ANNO XXXVI -N. 2 MARZO-APRILE 1984 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1984 



ABBONAMENTI ANNO 1984 

ANNO L. 29.000 
UN NUMERO SEPARATO ......�...���.���..� ,. 5.300 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(5219222) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'
avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . pag. 205 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
del/'avv: Oscar 
E INTERNAFiumara) 
. . � 239 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) � 262 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Antonio Catrica/� e Paolo Cosentino) � 270 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli 
av_vocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) � 275 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Bafile) 
(a cura dell'av)) 
327 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a 'cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergior.gio Ferri e Paolo Vittoria) � 386 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 405 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE pag. 41 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GmccIARDI, Genova; Oanlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio 
Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio 
DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Gi:ancarlo MANo�, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSS�RVAZIONI, QUESTIONI 


M. CONTI, Viaggi per turismo e relativi trasferimenti di valuta nel 
diritto comunitario . . . . . . . . . . . . I, 240 
P. VITTORIA, L'esclusione della competenza arbitrale nelle norme del 
capitolato generale approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063. 
I rapporti tra notifica della domanda arbitrale, nomina dell'arbitro 
e declinatoria della competenza . . . . . . . . . . . . . . I, 391 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE 

-Sovracanoni -Imposizione -Presupposti, 
386. 

APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Arbitrato 
-Disciplina del capitolato generale 
d'appalto per le opere di competenza 
del Ministero dei lavori pubblici 
-Rilevanza normativa -Derogabilit� 
convenzionale -Esclusione Fattispecie 
-Facolt� di declinare la 
competenza arbitrale, con nota di 

P. VITTORIA, 390. 
-Appalto di opere pubbliche -Capitolato 
generale d'appalto per le opere 
di competenza del Ministero dei 
lavori pubblici -Facolt� di esclusione 
della competenza arbitrale -Competenza 
dell'Avvocatura dello Stato Sussiste, 
con nota di P. VITTORIA, 390. 
-Appalto di opere pubbliche -Capitolato 
generale d'appalto per le opere 
di competenza del Ministero dei 
lavori pubblici -Facolt� di esclusione 
della competenza arbitrale -Competenza 
dell'Avvocatura dello Stato Sussiste 
-Anteriore nomina dell'arbitro 
da parte della P .A. -Non preceduta 
da notifica della domanda all'Avvocatura 
-Irrilevanza, con nota 
di P. VITTORIA, 389. 
-Appalto di opere pubbliche -Clausola 
compromissoria -Richiamo alle 
disposizioni contenute nel capo VI 
del d.P.R. 16 luglio 1962, n . .1063 -Valore, 
con nota di P. VITTORIA, 390. 
-Appalto di opere pubbliche -Interessi 
per ritardato pagamento -Danni 
da ritardo nel pagamento degll 
interessi -Anat(lcismo -Applicabilit�, 
402. 
-Appalto di opere pubbliche -Interessi 
sul saldo del compenso revisionale 
-Decorrenza -Art. 36 d.P.R. 
16 luglio 1%2, n. 11063 -Applicabilit�, 
401. 

-Appalto di opere pubbliche -Interessi 
sul saldo del prezzo -Pretesa 
di ritardo nell'espletamento delle 
operazioni di collaudo -Riserva nel 
verbale di collaudo -Necessit�, 401. 

-Appalto di opere pubbliche -Riserva 
-Costituzione in mora -Equivalenza 
-Non sussiste, 398. 

-Appalto di opere pubbliche -Somme 
riconosciute in sede giudiziale Interessi 
e maggfor danno -Limitazione 
risultante dall'art. 36 ultimo 
capoverso -Applicabilit� al1'
A.N.A.S. -Esclusione -Liquidazione 
del danno -Criterio -Riferimento 
all'art. 3S cap, gen. oo.pp. Ammissibilit�, 
398. 

COMMERCIO 

-Esercizio di vendita -Preposto Iscrizione 
nell'albo previsto dalla 
legge n. 426/71 -Omissione -Illecito 
sanzionabile, 273. 

-Farmacie -Calzature anatomiche Distinzione 
rispetto alle calzature 
ortopediche e a quelle normali Vendita 
-Liceit� -Riferimento alla 
prassi di mercato -Necessit�, 274. 

C�MUNIT� EUROPEE 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore del latte 
e dei prodotti lattiero-caseari Regime 
nazionale dei prezzi alla 
produzione -Incompatibilit�, 252. 

-Agricoltura -Prodotti elencati nell'allegato 
II del Trattato CEE 


Lane -Esclusione, 2S8. 

-Libera prestazione di servizi sazioni 
invisibili -Pagamenti 
renti e movimenti di capitali 
rismo -Controlli degli Stati 
bri -Legittimit� -Limiti, con 
di M. CONTI, 239. 

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INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

CONTABILIT� PUBBLICA 

-Contratti della P.A. -Licitazione privata 
-Scelta dei contraenti -Interesse 
all'impugnazione -Soggetto 
non invitato alla gara, 287. 

-Contratti della P.A. -Licitazione 
privata -Scelta dei contraenti -Soggetto 
non Invitato alla gara -Interesse 
personale e non collettivo, 

288. 
-Contratti della P.A. -Licitazione 
privata -Scelta delle ditte da inv,
itare alla gara -Competenza della 
giunta municipale, 288. 
-Contratto della P .A. -Delibera di far 
luogo alla licitazione privata -Motivazione 
su esclusione pubblici incanti 
-Necessit�, 288. � 
-Interesse legittimo -Qualificazione 
giuridica -Previsione nella norma 
disciplinatrice del potere della P.A. Rilevanza 
sociale dell'interesse, 288. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Diritto vivente -Giurisprudenza contrastante 
della Corte di Cassa2iione 
-Possibilit� di pronuncia interpretativa 
della Corte Costituzionale, 

225. 
-Giudizio in via incidentale -Controversia 
a quo sulla giurisdizione 
-Rilevanza della questione di 
legittimit� costituzionale -Condizione, 
233. 


- 
Giudizio in via incidentale -Procedimento 
di liquidazione di inqennit� 
a testimone -Non � giudizio, 

232. 
DEMANIO 

-Beni storici ed artistici -Esportazione 
in paesi della e.E.E. -Acquisto 
da parte dello Stato -Prezzo 
pari al valore dichiarato -Illegittimit� 
-Proposta di prezzo da parte 
del Ministero -Necessit�, 308. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo Adozione 
ad evitare pregiudizi -Eccesso 
di potere per sviamento -Insussistenza, 
298. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo Beni 
accessori -Inesistenza vincolo 
pertinenziale -Deducibilit� -Limiti 
soggettivi, 298. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo 
indiretto -Difetto di motivazione -

Rileviabilit� in sede d'impugnazione 
del provvedimento di prelazione, 

318. 
-Beni storici ed artistici -Vincolo 
� indiretto � -Motivazione -Necessit� 
-Contenuto, 318. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo Limiti 
e destinazione beni vincolati 
-Legittimit� -Imposizione esercizio 
attivit� economica -Illegittimit�, 
298. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo Luogo 
di incontri culturali da inizio 
secolo -Legittimit�, 298. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo 
non trascritto -Efficacia nei confronti 
degli aventi causa dal proprietario 
notificato -Impedimento 
alla realizzazione degli effetti del 
negozio privatistico, 318. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo Notifica 
-Negozio traslativo -Onere 
denuncia -Irrilevanza conoscenza di 
fatto dell'Amministrazione -Permanenza 
-Potere prelazione per mancata 
denuncia, 318. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo Notifica 
-Opere di rinnovazione 
dopo nuova legge su tutela cose interesse 
artistico -Insussistenza per 
mancanza regolamento, 318. 

- 
Beni storici ed artistici -Vincolo -
Tmscrizione -Carattere costitutivo 
per i terzi non per il proprietario, 

318. 
-Cava -Prefissione di termine al 
proprietario per lo sfruttamento Impugnabilit� 
-Errata conoscenza 
caratteristiche del minerale, 308. 
-Cava -Prefissione di termine al proprietario 
per lo sfruttamento -Sottrazione 
disponibilit� cava al proprietario 
-Concessione a terzi -anche 
a distanza di tempo, 308. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Edilizia economica popolare -Proprietari 
espropriati -Titolo per assegnazione 
lotti espropriati, 275. 

-Occupazione permanente illegittima 
-Fatto illecito -Danni -Prescrizione 
quinquennale, 274. 

-Provvedimenti dichiarativi della pubblica 
utilit� e autorizzazione dell'occupazione 
d'urgenza -Competen



VIII 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

za � Giunta regionale -Presidente 

della Giunta, 275. 

-Stato di consistenza -Necessario richi,
amo nel decreto di occupazione 
d'urgenza -Stato di consistenza compilato 
per distinto e precedente decreto 
d'occupazione, 275. 

-Stato di consistenza -Pregiudizialit� 
rispetto al decreto di occupazione, 
275. 

FALLIMENTO 

-Interrogatorio del fallito -Eventuale 
emergere di reati fallimentari 
-Non necessit� della presenza 
del difensore -Legittimit� costituzionale, 
228. 

FRIULI-VENEZIA GIULIA 

-Compartecipazione all'I.G.E. e sue-, 
cessivi trasferimenti sostitutivi -Determinazione 
unilaterale ad opera 
del Ministero delle Finanze -Invasivit�, 
218. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Ferrovfo dello Stato -Interventi 
straordinari -Riserva di forniture 
a favore di ditte meridionali -Posizione 
soggettiva -Natura -Programma 
di interventi non ancora 
adottati -Interesse legittimo -Esclusione 
-Difetto assoluto di giurisdizione, 
262. 

-Impiego pubblico -Forma contrattuale 
-Irrilevanza -Sussistenza carattere 
pubblicistico -Presupposti, 

268. 
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Esecuzione del giudicato -Annullamento 
provvedimento inibitorio Adempimento 
della P.A. -Provvedimento 
autorizzatorio -Non necessariet� 
-Inammissibilit� ricorso 
inottemperanza, 297. 

-Esecuzione del giudicato -Legisla2ione 
vigente -Notifica sentell2la Successivo 
provvedimento illegittimo 
annullato, 284. 

-Esecuzione del giudicato -Sentenza 
che comporta attivit� discrezionale 
-Ricorso per ottemperanza -Amj;
nissibilit�, 284. 

-Esecuzione del giudicato -Sentenza 
che lascia all'Amministrazione 
possibilit� di scelta tra diverse alternative 
-Ricorso per ottemperanza 
centrato su una sola alternativa 
-Inammissibilit�, 284. 

-Esecuzione del giudicato -Sentenza 
che lascia all' f\.mministrazione 
scelta tra diverse alternative -Ricorso 
per ottemperanza centrato su 
una sola alternati<va -Impossibilit� 
per il giudice disporre esecuzione 
propria sentenza -Principio corrispondenza 
tra chiesto e pronunciato, 
285. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Enti lirici -Contratto collettivo Limitazioni 
al lavoro per contratto 
a tempo indeterminato -Necessit� 
particolari enti lirici, 3113. 

-Enti Lirici -Contratto collettivo Rinnovazioni 
contratti a termine Trasformazioni 
in rapporto a tempo 
indeterminato -Limitazioni a computabilit� 
della rinnovazione -Sostitll2lione 
artistica assente -Avvertimento 
scritto della sostituzione, 

314. 
-Enti lirici -Legge speciale -Regolamento 
organico -Contratto collettivo 
-Deroga a legge su contratto 
a termine, 3'13. 

-Insegnante -Nomina con effetti giuridici 
retroatth11i -Proscioglimento 
in sede penale -Retribuzione -Irretroattivit�, 
307. 

-Trasferimento per incompatibilit� 
ambientale -Dissidio con altro dipendente 
-Specificazione influenza 
su andamento ufficio -Necessit� Motivazione, 
305. 

- 
Trasferimento per incompatibilit� 
ambientale -Dissidio con altro dipendente 
-Valutazione sommarla 
ragioni contrapposte -Necessit�, 

305. 
ISTRUZIONE E SCUOLE 

- 
Diritto all'istruzione -Contenuto, 

306. 
-Sanzione disciplinare -Allontanamento 
dalla scuola -Limite al diritto 
all'istruzione -Interesse collettivit� 
-Legittimit�, 306. 



INDICE ANALmCO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Sanzione disciplinare � Allontanamento 
dalla scuola -Motivazione Inadeguata 
valuta:zfone fatto � Mancanza 
prova fatti pi�: gravi, 306. 

LOCAZIONE 

-Immobili destinati ad attivit� essenzialmente 
agricole e ad attivit� agricole 
per concessione -Legge cosidetta 
dell'equo canone -Si applica, 
se trattasi di immobili urbani, 
225. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Magistrature -Magistratura ordinaria 
� Consiglio Superiore della 
Magistratura -Non punibilit� delle 
opinioni espresse dai componenti Natura 
e limiti -Previsione per legge 
ordinaria -Legittimit� costituzionale, 
205. 

-Magistrature -Magistrature speciali 
� Organo di autogoverno -Istituzioni 
-Necessit�, 206. 

PENA 

-Sospensione condizionale della pena 
-Nuovo ragguaglio fra pena pecuniaria 
e pena detentiva introdotto 
dalla legge 24 novembre 11981, n. 689, 
successivamente al ricorso per cassazione 
-Applicabilit� da parte della 
Suprema Corte senza necessit� di 
rinvio al giudice di merito, 408. 

PREVIDENZA 

-Ufficiali di complemento -Richiamo 
in servizio temporaneo -Cessazione 
dal servizio senza maturazione del 
diritto a pensione -Costituzione di 
posizione rassicurativa i.v.s. -Obbligo 
dell'Amministrazione, 270. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Ente lin liquidazione -Assunzione 
della liquidazione da parte del Ministero 
del Tesoro -Foro dello Stato 
-Applicabilit�, 268. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Applicazione di sanzione sostitutiva 
-Parere del pubblico ministero 
� Dopo l'apertura per la prima 

volta del dibattimento di primo 
grado -Non � vinco1ante, 234. 

REATO 

-Norme penali � di favore� -Giudizio 
incidentale di legittimit� costituzionale 
-Ammissibilit�, 205. 

-Reati finanziari -Olii minerali -Gasolio 
fiscalmente agevolato � Destinazione 
ad uso diverso -Sussistenza 
del reato � Concreto impiego Irrilevanza, 
407. 

Reato finanziario � Olii minerali -Gasolio 
fiscalmente agevolato -Destinazione 
ad uso diverso � Elemento 
subiettivo � Necessit� nell'agente 
della consapevolezza dell'antigiuridicit� 
del fatto -Esclusione, 405. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento � Competenza dell'ufficio 
� Dmnicilio fiscale -Luogo di 
produzione del reddito -Irrilevanza 
� Omessa presentazione della dichiarazione 
� Non esclude la nullit� 
dell'accertamento -Dichiarazione 
presentata ad ufficio incompetente � 
Fissazione di domicilio diverso, 334. 

-Accertamento � Metodo induttivo � 
Presupposti -Integrazione nel corso 
del processo -Legittimit�, 354. 

-Accertamento � Metodo induttivo Prova 
dei fatti indice -Insufficienza 
-Pronuncia del giudice di terzo 
grado � Legittimit�, 354. 

-Accertamento � Metodo induttivo Ricerca 
analitica di un singolo cespite 
-Illegittimit�, 354. 

-Accertamento � Motivazione sintetica 
� Dichiarazione solo apparentemente 
analitica, 332. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Compensi per prestazioni artistiche 
� Ritenuta alla fonte � Rimborso 
spese � a pi� di lista � � Rigorosa 
documentazione � S necessaria, 
339. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Condono -Agevolazione � Inconciliabilit�, 
377. 

-Imposte fondiarie � Imposta sui 
fabbricati -Reddito effettivo -Comparazione 
con canoni locativi di fabbricati 
analoghi -Esclusione, 385. 


X 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Imposte sui redditi di ricchezza mobile 
-Plusvalenza -Intento di speculazione 
-Fattispecie, 341. 

-Imposte sui redditi di ricchezza mobile 
-Plusvalenza -Svalutazione monetaria 
-Deve essere dedotta dall'ammontare 
del plusvalore, 343. 

-Soggetti passivi -Liquidatore delle 
societ� -Liquidatore di fatto -Responsabilit�, 
376. 

-Soggetti passivi -Sostituto d'imposta 
-Trasferimento di azienda nel 
corso del periodo di imposta -Dovere 
di dichiarazione per il cedente 
-Sussiste -Responsabilit� solidale 
del cessionario, 346. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Dogane -Contrabbando doganale Conciliazione 
amministrativa -Diversit� 
soggettiva ed oggettiva dalla 
oblazione -Discrezionalit� dell'Amministrazione 
-Normalit�, 229. 

-Imposta sull'entrata -Agevolazione 
per le autostrade -Appaltatore dei 
lavori -Si estende, 329. 

-Imposta sull'entrata -Agevolazione 
per le autostrade -Art. 8 legge 24 luglio 
1961, n. 729 -Interpretazione 
autentica -Applicazione, 329. 

-Imposta sull'entrata Assegni 
ICCRI -Compensi pagati dall'ICCRI 
alle Oasse di risparmio -Natura di 
interessi -Esenzione dall'imposta 
sull'entrata -Spettanza, 367. 

-Imposta sull'entrata e imposta di 
conguaglio -Agevolazione per le 
autostrade. Si estende all'imposta 
di conguaglio, 329. 

-Interessi --Computazione -Esito finale 
del processo -Vicende intermedie 
-Irrilevanza -Pagamento od 
offerta di pagamento nel corso del 
processo -Rilevanza, 372. 

-Regime dei privilegi -Privilegio generale 
sui mobili -Insussistenza, 

214. 
TRIBUTI (in genere) 

-Accertamento -Sanzioni -Provvedimento 
di irrogazione -Natura -
Nascitoa dell'obbligazione, 382. 

-Contenzioso tributario -Giurisdi-� 
zione delle commissioni -Estensione 
-Accertamento della qualit� di 
soggetto passivo -Rinuncia all'eredit� 
-Deducibilit� innanzi alle commissioni, 
327. 

-Contenzioso tributario -Giurisdizione 
-Giudizi pendenti innanzi alla 
giurisdizione ordinaria alla data dd 
entrata in vigore della riforma del 
contenzioso -Perpetuazione della 
giurisdizione, 350. 

-Contenzioso tributario -Ricorso Riconoscimento 
di ammontare di 
reddito superiore al dichiarato -� 
vincolante -Decisione della commissione 
che determina reddito inferiore 
-Ultrapetizione, 375. 

-Contenzioso tributario -Ripartizione 
di potest� tra Commissioni e 
giudice ordinario e questione di 
giurisdizione -Ripartizione di potest� 
tra Commissioni di primo e secondo 
grado e Corte di appello � 
questione di competenza, 350. 

-Restituzioni e rimborsi -Interessi Prescrizione 
-Autonomia rispetto 
al credito, 359. 

TRIBUTI LOCALI 

-Ilor -Tassazione del reddito dei 
fabbricati destinati alla locazione 
degli Istituti autonomi delle case 
popolari -Natura di reddito fondiario 
-Tassazione Ilor separata, 

361. 
URBANISTICA 

-Concessione edilizia -Annullamento 
-Agriturismo -Destinazione agricola 
del terreno -Contratto -Elementi 
obiettivi di valutazione, 283. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 

CORTE COSTITUZIONALE 

3 giugno 1983, n. 148 .. 
15 febbraio 1984, n. 25 . 
22 febbraio 1984, n. 39 
22 febbraio 1984, n. 40 
14 marzo 1984, n. 67 . 
14 marzo 11984, n. 69 . 
14 marzo 1984, n. 7� .. 
5 aprile 1984, n. 93 (ordinanza) 
5 aprile 1984, n. 102 . 
30 aprile 1984, n. 120 . . . . . 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 

31 gennaio 1984, nelle cause riunite 286/82 e 26/83 
7 febbraio 1984, nella causa J.66/82 
29 febbraio 1984, nella causa 77/83 ........ . 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 21 novembre 1983, n. 6915 
Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7:160 
Sez. I, 3 dicembre 1983, n. 7240 
Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 7301 . 
Sez. 1, 5 gennaio 1984, n. 18 . . . 
Sez. Lav., 18 gennaio 1984,-n. 433 
Sez. I, 19 gennaio 1984, n. 457 

Sez. I, 23 gennaio 1984, n. 547 . 
Sez. I, 27 gennaio 1984, n. 635 . 
Sez. Un., 6 febbraio 1984, n. 871 
Sez. I, 7 febbraio 1984, .a. 932 . 
Sez. I, 7 febbraio 1984, n. 935 . 
Sez. Un., 27 febbraio 1984, n. 1376 
Sez. Un., 27 febbraio 1984, n. 1377 
Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1539 
Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1546 
Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1574 
Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1588 
Sez. I, 12 marzo 1984, n. 1683 

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� 354 

� 359 

� 361 

� 367 

� 273 

� 372 

� 274 

� 375 

� 274 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sez. Un., 14 marzo 1984, n. 1740 
Sez. I, :15 marzo 1984, n. 1761 
Sez. I, 19 marzo 11984, n. 1865 
Sez. I, 19 marzo 1984, n. 1867 
Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1925 
Sez. Un., 27 marzo 1984, n. 2017 
Sez. Lav., 30 marzo 1984, n. 2142 
Sez. Un., 24 aprile ;1984, n. 2148 

CORTE D'APPELLO DI ROMA 

Sez. I, 19 dicembre 1983, n. 2687 
Sez. I, 16 gennaio 1984, n. 107 . 
Sez. I, 21 maggio 1984, n. 1204 

TRIBUNALE DI ROMA 
Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 12832 

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

. CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., sent. 13 gennaio 1984, n. 2 
Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 843 
Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 845 
Sez. IV, sent. 30 gennaio 1984, n. 33 
Sez. v; sent. 18 gennaio 1984, n. 49 . 
Sez. VI, sent. 4 ottobre 1983, n. 705 . 
Sez. VI, sent. 10 ottobre 1983, n. 723 
Sez. VI, sent. 22 ottobre 11983, n. 747 
Sez. VI, 22 ottobre 1983, n. 7'49 . . . 
Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, :n. 772 
Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, n. 786 
Sez. VI, sent. .17 gennaio 1984, n. 6 . 
Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 23 
Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 26 


GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III penale, 26 genm.io 1984, n. 681 
Sez. III penale, 2 febbraio 1984, n. 1024 


pag. 262 
� 376 
� 377 
� 382 
� 385 
� 386 
� 268 
� 268 

pag. 389 
� 398 
� 390 

pag. 401 

pag. 275 
� 283 
� 284 
� 284 
� 287 
� 297 
� 298 
� 305 
� 306 
� 307 
� 308 
� 308 
� 313 
� 318 

pag. 405 

� 407 


PARTE SECONDA 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� 
I -Norme dichiarate incostituzionali 
II -Questioni dichiarate non fondate 
III -Questioni proposte . . . . . . . . . 
COSTITUZIONALE 
pag. 
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41 
41 
42 


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PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 giugno 1983, n. 148 -Pres. Elia -Rel. Paladin 
-Bertoni ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
Avv. Gen. Stato Chiarotti). 

Reato -Norme penali � di favore � -Giudizio incidentale di legittimit� 
costituzionale -Ammissibilit�. 

Ordinamento giudiziario -Magistrature � Magistratura ordinaria � Con� 
siglio Superiore della Magistratura � Non punibilit� delle opinioni 
espresse dai componenti � Natura e limiti � Previsione per legge ordi� 
naria � Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3, 28 e 112; legge 3 gennaio 1981, n. 1, art. 5). 

Nessun soggetto, imputato di aver commesso un fatto del quale una 
norma penale esclude l'antigiuridicit�, pu� venire penalmente condannato 
per il solo effetto d'una sentenza della Corte Costituzionale che dichiari 
illegittima la norma stessa. Cionondimeno, il giudizio incidentale di legittimit� 
costituzionale � ammissibile quando pronunce concernenti la legittimit� 
delle norme di favore possono influire sul conseguente esercizio 
della funzione giurisdizionale. 

La non punibilit� delle opinioni espresse dai componenti del Consiglio 
superiore della Magistratura si traduce in una esimente (non in una immunit� 
anche processuale) avente per oggetto le sole manifestazioni di 
pensiero funzionali all'esercizio dei poteri-doveri spettanti a detti comportamenti. 
Il legislatore ordinario pu� integrare le prescrizioni costi� 
tuzionali col prevedere una esimente a presidio della libera manifestazione 
del pensiero in una funzione pubblica o nella professione forense. (1) 

(1-2) Le due sentenze in rassegna rilevano anche al di l� delle specie 
decise. La seconda non soltanto consente ma impone al legislatore ordinario 
di istituire organismi simili al Consiglio superiore della magistratura per il 
� governo � in misura maggiore o minore autonomo delle magistrature speciali: 
a ci� il legislatore ha gi� provveduto per il complesso Consiglio di Stato 
e tribunali regionali amministrativi, per la Corte dei conti e per l'Avvocatura 
dello Stato, mentre non ha ancora provveduto per la magistratura militare 
e per i giudici tributari. In particolare, questi ultimi -avventurosamente 
� giurisdizionalizzati � -si trovano in uno stato di � anarchia � che pu� risul


2 



206 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1984, n. 67 -Pres. Elia -Rel. Ferrari 
� Carnevale (n.p.\ 

Magistratura � Magistrature speciali � Organo di auto-governo � Istituzione 
-Necessit�. 

(Cost., art. 108; legge 7 maggio 1981 n. 180, art. 15). 

Il legislatore ordinario � tenuto ad istituire, assumendo a modello il 
Consiglio superiore della Magistratura, organi colleg,iali di autogoverno 
(nella specie, della magistratura militare) al fine di assicurare l'indipen� 
denza ai sensi dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione. (2) 

I 

(omissis) Ora, sul tema dei limiti che le impugnazioni ed il conseguente 
sindacato di legittimit� delle leggi subiscono per effetto dei principi 
costituzionali di legalit� e d'irretroattivit� dei reati e delle pene, questa 
Corte si � gi� pronunciata in diverse occasioni. Ma la complessa problematica 
non � stata compiutamente risolta. 

Pi� di preciso, la giurisprudenza della Corte pu� considerarsi ormai 
consolidata, per ci� che riguarda il principio di legalit�, inteso nei termini 
gi� fissati dall'art. 1 cod. pen.: nel senso che sono state ripetutamente dichiarate 
inammissibili (da ultimo, con la sentenza n. 71 del presente anno) 
le impugnazioni attraverso le quali si richiedeva, in sostanza, che la Corte 
configurasse nuove norme penali, cos� determinando conseguenze sfavorevoli 
per l'imputato. (omissis) 

Per quanto invece riguarda il principio d'irretroattivit�, le sentenze 
che lo hanno preso in considerazione durante lo scorso decenni� si collocano 
su due versanti opposti. Da un lato, cio�, stanno le pronunce con 
cui sono state ritenute ammissibili impugnative concernenti norme penali 
di favore, in base all'assunto che le questioni inerenti � alla cosiddetta 
retroattivit� delle decisioni di accoglimento della Corte costituzionale 
attengono all'interpretazione delle leggi e pertanto devono essere risolte 
dai giudici ordinari� (cfr. le sentenze n. 155 del 1973 e n. 22 del 1975). 
D'altro lato, varie decisioni contemporanee o di poco successive (si vedano, 
in particolare, le sentenze n. 26 del 1975, n. 85 del 1976, n. 122 del 

tare gravemente pregiudizievole per la funzionalit� e persino per il decoro 
della giustizia tributaria. 

La prima sentenza afferma che bene ha fatto il legislatore ordinario a 
garantire ai componenti del Consiglio superiore della Magistratura (e di riflesso 
degli organi collegiali paralleli delle magistrature specialj) una scriminante 
a presidio della libert� di manifestazione del pensiero. 

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-



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 207 

1977 e n. 91 del 1979) hanno per contro affermato che !hl tassativo disposto 
degli artt. 25, secondo comma, della Costituzione e 2 del codice penale 
imporrebbe in ogni caso al giudice di applicare nella concreta fattispecie 
la norma impugnata, quand'anche viziata d'incostituzionalit�: donde l'inammissibilit� 
di siffatte questioni per difetto di rilevanza. 

