ancor pi� esplicito riconoscimento, del fondamento del detto ampio potere della AG.O. in materia, costituito dalla successiva legge 24 novembre 1981 n. 689. Il che significa che ai fini del controllo sulla legittimit� di un atto della P.A., diretto, come nella materia in esame, a considerare non operante e infondato il potere sanzionatorio conseguente che su di esso si basa, il potere del Giudice Ordinario � pieno e totale. Non altrettanto invece � stato ritenuto nei casi nei quali il potere del giudice ordinario � diretto non gi� ad esaminare la legittimit� dell'atto presupposto, per l'annullamento di quello sanzionatorio ad esso conseguente, ma a valutare solo in via incidentale la natura e la efficacia dell'atto per operarne la disapplicazione nel caso concreto, e senza incidere sulla portata del medesimo provvedimento come effettivo esercizio del potere della P.A. con effetti di carattere generale esterni e definitivi (come ad es. in caso di controllo degli atti in materia di espropriazione). In conclusione, per quanto concerne il primo motivo del ricorso, non sussiste il dedotto vizio di difetto di giurisdizione, poich� il Pretore, con la propria sentenza ed in conformit� con la legge 317/1967 allora operante, ha in realt� esaminato gli atti emanati dalla Giunta del C.l.P. e poi dal C.I.P., rilevandone -come si dir� -il vizio di violazione di legge e perci�, per tal via, giungendo alla dichiarazione di illegittimit� e di annullamento del conseguente atto sanzionatorio del Prefetto. Le censure del secondo e del terzo motivo possono essere esaminate congiuntamente, implicando le stesse premesse di carattere logico e giuridico. Devesi premettere che il d.l. n. 427 del 1973 (conv. in I. 496 del 1973), dopo aver previsto all'art. 1 il blocco dei prezzi di vendita, dei beni di cui all'art. 2, fino al 31 ottobre 1973, consente all'art. 5, per il periodo dal 1� novembre 1973 al 31 luglio 1974, la facolt� delle imprese che producano o importino i beni suddetti (fra i quali, per il caso in esame, gli oli.i di oliva), di � presentare domanda al Comitato interministeriale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prezzi per procedere ad eventuali aumenti dei prezzi �. Tale domanda, documentata, ed il corrispondente potere del C.I.P. -o della Giunta di questo (nei casi urgenti ai sensi de1l'art. 3 d.l. 15 settembre 1947 n. 896 sui poteri C.I.P.) -sono previsti in relazione alle �variazioni di costo intervenute ed alle condizioni di mercato� (art. 5, 1� comma), e per � determinare la misura del trasferimento dei costi sui prezzi con riferi� mento alla situazione di mercato e alla organizzazione delle imprese � (art. 5, 3� comma). Quindi l'art. 5, 4� comma, dispone che �trascorsi 60 giorni dalla data di presentazione della domanda di cui al l0 comma, senza che il C.I.P. abbia provveduto, la domanda si intende accolta�. Rispetto alla procedura concernente la dit~a Sasso -e gi� riferita in narrativa -il Pretore con la propria sentenza, ha in realt� svolto, seppure 'in modo non del tutto lineare per la sua complessa, e sotto alcuni aspetti prolissa, motivazione, un duplice ordine di considerazioni per ritenere illegittimo il comportamento ed i provvedimenti prima della Giunta, e poi del C.I.P. Da un lato esso ha ritenuto che il provvedimento di rigetto della Giunta del 3 maggio 1974, in quanto poi accompagnato dalla successiva richiesta del C.I.P. in data 10 maggio di ulteriori chiarimenti, non poteva costituire un valido provvedimento di rigetto, ma realizzava un atto puramente a carattere interlocutorio diretto ad ottenere la mera riapertura del termine suddetto di 60 giorni per il provvedimento C.I.P. Da un altro lato, poi, lo stesso Pretore ha rilevato che il comportamento del C.I.P. � consistito nel considerare le domande di autorizzazione per l'aumento del prezzo presentate dai singoli operatori economici non distinte fra loro e da esaminarsi e decidersi caso per caso (senza pur tuttavia prescindere da considerazioni d'ordine generale)� bens� come stimolo alla adozione di provvecllmenti d'ufficio sulla base di sole considerazioni d'ordine generale, sovvertendosi in tal modo il fondamentale principio della petsonalizzazione del blocco dei prezzi � di cui alle rife� rite norme. A sua volta, la premessa di tale considerazione era costituita dal rilievo che la disciplina del d.I. 427 per ottenere l'aumento dei prezzi prevede la presentazione di singole domande, e corredate dalla docu mentazione relativa alle variazioni di costo intervenute ed alle condizioni di mercato, e la valutazione da parte del C.I.P., sia pure sulla base di criteri e di direttive stabilite dal Comitato interministeriale per la pro grammazione economica (C.I.P.E.), ai sensi dell'art. 5, 2� e 3� comma stesso d.l. 427 del 1973, ma in relazione alle singole domande ed ai singoli accertamenti compiuti per ogni situazione prospettata dell'impresa inte ressata. Dal che, poi, il Pretore ha desunto l'ulteriore convincimento che le delibere del C.I.P. non siano legittime ove in esse non venga dato conto delle risultanze della documentazione prodotta dalle singole im prese richiedenti gli aumenti ed ove il �provvedimento stesso assuma PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE una portata di carattere generale, in pratica svincolata dalle singole richieste di aumento e dalla loro concreta valutazione. Fra le due argomentazioni riferite del Pretore sussiste una evidente contraddittoriet�; essa peraltro � superata dal rilievo che la considerazione -pi� esattamente motivata -ravvisante nella natura di provvedimento di ufficio a carattere generalizzato del C.I.P. un vizio di legittimit�, per mancato esame delle singole domande, comporta il mancato tempestivo provvedimento di cui all'art. 5, 4� comma d.l. 427/1973. Invero, il carattere di provvedimento di ufficio generalizzato, esclude da un lato il carattere di preteso provvedimento a titolo interlocutorio, per una ulteriore istruttoria, e nello stesso tempo non pu� assumere il valore di tm valido e tempestivo � rigetto � (sia pure -in via di urgenza -da parte della Giunta); e neppure, venendo meno il carattere di � rigetto �. motivato secondo le richieste singole delle imprese, pu� poi ritenersi validamente intervenuta la ratifica relativa da parte del C.I.P., ai sensi dell'art. 3 del d.l. C.P.S. 15 settembre 1947 n. 896. La ricostruzione, cos� operata della motivazione della sentenza impugnata, comporta la conclusione dell'esatta valutazione dell'illegittimit� del provvedimento della Giunta e poi del C.I.P. per violazione delle norme di legge sulla individuazione delle singole domande e sulla corrispondente valutazione delle relative risultanze documentali ed istruttorie, non essendo consentito a tali organi della P.A. emettere -in virt� del d.l. 427/1973 -provvedimenti di ufficio e generalizzati per gruppi di domande e di imprese. Tali conclusioni sono, del resto, anche le stesse seguite dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha ripetutamente ritenuto l'illegittimit� dei provvedimenti del C.I.P., emessi ai sensi del d.l. 427/1973, ma aventi ad oggetto la reiezione delle richieste di aumento del prezzo imposto per generi di largo consumo presentate dai singoli produttori, senza riferimento alle singole richieste di aumento ed alla documentazione alle,gata (Cons. Stato; sez. VI, 7 giugno 1974 n. 206, gi� richiamata dalla sentenza impugnata; 3 febbraio 1976 n. 27; 22 aprile 1977 n. 392; 21 giugno 1977 n. 649; 18 ottobre 1977 n. 803). E da tali affermazioni discende altres� logicamente e giuridicamente quella ulteriore deduzione per cui, in mancanza di un valido e legittimo provvedimento di rigetto che risponda ai suddetti requisiti dell'esame della singola domanda e della corrispondente decisione sulla stessa, la delibera dell'organo che avrebbe dovuto cos� provvedere � in realt� inesistente. Ed invero -come pure affermato dal Consiglio di Stato in alcune delle citate decisioni l'eventuale annullamento (che sia stato pronunciato dal G.A.) o comunque il rilevato vizio di legittimit� dell'atto stesso, escludono che la P.A. possa rinnovare il medesimo provvedimento, dopo che -come nella specie -sia decorso il termine previsto dalla legge per la relativa pronuncia. 276 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In conclusione l'illegittimit� del provvedimento di rigetto della domanda della ditta Sasso, presupposto della imposizione sanzionatoria del Prefetto di Imperia, ha condotto alla esatta decisione del Pretore sia con l'affermazione che detto provvedimento non era intervenuto nel termine di legge previsto, sia con la dichiarazione di illegittimit� dell'ordinanza stessa del Prefetto; e ci� perch� la domanda della stessa ditta ~oveva ritenersi accolta. Le considerazioni svolte comportano la infondatezza anche dei motivi secondo e terzo del ricorso. Questo deve, perci�, essere respinto. (omissis) I; ~i I {; lii I ~: I I iii ~~ ~ @ I ~ I I I I ;:-; g [ r t !I !i: � !::= !:: �.�.�.w.-.�---�.�.�.-m.-.-.---.-�.-.-.-.---.-a.-.-ccm.-.-�.-�-ᥥ���------���--����--��---�����ᥥ�������������������..��������������������������-�������������������������������������������������-�������-�������� i 111111&li!r1rr1:r11111a111:&111111111r1:1r11�11&11111,11116���I SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 21 giugno 1984 n. 3672 -Pres. Novelli -Rel. Laudato -P.M. La Valva (conf.). Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato (Avv. Stato Stipo) c. Caporosso (avv. Spinelli). Responsabilit� civile -Trasporto di persone su ferrovia -Responsabilit� della P .A. per danni subiti dal viaggiatore -Condizione. Responsabilit� civile -Trasporto di persone su ferrovia � Onere probatorio a carico del viaggiatore -Prova liberatoria della P .A. -Fatti~ specie. La responsabilit� dell'amministrazione ferroviaria per danno alla persona del viaggiatore � subordinata al verificarsi di una � anormalit� del servizio �, vale a dire ad un fatto costituente, nella sua obiettivit�, una deviazione rispetto all'ordinato e regolare svolgimento del servizio stesso, ricollegabile a varie cause, quali lo stato del materiale, il funzionamento dei mezzi adoperati e l'attivit� del personale addetto, contrario alle norme Responsabilit� per i danni alla persona nel trasporto per ferrovia. Questa sentenza, mentre fa puntuale applicazione dei principi in materia di responsabilit� dell'amministrazione ferroviaria nel trasporto di persone, lascia perplessi nella decisione del caso di specie quando ravvisa in un sasso proveniente dall'esterno �un fatto costituente, nella sua obiettivit�, una deviazione rispetto all'ordinato e regolare svolgimento del servizio stesso�. Infatti l'art. 11 delle allora vigenti Condizioni e Tariffe cos� stabiliva: �Se il viaggiatore subisce un danno nella persona in conseguenza di anormalit� verificatasi nell'esercizio ferroviario, l'amministrazione ne risponde, a meno che provi che l'anormalit� � avvenuta per caso fortuito o forza maggiore �. La nuova legge 7-10-1977 n. 754 (art. 1), anche se non parla di anormalit�, pone sempre l'accento sul collegamento tra il danno e l'esercizio ferroviario. Tale il testo della nuova norn:).a: � Se il viaggiatore, durante la permanenza sui veicoli ferroviari, ovvero al momento in cui sale o ne discende, subisce un danno alla persona in conseguenza di un incidente che sia in relazione con l'esercizio ferroviario, l'amministrazione ne risponde a meno che provi essere l'incidente avvenuto per causa ad essa non imputabile �. Quindi a carico del passeggero sta l'onere di provare: a) l'anormalit� nell'esercizio ferroviario; b) il nesso di causalit� tra l'anormalit� e il danno patito. Non ogni fatto che procura un danno ai passeggeri durante il viaggio costituisce anormalit�; con tale concetto vanno individuati quei fatti che RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO regolamentari o alle regole di comune prudenza, al quale fatto sia, poi, ricollegabile eziologicamente il danno stesso. Ai sensi delle Condizioni e Tariffe per il trasporto ferroviario di persone spetta al viaggiatore provare la anormalit� del servizio, dalla quale sorge la presunzione di colpa a carico dell'amministrazione; incombe, poi, a quest'ultima la dimostrazione che il sinistro � avvenuto per caso fortuito o per forza maggiore o per comportamento addebitabile al sinistrato o ad un terza. Il viaggiatore leso, quindi, soddisfa il suo onere probatorio dimostrando che il danno gli � derivato dal mezzo di trasporto e durante il viaggio, in quanto tale prova contiene, gi�, almeno in via presuntiva quella del collegamento del sinistro, con nesso di derivazione genetica, alla violazione da parte del vettore di alcune di quelle cautele che sarebbero state idonee ad evitare il danno (nella specie � stata ravvisata la responsabilit� dell'amministrazione per il danno subito dal viaggiatore, mentre viaggiava seduto nello scompartimento, a seguito della rottura del vetro del finestrino causata da un sasso proveniente dall'esterno). Con il primo mezzo di annullamento, la Amministrazione ricorrente, denunziata la violazione degli artt. 2697, 2727, 2728, 2729, cod. civ.; 11 r.d.l. 11 ottobre 1934 n. 1948; nonch� difetto di motivazione, deduce che non pu� ravvisarsi anormalit� nell'esercizio ferroviario nel fatto che (per cause ignote) un sasso proveniente dall'esterno infranga i vetri del finestrino del treno, andando a colpire il passeggero. Esso atto, invero, non si sono ricollegabili allo svolgimento dell'esercizio ferroviario; nella casistica giurisprudenziale un fatto costituente anormalit� � stato riscontrato nella rottura di organi meccanici del treno in corsa (Cass. 3 agosto 1973, n. 2245), brusca frenata del convoglio (Trib. Genova 14 giugno 1968), fermata della carrozza ferroviaria in tratto sprovvisto di marciapiedi e in particolari condizioni di tempo e luogo (Cass. 27 aprile 1968 n. 1328), apertura di uno sportello del treno in corsa (Cass. 26 luglio 1967 n. 1988), improvvisa chiusura dello sportello di un treno in sosta senza il regolamentare avviso di attenzione (Trib. Firenze 17 novembre 1964). Di recente la Cassazione ha precisato che l'anormalit� del servizio � sempre da ricollegarsi � ad un irregolare funzionamento o ad una anomalia strutturale del mezzo tecnico con cui venga effettuata la prestazione del vettore, cui sia eziologicamente ricollegabile il danno stesso "� (Cass. 22 aprile 1980 n. 2608). Possiamo quindi concludere che non ogni fatto dannoso d� luogo a presunzione di responsabilit� a carico delle F.S. (come nel comune trasporto di diritto privato), ma occorre distinguere tra: a) fatto che si ricollega ad un irregolare funzionamento o anomalia strutturale dei mezzi tecnici con cui si effettua il trasporto; b) fatto che si ricollega ad una causa estrinseca ed indipendente dalla marcia del convoglio. Ai sensi delle Condizioni e Tariffe in argomento, il viaggiatore che subisce un danno, per far sorgere la presunzione di responsabilit� a carico delle F.S. PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 279 ricollega ad un irregolare funzionamento o ad un'anomalia strutturale dei mezzi tecnici con cui viene effettuato il trasporto, ma ad �una caus~ estrinseca ed indipendente dalla marcia del convoglio. Incombeva, pertanto, all'attrice provare che il lancio del sasso era stato causato da un fatto ricollegantesi ad un irregolare funzionamento del servizio ferroviario (cosiddetta anormalit�), e non invece da un evento estraneo al detto esercizio. La censura � infondata. t:. certo che i. criteri che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente enunciato in materia di responsabilit� per danni alle persone nello espletamento del trasporto ferroviario si basano sul coordinamento delle norme ordinarie sul trasporto di persone con l'art~ 11 r.d. n. 1948 del 1934, convertito in legge 4 maggio 1935, n. 911; tale disposizione subordina, ora, la responsabilit� della amministrazione ferroviaria per danno �lla persona del viaggiatore al verificarsi di una �anormalit� del servizio�, vale a dire ad un fatto costituente, nella sua obiettivit�, una deviazione rispetto all'ordinato e regolare svolgimento del servizio stesso, ricollegabile a cause varie, quali lo stato del materiale, il funzionamento dei mezzi adoperati e l'attivit� del personale addetto, contraria alle norme regolamentari o alle regole di comune prudenza, al quale fatto sia, poi, ricollegabile eziologicamente il danno stesso. In base a tale norma � indubbio, quindi, che mentre spetta al viaggiatore provare l'anormalit� del servizio, dalla quale sorge la presunzione di colpa a carico dell'amministrazione, incombe, poi, a quest'ultima la dimostrazione che il sinistro � avvenuto per caso fortuito o per forza maggiore o per comportamento addebitabile al sinistrato non deve limitarsi a provare di avere subito un danno durante il trasporto, ma provare altres� che il danno sia stato causato da un fatto sub a). � di tutta evidenza come il fatto che il sasso, che investe dal di� fuori il finestrino di un treno mandandolo in frantumi, non ha nulla da vedere con l'esercizio ferroviario. Quindi, tenendo presente la seconda massima della sentenza in Rassegna, il viaggiatore aveva s� dimostrato che il danno gli � derivato � durante il viaggio >>, ma non anche che gli � derivato dal � mezzo di trasporto � in quanto � stato un fattore esterno a danneggiare sia il mezzo di trasporto sia il viaggiatore. Inoltre non � stato tenuto presente nella specie la presenza della prova liberatoria, consistente nel caso fortuito o nel fatto di un terzo; anche se non � stato possibile accertare la precisa causa (se fortuito o fatto di un terzo), tuttavia non poteva negarsi che la causa stessa era rappresentata da un fattore estraneo all'esercizio ferroviario . .La decisione in Rassegna svuota di contenuto le disposizioni normative sul trasporto di persone, in quanto appare arduo (alla stregua della motivazione in sentenza) ravvisare un caso in cui possa dirsi raggiunta la prova liberatoria nel caso di un danno subito durante il viaggio. GIUSEPPE STIPO 280 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DEllO STATO o ad un terzo. In particolare, la prova della anormalit� del sernz10 si concreta nella individuazione di una causa che si possa ricollegare al s�o funzionamento: essa, cos�, pu� ravvisarsi nel fatto medesimo che ha causato il danno, quando questo consente di riferire immediatamente l'evento all'attivit� esercitata dall'azienda medesima. Una volta fornita tale prova che, in eccezione alle regole sulla responsabilit� contrattuale, incombe al danneggiato, spetta, poi, al vettore dimostrare che l'evento si � verificato per l'intervento di fattori esimenti, inevitabili o imprevedibili, riconducibili al concetto di caso fortuito o forza maggiore o, comunque, per fattori ad esso non addebitabili. Il viaggiatore leso, quindi, soddisfa il suo onere probatorio dimostrando che il danno gli � derivato dal mezzo di trasporto e durante il viaggio, in quanto tale prova contiene, gi�, almeno in via presuntiva quella del collegamento del sinistro, con nesso di derivazione genetica, alla violazione da parte del vettore di alcune di quelle cautele che sarebbero state idonee ad evitare il danno. E, in relazione ai predetti principi, la sentenza impugnata regge alla censura contenuta nel mezzo di annullamento, anche se la motivazione va meglio precisata. In fatto, ora, nella specie, � pacifico che la Caporusso, mentre viaggiava sul treno Torino-Padova, seduta in uno scompartimento, intenta a leggere una rivista, a seguito della rottura del vetro del finestrino, venne investita da minutissimi frammenti di esso vetro, alcuni dei quali la colpivano negli occhi. Il suddetto fatto, ora, considerato alla luce di tutti i rilievi innanzi svolti, certamente realizza una anormalit� del servizio, non potendosi dubitare che la rottura di un vetro del finestrino si presenta come una deviazione rispetto all'ordinato e regolare svolgimento del servizio stesso, il quale deve assicurare al viaggiatore tutte le condizioni di sicurezza ed ' incolumit�. � a dirsi, a questo punto, allora che la Caporusso ha assolto l'onere probatorio che le incombeva, avendo provato l'anormalit� del servizio ed il nesso di causalit� tra questa e l'evento dannoso. Il fatto, altrettanto pacifico, che a provocare la rottura del predetto vetro sia stata una pietra attiene, invece alla prova liberatoria facente carico alla ricorrente; ma esso fatto, nella sua obiettivit� non assolve in alcun modo la prova che l'evento si � verificato per l'intervento di fattori inevitabili o imprevedibili, riconducibili al concetto di caso fortuito o forza maggiore o per fatto addebitabile al danneggiato o ad un terzo, a tali fini occorrendo la ulteriore prova specifica delle modalit� attraverso le quali la pietra ha potuto raggiungere e provocare la rottura del vetro del finestrino. Si vuol dire conclusivamente che l'esonero di responsabilit� della ricorrente poteva affermarsi soltanto in presenza di una prova che avesse permesso di accertare la sussistenza di una delle predette cause di esonero. (omissis) �~ ,, ' ~ PARTB I, SBZ. IV, GWRISPR.UDBNZA CI\IJLB 281 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 ottobre 1984, n. 5527 � Pres. Scanzano � Est. Sensale. P. M. Martinelli (conf.) -Ente di sviluppo agricolo E.S.A. (vice avv. gen. Stato Del Greco) c. Ferrara (avv. Spallino). Cosa giudicata civile � Ricorso in Cassazione � Giudicato interno � Preclusioni. Se nel giudizio di merito la controversia � rimasta circoscritta all'accertamento dell'avvenuta prescrizione, con indagine tesa a valutare la decorrenza della medesima, rimanendo impregiudicata ogni questione relativa all'esistenza del diritto al risarcimento del danno nonch� alla titolarit� del rapporto in capo all'Ente convenuto (nella specie l'ESA), il ricorso per Cassazione il quale riproponga la questione della esistenza dell'illecito e della responsabilit� dell'Ente trova una preclusione nel giudicato interno ormai formatosi (1). (omissis) Con il primo motivo l'ente cli sviluppo agricolo (ESA) denuncia la violazione e falsa appli~azione dell'art. 112 c.p.c. e dei principi in tema di identificazione dell'azione e sui limiti della competenza del giudice, nonch� il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, deducendo che la Corte d'appello avrebbe indebitamente mutato i termini dell'azione promossa dall'attrice. Secondo l'ente ricorrente, questa aveva fondato la domanda sulla premessa che, a seguito di annullamento del decreto di conferimento da parte del Consiglio di g�ustizia amministrativa, il possesso dei terreni fosse tornato all'ESA, la quale nulla avrebbe fatto per recuperarli dagli assegnatari e restituirli, ponendo in essere un comportamento illecito consistente nella violazione del diritto di propriet� della titolare del bene ed, in ogni caso, in una omissione colposa. Il tribunale aveva invece ritenuto che l'annullamento del provvedimento di conferimento coattivo non avesse automaticamente determin~ to il recupero del possesso dei fondi da parte dell'ESA e che i poteri di vigilanza e controllo affidati dalla legge all'ente non potessero equipararsi, ai fini dell'illecito, alla illegittima occupazione dei fondi. Con l'atto d'appello, la Ferrara aveva abbandonato la tesi prospettata nell'atto di citazione, concentrando il proprio assunto sull'affermazione dell'omesso esercizio dei poteri di competenza dell'ente e concludendo che trattavasi di illecito pennanente. Poich� l'appellante non aveva sostenuto che (1) Sui poteri della Corte di Cassazione in ordine alla rilevabilit� anche d'ufficio e alla interpretazione del c.d. giudicato interno v. Cass., 6 ottobre 1976 n. 3302, in Foro it., I, 133 e giurisprudenza ivi indicata. Sulle modalit� per la riproposizione nel giudizio di appello delle ragioni respinte o pretermesse al fine di evitare la formazione del c.d. giudicato interno v. Cass., sez. lavoro, 17 giugno 1982 n. 3699, in Foro it., 1982, I, 2165. 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'ESA avesse alienato l'immobile senza esserne proprietario, la Corte di appello, secondo l'ente ricorrente, nel ravvisare la responsabilit� dell'ESA proprio in questa alienazione aveva esorbitato dei limiti della domanda fondata su ragioni del tutto diverse da quelle accolte. Con il secondo motivo l'ESA denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 22, 23, 36, 37, 38, 39, 40 e 44 della legge regionale siciliana 27 dicembre 1950 n. 104 e successive modifiche, nonch� dell'art. 2043 e.e.; denuncia inoltre il vizio di omessa e comunque insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. Sostiene l'ente ricorrente che, all'epoca delle assegnazioni avvenute nel 1953, l'ERAS (dante causa dell'ESA) era proprietario dei terreni e quindi legittimamente li aveva trasferiti; e che la successiva decisione del Consiglio di giustizia amministrativa, intervenuta nel 1954, non aveva potuto incidere sulla posizione soggettiva dell'ERAS in relazione all'art. 2043 e.e., per il quale il risarcimento del danno � collegabile solo ad un fatto doloso o colposo. N� esisteva, a carico dell'ente, un obbligo di recuperare i terreni trasferiti agli assegnatari, esorbitando esso dalle competenze dell'ente e facendo, se mai, carico dell'Assessorato regionale, cui era affidato il compito di sovraintendere alla riforma e che poteva proporre l'eventuale rinnovo del piano di conferimento. Quanto, poi, alla parte dei terreni siti nel comune di San Biagio dei Platani, gi� concessi in enfiteusi dalla Ferrara e per i quali il piano di ripartizione era stato approvato nel 1961, senza che per essi fosse proposta impugnazione, essi -sostiene l'ente ricorrente -non erano interessati dalla decisione del Consiglio di giustizia amministrativa e, quindi, il comportamento dell'ERAS era stato pienamente legittimo e, con riferimento ad essi, non era dovuto alcun risarcimento. Osserva la Corte che le censure formulate dall'ente ricorrente -pi� specificamente quelle svolte con il secondo motivo, ma, sotto certi aspetti, anche quelle contenute nel primo -muovono dall'erroneo pretSupposto che il discorso sulla responsabilit� e sulla obbligazione risarcitoria a favore della resistente (come pure quello sulla legittimazione passiva dell'ESA o, pi� precisamente, sulla sua titolarit� passiva del rapporto controverso) sia ancora aperto e che le relative questioni siano ancora suscettibili di esame da parte di questa Corte. Dagli atti del processo -che possono formare oggetto d'indagine in sede di legittimit�, quando si debba accertare, come nel caso concreto, se si siano verificate preclusioni e se il giudice del merito sia incorso nel vizio di ultrapetizione -risulta che il tribunale aveva rigettato la domanda della Ferrara, accogliendo l'eccezione di prescrizione apposta dall'ESA, dopo avere esplicitamente affermato l'esistenza del fatto illecito di cui l'ESA, quale avente causa dell'ERAS, era tenuta a rispondere. Premessa, infatti, tale responsabilit�, il tribunale aveva ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947, 1� comma, e.e. (e non quella dell'actio iudicati nascente dalla decisione del giudice ammini PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB strativo, che aveva annullato il decreto di approvazione del piano di conferimento dei terreni da assegnare ai contadini) e, nella ricerca della data d'inizio del termine prescrizionale, aveva precisato che l'illecito, di cui l'ESA doveva rispondere, aveva -contrariamente all'assunto dell'attrice la quale ne sosteneva il carattere permanente in mancanza di restituzione dei beni illegittimamente conferiti -carattere istantaneo, essendosi concretato nel momento di trasferimento delle terre agli assegnatari, con la conseguenza di ritenere prescritto il diritto dell'attrice con riguardo sia alle terre assegnate nel 1953, sia a quelle assegnate nel 1961. Tale decisione fu impugnata con appello principale dalla Ferrara per sostenere che erroneamente il tribunale avvesse ritenuto istantaneo l'illecito e fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data delle assegnazioni. Dal canto suo, l'ESA, nella comparsa di risposta, si limit� a chiedere il rigetto dell'appello principale ed a proporre appello incidentale, deducendo che le spese processuali del giudizio di primo grado, compensata dal tribunale, dovessero invece far carico alla Ferrara, che in quel giudizio era rimasta soccombente. Inoltre, come sottolineato nella sentenza della Corte d'appello, l'ESA aveva esplicitamente ammesso che il piano di conferimento, i piani di ripartizione e gli atti di assegnazione erano nulli, s� che, ferma l'esistenza del diritto al risarcimento azionato dalla Ferrara e ferma altres� la titolarit� del rapporto in capo all'ESA, la controversia rimaneva circoscritta alla questione di prescrizione e, specificamente, alla individuazione del dies a quo del relativo termine. Quindi, non solo la statuizione circa la responsabilit� dell'ESA e la configurabilit� come illecito del comportamento ad esso (o all'ente suo dante causa) imputabile -che costituisce questione preliminare di merito decisa dal tribunale sfavorevolmente alla parte risultata, per altre ragioni, totalmente vittoriosa -non fu investita dall'appello incidentale, che, pure, l'ESA aveva proposto, ma la (ora pretesa) insussistenza dell'illecito e la (ora negata) titolarit� passiva del rapporto in capo all'ESA n�n furono neppure oggetto di riproposizione in appello ai sensi dell'art. 346 c.p.c. Se ne trae la conseguenza che la esistenza dell'illecito e la responsabilit� dell'ESA quale titolare dal lato passivo dell'obbligazione risarcitoria costituiscono punti fermi della decisione, che non possono formare oggetto di riesame da parte di questa Corte. � quindi, evidente che le censure formulate con il secondo motivo del ricorso, tendendo a riaprire il discorso su tali punti, ormai intangibili, della decisione, non possono trovare ingresso in questa sede. Quanto precede non manca di riflettersi anche sulle censure formu late con il primo motivo. Infatti, il dedotto vizio di ultrapetizione, se rife rito alla statuizione di responsabilit� dell'ESA e del conseguente suo ob bligo risarcitorio, nessuna rilevanza pu� assumere in conseguenza della immutabilit� della statuizione stessa; ed � infondata, se con esso s'intende investire la decisione impugnata nella parte in cui ha statuito sulla pre 284 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO scrizione (della quale peraltro non si fa alcun cenno nello svolgimento delle censure), perch� l'indagine compiuta dalla Corte d'appello sugli elementi costituitisi dell'illecito ebbe il solo scopo di stabilire, nell'ambito della domanda originariamente proposta, quale fosse il momento consumativo dell'illecito, per poter individuare il dies a quo della eccepita prescrizione. A tale fine la Corte d'appello, lungi dal modificare i termini della domanda proposta, ha proceduto alla ricostruzione e alla qualificazione, dal punto di vista giuridico, della situazione denunziata, essendo, questa, nei suoi elementi di fatto, del tutto pacifica. Ci� rientrava nei poteri della Corte d'appello senza che implicasse mutamento della domanda risarcitoria proposta dalla Ferrara. Pertanto, il ricorso dev'essere rigettato, con la condanna dell'ente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 ottobre 1984, n. 5530 -Pres. Bologna - Rel. Di Salvo -P.M. Iannelli (conf.) -Mazza (avv. Rosati) c. Ministero Difesa (avv. Stato Siconolfi). Cittadinanza � Acquisto � Figli minori dello straniero. Cittadinanza � Acquisto � Rilevanza della volont� dell'interessato � Elementi presuntivi. L'art. 12 legge n. 555 del 1912 riconnette l'acquisto dello status di cittadino ad� una fattispecie complessa costituita da vari elementi e nei quali � incluso un atteggiamento implicitamente favorevole della volont� dell'interessato; esso attribuisce la cittadinanza ai figli minori, �non emancipati, residenti in Italia, dello straniero che abbia acquistato la cittadinanza italiana ma consente agli stessi di eleggerne la cittadinanza di origine entro l'anno dal raggiungimento della maggiore et�. La cittadinanza � un vincolo giuridico che unisce l'individuo alla comunit� politico sociale e ogni fatto cui si fa riferimento per determinarne l'origine � in qualche modo connesso alla volont� individuale: ai fini della costituzione e del mantenimento del rapporto di cittadinanza acquistano rilevanza circostanze di fatto che esprimono normalmente, anche se implicitamente, la volont� di un soggetto di legarsi allo Stato italiano (1). (omissis) Con l'unico motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, motivazione insufficiente ed omesso esame di fatti decisivi, per aver dato per scontato che gli avi del ricorrente, pur conservando la cittadinanza sanmarinese, avessero acquistato la cittadinanza pontificia e successivamente quella del Regno di Sardegna prima e la cittadinanza italiana, poi. Sostiene, in particolare, che i suoi avi non (1) Sulla rilevanza della volont� per l'acquisto della cittadinanza vedi Cass. 21 novembre 1981 n. 6220 in Mass. Foro it. