ANNO XXXVI -N. 2 MARZO-APRILE 1984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI ANNO 1984 ANNO L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO ......�...���.���..� ,. 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (5219222) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . pag. 205 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA del/'avv: Oscar E INTERNAFiumara) . . � 239 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) � 262 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Antonio Catrica/� e Paolo Cosentino) � 270 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli av_vocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) � 275 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafile) (a cura dell'av)) 327 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a 'cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergior.gio Ferri e Paolo Vittoria) � 386 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 405 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE pag. 41 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GmccIARDI, Genova; Oanlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Gi:ancarlo MANo�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSS�RVAZIONI, QUESTIONI M. CONTI, Viaggi per turismo e relativi trasferimenti di valuta nel diritto comunitario . . . . . . . . . . . . I, 240 P. VITTORIA, L'esclusione della competenza arbitrale nelle norme del capitolato generale approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063. I rapporti tra notifica della domanda arbitrale, nomina dell'arbitro e declinatoria della competenza . . . . . . . . . . . . . . I, 391 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Sovracanoni -Imposizione -Presupposti, 386. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Arbitrato -Disciplina del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Rilevanza normativa -Derogabilit� convenzionale -Esclusione Fattispecie -Facolt� di declinare la competenza arbitrale, con nota di P. VITTORIA, 390. -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Facolt� di esclusione della competenza arbitrale -Competenza dell'Avvocatura dello Stato Sussiste, con nota di P. VITTORIA, 390. -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Facolt� di esclusione della competenza arbitrale -Competenza dell'Avvocatura dello Stato Sussiste -Anteriore nomina dell'arbitro da parte della P .A. -Non preceduta da notifica della domanda all'Avvocatura -Irrilevanza, con nota di P. VITTORIA, 389. -Appalto di opere pubbliche -Clausola compromissoria -Richiamo alle disposizioni contenute nel capo VI del d.P.R. 16 luglio 1962, n . .1063 -Valore, con nota di P. VITTORIA, 390. -Appalto di opere pubbliche -Interessi per ritardato pagamento -Danni da ritardo nel pagamento degll interessi -Anat(lcismo -Applicabilit�, 402. -Appalto di opere pubbliche -Interessi sul saldo del compenso revisionale -Decorrenza -Art. 36 d.P.R. 16 luglio 1%2, n. 11063 -Applicabilit�, 401. -Appalto di opere pubbliche -Interessi sul saldo del prezzo -Pretesa di ritardo nell'espletamento delle operazioni di collaudo -Riserva nel verbale di collaudo -Necessit�, 401. -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Costituzione in mora -Equivalenza -Non sussiste, 398. -Appalto di opere pubbliche -Somme riconosciute in sede giudiziale Interessi e maggfor danno -Limitazione risultante dall'art. 36 ultimo capoverso -Applicabilit� al1' A.N.A.S. -Esclusione -Liquidazione del danno -Criterio -Riferimento all'art. 3S cap, gen. oo.pp. Ammissibilit�, 398. COMMERCIO -Esercizio di vendita -Preposto Iscrizione nell'albo previsto dalla legge n. 426/71 -Omissione -Illecito sanzionabile, 273. -Farmacie -Calzature anatomiche Distinzione rispetto alle calzature ortopediche e a quelle normali Vendita -Liceit� -Riferimento alla prassi di mercato -Necessit�, 274. C�MUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari Regime nazionale dei prezzi alla produzione -Incompatibilit�, 252. -Agricoltura -Prodotti elencati nell'allegato II del Trattato CEE Lane -Esclusione, 2S8. -Libera prestazione di servizi sazioni invisibili -Pagamenti renti e movimenti di capitali rismo -Controlli degli Stati bri -Legittimit� -Limiti, con di M. CONTI, 239. Tran cor- Tumem nota ,: t ( I ~ ~~ f; INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA CONTABILIT� PUBBLICA -Contratti della P.A. -Licitazione privata -Scelta dei contraenti -Interesse all'impugnazione -Soggetto non invitato alla gara, 287. -Contratti della P.A. -Licitazione privata -Scelta dei contraenti -Soggetto non Invitato alla gara -Interesse personale e non collettivo, 288. -Contratti della P.A. -Licitazione privata -Scelta delle ditte da inv, itare alla gara -Competenza della giunta municipale, 288. -Contratto della P .A. -Delibera di far luogo alla licitazione privata -Motivazione su esclusione pubblici incanti -Necessit�, 288. � -Interesse legittimo -Qualificazione giuridica -Previsione nella norma disciplinatrice del potere della P.A. Rilevanza sociale dell'interesse, 288. CORTE COSTITUZIONALE -Diritto vivente -Giurisprudenza contrastante della Corte di Cassa2iione -Possibilit� di pronuncia interpretativa della Corte Costituzionale, 225. -Giudizio in via incidentale -Controversia a quo sulla giurisdizione -Rilevanza della questione di legittimit� costituzionale -Condizione, 233. - Giudizio in via incidentale -Procedimento di liquidazione di inqennit� a testimone -Non � giudizio, 232. DEMANIO -Beni storici ed artistici -Esportazione in paesi della e.E.E. -Acquisto da parte dello Stato -Prezzo pari al valore dichiarato -Illegittimit� -Proposta di prezzo da parte del Ministero -Necessit�, 308. -Beni storici ed artistici -Vincolo Adozione ad evitare pregiudizi -Eccesso di potere per sviamento -Insussistenza, 298. -Beni storici ed artistici -Vincolo Beni accessori -Inesistenza vincolo pertinenziale -Deducibilit� -Limiti soggettivi, 298. -Beni storici ed artistici -Vincolo indiretto -Difetto di motivazione - Rileviabilit� in sede d'impugnazione del provvedimento di prelazione, 318. -Beni storici ed artistici -Vincolo � indiretto � -Motivazione -Necessit� -Contenuto, 318. -Beni storici ed artistici -Vincolo Limiti e destinazione beni vincolati -Legittimit� -Imposizione esercizio attivit� economica -Illegittimit�, 298. -Beni storici ed artistici -Vincolo Luogo di incontri culturali da inizio secolo -Legittimit�, 298. -Beni storici ed artistici -Vincolo non trascritto -Efficacia nei confronti degli aventi causa dal proprietario notificato -Impedimento alla realizzazione degli effetti del negozio privatistico, 318. -Beni storici ed artistici -Vincolo Notifica -Negozio traslativo -Onere denuncia -Irrilevanza conoscenza di fatto dell'Amministrazione -Permanenza -Potere prelazione per mancata denuncia, 318. -Beni storici ed artistici -Vincolo Notifica -Opere di rinnovazione dopo nuova legge su tutela cose interesse artistico -Insussistenza per mancanza regolamento, 318. - Beni storici ed artistici -Vincolo - Tmscrizione -Carattere costitutivo per i terzi non per il proprietario, 318. -Cava -Prefissione di termine al proprietario per lo sfruttamento Impugnabilit� -Errata conoscenza caratteristiche del minerale, 308. -Cava -Prefissione di termine al proprietario per lo sfruttamento -Sottrazione disponibilit� cava al proprietario -Concessione a terzi -anche a distanza di tempo, 308. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Edilizia economica popolare -Proprietari espropriati -Titolo per assegnazione lotti espropriati, 275. -Occupazione permanente illegittima -Fatto illecito -Danni -Prescrizione quinquennale, 274. -Provvedimenti dichiarativi della pubblica utilit� e autorizzazione dell'occupazione d'urgenza -Competen VIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO za � Giunta regionale -Presidente della Giunta, 275. -Stato di consistenza -Necessario richi, amo nel decreto di occupazione d'urgenza -Stato di consistenza compilato per distinto e precedente decreto d'occupazione, 275. -Stato di consistenza -Pregiudizialit� rispetto al decreto di occupazione, 275. FALLIMENTO -Interrogatorio del fallito -Eventuale emergere di reati fallimentari -Non necessit� della presenza del difensore -Legittimit� costituzionale, 228. FRIULI-VENEZIA GIULIA -Compartecipazione all'I.G.E. e sue-, cessivi trasferimenti sostitutivi -Determinazione unilaterale ad opera del Ministero delle Finanze -Invasivit�, 218. GIURISDIZIONE CIVILE -Ferrovfo dello Stato -Interventi straordinari -Riserva di forniture a favore di ditte meridionali -Posizione soggettiva -Natura -Programma di interventi non ancora adottati -Interesse legittimo -Esclusione -Difetto assoluto di giurisdizione, 262. -Impiego pubblico -Forma contrattuale -Irrilevanza -Sussistenza carattere pubblicistico -Presupposti, 268. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Esecuzione del giudicato -Annullamento provvedimento inibitorio Adempimento della P.A. -Provvedimento autorizzatorio -Non necessariet� -Inammissibilit� ricorso inottemperanza, 297. -Esecuzione del giudicato -Legisla2ione vigente -Notifica sentell2la Successivo provvedimento illegittimo annullato, 284. -Esecuzione del giudicato -Sentenza che comporta attivit� discrezionale -Ricorso per ottemperanza -Amj; nissibilit�, 284. -Esecuzione del giudicato -Sentenza che lascia all'Amministrazione possibilit� di scelta tra diverse alternative -Ricorso per ottemperanza centrato su una sola alternativa -Inammissibilit�, 284. -Esecuzione del giudicato -Sentenza che lascia all' f\.mministrazione scelta tra diverse alternative -Ricorso per ottemperanza centrato su una sola alternati<va -Impossibilit� per il giudice disporre esecuzione propria sentenza -Principio corrispondenza tra chiesto e pronunciato, 285. IMPIEGO PUBBLICO -Enti lirici -Contratto collettivo Limitazioni al lavoro per contratto a tempo indeterminato -Necessit� particolari enti lirici, 3113. -Enti Lirici -Contratto collettivo Rinnovazioni contratti a termine Trasformazioni in rapporto a tempo indeterminato -Limitazioni a computabilit� della rinnovazione -Sostitll2lione artistica assente -Avvertimento scritto della sostituzione, 314. -Enti lirici -Legge speciale -Regolamento organico -Contratto collettivo -Deroga a legge su contratto a termine, 3'13. -Insegnante -Nomina con effetti giuridici retroatth11i -Proscioglimento in sede penale -Retribuzione -Irretroattivit�, 307. -Trasferimento per incompatibilit� ambientale -Dissidio con altro dipendente -Specificazione influenza su andamento ufficio -Necessit� Motivazione, 305. - Trasferimento per incompatibilit� ambientale -Dissidio con altro dipendente -Valutazione sommarla ragioni contrapposte -Necessit�, 305. ISTRUZIONE E SCUOLE - Diritto all'istruzione -Contenuto, 306. -Sanzione disciplinare -Allontanamento dalla scuola -Limite al diritto all'istruzione -Interesse collettivit� -Legittimit�, 306. INDICE ANALmCO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA -Sanzione disciplinare � Allontanamento dalla scuola -Motivazione Inadeguata valuta:zfone fatto � Mancanza prova fatti pi�: gravi, 306. LOCAZIONE -Immobili destinati ad attivit� essenzialmente agricole e ad attivit� agricole per concessione -Legge cosidetta dell'equo canone -Si applica, se trattasi di immobili urbani, 225. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Magistrature -Magistratura ordinaria � Consiglio Superiore della Magistratura -Non punibilit� delle opinioni espresse dai componenti Natura e limiti -Previsione per legge ordinaria -Legittimit� costituzionale, 205. -Magistrature -Magistrature speciali � Organo di autogoverno -Istituzioni -Necessit�, 206. PENA -Sospensione condizionale della pena -Nuovo ragguaglio fra pena pecuniaria e pena detentiva introdotto dalla legge 24 novembre 11981, n. 689, successivamente al ricorso per cassazione -Applicabilit� da parte della Suprema Corte senza necessit� di rinvio al giudice di merito, 408. PREVIDENZA -Ufficiali di complemento -Richiamo in servizio temporaneo -Cessazione dal servizio senza maturazione del diritto a pensione -Costituzione di posizione rassicurativa i.v.s. -Obbligo dell'Amministrazione, 270. PROCEDIMENTO CIVILE -Ente lin liquidazione -Assunzione della liquidazione da parte del Ministero del Tesoro -Foro dello Stato -Applicabilit�, 268. PROCEDIMENTO PENALE -Applicazione di sanzione sostitutiva -Parere del pubblico ministero � Dopo l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado -Non � vinco1ante, 234. REATO -Norme penali � di favore� -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Ammissibilit�, 205. -Reati finanziari -Olii minerali -Gasolio fiscalmente agevolato � Destinazione ad uso diverso -Sussistenza del reato � Concreto impiego Irrilevanza, 407. Reato finanziario � Olii minerali -Gasolio fiscalmente agevolato -Destinazione ad uso diverso � Elemento subiettivo � Necessit� nell'agente della consapevolezza dell'antigiuridicit� del fatto -Esclusione, 405. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento � Competenza dell'ufficio � Dmnicilio fiscale -Luogo di produzione del reddito -Irrilevanza � Omessa presentazione della dichiarazione � Non esclude la nullit� dell'accertamento -Dichiarazione presentata ad ufficio incompetente � Fissazione di domicilio diverso, 334. -Accertamento � Metodo induttivo � Presupposti -Integrazione nel corso del processo -Legittimit�, 354. -Accertamento � Metodo induttivo Prova dei fatti indice -Insufficienza -Pronuncia del giudice di terzo grado � Legittimit�, 354. -Accertamento � Metodo induttivo Ricerca analitica di un singolo cespite -Illegittimit�, 354. -Accertamento � Motivazione sintetica � Dichiarazione solo apparentemente analitica, 332. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Compensi per prestazioni artistiche � Ritenuta alla fonte � Rimborso spese � a pi� di lista � � Rigorosa documentazione � S necessaria, 339. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Condono -Agevolazione � Inconciliabilit�, 377. -Imposte fondiarie � Imposta sui fabbricati -Reddito effettivo -Comparazione con canoni locativi di fabbricati analoghi -Esclusione, 385. X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Imposte sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Intento di speculazione -Fattispecie, 341. -Imposte sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Svalutazione monetaria -Deve essere dedotta dall'ammontare del plusvalore, 343. -Soggetti passivi -Liquidatore delle societ� -Liquidatore di fatto -Responsabilit�, 376. -Soggetti passivi -Sostituto d'imposta -Trasferimento di azienda nel corso del periodo di imposta -Dovere di dichiarazione per il cedente -Sussiste -Responsabilit� solidale del cessionario, 346. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Dogane -Contrabbando doganale Conciliazione amministrativa -Diversit� soggettiva ed oggettiva dalla oblazione -Discrezionalit� dell'Amministrazione -Normalit�, 229. -Imposta sull'entrata -Agevolazione per le autostrade -Appaltatore dei lavori -Si estende, 329. -Imposta sull'entrata -Agevolazione per le autostrade -Art. 8 legge 24 luglio 1961, n. 729 -Interpretazione autentica -Applicazione, 329. -Imposta sull'entrata Assegni ICCRI -Compensi pagati dall'ICCRI alle Oasse di risparmio -Natura di interessi -Esenzione dall'imposta sull'entrata -Spettanza, 367. -Imposta sull'entrata e imposta di conguaglio -Agevolazione per le autostrade. Si estende all'imposta di conguaglio, 329. -Interessi --Computazione -Esito finale del processo -Vicende intermedie -Irrilevanza -Pagamento od offerta di pagamento nel corso del processo -Rilevanza, 372. -Regime dei privilegi -Privilegio generale sui mobili -Insussistenza, 214. TRIBUTI (in genere) -Accertamento -Sanzioni -Provvedimento di irrogazione -Natura - Nascitoa dell'obbligazione, 382. -Contenzioso tributario -Giurisdi-� zione delle commissioni -Estensione -Accertamento della qualit� di soggetto passivo -Rinuncia all'eredit� -Deducibilit� innanzi alle commissioni, 327. -Contenzioso tributario -Giurisdizione -Giudizi pendenti innanzi alla giurisdizione ordinaria alla data dd entrata in vigore della riforma del contenzioso -Perpetuazione della giurisdizione, 350. -Contenzioso tributario -Ricorso Riconoscimento di ammontare di reddito superiore al dichiarato -� vincolante -Decisione della commissione che determina reddito inferiore -Ultrapetizione, 375. -Contenzioso tributario -Ripartizione di potest� tra Commissioni e giudice ordinario e questione di giurisdizione -Ripartizione di potest� tra Commissioni di primo e secondo grado e Corte di appello � questione di competenza, 350. -Restituzioni e rimborsi -Interessi Prescrizione -Autonomia rispetto al credito, 359. TRIBUTI LOCALI -Ilor -Tassazione del reddito dei fabbricati destinati alla locazione degli Istituti autonomi delle case popolari -Natura di reddito fondiario -Tassazione Ilor separata, 361. URBANISTICA -Concessione edilizia -Annullamento -Agriturismo -Destinazione agricola del terreno -Contratto -Elementi obiettivi di valutazione, 283. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 3 giugno 1983, n. 148 .. 15 febbraio 1984, n. 25 . 22 febbraio 1984, n. 39 22 febbraio 1984, n. 40 14 marzo 1984, n. 67 . 14 marzo 11984, n. 69 . 14 marzo 1984, n. 7� .. 5 aprile 1984, n. 93 (ordinanza) 5 aprile 1984, n. 102 . 30 aprile 1984, n. 120 . . . . . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 31 gennaio 1984, nelle cause riunite 286/82 e 26/83 7 febbraio 1984, nella causa J.66/82 29 febbraio 1984, nella causa 77/83 ........ . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 21 novembre 1983, n. 6915 Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7:160 Sez. I, 3 dicembre 1983, n. 7240 Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 7301 . Sez. 1, 5 gennaio 1984, n. 18 . . . Sez. Lav., 18 gennaio 1984,-n. 433 Sez. I, 19 gennaio 1984, n. 457 Sez. I, 23 gennaio 1984, n. 547 . Sez. I, 27 gennaio 1984, n. 635 . Sez. Un., 6 febbraio 1984, n. 871 Sez. I, 7 febbraio 1984, .a. 932 . Sez. I, 7 febbraio 1984, n. 935 . Sez. Un., 27 febbraio 1984, n. 1376 Sez. Un., 27 febbraio 1984, n. 1377 Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1539 Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1546 Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1574 Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1588 Sez. I, 12 marzo 1984, n. 1683 pag. 205 � 214 � 218 � 225 206 " )) .a8 � 229 � 232 � 233 )) 234 pag. 239 � 252 � 258 pag. 327 � 329 � 332 � 334 � 339 �. 270 � 341 � 343 � 346 � 350 � 354 � 359 � 361 � 367 � 273 � 372 � 274 � 375 � 274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sez. Un., 14 marzo 1984, n. 1740 Sez. I, :15 marzo 1984, n. 1761 Sez. I, 19 marzo 11984, n. 1865 Sez. I, 19 marzo 1984, n. 1867 Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1925 Sez. Un., 27 marzo 1984, n. 2017 Sez. Lav., 30 marzo 1984, n. 2142 Sez. Un., 24 aprile ;1984, n. 2148 CORTE D'APPELLO DI ROMA Sez. I, 19 dicembre 1983, n. 2687 Sez. I, 16 gennaio 1984, n. 107 . Sez. I, 21 maggio 1984, n. 1204 TRIBUNALE DI ROMA Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 12832 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE . CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., sent. 13 gennaio 1984, n. 2 Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 843 Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 845 Sez. IV, sent. 30 gennaio 1984, n. 33 Sez. v; sent. 18 gennaio 1984, n. 49 . Sez. VI, sent. 4 ottobre 1983, n. 705 . Sez. VI, sent. 10 ottobre 1983, n. 723 Sez. VI, sent. 22 ottobre 11983, n. 747 Sez. VI, 22 ottobre 1983, n. 7'49 . . . Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, :n. 772 Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, n. 786 Sez. VI, sent. .17 gennaio 1984, n. 6 . Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 23 Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 26 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III penale, 26 genm.io 1984, n. 681 Sez. III penale, 2 febbraio 1984, n. 1024 pag. 262 � 376 � 377 � 382 � 385 � 386 � 268 � 268 pag. 389 � 398 � 390 pag. 401 pag. 275 � 283 � 284 � 284 � 287 � 297 � 298 � 305 � 306 � 307 � 308 � 308 � 313 � 318 pag. 405 � 407 PARTE SECONDA LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� I -Norme dichiarate incostituzionali II -Questioni dichiarate non fondate III -Questioni proposte . . . . . . . . . COSTITUZIONALE pag. � � 41 41 42 f ~:: I ~ �& f: PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 3 giugno 1983, n. 148 -Pres. Elia -Rel. Paladin -Bertoni ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice Avv. Gen. Stato Chiarotti). Reato -Norme penali � di favore � -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Ammissibilit�. Ordinamento giudiziario -Magistrature � Magistratura ordinaria � Con� siglio Superiore della Magistratura � Non punibilit� delle opinioni espresse dai componenti � Natura e limiti � Previsione per legge ordi� naria � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 28 e 112; legge 3 gennaio 1981, n. 1, art. 5). Nessun soggetto, imputato di aver commesso un fatto del quale una norma penale esclude l'antigiuridicit�, pu� venire penalmente condannato per il solo effetto d'una sentenza della Corte Costituzionale che dichiari illegittima la norma stessa. Cionondimeno, il giudizio incidentale di legittimit� costituzionale � ammissibile quando pronunce concernenti la legittimit� delle norme di favore possono influire sul conseguente esercizio della funzione giurisdizionale. La non punibilit� delle opinioni espresse dai componenti del Consiglio superiore della Magistratura si traduce in una esimente (non in una immunit� anche processuale) avente per oggetto le sole manifestazioni di pensiero funzionali all'esercizio dei poteri-doveri spettanti a detti comportamenti. Il legislatore ordinario pu� integrare le prescrizioni costi� tuzionali col prevedere una esimente a presidio della libera manifestazione del pensiero in una funzione pubblica o nella professione forense. (1) (1-2) Le due sentenze in rassegna rilevano anche al di l� delle specie decise. La seconda non soltanto consente ma impone al legislatore ordinario di istituire organismi simili al Consiglio superiore della magistratura per il � governo � in misura maggiore o minore autonomo delle magistrature speciali: a ci� il legislatore ha gi� provveduto per il complesso Consiglio di Stato e tribunali regionali amministrativi, per la Corte dei conti e per l'Avvocatura dello Stato, mentre non ha ancora provveduto per la magistratura militare e per i giudici tributari. In particolare, questi ultimi -avventurosamente � giurisdizionalizzati � -si trovano in uno stato di � anarchia � che pu� risul 2 206 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1984, n. 67 -Pres. Elia -Rel. Ferrari � Carnevale (n.p.\ Magistratura � Magistrature speciali � Organo di auto-governo � Istituzione -Necessit�. (Cost., art. 108; legge 7 maggio 1981 n. 180, art. 15). Il legislatore ordinario � tenuto ad istituire, assumendo a modello il Consiglio superiore della Magistratura, organi colleg,iali di autogoverno (nella specie, della magistratura militare) al fine di assicurare l'indipen� denza ai sensi dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione. (2) I (omissis) Ora, sul tema dei limiti che le impugnazioni ed il conseguente sindacato di legittimit� delle leggi subiscono per effetto dei principi costituzionali di legalit� e d'irretroattivit� dei reati e delle pene, questa Corte si � gi� pronunciata in diverse occasioni. Ma la complessa problematica non � stata compiutamente risolta. Pi� di preciso, la giurisprudenza della Corte pu� considerarsi ormai consolidata, per ci� che riguarda il principio di legalit�, inteso nei termini gi� fissati dall'art. 1 cod. pen.: nel senso che sono state ripetutamente dichiarate inammissibili (da ultimo, con la sentenza n. 71 del presente anno) le impugnazioni attraverso le quali si richiedeva, in sostanza, che la Corte configurasse nuove norme penali, cos� determinando conseguenze sfavorevoli per l'imputato. (omissis) Per quanto invece riguarda il principio d'irretroattivit�, le sentenze che lo hanno preso in considerazione durante lo scorso decenni� si collocano su due versanti opposti. Da un lato, cio�, stanno le pronunce con cui sono state ritenute ammissibili impugnative concernenti norme penali di favore, in base all'assunto che le questioni inerenti � alla cosiddetta retroattivit� delle decisioni di accoglimento della Corte costituzionale attengono all'interpretazione delle leggi e pertanto devono essere risolte dai giudici ordinari� (cfr. le sentenze n. 155 del 1973 e n. 22 del 1975). D'altro lato, varie decisioni contemporanee o di poco successive (si vedano, in particolare, le sentenze n. 26 del 1975, n. 85 del 1976, n. 122 del tare gravemente pregiudizievole per la funzionalit� e persino per il decoro della giustizia tributaria. La prima sentenza afferma che bene ha fatto il legislatore ordinario a garantire ai componenti del Consiglio superiore della Magistratura (e di riflesso degli organi collegiali paralleli delle magistrature specialj) una scriminante a presidio della libert� di manifestazione del pensiero. :: - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 207 1977 e n. 91 del 1979) hanno per contro affermato che !hl tassativo disposto degli artt. 25, secondo comma, della Costituzione e 2 del codice penale imporrebbe in ogni caso al giudice di applicare nella concreta fattispecie la norma impugnata, quand'anche viziata d'incostituzionalit�: donde l'inammissibilit� di siffatte questioni per difetto di rilevanza. � chiaro, per�, che a voler seguire fino in fondo quest'ultimo orientamento ne deriverebbero implicazioni assai gravi. Norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo, in ordine alle .quali si producessero dubbi di legittimit� costituzionale, non ritenuti dal giudice manifestamente infondati, rischierebbero di sfuggire ad ogni sindacato della Corte, non essendo mai pregiudiziale la loro impugnazione; e la Corte stessa verrebbe in tal senso privata -quanto meno nei giudizi instaurati in via incidentale -di ogni strumento atto a garantire la preminenza della Costituzione sulla legislazione statal_e ordinaria. In presenza di previsioni sul tipo dell'art. 5 della legge n. 1 del 1981, quand'anche lesive degli imperativi costituzionali di eguaglianza in materia penale, non sarebbe infatti utilizzabile nemmeno l'estremo rimedio di un annullamento dell'intera disciplina entro la quale si fosse prodotta l'ingiustificata disparit� di trattamento (come si � verificato nel caso della sentenza n. 147 del 1969, sulla contemporanea dichiarazione d'illegittimit� costituzionale dei delitti di relazione adulterina e di concubinato). Ed � appunto in vista di tali .conseguenze, che si rende ora necessario riconsiderare il problema. Al di l� delle apparenze, questa Corte � dell'avviso che entrambi gli orientamenti giurisprudenziali gi� emersi in tal campo contengano, sia pure su piani diversi, essenziali elementi di verit�. Anche nella presente occasione, si deve anzitutto ripetere che nessun soggetto, imputato di aver commesso un fatto del quale una norma penale abbia escluso l'antigiuridicit�, potrebbe venire penalmente condannato per il solo effetto d'una sentenza di questa Corte, che dichiarasse illegittima la norma stessa. � un fondamentale principio di civilt� giuridica, elevato a livello costituzionale dal secondo comma dell'art. 25 Cost. (e gi� puntualizzato -per ci� che attualmente interessa -dal primo comma dell'art. 2 cod. pen.), ad esigere certezza ed irretroattivit� dei reati e delle pene; n� le garanzie che ne derivano potrebbero venire meno, se non compromettendo l'indispensabile coerenza dei vari dettati costituzionali, di fronte ad una decisione di accoglimento. Sebbene privata di efficacia ai sensi del primo comma dell'art. 136 Cost. (e resa per se stessa inapplicabile alla stregua dell'art. 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953), quanto al passato la norma penale di favore continua perci� a rilevare, in forza del prevalente principio che preclude la retroattivit� delle norme incriminatrici. Senonch�, questo primo dato non basta a risolvere il problema. Altro, infatti � la garanzia che i principi del diritto penale-costituzionale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 208 possono offrire agli imputati, circoscrivendo l'efficacia spettante alle dichiarazioni d'illegittimit� delle norme penali di favore; altro � il sindacato cui le norme stesse devono pur sempre sottostare, a pena di istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile. N� giova replicare che un tale inconveniente � imposto dalla logica dei processo costituzionale, vale a dire dalla necessaria incidenza delle decisioni di questa Corte sugli esiti dei giudizi in cui siano stati promossi gli incidenti di costituzionalit�. Indipendentemente dalla sorte degli imputati, � indubbio che nella prospettiva del giudice a quo, cio� del promotore degli incidenti in questione, anche le pronunce concernenti la legittimit� delle norme penali di favore influiscano o possano influire sul conseguente esercizio della funzione giurisdizionale. In primo luogo, l'eventuale accoglimento delle impugnative di norme siffatte verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento o, quanto meno, sui dispositivi delle sei:itenze penali: i quali dovrebbero imperniarsi, per effetto della pronuncia emessa dalla Corte, sul primo comma dell'art. 2 cod. pen. (sorretto dal secondo comma dell'art. 25 Cost.) e non sulla sola disposizione annullata dalla Corte stessa. E conviene aggiungere che la pronuncia della Corte non potrebbe non riflettersi sullo schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio decidenti: poich� in tal caso ne risulterebbe alterato -come � stato esattamente notato in dottrina -il fondamento normativo della decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa. In secondo luogo, le norme penali di favore fanno anch'esse parte del sistema, al pari di qualunque altra norma costitutiva dell'ordinamento. Ma lo stabilire in quali modi il sistema potrebbe reagire all'annullamento di norme del genere, non � un -quesito cui la Corte possa rispondere in astratto, salve le implicazioni ri~avabili dal principio d'irretroattivit� dei reati e delle pene; sicch�, per questa parte, va confermato che si tratta di un problema (ovvero di una somma di problemi) inerente all'interpretazione di norme diverse da quelle annullate, che i singoli giudici dovranno dunque affrontare caso per caso, nell'ambito delle rispettive competenze. In terzo luogo, la tesi che le questioni di legittimit� costituzionale concernenti norme penali di favore non siano mai pregiudiziali ai fini del giudizio a quo, muove da una visione troppo semplificante delle pronunce che questa Corte potrebbe adottare, una volta affrontato il merito di tali impugnative. La tesi stessa considera, cio�, la sola alternativa esistente fra una decisione di accoglimento, nei termini indicati dall'ordinanza di rimessione, ed una decisione di rigetto, pronunciata sulla base dell'interpretazione fatta propria dal giudice a quo. Ma questa Corte non � vincolata in assoluto dalle opzioni interpretative del giudice che promuove l'incidente di costituzionalit�. In altre. parole, non pu� esclu ~ ~: !~ �: ��������������.�����������������.�������.�����.������������������������ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dersi a priori che il giudizio della Corte su una norma penale di favore si concluda con una sentenza interpretativa di rigetto (nei sensi di cui in motivazione) o con una pronuncia comunque correttiva delle premesse esegetiche su cui si fosse fondata l'ordinanza di rimessione: donde una serie di decisioni certamente suscettibili d'influire sugli esiti del giudizio penale pendente. Il che presenta un particolare rilievo nel caso in esame, di fronte ad una norma come quella dettata dall'art. 5 della legge n. 1 del 1981: norma finora inapplicata in sede penale (almeno per quanto risulta a questa Corte), su cui non si � dunque formata alcuna interpretazione giurisprudenziale consolidata e che ha rappresentato, per di pi�, l'oggetto di notevoli dissensi interpretativi fra il pubblico ministero ed il giudice istruttore del Tribunale di Roma. Sulla base di tutte queste ragioni, va quindi respinta l'eccezione d'inammissibilit�, proposta dall'Avvocatura dello Stato. La questione dev'essere invece esaminata nel merito: come la Corte ha gi� fatto, del resto, nell'analogo caso della sentenza n. 123 del 1972, relativa alla causa di giustificazione prevista dall'ultimo comma dell'art. 51 codice penale. Per poter dare una corretta risposta agli interrogativi prospettati dall'ordinanza di rimessione -con riferimento agli artt. 3, primo comma, 28 e 112 Cost. -risulta per� necessario, in primo luogo, precisare quali siano la natura e la portata della norma in questione: � I componenti del Consiglio superiore non sono punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione �. (omissis). Esatta � l'implicita premessa dell'ordinanza di rimessione, cio� che la norma impugnata abbia un ambito di operativit� diverso da quello delle scriminanti di diritto penale comune; e dunque non si presti a venire risolta -come invece si accenna nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri -nella � causa di giustificazione di cui all'art. 51 del codice penale �. Al di l� delle ipotesi di � esercizio di un diritto � o di � adempimento di un dovere �, previste dal primo comma dell'art. 51, l'art. 5 della legge n. 1 del 1981 vuole garantire ai consiglieri una qualificata e rafforzata libert� di manifestazi�ne del pensiero, nell'esercizio delle loro funzioni costituzionalmente garantite; senza di che la norma stessa risulterebbe perfettamente superflua e collocherebbe il Consiglio superiore della magistratura sul piano di qualsiasi altro collegio investito di funzioni pubbliche. Ma la natura specifica di quella previsione non toglie che essa sia stata attentamente delimitata dal legislatore: con il preciso e dichiarato intento di evitare che la garanzia si convertisse nello strumento di abusi, ipotizzato e censurato dall'ordinanza di rimessione. Anzitutto, qualunque condotta delittuosa che non si esaurisca in manifestazioni del pensiero (e nei voti in cui si concretano i giudizi, come 210 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO queill rilevanti nella specie, che la Costituzione riserva al Consiglio superiore della magistratura) rimane soggetta al diritto penale comune, quand'anche posta in essere dai consiglieri, nell'esercizio delle foro funzioni. E, gi� da questo lato, il passo dell'ordinanza in cui si denuncia senz'altro la norma in esame per l'istituzione di �una frangia di funzionari sciolti dalla legge penale�, si rivela il frutto di un eccesso polemico: tanto meno pertinente, se si considera che l'attuale tema del giudizio a quo consiste in una ipotesi di interesse privato in atti di ufficio, che sarebbe stato commesso nel valutare J'attivit� svolta da un magistrato. Second.ariamente la scriminante in questione si differenzia, sotto un ulteriore aspetto dall'immunit� parlamentare di cui al primo comma dell'art. 68 Cost. Fermo rimane, in verit�, che sussiste un fondamento comune ad ambedue le garanzie, nel senso che in entrambe le ipotesi si tratta di assicurare il libero esercizio delle corrispondenti funzioni, e non di privilegiare i singoli funzionari che esercitano i compiti stessi. Ma le formule rispettivamente adoperate dalla Costituzione e dalla legge n. 1 del 1981 sono volutamente diverse. Nel primo caso, cio� si afferma che � i membri del Parlamento non possono essere perseguiti... �; nella stesura finale del disposto in esame si dichiara invece -a seguito di un apposito emendamento, approvato dalla quarta commissione permanente della Camera -che � i componenti del Consiglio superiore non sono punibili... �: quasi per escludere che i consiglieri siano stati in alcun modo sottratti ai giudici penali, mediante un'immunit� di tipo processuale e non solo sostanziale. A pi� forte ragione, � dunque fuor di luogo stabilire un parallelo fra la scriminante di ct� si discute e la cosiddetta garanzia amministrativa dei prefetti e dei sindaci, dichiarata illegittima da questa Corte con. la sentenza n. 4 del 1965 (cui fa richiamo il giudice istruttore del Tribunale di Roma). Da ultimo, � significativo che la disposizione impugnata, pur contenendo un generico riferimento alle opinioni espresse dai componenti il Consiglio, precisi contestualmente che esse devono concernere �l'oggetto della discussione �. Sotto questo profilo, la scriminante in esame presenta un punto di contatto con la previsione dell'art. 598, primo comma, del codice penale (per cui � non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorit� giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorit� amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo�). Ne viene, viceversa, approfondita la differenziazione rispetto alle opinioni espresse e ai voti dati dai membri del Parlamento: coerentemente, del resto, con il carattere specializzato, anzich� generale e libero del fine, delle attribuzioni esercitate dal Consiglio superiore. Ed anche in tal senso ne deriva che il giudice penale pu� bene sindacare se siano stati superati i limiti della condotta scriminata. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In breve, tutti questi dati concorrono a far concludere che l'art. 5 della legge n. 1 del 1981 ha previsto una causa di non punibilit� specifica, ma rigorosamente circoscritta, avente per oggetto le sole manifestazioni di pensiero funzionali all'esercizio dei poteri-doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il Consiglio superiore; sicch� le censure proposte al riguardo dal giudice a quo si dimostrano, per ci� stesso, destituite di fondamento. Ma la questione essenziale, che resta da affrontare, attiene alla giustificazione costituzionale della norma in esame; e, pi� di preciso, si risolve nell'interrogativo se una tale giustific�zione debba essere necessariamente espressa o possa ricavarsi dal sistema. Nella prospettiva dell'ordinanza di rimessione, garanzie del genere di quelle disposte per i componenti il Consiglio superiore sarebbero a tal punt� eccezionali, da dover trovare fondamento in norme costituzionali appositamente dettate (secondo il criterio che questa Corte ha seguito nella citata sentenza n. 4 del 1965). Ma nella specie, con tutta evidenza, una previsione cos� tassativa non sarebbe rintracciabile; e ci� basterebbe, a parte ogni altra considerazione, per far ritenere illegittima la norma denunciata. Simili ragionamenti hanno per� il torto di confondere, collocandole sul medesimo piano, garanzie di natura diversissima. La posizione che questa Corte ha preso nella sentenza n. 4 del 1965 dev'esser riferita -come risulta con chiarezza dalla motivazione -ai � casi di deroga al principio dell'obbligatoriet� dell'azione del pubblico ministero �, con particolare riguardo all'autorizzazione a procedere nei confronti di determinati soggetti. Ben altro � invece il caso delle cause di non punibilit�, stabilite in vista dell'esercizio di determinate funzioni. Norme siffatte abbisognano di un puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da altre leggi costituzionali; ma non � indispensabile -ad avviso della Corte -che il fondamento consista in una previsione esplicita. All'opposto, il legislatore ordinario pu� bene operare in tal senso al di l� delle ipotesi espressamente previste dalle fonti sopraordinate, purch� le scriminanti cos� stabilite siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Ed � lo stesso giudice a quo che, in sostanza, finisce per assumere quest'ultimo punto di vista: sia-quando ricorda, senza affatto contestarla, la causa di non punibilit� configurata dal primo comma dell'art. 598 cod. pen.; sia quando afferma, conclusivamente, che il vizio della norma censurata emergerebbe dal contrasto �fra l'interesse che si voleva tutelare�, costituito dal � libero e corretto esercizio di pubbliche funzioni preordinate ad assicurare l'indipendenza della magistratura �, e l'eccessiva estensione della tutela medesima. Ci� posto, � agevole notare che la natura, la posizione e le fun. zioni del Consiglio superiore della magistratura sono state concepite RASSEGNA Dl?LL1AVVOCATURA DELLO STATO 212 dalla Costituzione in termini cos� caratteristici, da fornire un'adeguata ragione giustificativa della scriminante in discussione. Per prima cosa, comunque si voglia qualificarlo in sede dogma tica, si tratta di un organo di sicuro rilievo costituzionale: dal che si pu� gi� ricavare un evidente tratto distintivo rispetto ai Consigli comunali e provinciali, impropriamente portati a paragone dal giudice istrut I tore del Tribunale di Roma, nonch� alla gran massa dei collegi puramente amministrativi. Ci� che pi� conta, dal nesso fra il primo ed il I secondo comma dell'art. 104 Cost. � dato desumere -come la Corte ~ ha osservato nella sentenza n. 44 del 1968 (per poi riaffermarlo nella sentenza n. 12 del 1971) -�che l'istituzione del Consiglio superiore della magistratura ha corrisposto all'intento di rendere effettiva, fornendola di apposita garanzia costituzionale, l'autonomia della magistratura, cos� da collocarla nella posizione di ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere �. E la Corte ha ulteriormente precisato -nella sentenza n. 142 del 1973 -che �strumento essenziale di siffatta autonomia, e quindi della stessa indipendenza dei magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, che essa � istituzionalmente rivolta a rafforzare, sono le competenze attribuite al Consiglio superiore dagli artt. 105, 106 e 107 Cost. �. Ora, dall'insieme di queste disposizioni risulta che la parte centrale e costituzionalmente necessaria dell'azione del Consiglio consiste in apprezzamenti sulle attitudini, sui meriti e sui demeriti dei magistrati da assegnare ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre a procedimenti disciplinari e via dicendo. Ma la garanzia che il Consiglio � chiamato ad offrire in tal campo, proprio per poter essere effettiva, richiede a sua volta che i componenti del Consiglio stesso siano liberi di manifestare le loro convinzioni, senza venire in sostanza costretti ad autocensure che minerebbero il buon andamento della magistratura. In altre parole, � nella logica del disegno costituzionale che il Consiglio sia garantito nella propria indipendenza, tanto nei rapporti con altri poteri quanto nei rapporti con l'ordine giudiziario, �nella misura necessaria a preservarlo da influenze � che potrebbero indirettamente pregiudicare �l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia� (cfr. ancora la sent. n. 44 del 1968). Il che non esclude, ovviamente, che l'attivit� consiliare sia controllabile in sede giurisdizionale: ma sulla base dei ricorsi avverso le deliberazioni del Consiglio (o contro i provvedimenti che ne adottino il contenuto) non gi� sindacando agli effetti penali le opinioni espresse da parte di componenti il Consiglio medesimo, nell'adempimento dei compiti che sono loro riservati per Costituzione. Certo, rimane il fatto che la scriminante in esame non � stata configurata dalla Carta costituzionale, bens� da una legge ordinaria ed appena nel gennaio del 1981, a molti anni dall'entrata in funzione del PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Consiglio superiore della magistratura; ma ci� non si � verificato senza un valido motivo. Malgrado il suo rilievo costituzionale, il Consiglio ha infatti tardato a ricevere una collocazione ed una sistemazione ben precisa. Dettagliatissima per certi aspetti, la disciplina costituzionale � invece rimasta in vario senso incompiuta, anche per ci� che riguardava la soluzione di fondamentali problemi: dalla discussa questione dello scioglimento del Consiglio, fino al regime dei diversi tipi di deliberazioni consiliari. E la stessa legge istitutiva del 1958 -come l'esperienza ha dimostrato -non ha saputo colmare del tutto le originarie lacune. (omissis). II La legge 7 maggio 1981, n. 180 (�Modifiche all'ordinamento giudi� ziario militare di pace�) � stata emanata nell'intento di dare attuazione al dettato costituzionale (art. 108, secondo comma), il quale testualmente prescrive che � la legge assicura la indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia �. A tal fine il legislatore, assumendo come modello il Consiglio superiore della magistratura, ha previsto -con la legge e l'articolo test� indicati -l'istituzione di apposito organo collegiale, che ha appunto denominato � di autogoverno della magistratura militare �, del quale peraltro ha omesso di stabilire la c,omposizione. In via transitoria, tuttavia, per le nomine, trasferimenti e conferimenti di funzioni, da adottarsi in ogni caso con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della difesa, risulta disposto che, se �immediatamente necessari per l'attuazione � della legge, si provvedesse � sentito il Procuratore generale mili� tare�, e che successivamente -ma, comunque, �per la durata di non pi� di un anno dalla data di entrata in vigore della ... legge � -si provvedesse � sentito un comitato composto dal Procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, dal Presidente e dal Procuratore generale e dai Presidenti delle sezioni distaccate della Corte militare di appello �. Ora, essendo ampiamente ed inutilmente trascorso� ben pi� di un anno dell'entrata in vigore della legge in parola, non pu� dirsi che sia priva di ogni validit� la doglianza del giudice a quo per tal fatto -indipendentemente dalla questione se trattasi di termine ordinatorio o perentorio -, specie considerando la formulazione particolarmente energica (�non pi� di un anno�) ed il carattere di urgenza attribuito alla legge, di cui deve ritenersi che non senza ragione venne disposta l'entrata in vigore �il giorno successivo a quello della sua pubblicazione �. E si deve conseguentemente affermare che il legislatore � tenuto, attuando l'art. 15 della legge n. 180 del 1981, ad assolvere senza ulteriori indugi 214 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO l'impegno di creare l'organo che effettivamente assicuri l'indipendenza della giurisdizione militare. Non pu� tuttavia non rilevarsi �che nella specie, oscillando la censura fra la richiesta di caducazione della disciplina transitoria (cui conseguirebbe la ripristinazione dell'anteriore e pieno assoggettamento all'esecutivo) e la richiesta di devoluzione alla competenza del Consiglio superiore dalla� magistratura (che comporterebbe una modifica della composizione di tale organo, quale stabilita della stessa Costituzione), la questione va, allo stato, dichiarata inammissibile per l'evidente incertezza che dalla prospettazione deriva sul petitum. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 febbraio 1984, n. 25 -Pres. Elia -Rel. Maccarone -S.p.A. SIPRA (avv. Punzi) ENEL (avv. Giorgianni) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Sernicola). Tributi erariali indiretti -Regime dei privilegi -Privilegio generale sui mobili -Insussistenza. (Cost., artt. 3 e 53; cod. civ. art. 2758, come modificato con legge 29 luglio 1975, n. 426). La legge 29 luglio 1975, n. 426, nel dare nuovo assetto alla normativa in tema di privilegi, ha eliminato il privilegio generale sui mobili introdotto dall'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687. La Corte costituzionale non pu� sostituirsi al legislatore ordinario e determinare un pur auspicabile ritorno alla normativa del 1974 (1). La Corte � chiamata a stabilire se l'art. 2758, comma secondo, cod. civ., come modificato dall'art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426, con l'escludere il privilegio generale sui mobili a garanzia del credito di rivalsa I.V.A. a favore del cedente di beni mobili o prestatore di servizi per essere previsto soltanto il privilegio speciale sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio -si ponga [n contrasto con l'art. 3 Cost., ove si consideri che talune categorie di beni sono per natura rimmediat�mente consumabili e che, pertanto, fo. relativa garanzia sarebbe inoperante, determinandosi cos� una irrazionale disparit� di trattamento rispetto alle altre categorie di creditori, che pur fruendo dello stesso privilegio hanno invece la possibilit� di rinvenire nel patrimonio del debitore i beni sui quali pu� essere fatta valere la garanzia. (1) L'Avvocatura aveva sostenuto in difformit� delle ordinanze di remissione -non avere la legge del 1975 prodotto l'abrogazione della disposizione del 1974. ::: t i~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA c�sTITUZIONALE 215 Una ulteriore violazione dell'art. 3 Cost. viene dedotta con riferimento al credito di rivalsa I.V.A. per prestazioni professionali non riferibili a beni rilevandosi che, anche in tale ipotesi, verrebbe a deter� minarsi una disparit� di trattamento non giustificata rispetto alle prestazioni di servizi riferibili a beni, potendo nel secondo caso essere esercitata la garanzia di legge, inoperante, invece, per gli altri crediti raffrontati, per i quali non � previsto alcun privilegio. Giova premettere che in base alla legge 26 ottobre 1972, n. 633, che ha istituito e disciplinato !'I.V.A., l'imposta � dovuta (art. 17) dai soggetti che effettuano la cessione di beni e le prestazioni di servizi oggetto d'imposizione fiscale; i predetti hanno diritto di rivalsa per fimposta pagata nei confronti del cessionario dei beni e del committente dei servizi. A favore di tali crediti di rivalsa era riconosciuto (art. 18) privilegio speciale sui beni che avevano formato oggetto della cessione o ai quali si riferiva il servizio. Con d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687, venne modificata la normativa anzidetta (art. 1). stabilendosi che il credito di rivalsa I.V.A. era assistito da privilegio speciale sugli immobili oggetto della cessione o ai quali si riferisse il servizio mentre se riguardava la cessione di beni mobili, era assistito da privilegio sulla generalit� dei mobili del debitore. Intervenuta la legge 29 luglio 1975, n. 426, che ha dato un nuovo assetto alla normativa in materia di privilegi, � stato riconosciuto ai crediti di rivalsa un _privilegio speciale sui beni oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio (art. 2758, comma secondo cod. civ., come modificato dall'art. 5 della legge anzidetta). Eguale privilegio speciale � assicurato sugli immobili che abbiano formato oggetto di cessione o ai quali si riferisca il servizio prestato (art. 2772, comma terzo cod. civ., come modificato dall'art. 8 della citata legge n. 426 del 1975). Dopo l'entrata in vigore di tale ultima legge, si � discusso se la nuova normativa abbia interamente regolato la materia con conseguente abrogazione di tutte le norme preesistenti oppure abbia lasciato in vita disposizioni di leggi speciali' e, tra queste, l'art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo modificato dall'art. 1 d.P.R. n. 687 del 1974, che prevedeva, per i crediti di rivalsa relativi alla cessione di beni mobili, un privilegio sulla generalit� dei mobili del debitore. La Corte di cassazione ha ritenuto, in conformit� della prevalente dottrina, che la legge 426 del 1975 ha interamente regolato - la materia dei privilegi, compresi quelli che assistono i crediti I.VA., riportando anche questi ultimi, con gli opportuni mutamenti e coordinamenti, nella disciplina del codice civile, sicch� l'intera materia risulta regolata dalla legge sopravvenuta, con conseguente abrogazione della disciplina antecedente. � stato sul punto precisato che il concetto di �intera materia�, 216 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO quale assunto dall'art. 15 delle preleggi, va inteso non con riferimento a tutta la normativa che sia possibile dettare riguardo ad un determinato istituto ma con riferimento a quanto di omogeneo possa individuarsi nei testi legislativi raffrontati. Tali persuasivi rilievi vanno condivisi e deve, pertanto, ritenersi che l'unica fonte normativa della materia controversa sia attualmente costituita dal codice civile, come modificato dalla legge n. 426 del 1975. Le ordinanze, a sostegno della dedotta violazione del principio di eguaglianza, pongono in evidenza il trattamento deteriore riservato ai creditori di rivalsa I.V.A. nelle ipotesi ricorrenti nelle fattispecie esaminate, in cui la cessione riguardi beni consumabili ed energie, che non si rinvengono poi nel patrimonio del debitore e non possono q�indi essere assoggettati ad esecuzione forzata rispetto al favorevole trattamento normativo fatto ai creditori nell'ipotesi di cessione di beni suscettibili di esecuzione forzata, sui quali possa concretamente esercitarsi il privilegio speciale, del tutto inoperante negli altri casi. Eguale disparit� di trattamento, non giustificata, riscontrano alcune delle ordinanze qualora il credito di rivalsa riguardi prestazioni professionali non collegate a singoli beni, non essendo prevista a garanzia di tali crediti alcuna prelaz;ione mentre per i crediti relativi a prestazioni riferibili a beni indivduabili � previsto il privilegio speciale. I lamentati inconvenienti indubbiamente sussistono e chiaramente derivano da uno squilibrio normativo in quanto vengono regolate in modo eguale situazioni sostanzialmente diverse. Ove la cessione riguardi beni che di norma si consumano nello stesso momento in cui vengono ceduti (come gas o elettricit�) o si tratti di prestazioni di servizi relativi a tali beni Q comunque non riferibili a singoli beni il privilegio speciale non potr� mai essere esercitato in quanto non sar� dato rinvenire quei beni nel patrimonio del debitore per sottoporli ad esecuzione. Per eliminare tali inconvenienti venne introdotto, con il d.P.R. n. 1087 del 1974 il privilegio generale sui mobili del debitore ma con la riforma del 1975, per un probabile difetto di coordinamento normativo, si � ripristinato il privilegio speciale mobiliare, annullando cos� quella garanzia che lo stesso legislatore aveva concesso nel 1974, con l'evidente scopo di rafforzare la posizione del cedente nell'esercizio della rivalsa. Le ordinanze prospettano sostanzialmente la necessit�, per stabilire uniformit� di trattamento, di ripristinare il privilegio generale introdotto con il d.P.R. n. 687 del 1974; esse ravvisano, infatti, nella riforma del 1975 la causa determinante dei lamentati inconvenienti. Ma se pure la situazione � quella innanzi delineata, solo il legislatore pu� porvi rimedio ed assicurare, con i mezzi che creder� pi� idonei, il necessario equilibrio normativo... PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Pur se tale modifica legislativa comporta gli inconvenienti ravvisati, questi non possono essere eliminati che con l'adozione di rimedi diversi da quelli previsti dal sistema attuale che contempla per, tutti i crediti di rivalsa I.V.A. il privilegio speciale. Ma tutto ci� costituirebbe innovazione normativa, di esclusiva competenza del legislatore; infatti la discrezionalit� legislativa riguarda non solo l'innovazione al sistema normativo ma anche il tipo di rimedio che valga a realizzarla. Conclusivamente: non si tratta nella specie di correggere una situazione normativa che impedisce l'applicazione di un determinato trattamento ad una categoria di situazioni omogenee a quelle oggetto del trattamento stesso e che ne risultino escluse per effetto del testo legislativo impugnato, il che, per costante giurisprudenza, rientra nella competenza di questa Corte. Si tratta invece di disporre nuovi e diversi mezzi di garanzia in relazione alle peculiari caratteristiche della situazione in esame. S� sollecita, cio�, una vera e propria innovazione normativa, che implica una scelta tra le varie soluzioni possibili. Le stesse considerazioni valgono per l'ipotesi di prestazioni di servizi non riferibili a singoli beni -per le quali manca ogni garanzia -perch� anche in tal caso si tratta di innovazione legislativa, occorrendo introdurre nell'ordinamento nuove norme. La proposta questione va, pertanto, dichiarata inammissibile. Alcune ordinanze dubitano della legittimit� costituzionale dell'articolo 2758, comma secondo cod. civ., anche per contrasto con l'art. 53 Cost., ritenendo che per la concreta impossibilit� del creditore di rivalsa di recuperare l'imposta pagata, nelle situazioni sopra delineate, l'imposta stessa finirebbe per gravare in via definitiva su di un soggetto, che non essendo consumatore dei beni ceduti o committente dei servizi, non avrebbe la capacit� contributiva che giustifica l'imposta. Tale assunto non pu� essere condiviso. Esso muove dalla premessa che effettivo debitore dell'imposta, nell'ipotesi di prestazioni di servizi sia il committente e nel caso di cessione dei beni il consumatore finale. Ma se questo � il risultato economico derivante dalla rivalsa, esso non pu� costituire il presupposto cui � collegata la prestazione tributaria e in base al quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va individuata la capacit� contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., intesa come idoneit� soggettiva all'obbligazione di imposta (cfr. sent. n. 91 del 1972 ed altre). L'art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 con lo stabilire che l'imposta � dovuta �dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le-prestazioni di servizio imponibili�, identifica il presupposto dell'imposta in ciascuna delle anzidette operazioni economiche. La capacit� contributiva va pertanto riscontrata in tutti i soggetti che quelle operazioni pongono in essere. (omissis). 218 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1984, n. 39 -Pres. Elia -Rel. Gallo -Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Friuli-Venezia Giulia -Compartecipazione all'I.G.E. e successivi trasfe rimenti sostitutivi -Determinazione unilaterale ad opera del Mini stero delle Finanze -Invasivit�. Un intervento amministrativo unilaterale dello Stato mediante il quale � rettificato -a torto o a ragione -l'ammontare concordato (mediante intesa) dei trasferimenti alla Regione per la realizzazione delle sue finalit� istituzionali risulta invasivo della competenza regionale anche perch�, nella specie, elude un dovere di collaborazione tra Stato e Regione legislativamente prescritto. (omissis) Con ricorso 2 febbraio 1983, notificato il 3 e depositato 1'11 successivo, il Presidente pro tempore della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia ricorreva contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la risoluzione del conflitto di attribuzione determinato dal provvedimento enunciato nella lettera 26 novembre 1982, n. 2159 dal Ministero delle Finanze -Direzione Generale per la finanza locale. Sosteneva il ricorrente che, in applicazione dell'art. 119, secondo comma, Cost., alla Regione furono attribuite quote fisse di alcuni tributi erariali, elencati nell'art. 49 dello Statuto speciale di autonomia (legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1). Fra tali quote erano compresi anche i cinque decimi dell'IGE, di competenza dello Stato, riscossa nel territorio della regione. Dal 26 maggio 1964 sino al l� gennaio 1973, data in cui l'IGE ha cessato di avere applicazione, i detti cinque decimi sono stati pacificamente calcolati comprendendosi nel gettito dell'IGE (riferito naturalmente all'ambito regionale) anche i proventi derivanti dall'IGE all'importazione. Gli stessi cinque decimi, del resto, cos� determinati, sono stati sempre inclusi nelle previsioni di entrata dei bilanci regionali per gli esercizi dal 1964 al 1972 nei relativi rendiconti consuntivi,� approvati (questi ultimi previa parificazione della Corte dei conti) con leggi regionali, sottoposte al controllo governativo senza che nulla mai venisse eccepito. Dal 1973, dopo l'abolizione dell'IGE, � entrato in vigore un regime transitorio di finanziamento (non ancora cessato) disciplinato dall'art. 8 primo e secondo comma d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638: in base a tale regime, sono stati da allora devoluti alla Regione somme pari a quelle attribuite per l'ultimo anno di vigenza dell'IGE, e quindi somme pari a quei cinque decimi, comprensivi anche dei proventi derivanti dall'IGE all'importazione. Per 18 anni, pertanto, lo Stato ha dato attuazione nel senso suddetto, all'art. 49, n .5 dello Statuto di autonomia F.V.G. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 219 Senonch� con lettera n. 2159 del 26 novembre 1982 il Ministro delle Finanze, su conforme parere dell'Avvocatura dello Stato, ha improvvisa mente sovvertito siffatta pacifica interpretazione, pretendendo che i pro� venti derivanti dall'IGE all'importazione non dovessero essere ricompresi nel computo delle somme da corrispondere alla Regione, e perci� addebitando quanto versato in pi� nel corso degli anni dal 1973 al 1982, disponendone senz'altro il recupero secondo criteri unilateralmente fissati. (omissis) Quantunque la soluzione del conflitto s'imponga su altro versante, la Corte rileva anzitutto che il quesito su cui le parti controvertono (se, cio�, l'IGE all'importazione rappresenti soltanto una species del pi� ampio genus IGE, oppure una distinta imposta dalla ben diversa natura) � tuttora di incerta risposta. Lo � in dottrina, dove -pur con qualche leggera prevalenza dell'orientamento favorevole alla seconda alternativa -si sostiene generalmente che comune ad ambo i tributi � la causa o funzione dell'imposta. che � quella di colpire l'entrata proveniente da scambio di merci o di servizi. Ci� che diversificherebbe il contenuto dell'art. 17 della legge 762/40 da quello dell'ari:. 1 sarebbe, perci�, soltanto l'accertamento: che � autoaccertamento (o accertamento cogli altri sistemi indicati nella legge citata) per gli scambi all'interno del territorio nazionale, ed �, invece, accertamento obiettivo dell'importazione, come presupposto dell'imposta, per gli scambi internazionali. Si vuole, tuttavia, in contrario, che l'importazione vada considerata come fatto obbiettivo, indipendentemente dal trasferimento di ricchezza che riguarda invece le entrate che si verificano sul territorio nazionale: per cui la 'sola relazione esistente fra l'art. 1 e l'art. 17 sarebbe rappresentata dai parametri per la determinazione dell'aliquota dell'imposta da applicarsi al momento dell'importazione. N� minore � l'incertezza della giurisprudenza della Corte di cassazione per la quale, ad un primo indirizzo che riconosceva nelle due imposte forme impositive autonome e distinte, � seguito un contrario insegnamento, poscia consolidato dalle Sezioni Unite con numerqse sentenze. Il che non ha impedito qualche ritorno alle originarie posizioni; anche se poi le Sezioni Unite, nuovamente intervenute ma incidenter tantum, non sembrano averlo confermato. Nell'unica sentenza in cui la giurisprudenza di questa Corte ha lambito il problema (ma a proposito di caso ben diverso dall'attuale), si � data premura di avvertire espressamente, riverberando quell'incer tezza, che � i dubbi, apparsi in dottrina, sulla natura dell'IGE all'im portazione, non toccano la controversia, per risolvere la quale basta aver considerato il collegamento delle due imposte coi fatti di importazione esportazione e con le operazioni doganali. Ch� se una pi� rigorosa impo stazione teorica e qualche fine pratico consigliassero di inquadrare i 220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO due tributi, come specie a genere, nelle imposte sugli affari e quell'imposta generale sull'entrata, la soluzione sarebbe irrilevante in questa sede� (sent. 12 dicembre 1967, n. 146). In realt�, colla citata sentenza, questa Corte non ha ravvisato incompatibilit� fra la qualificazione dell'IGE all'importazione di cui all'art. 17 quale �provento� �doganale (non per�, quale � dazio � doganale) e il suo rapporto di specie a genere coll'imposta generale sull'entrata di cui all'art. 1 della legge 762/1940. Ma -come si � accennato -il presente conflittp di attribuzione necessariamente prescinde dalla soluzione di un siffatto quesito. Se questa, infatti, e soltanto questa, fosse la regiudicanda, potrebbe addirittura dubitarsi che un siffatto oggetto costituisca materia di conflitto, giacch� la mera rivendicazione di beni, la pretesa a contenuto prettamente patrimoniale, e l'interpretazione della normativa che ad esse si riferisce, sono sicuramente materia di competenza della giurisdizione ordinaria (cfr. Corte cost. 24 maggio 1970, n. 97; 23 aprile 1976, n. 111; 15 giugno 1979, n. 61). Vero � che, spostando l'accento dal contenuto economico della pretesa alla � categoria dei beni � attorno a cui si controverte, potrebbe gi� su questo piano rilevarsi che il decidere sulle categorie dei beni spettanti o non alla Regione rappresenta di per se stesso un profilo che investe la competenza e la funzione istituzionale della Regione, costituzionalmente protette (Corte cost. 8 maggio 1959, n. 31). In realt�, nel caso di specie, la rivendicazione patrimoniale � soltanto il momento conseguenziale di pi� delicati problemi che stanno a monte e che concernono la tematica di un atto asseritamente invasivo o, comunque, lesivo della competenza della Regione, il che �, invece, sicuramente oggetto di conflitto di attribuzione. D�l che sar� subito detto. Non prima, per�, di avere constatato che l'atto amministrativo contestato non si presta a dubbi sulla sua impugnabilit�. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che non occorrono atti definitivi, essendo impugnabili anche atti preparatori (Corte cost. 18 dicembre 1972, n. 211), n� sull'impugnabilit� influisce il carattere formale dell'atto: si � ritenuto, infatti, proponibile il ricorso de quo anche nei confronti di una circolare (Corte cost. 2 ottobre 1979, n. 120). � sufficiente, perci�, un qualsiasi atto di organo statale che affermi in concreto la propria competenza ad esercitare un certo potere (Corte cost, 12 dicembre 1967, n. 153), e ci� ovviamente, anche se l'atto integri un provvedimento revocativo di altro provvedimento (Corte cost. 30 maggio 1968, n. 69). Tutti tali requisiti sono ravvisabili nella nota 26 novembre 1982, n. 2159 del Ministero delle Finanze -Direzione generale per la finanza ij~ locale -diretta alla Regione Friuli-Venezia Giulia. ~~ 8 Il ~ fo I ~ Z".�'.J'.�Z�:-'.�Z�ZJ'..r.�:�:r..-..-............................:<:<:.-..-..�z..-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.......�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.-.�.-.-.-.-.-.�.�.�.�.�.�.�.-.-.-.�.�.�.�.�.�.�.�.:;...:-.-.--.�.�-:�z�:�Z�Z�Z�'.�'.� .-.-.-.�.z�:�:�:-z.-.-:-:�Z�Z".� -�.-.-..-.-.�.-,-.ᥥ-��,,.-��-.:;.-�������������������������������������������""�"� PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Ritiene la Corte che la ministeriale ora richiamata sia effettivamente lesiva della competenza della Regione ricorrente, tanto sotto l'aspetto formale quanto sotto quello ~ostanziale. Il D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, che detta norme di attuazione dello Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza locale, dopo aver dato atto nell'esordio che � stata sentita la cominissione paritetica �di cui all'art. 65 dello Statuto speciale, dispone all'art. 10 che � alla determinazione... delle somme spettanti alla Regione per le quote fisse di proventi erariali indicate nell'art. 49 dello Statuto � � sar� provveduto con decreto del Ministro per le finanze di concerto con il Ministro per il Tesoro, di intesa con il President,e della Giunta regionale �. E difatti il D.M. 18 aprile 1967, premesso che �il Presidente della Giunta regionale ha manifestato la propria intesa sul presente decreto �, recita all'art. 1 � � approvato l'unito prospetto -che � parte integrante del presente decreto -per la liquidazione delld quote di proventi erariali spettanti alla Regione Friuli-Venezia Giulia ai sensi dell'art. 49 dello Statuto per il primo esercizio finanziario regionale... �, .Va rilevato, dunque, che l'art. 10 del D.P.R. 114/65 sembra preoccuparsi di pretendere l'intesa col Presidente della Regione sulla determinazione in concreto delle somme spettanti alla Regione proprio nell'intento di predisporre una sede. in cui trovassero soluzione concordata eventuali disparit� di vedute in ordine all'uno o all'altro accredito: ed in realt� il prospetto allegato al successivo decreto ministeriale, alla voce �imposta generale sull'entrata�, determinava effettivamente proprio le somme che, per essa voce, si era convenuto pacificamente di assegnare alla Regione. Ben � vero che una siffatta determinazione si rendeva tanto pi� necessaria in quanto il primo esercizio, a causa del momento in cui anpava in vigore, restava limitato al periodo 26 maggio-31 dicembre 1964. Tale circostanza, per�, non diininuisce il valore significativo della disposizione, giacch� per calcolare le somme spettanti, ritagliandole nel pi� limitato periodo del primo esercizio, le parti hanno dovuto necessariamente tener conto di quanto lo Stato aveva incassato nel territorio della Regione 'per il titolo di cui alla voce � Imposta generale sull'entrata�: ed � pacifico, proprio per il fatto che ora lo Stato ne pretende la restituzione, che in quel primo calcolo sicuramente le parti, di c�mune intesa, determinarono le somme spettanti sulla base di un preciso criterio: calcolando, cio�, in quella voce anche l'ora contestata LGE all'importazione. Qualunque fosse all'origine la corrispettiva interpretazione delle norme presupposte dall'intesa del 1967, � certo, comunque, che essa in linea di fatto fu raggiunta in tal senso: e si tratt� di intesa nemmeno tanto anomala rispetto alle tendenze degli orientamenti ordinamentali, se ora il legislatore va estendendo esplicitamente anche ad altre Regioni differenziate la compartecipazione nel gettito RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 222 dell'IGE all'importazione (cfr. da ultimo per la Sardegna la I. 13 apri� le 1983, n. 122, art. 1 lett. G, dove � anche precisato che la quota fissa dovuta si riferisce all'imposta riscossa nel territorio della Regione: col che il legislatore mostra di voler superare anche le obiezioni concernenti l'assei:ito valore di riferimento nazionale proprio dall'IGE all'importazione). N� quell'intesa pu� essere assunta con effetti limitati alla determinazione del primo periodo di esercizio, come si potrebbe essere tentati di arguire dalla qualifica di � transitoria � che la rubrica sembrerebbe attribuire alla disposizione di cui all'art. 10 del citato D.M. 18 aprile 1967; e ci� perch� -a parte la considerazione secondo cui la norma sembra avere carattere piuttosto � finale � che transitorio -l'intesa col Presidente della Regione informa come principio generale il contenuto del D.P.R. 23 novembre 1965, n. 114. Cos� l'art. 4 prevede l'intesa per la determinazione dell'ammontare dei proventi, derivanti alla Regione da maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni successive al decreto, quando quei proventi siano stati destinati per legge a copertura di nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale. Bench�, dunque, una legge segni il destino di quei proventi, che sicuramente, perci�, dovranno essere riversati allo Stato, il legislatore impone tuttavia che la determinazione del loro ammontare avvenga d'intesa col Presidente della Regione: evidentemente proprio perch� il provvedimento incide sulle entrate regionali toccando la sfera di competenza della Regione. Altrettanto dicasi per quanto concerne i servizi relativi all'accerta� mento e alla riscossione dei tributi istituiti dalla Regione (servizi disim� pegnati dallo Stato), le cui modalit� di esecuzione devono essere determinate con decreto del Ministro delle finanze, ma sempre previa intesa col Presidente della Giunta regionale (art. 7). Ancora una volta il legislatore esige l'intesa perch� quelle procedure interessan� da vicino le entrate regionali. Parimenti in ordine alla determinazione dell'ammontare delle spese che spettano in rimborso alla Regione per l'esercizio, mediante suoi uffici, di funzioni di competenza statale (art. 9). Tutte norme queste certamente non transitorie, come appare dalla stessa collocazione, e tuttavia improntate allo spirito di comune intesa che domina la disciplina generale del decreto. Spirito, del resto, che presiede anche ad altra norma fra quelle definite �transitorie e finali�: si vuole alludere alla disposizione di cui all'art. 13, la quale pure prescrive la stessa intesa per la liquidazione delle spese che dovranno essere addebitate alla Regione, in ordine a quegli uffici statali che adempiono a funzioni regionali e che alla Regione -dovranno poi essere trasferiti. '.�'.�~�'.�'.�'.�Z".�Z-'.�Z�~�:�:-:i:�:�:".�:-::-:�z�z-:-::-:�:�z-:-:':-:�:� � �.�.�.�.�.�:�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�::.'.'.�.'.'.�.�.�.�.�.�::.�.�.�:.-.-.-.-.�.�.�.�.�.�.-.�.�.-.�.�.�.�.�.-.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.� 223 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Ebbene, il criterio adottato concordamente nel 1967 (ma con efficacia dal 26 maggio 1964) non fu� pi� evidentemente abbandonato dalle parti se -come si evince dalla stessa ministeriale -esso fu osservato, e senza obiezioni, per ulteriori cinque anni ed oltre, fino a quando, cio�, il tributo fu sospeso dall'art. 90, n. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Cinque anni e pi� durante i quali lo Stato ha mantenuto fede ai criteri adottati nell'intesa. raggiunta col Presidente della Regione in occasione della determinazione delle somme spettanti sul primo bilancio di esercizio. Una siffatta concordia, peraltro, perdura ulteriormente per altri dieci anni ancora, ma va rilevato che, dopo l'avvento della citata legge soppressiva, sopravviene una situazione nuova che consolida e fissa nel tempo quell'intesa: si allude al procedimento novativo introdotto dal legislatore coll'art. 8, primo comma, del coevo D.P.R. n. 638. Dispone, infatti, questa norma che alle Regioni differenziate vengano corrisposte somme d'importo pari a quelle devolute per l'anno 1972 per tributi e compartecipazioni a tributi erariali soppressi. Dove manifestamente il riferimento al titolo di devoluzione svolge ruolo di mero criterio d'identificazione delle somme in concreto effettivamente corrisposte. Lo attesta eloquentemente la rubrica del decreto che testualmente recita: � Disposizioni per l'attribuzione di somme agli enti indicati nell'art. 14 della l. 9 ottobre 1971, n. 285, in sostituzione di tributi, contributi e compartecipazioni... �. Non pu� esservi dubbio, pertanto, a questo punto che il legislatore si � preoccupato di predisporre adeguata normativa per assicurare nel tempo la continuit� della concreta erogazione di quelle stesse somme (parzialmente indicizzate negli anni) che fino a quel momento erano state pacificamente corrisposte sulla base delle intese raggiunte: e ci� fino a quando non sarebbe stato attuato �il coordinamento della disciplina delle entrate tributarie delle Regioni a Statuto speciale, cos� come previsto dalla 1. 9 ottobre 1971, n. 825 (delega al Governo per la riforma tributaria). E poich� il coordinamento tarda a venire, il Parlamento con successivi provvedimenti proroga di anno in anno la continuit� della novazione (l. 27 gennaio 1978, n. 43; I. 8 gennaio 1979, n. 3; l. 7 luglio 1980, n. 299; I. 23 aprile 1981, n. 153; I. 26 febbraio 1982, n. 51; I. 25 aprile 1983, n. 131). Vero � che quella preoccupazione del legislatore muoveva da intenti sostanziali di cui subito sar� detto ma appare evidente frattanto che, gi� sul piano formale, l'intervento unilaterale del Ministero delle finanze ha violato una precisa competenza della Regione: quella che prevedeva l'intesa col Presidente della Giunta regionale in ordine alla determinazione delle� somme spettanti per la compartecipazione nei tributi. Ammesso, infatti, che fossero superabili gli effetti novativi del D.P.R. n. 638/72; e che si trattasse di verificare l'errore interpretativo alla base dell'intesa raggiunta nel 1967, non potevasi pretermettere un nuovo inter, , . ��-...-....-...-...-...-...-............ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 224 vento del Presidente della Giunta regionale. Si tratta; in sostanza, di un meccanismo costituzionale di collaborazione fra Stato e Regione che non pu� �essere eluso quando � espressamente previsto. La sua inosservanza comporta l'annullamento del provvedimento viziato, giusta costante giurisprudenza di qu.esta Corte (si vedano le sentenze 25 maggio 1963, n. 80; 14 luglio 1976, n. 180; e, argomentando a contrario, la sent. 17 luglio 1980, n. 123). Ma -come si � appena osservato -sia nel prevedere l'intervento della Regione nell'intesa, sia nel prorogare nel tempo la corresponsione delle somme gi� corrisposte alle Regioni differenziate fino al 1972 (in sostituzione della compartecipazione ai proventi dei tributi soppressi), il legislatore � stato ovviamente mosso da intenti sostanziali. Una volta che, attraverso la compartecipazione ai tributi erariali riscossi nella Regione, lo Stato ne finanzia la parte essenziale delle entrate, ogni problema afferente alle fonti di� queste non pu� essere evidentemente soltanto una questione riducibile ad una rettifica dei calcoli che si assumono errati, o di pi� corretta interpretazione di qualche norma ordinaria. Come la dottrina ha correttamente rilevato, proprio in merito alle quote fisse attribuite alle Regioni sui tributi erariali, la validit� di quelle quote si fonda essenzialmente sulla esattezza della valutazione dei costi delle funzioni regionali. In realt�, nel bilanciamento fra entrate e spese, di cui si sostanzia lo strumento , contabile della Regione, esiste un rapporto ineliminabile nel quale trovano rappresentazione quei fatti amministrativi e di gestione che la Regione realizza in esecuzione dei suoi fini istituzionali. Ci� signfica che le somme concordate fra Stato e Regione quali quote fisse di partecipazione alle imposte statali, e di cui poscia il legislatore ha prorogato l'erogazione, avevano una precisa finalizzazione nel contesto del bilancio regionale di cui rappresentavano la quasi totalit� delle entrate ordinarie: esse, infatti, erano state calibrate, in occasione dell'intesa, nella prospettiva del concreto esercizio di quelle funzioni istituzionali, costituzionalmente rilevanti, che il bilancio consentiva. Di ci� . appunto evidentemente ha inteso preoccuparsi il legislatore, non solo nel predisporre il cennato meccanismo costituzionale di collaborazione fra Stato e Regione, ma �anche e particolarmente dandosi carico di disporre l'ulteriore prosecuzione dell'erogazione delle stesse somme (salvo una modesta indicizzazione), nonostante la soppressione dei tributi. Se questo, dunque, -come pare -� stato l'intento del legislatore, un intervento amministrativo del Governo che unilateralmente rettifica -a torto o.cl a ragione -le somme concordate per la realizzazione delle finalit� istituzionali della Regione, non si risolve in una mera questione di calcolo: al contrario, esso risulta invasivo della compe 225 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tenza regionale anche sul piano sostanziale, oltre che su quell~ gi� illustrato del processo formativo della comune volont�. Facendo� mancare, infatti, alla Regione una parte notevole delle entrate, senza avere esperito un tentativo d'intesa, l'organo ministeriale incide anche sul conseguimento delle finalit� costituzionalmente tutelate. Certo, il legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65 Statuto Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente Regione. La Corte, comunque, deve frattanto provvedere in ordine� �ll'atto impugnato. p.q.m. dichiara che non spetta allo Stato di escludere unilateralmente, in via amministrativa, l'IGE all'importazione dal calcolo delle somme da corrispondersi alla Regione Friuli-Venezia Giulia in applicazione dell'art. 8 del �n.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, e successive modificazioni. CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1984, n. 40 -Pres. Elia -Rel. Saja -Torzilli ed altri (n.p.) il Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Corte Costituzionale -Diritto vivente � Giurisprudenza contrastante della Corte di Cassazione � Possibllt� di pronuncia interpretativa della Corte Costituzionale. Locazione -Immobili destinati ad attivit� essenzialmente agricole e ad attivit� agricole per concessione � Legge cosidetta dell'equo canone � Si applica, se trattasi di immobili urbani. (Cost., artt. 3, 35 e 41; legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, 29, 67 e 73). La Corte Costituzionale procede direttamente alla interpretazione delle norme legislative quando la giurisprudenza della Corte di Cassazione � contrastante e manca qualsiasi apprezzabile apporto dottrinale. La legge n. 392 del 1978 (c.d. equo canone) disciplina soltanto gli immobili �urbani�; le norme relative agli immobili non abitativi si applicano pure agli immobili destinati all'impresa agricola per connes sione ed alla impresa essenzialmente agricola (1). (.1) Interessanti d passi della sentenza ove si parla di � intrinseco carattere industriale o commerciale � dell'impresa agricola per connessione, e di � integrazioni le quali si sviluppano in misura sempre crescente � tra impresa essenzialmente agricola ed altre imprese. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 226 (omissis) Con i suddetti provvedimenti di rimessione i giudici a quibus dubitano della legittimit� costituzionale dell'art. 27 I. 27 luglio 1978 n. 392� (c.d. legge dell'equo canone) nonch� dei successivi artt. 29, 67 e 73 nella parte in cui richiamano detta disposizione; e ci� perch� le ricordate norme, nel disciplinare la durata delle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, si riferirebbero soltanto agli immobili destinati ad atthit� industriali, commerciali, arti: gianali e turistiche nonch� all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attivit� di lavoro autonomo, mentre ne rimarrebbero esclusi quelli destinati all'esercizio di un'impresa agricola: il che porrebbe le norme stesse in contrasto con gli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione. Le prospettate questioni sono infondate non ricorrendo, come pregiudizialmente ha eccepito la Presidenza del Consiglio dei ministri, il presupposto logico-giuridico da cui muovono le ordinanze in epigrafe, ossia la mancata considerazione della impresa agricola nella disciplina impugnata. In proposito giova ricordare che l'art. 2135 cod. civ. dispone nel primo comma che � imprenditore agricolo chi esercita un'attivit� diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attivit� connesse; ed aggiunge, nel capoverso, che si reputano connesse le attivit� dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell'esercizio non;nale dell'agricoltura. La norma distingue dunque -e la distinzione non � priva di rilievo -tra attivit� essenzialmente agricole e attivit� agricole per con� nessione. A queste ultime si riferiscono le ordinanze le quali hanno per oggetto immobili ~dibiti o di;i: adibire alla conservazione e alla lavorazione di prodotti agricoli destinati al mercato. Invece, l'ordinanza del Pretore di Bergamo concerne un'attivit� essenzialmente agricol�, come �l'allevamento del bestiame�, il quale, s.econdo la nozione accolta dal codice civile, riguarda non gi� l'allevamento in genere di animali, ma soltanto quello caratterizzato da un sostanziale nesso funzionale con la terra (il fondo) su cui l'allevamento stesso avviene. Un'osservazione preliminare, comune alle proposte questioni, attiene alla natura del bene locato: questo deve appartenere alla categoria degli immobili urbani, a cui esclusivamente si riferisce la cit. I. n. 392 del 1978, intitolata appu~to � Disciplina delle locazioni di immobili urbani �. Intuitivamente deve trattarsi di un bene utilizzato dal locatario (o da utilzzare dal locatore nei casi previsti dagli artt. 29 e 73) nell'esercizio dell'agricoltura perch� altrimenti il problema neppure si porrebbe, ma occorre pur sempre che si tratti di un immobile urbano, e tale requisito, pur con qualche inesattezza terminologica, � stato ritenuto sussistente �� __.x '�:.=�,;, .r~ wa. ,,,, , , PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 227 dai giudici a quibus, nel cui compito esclusivo rientra l'accertamento degli elementi inerenti al rapporto giuridico dedotto in giudizio. Ci� posto, sembra alla Corte che, per quanto riguarda le attivit� agricole connesse, deve ritenersi, in base al �diritto vivente�, che esse sono comprese nell'ambito dell'art. 27 della legge sull'equo canone e conseguentemente in quello dei successivi artt. 29, 67 e 73. Invero, la mancanza di una esplicita previsione nel ricordato art. 27 non ha impedito� alla dottrina, che si � occupata della materia, e alla giurisprudenza, che ha preso in esame il problema, di ritenere che le attivit� agricole connesse siano comprese nella previsione delle norme impugnate. In particolare, va osservato che la Corte di Cassazione � pervenuta a detto risultato sul rilievo che la disposizione dell'art. 2135, secondo comma, codice civile trova il suo fondamento nell'intento legislativo di estendere per esigenze unitarie la disciplina dell'impresa agricola ad attivit� le quali, pur avendo un intrinseco carattere industriale o commerciale, sono intimamente collegate con l'agricoltura; ci� -osserva la Cassazione -non esclude che tali attivit� vadano considerate nella loro effettiva essenza, sicch�, tra l'altro, alle stesse deve essere applicato il nuovo regime delle locazioni previsto dal citato art. 27 (e quindi anche dagli artt. 29, 67 e 73)... In termini non proprio coincidenti si presenta il problema rispetto alle attivit� essenzialmente agricole, ma ci� non impedisce, in definitiva, che la soluzione debba essere la medesima. Per esse infatti non � possibile individuare un �diritto vivente�, poich� manca, oltre a qualsiasi apprezzabile apporto dottrinale, anche una giurisprudenza di merito, mentre la Corte di Cassazione, nei soli due casi in cui ha preso in esame il problema, si � orientata in senso contrastante, affermando in uno che le attivit� agricole ora ricordate non rientrano nella previsione del cit. art. 27 (e conseguentemente dei successivi artt. 29, 67 e 73) e ritenendo invece nell'altro che .la formula legislativa si riferisce a tutte le attivit� produttive e quindi non consente . di escludere quelle agricole. In tale situazione spetta a questa Corte procedere direttamente all'interpretazione della norma. . Gi� si � visto, rispetto alle attivit� agricole connesse, come l'argomento tratto dall'elemento letterale non abbia una effettiva consistenza, e ci� vale intuitivamente anche per l'ipotesi qui considerata. � invece importante osservare, sotto il profilo logico, come nel sistema accolto dal vigente codice civile, ricorrendo la previsione dell'art. 2135, l'agricoltura � considerata come attivit� d'impresa, e non gi� di mero godimento, sul presupposto della sua preponderante funzione produttiva diretta a soddisfare le necessit� del mercato e, come tale, creativa di ricchezza. 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sotto altro profilo, va rilevato che l'agricoltura non pu� essere con� siderata come a s� stante e senza alcun rapporto con gli altri settori della economia, sussistendo invece strette connessioni e reciproche integrazioni, le quali si sviluppano in misura sempre crescente, specie per quanto riguarda il settore agroalimentare: e questo esige, tra l'altro, l'impiego di tecnologie nuove, per cui sono necessari macchinari di notevoli dimensioni, da custodire necessariamente in appositi locali. Dalle superiori osservazioni consegue che il legislatore non poteva prescindere dalla comunanza della natura imprenditoriale e dello stretto nesso ora ricordato ed escludere perci� l'imprenditore agricolo dalla pi� ampia protezione che le norme denunciate attribuiscono agli altri imprenditori in tema di locazioni di immobili, al fine di maggiormente tutelarne l'attivit� economica. Il che tanto pi� � da ritenere se si considera che il citato art. 27, come sopra � stato ricordato, comprende anche � qualsiasi attivit� di lavoro autonomo �, sicch� non poteva essere escluso il lavoro svolto nell'agricoltura e, in particolare, quello del coltivatore diretto (sulla cui nozione vedasi anche l'art. 6 1. 3 maggio 1982, n. 203), che l'art. 2083 cod. civ. definisce piccolo imprenditore. Indubbiamente, gli statuti dell'imprenditore agricolo e di quello commerciale sono diversi, ma tale eterogeneit� non pu� avere riflessi in subiecta materia, rispetto alla quale l'esigenza di una maggiore tutela (relativa all'immobile utilizzato per l'esercizio dell'impresa) ricorre in maniera sostanzialmente analoga anche per colui che svolga l'attivit� prevista dal cit. art. 2135, primo comma, del codice civile. Conclusivamente deve dirsi che, per entrambe le categorie di attivit� agricole ora indicate, non ricorre il presupposto ritenuto dalle ordinanze di rimessione, sicch� le sollevate questioni risultano prive cli fondamento. CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1984, n. 69 -Pres. Elia � Rel. Andrioli -Gianni ed altri (n.p.). Fallimento � Interrogatorio del fallito � Eventuale emergere di reati fal limentari � Non necessit� della presenza del difensore � Legittimit� costituzionale. {Cost., artt. 3 e 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 49). Non � prescritta la presenza del difensore all'interrogatorio del fallito �a cura del curatore, il quale non � ufficiale di polizia giudiziaria; peraltro le dichiarazioni cos� rese dal fallito, prima dell'assunzione della qualit� di imputato (ad esempio, per reati fallimentari), non possono essere utilizzate per l'istruzione penale (1). (1) La sentenza appare interessante anche perch� di principio da essa confermato pu� valere, tra l'altro, per le domande poste al contribuente da funzionari civili dell'amministrazione finanziaria. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (omissis) La questione sul se contrasti con gli artt. 3 e 24, comma secondo, Cost. l'art. 49 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 nella parte in cui non prevede che il curatore fallimentare, nel procedere all'interrogatorio del fallito, debba osservare le garanzie previste per l'imputato dal codice di procedura penale, sebbene l'interrogatorio miri ad acquisire dati che possono rilevare anche al fine dell'accertamento di eventuali responsabilit� penali, � da giudicare infondata perch� basata su di una identit� di posizione tra l'imputato e il fallito (e l'amministratore di societ� fallita, cui l'art. 146 r.d. 267/1942 estende l'art. 49) che non sussiste perch� l'interrogatorio del fallito opera fuori dell'istruzione penale, per la quale il comma quarto dell'art. 304, novellato con la riforma del 1969, non manca di avvertire che nel corso dell'istruzione formale le dichiarazioni rese in assenza del difensore prima dell'assunzione, da parte dell'interrogato, della qualit� di imputato non possono essere utilizzate. Se tali dichiarazioni non possono essere utilizzate, a fortiori non debbom;> essere utilizzate le dichiarazioni rese dal fallito (sia esso imputato oppur no) al curatore, che -non ha mancato di rilevarlo il giudice a quo -non � da qualificare neppure ufficiale di polizia giucj. iziaria. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1984, n. 70 -Pres. Elia -Rel. Conso -Valsecchi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Tributi erariali indiretti -Dogane -Contrabbando doganale -Conci liazione amministrativa -Diversit� soggettiva ed oggettiva dalla obla zione -Discrezionalit� della Amministrazione -Normalit�. (Cost., artt. 3 e 25; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 334). L'istituto della conciliazione amministrativa previsto in materia doganale � diverso -per diversit� soggettiva ed oggettiva -dallo istituto della oblazione, per il che al primo non si estendono norme relative al secondo. � normale, non eccezionale, che alla P.A. sia riconosciuta una discrezionalit� nel consentire l'accesso alla conciliazione amministrativa. (omissis) Comune oggetto di censura � l'art. 334 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con il d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, articolo che di~ciplina la conciliazione amministrativa con riguardo � ai delitti di contrabbando punibili con la sola pena della multa � previsti dallo stesso testo unico. Pi� precisamente, tale articolo viene denunciato da tre giudici a quibus senza che il dispositivo delle rispettive ordinanze ne delimiti comunque l'ambito e dal quarto �nella parte in cui d� facolt� alla P.A. di ammettere o meno alla oblazione il contravventore �. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quanto ai parametri costituzionali invocati, tutte le ordinanze si richiamano all'art. 3 Cost.: l'ordinanza del Tribunale di Como ne prospetta la violazione in rapporto al diverso trattamento che, sotto il profilo della conciliazione amministrativa, altre disposizioni riservano ai supposti autori di particolari ipotesi di contrabbando, pure esse punibili con la sola pena della multa, mentre le rimanenti ordinanze si dolgono del diverso trattamento che la discrezionalit� dell'amministrazione doganale, nel consentire o no la definizione amministrativa, pu� concretamente determinare all'int�rno della categoria degli stessi delitti previsti dal testo unico del 1973. Sempre nella medesima ottica, due di queste ordinanze fanno pure richiamo all'art. 25 Cost., con particolare riguardo al principio di legalit� di cui al suo secondo comma, quale risulta recepito sul piano del diritto penale comune dall'art. 1 c.p., come si precisa nell'ordinanza del Tribunale di Rovigo. Ci� premesso, occorre per prima cosa darsi carico di un'eccezione di inammissibilit� avanzata dall'Avvocatura dello Stato nei confronti del giudizio di legittimit� in ultimo menzionato. L'eccezione si basa sulla considerazione che, non avendo gli imputati del procedimento pendente davanti al Tribunale di Rovigo presentato � domanda di oblazione� prima dell'apertura del dibattimento, � l'oblazione non sarebbe stata comunque pi� possibile �, data l'applicabilit� del termine finale fissato, in coincidenza con l'apertura del dibattimento, dall'art. 162 c.p., � legge generale � da ritenere operante � in mancanza di un diverso termine �, come, appunto, � il caso dell'art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che nulla prevede in proposito. Cos� come formulata e motivata, detta eccezione non pu� essere accolta. A smentire la 'tesi secondo cui la domanda di � oblazione � (rectius, conciliazione amministrativa) risulterebbe definitivamente preclusa in coincidenza con l'apertura del dibattimento, basta il rilievo che l'art. 162 c.p. non pu� essere considerato alla stregua di una legge generale rispetto � a quelle speciali che prevedono le conciliazioni al.1). �ministrative � e, tanto meno, rispetto all'art. 334 qui in esame. Lo impediscono non solo la differenza �soggettiva�, che intercorre tra l'oblazione ex art. 162 c.p. (cui si abbina ora l'oblazione ex art. 162 bis c.p., introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, anch'essa) facente capo all'autorit� giudiziaria e la conciliazione amministrativa ex art. 334 del d.P.R. n. 43 del 1973, facente capo all'autorit� amministrativa, ma anche� e soprattutto la differenza �oggettiva�, che emerge dall'applicabilit� dell'art. 162 c.p. (e cos� pure dell'art. 162 bis c.p.) a fattispecie contravvenzionali, in contrapposto all'applicabilit� del predetto art. 334 a fattispecie delittuose. �La questione sollevata �, comunque, da dichiarare inammissibile per un'altra, ben pi� radicale, ragione ... (omtssis). Anche nell'eventualit�, invero pi� probabile, che ad essere perseguito fosse il secondo dei due PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE / possibili obiettivi, vale a dire la sopravvivenza della conciliazione amministrativa per i delitti cui fa riferimento l'art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, ma con la previa eliminazione di ogrii discrezionalit� per l'amministrazione doganale, la questione dedotta risulterebbe del pari inammissibile, sia pure per un motivo diverso dall'assoluto difetto di rilevanza nel giudizio a quo. Questa volta, l'impossibilit� per la Corte di passare al merito della questione deriverebbe dal fatto che le si chiederebbe di apprestare una disciplina della conciliazione amministrativa del tutto diversa rispetto al sistema attualmente in vigore nel settore delle disposizioni doganali. Non . sarebbe, infatti, di certo sufficiente sostituire la discrezionalit� dell'amministrazione nell'invitare l'incolpato o nell'aderire alla di lui istanza per dar vita ad una nuova disciplina conciliativa in grado di operare automaticamente; il mutamento sarebbe tale da richiedere, altres�, una precisa determinazione dei tempi e delle modalit� per gli adempimenti necessari dall'una e dall'altra parte, non potendo l'estinzione del reato e le conseguenti sorti del processo rimanere svincolate da razionali condizionamenti. Ma simili interventi comportano l'esercizio di scelte che vanno ben al di l� dei poteri di questa Corte, chiamando in causa la discrezionalit� del legislatore, il solo legittimato alla produzione di discipline articolate in sistema (cfr., per analoghe conclusioni, le sentenze n. 137 del 1981, nn. 205, 214, 274 del 1983 e n. 25 del 1984). N� varrebbe obbiettare, sulla scia di quanto suggerisce la motivazione dell'ordinanza del Tribunale di Como, che i tempi e le modalit� del meccanismo co~ciliativo sarebbero ricavabili, senza bisogno di appositi interventi legislativi, dagli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, n. 27 (per giunta, gi� richiamati, sia pure per un settor~ particolare di fatti di contrabbando, dall'art. 341 dello stesso d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43): cio�, dai due articoli che regolano nei dettagli la conciliazione amministrativa di tipo � non discrezionale � che da oltre un trentennio presiede all'estinzione dei reati (delitti o contravvenzioni) punibili con sola sanzione pecuniaria aventi ad oggetto generi di monopolio, eccezione fatta soltanto, da ultimo, per i fatti di contrabbando aventi ad oggetto tabacchi di provenienza estera accertati all'interno degli spazi doganali (art. 7 della legge 10 dicembre 1975, n. 724). L'operazione perseguita attraverso un tale schema di ragionamento -che avrebbe come punto d'arrivo una declaratoria di illegittimit� dell'art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, non solo nella parte in cui si riferisce ad un'amministrazione doganale che �pu�>>, e non che �deve�, consentire alla conciliazione, ma anche nella parte in cui non si estendono le previsioni d�gli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, n. 27 -condurrebbe ad una manipolazione normativa diretta a trasformare in regola quella che per i delitti � un'eccezione, ovverosia ad adottare quest'ultima come modello generale. 232 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E che di eccezione si tratti, quanto ai delitti punibili con la sola pena della multa, lo dimostrano chiaramente tutti gli altri precedenti normativi in materia di conciliazione amministrativa, sempre in chiave di discrezionalit� dell'amministrazione (cfr., via via, art. 117 del r.d. 26 gennaio 1896, n. 20; art. 1 del r.d. 2 settembre 1923, n. 1960, nella parte sostitutiva del predetto art. 117; art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424; e, ancora con riferimento specifico ai generi di monopolio, art. 110 della legge 17 luglio 1942, n. 907). L'iter suggerito dall'ordinanza del Tribunale di Como appare, dunque, precluso a priori, non potendo l'eventuale disparit� di trattamento essere addebitabile alla norma generale, ma soltanto alla norma che se ne discosta... Tra i precedenti dell'attuale art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, � stato,. ovviamente, menzionato anche quello, pi� immediato e diretto, costituito dall'art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, al quale proposito va ricordato l'intervento di questa Corte (sent. n. 55 del 1969), tradottosi in un dispositivo strettamente circoscritto alla declaratoria di illegittimit� della parte di tale articolo -pi� precisamente, la seconda parte del suo secondo comma -che poneva un termine finale troppo anticipato al possibile determinarsi dell'efficacia estintiva del pagamento effettuato all'amministrazione doganale. Il fatto che quel limite temporale non sia stato pi� riprodotto dall'art. 334, che, nell'economia del testo unico del 1973, ha preso il posto del precedente art. 141 n� alcun altro limite sia stato da esso esplicitato, se toglie alla pronuncia costituzionale del 1969 ogni incidenza in ordine alla presente questione, non sta certamente a significare che l'intera tematica della conciliazione amministrativa nei settori delle dogane e dei monopoli non abbisogni di una revisione pi� attenta di quanto non sia stata quella inerente all'emanazione di un semplice testo unico. �, quindi, da auspicare che questa tematica venga al pi� presto ripresa dal legislatore, alla luce di una pi� aggiornata valutazione sia dei poteri demandati alla pubblica amministrazione, sia degli interessi tutelati dalle norme incriminatrici in discussione, sia delle linee di politica legi~lativa involgenti le sanzioni pecuniare, multa compresa. Soprattutto dopo le molteplici, profonde, innovazioni apportate dalla legge 24 novembre 1981, n. 689. CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 1984, n. 93 (ord.) -Pres. e Rel. Elia Ratta (n.p.). Corte Costituzionale � Giudizio in via incidentale � Procedimento di Iiqui� dazione di indennit� a testimone � Non � giudizio. � inammissibile la questione di legittimit� costituzionale sollevata in sede di liquidazione dell'indennit� al testimon.e. PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 1984, n. 102 � Pres. Elia � Rel. Saja � Provincia di Bolzano (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Mi nistri (avv. Stato Sernicola). Corte Costituzionale � Giudizio in via incidentale -Controversia � a quo � sulla giurisdizione � Rilevanza della questione di legittimit� costituzionale � Condizione. Se nel giudizio a quo si controverte solo della giurisdizione, una questione di legittimit� costituzionale � rilevante soltanto se essa investe la norma attributiva della potest� giurisdizionale (1). Il primo comma dell'art. 24 del T.U. delle leggi pr�vinciali sull'ordinamento urbanistico approvato con il decreto del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano il 23 giuno 1970, n. 20 dispone che per eseguire nuove costruzioni edilizie deve essere chiesta apposita concessione al sindaco del comune. Il secondo comma, nella sua seconda parte, soggiunge che � per le opere da eseguirsi su terreni demaniali, ad eccezione delle opere destinate alla difesa nazionale, � pure richiesta la concessione �, Il quadro normativo � completato dal quarto comma, il quale statuisce che � presupposto � necessario della concessione � il pagamento di un contributo, da parte dell'interessato, per le opere di urbanizzazione, nella misura stabilita dall'art. 36 dello stesso Testo unico. Il giudice a quo, accogliendo un'eccezione formulata dall'Amministrazione ferroviaria dello Stato gi� nel giudizio di secondo grado, ha denunciato il riportato secondo comma del cit. art. 24, per contrasto con gli artt. 4 e 11 dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (riferito ancora dall'o:rdinanza di rimessione alla l.c. 26 febbraio 1948, n. 5, mentre questa � stata sostituita dal t.u., approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, delle foggi costituzionali concernenti Jo statuto medesimo) assumendone il contrasto con �il principio generale dell'ordinamento giuridico statale avente ad oggetto l'autonomia dello Stato, rispetto ai Comunli, nell'attivit� di gestione di beni del proprio demanio�. (omissis). Ci� posto, osserva la Corte che, se nel giudizio principale si controverte della giurisdizione, una questione di costituzionalit�, che sia rilevante, � configurabile soltanto se essa investe la norma attributiva della potest� giurisdizionale ossia se dall� sua risoluzione dipende la sussistenza o meno nel giudice adito di tale potest�. Ma questo nesso non sussiste nel caso in esame, perch�, qualificata l'azione, come lo � (1) L'ordinanza di rimessione � stata emessa dalla Corte di cassazione il 7 luglio 1977, e quindi dopo l'entrata in vigore della legge Bucalossi 28 gennaio 1977, n. 10 (e del relativo art. 16). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 234 stata dal giudice a quo, nel senso suindicato (accertamento dell'insussistenza dell'obbligo della concessione e quindi del relativo potere della P. A. nonch� ripetizione dell'indebito), il petitum sostanziale concerne, secondo un orientamento che costituisce ius receptum nella giurisprudenza ordinaria, una posizione di diritto soggettivo (e non di interesse legittimo) e quindi secondo la disciplina generale, a parte quanto sar� detto nel numero successivo, la cognizione spetta comunque al giudice ordinario. Il giudice a quo si limita in proposito ad affermare che la questione di legittimit� costituzionale del cit. art. 24 � rilevante in quanto, se la norma fosse dichiarata illegittima e quindi venisse meno, ricorrerebbe la violazione di un diritto dell'Amministrazione ferroviaria. Ma l'affermazione non � pertinente alla questione di giurisdizione bens� al merito della causa, in quanto la dichiarazione di illegittimit� comporterebbe senz'altro la fondatezza della domanda per essere venuta meno la norma che prevede l'obbligo della concessione e l'onere di contribuzione ma non attribuirebbe al giudice amministrativo fa potest� di accertare l'insussiste�iza dell'obbligo della concessione (e quindi del relativo potere della P. A.), nonch� dell'obbligo di contribuzione; correlativamente, se si verificasse l'ipotesi inversa, il giudice dovrebbe rigettare la domanda, non sussistendo la causa petendi invocata dall'attore. In entrambi i casi, perci�, un'incidenza della pronuncia di questa Corte sulla giurisdizione � sicuramente da escludere, risolvendosi sempre il fondamento del petitum sostanziale in una posizione di diritto soggettivo. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1984, n. 120 -Pres. Elia -Rel. Conso -Martini ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Siconolfi). Procedimento penale � Applicazione di sanzione sostitutiva � Parere del pubblico ministero � Dopo l'apertura per la prima volta del dibat� timento di primo grado -Non � vincolante. (Cost., artt. 3, 24, ,101, 102 e 111; legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78). Il parere del pubblico ministero sulla richiesta dell'imputato di applicazione di sanzione sostitutiva � obbligatorio ma non vincolante dopo l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado. (omissis) Oggetto comune di censura � quella parte dell'art. 77, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che subordina al �parere favorevole del pubblico ministero� la possibilit� per il giudice di � disporre con sentenza, su richiesta dell'imputato..., l'applicazione della sanzione sostitutiva� della libert� controllata o della pena pecuniaria. <:.::�z"�ZCCCC�ZCC�Z<�:<e�:�:�zcc�:c<.'.':�:�:�:�.�:�:�:�.�.'.'.�.�.�.�.-.�.-.�.�.'.�.�.-.-.�.�.�.�.-....................�.�.-.� .......... .�.�����.� ...���. � ........ '.�.'.�.�.�.-........................ ����������������ᥥ������ ............�... ...l lfrrr{!ltvll@=lm~rri1rrl&t:r1iitl1r1l'~lll[iffi=!1rlr11frlrlir1~1m;r,111i111r11rtl,11~111111~1==r111r~llil:r1tl;l~it1l1if:ritrlli=iill! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Una precisazione s'impone preliminarmente al fine di individuare con esattezza la norma giuridica impugnata. In ciascuno dei procedimenti a quibus il problema dell'applicabilit� della libert� controllata o della pena pecuniaria su richiesta dell'imputato � venuto in discussione solo dopo l'apertura del dibattimento, mentre l'art. 77, primo comma, prende in diretta considerazione l'esercizio di detto potere �nel corso dell'istruzione e fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento�: opportunamente, quindi, una delle tre ordinanze coinvolge nel giudizio anche l'art. 78, il cui secondo comma si riferisce al �giudice del dibattimento� ed al �pubblico ministero di udienza �. Questa precisazione comporta che non si possa, altres�, prescindere dall'art. 79, che la stessa legge 24 novembre 1981, n. 689, appositamente ed espressamente dedica all'applicazione del nuovo istituto �nell'ulteriore corso del procedimento�, vale a dire � in ogni stato e grado del procedimento � successivi all'avvenuta apertura del dibattimento davanti al giudice di primo grado. Di conseguenza, la norma da esaminare � rappresentata dagli artt. 77, primo comma, e 78, secondo comma, della� legge 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 79 della stessa legge, nella parte concernente i rapporti tra pubblico ministero e giudice. Infatti, pur non avendo i giudici a quibus espressamentt; indicato tale ultimo articolo, dalle ordinanze di rimessione risulta nettamente individuata e chiaramente evidenziata nei sensi suddetti la norma sottoposta a vaglio di costituzionalit� (v., in proposito, la sentenza n. 63 del 1982): cio�, la norma secondo cui, in qualsiasi stato e grado del procedimento, anche al di l� dell'istruzione e degli atti preliminari al dibattimento di primo grado, sempre occorrerebbe il parere favorevole del puoblico ministero per addivenire all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato. Questa norma, ad avviso dei giudici a quibus, sarebbe in contrasto con una pluralit� di parametri costituzionali, alcuni dei quali invocati da tutte le ordinanze (artt. 24 e 101, secondo comma, Cost.) ed altri non cos� unanimemente (artt. 3, primo comma, 102, prill!o comma, e 111, secondo comma, Cost.), ma sempre facendo leva sul ruolo esorbitante che ne deriverebbe al pubblico ministero non solo nei confronti dell'imputato, bens� anche e soprattutto nei confronti del giudice. Essa viene ricavata da un'interpretazione della sezione II del capo III della legge / 24 novembre 1981, n. 689, decisamente orientata ad intendere come globale il rinvio che l'art. 79 fa all'art. 77 e, quindi, a riconoscere come valevole in ogni stato e grado del procedimento la portata di tutte le prescrizioni contenute nell'art. 77, a cominciare da quella che richiede il parere favorevole del pubblico ministero. Si tratta, innegabilmente, di un'interpretazione assai diffusa tanto nella giurisprudenza di merito quanto in dottrina. Tuttavia, consentono RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli escludere che si debba, al momento, ritenere formato un diritto vivente la mancanza cli precedenti nella giurisprudenza della Corte cli cassazione e, insieme, !'ancor breve periodo di applicazione dell'istituto in questione, totalmente nuovo per il nostro ordinamento (e con solo vaghe affinit� in ordinamenti stranieri) sia sotto il profilo dell'introduzione cli sanzioni sostitutive della detenzione, sia soprattutto sotto il profilo della loro applicabilit� su richiesta dell'imputato, cui pu� seguire un'atipica �estinzione del reato�. Prima ancora che da considerazioni di ordine logico-sistematico (non va trascurata, in particolare, la differenza intercorrente, quanto a legittimazione soggettiva attiva, tra il parere demandato nell'istruzione al procuratore della Repubblica ed il parere demandato nel dibattimento al pubblico ministero di udienza, tutte le volte -e sono le pi� -che il procedimento interessato sia di competenza pretorile), � dalla stessa lettera dell'art. 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che, secondo un indirizzo dottrinale, prende spunto una diversa prospettazione dei suoi rapporti con l'art. 77: una prospettazione tale da circoscrivere l'incidenza del rinvio racchiuso nell'art. 79 al riconoscimento della possibilit� per il giudice di adottare, anche nel corso ulteriore del processo, il provvedimento configurato dall'art. 77, in tutti i suoi contenuti. La formula �il giudice pu� procedere ai sensi dell'art. 77 in ogni stato e�. grado del procedimento � non implica necessariamente un concomitante richiamo dell'iter procedimentale antecedente l'adozione del provvedimento. Potrebbe trarsene conferma dal fatto che l'art. 79 prosegue e si conclude con l'esplicitare l'esigenza che l'imputato abbia � formulato la richiesta di cui allo stesso articolo (il �77) nel termine previsto�: se il �pu� procedere ai sensi dell'art. 77 � fosse comprensivo di tutti gli aspetti disciplinati da quest'ultimo, inclusi quelli di natura procedimentale, correrebbe il rischio di apparire superflua l'espressa prescrizione che esista una richiesta formulata dall'imputato entro il termine stabilito dall'art. 77. La verit� � che l'art. 77 pone s� un termine (�fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento �), ma lo pone non tanto con riguardo all'iniziativa dell'imputato, quanto con riguardo all'esercizio del potere di sostituzione da parte del giudice nei modi ivi previsti, compreso il parere favorevole del pubblico ministero. Scaduto quel termine, l'ambito di applicazione dell'art. 77, completato, per ci� che attiene alla determinazione delle competenze, dall'art. 78, primo comma, sarebbe di per s� esaurito. L'art. 79, in uno con il gi� ricordato secondo comma dell'art. 78, gli rid� spazio, ma soltanto per gli aspetti cl�aramente richiamati dallo stesso art. 79 e, comunque, non suscettibili di trovare soluzione nelle prescrizioni del diritto comune. Per gli altri aspetti, invece, non strettamente. collegati PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alla specialit� del rito, le norme generali, in quanto non espressamente derogate, tornano nuovamente ad operare. In particolare, per quel che concerne il pubblico ministero, nell'assenza di un sicuro rinvio in proposito dell'art. 79 all'art. 77, nulla impedisce di riconoscere piena applicabilit� alle disposizioni generali che il libro primo del codice di procedura penale, da integrare con le disposizioni dettate per il dibattimento, dedica alle conclusioni del pubblico ministero, prescrivendole . (art. 76 c.p.p.) come necessarie, mai come vincolanti. 'Prestandosi la normativa da applicare nei procedimenti a quibus ad un'interpretazione diversa dalla lettura offertane dalle ordinanze di rimessione, donde la possibilit� di avvalersene per la definizione delle relative controversie, le sollevate eccezioni di legittimit� risultano senz'altro superabili, dal momento che proprio l'interpretazione or ora delineata consente di pervenire nei casi di specie a quella soluzione che i giudici a quibus riterrebbero raggiungibile soltanto in forza dei princ�pi costituzionali invocati (cfr., per analoghi precedenti, le sentenze n. 13 del 1979 e n. 191 del 1983). Pi� precisamente, una volta escluso che, per �poter far luogo alla applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato dopo l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado, sia indispensabile il parere favorevole del pubblico ministero, dovendosi intendere limitata alle fasi dell'istruzione e del predibattimento la portata preclusiva del parere sfavorevole del pubblico ministero, due diventano le conseguenze da trarre: per un verso, viene meno, con il cadere del presupposto da cui hanno preso le mosse i giudici a quibus, la stessa possibilit� di ravvisare l'esistenza di un contrasto della normativa applicabile nel dibattimento con i � vari parametri richiamati nelle ordinanze, mentre, per l'altro verso, viene ad emergere la non fondatezza del contrasto con i medesimi parametri ipotizzabile nei confronti della norma che trova applicazione prima del dibattimento. (omissis) Fino a che il dibattimento non sia stato aperto, la formulazione di un parere negativo con efficacia vincolante da parte del pubblico ministero altro non significa che preclusione ad un epilogo del procedimento in anticipo rispetto alla fase processuale maggiormente garantita, qual � il dibattimento imperniato sul contraddittorio diretto tra le parti. In altre parole, il no del pubblico ministero, circoscritto alle fasi dell'istruzione e degli atti predibattimentali, equivale, in armonia con le normali prerogative del pubblico ministero (v. artt. 74, 396, 502 c.p.p.), ad una determinata scelta del rito processuale; nel senso di un passaggio -assolutamente non eludibile con la sentenza che dichiara estinto il reato per intervenuta applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato -alla fase del dibattimento: fase nel corso della quale le 238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO parti avranno la piena possibilit� di tutelare le rispettive poslZlom, in l parit� di armi, compresi sia il mantenimento della richiesta di una sanf f zione sostitutiva ai sensi dell'art. 77, primo comma, della l�gge 24 noJ vembre 1981, n. 689, sia un nuovo intervallo del pubblico ministero, ed il giudice avr� ogni potere decisionale, compreso quello di accogliere o no la richiesta dell'imputato, indipendentemente dall'atteggiamento assunto dal pubblico ministero. (omissis) I I ! I I i SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 31 gennaio 1984, nelle cause riunite 286/82 e 26/83 � Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale di Genova nelle cause Luisi e Carbone (avv. Conte e Timossi) c. Min. Tesoro � Interv.: Governi belga (ag. Collins e de Beer de Laer), francese (ag. Costes), de11a Rep. fed. di Germania (ag. Seidel) e ,italiano (avv. Stato Conti) e Commissione delila C.E. (ag. Berardis). Comunit� europee . Libera prestazione di servizi -Transazioni invisi� bili � Pagamenti correnti e movimenti di capitali � Turismo � Con� trolli degli Stati membri -Legittimit� � Limiti. � (Trattato CEE, artt. 3, 5, 59, 60, 63, 67, 68, 106; direttiva CEE del Consiglio 31 mag� gio 1963, n. 340; d.l. 6 giugno 1956, n. 476; d.l. 4 marzo 1976, n. 31; dd.mm. 6 giugno 1956, 2 maggio 1974, 12 marzo 1981, 14 luglio 1982). L'art. 106 del Trattato va interpretato nel senso che: -i trasferimenti a scopi di turismo, per viaggi d'affari o di studi e per cure mediche costituiscono pagamenti e non movimenti di capitali, anche quando vengono effettuati mediante , trasferimento materiale di biglietti di banca; -le restrizioni a tali pagamenti sono soppresse a partire dalla fine del periodo transitorio,� -gli Stati membri mantengono il potere di controllare che i trasferimenti di valuta' che si asseriscono destinati a pagamenti liberalizzati non siano in realt� utilizzati ,in funzione di movimenti di capitale non autorizzati,� -tali controlli non possono avere l'effetto di limitare i pagamenti ed i trasferimenti relativi alle prestazioni di servizi ad un certo importo per operazione o per periodo, n� di vanificare le libert� stabilite dal Trattato, n� di assoggettare l'esercizio di queste alla discrezionalit� della amministrazione,� -tali controlli possono comportare la determinazione di limiti f oriettari entro i quali non venga effettuato alcun controllo mentre, per le spese di importo superiore, debba essere provata l'effettiva destinazione 240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO agli scambi di servizi, a condizione per� che l'importo forfettario non sia fissato in maniera tale da compromettere il flusso normale degli scambi di servizi. (1) (omissis) 1. -Con ordinanze 12 fugJio e 22 novembre 1982, pervenute alla Corte rispettivamente il 27 ottobre 1982 e il 21 febbraio 1983, il Tribunale di Genova ha sollevato, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, svariate questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 106 del Trattato al fine di poter valutare la compatibilit� con tale norma della legge italiana in materia di trasferimento di valuta. 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di guidizi di opposizione intentati da due cittadini italiani contro i decreti del Ministro del Tesoro con cui venivano loro inflitte pene pecuniarie per avere essi acquistato varie divise estere, al fine di utilizzare fuori dall'Italia, per un controvalore in lire superiore all'importo massimo consentito dalla legge italiana che, all'epoca, ammontava a L. 500.000 annue per l'esportazione di valuta da parte di residenti per scopi di turismo, affari, studio e cura. (1) Viaggi per turismo e relativi trasferimenti di valuta nel diritto comunitario. Dopo la nota sentenza dell'l1l novembre 19811, nella causa 203/80, CASATI (in questa Rassegna, 1981, I, 676), la Corte di Giustizia torna ad occuparsi di problemi relativi ai movimenti di valuta nell'ambito della Comunit�. E anche in questo caso si tratta di trasferimenti materiali di biglietti di banca da un Paese ad un altro. L'mportazione e l'esportazione materiale di valori, comprese le banconote, :figurano fra i movimenti di capitali di cui all'elenco D annesso alle direttive del Consiglio dell'll magio 1960 e del 18 dicembre 1962, e cio� fra quei movimenti per i quali non � prevista alcuna misura obbligatoria di liberalizzazione (artt. 67 e 69 del Trattato CEE). Si pone, per�, il problema se queste importazioni ed esportazioni materiali debbano essere sempre considerate come movimenti di capitali non liberalizzati, indipendentemente dai motivi per cui vengono effettuate, ovvero se operazioni del genere possano farsi rientrare in certi casi e a determinate condizioni, fra i pagamenti relativi agli scambi di merci e di servizi di cui si occupa l'art. 106 disponendone la liberalizzazione nella misura in cui sono liberalizzati gli stessi scambi di merci e di servizi. ' A questo proposito, nella sentenza CASATI, al punto 24 della motivazione in diritto, la Corte aveva osservato che i primi due paragrafi dell'art. 106 del Trattato CEE non obbligano gli Stati ad autorizzare � l'importazione e l'esportazione di banconote per effettuare operazioni commerciali qualora tali trasferimenti non siano necessari per la libera circolazione delle merci �. I trasferimenti di valuta ai quali si riferisce l'art. 106 sono, infatti, quelli necessari per garantire la libera circolazione effettiva delle merci (e dei ser PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 241 3. -Dinanzi al giudice nazionale, i due opponenti contestavano la validit� delle norme di legge italiane su cui si basavano le pene pecuniarie sostenendo la loro incompatibilit� col diritto comunitario. Nella causa 286/82, l'attrice nella causa principale, sig.ra Luisi, affermava di aver esportato la valuta di cui � causa al fine di effettuare alcuni soggiorni turistici in Francia e nella Repubblica federale di Germania e onde sottoporsi a cure in quest'ultimo paese. Nella causa 26/83, l'attore nella causa principale, sig. Carbone, precisava che la valuta estera da lui acquistata era stata utilizzata per un soggiorno turistico di tre mesi nella Repubblica federale di Germania. Le due parti facevano valere che le restrizioni all'esportazione di mezzi di pagamento in valuta estera a scopi di turismo o di cura erano contrarie alle norme del Trattato CEE in materia di pagamenti correnti e di circolazione dei capitali. 4. -Nella sua prima ordinanza, in data 12 Juglio 1982 (causa 286/82), il Tribunale di Genova constata che le operazioni per '1e quali ila [egge italiana contempla un massimale per i trasferimenti di valuta, e cio� viaggi a . scopo di turismo, affari, studio e cura fanno parte delle transazioni invisibili di cui all'allegato III del Trattato. I pagamenti ad es~e relativi rientrerebbero quindi nella disciplina di cui all'art. 106, n. 3, primo comma, del Trattato, che impone agli Stati membri di non introdurre nuove restrizioni mentre la normativa italiana contestata � stata adottata nel 1974. Sarebbe tuttavia opportuno determinare la portata vizi), mentre, � nell'ambito di negozi d'indole commerciale, questo modo di trasferimento (e, cio�, la materiale dislocazione di biglietti di banca), che peraltro non � conforme agli usi, non pu� essere considerato rispondente a tale necessit��. Nella sentenza in rassegna (punti 21 e 23 della motivazione in diritto) si affemia, per contro, che �il trasferimento materiale dei biglietti di banca non pu� definirsi un movimento di capitale qualora il trasferimento di _cui trattasi corrisponda ad un obbligo di pagamento derivante da un'operazione nell'ambito degli scambi di merci o di servizi. Ne discende che i pagamenti a scopo di turismo, per viaggi d'affari o di studi e per cure mediche non possono qualificarsi movimenti di capitali anche ove siano effettuati mediante il trasferimento materiale di biglietti di banca �. Non � agevole ricondurre queste due affermazioni ad un comune principio. In particolare, nel caso del turismo, non � agevole stabilire in base a quale criterio possa qualificarsi come vero e proprio pagamento, non solo il trasferimento di valute effettuato in corrispettivo di un effettivo scambio di servizi turistici e attraverso procedimenti (in particolare, bancari), idonei a stabilire un nesso certo e indubitabile fra movimento valutario e prestazione del servizio, ma anche la semplice esportazione di mezzi di pagamento che il turista rechi con s�, senza che sussista alcuno specifico vincolo relativo alla loro futura destinazione. Su questo punto, che non appare pienamente chiarito dalla sentenza in rassegna, sembrano necessari ulteriori approfondimenti, in vista dei quali pu� 242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esatta di tali norme nei confronti di quelle che regolano i movimenti di capitali in quanto, in particolare, queste ultime si riferiscono ai trasferimenti materiali di biglietti di banca. 5. -Onde ottenere chiarimenti su questo punto, il Tribunale ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: � Se nel caso di esportazione da parte di viaggiatori residenti che si recano all'estero a scopo di turismo, affari, studio e cura, di biglietti di Stato e di banca esteri nonch� di titoli di credito in valuta estera i soggetti dell'ordinamento comunitario usufruiscano di diritti che gli Stati membri sono tenuti a rispettare in forza delle norme di ' standstill ' di cui all'art. 106, n. 3, primo comma, del Trattato, rientrando detta operazione tra le transazioni invisibili elencate nell'allegato III del Trattato medesimo, ovvero, se per effetto del rinvio operato dall'art. 106, n. 3, secondo comma, del Trattato, il predetto caso, concretanto dal punto di vista obiettivo un trasferimento di valuta in contanti, rientri tra i movimenti di capitali che, a norma delle disposizioni di cui agli artt. 67 e 68 del Trattato e delle relative direttive adottate dal Consiglio 1'11 maggio 1960 ed il 18 dicembre 1%2, non devono essere obbligatoriamente liberalizzati, donde la legittimit� in tali settori di misure di controllo e di sanzioni, nella specie amministrative, da parte dello Stato membro �. 6. -Nella sua seconda ordinanza, in data 22 novembre 1982 (causa 26/83), il Tribunale limita il suo esame ai trasferimenti di valuta a scopi di essere utile il richiamo ad alcuni spunti critici sollevati nel corso del procedimento dalla difesa del Governo italiano. Sembra, anzitutto, tutt'altro che decisiva la pura e semplice osservazione secondo cui anche il turista deve considerarsi come un destinatario di servizi (alberghieri, d{ trasporto, spettacoli, ecc.). Occorre precisare, infatti, che il turista � solo potenzialmente un destinatario di servizi nel Paese in cui si reca. Nel momento in cui lascia il proprio Paese portando con s� la valuta non � parte di uno specifico e determinato rapporto di scambio di servizi. Si trova semplicemente nella posizione di chi potr� usufruire di servizi nei luoghi. che si trover� a visitare, e cio� nella posizione di potenziale cliente dei prestatori di servizi stabiliti in tali luoghi. Dal punto di vista economico o statistico, ai fini, ad esempio, della formazione della bilancia dei pagamenti, � ben possibile che ci� non assuma alcuna rilevanza. Gli esborsi per uno scambio attuale di servizi ed i trasferimenti effettuati in vista di potenziali scambi di questo genere ben possono, da questo punto di vista, apparire come fenomeni sostanzialmente analoghi. Non cos�, invece, dal punto di viista giuridico. Giuridicamente, infatti, una ,distanza incolmabile separa fra di loro i rapporti di scambio effettivamente costituiti fra due soggetti e le situazioni di fatto che possono semplicemente fornire l'occasione per porre un soggetto in contatto con la generica offerta di servizi messi a disposizione di chiunque in un determinato Paese. La disciplina giuridica PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 243 turismo. Esso si chiede se il turismo, pur costituendo una transazione invisibile ai sensi dell'art. 106, n. 3, del Trattato, non debba essere considerato nel contempo rientrante fra gli scambi di servizi e quindi essere disciplinato dall'art. 106, n. 1, concernente la liberalizzazione dei pagamenti relativi alle prestazioni di servizi. 7. -Per questo motivo, il Tribunale ha sottoposto alla Corte una nuova questione pregiudiziale cos� f?rmuLata: � Se nel caso di esportazione da parte di viaggiatori residenti che si recano all'estero a scopo di turismo, di biglietti di Stato e di banca esteri, nonch� di titoli di credito in valuta estera, i, soggetti dell'ordinamento comunitario fruiscano di diritti che gli Stati membri sono tenuti a rispettare in forza della norma direttamente applicabile di cui all'art. 106, n. l, del Trattato, ove si reputi considerare i vi~ggi per turismo nell'ambito della circolazione dei servizi ed i trasferimenti di valuta per sostenerne le spese alla stregua di pagamenti correnti da ritenersi pertanto liberalizzati come i servizi cui accedono; oppure se, rientrando l'operazione de qua tra le transazioni invisibili elencate nell'allegato III del Trattato medesimo, e per effetto del rinvio operato dall'art. 106, n. 3, secondo comma, concretando l'operazione stessa un obiettivo trasferimento di valuta in contanti, essa rientri tra i movimenti di capitali che, a norma delle disposizioni di cui agli artt. 67 e 68 del Trattato e delle relative direttive adottate dal Consiglio 1'11 applicabile alla prima ipotesi non pu�, quindi, ritenersi senz'altro applicabile anche alla seconda. Una puntuale verifica della compatibilit� di tale supposta equiparazione con il sistema non pu�, quindi, essere elusa. Orbene, la disciplina del Trattato CEE relativa tanto agli scambi di servizi quanto ai pagamenti relativi appare, in effetti, orientata in senso opposto. Per quanto riguarda i pagamenti, l'art. 106, par. l, parlando di pagamenti relativi agli scambi di merci o di servizi, intende chiaramente riferirsi a quei trasfe� rimenti di valuta che trovano la loro causa in un concreto rapporto di scambio, gi� costituito fra soggetti ben determinati. Non pu� non apparire come una forzatura del chiaro testo della disposizione comprendere in essa anche un'ipotesi totalmente diversa, e cio� quella del semplice spostamento da un Paese ad un altro dei mezzi di pagamento portati con s� dai viaggiatori. Questo sposta� mento non � caratterizzato da alcunch� che lo vincoli ad una precisa desti� nazione finale della valuta esportata. Al momento del passaggio della frontiera, il collegamento della valuta portata dal viaggiatore con un determinato pagamento pu� costituire, al massimo, una semplice intenzione. Ed � chiaro che una mera intenzione non pu� mai assumere rilevanza giuridica, e meno che mai al fine di assimilare ai veri e propri pagamenti quello che, in realt�, � solo un mezzo per rifornirsi di generiche disponibilit� finanziarie nel Paese di destinazione. Va sottolineato, a questo proposito, che le disponibilit� finanziarie del turista possono, evidentemente, essere utilizzate in tutti i settori possibili e 244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO J ff� maggio 1960 ed il 18 dicembre 1962, non devono essere obbligatoriamente liberalizzati, donde la legittimit� in tali settori di misure di controllo e i: I (.:sanzioni, nella specie amministrative, da parte dello Stato membro �. f 8. -Dal tenore delle questioni pregiudiziali e dalla motivazione delle due ordinanze di rinvio risulta che i problemi di interpretazione del diritto comunitario sollevati. dalle presenti controversie consistono nello stabilire: a) se il turismo, il viaggio d'affari, il viaggio di studi e le cure mediche appartengano alle prestazioni di servizi oppure alle transazioni invisibili ai sensi dell'art. 106, n. 3, del Trattato o contemporaneamente ad entrambe le categorie; b) se il trasferimento di valuta per queste quattro voci debba essere considerato quale pagamento corrente ovvero quale movimento di capitale, in particolare qualora venga effettuato attraverso un trasferirimento materiale di biglietti di banca; e) quale sia il grado di liberalizzazione dei pagamenti relativi a queste quattro voci come previsto dall'art. 106 del Trattato; d) quali provvedimenti di controllo dei trasferimenti di valuta gli Stati membri abbiano eventualmente il diritto di adottare nei confronti dei pagamenti cosi l�beralizzati. immaginabili, e cio� non solo nel settore dello scambio di servizi, ma anche in quello dello scambio di merci o in quello del movimento di capitali. Non esiste, perci�, alcuna base oggettiva che consenta di collegare necessariamente il trasferimento di valuta effettuato dal turista con uno scambio, sia pure potenziale, di servizi. Anche da questo punto di vista, quindi, si manifesta azzardata l'assimilazione dei trasferimenti attinenti al turismo ai veri e propri pagamenti, e cio� ai corrispettivi versati per un concreto scambio di servizi. Del resto, anche gli artt. 59 e 60 del Trattato confermano che di veri e propri scambi di servizi, e quindi di pagamenti ad essi relativi, si pu� parlare soltanto in presenza di concreti rapporti giuridici che leghino soggetti determinati stabiliti in diversi Paesi della Comunit�. Il turista come tale, non pu� considerarsi, ai sensi del Trattato, come un destinatario di servizi. Tale nozione presuppone un preciso rapporto di scambio fra due soggetti determinati; e ad un simile rapporto giuridico non � possibile assimilare una situazione di mero fatto, che ponga semplicemente un soggetto nelle condizioni di diventare potenzialmente un utente di prestazioni di servizi da parte di soggetti indeterminati stabiliti in un altro Paese. In questo senso si era espresso l'avvocato generale Trabucchi nelle conclu. sioni presentate nella causa 118/75 (WATSON). Notava, in particolare, l'avvocato generale in quell'occasione che, se ci si allontana dalla considerazione di rapporti di scambio determinati, tutti, assolutamente tutti i cittadini comunitari, e non solo i turisti, possono considerarsi, in atto o in potenza, come destinatari ., di servizi. Orbene, ci� porterebbe a vanificare del tutto la precisa determi� I: !l ~~ 1: ~~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 245 a) Sulle nozioni di �prestazioni di servizi� e � transazioni invisibili�, 9. -Secondo l'art. 60 del Trattato, vanno considerate come � servizi � ai sensi del Trattato le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. Nell'ambito del titolo III della parte seconda del Trattato (�Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali�), la libera circolazione delle persone comprende la circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit� e la libert� di stabilimento sul territorio degli Stati membri. 10. -In base all'art. 59 del Trattato, le restrizioni alfa libera prestazione di questi servizi sono soppresse nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunit� che non sia quello del destinatario della prestazione. Per consentire l'esecuzione delle prestazioni di servizi, pu� aversi uno spostamento sia del prestatore che si reca nello Stato membro in cui il destinatario � stabilito, sia del destinatario che si reca nello Stato di stabilimento del prestatore. Mentre il primo caso � espressamente menzionato nell'art. 60, terzo comma, che ammette l'esercizio, a titolo temporaneo, dell'attivit� di prestatore di servizi nello Stato membro in cui la prestazione viene erogata, il secondo ne costituisce il necessario complemento che risponde allo scopo di liberalizzare nazione effettuata dal Trattato delle categorie dei soggetti che possono beneficiare delle disposizioni degli articoli 59 e seguenti. Un simile modo, amplissimo e indeterminato, di intendere la nozione di � destinatari di servizi � non pu�, perci�, considerarsi in nessun modo compatibile con la disciplina positiva del Trattato. Si consideri, in particolare, che il primo comma dell'art. 59 prende in considerazione gli scambi di servizi soltanto se il prestatore sia cittadino di uno Stato membro e sia stabilito in un Paese della Comunit�. Orbene, � evidente che requisiti di questo genere sono concepibili soltanto rispetto a precisi e concreti rapporti di scambio intercorrenti fra soggetti determinati. Non avrebbe senso, invece, la prescrizione di quei requisiti se la nozione di scambio di servizi potesse estendersi fino a comprendere anche le semplici occasioni di fatto idonee ad accostare un soggetto proveniente dall'estero al complesso di utilit� e di prestazioni che operatori indeterminati offrono in maniera indifferenziata alla generalit� degli utenti. In definitiva, quindi, sembra pi� corretto limitare la nozione di � desti natari di servizi � e di � pagamenti relativi a scambi di servizi � soltanto alle ipotesi in cui si sia in presenza di una prestazione specifica e determinata resa da un soggetto stabilito in un Paese della Comunit� diverso da quello del destinatario. A queste ipotesi non pu� assimilarsi il trasferimento di mezzi di pagamento effettuato da chi intraprenda un viaggio per turismo. Un viaggio per _turismo non � diverso, sotto questo aspetto, da un viaggio intrapreso con l'intenzione di acquistare determinate merci all'estero. La valuta '246 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ogni attivit� retribuita e non regolata dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali. 11. -Ai fini dell'attuazione di queste norme, il titolo II del programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi stabilito dal Consiglio, il 18 dicembre 1961, in forza dell'art. 63 del Trattato (G. U. 1962, pag. 32) contempla, fra l'altro, la soppressione delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano, ai fini economici, in ciascuno degli Stati membri, l'ingresso, l'uscita ed il soggiorno dei cittadini degli Stati membri, nella misura in cui esse non siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica e possano ostacolare la prestazione di servizi da parte di questi cittadini. 12. -La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221, �per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il tr.asferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica� (G. U. 1964, pag. 850), riguarda fra l'altro, a norma del suo art. 1, i cittadini di uno Stato membro che si recano in un altro Stato membro �in qualit� di destinatari di servizi�. La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, n. 73/148, �relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento ed al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunit� in materia di stabilimento e di prestazione di servizi� (G. U. n. 172, pag. 14), garantisce un diritto portata con s� dal viaggiatore non realizza certo, in questo caso, un paga mento relativo ad uno scambio di merci che, oggettivamente, non esiste ancora. In questo senso, infatti, si � chiaramente espressa la sentenza CASATI. Ci si sarebbe potuto attendere che lo stesso criterio coerentemente portasse ad escludere, nel presente caso, la possibilit� di ravvisare un � pagamento � ai sensi dell'art. '106 nel trasferimento di valuta che il turista reca con s�, con la semplice intenzione di procurarsi dei servizi o di acquistare oggetti vari. La Corte ha, invece, diversamente deciso, ma senza che la ratio di questa diversa decisione risulti chiaramente enunciata. Non si vede, in realt�, motivo per escludere l'ipotesi in considerazione dalla categoria dei movimenti di capitali di cui agli artt. 67 e seguenti del Trattato. Ci� che caratterizza i movimenti di capitali � l'assenza di un attuale corrispettivo che bilanci il trasferimento di mezzi di pagamento da uno Stato all'altro. Mentre, cio�, i pagamenti correnti sono caratterizzati da un preciso collegamento con un rapporto di scambio di beni o servizi, i movimenti di capitali si qualificano come tali proprio in funzione dell'assenza di un simile collegamento. Ogni volta che un trasferimento di valuta non assolva alla funzione di corrispettivo di un attuale e concreto trasferimento di merci o di un'attuale e concreta prestazione di servizi si ha movimento di capitali. Orbene, il trasferimento di mezzi di pagamento recati con s� dal turista non assolve. come si � detto, ad alcuna funzione di corrispettivo nell'ambito PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 247 di soggiorno corrispondente alla durata della prestazione di un servizio tanto al prestatore quanto al destinatario del servizio. 13. -Basando il programma generale per fa soppressione delle restrizioni alla libera prestazione di servizi anche suil'art. 106 del Trattato, gli estensori del programma generale si sono dimostrati consapevoli delil'effetto della liberalizzazione dei servizi su quella dei pagamenti. Infatti, la norma suddetta, al n. 1, stabilisce che i pagamenti relativi agli scambi di merci e di servizi siano liberalizzati nella rtrisura in cui la circolazione delle merci e dei servizi � liberalizzata tra gli Stati membri. 14. -Fra le restrizioni alla �libera prestazione dei servizi che devono essere soppresse, il programma generale menziona, al titolo III, lett. C, anche gli impedimenti ai pagamenti della prestazione e ci� in particolare, a norma del titolo III, lett. D, ed in conformit� all'art. 106, n. 2, qualora gli scambi di servizi siano lirtritati soltanto da restrizioni ai pagamenti relativi. Dette restrizioni dovevano essere soppresse, in base al titolo V, lett. B, del programma generale, prima dello scadere della prima tappa del periodo transitorio, fatte salve, eventualmente, durante tale periodo, le � assegnazioni di valuta ai turisti �. Tali disposizioni sono state attuate dalla direttiva del Consiglio 31 maggio 1963, n. 63/340, �volta a sopprimere ogni divieto od impedimento al pagamento della prestazione qualora gli scambi di servizi siano limitati soltanto da restrizioni ai paga- di un attuale e concreto rapporto di scambio di merci o di servizi. Esso serve soltanto a rifornire il viaggiatore di disponibilit� finanziarie nel Paese di destinazione, disponibilit� utilizzabili, poi, nei modi pi� diversi e disparati. Dal punto di vista giuridico, l'operazione � perfettamente equivalente, ad esempio, alla costituzione di un deposito in conto corrente presso una banca del Paese di destinazione. In quest'ultimo caso, non c'� dubbio che ci troveremmo di fronte ad un movimento di capitali. Non si vede ragione perch� una diversa conclusione debba, invece, valere nel caso di trasferimenti materiali di contante al seguito del viaggiatore. Non vale certo l'obiezione secondo cui l'esportazione materiale di valuta costituirebbe un movimento di capitali soltanto quando sia fine a se stessa, e non quando serva a sopperire alle necessit� del viaggiatore. In realt�, un trasferimento di mezzi di pagamento non pu� essere mai veramente � fine a se stesso �. Per loro stessa natura, infatti, le valute sono sempre destinate, prima o poi, ad un impiego ulteriore. Ci� che conta � che il trasferimento sia effettuato in funzione di corrispettivo di una prestazione determinata, nell'ambito di un concreto e attuale rapporto di scambio,. oppure sia effettuato per tenere a disposizione dell'interessato le valute trasferite, in vista di successivi impieghi non determinati. Il sistema del Trattato induce ad affermare che solo nel primo caso si ha un pagamento ai sensi dell'art. 106. Nel secondo, invece, si ha sempre un movimento di capitali ai sensi degli artt. 67 e seguenti. M~CELLO CONTI 248 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO menti relativi� (G. U. 1963, pag. 1609), il cui art. 3 fa pure riferimento alle assegnazioni di valuta ai turisti. 15. -Tuttavia, il programma generale e la direttiva precitata riservano agli Stati membvi il diritto di verificare la natura e l'autenticit� dei trasferimenti di mezzi finanziari e dei pagamenti nonch� di prendere i provvedimenti indispensabili per impedire infrazioni alle proprie leggi e ai propri regolamenti, � in particolare in materia di assegnazione di valuta ai turisti �. 16. -Ne consegue che la libera prestazione dei servizi comprende la libert�, da parte dei destinatari dei servizi, di recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere impediti da restrizioni, anche in materia di pagamenti, e che i turisti, i fruitori di cure mediche e coloro che effettuano viaggi di studi. o d'affari devono essere considerati destinatari di servizi. 17. -L'art. 106, n. 3, riguarda la soppressione progressiva delle restrizioni ai trasferimenti relativi alle � transazioni invisibiH � figuranti nell'elenco che forma oggetto dell'allegato III al Trattato. Come giustamente rilevato dal giudice nazionale, detto elenco comprende, fra l'altro, i viaggi per affari, il turismo, i \�iaggi e soggiorni di carattere personale per motivi di studio ed i viaggi e soggiorni di carattere persona�e dovuti a motivi di salute. 18. -Tuttavia, dato che tale disposizione, come 11isulta dal suo secondo comma, ha carattere puramente accessorio rispetto ai nn. 1 e 2 dell'articolo 106, non pu� essere applicata alle quattro operazioni di cui trattasi. b) Sulle nozioni di �pagamenti correnti� e �movimenti di capitali�. 19. -Il giudice nazionale ha messo in rilievo che i:1 trasferimento materiale di biglietti di banca figura all'elenco D degli allegati alle due direttive adottate dal Consigli� in applicazione dell'art. 69 del Trattato in materia di movimenti di capitali (G. U. 1960, pag. 921, e 1963, pag. 62). Tale elenco D specifica i movimenti di capitali per i quali le direttive non impongono agli Stati membri alcun provvedimento di liberalizzazione. Si pone pertanto il problema di stabilire se il riferimento, su detto elenco, ai trasferimenti materiali di biglietti di banca implica che questi ultimi costituiscano di per s� stessi un movimento di capitali. 20. -Il _Trattato non definisce la nozione di movimento di capitali. Tuttavia, le due direttive summenzionate contengono, in allegato, un'elenca- I ~ I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 249 zione dei vari movimenti di capitali accompagnata da una nomencla� tura. Non ne risulta che il trasferimento materiale di valori, in particolare dei biglietti di banca, pur facendo parte di tale enumerazione, vada in ogni caso considerato un movimento di capitale. 21. -Dal sistema generale del Trattato si desume infaUi, come conferma un raffronto fra gli artt. 67 e 106, che i pagamenti correnti sono trasferimenti di valuta che costituiscono una controprestazione nell'ambito di un negozio sottostante mentre i movimenti di capitali sono operazioni finanziarie che riguardano essenzialmente la collocazione o l'investimento dell'importo di cui trattasi e non il corrispettivo di una prestazione. Per questo motivo i movimenti di capitali possono costituire essi stessi la causa di pagamenti correnti, come implicano gl� artt. 67, n. 2, e 106, n. 1. 22. -Il trasferimento materiale di big1ietti di banca non pu� pertanto definirsi un movimento di capitale qualora il trasferimento di cui trattasi corrisponda ad un obbligo di pagamento derivante da una opera23. -Ne discende che i pagamenti a scopi di turismo, per viaggi di affari o di studi e per cure mediche non possono qualificarsi movimenti di capitali anche ove siano effettuati mediante H trasferimento materiale di biglietti di banca. c) Sul grado di liberalizzazione dei pagamenti contemplati dall'art. 106 del Trattato. 24. -Per quanto concerne gli scambi di servizi, l'art. 106, n. l, stabilisce che i pagamenti ad essi relativi debbono essere liberalizzati nella misura in cui la circolazione dei servizi � essa stessa liberalizzata fra gli Stati membri in applicazione del Trattato. A norma dell'art. 59 del Trattato, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunit� sono soppresse durante il periodo transitorio. Allo scadere di detto periodo, le restrizioni ai pagamenti relativi alle prestazioni di servizi debbono quindi risultare soppresse. 25. -Ne risulta che i pagamenti relativi al turismo, ai viaggi d'affari o di studi ed aLle cure mediche sono liberalizzati a partire dalla fine del periodo transitorio. 26. -Tale interpretazione trova conferma nell'art. 54 dell'Atto del 1979 relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ellenica, in base al quale quest'ultima � autorizzata a mantenere restrizioni ai trasferimenti attinenti al turismo, ma solo entro certi limiti e per un periodo che 250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non va oltre il 31 dicembre 1985. Tale norma implica che, senza tale deroga, questi trasferimenti avrebbero dovuto essere immediatamente liberalizz�ti. d) Sulle misure di controllo dei trasferimenti di valuta. 27. -L'ultimo aspetto del problema sollevato dalle presenti controversie � quello di stabilire se, ed eventualmente in quale misura, gli Stati membri abbiano mantenuto il potere di sottoporre i trasfel'imenti e pagamenti liberalizzati a misure di controllo da applicare ai trasferimenti di valuta. 28. -Al riguardo, va innanzitutto precisato che la Hberail.izza2lione dei pagamenti stabilita dall'art. 106 obbliga gli Stati membri ad autorizzare i pagamenti a cui la norma stessa si riferisce nella moneta dello Stato membro in cui risiede il creditore ovvero il beneficiario. I pagamenti effettuati nella moneta di un paese terzo non rientrano quindi nella previsione di tale norma. 29~ -Va poi rilevato che la precitata direttiva n. 63/340 precisa all'art. 2 che ,j provvedimenti di liberalizzazione da essa disposti non limitano il diritto degli Stati membri di �verificare la natura e ll'autenticit� dei pagamenti�. Tale riserva sembra ispirata dalla circostanza che, all'epoca, i pagamenti relativi agli scambi di merci e servizi e i mov,imenti di capitali non erano ancora interamente liberalizzati. 30. -Tuttavia, anche dopo la fine del periodo transitorio, tale liberalizzazione non � stata ancora realizzata integralmente. Le direttive del Consiglio contemplate dall'art. 69 del Trattato ai fini della realizzazione della libera circolzione dei capitali non hanno infatti ancora eliminato tutte le restrizioni in questo settore mentre l'art. 67 che stabilisce tale liberalizzazione va interpretato, come la Corte ha dichiarato nella sentenza 11 novembre 1981 (causa 203/80, Casati, Racc. pag. 2595), nel senso che le restrizioni all'esportazione di banconote non possono intendersi soppresse anche dopo la scadenza del periodo transitorio, indipendentemente da quanto disposto dalle direttive emanate in applicazione dell'art. 69. 31. -Stando cos� le cose, gli Stati membri hanno mantenuto il potere di sottoporre i trasferimenti di valuta a controlli diretti a verificare se non si tratti in realt� di movimenti di capitali non liberalizzati. Tale potere � tanto pi� importante in quanto legato alla responsabilit� che gli Stati membri, a norma degli artt. 104 e 107 del Trattato, hanno nel settore monetario e che implica la facolt� di adottare i provvedimenti idonei ad ~ fi I ~~ ~= i~ f. ~ r �.�.�r.�.�.�.�.�r.r.-.�.-.,-.�.-.-................. ,,,.,.,.,.. ,.............................. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE impedire fughe di capitali o altre analoghe speculazioni contro la loro moneta. 32. -In caso di difficolt� o di gr�ve minaccia di difficolt� nella bilancia dei pagamenti di uno Stato membro, il Trattato contempla, agli artt. 108 e 109, le misure da adottare e le procedure da seguire. Tali norme, che mantengono la loro funzione anche dopo la liberalizzazione completa dei movimenti di capitali, si riferiscono per� soltanto a periodi di crisi. 33. -Al di fuori dei peri.odi di crisi e fino alla realizzazione totrule della libera circolazione dei capitali, va pertanto riconosciuto agli Stati membri il potere di controllare che trasferimenti di valuta che si asseriscono destinati a pagamenti liberalizzati non vengano deviati da tale scopo per essere utilizzati in funzione di movimenti di capitali non autorizzati. A tal fine, gli Stati membri hanno il diritto di verificare la natura e l'autenticit� delle operazioni o dei movimenti di cui trattasi. 34. -Detti controlli debbono tuttavia rispettare i limiVi posti dal diritto comunitario ed in particolare quelli che derivano dalla :liberrulizzazione delle prestazioni di servizi e dei relativi pagamenti. Essi non possono quindi avere l'effetto di limitare i pagamenti ed i trasferimenti relativi alle prestazioni di servizi ad un certo importo per operazione o per periodo dato che costituirebbero in tal caso un intralcio alle libert� disposte dal Trattato. Tali controlli non possono neppure, e per lo stesso motivo, essere effettuati in maniera tale che, in pratica, queste libert� siano vanificate ovvero che il loro esercizio venga assoggettato alla discrezionalit� dell'amministrazione. 35. -Tali constatazioni non ostano alla determinazione, da parte di uno Stato membro, di Jimiti forfettari entro i quali non venga effettuato aJcun controllo mentre, per le spese d'importo superiore, debba essere provata l'effettiva destinazione agli scambi di servizi, a condizione per� che l'importo forfettario non sia fissato in maniera tale da compromettere il flusso normale degli scambi di servizi. 36. -Spetta al giudice nazionale determinare, nelle singole fattispecie, se i controlli sui trasferimenti di valuta all'esame in una controversia di cui esso sia investito rispettino i limiti cos� precisati. 37. -Alla luce delle considerazioni precedentemente svolte, le questioni pregiudiziali possono essere risolte nel senso che all'art. 106 del Trattato va data la seguente interpretazione: -i trasferimenti a scopi di turismo, per viaggi d'affari o di studi e per cure mediche costituiscono pagamenti e non movimenti di capi 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tali, anche quando sono effettuati mediante trasferimento materiale di biglietti di banca; -le restrizioni a tali pagamenti sono soppresse a partire dalla fine del periodo transitorio; -gli Stati membri mantengono il potere di controllare che i tra sferimenti di valuta che si asseriscono destinati a pagamenti liberaliz zati non siano in realt� utilizzati in funzione di movimenti di capitale non autorizzati; -tali controlli non possono avere l'effetto di limitare i pagamenti ed i trasferimenti relativi alle prestazioni di servizi ad un certo importo per operazione o per periodo, n� di vanificare le libert� stabilite dal Trattato, n� di assoggettare l'esercizio di queste alla discrezionalit� della , amministrazione; -tali controlli possono comportare la determinazione di limiti for fettari entro i quali non vengano effettuati controlli mentre, per le somme di importo superiore, debba essere provata l'effettiva destina zione agli scambi di servizi, a condizione per� che l'importo forfettario non sia fissato in maniera tale da compromettere il flusso normale degli scambi di servizi (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 7 febbraio 1984, nella causa 166/82 -Pres. Mertens de WUmars -Avv. Gen. Reischl Commissione delle C.E. (ag. Montalto) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit� europee -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari -Regime nazionale dei prezzi alla produzione -Incompatibilit�. (Regolamento CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804; legge 8 luglio 1975, n. 306, artt. 10 e 11). Adottando e mantenendo in vigore la legge 8 luglio 1975, n. 306 -che contempla la fissazione di un prezza uniforme del latte alla produzione da parte di una commissione nominata dalla pubblica autorit� o comunque contempla un qualsiasi intervento da parte di un'autorit� pubblica inteso a favorire la formazione consensuale di un prezzo uniforme -, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza del regolamento CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. (1) (1) La precedente sentenza della Corte 6, novembre 1979, nella causa 10/79, ToFFOLI, � pubblicata in questa Rassegna, 1980, I, 41, con nota circa lo stato PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 253 (omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 4 giugno 1982, la Commissione delle Comunit� Europee ha presentato, in forza dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far constatare che la Repubblica italiana, adottando e mantenendo in vigore talune disposizioni della legge 8 luglio 1975, n. 306 (G. U. n. 194, del 23 luglio 1975, pag. 5012), relative alla formazione del prezzo di vendita del latte alla produzione, � venuta meno agli obblighi che ad essa inc�mbono in forza del regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, � relativo alla organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari� (G. U. n. L 148, pag. 13). � 2. -In base agli artt. 8 e 9 della precitata legge italiana, il prezzo di vendita del latte alla produzione � fissato, per ciascuna annata agraria e per ciascuna regione, attraverso accordi tra le categorie professionali interessate (produttori, industrie di trasformazione e centrali del latte). Qualora le trattative dirette alla conclusione di tale accordo non siano state avviate in te.ipo utile e qualora una delle parti interessate ne faccia richiesta, spetta alla regione, a norma dell'art. 10, convocare queste ultime in vista della contrattazione per la determinazione del prezzo. Ai sensi della stessa norma, il prezzo convenuto viene pubblicato nel Bollettino ufficiale della regione e diviene cos� � vincolante per� le parti contraenti �. In mancanza di un accordo concluso secondo le modalit� dell'art. 10, l'art. 11 stabilisce che il prezzo � detenninato da una commissione speciale nominata con decreto del presidente della regione e comprendente rappresentanti delle parti interessate. La decisione della commissione � pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione e diviene cos� � vincolante tra le parti �. 3. -La Commissione, ritenendo che tale sistema di determinazione e di pubblicazione del prezzo del latte alla produzione fosse in realt� una regolamentazione nazionale vincolante e incompatibile con la normativa comunitaria che istituisce l'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, inviava alla Repubblica italiana, in applicazione dell'art. 169 del Trattato CEE, una lettera di messa in mora in data 28 luglio 1977. 4. -Il Governo italiano rispondeva con lettera 4 novembre 1977 fa. cendo valere che il sistema introdotto dalla legge succitata mirava alla conclusione di accordi interprofessionali fra produttori e trasformatori attraverso contrattazioni collettive e che la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della regione non aveva lo scopo di sancire il carattere coercitivo del prezzo convenuto. della giurisprudenza della Corte sui poteri residui degli Stati meinbri in materia di formazione dei prezzi di beni sottoposti ad una organizzazione comune di mercato. 5 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 254 5. -Nel frattempo, la Corte, risolvendo una questione pregiudiziale sollevata dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto nell'ambito di una controversia relativa all'applicazione dell'art. 11 della legge precitata, ha dichiarato, con sentenza 6 novembre 1979 (causa 10/79, Toffoli, pag. 3301), che la determinazione in via diretta o indiretta, da parte di uno Stato membro, del prezzo del latte alla produzione � incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari istituita col predetto regolamento n. 804/68. In base al punto 12 della motivazione di tale sentenza: � Nei settori disciplinati da un'organizzazione comune dei mercati, a maggior ragione quando tale organizzazione si basi su un regime comune dei prezzi, gli Stati membri non possono pi� intervenire, con disposizioni nazionali adottate unilateralmente, nel processo di formazione dei prezzi disciplinati, per il medesimo stadio di produzione o di messa in commercio, da11'organizzazione comune. Di conseguenza, una legislazione nazionale intesa a promuovere ed a favorire la formazione, con qualsivoglia metodo, di un prezzo uniforme del latte alla produzione, consensualmente o d'autorit�, a livello nazionale o regionale, si situa di per s� stessa, al di fuori dell'ambito delle competenze riservate agli Stati membri e contrasta col principio della realizzazione di un prezzo indicativo alla produzione per il latte venduto dai produttori comunitari nel corso della campagna lattiera, compatibilmente con le possibilit� di smercio esistenti sul mercato della Comunit� e sui mercati esterni, principio posto dal regolamento n~ 804/68, in particolare dal. suo art. 3 �. 6. -In seguito, il 26 maggio 1981, la Commissione notificava alla Repubblica italiana il parere motivato di cui all'art. 169 del Trattato, invitandola ad adeguarvisi nel termine di due mesi. In tale parere, la Commissione rinvia alla succitata sentenza di cui essa riporta i brani di cui sopra e conclude con la constatazione che, applicando il sistema di determinazione del prezzo di vendita del latte alla produzione istituito dalla legge n. 306/75, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza del Trattato. 7. -Con telex 5 ottobre 1981, il Governo italiano comunicava alla Commissione il proprio impegno a presentare al Parlamento italiano un disegno di legge per l'abrogazione dell'art. 11 della legge n. 306/75. Il testo di tale progetto di legge veniva trasmesso alla Commissione con lettera del 19 novembre successivo. Nella sua redazione definitiva, esso era volto a sostituire la determinazione da parte della commissione regionale di cui all'art. 11 con un sistema di prezzi di riferimento, concordati fra le organizzazioni del settore interessato e la cui osservanza avrebbe costituito, per gli operatori, titolo di priorit� per beneficiare di aiuti nazionali o di crediti agevolati statali o regionali. t PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 8. -La Commissione, ritenendo che il sistema proposto dal progetto di legge di cui trattasi fosse tale da aggravare ulteriormente la trasgressione constatata nel parere motivato, invitava �.l Governo italiano, con lettera 9 marzo 1982, a sostituire il pi� rapidamente possibile il progetto di legge con una norma di abrogazione dell'art. 11 e ad astenersi, nelle more, dall'applicazione di questo. Essa lo invitava altres� ad adottare i provvedimenti necessari per evitare, nella pubblicazione dei prezzi del latte nei bollettini regionali, qualsiasi ambiguit� sul carattere di diritto privato della fissazione dei prezzi. 