� chiaro, per�, che a voler seguire fino in fondo quest'ultimo orientamento 
ne deriverebbero implicazioni assai gravi. Norme sicuramente 
applicabili nel giudizio a quo, in ordine alle .quali si producessero dubbi 
di legittimit� costituzionale, non ritenuti dal giudice manifestamente infondati, 
rischierebbero di sfuggire ad ogni sindacato della Corte, non 
essendo mai pregiudiziale la loro impugnazione; e la Corte stessa verrebbe 
in tal senso privata -quanto meno nei giudizi instaurati in via incidentale 
-di ogni strumento atto a garantire la preminenza della Costituzione 
sulla legislazione statal_e ordinaria. In presenza di previsioni sul 
tipo dell'art. 5 della legge n. 1 del 1981, quand'anche lesive degli imperativi 
costituzionali di eguaglianza in materia penale, non sarebbe infatti utilizzabile 
nemmeno l'estremo rimedio di un annullamento dell'intera disciplina 
entro la quale si fosse prodotta l'ingiustificata disparit� di trattamento 
(come si � verificato nel caso della sentenza n. 147 del 1969, sulla 
contemporanea dichiarazione d'illegittimit� costituzionale dei delitti di 
relazione adulterina e di concubinato). 

Ed � appunto in vista di tali .conseguenze, che si rende ora necessario 
riconsiderare il problema. 

Al di l� delle apparenze, questa Corte � dell'avviso che entrambi gli 
orientamenti giurisprudenziali gi� emersi in tal campo contengano, sia 
pure su piani diversi, essenziali elementi di verit�. 

Anche nella presente occasione, si deve anzitutto ripetere che nessun 
soggetto, imputato di aver commesso un fatto del quale una norma penale 
abbia escluso l'antigiuridicit�, potrebbe venire penalmente condannato 
per il solo effetto d'una sentenza di questa Corte, che dichiarasse 
illegittima la norma stessa. � un fondamentale principio di civilt� giuridica, 
elevato a livello costituzionale dal secondo comma dell'art. 25 
Cost. (e gi� puntualizzato -per ci� che attualmente interessa -dal 
primo comma dell'art. 2 cod. pen.), ad esigere certezza ed irretroattivit� 
dei reati e delle pene; n� le garanzie che ne derivano potrebbero venire 
meno, se non compromettendo l'indispensabile coerenza dei vari dettati 
costituzionali, di fronte ad una decisione di accoglimento. Sebbene privata 
di efficacia ai sensi del primo comma dell'art. 136 Cost. (e resa 
per se stessa inapplicabile alla stregua dell'art. 30, terzo comma, della 
legge n. 87 del 1953), quanto al passato la norma penale di favore continua 
perci� a rilevare, in forza del prevalente principio che preclude 
la retroattivit� delle norme incriminatrici. 

Senonch�, questo primo dato non basta a risolvere il problema. 

Altro, infatti � la garanzia che i principi del diritto penale-costituzionale 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

208 

possono offrire agli imputati, circoscrivendo l'efficacia spettante alle 
dichiarazioni d'illegittimit� delle norme penali di favore; altro � il sindacato 
cui le norme stesse devono pur sempre sottostare, a pena di 
istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno 
delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile. N� giova 
replicare che un tale inconveniente � imposto dalla logica dei processo 
costituzionale, vale a dire dalla necessaria incidenza delle decisioni di 
questa Corte sugli esiti dei giudizi in cui siano stati promossi gli incidenti 
di costituzionalit�. Indipendentemente dalla sorte degli imputati, 
� indubbio che nella prospettiva del giudice a quo, cio� del promotore 
degli incidenti in questione, anche le pronunce concernenti la legittimit� 
delle norme penali di favore influiscano o possano influire sul conseguente 
esercizio della funzione giurisdizionale. 

In primo luogo, l'eventuale accoglimento delle impugnative di norme 
siffatte verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento o, quanto 
meno, sui dispositivi delle sei:itenze penali: i quali dovrebbero imperniarsi, 
per effetto della pronuncia emessa dalla Corte, sul primo comma dell'art. 
2 cod. pen. (sorretto dal secondo comma dell'art. 25 Cost.) e non 
sulla sola disposizione annullata dalla Corte stessa. E conviene aggiungere 
che la pronuncia della Corte non potrebbe non riflettersi sullo 
schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone 
la ratio decidenti: poich� in tal caso ne risulterebbe alterato -come � 
stato esattamente notato in dottrina -il fondamento normativo della 
decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa. 

In secondo luogo, le norme penali di favore fanno anch'esse parte 
del sistema, al pari di qualunque altra norma costitutiva dell'ordinamento. 
Ma lo stabilire in quali modi il sistema potrebbe reagire all'annullamento 
di norme del genere, non � un -quesito cui la Corte 
possa rispondere in astratto, salve le implicazioni ri~avabili dal principio 
d'irretroattivit� dei reati e delle pene; sicch�, per questa parte, va 
confermato che si tratta di un problema (ovvero di una somma di problemi) 
inerente all'interpretazione di norme diverse da quelle annullate, 
che i singoli giudici dovranno dunque affrontare caso per caso, nell'ambito 
delle rispettive competenze. 

In terzo luogo, la tesi che le questioni di legittimit� costituzionale 
concernenti norme penali di favore non siano mai pregiudiziali ai fini del 
giudizio a quo, muove da una visione troppo semplificante delle pronunce 
che questa Corte potrebbe adottare, una volta affrontato il merito 
di tali impugnative. La tesi stessa considera, cio�, la sola alternativa 
esistente fra una decisione di accoglimento, nei termini indicati dall'ordinanza 
di rimessione, ed una decisione di rigetto, pronunciata sulla base 
dell'interpretazione fatta propria dal giudice a quo. Ma questa Corte 
non � vincolata in assoluto dalle opzioni interpretative del giudice che 
promuove l'incidente di costituzionalit�. In altre. parole, non pu� esclu


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dersi a priori che il giudizio della Corte su una norma penale di favore 
si concluda con una sentenza interpretativa di rigetto (nei sensi di cui 
in motivazione) o con una pronuncia comunque correttiva delle premesse 
esegetiche su cui si fosse fondata l'ordinanza di rimessione: donde una 
serie di decisioni certamente suscettibili d'influire sugli esiti del giudizio 
penale pendente. Il che presenta un particolare rilievo nel caso in 
esame, di fronte ad una norma come quella dettata dall'art. 5 della legge 

n. 1 del 1981: norma finora inapplicata in sede penale (almeno per quanto 
risulta a questa Corte), su cui non si � dunque formata alcuna interpretazione 
giurisprudenziale consolidata e che ha rappresentato, per di pi�, 
l'oggetto di notevoli dissensi interpretativi fra il pubblico ministero ed 
il giudice istruttore del Tribunale di Roma. 
Sulla base di tutte queste ragioni, va quindi respinta l'eccezione 
d'inammissibilit�, proposta dall'Avvocatura dello Stato. La questione 
dev'essere invece esaminata nel merito: come la Corte ha gi� fatto, 
del resto, nell'analogo caso della sentenza n. 123 del 1972, relativa alla 
causa di giustificazione prevista dall'ultimo comma dell'art. 51 codice 
penale. 

Per poter dare una corretta risposta agli interrogativi prospettati 
dall'ordinanza di rimessione -con riferimento agli artt. 3, primo comma, 
28 e 112 Cost. -risulta per� necessario, in primo luogo, precisare quali 
siano la natura e la portata della norma in questione: � I componenti 
del Consiglio superiore non sono punibili per le opinioni espresse nell'esercizio 
delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione
�. (omissis). 

Esatta � l'implicita premessa dell'ordinanza di rimessione, cio� che la 
norma impugnata abbia un ambito di operativit� diverso da quello delle 
scriminanti di diritto penale comune; e dunque non si presti a venire 
risolta -come invece si accenna nell'atto di intervento del Presidente 
del Consiglio dei ministri -nella � causa di giustificazione di cui all'art. 
51 del codice penale �. Al di l� delle ipotesi di � esercizio di un 
diritto � o di � adempimento di un dovere �, previste dal primo comma 
dell'art. 51, l'art. 5 della legge n. 1 del 1981 vuole garantire ai consiglieri 
una qualificata e rafforzata libert� di manifestazi�ne del pensiero, nell'esercizio 
delle loro funzioni costituzionalmente garantite; senza di che 
la norma stessa risulterebbe perfettamente superflua e collocherebbe il 
Consiglio superiore della magistratura sul piano di qualsiasi altro collegio 
investito di funzioni pubbliche. Ma la natura specifica di quella previsione 
non toglie che essa sia stata attentamente delimitata dal legislatore: 
con il preciso e dichiarato intento di evitare che la garanzia si convertisse 
nello strumento di abusi, ipotizzato e censurato dall'ordinanza di 
rimessione. 

Anzitutto, qualunque condotta delittuosa che non si esaurisca in manifestazioni 
del pensiero (e nei voti in cui si concretano i giudizi, come 


210 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
queill rilevanti nella specie, che la Costituzione riserva al Consiglio superiore 
della magistratura) rimane soggetta al diritto penale comune, 
quand'anche posta in essere dai consiglieri, nell'esercizio delle foro funzioni. 
E, gi� da questo lato, il passo dell'ordinanza in cui si denuncia 
senz'altro la norma in esame per l'istituzione di �una frangia di funzionari 
sciolti dalla legge penale�, si rivela il frutto di un eccesso polemico: 
tanto meno pertinente, se si considera che l'attuale tema del giudizio 
a quo consiste in una ipotesi di interesse privato in atti di ufficio, che 
sarebbe stato commesso nel valutare J'attivit� svolta da un magistrato. 

Second.ariamente la scriminante in questione si differenzia, sotto un 
ulteriore aspetto dall'immunit� parlamentare di cui al primo comma dell'art. 
68 Cost. Fermo rimane, in verit�, che sussiste un fondamento comune 
ad ambedue le garanzie, nel senso che in entrambe le ipotesi si tratta 
di assicurare il libero esercizio delle corrispondenti funzioni, e non di 
privilegiare i singoli funzionari che esercitano i compiti stessi. Ma le 
formule rispettivamente adoperate dalla Costituzione e dalla legge n. 1 
del 1981 sono volutamente diverse. Nel primo caso, cio� si afferma che 
� i membri del Parlamento non possono essere perseguiti... �; nella stesura 
finale del disposto in esame si dichiara invece -a seguito di un apposito 
emendamento, approvato dalla quarta commissione permanente della 
Camera -che � i componenti del Consiglio superiore non sono punibili... �: 
quasi per escludere che i consiglieri siano stati in alcun modo sottratti ai 
giudici penali, mediante un'immunit� di tipo processuale e non solo 
sostanziale. A pi� forte ragione, � dunque fuor di luogo stabilire un 
parallelo fra la scriminante di ct� si discute e la cosiddetta garanzia 
amministrativa dei prefetti e dei sindaci, dichiarata illegittima da questa 
Corte con. la sentenza n. 4 del 1965 (cui fa richiamo il giudice istruttore 
del Tribunale di Roma). 

Da ultimo, � significativo che la disposizione impugnata, pur contenendo 
un generico riferimento alle opinioni espresse dai componenti il 
Consiglio, precisi contestualmente che esse devono concernere �l'oggetto 
della discussione �. Sotto questo profilo, la scriminante in esame presenta 
un punto di contatto con la previsione dell'art. 598, primo comma, 
del codice penale (per cui � non sono punibili le offese contenute negli 
scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori 
nei procedimenti dinanzi all'Autorit� giudiziaria, ovvero dinanzi 
a un'Autorit� amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto 
della causa o del ricorso amministrativo�). Ne viene, viceversa, approfondita 
la differenziazione rispetto alle opinioni espresse e ai voti dati dai 
membri del Parlamento: coerentemente, del resto, con il carattere specializzato, 
anzich� generale e libero del fine, delle attribuzioni esercitate 
dal Consiglio superiore. Ed anche in tal senso ne deriva che il giudice 
penale pu� bene sindacare se siano stati superati i limiti della condotta 
scriminata. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

In breve, tutti questi dati concorrono a far concludere che l'art. 5 
della legge n. 1 del 1981 ha previsto una causa di non punibilit� specifica, 
ma rigorosamente circoscritta, avente per oggetto le sole manifestazioni 
di pensiero funzionali all'esercizio dei poteri-doveri costituzionalmente 
spettanti ai componenti il Consiglio superiore; sicch� le 
censure proposte al riguardo dal giudice a quo si dimostrano, per ci� 
stesso, destituite di fondamento. 

Ma la questione essenziale, che resta da affrontare, attiene alla 
giustificazione costituzionale della norma in esame; e, pi� di preciso, si 
risolve nell'interrogativo se una tale giustific�zione debba essere necessariamente 
espressa o possa ricavarsi dal sistema. 

Nella prospettiva dell'ordinanza di rimessione, garanzie del genere 
di quelle disposte per i componenti il Consiglio superiore sarebbero a 
tal punt� eccezionali, da dover trovare fondamento in norme costituzionali 
appositamente dettate (secondo il criterio che questa Corte ha seguito 
nella citata sentenza n. 4 del 1965). Ma nella specie, con tutta evidenza, 
una previsione cos� tassativa non sarebbe rintracciabile; e ci� basterebbe, 
a parte ogni altra considerazione, per far ritenere illegittima la norma 
denunciata. 

Simili ragionamenti hanno per� il torto di confondere, collocandole 
sul medesimo piano, garanzie di natura diversissima. La posizione 
che questa Corte ha preso nella sentenza n. 4 del 1965 dev'esser riferita 
-come risulta con chiarezza dalla motivazione -ai � casi di 
deroga al principio dell'obbligatoriet� dell'azione del pubblico ministero
�, con particolare riguardo all'autorizzazione a procedere nei confronti 
di determinati soggetti. Ben altro � invece il caso delle cause di 
non punibilit�, stabilite in vista dell'esercizio di determinate funzioni. 
Norme siffatte abbisognano di un puntuale fondamento, concretato dalla 
Costituzione o da altre leggi costituzionali; ma non � indispensabile -ad 
avviso della Corte -che il fondamento consista in una previsione esplicita. 
All'opposto, il legislatore ordinario pu� bene operare in tal senso 
al di l� delle ipotesi espressamente previste dalle fonti sopraordinate, 
purch� le scriminanti cos� stabilite siano il frutto di un ragionevole 
bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Ed � lo stesso giudice 
a quo che, in sostanza, finisce per assumere quest'ultimo punto di 
vista: sia-quando ricorda, senza affatto contestarla, la causa di non 
punibilit� configurata dal primo comma dell'art. 598 cod. pen.; sia 
quando afferma, conclusivamente, che il vizio della norma censurata 
emergerebbe dal contrasto �fra l'interesse che si voleva tutelare�, costituito 
dal � libero e corretto esercizio di pubbliche funzioni preordinate 
ad assicurare l'indipendenza della magistratura �, e l'eccessiva estensione 
della tutela medesima. 

Ci� posto, � agevole notare che la natura, la posizione e le fun. 
zioni del Consiglio superiore della magistratura sono state concepite 


RASSEGNA Dl?LL1AVVOCATURA DELLO STATO

212 

dalla Costituzione in termini cos� caratteristici, da fornire un'adeguata 
ragione giustificativa della scriminante in discussione. 

Per prima cosa, comunque si voglia qualificarlo in sede dogma


tica, si tratta di un organo di sicuro rilievo costituzionale: dal che si 
pu� gi� ricavare un evidente tratto distintivo rispetto ai Consigli comunali 
e provinciali, impropriamente portati a paragone dal giudice istrut


I

tore del Tribunale di Roma, nonch� alla gran massa dei collegi puramente 
amministrativi. Ci� che pi� conta, dal nesso fra il primo ed il 

I 

secondo comma dell'art. 104 Cost. � dato desumere -come la Corte 

~ 

ha osservato nella sentenza n. 44 del 1968 (per poi riaffermarlo nella 
sentenza n. 12 del 1971) -�che l'istituzione del Consiglio superiore della 
magistratura ha corrisposto all'intento di rendere effettiva, fornendola 
di apposita garanzia costituzionale, l'autonomia della magistratura, cos� 
da collocarla nella posizione di ordine autonomo ed indipendente da 
ogni altro potere �. E la Corte ha ulteriormente precisato -nella 
sentenza n. 142 del 1973 -che �strumento essenziale di siffatta autonomia, 
e quindi della stessa indipendenza dei magistrati nell'esercizio 
delle loro funzioni, che essa � istituzionalmente rivolta a rafforzare, 
sono le competenze attribuite al Consiglio superiore dagli artt. 105, 106 
e 107 Cost. �. 

Ora, dall'insieme di queste disposizioni risulta che la parte centrale 
e costituzionalmente necessaria dell'azione del Consiglio consiste in 
apprezzamenti sulle attitudini, sui meriti e sui demeriti dei magistrati 
da assegnare ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre 
a procedimenti disciplinari e via dicendo. Ma la garanzia che il Consiglio 
� chiamato ad offrire in tal campo, proprio per poter essere effettiva, 
richiede a sua volta che i componenti del Consiglio stesso siano liberi 
di manifestare le loro convinzioni, senza venire in sostanza costretti ad 
autocensure che minerebbero il buon andamento della magistratura. In 
altre parole, � nella logica del disegno costituzionale che il Consiglio 
sia garantito nella propria indipendenza, tanto nei rapporti con altri 
poteri quanto nei rapporti con l'ordine giudiziario, �nella misura necessaria 
a preservarlo da influenze � che potrebbero indirettamente pregiudicare 
�l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia� 
(cfr. ancora la sent. n. 44 del 1968). Il che non esclude, ovviamente, 
che l'attivit� consiliare sia controllabile in sede giurisdizionale: ma 
sulla base dei ricorsi avverso le deliberazioni del Consiglio (o contro 
i provvedimenti che ne adottino il contenuto) non gi� sindacando agli 
effetti penali le opinioni espresse da parte di componenti il Consiglio 
medesimo, nell'adempimento dei compiti che sono loro riservati per 
Costituzione. 

Certo, rimane il fatto che la scriminante in esame non � stata 
configurata dalla Carta costituzionale, bens� da una legge ordinaria ed 
appena nel gennaio del 1981, a molti anni dall'entrata in funzione del 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Consiglio superiore della magistratura; ma ci� non si � verificato senza 
un valido motivo. Malgrado il suo rilievo costituzionale, il Consiglio 
ha infatti tardato a ricevere una collocazione ed una sistemazione ben 
precisa. Dettagliatissima per certi aspetti, la disciplina costituzionale 
� invece rimasta in vario senso incompiuta, anche per ci� che riguardava 
la soluzione di fondamentali problemi: dalla discussa questione 
dello scioglimento del Consiglio, fino al regime dei diversi tipi di deliberazioni 
consiliari. E la stessa legge istitutiva del 1958 -come l'esperienza 
ha dimostrato -non ha saputo colmare del tutto le originarie 
lacune. (omissis). 

II 

La legge 7 maggio 1981, n. 180 (�Modifiche all'ordinamento giudi� 
ziario militare di pace�) � stata emanata nell'intento di dare attuazione 
al dettato costituzionale (art. 108, secondo comma), il quale testualmente 
prescrive che � la legge assicura la indipendenza dei giudici delle 
giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli 
estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia �. A tal fine 
il legislatore, assumendo come modello il Consiglio superiore della 
magistratura, ha previsto -con la legge e l'articolo test� indicati -l'istituzione 
di apposito organo collegiale, che ha appunto denominato � di 
autogoverno della magistratura militare �, del quale peraltro ha omesso 
di stabilire la c,omposizione. In via transitoria, tuttavia, per le nomine, 
trasferimenti e conferimenti di funzioni, da adottarsi in ogni caso con 
decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della 
difesa, risulta disposto che, se �immediatamente necessari per l'attuazione 
� della legge, si provvedesse � sentito il Procuratore generale mili� 
tare�, e che successivamente -ma, comunque, �per la durata di 
non pi� di un anno dalla data di entrata in vigore della ... legge � -si 
provvedesse � sentito un comitato composto dal Procuratore generale 
militare presso la Corte di Cassazione, dal Presidente e dal Procuratore 
generale e dai Presidenti delle sezioni distaccate della Corte militare 
di appello �. 

Ora, essendo ampiamente ed inutilmente trascorso� ben pi� di un 
anno dell'entrata in vigore della legge in parola, non pu� dirsi che sia 
priva di ogni validit� la doglianza del giudice a quo per tal fatto -indipendentemente 
dalla questione se trattasi di termine ordinatorio o perentorio 
-, specie considerando la formulazione particolarmente energica 
(�non pi� di un anno�) ed il carattere di urgenza attribuito alla legge, 
di cui deve ritenersi che non senza ragione venne disposta l'entrata in 
vigore �il giorno successivo a quello della sua pubblicazione �. E si 
deve conseguentemente affermare che il legislatore � tenuto, attuando 
l'art. 15 della legge n. 180 del 1981, ad assolvere senza ulteriori indugi 


214 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

l'impegno di creare l'organo che effettivamente assicuri l'indipendenza 
della giurisdizione militare. Non pu� tuttavia non rilevarsi �che nella 
specie, oscillando la censura fra la richiesta di caducazione della disciplina 
transitoria (cui conseguirebbe la ripristinazione dell'anteriore e 
pieno assoggettamento all'esecutivo) e la richiesta di devoluzione alla 
competenza del Consiglio superiore dalla� magistratura (che comporterebbe 
una modifica della composizione di tale organo, quale stabilita 
della stessa Costituzione), la questione va, allo stato, dichiarata inammissibile 
per l'evidente incertezza che dalla prospettazione deriva sul 

petitum. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 febbraio 1984, n. 25 -Pres. Elia -Rel. 
Maccarone -S.p.A. SIPRA (avv. Punzi) ENEL (avv. Giorgianni) e 
Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Sernicola). 

Tributi erariali indiretti -Regime dei privilegi -Privilegio generale sui 
mobili -Insussistenza. 

(Cost., artt. 3 e 53; cod. civ. art. 2758, come modificato con legge 29 luglio 1975, n. 426). 

La legge 29 luglio 1975, n. 426, nel dare nuovo assetto alla normativa 
in tema di privilegi, ha eliminato il privilegio generale sui mobili introdotto 
dall'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687. La Corte costituzionale 
non pu� sostituirsi al legislatore ordinario e determinare un pur auspicabile 
ritorno alla normativa del 1974 (1). 

La Corte � chiamata a stabilire se l'art. 2758, comma secondo, cod. 
civ., come modificato dall'art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426, con 
l'escludere il privilegio generale sui mobili a garanzia del credito di 
rivalsa I.V.A. a favore del cedente di beni mobili o prestatore di servizi per 
essere previsto soltanto il privilegio speciale sui beni che hanno formato 
oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio -si ponga [n 
contrasto con l'art. 3 Cost., ove si consideri che talune categorie di beni 
sono per natura rimmediat�mente consumabili e che, pertanto, fo. relativa 
garanzia sarebbe inoperante, determinandosi cos� una irrazionale disparit� 
di trattamento rispetto alle altre categorie di creditori, che pur fruendo 
dello stesso privilegio hanno invece la possibilit� di rinvenire nel patrimonio 
del debitore i beni sui quali pu� essere fatta valere la garanzia. 

(1) L'Avvocatura aveva sostenuto in difformit� delle ordinanze di 
remissione -non avere la legge del 1975 prodotto l'abrogazione della disposizione 
del 1974. 
::: 

t 

i~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA c�sTITUZIONALE 215 

Una ulteriore violazione dell'art. 3 Cost. viene dedotta con riferimento 
al credito di rivalsa I.V.A. per prestazioni professionali non riferibili 
a beni rilevandosi che, anche in tale ipotesi, verrebbe a deter� 
minarsi una disparit� di trattamento non giustificata rispetto alle prestazioni 
di servizi riferibili a beni, potendo nel secondo caso essere esercitata 
la garanzia di legge, inoperante, invece, per gli altri crediti raffrontati, 
per i quali non � previsto alcun privilegio. 

Giova premettere che in base alla legge 26 ottobre 1972, n. 633, che 
ha istituito e disciplinato !'I.V.A., l'imposta � dovuta (art. 17) dai soggetti 
che effettuano la cessione di beni e le prestazioni di servizi oggetto 
d'imposizione fiscale; i predetti hanno diritto di rivalsa per fimposta 
pagata nei confronti del cessionario dei beni e del committente dei servizi. 
A favore di tali crediti di rivalsa era riconosciuto (art. 18) privilegio 
speciale sui beni che avevano formato oggetto della cessione o ai 
quali si riferiva il servizio. 

Con d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687, venne modificata la normativa 
anzidetta (art. 1). stabilendosi che il credito di rivalsa I.V.A. era assistito 
da privilegio speciale sugli immobili oggetto della cessione o ai 
quali si riferisse il servizio mentre se riguardava la cessione di beni 
mobili, era assistito da privilegio sulla generalit� dei mobili del 
debitore. 

Intervenuta la legge 29 luglio 1975, n. 426, che ha dato un nuovo 
assetto alla normativa in materia di privilegi, � stato riconosciuto ai 
crediti di rivalsa un _privilegio speciale sui beni oggetto della cessione o 
ai quali si riferisce il servizio (art. 2758, comma secondo cod. civ., come 
modificato dall'art. 5 della legge anzidetta). Eguale privilegio speciale � 
assicurato sugli immobili che abbiano formato oggetto di cessione o ai 
quali si riferisca il servizio prestato (art. 2772, comma terzo cod. civ., 
come modificato dall'art. 8 della citata legge n. 426 del 1975). 

Dopo l'entrata in vigore di tale ultima legge, si � discusso se la 
nuova normativa abbia interamente regolato la materia con conseguente 
abrogazione di tutte le norme preesistenti oppure abbia lasciato in vita 
disposizioni di leggi speciali' e, tra queste, l'art. 18 del d.P.R. n. 633 
del 1972, nel testo modificato dall'art. 1 d.P.R. n. 687 del 1974, che 
prevedeva, per i crediti di rivalsa relativi alla cessione di beni mobili, 
un privilegio sulla generalit� dei mobili del debitore. 

La Corte di cassazione ha ritenuto, in conformit� della prevalente 
dottrina, che la legge 426 del 1975 ha interamente regolato 
-
la materia 
dei 
privilegi, compresi quelli che assistono i crediti I.VA., riportando 
anche questi ultimi, con gli opportuni mutamenti e coordinamenti, nella 
disciplina del codice civile, sicch� l'intera materia risulta regolata dalla 
legge sopravvenuta, con conseguente abrogazione della disciplina antecedente. 
� stato sul punto precisato che il concetto di �intera materia�, 


216 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

quale assunto dall'art. 15 delle preleggi, va inteso non con riferimento 
a tutta la normativa che sia possibile dettare riguardo ad un determinato 
istituto ma con riferimento a quanto di omogeneo possa individuarsi 
nei testi legislativi raffrontati. Tali persuasivi rilievi vanno condivisi 
e deve, pertanto, ritenersi che l'unica fonte normativa della 
materia controversa sia attualmente costituita dal codice civile, come 
modificato dalla legge n. 426 del 1975. 

Le ordinanze, a sostegno della dedotta violazione del principio di 
eguaglianza, pongono in evidenza il trattamento deteriore riservato ai 
creditori di rivalsa I.V.A. nelle ipotesi ricorrenti nelle fattispecie esaminate, 
in cui la cessione riguardi beni consumabili ed energie, che 
non si rinvengono poi nel patrimonio del debitore e non possono q�indi 
essere assoggettati ad esecuzione forzata rispetto al favorevole trattamento 
normativo fatto ai creditori nell'ipotesi di cessione di beni suscettibili 
di esecuzione forzata, sui quali possa concretamente esercitarsi il 
privilegio speciale, del tutto inoperante negli altri casi. 