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 285 avevano acquistato la cittadinanza pontificia perch� ai sensi del diritto comune, essa poteva essere conseguita ipso jure dallo straniero con il domicilio decennale accompagnato dall'animus e che tale elemento soggettivo era mancato nei suoi antenati; che essi non avevano �cquistato la cittadinanza del Regno di Sardegna nel 1980 anche perch�, ai sensi dell'art. 26 del codice civile del 1837, il suo avo Vincenzo avrebbe dovuto impetrare il privilegio di naturalit� e giurare fedelt� al Sovrano; che essi non avev�no nemmeno acquistato la cittadinanza itali�na al momento dell'Unificazione dello Stato, perch� gli artt. 4 e 10 del codice civile del 1865 avevano rispettato il principio della acquisizione della cittadinanza italiana jure sanguinis; che egli al compimento della maggiore et�, il 21 marzo 1950, aveva dichiarato di optare per la cittadinanza sanmarinese; che il Ministero della difesa con provvedimento del 13 maggio 1978 aveva disposto la cancellazione dalle liste di leva dei cittadini sanmarinesi. Tali complesse censure raggruppate sotto l'unico motivo di ricorso sono infondate. Occorre premettere che ogni Stato ha il potere di fissare criteri specifici per disciplinare la cittadinanza dei soggetti che vengono in relazione con esso, dato che le convenzioni internazionali stipulate disciplinano soltanto particolari profili (come quella dell'Aja del 1930) ovvero hanno una sfera di applicazione limitata a determinati Stati. Il principio della volont�, cui fa riferimento il ricorrente, non gode di un'applicazione assolutamente generalizzata e non costituisce tina norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta; molti Stati, infatti, condizionano la perdita della cittadinanza per rinuncia del singolo, ovvero l'acquisto della stessa nei casi di annessione di nuovi territori, ad esplicita autorizzazione da parte delle autorit� amministrative avente natura in varia misura discrezionale. Tale principio � comunque meramente tendenziale e positivamente applicato soltanto in fattispecie particolari. L'art. 12 della 1. n. 555 del 1912 riconnette l'acquisto dello status cittadino ad una fattispecie complessa costituita da vari elementi e nei quali � incluso un atteggiamento implicitamente favorevole della volont� dell'interessato: infatti esso attribuisce la cittadinanza ai figli minori, non emancipati, residenti in Italia (principio di effettivit�), dello straniero che abbia acquistato la cittadinanza italiana, ma consente agli stessi di eleggere la cittadinanza di origine entro l'anno dal raggiungimento della maggiore et� o dalla conseguita emancipazione. Nel caso in esame non sussiste nemmeno violazione della predetta disposizione in quanto essa non � applicabile al ricorrente dato che egli -come hanno accertato i giudici di merito -era figlio di cittadino italiano, che tale era divenuto iure sanguinis; esattamente, quindi, la sentenza impugnata non ha dato rilevanza alla opzione formulata dal Mazza. 11111i-111111,rt111111111i1111r1111111111~r1r114111111111;111mr1~11 RASSllGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'assunto secondo cui gli avi del ricorrente non avrebbero acquisito per difetto dell'elemento soggettivo n� la cittadinanza pontificia, n� successivamente la cittadinanza del Regno di Sardegna, n� dopo l'Unificazione, la cittadinanza del Regno d'Italia, � palesemente da respingere perch� il contrario accertamento compiuto dalla sentenza impugnata con l'esatta applicazione di criteri logici e giuridici, immune da vizi di motivazione, non � censurabile in questa sede di legittimit�, in quanto costituisce un accertamento di fatto. La Corte di merito ha invero accertato che, per effetto dell'annessione al Regno di Sardegna dei territori dell'ex Stato pontificio (avvenuta il 4 e 5 novembre del 1860) nei quali viveva la famiglia Mazza e della successiva annessione al Regno d'Italia, il bisavolo del ricorrente Vincenzo Mazza, nato il 13 marzo 1832 a Toriana di Forl�, era divenuto cittadino italiano avendo prestato il necessario consenso anche con la conservazione della stabile residenza nel territorio dello Stato italiano; il di lui figlio Cristoforo, nato nel 1884 in territorio italiano da cittadino italiano, aveva pure acquistato tale cittadinanza trasmettendola, sempre iure sanguinis, al figlio Mario, nato a Rimini il 21 luglio 1928, padre di Roberto, che ha promosso la presente controversia. Non merita in particolare censura l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui poich� la cittadinanza � il vincolo giuridico che unisce l'individuo alla comunit� politico sociale nella quale vive, ogni fatto a cui si fa riferimento per determinare l'odigine � in qualche modo connesso ailla volont� individuale; si che ai fini della costituzione e del mantenimento del rapporto di cittadinanza, acquistano rilevanza circostanze di fatto che esprimono normalmente, anche se implicitamente, la volont� di un soggetto di legarsi allo Stato italiano con la conseguenza che il figlio di cittadini italiani (e tali sono stati gli avi del ricorrente) �che decide di rimanere nella comunit� italiana, vivendo ed operando nel territorio della Repubblica, manifesta, indirettamente la volont� di continuare a far parte della comunit� nazionale, nella quale la nascita lo ha naturalmente collocato �. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ., ~6 gennaio 1985, n. 383 -Pres. Santosuosso -Rel. Corda -P.M. Morozzo della Rocca (conci. conf.) A.N.A.S. (avv. Stato Laporta) c. Di Stefano (avv. Sorrentino, Guarrasi e Aula). Espropriazione per pubblica utilit� -Opera pubblica -Esecuzione in pendenza di occupazione legittima -Decreto di esproprio -Emanazione successiva ma nei termini stabiliti dalla dichiarazione di p.u. � Efficacia -Principio dell'occupazione acquisitiva � Esclusione. Il principio giurisprudenziale, secondo cui � da considerare tamquam non esset il decreto di espropriazione intervenuto dopo l'irreversibile de -- . PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 287 stinazione del terreno all'opera pubblica, trova applicazione unicamente nell'ipotesi in cui la pubblica Amministrazione occupante versi in stato di illiceit� (ossia nel caso che l'esecuzione dell'opera pubblica avvenga durante lo stato di occupazione illegittima); ma non anche allorch� l'esecuzione dell'opera pubblica avvenga durante il periodo di occupazione legittima ed il successivo decreto di espropriazione intervenga quando ancora non siano scaduti i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit� (1). 3. -L'ordine logico delle questioni prospettate impone che siano trattati inizialmente -in modo congiunto -i motivi primo e secondo del ricorso incidentale, perch� involgono la preminente questione della convertibilit� dell'azione da risarcitoria in indennitaria. Convertibilit� che il ricorrente nega, nell'assunto della denunciata illegittimit� assoluta dei due decreti di espropriazione (emessi � in carenza di potere �) intervenuti in corso di causa. Tale illegittimit� � stata denunciata sotto un duplice profilo: i decreti sono stati emessi dopo intervenuta la realizzazione dell'opera pubblica e, comunque, dopo la scadenza del termine di efficacia della dichiara� zione di pubblica utilit�. La prima denuncia � stata formulata per la prima volta in queste sede (in base allo specifico dato di fatto della realizzazione dell'opera entro il biennio di occupazione legittima), poich� l'enunciato giurisprudenziale su cui essa si fonda � intervenuto dopo la pronuncia del giudice di merito; la seconda era stata proposta dal giudice predetto ma respinta con un ragionamento, che oggi, il ricorrente incidentale assume essere frutto di un equivoco. Ad avviso della Corte, la deduzione e la doglianza del ricorrente sono fondate nei limiti che saranno qui appresso indicati. Una volta stabilito, in fatto, che la realizzazione dell'opera pubblica avvenne durante il periodo di occupazione legittima, sar� preciso compito (1) Il princ1p10 richiamato dalla massima � quello della c.d. � occupa� zione appropriativa �, puntualizzato definitivamente da Cass. SS.UU. 26 febbraio 1983 n. 1464 (in questa Rassegna, 1983, I, 124, con nota di LAPORTA; nonch� in Foro it., 1983, I, 626, con nota di ORIANI, e in Giur. it. 1983, I ,1, 674 e ivi, 1629, nota di ANNUNZIATA), citata in motivazione. La decisione che si pubblica si inserisce in tale filone giurisprudenziale, di cui peraltro costituisce una rilevantissima precisazione, essendosi in essa chiarito eh~ il detto principio (con i suoi due corollari della inutilitas del decreto di espropriazione e della inefficacia del medesimo decreto a convertire il giudizio da causa di risarcimento del danno a causa di opposizione a stima) presuppone una situazione ab initio patologica dovuta alla inesistenza (o sopraggiunta inefficacia) di titolo occupazionale all'atto della esecuzione dell'opera pubblica, alla quale situazione va poi ad aggiungersi -quale ulteriore condizione di operativit� del principio -l'inutile decorso dei termini fissati nella dichiarazione di p.u. per l'esercizio del potere espropriativo. 7 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del giudice di merito (in sede di rinvio) stabilire -sempre in fatto -se il provvedimento amministrativo che aveva dichiarato l'indifferibilit� e l'urgenza delle opere aveva fissato una pi� lunga durata di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit� (in pratica, il termine per l'inizio e la fine dei lavori e per l'inizio e il completamento dell'iter espropriativo) e se i decreti di espropriazione furono emessi entro tale periodo. E ci�, ovviamente, per stabilire se, in fatto, la P.A. espropriante aveva agito in regime di legittimit� o di illegittimit�, posto che solo nel prirrio caso la azione risarcitoria proposta avrebbe potuto essere convertita in azione di opposizione alla stima. A tal proposito, va subito chiarito che il principio giurisprudenziale invocato dal ricorrente (incidentale) ed enunciato dalla sentenza 1464 del 1983 delle Sezioni Unite di questa Corte (secondo cui � da considerarsi tamquam non esset il decreto di espropriazione intervenuto dopo l'irreversibile destinazione del terreno all'opera pubblica) trova applicazione unicamente nell'ipotesi in cui la P. A. occupante versi in stato di illiceit�. In questo caso (cio� nel caso che l'esecuzione dell'opera pubblica avvenga durante l'occupazione illegittima), infatti, la P. A. acquisisce la propriet� del suolo proprio per effetto di tale esecuzione; e un su�cessivo decreto di espropriazione che traesse origine da una � nuova � dichiarazione di pubblica utilit� sarebbe perfettamente inutile, proprio perch� il bene � gi� entrato nella sfera giuridica dell'Amministrazione predetta. Detto principio, per�, non pu� trovare applicazione allorch� l'esecuzione dell'opera pubblica avvenga durante il periodo di occupazione legit . tima e il successivo decreto di espropriazione intervenga quando ancora sono aperti i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�. In tale fattispecie, invero, l'attivit� dell'espropriante � perfettamente legittima (legittimo, infatti, � che l'esecuzione dell'opera pubblica sia iniziata e portata a compimento durante il biennio di occupazione, essendo quest'ultima concessa proprio per tale fine; del. pari legittimo � che il decreto di espropriazione sia emesso entro il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�) di modo che non sussiste ragione alcuna per ritenere -fuori dell'ipotesi patologica considerata dalla citata sentenza delle Sezioni Unite -che il fatto della intervenuta trasformazione del terreno, attuata in periodo di occupazione legittima, faccia acquisire all'occupante la propriet� dell'immobile prima che siano decorsi i termini della dichiarazione di pubblica utilit�. Ora, nel caso concreto, il proprietario del terreno (odierno ricorrente incidentale) aveva denunciato l'illegittimit� assoluta dei decreti di espropriazione, assumendo che gli stessi erano stati emessi dopo trascorsi i termini predetti; e oggi si duole che la Corte di appello abbia frainteso il senso di quella deduzione. In realt�, una tale deduzione era stata formulata gi� in primo grado, con gli atti di citazione notificati all'ANAS dopo ch'erano stati emessi PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE i due decreti di espropriazione. Il Tribunale, per�, aveva respinto la deduzione predetta, perch� � sfornita di prova� (l'attore, cio�, non aveva prodotti in giudizio il decreto ministeriale contenente la dichiarazione di pubblica utilit� e il relativo termine di efficacia. Aveva, quindi, ritenuta che la domanda di risarcimento dei danni dovesse essere convertita in azione di opposizione alla stima e aveva, perci�, liquidato l'indennit� di espropriazione. Nel proporre appello, al fine di negare che potesse operarsi quella conversione dell'azione, il Di Stefano aveva formulato una duplice prospettazione: a) in fatto, aveva ribadito che i decreti di espropriazione erano intervenuti quando gi� si era verificata l'irreversibile destinazione del terreno all'opera pubblica; b) in diritto, che aveva errato il Tribunale a ritenere � non provata � la scadenza dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�, poich� tale evento poteva essere dimostrato solo mediante l'esibizione in giudizio del relativo D.M.; e tale esibizione poteva essere fatta unicamente dalla controparte (ANAS), la quale, peraltro, aveva rifiutato il rilascio di una copia del relativo documento. Aveva, quindi (sempre nell'atto di appello) chiesto al giudice di ordinare alla ANAS quella esibizione (art. 210 c.p.c.). La C.A. sembra, per�, non avere colto il senso di queste deduzioni. Ha trascurato completamente la prima e ha equivocato sulla seconda. Ha, cio�, ritenuto che l'appellante avesse ancorato l'asserita illegittimit� dei decreti di espropriazione al loro intervenire � dopo la scadenza del biennio di occupazione legittima�; e ha, quindi, negato che da tale fatto discendesse l'illegittimit� (assoluta, per carenza di potere) dei decreti in parola. Ha, perci�, confermato l'impostazione del tribunale, secondo cui la originaria domanda di risarcimento del danno doveva essere convertita in azione di opposizione alla stima. Di questa statuizione si duole il Di Stefano deducendo: a) che un fondamentale motivo di illegittimit� dei decreti di espropriazione andava ravvisato nel fatto che gli stessi erano stati emessi in assoluta carenza di potere, in quanto emessi dopo la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit� (lamentando, appunto, che la Corte di Appello non avesse colto il senso di tale deduzione e non avesse dato corso alla richiesta ex art. 210 c.p.c.); b) the un altro fondamentale motivo di illegittimit� dei decreti di espropriazione doveva essere ravvisato nel fatto che gli stessi erano intervenuti dopo che il terreno era stato irreversibilmente trasformato per essere destinato all'opera pubblica. Ora � intuitivo che il Di Stefano ha un concreto interesse alla formulazione di tali deduzioni, poich� dall'eventuale accertamento della dedotta illegittimit� discende che la <liquidazione deve essere fatta in termini di risarcimento del danno e non di indennit� di espropriazione. g certo, infatti, che se anche la liquidazione dell'indennit� di espropriazione � operata RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DBLLO STATO 290 con riferimento al valore del fondo (cos� come deve essere fatto allorch� si procede alla liquidazione del danno), l'interesse a tenere ferma l'azione risarcitoria, a scapito di quella indennitaria (di opposizione alla stima), deriva pur sempre dalla diversa reazione delle due somme liquidate al fenomeno della svalutazione monetaria (debito di valuta l'indennit�; debito di valore il risarcimento). Non v'� dubbio, quindi, che le due deduzioni meritino accoglimento in questa sede, perch� la sentenza impugnata non pu� resistere al rilievo del mancato accertamento di legittimit� dei due decreti di espropriazione (in rapporto al tempo della loro emanazione, correlato al termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�~. Nell'intento di escludere la rilevanza dell'equivoco in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, l'ANAS sostiene (nel controricorso al ricorso incidentale): a) che il decreto ministeriale contenente la prefissione dei termini (D.M. 20 giugno 1969 n. 4348) era stato da essa prodotto in giu dizio; b) che tali termini erano stati prefissati in sette anni; c) che i decreti di espropriazione erano intervenuti in quel settennio; d) che con un primo decreto i termini predetti erano stati fissati in cinque anni e, col decreto citato, poi prorogati di due anni; e) che il Di Stefano aveva specificamente contestato la legittimit� di quella proroga; f) che, la Corte di appello aveva, probabilmente, confuso il biennio di proroga col biennio di occupazione legittima; g) che, in ogni caso, l'odierna deduzione sarebbe div<'1rsa da quella originariamente formulata; h) che, infine, quando anche fosse stata illegittima quell'attivit� di proroga, essa scaturiva da un � cattivo esercizio del potere �, inidoneo a determinare la disapplicazione dell'atto da parte del giudice ordinario. Tale rilievo, per�, non vale a precludere la cassazione della sentenza, proprio perch�, in realt�, � mancato l'indispensabile accertamento se i decreti di espropriazione erano stati, o meno, emessi entro i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�. Sar�, pertanto, specifico compito del giudice di merito procedere a tale accertamento, in base agli atti. Da esso dovranno, in alternativa, scaturire le seguenti conseguenze: a) Se i decreti di espropriazione risulteranno emessi dopo trascorsi i termini di efficacia dalla dichiarazione di pubblica utilit�, gli stessi dovranno essere ritenuti illegittimi, siccome messi in carenza di potere. In tal caso, la propriet� del terreno dovr� essere ritenuta acquisita dall'ANAS @ allo scadere del biennio di occupazione legittima (proprio perch� l'irreversi-m 1:: bile trasformazione del bene � avvenuta -com'� pacifico fra le parti -;: entro il biennio predetto), e il ristoro al proprietario dovr� essere liqui-~: (oltre, �'IDtende, l'IDderu�t� <li occupazione legittima, per il bienmo, ID I dato ID termilri <li risarcimento del danno, IDteso come debito <li �_alorelff,____,�...__ ________ .-----''�,��, :���� ---.-I I PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE rel;azione alla quale dovr� essere fatto obbligo all'Amministrazione di procedere al prescritto deposito. b) Se, invece, i decreti di espropriazione risulteranno emessi entro i termini di efficacia della ,dichiarazione di pubblica utilit�, al proprietario dovranno essere liquidate le indennit� di occupazione biennale e di espropriazione, secondo i criteri di legge (indennit� che dovranno, sempre, essere depositate). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 5 dicembre 1984, n. 21 -Pres. Pescatore Est. Vacirca -Direzione provinciale del Tesoro (avv. Stato Carbone) c. Cammarota. Competenza civile -Impiego pubblico -Pensione -Ripetizione di emolumenti non dovuti -Giurisdizione della Corte dei Conti. Rientrano nella giurisdizione della Corte dei Conti, insieme con le controversie relative al diritto a pensione, anche quelle connesse che riguardano la ripetizione di somme indebitamente corrisposte a titolo di pensione. (1). (1) Il Consiglio di Stato, con questa decisione, mutando indirizzo (Ad. plen. 30 marzo 1976 n. 2), si � conformato al pi� recente orientamento della Corte di Cassazione (6 giugno 1983 n. 3815). I CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 28 gennaio 1985, n. 1 -Pres. Pescatore Est. Reggio D'Aci -E.N.P.A.S. c. Dore (avv. Clarizia). Impiego pubblico -Stipendi, assegni e indennit� -Interessi e rivalutazione monetaria -Pronuncia d'ufficio -Art. 429 cod. proc. civ. Inapplicabilit� ai dipendenti pubblici. Impiego pubblico -Indennit� di anzianit� -Indennit� buonuscita ENPAS Natura previdenziale -Rivalutazione automatica del credito -Esclusione. Ai crediti relativi a stipendi (ed accessori) dei pubblici dipendenti (ivi compresi gli statali) non � ammissibile la pronuncia di ufficio, ai sensi dell'art. 429 c.p.c., sugli interessi e rivalutazione (1). (1-3) La pronuncia d'ufficio inerente alla rivalutazione monetaria non pu� applicarsi alle controversie nei crediti di lavoro dipendente che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In tal modo l'Adunanza plenaria sembra aver risolto, per il momento, il contrasto sorto nella stessa PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDllNZA AMMINISTRATIVA 293 L'indennit� di buonuscita dei dipendenti statali ha natura previdenziale per cui ad essa non pu� comunque applicarsi il principio deducibile dall'art. 429 cod. proc. civ., concernente la rivalutazione automatica del credito (2). II CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 15 aprile 1985 n. 13 -Pres. Pescatore Est. Varrone -Denaro ed altri (avv. D'Amico e Medugno) c. Ministero del Tesoro ed altro. Impiego pubblico -Stipendi, assegni e indennit� -Interessi e rivalutazione monetaria -Domanda -Non occorre -Ratio. � I momenti di maturazione del credito di lavoro e la relativa valutazione costituiscono una fattispecie unica, per cui la svalutazione monetaria non ne comporta una variazione in termini quantitativi, e non altera in qualche modo gli originari caratteri; pertanto, la liquidazione in sede giurisdizionale della maggior somma dovuta al dipendente per la svalutazione monetaria non richiede una esplicita ed autonoma domanda (3). I (Omissis) L'appello � fondato sotto ciascuno dei due profili con esso proposti. L'art. 429 del coqice di procedura civile �, infatti, inapplicabile nella specie e ci� sia perch� le norme contenute nel Capo I, titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile (controversie individuali di lavoro) vanno, nel settore pubblico, osservate solo per i rapporti di lavoro pubblico con Enti cosidetti economici ovvero per quelli che non sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 409 nn. 4 e 5 C.p.c.), sia perch� in ogni caso, non sembra possibile attribuire all'indennit� di buonuscita dei dipendenti statali natura retributiva. Quanto al primo punto baster� osservare come il principio dell'inapplicabilit� dell'art. 429 c.p.c. ai dipendenti statali nonch� a tutti i dipendenti pubblici sottoposti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo risulta da una giurisdizione costante di questo Consiglio, che ha sempre ritenuto esplicito in tal senso il disposto di cui all'art. 409 n. 5 giurisprudenza amministrativa. Nelle more della pubblicazione del fascicolo � intervenuta la decisione della stessa Ad. Plen. 15 aprile 1985 n. 13. Sulla seconda questione la decisione � coerente con le pronunce della Corte costituzionale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 294 del codice di procedura civile (veggansi, tra le pi� recenti, la decisione di questa stessa Adunanza plenaria n. 7 in data 30 ottobre 1981, nonch�, in termini, le decisioni della VI Sez. 15 novembre 1982, n. 589, 21 giugno 1983, n. 514 e 29 luglio 1983, n. 616. In sostanza il citato art. 409 prescrive la osservanza delle disposizioni dettate in materia di controversie individuali di lavoro (tra le quali va ricompresa quella sulla rivalutazione dell'art. 429), oltre che al campo privato, anche nell'ambito dei soli rapporti di pubblico impiego � che non siano devoluti dalla legge e altro giudice �. Nella specie l'art. 29 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (contenente il testo unico della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 (istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali) riservano in via esclusiva al giudice amministrativo !a cognizione dei ricorsi relativi al rapporto di pubblico impiego prodotti dagli impiegati dello Stato . o di Enti pubblici sottoposti a vigilanza dell'Amministrazione statale, il che esclude per tabulas che nel corso del procedimento giurisdizionale cos� instaurato avanti agli organi della giustizia amministrativa possa invocarsi l'applicazione delle norme contenute nel cap. I, titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile (e, quindi, anche quella di cui all'art. 429 terzo comma). N� alla applicabilit� della disposizione contenuta nell'art. 429 terzo comma al rapporto di impiego statale pu� pervenirsi, cos� come suggerisce il resistente, sulla base dell'analogia perch� a tacer d'altro, l'articolo in parola nel testo, di cui all'art. 1 della I. 11 agosto 1973 n. 533, costituisce sicuramente una eccezione al principio nominalistico stabilito per le obbligazioni pecuniarie nonch� a quello sulla responsabilit� per mora (artt. 1224 e 1277 e.e.), in relazione al quale � vietata, quindi, finterpretazione analogica (art. 14 disposizioni sulla legge '�n generale) . .In proposito � comunque utile ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza 20 gennaio 1977 n. 43, ha ritenuto la legittimit� costituzionale degli artt. 409 n. 5 e 429 terzo comma del codice di procedura civile nella parte in cui non prevedono l'applicabilit� delle normative stesse ai rapporti di pubblico impiego in genere. Quanto al secondo profilo dell'appello -proposto evidentemente con riferimento al principio enucleato dall'art. 429 terzo comma e confermato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui gli interessi e la rivalutazione automatica ivi previsti sono dovuti soltanto � per i crediti di lavoro � e non anche per quelli previdenziali -va messo in rilievo come la natura previdenziale dell'indennit� di buonuscita accordata al personale statale dapprima con il r.d. 26 febbraio 1928 n. 619 e poi con la I. 25 novembre 1957 n. 1139 e successive modificazioni, � stata gi� riconosciuta dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 19 del 18 febbraio 1970 e n. 82 del 19 giugno 1973, nonch� da questa stessa Adunanza plenaria con la decisione n. 21 del 12 giugno 1979. J PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA L'argomento principale che ha condotto a siffatte determinazioni � stato quello desumibile dalla circostanza secondo cui la indennit� di buonuscita diventa oggetto di un diritto attuale e concreto solo dopo che la prestazione del servizio da parte del dipendente si sia protratta per un certo periodo di tempo. Per tale sua caratteristica, � stato ritenuto che la indennit� in parola differisca da ogni altra indennit� (e in particolare da quella di anzianit� prevista per il rapporto di lavoro privato) la quale sia collegata alla semplice prestazione del lavoro; ci� stante, essa non si presta a essere intesa come parte differita della retribuzione (o retribuzione differita), ma, assolve, piuttosto, a una funzione previdenziale e assistenziale nei confronti degli iscritti al fondo di previdenza dell'E.N.P.A.S. Ulteriore dimostrazione di tale natura � stata rinvenuta sia nel principio della sua eventuale trasmissibilit� (in caso di morte del titolare) secondo criteri speciali diversi da quelli della successione ereditaria, sia nella particolarit� che, a fronte dell'erogazione al singolo avente diritto, non sta la massa dei contributi versati dallo stesso a suo favore ed integranti un suo conto personale, sibbene un fondo formato dai contributi di tutti gli iscritti, ma anche e soprattutto da quelli del datore di lavoro, nonch� da altri proventi. Nella specie l'Adunanza non ritiene di discostarsi da tale orientamento, atteso che la configurazione legislativa dell'indennit� di buonuscita dei dipendenti statali non � sostanzialmente mutata, n� sussistono, quindi, ragioni per andare di diverso avviso. In particolare non sembra condivisibile l'opinione, manifestata nella sentenza qui impugnata, secondo cui all'indennit� di buonuscita dovrebbe riconoscersi, oltre che un profilo indubbiamente previdenziale, anche un aspetto di sostanziale remunerazione del dipendente e ci� con riferimento, in particolare, all'entrata in vigore del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032 nonch� della legge 7 febbraio 1979 n. 29. A parte, infatti, che appare intimamente contraddittorio ed equivoco riconoscere a un medesimo emolumento, contemporaneamente e in relazione alla sua interezza, due caratteristiche tra di loro alternative quali sono quelle della natura previdenziale (e cio� di assistenza dei lavoratori pubblici in relazione a particolari eventi previdenziali -nella specie la cessazione dal servizio -che li possano colpire) nonch� retributiva (vale a dire di corresponsione differita di parte della retribuzione), � assorbente la considerazione che gli argomenti addotti per dimostrare l'accentuazione normativa del cosiddetto carattere retributivo della indennit� stessa appaiano estremamente fragili. Il t.u., infatti, approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, ha continuato a configurare la indennit� di buonuscita dei dipendenti statali, anche dal punto di vista formale, come una prestazione di carattere previdenziale (si veda il titolo del medesimo testo unico nonch� il testo del decreto presidenziale di approvazione), sottoposta alla condizione che il 296 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dipendente abbia conseguito il diritto al trattamento di pensione e abbia maturato almeno un biennio d'iscrizione al Fondo di previdenza per il personale statale (art. 3 del d.P.R. cit.); in prosieguo la 1. 7 febbraio 1979 n. 29 ha s� ammesso il ricongiungimento presso l'E.N.P.A.S. dei periodi di servizio utili a pensione maturati anche presso altre gestioni, ma ha lasciato immutata la disciplina del trattamento di previdenza spettante agli impiegati statali. Sicch� in definitiva, anche dopo gli interventi normativi cui la decisione qui impugnata si rif�, la natura previdenziale dell'indennit� di buonuscita, in quanto non correlata in maniera automatica alla prestazione di un'attivit� lavorativa, rimane immutata; n� la circostanza su cui si dilungano i primi giudici, in relazione a una cosiddetta � cesura � tra le diverse forme di prestazione dell'apposito Fondo di previdenza e credito costituito presso l'E.N.P.A.S. -con preminenza assoluta tra di esse alla corresponsione della indennit� di buonuscita -pu� valere a infirmare tale considerazione che ha carattere assorbente e preclusivo. Va osservato per completezza che le ragioni che precedono rimangono determinanti anche in ordine alle modifiche introdotte all'istituto della indennit� di buonuscita con l'art. 7 della 1. 29 aprile 1976, n. 177 che (sebbene non preso affatto in considerazione dalla sentenza appellata) ha inciso notevolmente sulla disciplina della materia, facendo cadere il principio della necessit�, ai fini del conseguimento della indennit�, della previa acquisizione del diritto a pensione; e riducendo il periodo di iscrizione al fondo all'uopo necessario a un solo anno. Il fatto � che una volta che l'indennit� non dipenda, comunque, in maniera automatica dalla prestazione lavorativa fornita dall'impiegato statale n� sia esattamente correlata ad essa, ma sia, invece, condizionata da altri eventi esterni (quali nella specie la iscrizione al fondo di previdenza per un certo periodo) non pu� riconoscersi alla stessa caratteri;! retributivo poich�, per definizione, la retribuzione ha lo scopo di compensare l'impiegato della sua opera ed � dovuta, conseguentemente, solo che detta opera sia prestata e in proporzione ad essa; la necessit� che ai fini della corresponsione dell'indennit� intervenga un'altra condizione estranea alla attivit� lavorativa spezza, in sostanza, il nesso causale tra la seconda e la prima. Il che del resto � pur ora indirettamente confermato dalla circostanza che il diritto all'indennit� di buonuscita maturata non si devolve, in caso di morte del suo titolare, secondo i principi del diritto successorio -cos� come dovrebbe essere se l'indennit� avesse mero carattere retributivo -ma, invece, sulla base dei criteri particolarissimi stabiliti dall'art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973. Analoghe considerazioni ovviamente possono effettuarsi in ordine alle modifiche introdotte con la 1. 