9. -Con lettera 15 aprile 1982, il Governo italiano replicava alla Commissione mettendo in rilievo, fra l'altro, che il sistema previsto nel progetto di legge non conteneva elementi autoritativi ed ineriva perfettamente al libero mercato. 10. -A seguito di tale scambio di lettere, la Commissione ha presentato il presente ricorso il 4 giugno 1982. Nell'atto introduttivo, essa J~a rip9rtato nuovamente il punto 12 della motivazione della succitata sentenza. Inoltre, essa ha preso in esame la corrispondenza riguardante il disegno di legge facendo valere che la semplice presentazione al Parlamento di un progetto di legge non basta a porre fine alla trasgressione, che il Governo italiano non aveva adottato alcun provvedimento atto a garantire la non applicazione dell'art. 11 della legge n. 306/75 in attesa della sua abrogazione formale e che la modifica proposta col disegno di legge non era tale da far venir meno la trasgressione. 11. -Nel controricorso, il Governo italiano ha interpretato gli argomenti della Commissione nel senso che l'asserito inadempimento consisteva nel fatt<:> che la Repubblica italiana continuava a mantenere in vigore le disposizioni dell'art. 11 della legge n. 306/75 e non aveva adottato misure atte a garantirne, di fatto, la non applicazione in attesa dell'abrogazione formale. Al riguardo, il Governo ha sottolineato che detta norma aveva avuto solo scarsissima applicazione nella pratica e che il Ministero competente, sentite le Regioni e le organizzazioni professionali, aveva invitato le Regioni medesime a non pi� applicarla in futuro. Inoltre esso ha sostenuto che il disegno di legge esulava dalla presente controversia e non doveva quindi essere discusso in questa sede. 12. -Nella replica, la Commissione non ha commentato la definizione, data dal Governo italiano, dell'inadempimento addebitato alla Repubblica italiana. Essa ha invece sostenuto che il presente ricorso riguarda anche il disegno di legge presentato al Parlamento italiano. Essa ha sostenuto che l'attivit� svolta da uno Stato membro nel corso della procedura di trasgressione in ordine alla materia che forma oggetto di quest'ultima e delle contestazioni formulate nel parere motivato, fa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 256 parte della causa petendi del giudizio instaurato in forza dell'ultimo comma dell'art. 169. 13. -Nella controreplica, il Governo italiano ha riconosciuto che la Repubblica italiana ha trasgredito al diritto comunitario adottando e mantenendo formalmente in vigore il sistema contemplato all'art. 11 della legge n. 306/75. Esso ha chiesto invece alla Corte di respingere, per il resto, il ricorso. 14. -Nella risposta scritta ad un quesito rivoltole dalla Corte, la Commissione ha precisato che, per quanto concerne il testo attuale della legge di cui � causa, il ricorso fa riferimento agli artt. lO�e 11. Nel corso della fase orale, essa ha messo in rilievo che le disposizioni dell'art. 10 relative alla convocazione delle parti e alla pubblicazione del prezzo convenuto comportano, a suo parere, da parte delle autorit� regionali, interventi incompatibili col diritto comunitario. Il Governo italiano, dal canto suo, ha sostenuto che il ricorso pu� riguardare soltanto l'art. 11. 15. -Ne consegue che prima di esaminare la causa nel merito, la Corte deve pronunziarsi in ordine alla ricevibilit� delle domande della Commissione onde definire l'oggetto del ricorso. Sulla ricevibilit�. 16. -A questo proposito, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, l'oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell'art. 169 del Trattato � stabilito dalla fase precontenziosa della procedura di trasgressione ivi contemplata nonch� dalle conclusioni del ricorso e che il parere motivato della Commissione ed il ricorso devono essere basati sui medesimi motivi e mezzi. 17. -Tale constatazione basta ad escludere dalla controversia il progetto di legge destinato a sostituire l'art. 11 della legge n. 306/75. Tale progetto di legge, la cui trasmissione alla Commissione � successiva all'emanazione del parere motivato, non ha formato oggetto della fase precontenziosa e la Corte non pu� quindi prenderlo in esame nell'ambito del presente ricorso. 18. -Invece non pu� trovare accoglimento la tesi del Governo italiano secondo cui il ricorso verte esclusivamente sull'art. 11 della legge n. 306/75, ad esclusione di ogni altra norma della stessa. 19. -Secondo la formulazione della lettera di messa in mora, la trasgressione addebitata alla Repubblica italiana riguarda � le norme della legge italiana che prevedono la fissazione di prezzi del latte regionalizzati �. Nel parere motivato e nel ricorso, le conclusioni si riferiscono al � sistema di fissazione del prezzo di vendita del latte alla pro PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE duzione istituto con legge n. 306/75 � e, nella parte introduttiva del ricorso, la Commissione determina l'oggetto del ricorso stesso nell'adozione e nel mantenimento in vigore di � determinate disposizioni della legge n. 306, dell'8 luglio 1975, relative alla formazione del prezzo di vendita del latte alla produzione �. Tali espressioni, pur non precisando, nella misura auspicabile, le norme nei cui confronti � diretta la procedura, indicano per� che l'oggetto di questa si estende oltre il solo art. 11. 20. -Certo, a partire dalla comunicazione del disegno di legge alla Commissione, le discussioni fra le parti e gli argomenti addotti dalla Commissione si sono concentrati sull'art. 11 e sulle modifiche che lo stesso progetto era destinato ad apportare a tale norma. Tuttavia, il riferimento alla sentenza della Corte 6 novembre 1979, contenuto non solo nel parere motivato, ma anche nel ricorso, e, in particolare, le citazioni della motivazione di tale sentenza dimostrano che il ricorso non riguarda soltanto la determinazione autoritativa di cui all'art. 11, ma si estende alle altre norme della legge di cui � causa in quanto esse siano dirette a promuovere e favorire la formazione consensuale di un prezzo uniforme. 21. -Il fatto che, nella replica, la �ommissione non si sia pronunciata sulle affermazioni del Governo italiano, formulate nel controricorso, concernenti il carattere limitato del ricorso, non basta per constatare che la Commissione ha effettivamente ridotto l'oggetto del giudizio in conformit� a tali asserzioni. 22. -Stando cos� le cose, deve ritenersi che il ricorso riguardi, quanto alla legge italiana in vigore, l'art. 11 nonch� l'art. 10 in quanto quest'ultimo contempla la convocazione delle parti interessate da parte della regione e la pupblicazione del prezzo convenuto nel Bollettino uf� ficiale della regione. Vanno pertanto prese in esame le censure della Commissione nei confronti di queste norme mentre, per il resto, il ricorso va respinto. Sul merito. 23. -Nella precitata sentenza 6 novembre 1979, la Corte ha dichiarato che una legge nazionale intesa a promuovere e a favorire la formazione, con qualsivoglia metodo, di un prezzo uniforme del iatte alla produzione, consensualmente o d'autorit�, a livello nazionale o regionale, si situa, di per se stessa, al di fuori dell'ambito delle competenze riservate agli Stati membri e contrasta col principio della realizzazione di un prezzo indicativo alla produzione per il latte venduto dai produttori comunitari, principio posto dal regolamento n. 804/68, in particolare dal suo art. 3. Gli argomenti addotti dal Governo italiano durante il presente procedimento non sono tali da modificare tale interpretazione delle norme comunitarie. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 24. -Dalla suddetta interpretazione consegue che l'art. 11 della legge n. 306/75, che contempla la fissazione di un prezzo uniforme del latte alla produzione da parte di una commissione nominata con decreto del presidente della regione interessata, costituisce una trasgressione al diritto comunitario. Deve aggiungersi che n� il fatto che tale norma abbia avuto, nella pratica, scarsissima applicazione, n� l'esistenza di un'intesa fra autorit� centrali e regionali per non dare pi� applicazione alla disposizione di cui trattasi, valgono, come lo stesso. Governo italiano ha d'altronde ammesso, a far venir meno tale trasgressione. 25. -Per gli stessi motivi, il diritto comunitario osta ad ogni norma di legge che contempli un qualsiasi intervento da parte di un'autorit� pubblica, nazionale o regionale, inteso a promuovere e a favorire la formazione consensuale di un prezzo uniforme del latte alla produzione. Tale � effettivamente il caso delle disposizioni dell'art. 10 che contemplano la convocazione delle parti a cura della regione e la pubblicazione obbligatoria del prezzo convenuto nel Bollettino ufficiale della regione. 26. --: Va pertanto constatato che, adottando e mantenendo in vigore la legge 8 luglio 1975, n. 306, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza del regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, �relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari � in quanto l'art. 10 della legge predetta stabilisce che la regione convochi le parti interessate al fine di trattare la determinazione del prezzo del latte alla produzione e che il prezzo convenuto venga obbligatoriamente pubblicato nel Bollettino ufficiale della regione, nonch� in quanto l'art. 11 stabilisce che, in mancanza di accordo, il prezzo venga determinato da una commissione nominata dal presidente della regione. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 29 febbraio 1984, nella causa 77/83 -Pres. Koopmans -Avv. Gen. Mancini -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana nella causa s.r.l. C.I.L.F.I.T. ed altre (avv. Scarpa) c. Ministero Sanit� -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Laporta) e Commissione delle C. E. (ag. Campogrande). Comunit� europee -Agricoltura -Prodotti elencati nell'allegato II del Trattato CEE -Lane -Esclusione. (Trattato CEE, art. 38; regolamento CEE del Consiglio 28 giugno 1968, n. 827, art. 1; tariffa doganale comune, capitoli 5 e 53). L'espressione �ex 05.15 B, prodotti di origine animale, non nominati n� compresi altrove� contenuta nell'allegato del regolamento del PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 259 Consiglio 28 giugno 1968, n. 827, �relativo all'organizzazione comune d�i mercati per taluni prodotti elencati nell'allegato II del Trattato'" non comprende le lane (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 22 febbraio 1983, pervenuta alla Corte il 3 maggio successivo, la Corte Suprema di Cassazione ha proposto, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione del regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 827 �relativo all'organizzazione comune dei mercati per taluni prodotti elencati nell'allegato II del Trattato� (G. U. n. L 151, pag. 16). 2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di un'azione intentata dalla societ� C.I.L.F.I.T. e da altre 54 societ� importatrici di lana aventi sede in Italia al fine di ottenere il rimborso di somme da esse versate a titolo di diritti per visita sanitaria. Le attrici nella causa principale hanno sostenuto che la legge italiana in materia di diritti per visita sanitaria non pu� applicarsi alle importazioni di lane da paesi terzi in quanto tali merci sono state assoggettate ad un'organizzazione comune di mercato dal regolamento n. 827/68 il cui art. 2 stabilisce il divieto, negli scambi con i paesi terzi, della riscossione di qualsiasi tassa di effetto equivalente a un dazio doganale. 3. -Il regolamento n. 827/68 si applica, a norma dell'art. l, ai prodotti elencati nell'allegato al regolamento stesso fra i quali i � prodotti di origine animale, non nominati n� compresi altrove� (voce ex 05.15 B). Il giudice nazionale vuole stabilire se le lane rientrino in questa categoria di prodotti. 4. -Nei considerandi del regolamento n. 827/68 viene constatato che sono state istituite organizzazioni comuni di mercato che comportano meccanismi specifici per numerose categorie di prodotti elencati nell'allegato II del Trattato e che � altres� opportuno adottare, nell'ambito di un'organizzazione comune di mercato, le necessarie disposizioni (<1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano e sostenuta dall'Amministrazione della sanit� nella causa pendente davanti al giudice nazionale. In tale causa la Corte di cassazione, invitata dalla difesa dell'Amministrazione a decidere direttamente la questione circa la qualificazione del prodotto, in quanto le circostanze di fatto erano di un'evidenza tale da escludere la possibilit� stessa di ipotizzare un dubbio interpretativo, poneva un primo quesito al giudice comunitario per conoscere i limiti dell'obbligo imposto dall'art. 177 del trattato al giudice nazionale di ultimo grado di richiedere il giudizio interpretativo della Corte di giustizia. La Corte di giustizia, con sentenza 6 ottobre 1982, nella causa 283/81 (in questa Rassegna, 11983, I, 47, con nota di LAPORTA, Manifesta infondatezza di questioni e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle C.E.) precisava che tale obbligo non sussiste qualora il 260 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al fine di instaurare un mercato unico per tutti gli altri prodotti di cui al suddetto allegato. 5. -Ne consegue che il regolamento mira ad istituire un'organizza. zione comune di mercato per i prodotti di cui all'allegato Il del Trattato 'non ancora disciplinati da altre organizzazioni comuni. L'allegato Il comprende, in conformit� all'art. 38, n. 3, del Trattato, l'elenco dei prodotti soggetti agli artt. 39-46 del Trattato relativi alla politica agricola comune. 6. -Bench� quindi l'art. 1 del regolamento stabilisca che ['organizzazazione comune da esso istituita disciplina i prodotti elencati nell'allegato al regolamento stesso, e tale allegato contenga, fra l'altro, la seguente designazione: � prodotti di origine animale, non nominati n� compresi altrove, animali morti del capitolo 1, non atti all'alimentazione umana� (voce ex 05.15 B), tali espressioni non possono per� assumere un significato diverso da quello che hanno all'allegato Il del Trattato in cui pure esse figurano. 7. -In mancanza di disposizioni comunitarie che chiariscano le nozioni di cui all'allegato Il del Trattato, e tenuto conto del fatto che questo allegato riproduce esattamente determinate voci della tariffa doganale comune, � opportuno rifarsi, per l'interpretaziqne di detto allegato, alle interpretazioni consolidate e ai metodi di interpretazione sanciti �in ordine alla tariffa doganale comune. Le stesse denominazioni dell'allegato Il si riferiscono, d'altro canto, alle voci e sottovoci di tale tariffa per identificare i prodotti elencati. 8. -Il capitolo 5 della tariffa doganale comune, al quale appartiene la sottovoce 05.15 B di cui � causa, fa parte della Sezione I della tariffa, � animali vivi e prodotti del regno animale �, che comprende, fra l'altro, gli animali vivi, le carni, i pesci, i crostacei e molluschi, il latte e derigiudice nazionale constati che la questione di diritto comunitario sollevata in causa non � pertinente o che la �disposizione comunitaria di cui � causa ha gi� costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi, avvertendo, peraltro, che � la configurabilit� di tale eventualit� va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficolt� che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all'interno della Comunit��. Avuti questi chiarimenti, la Corte di cassazione si � nuovamente rivolta alla Corte di giustizia, dando corso alla causa risolta con la sentenza annotata, osservando che il giudizio interpretativo del giudice comunitario doveva essere nella specie richiesto in quanto la corretta applicazione dei diritto comunitario alla questione dedotta in causa non si imponeva con una <;vicienza tale da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE vati del latte nonch� gli � altri prodotti d'origine animale, non nominati n� compresi altrove �; questi ultimi prodotti rientrano nel capitolo 5 e comprendono, fra gli altri, i capelli greggi, gli avanzi di pesci, l'avorio e le spugne naturali. Le lane sono comprese nel capitolo 53, � lana, peli e crini �, che fa parte della Sezione XI, � materie tessili e loro manufatti �. 9. -Onde escludere qualunque rischio di equivoci sulla classificazione tariffaria della lana, la nota 1 del capitolo 5 stabilisce che tale capitolo non comprende � le materie prime tessili di origine animale, esclusi il crine e i cascami di crine (Sezione XI) �. 10. -Pertanto, la sottovoce 05.15 B della tariffa doganale comune non comprende le lane alle quali, di conseguenza, non pu� riferirsi la espressione: � ex 05.15 B, prodotti di origine animale, non nominati n� compresi altrove� che figura nell'allegato II del Trattato e nell'allegato al regolamento n. 827/68. 11. -Le attrici nella causa principale hanno messo in rilievo che un'interpretazione da cui derivasse l'esclusione delle lane dall'ambito di applicazione dell'allegato II, e quindi degli artt. 39-46 del Trattato, rischierebbe di trascurare la portata dell'art. 38, n. l, del Trattato, a norma del quale il mercato comune si estende ai prodotti agricoli, cio� a tutti i prodotti del suolo, dell'allevamento e della pesca, come pure ai prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con tali prodotti. Le lane farebbero indubbiamente parte di quest'ultima categoria, il che richiederebbe un'interpretazione dei regolamenti agricoli tale da consentire di far rientrare le lane nelle organizzazioni comuni di mercato. 12. -Il Governo italiano e la Commissione hanno tuttavia giustamente fatto valere che, bench� l'art. 38, n. 1, dia una definizione generale della nozione di � prodotti agricoli �, la stessa norma, al n. 3, stabilisce espressamente che le disposizioni del Trattato relative alla politica agricola comune si applicano ai prodotti enumerati nell'elenco che costituisce l'allegato II del Trattato. Tuttavia, nel termine di due anni a decorrere dall'entrata in vigore del Trattato, il Consiglio poteva aggiungere altri prodotti al suddetto elenco: nel fare ci�, il Consiglio era tenuto a restare nell'ambito della definizione generale dei prodotti agricoli quale figura all'art. 38, n. 1. 13. -La questione� sollevata va quindi risolta nel senso che l'espressione � ex 05.15 B, prodotti di origine animale, non nominati n� compresi altrove � di cui all'allegato del regolamento n. 827/68 non comprende le lane. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 marzo 1984, n. 1740 � Pres. Gambogi -Rel. Sammartino -P. M. Sgroi -Ferrovie dello Stato (avv. Stato Sernicola) c. Lorusso. Giurisdizione civile � Ferrovie dello Stato � Interventi straordinari � Riserva di forniture a favore di ditte meridionali � Posizione soggettiva � Natura � Programma di interventi non ancora adottati � Interesse legittimo -Esclusione . Difetto assoluto di giurisdizione. La legge 14 agosto 1974, n. 377, nel prevedere un programma di interventi straordinari per il potenziamento della rete delle Ferrovie dello Stato e nel riservare una quota di forniture agli stabilimenti dell'Italia meridionale e insulare (art. 6), non stabilisce alcun collegamento fra l'azienda ferroviaria e le situazioni dei singoli imprenditori meridionali in modo da attribuire a tali situazioni una tutela giuridica anche indiretta, almeno fino a quando un programma di interventi sia divenuto valido ed efficace individuando, insieme con le opere da svolgere, i reali bisogni dell'Azienda; con la conseguenza che in mancanza di tale programma la posizione soggettiva dell'imprenditore meridionale non trova nella legge alcuna rilevanza giuridica. (1) (omissis) Nel ricorso si sostiene che �la ditta Lorusso, non invitata ad alcuna gara e neppure iscritta nell'albo delle ditte tra le quali l'Azienda ferroviaria procede ad una scelta ai fini della diramazione degli inviti anche quando si tratta di gare a carattere nazionale � non pu� reputarsi � titolare n� di un diritto soggettivo, n� di un interesse legittimo per .il solo fatto della presentazione di un'offerta di fornitura di materiale ferroviario� (che peraltro non risulta mai pervenuta); inf�tti le norme della legge n. 377 del 1974 non escludono l'applicabilit� delle disposizioni suUa contabilit� generale dello Stato, le quali, prescrivendo alle Amministrazioni statali l'adozione di determinate procedure per la scelta dei contraenti, non attribuiscono posizioni giuridicamente tutelabili a coloro che aspirano ad entrare in trattative con le amministrazioni stesse. (1) Interpretazione esatta che trova conforto nei principi generali e nello esame analitico delle singole norme di legge, ampiamente motivate. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Comunque, conclude la ricorrente, � appare evidente che l'interesse della ditta Lorusso potrebbe, se mai, esser considerato quale interesse legittimo, la cui tutela compete esclusivamente agli organi della giurisdizione amministrativa ed ignora il risarcimento del danno�. La prima tesi merita senz'altro d'essere condivisa, anche se con motivazione pi� completa; conseguentemente � assorbita la tesi subordinata. La domanda del Lorusso, valutata alla stregua della situazione allegata a suo fondamento, muove da un'interpretazione letterale dell'art. 6, secondo comma, della legge n. 377 del 1974, in base alla quale la prescrizione che ha addossato all'Azienda ferroviaria l'obbligo di riservare agli stabilimenti industriali dell'Italia meridionale ed insulare una quota delle forniture e delle lavorazioni occorrenti per le costruzioni e per le opere destinate alla realizzazione di un programma di interventi preVisti dalla legge stessa, � da intendere cos� come � scritta. Infatti solo se si adotta tale interpretazione e se ne tragga la duplice conseguenza che di vero e proprio obbligo si tratti e che. esso giovi immediatamente ed indistintamente a tutti i produttori meridionali di materiale ferroViario, pu� spiegarsi perch� l'attore ritenga sufficiente addurre a fondamento delle sue richieste la propria qualit� di appartenente a quella categoria imprenditoriale e trascuri sia di impugnare specificamente una delle procedure attraverso le quali l'Amministrazione convenuta avrebbe provveduto a reperire i suoi fornitori, sia di dare ragguagli sulla esistenza di un programma di interventi contenente indicazioni sui bisogni dell'azienda e sul modo di soddisfarli. Questa impostazione � palesemente superficiale ed errata. g superficiale, perch� l'art. 12, primo comma, delle disposizioni sulla legge in generale prescrive di dare alle proposizioni normative il senso � fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore � e cos� rende chiaro che l'interpretazione letterale (basata sulla pura e semplice terminologia) deve essere sempre seguita da quella logico-sistematica (volta a cogliere, cio�, il contenuto del precetto dall'intera formula usata per esprimerlo e dall'inserimento di esso nel sistema in cui � destinato ad operare). g errata, perch� appunto un'indagine di tal genere dimostra che la legge �n. 377, ove se ne eccettui l'art. 13, si caratterizza bens� per una particolare attenzione verso i bisogni dell'industria meridionale ed insulare, ma non innova il sistema di contrattazione delle Amministrazioni statali, n� tanto meno appresta immediatamente alcuna tutela giuridica agli interessi particolari dei singoli operatori. Codesta tutela non potrebbe essere altra che quella propria alternativamente del diritto soggettivo, oppure dell'interesse legittimo, le quali -come � noto -sono categorie giuridiche enucleate per distinguere le posizioni soggettive che l'ordinamento fa oggetto di una peculiare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 264 considerazione, differenziandole cos� dalle situazioni nelle quali versano tutti gli altri soggetti, i cui interessi considera invece irrilevanti singolarmente e conglobati in quelli generali dell'intera collettivit� nazionale, oppure di parti di essa (interessi locali, di categoria, di settore, ecc.). Appunto e soltanto nella valutazione, da parte dell'ordinamento, della rilevazione fra soggetto e bene risiede la ragione per cui il diritto viene protetto in via esclusiva e diretta mediante imposizione di doveri ed obblighi a coloro verso i quali esso si esercita, e predisposizione, in caso di offesa, di misure ripristinatorie e risarcitorie e l'interesse legittimo abilita il titolare a pretendere nei propri confronti l'adeguamento dell'autorit� amministrativa alla legge e a chiedere l'annullamento del provvedimento .emanato in dispregio della legge stessa; l'interesse semplice pu� tutt'al pi� consentire la proposizione di reclami. Ma che la legge in esame non stabilisce alcun immediato collegamento fra l'Azienda ferroviaria e le situazioni dei singoli imprenditori me:ddionali, emerge gi� da:l fatto che essa, come appropriatamente informa il suo titolo, ha recato un � programma di interventi straordinari ,per l'ammodernamento e il potenziamento della rete ferroviaria dello Stato (nonch� con l'art. 13, la marginale eliminazione della menzione dell'aviazione civile dalla denominazione del Ministero dei trasporti). Infatti, il suo contenuto si compendia nella duplice previsione: a) di un piano poliennale di sviluppo della rete ferroviaria statale, da pre� sentare al Parlamento ad opera del Minister? e � da definire in sede di programma economico nazionale, nel contesto delle misure intese a superare gli squilibri settoriali e territoriali del Paese� (art. 1, primo comma); b) di �un programma di interventi straordinari concernente opere e forniture per l'importo complessivo di lire 2.000 miJiarcli � (art. cit., secondo comma). E poich� alla realizzazione di questa pi� limitata ma pi� immediata prospettiva sono dedicati tutti i successivi articoli -escluso l'art. 13, gi� menzionato -e quindi anche l'art. 6, al cui secondo comma si appella l'attore, � opportuno aggiungere che la riserva di commesse a favore degli imprenditori meridionali doveva essere effettuata in sede di realizzazione di un progetto generale valevole per gli anni 1975-1980 e a sua volta suscettibile di articolazione, a norma dell'art. 3, �in piani parziali redatti distintamente per i due settori di intervento di cui al~ l'art. 2 � (ossia per gli impianti fissi e per il materiale rotabile); che tale progetto era assoggettato al duplice esame di una commissione consultiva interregionale e del consiglio di amministrazione dell'Azienda, nonch� all'approvazione del Ministro dei trasporti, di concerto con i Ministri per il bilancio e per il tesoro , -chiamati tutti ad approvare anche i piani parziali (art. 3); che i progetti esecutivi di costruzioni-edilizie dovevano essere trasmessi � prima della loro formale adozione, al sindaco territorialmente interessato� (art. 9); che l'Azienda doveva provvedere PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE al finanziamento della spesa mediante operazioni di credito (artt. 4 e S); che � il programma e gli eventuali� piani parziali dovevano essere � comunicati al Parlamento prima dell'emanazione dei relativi decreti � (art. 3, quarto comma); che, infine, il Ministro per i trasporti doveva dare � comunicazione ogni anno, in allegato al bilancio di previsione dell'Azienda ferroviaria, dello stato di attuazione del programma al 31 dicembre dell'anno precedente quello di presentazione di detto bilancio� (art. 3, quinto comma). Queste disposizioni attestano, in primo luogo, che qualsiasi speranza degli imprenditori meridionali ed insulari di ottenere commesse dalle Ferrovie dello Stato avrebbe potuto trovare un appiglio non direttamente nella legge -come sembra credere l'attore -bens� nell'esistenza di un programma valido ed efficace, il quale in applicazione delle direttive generali contenute nella legge stessa e quindi osservandone i limiti di oggetto e di tempo, avesse individuato, insieme alle opere da effettuare anno per anno nel Mezzogiorno, anche i reali bisogni di materiali e di lavoro dell'Azienda. Senza tale programma non sarebbe stato possibile alcun intervento giurisdizionale, perch� nessun giudice pu� stabilire se ed in qual misura il materiale offerto dagli imprenditori occorresse all'Amministrazione, determinare i tempi iti cui questa era tenuta a provvedersene, fissare le somme spendibili nei singoli anni e cos� via; il tutto prescindendo dall'effettiva disponibilit� dei fondi e da ogni controllo sia amministr!-tivo \ che politico, cio� prescindendo completamente dal sistema che proprio la legge n. 377 ha voluto introdurre. Di qui una prima ragione per ritenere che l'azione del Lorusso appare non tanto intempestiva per essere preordinata a difendere un interesse (esistente, ma) non ancora leso -profilo, codesto, che riguarda l'accertamento di una condizione di proponibilit� in concr~to della .domanda, ma non la giurisdizione -, quanto appoggiata ad una fattispecie che cos� come � presentata nell'atto introduttivo della lite, non trova nell'ordinamento quella minima rispondenza che sia sufficiente ad attribuire all'attore, sia pure in via d'ipotesi, una posizione giuridicamente rilevante. Donde il difetto assoluto di giurisdizione, vale a dire la sicura esclusione che si abbia materia per un qualsiasi giudizio. Ma la conclusione non sarebbe diversa ove, nelle pieghe del non chiaro ricorso al Pretore potesse ravvisarsi l'implicita allegazione dell'esistenza attuale di un programma di interventi, in esecuzione del quale l'Amministrazione convenuta avrebbe gi� formulato alcune richieste di forniture alle industrie del Nord, anzich� a quelle del Sud. Gi� il riferimento agli � stabilimenti � e non agli imprenditori d� l'impressione che il legislatore abbia tenuto presente l'economia meri RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 266 dionale nella sua consistenza oggettiva, piuttosto che in quella soggettiva. Certo �, comunque, che quel riferimento � di per s� tanto ampio da comprendere tutte indistintamente le imprese meridionali ed insulari, sicch�, se fosse preso alla lettera, imporrebbe di ritenere che � tutte � siano state legittimate a pretendere la stipulazione di contratti (ipotesi del diritto soggettivo, postulata dal Lorusso), o quanto meno ad entrare in trattative con l'Azienda, alla quale sarebbe rimasto dunque, un certo potere di scelta, esercitabile secondo i canoni della buona amministrazione (ipotesi dell'interesse legittimo). La prima prospettazione � palesemente assurda, in quanto implica, per coerenza con i caratteri del diritto soggettivo, ma in contrasto col buon senso e con tutti i princ�pi dell'azione amministrativa, che ciascun imprenditore avrebbe potuto imporre alle Ferrovie dello Stato di riceversi, sia pure � pro quota � in rapporto alla quantit� preventivata nel piano, il materiale prodotto dalla sua industria, con l'effetto di provocare una tale frantumazione delle forniture da rendere inattuabile il piano stesso, prima che antieconomica l'intera gestione dell'operazione. Meno peregrina appare invece ,a prima vista la seconda ipotesi, anche perch� nella vasta legislazione di favore per il Meridione d'Italia e per le Isole sono rintracciabili, accanto a norme rivolte solo al perseguimento di interessi generali, norme che tendono a soddisfare insieme a questi pure interei;si individuali: basti pensare all'autorizzazione all'esecuzione di impianti, di cui all'art. 14, 1. 6 ottobre 1971, n. 853, nonch� ai molteplici incentivi, sussidi ed agevolazioni previsti per nuove costruzioni o per l'inizio di attivit� economiche. Tuttavia, un esame pi� accurato rivela che mentre in tali fattispecie il beneficio pu� essere conseguito immediatamente da chiunque si trovi nelle condizioni astrattamente poste dalle leggi e concretamente verificate dall'autorit� amministrativa competente, nel caso in oggetto, invece, non basta la produzione di ma,teriale ferroviario per conferire agli imprenditori meridionali neppure un interesse legittimo alla riserva delle commesse, quasi che a loro favore fosse stato disposto una sorta di modus per atto legislativo. Esiste ed � ampiamente riconosciuta dall'ordinamento una esigenza di preventiva individuazione e selezione dei fornitori delle amministrazioni pubbliche, specie di quelle statali, in quanto non � rinunciabile (art. 97 Cost.) il duplice scopo di assicurare l'imparzialit� dell'azione amministrativa e la possibilit� di assegnare i cont11atti a coloro che diano affidamento di eseguirli puntualmente. Perci� norme legislative e regolamentari impongono alle Amministrazioni dello Stato non solo di adottare apposite procedure per addivenire alla stipulazione dei contratti, ma anche di trattare con gli imprenditori iscritti in appositi albi (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e successive modificazioni; r.d. 23 maggio 1924, PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE n. 827; legge 10 febbraio 1962, n. 57; legge 29 marzo 1965, n. 203; ecc.). Per di pi�, l'applicabilit� di codesta legislazione al caso in esame � dimostrata specificamente dal fatto che la prescrizione dell'art. 6, secondo comma, della legge del 1974 � analoga a quelle inserite in altre leggi con le quali si � provveduto, prima e dopo di essa, alle costose e sempre innovantesi esigenze delle strade ferrate statali (v. agli artt. 9, legge 27 aprile 1962, n. 211; 7, legge 6 agosto 1967, n. 688; 7, legge 28 marzo 1968, n. 374; 5, legge 18 agosto 1978, n. 503; 6, legge 12 febbraio 1981, n. 17) ed alle quali solo di recente sono state accompagnate in norme particolari sulle modalit� di scelta dei contraenti, cos� confermandosi per il periodo anteriore e per ogni altro aspetto la vigenza delle regole generali (ad esempio, l'art. 7 della legge n. 503 del 1978 ha prescritto all'Azienda di ricorrere alla licitazione privata e le ha dato facolt� di adottare nei relativi procedimenti le forme di pubblicit� che le sembrano pi� idonee; di tale pubblicit� si � occupato il d.m. 7 marzo 1979, mentre l'art. 7 della legge n. 7 del 1981 ha aggiunto la previsione di una preventiva selezione di qualificazione; il d.m. 30 gennaio 1982 ha dettato i criteri per la determinazione di tale qualificazione). Ed allora, se con questo sistema va necessariamente coordinata la riserva di commesse a favore degli imprenditori meridionali, � inevitabile la conclusione che detta riserva costituiva una regola di condotta dell'Azienda per il tempo in cui questa.avrebbe dato corso alle procedure di selezione dei fornitori, sicch� in esse trovava il proprio naturale ed esclusivo ambito di applicazione. A ci� consegue che: a) prima di quel momento, gli imprenditori meridionali ver-savano in una situazione di mera attesa, rilevante essenzialmente sul piano poliDico, come � svelato anche dalla previsione del controllo parlamentare di cui all'art. 3, quinto comma; b) che, comunque, se pure si volesse ammettere la possibilit� di un qualunque rimedio individuale all'inerzia dell'Azienda nell'avviare le negoziazioni, esso sarebbe spettato esclusivamente a quegli imprenditori che fossero stati, oltre che produttori nel Sud di materiale ferroviario, legittimati a rifornirne l'Azienda stessa; e) che, infine, di lesione di interessi legittimi avrebbe tutt'al pi� potuto discutersi -ma non interessa qui stabilire con quale risultato -in riferimento all'esclusione di uno di tali fornitori dalle procedure di negoziazione, esclusione che costituiva l'att�> di impugnare nella competente sede giurisdizionale. Al di fuori di tali ipotesi si p�ne invece l'iniziativa del Lorusso, anche a riconoscerne, come presupposto, l'esistenza di un piano di interventi gi� esecutivo; in quanto egli ha accampato -ripetesi -soltanto la propria qualit� di industriale meridionale ed ha formulato nulla pi� di meri sospetti su imprecisate richieste di forniture da parte della convenuta ad imprese del Nord. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 30 marzo 1984, n. 2142 -Pres. Nocella -Rel. Cecioni -P. M. Nicita -Ministero del Tesoro, Ufficio Liqui-. dazioni (avv. Corti) c. Prezza. Procedimento civile -Ente in liquidazione � Assunzione della liquida zione da parte del Ministero del Tesoro � Foro dello Stato -Appli� cabilit�. In base alle norme concernenti il foro dello Stato, se vero � che l'ente soppresso (nella specie, I.N.A.M.) sopravvive fino all'espletamento della relativa liquidazione, non men vero � che l'attivit� di liquidazione, i cui effetti hanno formale imputabilit� all'ente soppresso ed al relativo autonomo patrimonio, resta tuttavia, in se stessa, attivit� diretta ed immediata dello Stato, atteso che nel patrimonio di questo andranno a rifluire gli effetti della liquidazione, la cui gestione viene dallo Stato assunta nel proprio ed esclusivo interesse, con la conseguenza che quando lo Stato agisce o si costituisce in causa per una vertenza concernente il patrimonio dell'ente soppresso e di cui abbia assunto la gestione, specie quando la soppressione dell'ente si verifichi � ope legis � e la gestione della relativa liquidazione sia assunta dallo Stato, il medesimo si costituisce in causa in relazione ad una attivit� sua propria e nel suo esclusivo interesse, s�. che non pu� essergli negata la qualifica, spettantegli sia formalmente che sostanzialmente, di parte in causa, indipendentemente dall'essersi radicata la controversia prima o dopo l'assunzione della gestione della liquidazione da parte dello Stato (1). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 aprile 1984, n. 2148 � Pres. Mazzacane -Rel. Onnis -P. M. Fabi -Ministero della Difesa (avv. Stato Cerocchi) c. I.N.P.S. e Fioravanti. Giurisdizione Civile -Impiego pubblico � Forma contrattuale. -Irrilevanza -Sussistenza carattere pubblicistico -Presupposti. Non giova ad escludere un rapporto dall'area di pubblico impiego la circostanza che la sua costituzione sia avvenuta in forma contrattuale con pi� convenzioni di durata determinata, comportanti prestazioni denominate di lavoro autonomo, ove da tali atti, periodicamente rinnovati nel tempo, emerga, a prescindere dalla forma e dalle definizioni giuridiche adottate, l'inequivoca volont� dell'amministrazione di utilizzare continuativamente le prestazioni del soggetto, verso una prefis (1) Massima esatta. Cfr., da un punto di vista generale, Il contenzioso dello Stato 1976-80, III, 866 e segg. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI PI GIURISDIZIONE 269 sata retribuzione ed in regime di sostanziale subordinazione, e nell'ambito della propria organizzazione pubblicistica e per il perseguimento dei propri fini istituzionali. La provvisoriet� del rapporto non esclude d'altro canto la sua natura pubblicistica: l'elemento della continuit� che caratterizza il rapporto di impiego pubblico non va confuso con quello della stabilit�, che � proprio soltanto dei dipendenti di ruolo; pertanto esso sussiste anche quando l'assunzione sia stata temporanea ed il rapporto sia stato formalmente frazionato in pi� periodi determinati, purch� l'attivit� lavorativa sia stata svolta non gi� in modo saltuario od occasionale ma in guisa tale da assicurare con regolarit� il conseguimento delle finalit� cui essa � preordinata mediante la disponibilit� correlativamente assicurata dal prestatore di lavoro (1). (1) Giurisprudenza ormai costante: cfr. Sez. Un., 23 aprile 1982, n. 2508; 17 novembre 1978, n. 5377; Sez. Un., 26 aprile 1979, n. 2403; 7 ottobre 1977, n. 4266. 6 SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 18 gennaio 1984, n. 433 -Pres. Santilli -Est. Baldassarre -P. M. Valente (concl. conf.) -Ministero della Difesa (avv. Cosentino) c. Cannata Giuseppe (avv. N. Caminiti). Previdenza -Ufficiali di complemento -Richiamo in servizio temporaneo Cessazione dal servizio senza maturazione del diritto a pensione � Costituzione di posizione assicurativa i.v.s. -Obbligo dell'Amministrazione. (art. 42 legge 9 maggio 1940, n. 369; art. unico legge 2 aprile 1958, n. 322; art. 52 leg ge 30 aprile 1969, n. 153). Ai sensi dell'art. 42 della legge 9 maggio 1940, n. 369, gli ufficiali di complemento e della riserva di complemento che prestano, a domanda, servizio temporaneo con compiti e funzioni corrispondenti a quelli degli ufficiali in servizio permanente effettivo sono soggetti alle leggi e ai regolamenti per gli ufficiali in servizio permanente, in quanto applica-� bili,� di conseguenza, per quanto attiene al trattamento previdenziale, trova per essi applicazione anche l'articolo unic9 della legge 2 aprile 1958, n. 322 (esteso dall'art. 52 della legge 30 aprile 1969, n. 153, anche al personale cessato dal servizio prima del 30 aprile 1958), ove � stabilito che in favare dei lavoratori iscritti a forma obbligatoria per l'invalidit�, la vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che abbiano dato titolo all'esclusione da detta assicurazion� deve essere provveduto, quando viene a cessare il rapporto di lavoro senza diritto a pensione, alla costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit�, la vecchiaia e i superstiti mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione (1). (omissis) Osserva innanzitutto il Collegio che, nel caso, le parti non hanno proposto la questione della giurisdizione, gi� decisa con la menzionata sentenza declinatoria del Consiglio di Stato (la quale non ha (1) Non si rinvengono precedenti specifici; la sentenza citata in motivazione come relativa ad analoga fattispecie (art. 14, terzo comma, legge 13 maggio 1961, n. 469), e cio� Sez. Un., 13 ottobre 1980, n. 5465, non risulta pubblicata per extenso; dalla massima (riferita in Foro lt., Mass. 1980, col. 1063) si ricava tuttavia che, qui, le Sez. Un., avevano correttamente risolto il problema di giurisdizione, ravvisando sussistente quella esclusiva del giudice amministrativo, una volta riconosciuto trattarsi, nella specie ivi decisa, di controversia f ' - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 271 acquistato per� efficacia di giudicato), e che tale questione, in relazione alla definizione del rapporto intercorso tra le stese parti, non va sollevata d'ufficio (con la conseguente rimessione alle Sezioni Unite), in quanto tale rapporto deve essere qui preso in esame in via mediata ed indiretta. La controversia attiene infatti ad un rapporto squisitamente previdenziale, rispetto al quale, come affermato con la menzionata decisione del Giudice amministrativo ed � pacifico tra le parti, l'attuale resistente fa valere un diritto soggettivo perfetto. Non � nemmeno controverso che presupposto necesario di tale diritto � l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, n� che la natura di questo pu� essere tanto pubblica che privata. Sotto il primo profilo � sufficiente rilevare, per completezza, che l'art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 322, sulla �ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza�, che l'art. 52 della legge 30 aprile 1969, n. 153 ha reso applicabile anche al personale cessato dal servizio, come il Cannata, prima del 30 aprile 1958, stabilisce che in favore dei � lavoratori � iscritti a forme obbligatorie per l'invalidit�, la vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che abbiano dato titolo all'esclusione da detta assicurazione, deve essere provveduto -quando viene a cessare il � rapporto di lavoro � che aveva dato luogo all'iscrizione alle suddette forme o trattamenti di previdenza senza diritto a pensione -alla costituzione, per il corrispondente periodo d'iscrizione, della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria per la invalidit�, la vecchiaia e i superstiti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione. Sotto il secondo aspetto l'ampia ed indiscriminata portata precettiva della norma, che si ricava dal testo ora trascritto, trova puntuale conferma nel capo IV della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro), il quale contiene norme dettate espressamente � ai fini dell'applicazione della legge 2 aprile 1958, n. 322 � nei confronti dei dipendenti statali e del personale iscritto all'Istituto postelegrafonici e agli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro e della � costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria� in favore del �personale dipendente da Amministrazioni statali �. inerente a rapporto di pubblico impiego; nella decisione qui pubblicata, invece, la Sezione Lavoro ha preferito -forse per non creare i presupposti di un defatigante conflitto negativo -non portare alle estreme conseguenze l'avviso da essa stessa manifestato circa la qualificazione della controversia come inerente a rapporto di pubblico impiego, avviso antitetico rispetto a quello in precedenza manifestato, nella stessa controversia, dal Consiglio di Stato (sez. IV, 8 giugno 1976, n. 391). 272 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO L'Avvocatura ricorrente contesta per� (e sul punto ha centrato la discussione orale) che il Cannata, nella sua posizione di ufficiale di complemento, possa essere considerato � lavoratore iscritto... ad altri trattamenti di previdenza �. La menzionata sentenza del Consiglio di Stato � inter partes � chiarisce poi, senza peraltro fornire una diversa qualificazione del rapporto, che � gli ufficiali di complemento dell'Esercito erano privi di un rapporto di pubblico impiego con l'Amministrazione militare, rapporto il quale era riconosciuto ai soli ufficiali in servizio permanente effettivo giusta gli artt. 14 e 16 � della legge 9 maggio 1940, n. 369 (nello stesso senso l'art. 3 della legge 1954, n. 113, ma non .le successive leggi n. 371/1968 e n. 808/1965). In contrario va rilevato per� che, se esula la natura di prestazione lavorativa dal servizio militare obbligatorio (e da quello sostitutivo reso quale ufficiale di complemento di prima nomina) nei limiti di legge ex art. 52 Cost. e da servizi resi coattivamente, ai fini di difesa della Patria, anche in eccedenza a tali limiti, non pu� dirsi altrettanto per il servizio prestato, a domanda dell'interessato, con compiti e funzioni corrispondenti a quelli degli ufficiali in serV'izio permanente effettivo. Del resto era espressamente previsto dall'art. 42 della citata legge n. 369/1940 che �l'ufficiale in congedo (categoria pi� ampia comprendente anche quella di complemento), quando presti servizio temporaneo, � soggetto alle leggi ed hl regolamenti per gli ufficiali in servizio permanente, in quanto gli siano applicabili �. Quest'ultima disposizione va riguardata in relazione a quelle del capo III . del titolo IV della stessa legge, dettate � ex professo � per gli ufficiali di complemento. Ebbene negli artt. dal 53 al 56, che compongono il predetto capo III, non v'� alcuna previsione riguardante gli ufficiali di complemento mantenuti in servizio a domanda. Pertanto, anche nel periodo in questione le loro prestazioni, che per l'intrinseco contenuto non si differenziavano da quelle degli uffidaii in servizio permanente {l'attuale ricorrente, ad esempio, era ufficiale dei Carabinieri e non � stato nemmeno messo in dubbio che i suoi compiti fossero corrispondenti a quelli degli altri ufficiali dell'Arma), erano accomunate anche per espressa previsione legislativa alle prestazioni di detti ufficiali in servizio permanente. In materia analoga le Sezioni Unite di questa Corte (v. sent. 13 ottobre 1980, n. 5465), pur in presenza di una norma quale l'art. 14 terzo comma della legge 13 maggio 1961, n. 469, hanno ritenuto che il rapporto di lavoro tra l'Amministrazione dell'interno ed il personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ancorch� assunto a tempo determinato, ha natura di pubblico impiego, in considerazione dell'inserimento di detti dipendenti nell'ambito dell'organizzazione pubblicistica t dell'Amministrazione stessa. i=: t: !: I= lli ~: 1:: PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVIl.E 273 Sussistendo per le ragioni esposte il requisito del rapporto di lavoro, meglio qualificato come di pubblico impiego, deve rilevarsi che correttamente il Giudice di secondo grado ha ravvisato, nella specie, gli altri requis�i richiesti da11a legge n. 322/58, osservando che tale rapporto ha dato luogo alla forma speciale di previdenza obbligatoria, prevista per gli ufficiali di complemento ed assimilati, e sostitutiva dell'assicurazione generale i.v.s. e che tra le parti non � controverso che il Cannata non ha goduto di trattamento pensionistico o equiparato sulla base dei contributi versati, anche mediante ritenute sugli stipendi in conto entrate del tesoro. Il diritto alla costituzione della posizione assicurativa, a norma del combinato disposto dell'articolo unico della cit. legge n. 322/58 e dell'art. 52 della legge n. 153/69, esclude l'applicabilit� delle disposizioni comuni e meno favorevoli sul computo dei periodi di servizio militare ai fini pensionistici di cui all'art. 49, secondo comma, della stessa legge n. 153, che prescindono dalla sussistenza di una contribuzione obbligatoria sostitutiva, alla quale, come s'� visto, era soggetto il Cannata quale ufficiale di complemento. Incoerente risulta anche il richiamo dell'art. 2 della legge 3 aprile 1958, n. 472, che riguarda unicamente la valutazione, ai fini previdenziali, del servizio militare prestato �durante la guerra 1940-45 � e non contiene alcuna deroga al r.d. 30 dicembre 1937, n. 2411, richiamato dalla sentenza impugnata nel verificare l'obbligatoriet� contributiva di cui si � detto. Una deroga a tale legge � prevista, peraltro in senso favorevole alle categorie di militari prese in considerazione, ma riguarda � i servizi comunque resi a partire dall'entrata in vigore della presente legge�, ossia in un periodo non rilevante per il caso in esame. Per le esposte ragioni il primo motivo deve essere respinto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1539 -Pres. Mazzacane Est. Lipari � P. M. Ferraiuolo (conf.). Schettini S.A.S. (avv. Codacci Pisanelli) c. Ministero dell'Industria e del Commercio (avv. Stato Cosentino). Commercio � Esercizio di vendita � Preposto � Iscrizione nell'albo previsto dalla legge n. 426/71 � Omissione � Illecito sanzionabile. Risponde dell'illecito amministrativo previsto dagli artt. 9 e 39 della legge 11 giugno 1971, n. 426, l'imprenditore che non preponga all'esercizio di vendita un soggetto iscritto nello speciale registro previsto dalla stessa legge, qualora egli non vi attenda personalmente in modo continuativo, e ci� a prescindere dall'organizzazione dell'esercizio, dalla soggezione del preposto alle direttive dell'imprenditore e dall'esistenza dell'institore (1). (1) Non risultano precedenti in termini. 274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1574 -Pres. Mazza cane -Est. Lipari -P. M. Cantagalli (conf.) -Ministero dell'Industria e del Commercio (avv. Stato Fienga) c. Giacomelli (avv. Stella Richter). Commercio -Farmacie -Calzature anatomiche � Distinzione rispetto alle calzature ortopediche e a quelle normali � Vendita � Liceit� � Riferi mento alla prassi di mercato � Necessit�. Non viola l'art. 37 legge 11 giugno 1971, n. 426, colui che pone in vendita nelle farmacie, senza autorizzazione comunale, calzature anatomiche, le quali si distinguono dalle calzature ortopediche (che hanno necessit� di autorizzazione sanitaria) e dalle calzature normali, avendo rispetto a queste ultime caratteri differenziali che ne consentono l'inclusione tra gli articoli sanitari, semprech� nella situazione generale di mercato sussista la prassi (non in relazione ad una singola marca) secondo cui le farmacie, a preferenza dei negozi di calzature, siano centri di vendita di articoli idonei a preservare il piede da deformazioni (1). (1) Non risultano precedenti in termini. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 marzo 1984, n. 1683 -Pres. Sandulli -Est. Sensale -P. M. Paolucci -Amm.ne prov. di Palermo (avv. Ghia) c. Regione Siciliana (avv. Stato Linguiti). Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione permanente illegitti� ma -Fatto illecito -Danni -Prescrizione quinquennale. In tema di danno da occupazione illegittima, la condotta antigiuridica ha carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e d� luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'inizio dell'occupazione illegittima con riferimento a ciascun momento in cui si determina la perdita dei frutti, con la conseguenza che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento decorre dalla verificazione dell'illecito, e perci� tale diritto rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda (1). (1) In senso conforme cfr. Cass., 7 luglio 1980, n. 4324 e Cass., 15 dicembre 1980, n. 6484 e, da un punto di vista generale, cfr. Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1983, n. 1464, in questa Rassegna 1983, I, 124. con nota di LAPORTA. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., sent. 13 gennaio 1984, n. 2 -Pres. Pescatore -Est. Cignani -Russo (avv. Stoppani) c. Regione Marche ed altro (avv. Galvani). Espropriazione per pubblica utilit� -Provvedimenti dichiarativi della pubblica u:tillt� e autorizzazione dell'occupazione d'urgenza � Competenza� Giunta regionale � Presidente della Giunta. Espropriazione per pubblica utilit� � Edilizia economica popolare � Proprietari espropriati � Titolo per assegnazione lotti espropriati. Espropriazione per pubblica utilit� � Stato di consistenza � Pregiudizia� Iit� rispetto al decreto di occupazione. Espropriazione per pubblica utilit� � Stato di consistenza � Necessario richiamo nel decreto di occupazione d'urgenza -Stato di consistenza compilato per distinto e precedente decreto d'occupazione. Non sono viziati per incompetenza i decreti del Presidente della Giunta regionale che dichiarano la pubblica utilit�, l'indifferibilit� e l'urgenza dei lavori ed autorizzano l'occupazione d'urgenza delle aree, quando siano stati preceduti da conformi deliberazioni della Giunta, in quanto essi non esprimono una volont� provvedimentale propria, ma esternano quella della Giunta. (1) Tutte le aree comprese nei piani di zona per l'edilizia economica e popolare sono soggette ad espropriazione ed i proprietari espropriati hanno un titolo di preferenza solo per ottenere successivamente l'assegnazione dei lotti e la cessione in propriet� e non per essere esclusi dall'espropriazione. (2) Prima dell'entrata in vigore della legge 1/1978 la compilazione dello stato di consistenza, doveva effettuarsi tra la dichiarazione d'indifferibilit� ed urgenza dei lavori ed il decreto d'occupazione d'urgenza. (3) E illegittimo il decreto d'occupazione d'urgenza adottato senza alcun riferimento allo stato di consistenza compilato per un distinto e precedente decreto pur nell'ambito della medesima vicenda espropriativa, anche a prescindere dalla legittimit� di tale utilizzazione. (4) (1) La decisione massimata e riportata conferma l'orientamento della giurisprudenza amministrativa riguardo la necessit� che sia della Giunta regionale e non del Pres1dente la competenza ad adottare i provvedimenti ablatori RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Come risulti;t dall'esposizione dei fatti, il primo dei tre provvedimenti impugnati dal dott. Russo in primo grado � stato annullato per il riconosciuto vizio d'incompetenza del Presidente della Giunta regionale; la materia del contendere, pertanto, ora � ristretta agli altri due decreti dello stesso Presidente, datati entrambi 27 ottobre 1975, con i quali rispettivamente sono state dichiarate la pubblica utilit�, l'indifferibilit� e l'urgenza dei lavori, ed � stata autorizzata l'occupazione d'urgenza delle aree. La censura d'incompetenza � stata dedotta anche nei confronti di questi ultimi due decreti, ma, a differenza di quanto rilevato per il primo, rispetto ad essi non � fondata. In punto di fatto; la differenza consiste in' ci�, che i due nuovi decreti presidenziali sono stati preceduti da conformi deliberazioni della Giunta regionale; deliberazioni che si concludono con le seguenti parole: � � dato mandato al Presidente della Giunta regionale, di emettere contestualmente il relativo formale decreto e gli atti connessi e conseguenti ( ...) �, Ed un riscontro testuale tra ciascuna delibera ed il relativo, conseguente decreto, permette di constatare che, in effetti, il Presidente della Giunta regionale ha interamente mutuato, da quelle delibere, motivazione (o premesse) e dispositivo. In altre parole, il Presidente della Giunta non ha espresso una volont� provvedimentale propria, ma ha soltanto esternato, nella forma del decreto, la volont� deliberata dalla Giunta regionale. Del resto, nelle premesse di ciascuno dei due decreti � richiamata (con data e numero, ancorch� senza l'indicazione dell'autorit� emanante) la delibera collegiale sottostante. La giurisprudenza di questo Consiglio ha gi� definito la funzione meramente esternativa e subalterna di siffatti decreti presidenziali riproduttivi di corrispondenti delibere di Giunta (Sez. IV, decisioni 3 febbraio 1981, n. 129 e 6 giugno 1983, n. 401, in questa Rassegna, ed in particolare i decreti con i quali viene dichiarata la pubblica utilit� e quelli d'autorizzazione all'occupazione di urgenza, sulla scia della sentenza 14 luglio 1981, n. 593 della IV Sezione (in Cons. Stato, 1981, I, 682) a meno che non sia diversamente previsto dalla legislazione regionale, nella quale ipotesi si versa ad esempio secondo Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 1982, n. 256 ex legge reg. Puglia 21 gennaio 1974, n. 2. (2) Il principio evidenziato nella massima si ricava piuttosto chiaramente dall'art. 10 decimo comma della legge 18 aprile 1962, n. 167 modificato dal� l'art. 35 legge 22 ottobre 1971, n. 865, ma il merito della sentenza � quello di aver evidenziato la logica del procedimento, apparentemente oscura, nella parte in cui dispone l'espropriazione e poi la cessione in propriet� al medesimo proprietario espropriato, individuata nella necessit� di far pagare anche ad esso la quota delle opere di urbanizzazione e di vincolarlo alla stipula della convenzione contenente gli impegni in ordine ai modi ed ai tempi dell'edificazione. Per qualche riferimento cfr. Ad. Plen., 28 ottobre 1980, n. 40 (in Cons. Stato, 1980, I, 1284) secondo la quale l'art. 10 suddetto non attribuisce una preferenza assoluta in favore degli originari proprietari e Cons. Stato, IV, 27 giugno 1978, n. 608 (ivi, 1978, I, 1017) per la quale � illegittima l'assegna PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 277 1981, I, 107; 1983, I, 643), tanto che si pu� anche mettere in dubbio che essi siano necessari, quanto meno in assenza di speoifiche disposizioni procedimentali che li richiedano. Ma anche ammettendo che, nel caso in esame detti decreti presidenziali fossero necessari (il che, d'altronde, non � contestato) per concludere formalmente il procedimento ed esternare la volont� dell'Ente, determinatasi-mediante la delibera collegiale, � certo che il loro rilievo si esaurisce appunto in questi effetti formali. Di conseguenza, la verifica della competenza va fatta con riferimento alle delibere e non ai decreti; e poich� il ricorrente (ora appellante) ha sempre sostenuto che i decreti erano viziati siccome invasivi della competenza propria della Giunta, � inevitabile concludere che il vizio d'incompetenza non sussiste. 2. -Le considerazioni ora fatte permettono, inoltre, di ritenere che il motivo aggiunto, proposto dal Russo in secondo grado con atto notificato il 15 gennaio 1982, � tardivo, o, se si vuole, inammissibile. Secondo la tesi dell'appellante, la nuova conoscenza idonea a riaprire i termini per l'integrazione del ricorso (mediante il motivo aggiunto) sarebbe appunto rappresentata dalla produzione in giudizio delle suddette due delibere della Giunta regionale. Le parti hanno vivacemente discusso (anche con deposito di svariati documenti) circa la novit� di questa acquisizione, giacch� le Amministrazioni resistenti sostengono, e l'appellante nega, che quegli atti erano stati gi� prodotti in primo grado, in evasione di apposito provvedimento istruttorio. II Collegio, grazie all'interesse degli atti in suo posses'o, ritiene provato, al di l� di ogni ragionevole dubbio, il fatto che quelle delibere fossero state gi� prodotte in primo grado; nondimeno, ritiene possibile prescin zione a terzi quando il Comune non abbia posto il proprietario in condizione di esercitare il proprio diritto di preferenza. (3) 1Sulla necessit� che la compilazione dello stato di consistenza preceda il decreto di occupazione d'urgenza nel sistema di cui all'art. 71 legge n. 2359/1865 non modificato dall'art. 20 legge n. 865/1971 � pacifica la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 1978, n. 646, in Cons. Stato, 1978, I, :1024 e 22 giugno 1976, n. 485, ivi, 1976, I, 705); peraltro la situazione � stata modificata dalla legge 3 gennaio 1978, n. 1 il cui art. 3 secondo comma ha disposto che lo stato di consistenza sia compilato dopo l'occupazione d'urgenza in concomitanza con la redazione del verbale di immissione nel possesso. (4) Sulla rilevanza dello stato di consistenza redatto per altra occupazione d'urgenza, questione che rimane impregiudicata nella sentenza massimata, avendo l'Adunanza Plenaria dato preminente rilievo alla mancanza del formale richiamo dello stesso nei provvedimenti impugnati, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 marzo 1981, n. 255 (in Cons. Stato, 1981, I, 284) secondo la quale � legittimo il decreto d'occupazione adottato in base ad uno stato di consistenza compilato molto tempo prima quando non sia contestato un sopravvenuto mutamento dei luoghi, e Sez. IV, 29 gennaio 1980, n. 45 (in Cons. Stato, 1980, I, 33) che ammette la possibilit� di utilizzare per il decreto di occupazione d'urgenza lo stato di consistenza redatto per fini espropriativi. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dere da questa circostanza di fatto per la risolutiva considerazione che il vizio dedotto nel motivo aggiunto (mancata fissazione dei termini iniziali e finali per le espropriazioni ed i lavori, di cui all'art. 13 della legge n. 2369 del 1865) era gi� pienamente conoscibile (semprech� di vizio si tratti) attraverso i decreti presidenziali impugnati, vale a dire sin dalla origine della controversia. Si � messo in luce, infatti, che i decreti presidendali in esame riproducono esattamente ed integralmente le delibere e ne costituiscono la mera esternazione piuttosto che un atto esecutivo pi� o meno vincolato. La volont� dell'ente, si � detto, si � formata nella sede collegiale ma � stata esternata e resa pubblica mediante i decreti. L'omissione, nel dispositivo, di una statuizione asseritamente indispensabile era dunque direttamente rilevabile dai decreti stessi, al pari di tutti gli altri vizi tempestivamente dedotti dal ricorrente. La sopravvenuta esibizione delle delibere collegiali avrebbe potuto giustificare motivi aggiunti solo se fosse stata riscontrata difformit� tra i due testi, oppure se fossero emersi vizi inficianti l'atto collegiale in s� considerato (es.: difetto del numero legale, irregolare composizione del Collegio, mancata astensione di membri incompatibili, e via dicendo); ma il vizio in discorso non rientra in queste ipotesi. Il motivo aggiunto va, dunque, dichiarato tardivo ed inammissibile. 3. -Si pu�, ora, passare all'esame del secondo motivo del secondo ricorso di primo grado che consi,ste, in sostanza, nella denuncia della mancata considerazione del diritto . di preferenza spettante ai proprietari �spropriati a norma del decimo comma dell'art. 10 della legge 18 aprile 1962, n. 167, nel testo modificato dall'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. La norma invocata dispone: � Le aree di cui al secondo comma del presente articolo, destinate alla costruzione di case economiche e popolari(...) sono cedute in propriet� a cooperative edilizie ed ai singoli, con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della presente legge, sempre che questi (...) abbiano i requisiti previsti, ecc.�. Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto di poter disattendere questa doglianza basandosi sulla constatazione di fatto che, in realt�, al ricorrente risultava assegnato un lotto, con delibera del Consiglio comunale di Ancona, n. 633 del 2 luglio 1975. Appellando, il dott. Russo ha lamentato, in punto di fatto, che la delibera in parola non faceva parte del materiale documentale prodotto in giudizio (sicch�, a suo dire, il Collegio giudicante ne avrebbe acquisito conoscenza aliunde, ed avrebbe, in sostanza, fatto indebito uso della scienza privata del giudice);. e, in� punto di diritto, che la delibera stessa non pu� comunque considerarsi per alcun verso satisfattiva del dedotto diritto di preferenza, giacch� il lotto assegnato non corrisponde, n� per ubicazione n� per estensione, all'area richiesta dal Russo e che questi aveva diritto di ottenere. !: f f E i. PARm I, SBZ. V, GIURlSPRUDBNZA AMMINISTRATIVA Questo Collegio osserva che, per le ragioni che saranno esposte appresso la delibera consiliare 2 luglio 1975, n. 633 non ha rilievo risolutivo (diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R.) in ordine al presente motivo di ricorso, sicch� si potrebbe prescindere dalla questione della ritualit� o meno della sua acquisizione da parte dei primi giudici. Nondimeno, va chiarita quella che � l'obiettiva risultanza del fascicolo processuale; e cio� che il documento in parola � compreso tra quelli depositati preso il T.A.R. dal Comune di Ancona in data 27 aprile 1978, ed � citato nella memoria difensiva del Comune stesso, datata 1� maggio 1978 e depositata il 6 maggio successivo in vista dell'udienza di discussione che si sarebbe tenuta il 18 dello stesso mese (data nella quale effettivamente il ricorso � stato deciso). Si pu� dunque concludere che il Tribunale amministrativo, pronunciando la sentenza in esame, si � valso di un documento ritualmente acquisito. Ci� premesso, si osserva che nel sistema dell'art. 10 della legge 18 aprile 1962, n. 167, come modificato dall'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, tutte le aree comprese nei piani di zona per l'edilizia economica e popolare sono soggette ad espropriazione, a nulla rilev:ando in contrario il fatto che taluno dei proprietari si proponga di edificare sul suo terren� in conformit� alle previsioni del piano. Nessuna disposizione, invero, stabilisce che in tale eventualit� non si faccia luogo ad espropriazione; anzi, al contrario, il primo comma dell'art. 10 (nuovo testo) sembra inequivoco nel senso che tutte le aree debbono essere espropriate, ed ancora pi� esplicito � il decimo comma (sempre secondo il nuovo testo), che � la disposizione invocata dal ricorrente e poc'anzi citata. I proprietari �espropriati� hanno un (mero) titolo di preferenza da far valere nel procedimento (presumibilmente concorsuale) di assegnazione dei lotti, in vista di ottenere la � cessione in propriet� � degli stessi, e non gi� un titolo per essere esclusi dall'espropriazione. Il sistema cos� delineato dalla legge potr� sembrare pi� o meno ragionevole, ma non si pu� dire che non sia espresso con chiarezza. D'altro canto, esso ha anche una sua ratio, che � desumibile dal comma successivo, secondo cui il prezzo della cessione (o retrocessione) delle aree � pari al costo di acquisizione (vale a dire all'indennit� pagata per l'esproprio), maggiorato del � costo delle relative opere di urbanizzazione in proporzione al volume edificabile�, ci� significa che tra espropriazione e cessione si interpone idealmente l'intervento di urbanizzazione. Ancora, il comma che segue dispone che la cessione venga accompagnata da una convenzione contenente gli impegni assunti dal cessionario in ordine ai modi e ai tempi dell'edificazione. Secondo il pensiero del legislatore, il proprietario che si propone di edificare sul proprio terreno � comunque soggetto all'espropriazione ed alla successiva cessione, perch� quest'ultima �, a parte altre considerazioni, lo strumento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 280 per far pagare al cessionario la sua quota di opere di urbanizzazione, e per vincolarlo alla stipula della convenzione di cui al dodicesimo comma. Si pu� dl,lilque concludere, sul punto: a) che la legittimit� dell'espropriazione non � esclusa per il fatto che l'interessato abbia richiesto al Comune di valersi della preferenza a lui spettante in forza dell'art. 10; b) che, a maggior ragione, gli eventuali vizi dell'atto con cui il Comune provvede sulla richiesta del proprietario (negandogli l'assegna zione, o, come nella specie, assegnando un terreno diverso, per esten sione ed ubicazione, da quello richiesto) viziano il provvedimento stesso (e pert�nto debbono essere dedotti mediante rituale impugnazione di quest'ultimo) e non anche il provvedimento d'esproprio. Il motivo in esame va dunque respinto, sia pure per ragioni diverse da quelle ritenute dalla sentenza appellata; mentre non vi � luogo a pronunciare sulle doglianze riferite ai vizi dell'atto di assegnazione (delibera n. 633 del 2 luglio 1975), perch� si tratta di atto non impugnato in questa sede. 4. -Con il terzo motivo del secondo ricorso, il ricorrente aveva lamentato l'omessa pronuncia suMa � opposizione� proposta in data 28 ottobre 1974 e ricevuta dal Comune il giorno 30 successivo. Secondo la sua tesi, si tratterebbe di un tipico atto di opposizione, inserito nella procedura espropriativa, e pertanto doveva essere preso in formale considerazione nella dichiarazione di pubblica utilit�. Il Collegio osserva che il documento in questione, senz'altro inequivoco come manifestazione di una volont� integralmente critica nei confronti dell'operato del Comune, � invece di difficile interpretazione (anche perch� redatto senza alcuna ricerca di precisione in questo senso) ai fini del suo inquadramento in una categoria giuridica tipica. Esso si palesa prima facie come reazione alla pubblicazione del bando per le assegnazioni dei lotti, ed anzi � dichiaratamente qualificato come impugnazione del �manifesto�; e pi� precisamente richiama il diritto di preferenza di cui all'art. 10, decimo comma, della legge n. 167 del 1962 modificata; contiene tuttavia riferimenti critici riferiti all'intera formazione del piano di zona (peraltro in s� inoppugnabile, siccome approvato dieci anni prima) ed alla sua attuazione; e sembra anche concludersi con un invito al Comune a riesaminare (in via di resipiscenza) l'intero piano e le conseguenti determinazioni. Sta di fatto, comunque, che il documento in questione non rientra in alcuna delle sequenze procedimentali tipiche previste dalle leggi sulla �.�edilizia economica e popolare, e nelle quali le leggi stesse inseriscono le formali opposizioni dei privati: non quella di cui all'art. 6 della legge n. 167 del 1962 (opposizioni presentate durante la formazione del p.e.e.p. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA e precisamente dopo l'adozione e prima dell'approvazione), per�h� il piano era stato approvato nel 1964; e nemmeno quella di cl.!1 agli artt. 10 e 11 della legge n. 865 del 1971 (osservazioni dei privati alla relazione esplicativa, piano parcellare, ecc.), perch�, nella specie, _gli atti di cui al citato art. 10 sono stati pubblicati e depositati alcuni mesi dopo e cio� nel luglio 1975, ed in quella occasione l'attuale appellante non risul ta abbia presentato osservazioni od opposizioni. Riassumendo, il documento del 28 ottobre 1974 pu� essere interpre tato o come una (irrituale) impugnativa del bando-manifesto (secondo quanto si desume dal suo enunciato), o come un esposto diretto a sol leci~are il Comune ad un riesame globale della vicenda, o, infine, per i richiami al diritto � di preferenza �, come un atto rivolto a sostenere con apposita argomentazione la domanda (presentata contemporanea mente) di concorrere all'assegnazione dei lotti. In nessun caso si trattava di un atto su cui l'amministrazione fosse tenuta a pronunciarsi, o, quan to meno, a pronunciarsi in sede di dichiarazione della pubblica utilit�. Anche sotto questo profilo, pu� essere confermata la legittimit� dei provvedimenti impugnati. 5. -Gli ulteriori motivi del secondo ricorso di primo grado riguardano propriamente solo i provvedimenti relativi all'occupazione d'urgenza (o meglio la seconda occupazione d'urgenza; della prima, impugnata col primo ricorso di primo grado, � stata gi� riconosciuta l'illegittimit�); vale a dire la delibera 24 ottobre 1975, n. 426 della Giunta regionale (oggetto: � Decreto di occupazione d'urgenza dei beni stabili siti nel territorio del Comune di Ancona occorrenti per la realizzazione di alloggi economico-popolari nel piano di zona comprensorio Cittadella Sud), e il conseguente decreto presidenziale di esternazione, 27 ottobre 1975, n. 5762. I vizi dedotti, infatti, per loro natura possono essere imputati solo ai detti provvedimenti, e non a quelli rispettivamente immediatamente anteriori, relativi alla dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� ed urgenza (delibera della Giunta regionale 24 ottobre 1975, n. 425; decreto del Presidente della Giunta, 27 ottobre 1975, n. 5761). Tanto premesso, si osserva che � fondato ed assorbente il motivo originariamente dedotto come quarto, nella parte in cui esso denuncia la totale omissione della compilazione dello stato di� consistenza. Al riguardo va precisato che il procedimento si � svolto� vigendo an cora il sistema di cui all'art. 71 della legge n. 2359 del 1865 (non innovato, sul punto dall'art. 20 della legge n. 865 del 1971), secondo il quale la compilazione dello stato di consistenza doveva precedere l'emanazione del decreto di occupazione (e non seguirla, come poi sarebbe stato disposto dalla legge n. 1 del 1978) ed era ritenuto pacificamente �un �inderogabile presupposto di legittimit� del decreto d'occupazione d'urgenza � (Sez. IV, 4 luglio 1978, n. 646, in questa Rassegna, 1978, I, 1024). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 282 Pi� precisamente, secondo lo schema normale del procedimento delineato dall'art. 71, cit., la compilazione dello stato di consistenza doveva interporsi tra la dichiarazione d'indifferibilit� ed urgenza dei lavori, e il decreto d'occupazione. Nella specie, le due deliberazioni della Giunta regionale, rispettivamente di dichiarazione d'indifferibilit� ed urgenza, e di autorizzazione all'occupazione, sono state adottate 'consecutivamente, nella stessa seduta, e perci� � ovvio che tra la prima e la seconda non ha potuto essere compilato lo stato di consistenza; lo stesso si deve dire se si vuole aver riguardo, anzich� alle delibere della Giunta, ai decreti presidenziali esternativi, ugualmente emanati l'uno consecutivamente all'altro. �Ma si pu� ritenere pacifico, in fatto, che lo stato di consistenza non ha avuto luogo neppure nel breve intervallo tra le due . delibere (24 ottobre) e i due decreti (27 ottobre). In verit�, l'Amministrazione si. � difesa richiamandosi all'esistenza di uno stato di consistenza eseguito il 25 marzo 1975 (cio� sette mesi prima del decreto di occupazione ora in contestazione) in vista di un altro provvedimento, quello del 17 aprile 1975, annullato per incompetenza con decisione parziale emessa nel corso del presente giudizio. A parte ogni considerazione sia sull'intrinseca legittimit� di questo stato di consistenza, sia sulla legittimit� dell'utilizzazione, per un nuovo decreto di occupazione, dello stato di consistenza preordinato ad un distinto e precedente decreto (nel quadro, comunque, di un'unica vicenda espropriativa), sta di fatto che il documento in parola non � miniillamente richiamato nelle premesse dei due provvedimenti (delibera della Giunta e decreto presidenziale), dei quali esso avrebbe dovuto essere inderogabile presupposto di legittimit�. In altre parole: dato e non concesso che l'amministrazione potesse fondare un decreto d'occupazione su un verbale di consistenza redatto un certo tempo prima a supporto di un altro decreto, sta di fatto che non si ha alcun elemento per ritenere che l'autorit� emanante si sia servita di quel verbale; anzi, si deve presumere il contrario, e cio� che quello stato di consistenza non facesse parte del materiale documentale preso in esame dalla Giunta e dal suo Presidente al momento dell'emanazione dei provvedimenti ora contestati. Tanto basta per affermare l'illegittimit� di questi ultimi, giacch� l'obbligo di pronunciare solo previa compilazione e visione dello stato di consistenza non si pu� ritenere assolto solo perch� il relativo documento era materialmente presente negli archivi, ma non alla mente della autorit� emanante, senza adempiere la sua funzione tipica di strumento di conoscenza della situazione reale in cui venivano ad incidere i provvedimenti emanandi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 283 6. -Conclusivamente, l'appello del dott. Russo, per la parte ancora in contestazione dopo la decisione parziale di accoglimento della IV Sezione (n. 593 del 1981), va accolto limitatamente all'occupazione d'urgenza disposta il 24-27 ottobre 1975, ferma restando, invece, la legittimit� della dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� ed urgenza pronun:riata nelle stesse date. Poich� l'accoglimento dell'appello non � integrale, ed inoltre numerose doglianze dell'appellante si sono dimostrate infondate, si giustifica la compensazione delle spese del giudizio. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 843 -Pres. De Roberto -Est. Cortese -Regione Piemonte (avv.ti Sertorio e Romanelli) c. Soc. Azienda agricola Borello (avv.ti Siniscalco e Guarino) ed altro (n.c.). Urbanistica -Concessione edilizia -Annullamento � Agriturismo � Desti� nazione agricola del terreno � Contratto � Elementi obiettivi di valutazione. � legittimo l'annullamento da parte della Regione di trentadue concessioni edilizie rilasciate dal Sindaco per l'edificazione di altrettant,i edifici ad uso agriturismo in zana destinata ad uso agricolo dagli strumenti urbanistici vigenti, quando sia fondato su una serie di elementi che escludano in maniera inequivoca ogni collegamento dell'insediamento abitativo con la destinazione della zana (nella specie sono stati ritenuti tali la tipologia delle villette, l'orografia della zana, l'assenza di qualsiasi coltivazione, da parte del titolare della concessiione, la predisposta ripartizione del terreno; e sono invece stati considerati meri espedienti la destinazione di un locale per ogni villetta ad autorimessa o ripostiglio per attrezzi agricoli e la costruzione di un capannone destinato a rimessa comune degli attrezzi. (1) (1) Per un'analoga fattispecie di annullamento di licenza edilizia con decreto presidenziale ex art. 7 legge n. 765/11967', cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 ottobre 1972, n. 931, che lo ritenne legittimo in relazione ad una licenza che prevedeva 17 fabbricati su mq. 52.000 in una zona non urbanj.sticamente sistemata configurando quindi un'ipotesi di lottizzazione in quanto idonea a dare assetto urbanistico ad una vasta zona vergine. Cos� pure Sez. IV, 13 marzo 1973, n. 222, che afferm� l� legittimit� dell'annullamento di una licenza per violazione del'l'articolo 41 quinquies legge n. 1150/1942 in quanto rilasciata per la costruzione di immobile in zona priva di strumenti urbanistici e dotata di particolare pregio ambientale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 284 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 845 -Pres. Mezzanotte, Est. Cortese -Comune di Rieti (avv. Nigro) c. Durastante (avv. Mannucci) e Lorenzini ed altri (avv. Delli Santi). Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Legislazione vigente Notifica sentenza -Successivo provvedimento illegittimo annullato. Per dare corretta esecuzione al giudicato il Comune, cui sia stata notificata la sentenza dichiarativa dell'obbligo di provvedere sull'istanza dei privati volta ad ottenere l'approvazione di un progetto di lottizzazione, deve applicare la normativa vigente alla data di tale notifica anche se, nel tempo nec�ssario ad ottenere l'annullamento in s.g. di un provvedimento di rigetto successivamente adottato, tale normativa sia stata mutata. (1) (1) La sentenza � stata resa in merito ad una vicenda che merita chiarire, per rendere pi� comprensibile anche la massima. Il privato aveva avanzato nel 1974 istanza per ottenere l'approvazione di un progetto di lottizzazione; non ricevendo risposta aveva provocato il silenzio-rifiuto ottenendone quindi l'annullamento da parte del T.A.R. che aveva dichiarato l'obbligo del Comune di pro\ivedere. Notificata tale sentenza il Comune aveva, con atto sindacale, respinto la domanda di lottizzazione, ma questo provvedimento era stato a sua volta impugnato ed annullato dal G.A. per incompetenza. Notificata anche questa seconda sentenza il Comune aveva preteso di agire in base non alla legge vigente all'epoca della prima, ma bens� della seconda decisione. Nel ritenere illegittimo tale comportamento il Consiglio di Stato evidenzia che esso costituisce in sostanza un modo per eludere il contenuto della prima decisione, violare i principi di pienezza e sostanzialit� della difesa giurisdi� zionale contro gli atti della P.A., che postulano la cristallizzazione della normativa �di riferimento al tempo della notifica della decisione di annullamento del provvedimento illegittimo. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, sent. 30 gennaio 1984, n. 33 -Pres. Anelli -Est. Giovannini -Papi (avv. Lavitola) c. Comune di Sabaudia (n.c.). Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Sentenza che com� porta attivit� discrezionale � Ricorso per ottemperanza � Ammissibi� lit�. Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Sentenza chel lascia ali'Amministrazione possibilit� di scelta tra diverse alternative � Ri� corso per ottemperanza centrato su una sola alternativa � Inammissibilit�. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 285 Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato -Sentenza che lascia all'Amministrazione scelta tra diverse alternative � Ricorso per ottemperanza centrato su una sola alternativa � Impossibilit� per il giudice disporre esecuzione propria sentenza � Principio con:ispondenza tra chiesto e pronunciato. Il giudizio di ottemperanza � ammissibile non solo in relazione a sentenze comportanti un'attivit� vincolata dell'Amministrazione ma anche quando l'Amministrazione in esecuzione del giudicato sia tenuta allo svolgimento di un'attivit� di carattere discrezionale. (1) Annullato dal G.A. un piano regolatore generale, il Comune mantiene il potere di scegliere tra diverse alternative per ristab�lire l'assetto urbanistico sicch� � inammissibile il ricorso per inottemperanza nel quale gli istanti circoscrivano la loro richiesta all'imposizione al Comune della stipula di una convenzione urbanistica. (2) Circoscritta la richiesta di ottemperanza all'imposizione al Comune di una stipula di convenzione urbanistica, a seguito dell'annullamento da parte del G.A. del piano regolatore, il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato inibisce al giudice adito di provvedere all' esecuzione della sentenza in base all'effettiva portata delle sue precedenti decisioni. (3) (omissis) In via preliminare va rilevato come, conformemente alle deduzioni degli istanti, l'inerenza del presente atto di appello a giudizio promosso ai sensi degli artt. 37 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27, n. 4), r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, non osti alla sua ammissibilit�. Considerato invero che le questioni affrontate dai primi giudici hanno attenuto all'individuazione della esatta portata delle proprie precedenti decisioni 14 luglio 1976, n. 441, e 7 novembre 1979, n. 826, eppertanto alla consistenza ed ai limiti del diritto degli istanti ad agire in executivis, la pronuncia di prime cure ha finito coll'assumere quella valenza tipi (1) Sul princ1p10 rias,sunto nella massima non vi sono dubbi dopo che Ad. Plen., 9 marzo 1973, n. 1 (in Cons. Stato, 1973, 1, 351), ribaltando il precedente orientamento restrittivo, ha affermato che in caso di inottemperanza il G.A. pu� sostituirsi alla P.A. onde compiere atti discrezionali an,che a mezzo di un commissario (sul punto cfr. SANDULLI, in Man. dir. Amm., �1980, p. 860). (2-3) A prescindere dal principio generale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (su cui cfr. Sez. VI, 15 giugno 1979, n. 459, e Sez. V, 17 marzo 1978, n. 328), la decisione riportata � di estremo interesse per il inodo in cui articola l'applicazione del principio suddetto con la questione del rapporto tra sentenza di cui si chiede l'esecuzione e ricorso centrato su una sola possibile alternativa rimessa alla discrezionalit� dell'Amministrazione: sembra infatti di capire dal tenore della motivazione che l'istante per un verso ha chiesto pi� di quelo che il G.A. in sede di ottemperanza poteva accordargli e per altro verso ha chiesto troppo poco inducendo il G.A. a trincerarsi dietro il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO camente cognitoria atta, giusta l'indirizzo espresso dall'Adunanza ple naria con decisione 29 gennaio 1980, n. 2, a consentirne l'impugnazione in appello secondo le regole ordinarie~ Nel merito il gravame deve peraltro essere respinto, sebbene la mo tivazione della sentenza impugnata meriti in taluna parte di venire corretta. Invero, meritevole di correzione appare l'affermazione del tribunale regionale, secondo cui giudizio di ottemperanza sarebbe dato solo nei riguardi di pronunce comportanti attivit� meramente vincolate dell'am ministrazione. Contrario �, infatti, l'ormai costante orientamento della giu risprudenza (vedasi per tutte: Ad plen., 9 marzo 1973, n. 1), fa quale ha in molteplici occasioni ribadito l'esperibilit� di detto giudizio pur a1lorch�, in virt� del giudicato, l'amministrazione sia tenuta allo svolgimento di un'attivita di carattere discrezionale. Orientamento questo che il Collegio ritiene di dover riaffermare in considerazione della sua rispondenZJa a quella esigenza di piena effettivit� dei princ�pi, costituzionalmente garantiti (artt. 24 e 113 Cost.), di tutela dei singoli, rispetto alla quale non possono certo tollerarsi Hmitazioni in dipendenza del tipo di adempimenti rimessi, dopo la formazione del giudicato, all'amministrnzione. Meritevole di conferma la sentenza impugnata, viceversa, appare l� dove ha dichiarato l'inammissibilit� del ricorso in quanto volto ad ottenere determinazioni prive di aderenza nei confronti del reale contenuto . delle citate precedenti decisioni del tribunale regionale 14 giugno 1976, n. 441 e 7 novembre 1979, n. 826. In effetti, come esattamente notato dai primi giudici, tali precedenti decisioni ebbero a pronunciare l'annullamento del piano regolatore generale di Sabaudia nella parte concernente gli immobili degli istanti, puram~ nte e semplicemente per essere mancati esame e motivazione circa il mutamento di destinazione urbanistica che veniva con esso apportato rispetto alle previsioni contenute nel preesistente piano di lottizzazione interessante gli stessi immobili, negandosi nel contempo che, ai fini della sussistenza dell'onere di esame e di motivazione predetti, potesse spiegare effetto lo stato di inefficacia della lottizzazione ai sensi dell'art. 28 legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato da1l'art. 81, legge 6 agosto 1967, n. 765, stante la non ancora intervenuta stipulazione della relativa convenzione. Ora � evidente che, a fronte di statuizione siffatta, restavano nella potest� delle autorit� competenti ampie facolt� di diversamente determinarsi e, cio� a dire, o confermare le previsioni urbanistiche del piano adeguatamente giustificando la loro difformit� rispetto alla lottizzazione, ovvero recepire in tutto od in parte quest'ultima curandone il completo perfezionamento, o altro ancora. L'avere, pertanto, gli istanti espresso dinanzi al tribunale regionale una richiesta di ottemperanza strettamente ~ ~ f: ; J PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. circoscritta all'imposizione a carico dell'amministrazione comunale della stipula della convenzione urbanistica, non poteva non condurre alla declaratoria di inammissibilit� del ricorso per inidoneit� delle decisioni in questione a comportare -vincolativamente -un simile tipo di adempimento. In contrario non ha, d'altro canto, valore l'argomentazione, formulata nell'atto di gravame, s~condo cui nell'ambito del giudizio previsto dagli artt. 37 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27 n. 4) r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, il giudice amministrativo gode di un'ampia discrezionalit� circa l'individuazione dei modi di ottemperanza al giudicato s� che, malgrado il ristretto contenuto di quella richiesta, ben avrebbe il tribunale regionale potuto statuire in base all'effettiva portata delle sue precedenti decisioni. In realt�, infatti, non sussisono ragioni perch�, anche per il giudizio �di ottemperanza, non debba operare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la cui funzione garantistica sia nei riguardi della parte intimata (che attraverso di esso � posta in grado di conoscere i precisi limiti della materia del contendere, onde potervi esattamente commisurare le proprie difese), sia nei riguardi della stessa parte istante (che vede per sua virt� esclusa l'eventualit� di un accoglimento della domanda per ragioni, al limite, contrarie al proprio concreto interesse) ne fa regola ineliminabile di qualsiasi procedimento giurisdizionale. � Vero � semmai che, in quanto raccordato alla esistenza di una precedente pronuncia, il giudizio de quo consente la proposizione di richieste generiche di ottemperanza, determinabili per riferimento al contenuto di essa pronuncia. E tale risulta, per l'appunto, essere stato il caso fatto oggetto della decisione della VI Sezione 24 giugno 1975, n. 207, cui .si � riportata la successiva decisione dell'Ad. plen. 14 luglio 1978, n. 23, entrambe invocate dagli istanti, ove si verteva in tema di domanda del tutto aspecifica di esecuzione del giudicato, domanda in relazione alla quale vanno, pertanto, valutate talune affermazioni delle decisioni medesime, anche sotto il profilo del loro carattere di meri obiter dieta. Il ricorso va, quindi, respinto. Nulla � da disporre per le spese del presente grado del giudizio, non essendosi ivi la parte intimata costituita. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, sent. 18 gennaio 1984, n. 49 -Pres. Piga Est. Rosini -Comune di Firenze (avv. De Paoli Mori) c. Soc. Publimondo ed altri (avv.ti Colarizi e Medugno) e soc. Publil.ancio (n.c.). Contabilit� pubblica -Contratti della P .A. -Licitazione privata � Scelta d�i contraenti � Interesse all'impugnazione � Soggetto non invitato alla gara. 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Contabilit� pubblica � Contratti della P .A. � Licitazione privata � Scelta dei contraenti � Soggetto non invitato alla gara � Interesse personale e non collettivo. Contabilit� pubblica � Interesse legittimo � Qualificazione giuridica � Previsione nella norma disciplinatrice del potere della P .A. � Rilevanza sociale dell'interesse. Contabilit� pubblica � Contratto della P .A. � Delibera di far luogo alla licitazione privata � Motivazione su esclusione pubblici incanti � Necessit�. Contabilit� pubblica � Contratti della P .A. � Licitazione privata � Scelta delle ditte da invitare alla gara � Competenza della Giunta Mu� nicipale. � legittimato ad impugnare la delibera con la quale si stabilisce di far ricorso alla licitazione privata invece del pubblico incanto per la scelta del contraente della P.A., il soggetto che non sia stato invitato a partecipare alla gara nonostante il manifestato intendimento di parteciparvi e l'affidamento seppure informale ricevuto, in quanto il suo interesse di fatto non pu� essere assimilato a quello generico al rispetto di norme poste a tutela di interessi generali. (1) In relazione alla scelta della P.A. circa il tipo di procedimento contrattuale, l'interesse dell'aspirante contraente ha carattere individuale e non collettivo, nonostante il fatto che esso sia individualizzabile in qualunque soggetto che all'epoca esercitasse l'attivit� in questione. (2) La qualificazione giuridica degli interessi si pu� ricavare non solo dalla norma che, disciplinando il potere amministrativo, li prende in considerazione, ma anche dalla loro oggettiva rilevanza sociale che li rende meritevoli di tutela. (3) - La delibera del Comune con cui si decide di far ricorso alla licitazione privata per la scelta del contraente deve essere adeguatamente motivata sulle ragioni particolari per le quali si � preferito tale sistema a quello ordinario dei pubblici incanti. (4) La scelta delle ditte da invitare alla licitazione privata, spetta alla Giunta Municipale, per cui � viziata da incompetenza la scelta effettuata dal Sindaco (salvo che sia una mera esecuzione della delibera della Giunta) o da un assessore. (5) (1-5) La sentenza massimata, la cui motivazione di seguito riportata nel testo integrale si deve alla cortesia del consigliere RosINI, essendo quella pubblicata sul Consiglio di Stato difficilmente comprensibile a causa di un errore di stampa alla pag. 44 � del massimo rilievo in ordine ai temi generali della qualificazione e della individuazione dell'interesse legittimo e non abbisogna di essere corredata da richiami giurisprudenziali essendo ricchissima di citazioni alle quali si rimanda il lettore. :-: r. { PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (omissis) 1. -L'ambito del giudizio di appello � limitato all'esame dei motivi accolti dal primo giudice, oltre che della preliminare eccezione di inammissibilit� proposta dal Comune. Le societ� ricorrenti, infatti, non hanno proposto appello avverso la reiezione del primo motivo del ricorso e non hanno insistito nelle censure non esamtnate dal primo giudice -che perci� s'intendono rinunciate (art. 346 cod. proc. civ.) limitandosi, nella comparsa di costituzione, a contrastare i motivi dell'appello. I motivi d'impugnazione devoluti alla Sezione sono, pertanto, il secondo, il quarto e il quinto (il settimo si limita ad estendere l'impugnazione agli atti successivi a quelli viziati). Di questi, il secondo -con cui si denuncia il difetto di motivazione dell'adozione della licitazione privata in luogo dell'asta pubblica -si riferisce alla deliberazione del 4 giugno 1981, con cui la Giunta municipale di Firenze ha stabilito di indire una licitazione privata per la concessione della pubblicit� negli impianti sportivi comunali per il periodo compreso tra il 1�. agosto 1981 e il 30 giugno 1987 (come � precisato non nella suddetta deliberazione ma nel �verbale di aggiudicazione per licitazione privata� del 30 luglio 1981). Il quarto e il quinto motivo -nei quali si denuncia, rispettivamente, l'incompetenza dell'organo che ha scelto le imprese da invitare alla gara, e il mancato invito ad essa delle societ� ricorrenti -devono intendersi riferiti all'atto (la nota 8 luglio 1981 dell'assessore al patrimonio all'Ufficio contratti, certamente impugnata bench� non eplicitamente elencata tra gli atti di cui si chiede l'annullamento) con cui � stato redatto l'elenco delle ditte da invitare e alla lettera del 25 luglio 1981 con cui l'assessore al patrimonio ha confermato alla soc. Pubblimondo il rifiuto di invitarla alla gara. Dall'eventuale annullamento di uno degli atti suindicati discenderebbe, infine (settimo motivo), la illegittimit� del verbale di aggiudicazione del 30 luglio 1981. L'impugnazione della lettera del 1� agosto 1981, che l'assessore agli affari legali del Comune ha scritto al difensore delle societ� ricorrenti per sostenere la legittimit� della loro esclusione dalla gara, � inammissibile, perch� quella lettera non ha carattere provvedimentale. La difesa del Comune non ha prodotto -bench� dovesse farlo a norma dell'art. 21, quarto comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1024 -n� il disciplinare approvato con la deliberazione del 4 giugno 1981 n� la deliberazione del 10 luglio 1981. Le societ� ricorrenti hanno chiesto l'an nullamento di quest'ultima, che a loro .dire avrebbe modificato il pre detto disciplinare, senza precisarne il contenuto e la rilevanza. Questa impugnazione �, pertanto, inammissibile. 2. -Insistendo nell'eccezione di inammissibilit� del ricorso introduttivo il Comune appellante ripropone il problema, ad ogni altro preliminare, della legittimazione processuale delle imprese ricorrenti, quello, vale a dire, dell'ammiss.ibilit� di un ricorso con cui si denuncia la kASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 290 illegittimit� del procedimento di licitazione privata (e anzitutto della adozione di questo modo di scelta del contraente), da parte di chi non ha partecipato al procedimento stesso perch� non invitato. La questione ha due aspetti e va considerata da un duplice punto di vista: sul piano processuale, per accertare se nella concreta fattispecie sussistono le condizioni necessarie per dare ingresso al giudizio, cio� per legittimare in concreto il ricorrente all'impugnazione; sul piano sostanziale, per stabilire se l'interesse fatto valere con l'impugnazione possa qualificarsi come interesse legittimo in senso tecnico, vale a dire come posizione soggettiva per la cui tutela � dato il ricorso ai giudici amministrativi. Il primo giudice s'� limitato a sottolineare, nella motivazione della sua decisione, che le imprese ricorrenti, a seguito della lettera con cui l'assessore al patrimonio aveva promesso che sarebbero state invitate alla licitazione, venivano a trovarsi � in una relazione qualificata e differenziata con la futura attivit� dell'ente, da cui discende il potere di sindacarne la legittimit� in sede giurisdizionale �. Ma in questo modo la questione dell'interesse a ricorrere viene risolta nella mera affermazione della sussistenza di un interesse legittimo; che, pur se nella fattispecie deve ritenersi esatta, richiede una pi� attenta considerazione e una motivazione in parte diversa; tanto pi� che si tratta di questioni che hanno dato luogo, anche nella sede giurisdizionale, a qualche incer� tezza e persino a contraddizioni e conflitti. L'aspetto pi� delicato della questione � quello della configurabilit� in astratto di posizioni di interesse legittimo quando in sede di impugnativa di atti che attengono al procedimento di licitazione privata si deduce la violazione delle norme che fissano le condizioni di ammissibUit� del procedimento e le possibili deroghe al sistema di contrattazione per pubblici incanti; questione che sar� esaminata nei successivi paragrafi. Ci� che � da rilevare in via del tutto preliminare, e con riferimento all'eccezione della non tutelabilit� in concreto dell'interesse delle societ� ricorrenti sollevata dalla difesa del Comune sotto il profilo dell'interesse a ricorrere, � che l'interesse fatto valere � quello di chi si duole per non essere stato invitato a partecipare ad una gara alla quale intendeva partecipare, e di esserne stato escluso bench� il Comune, per precedenti contatti e rapporti precontrattuali, fosse aconoscenza di tale intendimento e degli interessi che nella sua qualit� di operatore nel settore l'impresa intendeva perseguire con la partecipazione alla gara. Inoltre nella fattispecie pu� ritenersi che lo stesso Comune, sia pure in forma giuridicamente discutibile (lettera dell'assessore al patrimonio) e con atti di incerta rilevanza anche perch� sottoscritti � per il Sindaco � da un assessore sprovvisto di delega (per quanto risulta in causa; e si sa che l'assessore non ha competenza esterna: Sez. V, 28 novembre 1959, n. 775) aveva dato alle imprese ricorrenti affidamenti tali, da rendere PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVAi certo ed evidente il loro interesse diretto, specifico, per realizzare il quale esse si propongono, col ricorso, di ottenere l'annullament_d della procedura di licitazione privata. Si tratta di un interesse, dunque, imme diatamente apprezzabile in linea processuale, come interesse che in fatto appartiene al soggetto che lo fa valere e che, contrariamente a quanto si sostiene dalla difesa del Comune, non pu� essere confuso con quello generico al rispetto di norme poste a tutela di interesse generali. Se poi questo interesse s.ia protetto ;in ragione della sua natura di interesse legittimo in senso tecnico, � questione sulla quale sar� neces sario, ripetesi, svolgere ulteriori considerazioni. Ci� che si � inteso sin qui mettere in luce � l'interesse (processuale) delle societ� ricorrenti, siccome titolari di imprese pubblicitarie (e nella situazione specifica che in punto di fatto risulta dal contatto tra esse e il Comune), ad impu gnare i provvedimenti con cui l'amministrazione comunale ha stabilito di ricorrere alla licitazione privata per la scelta del concessionario del l'esercizio della pubblicit� nei campi sportivi, come pure quelli con cui la stessa amministrazione ha scelto le imprese da invitare alla gara. 3. -N� pu� condividersi l'eccezione di inammissibilit� del ricorso sostenuta dal Comune con l'argomento che le societ� ricorrenti, non essendo state invitate alla gara, non trarrebbero alcun vantaggio dall'accoglimento dell'impugnazione; il quale, invece, aprirebbe loro la prospettiva -che basta a concretizzare l'interesse al ricorso (Ad. Pl., 27 ottobre 1970, n. 4; Sez. IV, 22 febbraio 1980, n. 114; Sez. VI, 14 luglio 1981, n. 441; Sez. V, 15 aprile 1983, n. 130) -della rinnovazione del procedimento, che consentirebbe loro di partecipare ai pubblici incanti (nel caso di accoglimento del secondo motivo del ricorso) o di essere invitate alla licitazione (nel caso di accoglimento del quarto o del quinto motivo). 4. -Sul piano dell'interesse sostanziale, viene in rilievo la considerazione che i vizi di legittimit� denunziati hanno origine da violazione di una norma tm le pi� caratteristiche della disciplina dei contratti della pubblica amministrazione, poste anzitutto a tutela del buon andamento. della stessa; l'art_. 3, secondo comma, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, nel testo introdotto dall'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 627, a norma del quale per i contratti dai quali derivi un'entrata per la pubblica amministrazione debbono bandirsi pubblici incanti, quando non sussistano particolari ragioni per fare ricorso ad altri modi di scelta del contraente. Questa regola garantisce, fra l'altro, l'imparzialit� dell'am. ministrazione e le uguali aspettative di tutti i soggetti a partecipare � ai vantaggi connessi ai rapporti economici da essa promossi; e sarebbe vanificata (e ne sarehf?ero vanificati valori saldamente radicati nell'ordinamento) dal diniego di tutela giurisdizionale opposto -in contrasto col principio, anch'esso di valore costituzionale e manifestamente in via di espansione, della giuridicizzazione delle situazioni incise, o suscetti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bili di essere incise, dall'esercizio del potere amministrativo (Sez. VI, �22 giugno 1979, n. 500) -a chi ne pretenda il rispetto. 5. -Bench� sia confortata da qualche precedente (Ad. PI., 28 gennaio 1961, n. 3; Sez. V, 11 marzo 1977, n. 185kla conclusione che precede non si iscrive in un indirizzo giurisprudenziale ricevuto da questo Consiglio; che proprio in analoga fattispecie ha anche recentemente ribadito che nei confronti degli atti amministrativi con cui viene determinato il procedimento da seguire per addivenire alla scelta del contraente non sono ravvisabili situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo (Sez. VI, 27 novembre 1981, n. 721; Sez. IV, 4 maggio 1979, n. 300; Sez. V, 11 marzo 1976, n. 453; Cons. giust. Si., 17 ottobre 1974, n. 382; Sez. V, 10 luglio 1973, n. 608; Sez. VI, 23 maggio 1972, n. 265; Sez. V, 5 aprile 1963, n. 186; Sez. V, 26 gennaio 1956, n. 9); ed era questo l'insegnamento della Corte regolatrice (Sez. Un., 21 settembre 1970, n. 1645) prima di un recente mutamento di indirizzo (Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 328). Peraltro la massima prevalente nella giurisprudenza del Consiglio di Stato non solo sembra contrastare con l'attuale orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 328/83 cit.), ma � anomala rispetto ai princ�pi che sovraintendono, nella sua stessa giurisprudenza, alla discriminazione delle posizioni di interesse legittimo da quelle giuridicamente irrilevanti; ed esigenze di coerenza, oltre che di adeguamento alla tendenza all'ampliamento della tutela giurisdizionale sulla traccia dell'art. 113 della Costituzione, suggeriscono di dare anche a questo caso una soluzione conforme a quella che garantisce posizioni soggettive non dissimili. L'indirizzo da cui il Collegio dissente si fonda sulla considerazione che il potere della P.A. di scegliere il tipo di procedimento contrattuale non � disciplinato da norme che attribuiscano a qualche soggetto una posizione particolare e differenziata; sicch� tutti potrebbero, astrattamente, aspirare ad essere parti nel contratto. A nessuno, dunque, potrebbe . riconoscersi la titolarit� di un interesse che in quanto personale, individuale, � tutelabile avanti al giudice amministrativo, la cui cognizione � limitata alle impugnazioni di provvedimenti � che abbiano per oggetto un interesse di individui ... � (art. 3, legge 31 marzo 1889, n. 5992). Ma per negare a un interesse dedotto in giudizio il carattere della individualit� non basta che altre persone si trovino nella stessa situazione del ricorrente: occorre che l'utilit� da lui fatta valere non gli appartenga tutta ma costituisca la sua quota di una utilit� indivisibile appartenente ad una collettivit� pi� o meno istituzionalizzata: una pluralit� di interessi identici non equivale a un interesse collettivo (Sez. VI, 3 dicembre 1948, n. 423). La differenza fra la lesione di un interesse individuale e le conseguenze economiche e morali (con riferimento alle quali si pu� rparlare, 1. ~ i:; PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. se si vuole, di interessi di fatto), che all'individuo siano provocate dalla lesione di un interesse della collettivit� cui appartiene, � rilevante perch� secondo la giurisprudenza italiana gli interessi indivisibili di una collettivit� non possono esser fatti valere in giudizio dai singoli suoi componenti se non nei casi di azione popolare tassativam�nte previsti dalla legge (e non se ne fa esperienza solo nel campo del diritto amministrativo: un analogo ordine di problemi � posto, per esemplificare, dall'art. 2395 cod. civ., su cui ved. Cass. civ., Sez. I, 1� giugno 1960, n. 1424, e Cass. civ., Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1290, e dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, su cui ved. Cass. civ., Sez. lav., 19 aprile 1980, n. 2573). Questo principio deriva da quello che gli interessi di una collettivit� vanno apprezzati e difesi in modo unitario dagli organi ,della collettivit� stessa (ved. Sez. VI, 29 novembre 1977, n. 882; Sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187; Sez. VI, 17 novembre 1978, n. 1208; Sez. VI, 28 novembre 1978, n. 1248; Sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378). Si pu� escludere, perci�, che ci si trovi in presenza di un interesse collettivo, e si pu� d~que predicare la personalit� dell'interesse, quando non ne sia ipotizzabile la disponibilit� da parte di organi della collettivit� alla quale l'interesse stesso sia riferibile. Cos� nella sentenza del 16 ottobre 1954, n. 3753, le Sez. Un., confermavano la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul ricorso di un commerciante avverso l'istituzione dell'imposta di consumo sui generi extratariffa osservando che � allorch� il provvedimento colpisce una determinata o determinabile categoria di persone, ed � pertanto configurabile... un conflitto di interessi... si profila quella stessa utilit� privata, personale, che forma il contenuto del diritto soggettivo, e viene quindi a realizzarsi quel connotato che � tipico dell'interesse legittimo: la funzione strumentale che esso spiega rispetto alla protezione di beni o diritti i.dividuali �. Questo insegnamento chiarisce come la limitazione della tutela giurisdizionale agli interessi personali sia connaturata ad una giurisdizione che, lungi dall'essere di diritto obiettivo, ha la funzione di risolvere conflitti di interessi; e il rilievo giova alla costruzione di un criterio discriminante. Nel caso, le societ� ricorrenti fanno valere l'interesse a conseguire una concessione amministrativa che � potenzialmente in conflitto con gli interessi di ogni altra impresa, � ben distinto da quello (che primieramente le norme invocate tutelano) dell'ente pubblico a ricavare dai contratti attivi il massimo provento, bench� con esso converga, ed �, pertanto, personale, nonostante che sia individualizzabile in qualunque soggetto che all'epoca della vicenda amministrativa dedotta in lite esercitasse attivit� pubblicitaria in forma d'impresa. Del resto, che agli interessi c.d. diffusi non vada negata, per tale loro carattere, la tutela giurisdizionale propria degli interessi legittimi, � stato acclarato da questo Consiglio (Ad. Pl., 19 ottobre 1979, n. 24, e cfr. Sez. V, 30 luglio 1980, n. 750, e Sez. Un., 8 maggio 1978, n. 2207). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6. -Non ogni interesse personale, per�, � un interesse legittimo (o un diritto soggettivo): l'ordinamento non tutela pretese futili o immorali o emulative o tendenti a porre in essere situazioni contrarie alla legge; di qui il ritenuto parallelismo tra l'interesse legittimo e l'interesse pubblico (Sez. IV, 28 agosto 1951, n. 563; Sez. V, 29 ottobre 1968, n. 1315; Ad. PI., 8 gennaio 1966, n. 1; Sez. IV, 11 maggio 1966, n. 352; Sez. V, 19 febbraio 1976, n. 274). Secondo la giurisprudenza e la dottrina meno recenti, la qualificazione giuridica degli interessi si manifesta nella norma che, disciplinando il potere amministrativo, li prende in considerazion� (Ad. PI., 26 gennaio 1971, n. 1; Sez. V, 15 novembre 1957, n. 976). Questo indirizzo, cui � coerente il rifiuto di ravvisare interessi legittimi riferiti alla determinazione del tipo di procedimento contmttuale, � stato superato da una giurisprudenza che ricerca in un pi� ampio spettro di norme e principi giuridici i punti di emersione della qualificazione normativa degli interessi personali, della loro oggettiv.a rilevanza sociale che li rende meritevoli di tutela (Sez. VI, 4 marzo 1980, n. 289; Cons. giust. Si., 19 dicembre 1980, n. 89). E in quest'ultimo ordine di idee (esplicitato dalla Sez. VI nella citata decisione del 22 giugno 1979, n. 500) questo Consiglio ha dato adito a ricorsi in cui si son fatte valere posizioni soggettive non considerate specificamente dalle norme regolatrici del potere esercitato con l'atto impugnato: dei vicini, contro le autorizzazioni di costruzioni, ancor prima della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Sez. V, 28 maggio 1965, n. 546; Sez. V, 13 gennaio 1967, n. 16; cfr. Sez. V, 9 giugno 1970, n. 523); del terzo, contro l'inerzia del Sindaco nei confronti di abusi edilizi (Sez. V, 14 maggio 1983, n. 158); dei proprietari di fondi ed edifici, per la conservazione dei vincoli gravanti sui beni limitrofi in base ala legislazione sulla protezione delle bellezze naturali (Sez. V, 29 dicembre 1950, n. 1335; Sez. VI, 9 gennaio 1957, n. 4; cfr. Sez. Un., 15 marzo 1972, n. 745); del proprietario di un edificio contiguo al luogo di ubicazione di un'opera pubblica, contro il provvedimento che dispone al riguardo (Sez. V, 17 febbraio 1970, n. 134); di commercianti, contro i provvedimenti generali istitutivi dell'imposta di consumo sui generi extratariffa (Sez. V, 15 marzo 1952, n. 449, e vd. Sez. Un., 16 ottobre 1954, n. 3153 cit.; Sez. Un., 20 maggio 1950, n. 1294; contra, Sez. Un., 14 agosto 1951, n. 2519); degli utenti dei servizi portuali, contro i provvedimenti tariffari (Sez. VI, 14 novembre 1969, n. 716; Sez. VI, 14 luglio 1970, n. 589; Sez. VI, 21 febbraio 1978, n. 254; Sez. Un., 20 aprile 1974, n. 1094) e organizzativi (Sez. VI, 4 marzo 1977, n. 178) delle competenti amministrazioni; di un'azienda di credito, contro il provvedimento che autorizza l'apertura di sportelli di un'azienda concorrente (Sez. IV, 2 dicembre� 1949, n. 423, cit., che valorizza la titolarit�, da parte della ricorrente, �di un interesse specifico relativo ad una ben indivi PARm I, Sl!Z. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA duata sfera di attivit��); della Provincia autonoma di Bolzano, contro gli atti lesivi del principio della proporzionalit� tra i gruppi linguistici nell'amministrazione ferroviaria statale (Sez. VI, 6 maggio 1980, n. 890); del titolare di un'autorizzazione commerciale, contro la concessione di altra autorizzazione al figlio del locatore dell'immobile dove egli eser cita (Sez. V, 21 settembre 1982, n. 676); della ditta concessionaria di un pubblico servizi� di autolinea, che aspira al rinnovo della concessione, contro la deliberazione di municipalizzazione del servizio� (Sez. VI, 9 feb braio 1973, n. 30); di esercenti di sale cinematografiche, contro il nulla osta alla costruzione di una nuova sala cinematografica nel Comune (Sez. IV, 21 novembre 1958, n. 866; Sez. IV, 24 febbraio 1960, n. 195); di titolari di agenzie di viaggi, contro il nulla-osta all'apertura di agenzie concorrenti (Sez. VI, 11 marzo t977, n. 205, che ricava dall'art. 31 della Costituzione la qualificazione dell'interesse); del titolare di un distribu tore di carburante, contro il provvedimento che consente l'apertura di un esercizio concorrente (Sez. V, 4 dicembre 1964, n. 1460); dei frontisti di una strada pubblica, e anche dei titolari di imprese e laboratori ubi cati lungo la stessa, o lungo un canale, contro i provvedimenti di sdema nializzazione e contro quelli che regolano il transito dei natahti (Sez. V, 16 dicembre 1969, n. 1526; Sez. V, 9 febbraio 1973, n. 104; Sez. V, 13 luglio 1973, n. 626); dell'impresa che aspira ad una concessione mineraria, con tro l'atto con cui si dispone che non si dia corso al procedimento di deca denza nei confronti dell'attuale concessionario (Sez. VI, 23 aprile 1958, n. 231); dell'impresa esercente un servizio pubblico di trasporto in concessione, contro gli atti di nomina dei componenti il consiglio di disciplina, data l'influenza che il funzionamento di questa pu� avere su:ll'an� damento del servizio (Sez. VI, 25 novembre 1969, n. 798); di notai in tema di tabelle notarili (Sez. IV, 18 ottobre 1967, n. 506; Sez. IV, 15 novembre 1967, n. 798); di un Comune contro l'attribuzione della qualifica di localit� economicamente depressa a un comune limitrofo (Sez. Un., 18 maggio 1965; n. 964); del creditore del Comune, contro il provvedimento dell'autorit� di controllo che riduce il relativo capitolo di spesa del bilancio comunale (Sez. V, 9 maggio 1967, n. 406); del mezzadro, contro il provvedimento che autorizza la costituzione del fondo in maso chiu. so (Sez. VI, 22 giugno 1969, n. 501); dei tecnici di volo, e della loro associazione, contro i provvedimenti del Registro aereonautico relativi alla composizione degli equipaggi (Sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378 cit.); di impiegati pubblici, in tema di organizzazione degli uffici e servizi cui sono addetti (Sez. V, 7 giugno 1983, .n. 206; Cons. giust. Si. 3 dicembre 1982, n. 73; Sez. V, 6 aprile 1979, n. 171; Ad. Pl., 26 gennaio 1971, n. 1; Sez. V, 7 novembre 1969, n. 1120; Sez. V, 25 giugno 1968, n. 967; Ad. Pl., 8 novembre 1966, n. 23; Ad. Pl., 26 febbraio 1965, n. 5; Sez. V, 11 luglio 1953, n. 501)~ 296 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO L'indirizzo che emerge da questo panorama giurisprudenziale garantisce tutti gli interessi personali che non siano � illegittimi � nel senso sopra precisato, chiarisce che l'ulteriore attributo della differenziazione si focalizza sull'interesse al ricorso piuttosto che sulla posizione s�stanziale (cfr. Sez. VI, 14 aprile 1954, n. 234; Sez. V, 8 maggio 1965, n. 499; Ad. Pl., 16 gennaio 1971, n. 1 cit.) e vanifica la categoria concettuale degli interessi semplici (nella quale sono di solito inquadrati, dalla giurisprudenza qui disattesa, quelli dei soggetti lesi dall'illegittimo ricorso, da parte della p.a., a procedure contrattuali che li escludono). L'art. 113 della Costituzione, che � un canone di interpretazione delle norme non meno che un precetto e un vincolo per il legislatore ordinario, impone, infatti, un massimo di garanzie giurisdizionali: l'azione della p.a., salva l'insindacabilit� delle sue valutazioni di opportunit�, non pu� mai, in ogni caso, sottrarsi al controllo giurisdizionale, avanti il giudice ordinario o a quello amministrativo (Sez. Un., 16 ottobre 1954, n. 3753); e l'ampiezza del potere discrezionale della p.a. rileva sul piano della fondatezza della domanda, non su quello della legittimazion�, che non pu� essere negata ad interessi personali (a pretese disposizioni o aspettative di �vantaggio) che non siano giuridicamente irrilevanti o immeritevoli di tutela. Che tali non siano quelli fatti valere dalle societ� ricorrenti, non pu� essere revocato in dubbio: li qualificano le norme costituzionali che garantiscono la libert� d'impresa e l'imparzialit� della P.A., e quelle ordinarie che delle prime fanno specifica applicazione limitando la discrezionalit� della p.a. in punto di scelta del tipo di procedura contrattuale. 7. -Dovendo, perci�, essere respinte le eccezioni con cui il Comune contesta la ricevibilit� dell'impugnazione, i motivi della stessa devoluti al giudice d'appello vanno riesaminati nel merito. Il secondo motivo del ricorso introduttivo � fondato, cos� come ha ritenuto il primo giudice. L'art. 3, secondo comma, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, come modificato dall'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 627, il quale dispone che i contratti dai quali derivi un'entrata per la P.A. debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, da esternarsi adeguatamente, non si intenda far ricorso alla licitazione o, in caso di necessit�, alla trattativa privata, pone un principio valido anche per le amministrazioni locali, per le quali, d'altra parte, l'illegittimit� dell'attribuzione della concessione in questione col metodo della licitazione privata si ricava dall'art. 87 t.u.1.c.p. approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383. Nell'impugnata deliberazione del 4 giugno 1981, n. 3634, la scelta di un procedimento diverso dai pubblici incanti non � sorretta da alcuna giustificazione. Il Comune appellante afferma che il ricorso alla licitazione privata per la concessione del servizio di pubblicit� visiva e fonica b ~) !'. !, i~ 1: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA negli impianti sportivi fiorentini � adottato da anni, e che la deliberazione del 4 giugno 1981, siccome si richiama alle precedenti analoghe deliberazioni, deve intendersi motivata per relationem. Ma negli atti versati in causa non ce n'� alcuno da cui possano ricavarsi le ragioni che dovevano essere enunciate specificamente, che hanno indotto il Comune a ricorrere alla licitazione privata in luogo dei pubblici incanti. � 8. -Anche il quinto motivo del ricorso, che denuncia il vizio di incompetenza nella nota dell'8 luglio 1981, merita di esere accolto. La scelta delle ditte da invitare alla licitazione privata spetta alla giunta municipale a norma dell'art. 25, secondo comma, r.d. 30 dicembre 1923, n. 2839, richiamato in vigore, con modificazioni, dalla legge 9 giugno 1947, n. 530. Per scrupolo di completezza pu� aggiungersi che a ritenerlo, come vorrebbe (erroneamente) il Comune appellante, atto di mera esecuzione della deliberazione relativa alla scelta del procedimento con� trattuale, apparterrebbe alla competenza del sindaco; e la nota dell'8 luglio 1981, contenente l'elenco delle ditte da invitare alla licitazione, non � stata firmata dall'assessore al patrimonio per il sindaco ma come atto del proprio ufficio. 9. -Del quarto motivo, evidentemente assorbito, non � il caso di occuparsi. I vizi degli atti che lo precedono travolgono il verbale di aggiudicazione del 30 luglio 1981. Va, conclusivamente, confermato l'annullamento degli atti la cui im� pugnazione non � inammissibile (vd. � 1). Viene cos� precisato il generico dispositivo della sentenza di primo grado, senza che tale precisazione ne comporti la riforma. La motivazione della sentenza stessa va, per�, sostituita dalle considerazioni che precedono. (omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, Sent. 4 ottobre 1983, n. 705 � Pres. Benvenuto � Est. Berruti � Federazione Italiana Consorzi Agrari (avv. Guarino) c. Comune di Livorno (n.c.). Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Annullamento prov� vedimento inibitorio � Adempimento della P .A. � Provvedimento autorizzatorio � Non necessariet� � Inammissibilit� ricorso inottemperanza. Annullato in sede giurisdizionale il provvedimento del Sindaco che vietava l'attivazione di uno stabilimento industriale nell'interesse della salute pubblica, per l'esecuzione di tale giudicato non � necessario un provvedimento autorizzativo neanche sotto il profilo dell'abitabilit�, essendo sufficiente la mancata emanazione di un nuovo provvedimento proibi� 298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO torio nel termine fissato con diffida dall'interessato,� pertanto in tale ipo�� tesi � inammissibile il ricorso per inottemperanza. (1) (1) Nessun precedente in termini. Sulla necessit� di ricostruire il senso e la portata della statuizione del giudice in ragione del contrasto di� interessi definito allo scopo di stabilire se l'Amministrazione abbia dato ottemperanza al giudicato o sia J:imasta inerte, che � quanto viene ribadito nella premessa della presente decisione, in cui il ricorrente lamentava l'inerzia dell'Amministrazione in relazione ad una pretesa eccedente il giudicato, cfr. Sez. VI, 3 aprile 1979, n. 205; sull'obbligo per l'Amministrazione di eliminare gli effetti prodotti dall'atto annullato e ricostruire conseguenzialmente la situazione contemplata nella decisione, non limitandosi all'inerte constatazione che l'atto � stato cancellato ipso iure dal modo giuridico cfr. Sez. V, 119 ottobre 11973. n. 686. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, Sent. 10 ottobre 1983, n. 723; Pres. Benvenuto, Est. Vacirca; Romagnoli (avv. Ledda) c. Ministero beni culturali e ambientali (avv. Stato Tamiozzo) e Guerra Moscardini (avv. Lubrano). Demanio � Beni storici ed artistici � Vhtcolo � Luogo di incontri culturali da inizio secolo � Legitthnlt�. � � Demanio � Beni storici ed artistici � Vincolo � Beni accessori � Inesistenza vincolo pertinenziale � Deducibilit� -Limiti soggettivi. Demanio � Beni storici ed artistici � Vincolo � Limiti e destinazione beni vincolati � Legittimit� � Imposizione esercizio attivit� economica � Illegittimit�. � Demanio � Beni storici ed artistici � Vincolo � Adozione ad evitare pregiudizi � Eccesso di potere per sviamento � Insussistenza. � legittimo il provvedimento di vincolo ex art. 2 legge 1� giugno 1939, n. 1089, di un luogo di incontri e scambi conviviali su problemi di cultura ed attualit� mantenuto sostanzialmente inalterato dall'inizio del secolo. (1) Il proprietario del bene accessorio non pu� far valere la insussistenza del nesso pertinenziale iure privato al fine di sottrarlo aUa dichiarazione (1-3) Tra le decisioni pi� significative in tema di beni storico-artistici cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 1978, n. 446, che ritiene applicabile la tutela di cui alla legge n. 1089/1939 ai terreni paludosi facenti parte del complesso monumentale costituito dalle foci del Timavo e dalla sovrastante montagna dell'Hermada; Sez. VI, 24 aprile 1978, n. 306, relativa alle mura estensi di Ferrara ritenute sottoposte a tutela ex art. 1 legge cit. e senza quindi necessit� di provvedimento di vincolo diretto. Circa la possibilit� di sottoporre a vincolo anche l'opera di un artista non avente una fama consolidata purch� riconosciuta significativa con riferimento PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 299 di interesse particolarmente importante, quando egli sia anche proprietario del bene principale. (2) Con i vincoli per la tutela di interesse storico ed artistico possono essere previsti limiti alla destinazione dei beni vincolati ma non si pu� imporre lo svolgimento di una determinata attivit� economica. (3) Il fatto che un provvedimento di tutela delle cose di interesse artistico sia stato adottato nell'imminenza di un evento che poteva pregiudicare la destinazione o la stessa esistenza non � indice certo di sviamento dell'attivit� amministrativa. (4) (omissis) 1. -Con il primo tnotivo di appello il ricorrente sostiene che il Tribunale abbia erroneamente interpretato il provvedimento, attribuendo all'Amministrazione l'intenzione di avvalersi del potere previsto dall'art. 5 legge 1� giugno 1939, n. 1089. La doglianza � infondata. Il Tribunale, sia pur con motivazione estremamente sintetica, ha richiamato, oltre gli artt. 1 e 7, anche l'art. 5 della legge n. 1089 del 1939, al fine di trarne argomento a sostegno dell'opinione secondo cui � possibile che i vincoli previsti da tale legge siano imposti su beni, i quali, indipendentemente da un loro intrinseco valore in qu~to isolatamente considerati, presentino un interesse culturale nel loro collegamento funzionale. Indipendentemente dalla qualificazione operata dal T.A.R., poi, si ricava sia dal dispositivo sia dalla motivazione del provvedimento che l'Amministrazione non ha inteso esercitare il potere di vincolare una � collezione � o una �serie di oggetti� ai sensi dell'art. 5 legge n. 1089 del 1939. Tale norma non �, infatti, richiamata nelle premesse. Inoltre il dispositivo si riferisce a un immobile e non a una universalit� di mobili. Sono, pertanto, infondate anche le censure, con le quali si deduce il difetto di pre alla storia dell'arte e della cultura in genere cfr. Sez. IV, 12 novembre 1974, n. 789. Sull'irrilevanza degli errori di citazione storica o di riferimento dell'opera ad un artista invece che ad un altro, purch� nella motivazione del provvedimento sia adeguatamente giustificato il giudizio sulle caratteristiche dell'immobile cfr. Sez. IV, 7 maggio 1974, n. 350. Si ricorda infine Sez. IV, 20 giugno 1972, n. 540, che ritenne manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale della legge 1089/1939 in relazione all'art. 42 Cost. (4) Sulla rilevanza del vincolo pertinentale cfr. Sez. IV, 23 giugno 1939, n. 355; 5 marzo 1943, n. 61; Sez. VI, 29 gennaio 1964, n. 61, citate in motivazione. La prima sentenza in particolare afferma decisamente il principio applicato nella decisione massimata laddove sottolinea che il vincolo imposto alla pertinenza annullerebbe completamente il diritto spettante al proprietatio della stessa attribuendo inoltre un indebito lucro al proprietario del bene principale, qualora non sussistesse identit� tra le due persone. 300 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO supposti per l'esercizio del potere ex art. 5 cit., nonch� l'illegittimit� del procedimento per difetto del parere del Consiglio superiore delle antichit� e belle arti. 2. -Col. secondo motivo di appell~ il ricorrente ripropone il primo motivo del gravame di primo grado, sostenendo l'indeterminatezza dello interesse pubblico ravvisato dall'Amministrazione, nonch� dell'oggetto e della portata del vincolo, e deducendo, altres�, incongruenza e perplessit� della motivazione e del dispositivo. In ordine all'interesse pubblico connesso al bene, la motivazione � chiara nel senso che l'immobile � stato riconosciuto di �interesse particolarmente importante� per il suo riferimento alla storia della letteratura, dell'arte e della cultura. Gli accenni al �carattere di tipica trattoria romana � agli � schizzi satirici e quadri di Mino Maccari, Renato Brozzi, Giulio Turcato, Achille Perilli, Toti Scialoja, Eliseo Mattiacci e altri� nonch� alla �,autentica insegna � e agli � sporti in legno dell'epoca � non sono intesi alla dimostrazione di un autonomo interesse artistico dei singoli beni descritti, ma costituiscono premesse della successiva affermazione sulla opportunit� di conservare un � luogo di incontri e scambi conviviali su problemi di cultura e attualit��, mantenuto �sostanzialmente inalterato dall'inizio del secolo �. L'esigenza di vincolare un �luogo di ritrovo e d'incontro di artisti, scrittori, giornalisti e uomini di cultura italiani e stranieri � � riconducibile senza dubbio al tipo di interessi presi in considerazione nell'art. 2 legge n. 1089 del 1939, n� pu� aver rilevanza il fatto che nel dispositivo del provvedimento siano citati congiuntamente i primi due articoli della legge. Sufficientemente determinato � anche l'oggetto del vincolo. Esso incide sull'immobile, cos� come descritto nelle premesse; pertanto concerne sia il locale che le pertinenze giudicate indispensabili per conservarne� le caratteristiche. Quanto alla portata del vincolo, essa si desume dalla legge, onde non costituisce vizio del provvedimento il fatto che non risulti espressamente ricordata. Non si ravvisa, infine, incongruenza e perplessit� della motivazione e del dispositivo. In quest'ultimo sono indicati come destinatari del provvedimento sia il proprietario dell'immobile sia il titolare della licenza di esercizio, onde risulta chiara la volont� di vincolare anche beni appartenenti a quest'ultimo (in quanto costituenti pertinenze dell'immobile), in accordo con le premesse del decreto. 3. -Col terzo motivo di appello si ripropone il secondo motivo del ricorso di primo grado, il quale � formulato, in via ipotetica, in relazione a diverse interpretazioni del provvedimento (come riferentesi al solo immobile oppure all'insieme dell'immobile e degli arredi). PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Poich� -come si � sopra dichiarato -il provvedimento va interpretato nel secondo senso, il motivo deve essere esaminato nella sola parte in cui il ricorrente deduce: a) la non configurabilit� di tali arredi come pertinenze, b) la loro insufficiente individuazione .. a) Per quanto concerne il primo profilo, il ricorrente riconosce che il vincolo di cui all'art. 2 legge n. 1089 del 1939 possa incidere, oltre che su immobili, sulle loro pertinenze, ma nega che tali possano considerarsi, alla stregua dei principi civilistici (art. 817 cod. civ.) le cose destinate dal conduttore a servizio od ornamento del locale. La doglianza � inammissibile per difetto d'interesse. Il nesso pertinenziale iure privato � stato talvolta preso in considerazione in giurisprudenza come presupposto di legittimit� del vincolo pertinenziale iure publico costituito con provvedimento amministrativo in applicazione della legge n. 1089 del 1939 o della previgente legge 30 giugno 1909, n. 364 (Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 1939, n. 355; id., 5 marzo 1943, n. 61; id., Sez. VI 29 gennaio 1964, n. 61, ma � stata anche affermata l'autonomia del vincolo pubblicistico (ex artt. 11 e 12 legge n. 1089) e la sua idoneit� a persistere indipendentemente dal rapporto privatistico (Cons. Stato, Sez. VI, n. 61 del 1964 cit.). La rilevanza del nesso pertinenziale iure privato � stata, quindi, riconosciuta non in ragione dell'idoneit� o meno della pertinenza a soddisfare l'interesse artistico o storico, bens� a tutela della posizione del proprietario del bene accessorio nei casi in cui la sua destinazione a servizio o ad ornamento di un altro bene non sia stata gi� impressa nei modi previsti dalle norme civilistiche o sia venuta a cessare prima dell'imposizione del vincolo pubblieistico. Esplicitamente in tal senso, con riferimento all'art. 13 della legge 20 giugno 1909, n. 364, e al codice civile del 1865, sono i rilievi svolti nella citata decisione della IV Sezione n. 355 del 1939, in cui si osserva: �Il divieto (conseguente all'imposizione del vincolo artistico) di rimuovere una cosa mobile per natura dal luogo ove essa si trova costituisce indubbiamente una grave limitazione del diritto di propriet�, ma non � tale da svuotare il diritto stesso di ogni contenuto allorch� la cosa sia posta al servizio di un immobile appartenente allo stesso proprietario. Ma se, invece, detto divieto potesse colpire cose mobili per natura collocate in un immobile di propriet� di terzi, il diritto spettante ai proprietari di tali cose mobili ne risulterebbe completamente annullato, rimanendo ad essi praticamente interdetto sia il goderne personalmente, sia di disporne unitamente allo immobile, mentre, d'altra parte, il proprietario dell'immobile ne trarrebbe un indebito lucro �, � da ritenere quindi, che soltanto il proprietario del bene accessorio possa far valere l'eventuale insussistenza di un nesso pertinenziale iure RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 302 privato al fine di sottrarre il proprio bene alla dichiarazione di interesse particolarmente importante ai sensi della legge n. 1089 del 1939. Il secondo profilo, in cui si articola la complessa doglianza, � infondato. I beni accessori rilevanti ai fini della conservazione delle caratteristiche proprie dell'immobile vincolato sono sufficientemente specificati, n� occorre che essi formino oggetto di un inventario dettagliato, che la legge non richiede neppure nel caso di vincolo imposto su collezioni. 4. -Anche il quarto motivo di appello, corrispondente al terzo motivo del ricorso di primo grado, � formulato in via ipotetica: il provvedimento sarebbe illegittimo, perch� imposto su opere di autori viventi o eseguite da meno di cinquant'anni, se il vincolo colpisse anche i � disegni, schizzi satirici e quadri�, mentre sarebbe contraddittorio e incongruo in caso contrario. Come si � prima osservato, anche le predette opere devono ritenersi soggette a vincolo, ma non per il loro pregio artistico, bens� come pertinenze dell'immobile. Non opera, quindi, il limite previsto dall'art. 1 ultimo comma legge n. 1089 del 1939. Priva di fondamento �, poi, la censura di contraddittoriet� e incongruit� del provvedimento, formulata nel presupposto che l'Amministrazione, dopo aver richiamato i disegni, gli schizzi e i quadri nella motivazione, non li avesse poi sottoposti a vincolo. 5. -Col quinto motivo di appello il ricorrente ripropone il quarto e il quinto motivo del gravame di primo grado. Premesso che la finalit� perseguita dall'Amministrazione appare essere non gi� la mera conservazione dell'immobile, bens� la prosecuzione di una determinata attivit� economica, il ricorrente sostiene l'estraneit� di tale interesse alla previsione della legge n. 1089 del 1939 e deduce violazione della legge stessa, del principio di legalit� dell'amministrazione, del principio di tipicit� dei provvedimenti e dei principi costituzionali di cui agli artt. 41 e 42 Cost. Deduce, inoltre, illogicit�, contraddittoriet� e incongruenza del provvedimento, giacch� esso non potrebbe garantire la finalit� predetta. Le censure sono infondate. Non � estranea al sistema dei vincoli per la tutela delle cose d'interesse storico o artistico la previsione di limiti alla loro destinazione (art. 11 cpv., e art. 12 legge n. 1089 del 1939, a norma dei quali �le cose medesime non possono essere adibite ad usi non compatibili con il loro carattere storico od artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione o integrit��). L'Amministrazione non ha invece, il potere di imporre lo svolgimento di una determinata attivit� economica, ma un simile vincolo non � stato costituito col provvedimento in esame, n� risulta che sia stato giudicato indispensabile dal Ministero, il quale si � limitato a dichiarare di interesse particolarmente importante l'immobile e le sue pertinenze. . . . . . . '1'_� '�����-�����--����--�.�.---.-.�.-.---.-.-.-.-.-.�.--.-.-.-.'.".�'.�'."'.�'.�'.".".�:�:�.�:-1:-:�.�.�.� ���.�.�.�.�.�.�.�.�.�-�.�.�.�.�.�-�.�.'.�.�.�.�.�.�.�.�-�.�.�.�.�/.�.�.':�.�.�!.�.�.��.�.--'.�.�� -� -------------------------.��.�.��.-�.. � PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA I divieti che da tale dichiarazione derivano non sono idonei a rendere obbligatoria la gestione della trattoria, ma ne pongono di fatto le premesse. Il provvedimento non �, quindi, in contrasto con la legge, n� risulta incongruo rispetto alla dichiarata finalit� di conservare un tradizionale luogo di ritrovo e d'incontro di artisti, scrittori e uomini di cultura. 6. -Col sesto motivo il ricorrente ripropone le censure di insufficienza, perplessit� e incoerenza della motivazione nonch� di travisamento dei presupposti. Anche queste doglianze, riferite a singole parti della motivazione, appaiono infondate. In particolare va osservato che: a) il rilievo che � l'insieme determina un'interessarrte pagina di storia e di costume e parte integrante del patrimonio collettivo della citt� � non deve essere letto isolatamente, ma costituisce la conclusione di una lunga esposizione, in relazione alla quale assume concretezza; b) la motivazione non risulta incongrua rispetto alla determinazione dell'oggetto del provvedimento; e) la frequentazione del locale da parte di artisti, scrittori, giornalisti e uomini di cultura non � considerata come fatto occasionale, riferibile anche ad altri locali, ma come caratteristica dell'immobile definito �luogo di ritrovo e d'incontro�; non costituisce, inoltre vizio del provvedimento la mancata individuazione di un puntuale fatto storico, essendo ci� richiesto soltanto quando il valore culturale di un bene sia desumibile dal suo riferimento a un evento determinato; d) l'affermazione che la trattoria abbia mantenuto sostanzialmente inalterato � dall'inizio del secolo il carattere di luogo d'incontro e di scambi conviviali su problemi d'attualit� e di cultura � � contrastata dal ricorrente sulla base di mere congetture senza che siano indicati precisi eleme:qti di prova in contrario; e) il riferimento al �costume� non pu� considerarsi apodittico e generico, alla luce degli altri elementi contenuti nella motivazione, n� pu� condividersi l'opinione -espressa dal ricorrente -che l'Amministrazione abbia inteso attribuire rilievo essenziale al carattere familiare della gestione non garantibile con l'imposizione del vincolo, giacch� al contrario risulta chiaro che ben altre sono le ragioni prese in considerazione; f) la circostanza che Carlo Cassola abbia assunto il locale quale � riferimento di ambientazione � di un brano del romanzo �Vita d'artista� non pu� considerarsi priv� di rilievo, giacch� nell'ambito della motivazione � ricordata a dimostrazione delle caratteristiche della trattoria, descritta nel romanzo stesso come � frequentata da letterati e artisti e da altri che vivevano nella loro orbita� e accomunata al vicino � caff� greco �; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 304 g) l'affermazione che il locale sia stato sede di � mostre di artisti contemporanei� non aveva, per le ragioni esposte sub e), necessit� di es� sere corroborata con l'indicazione di precisi riferimenti temporali; tale destinazione, sia pur ocasionale, del locale non pu�, poi, considerarsi irrilevante, giacch� ne � evidente il legame con le caratteristiche dell'ambiente e della clientela; h) la censura relativa alla valutazione delle opere disposte sulle pareti � inammissibile, in quanto si risolve in una critica generica ,all'apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione; i) la qualificazione del locale come � esempio di tipica trattoria romana � ha valore descrittivo, ma, come risulta �chiaro dall'insieme della motivazione, non individua ~l valore culturnle che si � inteso salvaguardare; non pu�, quindi, ritenersi contraddittorio il provvedimento per difetto del requisito della �tipicit��, che sarebbe -secondo l'opinione del ricorrente -escluso dalla circostanza che la trattoria risulta dall'adattamento (effettuato all'inizio del secolo) di una fiaschetteria. 7.. Col settimo motivo il ricorrente ripropone la censura di ec cesso di potere per carenza di motivazione in ordine alla diretta valuta zione delle caratteristiche del bene, nonch� per omissione di ispezioni o sopralluoghi ad opera di funzionari del Ministero o della Soprintendenza competente. Anche questa censura � priva di fondamento. La legge non dispone che all'imposizione dei vincoli si proceda sulla base di relazioni delle Soprintendenze competenti n� prescrive che gli ele� menti di valutazione siano acquisiti mediante ispezione diretta. Tali atti ed operazioni preparatori vengono in rilievo al fine di ricostruire l'iter logico seguito dall'Amministrazione nell'imporre il vincolo, allorch� esso non possa integralmente desumersi dalla motivazione del provvedimento. Nella specie, per�, la motivazione del decreto � assai ampia e contiene una descrizione dettagliata del locale e delle sue caratteristiche. Rispetto a tale descrizione si pu� discutere della rispondenza alla realt�, mentre resta irrilevante il modo in cui gli elementi siano stati acquisiti. 8. -Con l'ottavo motivo il ricorrente deduce sviamento, sotto tre profili: a) lo scopo di conservazione dei caratteri del locale non corrisponderebbe alle finalit� indicate dalla legge, che potrebbero essere corretta� mente riferite soltanto a testimonianze suscettibili di essere tramandate per un periodo indeterminato. b) da giornali e periodici si ricaverebbe che l'imposizione del vincolo mirerebbe a consentire la prosecuzione dell'esercizio attuale, con le caratteristiche legate alla persona degli odierni gestori. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA e) le finalit� reali del provvedimento si riceverebbero dalle dichiarazioni del Ministro allora in carica, il quale .nel corso di un'intervista aveva manifestato il proposito di impedire che il gestore della trattoria fosse sfrattato. Neppure l'ultima censura risulta fondata. Per quanto concerne il primo aspetto, � sufficiente richiamare quanto esposto nel paragrafo 2, in cui � stato osservato che il riferimento di un immobile alla storia della letteratura, dell'arte e della cultura costituisce, secondo la legge, ragione sufficiente perch� il bene riconosciuto di interesse particolarmente importante, sia sottoposto a vincolo. In ordine al secondo aspetto, occorre distinguere fra gli auspici di parte della stampa e la portata effettiva del provvedimento. Quest'ultimo tutela il bene in s�, con le sue pertinenze, ma non garantisce n� lo potrebbe -che l'attivit� di impresa continui a essere svolta dallo stesso soggetto. Infine, per quanto riguarda il terzo aspetto, va considerato che non di rado i provvedimenti in materia di tutela delle cose di interesse storico o artistico sono adottati nell'imminenza di eventi che ne possano pregiudicare l'aspetto, la destinazione .o la stessa esistenza. Tale circostanza per�, non costituisce di per s� indice di sviamento dell'attivit� amministrativa, che risulta comunque conforme alle finalit� poste dalla legge. N� l'occasionale coincidenza dell'interesse pubblico con un interesse privato (nella specie quello del gestore della trattoria, minacciato di sfratto) appare significativa, essendo tale rapporto riscontrabile in tutti gli interessi legittimi. 9. -L'appello va, pertanto, respinto. CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, sent. 22 ottobre 1983, n. 747 -Pres. Benvenuto -Est. Barberio Corsetti -Di Dario (avv. Carratelli) c. Ministero beni culturali ed ambientali (avv. Stato Tarin). Impiego pubblico -Trasferimento per incompatibilit� ambientale -Dissidio con altro dipendente � Valutazione sommaria ragioni contrapposte � Necessit�. Impiego pubblico � Trasferimento per incompatibilit� ambientale � Dissi� dio con altro dipendente � Specificazione influenza su andamento ufficio � Necessit� � Motivazione. � illegittimo il provvedimento di trasferimento di un pubblico dipendente per incompatibilit� ambientale disposto in relazione ad un dissidio 306 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO insorto con altro dipen�l.ente senza valutare con adeguata motivazione almeno il fumus delle ragioni contrapposte (1). E illegittimo il provvedimento di trasferimento di un pubblico dipendente per incompatibilit� ambientale disposto in relazione ad un dissidio con altro dipendente senza specificare se e quali effetti tale dissidio determini sull'andamento dell'ufficio (2). (1-2) Sarebbe invece legittimo il trasferimento che sia motivato con riferimento ad una relazione ispettiva nella quale risulti incontestabilmente la necessit� di tutelare il prestigio esterno dell'ufficio con l'allontanamento del dipendente (Sez. IV, 24 aprile 1979, n. 287); mentre � stato dichiarato illegittimo il trasferimento del direttore di una scuola di arte adottato senza alcuna indicazione neppure sommaria sulla natura degli inconvenienti e del comportamento che li avrebbe determinati (Sez. VI, 25 gennaio 1972, n. 27). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 22 ottobre 1983, n. 749 -Pres. Benvenuto -Est. Noccelli -Imperatori (avv. Fabrizio) c. Ministero Pubblica istruzione (avv. Stato Siconolfi). Istruzione e scuole -Diritto all'istruzione -Contenuto. Istruzione e scuole � Sanzione disciplinare -Allontanamento dalla scuola Limite al diritto all'istruzione -Interesse collettivit� -Legittimit�. Istruzione e scuole � Sanzione disciplinare -Allontanamento dalla scuola � Motivazione -Inadeguata valutazione fatti -Mancanza prova fatti pi� gravi. Poich� il diritto all'istruzione si realizza nella pretesa all'eliminazione degli ostacoli di ordine sociale ed economico alla libera esplicazione della personalit� nell'istituzione scolastica esso non impone allo Stato una prestazione specifica svin.�olata dal rispetto di altri obblighi volti ad assicurare il buon andamento della funzione didattica, la tutela della dignit� dei docenti e del diritto all'istruzione da parte degli altri discenti (1). La sanzione disciplinare dell'allontanamento dalla scuola fino al termine delle lezioni non viola il diritto all'istruzione, ma ne limita il con (1-2) Sul diritto all'istruzione cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 1981, n. 420, che precisa che l'art. 34 della Costituzione non pu� essere inteso quale garanzia di un'apertura indiscriminata della scuola, prescindente da detorminati requisiti, per cui mentre non � lecita una selezione che si fondi sulle ragioni che l'art. 3 Cost. enumera per escludere la differenza di trattamento, � consentito condizionare l'accesso agli studi a requisiti di et�, di idoneit� ed anche di condotta. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 307 tenuto subordinandolo, in caso di necessit�, all'interesse della collettivit� ad impedire i comportamenti devianti del singolo (2). La sanzione disciplinare dell'allontanamento dalla scuola fino al termine delle lezioni � provvedimento immotivamente troppo grave quando non siano state adeguatamente considerati i precedenti storici, il particolare ambiente ed il clima nei quali furono commesse le azioni addebitate e non sia stata raggiunta la prova certa di taluni dei fatti pi� gravi (3). (3) Sul potere disciplinare delle autorit� scolastiche cfr. la sent. sopra cit., la quale esclude l'assimilabilit� di esso a quello esercitato dei superiori gerarchici nei confronti del pubblico impiegato; nello stesso senso con riferimento alla sospensione cautelare Sez. Il, 14 luglio ,1978, n. 452/78, in Cons. Stato, 1980, 801. Si precisa che nella massima si � di proposito riportata la formula usata dal G.A., per censurare il provvedimento, ovverosia �immotivatamente troppo grave�, proprio per sottolineare l'intima contraddittoriet� della decisione che sembra aver invaso, con il pretesto della motivazione, proprio la discrezionalit� dell'Amministrazione, giungendo a ritenere troppo grave la sanzione irrogata allo studente invece di individuare dei precisi sintomi del lamentato e ritenuto eccesso di potere. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, n. 772 -Pres. Benvenuto -Est. Tanzi -Conservatorio di musica di Perugia ed altro (avv. Stato Nucaro) c. D'Ambrosio (avv. Schiavone). Impiego pubblico -Insegnante � Nomina con effetti giuridici retroattivi � Proscioglimento in sede penale � Retribuzione � Irretroattivit�. L'insegnante cui, a seguito del proscioglimento in sede penale, sia stata conferita la nomina con effetti giuridici retroattivi non ha diritto alla retribuzione per il periodo pregresso, non potendosi in tale ipotesi prescindere dal fondamentale principio per cui la corresponsione degli assegni ha come presupposto ineliminabile l'effettiva prestazione del servizio (1). (1) L'applicabilit� del principio della restitutio in integrum di cui all'art. 97 t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, � stata invece affermata in caso di estinzione del giudizio penale per morte dell'imputato, ritenendosi cos� di dover colmare la lacuna della disciplina in materia. Per l'irretroattivit� della nomina agli effetti economici cfr. da ult. Sez. VI, 24 settembre 1983, n. 684, in cui il ritardo nell'assunzione era dovuto alla necessit� di rinnovare la procedura a seguito di annullamento giurisdizionale di precedente provvedimento illegittimo e 2 aprile 1982, n. 184, per i candidati ad un pubblico impiego nominati con ritardo a seguito dell'accoglimento del gravame amministrativo. 308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, n. 786 -Pres. Caianello -Est. Vacirca -De Marchis (avv. Stella Richter) c. Regione Calabria (avv. Stato Ferri) e Soc. Serragiumenta Laterizi (avv. Nigro). Demanio -C�va -Prefissione di termine per Io sfruttamento al proprietario -Impugnabilit� -Errata conoscenza caratteristiche del minerale. Demanio -Cava -Prefissione di termine al proprietario per Io sfruttamento � Sottrazione disponibilit� cava al proprietario -Concessione a terzi anche a distanza di tempo. La conoscenza delle caratteristiche del minerale ha rilievo per la valutazione dell'interesse pubblico alla coltivazione della cava e per ponderare la preminenza di tale interesse rispetto agli altri connessi ad un diverso sfruttamento economico del bene, per cui la non corretta valutazione di tale interesse pu� essere fatta valere in sede di ricorso del proprietario del suolo contro il provvedimento che gli fissa un termine per intraprendere la coltivazione della cava. (1) Scaduto infruttuosamente il termine assegnato al proprietario del suolo per intraprendere la coltivazione della cava si determina la sottrazione della cava alla disponibilit� del medesimo consentendosi il' rilascio della concessione a terzi anche a distanza di lungo tempo. (2). (1-2) Sul termine assegnato al proprietario della cava per dare inizio allo sfruttamento cfr. Sez. VI, 8 settembre 1974, n. 355 e 6 giugno 1967, n. 369, nelle quali si sottolineano il carattere di diritto affievolito del diritto di propriet� ed i limiti ad esso imposti dalla rilevanza pubblica del bene che lo vincolano ad un esercizio che -svolga la funzione di interesse generale di sfruttamento, al fine di sottrarlo alla sfera di operativit� dell'art. 42 Cost. Peraltro sulla conformit� a tale norma costituzionale dell'art. 45 r.d. n. 1443/ 1927 cfr. Corte cost., 9 marzo 1967, n. 20, secondo la quale legittimamente la legge non dispone indennizzi quando segna limitazioni che attengono al regime di appartenenza o di godimento di certi beni in generale purch� le prescrizioni abbiano carattere obiettivo e siano rivolte alla generalit� dei soggetti i cui beni si trovano in situai:ioni rilevanti per di pubblico interesse. Sul carattere immediatamente lesivo della diffida con la quale l'Ammini strazione intima al proprietario di provvedere alla coltivazione del giacimento cfr. Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 342, e sulla sua autonoma impugnabilit�, Sez. VI, 22 ottobre 1982, n. 503. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 17 gennaio 1984, n. 6 -Pres. Benvenuto -Est. Vacirca -Ravelli (avv. Speranza e Romagnoli) c. Ministero beni culturali ed ambientali (avv. Stato Imponente). Demanio � Beni storici ed artistici � Esportazione in paesi della C.E.E. Acquisto da parte dello Stato -Prezzo pari al valore dichiarato � Illegittimit� � Proposta di prezzo da parte del Ministero -Necessit�. Quando venga richiesta una licenza di esportazione per paese appartenente alla Comunit� Economica Europea di beni di notevole interesse storico ed artistico � illegittimo il provvedimento di acquisizione per un PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 309 corrispettivo pari al valore denunciato, dovendo la facolt� di acquisto esercitarsi nella forma di proposta del prezza da parte del Ministro (1). (omissis) 1. -Deve, preliminarmente, verificarsi la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle controversie sull'esercizio della facolt� di acquisto da parte dello Stato di cose di interesse storico o artistico. Va, al riguardo, considerato che l'art. 39 legge 1� giugno 1939, n. 1089, prevede un potere di ablazione, sia pur esercitabile in occasione della esportazione del bene (conf. Cass., 23 gennajo 1953, n. 204; Cass., 30 luglio 1982, n. 4364; Cass., 26 giugno 1956, n. 2291; Cons. Stato, Sez. VI, 28 giugno 1960, n. 469; Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 1980, n. 894, onde � configurabile un interesse legittimo al corretto esercizio di tale potere. Pertanto � ammissibile il ricorso in esame, proposto per l'annullamento del decreto col quale il Ministro per i beni culturali e ambientali ha esercitato il potere di acquisto. N� rileva l'impropria qualificazione data dal ricorrente al primo dei vizi dedotti. Egli, infatti, non lamenta nella sostanza una �carenza di potere� dell'Amministrazione, ma sostiene che essa abbia esercitato in modo illegittimo la c.d. facolt� di acquisto, seguendo per un'esportazione diretta verso un Paese della Comunit� economica europea il procedimento previsto per le esportazioni verso Paesi terzi. 2. --col primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 4 d.l. 5 luglio 1972, n. 288, in quanto l'Amministrazione ha seguito il procedimento previsto dall'art. 39 primo comma della legge n. 1089 del 1939 (acquisto per il valore dichiarato) nonostante che fosse richiesta una licenza di esportazione per un Paese appartenente alla Comunit� economica europea. Va, preliminarmente, chiarito che l'Amministrazione non ha avanzato una propria proposta n� a tale adempimento pu� equipararsi -cos� (1) La sentenza costituisce una delle prime interpretazioni da parte del ConsigHo di Stato del d.l. n. 288/1972 conv. in legge n. 487/1972 emanato a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� europee 10 dicembre 1968, n. 7 /68 che aveva dichiarato incompatibile con l'art. 16 del Trattato C.E.E. il tributo previsto dall'art. legge n. 1089/1939 per l'esportazione di beni d'interesse storico ed artistico in paesi della Comunit�. La decisione � molto interessante anche per la soluzione che d� all'apparente conflitto tra il decreto e la legge di conversione ricorrendo all'esame, per una volta tanto significativo, dei lavori preparatori; tale soluzione � difforme da quelle sino ad oggi sperimentata dai T.A.R. nelle decisioni citate in motivazione e sarebbe anche difforme da una sentenza della cassazione che per� � richiamata con data e numero errati che ne rendono impossibile il reperimento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 310 come sostiene l'Avvocatura dello Stato -la dichiarazione di voler acquistare per il valore dichiarato, giacch�, comunque, in difetto di un'accettazione da parte dell'esportatore, il procedimento avrebbe dovuto proseguire con la determinazione del corrispettivo ad opera di una Commissione, secondo le moda1it� di cui all'art. 37 della legge n. 1089 del 1939, mentre � sicuro che l'Amministrazione ha inteso esercitare il potere di acquistare per il valore dichiarato. 3. -Ci� posto, occorre stabilire se anche per le esportazioni verso Paesi della Comunit� si applichi l'art. 39 primo comma della legge n. 1089 del 1939 (nel testo introdotto dal d.l. n. 288 del 1972, convertito nella legge n. 487 del 1972), il quale cos� recita: �Entro il termine di novanta giorni dalla denuncia, il Ministro per la pubblica istruzione (ora: �per i beni culturali e ambientali�) ha {acolt� di acquistare, per il valore dichiarato nella denuncia stessa, le cose che presentino interesse per il patrimonio tutelato dalla presente legge�. La risposta negativa al quesito discende pienamente dai successivi due commi dell'art. 39 (anch'essi introdotti dal d.I. n. 288 del 1972): �Ai fini dell'esercizio della facolt� di cui al precedente comma, nei confronti dei beni per i quali viene richiesta licenza di esportazione verso i Paesi appartenenti alla Comunit� europea, il prezzo di acquisto � proposto dal Ministero stesso. Ove l'esportatore ritenga di non accettare il prezzo offerto dal Mi nistro e non rinunzi all'esportazione, il prezzo stesso sar� stabilito se condo le modalit� di cui all'art. 37 �. Tuttavia in giurispn1denza si sono formati due orientamenti, entrambi contrari all'interpretazione letterale, i quali traggono argomento dal fatto che nella legge di conversione 8 agosto 1972, n. 487, fu ripristinato, anche per le esportazioni dirette verso Paesi della Comunit�, l'obbligo per l'esportatore di dichiarare il valore venale delle cose da esportare, obbli go che era stato espressamente escluso dall'art. 3 secondo comma, d.I. 5 luglio 1972, n. 288. Secondo il primo di detti orientamenti (seguito, oltre che nella sen tenza impugnata dal TAR Piemonte, anche dal TAR Lazio, Sez. Il, 18 aprile 1979, n. 2460, in TAR, 1979, I, 1500), vi sarebbe un'antinomia fra la previ sione di un obbligo di dichiarare il valore (introdotta dalla legge di con versione, a modifica dell'art. 3 secondo comma, del decreto-legge) e il particolare procedimento disciplinato dall'art. 4 dello stesso decreto-legge per l'esercizio della facolt� di acquisto di beni diretti verso Paesi della Comunit�. Pertanto le norme, che questo procedimento prevedono, sareb bero inapplicabili e prevarrebbe il principio generale, secondo cui l'ac quisto pu� essere effettuato per il valore denunciato. Secondo l'altro orientamento (TAR Toscana, 30 aprile 1980, n. 208; Cass., 30 luglio 1982, n. 4362, in TAR, 1980, I, 2579) coesisterebbero due diversi procedimenti: il Ministro potrebbe acquistare per il valore dichia ........... ,, t::"' f1:: !'.� I:' PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA rato oppure, quando questo risultasse eccessivo in difetto di una controspinta fiscale (essendo esenti da imposta le esportazioni nell'ambito della Comunit�), potrebbe proporre un prezzo inferiore (al valore dichiarato). 4. -La Sezione ritiene di non poter condividere n� l'una n� l'altra opinione. Per quanto concerne la prima, � decisivo il rilievo che l'abrogazione implicita presuppone un rapporto di incompatibilit� fra � nuove � disposizioni e norme precedenti (art. 15, disp. prel. cod. civ.). Non �, pertanto, agevole ammettere che alcune disposizioni di un decreto-legge siano abrogate implicitamente con lo stesso atto normativo che le converte in legge, giacch� ci� presupporrebbe, rispetto alla stessa norma, due intenzioni contemporanee e contrarie del legislatore (�n� pentere e volere insieme puossi �). Neppure la seconda opinione appare pienamente convincente. Essa s'imbatte in due ostacoli: in primo luogo la lettera dell'art. 4 dl. n. 288 del 1972 non consente di intendere il procedimento imperniato sulla proposta del Ministro come facoltativo, essendo chiaro che esso sostituisce integralmente il procedimento generale nel caso di esportazioni nell'ambito comunitario; in secondo luogo, non � -dimostrata a sufficienza la proposizione su cui entrambi gli orientamenti esposti sono basati: doversi ritenere inutiliter data la norma ripristinatoria dell'obbligo di indicare il valore anche per le esportazioni nell'area comunitaria, in difetto di una sua rilevanza a fini fiscali o ai fini del potere di prelazione. In realt� nel sistema originario disciplinato dalla legge n. 1089 del 1939, la dichiarazione di valore ha tre funzioni distinte, la prima delle quali risulta dalla lettura dell'art. 36, che, dopo aver stabilito la necessit� di una licenza per esportare cose di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, prescrive: �A tale scopo (l'esportatore) deve fare denunzia e presentare all'ufficio. di esportazione le cose che intende esportare, dichiarando per ciascuna di esse il valore venale �. Altre norme prevedono un tributo progressivo sul valore determinato dal Ministro e, in caso di non accettazione da parte dell'esportatore, da un'apposita commissione arbitrale (art. 37), nonch� il potere del Ministro di acquistare per un corrispettivo pari al valore dichiarato (art. 39). Nel sistema della legge n. 1089 del 1939, dunque, la dichiarazione di valore ha la funzione di fornire elementi all'Amministrazione ai fini dell'esercizio del potere di autorizzazione, nonch� ai fini dell'imposizione fiscale eai fini dell'eventuale prelazione. Tale sistema, rimasto nelle sue linee generali invariato per quanto riguarda le esportazioni dirette verso Paesi non appartenenti alla Comunit� economica europea, � congegnato in modo da garantire una denuncia fedele, giacch� la dichiarazione di un valore inferiore a quello reale esporrebbe l'esportatore al rischio di perdere il bene per un prezzo irrisorio, mentre la dichiarazione di un valore superiore gli evite;rebbe questo rischio, ma comporterebbe un notevole aggravio fiscale. RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO Il venir meno di uno dei contrappesi o di entrambi pu� rendere difettoso il congegno di garanzia, ma non rende in s� inutile la dichiarazione di valore, la quale conserva sempre la funzione di fornire elementi affinch� l'Amministrazione valuti se rilasciare o negare la licenza. Costituisce mater~a di scelta politica stabilire se, in difetto di un'imposizione fiscale e di un potere di acquisizione in base al valore dichiarato, sia opportuno mantenere l'obbligo di rendere, all'atto della presentazione della domanda di licenza, una dichiarazione di cui non � garantita l'attendibilit�. E proprio su questa scelta si � manifestata convergenza fra il testo governativo e la legge di conversione. Non �, per�, possibile affermare l'assoluta inutilit� di tale dichiarazione di valore e trarre argomento da questa affermazione per costruire una disciplina diversa da quella risultante dalle norme. 