Eguale disparit� di trattamento, non giustificata, riscontrano alcune 
delle ordinanze qualora il credito di rivalsa riguardi prestazioni professionali 
non collegate a singoli beni, non essendo prevista a garanzia 
di tali crediti alcuna prelaz;ione mentre per i crediti relativi a prestazioni 
riferibili a beni indivduabili � previsto il privilegio speciale. 

I lamentati inconvenienti indubbiamente sussistono e chiaramente 
derivano da uno squilibrio normativo in quanto vengono regolate in 
modo eguale situazioni sostanzialmente diverse. Ove la cessione riguardi 
beni che di norma si consumano nello stesso momento in cui vengono 
ceduti (come gas o elettricit�) o si tratti di prestazioni di servizi relativi 
a tali beni Q comunque non riferibili a singoli beni il privilegio speciale 
non potr� mai essere esercitato in quanto non sar� dato rinvenire quei 
beni nel patrimonio del debitore per sottoporli ad esecuzione. 

Per eliminare tali inconvenienti venne introdotto, con il d.P.R. n. 1087 
del 1974 il privilegio generale sui mobili del debitore ma con la riforma 
del 1975, per un probabile difetto di coordinamento normativo, si � 
ripristinato il privilegio speciale mobiliare, annullando cos� quella garanzia 
che lo stesso legislatore aveva concesso nel 1974, con l'evidente scopo 
di rafforzare la posizione del cedente nell'esercizio della rivalsa. 

Le ordinanze prospettano sostanzialmente la necessit�, per stabilire 
uniformit� di trattamento, di ripristinare il privilegio generale introdotto 
con il d.P.R. n. 687 del 1974; esse ravvisano, infatti, nella riforma 
del 1975 la causa determinante dei lamentati inconvenienti. 

Ma se pure la situazione � quella innanzi delineata, solo il legislatore 
pu� porvi rimedio ed assicurare, con i mezzi che creder� pi� idonei, il 
necessario equilibrio normativo... 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Pur se tale modifica legislativa comporta gli inconvenienti ravvisati, 
questi non possono essere eliminati che con l'adozione di rimedi diversi 
da quelli previsti dal sistema attuale che contempla per, tutti i crediti di 
rivalsa I.V.A. il privilegio speciale. Ma tutto ci� costituirebbe innovazione 
normativa, di esclusiva competenza del legislatore; infatti la discrezionalit� 
legislativa riguarda non solo l'innovazione al sistema normativo ma 
anche il tipo di rimedio che valga a realizzarla. 

Conclusivamente: non si tratta nella specie di correggere una situazione 
normativa che impedisce l'applicazione di un determinato trattamento 
ad una categoria di situazioni omogenee a quelle oggetto del 
trattamento stesso e che ne risultino escluse per effetto del testo legislativo 
impugnato, il che, per costante giurisprudenza, rientra nella competenza 
di questa Corte. Si tratta invece di disporre nuovi e diversi 
mezzi di garanzia in relazione alle peculiari caratteristiche della situazione 
in esame. S� sollecita, cio�, una vera e propria innovazione normativa, 
che implica una scelta tra le varie soluzioni possibili. 

Le stesse considerazioni valgono per l'ipotesi di prestazioni di servizi 
non riferibili a singoli beni -per le quali manca ogni garanzia -perch� 
anche in tal caso si tratta di innovazione legislativa, occorrendo introdurre 
nell'ordinamento nuove norme. 

La proposta questione va, pertanto, dichiarata inammissibile. 

Alcune ordinanze dubitano della legittimit� costituzionale dell'articolo 
2758, comma secondo cod. civ., anche per contrasto con l'art. 53 
Cost., ritenendo che per la concreta impossibilit� del creditore di rivalsa 
di recuperare l'imposta pagata, nelle situazioni sopra delineate, l'imposta 
stessa finirebbe per gravare in via definitiva su di un soggetto, 
che non essendo consumatore dei beni ceduti o committente dei servizi, 
non avrebbe la capacit� contributiva che giustifica l'imposta. 

Tale assunto non pu� essere condiviso. Esso muove dalla premessa 
che effettivo debitore dell'imposta, nell'ipotesi di prestazioni di servizi 
sia il committente e nel caso di cessione dei beni il consumatore finale. 
Ma se questo � il risultato economico derivante dalla rivalsa, esso non 
pu� costituire il presupposto cui � collegata la prestazione tributaria e in 
base al quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va individuata 
la capacit� contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., intesa come idoneit� 
soggettiva all'obbligazione di imposta (cfr. sent. n. 91 del 1972 ed altre). 

L'art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 con lo stabilire che l'imposta � 
dovuta �dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le-prestazioni 
di servizio imponibili�, identifica il presupposto dell'imposta in ciascuna 
delle anzidette operazioni economiche. La capacit� contributiva va pertanto 
riscontrata in tutti i soggetti che quelle operazioni pongono 
in essere. (omissis). 


218 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1984, n. 39 -Pres. Elia -Rel. 
Gallo -Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato D'Amato). 

Friuli-Venezia Giulia -Compartecipazione all'I.G.E. e successivi trasfe


rimenti sostitutivi -Determinazione unilaterale ad opera del Mini


stero delle Finanze -Invasivit�. 

Un intervento amministrativo unilaterale dello Stato mediante il 
quale � rettificato -a torto o a ragione -l'ammontare concordato 
(mediante intesa) dei trasferimenti alla Regione per la realizzazione delle 
sue finalit� istituzionali risulta invasivo della competenza regionale 
anche perch�, nella specie, elude un dovere di collaborazione tra Stato 
e Regione legislativamente prescritto. 

(omissis) Con ricorso 2 febbraio 1983, notificato il 3 e depositato 
1'11 successivo, il Presidente pro tempore della Giunta regionale del 
Friuli-Venezia Giulia ricorreva contro il Presidente del Consiglio dei 
ministri per la risoluzione del conflitto di attribuzione determinato dal 
provvedimento enunciato nella lettera 26 novembre 1982, n. 2159 dal 
Ministero delle Finanze -Direzione Generale per la finanza locale. 

Sosteneva il ricorrente che, in applicazione dell'art. 119, secondo 
comma, Cost., alla Regione furono attribuite quote fisse di alcuni tributi 
erariali, elencati nell'art. 49 dello Statuto speciale di autonomia (legge 
cost. 31 gennaio 1963, n. 1). Fra tali quote erano compresi anche i cinque 
decimi dell'IGE, di competenza dello Stato, riscossa nel territorio della 
regione. Dal 26 maggio 1964 sino al l� gennaio 1973, data in cui l'IGE 
ha cessato di avere applicazione, i detti cinque decimi sono stati pacificamente 
calcolati comprendendosi nel gettito dell'IGE (riferito naturalmente 
all'ambito regionale) anche i proventi derivanti dall'IGE all'importazione. 
Gli stessi cinque decimi, del resto, cos� determinati, sono 
stati sempre inclusi nelle previsioni di entrata dei bilanci regionali per 
gli esercizi dal 1964 al 1972 nei relativi rendiconti consuntivi,� approvati 
(questi ultimi previa parificazione della Corte dei conti) con leggi regionali, 
sottoposte al controllo governativo senza che nulla mai venisse 
eccepito. Dal 1973, dopo l'abolizione dell'IGE, � entrato in vigore un 
regime transitorio di finanziamento (non ancora cessato) disciplinato 
dall'art. 8 primo e secondo comma d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638: in 
base a tale regime, sono stati da allora devoluti alla Regione somme 
pari a quelle attribuite per l'ultimo anno di vigenza dell'IGE, e quindi 
somme pari a quei cinque decimi, comprensivi anche dei proventi derivanti 
dall'IGE all'importazione. Per 18 anni, pertanto, lo Stato ha dato 
attuazione nel senso suddetto, all'art. 49, n .5 dello Statuto di autonomia 


F.V.G. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 219 

Senonch� con lettera n. 2159 del 26 novembre 1982 il Ministro delle 
Finanze, su conforme parere dell'Avvocatura dello Stato, ha improvvisa 
mente sovvertito siffatta pacifica interpretazione, pretendendo che i pro� 
venti derivanti dall'IGE all'importazione non dovessero essere ricompresi 
nel computo delle somme da corrispondere alla Regione, e perci� 
addebitando quanto versato in pi� nel corso degli anni dal 1973 al 1982, 
disponendone senz'altro il recupero secondo criteri unilateralmente fissati. 
(omissis) 

Quantunque la soluzione del conflitto s'imponga su altro versante, 
la Corte rileva anzitutto che il quesito su cui le parti controvertono 
(se, cio�, l'IGE all'importazione rappresenti soltanto una species del 
pi� ampio genus IGE, oppure una distinta imposta dalla ben diversa 
natura) � tuttora di incerta risposta. 

Lo � in dottrina, dove -pur con qualche leggera prevalenza dell'orientamento 
favorevole alla seconda alternativa -si sostiene generalmente 
che comune ad ambo i tributi � la causa o funzione dell'imposta. 
che � quella di colpire l'entrata proveniente da scambio di merci o di 
servizi. Ci� che diversificherebbe il contenuto dell'art. 17 della legge 
762/40 da quello dell'ari:. 1 sarebbe, perci�, soltanto l'accertamento: che 
� autoaccertamento (o accertamento cogli altri sistemi indicati nella 
legge citata) per gli scambi all'interno del territorio nazionale, ed �, 
invece, accertamento obiettivo dell'importazione, come presupposto dell'imposta, 
per gli scambi internazionali. Si vuole, tuttavia, in contrario, 
che l'importazione vada considerata come fatto obbiettivo, indipendentemente 
dal trasferimento di ricchezza che riguarda invece le entrate 
che si verificano sul territorio nazionale: per cui la 'sola relazione 
esistente fra l'art. 1 e l'art. 17 sarebbe rappresentata dai parametri per 
la determinazione dell'aliquota dell'imposta da applicarsi al momento 
dell'importazione. 

N� minore � l'incertezza della giurisprudenza della Corte di cassazione 
per la quale, ad un primo indirizzo che riconosceva nelle due 
imposte forme impositive autonome e distinte, � seguito un contrario 
insegnamento, poscia consolidato dalle Sezioni Unite con numerqse 
sentenze. Il che non ha impedito qualche ritorno alle originarie posizioni; 
anche se poi le Sezioni Unite, nuovamente intervenute ma incidenter 
tantum, non sembrano averlo confermato. 

Nell'unica sentenza in cui la giurisprudenza di questa Corte ha 

lambito il problema (ma a proposito di caso ben diverso dall'attuale), 

si � data premura di avvertire espressamente, riverberando quell'incer


tezza, che � i dubbi, apparsi in dottrina, sulla natura dell'IGE all'im


portazione, non toccano la controversia, per risolvere la quale basta aver 

considerato il collegamento delle due imposte coi fatti di importazione


esportazione e con le operazioni doganali. Ch� se una pi� rigorosa impo


stazione teorica e qualche fine pratico consigliassero di inquadrare i 


220 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

due tributi, come specie a genere, nelle imposte sugli affari e quell'imposta 
generale sull'entrata, la soluzione sarebbe irrilevante in questa 
sede� (sent. 12 dicembre 1967, n. 146). In realt�, colla citata sentenza, 
questa Corte non ha ravvisato incompatibilit� fra la qualificazione dell'IGE 
all'importazione di cui all'art. 17 quale �provento� �doganale (non 
per�, quale � dazio � doganale) e il suo rapporto di specie a genere 
coll'imposta generale sull'entrata di cui all'art. 1 della legge 762/1940. 


Ma -come si � accennato -il presente conflittp di attribuzione 
necessariamente prescinde dalla soluzione di un siffatto quesito. Se 
questa, infatti, e soltanto questa, fosse la regiudicanda, potrebbe addirittura 
dubitarsi che un siffatto oggetto costituisca materia di conflitto, 
giacch� la mera rivendicazione di beni, la pretesa a contenuto prettamente 
patrimoniale, e l'interpretazione della normativa che ad esse si 
riferisce, sono sicuramente materia di competenza della giurisdizione 
ordinaria (cfr. Corte cost. 24 maggio 1970, n. 97; 23 aprile 1976, n. 111; 
15 giugno 1979, n. 61). 

Vero � che, spostando l'accento dal contenuto economico della pretesa 
alla � categoria dei beni � attorno a cui si controverte, potrebbe 
gi� su questo piano rilevarsi che il decidere sulle categorie dei beni 
spettanti o non alla Regione rappresenta di per se stesso un profilo 
che investe la competenza e la funzione istituzionale della Regione, costituzionalmente 
protette (Corte cost. 8 maggio 1959, n. 31). 

In realt�, nel caso di specie, la rivendicazione patrimoniale � soltanto 
il momento conseguenziale di pi� delicati problemi che stanno 
a monte e che concernono la tematica di un atto asseritamente invasivo 
o, comunque, lesivo della competenza della Regione, il che �, invece, 
sicuramente oggetto di conflitto di attribuzione. D�l che sar� subito 
detto. 

Non prima, per�, di avere constatato che l'atto amministrativo contestato 
non si presta a dubbi sulla sua impugnabilit�. La giurisprudenza 
di questa Corte ha da tempo chiarito che non occorrono atti definitivi, 
essendo impugnabili anche atti preparatori (Corte cost. 18 dicembre 1972, 

n. 211), n� sull'impugnabilit� influisce il carattere formale dell'atto: si 
� ritenuto, infatti, proponibile il ricorso de quo anche nei confronti di 
una circolare (Corte cost. 2 ottobre 1979, n. 120). � sufficiente, perci�, 
un qualsiasi atto di organo statale che affermi in concreto la propria 
competenza ad esercitare un certo potere (Corte cost, 12 dicembre 1967, 
n. 153), e ci� ovviamente, anche se l'atto integri un provvedimento revocativo 
di altro provvedimento (Corte cost. 30 maggio 1968, n. 69). 
Tutti tali requisiti sono ravvisabili nella nota 26 novembre 1982, 

n. 2159 del Ministero delle Finanze -Direzione generale per la finanza 
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locale -diretta alla Regione Friuli-Venezia Giulia. 

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PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ritiene la Corte che la ministeriale ora richiamata sia effettivamente 
lesiva della competenza della Regione ricorrente, tanto sotto 
l'aspetto formale quanto sotto quello ~ostanziale. 

Il D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, che detta norme di attuazione 
dello Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza locale, 
dopo aver dato atto nell'esordio che � stata sentita la cominissione 
paritetica �di cui all'art. 65 dello Statuto speciale, dispone all'art. 10 
che � alla determinazione... delle somme spettanti alla Regione per le 
quote fisse di proventi erariali indicate nell'art. 49 dello Statuto � � sar� 
provveduto con decreto del Ministro per le finanze di concerto con il 
Ministro per il Tesoro, di intesa con il President,e della Giunta regionale 
�. E difatti il D.M. 18 aprile 1967, premesso che �il Presidente della 
Giunta regionale ha manifestato la propria intesa sul presente decreto �, 
recita all'art. 1 � � approvato l'unito prospetto -che � parte integrante 
del presente decreto -per la liquidazione delld quote di proventi erariali 
spettanti alla Regione Friuli-Venezia Giulia ai sensi dell'art. 49 
dello Statuto per il primo esercizio finanziario regionale... �, 

.Va rilevato, dunque, che l'art. 10 del D.P.R. 114/65 sembra preoccuparsi 
di pretendere l'intesa col Presidente della Regione sulla determinazione 
in concreto delle somme spettanti alla Regione proprio nell'intento 
di predisporre una sede. in cui trovassero soluzione concordata 
eventuali disparit� di vedute in ordine all'uno o all'altro accredito: 
ed in realt� il prospetto allegato al successivo decreto ministeriale, 
alla voce �imposta generale sull'entrata�, determinava effettivamente 
proprio le somme che, per essa voce, si era convenuto pacificamente 
di assegnare alla Regione. 

Ben � vero che una siffatta determinazione si rendeva tanto pi� 
necessaria in quanto il primo esercizio, a causa del momento in cui 
anpava in vigore, restava limitato al periodo 26 maggio-31 dicembre 1964. 
Tale circostanza, per�, non diininuisce il valore significativo della disposizione, 
giacch� per calcolare le somme spettanti, ritagliandole nel 
pi� limitato periodo del primo esercizio, le parti hanno dovuto necessariamente 
tener conto di quanto lo Stato aveva incassato nel territorio 
della Regione 'per il titolo di cui alla voce � Imposta generale 
sull'entrata�: ed � pacifico, proprio per il fatto che ora lo Stato ne 
pretende la restituzione, che in quel primo calcolo sicuramente le parti, 
di c�mune intesa, determinarono le somme spettanti sulla base di un 
preciso criterio: calcolando, cio�, in quella voce anche l'ora contestata 
LGE all'importazione. Qualunque fosse all'origine la corrispettiva interpretazione 
delle norme presupposte dall'intesa del 1967, � certo, comunque, 
che essa in linea di fatto fu raggiunta in tal senso: e si tratt� 
di intesa nemmeno tanto anomala rispetto alle tendenze degli orientamenti 
ordinamentali, se ora il legislatore va estendendo esplicitamente 
anche ad altre Regioni differenziate la compartecipazione nel gettito 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

222 

dell'IGE all'importazione (cfr. da ultimo per la Sardegna la I. 13 apri� 
le 1983, n. 122, art. 1 lett. G, dove � anche precisato che la quota fissa 
dovuta si riferisce all'imposta riscossa nel territorio della Regione: col 
che il legislatore mostra di voler superare anche le obiezioni concernenti 
l'assei:ito valore di riferimento nazionale proprio dall'IGE all'importazione). 


N� quell'intesa pu� essere assunta con effetti limitati alla determinazione 
del primo periodo di esercizio, come si potrebbe essere tentati 
di arguire dalla qualifica di � transitoria � che la rubrica sembrerebbe 
attribuire alla disposizione di cui all'art. 10 del citato D.M. 18 aprile 1967; 
e ci� perch� -a parte la considerazione secondo cui la norma sembra 
avere carattere piuttosto � finale � che transitorio -l'intesa col Presidente 
della Regione informa come principio generale il contenuto 
del D.P.R. 23 novembre 1965, n. 114. 

Cos� l'art. 4 prevede l'intesa per la determinazione dell'ammontare 
dei proventi, derivanti alla Regione da maggiorazioni di aliquote o da 
altre modificazioni successive al decreto, quando quei proventi siano 
stati destinati per legge a copertura di nuove o maggiori spese a carico 
del bilancio statale. 

Bench�, dunque, una legge segni il destino di quei proventi, che 
sicuramente, perci�, dovranno essere riversati allo Stato, il legislatore 
impone tuttavia che la determinazione del loro ammontare avvenga 
d'intesa col Presidente della Regione: evidentemente proprio perch� il 
provvedimento incide sulle entrate regionali toccando la sfera di competenza 
della Regione. 

Altrettanto dicasi per quanto concerne i servizi relativi all'accerta� 
mento e alla riscossione dei tributi istituiti dalla Regione (servizi disim� 
pegnati dallo Stato), le cui modalit� di esecuzione devono essere determinate 
con decreto del Ministro delle finanze, ma sempre previa intesa 
col Presidente della Giunta regionale (art. 7). Ancora una volta il legislatore 
esige l'intesa perch� quelle procedure interessan� da vicino le 
entrate regionali. Parimenti in ordine alla determinazione dell'ammontare 
delle spese che spettano in rimborso alla Regione per l'esercizio, 
mediante suoi uffici, di funzioni di competenza statale (art. 9). 

Tutte norme queste certamente non transitorie, come appare dalla 
stessa collocazione, e tuttavia improntate allo spirito di comune intesa 
che domina la disciplina generale del decreto. Spirito, del resto, che 
presiede anche ad altra norma fra quelle definite �transitorie e finali�: 
si vuole alludere alla disposizione di cui all'art. 13, la quale pure prescrive 
la stessa intesa per la liquidazione delle spese che dovranno 
essere addebitate alla Regione, in ordine a quegli uffici statali che adempiono 
a funzioni regionali e che alla Regione -dovranno poi essere trasferiti. 


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223

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ebbene, il criterio adottato concordamente nel 1967 (ma con efficacia 
dal 26 maggio 1964) non fu� pi� evidentemente abbandonato dalle 
parti se -come si evince dalla stessa ministeriale -esso fu osservato, 
e senza obiezioni, per ulteriori cinque anni ed oltre, fino a quando, cio�, 
il tributo fu sospeso dall'art. 90, n. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. 
Cinque anni e pi� durante i quali lo Stato ha mantenuto fede ai criteri 
adottati nell'intesa. raggiunta col Presidente della Regione in occasione 
della determinazione delle somme spettanti sul primo bilancio di esercizio. 

Una siffatta concordia, peraltro, perdura ulteriormente per altri dieci 
anni ancora, ma va rilevato che, dopo l'avvento della citata legge soppressiva, 
sopravviene una situazione nuova che consolida e fissa nel 
tempo quell'intesa: si allude al procedimento novativo introdotto dal 
legislatore coll'art. 8, primo comma, del coevo D.P.R. n. 638. Dispone, 
infatti, questa norma che alle Regioni differenziate vengano corrisposte 
somme d'importo pari a quelle devolute per l'anno 1972 per tributi e 
compartecipazioni a tributi erariali soppressi. Dove manifestamente il 
riferimento al titolo di devoluzione svolge ruolo di mero criterio d'identificazione 
delle somme in concreto effettivamente corrisposte. Lo attesta 
eloquentemente la rubrica del decreto che testualmente recita: � Disposizioni 
per l'attribuzione di somme agli enti indicati nell'art. 14 della l. 
9 ottobre 1971, n. 285, in sostituzione di tributi, contributi e compartecipazioni... 
�. 

Non pu� esservi dubbio, pertanto, a questo punto che il legislatore 
si � preoccupato di predisporre adeguata normativa per assicurare nel 
tempo la continuit� della concreta erogazione di quelle stesse somme 
(parzialmente indicizzate negli anni) che fino a quel momento erano 
state pacificamente corrisposte sulla base delle intese raggiunte: e ci� 
fino a quando non sarebbe stato attuato �il coordinamento della disciplina 
delle entrate tributarie delle Regioni a Statuto speciale, cos� come 
previsto dalla 1. 9 ottobre 1971, n. 825 (delega al Governo per la riforma 
tributaria). E poich� il coordinamento tarda a venire, il Parlamento 
con successivi provvedimenti proroga di anno in anno la continuit� della 
novazione (l. 27 gennaio 1978, n. 43; I. 8 gennaio 1979, n. 3; l. 7 luglio 1980, 

n. 299; I. 23 aprile 1981, n. 153; I. 26 febbraio 1982, n. 51; I. 25 aprile 1983, 
n. 131). 
Vero � che quella preoccupazione del legislatore muoveva da intenti 
sostanziali di cui subito sar� detto ma appare evidente frattanto che, 
gi� sul piano formale, l'intervento unilaterale del Ministero delle finanze 
ha violato una precisa competenza della Regione: quella che prevedeva 
l'intesa col Presidente della Giunta regionale in ordine alla determinazione 
delle� somme spettanti per la compartecipazione nei tributi. 

Ammesso, infatti, che fossero superabili gli effetti novativi del D.P.R. 

n. 638/72; e che si trattasse di verificare l'errore interpretativo alla base 
dell'intesa raggiunta nel 1967, non potevasi pretermettere un nuovo inter, 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

224 

vento del Presidente della Giunta regionale. Si tratta; in sostanza, di 
un meccanismo costituzionale di collaborazione fra Stato e Regione che 
non pu� �essere eluso quando � espressamente previsto. La sua inosservanza 
comporta l'annullamento del provvedimento viziato, giusta costante 
giurisprudenza di qu.esta Corte (si vedano le sentenze 25 maggio 1963, 

n. 80; 14 luglio 1976, n. 180; e, argomentando a contrario, la sent. 17 luglio 
1980, n. 123). 
Ma -come si � appena osservato -sia nel prevedere l'intervento 
della Regione nell'intesa, sia nel prorogare nel tempo la corresponsione 
delle somme gi� corrisposte alle Regioni differenziate fino al 1972 (in 
sostituzione della compartecipazione ai proventi dei tributi soppressi), 
il legislatore � stato ovviamente mosso da intenti sostanziali. 

Una volta che, attraverso la compartecipazione ai tributi erariali 
riscossi nella Regione, lo Stato ne finanzia la parte essenziale delle entrate, 
ogni problema afferente alle fonti di� queste non pu� essere evidentemente 
soltanto una questione riducibile ad una rettifica dei calcoli 
che si assumono errati, o di pi� corretta interpretazione di qualche 
norma ordinaria. 

Come la dottrina ha correttamente rilevato, proprio in merito alle 
quote fisse attribuite alle Regioni sui tributi erariali, la validit� di quelle 
quote si fonda essenzialmente sulla esattezza della valutazione dei costi 
delle funzioni regionali. In realt�, nel bilanciamento fra entrate e spese, 
di cui si sostanzia lo strumento , contabile della Regione, esiste un rapporto 
ineliminabile nel quale trovano rappresentazione quei fatti amministrativi 
e di gestione che la Regione realizza in esecuzione dei suoi 
fini istituzionali. Ci� signfica che le somme concordate fra Stato e Regione 
quali quote fisse di partecipazione alle imposte statali, e di cui 
poscia il legislatore ha prorogato l'erogazione, avevano una precisa finalizzazione 
nel contesto del bilancio regionale di cui rappresentavano 
la quasi totalit� delle entrate ordinarie: esse, infatti, erano state calibrate, 
in occasione dell'intesa, nella prospettiva del concreto esercizio 
di quelle funzioni istituzionali, costituzionalmente rilevanti, che il bilancio 
consentiva. 

Di ci� . appunto evidentemente ha inteso preoccuparsi il legislatore, 
non solo nel predisporre il cennato meccanismo costituzionale di collaborazione 
fra Stato e Regione, ma �anche e particolarmente dandosi 
carico di disporre l'ulteriore prosecuzione dell'erogazione delle stesse 
somme (salvo una modesta indicizzazione), nonostante la soppressione 
dei tributi. 

Se questo, dunque, -come pare -� stato l'intento del legislatore, 
un intervento amministrativo del Governo che unilateralmente rettifica 
-a torto o.cl a ragione -le somme concordate per la realizzazione 
delle finalit� istituzionali della Regione, non si risolve in una mera 
questione di calcolo: al contrario, esso risulta invasivo della compe




225

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

tenza regionale anche sul piano sostanziale, oltre che su quell~ gi� 
illustrato del processo formativo della comune volont�. Facendo� mancare, 
infatti, alla Regione una parte notevole delle entrate, senza avere 
esperito un tentativo d'intesa, l'organo ministeriale incide anche sul 
conseguimento delle finalit� costituzionalmente tutelate. 

Certo, il legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse 
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma 
dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65 Statuto 
Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine nella complessa 
vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente Regione. 

La Corte, comunque, deve frattanto provvedere in ordine� �ll'atto 
impugnato. 

p.q.m. 
dichiara che non spetta allo Stato di escludere unilateralmente, in 
via amministrativa, l'IGE all'importazione dal calcolo delle somme da 
corrispondersi alla Regione Friuli-Venezia Giulia in applicazione dell'art. 
8 del �n.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, e successive modificazioni. 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1984, n. 40 -Pres. Elia -Rel. 
Saja -Torzilli ed altri (n.p.) il Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Carafa). 

Corte Costituzionale -Diritto vivente � Giurisprudenza contrastante della 
Corte di Cassazione � Possibllt� di pronuncia interpretativa della 
Corte Costituzionale. 

Locazione -Immobili destinati ad attivit� essenzialmente agricole e ad 
attivit� agricole per concessione � Legge cosidetta dell'equo canone � 
Si applica, se trattasi di immobili urbani. 
(Cost., artt. 3, 35 e 41; legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, 29, 67 e 73). 

La Corte Costituzionale procede direttamente alla interpretazione 
delle norme legislative quando la giurisprudenza della Corte di Cassazione 
� contrastante e manca qualsiasi apprezzabile apporto dottrinale. 