20 marzo 1980 n. 75 che riguardano principal mente la base contributiva e il procedimento di liquidazione dell'indennit�. In conclusione deve respingersi la tesi che alla indennit� di baonuscita possa, allo stato attuale della nostra legislazione, essere riconosciuta natura retributiva, il che impedisce, a tacer d'altro, l'applicabilit� alla I �-I~: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA stessa delle disposizioni di cui all'art. 429 terzo comma del Codice di , procedura civile. La sentenza di primo grado qui impugnata va quindi annullata con reiezione del ricorso a suo tempo� proposto dai' dott. Dore. Per completezza deve osservarsi come nel presente giudizio non pu� scendersi all'esame di eventuali questioni connesse con l'applicazione dell'art. 1224 del Codice civile poich� -come ha eccepito la difesa erariale manca una univoca domanda in tal senso proposta dall'originario ricorrente in primo grado (veggansi l'atto stragiudiziale di diffida notificato dal dott. Dore all'E.N.P .A.S. in data 18 febbraio 1981, le conclusioni del ri�orso avanti al T.A.R. nonch�, soprattutto, la memoria datata 4 giugno 1982, contenente ampia esplicazione delle ragioni del ricorrente) ed essendosi il procedimento davanti ai primi giudici svolto essenzialmente sul punto -sul quale si � sviluppata la contestazione delle parti -dell'applicabilit� o meno nella specie dell'art. 419 terzo comma del codice di procedura civile. Un'istanza del genere, del resto, a parte ogni questione che si sarebbe potuta porre sulla sua eventuale proponibilit� in questa sede, non risulta comunque concretamente avanzata neppure in questo grado d'appello, n� con ricorso incidentale (mai presentato) e neppure come autonomo capo di domanda in ipotesi spiegato nella difesa dal resistente (omissis). II (omissis) -La questione sottoposta all'esame del Collegio attiene alla risoluzione del conflitto insorto in ordine alla possibilit� per il giudice amministrativo di liquidare di ufficio, anche in grado di appello, le somme vantate dal pubblico dipendente per interessi e svalutazione monetaria del credito di lavoro non soddisfatto tempestivamente dalla P. A. Rileva, in proposito, l'ordinanza di rimessione che, sull'argomento in esame, si fronteggiano due differenti orientamenti: mentre in alcune pronunzie si � affermato che l'incidenza della svalutazione monetaria va calcolata anche in mancanza di una esplicita domanda dell'interessato (Cons. Stato, Sez. VI, 2 novembre 1983 n. 805; id. 23 ottobre 1983 n. 754; 30 giugno 1982, n. 293; 23 febbraio 1982, n. 1; 30 ottobre 1981, n. 7, in altre, invece, non solo si � esclusa tale possibilit�, ma � stata dichiarata inammissibile la stessa domanda di liquidazione degli interessi legali e della svalutazione proposta per la prima volta in appello (Cons. Stato, VI Sez. 29 luglio 1983, n. 616; id. 16 luglio 1983, n. 590; id. 21 giugno 1983, n. 514; id. 15 novembre 1982, n. 589). Le argomentazioni a sostegno dell'una e dell'altra soluzione si incentrano, rispettivamente, ora sul rilievo che i meccanismi rivalutativi dei crediti di lavoro sono per loro natura automatici, ora, invece, sulla diversa considerazione che tale automatismo non esclude, anzi implica la necessit� 298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO cli una apposita domanda dell'interessato onde consentirne la liquidazione in sede giurisdizionale. Sono note le tappe attraverso le quali la giurisprudenza amministrativa � pervenuta al riconoscimento a favore del pubblico dipendente del diritto ad una somma maggiore a titolo cli svalutazione del proprio credito di lavoro nei casi di ritardo o di inadempimento della P. A. In questa sede giova tuttavia rammentare che il dato qualificante evidenziato nelle precedenti pronunzie cli questa Adunanza plenaria (30 ottobre 1981 n. 7; 23 febbraio 1982, n. 1 (citt.); 9 marzo 1983, n. 2), � costituito dal rilievo che la svalutazione non introduce un incremento ulteriore nelle ragioni creditorie del dipendente, � ma opera una quantificazione di valori ontologicamente e funzionalmente coincidenti con i momenti originari di maturazione del diritto alla retribuzione �, Trattasi, pertanto, di un meccanismo cli semplice conservazione del valore economico della retribuzione � atto a ripristinare il potere d'acquisto connesso alla sua natura e alla sua finalit��. Solo a meri fini di completezza va, peraltro ricordato che nella medesima ottica ricostruttiva si pone il giudice ordinario nella risoluzione dei I problemi posti dalla svalutazione monetaria dei crediti di lavoro dei dipendenti privati. La liquidazione della maggior somma per rivaluta�:ione anche i in mancanza cli esplicita domanda -al cli l� del dato letterale contenuto nell'art. 429 cod. proc. civ. secondo comma -ad avviso del predetto giuI dice trova la sua giustificazione sistematica proprio nella evidenziata fun. zione cli � indicizzazione � del credito di lavoro tardivamente soddisfatto, tenuto conto che, in tal caso, la rivalutazione risulta afferire alla medesima I causa petendi del credito originario (Cass. SS.UU. 16 febbraio 1984 n. 1146 e 1148). Il richiamo al titolo giustificativo della pretesa creditoria consente I perci� cli rilevare come la svalutazione monetaria non viene in questi ~ f casi in rilievo come autonoma figura di danno arrecato al patrimonio del pubblico dipendente per effetto della ritardata corresponsione delle somme per legge a lui dovute, bens� rileva all'esclusivo fine di rendere immune la retribuzione della perdita del potere di acquisto di beni reali necessari per il suo sostentamento e per assicurargli una esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Ci� rende ancora pi� evidente che, n�:'.lla materia in esame, i parametri cli riferimento normativo che assumono rilevanza, non sono quelli connessi alla imputabilit� del danno ingiusto causato dal ritardo nell'adempi� mento dell'obbligazione pecuniaria, nei sensi indicati dall'art. 1234 cod. civ., bens� quelli, di tutt'altra natura, afferenti all'allargamentb dell'area di tutelabilit� della prestazione lavorativa in presenza di oggettivi fattori esterni, idonei ad alterare l'originario equilibrio contrattuale tra detta prestazione e la controprestazione remunerativa. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Tali considerazioni trovano una significativa base testuale nella disciplina che, a partire dalla I. 27 maggio 1959 n. 324, � stata dettata, in materia di c.d. indennit� integrativa speciale, a favore dei dipendenti pubblici, al dichiarato scopo, di recente posto in luce anche dalla Corte costituzionale (dee. 4-6 dicembre 1984, n. 277), di tenere indenne in qualche misura il trattamento del predetto personale dal rischio di svalutazione monetaria. Anche le successive modificazioni in proposito introdotte, prima mediante la semestralizzazione dei tempi di adeguamento della retribuzione alle variazioni del costo della vita (1. 31 luglio 1975 n. 364), e poi mediante la trimestralizzazione di tali variazioni (1. 6 dicembre 1979 n. 609), costituiscono una ulteriore riprova dell'univoco indirizzo legislativo volto a restringere sempre pi�, nei confronti del pubblico dipendente, l'area del c.d. � rischio contrattuale�, consentendo un recupero sempre pi� tempestivo della perdita del potere di acquisto della retribuzione determinatasi nel precisato arco temporale. La ristrettezza della base monetaria sulla quale tale meccanismo di indicizzazione opera, unita al fatto che essa, come � noto, non � proporzionata al trattamento economico di ciascun dipendente, ma � uguale per tutti, cos� da generare noti fenomeni di appiattimento retributivo, comporta, tuttavia, che tale funzione di parziale salvaguardia della svalu� tazione venga del tutto meno se il ritardo col quale il credito pecuniario del dipendente � soddisfatto supera il precisato arco temporale. Si spiega in tal modo perch�, a fronte di qualche isolata pronunzia volta ad applicare il meccanismo rivalutativo previsto dalla citata legge n. 324 del 1950 anche nei casi di inadempimento o di ritardo nell'adempimento da parte della P.A. (Cons. Stato, VI Sez. 6 aprile 1982; n. 178), si � andato nel tempo definitivamente precisando e consolidando l'orientamento giurisprudenziale, dianzi richiamato, secondo cui la base monetaria sulla quale, in tali casi, opera la variazione percentuale dell'indice del costo della vita calcolato dall'Istat � costituita dal credito del dipendente nel suo complessivo ammontare. Le premesse di ordine sistematico dianzi svolte, ad avviso del Collegio, giustificano dunque pienamente la considerazione riassuntiva secondo la quale i momenti di maturazione dei crediti di lavoro, la loro valutazione e la loro liquidazione � costituiscono una fattispecie unica e complessa � (A. P. dee. n. 1-1982 cit.). Ci�, in altri termini, serve a porre in rilievo che, per effetto della sopravvenuta svalutazione, il credito subisce ab intra una mutazione in termini quantitativi, senza per� che ci� ne alteri in qualche modo gli originari caratteri genetici e funzionali. "Ritiene, pertanto, il Collegio che, alla stregua delle svolt� considerazioni sulla peculiarit� del fenomeno svalutativo inerente ai crediti_ di lavoro, risulti del tutto conseguente dedurre, altres�, che la liquidazione in sede giurisdizionale della maggior somma dovuta a tale titolo non necessita di una esplicita ed autonoma domanda da parte del ricorrente. 300 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO L'unicit� del titolo, che solo al suo interno si articola in una pluralit� di �addendi�, di per s� stesso dimostra che la liquidazione della maggior somma per svalutazione ed interessi legali � dovuta in virt� della medesima pretesa creditoria, il cui completo soddisfacimento presuppone, dunque, l'accertamento in sede giurisdizionale e la c:onseguente condanna della P. A. inadempiente al pagamento di quanto da essa effettivamente e complessivamente dovuto. L'inconfigurabilit�, anche soltanto teorica, di una pronunzia ultra petita trova in questi casi la sua ragione d'essere nelle caratteristiche assunte dal credito di lavoro del pubblico dipendente, che � dinamicamente assistito, come si � avuto modo di precisare, dalla rivalutazione della sua base monetaria, in presenza di fenomeni incidenti sul reale potere di acquisto dell'unit� di misura nella quale � in tal caso espresso il credito di valuta. Anche, quindi, d'ufficio il giudice amministrativo � tenuto ad accertare l'effettivo ammontare della pretesa creditoria e, conseguentemente, � tenuto a condannare l'amministrazione inadempiente al pagamento di quanto a tale titolo da essa effettivamente dovuto. La maggior somma da corrispondere non altera, infatti, il petitum, ma tende a conseguire attraverso l'estimatio, lo stesso petitum originario (Cass. 12 luglio 1980 numero 4475). Le svolte considerazioni comportano, pertanto, l'accoglimento dell'appello e la conseguente riforma della sentenza impugnata (omissis). CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., (ord.) 20 febbraio 1985, n. 2 -Pres. Pescatore -Est. Noccelli -Serra ed altri (avv. Serra)� c. Cassa nazionale previdenza e assistenza avvocati e procuratori (avv. Viola), Ministero di grazia e giustizia (avv. Stato Bruno). Giustizia amministrativa � Sospensione atto impugnato � Diritto del difensore di essere ascoltato in camera di consiglio � Contenuto stru� mentale � Ampiezza. Giustizia amministrativa � Sospensione atto impugnato � Esame della istanza � Data della camera di consiglio � Comunicazione al difen� sore � Quando non occorre. Giustizia amministrativa � Sospensione atto impugnato � Esame della istanza � Data della camera di consiglio � Comunicazione al difen� sore -Quando occorre -Modalit� -Individuazione. In sede di giudizio cautelare, il diritto dei difensori di essere ascoltati in camera di consiglio costituisce un concreto potere processuale, com� prensivo di ogni pretesa verso il giudice e le altre parti, e cos� anche della pretesa ad ottenere quelle informazioni che possono rendere concreta� mente esercitabile il diritto di difesa (1). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 301 L'esame della istanza di sospensione dell'atto impugnato dBve essere effettuato nella camera di consiglio che accede alla prima udienza pub� blica successiva al deposito del ri�orso; pertanto, ove il processo segua lo sviluppo stabilit.o dalla legge, non occorre la previa comunicazione farmale al difensore della data di trattazione dell'incidente cautelare, essendo tale data accertabile dalle parti (2). (omissis) 1) L'appello investe l'ordinanza del T.A.R. Lazio (III Sez.) n. 248 del 27 luglio 1984 che ha respinto l'istanza con cui numerosi avvocati, tutti ricorrenti nella dichiarata qualit� di iscritti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza in favor;e degli avvocati e procuratori, hanno chiesto la sospensione dell'efficacia del regolamento della Cassa, adottato con delibera del Comitato dei delegati nelle sedute del 6-7 aprile 1984, e in modo particolare di talune norme ritenute lesive degli interessi , della categoria professionale. Ha carattere pregiudiziale l'esame del primo mezzo col quale gli appellanti si dolgono che l'ordinanza sia stata deliberata in camera cli consiglio senza che la data, all'uopo fissata dal Presidente del Coliegio, fosse previamente comunicata all'avv. Serra, loro difensore, che aveva chiesto di essere sentito personalmente; e, sul punto, l'ordinanza di rimessione della IV Sezione ha ravvisato opportuno promuovere una pronuncia di questa Adunanza plenaria, considerando estremamente dubbia e cli notevole rilevanza in punto di diritto la questione se debba o meno effettuarsi obbligatoriamente la comunicazione al difensore della data della riunione del Collegio in Camera di consiglio fissata per l'esame della istanza cautelare, e, in caso affermativo, quali conseguenze possano scaturire dall'omissione di siffatto adempimento procedura.le. 2) Ai due quesiti l'Adunanza plenaria ritiene che debbano darsi risposte pi� articolate di quelle che la rigida prospettazione delle alternative poste dalla ordinanza di rimessione lascia intendere. Malgrado l'originaria configurazione del processo amministrativo come processo da ricorso (caratterizzato, cio�, ,dalla sostanziale unilateralit� della domanda, rivolta direttamente al giudice piuttosto che contro l'altra parte: cfr., sul punto, Ap. 28 luglio 1980 n. 33), � indubbio che l'evoluzione della disciplina positiva, orientata anche da una costante linea cli interpretazione giurisprudenziale, ha condotto a riaffermare l'esigenza della completezza del contraddittorio in tutte quelle fasi e momenti processuali nei quali assuma particolare rilievo il potere dispositivo delle parti, il che accade essenzialmente nella fase del dibattito conclusivo della vicenda processuale (art. 54 r.d. n. 642 del 1907) e nei casi, in verit� alquanto (1-2) Pronuncia di particolare interesse. V. per qualche riferimento dee. sez. V, 5 febbraio 1985, n. 66. 302 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO rari nella pratica, di assunzione di prove non documentali (art. 44 r.d. n. 1054 del 1924, artt. 29 e segg. del citato R.D. n. 642 del 1907). In quest'ottica, � venuta accentuandosi l'esigenza garantistica anche con riferimento alla fase cautelare del processo, posto che la difesa tec I nica delle parti, originariamente limitata al mezzo scritto (art. 36 del R.D. n. 642 del 1907 cit.), senza alcuna possibilit� di intervento orale dinanzi al I Collegio (l'art. 31 del t.u. 17 agosto 1907 n. 638, poi trasfuso �nell'art. 39 secondo comma del t.u. n. 1054 del 1924, configurava il provvedimento decisorio come � decreto�, che normalmente � atto del giudice emanabile senza previa audizione delle parti), � stata poi estesa, prevedendosi �l'intervento orale dei difensori prima come eventuale (art. 2 del D.Lgt. 5 maggio 1948 n. 642) e poi come necessario (art. 10 I. 21 dicembre 1950 n. 1018, cui erroneamente l'appellante in questa sede attribuisce portata pi� riduttiva della analoga disposizione dell'art. 21 legge n. 1034 del 1971). L'evoluzione normativa, peraltro, � in linea con l'orientamento giuri� sprudeilZliale che, almeno con riferimento al processo amministrativo, I tente a costruire il giudizio cautelare come fase processuale strutturalmente autonoma (ancorch� incidente nel giudizio di merito e funzionalmente collegato all'esito di esso: cfr. Ap. 5 settembre 1984 n. 17) e quindi tale da svilupparsi, secondo una sua autonoma linea di coerenza logica e l formale, verso l'approdo di un provvedimento decisorio suscettibile di forfil mare giudicato su di un punto controverso della lite (cfr. Ap. 20 gennaio ' . 1978, n. l; Corte Costit. 1� febbraio 1982, n. 8). Da ci� consegue la neces . sit� di interpretare le disposizioni che conferiscono alle parti determinati p�teri di intervento nella vicenda processuale nell'unico senso coerente con la cennata linea evolutiva tendente ad accentuare il ruolo della difesa ~ ltecnica e l'esigenza del contraddittorio pieno gi� nella fase cautelare: e cio� nel senso che il �diritto� di essere ascoltati in camera di consiglio sia da configurare non come una astratta facolt�, il cui esercizio sia ri� messo alla mera iniziativa degli interessati, ma come un concreto potere I processuale comprensivo di ogni strumentale pretesa ad ottenere quelle ili I� informazioni che possano rendere concretamente esercitabile il diritto di difesa, cos� come configurato dalla norma espressa. Non va sottaciuto, in proposito, che le caratteristiche essenziali dei procedimenti in camera di consiglio -consistentii, secondo l'opinione pi� I accreditata, nell'estrema sommariet� degli accertamenti dell'organo giuri I I ru sdizionale posti a base del provvedimento camerale, e nella inidoneit� di quest'ultimo a formare giudicato in senso sostanziale -non si rinvengono nella decisione del giudice amministrativo concernente l'istanza di sospen~ sione, atteso che in quest'ultimo caso l'accertamento investe tutti i pre I supposti del processo e dell'azione (cautelare), ancorch� si~ limitato alla f:: situa2lione di fatto esistente al momento della decisione. i: I ! r,. 3) Tanto premesso in linea di principio, ritiene tuttavia il Collegio che l'omessa indicazione legislativa dei mezzi atti a consentire il concreto & ~; ili PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA esercizio del diritto di difesa nell'ambito del processo amministrativo cautelare non sia da ascrivere a mera dimenticanza del legislatore e non configuri, pertanto, una lacuna da colmare mediante ricorso alla analogia legis. La disposizione dell'art. 10 della 1. 21 dicembre 1950 n. 1018 e quella sostanzialmente identica, dell'art. 21 della I. 6 dicembre 1971 n. 1034 vanno lette nel contesto del sistema cui appartengono, che appare, da un lato, improntato ad una esigenza di massima celerit� del processo cautelare in vista dello scopo, coessenziale alla sua natura, di paralizzare statim gli effetti del provvedimento in attesa dell'esito del giudizio di merito, e caratterizzato, per altro verso, dalla predeterminazione legale delle fasi del giudizio (principale) rilevanti per la difesa tecnica in vista del provvedimento cautelare richiesto al giudice aJ::9.ministrativo. E, invero, come esattamente osservato nell'ordinanza di rimessione della IV Sezione, ai sensi degli artt. 36 primo e quarto comma del r.d. n. 642 del 1907 e dell'art. 33 ultimo comma della legge n. 1034 del 1971, l'esame dell'istanza di sospensiva deve essere effettuato nella camera di consiglio che ac~ede alla prima udienza pubblica successiva al deposito del ricorso (sempre che, beninteso, sia scaduto il termine dilatorio di giorni dieci dalla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio a termine del citato art. 36 del r.d. n. 642 del 1907, applicabile al giudizio dinanzi al T.A.R. in virt� del rinvio operato dal� l'art. 19 della �legge n. 1034 del 1971), sicch� non solo il difensore del ricor� rente, ma anche i difensori delle parti intimate sono messi in grado di conoscere la data della camera di consiglio destinata alla trattazione della istanza cautelare avanzata nel giudizio che li riguarda, e possono pertanto chiedere espressamente di essere sentiti in proposito, ovvero direttamente intervenire dinanzi all'organo giudicante nel giorno fissato. Ove, poi, per qualsiasi ragione (ivi compresa l'indisponibilit� del relatore) non si tenga l'udienza nella data prestabilita, la discussione dell'istanza di sospensiva deve intendersi rinviata all'udienza immediatamente successiva (art. 57 R.D. n. 642 del 1907), talch� il diritto di intervento orale dei difensori risulta ugualmente salvaguardato per la facile conoscibilit� della nuova data di esal.lle dell'istanza cautelare conseguente al rinvio ex lege dell'originaria camera di consiglio. � indubbio che, se il processo segue lo sviluppo stabilito dalla legge, la previa comunicazione formale al difensore della data di trattazione del� l'incidente cautelare non solo appare strumento processuale eccedente lo scopo di garantire l'effettivit� della difesa tecnica, quale configurato dalla norma attributiva del relativo potere alle parti in tale fase del processo, ma si configura anche quale attivit� dannosa per le parti medesime, tenuto conto che qualsiasi procedimento partecipativo di tipo formale (notifica o comunicazione per mezzo posta, tralasciandosi il mezzo del biglietto di cancelleria, la cui utilizzabilit� appare del tutto casuale) richiederebbe tempi tali da non consentire, nella normalit� dei casi, l'esame delle istanze 304 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO cautelari con la celerit� presupposta dalla predeterminazione legale dei momenti processuali all'uopo destinati. Non � un caso, d'altronde, che anche principi e norme dell'ordinamento processuale comune consentano di prescindere dall'onere d� previa comunicazione formale quante volte il termine, entro il quale un'attivit� processualmente rilevante debba o possa essere svolta dalle parti, inizi a decorrere da un evento facilmente conoscibile dal soggetto interessato in virt� di strumenti, succedanei ai formali procedimenti partecipativi prescritti ad altri fini da norme espresse, che siano comunque tali da garantire in modo adeguato l'effettivit� della difesa e la parit� delle parti in vista della decisione del giudice (cfr., sull'affermazione di principio, Cass. I, Sez. 21 aprile 1983 n. 2738). Pertinente sembra, in proposito, il riferimento alle udienze istruttorie del processo civile, il cui rinvio di ufficio non deve essere comUil!�cato alle parti (a differenza del rinvio della prima udienza di comparizione, per la quale, tuttavia, l'onere espresso di comunicazione � giustificato dagli effetti particolarmente gravosi che la legge collega alla mancata costituzione delle parti: cfr. artt. 168-bis Cod. proc. civ. e 82 disp. att.), dalla quale disciplina � agevole trarre il principio che il diritto di difesa delle parti, a contrad< littorio instaurato, � suscettibile di assumere diversi contenuti secondo le circostanze del caso e in vista delle variabili es1genze connesse con la natura e l'entit� degli interessi in gioco (cfr. Corte cost. 22 dicembre 1980 n. 185, 30 aprile 1984 n. 121, 30 luglio 1984 n. 238, punto 5 della motivazione in diritto; etc.) e che comunque, in nessun caso tale diritto pu� intendersi pregiudicato ove la strumentazione legislativa consenta alla parte di esercitarlo solo con un minimo di iniziativa e/o di diligenza. 4) Quanto sopra osservato vale per l'ipotesi che la sequenza delle fasi processuali segua l'ordine rigoroso fissato dalla legge, ma non per i casi, che sono purtroppo i pi� frequenti nella pratica, in cui l'udienza di trattazione dell'istanza cautelare sia stabilita, con provvedimento ad hoc del presidente della Sezione, in data diversa da quella legalmente prestabilita. � fin troppo evidente che, in tali casi, venendo meno la condizione obiettiva di conoscibilit� ancorata alla previsione legale, le parti non avrebbero alcuna possibilit� di concretamente esercitare il diritto di difesa, ad essi espressamente riconosciuto dalle norme, senza una preventiva comunicazione della data fissata per la risoluzione dell'incidente cautelare costituente, come sopra detto, fase strutturalmente autonoma del giudizio di merito. Poich�, peraltro, le norme che tale diritto riconoscono nulla dicono in ordine ai mezzi necessari per renderne possibile l'esercizio, spetta all'interprete far ricorso a fonti integrative per ricostruire la discipliina completa del procedimento, in vista della realizzazione dello scopo ultimo di tutela che le norme stesse mostrano di voler perseguire. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA In proposito, l'appellante invoca l'analogia legis e, ravvisando pi� consono alla natura e al contenuto del diritto di difesa, quale configurato dall'art. 21 della legge n. 1034 del 1971, il rinvio alle norme civilprocessualistiche disciplinanti le � comunicaZJioni � di cancelleria dirette alle parti, sostiene doversi in ogni caso assumere a parametro l'art. 136 Cod. proc. civ., con la conseguenza di ipotizzare come necessari o la notifica dell'avviso (della data fissata per la camera di consiglio) o la sua comunicaZJione con biglietto di cancelleria, essendo stata espunta dal novero dei mezzi utilizzabili la comunicazione a mezzo posta (art. 7 legge 7 febbraio 1979 n. 59). Questa tesi non pu� condividersi perch� trascura, innanzi tutto, che il principio di tassativit� delle forme processuali (desumibile dalle linee fondamentali di ogni tipo di processo e chiaramente consacrato, peraltro, nell'art. 156 primo comma Cod. proc. civ.) impedisce di estendere il contenuto di norme, prescriventi oneri o attivit� determinate a carico dei soggetti del rapporto processuale, oltre i casi espressamente contemplati (le norme di questo tipo sono, infatti, �a fattispecie esclusiva�), e perch� ignora, in secondo luogo e soprattutto, che i procedimenti partecipativi per il loro carattere di strumentalit�, sono, per cos� dire, a struttura fungibile, assumendo giuridico rilievo soltanto sotto il profilo funzionale, e cio� iin ragione della loro idoneit�, o inidoneit�, a realizzare la funzione tipica ad essi affidata dalla legge (di far conoscere o rendere conoscibili determinati fatti o situazioni). Ritiene pertanto il Collegio che nel caso in esame debba farsi ricorso piuttosto all'analogia iuris che non a quella legis, cos� integrando la disciplina legale della fattispecie con i principi dell'ordinamento processuale generale e segnatamente con l'applicazione di quanto sia desumibile dalla disciplina in materia di notificazioni e comunicazioni. Fermo restando, quindi, che i mezzi ordinari di comunicazione dello avviso della data fissata per la camera di consiglio consistono nella con segna del biglietto di segreteria (nei modi previsti dall'art. 136 Cod. proc. civ., come modificato dall'art. 7 della 1. 7 febbraio 1979 n. 59) e nella noti fica diretta (da effettuarsi secondo le disposizioni del Cod. proc. civ., come integrate anche dalla 1. 20 novembre 1982 n. 890), deve intendersi consentito anche l'uso di mezzi alternativi, purch� presentino quel minimo di requi siti formali che offrano adeguata garanzia del prodursi di una condizione di effettiva conoscibilit� dell'atto da parte del destinatario. � quindi am missibile innanzi tutto la comunicazione a mezzo posta, che in virt� del rin vio (da intendersi come formale e dinamico) operato dall'art. 9 della 1. 21 dicembre 1950 n. 1018, resta disciplinata dagli artt. 2 e segg. della citata 1. 20 novembre 1982 n. 890, intendendosi -ovviamente -sostituita la competenza dell'ufficiale giudiziario con quella del segretario della Sezione; ma devono ritenersi ammessi anche mezzi straordinari di comunicazione resi necessari da particolari condizioni di urgenza, la cui disciplina va RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ricercata in quelle norme processuali le quali appaiono fondate, rispetto alle norme disciplinanti la fattispecie considerata, su una ratio identica o affine. Si intende, con ci�, far riferimento alle disposizioni dell'art..167/bis del Cod. proc. civ. (introdotto con l'art. 33 della I. 22 maggio 1975 n. 152) che, proprio al fine di contemperare l'esigenza di rapidit� della comunicazione con il principio di certezza delle situazioni processuali a garanzia della effettivit� del diritto di difesa, consentono di procedere a comunicazioni urgenti a mezzo del telefono o del telegrafo, naturalmente predisponendo meccanismi certificativi tali da rendere legalmente certa (salvo il rimedio della querela di falsit�) la avvenuta conoscenza del contenuto dell'atto da parte dell'effettivo destinatario. L'adunanza ritiene che soltanto attraverso una siffatta operazione integratrice della disciplina legale concernente il diritto di difesa, nel particolare profilo considerato dall'art. 21 della legge n. 1034 del 1971, sia possibile armonizzare i due contrapposti interessi in gioco -l'interesse, cio�, alla pi� rapida definizione dell'incidente cautelare e quello volto a salvaguardare il nucleo essenziale del diritto di difesa riconosciuto dalla legge -senza far violenza all'uno o all'altro ed evitando, in ogni caso, di derogare dal fondamentale principio di tassativit� delle forme degli atti processuali. 5) Sulla base delle suesposte considerazioni si pu� scendere all'esame dei motivi di appello con riferimento alla fattispecie concreta. Gli appellanti si dolgono, con il primo mezzo, che l'ordinanza n. 248 del 1984, con la quale il T.A.R. ha respinto la loro istanza di sospensiva, sia stata pronunciata senza il rispetto del diritto di difesa quale assicurato dall'art. 21 ultimo comma della legge n. 1034 del 1971. La doglianza � fondata. Risulta, infatti, che il provvedimento impugnato � stato emesso nella camera di consiglio del 27 luglio 1984, quindi ben oltre i dieci giorni dopo la data di notifica del ricorso introduttivo (4 giugno 1984) e comunque in un giorno non coincidente con quello della prima udienza immediatamente successiva alla data di deposito del ricorso (che, dal timbro apposto a margine dell'indice del fascicolo di parte, risulta essere quello del 3 luglio 1984). La segreteria del T.A.R., quindi, avrebbe dovuto dare regolare avviso al difensore della data fissata per la discussione dell'istanza cautelare, ma cosi non � stato. Dalla fotocopia della busta contenente l'avviso di segreteria (allegata agli atti e non contestata dalle altre parti) si evince, infatti, che il piego raccomandato fu indirizzato all'ing. Sergio Broccardo -tale indicato senz'altra specificazione delle personali qualit� e dei suoi rapporti con le parti e con il loro procuratore avv.to Serra -e fu da lui respinto. Assume in proposito la difesa della Cassa che l'ing. Broccardo, in quanto domiciliatario dei ricorrenti, non avrebbe potuto rifiutare la raccomandata, e che tale r.ifiuto, quindi, � produttivo degli stessi effetti PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA della eseguita comunicazione in mani proprie, dovendo ricadere sui destinatari le conseguenze negative dell'illecito comportamento del soggetto da essi prescelto quale � domiciliatario �. Questa tesi tuttavia non pu� essere condivisa perch� l'ing. Broccardo, come si evince dal tenore della procura estesa a margine del ricorso introduttivo, non era � domiciliatario � delle parti, ma soltanto indicato quale proprietario dell'alloggio presso il quale l'avv.to Serra, domiciliatario effettivo, era legittimato a ricevere le notifiche o comunicazioni relative al processo. L'ing. Broccardo, perci�, non aveva l'obbligo di accettare il plico, in quanto sulla busta non era individuato l'effettivo domiciliatario delle parti, n� comunque si evidenziava la sua propria qualit� di semplice titolare della casa di abitazione costituente il luogo del domicilio eletto dai ricorrenti. Tale conclusione � suffragata sia dall'art. 141 primo comma cod. proc. civ., a tenore del quale l'equivalenza degli effetti tra ricezione e rifiuto dell'atto � ancorata all'espressa qualificazione del destinatario quale domiciliatario della parte (nel cui interesse Ja notifica o la comunicazione viene effettuata), sia dal combinato disposto degli artt. 7 e 8 della I. 20 novembre 1982 n. 890, secondo cui il rifiuto del plico raccomandato non rileva, al fine di considerare perfezionato il procedimento di notificazione, solo quando provenga dall'effettivo destinatario dell'atto (cio� dalla persona cui � indirizzato l'atto contenuto nella busta) ovvero da persone che, con il menzionato destinatario, abbiano determinati rapporti, peraltro da indicare specificamente sull'avviso di ricevimento della raccomandata (art. 7, quarto comma legge n. 850 del 1982 citata). � quindi evidente che, laddove l'intestatario del piego raccomandato non coincida con il destinatario della comunicazione (in tale busta contenuta) o almeno con il suo procuratore domiciliatario, e quando, comunque, quest'ultimo non risulti indicato in tale veste sulla busta medesima, nessun obbligo di ricezione pu� porsi a carico dell'intestatario medesimo, n� tanto meno possono farsi discendere, dal comportamento di costui, conseguenze negative per la persona cui l'atto effettivamente � indirizzato. (omissis) SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 novembre 1984 n. 6070 -Pres. Greco Est. Ruggero -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta) c. Rinaldi. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Regime transitorio � Atti stipulati anteriormente al 1� gennaio 1973 e registrati successivamente -Applicabilit� delle norme del d.P.R. 26 ott'obre 1972 n. 634 Condizioni. (D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, art. 77). La norma dell'art. 77 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, secondo la quale gli atti formati anteriormente al 1� gennaio 1973 e registrati successivamente sono soggetti al regime della nuova legge di registro � purch� � a tale data il termine per la registrazione non era scaduto, va intesa, secondo il significato letterale, nel senso di� a conclusione che� (e non �anche se�) il termine non era scaduto (1). (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Amministrazione finanziaria, denunciando la violazione degli artt. 77 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, 2, 80, 110 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, 6 del d.l. 5 novembre 1973 n. 660, come modificato dalla legge di conversione 19 dicembre 1973 n. 823, 38, 42 e 43 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, e difetto di motivazione, deduce che erroneamente la Commissione Tributaria Centrale avrebbe ritenuto applicabile nella specie le agevolazioni in materia di imposta di registro previste dalla legge n. 408 del 1949, senza considerare che queste, al momento della registrazione dell'atto di cui si discute, non erano pi� in vigore, essendo state abrogate con effetto dal 1� gennaio 1974, in virt� dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601; che, essendo stato l'atto presentato per la registrazione ben oltre la scadenza del termine di venti giorni stabilito dall'art. 80 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, la disciplina di registro applicabile, ai sensi dell'art. 77, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, era quella vigente dopo il 1� gennaio 1973, e� non quella anteriore; che in ogni caso, anche in base alla disciplina precedente, la tardivit� della registrazione, secondo il principio contenuto nell'art. 110 (1) Decisione di evidente esattezza, che I,,, non ha bisogno di commenti. ~ r:: I j: !: ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA del r.d. n. 3269 del 1923, aveva comportato la decadenza da ogni possibile agevolazione, n� poteva farsi riferimento, al fine di considerare � non ancora scaduto � il termine per la registrazione, alla norma contenuta nell'art. 6 comma terzo della legge n. 823 del 1973 sul condono tributario, tale legge non esplicando alcuna efficacia in ordine alla riapertura o proroga dei termini. Il ricorso � fondato. Non � ben chiaro, anzitutto, quale sia stata la precisa linea argomentativa seguita dal giudice tributario per giungere alla sua decisione, la quale, peraltro, � st�ta basata ex professo sulla combinata disposizione dell'art. 77 comma secondo, dell'attuale legge di registro (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634) e dall'art. 6 della legge sul cosiddetto condono tributario (d.I. 5 novembre 1973 n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 1973 n. 823). Ora, poich� la prima delle richiamate disposizioni, come ha testualmente ricordato la Commissione Tributaria Centrale, stabilisce che i rapporti tributari derivanti da atti formati prima dell'entrata in vigore de] decreto (1� gennaio 1973) sono regolati dalle disposizioni anteriori �purch� il termine stabilito per la richiesta di registrazione non sia ancora scaduto a tale data�, sembra di poter arguire che, secondo la commissione, la domanda di definizione del rapporto tributario di registro derivante dalla scrittura privata del 15 gennaio 1966, presentata il 13 febbraio 1974 a norma dell'art. 6 della legge n. 823 del 1973, abbia operato una sorta di remissione in termini, facendo considerare non ancora scaduto il termine per la registrazione, come era stato esplicitamente sostenuto dal contribuente davanti alla commissione, e come pu� desumersi dalle considerazioni conclusive della decisione, nelle quali � affermato che alla scrittura in questione, sottoposta tardivamente a registrazione rispetto al termine ordinario, ma nel termine consentito dalla legge di condono fiscale, non potevano denegarsi le agevolazioni recate dalla legge 2 luglio 1949 n. 408, vigenti alla data della sua formazione. Siffatta argomentazione non pu� certamente essere condivisa. La normativa sul cosiddetto condono tributario di cui al d.I. 5 novembre 1973 n. 660, convertita con modificazioni nella I. 19 dicembre 1973 n. 823, non ha avuto, infatti, la funzione e l'effetto di riaprire o prorogare termini gi� scaduti, essendo diretta invece, semplicemente a favorire la definizione di rapporti tributari pendenti, per consentire all'A1mninistrazione il pronto e sollecito recupero di somme dovute a titolo di imposta. Essa, pertanto, opera sulla situazione giuridica e di fatto effettivamente esistente al momento della sua applicazione, senza affatto eliminare irregolarit�, omissioni o ritardi in cui il contribuente sia incorso, ma anzi presupponendoli (cfr. ad esempio, in un caso di domanda di condono relativa a dichiarazione dei redditi presentata ad ufficio incompetente, e giunta in ritardo all'ufficio competente, Cass. 6936 del 1983). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Cos� per quanto riguarda atti soggetti all'imposta di registro, e che non siano stati presentati per la registrazione, l'art. 6 co'mma terzo della legge, nello stabilire che, subordinatamente al versamento dei tributi dovuti ed all'adempimento delle formalit� omesse, non si applicano le soprattasse e le pene pecuniarie non ancora corrisposte, non opera alcuna remissione in termini, ma presuppone appunto che le formalit� siano state omesse e che la registrazione sia tardiva, ed � in base a tale situazione di tardivit� che il rapporto sostanziale tributario deve essere regolato e l'imposta deve essere liquidata secondo le norme ordinarie, con il solo abbandono della soprattassa e penalit�. Ma se l'argomentazione che appare posta a base della decisione impugnata � da ritenersi erronea, il collegio deve tuttavia farsi carico di verificare se la decisione medesima non sia per altro verso conforme a diritto, e procedere quindi alla correzione della motivazione ai sensi dell'art. 384, comma secondo c.p.c., e ci� tenendo conto in particolare del principio che si trova enunciato in una isolata pronuncia di questa Suprema Corte, secondo il quale, essendo la disciplina di registro da adottare in merito ad un atto quella vigente al momento in cui l'atto � stato posto in essere, il citato art. 77, comma secondo, della vigente legge di registro, il quale stabilisce che i rapporti tributari derivanti da atti formati prima dell'entrata in vigore della nuova legge sono regolati dalle disposizioni anteriori, purch� a tale data non sia ancora scaduto il termine per la registrazione, deve essere inteso nel senso che quei rapporti sono regolati dalla normativa anteriore anche se il termine per la registrazione non sia scaduto (Cass. n. 2706/81). Va subito detto che l'indicato principio � stato enunciato nella pronuncia richiamata solo per completezza argomentativa, e non ha avuto in realt� una effettiva rilevanza ai fini della decisione (nella specie, infatti, il contribuente aveva invocato l'art. 35 della vigente legge di registro che, a proposito dell'imposta pagata sugli atti enunciati nelle sentenze o provvedimenti giudiziari, consente conguagli o rimborsi in base a successive sentenze di riforma o di annullamento; la Suprema Corte, pur escludendo che potesse applicarsi la nuova normativa, in quanto l'atto enunciato era stato formato prima dell'entrata in vigore di questa, ha tuttavia ugualmente accolto la tesi del contribuente, in base alle norme contenute negli artt. 12 e 14 della precedente legge di registro n. 3269 del 1923, nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimit� costituzionale di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 198 del 28 luglio 1976). Non ritiene, comunque, il collegio che il detto principio possa essere ulteriormente condiviso. Chiara, anzitutto, appare la lettera della norma la quale, come si � detto, dispone che gli atti formati prima dell'entrata in vigore della nuova legge di registro n. 634 del 1972, sono regolati dalle disposizioni anteriori � purch� � a tale data non sia ancora scaduto PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA il termine per la registrazione: nel comune significato lessicale, infatti, la particella �purch� � ha una funzione limitativa, valendo nel senso di �a condizione che�, e non risulta che essa sia o possa essere adoperata nel senso di �anche se�, che ha invece una funzione estensiva o concessiva, e cio� un significato addirittura opposto a quello di � a condizione che �. L'interpretazione letterale �, peraltro, confermata anche da quella logica e sistematica. Se con l'art. 77, comma secondo, del d.P.;R. n. 634 del 1972 si fosse voluto veramente disporre, secondo l'interpretazione qui criticata, che tutti gli atti formati prima dell'entrata in vigore del decreto erano regolati dalle disposizioni precedenti, sia che fossero ancora in termini per la registrazione, sia che il termine fosse gi� scaduto, la norma sarebbe stata in realt� inutile, tale principio gi� risultando con chiarezza a contrario, dalla disposizione immediatamente precedente, contenuta nel primo comma dell'art. 77, il quale dispone che la nuova normativa si applica agli atti formati dopo la sua entrata in vigore, e pertanto la previsione espressa, nel secondo comma, del regime applicabile agli atti anteriori trova la sua spiegazione e rivela la sua funzione proprio per la limitazione in esso contenuta agli atti per i quali il termine per la registrazione non sia ancora scaduto alla data di entrata in vigore della nuova disciplina. Deve essere ancora rilevato che, se in base alla sola .disposizione del primo comma dell'art. 77, fosse rimasto ancora un dubbio circa la disciplina da applicare agli atti anteriormente formati, esso non avrebbe potuto certamente riguardare gli atti che erano ancora in termini per la registrazione, ma semmai gli atti per i quali quel termine fosse scaduto, per cui se l'intento del legislatore fosse stato quello di sottoporre tutti gli atti anteriori alla disciplina precedente, una precisazione in tal senso si sarebbe potuto ritenere necessaria od opportuna solo per gli atti della seconda categoria, e la norma sarebbe stata formulata nel senso che la disciplina precedente si applica agli atti anteriormente formati anche se sia scaduto� il termine per la registrazione, tale precisazione essendo, invece, del tutto superflua per gli atti per i quali il termine non sia scaduto, come sarebbe nella ricostruzione della norma respinta dal collegio. Deve quindi concludersi che, secondo la disciplina transitoria dell'art. 77 comma secondo, del d.P.R. n. 634 del 1972, per la registrazione degli atti formati prima dell'entrata in vigore del decreto si applicano le disposizioni anteriori se il termine per la registrazione non sia ancora scaduto a tale data, mentre, se il termine sia scaduto, deve applicarsi la normativa sopravvenuta. La norma, cos� intesa, non � priva di una sua precisa ratio: se ia legge fissa un termine per l'adempimento tributario della registrazione, finch� tale termine sia in corso, non si giustificherebbe che il contri 312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buente si trovi ad essere assoggettato ad un regime diverso da quello considerato al momento della redazione dell'atto, ma quando il termine sia decorso senza che il contribuente abbia adempiuto al suo obbligo, l'applicazione del regime vigente al momento della registrazione serve anche a prevenire possibili frodi, ove si consideri che gli atti che possono sfuggire alla registrazione in termini sono per lo pi� le scritture private, per le quali non sempre pu� stabilirsi con certezza che la data che esse recano corrisponde realmente a quella in cui l'atto � stato effettivamente formato. Con ci� non si viene certamente ad attribuire alla legge sopravvenuta un'efficacia retroattiva, perch� se � vero che l'imposta di registro � imposta di atto, ed il presupposto impositivo sorge gi� al momento della formazione dell'atto, la soggezione all'imposizione diventa effettiva ed operante e l'atto acquista rilevanza ai fini fiscali al momento in cui viene concretamente sottoposto a registrazione (cfr. in senso analogo, in materia di imposte dirette per quanto riguarda i rapporti tra produzione e dichiarazione dei redditi, Cass. n. 3596 del 1980 e 7301 del 1983, nella motivazione), per cui non pu� ritenersi incompatibile con i principi e i caratteri dell'imposta che la legge, al fine di individuare il regime da applicare in concreto, possa in determinati casi far riferimento al momento della registrazione, anzich� a quello della redazione dell'atto. Nemmeno, infine, potrebbe dirsi che la norma, come qui interpretata, determini una disparit� di trattamento, disciplinando in modo diseguale situazioni sostanzialmente uguali, poich� � evidente invece la diversit� delle situazioni considerate, a-seconda che il contribuente sia ancora in termini per adempiere all'obbligo della registrazione, ovvero a. tale obbligo si sia gi� reso inadempiente. Nella specie, pertanto, dovendo all'atto di cui si discute, in quanto registrato tardivamente il 13 febbraio 1974, applicarsi le disposizioni vigenti al momento della registrazione, esso non poteva godere delle agevolazioni fiscali previste dalla legge 2 luglio 1949 n. 408 che, in virt� dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, erano state gi� abrogate con effetto dal 1� gennaio 1974, essendo irrilevante, a tal fine, che il contribuente avesse chiesto di definire il rapporto ai sensi dell'art. 6, comma terzo, della legge sul condono tributario n. 823 del 1973. Un ultimo decisivo rilievo, peraltro, si impone. Nella specie non era tanto in questione se doves~e applicarsi la nuova o la precedente legge di registro, ma se, in sede di registrazione, potesse essere concessa un'agevolazione prevista da una legge speciale; ma anche in base alla normativa anteriore, il contribuente, avendo registrato l'atto oltre il termine di legge, era gi� irrimediabilmente decaduto, a norma del principio contenuto nell'art. 110 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, da ogni possibile agevolazione. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 313 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 dicembre 1984, n. 6483 -Pres. Bologna Est. Di Salvo -P. M. Iannelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Di Stasio. Tributi erariali indiretti -Esenzioni e agevolazioni � Pluralit� di benefici � Scelta di uno di essi -Sopravvenuta decadenza -Applicabilit� di altro beneficio � Esclusione. Se un atto sia stato sottoposto ad una determinata tassazione con il trattamento agevolativo richiesto o comunque accettato dal contribuente, in caso di decadenza non pu� essere invocata altra agevolazione in sostituzione, nemmeno nel caso che la seconda agevolazione sia stata inizialmente richiesta in via subordinata (1). (omissis) La ricorrente amministrazione -denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 11, 12 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 e 17 della 11 2 luglio 1949 n. 408 (art. 360, n. 3 c.p.c.) -censura la sentenza impugnata per aver ammesso la possibilit� che il contribuente, decaduto per un fatto a lui addebitabile dall'agevolazione fiscale prevista dalla legge n. 1165 del 1938, possa usufruire di altra agevolazione fiscale e precisamente di quella prevista dalla legge n. 408 del 1949. La doglianza � fondata. Invero questa Corte ha gi� affermato (2904/75) che il principio dell'art. 8 della legge di registro approvata con R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, secondo cui le tasse sono applicabili secondo l'intrinseca natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, i quali debbono essere valutati con riferimento al momento in cui l'atto soggetto all'imposta � stato stipulato e l'altro pdncipio, desumibile dagli artt. 11 e 12 della stessa legge, secondo il quale l'atto una volta assoggettato all'imposta � insensibile alle vicende del negozio giuridico in esso contenuto, sono validi, non solo ai fini dell'imposta di registro, ma altres�, per la diversa ipotesi dell'applicazione di trattamenti agevolativi. Di c9nseguenza, se l'atto sia stato sottoposto ad una determinata tassazione con la concessione del trattamento agevolativo richiesto o comunque accettato dal contribuente, l'agevolazione stessa, ove sia venuta meno per fatto di quest'ultimo, non pu� essere sostituita con altra in un (1) Principio pacifico. In via generale � da escludere il cumulo delle agevolazioni ove non sia espressamente contemplato (Cass. 18 settembre 1970, n. 1554 in Foro lt., 1970, I, 2818; 30 dicembre 1971 n. 3793, in questa Rassegna, 1972, I, 153). Pi� specificamente la concessione di una agevolazione esclude successivamente l'applicazione di altra, anche se fatta salva dalla legge, perch� la richiesta di una agevolazione, successivamente alla decadenza da altra, equivale ad una modifica del regime di tassazione in dipendenza di un evento successivo, il che � escluso dal principio contenuto negli artt. 11 e 12 della abrogata legge di registro (Cass. 25 luglio 1975, n. 2904, in questa Rassegna, 1975, I, 904). 314 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO tempo successivo perch� i poteri di accertamento e di valutazione dei presupposti del tributo si esauriscono nel momento in cui l'atto viene sottoposto a tassazione, ed � da escludere la loro reviviscenza. La decadenza dall'agevolazione concessa in tale momento opera automaticamente per effetto della inadempienza del beneficiario agli obblighi posti a suo carico dalla legge e da essa consegue de iure l'obbligo del pagamento dell'imposta nella misura normale. Nella fattispecie in esame il contribuente, al momento della sottopo� sizione a tassazione dell'atto, aveva invocato, in via principale, l'agevolazione fiscale di cui alla I. 1938 n. 1165 ed in via subordinata quella di cui alla I. 1949, n. 408; ed in questo senso essa si differenzia da quella cui si riferiva la precedente decisione di questa Corte, nella quale l'agevolazione inizialmente richiesta era soltanto una, mentre l'altra era stata richiesta solo successivamente, dopo la verificatasi decadenza. La soluzione deve per� essere la stessa, com'� agevole dedurre dalla precedente esposizione dei principi giuridici che regolano la materia. Infatti, anche nell'ipotesi -oggetto della presente controversia -in cui il contribuente abbia chiesto entrambi i benefici (l'uno in subordine all'altro) gi� al momento della esibizione dell'atto all'ufficio, gli effetti della richiesta si esauriscono nel momento in cui l'atto viene tassato e viene riconosciuto il diritto ad uno di essi (nella specie, quello richiesto in via principale) con la accettazione da parte del soggetto interessato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 dicembre 1984, n. 6622 -Pres. Sandulli Est. Maltese -P. M. Ferraiuolo (conf.). Labanti (avv. Barbantini) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Laporta). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plu� svalenza -Intento di speculazione -Fattispecie. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 81 e 100). Legittimamente viene ravvisato un intento di speculazione sufficiente a fondare la tassabilit� di una plusvalenza, nella operazione consistente nell'acquisto in comune fra due fratelli di un terreno, la stipulazione sempre in comune di un mutuo (cose che rivelano l'esistenza di una societ� di fatto), la costruzione di edifici e la rivendita per singole unit� (1). (1) La recente giurisprudenza, pur esigendo una verifica dell'intento di speculazione, ne riconosce con ampiezza la dimostrabilit� attraverso elementi presuntivi, anche nel caso che il proposito di speculare non risalga al momento dell'acquisto del bene (30 marzo 1983, n. 2301 in questa Rassegna, 1983, I, 545; 19 gennaio 1984 n. 457, ivi, 1984, I, 341). Nel caso di specie, tuttavia, una volta accertata l'esistenza della societ� di fatto, come tale impresa, veniva meno la necessit� di accertare l'intento di speculazione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) Col primo mezzo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2247 e 2279 c. civile, nonch� il vizio di contraddittoriet�, illogicit� e insufficienza della motivazione. Sostengono che illogicamente la corte d'appello avrebbe considerato unico e decisivo indizio dell'esistenza di una societ� di fatto il notevole ammontare della somma mutuata (L. 400.000.000), cio� l'elevata entit� dell'indebitamento, ritenuto estinguibile -senza una convincente spiegazione -solo attraverso operazioni speculative di rivendita delle costruzioni per la realizzazione dei necessari capitali liquidi, mentre -osservano i ricorrenti -pu� non esistere alcun intento speculativo nell'acquisto, ad esempio, di un terreno agricolo, utilizzando un ingente mutuo fondiario. Inoltre, sarebbe stata violata dalla corte d;appello la regola della concordanza delle presunzioni attraverso la valorizzazione dell'unico supposto indizio dell'esistenza di un intento speculativo contro indizi diversi, rappresentati dal lungo tempo trascorso fra la costruzione e la vendita degli edifici, e dalle operazioni intermedie di divisione immobiliare. Ancora, la corte non avrebbe potuto, senza incorrere in un vizio logico, ritenere irrilevante l'indagine sulla reale esistenza dell'intento speculativo (contraddetta, secondo i ricorrenti, dal lungo tempo trascorso fra la costruzione e l'alienazione a terzi delle singole unit� immobiliari), affermando che non era necessaria la prova di tale intento di fronte all'accertata esistenza di una societ� commerciale, dato che proprio la dimostrazione dell'originario fine speculativo avrebbe fornito la prova del rapporto sociale. La corte avrebbe errato anche nel ritenere non acquisita la prova delle dette divisioni intermedie del compendio immobiliare, risultanti dai certificati catastali contenuti nei fascicoli dei procedimenti che si erano svolti davanti alle commissioni tributarie; e non avrebbe adeguatamente motivato sull'esclusiva appartenenza di taluni immobili a Dante Labanti. Col secondo mezzo, collegato al primo e valutabile, quindi, in un contesto unitario, i ricorrenti� denunciano la violazione degli artt. 1350, n. 9 e 2251 cod. civile. Sostengono che, a differenza di quanto ritenuto dai giudici d'appello, l'area edificabile non sarebbe stata acquisita ipso iure al patrimonio sociale in mancanza dell'atto scritto richiesto dall'art. 1350, n. 9 codice civile. La giurisprudenza, osservano i ricorrenti, ammette che, in difetto della necessaria forma scritta, un immobile possa entrare a far parte del patrimonio sociale se una societ� gi� esista, non quando -come nella specie -si pretenda di far derivare dallo stesso atto d'acquisto il rapporto sociale. Comunque -proseguono i ricorrenti -la motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria nel far risalire la nascita della societ� al momento 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'acquisto del terreno edificabile, pur collegandone l'origine alla concessione del mutuo, avvenuta due anni pi� tardi. Il ricorso non � fondato. Senza incorrere in alcuna contraddizione e con motivazione adeguata, i giudici d'appello hanno riconosciuto il carattere speculativo delle operazioni svolte nell'arco di un decennio dai fratelli Labanti, con la costruzione -utilizzando un mutuo di quattrocento milioni -di un imponente complesso edilizio, che comprendeva anche vani destinati a magazzino, uffici e laboratorio, e con la rivendita a terzi, nell'ultimo biennio, delle singole unit� immobiliari. Come esattamente osservano i giudici d'appello, tra i due fratelli Labanti si era formata una societ� di fatto. La nascita del rapporto sociale si pu� far risalire, peraltro, al momento dell'erogazione del mutuo, il cui ricavo costituiva, nella sua consistenza originaria, il fondo comune. Questo, poi, fu impiegato nella costruzione degli edifici, che vennero gradualmente acquisiti -con le aree gi� possedute in compropriet� dai due fratelli -al patriil1onio della societ� gi� esistente. In costanza del rapporto sociale, non era pertanto necessaria, ai fini della detta acquisizione, la forma scritta (Cass. 25 febbraio 1979, n. 1107, con riferimento al caso, in parte diverso, di un acquisto a titolo derivativo). L'accertamento del fine speculativo rappresenta, nella sentenza in esame, il risultato di una valutazione delle operazioni considerate nel loro complesso. Tale valutazione � stata compiuta con apprezzamento discrezionale non censurabile in questa sede, perch� immune da vizi logici e contraddizioni. Ben vero che un terreno pu� essere acquistato senza alcun fine di lucro, utilizzando il ricavo di un mutuo. Ma di volta in volta bisogna stabilire se l'erogazione del mutuo si inserisca in un'operazione speculativa. E correttamente la corte d'appello si � espressa nel senso affermativo, valutando e qualificando, nel suo complesso, l'operazione di costruzione e rivendita come un'attivit� imprenditoriale svolta in comune dai fratelli Labanti. Non risulta neppure violato il principio di concordanza delle presun� zioni, poich� il lungo tempo trascorso fra la costruzione del complesso edilizio e la cessione a terzi delle singole unit� immobiliari appare tutt'altro che incompatibile col fine di lucro, che si consegue proprio con un'adeguata scelta dei tempi per realizzare al meglio i beni prodotti. N� risulta acquisita agli atti la prova di divisioni intermedie, d'altronde non rilevante -come osserva la corte d'appello -ai fini del decidere. Pertanto, sotto il triplice profilo dell'esistenza del fine speculativo, del fondo sociale e della societ� di fatto -che rappresentano le questioni controverse nel corso dell'intero giudizio -la sentenza impugnata si sottrae alle censure dei ricorrenti. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 317 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 dicembre 1984 n. 6630 -Pres. Scanzano -Rel. Battimelli -P. M. Zema (conf.). Liberati c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Tamiozzo). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Accertamento di maggior valore -Difetto -Ingiunzione -Non pu� valere quale accertamento Esistenza di accertamento nei confronti di debitori solidali -Irrilevanza. (r.d. 7 agosto 1936 n. 1639, art. 21). Premesso che l'accertamento non fa stato nei confronti del debitore solidale al quale non sia stato notificato, � da escludere che l'ingiunzione che liquida l'imposta complementare possa avere valore di accertamento del maggior valore (1). (omissis) Il motivo va riconosciuto fondato. � pacifico, infatti, che nei confronti del Liberati, cos� come degli altri venditori, non fu effettuato alcun avviso di accertamento di maggior val�re dell'area trasferita, a sensi degli artt. 33 e 34 della legge di registro del 1923; � altrettanto pacifico, per giurisprudenza consolidata, che, seppure sussiste la solidariet� fra venditori e acquirenti per il pagamento cJell'imposta proporzionale di registro, tale solidariet� non ha efficacia sulla procedura di accertamento, che va effettuata nei confronti dei singoli debitori, s� che il maggior valore non fa stato n�i confronti dei soggetti di imposta che siano rimasti estranei alla procedura, i quali, quindi, sono tenuti al pagamento dell'imposta solo sul prezzo risultante dall'atto. La sentenza impugnata ha ritenuto di poter superare questi ostacoli affermando che nei confronti del Liberati faceva stato, quanto all'accertamento di maggior valore, l'ingiunzione emessa nei suoi confronti dall'Ufficio del Registro per il pagamento dell'imposta dovuta, avendo l'ingiunzione -essa stessa -anche natura di atto di accertamento; questa affermazione, peraltro, non regge alle critiche del ricorrente,� da riconoscersi fondate, in quanto: a) seppure � vero che, in linea di massima, l'ingiunzione ha anche natura di accertamento della pretesa tributaria, � altres� vero che ci� non (1) La massima � corretta. Anche se, specie nel regime anteriforma, l'accertamento di maggior valore non richiede una particolare motivazione, .l'accertamento non pu� essere implicito nella intimazione di pagamento della imposta complementare. L'accertamento � un atto ben caratterizzato che pu� dar luogo ad un autonomo giudizio sulla sola valutazione nettamente distinto dalla liquidazione della imposta, che pu� dare origine ad altro processo. 318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vale in ogni caso, e che, allorch� il quantum (e non l'an) del rapporto tributario sia variabile, l'ingiunzione pu� legittimamente emettersi per il recupero di una determinata somma dovuta a titolo di imposta allorch� l'imponibile sia stato gi� determinato con la specifica procedura prevista per il caso di specie; e, nella specie, non pu� negarsi che normalmente l'imposta di registro � dovuta, in caso di trasferimento di immobili, sul prezzo risultante dall'atto, salva la facolt� dell'Ufficio di procedere ad accertamento di maggior valore, accertamento che va compiuto con la specifica procedura ad hoc, prevista (per gli atti compiuti prima della riforma tributaria del 1972) dagli artt. 35 e seguenti della legge di registro del 1923 e dagli artt. 21 e seguenti del dJ. n. 1639 del 1936; b) che, comunque, il termine di decadenza per l'accertamento di maggior valore era fissato in un anno dall'art. 34 della legge di registro del 1923, e che tale termine, nel caso di specie, decorreva dalla data di registrazione della cessio bonorum, atto dal quale discendeva, come gi� detto, la decadenza dalla agevolazione e quindi il diritto dell'ufficio a richiedere il pagamento dell'imposta proporzionale sull'atto di vendita Liberti-Di Bugno; correlativamente, da tale data decorreva il termine per l'accertamento di maggior valore rispetto al prezzo dichiarato nell'atto, accertamento non effettuato al momento dell'originaria registrazione a tassa fissa. Fondatamente, pertanto, il ricorrente eccepisce la decadenza del Fisco dall'accertamento di maggior valore nei suoi confronti, in quanto, seppure per assurdo volesse ritenersi valida l'ingiunzione ai fini dell'accertamento, essa comunque sarebbe tardiva, in quanto emessa oltre due anni dopo la registrazione dell'atto di cessio bonorum. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 gennaio 1985 n. 69 -Pres. Zappulli Est. Tilocca -P. M. Leo (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Mari) c. Siclari. Tributi locali -Imposta comunale sull'incremento del valore degli im� mobili � Valore iniziale � Valore definitivo per condono . E' vin� colante. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6),. Agli effetti dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 il valore iniziale accertato ai fini dell'imposta di registro o di successione per il preceden� te acquisto � quello comunque definito e quindi anche quello determi~ nato a seguito di condono (1). (1) Conforme Cass. 13 giugno 1984 n. 3531 in questa Rassegna, 1984, I, 798. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) Con l'unico motivo proposto l'Amministrazione ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, comma secondo, e 19, comma secondo, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 e 6 d.d. 5 novembre 1973 n. 660, conv. nella 1. 19 dicembre 1973, n. 823, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonch� l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, n. 5 c.p.c.). Deduce in particolare l'Amministrazione che � l'ampia accezione dell'art. 6, comma secondo, d.P.R. 643/1972 �, secondo la quale si assume ... quale valore iniziale ... quello dichiarato o accertato per il precedente acquisto �, sembra, infatti, rendere palese che, salva espressa delega del legislatore, nell'ambito dell'accezione medesima debbano ritenersi compresi tutti i casi in cui il valore del bene sia stato comunque definito dall'ufficio, anche con l'adesione del contribuente quali che siano stati i procedimenti contenuti nelle disposizioni legislative seguiti, di volta in volta, per pervenire alla determinazione del valore stesso�. Il ricorso va accolto. L'art. 6 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, dopo aver precisato, nel primo comma che, l'imponibile, ai fini dell'INVIM, � costituito dalla differenza fra il valore dell'immobile alla data alla quale sorge il debito d'imposta ed il valore che l'immobile aveva alla data dell'acquisto ovvero della precedente tassazione, dispone, nel secondo comma, che per la determinazione della differenza si assume per gli immobili di cui al precedente art. 2 (come nella specie) come valore iniziale quello dichiarato o accertato quanto all'imposta di registro o di successione per il precedente acquisto (ovvero -quello venale al momento dell'acquisto stes�o se il valore dell'immobile agli effetti di una di queste imposte � stato determinato ai sensi delle leggi n. 1044 del 1954 e n. 355 d�l 1959). Il secondo comma aggiunge che � per i trasferimenti non soggetti all'imposta proporzi�nale di registro o all'imposta di successione n� all'imposta sul valore aggiJ-UltO si assumono quali valore iniziale e valore finale i valori venali determinati secondo le norme relative all'imposta di registro �. ' � ev.idente che, per .far riferimento al valore venale quale valore iniziale ai fini della determinazione dell'imponibile quanto all'INVIM, � necessario che l'immobile non sia soggetto n� all'imposta pI'oporzionale di registro (o all'imposta di successione) n� di IVA oppure che il suo valore per il precedente acquisto sia stato determinato con i criteri automatici stabiliti per i fondi rustici. Al di fuori di tali due ipotesi, delle quali la prima si 'spiega con la mancanza di un valore assumibile come valore iniziale dell'immobile e la seconda si pone come mera eccezione e, quindi, non suscettibile di applicazione analogica (art. 14 preleggi), non � legittimo aver riguardo, per la determinazione del valore iniziale, al valore venale del bene obliterando il valore dichiarato od accertato, ai fini dell'imposta di registro o di successione, in occasione del precedente acquisto. Tale ultimo principio vale anche ove l'immobile sia stato valu ' 320 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO tato, a suo tempo, con criteri di favore facendo la legge espressa eccezione soltanto per la valutazione automatica dei fondi rustici e non menzionando nel contempo altre ipotesi di definizione agevolativa del valore; e vale perci� anche per il caso in cui il valore sia stato determinato con l'applicazione dell'art. 6 d.l. 5 novembre 1973, n. 660, conv. nella 1. 19 dicembre 1973 n. 823, trattandosi pur sempre di una accertamento definitivo ai fini dell'imposta di registro o di successione. Del resto l'art. 6 del citato decreto legge n. 660 del 1973 precisa, nel terzo comma, che �si considera valore accertato agli effetti dell'imposta comunale sull'incremento di. valore dell'immobile rispettivamente il valore presunto dall'ufficio ridotto alla met� per l'imposta di registro o del sessanta per cento per l'imposta sulle successioni, e quello dichiarato dal contribuente aumentato del venti per cento �. Che, poi, tale norma deduca il valore da quello presunto dall'ufficio, e, in mancanza dell'accertamento, da quello dichiarato dal contribuente, ci� dipende esclusivamente dalla diversit� effettuale delle due ipotesi, assolutamente non valutabili con lo stesso preciso criterio e tale diversit�, nel silenzio della legge non legittima il ricorso ad una nuova e diversa determinazione del valore iniziale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 Gennaio 1985 n. 116 -Pres. Falcone Est. Caturani -P. M. Zema (diff.). Guidetti (avv. Carboni Corner) c. Ministero delle Finanze (Vice Avv. Gen. Stato Gargiulo). Tributi erariall diretti � Imposte fondiarie � Imposta sul fabbricati � Agevolazione per le case di abitazione non di lusso � Ampliamento � Aumento della .cubatura � Non � necessario � Costruzioni di nuove unit� abitative � E' sufficiente. (1. 