5. -Le ,considerazioni svolte trovano puntuale conferma nei lavori preparatori. Il decreto-legge n. 288 del 1972 fu emanato in seguito ad una sentenza della Corte di giustizia delle Comunit� europee (10 dicembre 1968, n. 7/68), che aveva dichiarato incompatibile con l'art. 16 del trattato CEE il tributo previsto dall'art. 37 cit. Il testo elaborato dal Governo prevedeva, per le esportazioni nell'ambito della Comunit�, non solo l'esenzione dal tributo (art. 3, primo comma, d.1.), ma anche la soppressione dell'obbligo di dichiarare il valore all'atto della domanda di licenza (art. 3, secondo comma, d.l.) e la previsione di uno specifico procedimento per l'acquisto da parte dello Stato (art. 4, secondo e terzo comma). Nel corso della discussione sulla legge di conversione (seduta del 26 luglio 1972) fu presentato dal sen. Branca un emendamento all'art. 3 del seguente tenore: " Al secondo comma, sostituire le parole " non � tenuto a dichiarare " con le altre: " � tenuto tuttavia ai fini dell'applicazione dell'art. 4 del presente decreto a dichiarare"� (Atti parl. Senato, VI legislatura, p. 920). L'emendamento, come risulta dall'illustrazione dello stesso sen. Branca, era inteso a far s� che, anche nel caso di esportazione nell'ambito della Comunit�, lo Stato potesse acquistare il bene per un corrispettivo corrispondente al valore denunciato e quindi evitarne l'espatrio (Atti parl. Sen., cit., p. 922). Il relatore sen. Limoni cos� replic�: � A me sembra, collega Br~nca, che non valga la pena di asserire in questo articoli l'obbligo da parte dell'esportatore di dkhiarare il, valore della cosa esportata quando poi all'art. 4 si dice che, proprio agli effetti dell'acquisto da parte dello Stato italiano dei beni che si intendono esportare da parte dei mercanti di cose d'arte, il prezzo � stabilito dal Ministro della pubblica istruzione e non dall'esportatore. ,, l~= li: r ~== fil ti ~:; PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA � Per questo motivo era stato soppresso quest'obbligo per l'esportatore all'articolo 3. � Tuttavia le confessQ che non avrei esitazioni a mantenere anche quest'obbligo come termine di confronto, purch� rimanga in piedi l'art. 4 �. (Atti parl. Sen., cit., p. 925). La proposta del sen. Limoni si concret� nel seguente emendamento: �Sostituire il secondo comma dell'articolo con il seguente: "Anche nei casi previsti dal precedente comma restano ferme le al~re disposizioni relative alla licenza di esportazione, compreso l'obbligo per l'esportatore di dichiarare il valore venale delle cose che intende esportare " �. Quest'ultimo emendamento fu approvato, con l'adesione del rappresentante del Governo e dello stesso sen. Branca, che ritir� il proprio (Atti parl. Sen., p. 927). Risulta, quindi, dai lavori preparatori che il mantenimento, per le esportazioni nell'area comunitaria, del procedimento di acquisto imperniato sull'offerta del Ministro, cos� come era previsto nell'art. 4 del decreto- legge, non � conseguenza di un difetto di coordinamento; �, poi, significativo che con l'emendamento (approvato) all'art. 3, secondo comma del decreto-legge si sia inteso soltanto fornire all'Amministrazione un � termine di confronto�, ossia un elemento da valutare nell'esercizio dei suoi poteri. 6. -Deve, pertanto, concludersi che, per le esportazioni nell'ambito comunitario, sia illegittimo il provvedimento di acquisizione per un corrispettivo corrispondente al valore denunciato, dato che, ai sensi dell'art. 39, secondo e terzo comma della legge n. 1089 del 1939 (nel testo introdotto dall'art. 4 d.l. n. 288 del 1972), la facolt� di acquisto si esercita in tali casi mediante proposta del prezzo da parte del Ministro. Il primo motivo �, quindi, fondato e, in riforma della sentenza impugnata, deve annullarsi il decreto ministeriale del 4 marzo 1975. Resta assorbita l'altra censura. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 23 -Pres. Daniele -'Est. Adobbati -Ente autonomo Teatro Comunale di Firenze (avv. Stato Cerocchi) c. Cappari (avv. Gianni e Ragazzini). Impiego pubblico -Enti lirici � Legge speciale -Regolamento organico � Contratto collettivo � Deroga a legge su contratto a termine. Impiego pubblico -Enti lirici -Contratto collettivo -Limitazioni al � favor � per contratto a tempo indeterminato � Necessit� particolari enti lirici. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 314 Impiego pubblico . Enti lirici . Contratto collettivo � Rinnovazioni contratti a termine � Trasformazioni in rapporto a tempo indeterminato � Limitazioni a computabilit� della rinnovazione � >Sostituzione artista assente� Avvertimento scritto della sostituzione. Il complesso � legge di ristrutturaz.fone degU enti lidci -regolamento organico -contrattazione collettiva � costituisce uno speciale ordinamento settoriale per gli enti lirici che regola il rapporto di lavoro dei relativi dipendenti in modo particolare ed esclude l'applicazione della legislazione comune in materia di contratto di lavoro a tempo determinato. (1) La normativa collettiva per i dipendenti degli enti lirici contiene un correttivo del principio legislativo del favor per l'indeterminatezza temporale delle relazioni lavorative in relazione alla particolare necessit� dell'Amministrazione operistica di dare una struttura pi� o meno ampia al complesso corale secondo le caratteristiche degli spettacoli. (2) Nelle tre rinnovazioni che consentono la trasformazione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato per i dipendenti degli enti lirici secondo la relativa normativa collettiva non � computabile l'assunzione dell'artista in sostituzione d'altro assente, quando esso venga avvertito per iscritto della precariet� dell'assunzione anche se non gli venga precisato il nome dell'artista sostituito. (3) (omissis) Contro 1a decisione del T.A.R. della Toscana, con la quale si � dichiarato sussistente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dal 1� settembre 1970, tra la ricorrente sig.ra Cappai e l'Ente autonomo Teatro comunale di Firenze, l'Ente appellante -premesso che la Cappai, contrariamente a quanto affermato nel suo ricorso e ritenuto anche dal T.A.R., aveva preso parte esclusivamente alla prepa (1) Sulla inapplicabilit� della legge 18 aprile 1962, n. 230, al pubblico impiego quando sussista una specifica disciplina contraria anche se contenuta nel regolamento organico dell'Ente (nella specie l'lnps) ,si era gi� espresso il Consiglio di Stato con la sentenza 29 marzo 1983, n. 164 (VI) in Cons. Stato, 1983, I, 333. (2-3) Nulla in termini sulle limitazioni del principio del favor per il lavoro a tempo indeterminato. Sulla impugnazione del termine apposto al rapporto di lavoro la giurisprudenza a partire da Ad. Plen., 21 giugno 1968, n. 15 fino a Sez. VI, 30 ottobre 1979, n. 758 (in Cons. Stato, 1968, I, 766 e 1979, I, 1491) ha sempre ritenuto che debba essere tempestivamente impugnato il provvedimento di nomina che contenga l'apposizione di un termine illegittimo sicch� l'impugnazione � inammissibile dopo la scadenza del rapporto quando sia trascorso il tempo utile. Da ultimo per� la Sez. VI, con l'ordinanza 13 giugno 1980, n. 688 (ivi, 1980, 1039) ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione segna1ando che il soggetto assunto con rapporti a tempo determinato non ha interesse ad impugnare i provvedimenti di assunzione che periodicamente rinnovano il rapporto concretandosi tale interesse solo al momento in cui l'Amministrazione non rinnova pi� il rapporto alla scadenza. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA razione ed esecuzione di determinati spettacoli e non di tutti quelli in cui era stato impegnato il complesso corale, con rilevanti intervalli tra l'una e l'altra prestazione -ha articolato i seguenti motivi di gravame: 1) inammissibilit� del ricorso introduttivo, per la mancata impugnazione del termine di durata del rapporto apposto nel provvedimento di nomina del 3 marzo 1974, per effetto del quale si sarebbe determinata -secondo il T.A.R. -la trasformazione del rapporto; 2) violazione dell'art. 25 della legge 14 agosto l967, n. 800, in riferimento agli artt. 3 e 8 del Contratto collettivo nazionale di lavoro per gli artisti del coro dipendenti dagli Enti lirici, perch� -non essendo computabile, agli effetti della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'art. 3, il primo contratto (di assunzione in sostituzione di artista assente) le scritture computabili, in base agli anni solari, sarebbero state solo tre (1972, 1973 e 1974) e quindi soltanto due le rinnovazioni e non tre, come affermato dal T.A.R. con arbitraria interpretazione restrittiva dell'art. 8 del c.c.1.; 3) travisamento dei fatti e violazione delle dette norme, avendo il T.A.R.: erroneamente ritenuto che la Cappai avesse partecipato a tutte le attivit� svolte dal coro negli anni in questione; erroneamente omesso di precisare che trattasi, se mai, di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato con sosta stagionale, come stabilisce il detto art. 3; erroneamente fatta decorrere la trasformazione dal 1�. settembre 1970 invece che dalla ritenuta terza rinnovazione (20 marzo del 1974). Ritiene il Collegio che pu� prescindersi dall'esame delle questioni sollevate con il primo motivo, essendo fondato ed assorbente il secondo motivo di appello. Con provvedimento 1� settembre 1970 la sig.ra Cappai venne assunta, come artista del coro, per il periodo 1� settembre 1970-31 gennaio 1971 nei termini di cui all'art. 1 lett. b) della legge 18 aprile 1962, n. 230, in relazione alla necessit� di procedere alla sostituzione di una artista del coro assente dal servizio per gravidanza; con successivi provvedimenti la medesima venne assunta a contratto per periodi determinati ai sensi dell'art. 28 del Regolamento dei servizi (1� marzo, 4 giugno, 11 giugno del 1972, 30 giugno, 16 luglio-22 agosto, 4 settembre del 1972, 23 settembre 1972; 2 gennaio 1973; 25 gennaio, 23 giugno, 29 luglio del 1973; 23 ottobre, 2 dicembre, 27 dicembre del 1973; 20 marzo, 19 maggio, 25 giugno del 1974). Correttamente H T.A.R. ha ritenuto applicabile non Ia L. 18 aprile 1962, n. 230, ma il Contratto collettivo nazionale di lavoro per gli artisti del coro dipendenti dagli Enti lirici e sinfonici, che, in forza dell'esplicito richiamo contenuto nell'art. 25 della legge 14 agosto 1967, n. 800, concorre direttamente -senza necessit� di alcun atto di recepimento da parte del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'Ente -a disciplinare il rapporto. di impiego dei detti dipendenti degli Enti lirici. Infatti il complesso � legge di ristrutturazione-regolamento organicocontrattazione collettiva� d� vita ad uno speciale ordinamento settoriale degli Enti lirici, la cui normativa, avendo valore speciale e regolando completamente ed in maniera contrastante con la legge generale la materi� in questione, esclude, in conformit� alla linea interpretativa seguita dalla giurisprudenza amministrativa, quanto meno per i rapporti con i coristi, l'applicazione della legge n. 230. Ma erroneamente il T.A.R. ha interpretato gli articoli 3 e 8 del detto Contratto. L'art. 3 conferma alcune delle forme di assunzione previste dal Regolamento, tra cui quelle a tempo determinato o stagionale (art. 28 Reg.), e, tra l'altro, nell'ultimo comma, dispone che, dopo la terza rinnovazione successiva (ed, ovviamente, consecutiva), il rapporto di lavoro a tempo determinato si trasforma automaticamente in rapporto di lavoro a tempo indeterminato con sosta stagionale ma con due precisazioni inserite nel chiarimento a verbale: 1) la trasformazione � consentita solo per ripetuti contratti con durata non inferiore alla stagione; 2) nel caso in cui un Ente effettui pi� stagioni liriche o sinfoniche nel corso di un anno solare, le stesse saranno considerate, agli effetti della predetta conversione, come una unica stagione. Inoltre, l'articolo 8 considera separatamente l'ipotesi di assunzione dell'artista del coro in sostituzione di altro assente, stabilisce che egli dovr� essere avvertito per iscritto all'atto della assunzione della provvisoriet� della prestazione (destinata a cessare quando l'artista sostituito riprende servizio) ed, al secondo comma, precisa: � In tal caso non trover� applicazione la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 3 del presente contratto �, e cio� che questa ipotesi di assunzione non � computabile tra quelle utili agli effetti della conversione. La normativa collettiva appare ispirata, dunque, ad un evidente intento correttivo del principio legislativo del favor per l'indeterminatezza temporale delle relazioni lavorative; e ci� perch� l'utilizzazione dei contratti a termine o stagionali costituisce una facolt� legittima, come tale prevista e disciplinata dal Regolamento dei servizi e del perso�ale (artt. 26 e 28), da parte dell'Amministrazione operistica, in relazione alle particolari necessit� della stessa, quale � quella di dare una struttura pi� o meno ampia al complesso corale secondo le caratteristiche degli spettacoli (o dei gruppi di spettacoli) da rappresentare. Orbene, il T.A.R. ha considerato terza rinnovazione il contratto relativo al periodo 20 marzo -25 giugno 1974 (che, tra l'altro, aveva durata inferiore alla stagione, nel senso di cui al chiarimento a verbale); se PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA conda e prima rinnovazione le assunzioni relative agli anni solari 1973 e 1972; ed ha poi incluso, nel coacervo delle quattro assunzioni stagionali consecutive necessarie per la conversione del rapporto, anche quella relativa al periodo 1� settembre 1970-31 gennaio 1971, anteriore di tredici messi alla successiva, pur dando atto che la relativa prestazione era stata effettuata dalla Cappai in sostituzione di altro artista. Tale inclusione � stata giustificata con l'assunto che il secondo comma dell'art. 8 del c.n.l. escluderebbe la computabilit� dell'assunzione in sostituzione solo quando questa si inserisca tra le � rinnovazioni � e non anche quando costituisca il � primo rapporto � a termine, cui seguano le rinnovazioni. Ma tale interpretazione restrittiva urta contro la lettera e contro la ratio della detta disposizione, come si � innanzi accennato. Nella memoria de11'8 maggio 1982 la difesa dell'appellata ha dedotto che la prima assunzione va inclusa tra quelle compqtabili ai fini della conversione anche perch� il provvedimento del 1� settembre 1970 non rivestirebbe i requisiti tali da concretare l'ipotesi dell'assunzione in sostituzione, in quanto la stessa sarebbe stata effettuata per un periodo determinato e non in via precaria, sino alla ripresa di servizio dell'artista sostituita, e senza indicazione nominativa della corista sostituita; ed inoltre perch� mancherebbe la prova della correlazione tra l'assunzione a termine e l'assenza. Ma tali argomenti, oltre ad ampliare irritualmente l'ambito del giudizio di appello, sono anche essi infondati. La norma che qui interessa prescrive solo che l'artista assunto in sostituzione deve essere avvertito per iscritto all'atto dell'assunzione della provvisoriet� della prestazione e ci� � stato fatto (�assunzione effettuata nei termini di cui all'art. l, lett. b) della legge 18 aprile 1962, n. 230, in relazione alla necessit� di provvedere alla sostituzione di una artista del coro assente dal servizio per gravidanza�); la indicazione nominativa del lavoratore sostituito non � richiesta dalla normativa speciale; dagli atti emerge che la sig.ra Cappai fu assunta in sostituzione della sig.ra Kemperle, in base a nota 3 agosto 1970 dell'Istituto assistenziale, nella quale risulta indicata, come presumibile per il parto, la data del .30 settembre 1970, ci� che rendeva prevedibile il rientro in servizio della predetta per la fine di dicembre 1970 (tre mesi dopo la nascita del neonato): con la conseguenza che la sua sostituzione doveva essere protratta sino al termine della stagione lirica (31 gennaio 1971), perch�, non partecipando alla preparazione delle opere, la stessa non sarebbe stata in grado di partecipare alle manifestazioni. Le assunzioni compatibili agli effetti della conversione del rapporto sono, pertanto, tutt'al pi� tre e quindi solo due sono le rinnovazioni; mentre l'ultimo comma dell'art. 3 consente la trasfomazione automatica � dopo la terza rinnovazione ... �. ~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'appello va, per conseguenza, accolto e la sentenza impugnata va f.: i: totalmente riformata: Sussistono motivi di equit� per \a compensazione delle spes~ del doppio grado. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 26 -Pres. Benvenuto, Est. Noccelli -Ministero dei Beni culturali ed ambientali (avv. Stato Tamiozzo) c. Spinosa (avv. Liuzzo e Cardarelli) e Pontificio Collegio Irlandese (avv. Stella Richter). Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo -Trascrizione -Carattere costitutivo per i terzi non per il proprietario. Demanio -Beni storici .ed artistici -Vincolo non trascritto -Efficacia nei confronti degli� aventi causa dal proprietario notificato -Impedimento alla realizzazione degli effetti del negozio privatistco. Demanio -� Beni storici ed artistici -Vincolo -Notifica -Opere di rinnovazione dopo-nuova legge su tutela cose interesse artistico -Insussistenza per mancanza regolamento. Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo -Notifica -Negozio traslativo -Onere denuncia -Irrilevanza conoscenza di fatto dell'Amministrazione -Permanenza -Potere prelazione per mancata denuncia. Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo � indiretto � -Motivazione Necessit� -Contenuto. Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo indiretto -Difetto di motivazione -Rilevabilit� in sede di impugnazione del provvedimento di prelazione. La trascrizione del decreto di vincolo sui beni di notevole interesse storico ed artistico nei registri immobiliari non ha effetto costitutivo nei confronti del proprietario cui il provvedimento sia stato direttamente notificato. (1) Il decreto di vincolo sui beni di notevole interesse storico ed artistico notificato all'originario proprietario, anche se non � stato trascritto nei registri immobiliari, ha efficacia nei confronti dei suoi aventi causa i quali non sono terzi rispetto a fattispecie complesse in cui non assu (1-2) La sentenza riportata determina un notevole revirement nella giurisprudenza del Consiglio di Stato nonostante il tentativo operato nella motivazione di occultare il carattere di novit� rispetto alle precedenti decisioni pur richiamate. Infatti mentre l'Adunanza Plenaria con la sentenza 9 lugldo 11%8, n. 21 (in Cons. Stato, 1%8, I, 1.149) aveva stabilito che l'efficacia nei confronti dei terzi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 319 mono rilevanza giuridica comportamenti colpevoli, ma il particolare profilo pubblicistico inerente alla natura del bene diviene elemento ido neo ad impedire che si realizzino gli effetti propri del negozio privati stico. (2) L'originaria notifica del decreto di vincolo sui beni di notevole interesse storico ed artistico non deve essere rinnovata ai sensi della nuova legge sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico; in quanto il regolamento che doveva prevedere il termine per tale adempimento non � mai stato emanato. (3) Una volta notificato il decreto di vincolo sui beni di notevole inte resse storico ed artistico se il proprietario alienante non effettua la rituale denuncia degli atti traslativi relativi a tale bene il Ministero conserva il potere di esercitare il diritto di prelazione, anche se abbia avuto conoscenza di fatto del negozio stesso. (4) Non soltanto il vincolo �diretto� sui beni di notevole interesse storico ed artistico, ma anche quello � indiretto � deve essere adeguatamente motivato sia per giustificare l'ampiezza della fascia di rispetto sia per valutare quei particolari interessi secondari che consentono l'ulteriore compressione del diritto del privato. (5) Il difetto di motivazione del vincolo � indiretto � sui beni di notevole interesse storico ed artistico pu� essere eccepito dall'acquirente dell'immobile che impugni il provvedimento con il quale � stato esercitato il diritto di prelazione� anche se non sia stato fatto valere dall'originario proprietario nei confronti del provvedimento di vincolo. (6) (omissis) L'appello dell'Avvocatura dello Stato, ancorch� vi si espongano considerazioni in parte da rettificare e in parte da integrare, � nella sostanza fondato e va quindi accolto. Il tema centrale della controversia si articola nei seguenti punti: 1) se vi sia stata mai una valida costituzione di vincolo archeologico- storico sugli immobili, attualmente di propriet� del Pontificio Collegio Irlandese, nei cui confronti il Ministero per i beni culturali e am dal vincolo non � condizionata alla trascrizione nel vigore della legge 11 giugno 1922, n. 778, aveva nel contempo lasciato intendere che la situazione era mutata a seguito dell'entrata in vigore della legge 29 giugno 1939, n. 1497. Successivamente la VI Sez. nella sentenza 24 aprile 1981, n. 151 (ivi, 1981, I, 439) aveva dichiarato l'inefficacia del vincolo nei confronti dei terzi perch� non trascritto ex lege 1497/1939. Proprio su ta1i presupposti la linea difensiva dell'appellante si muoveva sulla strada dell'originaria efficacia dei decreti di vincolo ex lege 778/1922 non venuta meno con la successiva legge n. 1497/1939. La sentenza massimata invece, senza dare peraltro particolare rilievo ai precedenti contrari, ha chiaramente stabilito che la mancanza di trascrizione anche sotto la nuova legge non esclude la possibilit� per l'Amministrazione di esercitare il diritto di prelazione in relazione non solo del primo negozio traslativo ma anche dei successivi in quanto l'acquirente dell'immobile su cui RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 320 bientali ha inteso esercitare il diritto di prelazione (ai sensi dell'art. 31 della legge 1� giugno 1939, n. 1089), con il provvedimento qui impugnato; 2) se la prelazione sia stata validamente esercitata, tenendo conto: a) della mancata trascrizione dei primi provvedimenti impositivi del vincolo; b) dei vizi di notifica dei detti decreti agli originari propretari; e) della tardiva dichiarazione di esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero; d) del lungo tempo trascorso tra l'imposizione del vincolo e la dichiarazione di esercizio della prelazione; e) dei mutamenti di fatto intervenuti nella consistenza dei beni vincolati durante tale lasso di tempo. 1. -La tesi del Tribunale, contro cui si appuntano le censure dedotte con il secondo motivo di appello, � che la trascrizione prevista dall'art. 2, secondo comma, della legge n. 1089 del 1939, abbia valore costitutivo del vincolo nei confronti dei terzi proprietari e possessori del bene, e che tale sistema di pubblicit�, imposto gi� dalla legge 11 maggio 1922, n. 788, dovesse essere dall'Amministrazione rispettato in riferimento ai due originari decreti di vincolo, notificati al primo proprietario (sig. Michele Di Vasto) rispettivamente il 14 gennaio 1926 e il 14 dicembre 1927. La dichiarazione del �notevole interesse�, perci�, non sarebbe opponibile n� al Pontificio Collegio Irlandese, che aveva acquistato gli immobili �lel Di Vasto nel 1930, n� tanto meno ai successivi aventi causa del Collegio cui i beni furono trasmessi �con atto del 28 aprile 1971. Di conseguenza, ad avviso del Tribunale, il negozio concluso tra il Collegio Irlandese e i fratelli Spinosa senza la prescritta denunzia al Ministero non potrebbe considerarsi � nullo � di diritto (art. 61 della legge n. 1089 del 1939), stante l'impossibilit� logico-giuridica grava il vincolo di indisponibilit� notificato al proprietario pu� considerarsi terzo solo rispetto agli obblighi che la legge pone a carico del solo proprietario ma non riguardo a � fattispecie complesse in cui non \anto assumono giuridica rilevanza comportamenti colpevoli e la connessa responsabilit�... quanto invece assume ad elemento costitutivo degli effetti un particolare profilo pubblicistico inerente alla natura dello stesso bene: la mancanza del quale... impedisce il completamento della fattispecie paralizzando la produzione degli effetti propri del negozio (privatistico) che ne costituisce un semplice elemento>>. (34) In materia di denuncia del passaggio di propriet� cfr. la gi� cit. sent. � 129/82 secondo la quale essa non pu� ritenersi rituale se priva dei requisiti richiesti dall'art. 57 R.D. 30 gennaio 1913, n. 365 e non � quindi idonea a far decorrere il termine per l'esercizio della prelazione. La stessa decisione stabilisce l'inefficacia ostativa alla prelaiione dell'usucapione maturata dall'acquirente del bene. (5-6) Sulla necessit� di motivazione del decreto di vincolo sia esso diretto o indiretto la giurisprudenza � pacifica (cfr. per tutte Sez. IV, 16 giugno .198l, n. 477, in Cons. Stato, 1981, 652 e Sez. IV, 2 luglio 1974, n. 528, ivi, .1974, p. 888), non constano invece precedenti specifici sulla rilevabilit� in sede di impugnazione del provvedimento di prelazione del difetto di motivazione del vincolo. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA di ricollegare una cos� grave sanzione a un comportamento omissivo dell'alienante, e a maggior ragione degli acquirenti, insuscettibile di valutazione negativa per la mancanza, a monte, dell'obbligo legale di � fa. cere � cui rapportare la colpevole omissione. Replica l'Avvocatura. eccependo, innanzi tutto, che la trascrizione non era considerata, � dalla giurisprudenza successiva sia alla legge 20 giugno 1909, n. 364, sia alla legge 11 giugno 1922, n. 722 �, elemento costitutivo della complessa fattispecie cui le leggi citate collegavano il sorgere del vincolo d'interesse storico-artistico-archeologico, e che, in secondo luogo, essendo del tutto regolare la notifica a suo tempo fatta al proprietario Di Vasto, tutti i successivi �proprietari degH immobili de quibus avevano l'onere di notificare al Ministero i rispettivi atti di vendita, sicch� l'inadempimento dell'onere, comportando la nullit� di pieno diritto dell'ultima alienazione, consentirebbe all'Amministrazione di eseroitare in ogni tempo il diritto di prelazione. Osserva in proposito la Sezione che l'opinione secondo cui la trascrizione nei registri ipotecari del decreto ministeriale del vincolo aveva valore di mera pubblicit�-notizia sotto il vigore della legge n. 722 del 1922 fu autorevolmente sostenuta dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con decisione del 9 luglio 1968, n. 21 (v. pure dee. n. 200 del 1966, VI Sez.), ma fu poi abbandonata in relazione a1la legge 1� giugno 1939, n. 1089 soprattutto ,in base a1l'esame della formulazione letterale delle norme sopravvenute, che sembra giustificare la diversa tesi della stretta interdipendenza tra onere di pubblicazione dell'atto, posto dalla ~egge a carico dell'amministrazione, e operativit� delJ'intera fattispecie costitutiva del vincolo nei riguardi dei terzi (cfr., da ultimo, Sez. VI, 24 aprile 1981, n; 151). Nel caso di specie quindi si tratterebbe di verifioare ,sem~ioemente se l'originaria efficacia del vincolo in ipotesi ricohlegabile alle prime notifiche dei decreti ministeriali recanti la dichiarazione di � notevole interesse � della zona, sia sopravvissuta all'entrata in vigore della legge n. 1089 del 1939, come lascerebbe intendere non soltanto iil carattere evidentement~ innovativp della disposizione prescrivente l'onere (e non pi� soltanto l'obbligo) della trascrizione per la operativit� del va.ncolo nei confronti dei terzi, quanto anche, e sopmttutto, il tenore della norma transitoria dell'art. 71, secondo comma, della stessa legge n. 1089, che, nel far salve �agli effetti stabiliti dalla presente legge� le notifiche effettuate (anche) a norma della legge 11 giugno 1922, n. 778, non poteva altro significare se non che il precedente regime del viincolo, cos� come inteso e ricostruito dalla giurisprudenza, doveva continuare ad esplicare effetti pur !in assenza degli ulteriori adempimenti procedimentali dalla stessa legge n. 1089 introdotti a garanzia dei terzi. La questione, tuttavia, non � rilevante ai fini di questa controversia, trattandosi nella specie di valutare se la notifica del dichiarato interesse RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 342 archeologico della zona al proprietario alienante (e cio� al Collegio Irlandese), abbia o meno fatto sorgere a suo carico l'onere di denuncia del negozio traslativo, e se, di conseguenza, rimasto inadempiuto tale onere di denuncia, il diritto di prelazione possa esercitarsi in ogni tempo da parte dell'Amministrazione, anche nei confronti dell'acquirente (in ipotesi) incolpevole. La tesi secondo cui la trascrizione del decreto di vincolo nei registri immobiliari avrebbe effetto costitutivo � sostenibile anche sotto il vigore della legge 1� giugno 1939, n. 1089, nei riguardi dei terzi, ma non certo nei confronti del proprietario (e possessore) cui il provvedimento sia stato direttamente notificato: ci� si evince agevolmente dalla formulazione letterale delle disposizioni che disciplinano, rispettivamente, l'onere di trascrizione a carico del Ministero (art. 2, secondo comma, e 3, secondo comma, della legge n. 1089 del 1939), cui la legge subordina la operativit� del vincolo nei confronti dei terzi, e l'onere di denuncia a carico del proprietario (quando questi voglia disporre del bene), che � invece correlato, nel suo momento genetico, alla sola �obiettiva esistenza del vincolo sorto per effetto del provvedimento �notificato� (art. 30). Sarebbe d'altra parte assurdo sul piano logico, prima ancora che giuridico, presupporre l'inoperativit� del provvedimento nei confronti dell'attuale possessore e proprietario che ne abbia avuto legale scienza attraverso un formale provvedimento notificatorio, e ci� non solo perch� la trascrizione, essendo intesa a dirimere i conflitti riguardanti gli aventi causa dal notificatario, destinatario dei provvedimenti dell'Amministrazione, � per sua natura inidonea a regolare i rapporti tra l'Autorit� pubblica e il soggetto destinatario dei suddetti provvedimenti (in tal senso, cfr. Adun. plen. n. 21 del 1968 cit.), ma anche perch�, ove si ritenesse il regi.me di pubblicit� presupposto necessario per lo stesso venire in �ssere del vincolo, n� risulterebbe snaturata la funzione propria della trascrizione immobiliare quale si configura invece secondo le norme civilistiche, finendosi cosi per applicare, nel campo dei rapporti amministrativi, un istituto del tutto nuovo e di certo non consentaneo ai principi che regolano gli effetti dei provvedimenti autoritativi dell'Amministrazione nei confronti dei � diretti interessati �. Se ci� � vero, come sembra indubitabile, appare allora evidente che il vincolo de quo fu al Collegio irlandese ritualmente notificato ai sensi dell'art. 53, lett. a), del R.D. 30 gennaio 1913, n. 363 (tuttora vigente per non essere stato mai emanato il regolamento di esecuzione previsto dall'art. 73 della legge n. 1089 del 1939: cfr. Sez. IV, 28 settembre 1967, n. 430). Non rileva il fatto che non si rinviene agli atti l'avviso di ricevimento della lettera raccomandata (sulla cui copia � peraltro ben visibile l'annotazione �Racc. con R.R. �) spedita dall'allora Soprintendente alle antichit� e belle arti della Campania e Molise al legale rappresentante del Pontificio Collegio Irlandese, poich� risulta comunque la prova certa che il Rettore del Collegio non ~; PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA solo prese buona nota di quella comunicazione, ma addirittura si premur� di rispondere (v., lettera del 21 novembre 1930), assicurando la Soprintendenza che la �importanza archeologica della villa� sarebbe stata sempre in avvenire rispettata (la lettera, esistente agli atti del fascicolo dell'Avvocatura non � mai stata contestata). Si trattasse di una nuova notifica del vecchio vincolo o di vera e propria rinnovazione del vincolo (e in quest'ultimo caso di vizio di incompetenza, se potesse effettivamente configurarsi, sarebbe tardivamente invocato dai ricorrenti), certo � che la notifica raggiunse alla epoca il suo scopo, onde l'irregolarit� formale del procedimento partecipativo, quand'anche potesse nella specie ritenersi sussistente, non potrebbe inficiare il risultato pratico dell'avvenuta legale conoscenza dell'atto da parte del destinatario: conclusione logica, questa, che trova positivo riscontro nella norma dell'art. 156, ult. comma, del c.p.c., cui non pu� non riconoscersi -contrariamente all'assunto dei ricorrenti portata di principio generale, atteso che il carattere meramente strumentale di ogni tipo di procedimento partecipativo resta identico, sia che l'atto da notificare incida su rapporti processuali sia che, invece sia destinato a costituire, modificare o estinguere, rapporti di diritto sostanziale. Neppure pertinente � l'altra argomentazione difensiva degli appellati, secondo cui l'originaria notifica, ancorch� regolarmente effettuata, avrebbe dovuto essere rinnovata a mente dell'art. 71, primo comma, della legge n. 1089 del 1939. La legge non poneva un termine perentorio per l'adempimento prescritto all'Ammnistrazione, ma, nel disporre che la rinnovazione delle vecchie notifiche avrebbe dovuto seguire nel termine previsto dall'emanando regolamento di attuazione, ha, con espresse disposizioni, non soltanto prorogato sine die l'efficacia delle notifiche precedentemente fatte, quanto anche confermato le previgenti norme regolamentari � fino a quando non entrer� in vigore � il nuovo regolamento. L'inadempimento dell'obbligo di emanare il nuovo testo regolamentare -imprescindibile presupposto di operativit� dell'ulteriore obbligo, imposto dall'Amministrazione, di rinnovazione delle singole notifiche -pu� dunque impegnare la responsabilit� politica del Governo di fronte al Parlamento, ma giammai pu� costituire in favore di terzi situazioni soggettive azionabili dinanzi agli organi giurisdizionali, stante la mancata previsione nella stessa legge impositiva dei suddetti obblighi a carico deHa P. A., di automatici meccanismi caducatori (dei precedenti atti dell'Amministrazione medesima) idonei a ripristinare, in favore dei privati, l'integrit� delle posizioni subiettive originariamente compresse. Resta quindi da vedere se, sussistendo a carico del Collegio Irlandese l'onere di denuncia del negozio traslativo, la mancata denunzia possa aver determinato quell'inefficacia assoluta, nei confronti dell'Amministra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ..O STATO zione, che rende in ogni tempo esercitabile da parte di quest'ultima il diritto di prelazione. In proposito, eccepiscono gli appellati Spinosa che l'inottemperanza all'obbligo di denuncia, quand'anche fosse ascrivibile al comportamento colpevole del proprietario dante causa, non impedirebbe comunque al negozio di produrre gli effetti suoi propri in favore dell'acquirente, essendo costui terzo rispetto alla fattispecie sanzionatoria che, in relazione all'obbligo di denuncia, si configura esclusivamente nei rapporti tra Amministrazione e proprietario (o possessore) del bene vincolato: altrimenti opinando, concludono gli appellati, si ipotizzerebbe a carico del terzo acquirente una specie di � autoresponsabilit� � senza colpa, per essere costui impedito nella realizzazione di effetti a s� favorevoli in conseguenza di una fattispecie di inadempimento non ascrivibile a un proprio comportamento omissivo. . Il Collegio ritiene che tale ragionamento sia viziato, sotto il profilo logico-giuridico, in entrambi i presupposti da cui muove. Innanzi tutto, . l'acquirente di immobile, su cui gravi l'obiettivo vincolo di (parziale) indisponibilit� sorto per effetto del provvedimento debitamente notificato al proprietario (o possessore) del bene, pu� dirsi �terzo� rispetto agli obblighi che la legge pone a carico del solo proprietario (e ci� nel senso che non pu� risentire effetti pregiudizievoli dalla violazione di quegli obblighi), ma non � terzo riguardo a fattispecie complesse, in cui non tanto assumono giuridica rilevanza comportamenti colpevoli e le connesse responsabilit�, penali o amministrative, che ad esse la legge collega, quanto invece assurge ad elemento costitutivo degli effetti un particolare profilo pubblicistico inerente alla natura stessa del bene: la mancanza del qu~e, sia o men� ascrivibile a fatti di indole subiettiva, impedisce il completamento della fattispecie paralizzando la produzione degli effetti propri del negozio (privatistico) che ne costituisce un semplice elemento. Inerisce a tale prima considerazione l'ulteriore conseguenza logicogiuridica che, in caso di mancata denunzia del negozio traslativo, l'acquirente non risente gli effetti pregiudizievoli di un'omissione altrui, ma semplicemente non pu� invocare in proprio favore gli effetti reali del negozio per la mancanza di un elemento costitutivo dell'intera fattispecie, in cui l'atto dispositivo � inserito: conseguenza, questa, che, ricollegandosi alla natura obiettiva del vincolo, opera su di un piano diverso da quello in cui rileva il negozio privatistico di alienazione, dovendosi riguardare la inefficacia del negozio nei confronti della P.A. non solo come reazione dell'ordinamento a un comportamento colpevole, ma anche �sotto il contestuale e simmetrico profilo di misura coercitiva in funzione di autotutela volta a consentire il trapasso del bene in mano pubblica (ove ne ricorrano i presupposti di legge) al di l� e contro le modificazioni giuridiche � medio tempore � prodotte dagli atti dispositivi del proprietari9. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Le argomeatazioni che precedono inducono a rigettare anche il secondo motivo degli originari ricorsi, dal T.A.R. invece riconosciuto fondato. Fosse o meno a conoscenza del � fatto � dell'avvenuta alienazione, il Ministero aveva la possibilit� di esercitare in ogni tempo il diritto di prelazione per il pennanere dell'obiettiva condizione di assoluta inefficacia del negozio conseguente alla sua mancata notifica nei modi e termini prescritti dagli artt. 30-31 e 61 della legge n. 1089 del 1939 e dagli artt. 56-57 del r.d. 30 gennaio 1913, n. 363; non � infatti la conoscenza del negozio comunque attinta, ma la conoscenza acquisita attraverso la formale dichiarazione del proprietario, l'elemento che, consentendo all'Amministrazione di aver chiari tutti gli aspetti e le indicazioni del concluso negozio, la costituisce anche in mora al fine del tempestivo esercizio del diritto di prelazione. Giustamente osserva in proposito la difesa erariale che la legge collega la nullit� assoluta del negozio (da intendersi come inefficacia assoluta nei confronti della P.A.: in tal senso, pi� di recente, Cass. 16 maggio 1971, n. 1440) a un comportamento contestualmente qualificato (art. 63 della legge n .. 1089), come illecito penale: perci� il comportamento omissivo, integrante ipotesi criminosa, che � causa della � nullit� � del negozio privatistico, non potrebbe, per altro verso, venire annullato nella sua giuridica rilevanza da un elemento estrinseco alla fattispecie, quale appunto si configura la conoscenza di fatto, aliunde attinta dall'Amministrazione, del negozio concluso tra le parti private e mai ad essa formalmente notificato. Parzialmente fondati sono, invece, il quarto motivo dell'originario ricorso del Pontificio Collegio Irlandese e il terzo motivo del ricorso Spinosa, corrispondente al terzo motivo del � controricorso e ricorso incidentale � in appello proposto dai medesimi ricorrenti. La censura, che va ricostruita, nell'interesse del suo contenuto logico-giuridico, anche sUil.1a base di talune argomentazioni svolte nel primo motivo del ricorso del Collegio Irlandese, investe la parte del provvedimento impugnato in cui si fa riferimento ad unit� immobiliari non esattamente individuate negli originari decreti di vincolo. �:� giurisprudenza pacifica di questo Consesso che non soltanto il vincolo � diretto �, finalit� di tutela di cose d'interesse storicoartistico- archeologico, deve indirizzarsi a beni determinati, previa adeguata rilevazione e specificazione degli elementi che ad essi conferiscono � notevole importanza� (cfr., di recente, Sez. VI, 19 gennaio 1982, n. 39; 28 giugno 1982, n. 322, in questa Rassegna, 1982, I, 58 e 944), ma anche soprattutto che il vincolo c.d. � indiretto � deve essere congruamente motivato con riferimento sia all'ampiezza della fascia di rispetto (Sez. IV, 10 febbraio 1983, n. 78; Sez. VI, 20 maggio 1982, n. 272; Sez. IV, 16 giugno 1981, n. 477; ecc., in questa Rassegna, 1983, I, 127; 1982, I, 704; 1981, I, 652) sia a quei particolari valori o interessi secondari che giustificano secondo l'art. 21 della legge n. 1089 del 1939, l'ulteriore compressione o sacrificio del diritto del proprietario (cfr., da ult., Sez. VI, 13 aprile 1983, n. 253, in RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO questa Rassegna, 1983, I, 421). Sotto questo profilo, i decreti originari con cui il Ministro della P.I. ebbe ad imporre il vincolo oltre che sui �ruderi esistenti nella villa detta Marina... in localit� Conca o Arcella... �, anche sul � retroterra in tutta la sua estensione �, dovevano considerarsi sicuramente illegittimi per difetto di adeguate istruttoria e motivazione, e se tali vizi non furono a tempo debito accertati in sede giurisdizionale per mancanza d'iniziativa da parte degli interessati, � innegabile che gli identici vizi, aggravati dal passare del tempo e dalle trasformazioni edilizie � medio tempore � verificatesi nella zona (nella generale indifferenza e con la colpevole acquiescenza dei competenti organi dell'Amministrazione), possono essere fatti valere nei confronti del pi� recente provvedimento esplicante la volont� dell'Amministrazione di entrare in possesso di �beni, di cui appaiono oltremodo incerti sia gli elementi strutturali all'epoca del vincolo originario, sia l'entit� e la natura delle sopravvenute modifiche, sia il valore strumentale, in origine e successivamente, rispetto ai diversi tipi di interesse pubblici per la cui tutela la legge n. 1089 del 1939 consente di esercitare lo ius praelationis (per un caso analogo, cfr. Sez. VI, 23 marzo 1982, n. 129, in questa Rassegna, 1982, I, 356). Non valgono a restituire credibilit� all'impugnato decreto ministeriale le diffuse argomentazioni e le analitiche descrizioni di ambiente che si leggono nella memoria dell'Avvocatura erariale del 5 aprile 1983, poich� neppure sulla base di esse � possibile accertare quali immobili, quali fabbricati, quali reperti fossero c_ompresi nel � retroterra � della villa � Marina � (ora villa �Irlanda�), a suo tempo assoggettata a vincolo, n� chiarire con sicurezza se le unit� immobiliari e abitative, meglio descritte nel provvedimento del Ministro qui impugnato con l'espressione �fabbricato di complessivi vani 39 non riportato in catasto e inesistente sul mappale 131 del foglio 12 �, fossero gi� esistenti nel 1926 o siano state edificate successivamente, da chi quando e come siano state costruite, quale � importante interesse � possono rivestire attualmente una volta che ne sia stata accertata (in ipotesi) la realizzazione in epoca recente, quale ne sia, infine, il v~lore strumentale per la tutela di altri reperti eventualmente rinvenuti in loco. Ne consegue che, dovendosi ritenere illegittimo in parte qua, per le ragioni sopra dette, l'impugnato decreto ministeriale del 4 settembre 1980, va accolto il terzo motivo dei ricors'i incidentali degli appellati (corrispondente ai motivi terzo e quarto dei ricorsi originariamente proposti da fratelli Spinosa e dal Consiglio irlandese), nella parte in�cui denuncia l'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione con riferimento alle sopra specificate unit� immobiliari, che non risultano chiaramente ed esattamente individuate negli originari decreti di vincolo .. Conclusivamente, tutti gli appelli, quello principale e i due incidentali, vanno accolti, con conseguente integrale riforma della sentenza appel lata. (omissis) SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 novembre 1983, n. 6915 -Pres. Mirabelli � Est. Cruciani -P. M. Tamburrino (conf.). -Ferrara (avv. Varvesi) c. Ministero delle Finanze (vice avv. Gen. Stato Gargiulo). Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Giurisdizione delle commissioni � Estensione � Accertamento della qualit� di soggetto passivo � Rinuncia all'eredit� � Deducibilit� innanzi alle commissioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1). Tutte le controversie inerenti alle imposte elencate dall'art. 1 del d.P.R. n. 636 del 1972 sono devolute alla giurisdizione delle �commissioni, comprese quelle sulla qualit� essenziale di soggetti passivi quale la qualit� di erede nell'imposta di successione. (1) (omissis) La censura della ricorrente si. articola sui seguenti punti: 1) l'oggetto della controversia sarebbe estraneo alla previsione dell'art. 1 del decreto n. 636/72, non contestandosi la natura, esistenza ed esigibilit� del tributo, ma solo la qualit�� dell'ingiunta nei confronti del rapporto tributario ed il conseguente difetto de.I potere impositivo della pubblica amministrazione; 2) la distinzione operata dal giudice di appello tra sussistenza ed esercizio del potere impositivo doveva considerarsi superata dalla giurisprudenza, che avrebbe esteso al contenzioso tributario attualmente vigente i principi che l'art. 90 r.d. 14 settembre� 1931, n. 1755, limitava alle imposte di consumo; 3) l'estraneit� dei soggetti al rapporto tributario rendeva inconferente il richiamo della sentenza impugnata all'art. 40 del d.P.R. n. 636/72. Le censure non hanno fondamento. (1) Decisione esattissima che va segnalata per ostacolare il tentativo, riaf. fiorante sotto vari aspetti, di prospettare come controversia ordinaria, a causa dell'asserito difetto di potere di imposizione, la questione che costituisc� invece il cardine della controversia di imposta. Per l'inammissibilit� del tentativb di considerare come azione di indebito ordinario una domanda di rimborso di imposta che si assume pretesa al di fuori di ogni potere (che si inquadra invece nell'assai pi� semplice questione se la pretesa sia o meno fondata) v. Cass., 10 marzo 1982, n. 1544, in questa Rassegna, 1982, I, 816. �� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 328 Non corrisponde al contenuto della decisione quanto affermato dal ricorrente che la Corte di merito avrebbe enunciato astrattamente il principio del potere impositivo dell'Amministrazione in materia di imposta di registro -ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -ma non avrebbe considerato che quel potere sussiste solo nei confronti di chi abbia assunto, in concreto, la posizione giuridica di contribuente o di sostituto di imposta e non invece nei confronti di chi nega e contesta totalmente tale posizione, sottraendosi quindi alla giurisdizione tributaria per rivolgersi al giudice ordinario. Al contrario la Corte di Napoli -con chiara e coerente motivazione -ha identificato l'azione proposta in una indagine diretta ad accertare la qualit� di debitrice di imposta, affermata dall'Amministrazione e negata dalla Del Torna, non sul piano della carenza di un potere impositivo, ma in realt� per il venir meno, in conseguenza della rihuncia alla eredit�, della qualit� di erede del contribuente debitore� deceduto. Non si tratta quindi -come pretenderebbe il ricorrente -di una estraneit� del soggetto al procedimento di accertamento fiscale (e quindi fuori dei limiti del potere impositivo), ma soltanto di �una questione attinente all'esercizio del potere di imposizione, attraverso la contestazione della posizione giuridica di erede del contribuente, che si assume erroneamente affermata dall'Amministrazione. Ci� posto, esattamente la sentenza impugnata ha individuato la giurisdizione del giudice tributario, secondo la n_ormativa del d.P.R. n. 636 del 1972, rilevando come il legislatore abbia inteso attribuire alle commissioni tributarie la competenza esclusiva a conoscere qualsiasi controversia in materia di imposte dirette, in relazione alla impugnazione dell'atto, con il quale l'amministrazione manifesta la sua pretesa ingiuntiva. Non vi � dubbio, infatti, che il complesso sistema di disciplina delle controversie tributarie -previsto negli articoli da 1 a 16 del decreto citato -non consente pi� alcuna distinzione sulla natura della controversia, in quanto ha inteso devolvere alla giurisdizione delle Commissioni tributarie tutte le controversie in tema di imposte, elencate nell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (tra le quali l'imposta di registro), riservando alla cognizione della Corte di Appello le sole impugnazioni previste dall'art. 40. Pertanto solo sotto questo peculiare profilo l'organo della giurisdizione ordinaria viene inserito nella struttura giurisdizionale del contenzioso tributario, diversamente da quanto accadeva nel sistema del contenzioso precedente alla riforma, in cui il giudizio davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria era del tutto distinto da quello che si svolgeva presso le commissioni tributarie; ciascuno sviluppandosi in maniera autonoma, secondo un modello processuale compiuto nella struttura e nei gradi. Deve quindi essere rigettato il ricorso e dichiarata la giurisdizione del giudice tributario. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 329 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7160 -Pres. Zappulli -Est. Contu -P. M. Martinelli (conf.) -Soc, COGECO (avv. Picciaredda) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Agevolazione per le auto strade -Art. 8 legge 24 luglio 1961, n. 729 -Interpretazione autentica Applicazione. (legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 8; legge 7 agosto 1982, n. 530, art. 4 bis). Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata e imposta di conguaglio Agevolazione per le autostrade -Si estende alla imposta di conguaglio. (legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 8; legge 7 agosto 1982, n. 530, art. 4 bis; legge 31 luglio 1954, n. 570, art. 1). Tributi erariali indiretti --Imposta sull'entrata -Agevolazione per le autostrade -Appaltatore dei lavori -Si estende. (legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 8). L'agevolazione dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961 n. 729 per la costruzione di autostrade si estende alla imposta sull'entrata per effetto della norma interpretativa contenuta nell'art. 4 bis della legge 7 agosto 1982, n. 530, e ci� indipendentemente dalla inesistenza di dubbi di interpretazione della norma originaria ed anche se l'interpretazione di legge si rivela inesatta alla stregua del diritto previgente. (1) L'estensione dell'agevolazione dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, alla imposta sull'entrata per effetto dell'interpretazione autentica contenuta nell'art. 4 bis della legge 7 agosto 1982, n. 530, deve intendersi applicabile anche alla imposta di conguaglio sui prodotti industriali importati istituita con l'art. 1 della legge 31 luglio 1954, n. 570, con il fine di assoggettare le merci importate alla stessa imposizione di I.G.E. che avrebbero scontato se prodotte in Italia. (2) L'agevolazione per la costruzione di autostrade dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, ha natura oggettiva e benefica non soltanto le operazioni compiute da concessionari, ma anche quelle riferibili agli appaltatori. (3) (omissis) Con l'unico motivo la ricorrente -denunziando violazione dell'art~ 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729 -deduce di aver diritto alle agevolazioni tributarie previste da tale norma, essendo le stesse applicabili a tutti i tributi connessi con la costruzione di autostrade, e non potendo essere condivisa, perch� estranea al sistema legislativo, la distin (1-3) La prima massima, pur qualificando la legge sopravvenuta come interpretativa soltanto nella denominazione, prende atto della volont� legislativa. Indubbiamente esatta � la correlativit� tra I.G.E. e imposta di conguaglio sui beni importati (con la sent. 20 ottobre 1975, n. 3403, in questa Rassegna, 1975, I, 981 fu evidenziato che la imposta di conguaglio, appunto perch� diretta a parificare la pressione tributaria sui beni importati a quella sui beni prodotti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 330 zione fra imposta che colpisce gli atti ed i contratti ed imposta attinente alla pura e semplice entrata, posta a sostegno della decisione impugnata. La censura � fondata poich� lo jus superveniens verificatos.i nelle more del giudizio � decisamente risolutivo del problema. � sopravvenuto, infatti, l'art. 4 bis della legge 7 agosto 1982, n. 530, cpe cos� dispone: Le disposizioni agevolative contenute nell'art. 8, comma primo, della legge 24 luglio 1961, n. 729, devono intendersi comprensive dell'esenzione dalla imposta generale sull'entrata�. Trattasi, indubbiamente, di una norma di interpretazione autentica, come emerge chiaramente dal significato letterale delle parole usate dal legislatore, con le quali si � voluta chiarire la portata di una disposizione legislativa esistente, superan,do la contraria interpretazione giurisprudenziale fino a quel momento prevalente. N� pu� essere di ostacolo al riconoscimento della natura interpretativa della norma l�l. circostanza che, sulla scorta della costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, si fosse realizzata una uniformit� di interpretazione dell'art. 8 della legge n. 729 del 1961 e che, in mancanza di una ragionevole ed obiettiva incertezza sul suo significato, non apparisse necessario il ricorso del legislatore allo strumento di interpretazione autentica. Deve infatti ritenersi che, in tema di interpretazione autentica, l'intervento del legislatore sia ammissibile anche quando l'indirizzo ermeneutico segnato da .questa Corte, istituzionalmente investita del potere nomofilattico, risulti omogeneo, ed anche se l'interpretazione imposta non sia da ritenere esatta alla stregua del diritto previgente (conf. Cass. n. 3119 del !982). L'efficacia retroattiva incontrastatamente riconosciuta alle leggi di interpretazione autentica implica l'applicabilit� alla fattispecie delle agevolazioni tributarie di cui all'art. 8 della legge n. 729 del 1961, essendo stato stabilito dal legislatore che l'IGE (ora soppressa) � soggetta allo stesso trattamento degli altri tributi e, conseguentemente, non � dovuta in relazione ad atti astrattamente generatori del debito d'imposta ma posti in essere in quanto occorrenti per la costruzione di autostrade. Per quanto concerne, poi, l'imposta di conguaglio; noft pu� certo ritenersi che essa sia esclusa dall'ambito del beneficio tributario per avere la legge interpretativa menzionato la sola imposta generale sull'entrata. � stato chiarito dalla giurisprudenza, di questa Corte Suprema, infatti, che l'imposta di cong�aglio, istituita con la legge n. 570 del 1954 (ed ora in Italia, non ha natura di imposta doganale); tuttavia attesa la particolarit� della norma interpretativa, la sua applicazione non dovrebbe essere estensiva. Sulla questione se l'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, fosse riferibile soltanto ai concessionari o anche agli appaltatori si era in effetti formato un orientamento ben fermo, con riferimento alle imposte che si ritenevano comprese nell'agevolazione. Il problema per� meritava di essere riesaminato in relazione all'l.G.E. che pone prospettive nuove. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA , soppressa), non aveva natura e finalit� analoghe a quelle del dazio doganale e rispondeva, invece, ad una finalit� perequativa fra merci nazionali, assoggettate all'IGE, e merci estere importate, che altrimenti sarebbero state avvantaggiate; essa era perci� rapportata all'IGE che i prodotti industriali importati avrebbero assolto durante la loro fabbricazione in Italia (Cass. n. 2930 del 1972 -n. 3403 del 1975). L'affinit� fra l'IGE e l'imposta di conguaglio balza ancor pi� evidente se si considera che entrambi i tributi sono stati soppressi, a seguito dell'istituzione dell'IVA, con l'art. 90 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale li ha accomunati nella stessa norma, ponendone cos� in rilievo la analoga natura. La considerazione che l'imposta di conguaglio si riconnette all'imposta generale sulla entrata dovuta per il fatto dell'importazione comporta che l'esenzione prevista per quest'ultima debba estendersi necessariamente alla prima, non essendo altrimenti giustificata una disparit� di trattamento per situazioni sostanzialmente identiche. L'imperfezione normativa pu� perci� essere superata interpretando estensivamente la norma in esame nel senso che la locuzione �imposta generale sull'entrata� si~ comprensiva anche dell'imposta di conguaglio ad essa affine. Da parte dell'Amministrazione Finanziaria si � sostenuto nella discussione orale che la CO.GE.CO non avrebbe comunque diritto al beneficio tributario invocato, poich� questo si applicherebbe solo nei confronti dei concessionari di autostrade e non degli appaltatori di lavori autostradali. Tale tesi si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi � motivo di discostarsi, e non pu� essere condivisa. La questione relativa all'ambito di applicazione del beneficio tributario in cui trattasi fu decisa da questa Corte Suprema con un gruppo di sentenze pubblicate il 13 maggio 1969 con i nn. dal 1638 al 1650, nelle quali fu affermato il seguente principio di diritto: �L'esenzione da tributi prevista dal comma primo dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, ha carattere oggettivo e riguarda sia il caso di costruzione ed esercizio di autostrade da parte dell'ANAS sia quello della concessione della costruzione e dell'esercizio a societ� private �. Tale indirizzo fu poi ribadito con la successiva sentenza n. 3856 del 1969 e l'esattezza del principio cos� affermato non � stata pi� contestata. Esso � giustificato, infatti, dal significato letterale della norma, che prevede l'esenzione tributaria per �tutti gli atti e contratti occorrenti per l'attuazione della presente legge�, e della ratio della norma stessa che, essendo volta ad agevolare lo sviluppo delle costruzioni autostradali, non pu� non riferirsi anche alle costruzioni delle autostrade effettuate mediante appalti anzich� con il sistema della concessione. Il carattere oggettivo dell'esenzione implica, dunque, che di essa debbano usufruire anche gli appaltatori di costruzioni autostradali. Con giuri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 332 sprudenza ormai consolidata � stato invece ritenuto che l'esenzione non si estenda ai contratti di subappalto non espressamente approvati dalla autorit� competente (v. per tutte Cass. S.U. n. 2974 del 1975), ma siffatta fattispecie � del tutto estranea alla presente controversia, data l'incontestata qualit� di appaltatrice di lavori autostradali assunta , dalla COGECO. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 dicembre 1983, n. 7240 -Pres. Brancaccio -Est. Zappulli -P.M. Dettori (conf.). Menzani c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione sintetica -Dichiarazione solo apparentemente analitica. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 37). Nei confronti dei soggetti non tassabili in base a bilancio l'obbligo dell'ufficio di eseguire l'accertamento con metodo analitico � correlativo all'onere del contribuente di presentare una dichiarazione analitica; � per� giustificata una motivazione sintetica quando la dichiarazione sia solo apparentemente analitica. (1) (omissis) La ricorrente Menzani, con il primo motivo del ricorso, ha lamentato la violazione, nella sentenza impugnata, degli artt. 117, 118 e 37 del. t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, per essere stata riconosciuta legittima la motivazione induttiva dell'accertamento notificatole sebbene fosse disposto da quelle norme l'obbligo dell'accertamento analitico ogni qualvolta il contribuente avesse fornito tutti i dati ed esibito i libri, le scritture e i documenti necessari per il loro controllo, senza che l'ufficio finanziario potesse ricorrere all'accertamento sintetico-induttivo e quanto meno senza prima esaminare, mediante apposita previa richiesta di esibizione di documenti, i singoli elementi della denunzia dei redditi. Il motivo � infondato. Invero, come ritenuto pacifico nella decisione impugnata, la ditta ricorrente, essendo compresa nei piccoli imprenditori di cui all'art. 2214 e.e., non era obbligata alla tenuta dei libri contabili e non rientrava, pertanto, nel campo di applicazione del secondo comma dell'art. 117 del citato t.u. Se da un lato ci� implicava che essa fosse esente da quell'obbligo, dall'altro importava che l'ufficio finanziario non fosse tenuto a chiedere preventivamente l'esibizione dei libri e docu menti, rimanendo i suoi poteri regolati dalla norma generale del primo .(1) Giurisprudenza ormai costante: 3 marzo 1980, n. 1403; 29 gennaio 1981, n. 687; in questa Rassegna, 1981, I, 123 e 593. i: j: )'. f' !: l' i !: _,. !ii: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA comma di quell'articolo, statuente che esso, per l'accertamento, � si avvale di tutti gli elementi e dati, indicati dal contribuente e raccolti d'ufficio... �. Per quanto concerne l'obbligo di motivazione .analitica dell'accertamento � a pena di nullit�� posto dal primo comma dell'art. 37 dello stesso T.U., � da osservare che tale forma di motivazione, ai sensi del successivo terzo comma, non � richiesta � quando la dichiarazione manchi dell'indicazione analitica degli elementi attivi e passivi �. In applicazione di tale norma questa corte regolatrice ha pur recentemente affermato che, -in presenza di un soggetto esercente una impresa commerciale che non ha chiesto di essere tassato in base a bilancio e che ha presentato la dichiarazione dei redditi con indicazione analitica degli elementi attivi e passivi, -il relativo accertamento deve essere effettuato dall'ufficio finanziario secondo una motivazione analitica contestando le singole partite attive e passive e non sulla base di un calcolo effettuato sinteticamente ed induttivamente ma non giustificato per la semplice asserzione della inattendibilit� della dichiarazione (Cass. 17 febbraio 1981 n. 951). Tuttavia, � stato ben precisato nella motivazione della sentenza che tale inattendibilit� � irrilevante solo quando sia semplicemente � asserita �, come nella specie formante oggetto di quella controversia. La stessa sentenza ha affermato che, viceversa, si poteva ricorrere all'accertamento induttivo quando dalla verifica della dichiarazione fosse emerso che gli elementi forniti erano incompleti, non veritieri o inidonei per accertare analiticamente il reddito, essendo necessario, in tal caso, che nell'avviso di accertamento fossero enunciati i motivi posti a base della rettifica. � ovvio, infatti, che una indicazione solo formalmente analitica non pu� costituire un facile mezzo di elusione di pi� approfondite indagini che possono essere condotte anche con il sistema sintetico-induttivo. Non pu�, certamente, riconoscersi la qualifica analitioa ad una indicazione degli elementi passivi e attivi che appaia contraddittoria e inadeguata alle caratteristiche dell'attivit� alla quale si riferiscono i redditi, rilevabili da elementi univoci e concorrenti. Il legislatore, nel richiedere la � indicazione analitica�, si � necessariamente riferito all'effettivo contenuto della dichiarazione e non alla_ sua mera forma esteriore, e ci� ancor pi� nella materia dell'imposta di ricchezza mobile, per la quale era stata prevista la presentazione della documentazione corrispondente. In tale pi� rigorosa interpretazione, conforme al principio consacrato neli'art. 53 della Costituzione sulla corrispondenza dei tributi alla capacit� contributiva dei singoli, questa Suprema Corte ha gi� affermato, per quella imposta, che qualora i documenti prodotti e le risultanze raccolte dall'ufficio non consentano, per parziale incompletezza o inattendibilit�, di pervenire all'accertamento analitic� del reddito tassabile, l'ufficio finanziario poteva ricorrere, anche in via concorrente e integrativa, all'accer RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 334 tamento sintetico, con riferimento a tutte le componenti idonee a incidere sul risultato dell'accertamento stesso (Cass. 24 gennaio 1981 n. 547), cos� come nei casi di inidoneit� dei documenti giustificativi prodotti (Cass. 13 gennaio 1981, n. 267). Se, a garanzia del contribuente, � stato pure affermato che si pu� procedere ad accertamento induttivo soltanto nel caso in cui concorrano i presupposti indicati dalla legge o concorrano presunzioni certe e concludenti sulla non corrispondenza al vero dei redditi denunziati, e sempre con idonea motivazione (Cass. 12 gennaio 1981 n. 260), si �, peraltro, consentito quell'accertamento induttivo, per la prevalenza dell'elemento sostanziale, quando la denunzia stessa sia solo apparentemente analitica (Cass. 30 ottobre 1980 n. 5825) o comunque inattendibile (Cass. 8 agosto 1979, n. 4576). Nella specie, pertanto, la decisione impugnata ha esattamente applicato quei principi, precisando, sulla base delle decisioni di grado inferiore, che erano stati indicati elementi in base ai quali risultava la inattendibilit� della dichiarazione, e ha nuovamente elencati questi ultimi, rilevando che non vi era l'obbligo dell'ufficio di ricbiedere ulteriori dati e documenti. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 7301; Pres. Brancaccio -Est. Ruggiero -P. M. Iannelli (diff.). Gallucci (avv. Acone) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini). Tributi erariali diretti -Accertamento -Competenze dell'ufficio -Domicilio fiscale -Luogo di produzione del reddito -Irrilevanza -Omessa presentazione della dichiarazione -Non esclude la nullit� dell'accertamento -Dichiarazione presentata ad ufficio incompetente � Fissazione di domicilio diverso. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 9, 10, 29 e 33). La competenza dell'ufficio per l'accertamento (di carattere funzionale ed inderogabile, il cui difetto importa nullit� assoluta dell'atto rilevabile di ufficio in ogni stato e grado) si determina con riferimento al domicilio fiscale inteso, per le persone fisiche di cittadinanza italiana, come il comune di residenza anagrafica del contribuente al momento in cui � presentata o deve essere presentata la dichiarazione; solo sussidiariamente, se il domicilio non � determinabile in base a detto criterio, la competenza si determina con riferimento al luogo di produzione del reddito. La nullit� dell'accertamento proveniente da ufficio incompetente non � esclusa dal fatto che il contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione o di comunicare il cambiamento di domicilio. Solo ove risulti, sia pure per implicito, una manifestazione di volont�, accolta dell'ufficio, I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 335 diretta ad ottenere la fissazione del domicilio fiscale in comune diverso, si pu� avere deroga alla competenza dell'ufficio. (1) (omissis} Con l'unico motivo di censura, il ricorrente, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 21, 29, 30 e 33 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 e degli artt. 28, 38 e 157 cod. proc. civ., nonch� omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 2, 3 e 5 cod. proc. civ., deduce che erroneamente, anzitutto, la commissione tributaria centrale avrebbe ritenuto che competente a procedere all'accertamento era l'ufficio di Castellammare di Stabia, nella cui circoscrizione il reddito si era prodotto, mentre secondo le combinate disposizioni degli artt. 9, 29 e 33 del testo unico n. 645 del 1958, tale competenza doveva determinarsi con riferimento al domicilio fiscale del contribuente al tempo in cui era presentata o doveva presentarsi la dichiarazione dei redditi, per cui individuandosi il domicilio fiscale nel comune dove il soggetto aveva la sua residenza anagrafica, competente nella specie era l'ufficio di Pagani, nella cui circoscrizione il contribuente aveva trasferito la propria residenza fin dal 28 marzo 1969; erroneamente e con motivazione insufficiente e contraddittoria la commissione avrebbe, inoltre, affermato che l'asserita nullit� non poteva essere opposta dal contribuente, per aver egli stesso, con il suo comportamento, dato causa all'operato dell'ufficio, omettendo di considerare da un lato, che, atteso il carattere assoluto dell'incompetenza territoriale dell'ufficio, la nullit� dell'accertamento era radicale ed insanabile e rilevabile anche ex officio, e dall'altro che nella specie il contribuente, il quale non aveva presentato la dichiarazione per il mancato raggiungimento del minimo imponibile, non aveva posto in essere alcun positivo comportamento malizioso o doloso che avesse potuto indurre in (1) L'affermazione contenuta nella massima bench� conforme ad altre precedenti (19 ottobre 1977, n. 4462, 5 luglio 1980, n. 4277, in questa Rassegna, 1977, I, 863, 1981, I, 378) non pu� essere pienamente condivisa. Intanto la nullit� assoluta, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado, dell'accertamento eseguito da ufficio incompetente sembra poco conciliabile con la derogabilit� della regola della competenza sia nel caso del criterio sussidiario della identificazione della competenza con riferimento al luogo di produzione del reddito, sia, pi� ancora, in quella sorta di deroga convenzionale ex art. 10, secondo comma, del t.u. del 1958. L'incompetenza � piuttosto un vizio da denunciare con il ricorso ma che non pu� essere eccepito dalla parte che vi abbia dato causa con la indicazione, non tempestivamente rettificata, di un domicilio fiscale diverso da quello anagrafico. E che la competenza dell'ufficio non sia un assoluto, lo dimostra proprio l'art. 9 del t.u. che identifica il domicilio fiscale non con il luogo di residenza bens� con il Comune nella cui anagrafe il cittadino � iscritto; � cio� il dato formale dell'iscrizione anagrafica, che ha a 'tutti gli effetti un valore soltanto presuntivo, che prevale sul criterio sostanziale, il che significa che la competenza pu� essere modificata con uno spostamento meramente ana RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 336 errore l'ufficio, tanto che l'accertamento era stato regolarmente notificato proprio ad Angri, nella residenza del Gallucci. Il ricorso � fondato. Il principio affermato dal giudice tributario, secondo il quale nel vi gore del testo unico delle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, competente per l'accertamento tributario deve ritenersi l'ufficio del luogo in cui il reddito � stato prodotto, rron trova riscontro nello indicato sistema normativo. L'art. 29 del cit. testo unico stabilisce che la dichiarazione (dei redditi) deve essere presentata � all'ufficio distrettuale delle imposte dirette o all'ufficio del comune in cui si trova il domicilio fiscale del soggetto� (vale a dire, del dichiarante soggetto in concreto all'imposizione), ed il successivo art. 33 dispone che �competente per l'accertamento � l'ufficio nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto �. Dal coordinamento delle due disposizioni appare evidente, tenuto conto che la presentazione della dichiarazione o la scadenza del relativo obbligo segna il momento in cui concretamente ha inizio e si radica il procedimento impositivo, che l'ufficio competente per l'accertamento deve essere identificato in quello del domicilio fiscale del contribuente al momento in cui � presentata o deve essere presentata la dichiarazione (cfr., specialmente nella motivazione, Cass. nn. 3596 e 6492 del 1980, 3686 del 1981). Ci� posto, va rilevato che, ai sensi dell'art. 9, secondo comma, dello stesso testo unico n. 645 del 1958, i cittadini italiani hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe civile sono iscritti, n� pu� ritenersi come sostenuto dal procuratore generale nella sua requisitoria, c~e il domicilio fiscale si determini in relazione al luogo dove � stato prodotto il reddito o � stata svolta l'attivit� cui si riferisce l'azione impositiva, poich� un siffatto criterio � previsto dal p�nultimo comma del predetto art. 9 del grafico (appunto perch� non esiste un principio indefettibile di competenza); ma la variazione anagrafica deve essere portata a conoscenza dell'ufficio con la dichiarazione e con ogni altro atto (art. 9, ultimo comma). Quando manchi la dichiarazione non pu� rimproverarsi all'ufficio il non aver seguito i capricci del contribuente che si � iscritto ad una anagrafe diversa dal luogo in cui il reddito � prodotto. Altra perplessit� presenta l'affermazione che il momento determinante per l'individuazione della competenza � quello del domicilio fiscale al tempo della presentazione della dichiarazione (Cass., 2� giugno 1980, n. 3596, ivi, 1981, I, 366) successivo alla conclusione del periodo di imposta nel quale ,il reddito � stato prodotto. L'obbligazione tributaria sorge in conseguenza del possesso del red . dito, e non della relativa dichiarazione, e si radica in questo momento, tanto che nel caso di morte del contribuente il procedimento di accertamento prosegue inalterato e resta radicato presso l'ufficio di origine e non si trasferisce al diverso (o ai diversi) ufficio nel quale ha il domicilio l'erede (art. 16). Nel caso poi, specificamente considerato, di cessazione dell'attivit� la variazione di residenza successiva all'estinzione del rapporto sostanziale � evidentemente irrilevante. ................................,, . . . . j ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA testo unico, soltanto come un criterio sussidiario, nell'ipotesi in cui il domicilio fiscale non sia determinabile in base ai criteri enunciati nei commi precedenti (residenza anagrafica per le persone fisiche, sede legale per le persone giuridiche). Erroneamente, pertanto, la Commissione Centrale ha ritenuto competente l'Ufficio di Castellammare di Stabia, e valido di conseguenza l'accertamento dallo stesso compiuto, a motivo che in quel comune si era prodotto il reddito oggetto dell'accertamento, omettendo di prendere in considerazione il criterio della residenza anagrafica del contribuente al momento in cui egli aveva l'obbilgo di presentare la dichiarazione, e la possibilit� o meno di determinare il domicilio fiscale secondo il detto criterio. N� contrario pu� aver rilievo la circostanza, cui pure ha fatto riferimento la decisione impugnata, che il contribuente, all'epoca in cui il reddito si era prodotto, non aveva ancora trasferito il suo domicilio, poich�, come si � gi� ricordato, la soggezione all'imposizione, pur essendo correlata al presupposto della produzione di un reddito e gi� sussistendo allo stato astratto e potenziale al verificarsi di tale presupposto, diventa effettiva ed operante, ed il relativo procedimento pu� essere concretamente posto in attuazione, solo dal momento in cui �' presentata o deve essere presentata la dichiarazione (cfr. Cass., n. 3596 del 1980, cit.), ed � comunque al domicilio fiscale nel detto momento a cui la legge, per individuare l'ufficio competente a riceversi la dichiarazione ed a compiere i successivi atti del procedimento, ha chiaramente riguardo allorch� dispone che la dichiarazione � presentata all'ufficio del luogo in cui �si trova�, vale a dire dov'� attualmente, il domicilio fiscale del soggetto a ci� obbligato. Non pu� essere condivisa nemmeno l'ulteriore argomentazione contenuta nella decisione impugnata che l'operato dell'ufficio � stato determinato dall'illegittimo comportamento del contribuente il quale non solo non ha presentato la dichiarazione, ma ha omesso altres� di comunicare agli uffici finanziari il cambiamento del proprio domicilio nonch� l'avvenuta cessazione dell'attivit� produttiva del reddito, per cui il contribuente medesimo, anche in virt� del principio generale contenuto nell'art. 157 cod. proc. civ., non poteva opporre una nullit� cui egli stesso aveva dato causa. In primo luogo va osservato che, come ha rilevato la stessa commis~ sione centrale, il contribuente nella specie non era obbligato a comunicare all'ufficio il cambiamento del proprio domicilio, siffatto obbligo essendo previsto dall'art. 33, terzo comma del testo unico del 1958, solo per i contribuenti soggetti ad una imposta fondiaria. Nemmeno, va aggiunto, sussisteva un'obbligo di denuncia di cessazione dell'attivit�, atteso che, a termini dell'art. 30 del cit. testo unico, il contribuente nel caso di cessazione del presupposto nel corso del periodo d'imposta, � ha facolt� � di presentarne denuncia. Quanto all'omissione della dichiarazione, il relativo obbligo, di fronte alle contestazioni di merito del contribuente di non 338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO aver reali~ato nel periodo considerato un reddito superiore al rmmmo imponibile, non � stato ancora accertato, ed esso, comunque, costituisce un posterius, rispetto al problema di individuare l'ufficio presso il quale l'obbligo doveva essere adempiuto. Pu� ancora osservars.i che fa commissione centrale non ha neppure in� dicato gli elementi in base ai quali l'operato dell'ufficio poteva ritenersi effettivamente essere stato determinato dal comportamento del contd� buente, ove si consideri che l'accertamnto fu direttamente notificato proprio al nuovo domiciilio del contribuente. Ma, a parte tali considerazioni, deve essere qu� rilevato che come � stato gi� ripetutamente affermato da questa Suprema Corte, ila competenza territoriale, nell'ambito generale dell'attivit� della pubblica amministrazione, costituisce il complesso della facolt� e delle funzioni che cia� scun organo � autorizzato ad esercitare nei limiti di spazio nei quali l'agente possa essere considerato come autorit� amministrativa, ed essa, per� tanto, segnando i confini entro i quali il singolo organo amministrativo pu� esercitare le potest� ad esso attribuite, ha carattere funzionale ed inderogabile, e l'atto posto in essere al di fuori dei predetti limiti deve ritenersi, se non addirittura inesistente, quanto meno irrimediabilmente nUJJ.lo proprio per la mancanza di potere dell'organo che lo ha emesso. Ed � pacifico che il difetto di potere, quando riguardi un atto amministrativo quale l'accertamento tributario, costituisce un vizio sostanziale e radicale dell'atto che, importandone la nullit� assoluta, � rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per oggetto l'atto medesimo, donde l'inapplicabilit� della regola posta dall'art. 157 cod. proc. civ., che presuppone il carattere relativo della nullit� e la sua dlevabilit� esclusivamente su istanza della parte interessata (cfr., oltre le gi� citate Cass., nn. 6492 e 3596 del 1980; Cass. nn. 4277 del 1980 e 4462 del 1977, ed in epoca meno recente Cass., n. 1139 del 1969; Cass., Sez. Un., n. 2619 del 1968; Cass., n. 226 del 1968). Una deroga, per la verit� solo apparente, all'esposto principio � stata ammessa dalla giurisprudenza di questa Corte nell'ipotesi di un accerta� mento compiuto da un ufficio originariamente incompetente a cui il contribuente abbia presentato la propria denuncia dei redditi indicando il domicilio fiscale in comune diverso da quelfo nella cui anagrafe � iscritto. La validit� dell'accertamento, nella ipotesi considerata, � stata ritenuta in relazione alla possibilit� concessa dall'art. 10, secondo comma del testo unico del 1958 che, su istanza del contribuente, l'amministrazione fi. nanziaria possa consentirgli di stabilire il domicilio fiscale :in un comune diverso da quello previsto nel precedente art. 9, dovendo ravvisarsi nella dichiarazione del contribuente, contenuta nella denuncia, di un domicilio fiscale diverso da quello corrispondente alla residenza anagrafica, non solo una manifestazione di scienza, ma anche di volont� di carattere recet� tizio, in sostanziale corrispondenza all'istanza di cui all'art. 10, secondo ~~ 11! i:' �I'~ ; PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA comma, e nell'operato dell'ufficio accertatore un implicito accoglimento dell'istanza stessa, e ci� anche indipendentemente dall'intento malizioso o non, del contribuente (Cass., n. 4462 del 1977). Non � quindi certamente sufficiente, all'indicato fine, un comportamento meramente omissivo del contribuente, tanto pi� quando esso non sia correlato ad un obbligo posto a suo carico, ma � necessario un comportamento positivo tale da evidenziare una sia pure implicita manifestazione di volont� diretta ad ottenere lo stabilimento del domicilio fiscale in deroga a quanto disposto dall'art. 9 del testo unico, alla quale possa ritenersi corrispondente, nel senso dell'accoglimento, l'attivit� dell'ufficio. La decisione impugnata che non si � attenuta agli esposti principi e non ha provveduto agli indicati accertamenti, deve essere di conseguenza cassata, con rinvio aHa stessa commissione tributaria centrale perch� proceda ad un nuovo esame della validit� dell'accertamento in contestazione in relazione alla competenza dell'ufficio, tenendo presente che tale competenza, di carattere funzionale ed inderogabile ed il cui difetto importa la nullit� assoluta dell'atto rilevabile anche ex officio, in ogni stato e grado del procedimento tributario, si determina, nel sistema del testo unico delle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, con riferimento al domicilio fiscale, inteso, per le persone fisiche di cittadinanza italiana, come il comune di residenza anagrafica del contribuente, al momento in cui � presentata o deve essere presentata Ja dichiarazione, ed in via sussidiaria, se il domicilio fiscale non � determinabile in base al detto criterio, con riferimento al luogo di produzione del reddito, a tale regola potendo derogarsi a capsa del comportamento del contribuente solo se in questo sia ravvisabile, .anche per implicito, una manifestazione di volont�, esplicitamente o implicitamente accolta dall'Amministrazione, diretta ad ottenere che il domicilio fiscale sia stabilito in comune diverso, in deroga ai predetti criteri. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1984, n. 18 -Pres. Santosuosso Est. Scordo -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Istituto Nazionale del Dramma Antico. Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Com pensi per prestazioni artistiche -Ritenuta alla fonte -Rimborso spese � a pi� di lista � -Rigorosa documentazione -ti:. necessaria. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 128; legge 28 ottobre 1970, n. 801, art. 3). La ritenuta di acconto sulle somme a qualsiasi titolo corrisposte a titolo di prestazioni professionali, pu� essere esclusa sui rimborsi di spese RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 340 non costituenti compenso solo a condizione che i rimborsi trovino riscontro in un conto con precisa e completa documentazione. (1) (omissis) Con l'unico mezzo svolto a sostegno del ricorso, l'Amministrazione finanziaria chiede l'annullamento della decisione impugnata per insufficiente ed omessa motivazione su punti decisivi, ai sensi dell'articolo 360 n. 5, cod. proc. civ. Sostiene che, pur di fronte alla dichiarazione dell'Istituto di aver corrisposto emolumenti per lire 94.990.285 e di aver effettuato la prescritta ritenuta di acconto su parte di essi, omettendola sulla somma di lire 63.327.500, la commissione centrale ha ritenuto accertato che per questa parte l'erogazione era avvenuta a titolo di rimborso spese, e ci� sulla base della documentazione relativa ad un solo rapporto su 74; soggiunge che le somme corrisposte agli artisti in forza di lettere aggiuntive, integrative dei contratti, avrebbero comunque dovuto essere assoggettate a ritenuta, in quanto erano state erogate forfettariamente, senza che fosse stata provata la loro natura di effettivo rimborso spese, per assoluta mancanza di documenti giustificativi. Il ricorso � fondato. La motivazione della decisione impugnata si esaurisce nell'affermazio ne che, essendo pacifico in causa che tutta la documentazione era stata ritirata dalla Polizia tributaria all'atto dell'ispezione, non vi era ragione di dubitare dell'uniformit� della regolamentazione dei rapporti tra l'Ente e gli artisti che -come risultava dall'unico rapporto che il contribuente era stato in grado di documentare -prevedeva un compenso e un rim borso spese, in conformit� di una prassi vigente nel campo. teatrale. Se nonch�, la mancata esibizione della documentazione relativa agli altri 73 rapporti non poteva ritenersi giustificata, ove si consideri che -come era stato dedotto e risultava dagli atti (verbale di sequestro) -al mo mento dell'ispezione la Polizia tributaria rilasci� al contribuente la copia di tutti gli atti ritirati. Da condividersi � poi il secondo e pi� penetrante profilo della cen sura formulata dalla ricorrente amministrazione, riflettente l'omesso esa me di un punto decisivo. A fronte di erogazioni dichiarate per lire 94.990.285 e di trattenute effettuate su sole lire 34.447.000, l'affermazione dell'Ente di non avere assoggettato a ritenuta la differenza per ben lire 63.327.500, in quanto versate a titolo di rimborso spese �a pi� di lista�, non poteva accogliersi se non previo accertamento dell'effettiva natura dell'eroga zione supplettiva, in relazione ai principi vigenti nella materia. Devesi (1) Decisione di evidente esattezza che chiude la porta alla �prassi vigente� di far apparire i compensi come rimborso di spese. In effetti in taluni settori la documentazione a pi� di lista� pu� essere difficoltosa, ma non si pu� indulgere ad ammettere determinazioni forfettarie e incontrollabili di rimborsi. l I 1 j ~ t I: 1: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Hl infatti ricordare che, in forza delfa aggiunta apportata al primo comma dell'art. 128 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, dall'art. 3 della legge 28 ottobre 1970, n. 801, le regioni, le province, i comuni, le persone giuridiche private e pubbliche, le societ� e le associazioni di ogni genere e gli imprenditori commerciali dovevano operare la ritenuta nella misura dell'8 per cento a titolo di acconto dell'imposta dovuta dal soggetto percipierite, sui due terzi delle somme sotto qualsiasi forma corrisposte a titolo di prestazioni professionali. � Orbene, la perentoria formulazione della legge, chiaramente preoccupata che non sfuggisse alla tassazione anticipata parte dei proventi della attivit� professionale, impone di ritenere che la esclusione della funzione corrispettiva delle somme erogate dal benefic\ario delle prestazioni dovesse (e debba, anche in forza della attuale disciplina risultante dall'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, quale modificato dall'art. 12 della legge 13 aprile 1977, n. 114 e dall'art. 13 della legge 24 luglio 1978, n. 388) avere un rigoroso riscontro. In particolare, se � vero che il rimborso di spese non costituisce compenso, esso deve� trovare un corrispondente aritmetico in esborsi effettivamente attuati e non pu�, per definizione, essere predeterminato senza riferimento ad un conto, con una precisa e completa documentazione. E su tale esigenza, cui invano l'Amministrazione si richiamava, la motivazione del giudice tributario � totalmente carente. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 gennaio 1984, n. 457 -Pres. Sandulli Est. Battimelli -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato) c. Crespi Morbio (avv. Palladino). Tributi erariali diretti � Imposte sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza � Intento di speculazione � Fattispecie. (t.u. 29 gennaio 1945, n. 645, art. 81). L'intento di speculazione nella realizzazione di plusvalenze pu� essere accertato in base a presunzioni inerenti alle modalit� della vendita anche con riferimento al comportamento successivo dell'acquirente; nell'ipotesi di vendita di azioni l'intento di speculazione pu� essere rivelato da un accordo fra pi� possessori di azioni e fra questi e l'unico acquirente, volto a conseguire un maggior ricavo. (1) (1) La sentenza, ponendosi in una posizione diversa dalla recente pronunzia delle sezioni unite, 13 ottobre 1983, n. 5960 (in questa Rassegna, 1984, I, 135), lascia un possibile spazio per la determinazione, quasi necessariamente presuntiva, dell'intento di speculazione. Sulla questione specifica della vendita di azioni raggruppate ad un�co acquirente si era precedentemente discusso se l'accordo fra i possessori creasse 342 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO. (omissis) Ed invero, nel suo ricorso alla commissione centrale, l'uffi~ cio, per dimostrare il carattere speculativo dell'operazione in questione, f aveva diffusamente evidenziato varie circostanze, alcune ininfluenti ai fini ! [della soluzione del problema (quali la natura oggettivamente speculativa dei beni venduti -ch� in tal caso ogni vendita di azioni, comunque avvenuta, sarebbe tassabile come operazione speculativa -o operazioni po I ste in essere dai danti causa degli acquirenti -si veda in proposito quanto osservato nell'esame del secondo motivo di ricorso-), altre invece che, attenendo alla condotta posta in essere, dopo l'acquisto delle azioni, dai contribuenti, ben avrebbero potuto costituire elementi di valutazione 1 per l'accertamento di una condotta intesa a realizzare un realizzo maggiore di quello conseguente ad un puro e semplice disinvestimento pa I trimoniale, in conformit� proprio del principio di diritto correttamente enunciato dalla Commissione Centrale, evidenziato nella disamina del primo motivo di ricorso (principio che, va aggiunto, non vale solo per la alienazione di beni immobili, bens� anche per la vendita di titoli azionari, sia pure acquistati per successione). !: I L'ufficio, nel ricorso alla commissione centrale, aveva invero evidenziato sia l'oggetto delle societ� le cui azioni erano in possesso dei con I I ~ tribuenti, quali finanziarie aventi il controllo della societ� editrice del Y. quotidiano Il Corriere della Sera, sia l'esistenza di presunzioni di un i= accordo e di una cooperazione di tutti i possessori delle azioni al fine di a!lmentarne il valore di mercato, presunzioni basate sulle modalit� della vendita; tali elementi, minuziosamente indicati, e non presi in considerazione dalla decisione di secondo grado, avrebbero dovuto essere ~ esaminati, nell'espletamento dei suoi poteri di giudice anche dei fatti, I ~ dalla commissione centrale, al fine dell'accoglimento o del rigetto del ricorso in base alla valutazione che, con adeguata motivazione, la commissione centrale avrebbe dovuto dare sulla natura dei fatti medesimi. La �=� decisione impugnata invece, disattendendo proprio l'esatto principio di diritto da essa stessa enunciato (e cio� la possibilit� di ravvisare operazioni speculative anche su beni pervenuti per successione, in presenza di attivit� successive all'acquisto ed intese ad aumentare il valore di mercato dei beni cos� come pervenuti), ha del tutto ignorato l'esistenza di tali circostanze e dei motivi di ricorso dell'Ufficio che su di esse si una societ� occasionale (da considerare impresa rispetto alla quale l'intento di speculazione � presunto) ovvero desse luogo ad �altra� organizzazione di persone ex art. 8 del t.u.. delle imposte dirette (Cass., 22 luglio 1980, n. 4784, in questa Rassegna, 1981, I, 391). Ora viene superato questo passaggio ritenendo esattamente che l'accordo fra gli azionisti rivolto a far crescere il prezzo delle azioni, al quale pu� anche partecipare l'acquirente, pu� essere direttamente rivelatore di un intento di speculazione. Ci� non esclude che, emergendone i presupposti, possa ritenersi costituita una societ� occasionale che diventa una impresa. r 1: i: r: . I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 343 fondavano, ed ha genericamente respinto l'impugnazione in base alla semplice affermazione immotivata secondo cui, nel caso in esame, i contribuenti si aarebbero limitati ad effettuare la _vendita di azioni che erano loro pervenute per successione o per divisione, aggiungendo soltanto che a nulla rilevava che la cessione delle azioni fosse stata fatta a favore di un unico acquirente, e trascurando anche di esaminare il comportamento successivo di detto acquirente, pure evidenziato dall'ufficio, al fine di accertare se esso fosse o meno frutto di un accordo preesistente con i venditori e mezzo per conseguire un maggior ricavo dalla vendita delle azioni. Non � questa la sede per risolvere le questioni di fatto che sul punto, sono state sollevate da entrambe le parti, data la natura del giudizio di legittimit�; ma va peraltro rilevato che senza dubbio sussistono i denunziati vizi di difetto di motivazione e di omesso esame di fatti che non possono qui qualificarsi come decisivi in un senso o nell'altro, ma che tali, nella sua libera valutazione di merito, avrebbero dovuto essere riconosciuti dalla commissione centrale, che avrebbe dovuto valutarli per accertare se essi costituissero o meno, secondo le opposte tesi, un complesso di attivit� intese ad aumentare artificiosamente il valore dei beni. La mancata disamina e valutazione su tale punto comporta pertanto l'accoglimento del terzo motivo, con conseguente rimessione alla Commissione centrale per un pi� approfondito esame e per una sufficiente motivazione di accoglimento o di rigetto dei motivi di ricorso dell'Ufficio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1984, n. 547 -Pres. Brancaccio Est. Sensale -P. M. Catelani (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Ancarani. Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plu svalenza � Svalutazione monetaria � Deve essere dedotta dall'am montare del plusvalore. (t.u. 29 gennaio 1978, n. 645, art. 81 e 100). Poich� il concetto di reddito � assunto dalla legge come incremento pa(rim�niale reale e non soltanto nominale, nello stabilire quali debbano essere i termini da porre a confronto al fine di determinare l'an e il quantum di una plusvalenza deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi, quando i termini di confronto siano distanziati nel tempo in misura tale da ritenersi disomogenei. (1) (1) La sentenza affronta e risolve un problema grav1ss1mo e controverso con scarso approfondimento e senza considerare vastissime ripercussioni di cui il principio affermato sarebbe suscettibile. Tutta la motivazione sta nella mera considerazione che � i termini reddito, ricchezza, profitto, guadagno, incremento patrimoniale sono assunti dalla legge RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 344 (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'amministrazione delle Finanze denuncia la violazione e falsa interpretazione dell'art. 100 del t.u. 29 gennaio 1978, n. 645 e dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, censurando la decisione impugnata per avere erroneamente ritenuto che quella prospettata con i motivi di appello, circa la non incidenza della svalutazione monetaria, sulla determinazione della plusvalenza ai sensi dell'art. 100 del citato testo unico, fosse questione di fatto relativa a valutazione estimativa, come tale sottratta alla cognizione della commis� sione tributaria centrale, e per avere, in conseguenza, confermato la determinazione della plusvalenza operata dalla commissione di secondo grado, tenendo conto della svalutazione monetaria. Osserva l'amministrazione che non era stata oggetto del ricorso, da parte dell'ufficio, la quantificazione dell'indice di svalutazione, bens� la legittimit� della s~essa, in quanto non consentita dall'art. 100 del t.u. del 1958, secondo il quale, ai fini della determinazione della plusvalenza, il valore di riferimento iniziale dei beni non pu� essere superiore al costo storico non ammortizzato, o se diverso, all'ultimo valore riconosciuto fiscalmente, e le eventuali variazioni, legittimamente apportabili a tale costo, sono soltanto quelle ammesse di volta in volta, quale correttivo, dalle apposite leggi di rivalutazione per conguaglio monetario, con le quali il legislatore intende appunto consentire l'adeguamento dei valori patrimoniali di acquisto, monetariamente superati. Il ricorso � infondato. Occorre innanzi tutto precisare che la commissione tributaria centrale ha dato atto, nella motivazione della decisione impugnata, che la contestazione da parte dell'Ufficio investiva la legittimit� dell'applicazione di un indice cli svalutazione monetaria al fine della determinazione del reddito differenziale tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita dell'immobile. Nel ritenere che tale criterio rientri fra quelli inerenti alla estimazione del reddito )a Commissione centrale ha necessariamente presupposto e recepiti dall'interprete nel loro indeclinabile presupposto economico �. In base a questo enunciato generale, non si giustificherebbe la limitazione della considerazione della svalutazione monetaria alle svalutazioni in cui essa ha operato in uno spazio temporale notevolmente lungo (ma quanto lungo?); se l'incremento nominale non � reddito, dovrebbe essere sempre neutro. Questo dovrebbe allora significare, si pu� dire per assurdo, che ogni reddito deve essere depurato dall'incremento nominale da svalutaziO'Ile; i redditi di lavoro dipendente incrementati in ragione del costo della vita, i redditi di capitali che producono interessi ad un tas�so la cui altezza � dovuta alla diminuzione del potere di acquisto della moneta, i redditi dei fabbricati stabiliti su canoni di locazione rivalutati secondo indici ISTAT, i redditi di lavoro autonomo regolati da tariffe professionali adeguate frequentemente al mutato valore della moneta, come dovrebbero essere considerati a fini dell'imposizione? E nello ambito del reddito di impresa non solo le plusvalenze ma anche i ricavi e le rimanenze dovrebbero essere allo stesso modo depurati. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 345 l'affermazione della legittimit� dell'applicazione di un indice di svalutazione nell'accertamento della plusvalenza, risolvendo cos� sfavorevolmente all'Amministrazio;1e la questione di diritto che essa aveva posto e passando poi alla ulteriore affermazione del carattere meramente estimativo della determinazione in concreto dell'indice di svalutazione. Ci� che occorre verificare � se la prima affermazione -quella di diritto -resista alle censure formulate dall'Amministrazione. �:. necessario premettere che nella decisione impugnata si afferma espressamente che l'Ufficio aveva inte~o perseguire il reddito conseguito dagli Ancarani con la vendita dell'albergo Rio non come plusvalenza nello ambito della seconda parte del secondo comma dell'art. 81 del t.u. n. 645 del 1958 (sotto il cui vigore la fattispecie impositiva si � realizzata), cio� come plusvalenza conseguita da soggetto non imprenditore commerciale in dipendenza di operazione speculativa, bens� in base al successivo art. 100, cio� come plusvalenza commerciale, comprensiva dell'avviamento, derivante dal realizzo dei beni relativi alI'impresa. Ed � questo un punto fermo della decisione, che non ha formato oggetto d'impugnazione e dal quale deve, quindi, procedersi nell'esame del ricorso. Presupposto dell'imposta di ricchezza mobile �, secondo l'art. 81, la produzione di un reddito netto, in denaro o in natura, continuativo od occasionale, derivante da capitale o dal concorso di capitale o lavoro ovvero derivante da qualsiasi altra fonte e non assoggettabile ad imposta sui terreni o sui fabbricati. Costituiscono, inoltre, presupposto dell'importo le plusvalenze e le sopravvenienze indicati negli art. 100 (per le imprese commerciali) e 106 (per i soggetti tassabili in base a bilancio), le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni speculative nonch� i premi su prestiti e le vincite di lotterie, concorsi a premio, giuochi e scommesse. Oggetto della imposta �, quindi, la nuova ricchezza prodotta, s� che nel concetto giuridico-tributario di plusvalenza � insito il connotato che il soggetto passivo dell'imposta abbia conseguito un profitto, un guadagno, un incremento patrimoniale -che Ma a questo punto, se ci si avvia alla totale eliminazione del principio nominalistico (come tornando al baratto) si dovr� anche dire che imposte su redditi riportati ai livelli di venti anni addietro vanno pagate secondo il valore che la moneta aveva in quello stesso periodo. Riguardo poi al reddito di impresa sul quale influiscono criteri di valutazione rigidi diventa impensabile solo l'idea di tener in considerazione la svalutazione. Se la soluzione del problema � cos� semplice, che senso hanno le leggi e i progetti sulle rivalutazioni monetarie, le indicizzazioni e i rimedi vari che si tentano per mitigare, senza mai totalmente escluderli, gli effetti della svalutazione in taluni settori? Certamente un problema esiste, ma � un problema politico colossale che non si pu� fingere di scavalcare in via di interpretazione. E non basta un richiamo all'art. 53 Cost., specie dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 126 del 1979. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 346 l'art. 100 indica nel realizzo dei beni ad un prezzo superiore al costo non ammortizzato o, se diverso, all'ultimo valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito -senza di che non vi sarebbe plusvalenza tassabile. Appare, quindi, evidente che il concetto giuridico-tributario di plusvalenza non pu� separarsi dal suo substrato economico (in base al quale la plusvalenza indica il calcolo di una valenza aggiuntiva), poich� i termini �reddito�, �ricchezza�, �profitto�, �guadagno�, �incremento patrimoniale�, sono assunti dalla legge e recepiti dall'interprete nel loro indeclinabile presupposto economico. Se ne trae la conseguenza che, anche nella previsione dell'art. 100 (per il quale -� detto testualmente -concorrono a formare il reddito imponibile le plusvalenze derivanti dal realizzo di beni... ad un prezzo superiore al costo non ammortizzato), perch� vi sia plusvalenza, � necessario che questa costituisca reddito, cio� reale incremento patrimoniale, poich� detta norma fa applicazione ai redditi di impresa, di principi dettati in generale dall'art. 81 (con il quale va raccordata) e poich� l'alternativa in essa prevista � indicata in una espressione economica, qual � il valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito. Ne deriva che, nello stabilire quali debbano essere i termini da porre a confronto, ai fini dell'an e del quantum della plusvalenza, l'art. 100 non pu� fare riferimento che ad entit� omogenee, ossia a valori che vanno riportati ad omogeneit� (tenendosi conto della verificatasi valutazione monetaria) quando siano dal punto di vista temporale cos� distanti (come nel caso concreto, nel quale tale distanza � stata accertata in dieci anni) da indurre a ritenere certa la loro disomogeneit�: ci� perch� lo art. 100, letto in aderenza al principio costituzionale per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacit� contributiva, si riferisce a valori reddituali e ad un concetto di plusvalenza che non pu� essere meramente nominale, bens� effettiva e reale, come realizzo di maggior valore. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1984 n. 635 -Pres. Santosuosso -Est. Sgroi -P. M. Paolucci (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Fabbi e Plevisani (avv Declich). Tributi erariali diretti � Soggetti passivi � Sostituto d'imposta � Trasferimento di azienda nel corso del periodo di imposta � Dovere di dichiarazione per il cedente � Sussiste � Responsabilit� solidale del cessionario. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 14, 25, 127, 143 e 197). Colui che si trova nelle condizioni previste dalla legge per eseguire la ritenuta e il versamento dell'imposta dovuta dai percipienti � altres� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi altrui, corrisposti nel periodo di imposta; ove nel corso del periodo di imposta si verifichi la cessazione della qualit� di sostituto d'imposta non viene meno l'obbligo della dichiarazione per i redditi erogati fino al momento della cessazione; se poi nella posizione subentra un altro soggetto quale cessionario di azienda, questi risponder� solidalmente dell'imposta, ma ci� non fa venir meno i doveri del cedente n� per il pagamento n� per la dichiarazione. (1) (omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione finanziaria dello Stato deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 14, 19, 25, 30, 3~, 127, 143 e 197 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 (artt. 360 n. 3 cod. proc. civ. e 111 Cast.), osservando che � l'avvenuta corresponsione di una retribuzione sulla base di un rapporto di lavoro in atto che vale a costituire l'imprenditore nella posizione di obbligato al pagamento dell'imposta in luogo di altri, cio� di sostituto d'imposta. In ragione, poi, della posizione cos� acquisita graver� sull'imprenditore il dovere strumentale di dichiarare i redditi altrui. La circostanza che, nel corso del periodo d'imposta, altri sia succeduto nella titolarit� dell'azienda e degli inerenti rapporti di lavoro, non determina il venir meno della qualit� di sostituto in capo all'imprenditore che dismette quella titolarit�, ma solo l'aggiungersi agli obblighi del sostituto della responsabilit� dell'acquirente il quale � soggetto estraneo ai rapporti d'imposta sorti prima del suo acquisto e, a differenza del sostituto, non � soggetto necessario del rapporto di accertamento. Il motivo � fondato. Si deve premettere che i controricorrenti sostengono l'esattezza della decisione impugnata sulla base di presupposti di fatto che non si rinvengono in essa, e cio� dell'assunto che gli agenti (1) Decisione esattissima che applica al sostituto di imposta le stesse regole che valgono per il contribuente riguardo alla successione nel rapporto: E' noto che non � mai ammessa nel rapporto tributario la successione a titolo particolare, con la conseguenza che ove nel corso del periodo si sia verificata la cessazione della situazione che d� origine al rapporto (sia del contribuente che del sostituto) resta fermo sia l'obbligo di pagamento sia il dovere di dichiarazione; ove poi vi sia stata cessione d'azienda nasce per il cessionario una obbligazione sussidiaria per il pagamento (responsabile d'imposta) che si affianca a quella del cedente senza sostituirla. Tutto ci� risulta confermato dall'art. 22 del t.u. del 1958 (oggi art. 11 d.P.R. n. 600/1973) il quale prevede che nel caso di fusione di societ� la dichiarazione relativa all'ultimo periodo (o allo spezzone di periodo) dei soggetti estinti deve essere presentata dalla societ� risultante dalla fusione o incorporante (vale cio� la regola opposta); ma ci� avviene perch� questa � una successione a titolo universale a seguito della quale la societ� assorbita nella fusione non esiste pi� e quindi i redditi da essa prodotti (o erogati a terzi) devono essere necessariamente dicl�arati dal suo successore. Quando, al contrario, non si verifica successione, il soggetto al quale sono imputabili i redditi conserva tutti i suoi obblighi e doveri formali, vi sia stato o meno un subingresso nella sua posizione a titolo particolare. 348 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Fabbi e Plevisani, nel periodo semestrale nel quale erano stati titolari dell'agenzia LN.A., non erano i datori di lavoro dei produttori inseriti nell'organizzazione dell'agenzia stessa, i quali dipendevano direttamente dall'Istituto nazionale delle assicurazioni che li pagava. Tale assunto di fatto -per cui gli agenti Fabbi e Plcvisani' non avrebbero mai rivestito la posizione di sostituti d'imposta dei produttori -non � contenuto nella decisione impugnata, la quale ha invece affermato che i suddetti non rivestivano la qualifica attuale di datori di lavoro al momento della dichiarazione (31 marzo 1971) e non potevano a tale epoca esercitare il diritto di rivalsa ed adempiere alle formalit� richieste dall'art. 25 del t.u. n. 645 del 1958. � evidente, pertanto, che la commissione centrale (la quale poteva compiere indagini in fatto sulla qualit� o meno di datore di lavoro dei produttori, a norma dell'art. 26 del d.P.R. 26 qttobre 1972, n. 636) non ha escluso che nel periodo seme� strale dal 1� gennaio al 30 giugno 1970 i Fabbi e Plevisani fossero stati datori di lavoro dei produttori dell'agenzia da loro gestita in quella epoca, ma ha soltanto escluso l'attualit� degli obblighi al momento della scadenza della dichiarazione dei redditi, ritenendo che i suddetti obblighi fossero condizionati alla persistenza della � posizione del datore di lavoro nel soggetto tenuto alla dichiarazione� a quel momento. I controricorrenti, per poter utilmente ancorare la loro tesi ad un diverso presupposto di fatto (e cio� all'assenza, in qualsiasi momento anteriore alla scadenza dell'obbligo della dichiarazione dei redditi, della qualit� di datori di lavoro e di sostituti d'imposta dei produttori) non potevano limitarsi -come hanno fatto -a chiedere la conferma sul punto della decisione impugnata, ma avrebbero dovuto proporre ricorso incidentale condizionato volto all'annullamento della stessa decisione, per un nuovo accertamento di fatto sui rapporti con i produttori dell'agenzia. Poich� in questa sede -come � ovvio -non si pu� procedere ad un accertamento di fatto diverso da quello contenuto nella decisione impugnata, e poich� tale accertamento risulta incentrato sulla �cessazione � della qualit� di datori di lavoro (che presuppon,e evidentemente l'esistenza di tale qualit�, anteriormente a tale cessazione), si deve affermare l'erroneit� delle conseguenze tratte in linea di diritto dalla decisione impugnata. L'art. 127, primo comma, del citato t.u. disponeva che la rivalsa obbligatoria dell'imposta gravante sui redditi indicati dall'art. 87 corrisposti ai prestatori di lavoro doveva essere operata in ciascun periodo di paga mediante ritenuta all'atto della corresponsione dei redditi. L'articolo 143 disponeva che nei casi previsti dall'art. 127, primo e secondo comma, doveva essere operata in ciascun periodo di paga, a titolo di acconto dell'imposta complementare dovuta dal prestatore di lavoro sul reddito complessivo da accertare in base alla dichiarazione, la ritenuta con le aliquote indicate nel medesimo articolo. Era quindi l'avvenuta ~ ~: b PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA corresponsione di una retribuzione sulla base di un rapporto di lavoro, in atto non al momento della dichiarazione, ma al moniento del pagamento, che co:;tituiva l'imprenditore nella posizione di sostituto d'imposta ex art. 14. Il sostituto aveva l'obbligo della dichiarazione dei redditi altrui, a norma dell'art. 19, 21, terzo comma, e 25 del t.u. In particolare -poich� quest'ultima norma si riferiva alle retribuzioni gi� corrisposte -non si vede quale fosse la .pretesa impossibilit� di adempiere alle formalit� in essa dettate, affermata dalla Commissione centrale. � evidente che, a stare al suo assunto, anche il licenziamento o le dimissioni del lavoratore dipendente durante il corso dell'anno precedente (al quale si riferiva la dichiarazione unica dei redditi) avrebbero comportato la � cessazione � della qualit� di sostituto d'imposta e l'inesistenza degli obblighi citati in capo all'imprenditore. La conclusione che sarebbe nella logica della decisione impugnata -� tale che da sola vale a far rilevare l'erroneit� della tesi di fondo. La verit� � pi� semplice: esisteva l'obbligo, secondo opportuni calcoli (si vedano, per esempio, le tabelle delle ritenute periodiche contenute nella circolare 29 maggio 1971 n. 22) di operare le ritenute periodicamente e di dichiarare i redditi effettivamente corrisposti nell'anno anteriore, anche se il rapporto di lavoro fosse cessato durante il corso dell'anno stesso, p~r qualsiasi motivo attinente o al lavoratore (licenziamento, dimissioni, e�c.) o al datore di lavoro (cessazione dell'impresa; trapasso di essa -ivi compresi i rapporti di lavoro -da un soggetto all'altro, ecc.). In particolare, il subentro di un impren�l.itore ad un altro comportava per il cedente l'obbligo della denuncia di cessazione ex art. 30 del t.u., che espressamente disponeva che la presentazione della denuncia di cessazione non esimeva il contribuente dall'obbligo della dichiarazione; e, per il cessionario, la responsabilit� solidale ex art. 197, che presupponeva la responsabilit� anche del cedente per le imposte dovute per il periodo in corso alla data della cessione, ivi comprese le imposte sui redditi di cat. C/2, e cio� sui redditi dei lavoratori dipendenti dalla impresa ceduta. Concludendo, l'impreditore che cessava dalla titolarit� dell'azienda nel corso del periodo d'imposta, come era obbligato a pagare -con obbligo di rivalsa -le imposte di cui agli artt. 127 e 143 sui redditi corrisposti fino alla cessazione, cos� era tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi stessi ed era soggetto ad accertamento, in caso di omissione, ai sensi dell'art. 31 del t.u. n. 645 del 1958. Erroneamente, pertanto, la Commissione centrale ha dichiarato nullo l'avviso di accertamento nei confronti dei Fabbi e Plevisani, in quanto, invece, esso poteva spiegare effetto nei confronti dei predetti nei limiti delle retribuzioni da loro �corrisposte ai produttori nel semestre in cui erano stati titolari dell'agenzia dell'I.N.A. (omissis) 350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 febbraio 1984, n. 871 -Pres. Mirabelli -Est. Cantillo -P.M. (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. De Pisis. Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Ripartizione di potest� tra �ommissioni e giudice ordinario e questione di giurisdizione � Ri� partizione di potest� tra commissioni di primo e secondo grado e corte di appello � :t questione di competenza. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 40). Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Giurisdizione � Giudizi pen� denti innanzi alla giurisdizione ordinaria alla data di entrata in vigore della riforma del contenzioso � Perpetuazione della giuri� sdizione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 43). Poich� le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione speciale, costituisce questione di giurisdizione quella attinente al riparto di potest� tra giudice ordinario e commissioni. D� luogo invece a questione di competenza quella attinente al riparto, nell'ambito di stesso processo, di potest� tra commissioni di primo e secondo grado e corte d'appello. (1) Con l'attuazione della riforma del processo tributario, non � venuta meno la giurisdizione ordinaria per i procedimenti gi� pendenti. (2) (omissis) 1. -Con unico motivo di ricorso, denunziando la violazione dell'art. 42 �od. proc. civ., in relazione all'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l'Amministrazione deduce che anche nella disciplina del nuovo contenzioso le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione speciale e non organi specializzati del giudice ordinario, come ritenuto dalla sentenza impugnata, la quale perci� ha erroneamente dichiarato inammissibile l'appello sul presupposto che il Tribunale, nel declinare la giurisdizione a favore delle commissioni, avesse in realt� deciso una questione di competenza, cio� una pronunzia impugnabile solo con il regolamento di competenza, ex art. 42 cit. La censura � fondata. La sentenza in esame � motivata in base all'unico rilievo che diversamente da quanto accadeva nel sistema del contenzioso precedente alla riforma, in cui il giudizio davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria era del tutto distinto da quello che si svolgeva presso le commissioni tributarie (ciascuno sviluppandosi in maniera indipendente, secondo un mo (1-2) La prima massima, di evidente esattezza, � particolarmente interessante per quanto concerne la posizione della corte d'appello nell'ambito del processo speciale; sul punto era gi� intervenuta la sentenza 31 marzo 1983, n. 2350, in questa Rassegna, 1983, I, 552. La seconda massima � ineccepibile. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dello processuale compiuto nella struttura e nei suoi gradi) nel nuovo ordinamento della giustizia tributaria il ricorso alla Corte di appello non d� luogo ad. un'autonoma azione giudiziaria, ma configura un normale mezzo di impugnazione della -decisione della commissione di secondo grado, previsto nell'ambito dell'unico processo tributario come rimedio alternativo di contenuto uguale al ricorso alla Commissione centrale (art. 40 d.P.R. n. 636 del 1972); questo carattere unitario del giudizio dimostra, secondo la Corte napoletana, che la giurisdizione in materia � rimasta affidata al giudice ordinario e che perci� le commissioni, partecipi della stessa giurisdizione, non possono che essere considerate organi specializzati di detto giudice. L'inconsistenza della tesi risulta evidente appena si consideri che nel nostro ordinamento, in virt� del tassativo disposto dell'art. 102 Cost., non � ammessa una figura di giudice specializzato diversa dalle sezioni specializzate che, per determinate materie, si possono costituire presso gli organi giudiziari ordinari, ancorch� con la partecipazione di estranei alla magistratura (partecipazione che integra e non sostituisce, nello spirito e nella lettera del precetto costituzionale, la funzione giurisdizionale dei magistrati ordinari); e tali non sono, manifestamente, le commissioni tributarie, le quali -oltre ad essere investite solo (di parte) della matera tributaria -costituiscono uffici giudiziari del tutto distinti e autonomi da quelli ordinari, organizzati in modo affatto diverso e ' coordinati in un apposito apparato giurisdizionale. � perci� principio assolutamente pacifico -tanto nella giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr. fra le pi� recenti, sent. n. 2350 del 1983; n. 3877 del 1979; n. 4507 del 1978; n. 942 del 1977), quanto, superato ii dubbio sulla loro giurisdizionalit�, nella giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. n. 57 del 1982; n. 215 del 1976; n. 287 del 1974) -che le commissioni in oggetto sono organi speciali di giurisdizione; qualifica che, del resto, si impone anche alla stregua dell'esegesi storica della legislazione in materia, essendo ben noto che la nuova disciplina � stata dettata in attuazione della disposizione transitoria VI della Costituzione, sulla revisione delle residue giurisdizioni speciali. -In realt�, come queste Sezioni unite hanno gi� avuto occasione di precisare (sent. n. 2350 del 1983), l'inserimento della Corte di appello, quale giudice eventuale di un'impugnazione limitata (essendone escluse le questioni di fatto relative alla valutazione estimativa e alla misura delle pene pecuniarie), nell'ambito di un unico processo tributario di merito affidato nei primi due gradi esclusivamente alle commissioni tributarie, non incide n� sulla natura di queste, che non sono attratte nella giurisdizione ordinaria, n� sulla posizione della Corte di appello, che non diventa organo di giurisdizione speciale; e con questo singolare modulo processuale -adottato dal legislatore della riforma allo scopo di eliminare il previgente sistema della duplice tutela, privilegiando il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 352 giudice speciale senza tuttavia escludere quello ordinario -entrambe le giurisdizioni vengono coordinate nello svolgimento dello stesso processo, all'interno del quale la potest� giurisdizionale nella materia tributaria risulta attribuita anche alla magistratura ordinaria, limitatamente ad un suo organo e ad una fase di gravame. Agli effetti che qui interessano, tale collegamento assume rilievo nei rapporti endoprocessuali tra le commissioni e la Corte di appello, adita in sede di impugnazione della decisione della commissione di secondo grado, dovendosi negare -come pure � stato chiarito (con la citata sentenza n. 2350 del 1983) -che essi diano luogo a problemi di giurisdizione. Una questione di giurisdizione, secondo la nozione che si ricava dall'art. 41 cod. proc. civ., sussiste quando si discute se il potere giurisdizionale sulla controversia appartenga, invece che al giudice ordinario, ad un giudice speciale, la cui giurisdizione si pone, quindi, in alternativa e in contrapposizione a quella ordinaria in virt� di norme che attribuiscono le contravesie in materia alla prima e non alla seconda; e un problema di questo tipo in nessun caso pu� sorgere tra gli organi suddetti, i quali, essendo preposti a gradi diversi del medesimo giudizio, per ci� stesso sono provvisti di potest� giurisdizionale sulle controversie per le quali quel procedimento � stato istituito. La diversit� delle due giurisdizioni (in senso soggettivo), cio�, diventa giuridicamente irrilevante, sotto il profilo in esame, in conseguenza del loro coordinamento nello stesso sistema di tutela giudiziaria dei diritti e interessi relativi alla materia: le norme che qualificano i rapporti fra organo ordinario e speciale non sono quelle che delimitano l'ambito della speciale giurisdizione tributaria, che costituiscono il comune fondamento della potest� giurisdizionale di tali uffici sulle controversie in materia, bens� quelle che disciplinano il gravame innanzi alla corte di appello, definendo la sua competenza funzionale quale giudice di una fase del processo; e rispetto a tali norme si configurano soltanto problemi di ammissibilit� dell'impugnazione, non certo di appartenenza della cognizione della controversia al detto giudice ordinario o al giudice speciale (per questa ragione non involge un .problema di giurisdizione a�certare se, agli effetti dehl'art. 40 cit., una questione sia inerente a valutazione estimativa e se, quindi, la statuizione della commissione di secondo grado possa essere impugnata davanti aJ.la Corte di appello). A conclusione opposta si deve pervenire, invece, per le questioni che investono� i rapporti tra commissioni e giudice ordinario esterni al processo tributario, perch� allora, essendo in discussione se la controversia debba essere decisa con tale procedimento, il problema attiene al riparto delle giurisdizioni. Le norme che determinano la materia oggetto del processo, infatti, delimitano la giurisdizione dei giudici speciali rispetto a quella della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 magistratura ordinaria, la cui potest� giurisdizionale sussiste -come si � detto ..:.... solo all'interno del medesimo procedimento ed � circoscritta all'impugnazione di una pronuncia resa dal giudice speciale, con la conseguenza che il giudice ordinario, se non ad�to con tale impugnazione, difetta di giurisdizione. Involge perci� una questione di giurisdizione, e non di competenza, stabilire se una controversia rientra fra quelle che, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. n. 636 del 1972 (modif. con d.P.R. n. 739 del 1981), sono devo-Iute alle commissioni tributarie, per essere decise con lo speciale procedimento prevjsto da detta legge, ovvero di essa debba conoscere il giudice ordinario, secondo le normali regole processuali; la pronunzia resa al riguardo da quest'ultimo giudice non �, quindi, impugnabile con regolamento di competenza. Nella specie, declinando la giurisdizione a favore delle commissioni, il tribunale di Napoli, ha effettivamente risolto una questione di giurisdizione e conseguenzialmente deve essere cassata la sentenza della Corte di appello, la quale ha dichiarato inammissibile l'appello nell'errato convincimento che la pronunzia dovesse essere necessariamente impugnata con il regolamento di competenza, ai sensi dell'art. 42 cod. proc. civ. 2. -Queste sezioni unite, chiamate a regolare la giurisdizione, debbono tuttavia rilevare che ugualmente non � conforme a diritto la pronunzia del Tribunale, il quale, nel dichiarare il difetto di giurisdizione in base alla disciplina del nuovo contenzioso tributario, non ha considerato che essa non si applica ai giudizi che, alla data della sua entrata in vigore, erano pendenti innanzi ai giudici ordinari in forza della pregressa normativa. Quanto alle controversie relative ai tributi precedenti alla riforma, infatti, il d.P.R. n. 636 del 1972 regola soltanto i procedimenti innanzi alle vecchie commissioni, stabilendo all'art. 43, secondo comma, che essi passano automaticamente alla cognizione delle nuove commissioni dalla data di insediamento delle stesse. Nulla direttamente dispone, invece, per i giudizi pendenti davanti ai giudici ordinari, ma al quarto comma dello stesso art. 43 detta che nelle controversie decise dalle passate commissioni prima della data di insediamento delle nuove, le parti possono, se ancora in termini, �esperire l'azione giudiziaria dinanzi ai tribunali, secondo le disposizioni anteriormente vigenti �. Ora, poich� nel sistema previgente era prevista, come si � ricordato, una distinta azione davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria, munita di autonoma giurisdizione al riguardo, gi� l'assenza di una norma che abroghi con effetto retroattivo tale giurisdizione conduce ad escludere che la nuova disciplina sia applicabile alle cause pendenti. N� la retroattivit� dell'abrogazione si desume per implicito da ~tre norme, nessuna delle quali incide ex tunc sui presupposti di quella giurisdizione; e tanto � 354 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO meno pu� essere invocato il principio tempus regit actum, essendo evidente che le disposizioni del nuovo contenzioso, concernenti il giudizio innanzi alle commissioni, non operano quali norme processuali nei procedimenti ordinari. Ma la conclusione suddetta si impone anche in base al disposto del quarto comma dell'art. 43, innanzi riferito: poich� in tal modo � stata transitoriamente mantenuta in vita la precedente normativa nelle ipotesi in cui il ricorso all'autorit� giudiziaria, pur non essendo stato proposto, era ancora proponibile, a fortiori si deve ritenere che la medesima normativa � rimasta ferma per le controversie gi� portate alla cognizione del giudice ordinario. Tal'� quella in esame, in quanto risulta dagli atti che alla data d� entrata in vigore della nuova disciplina il giudizio era pendente innanzi al tribunale di Napoli, ritualmente ad�to secondo la normativa dell'epoca, ess'endo stata opposta un'ingiunzione di pagamento per imposta di registro. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 febbraio 1984, n. 932 -Pres. Santosuosso -Est. Caturani -P. M. Paolucci (d�ff.) -Ministero delle Finanze (Vice Avv. Gen. Stato Gargiulo) c. Galletti. Tributi erariali diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Presupposti � Integrazione nel corso del processo � Legittimit�. Tributi erariali diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Prova del fatti indice � Insufficienza � Pronuncia del giudice di terzo grado � Legittimit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). Tributi erari~Ii diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Ricerca ana� litica di un singolo cespite � Illegittmit�. L'accertamento induttivo, se pure deve indicare sinteticamente i fatti sui quali si fonda, non richiede una specifica e dettagliata enunciazione dei fatti stessi; in ogni caso nel processo giurisdizionale contro l'accertamento l'ufficio pu� procedere ad una specificazione e integrazione della motivazione. (1) (1-3) La prima massima, che ha un precedente in Cass., 18 luglio 1979, n. 4261 (in Comm. Trib. centrale, 1979, II, 1805) � molto importante. Non pu� invece essere condivisa la terza massima (in senso conforme Cass., 12 ottobre 1981, n. 5338, in questa Rassegna, 1982, I, 175); se � vero che non � possibile determinare sinteticamente il reddito complessivo e a questo aggiungere un reddito specificamente accertato (in tal modo si farebbe una duplicazione), non si vede perch� nella determinazione induttiva non possono essere utilizzati PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 Ove i fatti indice che giustificano l'accertamento induttivo non siano stati dimostrati, il giudice di terzo grado pu� dichiarare l'illegittimit� dell'accertamento. (2) Quando si procede all'accertamento induttivo del reddito complessivo, non possono essere utilizzati elementi attinenti a redditi specifici. (3) (omissis) Gli uffici distrettuali delle imposte dirette di Firenze e Prato notificarono in varie date ad Ascanio. Galletti accertamenti per imposta complementare sul reddito relativamente agli anni dal 1956 al 1964: in tutti gli atti di accertamento si rilevava che il metodo analitico appariva insufficiente perch� in contrasto con la effettiva capacit� contributiva del Galletti, e perci� si riteneva doversi procedere ad accertamento in via sintetica, accertando per i singoli anni un reddito complessivo di lire venti milioni in base al tenore di vita lussuoso del contribuente, al personale di servizio, all'annuale villeggiatura, al possesso di autovetture, nonch� per la mancata dichiarazione degli �nteressi percepiti dalla Societ� Purfina Italiana a titolo di ripartizione degli utili sulle azioni da lui possedute (n. 17.800 del valore nominale di lire 50.000). Sui ricorsi presentati dal Galletti, le commissioni tributarie determinavano il reddito, per i singoli anni, in lire cinque milioni. Deceduto il Galletti il 6 maggio 1964, gli eredi Giuseppe, Eleonora e Maria Adriana Galletti, con separati atti di citazione in data 15 aprile 1976, con:venivano innanzi alla Corte di appello di Firenze l'amministrazione finanziaria dello Stato e chiedevano che fosse dichiarata la nullit� ed illegittimit� degli accertamenti tributari. oltre a indici generali (tenore di vita) fatti pi� specifici (nel caso possesso di azioni) che concorrono a sostenere la presunzione di capacit� contributiva. �� La seconda massima non appare 'esatta n� sul punto della illegittimit� dell'accertamento quando non siano dimostrati i fatti addotti come indice di capacit�, n� sul punto della pronuncia su tale questione da parte del giudice di terzo grado. Sotto il primo profilo occorre distinguere tra motivazione dello accertamento, che pu� comportare la illegittimit� (integrale) dell'atto, e dimostrazione dei fatti assunti nella motivazione, che attiene alla fondatezza della pretesa nel merito. L'accertamento pu� cio� essere motivato su fatti non dimostrati, ovvero non motivato bench� sia data la prova dei fatti (Cass., 3 maggio 1971, n. 1271, in questa Rassegna, 1971, I, 1076). Ci� chiarito appare evidente che la prova dei fatti che sorreggono l'accertamento, la cui insufficienza pu� portare ad una riduzione della base imponibile o anche alla dichiarazione della totale infondatezza della pretesa, rientra nella semplice estimazione (o valutazione estimativa). Rientra nei poteri del giudice di terzo grado la pronunzia, in punto di diritto sulla legittimit� del ricorso all'accertamento induttivo, ma non quella sulla valutazione della quantit� imponibile determinata induttivamente e sulla relativa prova (Cass., 10 aprile 1979, n. 2046, in questa Rassegna, 1979, I, 719; 6 marzo 1980, n. 1500, ivi, 1981, I, 125). Ed � ormai pacifico che anche l'accertamento della esistenza del presupposto del reddito non esorbita dalla estimazione semplice (Cass., 12 maggio 1979, n. 2739, ivi, 1979, I, 763; 27 giugno 1981, n. 4185, ivi, 1982, I, 152; 11 agosto 1982, n. 4519, ivi, 1983, I, 171; 13 ottobre 1983, n. 5960, ivi, 1984, I, 135). 356 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nella resistenza della convenuta amministrazione, la Corte d'appello, con la sentenza in questa sede �impugnata, dichiarava illegittimi gli accertamenti impugnati, rilevando: a) non si spiega anzitutto, avendo gli uffici proceduto ad un accertamento sintetico, come sia stato osservato che il contribuente avrebbe omesso di dichiarare gli interessi percepiti dalla societ� Purfina Italiana sulle 17.800 azioni da lui possedute: il rilievo avrebbe potuto giustificare una rettifica dei redditi analiticamente dichiarati, ma non poteva costituire elemento da prendere a base per un accertamento sintetico; comunque, della omessa dichiarazione dei detti redditi il giudice non pu� tener alcun conto perch� le azioni della Purfina furono vendute dal Galletti nel novembre 1955, cio� in epoca anteriore agli anni cui gli accertamenti si riferiscono; b) per quanto riguarda la legittimit� dell'accertamento sintetico, esso richiede la sussistenza e la contest�Zione di elementi e fatti concreti, specifici e comprovati, valutabili in termini di vera e propria erogazione di reddito, onde nel caso di specie si dovevano quanto meno contestare i fatti che inducevano a ritenere lussuoso il tenore di vita del Galletti e si doveva contestare il numero delle persone al suo servizio, le localit� ed i tempi delle villeggiature, il numero delle automobili, perch� soltanto fatti e contestazioni di tal genere potevano far ritenere legittimo l'abbandono dell'accertamento analitico ed il ricorso a quello sintetico; e) inoltre, i fatti indicati come elementi giustificativi degli accer tamenti sintetici non sono veri e sono contestati senza smentita. Comunque, pur prescindendo dalla verit� dei fatti indicati, i conte stati accertamenti sono illegittimi per violazione delle norme che disci plinano l'accertamento fiscale con il metodo sintetico di cui al t.u. del 1958, n. 645; d) non si versa infatti in tema di estimazione semplice, come so stenuto dall'amministrazione finanziaria, perch� la controversia pone una questione di diritto in quanto importa il quesito in ordine alla legitti mit� o meno della condotta degli uffici tributari con riferimento, in particolare, alle norme che regolano le operazioni di accertamento con il metodo sintetico. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre l'Amministrazione finanziaria dello Stato sulla base di due motivi; resistono con controricorso Giuseppe, Eleonora e Maria Adriana Galletti che hanno anche depositato memoria. ;:: MOTIVI DELLA DECISIONE I 1 Con il primo motivo, denunziandosi violazione degli artt. 37 e 137 gel t.u. n. 645/1958, dell'art. 40 d.P.R. n. 636/1972, dell'art. 2697 cod. civ., i I PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nonch� difetto di motivazione, la ricorrente sostiene che la sentenza im� pugnata ha proceduto in realt� ad un riesame dei presupposti di fatto dell'accertamento sintetico e per giustificarlo � incorsa in un capovolgimento logico della motivazione, facendo dipendere la legittimit� dello accertamento induttivo unicamente dalla effettiva esistenza dei fatti assunti in accertamento. Si assume altres� che la Corte di appello non ha considerato che il possesso da parte del contribuente di azioni della societ� Purf�na del valore di un miliardo di lire era stato indicato dall'amministrazione come indice di una specifica capacit� contributiva, a nulla rilevando che il Galletti si fosse spogliato di quelle azioni nel 1956, in quanto al posto delle azioni era subentrato il relativo prezzo, sicch� quel dato legittimava ancor pi� l'ufficio a procedere induttivamente contro il Galletti. Le riassunte censure sono infondate. Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l'obbligo di motivazione dell'accertamento induttivo di un reddito pi� elevato di quello dichiarato dal contribuente, ai sensi e sotto il vigore del t.u. sulle imposte dirette di cui al d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, deve ritenersi assolto qualora il relativo atto contenga, si� pure in modo sintetico findicazione dei fatti sui quali l'accertamento medesimo si fonda, s� che il contribuente sia in grado di conoscere la pretesa fiscale in tutti i suoi elementi essenziali, ai fini di una efficace contestazione sull'an e sul quantum (sent. nn. 2122/83; 3898/SO; 2324/79; 1689/78). Il principio medesimo � stato applicato altres� con riguardo alla imposta complementare con accertamento del reddito in base a metodo induttivo (art. 137 d.P.R. cit.) nel senso che in tal caso si richiede una specificazione e contestazione al contribuente dei fatti indici posti a base dell'accertamento stesso, nonch� la loro idoneit� a gius!ificare il ricorso a quel metodo, ed il relativo controllo � devoluto alla Corte di appello in sede di impugnazione della decisione della commissione tributaria di secondo grado (sent. nn. 48/78; 4576/79; 3609/81; 2140/82, di cui la prima resa a sezioni unite). Nel caso di specie, la Corte di appello ha interpretato questo indirizzo nel senso che la Finanza avrebbe dovuto contestare i fatti che inducevano a ritenere lussuoso il tenore di vita del Galletti nonch� il numero delle persone al suo servizio, le localit� ed i tempi della villeggiatura, il numero delle automobili, perch� soltanto fatti e contestazioni di tal genere potevano far ritenere legittimo l'abbandono dell'accertamento analitico ed il conseguente ricorso all'accertamento sintetico. L'affermazione, tuttavia, nella sua assolutezza deve essere precisata �in questa sede, tenendo presente che l'avviso di accertamento introduce su iniziativa del contribuente (attesa la esecutoriet� dell'atto amministrativo) un apposito procedimento, nel quale le posizioni contrapposte delle parti ben 358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO possono essere precisate e meglio delineate rispetto a quanto risulta dalla iniziale impostazione della controversia tributaria. Questa Corte ha, invero, ritenuto che in materia persino l'eventuale originaria illegittimit� dell'accertamento per la mancanza di una adeguata contestazione di fatti e circostanze sui qua:li sia stata fondata la valutazione presuntiva di una capacit� contributiva superiore a quella risultante dal metodo analitico, resta sanata qualora nel corso del procedimento di merito instaurato dal contribuente dinanzi alle commissioni tributarie, l'amministrazione finanziaria provveda ad un'esauriente integrazione e specificazione degli indicati elementi (sentt. nn. 4261/79). Il principio della motivazione dell'accertamento tributario, invero, � stato introdotto in funzione della garanzia di un'adeguata difesa del contribuente nel corso del procedimento di merito. Questa esigenza, in materia di accertamento sintetico ai fini dell'imposta complementare sull reddito -di cui si discute nel presente giudizio -� soddisfatta inizialmente allorch� l'amministrazione, facendo riferimento a precisi fatti-indici (qua1i il tenore di vita 1lussuoso, il possesso di autovetture, le villeggiature, il personale di servizio etc.) ponga il contribuente in condizioni di contestare i fatti medesimi. Di fronte a questa contestazione, il probJema non soltanto si presenta in termini di una pi� specifica enunciazione dei fatti-indici, ma si pone per la Finanza l'onere di fornire fa prova del proprio assunto, la quale dovr� gustifkare in base a quali circostanze. opportunamente acclarate, si sia ritenuto di superare le risultanze dell'accertamento analitico, per far ricorso al metodo sintetico sulla base di una maggiore capacit� contributiva del contribuente (art. 2697, primo comma, cod. civ.). Ne consegue che il mancato assolvimento di tale onere incide sulla fondatezza della pretesa tributaria, determinando l'illegittimit� del-l'accertamento (sent. n. 2343/82 e per il principio generale n. 5951/79; 2990/79). � Discende dalle precedenti considerazioni che l'[mpugnata sentenza, pur avendo erroneamente 11itenuto l'tHegittimit� degli accertamenti tributari, ha poi colto i veri termini del problema proposto alforch� ha osservato (sia pure ad abundantiam; nella logica di quella motivazione) che nel caso in esame, di fronte alla contestazione di quei fatti-indici da parte del contribuente, l'amministrazione non solo non aveva addotto alcuna prova a sostegno del proprio assunto, ma non aveva neppure smentito i fatti addotti dal contribuente a dimostrazione dell'a.nfondatezza della pretesa tributaria. In questa prospettiva, si comprende inoltre come non colga nel segno neppure quella parte delle censure con cui 1a ricorrente ha sostenuto che, motivando in tal modo, la Corte di appello sarebbe caduta in tema di estimazione semplice, superando in tal modo i :limiti deilla propria competenza. In contrario, pu� osservarsi che, ai sensi degli artt. 26 e 40 del d.P.R. del 1972 n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, la PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 359 pronuncia della commissione di secondo grado � sindacabile sia in sede di ricorso alla commissione centrale che in sede di .impugnazione davanti aHa Corte d'appello per ogni violazione di legge, ivi compreso il vizio di motivazione o l'errata risoluzione di questioni di fatto, con la sola esclusione delle questioni di fatto, che attengono alla valutazione estimativa (sent. n. 1307/80). E non 'rientrano certamente tra le questioni di fatto attinenti alla valutazione estimativa le questioni esaminate in sede di merito dalla Corte d'appello, riflettenti i presupposti di legittimit� dell'accertamento tributario in via sintetica (sent. 4261/79 cit. con riferimento ai poteri defila commissione centrale). Non merita infine alcuna censura il rilievo della Corte, secondo cui non poteva rientrare tra li fatti-indici dell'accertamento in via sintetica fa omessa dichiarazione da parte del contribuente deglri interessi percepiti dalla societ� Purfina Italiana sulle 17.800 azioni da lui possedute. Invero, come la Corte ha rettamente osservato, H. rilievo avrebbe potuto giustificare una rettifica analitica dei redditi, ma non poteva costituire elemento da prendere a base per un accertamento sintetico, in omaggio al principio secondo cui non si pu� procedere rad accertamento in via sintetica su fatti costitutiW. di redditi rea:li da accertare analiticamente, quali ad esempio il possesso di titoli azionari. Qualora infatti, ['ufficio ritenga di poter procedere all'accertamento sintetico, a norma dell'art. 137 d.P.R. cit., di un reddito complessivo adeguato a quello rilevato dal tenore di vita deil contribuente, ovvero anche da circostanze o da elementi di fatto espressivi di disponibilit� di reddito, non pu� assumere come elemento rivelatore del reddito complessivo che intende accertare sinteticamente, il possesso di specifici redditi (dichiarati o accertati d'ufficio), ma deve invece accertare i fatti e la circostanza cio�, i fatti-indici, che provando un certo ammontare di spese presuppongono la disponibilit� di un reddito complessivo spendibile superiore a quello accertabile analiticamente (sentenza n. 2343/82 cit.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 febbraio 1984, n. 935 -Pres. Mazzacane -Est. Caturani -P.M. Paolucci (conf.). Ministero de1le Finanze (avv. Stato Braguglia) c. Soc. Philips (avv. Gava). Tributi (in genere) -Restituzioni e rimborsi � Interessi � Prescrizione Autonomia rispetto al credito. (legge 26 gennaio 1961, n. 29; cod. civ. art. 2948, n. 5). Gli interessi spettanti sui rimborsi hanno natura autonoma rispetto all'obbligaziione tributaria cui accedono e si prescrivono, nel termine quinquennale, ir.:dipendentemente dalle vicende interruttive riguardanti il credito di imposta. (1) (1) Sull'autonomia della obbligazione di interessi e sulla applicabilit� ad essi della prescrizione quinquennale dell'art. 2948 n. 5, quale che sia la prescri..............................--.-........-...................,.....,,,....-,,..................,, ...,.,.,.,. ..,.,.,. ...,. ....,....................................... ------------�---�-��������-�����----�������--�������������������������������������������������������������������������� 360 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis). Con unico motivo l'Amministrazione ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2984 (rectius 2948) n. 4 cod. civ. e dell'art. 5 legge 26 gennaio 1961, n. 29, assume che, contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata sentenza, la causa debendJi degli interessi in questione � autonoma rispetto a quella del credito per il capitale sicch� l'interruzione della prescrizione operata dalla Phildps con riferimento a quest'ultimo non si estende al credito di interessi per i quali quindi pu� profilarsi una inerzia del creditore cui si ricollega l'effetto estintivo della prescrizione. La censura � fondata. Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 n. 4 cod. oiv. si applica agli interessi dovuti sulle somme indebitamente percette dalI'accipiens in tema di condictio indebUi, dovendo riconoscersi in tal caso agli interessi una causa debendi autonoma rispetto a quella che caratterizza la domanda principale e potendo profilarsi rispetto ad essi una inerzia del creditore cui pu� ricollegarsi l'effetto estintivo della prescrizione (sent. 13 maggio 1977, n. 1884; 29 gennaio 1980, n. 687). La Corte d'appelilo ha ritenuto di discostarsi da tale indirizzo facendo leva in particolare sulla disciplina contenuta nell'art. 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, il quale statuisce che sulle somme pagate per tasse od imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria spettano al contribuente gli interessi di mora a decorrere dal!la data della domanda di rimborso. La formulazione della legge, tuttavia, lungi dal dimostrare l'esattezza della tesi sostenuta dalla senten:re impugnata circa il collegamento tra erezione stabilita per l'imposta non nascono dubbi (v. Relazione Avv. Stato, 19761980, II, 428). Meno costante � la giurisprudenza sul punto se l'interruzione della prescrizione del credito di imposta si rifletta sugli interessi (vedi la citata Relazione cui adde Cass., 2 ottobre 1980, n. 5343, in questa Rassegna, 1981, I, 547). In via generale la regola della completa autonomia e indifferenza dei due rapporti pu� dirsi esatta e bene applicabile alla domanda di rimborso da considerare come una qualsiasi domanda di pagamento. Diverso � il problema per gli atti della Amministrazione nei quali si opera piuttosto la contestazione di un fatto che interrompe la prescrizione per tutte le obbligazioni che per legge da esso discendono. Cos� un verbale di ispezione di polizia giudiziaria contesta fatti dai quali discendono un ventaglio di obbligazioni per imposte diverse (ad es. registro, IVA, bollo), sanzioni ed interessi; allo stesso modo un accertamento di maggior valore nelle imposte indirette produce effetto, anche ai fini interruttivi, sull'imposta di registro, l'INVIM, le imposte ipotecarie, le sanzioni e gli interessi. Se poi si considera che in molte ipotesi gli interessi cominciano a maturare prima della esigibilit� e liquida� zione definitiva del credito principale; sembra eccessivo pretendere che l'ufficio si debba preoccupare di interrompere autonomamente la prescrizione per interessi non ancora determinabili nella quantit�. !! ~fl f:: ......................J PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I 361 dito relativo alla somma capitale e credito di interessi, si limita a risolvere il problema dell'individuazione del dies a quo degli interessi dovuti dall'amministrflzione, mentre lascia del tutto impregiudicato il diverso quesito della natura autonoma o meno del credito stesso rispetto al credito riflettente la somma capitale, quesito che deve essere risolto alla stregua dei rilievi cui si chiama l'indirizzo giurisprudenziale accennato. La societ� resistente, a sostegno della propria tesi difensiva, ha inoltre sostenuto che la legge 28 marzo 1962, n. 147, statuendo che il diritto dell'Erario agli interessi spetta dallo stesso giorno in cui � dovuto il tributo principale, presuppone che lo stesso diritto, in virt� dell'art. 5 della citata legge 1961, n. 29, spetti pure al contribuente, essendo ~mpensabile che una disposizione legislativa possa avvantaggiare solo una delle parti del rapporto tributario. Al riguardo pu� osservarsi che non � esatta la premessa maggiore del ~agionamento, dato che in tema di imposte J.ndirette il debito relativo agli interessi gi� maturati integra anch'esso un'obbligazione autonoma rispetto al debito di imposta (principale). Pertanto, la prescrizione del corrispondente credito per interessi resta sganciata dalla prescrizione fissata per il credito di imposta ed � insensibile alle vicende interruttive riguardanti esclusivamente quest'ultima (sent. 2 ottobre 1980, n. 5343). H principio dell'autonomia del credito di interessi rispetto al credito principale vale quindi sia per il credito di rimborso del contribuente che per il credito tributario. Da quanto precede consegue che � erronea in diritto l'affermazione della Corte di appello che ha ritenuto estensibile al credito di interessi gli atti interruttivi della prescrizione relativi al capitaJ.e della somma dovuta dall'amministrazione a titolo di rimborso, onde in sede di rinvio il credito degli interessi potr� essere riconosciuto in favore della societ� resistente nel quinquennio ante~iore alla domanda di rimborso ex art. 2948 n. 4 cod. civ. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 febbraio 1984, n. 1376 -Pres. Mazzacane -Est. Corda -P. M. Corasaniti (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. IACP di Ancona (avv. Alfieri). Tributi locali -Ilor -Tassazione del reddito dei fabbricati destlnatl alla locazione degli Istituti autonomi delle case popolari -Natura di reddito fondiario -Tassazione ILOR separata. (art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; artt. 2 e 5 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; artt. 4 e 6 d.P .R. 29 settembre 1973, n. 599). Ai fini della tassazione in ILOR, sono strumentali gli immobili direttamente impiegati per l'espletamento delle attivit� tipicamente imprenditoriali, e cio� quelli ohe, per destinazione, sono inseriti nel ciclo produttivo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 362 tanto da essere insuscettibili di dare un reddito autonomo da quello di impresa. {1) Non esiste una norma che, ai fini della tassazione in IWR, disponga ;che gli immobil,i delle societ� e degli enti equiparati siano per ci� solo,. :ossia a presc.indere dal requisito della strumentalit�, produttivi di un\ 1reddito tassabile in ILOR non separatamente ma come componente del reddito di impresa. (2) (omissis) In data 24 settembre 1975, l'Istituto autonomo per [e case popolari (IACP) di Ancona proponeva ricorso (alla competente commissione tributaria) contro l'iscrizione a ruolo della imposta locale sui redditi. (ILOR) relativa a un imponibile di 1}.re 12.942.723 e a un'imposta di Hre 349.456, per i redditi (prodotti nell'anno 1974) degli .immobili assegnati in locazione e tassati (autonomamente) come �fondiari�. Deduceva l'inesistenza dell'obbligazione tributaria invocando la disposizione dell'art. 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (richiamato dal quinto comma del~ l'art. 6 della Jegge ILOR), nell'assunto che il reddito degli immobili predettli, essendo questi uWmi �strumentali per l'esercizio della impresa commerciale �, non poteva essere considerato (autonomamente) come �fondiario�, ma concorreva (solo) a formare il �reddito complessivo �, come � componente del reddito d'impres::l �, Con decisione dell'8 ottobre 1976, la Commissione tributaria di primo grado di Ancona accoglieva il ricorso; ma la commissione di secondo grado, adita dall'ufficio, con decisione del 3 ottobre 1977 dichiarava infondata la pretesa dell'IACP. Proposto ricorso dal predetto contribuente, la commissione tributaria centrale, a sezioni unite, con decisione pubblicata il 20 dicembre 1979, accoglieva la detta impugnazione e, pertanto, dichiarava che � ai firui. d~l'imposta locale sud redditi la tassazione dei canon.i. degli immobili va eseguita in base al reddito complessivo dell'IACP determinato a norma dell'art. 4 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 �. Osservava che il fine istltu (1) Con la decisione in rassegna, ed altre coeve, le sezioni unite offrono la definitiva risposta al grave problema della tassazione in ILOR degli immobili delle societ� e degli enti equiparati, sul quale si era avuto un contrastante orientamento della I Sezione: con le sentenze del 2 luglio 1981, n. 4288 e 4289 (in questa Rassegna, 1982, I, 157) e 15 dicembre 1981, n. 6613, la Corte aveva fornito una nozione di strumentalit� che non poteva essere condivisa: ritenne in quella occasione la Corte che il bene strumentale, ai fini della tassazione in ILOR, � quello che serve all'ente proprietario anche solo allo scopo del procacciamento delle entrate destinate ai fini statutari. Il problema venne riproposto all'attenzione della Corte dall'Avvocatura dello Stato, che evidenzi� come la nozione di strumentalit� andasse costruita con riguardo al concetto di reddito dei fabbricati: il bene strumentale � quello inidoneo a fornire reddito di fabbricato, e cio� reddito autonomo rispetto a quello di impresa, non esistendo, d'altra parte, nessuna esenzione soggettiva in favore delle societ� o degli PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 363 zionaJe del predetto Istituto � quello di fornire alloggi in focazione (alle classi meno abbienti); di modo che gli alloggi stessi devono essere considerati � strumentali � rispetto al perseguimento di quel fine. Contro ta:le decisione ha ricorso per cassazione l'Amministrazione finanziaria, con un unico motivo di censura. L'IACP ha resistito m�diante controricorso e ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale, anch'esso affidato a un un!ico motivo La ricorrente ha, pure, presentato una memoria iillustrativa. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -I due ricorsii (principale e incidentale), in quanto proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti sotto il numero di ruolo pi� antico, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. 2. -Col ricorso principale (denunciando, ai sensi deWart. 360, n. 3 cod. proc. civ., Ja violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, degli artt. 21, 40 e 52 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, degli artt. 2 e 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598), l'amministrazione finanziaria censura l'.impugnata decisione della commissione tributaria centrale per avere ritenuto applicabile la � esenzione � oggettiva di cui all'art. 40 del decreto n. 597 e sostiene che fa commissione predetta non avrebbe tenuto presente che il conseguimento del fine di dare alloggi in locazione non costituisce esercizio di attivit� commerciale e che l'attivit� obiettivamente commerciale degli I&CP ha per scopo Ja costruzione delle case, non la gestione del patrimonio immobiliare realizzato attraverso l'attivit� commerciale. Sostiene che si sarebbe dovuto, invece, ritenere che gli immobili oggetto di locazione danno luogo a reddito fondiario (come tali, quindi, soggetti a tassazione separata -in ILOR -anche i canoni di locazione che concorrono alla formazione del reddito d'impresa) e non sono � strumenti� per l'esercizio di quell'attivit� obiettivamente enti equiparati in quanto tali. Le argomentazioni dell'Avvocatura furono recepite da Cass., 17 febbraio 1982, n. 993 (ed altre coeve), in questa Rassegna, 1982, I, 367, con nota di Palatiello; e poi, con riguardo ad una societ� commerciale, da Cass., 6 maggio 1982, n. 2836 e 26 marzo 1983, n. 2135, in questa Rassegna, 1983, I, 147 e 388. (2) Questo secondo orientamento impedisce alle societ� commerciali di considerare strumentali gli immobili messi a reddito e di invocare una pretesa esenzione soggettiva che sarebbe derivata dalla equiparazione dell'immobile societario all'immobile strumentale. Il problema fu portato all'esame delle sezioni unite che l'hanno risolto come dalla decisione in rassegna, facendo giustizia sia della nozione empirica di strumentalit� (per la quale sarebbe strumentale l'immobile che � comunque usato per i fini statutari) sia della pretesa esenzione soggettiva in favore degli enti commerciali. 364 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO StATO commerciale che si pone quale mezzo al fine di realizzare lo scopo istitu zionale dehl'ente (pubblico) di dare in locazione le case. Il ricorso � fondato nei limiti che saranno qui appresso indicati. La questione che viene oggi proposta all'esame delle sezioni unite ha formato oggetto di pronunce contrastanti, nell'ambito della Prima Sezione di questa Corte. Con la sentenza 2 luglio 1981, n. 4288 (seguita, poi, dalla sentenza 15 dicembre 1981, n. 6613), si � ritenuto che, con ni.ferimento agli ahloggi assegnati in locazione dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) deve escludersi l'applicabilit� dell'imposta locale sui redditi (ILOR), a norma dell'art. 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.597 (richiamato dall'art. 6, quinto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599), posto che gli immobili predetti, lungi dal costituire (per gli IACP) una dotazione patrimoniale, autonomamente gestita, costituiscono gli strumenti di un'attivit� di tipo commerciale, strettamente collegata con la finalit� istituzionale degli Istituti medesimi. Con fa sentenza 17 febbraio 1982, n. 993 (seguita, poi, dalla sentenza 9 marzo 1982, n. 1472), si �, invece, adottata la soluzione opposta, sul rilievo che fa norma limitatrice (l'art. 40 cit.) prevede la non tassabilit� dei soli immobili che sono concretamente e direttamente impiegati per l'espleta~ mento delle attivit� tipicamente imprenditoriali, in quanto inseriti nel complesso aziendale, e non, quindi, anche deglii immobili che vengono utilizzati al fine deHa produzione di rendite, quali sono gli immobili che gli IACP assegnano in locazione alle categorie meno abbienti. Questi due enunciati giurisprudenziali contengono entrambi, nella premessa, una parte di vero. Data la particolare natura e la strutturazione degli IACP, pu�, infatti, bene ritenersi: a) da un fato, che gli immobihl in questione costituiscono lo � strumento � di cui gli IACP si ser� yono per il conseguimento dei loro fini istituzionali, che sono quelli di fornire alloggi ai meno abbienti (nel senso che gli Istituti predetti, quali enti pubblici. non economici, perseguono la loro finalit� avvalendosi di un'attivit� imprenditoriale, di modo che la �strumentalit�� degli ii.mmobili deve essere riferita non tanto all'azienda -che � gi� � strumento � quanto, piuttosto, al conseguimento della finalit� predetta): b) dall'altro, che gli immobili costituiscono, nel contempo, anche l'oggetto dell'attivit� imprenditoriale, finalizzata alla costruzione e/o ailla �gestione� delle locazioni, nel senso che, oltre che strumento adoperato per H conseguimento dei fini .istituzionali di cui si � detto, essi costituiscono pur sempre il �risultato� dell'attivit� commerciale (di modo che, sotto questo profilo, non appare certo inesatto quanto � stato osservato nella seconda delle sentenze prima ricordate -la n. 993 del 1982 -secondo cui la � strumentalit� � considerata ai fini della precedente impostazione sarebbe elemento di connotazione non gi� degli immobili, bens� del reddito da essi prodotto). ! ~'. 1 "'"'-'�""~'''"''"�''~''"''~'""'''=,_,,,,,,,,,,,,, , I ..... ...... . . PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ma il rilievo che gli immobili degli IACP possono essere considerati, contemporaneamente, � oggetto � e � strumento � dell'attivit� imprendi� toriale in questione conduce, inevitabilmente, alla conclusione che il loro reddito deve essere tassato, in ILOR, come reddito fondiario. La regola -secondo il disposto dell'art. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 -� che i redditi fondiari sono soggetti all'imposta focale sui redditi. L'eccezione � quella stabilita dal quinto comma di taile articolo, il quale richiama -come si � detto -l'art. 40 del d.P.R. n. 597 del 1973: se gli immobili costituiscono beni �strumentali� per l'esercizio delle imprese commerciali, il loro reddito concorre a formare, come componente, il reddito d'impresa. � intuitivo, dunque, che fa norma in esame (il quinto comma dell'art. 6 predetto, che richiama, appunto, l'art. 40 della legge IRPEF), costituendo �eccezione� alla regola generale, deve essere inter� pretata in senso restrittivo. Il risultato di tale :interpretazione, quindi, non pu� essere che uno: la norma limitatrice pu� trovare applricazione solo in presenza di una strumentalit� �pura �, non gi� in presenza di quella strumentalit� ibrida che � stata pi� sopra messa in luce (con riferimento al caso deg.li IACP in cui -come si � detto -l'immobile non � solo strumento, ma anche oggetto dell'attivit� imprenditoriale). In definitiva, la norma, interpretata ristrettivamente, sottrae al generale criterio di tassazione solo quegli immobili che hanno, come � unica � destinazione, lo scopo di essere direttamente impiegati per l'espletamento delle attivit� tipicamente imprenditoriali, ossia quelli che, per destinazione sono inseriti nel complesso aziendale (e non sono quindi, suscettibili di creare un reddito autonomo); non anche, quindi, quegli immobili che, pur potendo essere in certo senso strumentali rispetto alle finalit� che il soggetto d'im� posta persegue attraverso l'esercizio dell'impresa, costituiscono, nel contempo, J'oggetto della predetta attivit� imprenditoriale. Iri previsione di una tale, possibile interpretazione della norma, il P.G. presso questa Corte ha sollevato il dubbio di costituzional!it�, per disparit� di trattamento fra un soggetto pubblico cos� caratterizzato e altri soggetti privati, non meglio indicati, i quali non potrebbero -secondo quella prospettazione -trovarsi in analoga condizione. Ma in proposito � sufficiente osservare che se i due soggetti, pubblico e privato, si trovano in differente situazione contributiva, difetta, proprio, il presupposto di quella denuncia -di incostituzionalit�; mentre, se il soggetto privato si trova in analoga condizione (cosa, del resto, astrattamente possibile, perch� la particolare situazione sopra descritta � collegata non gi� alla natura, pubblica o privata, del soggetto, ma al � :rapporto � fra l'immobile e l'impresa) non vedesi perch�, anche per lui, non debba essere applicata analoga regola. 3. -Con J'unico motivo del ricorso incidentale, l'IACP di Ancona sostiene che la commissione tributaria centrale avrebbe dovuto ritenere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO applicabile non gi� la � esenzione oggettiva � ( � strumentalit� � degli im, mobili), bens� quella �soggettiva� (appartenenza degli immobili a un ente pubblico), pure prevista dall'art. 40 del decreto n. 597 del 1973. L'assunto � privo di fondamento. Analogo problema era gi� stato, da questa Corte, affrontato con fa sentenza n. 993 del 1982 (cit.) e risolto nel senso che il quinto comma dell'art. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, allorch� richiama, ai fini dell'applicabilit�, l'art. 40 della legge IRPEF, ha inteso rkhiamarlo unicamente nella parte in cui dispone che non si procede ad iscrizione a ruolo dei redditi degli immobili che costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa. E tale conclusione merita di essere condivisa. LI citato art. 40, invero, dispone che non sono considerati redditi fondiari, ma concorrono unicamente a formare il reddito complessivo, come componente del reddito d'impresa, i redditi: a) degli immobili che costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa commerciale; b) degli immobili posseduti da sooiet� in nome collettivo e :in accommandita semplice. E il ricorrente IACP, invocando l'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, che aLla disposizione di� cui al secondo comma dell'art. 5 della legge IRPEG (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598) -nella parte in cui prevede che il citato art. 40, gi� applicabile alla societ� in nome collettivo e in accomandita semplice, sia applicabile �anche per le societ� di altro tipo soggette all'imposta sul reddito delle persone giuridiche � -ha aggi~nto le parole �e per gli enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivit� commerciali �, sostiene che la separata tassazione, come redditi fondiari, dei redditi derivanti dagli immobili in questione dovrebbe ritenersi esclusa (�esenzione soggettiva�) per il solo fatto che gH immobili predetti appartengono a un ente pubblico che ha come oggetto principale {'esercizio di . una attivit� commerciale (tesi, questa, che gi� l'IACP aveva prospettato alla commissione tributaria centra:J.e e in relazione alla quale era rimasta soccombente). Ma la fragHit� di una tale prospettazione (che, peraltro, dato l'indubbio carattere innovativo della citata�disposizione del 1975, � di ben scarso rilievo pratico se riferi.ta -come nel caso concreto -a redditi prodotti nel 1974) appare evidente, proprio perch� l'art. 6, quinto comma, della legge ILOR non pu� essere inteso come riferentesi anche a quella sorta di �esenzione� avente natura �soggettiva�, perch� ci� svuoterebbe di significato quelle alt~e norme, sempre della ~egge ILOR, che preve�:iono la tassazione, come redditi fondiari, dei redditi degli immobili �posseduti� daLle societ� e (per l'estensione introdotta dalla citata :legge del 1975) dagli enti pubblici. Infatti, l'art. 4 di detta �legge dispone, nel quinto comma, che per i redditi fondiari l'imposta (ILOR) � applicata separatamente, per anno solare, � anche nei confronti dei soggetti indicati nel secondo e nel terzo PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 comma�, cio� anche nei confronti delle societ� di capitali e degli enti esplicanti attivit� commerciali (che sono, appunto, indicati nel terzo comma). Ed � ovvio che una tale disposizione sarebbe contraddetta dal quinto comma del successivo art. 6, se quest'ultimo, richiamando l'art. 40 della legge IRPEF, avesse voluto richiamare anche la disposizione che esclude, dalla tassazione separata, i redditi degli immobili � po.sseduti � dalle societ� e dagli enti, pubblici o privati, esplicanti attivit� commerciale. Tale esclusione, in realt�, vale solo per l'IRPEF e per l'IRPEG, ma non anche per l'ILOR, ai fini della quale ultima imposta � prevista, come si � detto, la separata tassazione dei redditi degli immobili (esclusi solo quelli che sono strumentali per l'esercizio delle imprese commerciali), come redditi fondiari. Ed � ovvio che, in sede di interpretazione di una norma che richiama un'altra legge, nell'alternativa tra una (asserita) contraddizione del legislatore e una (plausibile) efficacia o portata limitata di quel richiamo, deve propendersi per questa seconda soluzione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Dn., 27 febbraio 1984, n. 1377 � Pres. Gambogi � Est. Virgilio -P.M. Miccio (diff.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Volterra. Tributi erariali indiretti � Imposta sull'entrata � Assegni ICCRI � Compensi pagati dall'ICCRI alle Casse di risparmio�� Natura di interessi � Esen� zione dall'imposta sulla entrata � Spettanza. (legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 1, lett. f), art. 3, lett. c)1. Gli interessi che le casse di Risparmio ricevono dall'ICCRI come corrispettiivo per la disponibilit� di somme di danaro nel tempo intercorrente tra l'emissione e l'estinzione degli assegni, hanno fur..zione di corrispettivo per il godimento del danaro e conseguentemente sono compresi nella esenzione 4all'imposta sull'entrata stabilita dall'art. 1 lett. f) della legge 19 giugno 1940, n. 762. (1) (omissis) Deduce la ricorrente che erroneamente la Commissione tributaria centrale ha attribuito natura di interessi (corrisposti dall'ICCRI alle Casse di Risparmio) alle somme versate dall'Istituto alle (1) Conformi sono le decisioni in pari data n. 1378 -e 1379. Le sezioni unite abbandonano l'indirizzo delle sentenze 12 febbraio 1979, n. 933 e 22 giugno 1982, n. 3898 (in questa Rassegna, 1979, I, 351 e 1982, 1, 983). Non resta che prendere atto del nuovo orientamento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 368 d�tte Casse, mentre avrebbe dovuto ritenere che [e Oasse assumono rispetto alle .indicate somme -Ja qualit� non di creditore e di deposi tante, bens� di depositario e di debitore, e sono perci� tenute a corri spondere all'Istituto (depositante) i relativi interessi, e non gi� a ri scuoterli. Per tali ragioni, le somme percepite dalle Casse di risparmio ~anno assoggettate all'IGE, in quanto esse hanno necessariamente natura di corrispettivi di un servizio (art. 3 della legge 19 giugno 1940, n. 762). Le sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi su una questione decisa in modo non uniforme dalla prima sezione civile dclla Corte. Con le sentenze n. 933 del 1979 e n. 2404 del 1980 � stato affermato che le somme corrisposte dall'Istituto di credito delle Casse di risparmio itaHane (ICCRI) a una cassa di risparmio per H servizio di emissione e di pagamento di assegni da essa tratti, a richiesta dei clienti, sull'isti tuto medesimo rappresentano non gi� interessi dovuti su un deposito in conto corrente, ma si configurano come compensi pagati dall'ICCRI per l'espletamento della indicata attivit� giuridica, in forza di un rapporto di mandato, e perci� Je somme anzidette sono assoggettabili all'IGE a norma dell'art. 3 r.dJ. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito neHa legge 19 giu gno 1940, n. 762. Con le sentenze da n. 3898 a n. 3901 del 1982 � stata egualmente af fermata la tassabilit� delle stesse somme in quanto non costituiscono interessi di puro impiego di capitale, rientranti nella esenzione di cui all'art. 1, lett. /), del r.dil. n. 2 del 1940, ma utili inerenti all'attivit� im prenditoriale della Cassa di risparmio, cio� interessi alla produzione dei quali concorrono insieme capitale e lavoro, come tali compresi nella categoria B dell'art. 85 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, ai fini dell'impo sta di rit.:chczza mobile. Con le sentenze n. 3938 del 1981 e n. 3951 del 1982 � stato invece ritenuto che le somme liquidate dall'ICCRI a una cassa di risparmio sul conto particolare relativo alla emissione ed estinzione di assegni . tratti dalla cassa sull'istituto, a richiesta dei clienti, corrispondono a un credito de1la cassa per il capitale versato dal cliente e fornito al trattario (ICCRl) a copertura degli assegni, con la funzione di corrispettivo per l'uso di tale capitale: corrispettivo determinato in rapporto al periodo di circolazione dei titoli, e pertanto le somme stesse configurano interessi su movimenti di capitale, non computati nel conto generale esistente tra due istituti, esenti da IGE secondo rart. 1, primo comma, lett. f), del r.d.l. n. 2 del 1940. Delineato 11 panorama della giurisprudenza di questa Corte sul complesso problema, Je sezioni unite ritengono di dover premettere che nella presente controversia non esiste, sul piano del concreto svolgimento del rapporto tra l'ICCRI (che ha versato le somme delJa cui tassabilit� si discute) e l'istituto bancario� creditore (che le ha riscosse) alcuna I I i: i: i~ 'i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sostanziale contestazione che possa involgere indagini di fatto rilevanti ai fini della decisione. Secondo gll elementi concreti esposti (o presupposti) nella statuizione impugnata, il rapporto tra i due istituti si � svolto (relativamente al fe. nomeno versamento-riscossione delle somme in esame) attraverso momenti che possono essere cos� descritti: 1) versamento, da parte del cliente, dell'importo degli assegni richiesti ed emissione immediata dei titoli ad opera delJa Cassa di Risparmio con contestuale accred.itamento (nel giorno stesso) dell'importo stesso all'ICCRI (trattario) e correlativo addebito a proprio carico, quale normale traente, nel conto generale esistente tra i due iistituti, in cui sono contabilizzate anche tutte le altre operazioni bancarie svoltesi tra essi; 2) da1la data di accreditamento, pur mancando una materiale tra� smissione di denaro, l'ICCRI poteva liberamente disporre ai suoi fini, per operazioni anche diverse, della valuta versata dal cliente alla cassa; 3) il pagamento degli assegni poteva essere effettuato non soltanto dal trattario {ICCRI), ma anche dalla medesima cassa emittente come da ognuna delle altre casse consorziate con J'ICCRI, le qua:1i ultime erano autorizzate, in virt� di un mandato extracartolare, ad estinguere l'assegno per conto del trattario, cio� con pagamento da valere come fatto da quest'ultimo; 4) tale pagamento era registrato nella stessa data a debito dell'ICCRI, per conto del quale era effettuato, e a credito della cassa che aveva estinto l'assegno; 5) per ciascuna cassa o istituto consorziato l'IOCRI, oltre il conto generale, manteneva un altro conto particolare sul movimento degli assegnffnel quale erano annotati soltanto i movimenti di valuta relativi alle emissioni e aHe estinzioni degli assegni tratti da una stessa cassa (anche se i titoli fossero stati poi estinti da altre casse) con annotazioni inverse rispetto a quelle del conto generale, nel senso cio� che nel giorno di emissione la somma corrispondente a ciascun assegno era registrata a credito della cassa emittente, mentre la stessa somma era registrata a debito nel !�iomo in cui si verificava l'estinzione del titolo, in modo da evidenziare -per ciascuna cassa -la durata della circolazione di ciascun assegno emesso dalla medesima cassa, cio� il periodo di tempo (intercorrente tra Ia data di emissione e que11a di estinzione del titolo) durante il quale il trattario ICCRI aveva avuto la disponibilit� della provvista; 6) interessi calcolati secondo i normali criteri erano contabilizzati sfa nel conto generale che in quello particolare; nel primo venivano annotate tutte indistintamente le operazioni intercorse tra i due istituti, per cui il conguaglio degli interessi poteva presentarsi in attivo o in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO, 370 passivo (a credito o a debito) per ciascuna cassa a secorida dello sbilancio giornaliero, ma nel detto conto generale, relativ:amente e limitatamente al movimento degli assegni, maturavano interessi generalmente passivi per 1a cassa, in quanto le emissioni di assegni costituivano appunto poste passive del conto e determinavano perci� altrettanti debiti, per i relativi importi, della cassa verso l'ICCRI; nel conto particolare invece, riguardante esclusivamente i movimenti di valuta degli assegni emessi dalla medesima cassa, gli interessi emno generalmente attivi per quest'ultima perch� in tale conto particolare le emissioni venivano annotate come partite attive per fa cassa, la. quale in tal modo risUJltava creditrice dell'ICCRI dell'importo degli assegni in circolazione e finch� durava la circolazione. Sulla base di questo meccanismo paradigmatico, il quale riproduce adeguatamente il fenomeno economico che qui interessa, va affrontata e risolta la questione della assoggettabilit� a11'IGE delle somme liquidate dall'ICCRI alle casse di risparmio o ad altri istituti convenzionati a titolo di interessi per la valuta rimasta � giacente � durante la circolazione degli assegni. Il quesito consiste ne1lo stabilire se anche a tali interessi, come per quelli risultanti dal conto generale esistente tra i due istituti di credito, possa ritenersi applicabile la norma di esenzione di cui all'art. l, secondo comma, let:t. f), del r.d.l. n. 2 del 1940, la quale menziona �gli interessi derivanti dal puro impiego di capitale, classificabile agli effetti dell'imposta di ricchezza mobi:le in categoria A, ii dividendi e gli interessi derivanti dall'impiego di capitali in titoli dello Stato, cli altri enti pubblici e delle societ� per azioni, nonch� gli interessi derivanti da depositi bancari o da rapporti di conto corrente, nonch� quelli derivanti da risconto tra aziende di credito o . da risconto o ant4;,ipazioni presso. l'Istituto di emissione �. Queste sezioni unite ritengono che :hl contrasto giurisprudenziale vada risolto in senso conforme alla tesi accolta nelle sentenze n. 3938 del 1981 e n. 3951 del 1982, con le quali � stata affermata '1'applicabi1it� agli interessi di cui si discute della esenzione fiscale. Poich� la questione costituente oggetto di dibattito ha natura esclusivamente tributaria, essa va esaminata con riferimento agJi aspetti peculiari che tale natura comporta. Dal concreto meccanismo delle operazioni intercorse tra l'ICCRI e le casse di risparmio o ailtri istituti convenzionati risulta che La precipua finalit� del cosic;Idetto � conto speciale assegni � era quella di evidenziare per quanto tempo, rispetto a ciascun assegno, fosse rimasta �giacente� -presso l'istituto che aveva emesso il titolo -la somma versata dal cliente, onde poter calcolare gli interessi dovuti dahl'ICCRI sulla somma stessa nel periodo compreso tra data di emissione e data di estinzione di ogni assegno. i, f f: ! f. f 1r11111~r1:rr11~r111r1111r1:r111111111~1r11flirfii:=rr11111111:1r11~r11111!rlrll1rr11::r11~111ir1r111r1111iw1:1, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDE_NZA TRIBUTARIA In definitiva, poich� la coesistenza e le mterferenze tm d due conti (generale e speciale) determinavano una situazione anomala, sul piano economico, perch� nel primo conto, attraverso l'immediato accreditamento all'ICCRI delle somme versate dai clienti, le casse di risparmio risultavano prevalentemente a debito (in quanto il numero delle emissioni di assegni superava di regola, per ciascun iscritto, quello delle estinzioni di eguali titoli), le parti intesero ovviare alla detta situazione con il sistema del conto speciale, che rifletteva unicamente la reale posizione delle due banche circa il movimento degli assegni. Il conto speciale era preordinato a una funzione di viequilibrio della situazione, al fine di evitare che l'ICCRI -per il periodo di tempo compreso tra data di emissione e data di estinzione di ciascun assegno cumulasse sostanzialmente due vantaggi, cio� la disponibilit� della valuta, che gli era immediatamente accreditata e della quale poteva liberamente disporre, e la percezione degli interessi relativi, in quanto in base all'accredito delle somme nel conto generale l'istituto figurava creditore nei confronti delle casse. Questa situazione, che evidenzia il fenomeno economico nella sua vera essenza, � sufficiente a far ritenere che le somme versate dal:l'ICCRI ai1le casse, in base al conteggio risultante dal conto speciale, vanno annoverate, agli effetti che qui intt:ressano, nell'ambito di applicazione di cui all'art. l, lett. f), del r.d. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940, n. 762. Sulla qualificazione formale delle somme anzidette come interessi non esiste sostanziale contrasto, perch� non � contestato che esse fossero commisurate alla entit� delle somme rimaste giacenti nelle Casse di risparmio a disposizione dell'ICCRI, e che fossero inoltre calcolate in percentuale e con riguardo al tempo .di giacenza delle somme stesse, cio� con riferimento al momento della consegna dehla valuta da parte del cliente, fino al momento deHa estinzione del titolo. Di fronte a questi chiari elementi rivelatori della natura deHe somme in esame (che presentano i requisiti tipici degli interessi) non � concettualmente possibile, in base a.J sostrato di fatto costituente il presupposto della decisione impugnata, ritenere che le indicate somme fossero destinate ad assolvere una funzione diversa da quella di corrispettivo per il godimento del denaro, da parte dell'ICCRI, nei termini indicati dal conto speciale. La norma della cui applicabilit� alla fattispecie in esame si discute (lett. f) cit.), oltre gli interessi derivanti dal puro dmpiego di capita.Je, pre~isti all'inizio della disposizione, assoggetta a identica disciplina fi. scale anche altre categorie di interessi, senza porre alcuna distinzione -per tali ulteriori categorie -tra interessi classificabili in cat. A o B agli effetti della imposta di R.M. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 372 Dalla struttura letterale della norma, nella quale � ripetuta pi� volte la congiunzione � nonch� �, risulta chiaramente che le numerose fattispecie d.i interessi previste nella complessa disposizione sono state accomunate nel beneficio della esenzione, ma sono state invece enucleate autonomamente quanto alle loro connotazioni, per cui sarebbe arbitrario ritenere che a tutta la gamma degli interessi previsti nella lett. f) sia riferibile fil requisito della classif�cabilit� in serie A per l'imposta della R.M., come � richiesto nella prima parte delle norme soltanto per gli interessi derivanti dal puro impiego di capitale. Sulla base di questi rilievi, e considerando inoltre che nella lett. f ) dell'art. 1, del r.d.I. n. 2, del 1940, non � stata stabilita alcuna limitazione, con riguardo al caso degli interessi derivanti � da rapporti di conto corrente�, circa i requisiti soggettivi delle parti tra le quali il conto corrente si svolge, � evidente che anche per gli istituti di credito vale [a regola della esenzione, ove si tratti appunto di interessi derivanti da rapporti di conto corrente. N� alla previsione della norma ~lett. f) pu� ritenersi comunque estranea la categoria degli interessi percepiti dalle aziende di credito in conseguenza di operazioni bancarie, in quanto nella stessa disposizione sono elencati gli interessi derivanti da � risconto tra aziende di credito o da risconto o anticipazicni presso l'Istituto di emissione �, In conclusione, una volta accertato che gli interessi di cui si discute nella presente controversia trovano la loro collocazione, agli effetti dell'imposta generale sull'entrata, nella esaminata norma di esenzione (perch� attinenti a rapporto di conto corrente tra ['ICCRI e le Casse di risparmio o altri istituti convenzionati) resta automaticamente esclusa la possibilit� del loro inquadramento nelle diverse ipotesi degli � interessi attivi a qualunque titolo percepiti ... da istituti e aziende in dipendenza dell'esercizio del credito, non classificabili ai fini dell'imposta di R.M. in cat. A � e � delle provvigioni e corrispettivi percepiti per operazioni e sennizi compiuti a favore dei clienti� (previste dall'art. 3, lett. c), del r.d.l. n. 2, del 1940, tra le entrate tassabili). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1546 ~ Pres. Brancaccio Est. Battime11i � P. M. Martinelli (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Angiulli (avv. Ahbate). Tributi erariali indiretti � Interessi � Computazione � Esito finale del processo � Vicende intermedie � Irrilevanza � Pagamento o offerta di pagamento nel corso del processo � Rilevanza. (legge 26 gennaio 1961, n. 29, art. 3; legge 28 marzo 1962, n. 147; art. un.). Gli interessi vanno commisurati al maggior valore accertato all'esito finale della lite, mentre nessuna rilevanza hanno le fasi intermedie del PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 processo e le decisioni non definitive favorevoli all'una o all'altra parte, Tuttavia ove il contribuente abbia pagato o promesso di pagare l'imposta prima della definizione del giudizio ovvero dopo che si sia definita la fase del contenzioso relativa alla determinazione della base imponibile, cessa la mora. (1) (omisS1is) La censura che l'Amministrazione ricorrente muove alla motivazione della decisione impugnata � esatta. La ragion d'essere, invero, della normativa degli artt. 3 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, ed unico della legge 28 marzo 1962, n. 147, sta nel porre a carico del contribuente la corresponsione di interessi (definiti moratori) per tutto il tempo necessario per accertare l'esatto ammontare deill'imponibile delle imposte indirette sugli affari attraverso un procedimento contenzioso che si instauri in conseguenza di omissione o di infedelt� di denunzia di valore (s'intende, qualora l'esito del giudizio porti ad un accertamento di valore maggiore -in caso di inesatta o infedele denunzia di quello dichiarato). In un giudizio del genere ci� che conta (analogamente a quanto avviene -in forza del principio errar iudicis est errar partis -per il pagamento delle spese alla controparte in .qualsiasi tipo di giudizio) � J'esito finale della lite, indipendentemente dalle varie fasi, alcune favorevoli ad una parte, altre alla controparte, in cui il giudizio si � articolato: til decorso del tempo, su cui calcolare l'ammontare degli interessi, va sempre calcolato, in caso di soccombenza del contribuente, dalla data iniziale in cui il tributo avrebbe dovuto essere pagato nel suo esatto ammontare, al momento finale in cui, esaurito il giudizio, � definitivamente accertato (1) La prima parte della massima � 'ineccepibile. Sulla seconda parte desta perplessit� la equivalenza tra pagamento e offerta di pagamento. Per giurisprudenza oramai consolidata, anche se non del tutto convincente, si � affermato che il riconoscimento di un maggior valore (anche se contenuto nel ricorso alla commissione) in quanto definitivo e tale da consentire all'ufficio la percezione dell'imposta complementare, fa venir meno, nei limiti, la mora, anche se il giudizio prosegue sulla contestazione di un pi� elevato valore preteso con l'accertamento. In tal caso il riconoscimento del valore (o l'offerta di pagamento della relativa imposta) � definitivo. Quando invece l'imposta � ancora controversa nel quantum e anche nell'an, � ben diversa cosa il pagamento, con riserva di ripetizione, e l'offerta di pagamento; il materiale pagamento fa venir meno la mora perch�, anche se non a titolo definitivo, ha consentito all'Amministrazione di trarre profitto dalla disponibilit� del danaro, quale che sar� la definitiva determinazione del credito; ma la semplice offerta di pagare un credito ancora controverso non elimina di certo la mora. 374 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ii1 valore dell'imponibile cui commisurare l'imposta, senza che possa, da tale periodo globale, detrarsi la durata di una delle fasi del giudizio (di primo gr:::.do o di impugnazione) favorevole al contribuente, in quanto ci� che conta � che sia di fatto trascorso un certo periodo di tempo per rendere certo, attraverso una pronunzia definitiva, un imp~mibile maggiore di quello originariamente dichiarato. Tale principio generale, cui la decisione impugnata non si � conformata (per cui essa va cassata) soffre peraltro, delle eccezioni: fa prima discende dal fatto volontario del contribuente che, nelle more del giudizio, paghi in tutto o in parte l'imposta complementare in contestazione, si che alla data del pagamento cessa il. computo del periodo su cui commisurare gli interessi dovuti sulla somma pagata, anche se H giudi~io eventualmente continui (e in tal caso all'effettivo pagamento � equivalente anche la semplice offerta di pagare, fatta dal contribuente e rifiutata dal fisco); I i l'altra si verifica allorch�, accertato definitivamente il valore nel giudizio di secondo grado, il processo tributario continui per la soluzione di questioni di altro genere, soluzione che non possa comunque influenzare la definitivit� e il passaggio in giudicato dell'avvenuta pronuncia di accertaJ mento di valore, e sempre che, anche in tal caso, H contribuente, prose,:! guendo il giudizio sotto altri profili, paghi od offra di pagare l'imposta I ~ f complementare sul valore accertato. f f Nel caso di specie, secondo quanto sostenuto nel controricorso, si sa~ rebbe verificata la seconda ipotesi prospettata, sostenendosi dal resistente I che il giudizio di revocazione della decisione di secondo grado avrebbe ! avuto ad oggetto . non gi� errori del giudice nella determinazione del ! valore, bens� errori di altro genere, attinenti, a quanto pare, ad errata I determinazione delle quote spettanti ai vari eredi, comunque tali da non e ! influire sul vero proprio accertamento di valore, ormai divenuto defi nitivo anche in corso del giudizio di revocazione. In un caso del _genere, I l'ulteriore durata del giudizio non potrebbe essere posto a carico del I contribuente, ove questi avesse offerto ill pagamento dell'imposta in base ! all'imponibile definito, sia pure parzialmente in relazione alla minore quota che ritenesse essere a suo carico, senza cio� procastinare ulte I ! p riormente il pagamento, in occasione dell'ulteriore corso di una impu gnazione, comunque occasionata dall'instaurato giudizio di accertamento ! di valore, da lui proposta. f Tali accertamenti non risultano effettuati dalila decisione impugnata, che ha apoditticamente ritenuto, in conseguenza di un non doversi comunque tener conto della durata del cazione. (omissis) principio errato, I giudizio di revo' �' I ! I ~ i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1588 � Pres. Sandulli � Est. Falcone � P. M. Sgroi (conf.) � Ministero delle Finanze (avv. Stato Stipo) c. Soc. Fratelli Pinna. Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Ricorso � Riconoscimento di ammontare di reddito superiore al dichiarato � :t vincolante � Decl� sione della commissione che determina reddito inferiore � Ultrape-, tizio ne. Ove il contribuente abbia riconosoiuto nel ricorso alla commissione un valore imponibile superiore a quello dichiarato, la commissione non pu�, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, determinare un reddito inferiore. (1) (omissis) Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l'amministrazione finanzia: rfa censura Ja decisione impugnata per avere ritenuto che 1a commissione di secondo grado non avesse pronunciato oltre i limiti deille difese dei contribuenti nel determinare il reddito netto imponibile Jn L. 8.768.082, senza tener conto che la societ� Pinna, dopo avere denunciato un reddito imponibile di Lire 6.188.816, nel contestare l'accertamento di lire 28.138.959 aveva chiesto, nel giudizio di primo grado, con la memoria aggiunta, sulla base di un calcolo analitico delle varie componenti, che H red&to stesso fosse accertato in lire 12.438.747, e che nell'impugnare la decisi,one di primo grado confermativa dell'accertamento, aveva insistito perch� venisse dichiarato l'indicato reddito netto di lire 12.438.747. La censura dev'e11sere accolta. La decisione impugnata, invero, ha ritenuto infondata la precisa denuncia, di ultrapetizione formulata dall'ufficio ricorrente, osservando che fa statuizione della commissione di secondo grado non aveva superato i limiti di quanto devoluto al suo riesame con il ricorso dei contribuenti, in quanto aveva riconosciuto la detraibilit� di alcune passivit� che gli stessi pretendevano di vedere riconosciute in toto. Ma cos� provvedendo ha dimostrato di non avere esattamente inteso la censura prospettatale ed � incorsa nella violazione del principio della (1) La decisione va messa in relazione con l'altra recente 6 luglio 1983, n. 4531, in questa Rassegna, 1983, I, 935, con nota di C. BAFILE. L'autonomia del contribuente che o in sede di dichiarazione o in sede di ricorso (la similarit� di effetti dei due atti � stata evidenziata da Cass., 29 aprile 1982, n. 2691, ivi, 1982, I, 958) stabilisce unilateralmente la base imponibile su cui commisurare l'imposta, � certamente capace di produrre una dichiarazione comunque vincolante (sia essa di volont� o di conoscenza) che non solo esonera dalla �dimostrazione di 'quanto gi� riconosciuto, ma impedisce sia all'ufficio che alla commissione di stabilire una base imponibile inferiore. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 376 corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sancito dall'art. 112 cod. proc. civ., la cui applicabilit� nel contenzioso tributario deriva dall'espresso richiamo Rlle norme del primo libro del codice di procedum oiVlile (con esclusione di norme che qui non interessano) contenuto nell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, e dalla considerazione che trattasi di norma espressiva di un principio generale del diritto processuale civile non incompatibile n� in contrasto con le norme speciali del processo tributario. Ove, dnfatti, il contribuente abbia dichiarato nel processo tributario -oome risulta essere avvenuto nella specie secondo l'assunto 'dell'amministrazione, la cui rispondenza alle risultanze degli atti del processo emerge dal controllo compiuto in questa sede, stante la natura del vizio (in procedendo) denunciato -un vailore imponibile maggiore del reddito indicato in sede di dichi�razione, allo scopo di rettificarlo, giustificando finanche, analiticamente, il nuovo maggiore importo di esso, fa commissione tributaria non pu�, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, determinare un reddito inferiore a quello che da ultimo il contribuente ha rico-� nosciuto da lui realizzato, giacch� trova in tale riconoscimento un limite invailicabile ai suoi poteri. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 marzo 1984, n. 1761 -Pres. Santosuosso -Est. Battime1li -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Borgato. Tributi erariali diretti -Soggetti pass1v1 -Li'1uidatore delle societ� -Liquidatore di fatto -Responsabilit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). L'avvenuta nomina dei liquidatori non esclude la responsabilit� degli amministratori che abbiano, anteriormente compiuto una liquidazione di fatto. (1) (omissis) Il ricorso � fondato. Per quanto attiene, infatti, al primo motivo, va osservato che la sentenza impugnata fa leva su di una interpretazione della normativa dell'art. 265 del t.u. delle imposte dirette n. 645 del 1958 difforme dal costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte. La quale ha pi� volte affermato, con una giurisprudenza ormai consolidata (ved. da ultimo le sentt. n. 328 e n. 3685 del 1981), che il solo fatto formale dell'avvenuta nomina dei (1) Viene ribadita la ben ferma giurisprudenza sulla responsabilit� del liquidatore di fatto (da ultimo Cass., 2 giugno 1980, n. 3593, in questa Rassegna, 1981, I, 251) anche per l'ipotesi che una liquidazione ufficiale sia stata promossa ! f dopo che la liquidazione era gi� sostanzialmente avvenuta. ~: r: ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA liquidatori non basta ad escludere la responsabilit� degli amministratori per l'attivit� da loro svolta prima della messa in liquidazione della societ�; ben � possibile, d.nfatti, che in epoca anteriore gli amministratori abbiano, di fatto, esaurito le attivit� sodali destinandole a fini diversi dal pagamento delle iimposte dovute sugli utili conseguiti ad attivit� sociali gi� compiute, s� che sia materialmente impossibile il pagamento di dette imposte nehla f~se di liquidazione, per difetto di attivo. In �casi del genere, quale appunto si assume essere quello di specie, la responsabjlit� del mancato pagamento delle imposte non pu� ascriversi ai liquidatori, ma va ascritta agli amministratori per la liquidazione da essi di fatto effettuata dell'attivo sociale, ove ne ricorrano i presupposti. Quest'ultimo rilievo comporta ailtres� l'accoglimento del secondo motivo di ricorso, che investe il mancato accertamento, nella sentenza impugnata, dell'esistenza, nel caso di specie, di una situazione del genere. La sentenza impugnata si fonda, iinvero, esolusivamente sull'affermata inapplicabilit� in astratto dell'art. 265 del t.u. del 1958, ed affronta solo per incidens la questione sollevata col secondo motivo di ricorso limitandosi all'apodittica affermazione: � a parte ogni manoanza di prova al riguardo�, La genericit� ed il mancate riferimento, sul punto, alle rispettive posizioni delle parti e alla rispettiva prospettazione della situazione di fatto, nonch� alla documentazione esistente agli atti, fa s� che non sia possibile alcun controllo sulla legittimit� di una simile affermazione; pertanto anche in relazione al motivo J.n esame la sentenza va cassata, essendo necessaria una completa disamina della questione di fatto ed una esauriente motivazione, da effettuarsi, in conformit� al principio di diritto enunciato in ordine al primo motivo, da altra Sezione della Corte di appello di Roma, cui la causa va rinviata e cui va rimessa anche la decisione sulle spese della presente fase del giudizio, in funzione dell'esito definitivo del giudizio a seguito dell'indagine di merito da effettuarsi. (omisSris) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1984, n. 1865 -Pres. Sandulli Est. Finocchiaro -P. M. Sgroi (diff) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Soc. CESICA (avv. Picciaredda). Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono � Agevolazione � Inconciliabilit�. (d.P.R. 5 novembre 1973 n. 660, art. 3). La domanda di condono delle imposte dirette comporta sempre irrevocabilmente la determinazione di un imponibile rigidamente ancorato RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 378 a dati preesistenti; conseguentemente con tale determinazione viene ad essere esclusa ogni agevolazione, totale o parziale. (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 3, primo e quarto comma della legge 19 dicembre 1973, n. 823 di conversione con modificazione del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, nonch� difetto di motivazione in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per non avere la commissione centrale tenuto presente il dettato dell'art. 3, quarto comma, della legge, per il quale � di ogni altra nuova o maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante nei periodi di imposta da definire non si tiene conto nei casi in cui le relative imposte (...) sono commisurate all'ultimo imponibile definito maggiorato del dieci o del venti per cento �, Il ricorso � fondato. Il problema sottoposto per la prima volta al giudizio di questa Corte riguarda gli effetti su una domanda di condono, avanzata ai sensi del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 convertito con modificazione nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, del successivo accoglimento di una domanda precedentemente presentata e diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una esenzione ai sensi di una legge gi� esistente al momento della presentazione dell'istanza di definizione agevolata (c.d. condono). Si tratta cio� di stabilire se il riconoscimento del diritto all'esenzione prevalga sulla domanda di condono o se invece quest'ultima renda priva di effetti, per gli esercizi in ordine ai quali la liquidazione dell'imposta � commisurata all'ultimo imponibile definito secondo i criteri di cui al citato d.l. n. 660 del 1973, la riconosciuta esenzione. Al fine di affermare la prevalenza dell'accoglimento della richiesta di .esenzione, la commissione tributaria centrale ha sostenuto che tale accoglimento assorbe ed elimina la domanda di condono in quanto non sorge in capo al soggetto che ne fruisce l'obbligazione tributaria per la quale � stata concessa l'esenzione stessa. Tale giustificazione ritiene il Collegio del tutto inappagante in quanto con la stessa� si viene ad introdurre una ipotesi di cessazione di efficacia della domanda di condono che contraddice alla irrevocabilit� della stessa espressamente prevista (art. 10, primo comma, d.l. n. 660 del 1973) senza alcun limite od eccezione. (1) Questione nuova. Con la sentenza 12 novembre 1983, n. 6740, in questa Rassegna, 1984, I, 159, era stato affermato che le agevolazioni �nuove o maggiori � sono irrilevanti quan�o intervengono successivamente all'ultimo periodo imponibile anche se anteriormente alla legge di condono. Ora viene data una impostazione pi� ampia, da condividere pienamente, che risolve il problema in radice. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA N� maggiormente fondate appaiono le articolate difese del contribuente il quale, partendo dalla premessa secondo cui il presupposto essenziale per ottenere l'applicazione del condono � l'esistenza di un reddito imponibile e dal rilievo per cui il provvedimento di esenzione � meramente dichiarativo (o accertativo) di un diritto preesistente -onde lo stesso si pone come fatto impeditivo che inibisce la produzione di ogni qualsivoglia effetto derivante ab origine dalla realizzazione del presupposto del tributo -trae la conseguenza che l'emanazione del provvedimento di esecuzione a distanza di notevole lasso di tempo rispetto alla presentazione della domanda diretta ad ottenere l'esenzione stessa non esclude la sua applicabilit� e non consente di considerarla come � nuova esenzione � ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 3, quarto comma, d.I. n. 660 come modificato dalla legge n. 823 del 1973. '� sufficiente in proposito rilevare che, contrariamente all'assunto dell'intimato, presupposto per l'applicazione della liquidazione agevolata non � l'esistenza di un reddito imponibile con riferimento al periodo di imposta ~a definire, ma la dichiarazione (o l'intervenuta definizione dell'esistenza) di un reddito imponibile relativa a un periodo d'imposta precedente quello da definire e ci� a prescindere dall'esistenza, anche in tale periodo, di un reddito imponibile: il legislatore, cio�, d� rilievo -proprio allo scopo della soiiecita definizione delle pendenze tributarie cui � ispirata la legge agevolativa -non gi� alla effettiva esistenza di un reddito da sottoporre a tributo, ma alla circostanza che il contribuente lo abbia dichiarato per i periodi da prendere a base per la liquidazione e che, nel domandare l'applicazione delle disposizioni contenute nel d.l. n. 660 del 1973, ne affermi implicitamente l'esistenza per il periodo successivo. Se quanto precede � esatto, � evidente come sia priva di pratica utilit�. ogni discussione sulla natura dichiarativa o meno del provvedimento di riconoscimento dell'esenzione spettante ai sensi dell'art. 8, legge 29 luglio 1957, n. 635: l'irrilevanza della riconosciuta esenzione non deriva da un suo particolare carattere ma dalla circostanza che per il legislatore del 1973 l'esenzione si pone come elemento estraneo alla fattispecie agevolativa: tale esenzione -malgrado il carattere dichiarativo del provvedimento che la riconosce -come non pu� operare con riferimento ad un periodo d'imposta in ordine al quale sia intervenuto un accertamento definitivo -in quanto proprio la sua definitivit� ne impedisce ogni contestazione -non pu� parimenti operare quando sopravvenga in un periodo nel quale potrebbe astrattamente operare ove non fosse stata presentata la domanda di definizione agevolata ai sensi del d.I. n. 660 del 1973. La domanda di condono, infatti, imponendo la liquidazione dell'imposta, per i periodi ivi previsti, nei termh� e secondo le modalit� fissate dal citato decreto, impedisce di dare rilievo a situazioni e circostanze RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 380 che potrebbero legittimare una diversa liquidazione; ammettere la rilevanza ai fini della liquidazione dell'imposta di provvedimenti di esenzione totale o parziale (come nella specie) sarebbe contrario allo spirito del provvedimento in quanto, introducendo un sistema di liquidazione non previsto, darebbe luogo ad una � definizione � illegittima per violazione delle norme del decreto (art. 11, secondo comma, d.l. n. 660 del 1973). Mentre, quindi, un imponibile definito impedisce di prendere in considerazione situazioni astrattamente idonee a modificarlo, proprio per la sua intangibilit�, la domanda irrevocabile del contribuente comportando la volont� -tipicamente valutata dal legislatore -di ottenere la liquidazione dell'imposta secondo i criteri fissati dal provvedimento che la prevede e l'obbligo dell'amministrazione di procedere a tale liquidazione secondo gli stessi parametri, impedisce ad entrambe le parti del rapporto tributario di procedere (o di pretendere che si proceda) ad una determinazione del reddito imponibile -e ad una conseguente liquidazione dell'imposta -valorizzando provvedimenti agevolativi I o di esenzione dall'imposta e senza che la �novit�� o meno delle agevolazioni o delle esenzioni induca a conclusioni diverse. La parte finale del quarto comma dell'art. 3, d.l. n. 660 del 1973, nel I testo assunto a seguito delle modificazioni apportate dalla legge di con I ~ versione n. 823 del 1973, nella parte in cui stabilisce che �di ogni altra nuova o maggiore agevolazione e nuova esenzione eventualmente spettante nei periodi di imposta da definire non si tiene conto nei casi in cui le relative imposte, a norma dei precedenti commi, sono commisurate all'ultimo imponibile definito maggiorato del dieci o del venti per cento� non legittima una interpretazione nel senso che delle agevolazioni o esen I zioni � non nuove � si debba tener conto ai fini della liquidazione dell'imposta. I t Il legislatore, rimettendo al contribente la possibilit� di domandare 1 o meno la liquidazione agevolata, vuole che lo stesso -sulla base della legislazione vigente al momento della presentazione della domanda -sia I unico giudice della convenienza o meno dell'opzione da compiere. Pertanto, ove tale scelta il contribuente abbia compiuto ed abbia presentato domanda di condono, � evidente che nessun conto si pu� I poi tenere di agevolazioni od esenzioni di cui lo stesso avrebbe potuto beneficiare e ci� a prescindere dal fatto che tali agevolazioni o esenzioni I� ~ abbia ottenuto o meno o che la relativa pratica sia ancora in corso di E i definizione. Ci� del resto � coerente con il principio di cui all'art. 1 d.l. ! n. 660 secondo cui la domanda deve comprendere a pena di nullit�, tutte i le pendenze relative all'imposta da definire intendendo per tali non gi� f ~ l'esistenza di una controversia sull'imposta applicata o da applicare, i f ma la semplice esistenza di un accertamento non definito. I ~ Allo scopo, poi, di evitare che la scelta compiuta dal contribuente i possa essere posta nel nulla dal sopraggiugere di una nuova disciplina I i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA agevolativa di maggior favore, in quanto in tale ipotesi la scelta non sarebbe stata compiuta nella conoscenza di tutti gli elementi utili per indirizzarla in un senso anzich�,._ nell'altro, con l'astratta possibilit� di una revocabilit� della domanda di condono, il legislatore ha dettato la norma sopra riportata, la quale, nell'affermare l'irrilevanza delle norme contenenti nuove e maggiori agevolazioni o nuove esenzioni even� tualmente spettanti, d� un pi� preciso contenuto al principio della irrevocabilit� della domanda di condono e della intangibilit� della definizione agevolata (art. 11, secondo comma, d.l. n. 660). Seppure � esatto -come rileva il contribuente -che con la domanda di condono non vi � rinunzia alle agevolazioni (o esenzioni) richieste o spettanti, in quanto il contribuente che la presenta non manifesta alcuna volont� in tal senso, deve per� rilevarsi che proprio la -richiesta di definizione agevolata della pendenza, secondo i parametri fissati dal provvedimento che la disciplina, impedendo la normale operativit� dei criteri per la liquidazione dell'imposta, ha quoad effectum il valore di una rinunzia a tali agevolazioni (o esenzioni). Sulla base dei precedenti rilievi �, quindi, irrilevante accertare se, nella fattispecie in esame, il riconoscimento del diritto all'esenzione prevista dall'art. 8, legge 29 luglio 1957, n. 635, intervenuto dopo la presenta� zione della domanda di c.d. condono costituisca o meno �nuova esenzione� dal momento che in qualsiasi modo si ricostruisca dogmaticamente la fattispecie agevolativa, la presentazione della domanda di condono impedisce che, ai fini della liquidazione agevolata, si possa tenere conto di qualsiasi esenzione sia essa �nuova� e �non nuova�, senza che si possa condividere la tesi sostenuta dal controricoi:rente il quale -al fine della �non novit�� dell'esenzione -afferma che la comunicazione dell'accoglimento della domanda di esenzione prima della presentazione della domanda di definizione agevolata avrebbe consentito al contribu~nte di beneficiare di entrambe le agevolazioni e da ci� trae le conclusioni che anche in ipotesi di comunicazione dell'accoglimento della domanda di esenzione dopo la domanda di condono si deve riconoscere il diritto del contribuente alla doppia agevolazione. � sufficiente in proposito osservare che la comunicazione della riconosciuta esenzione prima della presentazione della domanda di definizione agevolata avrebbe solo fornito al contribuente la possibilit� di pi� adeguatamente valutare le ragioni della scelta, ma che ove lo stesso avesse ritenuto di presentare, ci� malgrado, la domanda di condono, la stessa avrebbe -per le considerazioni precedenti -impedito di tener conto delle gi� concesse esenzioni ai fini della liquidazione dell'imposta. Si deve, pertanto, concludere che la presentazione della domanda di definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 660 del 1973, convertito con modificazioni nella legge n. 823 del 1973, impedisce che, ai fini della liquidazione dell'imposta dovuta per i periodi per i quali opera tale defi 382 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO mz1one agevolata, si possa tener conto delle esenzioni spettanti al contribuente in virt� dell'art. 8 della legge n. 635 del 1957, a prescindere dal momento -anteriore o posteriore alla presentazione della domanda di condono -in cui il riconoscimento del diritto all'esenzione sia stato comunicato al contribuente. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1984, n. 1867 -Pres. Sandulli Est. Rocchi -P. M. Antoci (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Fallimento Tagliota (avv. Turchi). Tributi in genere -Accertamento � Sanzioni � Provvedimento di irrogazion� -Natura -Nascita dell'obbligazione. Sia l'obbligazione per il tributo sia quella per la sanzione nascono al momento dell'avveramento del presupposto, avendo sia l'accertamento che il provvedimento che irroga la sanzione natura dichiarativa di effetti gi� verificatisi ed essendo pronunciati al di fuori di ogni discrezionalit�, salvo che per la determinazione della misura della sanzione (applicazione in tema di ammissibilit� nel passivo fallimentare di sanzioni accertate dopo la dichiarazione di fallimento per infrazioni commesse anteriormente). (1) .(omissis) Con l'unico motivo di annullamento l'Amministrazione deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nonch� degli artt. 21 e segg. in relazione agli artt. 41 e segg. del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Lamenta in particolare, l'Amministrazione ricorrente che l'impugnata sentenza abbia negato che il credito per . pena pecuniaria da infrazioni della legge sull'IVA potesse essere collocato al passivo fallimentare,� all'uopo identificando il momento di nascita della relativa obbligazione con quello di irrogazione della sanzione, successivo, nel caso di specie, alla dichiarazione di fallimento. In sostanza, l'Amministrazione sostiene (nel presupposto che, nell'ambito del rapporto giuridico di imposta, la legge ricollega al verificarsi di un dato presupposto la nascita di obbligazioni formali e sostanziali a carico del soggetto passivo) che la violazione dei doveri di comportamenti preordinati al concreto e fruttuoso esercizio del potere di imposizione tributaria costituisce fatto da cui discendono immediatamente conse (1) Conformi sono le sentenze in pari data nn. 1868 e 1869. Dopo la recente decisione 13 settembre 1983, n. 5552, in questa Rassegna, 1983, I, 949, viene riaffermato in tutta l'ampiezza il principio cardine della natura dell'obbligazione (di imposta e di sanzione) dal quale discendono vastissime conseguenze. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA guenze patrimoniali, in termini di sanzione. In ordine alla quale, la discrezionalit� di cui gode l'Amministrazione riguarda solo la graduazione della pena pecuniaria, mentre l'atto con cui essa accetta il verificarsi dei relativi presupposti ed irroga la sanzione rimane fuori dalla fattispecie costitutiva della relativa obbligazione (onde l'ammissibilit� nella specie del relativo credito d'imposta al passivo fallimentare). Risolutivo in tal senso sarebbe l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 secondo cui il diritto alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive col decorso di cinque anni dalla commessa violazione. Il ricorso � fondato. La questione proposta va esaminata sia avendo riguardo alla natura dell'accertamento tributario, sia avendo riguardo al provvedimento irrogativo della sanzione pecuniaria e al relativo credito. Sul primo punto, vale osservare che, con l'accertamento, l'Amministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi� verificatesi, al solo fine di precisare in termini quantitativi gli effetti giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilit� (v. Cass., nn. 2397/81, 5552/83). Inoltre, nel regime istituito con la riforma tributaria, vige anche per le imposte personali (corrispondenti a quelle che anteriormente erano qualificate �imposte con accertamento�) il sistema� dell'autoaccertamento e dell'autotassazione rispetto a cui il successivo eventuale accertamento dell'Ammistrazione ha, in definitiva, la funzione di verifica della regolarit� formale e sostanziale degli adempimenti del contribuente, e, in caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, di dichiarare gli effetti che la legge ricollega alla fattispecie assunta come presupposto dell'imposta. Non sembra pertanto, dubbio che, in base alla natura dell'accertamento tributario, la data di riferimento, ai fini del giudizio sull'anteriorit� al fallimento del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella della infrazione e non quella della irrogazione �della sanzione. Anche per l'IVA, infatti il d.P.R. n. 633/72 prevede specifiche forme di autoaccertamento ed autotassazione e, in apertura del titolo quarto, concernente l'accertamento e la riscossione prevede attribuzioni e poteri all'ufficio in funzione di controllo delle dichiarazioni del contribuente (Cass., n. 5552/83). Quanto al secondo punto, va rilevato che prescindendosi dall~ problematica dell'accertamento del tributo ed avendo, cio�, riguardo al provvedimento irrogativo della sanzione pecuniaria ed al relativo credito (cio� al credito da pena pecuniaria per violazione degli obblighi imposti dal citato d.P.R. n..633) non si perviene a diversa conclusione. Va premesso che un credito si considera anteriore al fallimento, e quindi ammissibile al concorso, se il relativo fatto costitutivo (contratto, fatto illecito,� atto o fatto idoneo a produrlo in conformit� del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'ordinamento) si sia concretato prima della data della sentenza dichiarativa di fallimento, e che a questi fini non ha alcuna rilevanza la circostanza che il credito sia o non sia, prima di tale data, liquido ed esigibile (Cass. n. 5552/83 cit.). In tale prospetto, deve rilevarsi che il credito erariale per sanzione pecuniaria trova la sua origine in un comportamento commissivo od omissivo del contribuente, il quale diventa giuridicamente rilevante (come fatto costitutivo della ragione di credito) nello stesso momento in cui risulta posto in essere. L'art. 51 del d.P.R. 633/72 attribuisce infatti, all'organo tributario il potere-dovere di irrogare la sanzione nell'ambito dell'attivit� con cui esso controlla la dichiarazione del contribuente e ne rileva l'eventuale omissione, per modo che il provvedimento irrogativo della sanzione (applicabile in caso di accertate violazioni) non � che la constatazione degli effetti di un comportamento anteriore e la determinazione quantitativa delle conseguenze patrimoniali derivatene a carico dell'autore della violazione. Consegue che solo a tale determinazione va riferito il margine di discrezionalit� attribuito all'ufficio erariale, mentre rimane sottratta alla sua disponibilit� l'obbligazione in se, potendo soltanto gli organi del contenzioso tributario dichiarare � non dovute � le pene pecuniarie (art. 48 ultimo comma) con una valutazione che non esclude, peraltro, l'esistenza dell'anteriore presupposto dell'obbligazione stessa e valorizza circostanze che rendono non censurabile in concreto il comportamento del contribuente. Depone a favore della superiore tesi l'art. 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633, secondo cui il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive in cinque anni dalla data dell'infrazione. La norma indicata esprime, infatti, un principio generale, nel senso che il fatto costitutivo del diritto di credito da sanzione pecuniaria sorge col comportamento commissivo ed omissivo del contribuente, assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria e come presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali. Ed a tale principio questa Corte ha riconosciuto una forza tale da porre a carico dell'amministrazione i tempi necessari allo svolgimento del procedimento di accertamento dell'infrazione (v. Cass., nn. 1502/78, 3431/80). Pi� specificamente e direttamente dispone in materia l'art. 58 del d.P.R. n. 633/72, citato, il quale, al terzo comma, con riferimento alle infrazioni che non danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere il termine per la notifica del provvedimento di irrogazione della sanzione, assumendo come anno iniziale quello in cui � avvenuta la violazione, cos� come, analogamente, il secondo comma (coordinato col precedente art. 57) per quanto riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamen PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 385 to, fa riferimento all'anno in cui la dichiarazione del contribuente � stata o avrebbe dovuto essere presentata. Ora, � pur vero che la norma prevede piuttosto una decadenza dal potere di irrogazione della sanzione che una prescrizfone del relativo credito, ma � anche vero che tale potere si risolve nella constatazione formale (della rilevanza) di un fatto anteriore, costituente infrazione, e nella determinazione degli effetti che la legge vi ricollega. E poich� tali effetti si concretano in una obbligazione di pagamento di una somma di denaro, e la detta obbligazione ha carattere civile, ne deriva che essa (a differenza di quella relativa ad una sanzione penale) � concepibile e pu� sussistere anche come avente ad oggetto un illiquido, e che, quindi, il fatto considerato dalla legge come idoneo a produrla (cio� il comportamento omissivo o commissivo del contribuente) integra compiutamente il suo momento genetico (Cass., n. 5552/83 cit.). Alla luce di tutte le considerazioni svolte, deve quindi concludersi che, come tra l'altro gi� rilevato da questa Corte con senten2la 1502 del 3 aprile 1978 in tema di infrazioni valutarie, anche nella materia in esame il procedimento sanzionatorio e il conseguente provvedimento hanno la funzione di accertare nei suoi termini quantitativi una obbligazione pecuniaria collegata ad ,un fatto costitutivo precedente, e che, se tale fatto � anteriore al fallimento dell'autore della violazione (come nella specie), il relativo credito dell'amministrazione finanziaria � ammissibile al concorso fallimentare. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 marzo '1984 n. 1925 -Pres. Virgilio Est. Maltese -P. M. Leo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Soc. Tintoria fratelli Bozzo (avv. Ghia). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati -Reddito effettivo. Comparazione con canoni locativi di fabbricati analoghi � Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 74; legge 23 febbraio 1960, n. 131, art. 2)\ Con l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 � stato abrogato l'art. 74 del t.u. delle imposte dirette; conseguentemente il reddito effettivo, superiore a quello catastale, pu� essere preso a base dell'imposta solo quando esista una locazione e mai ricorrendo al criterio comparativo con canoni per fabbricati analoghi. (1) (1) Dopo il contrasto determinatosi con la sentenza 25 marzo 1983, n. 2083 e 30 luglio 1982, n. 4360 (in questa Rassegna, 1983, I, 518 e 520), la S. C. prende nettamente posizione per la soluzione che esclude l'ammissibilit� del confronto con canoni correnti sul mercato per derogare al reddito catastale. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 386 (omissis) Con l'unico mezzo il Ministero ricorrente denuncia la violazione degli artt. l, 2, 3, legge 23 febbraio 1960, n. 131 e degli artt. 17, 31, 69 d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 2 cod. proc. civ. Sostiene che, in mancanza di una rendita catastale, la societ� avrebbe dovuto includere nella dichiarazione dei redditi l'indicazione della quota derivante dal godimento dell'immobile, da considerare reddito specificamente imputabile alla locazione del fabbricato. Provata la percezione del reddito, la consistenza di esso si sarebbe dovuta dimostrare con metodo induttivo, nelle forme previste, in genere, per l'accertamento dell'imponibile in tema di imposte dirette. Erroneamente, pertanto, la Corte d'appello avrebbe ritenuto di poter procedere a tale accertamento nelle sole forme stabilite per la determinazione della rendita: catastale, procedimento, questo, non utilizzabile nel caso concreto, per la mancata attribuzione di una rendita all'immobile, pur censito a catasto. Il motivo � infondato. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, � in tema d'imposta sul reddito dei fabbricati, ed ai fini della determinazione del relativo imponibile; con l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131, il sistema di accertamento � basato sulla rendita catastale aggiornata secondo i coefficienti stabiliti annualmente dal Ministro delle Finanze, trovando una sola deroga in favore del criterio del reddito lordo effettivo � dell'unit� immobiliare, ove questo, ridotto del 25 % risulti superiore per oltre un quinto alla rendita catastale aggiornata, sicch� deve escludersi che l'amministrazione finanziaria possa fare riferimento, agli indicati fini, al reddito presunto in base alla comparazione con altri fabbricati analoghi, ai sensi dell'art. 74 del d.P.R. n. 645 del 1958 � (sent. Sez. I, 1� aprile 1982, n. 2002; v. anche sent. Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3244). � rimasta isolata la decisione contraria, con la quale si era ritenuto che �anche a seguito� dell'entrata in vigore dell'art. 3 legge 17 maggio 1969, n. 254, contenente norme integrative della legge 23 febbraio 1960, n. 131, concernente l'applicazione dell'imposta fabbricati sulla base della rendita catastale, l'amministrazione finanziaria potesse ricorrere all'accertamento induttivo previsto dall'art. 74 d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 in ordine al reddito immobiliare, in contrasto con quello catastale � (Sez. I, 30 luglio 1982, n. 4360). Infatti, con decisioni successive � stato riaffermato il principio secondo il quale � la determinazione del reddito imponibile dei fabbricati non pu� avvenire in via induttiva ai sensi dell'art. 2 legge n. 131 del 1960, in quanto tale norma -con l'espressione �reddito effettivo lordo� intende riferirsi al reddito realmente e concretamente ricavato dalla locazione dell'immobile� (Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2083); non � possibile, cio�, dopo l'entrata in vigore della legge n. 131 del 1960, determinare il reddito imponibile, ai fini della tassazione per l'imposta sui fabbricati, ! ~ mediante le semplici presunzioni desumibili dalla comparazione con red i [ f ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA diti di edifici similari, �in quanto l'art. 2 della legge 131/60 consente la tassazione di un reddito imponibile diverso dalla rendita catastale solo se venga accertata la reale esistenza di un reddito maggiore� (Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2231). Obietta l'amministrazione finanziaria che nel sistema della legge n. 131, ��pur non potendosi ammettere una determinazione del reddito degli im mobili non locati in base ai canoni correnti anzich� in base alla rendita catastale, sarebbe sempre possibile, una volta provata l'effettiva percezione di un reddito, dimostrarne Ja consistenza con metodo induttivo; e questo metodo consisterebbe nella comparazione col reddito di altri immobili similari dati in locazione. L'argomentazione della ricorrente non pu� essere condivisa dal Collegio. Invero, secondo l'art. 74 t.u. n. 645 del 1958, si accerta per comparazione un reddito potenziale in mancanza di un reddito noto o in contrapposizione a un reddito noto inferiore a quello di mercato. Ora, un reddito potenziale � cosa ben diversa dal � reddfto lordo ef fettivo�, che rappFesenta secondo l'art. 2 legge n. 131 del 1960, l'unica alternativa possibile (ricorrendone le specifiche condizioni di legge sopra accennate) all'accertamento del reddito in base alla rendita catastale ag giornata. Da ci� consegue, com'� stato gi� chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, che � precluso all'amministrazione ricorrere al sistema di accertamento per comparazione, � essendole solo consentito di procedere alla tassazione o della rendita catastale aggiornata, ovvero, alla condizione indicata dall'art. 2 legge del 1960, del reddito effettivo lordo, che non pu� intendersi se non quello realmente e concretamente ricavato dalla loca zione dell'immobile� (sent. n. 2083/1983, cit.). Onde nel nuovo sistema della legge n. 131 del 1960 -sostanzialmente mantenuto, in regime transitorio, con la riforma del d.P.R. 27 settembre 1979, n. 597 -� non trova pi� spazio, come reddito imponibile dei fab bricati, il reddito presunto o potenziale, determinato comparativamente, secondo i criteri del mercato locatizio corrente� (sent. citata). Correttamente dunque, la Corte d'appello ha ritenuto che l'accerta mento dovesse essere eseguito soltanto in base ai valori della rendita catastale -ancora mancanti -, da determinare secondo la stima del l'U.T.E. nella competente sede censuaria. (omissis) SEZIONE SETTIA-IA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE__ ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 marzo 1984, n. 2017 � Pres. Greco � Rel. Cantillo -P. M. Caristo � ENEL (avv. Mazzullo) c. Ministero delle finanze (vice avv. gen. Stato Del Greco). Acque � Sovracanoni � Imposizione -Presupposti. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 53; legge 4 dicembre 21 dicembre 1961, n. 1501, art. 1). 1956, n. 1377, art. 1; legge Il potere dell'amministrazione di imporre il sovracanone previsto dall'art. 53 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sostituito dall'art. 1 della legge 4 dicembre 1956, n. 1377 e modificato dall'art. 1 della legge 21 dicembre 1961, n. 1501, ha come unico presupposto materiale la concessione della derivazione ed � perci� priva di rilievo la circostanza che la concessione non venga utilizzata per mancata realizzazione degli impianti o per altra causa, mentre l'ente concessionario, per sottrarsi all'atto di imposizione, pu� rinunziare alla concessione facendone venir meno il presupposto. (1) (omissis) La tesi svolta con l'unico motivo di ricorso -secondo cui il sovracanone previsto dall'art. 53 del t.u. sulle acque e gli impianti elettrici r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (sostituito dall'art. 1 della legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e modif. dall'art. 1 della legge 21 dicembre 1961, n. 1501), ha natura indennitaria e postula, perci�, la realizzazione degli impianti occorrenti per l'esercizio della derivazione -trova puntuale confutazione negli argomenti addotti da queste Sezioni Unite a sostegno dell'ordinanza indicata in narrativa, con la quale � stato precisato che il potere della pubblica amministrazione di imporre il sovracanone � correlato al solo presupposto dell'esistenza di un valido atto di concessione di una grande derivazione di acqua pubblica e che il sovracanone medesimo si inquadra, quindi, fra le prestazioni patrimoniali imposte, configurando un'entrata integrativa delle risorse degli enti rivieraschi. Come pure si � riferito in precedenza, tale qualificazione � stata condivisa dalla Corte costituzionale, che ha esaminato la legittimit� della norma con riferimento all'art. 23 Cost., affermando che la disposizione, ~1) La sentenza 23 novembre 1972, n. 44, del Tribunale superiore delle acque confermata dalla Cassazione � pubblicata in Cons. Stato, 1972, II, 1265. L'ordinanza 1� apriie 1976 delle sezioni unite e la sentenza 31 dicembre 1982, n. 257, della Corte costituzionale possono leggersi, rispettivamente, in Giur. cast., 1976, II, 1665 e 1982, I, 2386. ~ ! . ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI oltre ad essere funzionale ad un'esigenza di ordine costituzionale, qual'� quella del sostegno delle autonomie locali, � in linea con il principio di legalit� dell'imposizione, in quanto la discrezionalit� degli organi amministrativi nell'esercizio del potere impositivo risulta sufficientemente limitata con riguardo sia ai criteri impositivi, individuati in modo oggettivo nell'importanza della derivazione -che � indice della capacit� contributiva del soggetto passivo in rapporto alla sua posizi�ne di concessionario e nelle condizioni economiche degli enti locali a cui favore � stabilita la prestazione; sia all'ammontare della medesima, venendo stabilita la misura massima del sovracanone; e sia alle garanzie procedimentali, prevedendosi, fra l'altro, il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. In definitiva, nel sistema della legge il sovracanone viene applicato dall'autorit� amministrativa nell'esercizio di un potere impositivo che ha come unico presupposto materiale la concessione della derivazione e perci� � priva di rilievo la circostanza che la concessione non venga utilizzata, per mancata realizzazione degli impianti o per altra causa; in queste ipotesi l'ente concessionario, per sottrarsi all'atto di imposizione, deve far venire meno il suo presupposto, rinunziando alla concessione. Nella vicenda in esame la sentenza ha correttamente ritenuto legittima l'imposizione del sovracanone nonostante la mancata realizzazione di parte delle opere occorrenti per la derivazione e pertanto il ricorso deve essere rigettato. (omissis) I CORTE D'APPELLO DI ROMA, Sez. I, 19 dicembre 1983, n. 2687 -Pres. Colesanti -Est. Rossi -Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Vittoria) c. Parasiliti (n.c.). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici � Facolt�. di esclusione della competenza arbitrale � Competenza dell'Avvocatura dello Stato � Sussiste -Anteriore nomina dell'arbitro da parte della P.A. -Non preceduta da notifica della domanda all'Avvocatura � Irrilevanza. (t.u. 30 ottobre 1933, n.1611, art. 11 mod. da legge 25 marzo 1958, n. 260, art. 1; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 45 e 49). La scelta tra la competenza arbitrale e la competenza giudiziaria ordinaria da parte della P.A. costituisce un'attivit� di carattere tecnico processuale, come tale rientrante nella discrezionalit� del procuratore, il cui esercizio spetta all'Avvocatura dello Stato, rappresentante in giudizio ex lege della P.A. Se sia mancata la previa notifica della domanda di arbitrato presso l'Avvocatura dello Stato, non pu� porsi il problema se 390 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ia nomina dell'arbitro competenza arbitrale e da parte perci� ne della P.A. implichi accettazione della precluda la successiva declinatoria. (1) II CORTE D'APPELLO DI ROMA, Sez. I, 21maggio1984, n. 1204 -Pres. Minniti -Est. Cocco -ANAS (avv. Stato Bruno) c. D'Amico (avv. Manfredonia). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Clausola compromissoria -Richiamo alle disposizioni contenute nel capo VI del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -Valore. (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art!. 43 e ss.). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Arbitrato -Disciplina del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Rilevanza normativa -Derogabilit� convenzionale - Esclusione -Fattispecie -Facolt� di declinare la competenza arbitrale. (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art!. 43 e 47). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Facolt� di esclusione della competenza arbitrale -Competenza dell'Avvocatura dello Stato -Sussiste. (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47). Il patto contenuto in un capitolato speciale unito a contratto d'appalto convenuto dall'ANAS, il quale stabilisca che �tutte le controversie tra l'Amministrazione e l'impresa, sorte durante i lavori oppure durante il collaudo, che non siano state definite in via amministrativa, quale che sia la loro natura, tecnica, amministrativa o giuridica, saranno defer:ite ad un giudizio arbitrale a termini delle disposizioni contenute nel capitolo VI del cap. gen. n. 1063 � contiene un rinvio per relationem alla speciale disciplina di cui al capo VI del d.P.R. n. 1063 del 1962 e non una preventiva rinuncia alle facolt� di scelta tra competenza arbitrale e giudiziaria ordinaria in essa regolate. (2) (1) -(4) Sulla prima parte della prima massima e sulla quarta, cfr. da ultimo Trib. Roma, 30 aprile 1983, n. 6688, in questa Rassegna, 1983, I, 577 ed ivi il richiamo della sentenza 22 dicembre 1969, n. 4022 della Cassazione e della contraria giurisprudenza arbitrale. Non constano precedenti in termini sulla seconda parte della prima massima. (2) Nello stesso senso cfr. ancora, con riguardo a clausola di analogo contenuto, Trib. Roma, 30 aprile 1983, n. 6688, cit. Alla contraria giurisprudenza arbitrale ivi citata, adde, Lodo 21 giugno 1982, n. 39, in Arch. giur. op. pubbl., 1982, Ili, 242; Lodo 26 giugno 1982, n. 41, ivi 1982, III, 301. '! f: . t � tr: 11I r1:1;ir1it111111111&11tl11111:11r11111m~t111:::111111r1111111111111l111l11111111rM PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 391 E inefficace la clausola contenuta in un capitolato speciale relativo ad ,appalto ricadente sotto la disciplina del capitolato generale approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che, in difformit� dal disposto degli artt. 43 e 47 di tale capitolato, deferisca le controversie prevedute dall'art. 43 alla competenza arbitrale, escludendo la facolt� di scelta della competenza giudiziaria ordinaria prevista dall'art. 47. (3) Rientra nelle funzioni dell'Avvocatura dello Stato esercitare ta facolt� di scelta tra competenza giudiziaria ordinaria e competenza arbitrale e perci� di declinare quest'ultima a norma dell'art. 47 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063. (4) I (omissis) L'impugnazione del lodo arbitrale � fondata. Nella relata di notifica della domanda di arbitrato sono stati indicati come destinatari il Ministero dei LL.PP., in persona del Ministro pro tempore e lo stesso Ministero presso il domicilio dell'Avvocatura dello Stato. I due avvisi di ricevimento dimostrano, per�, che i due plichi ven (3) Nello stesso senso, Cass. 13 marzo 1982 n. 1638, richiamata in motivazione, che pu� leggersi in questa Rassegna 1982, I, 843 con nota di richiami e in Arch. giur. op pubbl. 1983, II, 35. L'esclusione della competenza arbitrale nelle norme del capitolato generale approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063. I rapporti tra notifica della domanda arbitrale, nomina dell'arbitro e declinatoria della competenza. 1. -Una delle questioni affrontate dal lodo, di cui la corte d'appello ha pronunciato la nullit�, aveva riguardo al rapporto tra nomina dell'arbitro da parte del Ministro per i lavori pubblici a norma dell'art. 45 lett. d) del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 ed esercizio della facolt� di escludere la competenza arbitrale preveduta dall'art. 47, secondo comma, dello stesso decreto. Il lodo aveva ritenuto che la nomina fatta dal ministro per i lavori pubblici implichi la scelta per l'arbitrato e precluda una difforme valutazione da parte dell'Avvocatura dello Stato quanto all'esercizio della facolt� di deroga. 2. -La successione dei fatti avutasi nel caso concreto era questa: la nomina dell'arbitro da parte del ministro si era avuta prima che la facolt� di derogare la competenza ~rbitrale fosse esercitata -di qui la conclusione, raggiunta dal lodo, che il primo atto precludesse il secondo -; la nomina non era stata preceduta dalla notificazione dell'istanza per arbitrato presso l'ufficio dell'Avvocatura generale dello Stato, invece prescritta (art. 11, primo comma, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; art. 46, secondo comma, d.P.R. 1063 del 1962) -donde il problema se la prima conclusione, vera in ipotesi, fosse poi valida anche nel caso concreto -. 3. -Nel sistema preveduto dagli artt. 43 e ss. del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, perch� si radichi la competenza arbitrale � necessario che la parte attrice la scelga e che tale scelta manifesti alla parte convenuta notificando l'istanza per arbitrato nel modo che s'� detto. La notifica all'Avvocatura dello Stato � imposta ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933 e perci� la sua mancanza determina 392 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nero consegnati presso il Ministero dei LL.PP. e ad un funzionario dipendente di tale Ministero. Gli atti istitutivi di giudizio che si svolgono innanzi agli arbitri .e in cui siano indicate Amministrazioni dello Stato vanno notificati alle Amministrazioni presso l'ufficio competente dell'Avvocatura dello Stato �a pena di nullit� rilevabile di ufficio � (t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, modificato dalla legge 25 marzo 1958, n. 260). L'art. 46 del capitolato LL.PP. del 1962/ 1063 ribadisce che la notificazione dell'istanza di arbitrato � deve � essere fatta presso l'ufficio della Avvocatura generale dello Stato ai sensi e per gli effetti delle norme sopramenzionate. Nella procedura arbitrale (v. articoli 48 e 49 del capitolato) � peraltro da sottolineare che solo dopo la notifica dell'istanza di arbitrato viene prevista la presentazione ai presidenti dei collegi menzionati dall'art. 45 del capitolato delle istanze per la nomina degli arbitri. N� va trascurato che la notifica della domanda di arbitrato � prevista dall'art. 47 del capitolato anche ai fini di ulteriori termini entro i quali l'una o l'altra parte hanno la facolt� di declinare la competenza arbitrale per la competenza del giudice ordinario. Deve, per�, osservarsi che il vizio di nullit� connesso ad una notificazione da eseguire nei casi normativamente previsti nei confronti dell'Avvocatura dello Stato appare, dopo la sentenza 8 luglio 1967 n. 97 della Corte costituzionale, suscettibile di sanatoria. Nel caso in esame, il Collegio arbitrale, comunque costituitosi dopo la omessa notifica della .istanza di arbitrato all'Avvocatura dello Stato, � ricorso all'art. 291 c.p.c. ordinando la rinnovazione della notifica della istanza nei confronti dell'Amministrazione dei LL.PP. nel domicilio presso l'Avvocatura dello Stato. Su�cessivamente, per�, la stessa Amministrazione, tramite il rappresentante dell'Avvocatura ebbe, con atto notificato la nullit� della domanda arbitrale. Ci� significa non solo, dal punto di vista degli effetti, che la domanda nulla non pu� valere a porre in moto il termine di decadenza (art. 47, primo comma, d.P.R. n. 1063 del 1962) entro il quale la facolt� di deroga pu� essere esercitata, ma anche che il capitolato generale considera essenziale, ai fini della scelta della competenza arbitrale da parte dell'Amministrazione, il fatto che l'Avvocatura dello Stato sia posta in condizi�mi di esercitare in tale fase le attribuzioni che le sono proprie, di rappresentanza patrocinio e assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato (art. 1 r.d. n. 1611 del 1933). Ora, quando la notifica sia stata fatta e nel tempo previsto per la scelta della competenza arbitrale l'amministrazione nomini il proprio arbitro, pu� porsi il problema del se alla nomina sia da riconoscere anche il valore di una scelta positiva in ordine alla competenza arbitrale, tale da non consentirne una successiva diversa. Quando per� manchi, perch� nullo, il primo atto del procedimento, attribuire alla nomina dell'arbitro da parte del ministro una rilevanza preclusiva dell'esercizio della facolt� di deroga da parte dell'amministrazione, significa assegnare all'atto di nomina un'efficacia sanante della nullit�. Ed invero le PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 393 alla impresa appaltatrice, a declinare la competenza arbitrale ai sensi dell'art. 47 del capitolato. Questa declinatoria di competenza � stata disattesa nella sentenza arbitrale con l'argomentazione che la rappresentanza riservata ex lege alla Avvocatura dello Stato non autorizzava quest'ultima a sopraffare la volont� di autodeterminazione dell'Amministrazione ponendo nel nulla la scelta della competenza arbitrale gi� inequivocabilmente compiuta mediante la designazione del proprio arbitro. Siffatta argomentazione non appare convincente in quanto la scelta tra la competenza arbitrale e la competenza giudiziaria ordinaria da parte della P.A. costituisce un'attivit� di carattere tecnico processuale, come tale rientrante nella discrezionalit� del procuratore: onde si � autorevolmente affermato (v. Cass., 12 dicembre 1969, n. 4022) che spetta all'Avvocatura rappresentante in giudizio ex lege della pubblica amministrazione l'esercizio di tale scelta. N� va trascurato che la problematica di contemperare la volont� della parte rispetto alla volont� del procuratore si pone nell'ipotesi di parte assistita dal procuratore e di divergenza insorta tra l'assistito e il procuratore e non pu� certo porsi nel caso in esame in cui l'Amministrazione dei LL.PP. aveva designato il proprio arbitro e concorso alla formazione del Collegio arbitrale del tutto imilateralmente, e senza l'assistenza dell'Avvocatura, in conseguenza della omessa notifica a quest'ultima della istanza di arbitrato. Occorre quindi riconoscere che avendo l'Amministrazione dei LL.PP., assistita dall'Avvocatura dello Stato, manifestato subito dopo il rinnovo della notifica della istanza di arbitrato ed in conformit� del disposto del secondo comma dell'art. 47 del capitolato, di escludere la competenza arbitrale (v. relativo atto notificato all'impresa appaltatrice il 20 maggio due situazioni sono considerate equivalenti, nonostante che nel primo caso e non nel secondo vi sia stata una valida notifica della domanda arbitrale. Ma una tale efficacia sanante non pu� essere riconosciuta, giacch� essa viene a comportare un'alterazione dell'ordine delle competenze nell'ambito dell'amministrazione, che non � invece derogabile, e consentirebbe che la determinazione in ordine alla scelta della competenza arbitrale avvenga senza che ad essa partecipi l'organo, l'essenzialit� della cui partecipazione il capitolato ha inteso garantire, imponendo, a pena di nullit�, che presso di quello sia effettuata la notifica della domanda arbitrale. Dunque, dalla nomina dell'arbitro non derivava alcuna preclusione all'esercizio della facolt� di deroga, attraverso la notifica della dichiarazione di esclusione della competenza arbitrale preveduta dall'art. 47, secondo comma, d.P.R. 1063 del 1962, una volta che la notificazione della domanda arbitrale fosse stata rinnovata. 