La legge n. 392 del 1978 (c.d. equo canone) disciplina soltanto gli 

immobili �urbani�; le norme relative agli immobili non abitativi si 

applicano pure agli immobili destinati all'impresa agricola per connes


sione ed alla impresa essenzialmente agricola (1). 

(.1) Interessanti d passi della sentenza ove si parla di � intrinseco carattere 
industriale o commerciale � dell'impresa agricola per connessione, e di � integrazioni 
le quali si sviluppano in misura sempre crescente � tra impresa essenzialmente 
agricola ed altre imprese. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

226 

(omissis) Con i suddetti provvedimenti di rimessione i giudici a quibus 
dubitano della legittimit� costituzionale dell'art. 27 I. 27 luglio 1978 

n. 392� (c.d. legge dell'equo canone) nonch� dei successivi artt. 29, 67 
e 73 nella parte in cui richiamano detta disposizione; e ci� perch� le 
ricordate norme, nel disciplinare la durata delle locazioni di immobili 
destinati ad uso diverso da quello di abitazione, si riferirebbero soltanto 
agli immobili destinati ad atthit� industriali, commerciali, arti: 
gianali e turistiche nonch� all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi 
attivit� di lavoro autonomo, mentre ne rimarrebbero esclusi quelli 
destinati all'esercizio di un'impresa agricola: il che porrebbe le norme 
stesse in contrasto con gli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione. 
Le prospettate questioni sono infondate non ricorrendo, come pregiudizialmente 
ha eccepito la Presidenza del Consiglio dei ministri, il 
presupposto logico-giuridico da cui muovono le ordinanze in epigrafe, 
ossia la mancata considerazione della impresa agricola nella disciplina 
impugnata. 

In proposito giova ricordare che l'art. 2135 cod. civ. dispone nel 
primo comma che � imprenditore agricolo chi esercita un'attivit� diretta 
alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del 
bestiame e attivit� connesse; ed aggiunge, nel capoverso, che si reputano 
connesse le attivit� dirette alla trasformazione o all'alienazione 
dei prodotti agricoli quando rientrano nell'esercizio non;nale dell'agricoltura. 


La norma distingue dunque -e la distinzione non � priva di rilievo 
-tra attivit� essenzialmente agricole e attivit� agricole per con� 
nessione. A queste ultime si riferiscono le ordinanze le quali hanno 
per oggetto immobili ~dibiti o di;i: adibire alla conservazione e alla lavorazione 
di prodotti agricoli destinati al mercato. 

Invece, l'ordinanza del Pretore di Bergamo concerne un'attivit� essenzialmente 
agricol�, come �l'allevamento del bestiame�, il quale, s.econdo 
la nozione accolta dal codice civile, riguarda non gi� l'allevamento in 
genere di animali, ma soltanto quello caratterizzato da un sostanziale 
nesso funzionale con la terra (il fondo) su cui l'allevamento stesso 
avviene. 

Un'osservazione preliminare, comune alle proposte questioni, attiene 
alla natura del bene locato: questo deve appartenere alla categoria degli 
immobili urbani, a cui esclusivamente si riferisce la cit. I. n. 392 del 1978, 
intitolata appu~to � Disciplina delle locazioni di immobili urbani �. Intuitivamente 
deve trattarsi di un bene utilizzato dal locatario (o da utilzzare 
dal locatore nei casi previsti dagli artt. 29 e 73) nell'esercizio dell'agricoltura 
perch� altrimenti il problema neppure si porrebbe, ma occorre 
pur sempre che si tratti di un immobile urbano, e tale requisito, 
pur con qualche inesattezza terminologica, � stato ritenuto sussistente 



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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 227 

dai giudici a quibus, nel cui compito esclusivo rientra l'accertamento 
degli elementi inerenti al rapporto giuridico dedotto in giudizio. 

Ci� posto, sembra alla Corte che, per quanto riguarda le attivit� 
agricole connesse, deve ritenersi, in base al �diritto vivente�, che esse 
sono comprese nell'ambito dell'art. 27 della legge sull'equo canone e 
conseguentemente in quello dei successivi artt. 29, 67 e 73. 

Invero, la mancanza di una esplicita previsione nel ricordato art. 27 
non ha impedito� alla dottrina, che si � occupata della materia, e alla 
giurisprudenza, che ha preso in esame il problema, di ritenere che le 
attivit� agricole connesse siano comprese nella previsione delle norme 
impugnate. In particolare, va osservato che la Corte di Cassazione � 
pervenuta a detto risultato sul rilievo che la disposizione dell'art. 2135, 
secondo comma, codice civile trova il suo fondamento nell'intento legislativo 
di estendere per esigenze unitarie la disciplina dell'impresa agricola 
ad attivit� le quali, pur avendo un intrinseco carattere industriale 

o commerciale, sono intimamente collegate con l'agricoltura; ci� -osserva 
la Cassazione -non esclude che tali attivit� vadano considerate nella 
loro effettiva essenza, sicch�, tra l'altro, alle stesse deve essere applicato 
il nuovo regime delle locazioni previsto dal citato art. 27 (e quindi 
anche dagli artt. 29, 67 e 73)... 
In termini non proprio coincidenti si presenta il problema rispetto 
alle attivit� essenzialmente agricole, ma ci� non impedisce, in definitiva, 
che la soluzione debba essere la medesima. 

Per esse infatti non � possibile individuare un �diritto vivente�, 
poich� manca, oltre a qualsiasi apprezzabile apporto dottrinale, anche 
una giurisprudenza di merito, mentre la Corte di Cassazione, nei soli 
due casi in cui ha preso in esame il problema, si � orientata in senso 
contrastante, affermando in uno che le attivit� agricole ora ricordate 
non rientrano nella previsione del cit. art. 27 (e conseguentemente dei 
successivi artt. 29, 67 e 73) e ritenendo invece nell'altro che .la formula 
legislativa si riferisce a tutte le attivit� produttive e quindi non consente 
. di escludere quelle agricole. 

In tale situazione spetta a questa Corte procedere direttamente all'interpretazione 
della norma. 

. Gi� si � visto, rispetto alle attivit� agricole connesse, come l'argomento 
tratto dall'elemento letterale non abbia una effettiva consistenza, 
e ci� vale intuitivamente anche per l'ipotesi qui considerata. 

� invece importante osservare, sotto il profilo logico, come nel sistema 
accolto dal vigente codice civile, ricorrendo la previsione dell'art. 2135, 
l'agricoltura � considerata come attivit� d'impresa, e non gi� di mero 
godimento, sul presupposto della sua preponderante funzione produttiva 
diretta a soddisfare le necessit� del mercato e, come tale, creativa 
di ricchezza. 


228 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sotto altro profilo, va rilevato che l'agricoltura non pu� essere con� 
siderata come a s� stante e senza alcun rapporto con gli altri settori 
della economia, sussistendo invece strette connessioni e reciproche integrazioni, 
le quali si sviluppano in misura sempre crescente, specie per 
quanto riguarda il settore agroalimentare: e questo esige, tra l'altro, 
l'impiego di tecnologie nuove, per cui sono necessari macchinari di notevoli 
dimensioni, da custodire necessariamente in appositi locali. 

Dalle superiori osservazioni consegue che il legislatore non poteva 
prescindere dalla comunanza della natura imprenditoriale e dello stretto 
nesso ora ricordato ed escludere perci� l'imprenditore agricolo dalla 
pi� ampia protezione che le norme denunciate attribuiscono agli altri 
imprenditori in tema di locazioni di immobili, al fine di maggiormente 
tutelarne l'attivit� economica. Il che tanto pi� � da ritenere se si considera 
che il citato art. 27, come sopra � stato ricordato, comprende 
anche � qualsiasi attivit� di lavoro autonomo �, sicch� non poteva essere 
escluso il lavoro svolto nell'agricoltura e, in particolare, quello del coltivatore 
diretto (sulla cui nozione vedasi anche l'art. 6 1. 3 maggio 1982, 

n. 203), che l'art. 2083 cod. civ. definisce piccolo imprenditore. 
Indubbiamente, gli statuti dell'imprenditore agricolo e di quello commerciale 
sono diversi, ma tale eterogeneit� non pu� avere riflessi in 
subiecta materia, rispetto alla quale l'esigenza di una maggiore tutela 
(relativa all'immobile utilizzato per l'esercizio dell'impresa) ricorre in 
maniera sostanzialmente analoga anche per colui che svolga l'attivit� 
prevista dal cit. art. 2135, primo comma, del codice civile. 

Conclusivamente deve dirsi che, per entrambe le categorie di attivit� 
agricole ora indicate, non ricorre il presupposto ritenuto dalle ordinanze 
di rimessione, sicch� le sollevate questioni risultano prive cli fondamento. 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1984, n. 69 -Pres. Elia � Rel. Andrioli 
-Gianni ed altri (n.p.). 

Fallimento � Interrogatorio del fallito � Eventuale emergere di reati fal


limentari � Non necessit� della presenza del difensore � Legittimit� 

costituzionale. 

{Cost., artt. 3 e 24; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 49). 

Non � prescritta la presenza del difensore all'interrogatorio del fallito 
�a cura del curatore, il quale non � ufficiale di polizia giudiziaria; 
peraltro le dichiarazioni cos� rese dal fallito, prima dell'assunzione della 
qualit� di imputato (ad esempio, per reati fallimentari), non possono 
essere utilizzate per l'istruzione penale (1). 

(1) La sentenza appare interessante anche perch� di principio da essa 
confermato pu� valere, tra l'altro, per le domande poste al contribuente da 
funzionari civili dell'amministrazione finanziaria. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) La questione sul se contrasti con gli artt. 3 e 24, comma 
secondo, Cost. l'art. 49 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 nella parte in cui non 
prevede che il curatore fallimentare, nel procedere all'interrogatorio del 
fallito, debba osservare le garanzie previste per l'imputato dal codice 
di procedura penale, sebbene l'interrogatorio miri ad acquisire dati che 
possono rilevare anche al fine dell'accertamento di eventuali responsabilit� 
penali, � da giudicare infondata perch� basata su di una identit� 
di posizione tra l'imputato e il fallito (e l'amministratore di societ� fallita, 
cui l'art. 146 r.d. 267/1942 estende l'art. 49) che non sussiste perch� 
l'interrogatorio del fallito opera fuori dell'istruzione penale, per la quale 
il comma quarto dell'art. 304, novellato con la riforma del 1969, non 
manca di avvertire che nel corso dell'istruzione formale le dichiarazioni 
rese in assenza del difensore prima dell'assunzione, da parte dell'interrogato, 
della qualit� di imputato non possono essere utilizzate. 

Se tali dichiarazioni non possono essere utilizzate, a fortiori non 
debbom;> essere utilizzate le dichiarazioni rese dal fallito (sia esso imputato 
oppur no) al curatore, che -non ha mancato di rilevarlo il 
giudice a quo -non � da qualificare neppure ufficiale di polizia giucj.
iziaria. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1984, n. 70 -Pres. Elia -Rel. 
Conso -Valsecchi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Onufrio). 

Tributi erariali indiretti -Dogane -Contrabbando doganale -Conci


liazione amministrativa -Diversit� soggettiva ed oggettiva dalla obla


zione -Discrezionalit� della Amministrazione -Normalit�. 

(Cost., artt. 3 e 25; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 334). 

L'istituto della conciliazione amministrativa previsto in materia doganale 
� diverso -per diversit� soggettiva ed oggettiva -dallo istituto 
della oblazione, per il che al primo non si estendono norme relative al 
secondo. � normale, non eccezionale, che alla P.A. sia riconosciuta una 
discrezionalit� nel consentire l'accesso alla conciliazione amministrativa. 

(omissis) Comune oggetto di censura � l'art. 334 del testo unico 
delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con il d.P.R. 
23 gennaio 1973, n. 43, articolo che di~ciplina la conciliazione amministrativa 
con riguardo � ai delitti di contrabbando punibili con la sola 
pena della multa � previsti dallo stesso testo unico. Pi� precisamente, 
tale articolo viene denunciato da tre giudici a quibus senza che il dispositivo 
delle rispettive ordinanze ne delimiti comunque l'ambito e dal 
quarto �nella parte in cui d� facolt� alla P.A. di ammettere o meno alla 
oblazione il contravventore �. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Quanto ai parametri costituzionali invocati, tutte le ordinanze si 
richiamano all'art. 3 Cost.: l'ordinanza del Tribunale di Como ne prospetta 
la violazione in rapporto al diverso trattamento che, sotto il 
profilo della conciliazione amministrativa, altre disposizioni riservano ai 
supposti autori di particolari ipotesi di contrabbando, pure esse punibili 
con la sola pena della multa, mentre le rimanenti ordinanze si dolgono 
del diverso trattamento che la discrezionalit� dell'amministrazione doganale, 
nel consentire o no la definizione amministrativa, pu� concretamente 
determinare all'int�rno della categoria degli stessi delitti previsti 
dal testo unico del 1973. Sempre nella medesima ottica, due di queste 
ordinanze fanno pure richiamo all'art. 25 Cost., con particolare riguardo 
al principio di legalit� di cui al suo secondo comma, quale risulta recepito 
sul piano del diritto penale comune dall'art. 1 c.p., come si precisa 
nell'ordinanza del Tribunale di Rovigo. 

Ci� premesso, occorre per prima cosa darsi carico di un'eccezione 
di inammissibilit� avanzata dall'Avvocatura dello Stato nei confronti del 
giudizio di legittimit� in ultimo menzionato. L'eccezione si basa sulla 
considerazione che, non avendo gli imputati del procedimento pendente 
davanti al Tribunale di Rovigo presentato � domanda di oblazione� 
prima dell'apertura del dibattimento, � l'oblazione non sarebbe stata comunque 
pi� possibile �, data l'applicabilit� del termine finale fissato, 
in coincidenza con l'apertura del dibattimento, dall'art. 162 c.p., � legge 
generale � da ritenere operante � in mancanza di un diverso termine �, 
come, appunto, � il caso dell'art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, 
che nulla prevede in proposito. 

Cos� come formulata e motivata, detta eccezione non pu� essere 
accolta. A smentire la 'tesi secondo cui la domanda di � oblazione � 
(rectius, conciliazione amministrativa) risulterebbe definitivamente preclusa 
in coincidenza con l'apertura del dibattimento, basta il rilievo 
che l'art. 162 c.p. non pu� essere considerato alla stregua di una legge 
generale rispetto � a quelle speciali che prevedono le conciliazioni al.1).


�ministrative � e, tanto meno, rispetto all'art. 334 qui in esame. Lo impediscono 
non solo la differenza �soggettiva�, che intercorre tra l'oblazione 
ex art. 162 c.p. (cui si abbina ora l'oblazione ex art. 162 bis c.p., 
introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, anch'essa) facente capo 
all'autorit� giudiziaria e la conciliazione amministrativa ex art. 334 del 

d.P.R. n. 43 del 1973, facente capo all'autorit� amministrativa, ma anche� 
e soprattutto la differenza �oggettiva�, che emerge dall'applicabilit� dell'art. 
162 c.p. (e cos� pure dell'art. 162 bis c.p.) a fattispecie contravvenzionali, 
in contrapposto all'applicabilit� del predetto art. 334 a fattispecie 
delittuose. 
�La questione sollevata �, comunque, da dichiarare inammissibile 
per un'altra, ben pi� radicale, ragione ... (omtssis). Anche nell'eventualit�, 
invero pi� probabile, che ad essere perseguito fosse il secondo dei due 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

/ 

possibili obiettivi, vale a dire la sopravvivenza della conciliazione amministrativa 
per i delitti cui fa riferimento l'art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 
1973, n. 43, ma con la previa eliminazione di ogrii discrezionalit� 
per l'amministrazione doganale, la questione dedotta risulterebbe del 
pari inammissibile, sia pure per un motivo diverso dall'assoluto difetto 
di rilevanza nel giudizio a quo. 

Questa volta, l'impossibilit� per la Corte di passare al merito della 
questione deriverebbe dal fatto che le si chiederebbe di apprestare una 
disciplina della conciliazione amministrativa del tutto diversa rispetto 
al sistema attualmente in vigore nel settore delle disposizioni doganali. 
Non . sarebbe, infatti, di certo sufficiente sostituire la discrezionalit� dell'amministrazione 
nell'invitare l'incolpato o nell'aderire alla di lui istanza 
per dar vita ad una nuova disciplina conciliativa in grado di operare 
automaticamente; il mutamento sarebbe tale da richiedere, altres�, una 
precisa determinazione dei tempi e delle modalit� per gli adempimenti 
necessari dall'una e dall'altra parte, non potendo l'estinzione del reato 
e le conseguenti sorti del processo rimanere svincolate da razionali condizionamenti. 
Ma simili interventi comportano l'esercizio di scelte che 
vanno ben al di l� dei poteri di questa Corte, chiamando in causa la 
discrezionalit� del legislatore, il solo legittimato alla produzione di discipline 
articolate in sistema (cfr., per analoghe conclusioni, le sentenze 

n. 137 del 1981, nn. 205, 214, 274 del 1983 e n. 25 del 1984). 
N� varrebbe obbiettare, sulla scia di quanto suggerisce la motivazione 
dell'ordinanza del Tribunale di Como, che i tempi e le modalit� 
del meccanismo co~ciliativo sarebbero ricavabili, senza bisogno di appositi 
interventi legislativi, dagli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, 

n. 27 (per giunta, gi� richiamati, sia pure per un settor~ particolare di 
fatti di contrabbando, dall'art. 341 dello stesso d.P.R. 23 gennaio 1973, 
n. 43): cio�, dai due articoli che regolano nei dettagli la conciliazione 
amministrativa di tipo � non discrezionale � che da oltre un trentennio 
presiede all'estinzione dei reati (delitti o contravvenzioni) punibili con 
sola sanzione pecuniaria aventi ad oggetto generi di monopolio, eccezione 
fatta soltanto, da ultimo, per i fatti di contrabbando aventi ad 
oggetto tabacchi di provenienza estera accertati all'interno degli spazi 
doganali (art. 7 della legge 10 dicembre 1975, n. 724). 
L'operazione perseguita attraverso un tale schema di ragionamento 
-che avrebbe come punto d'arrivo una declaratoria di illegittimit� 
dell'art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, non solo nella parte in 
cui si riferisce ad un'amministrazione doganale che �pu�>>, e non che 
�deve�, consentire alla conciliazione, ma anche nella parte in cui non 
si estendono le previsioni d�gli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, 

n. 27 -condurrebbe ad una manipolazione normativa diretta a trasformare 
in regola quella che per i delitti � un'eccezione, ovverosia ad adottare 
quest'ultima come modello generale. 

232 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

E che di eccezione si tratti, quanto ai delitti punibili con la sola 
pena della multa, lo dimostrano chiaramente tutti gli altri precedenti 
normativi in materia di conciliazione amministrativa, sempre in chiave 
di discrezionalit� dell'amministrazione (cfr., via via, art. 117 del r.d. 
26 gennaio 1896, n. 20; art. 1 del r.d. 2 settembre 1923, n. 1960, nella 
parte sostitutiva del predetto art. 117; art. 141 della legge 25 settembre 
1940, n. 1424; e, ancora con riferimento specifico ai generi di monopolio, 
art. 110 della legge 17 luglio 1942, n. 907). 

L'iter suggerito dall'ordinanza del Tribunale di Como appare, dunque, 
precluso a priori, non potendo l'eventuale disparit� di trattamento 
essere addebitabile alla norma generale, ma soltanto alla norma che se 
ne discosta... 

Tra i precedenti dell'attuale art. 334 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, 
� stato,. ovviamente, menzionato anche quello, pi� immediato e diretto, 
costituito dall'art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, al quale 
proposito va ricordato l'intervento di questa Corte (sent. n. 55 del 1969), 
tradottosi in un dispositivo strettamente circoscritto alla declaratoria 
di illegittimit� della parte di tale articolo -pi� precisamente, la seconda 
parte del suo secondo comma -che poneva un termine finale 
troppo anticipato al possibile determinarsi dell'efficacia estintiva del 
pagamento effettuato all'amministrazione doganale. 

Il fatto che quel limite temporale non sia stato pi� riprodotto dall'art. 
334, che, nell'economia del testo unico del 1973, ha preso il posto 
del precedente art. 141 n� alcun altro limite sia stato da esso esplicitato, 
se toglie alla pronuncia costituzionale del 1969 ogni incidenza in 
ordine alla presente questione, non sta certamente a significare che 
l'intera tematica della conciliazione amministrativa nei settori delle dogane 
e dei monopoli non abbisogni di una revisione pi� attenta di 
quanto non sia stata quella inerente all'emanazione di un semplice testo 
unico. �, quindi, da auspicare che questa tematica venga al pi� presto 
ripresa dal legislatore, alla luce di una pi� aggiornata valutazione sia 
dei poteri demandati alla pubblica amministrazione, sia degli interessi 
tutelati dalle norme incriminatrici in discussione, sia delle linee di politica 
legi~lativa involgenti le sanzioni pecuniare, multa compresa. Soprattutto 
dopo le molteplici, profonde, innovazioni apportate dalla legge 
24 novembre 1981, n. 689. 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 1984, n. 93 (ord.) -Pres. e Rel. Elia Ratta 
(n.p.). 

Corte Costituzionale � Giudizio in via incidentale � Procedimento di Iiqui� 
dazione di indennit� a testimone � Non � giudizio. 

� inammissibile la questione di legittimit� costituzionale sollevata 
in sede di liquidazione dell'indennit� al testimon.e. 


PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 1984, n. 102 � Pres. Elia � Rel. Saja � 

Provincia di Bolzano (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Mi


nistri (avv. Stato Sernicola). 

Corte Costituzionale � Giudizio in via incidentale -Controversia � a quo � 
sulla giurisdizione � Rilevanza della questione di legittimit� costituzionale 
� Condizione. 

Se nel giudizio a quo si controverte solo della giurisdizione, una 
questione di legittimit� costituzionale � rilevante soltanto se essa investe 
la norma attributiva della potest� giurisdizionale (1). 

Il primo comma dell'art. 24 del T.U. delle leggi pr�vinciali sull'ordinamento 
urbanistico approvato con il decreto del Presidente della 
Giunta provinciale di Bolzano il 23 giuno 1970, n. 20 dispone che per 
eseguire nuove costruzioni edilizie deve essere chiesta apposita concessione 
al sindaco del comune. Il secondo comma, nella sua seconda parte, 
soggiunge che � per le opere da eseguirsi su terreni demaniali, ad eccezione 
delle opere destinate alla difesa nazionale, � pure richiesta la concessione
�, Il quadro normativo � completato dal quarto comma, il quale 
statuisce che � presupposto � necessario della concessione � il pagamento 
di un contributo, da parte dell'interessato, per le opere di urbanizzazione, 
nella misura stabilita dall'art. 36 dello stesso Testo unico. 

Il giudice a quo, accogliendo un'eccezione formulata dall'Amministrazione 
ferroviaria dello Stato gi� nel giudizio di secondo grado, ha 
denunciato il riportato secondo comma del cit. art. 24, per contrasto 
con gli artt. 4 e 11 dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto 
Adige (riferito ancora dall'o:rdinanza di rimessione alla l.c. 26 febbraio 1948, 

n. 5, mentre questa � stata sostituita dal t.u., approvato con d.P.R. 31 agosto 
1972, n. 670, delle foggi costituzionali concernenti Jo statuto medesimo) 
assumendone il contrasto con �il principio generale dell'ordinamento giuridico 
statale avente ad oggetto l'autonomia dello Stato, rispetto ai Comunli, 
nell'attivit� di gestione di beni del proprio demanio�. 
(omissis). 

Ci� posto, osserva la Corte che, se nel giudizio principale si controverte 
della giurisdizione, una questione di costituzionalit�, che sia 
rilevante, � configurabile soltanto se essa investe la norma attributiva 
della potest� giurisdizionale ossia se dall� sua risoluzione dipende la 
sussistenza o meno nel giudice adito di tale potest�. Ma questo nesso 
non sussiste nel caso in esame, perch�, qualificata l'azione, come lo � 

(1) L'ordinanza di rimessione � stata emessa dalla Corte di cassazione il 
7 luglio 1977, e quindi dopo l'entrata in vigore della legge Bucalossi 28 gennaio 
1977, n. 10 (e del relativo art. 16). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

234 

stata dal giudice a quo, nel senso suindicato (accertamento dell'insussistenza 
dell'obbligo della concessione e quindi del relativo potere della 

P. A. nonch� ripetizione dell'indebito), il petitum sostanziale concerne, 
secondo un orientamento che costituisce ius receptum nella giurisprudenza 
ordinaria, una posizione di diritto soggettivo (e non di interesse 
legittimo) e quindi secondo la disciplina generale, a parte quanto sar� 
detto nel numero successivo, la cognizione spetta comunque al giudice 
ordinario. 
Il giudice a quo si limita in proposito ad affermare che la questione 
di legittimit� costituzionale del cit. art. 24 � rilevante in quanto, 
se la norma fosse dichiarata illegittima e quindi venisse meno, ricorrerebbe 
la violazione di un diritto dell'Amministrazione ferroviaria. 

Ma l'affermazione non � pertinente alla questione di giurisdizione 
bens� al merito della causa, in quanto la dichiarazione di illegittimit� 
comporterebbe senz'altro la fondatezza della domanda per essere venuta 
meno la norma che prevede l'obbligo della concessione e l'onere di 
contribuzione ma non attribuirebbe al giudice amministrativo fa potest� 
di accertare l'insussiste�iza dell'obbligo della concessione (e quindi del 
relativo potere della P. A.), nonch� dell'obbligo di contribuzione; correlativamente, 
se si verificasse l'ipotesi inversa, il giudice dovrebbe rigettare 
la domanda, non sussistendo la causa petendi invocata dall'attore. 
In entrambi i casi, perci�, un'incidenza della pronuncia di questa Corte 
sulla giurisdizione � sicuramente da escludere, risolvendosi sempre il 
fondamento del petitum sostanziale in una posizione di diritto soggettivo. 
(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1984, n. 120 -Pres. Elia -Rel. 
Conso -Martini ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Siconolfi). 

Procedimento penale � Applicazione di sanzione sostitutiva � Parere del 
pubblico ministero � Dopo l'apertura per la prima volta del dibat� 
timento di primo grado -Non � vincolante. 

(Cost., artt. 3, 24, ,101, 102 e 111; legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78). 

Il parere del pubblico ministero sulla richiesta dell'imputato di applicazione 
di sanzione sostitutiva � obbligatorio ma non vincolante dopo 
l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado. 