2 luglio 1949 n. 408, art. 19). Ai fini deZZ:agevolazione dell'art. 19 della legge 2 luglio 1949, n. 408, l'ampliamento non comporta necessariamente una sopraelevazione o un aumento di volume, essendo sufficiente la creazione di nuove unit� abitative anche mediante l'utilizzazione dei vecchi muri perimetrali (1). (1) La decisione non pu� essere condivisa. L'intera legge 2 luglio 1949 n. 408 � indubbiamente collegata alla costruzione di nuove case di abitazione. La ristrutturazione di un edificio esistente nell'ambito dei veccl� muri e senza aumento di volume non � mai una costruzione. Perch� l'ampliamento possa essere equivalente a una nuova costruzione esso deve essere nettamente separato dall'edificio esistente e il � quid pluris � deve realizzarsi all'esterno e non all'interno dell'esistente. Non � nemmeno determinabile in senso oggettivo l'incremento edilizio realizzato attraverso la costruzione di nuove unit� abitative, quando queste PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 321 (omissis) Con i due motivi del ricorso, denuziando violazione degli artt. 13 e 19 della legge 2 luglio 1949, n. 408 nonch� difetto di motivazione, si sostiene che erroneamente la decisione impugnata ha negato il diritto alla esenzione venticinquennale dell'imposta sui fabbricati, senza considerare che la radicale trasformazione di un edificio non abitativo in unit� abitativa equivale a � costruzione �, a nulla rilevando la utilizzazione dei preesistenti muri perimetrali e senza tener presente la documentazione esibita dei contribuenti dalla quale risultava che si era in presenza di un ampliamento ovvero di costruzione di nuova unit� abitativa. Il ricorso � fondato. Devono premettersi due rilievi. Il primo riguarda l'ammissibilit� delle censure formulate dai ricorrenti nel ricorso -contestata dalla resistente amministrazione -le quali, lungi dal costituire una impostazione difensiva diversa da quella fatta valere innanzi alle Commissioni, rappresenta un logico e coerente sviluppo di quanto si � sostenuto in quella sede. Il secondo rilievo riflette invece la inammisibilit� di una modificazione delle tesi difensive che nel ricorso sono imperniate sulla interpretazione degli artt. 13 e 19 della legge n. 408 del 1949. Poi la funzione che deve riconoscersi alle memorie illustrative (su cui tra le tante cfr. la sent. di questa Corte n. 636 del 1981) ,non pu� quindi consentirsi in sede di memoria una nuova e diversa impostazione delle tesi difensive fatte valere dai ricorrenti col ricorso, che anzich� richiamarsi agli artt. 13 e 19 della legge citata, mutando radicalmente quella linea di difesa, richiamino altre fonti normative che quelle norme avrebbero abrogato. Ci� premesso, la decisione impugnata, nell'escludere sia l'ampliamento che la ricostruzione di fabbricato demolito o distrutto, ha negato il godimento del beneficio tributario previsto dall'art. 13 della legge Tupini sulla base di una duplice considerazione: a) in quanto si � trattato di una trasformazione interna del vecchio (abbricato; b) in quanto il fab bricato era accatastato come � casa di abitazione � e assoggettato all'im posta sul reddito. Entrambi i rilievi, tuttavia, non colgono nel segno, poich�, come si vedr�, il primo � in s� erroneo ed il secondo del tutto irrilevante al fine del decidere. non sono altro che una ridistribuzione dello spazio interno; due appartamenti piccoli in luogo di grande non creano incremento. Ma soprattutto la separazione tra ampliamento e consistenza preesi stente � indispensabile perch� l'agevolazione pu� riguardare soltanto la parte incrementata, mentre il preesistente rimane soggetto al regime tributario suo proprio. Secondo la sentenza che si commenta sarebbe invece possibile ridare verginit� all'intero edificio vecchio, ristrutturato, e assoggettarlo all'agevola zione come nuovo. Il che oltretutto incoraggia operazioni poco raccomanda bili e spesso abusive dal punto di vista urbanistico. 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Commisisone Centrale ha sostanzialmente svolto le proprie considerazioni argomentative soffermandosi soltanto sulla ipotesi della � ricostruzione � delle case comunque distrutte, mentre ha escluso altresi nel caso in esame la ipotesi dell'ampliamento di un edificio preesistente senza alcuna effettiva motivazione. Questa Corte ha avuto cura di precisare, in sede di interpretazione dell'art. 19 (sent. n. 43 del 1966, emessa in tema di imposta di consumo) che per aversi �ampliamento�, agli effetti della norma citata deve sussistere un apprezzabile incremento (rispetto alla situazione preesistente) nel numero e nella consistenza dei vani abitabili di un edificio gi� costruito. Deve trattarsi, pertanto, di sopraelevazione o comunque di una maggiore utilizzazione della superficie adibita ad uso di abitazione, il che vuol dire che si ha ampliamento, agli effetti dell'art. 19, allorch� con la nuova opera si realizza un quid pluris nella consistenza dell'immobile che si risolva in una maggiore utilizzazione dell'area preesistente a fini abitativi ed esprime altresi il concetto che � l'ampliamento � com~ prende non solo i casi in cui con le nuove opere si realizza un aumento della cubatura preesistente destinata a case di abitazione (il che � tipico della sopraelevazione), ma anche le ipotesi in cui sia attuata una (nuova) utilizzazione dell'area gi� edificata, modificandone parzialment� la destinazione attraverso la costruzione di unit� abitative prima inesistenti. In questa prospettiva si comprende come non avesse nella specie alcuna efficacia decisoria nel senso preteso dalla decisione impugnata, la circostanza che il preesistente .fabbricato fosse accatastato come � .casa di abitazione� ed assoggettato alla imposta sul reddito, poich� � proprio dell'ampliamento che preesista un edificio gi� costruito parzialmente per abitazione, del quale tuttavia, con le nuove opere si aumentano le unit� abitative. D'altro canto, costituiva invece elemento decisivo della controversia in senso favorevole al contribuente, il fatto in s� pacifico e non contestato che sui muri perimetrali del vecchio fabbricato furon,o costruiti otto nuovi appartamenti. Ed a tal fine non spiegava alcun rilievo in senso contrario il fatto puramente estrinseco che le nuove unit� abitative fossero state costruite utilizzando i muri preesistenti del vecchio edificio. Il che � coerente con la ratio dell'art. 19 della legge Tupini che risiede nell'incrementare il patrimonio edilizio nazionale per sopperire alla fondamentale esigenza dell'alloggio. Alla stregua delle precedenti considerazioni, deve pertanto ritenersi che la decisione impugnata, nel negare al ricorrente il godimento del beneficio previsto dagli artt. 13 e 19 della legge n. 408 del 1949, sia caduta in una erronea interpretazione di tali norme, senza tener presente la documentazione in atti cui il ricorrente si � richiamato anche in questa sede. Il che conduce all'accoglimento del ricorso ed alla cassazione della decisione suddetta con il rinvio della causa alla stessa Commissione Tribu PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA taria Centrale, la quale nel decidere la controversia si atterr� al seguente principio di diritto: � Si ha ampliamento � delle case di abitazione, agli effetti del godimento della esenzione venticinquennale dal pagamento dell'imposta sui fabbricati, ai sensi degli artt. 13 e 19 della legge n. 408 del 1949, non soltanto nei casi in cui, sopraelevando un edificio gi� costruito, si realizza un quid pluris nella consistenza dell'immobile adibita ad abitazione attraverso un aumento della cubatura preesistente, ma anche nelle ipotesi in cui, pur utilizzando la precedente cubatura sia attuato quel quid pluris attraverso la costruzione di nuove unit� abitative con le caratteristiche di cui all'art. 13 della legge 408 del 1949, a nulla rilevando che a tal fine siano stati utilizzati i muri perimetrali del vecGhio fabbricato, in quanto si realizza sempre la ratio dell'art. 19 cit. che risiede nell'incrementare il patrimonio edilizio nazionale per sopperii-e alla fondamentale esigenza dell'alloggio. (omissis) SBZIONB SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 novembre 1984, n. 6017 -Pres. Sandulli -Rel. Di Salvo -P.M. Ferraiuolo (conf.). -Cassa per il Mezzogiorno (avv. Stato Conti) c. SIACA (avv. Marinangeli e Piras). Arbitrato -Concessione di progettazione ed esecuzione di opere di competenza della Cassa per il Mezzogiorno -Norme vigenti per l'esecuzione delle opere pubbliche di competenza del ministero di lavori pubblici -Applicabilit� -Limiti -Clausola compromissoria -Composizione del collegio arbitrale � Tre membri -Validit� della clausola Sussiste. (Legge 6 ottobre 1971, n. 853, art. 3, quarto comma; legge 10 agosto 1950, n. 646, art. 8; t.u. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 32; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 45). La convenzione stipulata fra la Cassa per il Mezwgiorno ed una societ�, ai sensi dell'art. 3, comma quarto, della legge 6 ottobre 1971, n. 853 per disciplinare l'affidamento in forma unitaria, della progettazione ed esecuzione di opere di competenza della cassa, non configura un'ipotesi di esecuzione diretta attuata mediante appalti, bens� un'ipotesi di esecuzione indiretta, sicch� la convenzione non ha natura di appalto, ma costituisce un contratto innominato accessivo ed un provvedimento amministrativo di concessione. � perci� valida la clausola della convenzione che, nel deferire le relative controversie alla cognizione di arbitri, configura un collegio di tre membri in deroga all'art. 45 del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, perch�, per: le opere di competenza della cassa, le norme vigenti per le opere pubbliche di competenza del ministero di lavori pubblici vanno osservate in quanto applicabili (1). (1) Non constano precedenti in termini circa la estensione del richiamo contenuto nell'ultimo comma dell'art. 8 della legge 10 agosto 1950, n. 646 a contratti diversi dall'appalto. Nel senso, invece, che il richiamo valga sia nelle ipotesi in cui appaltante sia la stessa Cassa, sia in quelle in cui lo sia un ente pubblico per affidamento avutone dalla Cassa, cfr., con riguardo al tema delle disposizioni del Capitolato generale in materia di arbitrato, Cass., 26 aprile 1969, n. 1348, in Giust. civ. Mass., 1969, 690; Cass., 6 aprile 1966, n. 909, ivi 1966, 518; Cass., 19 gennaio 1963, n. 67, in Giust. civ., 1963, I, 270. Sul diverso problema della portata del richiamo, cfr., in tema di competenza territoriale, Cass., 28 luglio 1981, n. 4852, in Arch. giur. op. pubbl., 1981, Il, 455. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (omissis) Con il secondo motivo, la ricorrente -denunciando violazione dell'art. 3, quarto comma, della legge 6 ottobre 1971, n. 853 e dei principi generali in tema di concessione di opere pubbliche; falsa applicazione dell'art. 8 della legge 10 agosto 1950, n. 646 (art. 32 t.u. 30 giugno 1967, n. 1523) e dell'art. 45 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nonch� difetto di motivazione (art. 360, n. 2, 3, 4 cod. proc. civ.) -sostiene che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che il rapporto instaurato tra la Cassa e la SIACA fosse costituito da un negozio nel quale al momento pubblicistico della concessione in affidamento accedeva un contratto avente tutti gli elementi del contratto di appalto, e che, pertanto, fosse applicabile ad esso il capitolato generale d'appalto per le opere di competenza dei lavori pubblici, il cui art. 45 prevede un collegio arbitrale composto da cinque membri. Sostiene, che invece, tale contratto accessivo � un contratto innominato sui generis non assimilabile all'appalto, per cui non sono applicabili le norme previste per tale tipo di contratto e che, di conseguenza, � legittima la clausola della convenzione che affida ad un collegio di tre membri la soluzione delle controversie derivanti dalla convenzione. La censura � fondata. Il motivo prospettato, con il quale si critica la decisione della Corte d'appello secondo cui la controversia tra la Cassa e la SIACA avrebbe dovuto essere decisa dal collegio arbitrale previsto dall'art. 45 del d.P .R. 16 luglio 1962, n. 1063 e non dal collegio previsto dall'art. 14 della convenzione quadro 7 febbraio 1974 e dall'art. 15 della convenzione attuativa 26 luglio� 1974, presuppone la definizione della natura dei rapporti giuridici esistenti tra tali organismi e dei negozi da essi stipulati. Occorre, quindi, ricordare che la Cassa del mezzogiorno pu� procedere all'esecuzione delle opere di sua competenza mediante due sistemi diversi; l'uno indiretto che si articola in due forme contrattuali formalmente distinte; la prima consiste nell'� affidamento�, che secondo il testo originario dell'art. 8 della legge 10 agosto 1950, n. 646, istitutiva della Cassa, poteva essere effettuato ad aziende autonome statali, e successivamente, a norma dell'art. 13 de.Ila legge 29 luglio 1957, n. 634, ad organi dello Stato. La possibilit� di affidare la progettazione e l'esecuzione delle opere anche a societ� a prevalente capitale pubblico costituite con la partecipazione degli enti pubblici locali � stata poi precisata dall'art. 3, ultimo comma della legge 6 ottobre 1971, n. 853, ed, infine, tale possibilit� � stata estesa, oltre l'ambito dei soggetti pubblici, con l'art. 8, penultimo comma, della legge 2 maggio 1976, n. 183, che ha consentito di affidare l'esecuzione di tali opere pubbliche anche a consorzi di imprese private. La seconda forma di esecuzione indiretta dei lavori consiste nella � concessione � ad enti locali ed a taluni consorzi ed enti pubblici indicati in modo specifico nel citato art. 8 della legge n. 646 del 1950. 326 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Questa disciplina � stata poi recepita nell'art. 32 del t.u. delle leggi sul mezzogiorno approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523. (Quc;isto t.u. � stato, poi, sostituito dal d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 138 che � per� successivo alla fattispecie in esame). Il secondo sistema di esecuzione delle opere di competenza della Cassa � quello dell'esecuzione diretta; in tal caso, essa procede agli appalti, avvalendosi anche dei competenti uffici del Genio Civile e del Corpo Forestale dello Stato (art. 8, comma quarto, legge n. 646/1950; art. 23, comma quarto, d.P.R. n. 1523/1967). Le convenzioru Cassa-SIACA sono state stipulate ai sensi dell'art. 3, quarto comma, della legge 6 ottobre 1971, n. 853 (oggi sostituita dall'art. 8 della legge n. 183/1976 e dall'art. 138, quarto comma del t.u. approvato con d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218), il quale dispone che spetta alla Cassa per il mezzogiorno di provvedere all'esecuzione dei progetti speciali e che essa � pu� affidare, sulla base delle convenzioni all'uopo stipulate, in forma unitaria la progettazione e l'esecuzione delle opere, anche in deroga a disposizioni vigenti, a societ� a prevalente capitale pubblico costituite con la partecipazione degli enti pubblici locali �. Dall'esame di tale legislazione emerge che le due forme di ese�uzione indiretta delle opere pubbliche da parte della p.a., qualificate rispet� tivamente � affidamento � e � concessione � sostanzialmente si equivalgono e si contrappongono all'esecuzione diretta che si attua mediante l'appalto. Fra di esse non vi � alcuna differenza strutturale, potendosi riscontrare una sostanziale identit� di elementi caratterizzanti. La loro analisi mette in evidenza che la qualifica di � affidamento � � stata usata, sostituendola a quella di concessione, nei casi in cui l'esecuzione dell'opera veniva affidata ad una azienda autonoma statale ovvero ad un organo dello Stato; in questo caso sembra esser prevalsa la preoccupazione di non usare 0 la parola � concessione � perch� questa esprime -almeno nell'accezione accolta dalla dottrina tradizionale -un concetto di supremazia del concedente nei confronti del concessionario al quale era attribuita una posizione di assoluta subordinazione che � apparsa incongrua nel qualificare i rapporti tra la Cassa del mezzogiorno ed i concessionari quando questi fossero organi dello Stato od aziende autonome. L'evoluzione legislativa, cui si � fatto cenno, � significativa in quanto evidenzia che questa forma _di investitura ha avuto origine quando il legislatore ha voluto affidare l'esecuzione delle opere pubbliche di competenza della Cassa per il mezzogiorno ad aziende autonome; ha avuto ulteriore applicazione quando fra i soggetti abilitati a conseguirlo sono stati inclusi gli organi dello Stato (legge n. 634/1957) e poi le societ� a prevalente capitale pubblico costituite con la partecipazione degli enti pubblici locali (legge n. 853/1971 ed, in altra materia, legge n. 171/1973, art. 13, n. 5); soltanto in un momento successivo la persistente esigenza . I I @ I I I I ~: ~: !: + i:' 1:: 1:: ~; lii ~-I - - , j r111�1a�:�a11a1111&1r1.1111~1a1r11111�11111111111W PARTE I, :SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI di ampliare ancora il numero dei soggetti cui la Cassa per il mezzogiorno potesse rivolgersi, ha portato a consentire l'affidamento anche a consorzi ed imprese private; la conservazione del termine � affidamento � in quest'ultima legge (legge n. 183/1976, art. 8), nella quale avrebbe potuto anche essere adottato il termine di �concessione�, non sussistendo le ragioni che avevano consigliato di evitare il richiamo a posizioni di supremazia-subordinazione, conferma che le due parole sono state considerate equivalenti. La qualificazione del rapporto instaurato tra la Cassa del mezzogiorno e la SIACA esige qualche riflessione sul concetto di concessione per accertare se sussiste convergenza fra di esso e l'affidamento intercorso nel caso in esame. La concessione � considerata dalla dottrina tradizionale come un provvedimento amministrativo rivolto alla tutela di fini pubblici con il quale si provvede alla gestione indiretta di determinate attivit� agevolando e stimolando l'attivit� di altri soggetti mediante l'ampliamento della loro sfera giuridica realizzato con il conferimento esclusivo di determinate facolt� proprie della p.a. Nella concessione la posizione delle parti si caratterizza in termini di sostituzione del concessionario al concedente nello svolgimento dell'attivit� organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l'opera pubblica per cui egli pu� anche fungere da stazione appaltante stipulando contratti di appalto con altre imprese. Il conferimento delle funzioni proprie della p.a. avviene sulla base di un precedente rapporto di diritto pubblico che non determina per� nel concessionario il subentro nella potest� o titolarit� del diritto del concedente, ma soltanto l'acquisto temporaneo e precario di particolari facolt�. Le concessioni si configurano come negozio di diritto pubblico alla cui nascita concorrono le due volont� della pubblica amministrazione concedente e del concessionario. Sul valore da attribuire a ciascuna di essa sono state prospettate diverse soluzioni sia in dottrina che in giurisprudenza con riferimento a situazioni nelle quali il concessionario era sempre un privato, affermandosi, dai sostenitori della teoria contrattualistica, che la concessione nasce per effetto del concorso sinallagma-� tico, in posizione di parit� giuridica, della volont� della p.a. e di quella del privato, mentre secondo altri, la concessione sorge da due atti distinti ed entrambi unilaterali, l'uno della p.a., considerato principale, e di per s� operativo del rapporto, l'altro del privato che, a seconda che intervenga prima o dopo l'atto di concessione, �ssume rilievo come semplice presupposto o come condizione di efficacia del medesimo. La questione non �, per�, decisiva in questa sede, essendo sufficiente rilevare che gli atti di volont� dei due soggetti sono entrambi necessari per far nascere il rapporto di concessione, la cui fattispecie complessa � costituita da un atto amministrativo con il quale la pubblica amministra 328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, dopo avere accertato che la tutela dell'interesse pubblico lo consiglia, decide di stipulare la concessione dalla quale nasce un ampliamento della sfera giuridica del soggetto destinatario; questo provvedimento, per�, pur essendo necessario, non � di per s� sufficiente a determinare il sorgere del rapporto di concessione occorrendo a questo fine un negozio bilaterale, strutturalmente autonomo (la convenzfone), che assolve una funzione strumentale per l'attuazione dell'atto amministrativo; con tale atto l'amministrazione concedente ed il concessionario si vincolano sul contenuto del rapporto stabilendo i diritti e gli obblighi reciproci e si vincolano sul quomodo del rapporto. La fattispecie concessoria risulta, quindi, costituita dal concorso di due atti, quello deliberativo di concessione, ed il negozio bilaterale attuativo che sono entrambi essenziali e, sotto il profilo funzionale, coordinati all'assolvimento dello scopo fondamentale della fattispecie; il primo attribuisce al concessionario la titolarit� del diritto ad esercitare l'attivit� oggetto della concessione, il secondo determina il nascere dell'oqbligazione, nella predetta fattispecie si riscontra un contenuto convenzionale, che � quello che qui interessa, ed un contenuto regolamentare perch� dalla concessione nascono situazioni giuridiche oggettive che costituiscono fonti indirette di diritto obiettivo per i terzi. La fattispecie complessa che d� origine a questo contratto pu�, quindi, essere qualificata come concessione-contratto. La c�nvenzione tra i due soggetti (che nel caso in esame si � articolata in due atti distinti; la convenzione quadro e la convenzione attuativa) ha, quindi, una sua autonoma rilevanza rispetto all'atto unilaterale, ma non pu� esser considerata accessoria dello stesso; trattasi, piuttosto, di un atto accessivo all'atto di concessione, che data la funzione strumentale che essa assolve rispetto al primo, deve essere coordinata con lo stesso; di conseguenza la natura del negozio che viene stipulato non pu� essere diversa da quella contemplata nel primo; caratteristici:i questa che deve essere tenuta presente nel definire, come � necessario ai fini decisori della controversia in esame, il contenuto della medesima. La determinazione del contenuto e della natura giuridica del contratto, stipulato tra la Cassa del mezzogiorno e la SIACA, costituisce l'oggetto principale della controversia in esame, perch� da essa discende (attraverso l'applicabilit� o meno del capitolato generale dello Stato sugli appalti delle oo.pp.) la decisione in ordine alla legittimit� della giurisdizione del collegio arbitrale che ha pronunciato il lodo impugnato. La corte di merito ha ritenuto che tale contratto presenti �tutti gli elementi del contratto di appalto, anche se con alcune deroghe non ignote all'ambito puran1ente privatistico �. Le critiche formulate dall'Amministrazione ricorrente a tale decisione sono fondate. Infatti, risulta che alla societ� affidataria � stato attribuito ogni potere per lo svolgimento, anche nei confronti dei terzi, l ~ 11 PARTE I, SI!Z. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 329 dell'attivit� necessaria per la realizzazione del �progetto speciale�; elemento questo che � tipico della concessione, nelle sue caratteristiche gi� evidenziate e che � caratterizzata dalla attribuzione ad un soggetto estraneo all'amministrazione della potest� di esercitare tutto un complesso di funzioni, oggettivamente pubbliche, in ordine alla progettazione, all'appalto, alla direzione, alla contabilit� ed al collaudo dell'opera pubblica. Infatti, alla SIACA � attribuito il potere di avvalersi per l'esecuzione delle opere di ditte appaltatrici di sua scelta e sotto la sua responsabilit� (art. 2, ultimo. comma, conv. quadro), nonch� di svolgere le funzioni attinenti alla direzione assistenza e contabilizzazione dei lavori (art. 6, ultimo comma, conv. quadro); tale conclusione � confortata, inoltre, dalla stessa formulazione degli artt. 2 e 12 della convenzione attuativa 26 luglio 1974 dai quali risulta che la �Cassa del mezzogiorno affida in "concessione" alla SIACA S.p.A. l'esecuzione delle opere� e che la SIACA � accetta la " convenzione " �. La formulazione letterale delle clausole contrattuali concorre, quindi, con le deduzioni tratte dai principi nel qualificare il rapporto intercorso tra le parti. Per converso, l'esclusione della natura di �appalto� del negozio contenuto nella convenzione accessiva emerge da una pluralit� di indicazioni. La convenzi�ne ha realizzato la sostituzione del concessionario al concedente nell'attivit� direttiva ed organizzativa occorrente per l� realizzazione dell'opera,, ivi compresi i poteri di direzione dei lavori, essendo residuata alla Cassa concedente solo una potest� di controllo estrinseco senza responsabilit� direttive (artt. 6, ultimo comma e 11); � stato attribuito al concessionario anche il potere di fungere da stazione appaltante stipulando contratti di appalto con terzi imprenditori; potere che � certamente incompatibile con l'asserita natura di appalto del contratto stipulato con la convenzione accessiva, perch� l'appaltatore non pu� stipulare un altro contratto di appalto per affidare ad altri l'opera commessagli; difettando, inoltre, altre caratteristiche tipiche dell'appalto disciplinato dal r.d. 25 maggio 1895, n. � 350, quali sono la diretta responsabilit� e vigilanza dell'ingegnere capo (art. 1), l'attribuzione ad un funzionario dell'amministrazione della direzione dei lavori (art. 2), la responsabilit� di questo per l'accettazione dei materiali e per la buona e puntuale esecuzione (art. 3) ed in genere gli ampi poteri di vigilanza e di intervento dell'amministrazione che si concretano anche nella emissione di ordini di servizio e nelle complesse procedure attinenti alla tenuta della contabilit�. La convenzione attuativa ha, quindi, un contenuto perfettamente aderente alla natura concessoria de! provvedimento dell'amministrazione ed � da ritenersi, in sintonia con la dottrina che ha studiato il tema, un contratto innominato di diritto privato. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 330 L'identificazione dell'appalto con la concessione di sola costruzione non pu� nemmeno essere dedotta dal terzo comma della legge 8 agosto 1977, n. 584 il quale, equiparando tali contratti soltanto �ai fini della presente legge �, che contiene nonne di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici alle direttive della comunit� economica europea, dispone di una materia del tutto estranea a quella della presente controversia; da tale norma pu� anzi dedursi che per � fini diversi � da quelli indicati i due tipi di contratto conservano le loro caratteristiche individualizzanti. � da ritenersi, comunque, che l'equiparazione prevista da tale norma possa sussistere soltanto per le concessioni di sola costruzione che, solo impropriamente, hanno tale qualificazione amministrativa perch� sostanzialmente la loro natura � quella del contratto di appalto; rientrano fra queste le convenzioni accessive nelle quali � prevista come prestazione del c.d. concessionario soltanto la mera esecuzione di un'opera senza trasferirgli alcuna funzione dell'ente pubblico; nel caso in esame, invece, come si � visto, � stato previsto anche il trasferimento di tali funzioni. Infatti, allo scopo di individuare il tipo di contratto posto in essere dalle parti non � sufficiente considerare che nei due tipi di contratto anzidetti il risultato �, in entrambi i casi, la costruzione dell'opera pubblica. � necessario esaminare anche la natura dell'attivit� prevista dal contratto di concessione di sola costruzione rispetto a quella tipica del contratto di appalto; nel primo caso il concessionario agisce sostanzialmente come organo indiretto dell'amministrazione concedente ed esegue l'opera esercitando le facolt� ed i poteri che gli sono stati trasferiti dal concedente; nel secondo caso, invece, l'appaltatore svolge un'attivit� diretta in modo esclusivo alla organizzazione dei mezzi dell'impresa per eseguire l'opera commessagli. Nel caso in �same sono stati gi� indicati gli elementi che escludono nella convenzione in esame gli elementi caratterizzanti dell'appalto e che la fanno rientrano fra i contratti innominati accessivi alla �oncessione amministrativa. Accertata, pertanto, la natura di concessione amministrativa dell'� affidamento � dell'esecuzione delle opere di competenza della Cassa del mezzogiorno e la natura di contratto innominato della convenzione accessiva, resta preclusa l'applicabilit� nel caso in esame delle norme vigenti del capitolato generale d'appalto per l'esecuzione delle opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici. Il rinvio a queste norme -previsto dall'art. 8, comma quinto, legge n. 646/1950, riprodotto nell'art. 32 del t.u. n. 1523/1967, e richiamato nell'art. 14 della convenzione attuativa 26 luglio 1974 stipulata tra la Cassa e la SIACA -� operante con l'esplicito limite (in quanto (tali norme siano) applicabili�. Tale preclusione sussiste quando il contratto sia di natura diversa dall'appalto che � l'unico regolato dal predetto capitolato e quando un de- I f. I m �: PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 331 terminato istituto -nella specie l'arbitrato -sia stato regolato diversamente dalle parti al momento. della stipula della convenzione; � appena il caso di ricordare che tale facolt� di deroga sussiste perch�, come si � gi� detto, tale arbitrato non pu� essere qualificato obbligatorio. Al riguardo � opportuno precisare che le conclusioni cui questa Corte � pervenuta non sono in contrasto con quelle adottate con la sentenza 7 marzo 1975, n. 839 che concerneva una diversa fattispecie e precisamente un contratto di appalto stipulato, non fra la Cassa ed un suo concessionario, ma con altro imprenditore; si trattava, quindi, di un rapporto esterno al rapporto di concessione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 novembre 1984, n. 6106 -Pres. Sandulli -Rel. Rossi -P. M. Antoci (conf.). -Impresa Angelo Farsura S.p.A. (avv. Giordano e Pallottino) c. Ministero dei lavori pubblici (vice avv. gen. Stato Azzariti). Appalto � Difficolt� di esecuzione � Previsione in contratto � Diritto all'equo compenso � Esclusione. (Cod. civ., art. 1664, comma secondo). Il diritto dell'appaltatore a compenso per difficolt� di esecuzione, derivanti da cause geologiche, idriche e simili, postula che detti eventi non siano stati oggetto di previsione contrattuale e pertanto va escluso ove le disposizioni del capitolato speciale neghino ogni indennizzo all'appaltatore per il verificarsi degli eventi medesimi (1). (omissis) Il ricorrente addebita alla Corte d'appello, con il primo e principalmente con il terzo motivo, oltre alla violazione e falsa applicazione dell'art. 35 del capitolato g�nerale richiamato, -da ritenersi applicabile, contrariamente all'avviso espresso dalla Corte, solo in caso di sospensioni dovute a fattori prevedibili -, di avere erroneamente interpretato l'art. 14 del capitolato speciale con motivazione illogica, non pertinente e contraddittoria. (1) Nello stesso senso, Cass., 25 novembre 1977, n. 5138, in Giust. civ. Mass., 1977, 2058. In tema di applicazione dell'art. 1664, comma secondo, cod. civ., per l'affermazione della derogabilit� della norma, cfr. Cass., 6 giugno 1977, n. 2326, in questa Rassegna, 1977, I, 572; sulla nozione di cause geologiche, idriche e simili, cfr. Cass., 19 marzo 1980, n. 1818, in questa Rassegna, 1981, I, 410 e Cass., 13 marzo 1982, n. 1638, in questa Rassegna, 1982, I, 843; sulla nozione di cause non previste, cfr. Cass., 10 luglio 1984, n. 4049, in questa Rassegna, 1984, I, 594; nel senso che l'imprevedibilit� rilevi solo riguardo a circostanze considerate rilevanti dalle parti contraenti, cfr. Cass., 12 luglio 1974, n. 2082, in questa Rassegna, 1974, I, 1024. r11r1111~r11111111,�11t11111~�111111r111t1r1111��1��11 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La decisione impugnata appare invece corretta -e ci� va rilevato con portata prevalente ed assorbente rispetto ad ogni altro aspetto o tema del dibattito tra le parti -, essendo ispirata alla regola, esattamente ri chiamata ed applicata, secondo la quale ai sensi dell'art. 1664, comma se condo, cod. civ. -della cui applicabilit� anche al contratto di appalto di opere pubbliche non � dato dubitare -il diritto dell'appaltatore a compenso per difficolt� di esecuzione; derivanti da cause geologiche, idriche e simili, postula che detti eventi non siano stati oggetto di pre. visione contrattuale e pertanto va escluso ove le disposizioni del capito lato speciale neghino ogni indennizzo all'appaltatore per il verificarsi . degli eventi medesimi. La serie di censure . mosse al riguardo dal ricorrente pu� cos� arti colarsi: a) interpretando l'art. 14 del capitolato speciale nel senso che esso contiene una previsione legata a prospettive di tempi illimitati, la Corte d'appello ha ritenuto che il contratto di appalto � un contratto a tempo indefinito, cos� violando i princ�pi in tema di appalto; b) nella interpretazione di detta norma la Corte non ha tenuto conto di altre clausole contrattuali, che identificavano un tempo di esecuzione costi� tuente elemento essenziale per la determinazione delle spese generali cio� di un addendo determinato dell'estimativo dell'opera ai sensi dell'art. 20 del citato d.m. 29 maggio 1895, con ci� violando questa norma e gli artt. 1362 e 1369 cod. civ.: e) con motivazion~ illogica e' non pertinente la Corte ha affermato che la dichiarazione di conoscenza, contenuta nel l'art. 14, che �i lavori, svolgendosi nel basso alveo del fiume, sono cer tamente soggetti alle piene�, costituisce previsione della durata dei pe riodi di sommersione per acque alte; laddove una corretta previsione poteva compiersi solo sulla base dell'estimativo del progetto e delle sta tistiche d'andamento medio del livello del fiume in un lungo periodo antecedente; d) inesattamente e illogicamente la Corte ha affermato che la previsione doveva farsi tenendo conto delle punte massime del li vello del fiume; e) non tenendo conto che appunto alle medie di lunghi periodi precedenti si sarebbero riferite le parti e la stessa Corte nel di sporre la consulenza tecnica. Nessuna di tali censure � fondata. !Il.fatti: a) la Corte ha affermato, fissando i termini dell'accordo con trattuale, che le parti contraenti, avendo prevista la continua soggezione dei lavori all'andamento idrometrico del fiume, avevano voluto river sarne l'alea sull'appaltatore, dar luogo cio� ad una particolare clausola dettata e spiegata dalla particolarit� dei lavori appaltati: il che non vuol dire avere affermato che quello fosse un contratto di appalto a tempo indefinito; b) il ricorrente non ha indicato �le altre clausole contrat tuali �, delle quali la Corte non avrebbe tenuto conto, e comprovanti che l'estimativo dell'opera avesse tenuto conto non gi� della continua soggezione dei lavori alla sommersione, bens� di una soggezione in qual� PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI che modo limitata. Non sussiste pertanto la violazione dedotta n� alcun vizio di interpretazione per contrasto con clausole contrattuali non esaminate. Le censure di cui ai punti e), d) ed e) possono esaminarsi congiuntamente, essendo tra loro interferenti. Facendo ricorso anche al tenore delle espressioni letterali adoperate, la Corte ha logicamente affermato che i lavori, dovendosi svolgere nel basso alveo del fiume, erano perci� soggetti all'andamento idrico del corso d'acqua, che ne avrebbe condizionato la durata senza far sorgere alcun diritto dell'impresa a particolari compensi. E non ha affatto sostenuto che la previsione doveva farsi con esclusivo riferimento alle punte massime del livello del fiume verificatesi negli anni precedenti; congruamente osservando invece che le ragionevoli previsioni non potevano non tener conto dell'esperienza del passato, che dimostrava ampia fluttuazione di valori ed irregolarit� del loro andamento, con valori ed eventi prossimi e talvolta superiori a quelli verificatisi nel corso dei lavori. Oltre che col ribadire tali concetti, la Cort� ha infine adeguatamente spiegato le ragioni del rifiuto della tesi del ricorrente, secondo la quale una ragionevole previsione avrebbe dovuto far prevedere che durante il corso dei lavori l'andamento idrometrico del fiume sarebbe coinciso con la media di alcun periodo precedente, quasi che quella media dovesse considerarsi tacitll!llente recepita in contratto quale limite della obbligazione assunta: testualmente quanto convincentemente argomentando che la media costituisce una entit� che si astrae da evenienze numeriche singole, che non ha riscontro in alcuna realt� concreta e difficilmente avrebbe potuto avervi riscontro per il futuro, mentre l'esperienza del passato aveva comportato valori idrometrici superiori alla media, sicch� simili valori non avrebbero certamente potuto escludersi da qualunque logica previsione. Esente da errori di diritto e da vizi logici, la sentenza della Corte d'appello tanto meno � incorsa nella emessa pronunzia su parte della domanda, in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., e nell'omesso esame di deduzione decisiva, ai sensi dell'art. 360 n. 5: che formano" oggetto del secondo motivo del ricorso. La domanda di pagamento di un equo compenso ai sensi dell'art. 1664 cod. civ., formulata dall'Impresa, non � stata mai modificata o integrata con altra domanda, tanto meno con quella -sulla quale la Corte, secondo il ricorrente, avrebbe omesso di pronunciare -rivolta a fare affermare la responsabilit� precontrattuale dell'Amministrazione appaltante per insufficienza di progettazione quale causa esclusiva dell'enorme prolungamento dei lavori. Un accenno in tale 'senso � contenuto soltanto nella memoria presentata del consulente tecnico dell'Impresa; ma non pu� certo riconoscersi formulata c6sl una rituale nuova domanda. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO .334 Del resto, neppure � configurabile come manchevolezza della progettazione la mancata prospettazione nella stessa del prolungamento dei lavori e delle sue pur prevedibili cause, essendo al riguardo pi� che sufficiente a rendere avvertita l'Impresa la precisazione contenuta nel ripetuto art. 14 del capitolato speciale che i lavori si eseguivano nel basso alveo del fiume con la continua soggezione alle piene. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE -Sez. Un., 16 gennaio 1985, n. 95 -Pres. Mira belli -Rel. CantiHo -P. M. Caristo (conf.) -Cassa per il Mezzogiorno (avv. Stato Russo) c. Sannita Finim s.r.l. (avv. Minozzi). Acque -Acque pubbliche -Concessione e derivazione � Sottensione � Obblighi del nuovo concessionario -Durata � Commisurazione alla durata residua della concessione sottesa -Sottensione di piccola derivazione per forza motrice � Esclusione � Durata trentennale. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 45 e 46). Acque -Acque pubbliche � Concessione e derivazione -Sottensione di fatto. -Illecito permanente � Prescrittibilit� del diritto al risarcimento del danno � Esclusione. (cod. civ. 2043; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 45 e 46). Nel caso di perdita di un'utenza di acqua pubblica a seguito di nuova concessione con essa incompatibile (cosiddetta sottensione), l'obbligo del nuovo concessionario di fornire a quello precedente una corrispondente quantit� di acqua o di energia, secondo la previsione dell'art. 46 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, configura un debito ex lege, che si ricollega ad un rapporto diverso ed autonomo da quello estinto, la cui durata resta correlata alla durata che avrebbe avuto l'utenza sottesa solo nelle ipotesi in cui ci� sia espressamente previsto dalla norma medesima. Pertanto, qualora la sottensione riguardi una piccola derivazione per forza motrice, riconducib�le nell'ipotesi contemplata dalla lett. c) del suddetto art. 46, l'indicato obbligo deve essere affermato per il periodo di trenta anni, specificamente fissato da tale ultima disposizione, indipendentemente dal fatto che la scadenza normale della conc�ssione sottesa sia eventualmente anteriore (1). In ipotesi di cosiddetta sottensione di fatto in utenza di acqua pubblica, che si verifica quando il legittimo concessionario ne venga privato ad opera di un soggetto che, incorrendo in illecito aquiliano (di natura (1-2) La sentenza 7 aprile 1981, n. 12, del Tribunale superiore delle acque pubbliche, confermata dalla Cassazione, pu� leggersi in Cons. Stato, 1981, Il, 445. Come gi� il Tribunale superiore la Corte ha ritenuto che l'apprensione dell'acqua, non sorretta da un titolo, se di fatto sottende la precedente conces PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 335 permanente), si sostituisca nella derivazione senza esserne stato autorizzato, e per il caso in cui l'autore dell'illecito medesimo sia un ente pubblico (nella specie, Cassa per il mezzogiorno), nei cui confronti non possa essere disposta la riduzione in pristino, il risarcimento del danno spettante al suddetto concessionario non pu� essere inferiore all'indennizza cui avrebbe avuto diritto, ai sensi degli artt. 45 e 46 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, a seguito di sottensione attuata legittimamente, e, pertanto, deve essere liquidato in misura corrispondente al valore delle prestazioni in natura imposte dalle citate norme a carico del sottendente (2). (omissis) 1. -Con il primo motivo, denunziando la violazione degli artt. 45 e 46 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, la ricorrente critica la sentenza nella parte in cui ha commisurato il risarcimento del danno al mancato godimento della concessione, oggetto dell'illecita sottensione, per il periodo di trenta anni, ai sensi del disposto della lettera c) della seconda norma. Sostiene che l'obbligazione del nuovo concessionario di mantenere la fornitura, essendo sostitutiva di quella che gravava sull'amministrazione concedente nella precedente utenza, ha necessariamente la stessa durata di questa ultima e perci� i termini stabiliti dalla norma hanno carattere sussidiario, in quanto diventano operanti solo per le utenze di durata maggiore; nella specie, la concessione sottesa sarebbe venuta a scadere nel marzo 1983, cio� dopo ventitr� anni dalla sottensione, verificatasi nel 1960, sicch� l'indennizzo avrebbe dovuto essere calcolato con riferimento al valore dell'energia che la Soc. Cartaria avrebbe ottenuto in tale periodo. La censura � infondata. Essa muove dal presupposto che, nell'ipotesi disciplinata dal secondo comma dell'art. 45 cit., la sottensione si risolve, in pratica, in una modificazione del primo rapporto di utenza, nel quale il nuovo concessionario si sostituisce all'amministrazione concedente con l'obbligo di eseguire una fornitura di acqua o di energia che in nessun caso pu� avere un ambito diverso da quello della concessione sottesa; da ci� si desume che il rapporto continua ad essere regolato, quanto alla durata, da tale sione, non determina una situazione materialmente irreversibile, ma una situa zione potenzialmente modificabile e continuamente mantenuta. Da questa impostazione � scaturita da un lato la affermata prescrit tibilit� del diritto al risarcimento del danno per il mancato godimento dell'ac qua, dall'altro la condanna al pagamento dell'equivalente del'indennizzo da sot tensione, come modo per realizzare in via risarcitoria e sostitutiva il diritto del concessionario in presenza di una condotta che, seppur ipoteticamente rever sibile, nel momento in cui la condanna � pronunciata d� luogo ad una situa zione di fatto di sottensione, che il giudice non pu� far cessare per il limite che gli deriva dall'art. 4 della legge sull'abolizione del contenzioso. 10 336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO concessione e cessa in modo automatico alla scadenza della medesima, con la conseguenza che l'art. 46 deve essere interpretato nel senso che fissa soltanto i termini massimi della fornitura nelle ipotesi in cui la concessione sottesa fosse destinata a rimanere in vita per un tempo mag. giore. Tanto la premessa, quanto la conseguenza non hanno base normativa. � esatto che l'art. 45 del t.u. n. 1775 del 1933, nell'imporre al nuovo concessionario di � indennizzare � il precedente utente fornendogli una quantit� di acqua o di energia corrispondente a quella utilizzata o, rispettivamente, ottenuta in forza della concessione sottesa, stabilisce un obbligo funzionale allo scopo di conservare la sostanza economica della medesima e di evitare cos� il pregiudizio che la perdita di essa cagiona al sotteso, al quale viene assicurata la stessa utilit� che ricavava in passato e ad un costo tendenzialmente invariato, essendo tenuto a pagare al nuovo concessiortario un canone uguale a quello che doveva corrispondere all'amministrazione. Ma questa correlazione con l'utenza precedente concerne, appunto, l'aspetto economico della sottensione, la quale sul piano giuridico configura, invece, una vicenda complessa che si articola nei due momenti, logicamente distinti, dell'estinzione della concessione sottesa e della costituzione di un nuovo rapporto, fra il sottendente e il sotteso, diverso per oggetto e funzione. L'estinzione della prima utenza � conseguenza necessaria della nuova e pi� importante derivazione, che ne prende il posto diventando l'unico rapporto concessorio con la pubblica amministrazione; essa si verifica, quindi, in ogni ipotesi di sottensione totale (della quale soltanto si occupa la legge, che non regola la sottensione parziale: v. Sez. Un., n. 3236/77), cio� tanto nella situazione eccezionale prevista dal terzo comma dell'art. 45 -in cui all'incompatibilit� giuridica della nuova concessione con la precedente si accompagna anche quella economica, sicch� il primo concessionario deve essere indennizzato in danaro, secondo � la legge sulle espropriazioni � -quanto nelle ipotesi ordinarie, previste dal secondo comma, in cui la posizione del primo utente viene tutelata nel modo suddetto, attraverso l'obbligo imposto al nuovo concessionario. In forza di questa disposizione, si costituisce ex lege, immediatamente e contestualmente alla nuova concessione (e ancorch� non menzionato nell'atto relativo), un distinto rapporto che, in armonia con la rilevata funzione lato sensu indennitaria, ha contenuto diverso da quello estinto, dal quale differisce perch� l'utilizzazione del bene da parte del primo utente assume carattere mediato, avvenendo tramite la fornitura del sottendente (e ci� assimila il rapporto, piuttosto che ad una subutenza, ad una somministrazione), e perch�, oltre ad avere ad oggetto una quantit� di acqua di solito non corrispondente a quella prima attri PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 337 buita al sotteso (la fornitura � limitata, come si � detto, al quantitativo effettivamente utilizzato in passato), nelle derivazioni per forza motrice riguarda un bene affatto diverso, cio� direttamente l'energia, che costituisce il risultato finale dell'attivit� svolta dal nuovo concessionario. Ci� conduce ad escludere che la scadenza del rapporto si possa ritenere direttamente regolata dalla prima concessione, ormai estinta; e di conseguenza si giustifica la specifica disciplina dettata al riguardo dall'art. 46 cit., la cui esegesi testuale e sistematica chiaramente contraddice, infatti, l'asserita funzione sussidiaria dei termini ivi stabiliti, evidenziando, per converso, una regolamentazione coerente con la finalit� risarcitoria suddetta. Sul piano testuale, la formula introduttiva del precetto -in particolare, l'assolutezza della dicitura �l'obbligo imposto al nuovo concessionario... avr� la seguente durata � -di per s� non lascia spazio ad un termine desumibile aliunde, diverso da quello previsto dalle successive disposizioni della stessa norma per le singole fattispecie enucleate con riguardo al tipo delle derivazioni e alla normativa in base alla quale furono concesse. L'esame di tali previsioni, poi, dimostra che la durata dell'obbligo di fomitura viene stabilita con riferimento alla scadenza della concessione sottesa per due categorie di derivazioni per forza motrice, cio� le grandi derivazioni assentite in base alla legge vigente o alle leggi in materia immediatamente precedenti (n. 2161 del 1919 e n. 1664 del 1916) -venendo assunto come termine finale la scadenza di dette concessioni ovvero, se precedente, quella delle nuove concessioni (lett. b) -e un limitato gruppo di piccole derivazioni, quelle assentite in base alla legge n. 1664 del 1916 (lett. e). Per le altre categorie di concessioni sottese, invece, la norma deter mina la durata dell'obbligo prescindendo da quella delle concessioni medesime; per le grandi utenze per forza motrice, concesse in base a leggi pi� antiche, vengono stabilite due date fisse di scadenza, valida in ogni caso (lett. a); per la categoria che qui interessa, cio� le piccole derivazioni per forza motrice diverse da quelle suddette, � prevista una durata unica di �trenta anni dall'inizio della nuova concessione� (lett. e); infine, per tutte le grandi e piccole derivazioni destinate ad uso diverso dalla forza motrice, la durata del nuovo rapporto viene commisurata a quella della nuova concessione, quale in concreto risulta � anche per effetto di proroghe e rinnovazioni� (lett. d). Se, dunque, la scadenza normale della concessione sottesa, prevista dal (o in base al) provvedimento con cui fu assentita, viene presa in considerazione dalla legge solo per determinate fattispecie, non � pos sibile attribuire rilievo a questo elemento nelle altre fattispecie, per le quali la durata del rapporto originato dalla sottensione viene stabilita in modo diverso, senza alcun riferimento, per questo aspetto, al titolo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO. S'.fATO della precedente concessione; e si deve perci� ritenere che i termini fis. sati dalla norma valgono in ogni caso, anche quando comportino in concreto una durata del rapporto di fornitura superiore a quella prevedibile in base alla normale scadenza della concessione sottesa. Questa disciplina appare pienamente razionale ove si consideri che la durata del rapporto risulta commisurata alla concessione medesima, o � addirittura inferiore (nelle ipotesi sub lettera a), per le grandi derivazioni ad uso di forza motrice, le quali non sono rinnovabili alla scadenza, mentre il termine viene stabilito in modo indipendente, e cosi il rapporto pu� protrarsi oltre quello della concessione originaria, per le piccole derivazioni di forza motrice e per tutte le altre aventi scopo diverso, le quali -ai sensi degli artt. 28 e 30 del testo unico -� sono rinnovate � alla scadenza � qualora persistano i fini della derivazione e non ostino superiori ragioni di pubblico interesse �. � vero che, per essere la rinnovazione subordinata ad un provvedimento della P. A., cui �. appunto demandato di verificare se al perpetuarsi della concessione non si oppongano prioritarie esigenze di pubblico interesse, il concessionario non ha un diritto soggettivo alla rinnovazione; ma non � contestabile che il potere discrezionale dell'ammi� nistrazione pu� essere esercitato in un ambito rigorosamente delimitato e perci� la situazione giuridica del concessionario, sebbene sia da qualificare in termini. di interesse legittimo, ha una particolare consistenza, che la rende prossima a quella del titolare di un'aspettativa. Riesce agevole, allora, individuare la ratio della norma in ci� che il legislatore, nel disciplinare la durata del rapporto di sottensione delle derivazioni di cui � ammesso il rinnovo, ha tenuto conto della prevedibile protrazione delle stesse per effetto del rinnovo, in modo da evitare o limitare il danno dell'utente sotteso anche con riguardo alla perdita dell'aspettativa suddetta. N� tale disciplina, in quanto consente ape legis una durata del rapporto di sottensione maggiore di quella dell'utenza sottesa, si pone in contrasto con la normativa, ora ricordata, sulla rinnovazione delle concessioni, essendo evidente che, in caso di sottensione, le finalit� di pubblico interesse relative alla derivazione vanno apprezzate, e ricevono tutela, nell'ambito della nuova concessione, mentre non vengonc;i in rilievo nel rapporto dipendente che si instaura tra sottendente e sotteso, che ha carattere privatistico e pu� anche essere diversamente regolato dalle parti, le quali possono limitare l'entit� della fornitura, modificare l'importo del canone e determinare la durata della stessa in modo difforme dalla norma dispositiva in oggetto. Nella specie, il Tribunale superiore ha anzitutto affermato che, in tema di sottensione c.d. di fatto -la quale si verifica quando il legittimo concessionario dell'acqua venga materialmente privato dell'esercizio del diritto ad opera di un soggetto che, incorrendo in illecito aquiliano, si sostituisca nella derivazione senza essere stato autorizzato alla PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 339 sottensione in forza cli una nuova concessione assorbente -se autore dell'illecito sia un ente pubblico, nei cui confronti non possa essere disposta la restituzione in pristino, il risarcimento del danno spettando al concessionario per questa causale in nessun caso pu� essere inferiore all'indennizzo in natura cui avrebbe avuto diritto, ex artt. 45 e 46 cit., se la sottensione fosse stata attuata legittimamente, sicch� deve essere liquidato in misura corrispondente al valore delle prestazioni in natura cui sarebbe tenuto il sottendente secondo i parametri indicati da dette norme. Muovendo da questo esatto principio, ora condiviso dalla stessa ricorrente, il Tribunale ha osservato che per la sottensione cli una piccola derivazione per forza motrice originariamente assentita in base alla legge n. 2161 del 1919, quale quella illegittimamente sottratta alla Soc. Cartaria, il sottendente � obbligato a fornire una quantit� cli energia elettrica, corrispondente a quella utilizzata, per la durata cli trenta anni dall'inizio della sottensione, ai sensi dell'art. 46, lett. e); e conseguentemente ha liquidato il risarcimento commisurandolo al valore dell'energia che avrebbe dovuto formare oggetto di una siffatta fornitura, cio� per un periodo di trenta anni dalla sottensione, senza tenere conto che la concessione sottesa sarebbe venuta a� scadere in epoca precedente. E questa conclusione deve essere condivisa, in base all'esegesi della disposizione qui accolta. 2. -Con il secondo motivo di ricorso, la Cassa per il Mezzogiorno -denunziando la violazione degli artt. 2 e 7 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1177, e vizi della motivazione -critica la sentenza per avere dichiarato prescritto il diritto al risarcimento limitatamente al danno relativo .al mancato godimento della derivazione nel periodo precedente al 22 ottobre 1965, laddove avrebbe dovuto ritenere prescritta, fino a questa data, l'intera pretesa risarcitoria, non essendo configurabile, per le derivazioni cli acque pubbliche, un danno diverso dal mancato godimento, giacch� il diritto del concessionario concerne solo l'uso enon la propriet� dell'acqua. La critica non ha consistenza. L'infondatezza si coglie agevolmente in ci� che essa confonde, e accomuna nella stessa disciplina ai fini della prescrizione; �il diritto di derivazione, il cui contenuto consiste nella facolt� di utiliizare l'acqua pubbli�a per la produzione di energia elettrica, con i risultati positivi dell'esercizio del medesimo, cio�, in pratica, il bene oggetto� del diritto con i frutti derivanti dal suo godimento, pervenendo alla conseguenza, manifestamente inaccettabile, di frazionare l'unitario diritto nei vari atti di esercizio dello stesso e di ritenere cos� che la prescrizione del risarcimento dei danni . per la perdita della derivazione decorra da ciascun momento del. mancato uso. 340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La sentenza in esame, invece, avendo correttamente ravvisato l'illecito nella illegittima privazione della disponibilit� dell'acqua, comportante la materiale soppressione della concessione, ha liquidato il danno relativo in base al valore del medesimo diritto, calcolato -come si � ! visto -con il parametro legale della lett. c) dell'art. 45, e ha disatteso l'eccezione di prescrizione della domanda risaq::itoria non gi� con riguardo al contenuto della concessione (assimilandola, come opina la ricorrente, ad un diritto di propriet� sull'acqua), bens� nella considerazione ' che all'illecito doveva attribuirsi carattere permanente, stante l'astratta possibilit�, da parte della Cassa per il Mezzogiorno, di porre termine alla captazione dell'acqua, restituendone la disponibilit� alla societ� concessionaria. Sulla somma capitale liquidata, corrispondente -si ripete -al valore della concessione in fatto perduta, il Tribunale ha riconosciuto il diritto della Soc. Cartaria agli interessi legali a far tempo dalla sottensione, a titolo di risarcimento per il mancato godimento, tuttavia limitandolo nel senso suddetto (cio� a partire dall'ottobre 1965) per effetto della prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 cod. civ., in questo caso operante di giorno in giorno in rapporto al maturare degli interessi. Anche queste statuizioni, quindi, risultano conformi a diritto e congruamente motivate, sicch� il ricorso deve essere rigettato, con conseguenziale condanna della ricorrente alle spese di questo giudizio di cassazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1985, n. 396 -Pres. Santosuosso -Rel. Di Salvo -P. M. Nicita (diff.) -Fallimento S.A.S.P.I. (avv. Vetrano) c. Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Salimei). Responsabilit� patrimoniale -Mezzi di conservazione della garanzia patri moniale � Azione surrogatoria � Esperibilit� � Contro terzo debitore avente natura pubblicistica � Sussiste. (cod. civ., art. 2900). L'esperibilit� da parte del creditore dell'azione surrogatoria, ai sensi e nel concorso dei requisiti dell'art. 2900 cod. civ., non trova ostacolo nella natura pubblicistica del soggetto debitore, trattandosi di circostanza che non esclude la configurabilit� di un pericolo di insolvenza, per effetto di inerzia del debitore medesimo nell'esercizio dei propri diritti di tipo patrimoniale e disponibile (1). I �: �: (1) Cass., Sez. Un., 14 marzo 1980, n. 1713, richiamata in motivazione, � pubblicata in Giur. it., 1980, I, 1, 1572 e Giur. agr., 1982, 160 con nota di RAMELLI r:: DI CELLE, Surrogazione e esecuzione contro la pubblica amministrazione. { La Corte, in quell'occasione, pronunciando in un giudizio promosso dal i concessionario di un servizio pubblico di raccolta e distribuzione del latte e su !:: ,, �-1~ :: :� :� :� PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 341 (omissis) Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3 cod. proc civ.) di norme di diritto (artt. 2900 e 2740 cod. civ.) per non aver ricondotto l'istituto dell'azione surrogatoria al pi� generale principio della responsabilit� patrimoniale e per non aver ammesso l'esperibilit� dell'azione surrogatoria anche nei confronti della pubblica amministrazione. Anche questa censura � fondata. Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 1713 del marzo 1980, emessa in un contesto temporale prossimo a quello della sentenza impugnata, hanno innovato il precedente indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'azione surrogatoria veniva ritenuta non esperibile, quando il soggetto debitore fosse un ente pubblico, per difetto del presupposto del pericolo di pregiudizio delle ragioni patrimoniali del creditori stabilendo che essa pti� essere proposta anche nei confronti di soggetti dotati di personalit� giuridica pubblica. Invero, gli effetti del principio della responsabilit� patrimoniale di cui all'art. 2740 cod. civ., secondo il quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, si estrinsecano, oltrech� nell'azione esecutiva, anche nel complesso funzionale e strumentale dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, fra i quali rientra, insieme all'azione revocatoria ed al sequestro conservativo, anche l'azione surrogatoria la quale ha carattere conservativo e strumentale, essendo rivolta ad assicurare la conservazione di beni potenzialmente necessari a tale realizzazione; essa costituisce, pertanto, un inezzo di tutela indiretta del diritto di credito in quanto rivolto a conservare l'oggetto della responsabilit� del debitore e ad assicurare la realizzazione coattiva del diritto di credito. Le probabilit� di successo dell'azione esecutiva sono correlate al comportamento del debitore perch� il principio della responsabilit� patrimoniale opera soltanto rispetto ai beni che, al momento in cui, con il pignoramento, viene iniziata l'esecuzione forzata, si trovano nella sfera giuridica del debitore, mentre rispetto a quelli che non ne fanno pi� parte, a causa di un negozio giuridico o di un comportamento del de- un'azione surrogatoria intesa a far affluire al patrimonio del consorzio concedente i contributi consortili dovuti dai comuni consorziati e non riscossi dal consorzio, ritenne che l'esperimento dell'azione, a garanzia della futura realizza' zione dei crediti inerenti alla concessione, non trovava ostacolo � ... n� nella natura pubblicistica del consorzio, in quanto l'esercizio da parte di questo del credito per contributi consortili, cosi come la sua inerzia nell'esercizio stesso, non sono espressione di funzioni amministrative autoritarie e discrezionali, n� nell'oggetto del credito medesimo, il quale � costituito di somme destinate al pagamento dei debiti e delle spese gestionali di quel servizio facoltativo, come tali non rientranti nel patrimonio indisponibile del consorzio, e di conseguenza sicuramente assoggettabili all'azione esecutiva del concessionario �. 342 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO bitore, il creditore, salvo che non sussista un diritto personale di garanzia, non ha la possibilit� di aggredirli. Il debitore pu� sottrarre i beni alla loro funzione di garanzia patrimoniale, non soltanto mediante atti o negozi giuridici o comportamenti rivolti alla loro distruzione, al loro celamento -materiale o giuridico realizzabile, quest'ultimo, mediante alienazioni simulate -, ovvero alla loro alienazione reale, ma altres� omettendo di esercitare diritti per conservare o far entrare altri beni nel proprio patrimonio. La natura pubblica del soggetto debitore non esclude la sussistenza, in via di principio, del pericolo per il creditore di realizzare quanto gli spetta perch� anche il comportamento inerte dell'ente pubblico pu� pregiudicare i diritti di altri soggetti come pu� avvenire, e lo si enuncia in via meramente esemplificativa, nell'ipotesi in cui il comportamento passivo del debitore determini il verificarsi di prescrizioni o decadenze. L'esercizio dell'azione surrogatoria non subisce, quindi, alcuna preclusione per effetto della diversa natura, pubblica o privata del soggetto debitore; i suoi presupposti sono in ogni caso i medesimi e si riassumono: a) nella qualit� di creditore dell'attore; b) .nella prova dell'esistenza del credito, nonch� della liquidit� e dell'anteriorit� di esso; c) nell'esistenza di un diritto patrimoniale e disponibile che i~ .debitore vanta verso un terzo; d) dell'inerzia del titolare del diritto; e) nell'eventus danni che � all'origine dell'interesse del creditore ad agire (Cass., 1973, n. 1294) e che sussiste, indipendentemente dall'ac�ertamento dell'effettivo stato di insolvenza del debit�re e cio� di un pregiudizio attuale e certo per il creditore, essendo sufficiente un pericolo di insolvenza, un nocumento eventuale e possibile. (omissis) TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE, 25 marzo 1985, n. 18 -Pres. Pratis -Rel. Cherubini -Amministrazione lavori pubblici (avv. Stato Carbone) c. Societ� Manifatture Festi e Rosini (avv. Barbantini e Leveroni). Acque -Acque pubbliche -Tribunali regionali delle acque -Competenza per territorio -Criterio del forum rei sitae -Inderogabilit� della competenza. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140). � Le controversie attribuite alla competenza per materia dei Tribunali regionali delle acque pubbliche sono ripartite territorialmente secondo l'unico criterio del forum rei sitae e tale competenza � inderogabile. Spetta perci� al Tribunale regionale del luogo in cui si trovano le opere di grande derivazione di acqua e non a quello del luogo in cui ha sede PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 343 l'ufficio che ha emesso l'ingiunzione, conoscere dell'opposizione all'ingiunzione emessa per la riscossione di sovracanoni a norma della legge 27 dicembre 1953, n. 959. (omissis) Preliminarmente va esaminato il motivo con il quale l'Amministrazione dei LL.PP. eccepisce la incompetenza del giudice adito, sostenendo che la cognizione sull'opposizione de qua spetta al Tribunale regionale delle acque di Milano nella cui circoscrizione sono situate le opere di grande derivazione di acque per la quale � stato chiesto con ingiunzione il sovracanone. Il motivo � fondato. La giurisprudenza di questo Tribunale superiore si � pi� volte espressa nel senso �he in materia di opposizione ad ingiunzione per il pagamento del sovracanone, richiesto ai sensi della legge 27 dicembre 1953, n. 959, la competenza spetta al Tribunale regionale delle acque del luogo ove sono le acque, le opere o i beni oggetto della lite e non gi� quello del luogo ove ha sede l'ufficio che ha emesso l'ingiunzione. Nelle sue sentenze, il Tribunale superiore ha puntualizzato che � il forum rei sitae costituisce la base, sia pure implicita dello speciale procedimento davanti ai giudici delle acque, tanto vero che il legislatore non ha neppure avvertito la necessit� di fissare particolari criteri per la determinazione della competenza territoriale. Invero le contiroversie in tema di acque pubbliche involgono, di regola, la soluzione di delicati problemi tecnici, che, come � ovvio, non pu� prescindere dall'esame della concreta situazione reale dedotta in giudizio. Le varie ipotesi previste dall'art. 140 si riferiscono tutte al luogo dove sono le acque, le opere o i beni oggetto della lite ed � ben nota la difficolt� di distinguere in subiecta materia la natura reale od obbligatoria del rapporto controverso, sempre intimamente collegato ad un determinato ambito territoriale. Sotto questo riflesso la specializzazione dei tribunali regionali concerne non solo la materia del giudizio, ma anche la sfera di competenza territoriale, sicch� in definitiva la ripartizione circoscrizionale soddisfa, oltre alla normale esigenza di tecnica organizzativa, la superiore e preminente finalit� di una pi� efficace tutela dell'interesse pubblico connesso alla demanialit� delle acque, assumendo in tal modo il valore e la portata di una vera e propria attribuzione istituzionale. Il principio anzidetto, se non trovasi enunciato, in maniera espressa, dalla legge (1) Nello stesso senso cfr., Cass., 9 gennaio 1959, n. 24, in G�ust. civ., 1959, I, 466 e, per indicazioni d'altri precedenti in argomento, Relaz. Avv. Stato, 19611965, II, 248. Cass., 29 ottobre 1981, n. 5693, richiamata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1981, I, 846, mentre Cass., 16 dicembre 1971, n. 3865, ma, recte, 3685 pu� leggersi in Giust. civ. Mass., 1971, 1991. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 344 speciale, si desume tuttavia, secondo un procedimento interpretativo pienamente consentito sotto l'impero dell'abrogato codice di rito, dalla intenzione del legislatore e rappresenta, altres�, il logico presupposto di tutto il sistema del contenzioso delle acque �. Ora, � vero che l'opinione qui sopra riportata � ancorata, tra l'altro, al principio secondo cui �pur dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, il sistema processuale delle acque pubbliche rimane collegato, nella sua interezza, alle norme contenute nel codice di rito del 1865 �, dal quale fa conseguire la non necessit� di una espressa menzione della inderogabilit� della competenza territoriale dei Tribunali regionali delle acque, asserendo che questa qualit� pu� desumersi dalla intenzione del legislatore; ed � anche vero che il detto principio � stato disatteso dalla pi� recente giurisprudenza della Corte Suprema, la quale, con la sentenza n. 5693 del 29 ottobre 1981, ha affermato che: �il riferimento contenuto nell'art. 208 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici, quanto al procedimento da seguirsi innanzi ai tribunali regionali ed al tribunale superiore delle acque pubbliche (in grado di appello), al codice di procedura civile, ha carattere mobile, e si intende fatto al codice di procedura civile vigente nel momento in cui il procedimento si svolge�; tuttavia, la stessa Corte di cassazione, (con altra sentenza n. 3865 del 16 dicembre 1971) ha affermato, sia pure statuendo in materia diversa da quella propria dai tribunali delle acque, un principio applicabile in quest'ultima materia. Ha precisato la Suprema Corte che la dizione iI1derogabilit� � disposta espressamente dalla legge � contenuta nell'art. 28 cod. proc. civ. � non va intesa in senso letterale e formalistico, bens� secondo gli ordinari criteri interpretativi. L'inderogabilit� si pu� quindi ritenere disposta anche se non dichiarata expressis verbis dal legislatore, purch� risulti comunque certo che questi l'ha voluta. E tale certezza pu� aversi quando, con disposizione speciale, sia stato previsto un foro territoriale esclusivo determinato dal rapporto in cui le cose o le situazioni oggetto della causa si trovino con un luogo, e la ratio di questa previsione sia da ravvisarsi nella considerazione che, dato quel rapporto, il giudice di quel luogo � particolarmente idoneo a decidere e a provvedere, e l'esercizio della funzione giurisdizionale � quindi, per quella causa, pi� agevole ed effi. cace presso quel foro territoriale che presso qualsiasi altro �. Pertanto, in conformit� con i principi affermati dalla Corte Suprema, deve riaffermarsi che la competenza dei tribunali regionali delle acque � territoriale ed inderogabile; inoltre, che essa prevale, come ripetutamente chiarito da questo Tribunale superiore, sul diverso criterio di competenza indicato dall'art. 3 del t.u. 14 aprile 1910, n. 639. Ne consegue che la cognizione della opposizione de qua spetta al Tribunale regionale delle acque di Milano nella cui circoscrizione � si PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 345 foato il fiume Serio e le opere idrauliche per le quali � stato chiesto il sovracanone. Peraltro, questo Tribunale superiore non ha il dovere di ritenere la causa, ai sensi dell'art. 354 del vigente codice di rito perch� l'art. 191 del t.u. n. 1775 del 1973 fa espresso rinvio all'art. 493 dell'abrogato codice di procedura civile, il quale dispone che qualora in prima istanza si sia pronunciato sulla competenza e sul merito non si pu� in appello conoscere di questo, se sia dichiarata la incompetenza dei primi giudici; ed � appena il caso di precisare che in presenza di un siffatto rinvio recettizio, la norma richiamata va senz'altro applicata (vedi, in motivazione, sentenza Sez. Uni., n. 5693/81, citata). Pertanto la sentenza impugnata va riformata e dichiarata la competenza del Tribunale regionale delle acque di Milano. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. penale III, 24 aprile 1985, n. 3867 -Pres. De Martino -Rel. De Maio -Rie. Amministrazione finanziaria dello Stato, parte civile (avv. dello Stato Fiumara). Tributi erariali indiretti -Art. 36 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 -Esportazione di imbarcazione da diporto -Immatricolazione o iscrizione nei registri di altro Stato � Sufficienza. Tributi erariali indiretti -Iva all'importazione. � E' diritto di confine � Accertamento e riscossione -Competenza esclusiva della Dogana. Tributi erariali indiretti -Iva all'importazione -Prescrizione ex art. 84 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 e non ex art. 57 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. Reato � Reati doganali -Contrabbando -Artt. 216 e 292 d.P .R. 23 gennaio 1973 n. 43 -Importazione temporanea di imbarcazione da diporto -Stazionamento in acque italiane oltre il termine di un anno previsto dalla Convenzione di Ginevra 18 maggio 1956 resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961 n. 1553 -Omessa dichiarazione doganale di importazione definitiva � Sussistenza del reato. REATO -Reati doganali -Contrabbando -Artt. 216 e 292 t.u. 23 gennaio 1973 n. 43 -Importazione temporanea di imbarcazione da diporto -Stazionamento in acque italiane oltre il termine di un anno previsto dalla Convenzione di Ginevra 18 maggio 1956 resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961 n. 1553 -Reato permanente -Indisponibilit� del natante per riparazioni � Interruzione della permanenza -Sequestro del natante � Cessazione della permanenza. Mentre per le merci comuni il presupposto dell'obbligazione tributaria di cui all'art. 36 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 si considera avverato se le merci sono uscite dal territorio doganale, per i mezzi di trasporto, tra cui le imbarcazioni da diporto, per aversi l'esportazione � sufficiente l'immatricolazione o la iscrizione nei registri di altro Stato. L'imbandieramento, indipendentemente dal luogo nel quale si trovi la nave stabilmente od occasionalmente, opera una presunzione di trasferimento perch� conferisce al mezzo il regime giuridico dello Stato nei cui registri � iscritto. L'IVA all'importazione � diritto di confine, avendo natura di � imposta di consumo a favore dello Stato� (art. 34 t.u. doganale), la cui impo PAim! I, SEZ. VIII, GIURISPRUDBNZA PENALE sizione e riscossione spetta esclusivamente alla Dogana in occasione della relativa operazione di importazione. L'IVA all'importazione si prescrive nel termine previsto dall'art. 84 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 e non nel termine previsto dall'art. 57 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Sussiste il reato di contrabbando di cui all'art. 292 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 qualora una imbarcazione da diporto battente bandiera straniera stazioni in acque italiane per oltre il termine di un anno previsto dalla Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956 resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961, n. 1553 e richiamata dall'art. 216 del d.P.R. citato, senza che si sia effettuata la dichiarazione doganale di importazione definitiva e siano stati pagati i relativi diritti doganali. Il reato di contrabbando di cui alla massima che precede � reato permanente poich� la disponibilit� del natante nel territorio dello Stato si protrae in costante evasione dell'obbligo, che invece poteva essere assolto, di effettuare la dichiarazione doganale di importazione definitiva e pagare i relativi diritti doganali. La permanenza � interrotta dalla indisponibilit� del natante per riparazioni e cessa con il sequestro del natante stesso. (Omissis) L'imputato, gi� condannato dal Tribunale di Messina con sentenza del 30 gennaio 1984, � stato assolto con formula piena dalla Corte D'Appello dal delitto di cui agli artt. 216, 292 t.u. leggi Doganali n. 43/1973 integrati dall'art. 2 Convenzione di Ginevra 18 maggio 1956, resa esecutiva con legge 3 novembre 1961, n. 1853, e dal decreto Ministero delle Finanze 12 settembre 1981, per avere importato l'imbarcazione da diporto � My Cristina�, immatricolata nel registro navale tedesco, in violazione delle leggi sul contrabbando che gli imponevano di pagare i diritti doganali (Ace. in Messina il 19 ottobre 1982). Ricorre l'Amministrazione finanziaria dello Stato a tutela degli interessi civili a norma dell'art. 195 c.p.p. e deduce il travisamento del fatto. Il difensore dell'imputato, invece, nel riportarsi a tutti i mezzi dedotti nel giudizio di appello, cWede la conferma della sentenza ed eccepisce l'inammissibilit� del ricorso della P.C. essendosi prescritto il diritto della Finanza al recupero dell'imposta evasa. La Corte ritiene di dover accogliere il ricorso. Sussiste, infatti, il denunciato vizio di travisamento perch� il giudice di appello si � discostato dal fatto contestato che � quello di avere (l'imputato) importato e mantenuto la nave nelle acque territoriali in violazione dei tributi dovuti e non gi� di avere acquistato anteriormente la stessa in Italia senza corrispondere la relativa imposta sul valore aggiunto. Le conseguenze della diversa impostazione del fatto non sono peraltro di ordine soltanto formale bens� profondamente sostanziale. 348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nella prima fattispecie, infatti, ovvero cessione interna o all'esporta� zione di beni, l'IVA, neanche dovuta dall'imputato in quanto acquirente bens� dal venditore, non doveva essere comunque corrisposta vigendo il regime esonerativo, abrogato solo successivamente dal dJ. 6 luglio 1974, n. 254 convertito in legge 17 agosto 1974, n. 383. Nella seconda ipotesi, che � quella contestata, invece, l'imposta � dovuta insieme agli eventuali altri diritti per il fatto dell'importazione dello stesso bene nel territorio dello Stato. Il difetto rilevato comporta l'annullamento della sentenza ma � pregiudiziale al provvedimento di rinvio la valutazione, a norma degli articoli 539, n. 9 e 541 in relazione al 152 c.p.p., delle eccezioni mosse dall'imputato, ovviamente delimitate all'esistenza degli interessi sostenuti dalla parte civile ed alla tempestivit� della relativa azione ai sensi degli art. 190 e 195 c.p.p. Assume, in ordine sistematico, il difensore che manca il presupposto di una qualsiasi obbligazione tributaria, perch�, superato il momento impositivo dell'IVA alla cessione e cio� all'atto dell'acquisto del natante (imposta, come si � detto, non dovuta), non essendo mai stato questo trasferito dalle acque territoriali oltre la linea di confine, non si era, di conseguenza, verificata importazione. Semmai era configurabile la violazione amministrativa, di omessa esportazione nel termine previsto, di cui all'art. 46 del d.P.R. 633/72 sull'IVA. A rafforzare tale tesi cita l'art. 36, IV comma, della legge doganale d.P.R. 43/973, secondo il quale il presupposti> dell'obbligazione tributaria si considera non avverato se le merci non sono uscite dal territorio doganale. La Corte rileva che ci� � esatto per quanto concerne il movimento delle merci comuni, mentre per i mezzi di trasporto per aversi l'esportazione � sufficiente l'immatricolazione o iscrizione nei registri di altro Stato. L'imbandieramento cio�, indipendentemente dal luogo nel quale si trovi la nave stabilmente od occasionalmente, opera una presunzione di trasferimento perch� conferisce anche al mezzo il regime giuridico dello Stato nei cui registri � iscritto (v. di questa Sez. n. 11028 del 20 novembre 1982, Menon; n. 9414 del 10 novembre 1983 Benvenuto, ecc.). Nel caso in esame l'imbarcazione risulta immatricolata nel Registro di Amburgo per atto 8 gennaio 1975 (v. fol. 42). E, per rigore, deve rilevarsi che non � assolutamente vero che la nave non abbia mai lasciato le acque territoriali, perch� risulta essere stata a Malta dal 28 ag�sto al 18 settembre 1974, giusta certificazione della Capitaneria di Porto di Messina (fol. 26). Dopo l'immatricolazione all'estero dell'8 gennaio 1975, trovandosi il natante nel territorio dello Stato, doveva essere effettuata la dichiara� zione doganale di importazione, cui conseguiva l'esonero dal pagamento PARm I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE dei diritti doganali fino al termine dei periodi di stazionamento in uso o di custodia in disarmo stabiliti per le navi da diporto dall'art. 216 della legge doganale h1 relazione alla citata Convenzione di Ginevra. Spirati detti termini senza la riesportazione, dovevano essere corrisposti i predetti tributi alla Dogana. Quanto poi al fatto che la nave non � stata immatricolata nei registri italiani e non � stata richiesta l'agevolazione di soggiorno concessa dalla Convenzione di Ginevra per le imbarcazioni da diporto, la Corte ne constata l'irrilevanza sia ai fini della configurazione del reato di contrabbando che della data di consumazione. L'immatricolazione dei mezzi stranieri nei registri nazionali non � affatto obbligatoria bens� facoltativa a norma dell'art. 7 della legge 11 febbraio 1971, n. 50 sulla navigazione da diporto. Ne discende che quando essa venga effettuata, pu� costituire una prova presuntiva o �ggiuntiva dell'importazione, (v. art. 36, IV comma Legge Doganale) ma non pu� ritenersi essenziale a tal fine, sia per la citata discrezionalit� che per la facile eludibilit�. N� ha rilievo difensivo la mancata richiesta di avvalersi della Convenzione di Ginevra, sia perch� i periodi di soggiorno o di custodia sono istituiti a favore del non residente in qnanto comportano l'esonero dal pagamento dei diritti doganali sia perch� detta Convenzione, resa esecutiva con legge dello Stato, � tramutata nella norma di carattere generale di cui all'art. 216 della Legge Doganale e quindi va indifferentemente applicata a tutti i mezzi da diporto presenti nelle acque territoriali nei termini fissati, decorsi i quali scatta l'obbligo della regolarizzazione fiscale. (cfr. sent. 1387 del 15 febbraio 1984, Fiore; 4695 del 19 maggio 1984, Lotze). Il mancato adempimento fa quindi sorgere e decorrere da tale data la consumazione del reato. Erronea, poi, � l'altra eccezione secondo la quale non sarebbe configurabile il reato doganale bens� un illecito amministrativo prescritto. Sostiene la difesa dell'imputato che il tributo dovuto anche in sede doganale � l'IVA e che questa � regolata dalla relativa legge n. 633/72 e non pu� quindi qualificarsi diritto doganale, per cui doveva essere accertata, a norma dell'art. 57, entro i cinque anni dal verificarsi del presupposto mentre tale termine � stato ampiamente superato. Ora � ben vero che la Amministrazione doganale nell'atto di invito alla conciliazione amministrativa indica l'IVA (e la multa in misura doppia fl. 1-3) ma ci� non vuole essere uno snaturamento bens� una individuazione del diritto doganale dovuto. A questo punto � opportuno fissare il concetto di diritto doganale. Esso non � un tributo proprio bens� ogni diritto fiscale che � imposto e riscosso quasi sempre simultaneamente a causa di un'operazione di confine nella quale deve intervenire la dogana. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Infatti l'art. 34 della Legge Doganale nel darne la definizione, d'altronde pluralistica, considera � diritti doganali � tutti quelli che la dogana � tenuta a � riscuotere in forza di una legge � in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali, costituiscono poi diritti di confine i dazi, i prelievi all'importazione e all'esportazione ed inoltre, quanto alle importazioni, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed �ogni altra imposta di consumo a favore dello Stato�. L'IVA dovuta all'importazione � quindi uno dei diritti di confine, avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta esclusivamente alla Dogana in occasione della relativa operazione di importazione (v. Art. 35). Di concerto con tali norme generali doganali infatti, gli artt. 67, 70 della Legge sull'IVA n. 633/72 stabiliscono che l'imposta all'importazione � accertata, liquidata e riscossa dalla dogana per ciascuna operazione � che si applicano, per le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi (doganali) relative ai diritti di confine. La sottrazione all'IVA all'importazione �, quindi, sottrazione ad un diritto doganale di confine, sanzionata esclusivamente dalla legge doganale come reato di contrabbando (art. 292). L'opposta tesi difensiva secondo la quale l'imposta � soggetta al sistema ed ai termini di accertamento ordinari non tiene conto delle argomentazioni giuridiche, svolte in base alla interpretazione delle leggi citate che la regolano. Se ve ne fosse bisogno, ad escludere la applicabilit� nella fattispecie del regime ordinario � sufficiente tener presente che la legge sull'IVA distingue quella imponibile sulle operazioni territoriali nello Stato fino all'esportazione (cosidetta imposta interna) e disciplinata dal titolo quarto, da quella dovuta per le importazioni e regolata dal titolo quinto. Dal raffronto dei due titoli si ricava che la prima ha come presupposto l'obbligo della dichiarazione annuale del contribuente, si corrisponde mediante versamenti globali periodici agli uffici IVA i quali rettificano le dichiarazioni o, in mancanza, eseguono gli accertamenti anche in via induttiva con le modalit� e nei termini propri dell'imposizione diretta con conseguente attribuzione del contenzioso alle Commissioni Tributarie. L'altra, invece, � accertata e riscossa immediatamente per ciascuna operazione di importazione dalla Dogana. Eventuale contestazione sulla qualit�, quantit� e valore imponibile � regolata da tempi ed autorit� diversi dal citato contenzioso ordinario giurisdizionale e cio�, in base all'art. 70 della legge doganale; e cos� anche le sanzioni che per l'IVA interna sono quelle proprie, indicate dalla legge istitutiva, per quelle relative alle importazioni sono invece previste dalla legge doganaJe. f, 'E [: ! PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE: Da ci� discende che, essendo diverso il meccanismo di accertamento, liquidazione e riscossione per le due forme di IVA, non pu� applicarsi alla seconda, � sulle importazioni � il termine quinquennale per l'accertamento di cui dall'art. 57 del d.P.R. 633/72 del titolo quarto, in quanto formalmente e sostanzialmente riferito alla prima e cio� all'IVA interna. Soccorre, invece, in forza del citato rinvio dell'art. 70 d.P".R. 633/72 l'art. 84 del d.P.R. n. 43/73 che, nel regolare la prescrizione dei diritti doganali, stabilisce che, qualora .il mancato pagamento abbia causa da un reato, la azione per la riscossione si prescrive con il decorso di cinque anni dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, siano divenuti ii.rrevocabili. La ragione di tale regola che rinvia la decorrenza del termine di azionabilit� del diritto fiscale all'esito del giudizio penale, si evidenzia dal fatto che intanto l'obbligazione tributaria esiste e pu� essere pretesa in quanto sia stato accertato dal giudice il reato di sottrazione all'obbligo della dichiarazione doganale di importazione ed al relativo pagamento dei diritti fiscali. Indubbiamente tale indagine deve essere fatta da questa Corte, pur se manca il ricorso del P.M., perch� pregiudiziale ad un'azione diretta di recupero dell'imposta da parte della Amministrazione finanziaria, nella sua sede propria amministrativa (art. 84 citato). Mentve l'accertamento di eventuale estinzione dello stesso reato per prescrizione inciderebbe negativamente sull'azione civile, gi� esercitata per il risarcimento del danno in questa sede, perch� la prescrizione del reato determinerebbe anche la prescrizione dell'azione civile in applicazione dell'art: 2947 �.e., salvo ovviamente la valutazione di cause interruttive (richiesta di pagamento, con l'invito alla conciliazione o rinuncia tacita per intempestivit� della eccezione). Ma la Corte � sollevata dall'esame di queste secondarie implicazioni perch� il reato sussiste in quanto l'imputato, reside~te all'estero (Sviz zera), decorso il periodo di un anno dall'imbandieramento in Germania e cio� 1'8 gennaio 1976 avrebbe dovuto, a norma dell'art. 216 L.D., effet tuare la dichiarazione doganale di importazione definitiva e pagare i rela tivi diritti doganali (v. fol. 42). Tale reato � poi nella fattispecie permanente poich� si � protratta la disponibilit� del natante nel territorio dello Stato ii.n costante evasione dell'obbligo indicato che invece poteva essere assolto (v. Sent, 29 marzo 1984, n. 2893, Rochas; 14 aprile 1984, n. 3459, Brugnoli, ecc.). Non ha rilievo l'eccepita mancanza di conoscenza dell'obbligo fiscale perch� � sufficiente n dolo generico, ovvero la consapevolezza del fatto indipendentemente dal fine di evasione e dall'ignoranza della legge penale, che non discrimina neanche il cittadino straniero. 352 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I La permanenza ha avuto un'interruzione dal gennaio -febbraio 1979 ai corrispondenti mesi del 1980, perch� in questo anno l'imputato non ebbe la disponibilit� del natante in quanto affondato per un infortunale ed immobilizzato in cantiere poi per la riparazione (v. fl. 16-35). La consumazione del reato riprende, quindi, a decorrere dal gennaio Ifebbraio 1980 e si protrae di nuovo permanente fino alla data di sequestro 19 ottobre 1982, avendo l'imputato mantenuto la sua condotta omissiva, nonostante la disponibilit� della nave riattata nelle acque territoriali dello Stato. I N� il tributo, quindi, (d'altronde richiesto con invito del 10 gennaio 1983 (fol. 1 bis), n� il reato sono prescritti e l'azione, civile � validamente sostenuta per il risarcimento del �danno� di cui l'imposta non pagata � una componente. La sentenza allora deve essere annullata, per� con rinvio al giudice civile di appello. Non pu� cio� accogliersi la richiesta �lell�i. P.C. di condannare in questa sede al risarcimento del danno perch�, pur essendo consentito alla Corte dagli artt. 539 n. 9 e 541 c.p.p. dare i provvedimenti sostitutivi del rinvio, questi debbono rientrare nei limiti della propria competenza. E poich� la quantificazione del danno implica un apprezzamento di merito, neanche eseguito dal primo giudice che aveva rinviato in separata sede, la decisione esorbita dalla competenza di legittimit� della Corte Suprema. N� pu� disporsi la confisca del natante, pur richiesta dalla P.C., trattandosi di misura di sicurezza controversa per avere l'imputato affer� mato nel quarto motivo di appello che l'imbarcazione � di propriet� di terzi. La relativa decisione �, quindi, riservata allo stesso giudice civile o in subordine a quello dell'esecuzione penale a norma degli artt. 240 c.p., 301 e 342 Legge Doganale, 622 e 655 c.p.p. (v. Cass. Sez. I, 15 aprile 1959 Calissano in Giust. Pen. 1959, III 709). Resta, pertanto, fermo il sequestro ex, art. 301 e 342 t.u. Leggi Dog. n. 43/73, 189 c.p. e 622 c.p.p. (Cass. III, 26 marzo 1958 Franceschini, in Giust. Pen. 959, III 80). PARTE SECONDA RASSEGNA DI-LEGISLAZIONE I -NORivlE DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice penale militare di pace, art. 101, limitatamente alle parole � con la reclusione militare da sei mesi a tre anni, se il superiore � un ufficiale, e con la stessa pena fino a sei mesi, se il superiore non � un ufficiale �. Sentenza 4 aprile 1985, n. 102, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. codice penale militare di pace, art. 196, terzo comma, limitatamente 'alle parole � la reclusione militare fino a tre anni �. Sentenza 4 aprile 1985, n. 102, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. codice penale militare di pace, art. 309. Sentenza 20 marzo 198S, n. 74, G. U. 27 marzo 1985, n. 74 bis. r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 17, primo comma [convertito in legge 9 gen� naio 1939, n. 41], nella parte in cui esonera gli enti ivi indicati da ogni contributo per il personale in servizio che appartenga a quelle categorie per le quali leggi o regolamenti prevedano un' trattamento di quiescenza. Sentenza 17 aprile 1985, n. 108, G. U. 24 aprile 1985, n. 97 bis. legge provincia di Bolzano 25 luglio 1970 ,n. 16, artt. 12 e 15, nelle parti in cui non �escludono l'applicabilit� delle disposizioni in esse contenute alla realizzazione delle grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico. Sentenza 1� aprile 1985, n. 94, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, combinato disposto artt. 12, lett. d), e 13, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui non viene prevista la esclusione della' tassazione anche separata dei redditi spettanti al contribuente costituiti da emolumenti arretrati per lavoro dipendente, quando tali redditi, sommati agli altri redditi percepiti dallo stesso contribuente nei singoli anni cui si riferiscono, non superano il minimo imponibile. Sentenza 17 aprile 1985, n. 104, G. U. 24 aprile 1985, n. 97 bis. legge 2 aprile 1979, n. 97, art. 15, primo e secondo comma. Sentenza 23 aprile 1985, n. 116, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. d.I. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1, n. 1 [convertito in legge 9 dicembre 1983, n. 681] nonch� della legge 21 dicembre 1984 ,n. 867, art. 1, lett. b), nella parte in cui prorogano la gestione delle tesorerie comunali relativamente alla regione Trentino-Alto Adige. Sentenza 23 aprile 1985, n. 114, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. 64 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 21 dicembre 1984, n. 867, art. 1, lett. b) e d.I. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1, n. 1 [convertito in legge 9 dicembre 1983, n. 681], nella parte in cui pro� rogano la gestion� delle tesorerie comunali relativamente alla regione Trentino� Alto Adige. Sentenza 23 aprile 1985, n. 114, G. U. 30 aprile� 1985, n. 101 bis. II �QUESTIONI NON FONDATE Codice penale, �art. 512 (artt. 18 e 39 della Costituzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 107, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. codice di procedura penale, artt. 263 bis e 263 ter (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). Sentenza 22 febbraio 1985, n. 50, G. U. 6 marzo 1985, n. 56 bis. codice di procedura penale, art .263 ter [introdotto dall'art. 8 della legge 12 agosto 1982, n. 532] (artt. 3, 24, 25 e 31 della Costituzione). Sentenza 8 marzo 1985, n. 56, G. U. 20 marzo 1985, n. 68 bis. codice di procedura penale, art. 281, secondo comma [come sostituito dal� l'art. 16 della legge 12 agosto 1982, n. 532] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 1Sentenza 8 marzo 1985, n. 57, G. U. 20 marzo 1985, n. 68 bis. codice penale militare di pace, art. 122 (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione). Sentenza 4 aprile 1985, n. 102, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 66, p.p. (art. 53 della Costituzione). Sentenza 20 marzo 1985, n. 68, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. legge 3 giugno 1940, n. 1078, art. 5 (art. 42, quarto comma, della Costituzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 103, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. legge 3 giugno 1940, n. 1078, artt. 5, 6 e 7 (artt. 3 e 34 della Costituzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 103, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. legge 3 giugno 1940, n. 1078, art. 6 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 103, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. legge 3 giugno 1940, n. 1078, art. 6, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 103, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.l.lgt. 8 marzo 1945, n. 90, art. 12, primo comma (art. 53 della Costituzione). Sentenza 20 marzo 1985, n: 68, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. d.lgv. 12 febbraio 1948, n. 147, art. 11, terzo comma, ultima parte (artt. 3 e 38 della Costituzione). ' 1Sentenza 8 marzo 1985, n. 55, G. U. 20 marzo 1985, n. 68 bis. d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 35 (artt. l, 2, 3, 4, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 105, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. d.P.R. 29 ge1maio 1958, n. 645, art. 16 (artt. 3 �e 76 della Costituzione). Sentenza 20 marzo 1985, n. 67, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. legge 29 maggio 1967, n. 379, art. 7, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). Sentenza 17 aprile 1985, n. 103, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. legge 29 maggio 1967, n. 379, art. 7; quinto comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 1 7aprile 1985, n. 103, G. U. 30 aprile 1985, n. 101 bis. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, lett. c) (artt. 3, 29, 37 e 38 della Costi� tuzione). Sentenza 20 marzo 1985, n. 73, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. legge2 aprile 1968, n. 482, artt. 10 e 11 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Sentenza 1� aprile 1985, n. 93, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. legge 24 maggio 1970, n. 336, art. 2, primo co�nma (artt. 3 e 97 della Costi� tuzione). Sentenza 20 marzo 1985, n. 71, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 3, ultimo comma (artt. 3 e 97 della Costi� tuzione). Sentenza 20 marzo 1985, n. 71, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt., 1 e 3 (artt. 3, 53, 29, 30 e 31 della Costituzione). Sentenza 28 marzo 1985, n. 85, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. legge 26 febbraio 1977, n. 39, art. 5 bis [di conversione al d.l. 23 dicem� bre 1976, n. 857] (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 1� aprile 1985, n. 95, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8, terzo comma (artt. 3, 8, 19 e 20 della Costituzione). Sentenza 28 marzo 1985, n. 86, G. U. 10 aprile 1985, n. 85 bis. legge consiglio reg. Lombardia riapprovata il 13 marzo 1980 sub a) (art. 117 della Costituzione). S~ntenza 20 marzo 1985, n. 72, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. legge 2 3aprile 1981, n. 154, art. 8, n. 2 (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Sentenza 8 marzo 1985, n. 59, G. U. 20 marzo 1985, n. 68 bis. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 22 febbraio 1985, n. SO, G. U. 6 marzo, 1985, n. 56 bis. III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 244 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Savona, ordinanza 1� giugno 1984, n. 1277, G. U. 23 marzo 1985, n. 71 bis. codice civile, art. 263, secondo comma (art. 29 della Costituzione). Tribunale di Lucca, ordinanza S giugno 1984, n. 1139, G. U. 9 marzo 1985, n. 59 bis. codice civile, art. 1224, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 17 ott�bre 1984, n. 1342, G. U. 17 aprile 1985, n. 91 bis. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 17 ottobre 1984, n. 1342, G. U. 17 aprile 1985, n. 91 bis. codice di procedura civile, art. 608 (�rtt. 1, 2, 3, 29, 31, 36 e 47 della Costituzione). Pretore di Finale Ligure, ordinanza 26 giugno 1983, n. 1239/84, G. U. 23 marzo 1985, n. 71 bis. codice di procedura civile, art. 708 (artt. 3, 24 e 30 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 19 giugno 1984, n. 1217, G. U. 20 marzo 1985, n. 68 bts. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Codice penale, art. 81 cpv. (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lanusei, ordinanza 28 settembre 1984, n. 1219, G. U. <23 marzo 1985, n. 71 bis. codice penale ,artt. 307 e 384 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 14 luglio 1983, n. 1116/84, G. U. 2 marzo 1985, n. 53 bis. codice penale, art. 388 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Casale Monferrato, ordinanza 27 settembre 1984, n. 1208; G. U. 16 marzo 1985, n. 65 bis. codice penale,< art. 530, primo conuna (art. 3 della Costituzione). Pretore di Nicosia, ordinanza 24 ottobre 1984, n. 1272, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. codice penale, art. 668 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 22 marzo 1984, n. 1233, G. U. 20 marzo 1985, n. 68 bis. codice di procedura penale, art. 41-bis (artt. 3 e 97 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale Sala Consilina, ordinanza 13 giugno 1984, n. 1196, G. U. 9 marzo 1985, n. 59 bis. Tribunale di Sala Consilina, ordinanza 13 giugno 1984, n. 1196, G. U. 23 marzo 1985, n. 71 bis. codice di procedura penale, art. 41-bis [inserito dall'art. 1 della legge 22 dicembre 1980, n. 879] (artt. 3, 97 e 101 della Costituzione). Giudice istruttore presso Tribunale di Firenze, ordinanza 23 novembre 1984, n. 52/85, G. U. 3 aprile 1985, n. 80 bis. codice di procedura penale, artt. 61 e segg. (art. 25 della Costituzione). Pretore di Susa, ordinanza 27 aprile 1984, n. 1290, G. U. 17 aprile 1985, n. 91 bis. codice di procedura p�.ale, art. 90 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lanusei, ordinanza 28 settembre 1984, n. 1219, G. U. 23 marzo 1985, n. 71 bis. ' codice di procedura penale, artt. 93 secondo comma, 185, 408, 412 e 445 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 1 ottobre 1981, n. 1215/84, G. U. 16 marzo 1985, n. 65 bis. codice di procedura penale, artt. 142 e 499 (artt. 2, 3, 8, 19, 21, 24 e 112 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 18 settembre 1984, n. 1294, G. U. 17 aprile 1985, n. 91 bis. 