4. -La diversa conclusione, che era stata raggiunta dal lodo, appare il frutto di un evidente errore, concretizzatosi nell'aver impostato la questione in termini di possibilit� che la scelta per il giudice ordinario fosse espressa dall'Avvocatura dopo che gi� la scelta contraria era stata manifestata dal Ministro, mentre il problema era se l'atto del Ministro potesse essere considerato RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 394 1974), il Collegio arbitrale doveva darne atto dichiarandosi incompetente, non potendo il giudizio proseguire se non innanzi al giudice competente a norma delle disposizioni del cod. proc. civ. (v. gi� citato secondo comma dell'art. 47 del capitolato). Per quanto sin qui esposto, il lodo oggetto di impugnativa merita di essere annullato. In considerazione della natura e del particolare sviluppo della controversia, si ritengono esistenti motivi di equit� idonei a giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali. (omissis) II (omissis) In primo luogo si pone all'attenzione della Corte la considerazione che l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza dell'ANAS, ha eccepito che a seguito della notifica dell'atto di messa in mora con contestuale istanza di arbitrato 16 febbraio 1977 dell'Impresa D'Amico, l'ANAS nei termini di legge, precisamente in data 11 marzo 1977, ha notificato all'Impresa D'Amico declinatoria della competenza arbitrale ai sensi del secondo comma dell'art. 47 del Capitolato Generale d'Appalto del 1962; che, nonostante ci�, l'impresa D'Amico ha rinnovato, con atto notificato il 12 settembre 1977, l'istanza di arbitrato e l'Amministrazione vi ha replicato con atto notificato il 7 ottobre 1977, per eccepire la intervenuta decadenza dell'Impresa dalla domanda per non averla rinnovata n�l termine di 60 giorni dalla declinatoria della competenza arbitrale dinanzi al giudice competente e per rinnovare la declinatoria della competenza arbitrale. rivelatore di tale scelta una volta che non era stato preceduto dalla notifica della domanda all'Avvocatura. Il collegio arbitrale, pur avendo convenuto sul punto che all'Avvocatura spetta la competenza a declinare la competenza arbitrale, aveva affermato che la scelta pu� essere esercitata in sostituzione e non contro quella gi� in pre cedenza estrinsecata dall'Amministrazione. Ma anche questa prospettiva non era corretta e comunque non adeguata alla soluzione del caso in esame. La Corte di cassazione (sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022, in Giust. civ., 1970, I, 1426) ha avvertito che, nel sistema delineato dagli artt. 43 e ss. del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, � appunto l'Avvocatura dello Stato l'organo cui compete esprimere e svolgere, nell'interesse dell'Amministrazione, la facolt� di scelta della competenza arbitrale. Ed allora, se la valutazione dell'Avvocatura si presta ad essere superata nelle forme prevedute per la soluzione dei conflitti tra organi dell'amministrazione dello Stato, l'ostacolo a che 'essa esprima e svolga la facolt� di deroga non poteva essere considerato derivare da un atto emesso in una situazione, in cui l'organo competente in via ordinaria non era stato messo in condizioni di conoscere l'esistenza della domanda arbitrale. Corretta � dunque da ritenere la decisione della Corte d'appello che si commenta, che ha ritenuto nullo il lodo. PAOLO VITTORIA ! i: i: i: i: PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI In coerenza con l'iniziale impostazione difensiva l'ANAS ha dedotto avverso il lodo i seguenti motivi d'impugnazione: 1) violazione dei canoni ermeneutici generali da parte del Collegio arbitrale sul punto in cui ha individuato nella clausola di deferimento del giudizio agli arbitri un contenuto derogatorio assoluto alla competenza dell'autorit� giudiziaria ordinaria; 2) violazione delle norme di diritto per la ritenuta competenza del Collegio arbitrale, nonostante la espressa declinatoria da parte dell'Avvocatura con gli atti formali 11 marzo e 7 ottobre 1977; 3) violazione del precetto normativo che stabilisce un termine perentorio entro il quale, proposta una domanda di arbitrato ed intervenuta declinatoria, la domanda stessa dev'essere riproposta (la riproposizione dell'istanza di arbitrato, intervenuta in data 12 settembre 1977, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile); 4) violazioae dell'art. 1664 comma secondo cod. civ. per avere il Collegio arbitrale riconosciuto un maggior compenso alla Impresa D'Amico; 5) Erroneit� della statuizione degli interessi dalla data della domanda di arbitrato poich�, vertendosi in tema d'indennizzo per maggiori oneri, non si sarebbe dovuto stabilire una decorrenza anteri�re a quella disposta dall'art. 36 del Capitolato Generale d'appalto. La Corte ritiene fondati i primi due motivi d'impugnazione. Osserva in ordine al primo motivo, relativo alla questione concernente la derogabilit� o meno del precetto contenuto nell'art. 47 del Capitolato generale del 1962, che l'impugnato lodo ha dato risposta positiva al problema circa la possibilit� per le parti di un rapporto, regolato dalle norme vigenti per le opere pubbliche in conto dello Stato, di determinare a priori ed in modo vincolante, in sede contrattuale, la competenza arbitrale, con esclusione esplicita della facolt� prevista dall'art. 47. In proposito il Collegio arbitrale risulta aver affermato che detto articolo contiene una norma dispositiva che consente ai destinatari del precetto non solo di operare una scelta tra le due competenze, arbitrale ed ordinaria, ma anche, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, di derogare all'indicata facolt� e porre in essere� pattiziamente una clausola predeterminante in maniera vincolante la co:i;npetenza del Collegio arbitrale. Siffatta portata il Collegio arbitrale ha erroneamente attribuito al patto contrattuale contenuto nell'ultimo comma dell'art. 30 del Capitolato Speciale d'appalto. Invero, il patto in parola con lo stabilire che � Tutte le controversie tra l'Amministrazione e l'impresa, sorte durante i lavori oppure dopo il collaudo, che non siano state definite in via amministrativa, quale che sia la loro natura, tecnica, amministrativa o giuridica, saranno deferite ad un giudizio arbitrale a termini delle disposizioni contenute nel capitolo VI del Cap. Gen. n. 1063 � contiene un chiaro rinvio per rela RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 396 tionem alla speciale disciplina di cui al capo VI del d.P.R. n. 1063 del 1962 e non una preventiva rinunzia alle facolt� di scelta in essa regolate. Del resto, � appena il caso di rilevare che qualora al patto de quo volesse attribuirsi una rinunzia preventiva alla facolt� di optare per l'autorit� giudiziaria ordinaria da parte delle amministrazioni statali, il patto stesso sarebbe inoperante, poich� anche con una recente pronunzia la Corte regolatrice ha stabilito che �in base al combinato disposto degli artt. 43 e 47 del capitolato generale d'appalto per le 00.PP. approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, le cui previsioni operano nei confronti delle amministrazioni statali con efficacia normativa, non sono consentite deroghe o rinunzie preventive, mediante clausole inserite nei contratti d'appalto, in vista di eventuali e future controversie, alla facolt� di optare per la competenza del giudice ordinario in luogo di quella arbitrale, in quanto la preventiva rinunziabilit� comporterebbe -quoad effectum la indiretta introduzione di nuove forme di giurisdizione speciale, nonch� la esclusione del potere di valutazione dell'interesse della P~A., presupponendo la deroga a tale ultima competenza una controversia in atto, e pi� precisamente che la parte che solleva la controversia proponga la domanda direttamente davanti al giudice ordinario, ovvero che l'altra parte, dopo la richiesta di arbitrato dell'attore e nel termine di trenta giorni dalla notificazione della stessa notifichi all'attore medesimo la propria volont� diretta in modo espresso ed univoco ad escludere la competenza arbitrale �. (v. Cass. 13 marzo 1982, n. 1638). In adesione a tale giurisprudenza, per difetto di validi motivi contrari, ritiene la Corte che, ove la clausola del capitolato speciale potesse venire interpretata nel senso di cui all'impugnato lodo, la medesima non potrebbe che considerarsi inefficace. Parimenti fondato ritiene la Corte il secondo motivo d'impugnazione, con il quale l'Amministrazione lamenta che erroneamente il Collegio arbitrale ha ritenuto la propria competenza, malgrado l'espressa declinatoria da parte dell'Avvocatura dello Stato con gli atti formali 11 marzo e 7 ottobre 1977. Il difetto di legittimazione dell'Avvocatura dello Stato a declinare la competenza arbitrale ritenuto nell'impugnato lodo sembra alla Corte privo di valido fondamento. L'art. 43 del Capitolato Generale dei lavori pubblici stabilisce che le controversie tra l'Amministrazione e l'appaltatore sono deferite ad un Collegio arbitrale ed il successivo art. 47 conferisce a ciascuna delle parti, cui sia stata notifkata la domanda di arbitrato, la facolt� di derogare a detta competenza arbitrale notificando la sua determinazione all'altra parte, la quale resta cos� vincolata 'a proporre la relativa domanda al giudice ordinario competente. Trattasi, dunque, di una speciale competenza alternativa e facoltativa, sottratta all'autonomia privata in quanto discendente dalla legge e da questa compiutamente disciplinata. Ne deriva che �Cos� la domanda di arbitrato come la sua declina PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 397 toria e l'opzione del giudice ordinario sono nella specie atti meramente processuali, essendo processuale appunto e fondata direttamente sulla legge la �ompetenza alternativa e facoltativa dell'uno o dell'altro giudice. I,.a scelta rientra pertanto nella disponibilit� tecnica del procuratore, non diversamente dai casi in cui il medesimo ha il potere di proporre o meno l'eccezione di compromesso, di proporre l'eccezione di incompetenza territoriale, di aderire all'indicazione del foro proposto ex adverso � (v. Cass., Sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022). La Corte regolatrice nella medesima sentenza, che conferma di una analoga decisione di questa stessa Corte d'Appello sul punto in questione, ha anche evidenziato che se � indubbio che l'Avvocatura dello Stato, quale rappresentante per legge della pubblica amministrazione, ha facolt� di iniziare il processo davanti al giudice ordinario anzich� davanti al Collegio arbitrale, sarebbe illogico ritenere che difetti del potere di declinare la competenza di .quest'ultimo allorquando la controparte abbia adito il Collegio arbitrale: �si negherebbe all'avvocatura in via di eccezione l'identico potere che invece le si riconosce in via di azione �, Del resto, l'ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (oltre la sentenza citata cfr. Cass. nn. 2176 e 2483 del 1966, n. 1989 del 1964, n. 461 del 1965, obiter in n. 1569 del 1977) ha affermato �la natura processuale dell'art. 47, proprio nell'essenza della norma che attribuisce alle parti la facolt� di scelta fra il giudice ordinario e il giudice arbitrale e disciplina l'esercizio degli atti relativi� (cfr. cit. sent.). Pertanto, in assenza di nuovi e validi motivi contrari, questa Corte d'Appello non ha ragioni per dissentire dalla giurisprudenza che fin qui ha essa stessl,l contribuito a formare. Ne discende che l'Avvocatura dello Stato, secondo le funzioni ed i poteri ad essa pertinenti, ha validamente declinato, nella specie con l'atto formale 13 marzo 1977, la competenza del Collegio arbitrale. L'impugnato lodo non pu�, di conseguenza, che essere dichiarato nullo. Il carattere assorbente degli esposti rilievi esonera dall'analisi dei restanti motivi. Stante la ragione della nullit� del lodo, non � consentito procedere alla fase del iudicium rescissorium (v. in ars. Cass. n. 4618 del 1977). In accoglimento della specifica istanza, l'Impresa per Costruzioni lng. Eugenio D'Amico, dev'essere condannata a restituire la somma di lire 239.355.285 versata dall'A.N.A.S. in forza dell'esecutoriet� del lodo, oltre gli interessi legali dal giorno dell'acquisizione della somma, risultando senza causa, a seguito della presente pronunzia, il relativo pagamento. Le spese del presente giudizio possono essere dichiarate interamente compensate tra le parti per giusti motivi. Le spese, competenze ed onorari del giudizio arbitrale, comprensive delle spese per il funzionamento del collegio arbitrale, degli onorari per gli arbitri e del compenso per il segretario, vanno dichiarate dovute da ciascuna delle parti in pari misura. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE D'APPELLO DI ROMA, Sez. I, 16 gennaio 1984, n. 107 -Pres. Minniti -Est. Camuto -A.N.A.S. (avv. Stato Vittoria) c. Impresa Costruzioni Idriche Stradali I.C.I.S. (avv. Zammit e Bellini). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Costituzione in mora � Equivalenza -Non sussiste. Appalto -�ppalto di opere pubbliche � Somme riconosciute in sede giudiziale -Interessi e maggior danno � Limitazione risultante dall'art. 36 ultimo capoverso cap. gen. 00.PP. � Applicabilit� all'A.N.A.S. -Esclu� sione -Liquidazione del danno -Criterio � Riferimento all'art. 35 cap. gen. 00.PP. -Ammissibilit�. {d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36). La riserva, che contenga la specifica indicazione della somma richiesta e della ragione per cui � domandata, ma non una intimazione ad adempiere in un termine per questo assegnato, non pu� essere considerata alla stregua di un atto di costituzione in mora. (1) La disposizione dettata dall'ultimo comma dell'art. 36 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, ha carattere eccezionale rispetto al principio dettato dall'art. 1224 cod. civ. e, non essendo applicabile all'A.N.A.S. in via diretta, giacch� i contratti ed i pagamenti dell'azienda non sono sottoposti (1) La questione cui ha riguardo la prima massima � se la riserva equivalga ad atto di costituzione in mora e se perci�, sulle somme riconosciute dal giudice e corrispondenti a crediti di valuta, interessi e maggior danno siano dovuti gi� dalla data della riserva. La Cassazione (Sez. I, 10 agosto 1977, n. 3679, in Arch. giur. op. pubbl., 1978, II, 1) in un caso in cui si discuteva se potesse valere come costituzione in mora una riserva fatta nell'atto di collaudo, ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente negato che la riserva per la sua stessa natura giuridica possa valere come costituzione in mora. La sentenza confermata aveva considerato che la riserva opera nel senso di mantenere in colui che la formula il diritto di impugnare le risultanze di determinati dati esposti nell'atto in � cui viene inserita. Osserv� in quell'occasione la Cassazione che dallo stesso contesto della riserva emergeva l'aderenza della formula usata al fine non gi� di intimare alcunch� al debitore, ma di ottenere salvezza per il riconoscimento di un diritto come momento necessariamente prodromico alla eventuale intimazione. Alla :;tessa conclusione, circa la funzione della riserva e la sua iinidoneit� a valere come atto di costituzione in mora, la Cassazione era pervenuta con la precedente sentenza 5 gennaio 1976, n. 8 (in Arch. giur. op. pubbl., 1976, II, 14) e a tale soluzione appare da ultimo rifarsi Cass. 13 marzo 1982, n. 1638 (in Arch. giur. op. pubbl. 11982, II, 35), quando afferma che gli interessi legali sulle somme riconosciute come dovute dal giudice decorrono datla data della domanda, da considerare come primo atto di costituzione in mora. La giurisprudenza di merito e quella arbitrale registrano invece sul punto un orientamento oscillante. � Nel senso della decisione in rassegna possono confrontarsi: Lodo 8 ottobre 1982, n. 60, in Arch. giui-. op. pubbl., 1983, III, 27; Lodo 26 giugno 1982, n. 41, 1: I I f PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 399 al controllo preventivo della Corte dei conti, neppure pu� esserle applicata in via analogica. Il danno subito dall'appaltatore, tra l'inizio del giu �dizio e la purgazione della mora, per il ritardo con cui consegue il pagamento delle somme riconosciute dal giudice, pu� essere liquidato appli cando il tasso d'interesse determinato a norma dell'art. 35 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063. (2) (omissis) La sentenza di primo grado ha ritenuto che la riserva inserita dalla societ� attrice nel registro di contabilit�, in data 24 giugno 1966, traducendosi in una �esplicita e precisa richiesta� di pagamento integrasse gli estremi d'un atto di vera e propria costituzione in mora della P.A. Considerato il tempo che di norma viene riconosciuto a quest'Ultima per eseguire i pagamenti (arg. ex art. 35 e 36 cap. gen. 00.PP.), la decorrenza degli interessi veniva ritardata di 120 giorni rispetto alla data suindicata. Il tribunale motivava l'inapplicabilit� al contratto de quo della disposizione dell'art. 36 del cap. gen. 00.PP., da un lato rilevando che i contratti e i pagamenti dell'A.N.A.S. non sono assoggettati al controllo preventivo della Corte dei conti, d'altro lato richiamando l'indirizzo giurisprudenziale del S. C., secondo il quale sulle somme contestate dalla P. A. e poi riconosciute dal giudice decorrono, a titolo di risarcimento del danno, gli interessi dalla data della domanda. ivi, 1982, III, 301; Lodo 4 dicembre 1981, n. 57, ibidem 1981, III, 285; Lodo 25 luglio 1980 n. 43, in Arch. giur. op. pubbl., 1980, III, 302; Lodo 11 aprile 1980, n. 17, ivi 1980, III, 49. Nel senso, per contro, che la riserva posa valere come costituzione in mora, si confrontino: App. Roma, 5 luglio 1982, n. 1408, in Arch. giur. op. pubbl., 1983, II, 182; Lodo 22 giugno 1979, n. 50, ivi 1979, III, 366; Trib. Roma 17 gennaio 1979, n. 343, ibidem 1979, II, 178; Lodo 27 ottobre 1977, n. 132, in A-rch. giur. op. pubbl. 1978, III, 117. Contro la qualificazione della riserva come atto di costituzione in mora si pu� trarre argomento dal sistema strutturato, dal regolamento 25 maggio 1895 n. 350, per l'esame delle riserve, e dal capitolato generale approvato con il d.P.R. 16 luglio 11962, n. 11063, per la soluzione delle controversie cui danno luogo le riserve non accolte. In effetti, a meno che non la riconosca fondata gi� nel corso della esecuzione dell'opera e nei modi preveduti dagli artt. 54 e 23 del regolamento, l'amministrazione non � obbligata a provvedere sulla riserva se non in sede di approvazione del collaudo (artt. 109 secondo comma, 1100 secondo comma e 91 secondo comma reg.) e, fuori del caso preveduto dall'art. 44 comma secondo lett. b) del capitolato, la domanda giudiziiale non pu� essere proposta se non dopo l'approvazione del collaudo. Di qui l'impossibilit� di ritenere che l'amministrazione versi in :precedenza in situazione di ritardo colpevole nell'adempimento d'una propria obbligazione. (2) La giurisprudenza sulla prima parte della massima � costante: cfr., da ultimo, Cass., 4 novembre 1982, n. 5792, in questa Rassegna, 1982, I, 989. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 400 I motivi d'appello, dedotti dall'Avvocatura dello Stato, si riferiscono essenzialmente alla decorrenza e alla misura degli interessi dovuti' sulla somma liquidata dal tribunale, e, in particolare, contestano l'inapplicabi� lit� al contratto delle disposizioni di cui agli artt. 35 e 36 del capitolato generale 00.PP. e l'affermazione secondo la quale la riserva, inserita dal� l'l.C.I.S. nel registro di contabilit�, costituisca nella specie un atto di costituzione in mora. Quest'ultima questione dev'essere esaminata per prima, poich� dalla soluzione di essa dipende la decisione �in ordine alla decorrenza degli interessi. Orbene, la decisione impugnata ha rilevato che la riserva espressa dall'l1C. l.S. si riferiva al mancato riconoscimento d'una quantit� di lavoro effettivamente eseguito ed indicava, inoltre, il corrispettivo di esso. Sottolineava, quindi, che la procedura prevista dalla legge per la pronuncia sulle riserve non possa inficiare, con particolare riguardo alla fattispecie, la rilevanza dell'elemento fondamentale causativo della procedura stessa, costituito dal mancato tempestivo riconoscimento delle maggiori somme spettanti all'appaltatore. � Osserva che la Corte che � incontestabile, sotto un profilo strettamente equitativo, il fatto che la procedura prevista per la pronuncia sulle riserve lascia praticamente senza sanzione, per un periodo notevole di tempo, l'inadempimento della P. A. Tuttavia, ...;. com'� evidenziato dalla decisione di primo grado -il nostro diritto positivo ha stabilito il principio, secondo il quale l'appaltatore, che deduca la necessit� dell'integrazione del corrispettivo liquidatogli dalla P. A., ha l'onere di costituire in mora mediante l'assegnazione di un termine l'Amministrazione se, dopo l'approvazione del collaudo, essa ritardi ancora la propria decisione in ordine alle riserve. Nella specie, ripetesi, le riserve formulate dall'l.C.l.S. attenevano al mancato riconoscimento d'una quantit� di lavoro determinata ed indica vano con precisione la quota del corrispettivo che doveva essere ancora liquidata dall'ente debitore. Tali circostanze hanno convinto il tribunale che l'atto abbia natura giuridica di una vera e propria richiesta di adempimento diretta alla P. A., e non d'una semplice riserva. A questa impostazione giuridica -pur sostenuta con acutezza di ar gomenti -non ritiene di poter aderire la Corte. Rilevasi, innanzitutto, che l'atto di costituzione in mora deve avere una forma ed un contenuto inequivoci, mentre nel caso in esame le ri� serve, pur dedotte dall'l.C.I.S. in termini specifici, riguardo all'accerta mento e alla liquidazione del corrispettivo, non integravano una vera e propria intimazione con termine ad adempiere nei confronti della P. A.; per cui la loro funzione appare solo quella di salvaguardare la possibilit� di far valere i crediti enunciati. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 401 Di conseguenza appare decisiva la circostanza che, intervenuto in data 2 novembre 1967 il verbale di collaudo; la societ� appaltatrice non ha posto in essere alcun atto di messa in mora della P. A. per l'esame delle riserve, trascurando l'adempimento dell'onere che le incombeva. Si deve, pertanto, concludere che l'Amministrazione fu messa in mora soltanto con l'atto di citazione in giudizio. Secondo la tesi difensiva svolta dall'A.N.A.S., la decorrenza e la misura degli interessi dovrebbero esser disciplinate dalla d1sposiz1one dell'art. 36 ultimo comma cap. gen. 00.PP. La suddetta tesi difensiva non pu� assolutamente essere condivisa. Com'� stato sottolineato dalla motivazione della dec�sio'1e impugnata, 1 contratti ed i pagamenti eseguiti dall'A.N.A.S. non sono sottoposti al controllo preventivo da parte della Corte dei conti, e la disposizione di cm all'art. 36 ha carattere eccezionale rispetto al principio generale di c..ui all'art. 1224 cod. civ. e non pu� essere applicata neppure in via analogica al rapporto dedotto in giudizio. Va, per�, ribadito in �questa sede il principio affe1niato recentemente dal Supremo Collegio, secondo il quale anche alle somme contestate dalla P. A. e poi riconosciute in sede giudiziaria si applicano principi generali sulla mora. Nella fattispecie, gli interessi sono quindi dovuti dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio. Per quanto concerne la misura degli interessi stessi, in considerazione della specifica attivit� imprenditoriale svolta dalla societ� credi� trice e del presumibile maggior danno che la stessa sta subendo, giustamente essa � stata equiparata dal giudice di primo grado all'interesse praticato dagli istituti di credito di diritto. pubblico o dalle banche di interesse nazionale, in analogia con quanto stabilisce l'art. 35 del citato capitolato generale. I suddetti interessi vanno corrisposti fino alla data dell'eseguito pagamento, poich� il maggior danno persiste fino al momento della purgazione della mora. (omissis) TRIBUNALE DI ROMA, Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 12832 -Pres. Sammarco -Est. Ferrara -S.p.A. Salini costruttori (avv. Malorni e Di Trani) c. Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (avv. Stato 'Vittoria). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Interessi sul saldo del prezzo � Pretesa di ritardo nell'espletamento delle operazioni di collaudo � Riserva nel verbale di collaudo � Necessit�. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54 e 107; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36). Appalto � Appalto di opere pubbliche -Interessi sul saldo del compenso revisionale � Decorrenza � Art. 36 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 � Applicabilit�. (d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36; legge, 21 dicembre 1974, n. 700). 402 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO Appalto � Appalto di opere pubbliche -Interessi per ritardato pagamento � Danni da ritardo nel pagamento degli interessi -Anatocismo � Applicabilit�. (cod. civ., art. 1283). La domanda di condanna al pagamento di interessi sulla rata di saldo del prezza � inammissibile se, basata sulla pretesa che le operazioni di collaudo abbiano avuta durata superiore a quella necessaria, non sia stata formulata con riserva all'atto della sottoscrizione del certificato di col laudo. (1) Gli interessi per il ritardato pagamento del saldo della revisione dei prezzi sono dovuti dopo 120 giorni dalla data del certificato di collaudo, secondo quanto preveduto dall'art. 36 del d.P.R. 16 luglio �962, n. 1063, applicabile anche in materia di revisione dei prezzi, in forza della legge 21 dicembre 1974, n. 700, che ha derogato l'art. 3 del d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 ratificato dalla legge 3 maggio 1950, n. 329. (2) L'art. 1283 codice civile, secondo il quale gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della ,domanda giudiziale, esclude che sugli interessi legali, dovuti, a norma dell'art. 36 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, per il ritardato pagamento del saldo del prezzo e del compenso I revisionale, siano dovuti prima della domanda giudiziale non solo altri {: interessi, ma anche il maggior danno da svalutazione monetaria. (3) (omissis) Due sono le questioni che si dibattono nel processo: a) se l'appaltatore debba espletare apposita riserva all'atto della firma del certificato di collaudo per poter validamente chiedere interessi conseguenti al ritardo nello svolgimento delle operazioni di collaudo; b) se l'art. 3, quinto comma, d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, sia stato abrogato dalla legge n. 700 del 1974. In relazione al primo punto, l'attore contesta l'esistenza dell'onere della riserva -pretesa invece dalla convenuta amministrazione -soste I nendo che la domanda scaturisce dall'applicazione del secondo comma del (1) Nello stesso senso, Cass., 22 ottobre 1976, n. 3748, in Arch. giur. op. pubbl., 1977, Il, 9. (2) Nello stesso senso, cfr. Trib. Roma, 20 febbraio 1981, n. 1632, in Arch. giur. ,op. pubbl., 1981, Il, 351. La questione, dopo la conferma della sentenza .in appello, � stata portata all'esame della Cassazione. (3) Non constano precedenti in termini. Nel senso che anche riguardo agli interessi preveduti dagli artt. 35 e 36 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 trovi applicazione la disciplina dell'anatocismo, cfr. Lodo 26 giugno 1982, n. 41, in Arch. giur. op. pubbl., 1982, III, 301 (e, in motivazione, 352 e 358); nel senso dell'applicazione della stessa regola agli interessi legali maturati nel periodo di mora, Lodo 8 giugno 1979, n. 45, in Arch. giur. op. pubbl., 1979, III, 324 e 333; Lodo 30 maggio 1977, n. 49, ivi, 1978, III, 37 e 72. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 403 l'art. 36 del d.P.R. n. 1063 del 1962 (capitolato generale di appalto), il quale prevede l'obbligo per l'amministrazione di corrispondere :interessi dopo l'inutile decorso di 120 giorni da11a data in cui doveva essere rilasciato Il certificato di collaudo, a meno che l'amministrazione non provi che !il ritardo nelle operazioni di collaudo sia dipeso da cause indipendenti dalla sua volont�. A parere del collegio la tesi dell'appaltatore � priva di fondamento. � principio fondamentale nei contratti di appalto di opere pubbliche che l'appaltatore per far valere pretese di compensi, rimborsi od indennizzi in aggiunta a quelli contabilizzati dall'amministrazione, ha l'onere di iscrivere apposita domanda nei documenti contabili; ci� per � consentire alla committente la tempestiva verifica delle contestazioni, per garantire la� continua evidenza della spesa, per approntare quanto necessario per fronteggiare l'imprevisto incremento dell'onere complessivo� (Cass. 25 luglio 1973, n. 2168). A questa regola non sfugge il momento del collaudo dell'opera: dispone, infatti, l'art. 107 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che l'appaltatore all'atto della firma del certificato di collaudo pu� aggiungere le domande che crede nel proprio interesse, rispetto alle operazioni di collaudo, domande da formulare e giustificare nei modi indicati nell'art. 54 che disciplina, appunto, le riserve dell'appaltatore. Ora, la richiesta di interessi fondata sul ritardo dell'amministrazione nell'espletamento delle operazioni di collaudo postula l'accertamento di un comportamento colpevole della committente, produttivo di un danno (commisurato agli interessi) per l'appaltatore, e perci� si inquadra perfettamente nello schema tipico che disciplina i rapporti tra le maggiori pretese di quest'ultimo e la previsione di spesa che si evince dai documenti contabili predisposti dalla committente. Questa soluzione non contrasta affatto con l'art. 36, secondo comma, del d.P,R. n. 1063 del 1962, che l'attore pone a fondamento della domanda: � vero, infatti, che deUa norma prevede la corresponsione di interessi decorsi 120 giorni dalla data entro la quale � doveva essere rilasciato il certificato di collaudo�, facendo salva all'amministrazione la possibilit� di dimostrare che il ritardo non le � imputabile, ma ci� � possibile soltanto se sussiste il presupposto necessario perch� fa pretesa possa essere fatta valere, id est la esplicazione tempestiva (nel certificato di collaudo) della relativa riserva. La prima domanda, quindi, deve essere rigettata. La seconda questione � stata gi� risolta da questo Tribunale con sentenza n. 1632 del 20 febbraio 1981 ed il collegio non ritiene sussistano valide argomentazioni per decidere in senso difforme, atteso che sia l'argomento letterale (richiamo della legge n. 700 del 1974 agli artt. 35 e 36 del capitolato generale) che l'argomento logico-sistematico (equiparazione della procedura di liquidazione dei compensi revisionali a quella di pagamento 1111�1,1r11�r1�111111111r11111111111ir1111111111=1111111111r11r111111r1 404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei prezzi di appalto), esposti in detta sentenza, sono da condividere. Perci�, ferma restando la decadenza per le pretese collegate al ritardo nelle operazioni di collaudo, spettano all'appaltatore gli interessi previsti nell'art. 36 del d.P.R. n. 1063 del 1962 per i pagamenti dei saldi revisionali effettuati oltre il 120� giorno dalla data del certificato di collaudo. Ora, essendo stati i quattro pagamenti -relativi ai quattro contratti di appalto -effettuati il 14 dicembre 1979, nulla spetta all'appaltatore per il primo contratto, il cui certificato di collaudo reca la data del 24 settembre 1979; per il secondo (certificato del 31 maggio 1979) gli spettano gli interessi legali -su lire 98.110.000 -dal 1� ottobre 1979 al 14 dicembre 1979; sul terzo (certificato del 5 giugno 1979) gli spettano gli interessi legali -su L. 43.450:000 -dal 6 ottobre 1979 al 14 dicembre 1979; sul quarto (certificato del 5 giugno 1979) gli spettano gli interessi legali dal 6 ottobre 1979 al 14 dicembre 1979 sulla somma di L. 15.060.000. L'appaltatore � anche creditore -e lo riconosce l'amministrazione della somma di lire 96.800 per interessi dovuti a causa del ritardo nel pagamento dei saldi prezzi (14 giorni di ritardo per il secondo contratto, 78 giorni per il terzo). L'attore ha chiesto la rivalutazione monetaria dei suoi crediti. Il Tribunale osserva, al riguardo, che trattandosi di crediti per interessi scaduti la regolamentazione dell'anatocismo (art. 1283 cod. civ.) deve valere anche per il maggior danno rappresentato dalla svalutazione monetaria: sarebbe, infatti, incongruo congelare la produzione di interessi -che rappresentano il corrispettivo d'el danno per il ritardo -e concedere il maggior danno: ci�, per�, sino alla maturazione degli eventi previsti dalla norma: nella specie, sino alla domanda giudiziale. Da tale momento, invece, sono dovuti sia gli interessi che il maggior danno da svalutazione monetaria. Quest'ultimo, considerato che l'attore � un imprenditore, pu� quantificarsi nella mi~ura dell'interesse bancario passivo, che in media ammonta al 25 % all'anno. I crediti della S.p.A. Salini vanno, pertanto, rivalutati, a decorrere dalla domanda, del 25 % all'anno. Sulla somma cos� rivalutata decorrono gli interessi legali, sino al saldo. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 26 gennaio 1984, n. 681 -Pres. Lavosi -Rei. Battistacci -lmp. Corradi -Parte civile Ministero delle finanze (avv. Stato Bruni). Reato -Reato finanziarlo -Olii minerali -Gasolio fiscalmente agevolato. Destinazione ad uso diverso -Elemento subiettivo -Necessit� nello agente della consapevolezza dell'antigiuridicit� del fatto -Esclusione. Ai fini della sussistenza dell'elemento subiettivo del reato di cui all'art. 10 legge 2 luglio 1957, n. 474, non occorre nell'agente la consapevolezza dell'antigiuridicit� del fatto, ma � sufficiente che l'evento sia stato voluto come conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria. (omissis) Con sentenza in data 17 giugno 1981 il tribunale .di Torino affermava la colpevolezza di Corradi Roberto in ordine al reato di cui all'art. 10 d.l. 5 maggio 1957, n. 271, conv. con modificazioni in legge 2 luglio 1957, n. 474 per avere, nel periodo giugno 1973-novembre 1976, nella sua qualit� di socio accomandatario della s.a~s. �Pastificio Corradi di R. Corradi & C. corrente in Torino, destinato prodotti petroliferi soggetti ad aliquota ridotta di imposta erariale ad usi diversi da quelli consentiti e cio� per avere impiegato promiscuamente nel periodo suddetto kg 570.096 (di cui kg 2.853 sequestrati all'atto dell'intervento della polizia tributaria e rinvenuti nel serbatoio del reparto caldaie della societ�) di gasolio denaturato per riscaldamento sia per il riscaldamento dei locali aziendali che per uso industriale (funzionamento degli impianti di essiccazione della pasta); ace. in Torino dal 26 al 30 novembre 1976, con l'aggravante della recidiva specifica e infraquinquennale. Il tribunale, ritenuta la continuazione tra tutti gli episodi contestati ai sensi dell'art. 8 legge 7 gennaio 1929, n. 4 e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla previsione del secondo comma dell'art. 23 bis d.1. 28 febbraio 1939 n. 334 e succ. mod., lo condannava alla pena di mesi sette di reclusione e lire .4 milioni di multa nonch� al risarcimento dei danni in favore dell'amministrazione dello Stato costituitasi parte civile. A seguito dell'appello proposto dal Corradi, la Corte di appello di To rino, con la sentenza in data 27 settembre 1982, riformava parzialmente quella di primo grado, dichiarava le circostanze attenuanti concesse pre valenti sull'aggravant� contestata e riduceva la pena a mesi quattro di re clusione e lire 3 milioni di multa: concedeva pure il beneficio della so spension� condizionale della esecuzione della pena. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 406 Ricorre avverso la decisione suindicata il Corradi deducendo la nullit� della sentenza per violazione dell'art. 43 cod. pen. e per mancanza e contraddittoriet� della motivazione. La Corte di appello, pur riconoscendo la possibilit� di accogliere l'orientamento giurisprudenziale che richiede per la sussistenza del dolo la rappresentazione da parte dell'agente della antigiuridicit� della propria condotta, aveva ritenuto sussistere nell'imputato l'elemento intenzionale, in quanto il Corradf non aveva dimostrato che un elemento o un dato di fatto. avesse provocato in lui il difetto di rappresentazione dell'offensivit� della condotta da lui tenuta di usare promiscuamente il gasolio destinato al solo riscaldamento dei focali. E ci� nonostante che .la Corte avesse ricordato che alcuni documenti, che accompagnavano il prodotto, portavano una dizione scorretta tale da ingenerare nel Corradi la convinzione di poter usare il gasolio per usi diversi dal :riscaldamento dei loc~li. La Corte aveva affermato che, se anche nel Corradi fosse insorto un dubbio circa la liceit� della sua condotta sulla base dei documenti suindicati, tale atteggiamento corrispondeva alla nozione . di dolo eventuale sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo del reato a lui ascritto. Ora una tale motivazione si appalesa contraddittoria e non sufficiente per ritenere la sussistenza dell'elemento psicologico del reato ascritto al Corradi. La Corte ritiene che il ricorso sia da respingere con le conseguenze di legge essendo del tutto infondati i motivi che lo sostengono. Il Corradi va anche condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile. La sentenza impugnata non pu� essere affatto censurata n� sotto il profilo della mancanza n� sotto quello della contraddittoriet� della motivazione. Infatti la sentenza in questione accoglie in via ipotetica l'orientamento giurisprudenziale che richiede per la sussistenza del dolo la rappresentazione da parte dell'agente della antigiuridicit� della propria condotta per dimostrare che, anche accogliendo tali ipotesi, non si sarebbe potuto escludere nel Corradi la consapevolezza della antigiuridicit� della sua condotta e quindi la sussistenza dell'elemento intenzionale del reato, quanto meno Sotto il profilo del dolo eventuale. Infatti solo alcuni dei documenti che accompagnavano le forniture del prodotto recavano la dizione scorretta �per il riscaldamento dei locali; per la produzione di acqua calda; per uso� domestico; per-servizi igienici e cucina�, che avrebbe potuto ingenerare un dubbio nell'imputato sulla liceit� dell'uso del gasolio denaturato a fini industriali e cio� per. il funzionamento degli impianti di essiccazione della pasta. Gli altri documenti invece recavano la dizione esatta, come contenuta. nella normativa relativa agli oli minerali, e cio�: �per il riscaldamento: dei locali; per la produzione di acqua calda per uso domestico; per a. servizi di cucina e igienici comprese le lavanderie �. Inoltre, .come pone in luce la sentenza impugnata, ad escludere che difettasse nel Corradi la consapevolezza della antigiuridicit� della sua condotta soccor PARTE I,� SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE rono le seguenti altre circostanze e considerazioni: 1) ii.n tutti i documenti vi era la dizione' � oli da gas adulterati� e � colore rosso�, iii che avrebbe dovuto rendere edotto l'imputato che il gasolio non poteva essere destinato per usi industriali; 2) l'uso da parte del Corradi per gli essiccatoi della pasta del gasolio in questione anche in periodi estivJ, quando non vi erano da riscaldare i locali dell'azienda, per cui il Corradi avrebbe dovuto chiedersi per quale motivo, esistendo, come certamente sapeva, due generi di gasolio, l'uno adulterato e l'altro no, si consumasse sempre e soltanto quello da riscaldamento dei locali di �colore rosso e non invece quello pi� costoso e diversamente colorato; 3) il livello culturale dell'imputato e la sua esperienza di imprenditore che erano sicuramente tali da renderlo consapevole dell'esistenza di due tipi� di gasolio, l'uno adulterato, di colore rosso e di prezzo minore per uso riscaldamento, e l'altro di diversa colorazione e con un prezzo non agevolato per usi industriali. Tutte le considerazioni e le risultanze processuali suindicate poi, osserva la Corte, sono ancora pi� determinanti ai fini di ritenere la sussistenza dell'elemento intenzionale del reato ascritto al Corradi, qualora si accolga quello che � l'orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo il quale non occorre nell'agente la consapevolezza dell'antigiuridicit� del fatto ma � sufficiente, tranne i casi di dolo specifico, che l'evento sfa stato voluto come conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria. Ora, nel caso, non si discute che il Corradi abbia adoperato il gasolio denaturato ed agevolato destinato al riscaldamento dei locali aziendali per uso industriale e cio� per il funzionamento degli impianti di essiccazione della rpasta, n� si discute che egli lo abbia fatto volontariamente. La normativa v�gente in materia di oli minerali vieta l'uso del gasolio agevolato per fini diversi da quelli consentiti: quii.ndi, se un soggetto lo destina ad usi diversi ritenendo di non compiere un illecito, versa in uno stato di ignoranza della norma penale che non fa venir meno 1l'illiceit� della sua condotta mentre, se effettua tale diversa destina21ione del gasolio conoscendo la normativa vigente, pone chiaramente in essere, con piena coscienza e volont�, l'illecito che la normativa considera come reato. Quindi in ogni caso e qualunque sia l'orientamento giurisprudenziale seguito non pu� mai escludersi che difettasse nel Corradi l'elemento intenzionale del reato ascrittogli. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 2 febbraio 1984 n. 1024 � Pres. � De Martino � Rel. De 'Maio � Imp. Mazzillano -Parte civile Ministero delle Finanze (avv. dello Stato Bruni). Reato � Reati finanziari � Olii mitterali � Gasolio fiscalmente agevolato � Destinazione ad �uso diverso � Sussistenza del reato � Concreto impiego � Irrilevanza. 408 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pena � Sospensione condizionale della pena � Nuovo ragguaglio fra pena pecuniaria e pena detentiva introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, successivamente al ricorso per cassazione -Applicabilit� da part� della Suprema Corte senza necessit� di rinvio al giudice di merito. -,il! Sussiste il reato di cui all'art. 10 legge 2 luglio 1957, n. 474, quando il soggetto assegnatario e beneficiario di gasolio fiscalmente agevolato lo destini ad un uso diverso da quello per il quale l'esenzione fiscale � stata accordata; Il concreto impiego del carburante si pone quindi in un momento successivo alla consumazione del reato e non ne rappresenta elemento costitutivo. Ai fini della sospensione condizionale della pena il nuovo ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, pu� essere effettuato dalla Suprema Corte -senza necessit�, ai sensi del� l'art. 538 cod. proc. pen., di rinvio al giudice di merito. (omissis) La ricorrente � stata ritenuta colpevole del reato di cui all'art. 10 legge 2 luglio 1957, n. 474, per avere destinato ad uso diverso da quello consentito kg 59.145 di gasolio agevolato (Lecce, 30 giugno 1978). In punto di fatto � rimasto accertato che l'imputata, -titolare dell'omonima ditta esercente stabilimento di produzione di bibite, impiegava il gasolio nell'alimentazione di due bruciatori che servivano al riscaldamento dell'acqua per il lavaggio delle bottiglie ed alla saldatura di imballaggi di plastica avvolgenti pacchi da !2 bottiglie. Con i motivi, denuncia la violazione dell'art. 40 cod. pen. per avere la Corte di merito ritenuto la responsabilit� sulla base della mera rappresentanza civilistica dell'azienda mentre in sede penale doveva tenersi conto della sua estraneit� alla gestione, dimostrata da malattie documentate da certificazione sanitaria. Doveva, quindi, disporsi la chiesta rinnovazione del dibattimento per sentire dei testi al fine di provare eh~ non era stata lei ad ordinare l'acquisto del gasolio, bensi i suoi figli. Lamenta, inoltre, la violazione dell'art. 42, primo comma cod. pen. per difetto di motivazione sul dolo,. non essendo sufficiente l'affermata irrilevanza dell'ignoranza di legge penale in quanto gli stessi fornitori nulla obiettarono in ordine alla impossibilit� di usare il gasolio a fini industriali. Con un terzo mezzo la ricorrente ritiene superficiale la motivazione dell'esclusfone della ditta da quelle artigianali non essendo sufficiente l'argomento secondo cui l'iscrizione avviene su semplice istanza privata mentre � apodittica l'affermazione dei giudici sulle notevoli dimensioni dell'azienda e la rilevante attrezzatura dmpiegata per escludere il predetto carattere artigianale, che rendeva legittimo l'uso del gasolio da riscaldamento a fini industriali. PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Ritiene, altresl, violata la legge, in relazione alla misma della pena, perch� il giudice ha preso come pena base non quella relativa a quantitativi inferiori a venti quintali, quanti quelli giornailmente necessari per far funzionare i motori, bensl alla somma delle varie forniture nel tempo. Il reato si consumerebbe, cio�, ogni volta che l'agente utilizza diversamente il gasolio. Infine contesta la validit� della sentenza delle sezioni unite del 12 aprile 1980 e condivide la precedente della VI sezione del 15 gennaio 1980 secondo cui, ai fini della sospensione condizionale, non debba tenersi conto della pena pecuniaria convertibile, a seguito della decisione costituzionale n. 131 del 1979. La Corte ritiene privi di fondamento tutti i mezzi accennati. Il giudice di appello, infatti, non afferma una responsabilit� oggettiva della ricorrente quale titolare dell'azienda ma osserva, sul piano del suo corretto apprezzamento delle prove, che l'eventuale impedimento della predetta a condurre la gestione l'avrebbe indotta ad emettere formali atti di delegazione dei vari compiti, mentre la medesima ha mantenuto per s� la direzione della ditta stessa. Ci� quindi, peraltro, legittima il rifiuto di escutere nuovi testi previa rinnovazione parziale del dibattimento. Quanto al secondo motivo, il giudice ha giustamente ri:tenuto l'irrilevanza dell'asserita ignoranza della legge, trattandosi di normativa di natura penale. E a nulla rileva per contrastarla la condotta eventuale dei fornitori, per non averla avvertita del divieto di immutazione di destinazione del gasolio, in quanto la legge crea un rapporto diretto con 11 singolo cittadino senza intermediari di sorta in materia. La sentenza, inoltre, si occupa dell'eccezione sulla natura artigianale della ditta ma non la respinge soltanto perch� dubbia tale qualificazione ma perch� irrilevante in quanto il gasolio non 1alimentava forni bens� altre strutture tipicamente industriali escluse dalla legge agevolativa. Sulla misura della pena, la sentenza non merita censura avendo fissato il minimo edittale stabilito per i quantitativi eccedenti i venti quintali. Ed, invero, �appare peregrina la tesi difensiva secondo cui di reato si con suma ogni giorno con l'uso_ del quantitativo quotidianamente necessario per azionare i bruciatori. La norma ha infatti riguardo alla destinazione e non gi� all'uso di fatto per cui la fattispecie criminosa si realizza, prima ancora dell'uso, con il dare alle forniture una destinazione di impiego diversa da quella consentita. Risulta ora per tabulas che ogni fornitura ha superato i 'venti quintali (v. certificato allegati). Altrettanto infondato � l'ultimo motivo perch� la Corte costituzionale non ha ritenuto illegittimo l'art. 135 cod. pen. che stabilisce un principio generale e cio� il ragguaglio fra pene diverse per qualsiasi effetto giuridico bensl l'art. 136 cod. pen. sulla conversione effettiva ed immediata della pena pecuniaria in detentiva. 410 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO Il legislatore, infatti, mantenendo inalterata la convertibilit� in misure restrittive della libert� personale ne ha temperato l'immediatezza ponendo varie condizioni con la legge di modifica del sistema penale del 1981. La Corte deve per� rilevare che, a seguito de1la elevazione della pena pecuniaria ai fini del ragguaglio (lire 25.000 = 1 giorno di detenzione), la pena globale ragguagliata ammonta a mesi 13 e giorni .10 di reclusione, rientrante nei limiti della sospensione condjzionale che questo Collegio pu� concedere a norma dell'art. 538 cod. proc. pen.; infatti entrambi i giudici di merito l'hanno denegata soltanto perch� la precedente normativa determinava il superamento della rpena oltre i:l limite massimo di due anni. (omissis). I I PARTE SECONDA :-:: LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura penale, art. 263-bis, secondo comma [come sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 532], nella parte in cui dispone che il termine di cinque giorni per la �richiesta di riesame da parte del difensore dell'imputato detenuto decorra dalla esecuzione del provvedimento, anzich� dalla sua notifica al difensore o comunque da quando egli abbia conoscenza del provvedimento stesso. Sentenza 29 marzo 1984, n. 80, G. V. 4 aprile 1984, n. 95. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2110, secondo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Sentenza 5 aprile 1984, n. 90, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 72 e 76, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, artt. 3, primo comma, u.p., e 67 (artt. 3, 111, secondo comma, e 125, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 7 marzo 1984, n. 52, G. V. 14 marzo 1984, n. 74. r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 63, primo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. V. 11 aprile 1984, n. 102. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 49 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 14 marzo 1984, n. 69, G. V. 21 marzo 1984, n. 81. d.I.C.p.S. 15 settembre 1947, n. 896 artt. 7, 8 e 14 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 marzo 1984, n. 79, G. V. 4 aprile 1984, n. 95. legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione) Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. V. 11 aprile 1984, n. 102. 42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO legge 9 ottobre 1967, n. 973 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 11 aprile 1984, n. 104, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 11 aprile 1984, n. 104, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). Sentenza 29 marzo 1984, n. 78, G. U. 4 aprile l984, n. 95. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, quarto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 29 marzo 1984, n. 78, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 82 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 11 aprile 1984, n. 104, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 203, 204 e 205 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione). Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 14 marzo 1984, n. 66, G. U. 21 marzo 1984, n. 81). legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 30, secondo comma (artt. 3, 27 e 34 della Costituzione). Sentenza 29 marzo 1984, n. 77, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 15 e 21 (art. 25, se�ondo comma, della Costituzione). Sentenza 14 marzo 1984, n. 68, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Sentenza 5 aprile 1984, n. 89, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. III � QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 244, secondo comma (artt. 3, 24, 42, 101, 113 e 117 della Costituzione). Tribunale 1984, n. 102. di Torino, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 1044, G. U. 11 -aprile PARTE II, LEGISLAZIONE codice civile, art. 581 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 8 giugno 1983, n. 1003, G.U. 1,1 aprile 1984, n. 102. codice civile, art. 2776 (artt. 1, 4, 35 e 36 della Costituzione). Tribunale di Spoleto, ordinanza 15 giugno 1983, n. 908, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. codice di procedura civile, art. 404 (artt. 3 e 24 della Costituzione) Pretore di Roma, ordinanza 15 gennaio 1984, n. 242, G. U. 21 marzo .1984, n. 81. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 4, 35 � 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 960, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. codice di procedura civile, art. 586 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 11 luglio 1983, n. 987, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. codice di procedura civile, art. 648, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino, ordinanza 29 aprile 1983, n. 880, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Giudice istruttore presso tribunale di Catania, ordinanze (due) 20 novembre 1982, nn. 267 e 268/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. Giudice istruttore presso tribunale di Catania, ordinanza 13 luglio 1983, n. 269/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. codice penale, art. 2, ultimo comma (art. 77 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 18 ottobre 1983, n. 1042, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. codice penale, artt. 307 e 384 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 1 aprile 1983, n. 945, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 14 giugno 1983, n. 1046, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. codice penale, art. 590 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 maggio 1983, n. 980, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. codice penale, art. 617-ter (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 26 settembre 1983, n. 967, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. 44 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO codice penale, art. 697 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 ottobre 1982, n. 897/83; G. U. 7 marzo 1984, n. 67. codice di procedura penale, art. 41-bis {artt. 3, 97 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 16 marzo 1983, n. 983, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. codice di procedura penale, art. 88, primo e terzo comma (art. 13 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Perugia, ordinanza 27 sett�mbre 1983, n. 919, G.. U. 21 marzo 1984, n. 81. codice procedura penale, art. 168 (art. 24 dela Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 28 novembre 1983, n. 19/84, G. U. 11 .aprile 1984, n. 102). codice penale militare di pace, art. 180, primo e seondo comm.a (artt. 2, 3, 2i, 52 e 97 della Costituzione). Giudic;e .istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 18 maggio 1982, n. 989/83, G. U. 11 aprile 1984, h. 102. codice penale militare di pace, art. 196, terzo comma' (art. 3 della Costituzione). � Tribunale militare di Verona, ordinanza 2,1 ottobre 1983, n. 1043, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. , t.u. 15 marzo 1934, n. 383, art. 91, lett. d, n. 1 (artt. 5, 110 e 128 della Costituzione). Corte d'appello d� Milano, ordinanza 8 aprile 1983, n. 922, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. legge 24 aprile 1941, n. 392, artt. 1, 2 e 3 (artt. 5, 110 e 128�della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 8 aprile 1983, n. 922, G. U. � 14 marzo 1984, n. 74. r.d. 16 marzo 1942, n., 267, art. 26, primo comma (art. 24 della,. Costituzione). Tribunal�. cii Roma, ordinanza 27 aprile 1983, n. 888, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Tribunale di Milano, ordinanza 21 giugno 1983, n. 875, G. JJ. 7 marzo 1984, n. 67. d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 9, penultimo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione) Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 17 febbraio 1983, n. 1009, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. PARTB, II, LEGISUZIONB d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione) Pretore di Catania, ordinanza 24 maggio 1983, .n. 917, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Pretore di Catania, ordinanza 10 maggio 1983, n. 918, G. U. 7 marzo 1984, n_. 67. legge 4 agosto 1955, n. 692, art. 6 (artt. 3 e 23 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 30 luglio 1983, n. 949, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 13, secondo comma [come modlflcato dal� l'art. 21 legge 31 dicembre 1962, n. 1852] (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 2 novembre 1983, n. 1096, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 19 � 140, ultimo comma (art. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 9 maggio 1983, n. 870, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 899/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. ~bis [introdotto dall'art. 142 della .legge 24 .novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 20 luglio 1983, n. 940, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione) Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 maggio 1983, n. 980, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 8 giugno 1962, n. 604, art. 6, terzo comma {artt. 3 e 97 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 11 luglio 1983, n. 957, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. legge 27 luglio 1962, n. 1228, art. t, te~ comma {art. 3 della Costituiione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 10 giugno 1983, n. 1024, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Viterbo, ordinanza. 16 luglio 1983, n. 913, G. U. 21 marzo 1984, n 81. RASSEGNA i>ELL'A.WOCATURA DELLO STATO 46 � . legge 12 agosto 1962, n 1338, art. 2, secondo comma, sub a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Genova,� or:dinanza 18 agosto 1983, n. � 863, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. . Pretore di Udine, ordinanza 7 .ottobre 1983; n. lili!5, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. Pretore di Cosenza, ordinanza 22 novembre 1983, n. 1098, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, art. 25, quinto comma (art. 3 della Costituzione) . . Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 15 aprile .1983, n. 910, G. U. 21 marzo' 1984, n. 81. d.P.R.� 3o giugno 1965,� n. 1124, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, .. ordinanza .26 aprile 1983, n. 886; .G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 22 luglio 1%6~ n. 614, art. 8 (artt. ~.e 53 della .Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mondov�, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 883, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. � . legge 2 ottobre 1967, 11. 895, artt. 2 e. 7 (art. 3 della Cos~iti;;zione). Tribunale di Prato, ordinanza 6 ottobre 1983, n. 1030, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 18 marzo 1968, n..313, artt. 64, primo comma, lett. a) e 67 (artt. 2 e 3 della �Costituzione). � Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 5 maggio 1983, n. 900, G. U. 21 marzo .1984, n, 81.. ., legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 giugno 1983, n. 1008, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. '�� Corte di cassazione, ordinanza 29 giugno 1983, n. 1007, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11, primo comma (artt. 3 e 4 della Costi tuzio!].e)~ Pretore di Chieri, _ordinanza 7 ..novembre 1983, n. 1029, G. U. 18 aprile 1984, n. �109. � legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23, secondo comma (art. 3 della �Costituzione). � � �� � �� Pretor� di Ancona, ordinanza 9 s�ttembre 11983, n. 944, G.V. 4 aprile 1984, n. 95. PARTE II, LEGISLAZIONE d.l. 19 giugno 1970, n. 370, art. 1, primo comma [convertito in legge 26 giugno 1970, n. 576] (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo� regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 872, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 28 [convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, n. 889, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.l. 5 luglio 1971, n. 429, �art. 1 [convertito in legge 4 agosto 1971, n. 589] (art. 81 della Costituzione). Pretore cli Catania, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1099, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 3 marzo 1983, n. 849, G: U. 7~marzo 1984, n. 67. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 51 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 946/83, .G. U. 14 marzo 1984, n. 74. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, artt. 7 e 15 (artt. 3, 30, 31 e 37 della Costi� tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 1 luglio 1983, n. 11/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 17 maggio 1983, n. 871, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo periodo [come sostituito dall'art. 5 legge prov. di Bolzano 22 maggio 1978, n. 23] (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte cli cassazione, ordinanza 29 aprile 1983, n. 915, G. U. 21 ,marzo 1984, n. 81. Corte di cassazione, ordinanza 29 aprile 1983, n. 1045, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e), tariffa ali. A (artt. 11 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo . grado di Milano, ordinanza 10 giugno 1983, n. 1024, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO dP.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3, primo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tnbutaria di primo grado di ~fondov�, ordinanza 20 novembre 1981, n. 884/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 24 (artt. 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 13 ottobre 1976, n. 985/83, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 20 maggio 1983, n. 948, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Chioggia, ordinanza 4 ottobre 1983, n. 1000, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. Pretore di Chioggia, ordinanze (quattro) 8 novembre 1983, n. 25-28/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma, 195, n. 2 e 334 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Chioggia, ardinanze (quattro) 8 novembre 1983, n. 25-28/84, G.U. 14 marzo 1984, n. 74. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Porretta Terme, ordinanze (due) 12 settembre 1983, nn. 3 e 4/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. c) (artt. 2, 3, 13, 32 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 13 agosto 1983, n. 855, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.P.R. 29. s,itembre 1973, n. 597, artt. 12, lettera e), 14 e 46, secondo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 9 maggio 1983, n. 870, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), e 46, secondo comma (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). . Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanze (due) 19 gennaio 1983, illtl. 1022 e 1023, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. ,~om:.iissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanze (tre) i 13 ottobre 1982, nn. 14-16/84, G. U. 18 aprile _1984, n. 109. !: PARTI! Il, LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 50, quarto comma (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 15 giugno 1979, n. 858/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzion"e). Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanze (quattro) 10 dicembre 1983, nn. 79-82/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Lamezia Terme, ordinanza 8 luglio 1983, n. 938, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 3 marzo 1983, n. 849, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 100 e 104 (art. 3 della Costituzione). Commissiohe tributaria di primo grado di Eooa, ordinanza 24 marzo 1982, n. 857/83, G. U. 7 marzo 1984, n..67. legge 18 dicembre 1973, n. 836, art. 27 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 aprile � 1982, n. 995/83, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 82, secondo comma (art. 3 della Costituzio11e). Corte dei conti, ordinanza 13 dicembre 1982, n. 975/83, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.I. 8 luglio 1974, n. 264, art. 4, primo comma [convertito in legge 17 agosto 1974, n. 386] (artt. 3 e 23 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 30 luglio 1983, n. 949, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. dJ. 8 luglio 1974, n. 264, art. 4, primo comma [convertito in legge 17 agosto 1974, n. 386] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, n. 889, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge reg. Lombardia 15 aprile 1975, n. 51, artt. 40, secondo comma, e 43, primo, terzo e quarto comma (artt. 3, 24, 42, 101, 113 e 117 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 15 aprile 1983, n. 1031, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 1 (artt. 3, 101, 104 e 113 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 18 ottobre 1983, n. 1053, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. 50 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo cpv. (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 ottobre 1982, n. 897/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Tribunale di Agrigento, ordinanza 15 ottobre 1982, n. 896/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Tribunale di Agrigento, ordinanze (tre) 3 novembre 1982, nn. 890, 891 e 895/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 marzo 1983, n. 893, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Tribunale di Agrigento, ordinanza 22 aprile 1983, n. 894, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Tribunale di Agrigento, ordinanza 29 aprile 1983, n. 898, G.U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 novembre 1982, n. 892/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 25 e 101 della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanza 4 ottobre 1982, n. 916/83, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 24 novembre 1982, n. 964/83, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e� quinto conima (artt. 3 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 16 settembre 1983, n. 976, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47, ultimo cpv., e 50, secondo comma (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 17 febbraio 1983, n. 914, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 [modificata dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976, n. 689] (art. 24 della Costituzione). Tribunale di La Spezia, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 1020, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 22, ultimo comma (art. 81 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1099, G. U. 26 aprile 1984, P.� 11~. PARTE. II, LEGISLAZIONE: f1 legge 10 maggio 1976, n. 319; art. 25 [modificato dalla legge 24 �dicembre 1979, n. 650] (artt. 2, 3, 9, 24 e 32 della Costituzione). Pretore di Ovada, ordinanza 28 luglio 1983, n. 1047, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 8 ottobre 1976, n. 690, .art. 1-quater (art. 3 della Costit.zione). Tribunale di Verona, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 1018, G. U. 28 i.narzo 1984, n; -88. Tribunale di Verona, ordinanza 14 ottobre 1983, n. 1019, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.P.R. 2 novembre 1976, n. 784, art. 13 (art. 3 della Costituzione) Commissione tributaria� di primo' grado di Gori~ia, ordinanza 29 settembre 1983, n. 998, G. U. 11 aprile 1984, n. J02 .. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, nono comma (art. 3 della Costituzione). ~orte . d'appello di Nap0li, ordinanza 1 .dicembre 1982, n.. �1059./83�;. �.G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, nono comma (artt.� 3, 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 1058, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 20 (artt. 3, 29, 31 e 53 delli,i. Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 febbraio 1979, n. 965/83, G. U. 14 marzp 1984, n. 74, legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 8, quarto cpv. (art. 3 della � Costittizione): Tribunale di Spoleto., ordinaJJze �(due)� 19 novembre 1981, nn. 984 e 1011/83, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. � d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 513, ari:. 10 (artt. 3, 36 e 97 de�a Costituzio.e). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 aprile 1982, n. 995/83, G. U. 11 aprile 1982, n. 102. "!"; �. d.P.R. 6� marzo 1978, n. 218, art. 59 (art. 81 della CostitU.Zfone) Pretore di Catania, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1099, G. u: 26 aprile 1984, n. 115. legge 26 luglio 1978, n. 417, art. 15 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo� regionale del Lazio, ordinanza 26 april� 19821 n. 995/83, G.U. 11 aprile 1984, n. 102. legge .27 luglio 1978; n. 392, artt. 1 �e 3 (artt. 2, 3, 24, 41, 42 e 47 della Costituzione) Pretore di Torino, ordinanza 5 maggio 1982, n. 375/84, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. RASSEGNA DBLL'AWOCATUllA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (art. 42 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanze (due) 18 luglio 1983, nn. 1065 e 1066, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di Napoli, ordinanze (due) 31 agosto 1983, nn. 1063 e 1064, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di Napoli, ordinanze (due) 20 settembre 1983, nn. 1067 e 1068, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di Napoli, ordinanza 22 luglio 1983, n. 68/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. Pretore di Napoli, ordinanze (tre) 18 luglio 1983, n. 69-71/84, G. U. 18 apri� le 1984, n. 109. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 7 /84, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e segg., e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pizzo . Calabro, ordinanza 19 aprile 1983, n. 904, G.U. 7 mar� zo 1984, n. 67. Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 3 giugno 1983, n. 867, G.U. 7 marzo 1984, �n. 67. Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 19 aprile 1983, n. 866, G. U. 14 mar� zo 1984, n. 74. Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 4 novembre 1983, n. 1028, G. U. 28 mar� zo 1984, n. 88. Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 7 ottobre �1983, n. 982, G. U. 11 apri� le 1984, n. 102. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 35 e 69, settimo comma (artt. 3,�24 e 42 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 12 marzo 1983, n. 885, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 27 luglio 1971; n. 392, art. 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Matera, ordinanze (due) 21 febbraio 1983, nn. 864 e 865, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 27 luglio 1971, n. 392, art. 60, primo comma (art. 24 della Costitu� zione). Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1983, n. 882, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Ragusa, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 1069/83, G. U. !1 aprile 1984, n. 102. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Cassino, ordinanza 1� agosto 1983, n. 856, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 20 dicembre 1978, n. 863, art. 18, primo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 16 settembre 1983, n. 976, G. U. 4 aprile� 1984, n. 95. legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57, primo e secondo comma (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanze (tredici) 28 novembre 1983, nn. 34-42 e 64-67/84, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 57, primo comma, lett. a), 58, 70 e 86 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 5 maggio 1983, n. 900, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. d.�l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, terzo comma [come convertito in art. I legge 6 febbraio 1980, n. 15] (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise di Genova, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 206/84, G. U. 11 �aprile 1984, n. 102. d.-1. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [convertito in legge 29 febbraio 1980, n.: 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). � Pretore di Biella, ordinanza 15 luglio 1983, n. 846, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.-1..30 dicembre 1979, n. 663, art. 14, quarto comma [convertito in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 16 settembre 1983, n. 976, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 9 giugno 1983, n. 1012, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. . legge 29 luglio 1980, n. 385 (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 1057/83, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. I e 2 (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). (Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 1058, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. f4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 1059/83, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Corte d'appello di Napoli, ordinanza 1� giugno 1983, n. 1060, G. U. 4 aprile 1984, n.. 95. Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 1061, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (artt. 24, 42 e 113 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 27 aprile 1983, n. 1062, G. U. 4 aprile 1984, n. 95, legge prov. di Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 2 (artt. 3 e 42 della Costit\tzione). Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 2 maggio 1983, n. 921, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. legge prov. di Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 74 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige).. Consiglio di Stato, adunanza plenaria,. ordinanza ~ maggio 1983, n. 921; G. U. 14 marzo 1984, n. 74. d.�I. 28 febbraio 1981, n. 36, art. 1, terzo comma [convertito in legge 29 apri� le 1981, n. 163] �(art. 81 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 28 ottobre 1983~ n. 1099, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. legge 23 aprile 1981, n. 154, artt. 6 e 7 (artt. 3, 24 e 51 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 27 maggio 1983, n. 947, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. d.�I. 30 aprile 1981, n. 168, art. 1, penultimo comma [convertito in legge 27 giugno 1981, n. 331] (artt. 24 e 113 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 25 marzo 1983, n. 997, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.-1. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [convertito in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 15 luglio 1983, n. 846, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.-1. 20 novembre 1981, n. 663, art. 7, secondo comma, lett. d) (art. 77 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 18 ottobre 1983, n. 1042, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. PARTE 11, LEGISLAZIONE legge 24 novembre 1981, il. 689, artt. 53, 54, 59, 77, 78 e 84 (artt. 3, � 25 e 27 della Costituzione). Tribunale militare di Torino, ordinanza 21 luglio 1983, n. 847, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Omegna, ordinanza 14 luglio 1983, n. 978, G. U. 4 april� 1984, n. 95. Tribunale di Verona, ordinanza 27 ottobre 1983, n. 1032, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Omegna, ordinanza 14 luglio 1983, n. 979, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (ar.tt. 24 e 101 della Cpstituzione). Tribunale di La Spezia, ordinanza 27 maggio 1983; n. 920, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Arezzo, ordinanza 11 luglio 1983, n. 911, G. U. 21 marzo 4984, n. 81. Pretore di Vigevano, ordinanza 19 luglio 1983, n. 912, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. . . Pretore di Arezzo, ordinanza 29 settembre 1983, n. 1026, G. U. 28 marzo 1984, Ii. 88. . .. Pretore di Vigevano, ordinanza 4 ottobre 1983, n. 966, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. Pretore di Gubbio, ordinanza 23 settembre 1983, n. 1004, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge. 24 novembre 1981, n. 689, art.. 60 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 21 giugno 1983, n. 1056, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 3 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Trento, ordinanza 8 giugno 1983, n. 881, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 7 maggio 1983, n. 852, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA !>ELLO STATO Pretore di Livorno, ordinanza 29 settembre 1983, n. 958, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. Pretore di La Spezia, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1052, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di La Spezia, ordinanza 30 settembre 1983, n. 981, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. Tribunale di Venezia, ordinanza 19 ottobre 1983, n. 999, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Monza, ordinanza 9 luglio 1983, n. 853, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Pretore di Moncalieri, ordinanza 26 maggio 1983, n. 939, G. U. 14 mar� zo 1984, n. 74. Pretore di Monza, ordinanza 12 luglio 1983, n. 1048, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Pretore di Saronno, ordinanza 3 giugno 1983, n. 862, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Poggibonsi, ordinanza 17 ottobre 1983, n. 990, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. Pretore di Poggibonsi, ordinanza 17 ottobre 1983, n. 991, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. � d.-1. 26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito In legge 26 gennaio 1982, n. 12] (artt. 3, 32 e 33 della Costituzione). Pretore di San Ginesio, ordinanza 12 giugno 1983, n. 977, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, art. 12 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 5 maggio 1983, n. 900, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. d.-1. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 28 marzo 1983, n. 877, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Pretore di Milano, ordinanza 10 maggio 1983, n. 887, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Pretore di Milano, ordinanza 20 luglio 1983, n. 909, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. Pretore di Firenze, ordinanza 12 luglio 1983, n. 986, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. PARTE II, LEGISLAZIONE f7 lene 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bfs (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 23 luglio 1983, n. 878, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Pretore di Fiorenzuola d'Arda, ordinanza 26 luglio 1983, n. 901, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. Pretore di Thiene, ordin�nza 12 ottobre 1983, n. 959, G. U. 28 ma~o 1984, n. 88. Pretore di Almenno S. Salvatore, ordinanza 9 settembre 1983, n. 952, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. Pretore di Roma, ordinanza 9 luglio 1983, n. 942, G.U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di Roma, orqmanza 23 luglio 1983, n. 941, G.U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di Roma, ordinanza 15 ottobre 1983, n. 1027, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Pretore di Pontedecimo, ordinanza 27 ottobre 1983, n. 1041, G. U. 4 apri� le 1984, n. 95. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanze (tredici) 28 novembre 1983, nn. 3442 e 64-67/84, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 15 luglio 1983, n. 846, G. U. 7 marzo~ 1984, n. 67. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, sesto comma (artt~ 3, 53 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, n. 889, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Fermo, ordinanza 17 giugno 1983, n. 9/84, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Tribunale di Fermo, ordinanza 14 ottobre 1983, n. 32/84, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (art. 41 della Costituzione). Tribunale di Pesaro, ordinanze (due) 6 luglio 1983, nn. 1050 e 1051, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. Tribunale di Pesaro, ordinanza 13 luglio 1983, n. 53/84, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (art. 41 della Costituzione). Tribunale di Rimini, ordinanze (sette) 27 ottobre 1983, nn. 1033-1039, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale di Rimini, ordinanza 10 novembre 1983, n. 1040, G. U. 21 mar zo 1984, n. 81. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt, 25, 26, 28, 29 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Grosseto, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 1/84, G.U. 4 aprile 1984, n. 95. � legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 25 ottobre 1983, n. 161/84, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (art. 41 della Costituzione): � Tribunale di Pesaro, ordinanza 27 luglio 1983, n. 1049, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. Tribunale di Pesaro, ordinanze (cinque) 27 luglio 1983, nn. da 48 a 52/84, G. U. �4 aprile 1984, n. 95. l,egge 3. maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costit)-1-zione), Tribunale di Ancona, ordinanza 11 giugno 1983, n. 1025. G.U. 14 marzo 1984, n. 74. Tribunale di Ancona, ordinanza 10 dicembre 1983, n. 192/84, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. Tribunale di Ancona, ordinanze (quattro) 12 novembre 1983, nn. 104-107/84, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. Tribunale di Ancona, ordinanze (ci.que) 25 ottobre 1983, nn. 108-112/84, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. � Tribunale di Ancona, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1983, nn. 174-177/84, G. U. 26 aprile 1984, n. 115. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Bra, ordinanza 28 maggio 1983, n. 851, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 77 e 79 della Costituzion�). Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 28 settembre 1983, n. 1017, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 22 giugno 1983, n. 1006, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. PARTE II, LEGISLAZIONE d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11, 24 e 113 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 20 aprile 1983, n. 1001 e 1002, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanze (due) 29 marzo 1983, n. 22 e 23/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. legge. prov. di Trento 27 dicembre 1982, n. 31, art. 1, n. 6 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cavalese, ordinanza 4 luglio 1983, n. 1021, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 34 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 25 marzo 1983, n. 997, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 4 inarzo 1983, n. 184 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Palermo, ordinanza 29 settembre 1983 n:'4J88, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 10 agosto 1983, n. 953, G.U. 21 marzo '1984, n. 81. d.l. 5 ottobre 1983, n. 529 (artt. 2 e 97 dell� Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanze (d11.:;) 11 ottobre 1983, nn. 1054 e 1055, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. d.l. 5 ottobre 1983, n. 529, artt. 1, primo e quarto comma, 2, secondo comma, 5, 6, primo e secondo comma, 7, terzo comma, e 8, primo e secondo comma (artt. 3, 23, 25, 77 e 101 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 1005, G. U. 28 marzo 1984, .a. 88. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanze (tredici) 28 novembre 1983, nn. 3442 e 64-67/84, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. ..p��x� �.,,, . X �:" .�X ..� . . ::::--::::...� %.' d . �' .. . . . ~f . -