(omissis) Oggetto comune di censura � quella parte dell'art. 77, 
primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che subordina al 
�parere favorevole del pubblico ministero� la possibilit� per il giudice 
di � disporre con sentenza, su richiesta dell'imputato..., l'applicazione della 
sanzione sostitutiva� della libert� controllata o della pena pecuniaria. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Una precisazione s'impone preliminarmente al fine di individuare 
con esattezza la norma giuridica impugnata. In ciascuno dei procedimenti 
a quibus il problema dell'applicabilit� della libert� controllata 

o della pena pecuniaria su richiesta dell'imputato � venuto in discussione 
solo dopo l'apertura del dibattimento, mentre l'art. 77, primo 
comma, prende in diretta considerazione l'esercizio di detto potere �nel 
corso dell'istruzione e fino a quando non sono compiute per la prima 
volta le formalit� di apertura del dibattimento�: opportunamente, quindi, 
una delle tre ordinanze coinvolge nel giudizio anche l'art. 78, il cui 
secondo comma si riferisce al �giudice del dibattimento� ed al �pubblico 
ministero di udienza �. Questa precisazione comporta che non si 
possa, altres�, prescindere dall'art. 79, che la stessa legge 24 novembre 
1981, n. 689, appositamente ed espressamente dedica all'applicazione 
del nuovo istituto �nell'ulteriore corso del procedimento�, vale a dire 
� in ogni stato e grado del procedimento � successivi all'avvenuta apertura 
del dibattimento davanti al giudice di primo grado. 
Di conseguenza, la norma da esaminare � rappresentata dagli artt. 77, 
primo comma, e 78, secondo comma, della� legge 24 novembre 1981, 

n. 689, in relazione all'art. 79 della stessa legge, nella parte concernente 
i rapporti tra pubblico ministero e giudice. Infatti, pur non avendo i 
giudici a quibus espressamentt; indicato tale ultimo articolo, dalle ordinanze 
di rimessione risulta nettamente individuata e chiaramente evidenziata 
nei sensi suddetti la norma sottoposta a vaglio di costituzionalit� 
(v., in proposito, la sentenza n. 63 del 1982): cio�, la norma secondo 
cui, in qualsiasi stato e grado del procedimento, anche al di l� 
dell'istruzione e degli atti preliminari al dibattimento di primo grado, 
sempre occorrerebbe il parere favorevole del puoblico ministero per 
addivenire all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato. 
Questa norma, ad avviso dei giudici a quibus, sarebbe in contrasto 
con una pluralit� di parametri costituzionali, alcuni dei quali invocati 
da tutte le ordinanze (artt. 24 e 101, secondo comma, Cost.) ed altri non 
cos� unanimemente (artt. 3, primo comma, 102, prill!o comma, e 111, 
secondo comma, Cost.), ma sempre facendo leva sul ruolo esorbitante 
che ne deriverebbe al pubblico ministero non solo nei confronti dell'imputato, 
bens� anche e soprattutto nei confronti del giudice. Essa viene 
ricavata da un'interpretazione della sezione II del capo III della legge

/

24 novembre 1981, n. 689, decisamente orientata ad intendere come globale 
il rinvio che l'art. 79 fa all'art. 77 e, quindi, a riconoscere come 
valevole in ogni stato e grado del procedimento la portata di tutte le 
prescrizioni contenute nell'art. 77, a cominciare da quella che richiede 
il parere favorevole del pubblico ministero. 

Si tratta, innegabilmente, di un'interpretazione assai diffusa tanto 
nella giurisprudenza di merito quanto in dottrina. Tuttavia, consentono 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cli escludere che si debba, al momento, ritenere formato un diritto vivente 
la mancanza cli precedenti nella giurisprudenza della Corte cli cassazione 
e, insieme, !'ancor breve periodo di applicazione dell'istituto in 
questione, totalmente nuovo per il nostro ordinamento (e con solo vaghe 
affinit� in ordinamenti stranieri) sia sotto il profilo dell'introduzione cli 
sanzioni sostitutive della detenzione, sia soprattutto sotto il profilo della 
loro applicabilit� su richiesta dell'imputato, cui pu� seguire un'atipica 
�estinzione del reato�. 

Prima ancora che da considerazioni di ordine logico-sistematico (non 
va trascurata, in particolare, la differenza intercorrente, quanto a legittimazione 
soggettiva attiva, tra il parere demandato nell'istruzione al 
procuratore della Repubblica ed il parere demandato nel dibattimento 
al pubblico ministero di udienza, tutte le volte -e sono le pi� -che 
il procedimento interessato sia di competenza pretorile), � dalla stessa 
lettera dell'art. 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che, secondo 
un indirizzo dottrinale, prende spunto una diversa prospettazione dei 
suoi rapporti con l'art. 77: una prospettazione tale da circoscrivere l'incidenza 
del rinvio racchiuso nell'art. 79 al riconoscimento della possibilit� 
per il giudice di adottare, anche nel corso ulteriore del processo, 
il provvedimento configurato dall'art. 77, in tutti i suoi contenuti. 

La formula �il giudice pu� procedere ai sensi dell'art. 77 in ogni 
stato e�. grado del procedimento � non implica necessariamente un concomitante 
richiamo dell'iter procedimentale antecedente l'adozione del 
provvedimento. Potrebbe trarsene conferma dal fatto che l'art. 79 prosegue 
e si conclude con l'esplicitare l'esigenza che l'imputato abbia 
� formulato la richiesta di cui allo stesso articolo (il �77) nel termine 
previsto�: se il �pu� procedere ai sensi dell'art. 77 � fosse comprensivo 
di tutti gli aspetti disciplinati da quest'ultimo, inclusi quelli di natura 
procedimentale, correrebbe il rischio di apparire superflua l'espressa prescrizione 
che esista una richiesta formulata dall'imputato entro il termine 
stabilito dall'art. 77. 

La verit� � che l'art. 77 pone s� un termine (�fino a quando non 
sono compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento
�), ma lo pone non tanto con riguardo all'iniziativa dell'imputato, 
quanto con riguardo all'esercizio del potere di sostituzione da parte 
del giudice nei modi ivi previsti, compreso il parere favorevole del 
pubblico ministero. Scaduto quel termine, l'ambito di applicazione dell'art. 
77, completato, per ci� che attiene alla determinazione delle competenze, 
dall'art. 78, primo comma, sarebbe di per s� esaurito. L'art. 79, 
in uno con il gi� ricordato secondo comma dell'art. 78, gli rid� spazio, 
ma soltanto per gli aspetti cl�aramente richiamati dallo stesso art. 79 
e, comunque, non suscettibili di trovare soluzione nelle prescrizioni del 
diritto comune. Per gli altri aspetti, invece, non strettamente. collegati 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

alla specialit� del rito, le norme generali, in quanto non espressamente 
derogate, tornano nuovamente ad operare. 

In particolare, per quel che concerne il pubblico ministero, nell'assenza 
di un sicuro rinvio in proposito dell'art. 79 all'art. 77, nulla impedisce 
di riconoscere piena applicabilit� alle disposizioni generali che il 
libro primo del codice di procedura penale, da integrare con le disposizioni 
dettate per il dibattimento, dedica alle conclusioni del pubblico 
ministero, prescrivendole . (art. 76 c.p.p.) come necessarie, mai come 
vincolanti. 

'Prestandosi la normativa da applicare nei procedimenti a quibus ad 
un'interpretazione diversa dalla lettura offertane dalle ordinanze di rimessione, 
donde la possibilit� di avvalersene per la definizione delle relative 
controversie, le sollevate eccezioni di legittimit� risultano senz'altro 
superabili, dal momento che proprio l'interpretazione or ora delineata 
consente di pervenire nei casi di specie a quella soluzione che i giudici 
a quibus riterrebbero raggiungibile soltanto in forza dei princ�pi costituzionali 
invocati (cfr., per analoghi precedenti, le sentenze n. 13 del 1979 
e n. 191 del 1983). 

Pi� precisamente, una volta escluso che, per �poter far luogo alla 
applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato dopo 
l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado, sia indispensabile 
il parere favorevole del pubblico ministero, dovendosi intendere 
limitata alle fasi dell'istruzione e del predibattimento la portata 
preclusiva del parere sfavorevole del pubblico ministero, due diventano 
le conseguenze da trarre: per un verso, viene meno, con il cadere del 
presupposto da cui hanno preso le mosse i giudici a quibus, la stessa 
possibilit� di ravvisare l'esistenza di un contrasto della normativa applicabile 
nel dibattimento con i � vari parametri richiamati nelle ordinanze, 
mentre, per l'altro verso, viene ad emergere la non fondatezza del contrasto 
con i medesimi parametri ipotizzabile nei confronti della norma 
che trova applicazione prima del dibattimento. (omissis) 

Fino a che il dibattimento non sia stato aperto, la formulazione di 
un parere negativo con efficacia vincolante da parte del pubblico ministero 
altro non significa che preclusione ad un epilogo del procedimento 
in anticipo rispetto alla fase processuale maggiormente garantita, qual 
� il dibattimento imperniato sul contraddittorio diretto tra le parti. In 
altre parole, il no del pubblico ministero, circoscritto alle fasi dell'istruzione 
e degli atti predibattimentali, equivale, in armonia con le normali 
prerogative del pubblico ministero (v. artt. 74, 396, 502 c.p.p.), ad una 
determinata scelta del rito processuale; nel senso di un passaggio -assolutamente 
non eludibile con la sentenza che dichiara estinto il reato 
per intervenuta applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta 
dell'imputato -alla fase del dibattimento: fase nel corso della quale le 


238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

parti avranno la piena possibilit� di tutelare le rispettive poslZlom, in 

l

parit� di armi, compresi sia il mantenimento della richiesta di una sanf 
f 
zione sostitutiva ai sensi dell'art. 77, primo comma, della l�gge 24 noJ 
vembre 1981, n. 689, sia un nuovo intervallo del pubblico ministero, ed 
il giudice avr� ogni potere decisionale, compreso quello di accogliere o 
no la richiesta dell'imputato, indipendentemente dall'atteggiamento assunto 
dal pubblico ministero. (omissis) 

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SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 31 gennaio 1984, 
nelle cause riunite 286/82 e 26/83 � Pres. Mertens de Wilmars -Avv. 
Gen. Mancini -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal 
Tribunale di Genova nelle cause Luisi e Carbone (avv. Conte e Timossi) 
c. Min. Tesoro � Interv.: Governi belga (ag. Collins e de Beer 
de Laer), francese (ag. Costes), de11a Rep. fed. di Germania (ag. Seidel) 
e ,italiano (avv. Stato Conti) e Commissione delila C.E. (ag. Berardis). 


Comunit� europee . Libera prestazione di servizi -Transazioni invisi� 
bili � Pagamenti correnti e movimenti di capitali � Turismo � Con� 
trolli degli Stati membri -Legittimit� � Limiti. � 
(Trattato CEE, artt. 3, 5, 59, 60, 63, 67, 68, 106; direttiva CEE del Consiglio 31 mag� 

gio 1963, n. 340; d.l. 6 giugno 1956, n. 476; d.l. 4 marzo 1976, n. 31; dd.mm. 6 giugno 
1956, 2 maggio 1974, 12 marzo 1981, 14 luglio 1982). 

L'art. 106 del Trattato va interpretato nel senso che: 

-i trasferimenti a scopi di turismo, per viaggi d'affari o di studi e 
per cure mediche costituiscono pagamenti e non movimenti di capitali, 
anche quando vengono effettuati mediante , trasferimento materiale di 
biglietti di banca; 

-le restrizioni a tali pagamenti sono soppresse a partire dalla fine 
del periodo transitorio,� 

-gli Stati membri mantengono il potere di controllare che i trasferimenti 
di valuta' che si asseriscono destinati a pagamenti liberalizzati 
non siano in realt� utilizzati ,in funzione di movimenti di capitale non 
autorizzati,� 

-tali controlli non possono avere l'effetto di limitare i pagamenti 
ed i trasferimenti relativi alle prestazioni di servizi ad un certo importo 
per operazione o per periodo, n� di vanificare le libert� stabilite dal 
Trattato, n� di assoggettare l'esercizio di queste alla discrezionalit� della 
amministrazione,� 

-tali controlli possono comportare la determinazione di limiti f oriettari 
entro i quali non venga effettuato alcun controllo mentre, per le 
spese di importo superiore, debba essere provata l'effettiva destinazione 


240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
agli scambi di servizi, a condizione per� che l'importo forfettario non 
sia fissato in maniera tale da compromettere il flusso normale degli 
scambi di servizi. (1) 
(omissis) 1. -Con ordinanze 12 fugJio e 22 novembre 1982, pervenute 
alla Corte rispettivamente il 27 ottobre 1982 e il 21 febbraio 1983, il Tribunale 
di Genova ha sollevato, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, 
svariate questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 106 
del Trattato al fine di poter valutare la compatibilit� con tale norma 
della legge italiana in materia di trasferimento di valuta. 
2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di guidizi di opposizione 
intentati da due cittadini italiani contro i decreti del Ministro del 
Tesoro con cui venivano loro inflitte pene pecuniarie per avere essi acquistato 
varie divise estere, al fine di utilizzare fuori dall'Italia, per un 
controvalore in lire superiore all'importo massimo consentito dalla legge 
italiana che, all'epoca, ammontava a L. 500.000 annue per l'esportazione 
di valuta da parte di residenti per scopi di turismo, affari, studio e 
cura. 
(1) Viaggi per turismo e relativi trasferimenti di valuta nel diritto comunitario. 
Dopo la nota sentenza dell'l1l novembre 19811, nella causa 203/80, CASATI 
(in questa Rassegna, 1981, I, 676), la Corte di Giustizia torna ad occuparsi di 
problemi relativi ai movimenti di valuta nell'ambito della Comunit�. E anche 
in questo caso si tratta di trasferimenti materiali di biglietti di banca da 
un Paese ad un altro. 
L'mportazione e l'esportazione materiale di valori, comprese le banconote, 
:figurano fra i movimenti di capitali di cui all'elenco D annesso alle direttive 
del Consiglio dell'll magio 1960 e del 18 dicembre 1962, e cio� fra quei movimenti 
per i quali non � prevista alcuna misura obbligatoria di liberalizzazione 
(artt. 67 e 69 del Trattato CEE). Si pone, per�, il problema se queste 
importazioni ed esportazioni materiali debbano essere sempre considerate 
come movimenti di capitali non liberalizzati, indipendentemente dai motivi 
per cui vengono effettuate, ovvero se operazioni del genere possano farsi rientrare 
in certi casi e a determinate condizioni, fra i pagamenti relativi agli 
scambi di merci e di servizi di cui si occupa l'art. 106 disponendone la liberalizzazione 
nella misura in cui sono liberalizzati gli stessi scambi di merci 
e di servizi. ' 
A questo proposito, nella sentenza CASATI, al punto 24 della motivazione 
in diritto, la Corte aveva osservato che i primi due paragrafi dell'art. 106 
del Trattato CEE non obbligano gli Stati ad autorizzare � l'importazione e 
l'esportazione di banconote per effettuare operazioni commerciali qualora tali 
trasferimenti non siano necessari per la libera circolazione delle merci �. I 
trasferimenti di valuta ai quali si riferisce l'art. 106 sono, infatti, quelli 
necessari per garantire la libera circolazione effettiva delle merci (e dei ser



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 241 

3. -Dinanzi al giudice nazionale, i due opponenti contestavano la validit� 
delle norme di legge italiane su cui si basavano le pene pecuniarie 
sostenendo la loro incompatibilit� col diritto comunitario. Nella causa 
286/82, l'attrice nella causa principale, sig.ra Luisi, affermava di aver 
esportato la valuta di cui � causa al fine di effettuare alcuni soggiorni 
turistici in Francia e nella Repubblica federale di Germania e onde sottoporsi 
a cure in quest'ultimo paese. Nella causa 26/83, l'attore nella 
causa principale, sig. Carbone, precisava che la valuta estera da lui acquistata 
era stata utilizzata per un soggiorno turistico di tre mesi nella 
Repubblica federale di Germania. Le due parti facevano valere che le 
restrizioni all'esportazione di mezzi di pagamento in valuta estera a scopi 
di turismo o di cura erano contrarie alle norme del Trattato CEE in materia 
di pagamenti correnti e di circolazione dei capitali. 
4. -Nella sua prima ordinanza, in data 12 Juglio 1982 (causa 286/82), 
il Tribunale di Genova constata che le operazioni per '1e quali ila [egge 
italiana contempla un massimale per i trasferimenti di valuta, e cio� 
viaggi a . scopo di turismo, affari, studio e cura fanno parte delle transazioni 
invisibili di cui all'allegato III del Trattato. I pagamenti ad es~e 
relativi rientrerebbero quindi nella disciplina di cui all'art. 106, n. 3, 
primo comma, del Trattato, che impone agli Stati membri di non introdurre 
nuove restrizioni mentre la normativa italiana contestata � stata 
adottata nel 1974. Sarebbe tuttavia opportuno determinare la portata 
vizi), mentre, � nell'ambito di negozi d'indole commerciale, questo modo di 
trasferimento (e, cio�, la materiale dislocazione di biglietti di banca), che 
peraltro non � conforme agli usi, non pu� essere considerato rispondente a 
tale necessit��. 

Nella sentenza in rassegna (punti 21 e 23 della motivazione in diritto) 
si affemia, per contro, che �il trasferimento materiale dei biglietti di banca 
non pu� definirsi un movimento di capitale qualora il trasferimento di _cui 
trattasi corrisponda ad un obbligo di pagamento derivante da un'operazione 
nell'ambito degli scambi di merci o di servizi. Ne discende che i pagamenti 
a scopo di turismo, per viaggi d'affari o di studi e per cure mediche non 
possono qualificarsi movimenti di capitali anche ove siano effettuati mediante 
il trasferimento materiale di biglietti di banca �. 

Non � agevole ricondurre queste due affermazioni ad un comune principio. 
In particolare, nel caso del turismo, non � agevole stabilire in base a 
quale criterio possa qualificarsi come vero e proprio pagamento, non solo 
il trasferimento di valute effettuato in corrispettivo di un effettivo scambio 
di servizi turistici e attraverso procedimenti (in particolare, bancari), idonei 
a stabilire un nesso certo e indubitabile fra movimento valutario e prestazione 
del servizio, ma anche la semplice esportazione di mezzi di pagamento che il 
turista rechi con s�, senza che sussista alcuno specifico vincolo relativo alla 
loro futura destinazione. 

Su questo punto, che non appare pienamente chiarito dalla sentenza in 

rassegna, sembrano necessari ulteriori approfondimenti, in vista dei quali pu� 



242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esatta di tali norme nei confronti di quelle che regolano i movimenti di 
capitali in quanto, in particolare, queste ultime si riferiscono ai trasferimenti 
materiali di biglietti di banca. 

5. -Onde ottenere chiarimenti su questo punto, il Tribunale ha sottoposto 
alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
� Se nel caso di esportazione da parte di viaggiatori residenti che si 
recano all'estero a scopo di turismo, affari, studio e cura, di biglietti di 
Stato e di banca esteri nonch� di titoli di credito in valuta estera i 
soggetti dell'ordinamento comunitario usufruiscano di diritti che gli 
Stati membri sono tenuti a rispettare in forza delle norme di ' standstill 
' di cui all'art. 106, n. 3, primo comma, del Trattato, rientrando detta 
operazione tra le transazioni invisibili elencate nell'allegato III del Trattato 
medesimo, ovvero, se per effetto del rinvio operato dall'art. 106, 

n. 3, secondo comma, del Trattato, il predetto caso, concretanto dal punto 
di vista obiettivo un trasferimento di valuta in contanti, rientri tra i 
movimenti di capitali che, a norma delle disposizioni di cui agli artt. 67 
e 68 del Trattato e delle relative direttive adottate dal Consiglio 1'11 maggio 
1960 ed il 18 dicembre 1%2, non devono essere obbligatoriamente liberalizzati, 
donde la legittimit� in tali settori di misure di controllo e di 
sanzioni, nella specie amministrative, da parte dello Stato membro �. 
6. -Nella sua seconda ordinanza, in data 22 novembre 1982 (causa 
26/83), il Tribunale limita il suo esame ai trasferimenti di valuta a scopi di 
essere utile il richiamo ad alcuni spunti critici sollevati nel corso del procedimento 
dalla difesa del Governo italiano. 

Sembra, anzitutto, tutt'altro che decisiva la pura e semplice osservazione 
secondo cui anche il turista deve considerarsi come un destinatario di servizi 
(alberghieri, d{ trasporto, spettacoli, ecc.). Occorre precisare, infatti, che il 
turista � solo potenzialmente un destinatario di servizi nel Paese in cui si reca. 
Nel momento in cui lascia il proprio Paese portando con s� la valuta non � 
parte di uno specifico e determinato rapporto di scambio di servizi. Si trova 
semplicemente nella posizione di chi potr� usufruire di servizi nei luoghi. che 
si trover� a visitare, e cio� nella posizione di potenziale cliente dei prestatori 
di servizi stabiliti in tali luoghi. 

Dal punto di vista economico o statistico, ai fini, ad esempio, della formazione 
della bilancia dei pagamenti, � ben possibile che ci� non assuma alcuna 
rilevanza. Gli esborsi per uno scambio attuale di servizi ed i trasferimenti 
effettuati in vista di potenziali scambi di questo genere ben possono, da questo 
punto di vista, apparire come fenomeni sostanzialmente analoghi. Non cos�, 
invece, dal punto di viista giuridico. Giuridicamente, infatti, una ,distanza incolmabile 
separa fra di loro i rapporti di scambio effettivamente costituiti fra 
due soggetti e le situazioni di fatto che possono semplicemente fornire l'occasione 
per porre un soggetto in contatto con la generica offerta di servizi messi 
a disposizione di chiunque in un determinato Paese. La disciplina giuridica 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 243 

turismo. Esso si chiede se il turismo, pur costituendo una transazione 
invisibile ai sensi dell'art. 106, n. 3, del Trattato, non debba essere considerato 
nel contempo rientrante fra gli scambi di servizi e quindi essere 
disciplinato dall'art. 106, n. 1, concernente la liberalizzazione dei pagamenti 
relativi alle prestazioni di servizi. 

7. -Per questo motivo, il Tribunale ha sottoposto alla Corte una 
nuova questione pregiudiziale cos� f?rmuLata: 
� Se nel caso di esportazione da parte di viaggiatori residenti che si 
recano all'estero a scopo di turismo, di biglietti di Stato e di banca 
esteri, nonch� di titoli di credito in valuta estera, i, soggetti dell'ordinamento 
comunitario fruiscano di diritti che gli Stati membri sono tenuti 
a rispettare in forza della norma direttamente applicabile di cui all'art. 
106, n. l, del Trattato, ove si reputi considerare i vi~ggi per turismo nell'ambito 
della circolazione dei servizi ed i trasferimenti di valuta per 
sostenerne le spese alla stregua di pagamenti correnti da ritenersi pertanto 
liberalizzati come i servizi cui accedono; 

oppure se, rientrando l'operazione de qua tra le transazioni invisibili 
elencate nell'allegato III del Trattato medesimo, e per effetto del rinvio 
operato dall'art. 106, n. 3, secondo comma, concretando l'operazione 
stessa un obiettivo trasferimento di valuta in contanti, essa rientri tra 
i movimenti di capitali che, a norma delle disposizioni di cui agli artt. 67 
e 68 del Trattato e delle relative direttive adottate dal Consiglio 1'11 

applicabile alla prima ipotesi non pu�, quindi, ritenersi senz'altro applicabile 
anche alla seconda. Una puntuale verifica della compatibilit� di tale supposta 
equiparazione con il sistema non pu�, quindi, essere elusa. 

Orbene, la disciplina del Trattato CEE relativa tanto agli scambi di servizi 
quanto ai pagamenti relativi appare, in effetti, orientata in senso opposto. Per 
quanto riguarda i pagamenti, l'art. 106, par. l, parlando di pagamenti relativi 
agli scambi di merci o di servizi, intende chiaramente riferirsi a quei trasfe� 
rimenti di valuta che trovano la loro causa in un concreto rapporto di scambio, 
gi� costituito fra soggetti ben determinati. Non pu� non apparire come una 
forzatura del chiaro testo della disposizione comprendere in essa anche un'ipotesi 
totalmente diversa, e cio� quella del semplice spostamento da un Paese ad 
un altro dei mezzi di pagamento portati con s� dai viaggiatori. Questo sposta� 
mento non � caratterizzato da alcunch� che lo vincoli ad una precisa desti� 
nazione finale della valuta esportata. Al momento del passaggio della frontiera, 
il collegamento della valuta portata dal viaggiatore con un determinato pagamento 
pu� costituire, al massimo, una semplice intenzione. Ed � chiaro che 
una mera intenzione non pu� mai assumere rilevanza giuridica, e meno che 
mai al fine di assimilare ai veri e propri pagamenti quello che, in realt�, � 
solo un mezzo per rifornirsi di generiche disponibilit� finanziarie nel Paese 
di destinazione. 

Va sottolineato, a questo proposito, che le disponibilit� finanziarie del 
turista possono, evidentemente, essere utilizzate in tutti i settori possibili e 



244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

J 

ff�

maggio 1960 ed il 18 dicembre 1962, non devono essere obbligatoriamente 

liberalizzati, donde la legittimit� in tali settori di misure di controllo e 

i: 
I 
(.:sanzioni, nella specie amministrative, da parte dello Stato membro �. 

f 

8. -Dal tenore delle questioni pregiudiziali e dalla motivazione delle 
due ordinanze di rinvio risulta che i problemi di interpretazione del diritto 
comunitario sollevati. dalle presenti controversie consistono nello stabilire: 
a) se il turismo, il viaggio d'affari, il viaggio di studi e le cure 
mediche appartengano alle prestazioni di servizi oppure alle transazioni 
invisibili ai sensi dell'art. 106, n. 3, del Trattato o contemporaneamente 
ad entrambe le categorie; 

b) se il trasferimento di valuta per queste quattro voci debba essere 
considerato quale pagamento corrente ovvero quale movimento di 
capitale, in particolare qualora venga effettuato attraverso un trasferirimento 
materiale di biglietti di banca; 

e) quale sia il grado di liberalizzazione dei pagamenti relativi a 
queste quattro voci come previsto dall'art. 106 del Trattato; 

d) quali provvedimenti di controllo dei trasferimenti di valuta gli 
Stati membri abbiano eventualmente il diritto di adottare nei confronti 
dei pagamenti cosi l�beralizzati. 

immaginabili, e cio� non solo nel settore dello scambio di servizi, ma anche 
in quello dello scambio di merci o in quello del movimento di capitali. Non 
esiste, perci�, alcuna base oggettiva che consenta di collegare necessariamente 
il trasferimento di valuta effettuato dal turista con uno scambio, sia pure 
potenziale, di servizi. Anche da questo punto di vista, quindi, si manifesta 
azzardata l'assimilazione dei trasferimenti attinenti al turismo ai veri e propri 
pagamenti, e cio� ai corrispettivi versati per un concreto scambio di servizi. 

Del resto, anche gli artt. 59 e 60 del Trattato confermano che di veri e 
propri scambi di servizi, e quindi di pagamenti ad essi relativi, si pu� parlare 
soltanto in presenza di concreti rapporti giuridici che leghino soggetti determinati 
stabiliti in diversi Paesi della Comunit�. Il turista come tale, non pu� 
considerarsi, ai sensi del Trattato, come un destinatario di servizi. Tale nozione 
presuppone un preciso rapporto di scambio fra due soggetti determinati; e 
ad un simile rapporto giuridico non � possibile assimilare una situazione di 
mero fatto, che ponga semplicemente un soggetto nelle condizioni di diventare 
potenzialmente un utente di prestazioni di servizi da parte di soggetti indeterminati 
stabiliti in un altro Paese. 

In questo senso si era espresso l'avvocato generale Trabucchi nelle conclu.
sioni presentate nella causa 118/75 (WATSON). Notava, in particolare, l'avvocato 
generale in quell'occasione che, se ci si allontana dalla considerazione di rapporti 
di scambio determinati, tutti, assolutamente tutti i cittadini comunitari, 
e non solo i turisti, possono considerarsi, in atto o in potenza, come destinatari 

., 

di servizi. Orbene, ci� porterebbe a vanificare del tutto la precisa determi� 

I: 
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1: 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 245 

a) Sulle nozioni di �prestazioni di servizi� e � transazioni invisibili�, 

9. -Secondo l'art. 60 del Trattato, vanno considerate come � servizi � 
ai sensi del Trattato le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, 
in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione 
delle merci, dei capitali e delle persone. Nell'ambito del titolo 
III della parte seconda del Trattato (�Libera circolazione delle persone, 
dei servizi e dei capitali�), la libera circolazione delle persone comprende 
la circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit� e la libert� 
di stabilimento sul territorio degli Stati membri. 
10. -In base all'art. 59 del Trattato, le restrizioni alfa libera prestazione 
di questi servizi sono soppresse nei confronti dei cittadini degli Stati 
membri stabiliti in un paese della Comunit� che non sia quello del destinatario 
della prestazione. Per consentire l'esecuzione delle prestazioni 
di servizi, pu� aversi uno spostamento sia del prestatore che si reca 
nello Stato membro in cui il destinatario � stabilito, sia del destinatario 
che si reca nello Stato di stabilimento del prestatore. Mentre il primo 
caso � espressamente menzionato nell'art. 60, terzo comma, che ammette 
l'esercizio, a titolo temporaneo, dell'attivit� di prestatore di servizi nello 
Stato membro in cui la prestazione viene erogata, il secondo ne costituisce 
il necessario complemento che risponde allo scopo di liberalizzare 
nazione effettuata dal Trattato delle categorie dei soggetti che possono beneficiare 
delle disposizioni degli articoli 59 e seguenti. Un simile modo, amplissimo 
e indeterminato, di intendere la nozione di � destinatari di servizi � non 
pu�, perci�, considerarsi in nessun modo compatibile con la disciplina positiva 
del Trattato. 