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale ,art. 224 bis, secondo comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 22 dicembre 1984, nn. 134 e 135/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97 bis. Tribunale� di Roma, 1985, n. 97 bis. ordinanza 20 dicembre 1984, n. 136/85, G. U. 24 aprile codice di procedura penale, artt. 244 e 245 (artt. 13 e 27 della Costituzione). Pretore di Torre Annunziata, ordinanza 20 novembre 1984, n. 168/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97 bis. codice di Costituzione). procedura penale, art. 263, secondo comma (artt. 3 e 24 della n. Corte di cassazione, ordinanza 13 luglio 1984, 65-bis. n. 1214, G. U. 16 marzo 1985, codice di procedura penale, tuzione). artt. 263-bis e 263-ter (artt. 3 e 24 della Costi� Tribunale militare di Verona, ordinanza 20 novembre 3 aprile 1985, n. BO-bis. 1984, n. 115/85, G. U. e codice di procedura penale, art. 272, primo, secondo 13 della Costituzione). e terzo comma (artt. 3 n. Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino, ordinanza 2 maggio 1984, 1222, G. U. 20 marzo 1985, n. 68-bis. codice di procedura penale, art. 666, quinto comma Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 24 novembre 1984, n. 1985, n. 97-bis. (artt. 3, 13 e 24 della 203/85, G. U. 24 aprile codice penale militare di tuzione). ' pace art. 195, primo comma (art. 3 della Costi- Tribunale 1316, G. U. 16 militare di marzo 1985, Padova, ordinanze n. 65-bis. (due) 4 ottobre 1984, nn. 1315 e t.u. 2 aprile 1885, n. 3095, artt. 4, 7, 8 e ss. (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). Tribunale di 1985, n. 65-bis. Genova, ordinanza 11 giugno 1984, n. 1220, G. U. 16 marzo legge 7 luglio 1901, n. 283, artt. 6 e 7 (artt. 3, 24 e 33 della Costituzione). Pretore di Palestrina, ordinanza 17 dicembre 1983, n. 1252/84, G. li. 3 aprile 1985, n. 80-bis. r.d. 26 settembre 1904, n. 713, art. 18 [sostituito dal r.d. 12 luglio 1912, n. 974] (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). i >: if i= n. 65-bis. Tribunale di Genova, ordinanza 11 giugno 1984, n. . 1220, G. U. 16 marzo 1985, . � 1i: PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE r.d. 26 settembre 1904, n. 713, artt. 19, 24 e 25 (artt. 3, � 5 e 128 della Costituzione). Tribunale di Genova; ordinanza 11 giugno 1984, n. 1220, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. legge 22 marzo 1908, n. 105 (artt. 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Trento, ordinanza 11 giugno 1984, n. 1250, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 5 luglio 1928, n. 1760, art. 10 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Casale Monferrato, ordinanza 27 settembre 1984, n. 1208, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 116, secondo comma, ultima parte (artt. 3, 27, 35 e 41 della Costituzione). Pretore di Cos.t:nza, ordinanza 26 luglio 1984, n. 1160, G. U. 9 marzo' 1985, n. 59-bis. legge 22 gennaio 1934, n. 36, art. 9 (artt. 3, 24 e 33 della Costituzione). Pretore di Palestrina, ordinanza 17 dicembre 1983, n. 1252/84, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. legge 3 marzo 1934, n. 383, art. 91, lett. E), n. 5 (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 11 giugno 1984, n. 1220, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 8, terzo comma (artt. 3, 24, 97, 100 e 108 della Costituzione). Corte, dei conti, sezioni riunite, ordinanza 18 aprile 1984, n. 1218, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. t.u. 16 gennaio 1936, n. 801, art. 11, n. 2 (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 11 giugno 1984, n. 1220, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 33, ultimo comma (art. 3 della. Costituzione). Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1238, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. r.d. 31 ottobre 1941 (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 11 giugno 1984, n. 1220, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO d.l.lgt. 1 febbraio 1946, n. 122, art. 2 [modif. dalla legge 3 febbraio 1957, n. 16] (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Trecastagni, ordinanza 6 giugno 1984, n. 1213, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 39, primo comma (artt. 70 e 72 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 24 novembre 1983, n. 1155/84, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. legge 11 marzo 1953, n. 87 ,art. 30 (artt. 3 e 136 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 27 settembre 1984, n. 1247, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. Tribunale di Bologna, ordinanze (quattro) 28 febbraio 1984, nn. 57-60/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Tribunale di Bologna, ordinanza 7 novembre 1984, n. 62/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 11 aprile 1955, n. 379, art. 7, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione giurisdizionale P,er la Sardegna, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1238, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 101 della Costituzione). Pretore di Nola, ordinanza 30 giugno 1984, n. 1212, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. legge 4 dicembre 195~, n. 1404, artt. 8 e 9 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 30 marzo 1984, n. 1211, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89 e 140, ultimo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 11 ottobre 1983, n. 1200/84, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (artt. 3 e 22 della Costituzione). Pretore di Citt� di Castello, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1132, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. legge 20 dicembre 1961, n .1345, artt. 14, secondo comma, e 15, secondo e terzo comma (artt. 3 e 108 della Costituzione). Corte dei conti, sezioni riunite, ordinanza 18 aprile 1984, n. 1218, G. U. 3 aprile 1985, n. BO-bis. legge 12 agosto 1962, n. 1388, art. 2 (art. 3 della Costituzione). n. 5:.~~~~re di Messina, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1192, G. U. 9 marzo 1985, ~=; ~� i, ):� ~' �.�.-.�.�.�:::.. ...,._.,...............,..,�.w.-""� ����� -����� ./. .. ,,,'.,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,.............................. �m����:--�ᥥ����v��-:��:"'<��:"Jj PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Savona, ordinanza 3 luglio 1984, n. 1134, G. V. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Pretore di Genova, ordinanza 28 agosto 1984, n. 1158, G. U. 9 marzo 1985, n .59-bis. Pretore di Mantova, ordinanza 3 agosto 1984, n. 1176, G. V. 13 marzo 1985, n. 62-bis. Pretore di Udine, ordinanza 14 settembre 1984, n. 1224, G. V. 20 marzo 1985, Il. 68-bis. Pretore di Udine, ordinanza 24 ottobre 1984, n. 1373, G. V. 10 aprile 1985, n. 85-bis. Pretore di Udine, ordinanza 5 ottobre 1984, Il. 1288, G.U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Pretore di Udine, ordinanza 24 ottobre 1984, n. 1372, G. V. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 22 marzo 1984, p. 1280, G. V. 3 aprile 1985, n. 80-bis. legge 5 marzo 1963, n. 245, artt. 8 e 12 (artt .3 e 32 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 28 settembre 1984, n. 1283, G. V. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 7 maggio 1965, n. 459, articolo unico (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 31 maggio 1984, n. 1230, G. V. 20 marzo 1985, n. 68-bis. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, quarto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Alessandria, ordinanza 30 ottobre 1984, n. 1330, G. V. 24 aprile 1985, n. 97-bis. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Bergamo, ordinanza 3 maggio 1984, n. 1119, G. V. 2 marzo 1985, n. 53-bis. legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 28 agosto 1984, n. 1158, G. V. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanze (due) 17 ottobre 1984, nn. 1380 e 1381, G. V. 16 marzo 1985, n. 65-bis. 72 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pretore di Udine, ordinanza 14 settembre 1984, n. 1287, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Udine, ordinanza 8 giugno 1984, n. 1202, G. U. 16 marzo. 1985, n. 65-bis. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 16, quarto comma (artt. 3, 38 e 41 della C~stituzione). Pretore di Ivrea, ordinanza 22 ottobre 1984, n. 1279, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1192, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. Pretore di Genova, ordinanza 28 agosto 1984, n. 1158, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 22 marzo 1984, n. 1280, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. d.l. 3 febbraio 1970, n. 7, artt. 10 e 11 [conv. in legge 11 marzo 1970, n. 83) (artt. 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Minervino Murge, ordinanze (due) 28 febbraio 1984, nn. 1225 e 1226, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis e G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d.I. 5 luglio 1971, n. 429, art. 1 [conv. in legge 4 agosto 1971, n. 589] (art. 81 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1152, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, terzo comma (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 17 ottobre 1975, n. 1333/84, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 8 agosto 1972, n. 459 (artt. 4 e 41 della Costituzione) . Pretore di Minervino Murge, ordinanze (due) 28 febbraio 1984, nn. 1225 e 1226, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis e G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 ,art. 17, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 19 ottobre 1981, n. 1205/84, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 24, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 27 marzo 1984, n. 1122, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 ,art. 44 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanze (undici) 19 aprile 1980, nn. 1350-1360/84, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanze (otto) 17 maggio 1980, nn. 1361-1368/84, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, 11. 639, artt. 1 ,28, primo, secondo e quarto comma, e 51 (artt. 21 e 53 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 25 maggio 1976, n. 1274/84, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23, primo ed ultimo comma (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, ordinanza 6 ottobre 1983, n. 1253/84, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 1984, n. 1270, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 3, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 11 luglio 1978, n. 1237/84, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11 (artt. 25 e 103 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale militare di Bari, ordinanza 16 agosto 1984, n. 1148, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Tribunale militare di Verona, ordinanza 11 luglio 1984, n. 1184, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 30 dicembre 1972 ,n. 1035, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Grosseto, ordinanza 17 marzo 1977, n. 1198/84, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 37 [quale autenticamente interpretato dal� l'art. 22-ter della legge 22 dicembre 1980, n. 891] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Corte d'appello di Genova, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1175, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. 74 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verbania, ordinanza 10 luglio 1984, n. 1138, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Pretore di Torino, ordinanza 13 giugno 1984, n. 1159, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, primo comma, 183, primo comma, e 195, primo comma n. 2 [sostit. dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 delb Costituzione). Pretore di Vittoria, ordinanza 19 luglio 1984, n. 1137, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 10 luglio 1984, n. 1254, G. U. 27 marzo 1985, n. 14-bis. Tribunale di Mantova, ordinanza 12 ottobre 1984, n. 1268, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. Pretore di Chioggia, ordinanza 4 ottobre 1984, n. 1248, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. Pretore di Rimini, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1234, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 10 ottobre 1984, n. 1289, G. U. 30 aprile 1985, n. 101-bis. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma ,195, n. 2, e 334 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 19 ottobre 1984, n. 1249, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. c) [come modif .dall'art. 5 della legge 13 aprile 1977, n. 114] (art. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Velletri, ordinanza 18 novembre 1981, n. 1376/84, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. Commissione tributaria di primo grado di Velletri, ordinanza 16 settembre 1981, n. 1377/84, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d:P.R.29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. l) (artt. 3 e 32 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 2 aprile 1984, n. 1121, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, lett. e) (artt. 3, 47 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanza 8 marzo 1984, n. 1349, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, primo comma, lett. e} (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanza 6 febbraio 1984, n. 1131, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 27 marzo 1984, n. 1123, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 11 ottobre 1983, n. 1200/84, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione) . Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanze (due) 19 dicembre 1983, nn. 1072 e 1073/84, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 24 e 30 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Modena, ordinanza 10 gennaio 1984, n. 1112, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46 e 48 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 19 marzo 1984, n. 113, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46, primo comma, e 48 (art. 36 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 23 novembre 1983, n. 1201/84, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 46, primo comma, e 48 (artt. 36 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 24 febbraio 1984, n. 1124, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 47, primo comma, lett. d), e 48, quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cosenza, ordinanza 28 giugno 1984, n. 1255, G. U. 3 aprile 1985, n. BO-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 48 (artt. 23 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanza 14 dicembre 1983, n. 1244/84, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 1, terzo comma (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione. Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 9 gennaio 1978, n. 1193/84, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 24, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cosenza, ordinanza 28 giugno 1984, n. 1255, G. U. 3 aprile 1985, n. SO-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 23 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Forl�, ordinanza 14 dicembre 1983, n. 1244/84, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 36 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 23 novembre 1983, n. 1201/84, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 36 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 24 febbraio 1984, n. 1124, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. I ~ d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 53 della Costituzione). Commissione Tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 19 marzo 1984, n. 1113, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. fil I d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, penultimo comma (artt. 3 e 24 della I t: Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 2 luglio 1984, n. 1115, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. legge 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 5 (artt. 3 e 76 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 10 luglio 1984, n. 1179, G. U. 9 marzo 1985, nu mero 59-bis. I d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 205 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 14 maggio 1984, n. 1284, G. U. 17 aprile 1985, nu I mero 91-bis. ~ legge 15 febbraio 1974, n. 36, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 24 settembre 1984, n. 1232, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. legge reg. Emilia-Romagna 14 maggio 1975, 11. 30, art. 15, quarto comma (articoli 24 e 117 della Costituzione). Pretore di Forl�, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1157, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 (artt. 3, 13, 25 e 27 della Costituzione). Sezione di sorveglianza presso corte d'appello delle Marche, ordinanza 14 febbraio 1985., n. 195/85, G. U. 30 aprile 1985, n. 101-bis. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 9 ottobre 1984, n. 69/85, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 4 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Venezia, ordinanza 9 gennaio 1978, n. 1193/84, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 80, secondo comma (art. 25 della , Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Verona, ordinanza 5 agosto 1984, n. 1147, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. d.l. 18 marzo 1976, n. 46 [conv. in legge 10 maggio 1976, n. 249] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lucca, ordinanza 25 settembre 1984, n. 1246, G. U. 10 aprile 1985, n. 85-bis. legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 22, ultimo comma (art. 81 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1152, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 21, terzo comma (artt. 27 e 41 della Costituzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 28 luglio 1984, n. 1186,G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 2 dicembre 1976, n. 785, artt. 6 e 13 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanze (quattro) 18 ottobre 1984, nn. 90-93/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanze (quattro) 8 novembre 1984, nn. 94-97/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge reg. Puglia 15 novembre 1977, n. 36, art. 2 (artt. 102 e 117 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 18 maggio 1983, n. 1293/84, G. U. -17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 17 maggio 1984, n. 1153, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 27 febbraio 1978, n. 41, articolo unico [di convers. del d.l. 27 dicembre 1977, n. 942] (artt. 3, 38 e 45 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 22 maggio 1984, n. 1194, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. 78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 59 (art. 81 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 12 giugno 1984, n. 1152, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 5 (artt. 29 e 30 della Costituzione). Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 16 novembre 1984, n. 1379, G. U. 30 aprile 1985, n. 101-bis. legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 9 e 12 (artt. 2, 3, 19 e 21 della Costituzione). Giudice tutelare di Napoli, ordinanza 24 settembre 1984, n. 1236, G. U. 23 marzo 1985, n. 11-bis. legge reg. Veneto 14 luglio 1978, n. 30, art. 7, penultimo comma (art. 117 della Costituzione). Pretore di Valdagno, ordinanza 31 maggio 1984, n. 1187, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge reg. Sicilia 24 luglio 1978, n. 17, artt. 1, 2, 3 e 4 (artt. 3 e 36 della Costituzione e 14, lett. q) dello statuto reg. Sicilia). Corte dei conti, ordinanze (quattro) 3 ottobre 1984, nn. 156-159/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 91-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 27 settembre 1984, n. 1245, G. U. 23 marzo 1985, n. 11-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 7 luglio 1984, n. 1150, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. Pretore di Pizzo Calabro, ordinanze (otto) 6 ottobre 1984, nn. 1298-1305, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38, 39, 40 e 41 (art. 42 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 25 maggio 1984, n. 1191, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Potenza, ordinanze (due) 2 ottobre 1984, nn. 1285 e 1286, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. Pretore di Potenza, ordinanza 30 giugno 1984, n. 1151, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 19 ottobre 1984, n. 1271, G. U. 21 marzo 1985, n. 14-bis. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3, 41, 42, 43, 44 e 97 della Costituzione). Tribunale di Cremona, ordinanza 29 ottobre 1984, n. 1276, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 27 luglio 1978 n. 392, art. 69, settimo comma (art. 42 dela Costituzione). Tribunale di Cagliari, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 1117/84, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come modif. dall'art. 1-bis del d.I. 30 gen� naio 1979, n. 21, conv. in legge 31 marzo 1979, n. 93] (artt. 3, 41, 42, 43, 44 e 97 della Costituzione). Tribunale di Cremona, ordinanza 29 ottobre 1984, n. 1276, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 23 dicembre 1978 n. 833, art. 57 (artt. 3 e 23 della Costituzione). Pretore di Crema, ordinanza 21 giugno 1984, n. 1142, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 5 ottobre 1984, n. 44/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 8 ottobre 1984, n. 45/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 2 aprile 1979, n. 97, art. 15, primo e secondo comma (artt. 3, 36 e 53 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 14 giugno 1984, n. 1216, G. U. 20 marzo 1985, n. 68-bis. Tribunale di Roma, ordinanza 6 luglio 1984, n. 1231, G. U. 20 marzo 1985, n. 68-bis. legge reg. Liguria 10 aprile 1979, n. 1~, art. 11 (artt. 5, 117 e 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 aprile 1984, n. 1318, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 24 dicembre 1979, n. 650, artt. 6 e 17, n. p. (artt. 25 e 77 della Costituzione). Pretore di Saluzzo, ordinanza 1� giugno 1984 n. 1223, G. U. 20 marzo 1985, n. 68-bis. cl.I. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 331 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Crema, ordinanza 21 giugno 1984, Il. 1142, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 5 ottobre 1984, n. 44/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 8 ottobre 1984, n. 45/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. 80 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge reg. Emilia-Romagna 8 gennaio 1980, n. 2, art. 46, secondo comma (arti� colo 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 20 giu� gno 1984, n. 1313, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 21 febbraio 1980, n. 28, artt. 12, lett. o), e 4, lett. c) (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 apri� le 1984, n. 1341, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 29 febbraio 19_80, n. 33, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 27 giugno 1984, n. 1154, G. U. 9 marzo 1985, 11. 59-bis. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Imperia, ordinanza 19 maggio 1984, n. 1120, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 27 giugno 1984, 11. 1154, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36, settimo ed ottavo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 aprile 1984, n. 1341, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 4, 5, 7 e 22 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 27 gennaio 1984, n. 1143, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 7 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Forl�, ordinanza 14 novembre 1984, n. 1335, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge reg. Veneto 30 aprile 1981, n. 16 (artt. 117 e 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 27 ottobre 1983, n. 1229/84, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 27 giugno 1984, n. 1154, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 81 Pretore di Brescia, ordinanza 5 ottobre 1984, n. 44/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 8 ottobre 1984, n. 45/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 6 agosto 1981, n. 432, art. 11-ter (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 aprile 1984, n. 1341, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 16 ottobre 1984, n. 1275, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Chioggia, ordinanze (due) 23 ottobre 1984, nn. 1281 e 1282, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Dolo, ordinanza 14 giugno 1984, n. 1174, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 24 novembre 1981, n. ~9, artt. 53 e 102 (art. 3 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Siracusa, ordinanza 29 settembre 1984, n. 1227, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 25 della Costi� tuzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 9 ottobre 1984, n. 1240, G. U. 20 marzo 1985, n. 68-bis. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanze (due) 24 marzo 1984, nn. 1145 e 1146, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Pretore di Pergine Valsugana, ordinanza 28 gennaio 1984, n. 1204, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. Pretore di Camposampiero, ordinanza 22 maggio 1984, n. 1228, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 92 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Citt� di Castello, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1132, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. 82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dJ. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [conv. in legge 25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3 e 24, della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 18 aprile 1984, n. 1173, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 13 marzo 1984, n. 1183, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. Pretore di Sondrio, ordinanza 25 luglio 1984, n. 1135, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. Tribunale di Savona, ordinanza 12 aprile 1984, n. 1203, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. legge prov. di Trento 26 aprile 1982, n. 8 (art. 5 e 114 e segg. della Costituzione; art. 5 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 7 febbraio 1984, n. 1206, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 27 giugno 1984, n. 1154, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, primo e quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Crema, ordinanza 21 giugno 1984, n. 1142, G. U. 6 marzo 1985, n. 56-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 5 ottobre 1984, n. 44/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. Pretore di Brescia, ordinanza 8 ottobre 1984, n. 45/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3, 4 e 44 della Costituzione). Tribunale di Treviso, ordinanze (due) 10 novembre 1984, nn. 1 e 2/85, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 49, primo comma (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 30 maggio 1984, n. 1180, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. Tribunale di Napoli, ordinanza 4 luglio 1984, n. 1181, G. U. 13 marzo 1985, n. 62-bis. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 43 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1983, n. 1312/84, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. ~ I ! - PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 29 marzo 1984, n. 1190, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanze (cinque) 20 giugno 1984, nn. 16-20/85, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanza 17 novembre 1983, n. 1257/84, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Verona, ordinanza 20 novembre 1984, n. 115/85, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 79 e 87 della Costituzione). Pretore di Pergine Valsugana, ordinanza 6 novembre 1982, n. 1273/84, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in leige 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 4 aprile 1984, n. 1269, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 29 giugno 1984, n. 1221, G. U. 20 marzo 1985, n. 68-bis. legge 20 novembre 1982, n. 890, artt. 7 e 8 (artt. 2, 16, 24 e 32 della Costituzione). Giudice conciliatore di Genova, ordinanza 3 settembre 1984, n. 1207, G. U. 16 marzo 1985, n. 65-bis. d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 9 [nel testo modif. dalla legge 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 18 aprile 1984, n. 1242, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. d.P.R. 22 febbraio 1983, n. 43, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanza 17 novembre 1983, n. 1257/84, G. U. 27 marzo 1985, n. 74-bis. d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 30-bis [inserito nella legge di conversione 30 aprile 1983, n. 131] (art. 81 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 16 agosto 1984, n. 1164, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. Pretore di Piacenza, ordinanza 9 luglio 1984, n. 1188, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. 84 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ' legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 74 (artt. 3 e 81 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Catania, ordinanza 1� giugno 1983, n. 1256/84, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, terzo comma [conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 22 marzo 1984, n. 1280, G. U. 3 aprile 1985, n. 80-bis. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14, commi secondo e secondo-bis [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Imperia, ordinanza 19 maggio 1984, n. 1120, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 4, comma 17-bis (artt. 3, 41. 42 e 104 della Costituzione). Pretore di S. Pietro Vernotico, ordinanza 5 luglio 1984, n. 1111, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 20 giugno 1984, n. 1251, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Bresc�a, ordinanza 27 giugno 1984, n. 1154, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. Pretore di Bari, ordinanza 17 aprile 1984, n. 1243, G. U. 23 marzo 1985, n. 71-bis. legge reg. Sicilia 13 dicembre 1983, n. 115, art. 3 (artt. 3 e 36 della Costituzione e 14, lett. q), dello statuto reg. Sicilia). Corte dei conti, ordinanze (quattro) 3 ottobre 1984, nn. 156-159/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. dl. 17 aprile 1984, n. 70, art. 3 (artt. 3, 36, 39, 70 e 77 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 27 maggio 1984, n. 1292, G. U. 30 aprile 1985, n. 101-bis. d.I. 17 aprile 1984, n. 70, artt. 3 e 4 (artt. 3, 36, 39, 70 e 77 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 27 settembre 1984, n. 1197, G. U. 9 marzo 1985, n. 59-bis. d.l. 26 maggio 1984, n. 158, art. 6 (artt. 24, 77 e 101 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 18 giugno 1984, n. 1347, G. U. 24 aprile 1955. n. 97-bis. Il PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 26 maggio 1984 ,n. 225 (artt. 27 e 31 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 26 novembre 1984, n. 204/85, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 1, primo e secondo comma, e 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 15 ottobre 1984, n. 1278, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 15 ottobre 1984, n. 1278, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 15 ottobre 1984, n. 1278, G. U. 17 aprile 1985, n. 91-bis. legge 22 dicembre 1984, n. 892, art. 5 (artt. 117 e 118 della Costituzione). Regione Liguria, ricorso 14 febbraio 1985, n. 14, G. U. 2 marzo 1985, n. 53-bis. legge 6 febbraio 1985, n. 16, in toto e, in particolare, artt. da 1 a 5 (artt. 3, 8 n. 5, e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 22 marzo 1985, n. 16, G. U. 3 aprile 1985, n. BO-bis. d.I. 7 febbraio 1985 n. 12 in toto e, in particolare, artt. 3, dodiceshno comma, 4, 5 e 6 (artt. 3, terzo comma, 8, n. 10, 16 e 78 deTio statuto speciale Trentino- Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 19 marzo 1985, n. 15, G. U. 3 aprile 1985, n. BO-bis. legge 27 febbraio 1985, n. 49, artt. 1, tredicesimo comma, 14, 17, 20 e 23 (art. 4, punto 9, dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige). Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 12 aprile 1985, n. 19, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 27 febbraio 1985, n. 49 nel suo complesso e, in particolare, art. 19, primo e terzo comma (artt. 3, terzo comma, 8, n. 20, 9, n. 8 e n. 3, 15, 16 e 78 dello statuto d'autonomia reg. Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Trento, ricorso 10 aprile 1985, n. 18, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis. legge 27 febbraio 1985 n. 49, nel suo complesso, compreso il titolo primo, ovvero artt. 9, 14, 15, 16, 17 e 18 (artt. 3, terzo comma; 8, n. 20; 9, n. 3 e n. 8; 15, 16 e 78 dello statuto speciale reg. Trentino-Alto Adige). Provincia di Bolzano, ricorso 10 aprile 1985, n. 17, G. U. 24 aprile 1985, n. 97-bis.