Si consideri, in particolare, che il primo comma dell'art. 59 prende in 
considerazione gli scambi di servizi soltanto se il prestatore sia cittadino di 
uno Stato membro e sia stabilito in un Paese della Comunit�. Orbene, � evidente 
che requisiti di questo genere sono concepibili soltanto rispetto a precisi 
e concreti rapporti di scambio intercorrenti fra soggetti determinati. Non 
avrebbe senso, invece, la prescrizione di quei requisiti se la nozione di 
scambio di servizi potesse estendersi fino a comprendere anche le semplici 
occasioni di fatto idonee ad accostare un soggetto proveniente dall'estero al 
complesso di utilit� e di prestazioni che operatori indeterminati offrono in 
maniera indifferenziata alla generalit� degli utenti. 

In definitiva, quindi, sembra pi� corretto limitare la nozione di � desti


natari di servizi � e di � pagamenti relativi a scambi di servizi � soltanto alle 

ipotesi in cui si sia in presenza di una prestazione specifica e determinata 

resa da un soggetto stabilito in un Paese della Comunit� diverso da quello del 

destinatario. A queste ipotesi non pu� assimilarsi il trasferimento di mezzi 

di pagamento effettuato da chi intraprenda un viaggio per turismo. 

Un viaggio per _turismo non � diverso, sotto questo aspetto, da un viaggio 

intrapreso con l'intenzione di acquistare determinate merci all'estero. La valuta 



'246 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ogni attivit� retribuita e non regolata dalle disposizioni relative alla 
libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali. 

11. -Ai fini dell'attuazione di queste norme, il titolo II del programma 
generale per la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei 
servizi stabilito dal Consiglio, il 18 dicembre 1961, in forza dell'art. 63 
del Trattato (G. U. 1962, pag. 32) contempla, fra l'altro, la soppressione 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano, 
ai fini economici, in ciascuno degli Stati membri, l'ingresso, 
l'uscita ed il soggiorno dei cittadini degli Stati membri, nella misura 
in cui esse non siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di 
pubblica sicurezza e di sanit� pubblica e possano ostacolare la prestazione 
di servizi da parte di questi cittadini. 
12. -La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221, �per il 
coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il tr.asferimento ed il 
soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica 
sicurezza e di sanit� pubblica� (G. U. 1964, pag. 850), riguarda fra 
l'altro, a norma del suo art. 1, i cittadini di uno Stato membro che si 
recano in un altro Stato membro �in qualit� di destinatari di servizi�. 
La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, n. 73/148, �relativa alla soppressione 
delle restrizioni al trasferimento ed al soggiorno dei cittadini 
degli Stati membri all'interno della Comunit� in materia di stabilimento 
e di prestazione di servizi� (G. U. n. 172, pag. 14), garantisce un diritto 
portata con s� dal viaggiatore non realizza certo, in questo caso, un paga


mento relativo ad uno scambio di merci che, oggettivamente, non esiste 

ancora. In questo senso, infatti, si � chiaramente espressa la sentenza CASATI. 

Ci si sarebbe potuto attendere che lo stesso criterio coerentemente portasse 

ad escludere, nel presente caso, la possibilit� di ravvisare un � pagamento � 

ai sensi dell'art. '106 nel trasferimento di valuta che il turista reca con s�, con 

la semplice intenzione di procurarsi dei servizi o di acquistare oggetti vari. 

La Corte ha, invece, diversamente deciso, ma senza che la ratio di questa 

diversa decisione risulti chiaramente enunciata. 

Non si vede, in realt�, motivo per escludere l'ipotesi in considerazione 

dalla categoria dei movimenti di capitali di cui agli artt. 67 e seguenti del 

Trattato. 

Ci� che caratterizza i movimenti di capitali � l'assenza di un attuale 

corrispettivo che bilanci il trasferimento di mezzi di pagamento da uno Stato 

all'altro. Mentre, cio�, i pagamenti correnti sono caratterizzati da un preciso 

collegamento con un rapporto di scambio di beni o servizi, i movimenti di 

capitali si qualificano come tali proprio in funzione dell'assenza di un simile 

collegamento. Ogni volta che un trasferimento di valuta non assolva alla 

funzione di corrispettivo di un attuale e concreto trasferimento di merci o 

di un'attuale e concreta prestazione di servizi si ha movimento di capitali. 

Orbene, il trasferimento di mezzi di pagamento recati con s� dal turista 

non assolve. come si � detto, ad alcuna funzione di corrispettivo nell'ambito 


PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 247 

di soggiorno corrispondente alla durata della prestazione di un servizio 
tanto al prestatore quanto al destinatario del servizio. 

13. -Basando il programma generale per fa soppressione delle restrizioni 
alla libera prestazione di servizi anche suil'art. 106 del Trattato, gli 
estensori del programma generale si sono dimostrati consapevoli delil'effetto 
della liberalizzazione dei servizi su quella dei pagamenti. Infatti, la norma 
suddetta, al n. 1, stabilisce che i pagamenti relativi agli scambi di merci 
e di servizi siano liberalizzati nella rtrisura in cui la circolazione delle 
merci e dei servizi � liberalizzata tra gli Stati membri. 
14. -Fra le restrizioni alla �libera prestazione dei servizi che devono 
essere soppresse, il programma generale menziona, al titolo III, lett. C, 
anche gli impedimenti ai pagamenti della prestazione e ci� in particolare, a 
norma del titolo III, lett. D, ed in conformit� all'art. 106, n. 2, qualora gli 
scambi di servizi siano lirtritati soltanto da restrizioni ai pagamenti relativi. 
Dette restrizioni dovevano essere soppresse, in base al titolo V, 
lett. B, del programma generale, prima dello scadere della prima tappa 
del periodo transitorio, fatte salve, eventualmente, durante tale periodo, 
le � assegnazioni di valuta ai turisti �. Tali disposizioni sono state attuate 
dalla direttiva del Consiglio 31 maggio 1963, n. 63/340, �volta a sopprimere 
ogni divieto od impedimento al pagamento della prestazione qualora 
gli scambi di servizi siano limitati soltanto da restrizioni ai paga-
di un attuale e concreto rapporto di scambio di merci o di servizi. Esso serve 
soltanto a rifornire il viaggiatore di disponibilit� finanziarie nel Paese di destinazione, 
disponibilit� utilizzabili, poi, nei modi pi� diversi e disparati. Dal 
punto di vista giuridico, l'operazione � perfettamente equivalente, ad esempio, 
alla costituzione di un deposito in conto corrente presso una banca del 
Paese di destinazione. In quest'ultimo caso, non c'� dubbio che ci troveremmo 
di fronte ad un movimento di capitali. Non si vede ragione perch� una diversa 
conclusione debba, invece, valere nel caso di trasferimenti materiali di contante 
al seguito del viaggiatore. 

Non vale certo l'obiezione secondo cui l'esportazione materiale di valuta 
costituirebbe un movimento di capitali soltanto quando sia fine a se stessa, 
e non quando serva a sopperire alle necessit� del viaggiatore. In realt�, 
un trasferimento di mezzi di pagamento non pu� essere mai veramente � fine 
a se stesso �. Per loro stessa natura, infatti, le valute sono sempre destinate, 
prima o poi, ad un impiego ulteriore. Ci� che conta � che il trasferimento 
sia effettuato in funzione di corrispettivo di una prestazione determinata, 
nell'ambito di un concreto e attuale rapporto di scambio,. oppure sia effettuato 
per tenere a disposizione dell'interessato le valute trasferite, in vista di successivi 
impieghi non determinati. Il sistema del Trattato induce ad affermare che solo 
nel primo caso si ha un pagamento ai sensi dell'art. 106. Nel secondo, invece, 
si ha sempre un movimento di capitali ai sensi degli artt. 67 e seguenti. 

M~CELLO CONTI 



248 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

menti relativi� (G. U. 1963, pag. 1609), il cui art. 3 fa pure riferimento 
alle assegnazioni di valuta ai turisti. 

15. -Tuttavia, il programma generale e la direttiva precitata riservano 
agli Stati membvi il diritto di verificare la natura e l'autenticit� dei trasferimenti 
di mezzi finanziari e dei pagamenti nonch� di prendere i provvedimenti 
indispensabili per impedire infrazioni alle proprie leggi e ai 
propri regolamenti, � in particolare in materia di assegnazione di valuta 
ai turisti �. 
16. -Ne consegue che la libera prestazione dei servizi comprende la 
libert�, da parte dei destinatari dei servizi, di recarsi in un altro Stato 
membro per fruire ivi di un servizio, senza essere impediti da restrizioni, 
anche in materia di pagamenti, e che i turisti, i fruitori di cure mediche e 
coloro che effettuano viaggi di studi. o d'affari devono essere considerati 
destinatari di servizi. 
17. -L'art. 106, n. 3, riguarda la soppressione progressiva delle restrizioni 
ai trasferimenti relativi alle � transazioni invisibiH � figuranti nell'elenco 
che forma oggetto dell'allegato III al Trattato. Come giustamente 
rilevato dal giudice nazionale, detto elenco comprende, fra l'altro, i viaggi 
per affari, il turismo, i \�iaggi e soggiorni di carattere personale per 
motivi di studio ed i viaggi e soggiorni di carattere persona�e dovuti a 
motivi di salute. 
18. -Tuttavia, dato che tale disposizione, come 11isulta dal suo secondo 
comma, ha carattere puramente accessorio rispetto ai nn. 1 e 2 dell'articolo 
106, non pu� essere applicata alle quattro operazioni di cui trattasi. 
b) Sulle nozioni di �pagamenti correnti� e �movimenti di capitali�. 

19. -Il giudice nazionale ha messo in rilievo che i:1 trasferimento materiale 
di biglietti di banca figura all'elenco D degli allegati alle due direttive 
adottate dal Consigli� in applicazione dell'art. 69 del Trattato in 
materia di movimenti di capitali (G. U. 1960, pag. 921, e 1963, pag. 62). 
Tale elenco D specifica i movimenti di capitali per i quali le direttive 
non impongono agli Stati membri alcun provvedimento di liberalizzazione. 
Si pone pertanto il problema di stabilire se il riferimento, su detto 
elenco, ai trasferimenti materiali di biglietti di banca implica che questi 
ultimi costituiscano di per s� stessi un movimento di capitali. 
20. -Il _Trattato non definisce la nozione di movimento di capitali. Tuttavia, 
le due direttive summenzionate contengono, in allegato, un'elenca-
I 
~ 

I 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 249 

zione dei vari movimenti di capitali accompagnata da una nomencla� 
tura. Non ne risulta che il trasferimento materiale di valori, in particolare 
dei biglietti di banca, pur facendo parte di tale enumerazione, vada 
in ogni caso considerato un movimento di capitale. 

21. -Dal sistema generale del Trattato si desume infaUi, come conferma 
un raffronto fra gli artt. 67 e 106, che i pagamenti correnti sono trasferimenti 
di valuta che costituiscono una controprestazione nell'ambito 
di un negozio sottostante mentre i movimenti di capitali sono operazioni 
finanziarie che riguardano essenzialmente la collocazione o l'investimento 
dell'importo di cui trattasi e non il corrispettivo di una prestazione. Per 
questo motivo i movimenti di capitali possono costituire essi stessi la 
causa di pagamenti correnti, come implicano gl� artt. 67, n. 2, e 106, n. 1. 
22. -Il trasferimento materiale di big1ietti di banca non pu� pertanto 
definirsi un movimento di capitale qualora il trasferimento di cui trattasi 
corrisponda ad un obbligo di pagamento derivante da una opera23. 
-Ne discende che i pagamenti a scopi di turismo, per viaggi di 
affari o di studi e per cure mediche non possono qualificarsi movimenti di 
capitali anche ove siano effettuati mediante H trasferimento materiale di 
biglietti di banca. 
c) Sul grado di liberalizzazione dei pagamenti contemplati dall'art. 106 
del Trattato. 

24. -Per quanto concerne gli scambi di servizi, l'art. 106, n. l, stabilisce 
che i pagamenti ad essi relativi debbono essere liberalizzati nella misura 
in cui la circolazione dei servizi � essa stessa liberalizzata fra gli Stati 
membri in applicazione del Trattato. A norma dell'art. 59 del Trattato, 
le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunit� 
sono soppresse durante il periodo transitorio. Allo scadere di detto 
periodo, le restrizioni ai pagamenti relativi alle prestazioni di servizi debbono 
quindi risultare soppresse. 
25. -Ne risulta che i pagamenti relativi al turismo, ai viaggi d'affari 
o di studi ed aLle cure mediche sono liberalizzati a partire dalla fine del 
periodo transitorio. 
26. -Tale interpretazione trova conferma nell'art. 54 dell'Atto del 
1979 relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ellenica, in base al 
quale quest'ultima � autorizzata a mantenere restrizioni ai trasferimenti 
attinenti al turismo, ma solo entro certi limiti e per un periodo che 

250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non va oltre il 31 dicembre 1985. Tale norma implica che, senza tale 
deroga, questi trasferimenti avrebbero dovuto essere immediatamente 
liberalizz�ti. 

d) Sulle misure di controllo dei trasferimenti di valuta. 

27. -L'ultimo aspetto del problema sollevato dalle presenti controversie 
� quello di stabilire se, ed eventualmente in quale misura, gli Stati 
membri abbiano mantenuto il potere di sottoporre i trasfel'imenti e pagamenti 
liberalizzati a misure di controllo da applicare ai trasferimenti di 
valuta. 
28. -Al riguardo, va innanzitutto precisato che la Hberail.izza2lione dei 
pagamenti stabilita dall'art. 106 obbliga gli Stati membri ad autorizzare 
i pagamenti a cui la norma stessa si riferisce nella moneta dello Stato 
membro in cui risiede il creditore ovvero il beneficiario. I pagamenti 
effettuati nella moneta di un paese terzo non rientrano quindi nella 
previsione di tale norma. 
29~ -Va poi rilevato che la precitata direttiva n. 63/340 precisa all'art. 
2 che ,j provvedimenti di liberalizzazione da essa disposti non limitano 
il diritto degli Stati membri di �verificare la natura e ll'autenticit� 
dei pagamenti�. Tale riserva sembra ispirata dalla circostanza che, all'epoca, 
i pagamenti relativi agli scambi di merci e servizi e i mov,imenti di 
capitali non erano ancora interamente liberalizzati. 

30. -Tuttavia, anche dopo la fine del periodo transitorio, tale liberalizzazione 
non � stata ancora realizzata integralmente. Le direttive del 
Consiglio contemplate dall'art. 69 del Trattato ai fini della realizzazione 
della libera circolzione dei capitali non hanno infatti ancora eliminato 
tutte le restrizioni in questo settore mentre l'art. 67 che stabilisce tale 
liberalizzazione va interpretato, come la Corte ha dichiarato nella sentenza 
11 novembre 1981 (causa 203/80, Casati, Racc. pag. 2595), nel senso 
che le restrizioni all'esportazione di banconote non possono intendersi 
soppresse anche dopo la scadenza del periodo transitorio, indipendentemente 
da quanto disposto dalle direttive emanate in applicazione dell'art. 
69. 
31. -Stando cos� le cose, gli Stati membri hanno mantenuto il potere 
di sottoporre i trasferimenti di valuta a controlli diretti a verificare se 
non si tratti in realt� di movimenti di capitali non liberalizzati. Tale 
potere � tanto pi� importante in quanto legato alla responsabilit� che gli 
Stati membri, a norma degli artt. 104 e 107 del Trattato, hanno nel settore 
monetario e che implica la facolt� di adottare i provvedimenti idonei ad 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

impedire fughe di capitali o altre analoghe speculazioni contro la loro 
moneta. 

32. -In caso di difficolt� o di gr�ve minaccia di difficolt� nella bilancia 
dei pagamenti di uno Stato membro, il Trattato contempla, agli artt. 108 e 
109, le misure da adottare e le procedure da seguire. Tali norme, che 
mantengono la loro funzione anche dopo la liberalizzazione completa 
dei movimenti di capitali, si riferiscono per� soltanto a periodi di crisi. 
33. -Al di fuori dei peri.odi di crisi e fino alla realizzazione totrule della 
libera circolazione dei capitali, va pertanto riconosciuto agli Stati membri 
il potere di controllare che trasferimenti di valuta che si asseriscono 
destinati a pagamenti liberalizzati non vengano deviati da tale scopo 
per essere utilizzati in funzione di movimenti di capitali non autorizzati. 
A tal fine, gli Stati membri hanno il diritto di verificare la natura 
e l'autenticit� delle operazioni o dei movimenti di cui trattasi. 
34. -Detti controlli debbono tuttavia rispettare i limiVi posti dal diritto 
comunitario ed in particolare quelli che derivano dalla :liberrulizzazione 
delle prestazioni di servizi e dei relativi pagamenti. Essi non possono 
quindi avere l'effetto di limitare i pagamenti ed i trasferimenti relativi 
alle prestazioni di servizi ad un certo importo per operazione o per 
periodo dato che costituirebbero in tal caso un intralcio alle libert� disposte 
dal Trattato. Tali controlli non possono neppure, e per lo stesso 
motivo, essere effettuati in maniera tale che, in pratica, queste libert� 
siano vanificate ovvero che il loro esercizio venga assoggettato alla discrezionalit� 
dell'amministrazione. 
35. -Tali constatazioni non ostano alla determinazione, da parte di 
uno Stato membro, di Jimiti forfettari entro i quali non venga effettuato aJcun 
controllo mentre, per le spese d'importo superiore, debba essere 
provata l'effettiva destinazione agli scambi di servizi, a condizione per� 
che l'importo forfettario non sia fissato in maniera tale da compromettere 
il flusso normale degli scambi di servizi. 
36. -Spetta al giudice nazionale determinare, nelle singole fattispecie, 
se i controlli sui trasferimenti di valuta all'esame in una controversia di 
cui esso sia investito rispettino i limiti cos� precisati. 
37. -Alla luce delle considerazioni precedentemente svolte, le questioni 
pregiudiziali possono essere risolte nel senso che all'art. 106 del Trattato 
va data la seguente interpretazione: 
-i trasferimenti a scopi di turismo, per viaggi d'affari o di studi 
e per cure mediche costituiscono pagamenti e non movimenti di capi



252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tali, anche quando sono effettuati mediante trasferimento materiale di 

biglietti di banca; 

-le restrizioni a tali pagamenti sono soppresse a partire dalla fine 

del periodo transitorio; 

-gli Stati membri mantengono il potere di controllare che i tra


sferimenti di valuta che si asseriscono destinati a pagamenti liberaliz


zati non siano in realt� utilizzati in funzione di movimenti di capitale 

non autorizzati; 

-tali controlli non possono avere l'effetto di limitare i pagamenti 

ed i trasferimenti relativi alle prestazioni di servizi ad un certo importo 

per operazione o per periodo, n� di vanificare le libert� stabilite dal 

Trattato, n� di assoggettare l'esercizio di queste alla discrezionalit� della 
, amministrazione; 

-tali controlli possono comportare la determinazione di limiti for


fettari entro i quali non vengano effettuati controlli mentre, per le 

somme di importo superiore, debba essere provata l'effettiva destina


zione agli scambi di servizi, a condizione per� che l'importo forfettario 

non sia fissato in maniera tale da compromettere il flusso normale degli 

scambi di servizi (omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 7 febbraio 1984, 
nella causa 166/82 -Pres. Mertens de WUmars -Avv. Gen. Reischl Commissione 
delle C.E. (ag. Montalto) c. Repubblica italiana (avv. 
Stato Braguglia). 

Comunit� europee -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati 
nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari -Regime nazionale 
dei prezzi alla produzione -Incompatibilit�. 

(Regolamento CEE del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804; legge 8 luglio 1975, n. 306, 
artt. 10 e 11). 

Adottando e mantenendo in vigore la legge 8 luglio 1975, n. 306 -che 
contempla la fissazione di un prezza uniforme del latte alla produzione 
da parte di una commissione nominata dalla pubblica autorit� o comunque 
contempla un qualsiasi intervento da parte di un'autorit� pubblica 
inteso a favorire la formazione consensuale di un prezzo uniforme 
-, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che ad 
essa incombono in forza del regolamento CEE del Consiglio 27 giugno 
1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del 
latte e dei prodotti lattiero-caseari. (1) 

(1) La precedente sentenza della Corte 6, novembre 1979, nella causa 10/79, 
ToFFOLI, � pubblicata in questa Rassegna, 1980, I, 41, con nota circa lo stato 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 253 

(omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 
4 giugno 1982, la Commissione delle Comunit� Europee ha presentato, 
in forza dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far constatare 
che la Repubblica italiana, adottando e mantenendo in vigore talune 
disposizioni della legge 8 luglio 1975, n. 306 (G. U. n. 194, del 23 luglio 
1975, pag. 5012), relative alla formazione del prezzo di vendita del latte 
alla produzione, � venuta meno agli obblighi che ad essa inc�mbono in 
forza del regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, � relativo alla 
organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti 
lattiero-caseari� (G. U. n. L 148, pag. 13). 

� 2. -In base agli artt. 8 e 9 della precitata legge italiana, il prezzo 
di vendita del latte alla produzione � fissato, per ciascuna annata agraria 
e per ciascuna regione, attraverso accordi tra le categorie professionali 
interessate (produttori, industrie di trasformazione e centrali del latte). 
Qualora le trattative dirette alla conclusione di tale accordo non siano 
state avviate in te.ipo utile e qualora una delle parti interessate ne faccia 
richiesta, spetta alla regione, a norma dell'art. 10, convocare queste 
ultime in vista della contrattazione per la determinazione del prezzo. 
Ai sensi della stessa norma, il prezzo convenuto viene pubblicato nel Bollettino 
ufficiale della regione e diviene cos� � vincolante per� le parti 
contraenti �. In mancanza di un accordo concluso secondo le modalit� 
dell'art. 10, l'art. 11 stabilisce che il prezzo � detenninato da una commissione 
speciale nominata con decreto del presidente della regione e 
comprendente rappresentanti delle parti interessate. La decisione della 
commissione � pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione e diviene 
cos� � vincolante tra le parti �. 

3. -La Commissione, ritenendo che tale sistema di determinazione 
e di pubblicazione del prezzo del latte alla produzione fosse in realt� 
una regolamentazione nazionale vincolante e incompatibile con la normativa 
comunitaria che istituisce l'organizzazione comune dei mercati nel 
settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, inviava alla Repubblica 
italiana, in applicazione dell'art. 169 del Trattato CEE, una lettera di 
messa in mora in data 28 luglio 1977. 
4. -Il Governo italiano rispondeva con lettera 4 novembre 1977 fa. 
cendo valere che il sistema introdotto dalla legge succitata mirava alla 
conclusione di accordi interprofessionali fra produttori e trasformatori 
attraverso contrattazioni collettive e che la pubblicazione nel Bollettino 
ufficiale della regione non aveva lo scopo di sancire il carattere coercitivo 
del prezzo convenuto. 
della giurisprudenza della Corte sui poteri residui degli Stati meinbri in 
materia di formazione dei prezzi di beni sottoposti ad una organizzazione 
comune di mercato. 

5 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

254 

5. -Nel frattempo, la Corte, risolvendo una questione pregiudiziale 
sollevata dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto nell'ambito 
di una controversia relativa all'applicazione dell'art. 11 della legge 
precitata, ha dichiarato, con sentenza 6 novembre 1979 (causa 10/79, Toffoli, 
pag. 3301), che la determinazione in via diretta o indiretta, da parte 
di uno Stato membro, del prezzo del latte alla produzione � incompatibile 
con l'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei 
prodotti lattiero-caseari istituita col predetto regolamento n. 804/68. In 
base al punto 12 della motivazione di tale sentenza: � Nei settori disciplinati 
da un'organizzazione comune dei mercati, a maggior ragione 
quando tale organizzazione si basi su un regime comune dei prezzi, gli 
Stati membri non possono pi� intervenire, con disposizioni nazionali 
adottate unilateralmente, nel processo di formazione dei prezzi disciplinati, 
per il medesimo stadio di produzione o di messa in commercio, 
da11'organizzazione comune. Di conseguenza, una legislazione nazionale intesa 
a promuovere ed a favorire la formazione, con qualsivoglia metodo, 
di un prezzo uniforme del latte alla produzione, consensualmente o d'autorit�, 
a livello nazionale o regionale, si situa di per s� stessa, al di 
fuori dell'ambito delle competenze riservate agli Stati membri e contrasta 
col principio della realizzazione di un prezzo indicativo alla produzione 
per il latte venduto dai produttori comunitari nel corso della 
campagna lattiera, compatibilmente con le possibilit� di smercio esistenti 
sul mercato della Comunit� e sui mercati esterni, principio posto 
dal regolamento n~ 804/68, in particolare dal. suo art. 3 �. 

6. -In seguito, il 26 maggio 1981, la Commissione notificava alla 
Repubblica italiana il parere motivato di cui all'art. 169 del Trattato, 
invitandola ad adeguarvisi nel termine di due mesi. In tale parere, la 
Commissione rinvia alla succitata sentenza di cui essa riporta i brani 
di cui sopra e conclude con la constatazione che, applicando il sistema 
di determinazione del prezzo di vendita del latte alla produzione istituito 
dalla legge n. 306/75, la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi che ad essa incombono in forza del Trattato. 
7. -Con telex 5 ottobre 1981, il Governo italiano comunicava alla 
Commissione il proprio impegno a presentare al Parlamento italiano 
un disegno di legge per l'abrogazione dell'art. 11 della legge n. 306/75. 
Il testo di tale progetto di legge veniva trasmesso alla Commissione 
con lettera del 19 novembre successivo. Nella sua redazione definitiva, 
esso era volto a sostituire la determinazione da parte della commissione 
regionale di cui all'art. 11 con un sistema di prezzi di riferimento, 
concordati fra le organizzazioni del settore interessato e la cui osservanza 
avrebbe costituito, per gli operatori, titolo di priorit� per beneficiare 
di aiuti nazionali o di crediti agevolati statali o regionali. 
t 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

8. -La Commissione, ritenendo che il sistema proposto dal progetto 
di legge di cui trattasi fosse tale da aggravare ulteriormente la 
trasgressione constatata nel parere motivato, invitava �.l Governo italiano, 
con lettera 9 marzo 1982, a sostituire il pi� rapidamente possibile il progetto 
di legge con una norma di abrogazione dell'art. 11 e ad astenersi, 
nelle more, dall'applicazione di questo. Essa lo invitava altres� ad adottare 
i provvedimenti necessari per evitare, nella pubblicazione dei prezzi 
del latte nei bollettini regionali, qualsiasi ambiguit� sul carattere di diritto 
privato della fissazione dei prezzi. 
9. -Con lettera 15 aprile 1982, il Governo italiano replicava alla 
Commissione mettendo in rilievo, fra l'altro, che il sistema previsto nel 
progetto di legge non conteneva elementi autoritativi ed ineriva perfettamente 
al libero mercato. 
10. -A seguito di tale scambio di lettere, la Commissione ha presentato 
il presente ricorso il 4 giugno 1982. Nell'atto introduttivo, essa 
J~a rip9rtato nuovamente il punto 12 della motivazione della succitata 
sentenza. Inoltre, essa ha preso in esame la corrispondenza riguardante 
il disegno di legge facendo valere che la semplice presentazione al Parlamento 
di un progetto di legge non basta a porre fine alla trasgressione, 
che il Governo italiano non aveva adottato alcun provvedimento 
atto a garantire la non applicazione dell'art. 11 della legge n. 306/75 in 
attesa della sua abrogazione formale e che la modifica proposta col disegno 
di legge non era tale da far venir meno la trasgressione. 
11. -Nel controricorso, il Governo italiano ha interpretato gli argomenti 
della Commissione nel senso che l'asserito inadempimento consisteva 
nel fatt<:> che la Repubblica italiana continuava a mantenere in 
vigore le disposizioni dell'art. 11 della legge n. 306/75 e non aveva adottato 
misure atte a garantirne, di fatto, la non applicazione in attesa dell'abrogazione 
formale. Al riguardo, il Governo ha sottolineato che detta 
norma aveva avuto solo scarsissima applicazione nella pratica e che il 
Ministero competente, sentite le Regioni e le organizzazioni professionali, 
aveva invitato le Regioni medesime a non pi� applicarla in futuro. 
Inoltre esso ha sostenuto che il disegno di legge esulava dalla presente 
controversia e non doveva quindi essere discusso in questa sede. 
12. -Nella replica, la Commissione non ha commentato la definizione, 
data dal Governo italiano, dell'inadempimento addebitato alla Repubblica 
italiana. Essa ha invece sostenuto che il presente ricorso riguarda 
anche il disegno di legge presentato al Parlamento italiano. Essa 
ha sostenuto che l'attivit� svolta da uno Stato membro nel corso della 
procedura di trasgressione in ordine alla materia che forma oggetto di 
quest'ultima e delle contestazioni formulate nel parere motivato, fa 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

256 

parte della causa petendi del giudizio instaurato in forza dell'ultimo 
comma dell'art. 169. 

13. -Nella controreplica, il Governo italiano ha riconosciuto che la 
Repubblica italiana ha trasgredito al diritto comunitario adottando e 
mantenendo formalmente in vigore il sistema contemplato all'art. 11 
della legge n. 306/75. Esso ha chiesto invece alla Corte di respingere, 
per il resto, il ricorso. 
14. -Nella risposta scritta ad un quesito rivoltole dalla Corte, la 
Commissione ha precisato che, per quanto concerne il testo attuale della 
legge di cui � causa, il ricorso fa riferimento agli artt. lO�e 11. Nel corso 
della fase orale, essa ha messo in rilievo che le disposizioni dell'art. 10 
relative alla convocazione delle parti e alla pubblicazione del prezzo 
convenuto comportano, a suo parere, da parte delle autorit� regionali, 
interventi incompatibili col diritto comunitario. Il Governo italiano, dal 
canto suo, ha sostenuto che il ricorso pu� riguardare soltanto l'art. 11. 
15. -Ne consegue che prima di esaminare la causa nel merito, la 
Corte deve pronunziarsi in ordine alla ricevibilit� delle domande della 
Commissione onde definire l'oggetto del ricorso. 
Sulla ricevibilit�. 

16. -A questo proposito, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza 
della Corte, l'oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell'art. 
169 del Trattato � stabilito dalla fase precontenziosa della procedura 
di trasgressione ivi contemplata nonch� dalle conclusioni del ricorso 
e che il parere motivato della Commissione ed il ricorso devono 
essere basati sui medesimi motivi e mezzi. 
17. -Tale constatazione basta ad escludere dalla controversia il 
progetto di legge destinato a sostituire l'art. 11 della legge n. 306/75. 
Tale progetto di legge, la cui trasmissione alla Commissione � successiva 
all'emanazione del parere motivato, non ha formato oggetto della 
fase precontenziosa e la Corte non pu� quindi prenderlo in esame nell'ambito 
del presente ricorso. 
18. -Invece non pu� trovare accoglimento la tesi del Governo italiano 
secondo cui il ricorso verte esclusivamente sull'art. 11 della legge 
n. 306/75, ad esclusione di ogni altra norma della stessa. 
19. -Secondo la formulazione della lettera di messa in mora, la 
trasgressione addebitata alla Repubblica italiana riguarda � le norme 
della legge italiana che prevedono la fissazione di prezzi del latte regionalizzati 
�. Nel parere motivato e nel ricorso, le conclusioni si riferiscono 
al � sistema di fissazione del prezzo di vendita del latte alla pro

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 

duzione istituto con legge n. 306/75 � e, nella parte introduttiva del ricorso, 
la Commissione determina l'oggetto del ricorso stesso nell'adozione 
e nel mantenimento in vigore di � determinate disposizioni della 
legge n. 306, dell'8 luglio 1975, relative alla formazione del prezzo di vendita 
del latte alla produzione �. Tali espressioni, pur non precisando, 
nella misura auspicabile, le norme nei cui confronti � diretta la procedura, 
indicano per� che l'oggetto di questa si estende oltre il solo art. 11. 

20. -Certo, a partire dalla comunicazione del disegno di legge alla 
Commissione, le discussioni fra le parti e gli argomenti addotti dalla 
Commissione si sono concentrati sull'art. 11 e sulle modifiche che lo 
stesso progetto era destinato ad apportare a tale norma. Tuttavia, il riferimento 
alla sentenza della Corte 6 novembre 1979, contenuto non solo 
nel parere motivato, ma anche nel ricorso, e, in particolare, le citazioni 
della motivazione di tale sentenza dimostrano che il ricorso non riguarda 
soltanto la determinazione autoritativa di cui all'art. 11, ma si estende 
alle altre norme della legge di cui � causa in quanto esse siano dirette 
a promuovere e favorire la formazione consensuale di un prezzo uniforme. 
21. -Il fatto che, nella replica, la �ommissione non si sia pronunciata 
sulle affermazioni del Governo italiano, formulate nel controricorso, 
concernenti il carattere limitato del ricorso, non basta per constatare 
che la Commissione ha effettivamente ridotto l'oggetto del giudizio 
in conformit� a tali asserzioni. 
22. -Stando cos� le cose, deve ritenersi che il ricorso riguardi, 
quanto alla legge italiana in vigore, l'art. 11 nonch� l'art. 10 in quanto 
quest'ultimo contempla la convocazione delle parti interessate da parte 
della regione e la pupblicazione del prezzo convenuto nel Bollettino uf� 
ficiale della regione. Vanno pertanto prese in esame le censure della 
Commissione nei confronti di queste norme mentre, per il resto, il ricorso 
va respinto. 
Sul merito. 

23. -Nella precitata sentenza 6 novembre 1979, la Corte ha dichiarato 
che una legge nazionale intesa a promuovere e a favorire la formazione, 
con qualsivoglia metodo, di un prezzo uniforme del iatte alla 
produzione, consensualmente o d'autorit�, a livello nazionale o regionale, 
si situa, di per se stessa, al di fuori dell'ambito delle competenze 
riservate agli Stati membri e contrasta col principio della realizzazione 
di un prezzo indicativo alla produzione per il latte venduto dai produttori 
comunitari, principio posto dal regolamento n. 804/68, in particolare 
dal suo art. 3. Gli argomenti addotti dal Governo italiano durante 
il presente procedimento non sono tali da modificare tale interpretazione 
delle norme comunitarie. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

24. -Dalla suddetta interpretazione consegue che l'art. 11 della 
legge n. 306/75, che contempla la fissazione di un prezzo uniforme del 
latte alla produzione da parte di una commissione nominata con decreto 
del presidente della regione interessata, costituisce una trasgressione al 
diritto comunitario. Deve aggiungersi che n� il fatto che tale norma 
abbia avuto, nella pratica, scarsissima applicazione, n� l'esistenza di 
un'intesa fra autorit� centrali e regionali per non dare pi� applicazione 
alla disposizione di cui trattasi, valgono, come lo stesso. Governo italiano 
ha d'altronde ammesso, a far venir meno tale trasgressione. 
25. -Per gli stessi motivi, il diritto comunitario osta ad ogni norma 
di legge che contempli un qualsiasi intervento da parte di un'autorit� 
pubblica, nazionale o regionale, inteso a promuovere e a favorire la 
formazione consensuale di un prezzo uniforme del latte alla produzione. 
Tale � effettivamente il caso delle disposizioni dell'art. 10 che contemplano 
la convocazione delle parti a cura della regione e la pubblicazione 
obbligatoria del prezzo convenuto nel Bollettino ufficiale della regione. 
26. --: Va pertanto constatato che, adottando e mantenendo in vigore 
la legge 8 luglio 1975, n. 306, la Repubblica italiana � venuta meno 
agli obblighi che ad essa incombono in forza del regolamento del Consiglio 
27 giugno 1968, n. 804, �relativo all'organizzazione comune dei 
mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari � in quanto 
l'art. 10 della legge predetta stabilisce che la regione convochi le parti 
interessate al fine di trattare la determinazione del prezzo del latte alla 
produzione e che il prezzo convenuto venga obbligatoriamente pubblicato 
nel Bollettino ufficiale della regione, nonch� in quanto l'art. 11 stabilisce 
che, in mancanza di accordo, il prezzo venga determinato da una 
commissione nominata dal presidente della regione. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 29 febbraio 
1984, nella causa 77/83 -Pres. Koopmans -Avv. Gen. Mancini -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione 
italiana nella causa s.r.l. C.I.L.F.I.T. ed altre (avv. Scarpa) c. Ministero 
Sanit� -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Laporta) e 
Commissione delle C. E. (ag. Campogrande). 

Comunit� europee -Agricoltura -Prodotti elencati nell'allegato II del 
Trattato CEE -Lane -Esclusione. 
(Trattato CEE, art. 38; regolamento CEE del Consiglio 28 giugno 1968, n. 827, art. 1; 
tariffa doganale comune, capitoli 5 e 53). 

L'espressione �ex 05.15 B, prodotti di origine animale, non nominati 
n� compresi altrove� contenuta nell'allegato del regolamento del 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 259 

Consiglio 28 giugno 1968, n. 827, �relativo all'organizzazione comune 
d�i mercati per taluni prodotti elencati nell'allegato II del Trattato'" 
non comprende le lane (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 22 febbraio 1983, pervenuta alla Corte 
il 3 maggio successivo, la Corte Suprema di Cassazione ha proposto, in 
forza dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa 
all'interpretazione del regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 827 
�relativo all'organizzazione comune dei mercati per taluni prodotti elencati 
nell'allegato II del Trattato� (G. U. n. L 151, pag. 16). 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di un'azione intentata 
dalla societ� C.I.L.F.I.T. e da altre 54 societ� importatrici di lana 
aventi sede in Italia al fine di ottenere il rimborso di somme da esse 
versate a titolo di diritti per visita sanitaria. Le attrici nella causa principale 
hanno sostenuto che la legge italiana in materia di diritti per visita 
sanitaria non pu� applicarsi alle importazioni di lane da paesi terzi 
in quanto tali merci sono state assoggettate ad un'organizzazione comune 
di mercato dal regolamento n. 827/68 il cui art. 2 stabilisce il divieto, 
negli scambi con i paesi terzi, della riscossione di qualsiasi tassa 
di effetto equivalente a un dazio doganale. 
3. -Il regolamento n. 827/68 si applica, a norma dell'art. l, ai prodotti 
elencati nell'allegato al regolamento stesso fra i quali i � prodotti 
di origine animale, non nominati n� compresi altrove� (voce ex 05.15 B). 
Il giudice nazionale vuole stabilire se le lane rientrino in questa categoria 
di prodotti. 
4. -Nei considerandi del regolamento n. 827/68 viene constatato 
che sono state istituite organizzazioni comuni di mercato che comportano 
meccanismi specifici per numerose categorie di prodotti elencati 
nell'allegato II del Trattato e che � altres� opportuno adottare, nell'ambito 
di un'organizzazione comune di mercato, le necessarie disposizioni 
(<1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano e sostenuta 
dall'Amministrazione della sanit� nella causa pendente davanti al giudice nazionale. 
In tale causa la Corte di cassazione, invitata dalla difesa dell'Amministrazione 
a decidere direttamente la questione circa la qualificazione del prodotto, in 
quanto le circostanze di fatto erano di un'evidenza tale da escludere la possibilit� 
stessa di ipotizzare un dubbio interpretativo, poneva un primo quesito 
al giudice comunitario per conoscere i limiti dell'obbligo imposto dall'art. 177 
del trattato al giudice nazionale di ultimo grado di richiedere il giudizio 
interpretativo della Corte di giustizia. La Corte di giustizia, con sentenza 
6 ottobre 1982, nella causa 283/81 (in questa Rassegna, 11983, I, 47, con nota 
di LAPORTA, Manifesta infondatezza di questioni e rinvio pregiudiziale alla Corte 
di giustizia delle C.E.) precisava che tale obbligo non sussiste qualora il 



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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al fine di instaurare un mercato unico per tutti gli altri prodotti di cui 
al suddetto allegato. 

5. -Ne consegue che il regolamento mira ad istituire un'organizza. 
zione comune di mercato per i prodotti di cui all'allegato Il del Trattato 
'non 
ancora disciplinati da altre organizzazioni comuni. L'allegato Il 
comprende, in conformit� all'art. 38, n. 3, del Trattato, l'elenco dei prodotti 
soggetti agli artt. 39-46 del Trattato relativi alla politica agricola 
comune. 

6. -Bench� quindi l'art. 1 del regolamento stabilisca che ['organizzazazione 
comune da esso istituita disciplina i prodotti elencati nell'allegato 
al regolamento stesso, e tale allegato contenga, fra l'altro, la seguente 
designazione: � prodotti di origine animale, non nominati n� compresi 
altrove, animali morti del capitolo 1, non atti all'alimentazione 
umana� (voce ex 05.15 B), tali espressioni non possono per� assumere 
un significato diverso da quello che hanno all'allegato Il del Trattato 
in cui pure esse figurano. 
7. -In mancanza di disposizioni comunitarie che chiariscano le 
nozioni di cui all'allegato Il del Trattato, e tenuto conto del fatto che 
questo allegato riproduce esattamente determinate voci della tariffa 
doganale comune, � opportuno rifarsi, per l'interpretaziqne di detto allegato, 
alle interpretazioni consolidate e ai metodi di interpretazione 
sanciti �in ordine alla tariffa doganale comune. Le stesse denominazioni 
dell'allegato Il si riferiscono, d'altro canto, alle voci e sottovoci di tale 
tariffa per identificare i prodotti elencati. 
8. -Il capitolo 5 della tariffa doganale comune, al quale appartiene 
la sottovoce 05.15 B di cui � causa, fa parte della Sezione I della tariffa, 
� animali vivi e prodotti del regno animale �, che comprende, fra l'altro, 
gli animali vivi, le carni, i pesci, i crostacei e molluschi, il latte e derigiudice 
nazionale constati che la questione di diritto comunitario sollevata in 
causa non � pertinente o che la �disposizione comunitaria di cui � causa ha 
gi� costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia ovvero 
che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza 
da non lasciare adito a ragionevoli dubbi, avvertendo, peraltro, che � la configurabilit� 
di tale eventualit� va valutata in funzione delle caratteristiche 
proprie del diritto comunitario, delle particolari difficolt� che la sua interpretazione 
presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all'interno della 
Comunit��. Avuti questi chiarimenti, la Corte di cassazione si � nuovamente 
rivolta alla Corte di giustizia, dando corso alla causa risolta con la sentenza 
annotata, osservando che il giudizio interpretativo del giudice comunitario 
doveva essere nella specie richiesto in quanto la corretta applicazione dei 
diritto comunitario alla questione dedotta in causa non si imponeva con una 
<;vicienza tale da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

vati del latte nonch� gli � altri prodotti d'origine animale, non nominati 
n� compresi altrove �; questi ultimi prodotti rientrano nel capitolo 
5 e comprendono, fra gli altri, i capelli greggi, gli avanzi di pesci, 
l'avorio e le spugne naturali. Le lane sono comprese nel capitolo 53, 
� lana, peli e crini �, che fa parte della Sezione XI, � materie tessili e 
loro manufatti �. 

9. -Onde escludere qualunque rischio di equivoci sulla classificazione 
tariffaria della lana, la nota 1 del capitolo 5 stabilisce che tale 
capitolo non comprende � le materie prime tessili di origine animale, 
esclusi il crine e i cascami di crine (Sezione XI) �. 
10. -Pertanto, la sottovoce 05.15 B della tariffa doganale comune 
non comprende le lane alle quali, di conseguenza, non pu� riferirsi la 
espressione: � ex 05.15 B, prodotti di origine animale, non nominati n� 
compresi altrove� che figura nell'allegato II del Trattato e nell'allegato 
al regolamento n. 827/68. 
11. -Le attrici nella causa principale hanno messo in rilievo che 
un'interpretazione da cui derivasse l'esclusione delle lane dall'ambito 
di applicazione dell'allegato II, e quindi degli artt. 39-46 del Trattato, 
rischierebbe di trascurare la portata dell'art. 38, n. l, del Trattato, a 
norma del quale il mercato comune si estende ai prodotti agricoli, cio� 
a tutti i prodotti del suolo, dell'allevamento e della pesca, come pure 
ai prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione 
con tali prodotti. Le lane farebbero indubbiamente parte di quest'ultima 
categoria, il che richiederebbe un'interpretazione dei regolamenti 
agricoli tale da consentire di far rientrare le lane nelle organizzazioni 
comuni di mercato. 
12. -Il Governo italiano e la Commissione hanno tuttavia giustamente 
fatto valere che, bench� l'art. 38, n. 1, dia una definizione generale 
della nozione di � prodotti agricoli �, la stessa norma, al n. 3, stabilisce 
espressamente che le disposizioni del Trattato relative alla politica 
agricola comune si applicano ai prodotti enumerati nell'elenco che 
costituisce l'allegato II del Trattato. Tuttavia, nel termine di due anni 
a decorrere dall'entrata in vigore del Trattato, il Consiglio poteva aggiungere 
altri prodotti al suddetto elenco: nel fare ci�, il Consiglio era 
tenuto a restare nell'ambito della definizione generale dei prodotti agricoli 
quale figura all'art. 38, n. 1. 
13. -La questione� sollevata va quindi risolta nel senso che l'espressione 
� ex 05.15 B, prodotti di origine animale, non nominati n� compresi 
altrove � di cui all'allegato del regolamento n. 827/68 non comprende 
le lane. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
IN MATERIA DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 marzo 1984, n. 1740 � Pres. Gambogi 
-Rel. Sammartino -P. M. Sgroi -Ferrovie dello Stato (avv. 
Stato Sernicola) c. Lorusso. 

Giurisdizione civile � Ferrovie dello Stato � Interventi straordinari � 
Riserva di forniture a favore di ditte meridionali � Posizione soggettiva 
� Natura � Programma di interventi non ancora adottati � 
Interesse legittimo -Esclusione . Difetto assoluto di giurisdizione. 

La legge 14 agosto 1974, n. 377, nel prevedere un programma di interventi 
straordinari per il potenziamento della rete delle Ferrovie dello 
Stato e nel riservare una quota di forniture agli stabilimenti dell'Italia 
meridionale e insulare (art. 6), non stabilisce alcun collegamento fra 
l'azienda ferroviaria e le situazioni dei singoli imprenditori meridionali 
in modo da attribuire a tali situazioni una tutela giuridica anche indiretta, 
almeno fino a quando un programma di interventi sia divenuto 
valido ed efficace individuando, insieme con le opere da svolgere, i 
reali bisogni dell'Azienda; con la conseguenza che in mancanza di tale 
programma la posizione soggettiva dell'imprenditore meridionale non 
trova nella legge alcuna rilevanza giuridica. (1) 

(omissis) Nel ricorso si sostiene che �la ditta Lorusso, non invitata 
ad alcuna gara e neppure iscritta nell'albo delle ditte tra le quali 
l'Azienda ferroviaria procede ad una scelta ai fini della diramazione 
degli inviti anche quando si tratta di gare a carattere nazionale � non 
pu� reputarsi � titolare n� di un diritto soggettivo, n� di un interesse 
legittimo per .il solo fatto della presentazione di un'offerta di fornitura 
di materiale ferroviario� (che peraltro non risulta mai pervenuta); inf�tti 
le norme della legge n. 377 del 1974 non escludono l'applicabilit� 
delle disposizioni suUa contabilit� generale dello Stato, le quali, prescrivendo 
alle Amministrazioni statali l'adozione di determinate procedure 
per la scelta dei contraenti, non attribuiscono posizioni giuridicamente 
tutelabili a coloro che aspirano ad entrare in trattative con le amministrazioni 
stesse. 

(1) Interpretazione esatta che trova conforto nei principi generali e nello 
esame analitico delle singole norme di legge, ampiamente motivate. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Comunque, conclude la ricorrente, � appare evidente che l'interesse 
della ditta Lorusso potrebbe, se mai, esser considerato quale interesse 
legittimo, la cui tutela compete esclusivamente agli organi della giurisdizione 
amministrativa ed ignora il risarcimento del danno�. 

La prima tesi merita senz'altro d'essere condivisa, anche se con motivazione 
pi� completa; conseguentemente � assorbita la tesi subordinata. 


La domanda del Lorusso, valutata alla stregua della situazione allegata 
a suo fondamento, muove da un'interpretazione letterale dell'art. 6, 
secondo comma, della legge n. 377 del 1974, in base alla quale la prescrizione 
che ha addossato all'Azienda ferroviaria l'obbligo di riservare 
agli stabilimenti industriali dell'Italia meridionale ed insulare una quota 
delle forniture e delle lavorazioni occorrenti per le costruzioni e per 
le opere destinate alla realizzazione di un programma di interventi preVisti 
dalla legge stessa, � da intendere cos� come � scritta. Infatti solo 
se si adotta tale interpretazione e se ne tragga la duplice conseguenza 
che di vero e proprio obbligo si tratti e che. esso giovi immediatamente 
ed indistintamente a tutti i produttori meridionali di materiale ferroViario, 
pu� spiegarsi perch� l'attore ritenga sufficiente addurre a fondamento 
delle sue richieste la propria qualit� di appartenente a quella 
categoria imprenditoriale e trascuri sia di impugnare specificamente 
una delle procedure attraverso le quali l'Amministrazione convenuta 
avrebbe provveduto a reperire i suoi fornitori, sia di dare ragguagli sulla 
esistenza di un programma di interventi contenente indicazioni sui bisogni 
dell'azienda e sul modo di soddisfarli. Questa impostazione � palesemente 
superficiale ed errata. 

g superficiale, perch� l'art. 12, primo comma, delle disposizioni sulla 
legge in generale prescrive di dare alle proposizioni normative il senso 
� fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione 
di esse, e dalla intenzione del legislatore � e cos� rende chiaro che 
l'interpretazione letterale (basata sulla pura e semplice terminologia) 
deve essere sempre seguita da quella logico-sistematica (volta a cogliere, 
cio�, il contenuto del precetto dall'intera formula usata per esprimerlo 
e dall'inserimento di esso nel sistema in cui � destinato ad operare). 

g errata, perch� appunto un'indagine di tal genere dimostra che 
la legge �n. 377, ove se ne eccettui l'art. 13, si caratterizza bens� per una 
particolare attenzione verso i bisogni dell'industria meridionale ed insulare, 
ma non innova il sistema di contrattazione delle Amministrazioni 
statali, n� tanto meno appresta immediatamente alcuna tutela giuridica 
agli interessi particolari dei singoli operatori. 

Codesta tutela non potrebbe essere altra che quella propria alternativamente 
del diritto soggettivo, oppure dell'interesse legittimo, le quali 
-come � noto -sono categorie giuridiche enucleate per distinguere 
le posizioni soggettive che l'ordinamento fa oggetto di una peculiare 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

264 

considerazione, differenziandole cos� dalle situazioni nelle quali versano 
tutti gli altri soggetti, i cui interessi considera invece irrilevanti singolarmente 
e conglobati in quelli generali dell'intera collettivit� nazionale, 
oppure di parti di essa (interessi locali, di categoria, di settore, ecc.). 
Appunto e soltanto nella valutazione, da parte dell'ordinamento, della 
rilevazione fra soggetto e bene risiede la ragione per cui il diritto viene 
protetto in via esclusiva e diretta mediante imposizione di doveri ed 
obblighi a coloro verso i quali esso si esercita, e predisposizione, in caso 
di offesa, di misure ripristinatorie e risarcitorie e l'interesse legittimo 
abilita il titolare a pretendere nei propri confronti l'adeguamento dell'autorit� 
amministrativa alla legge e a chiedere l'annullamento del provvedimento 
.emanato in dispregio della legge stessa; l'interesse semplice 
pu� tutt'al pi� consentire la proposizione di reclami. 

Ma che la legge in esame non stabilisce alcun immediato collegamento 
fra l'Azienda ferroviaria e le situazioni dei singoli imprenditori 
me:ddionali, emerge gi� da:l fatto che essa, come appropriatamente informa 
il suo titolo, ha recato un � programma di interventi straordinari 
,per l'ammodernamento e il potenziamento della rete ferroviaria dello 
Stato (nonch� con l'art. 13, la marginale eliminazione della menzione 
dell'aviazione civile dalla denominazione del Ministero dei trasporti). 

Infatti, il suo contenuto si compendia nella duplice previsione: a) di 
un piano poliennale di sviluppo della rete ferroviaria statale, da pre� 
sentare al Parlamento ad opera del Minister? e � da definire in sede 
di programma economico nazionale, nel contesto delle misure intese a 
superare gli squilibri settoriali e territoriali del Paese� (art. 1, primo 
comma); b) di �un programma di interventi straordinari concernente 
opere e forniture per l'importo complessivo di lire 2.000 miJiarcli � (art. 
cit., secondo comma). 

E poich� alla realizzazione di questa pi� limitata ma pi� immediata 
prospettiva sono dedicati tutti i successivi articoli -escluso l'art. 13, 
gi� menzionato -e quindi anche l'art. 6, al cui secondo comma si 
appella l'attore, � opportuno aggiungere che la riserva di commesse a 
favore degli imprenditori meridionali doveva essere effettuata in sede 
di realizzazione di un progetto generale valevole per gli anni 1975-1980 
e a sua volta suscettibile di articolazione, a norma dell'art. 3, �in piani 
parziali redatti distintamente per i due settori di intervento di cui al~ 
l'art. 2 � (ossia per gli impianti fissi e per il materiale rotabile); che tale 
progetto era assoggettato al duplice esame di una commissione consultiva 
interregionale e del consiglio di amministrazione dell'Azienda, nonch� 
all'approvazione del Ministro dei trasporti, di concerto con i Ministri 
per il bilancio e per il tesoro , -chiamati tutti ad approvare anche i 
piani parziali (art. 3); che i progetti esecutivi di costruzioni-edilizie dovevano 
essere trasmessi � prima della loro formale adozione, al sindaco 
territorialmente interessato� (art. 9); che l'Azienda doveva provvedere 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

al finanziamento della spesa mediante operazioni di credito (artt. 4 e S); 
che � il programma e gli eventuali� piani parziali dovevano essere � comunicati 
al Parlamento prima dell'emanazione dei relativi decreti � (art. 3, 
quarto comma); che, infine, il Ministro per i trasporti doveva dare � comunicazione 
ogni anno, in allegato al bilancio di previsione dell'Azienda 
ferroviaria, dello stato di attuazione del programma al 31 dicembre dell'anno 
precedente quello di presentazione di detto bilancio� (art. 3, quinto 
comma). 

Queste disposizioni attestano, in primo luogo, che qualsiasi speranza 
degli imprenditori meridionali ed insulari di ottenere commesse dalle 
Ferrovie dello Stato avrebbe potuto trovare un appiglio non direttamente 
nella legge -come sembra credere l'attore -bens� nell'esistenza di un 
programma valido ed efficace, il quale in applicazione delle direttive 
generali contenute nella legge stessa e quindi osservandone i limiti di 
oggetto e di tempo, avesse individuato, insieme alle opere da effettuare 
anno per anno nel Mezzogiorno, anche i reali bisogni di materiali e di 
lavoro dell'Azienda. Senza tale programma non sarebbe stato possibile 
alcun intervento giurisdizionale, perch� nessun giudice pu� stabilire se 
ed in qual misura il materiale offerto dagli imprenditori occorresse all'Amministrazione, 
determinare i tempi iti cui questa era tenuta a provvedersene, 
fissare le somme spendibili nei singoli anni e cos� via; il tutto 
prescindendo dall'effettiva disponibilit� dei fondi e da ogni controllo 
sia amministr!-tivo 
\ 
che politico, cio� prescindendo completamente dal 
sistema che proprio la legge n. 377 ha voluto introdurre. 

Di qui una prima ragione per ritenere che l'azione del Lorusso appare 
non tanto intempestiva per essere preordinata a difendere un interesse 
(esistente, ma) non ancora leso -profilo, codesto, che riguarda l'accertamento 
di una condizione di proponibilit� in concr~to della .domanda, 
ma non la giurisdizione -, quanto appoggiata ad una fattispecie che 
cos� come � presentata nell'atto introduttivo della lite, non trova nell'ordinamento 
quella minima rispondenza che sia sufficiente ad attribuire 
all'attore, sia pure in via d'ipotesi, una posizione giuridicamente 
rilevante. 

Donde il difetto assoluto di giurisdizione, vale a dire la sicura esclusione 
che si abbia materia per un qualsiasi giudizio. 

Ma la conclusione non sarebbe diversa ove, nelle pieghe del non 
chiaro ricorso al Pretore potesse ravvisarsi l'implicita allegazione dell'esistenza 
attuale di un programma di interventi, in esecuzione del quale 
l'Amministrazione convenuta avrebbe gi� formulato alcune richieste di 
forniture alle industrie del Nord, anzich� a quelle del Sud. 

Gi� il riferimento agli � stabilimenti � e non agli imprenditori d� 
l'impressione che il legislatore abbia tenuto presente l'economia meri



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

266 

dionale nella sua consistenza oggettiva, piuttosto che in quella soggettiva. 
Certo �, comunque, che quel riferimento � di per s� tanto ampio 
da comprendere tutte indistintamente le imprese meridionali ed insulari, 
sicch�, se fosse preso alla lettera, imporrebbe di ritenere che � tutte � 
siano state legittimate a pretendere la stipulazione di contratti (ipotesi 
del diritto soggettivo, postulata dal Lorusso), o quanto meno ad entrare 
in trattative con l'Azienda, alla quale sarebbe rimasto dunque, un certo 
potere di scelta, esercitabile secondo i canoni della buona amministrazione 
(ipotesi dell'interesse legittimo). 

La prima prospettazione � palesemente assurda, in quanto implica, 
per coerenza con i caratteri del diritto soggettivo, ma in contrasto col 
buon senso e con tutti i princ�pi dell'azione amministrativa, che ciascun 
imprenditore avrebbe potuto imporre alle Ferrovie dello Stato di riceversi, 
sia pure � pro quota � in rapporto alla quantit� preventivata nel 
piano, il materiale prodotto dalla sua industria, con l'effetto di provocare 
una tale frantumazione delle forniture da rendere inattuabile il 
piano stesso, prima che antieconomica l'intera gestione dell'operazione. 

Meno peregrina appare invece ,a prima vista la seconda ipotesi, anche 
perch� nella vasta legislazione di favore per il Meridione d'Italia e per 
le Isole sono rintracciabili, accanto a norme rivolte solo al perseguimento 
di interessi generali, norme che tendono a soddisfare insieme a questi 
pure interei;si individuali: basti pensare all'autorizzazione all'esecuzione 
di impianti, di cui all'art. 14, 1. 6 ottobre 1971, n. 853, nonch� ai molteplici 
incentivi, sussidi ed agevolazioni previsti per nuove costruzioni o per 
l'inizio di attivit� economiche. Tuttavia, un esame pi� accurato rivela 
che mentre in tali fattispecie il beneficio pu� essere conseguito immediatamente 
da chiunque si trovi nelle condizioni astrattamente poste 
dalle leggi e concretamente verificate dall'autorit� amministrativa competente, 
nel caso in oggetto, invece, non basta la produzione di ma,teriale 
ferroviario per conferire agli imprenditori meridionali neppure un interesse 
legittimo alla riserva delle commesse, quasi che a loro favore 
fosse stato disposto una sorta di modus per atto legislativo. 

Esiste ed � ampiamente riconosciuta dall'ordinamento una esigenza 
di preventiva individuazione e selezione dei fornitori delle amministrazioni 
pubbliche, specie di quelle statali, in quanto non � rinunciabile 
(art. 97 Cost.) il duplice scopo di assicurare l'imparzialit� dell'azione 
amministrativa e la possibilit� di assegnare i cont11atti a coloro che diano 
affidamento di eseguirli puntualmente. Perci� norme legislative e regolamentari 
impongono alle Amministrazioni dello Stato non solo di adottare 
apposite procedure per addivenire alla stipulazione dei contratti, 
ma anche di trattare con gli imprenditori iscritti in appositi albi (r.d. 
18 novembre 1923, n. 2440 e successive modificazioni; r.d. 23 maggio 1924, 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

n. 827; legge 10 febbraio 1962, n. 57; legge 29 marzo 1965, n. 203; ecc.). 
Per di pi�, l'applicabilit� di codesta legislazione al caso in esame � dimostrata 
specificamente dal fatto che la prescrizione dell'art. 6, secondo 
comma, della legge del 1974 � analoga a quelle inserite in altre leggi 
con le quali si � provveduto, prima e dopo di essa, alle costose e sempre 
innovantesi esigenze delle strade ferrate statali (v. agli artt. 9, legge 27 aprile 
1962, n. 211; 7, legge 6 agosto 1967, n. 688; 7, legge 28 marzo 1968, n. 374; 
5, legge 18 agosto 1978, n. 503; 6, legge 12 febbraio 1981, n. 17) ed alle 
quali solo di recente sono state accompagnate in norme particolari sulle 
modalit� di scelta dei contraenti, cos� confermandosi per il periodo anteriore 
e per ogni altro aspetto la vigenza delle regole generali (ad esempio, 
l'art. 7 della legge n. 503 del 1978 ha prescritto all'Azienda di ricorrere 
alla licitazione privata e le ha dato facolt� di adottare nei relativi 
procedimenti le forme di pubblicit� che le sembrano pi� idonee; di tale 
pubblicit� si � occupato il d.m. 7 marzo 1979, mentre l'art. 7 della legge 
n. 7 del 1981 ha aggiunto la previsione di una preventiva selezione di 
qualificazione; il d.m. 30 gennaio 1982 ha dettato i criteri per la determinazione 
di tale qualificazione). 
Ed allora, se con questo sistema va necessariamente coordinata la 
riserva di commesse a favore degli imprenditori meridionali, � inevitabile 
la conclusione che detta riserva costituiva una regola di condotta 
dell'Azienda per il tempo in cui questa.avrebbe dato corso alle procedure 
di selezione dei fornitori, sicch� in esse trovava il proprio naturale ed 
esclusivo ambito di applicazione. A ci� consegue che: a) prima di quel 
momento, gli imprenditori meridionali ver-savano in una situazione di 
mera attesa, rilevante essenzialmente sul piano poliDico, come � svelato 
anche dalla previsione del controllo parlamentare di cui all'art. 3, quinto 
comma; b) che, comunque, se pure si volesse ammettere la possibilit� 
di un qualunque rimedio individuale all'inerzia dell'Azienda nell'avviare 
le negoziazioni, esso sarebbe spettato esclusivamente a quegli imprenditori 
che fossero stati, oltre che produttori nel Sud di materiale ferroviario, 
legittimati a rifornirne l'Azienda stessa; e) che, infine, di lesione 
di interessi legittimi avrebbe tutt'al pi� potuto discutersi -ma non 
interessa qui stabilire con quale risultato -in riferimento all'esclusione 
di uno di tali fornitori dalle procedure di negoziazione, esclusione che 
costituiva l'att�> di impugnare nella competente sede giurisdizionale. 

Al di fuori di tali ipotesi si p�ne invece l'iniziativa del Lorusso, 
anche a riconoscerne, come presupposto, l'esistenza di un piano di interventi 
gi� esecutivo; in quanto egli ha accampato -ripetesi -soltanto 
la propria qualit� di industriale meridionale ed ha formulato nulla pi� 
di meri sospetti su imprecisate richieste di forniture da parte della 
convenuta ad imprese del Nord. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 30 marzo 1984, n. 2142 -Pres. Nocella 
-Rel. Cecioni -P. M. Nicita -Ministero del Tesoro, Ufficio Liqui-. 
dazioni (avv. Corti) c. Prezza. 

Procedimento civile -Ente in liquidazione � Assunzione della liquida


zione da parte del Ministero del Tesoro � Foro dello Stato -Appli� 

cabilit�. 

In base alle norme concernenti il foro dello Stato, se vero � che 
l'ente soppresso (nella specie, I.N.A.M.) sopravvive fino all'espletamento 
della relativa liquidazione, non men vero � che l'attivit� di liquidazione, 
i cui effetti hanno formale imputabilit� all'ente soppresso ed al relativo 
autonomo patrimonio, resta tuttavia, in se stessa, attivit� diretta 
ed immediata dello Stato, atteso che nel patrimonio di questo andranno 
a rifluire gli effetti della liquidazione, la cui gestione viene dallo Stato 
assunta nel proprio ed esclusivo interesse, con la conseguenza che quando 
lo Stato agisce o si costituisce in causa per una vertenza concernente 
il patrimonio dell'ente soppresso e di cui abbia assunto la gestione, 
specie quando la soppressione dell'ente si verifichi � ope legis � e la gestione 
della relativa liquidazione sia assunta dallo Stato, il medesimo 
si costituisce in causa in relazione ad una attivit� sua propria e nel suo 
esclusivo interesse, s�. che non pu� essergli negata la qualifica, spettantegli 
sia formalmente che sostanzialmente, di parte in causa, indipendentemente 
dall'essersi radicata la controversia prima o dopo l'assunzione 
della gestione della liquidazione da parte dello Stato (1). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 aprile 1984, n. 2148 � Pres. Mazzacane 
-Rel. Onnis -P. M. Fabi -Ministero della Difesa (avv. Stato 
Cerocchi) c. I.N.P.S. e Fioravanti. 

Giurisdizione Civile -Impiego pubblico � Forma contrattuale. -Irrilevanza 
-Sussistenza carattere pubblicistico -Presupposti. 

Non giova ad escludere un rapporto dall'area di pubblico impiego 
la circostanza che la sua costituzione sia avvenuta in forma contrattuale 
con pi� convenzioni di durata determinata, comportanti prestazioni 
denominate di lavoro autonomo, ove da tali atti, periodicamente 
rinnovati nel tempo, emerga, a prescindere dalla forma e dalle definizioni 
giuridiche adottate, l'inequivoca volont� dell'amministrazione di utilizzare 
continuativamente le prestazioni del soggetto, verso una prefis


(1) Massima esatta. Cfr., da un punto di vista generale, Il contenzioso 
dello Stato 1976-80, III, 866 e segg. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI PI GIURISDIZIONE 269 

sata retribuzione ed in regime di sostanziale subordinazione, e nell'ambito 
della propria organizzazione pubblicistica e per il perseguimento 
dei propri fini istituzionali. 

La provvisoriet� del rapporto non esclude d'altro canto la sua natura 
pubblicistica: l'elemento della continuit� che caratterizza il rapporto 
di impiego pubblico non va confuso con quello della stabilit�, che 
� proprio soltanto dei dipendenti di ruolo; pertanto esso sussiste anche 
quando l'assunzione sia stata temporanea ed il rapporto sia stato formalmente 
frazionato in pi� periodi determinati, purch� l'attivit� lavorativa 
sia stata svolta non gi� in modo saltuario od occasionale ma in 
guisa tale da assicurare con regolarit� il conseguimento delle finalit� cui 
essa � preordinata mediante la disponibilit� correlativamente assicurata 
dal prestatore di lavoro (1). 

(1) Giurisprudenza ormai costante: cfr. Sez. Un., 23 aprile 1982, n. 2508; 
17 novembre 1978, n. 5377; Sez. Un., 26 aprile 1979, n. 2403; 7 ottobre 1977, n. 4266. 
6 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 18 gennaio 1984, n. 433 -Pres. Santilli 
-Est. Baldassarre -P. M. Valente (concl. conf.) -Ministero della 
Difesa (avv. Cosentino) c. Cannata Giuseppe (avv. N. Caminiti). 

Previdenza -Ufficiali di complemento -Richiamo in servizio temporaneo Cessazione 
dal servizio senza maturazione del diritto a pensione � Costituzione 
di posizione assicurativa i.v.s. -Obbligo dell'Amministrazione. 
(art. 42 legge 9 maggio 1940, n. 369; art. unico legge 2 aprile 1958, n. 322; art. 52 leg


ge 30 aprile 1969, n. 153). 

Ai sensi dell'art. 42 della legge 9 maggio 1940, n. 369, gli ufficiali 
di complemento e della riserva di complemento che prestano, a domanda, 
servizio temporaneo con compiti e funzioni corrispondenti a quelli degli 
ufficiali in servizio permanente effettivo sono soggetti alle leggi e ai 
regolamenti per gli ufficiali in servizio permanente, in quanto applica-� 
bili,� di conseguenza, per quanto attiene al trattamento previdenziale, 
trova per essi applicazione anche l'articolo unic9 della legge 2 aprile 1958, 

n. 322 (esteso dall'art. 52 della legge 30 aprile 1969, n. 153, anche al 
personale cessato dal servizio prima del 30 aprile 1958), ove � stabilito 
che in favare dei lavoratori iscritti a forma obbligatoria per l'invalidit�, 
la vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che 
abbiano dato titolo all'esclusione da detta assicurazion� deve essere 
provveduto, quando viene a cessare il rapporto di lavoro senza diritto 
a pensione, alla costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, 
della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit�, 
la vecchiaia e i superstiti mediante versamento dei contributi determinati 
secondo le norme della predetta assicurazione (1). 
(omissis) Osserva innanzitutto il Collegio che, nel caso, le parti non 
hanno proposto la questione della giurisdizione, gi� decisa con la menzionata 
sentenza declinatoria del Consiglio di Stato (la quale non ha 

(1) Non si rinvengono precedenti specifici; la sentenza citata in motivazione 
come relativa ad analoga fattispecie (art. 14, terzo comma, legge 13 maggio 
1961, n. 469), e cio� Sez. Un., 13 ottobre 1980, n. 5465, non risulta pubblicata 
per extenso; dalla massima (riferita in Foro lt., Mass. 1980, col. 1063) si 
ricava tuttavia che, qui, le Sez. Un., avevano correttamente risolto il problema 
di giurisdizione, ravvisando sussistente quella esclusiva del giudice amministrativo, 
una volta riconosciuto trattarsi, nella specie ivi decisa, di controversia 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 271 

acquistato per� efficacia di giudicato), e che tale questione, in relazione 
alla definizione del rapporto intercorso tra le stese parti, non va sollevata 
d'ufficio (con la conseguente rimessione alle Sezioni Unite), in quanto 
tale rapporto deve essere qui preso in esame in via mediata ed indiretta. 
La controversia attiene infatti ad un rapporto squisitamente previdenziale, 
rispetto al quale, come affermato con la menzionata decisione 
del Giudice amministrativo ed � pacifico tra le parti, l'attuale resistente 
fa valere un diritto soggettivo perfetto. 

Non � nemmeno controverso che presupposto necesario di tale diritto 
� l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, n� che la natura di 
questo pu� essere tanto pubblica che privata. 

Sotto il primo profilo � sufficiente rilevare, per completezza, che 
l'art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 322, sulla �ricongiunzione delle posizioni 
previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione 
del trattamento di previdenza e di quiescenza�, che l'art. 52 della 
legge 30 aprile 1969, n. 153 ha reso applicabile anche al personale cessato 
dal servizio, come il Cannata, prima del 30 aprile 1958, stabilisce che in 
favore dei � lavoratori � iscritti a forme obbligatorie per l'invalidit�, la 
vecchiaia e i superstiti o ad altri trattamenti di previdenza che abbiano 
dato titolo all'esclusione da detta assicurazione, deve essere provveduto 
-quando viene a cessare il � rapporto di lavoro � che aveva dato luogo 
all'iscrizione alle suddette forme o trattamenti di previdenza senza diritto 
a pensione -alla costituzione, per il corrispondente periodo d'iscrizione, 
della posizione assicurativa nell'assicurazione obbligatoria per la 
invalidit�, la vecchiaia e i superstiti, mediante versamento dei contributi 
determinati secondo le norme della predetta assicurazione. 

Sotto il secondo aspetto l'ampia ed indiscriminata portata precettiva 
della norma, che si ricava dal testo ora trascritto, trova puntuale conferma 
nel capo IV della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (modifiche agli 
ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro), 
il quale contiene norme dettate espressamente � ai fini dell'applicazione 
della legge 2 aprile 1958, n. 322 � nei confronti dei dipendenti statali e del 
personale iscritto all'Istituto postelegrafonici e agli Istituti di previdenza 
presso il Ministero del Tesoro e della � costituzione della posizione assicurativa 
nell'assicurazione obbligatoria� in favore del �personale dipendente 
da Amministrazioni statali �. 

inerente a rapporto di pubblico impiego; nella decisione qui pubblicata, invece, 
la Sezione Lavoro ha preferito -forse per non creare i presupposti di un 
defatigante conflitto negativo -non portare alle estreme conseguenze l'avviso 
da essa stessa manifestato circa la qualificazione della controversia come inerente 
a rapporto di pubblico impiego, avviso antitetico rispetto a quello in 
precedenza manifestato, nella stessa controversia, dal Consiglio di Stato (sez. IV, 
8 giugno 1976, n. 391). 



272 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

L'Avvocatura ricorrente contesta per� (e sul punto ha centrato la 
discussione orale) che il Cannata, nella sua posizione di ufficiale di complemento, 
possa essere considerato � lavoratore iscritto... ad altri trattamenti 
di previdenza �. 

La menzionata sentenza del Consiglio di Stato � inter partes � chiarisce 
poi, senza peraltro fornire una diversa qualificazione del rapporto, 
che � gli ufficiali di complemento dell'Esercito erano privi di un rapporto 
di pubblico impiego con l'Amministrazione militare, rapporto il quale era 
riconosciuto ai soli ufficiali in servizio permanente effettivo giusta gli 
artt. 14 e 16 � della legge 9 maggio 1940, n. 369 (nello stesso senso l'art. 3 
della legge 1954, n. 113, ma non .le successive leggi n. 371/1968 e 

n. 808/1965). 
In contrario va rilevato per� che, se esula la natura di prestazione 
lavorativa dal servizio militare obbligatorio (e da quello sostitutivo reso 
quale ufficiale di complemento di prima nomina) nei limiti di legge ex 
art. 52 Cost. e da servizi resi coattivamente, ai fini di difesa della Patria, 
anche in eccedenza a tali limiti, non pu� dirsi altrettanto per il servizio 
prestato, a domanda dell'interessato, con compiti e funzioni corrispondenti 
a quelli degli ufficiali in serV'izio permanente effettivo. 

Del resto era espressamente previsto dall'art. 42 della citata legge 

n. 369/1940 che �l'ufficiale in congedo (categoria pi� ampia comprendente 
anche quella di complemento), quando presti servizio temporaneo, 
� soggetto alle leggi ed hl regolamenti per gli ufficiali in servizio permanente, 
in quanto gli siano applicabili �. 
Quest'ultima disposizione va riguardata in relazione a quelle del capo 

III . del titolo IV della stessa legge, dettate � ex professo � per gli ufficiali 
di complemento. 
Ebbene negli artt. dal 53 al 56, che compongono il predetto capo III, 
non v'� alcuna previsione riguardante gli ufficiali di complemento mantenuti 
in servizio a domanda. 

Pertanto, anche nel periodo in questione le loro prestazioni, che per 
l'intrinseco contenuto non si differenziavano da quelle degli uffidaii in 
servizio permanente {l'attuale ricorrente, ad esempio, era ufficiale dei Carabinieri 
e non � stato nemmeno messo in dubbio che i suoi compiti fossero 
corrispondenti a quelli degli altri ufficiali dell'Arma), erano accomunate 
anche per espressa previsione legislativa alle prestazioni di detti 
ufficiali in servizio permanente. 

In materia analoga le Sezioni Unite di questa Corte (v. sent. 13 ottobre 
1980, n. 5465), pur in presenza di una norma quale l'art. 14 terzo 
comma della legge 13 maggio 1961, n. 469, hanno ritenuto che il rapporto 
di lavoro tra l'Amministrazione dell'interno ed il personale volontario 
del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ancorch� assunto a tempo 
determinato, ha natura di pubblico impiego, in considerazione dell'inserimento 
di detti dipendenti nell'ambito dell'organizzazione pubblicistica t 
dell'Amministrazione stessa. i=: 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVIl.E 273 

Sussistendo per le ragioni esposte il requisito del rapporto di lavoro, 
meglio qualificato come di pubblico impiego, deve rilevarsi che correttamente 
il Giudice di secondo grado ha ravvisato, nella specie, gli altri 
requis�i richiesti da11a legge n. 322/58, osservando che tale rapporto ha 
dato luogo alla forma speciale di previdenza obbligatoria, prevista per 
gli ufficiali di complemento ed assimilati, e sostitutiva dell'assicurazione 
generale i.v.s. e che tra le parti non � controverso che il Cannata non ha 
goduto di trattamento pensionistico o equiparato sulla base dei contributi 
versati, anche mediante ritenute sugli stipendi in conto entrate del 
tesoro. 

Il diritto alla costituzione della posizione assicurativa, a norma del 
combinato disposto dell'articolo unico della cit. legge n. 322/58 e dell'art. 
52 della legge n. 153/69, esclude l'applicabilit� delle disposizioni 
comuni e meno favorevoli sul computo dei periodi di servizio militare 
ai fini pensionistici di cui all'art. 49, secondo comma, della stessa legge 

n. 153, che prescindono dalla sussistenza di una contribuzione obbligatoria 
sostitutiva, alla quale, come s'� visto, era soggetto il Cannata quale 
ufficiale di complemento. 
Incoerente risulta anche il richiamo dell'art. 2 della legge 3 aprile 
1958, n. 472, che riguarda unicamente la valutazione, ai fini previdenziali, 
del servizio militare prestato �durante la guerra 1940-45 � e non contiene 
alcuna deroga al r.d. 30 dicembre 1937, n. 2411, richiamato dalla sentenza 
impugnata nel verificare l'obbligatoriet� contributiva di cui si � detto. 
Una deroga a tale legge � prevista, peraltro in senso favorevole alle categorie 
di militari prese in considerazione, ma riguarda � i servizi comunque 
resi a partire dall'entrata in vigore della presente legge�, ossia in un 
periodo non rilevante per il caso in esame. 

Per le esposte ragioni il primo motivo deve essere respinto. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1539 -Pres. Mazzacane Est. 
Lipari � P. M. Ferraiuolo (conf.). Schettini S.A.S. (avv. Codacci 
Pisanelli) c. Ministero dell'Industria e del Commercio (avv. Stato 
Cosentino). 

Commercio � Esercizio di vendita � Preposto � Iscrizione nell'albo previsto 
dalla legge n. 426/71 � Omissione � Illecito sanzionabile. 

Risponde dell'illecito amministrativo previsto dagli artt. 9 e 39 della 
legge 11 giugno 1971, n. 426, l'imprenditore che non preponga all'esercizio 
di vendita un soggetto iscritto nello speciale registro previsto dalla stessa 
legge, qualora egli non vi attenda personalmente in modo continuativo, 
e ci� a prescindere dall'organizzazione dell'esercizio, dalla soggezione del 
preposto alle direttive dell'imprenditore e dall'esistenza dell'institore (1). 

(1) Non risultano precedenti in termini. 

274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1574 -Pres. Mazza


cane -Est. Lipari -P. M. Cantagalli (conf.) -Ministero dell'Industria 

e del Commercio (avv. Stato Fienga) c. Giacomelli (avv. Stella Richter). 

Commercio -Farmacie -Calzature anatomiche � Distinzione rispetto alle 

calzature ortopediche e a quelle normali � Vendita � Liceit� � Riferi


mento alla prassi di mercato � Necessit�. 

Non viola l'art. 37 legge 11 giugno 1971, n. 426, colui che pone in 
vendita nelle farmacie, senza autorizzazione comunale, calzature anatomiche, 
le quali si distinguono dalle calzature ortopediche (che hanno 
necessit� di autorizzazione sanitaria) e dalle calzature normali, avendo 
rispetto a queste ultime caratteri differenziali che ne consentono l'inclusione 
tra gli articoli sanitari, semprech� nella situazione generale di mercato 
sussista la prassi (non in relazione ad una singola marca) secondo 
cui le farmacie, a preferenza dei negozi di calzature, siano centri di 
vendita di articoli idonei a preservare il piede da deformazioni (1). 

(1) Non risultano precedenti in termini. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 marzo 1984, n. 1683 -Pres. Sandulli 
-Est. Sensale -P. M. Paolucci -Amm.ne prov. di Palermo (avv. 
Ghia) c. Regione Siciliana (avv. Stato Linguiti). 

Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione permanente illegitti� 
ma -Fatto illecito -Danni -Prescrizione quinquennale. 

In tema di danno da occupazione illegittima, la condotta antigiuridica 
ha carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e d� 
luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'inizio dell'occupazione 
illegittima con riferimento a ciascun momento in cui si determina la 
perdita dei frutti, con la conseguenza che la prescrizione quinquennale 
del diritto al risarcimento decorre dalla verificazione dell'illecito, e perci� 
tale diritto rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore 
al quinquennio precedente la proposizione della domanda (1). 

(1) In senso conforme cfr. Cass., 7 luglio 1980, n. 4324 e Cass., 15 dicembre 
1980, n. 6484 e, da un punto di vista generale, cfr. Cass., Sez. Un., 26 febbraio 
1983, n. 1464, in questa Rassegna 1983, I, 124. con nota di LAPORTA. 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., sent. 13 gennaio 1984, n. 2 -Pres. 
Pescatore -Est. Cignani -Russo (avv. Stoppani) c. Regione Marche 
ed altro (avv. Galvani). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Provvedimenti dichiarativi della pubblica 
u:tillt� e autorizzazione dell'occupazione d'urgenza � Competenza� 
Giunta regionale � Presidente della Giunta. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Edilizia economica popolare � Proprietari 
espropriati � Titolo per assegnazione lotti espropriati. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Stato di consistenza � Pregiudizia� 
Iit� rispetto al decreto di occupazione. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Stato di consistenza � Necessario 

richiamo nel decreto di occupazione d'urgenza -Stato di consistenza 

compilato per distinto e precedente decreto d'occupazione. 

Non sono viziati per incompetenza i decreti del Presidente della 
Giunta regionale che dichiarano la pubblica utilit�, l'indifferibilit� e 
l'urgenza dei lavori ed autorizzano l'occupazione d'urgenza delle aree, 
quando siano stati preceduti da conformi deliberazioni della Giunta, in 
quanto essi non esprimono una volont� provvedimentale propria, ma 
esternano quella della Giunta. (1) 

Tutte le aree comprese nei piani di zona per l'edilizia economica e 
popolare sono soggette ad espropriazione ed i proprietari espropriati 
hanno un titolo di preferenza solo per ottenere successivamente l'assegnazione 
dei lotti e la cessione in propriet� e non per essere esclusi dall'espropriazione. 
(2) 

Prima dell'entrata in vigore della legge 1/1978 la compilazione dello 
stato di consistenza, doveva effettuarsi tra la dichiarazione d'indifferibilit� 
ed urgenza dei lavori ed il decreto d'occupazione d'urgenza. (3) 

E illegittimo il decreto d'occupazione d'urgenza adottato senza alcun 
riferimento allo stato di consistenza compilato per un distinto e precedente 
decreto pur nell'ambito della medesima vicenda espropriativa, 
anche a prescindere dalla legittimit� di tale utilizzazione. (4) 

(1) La decisione massimata e riportata conferma l'orientamento della giurisprudenza 
amministrativa riguardo la necessit� che sia della Giunta regionale 
e non del Pres1dente la competenza ad adottare i provvedimenti ablatori 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Come risulti;t dall'esposizione dei fatti, il primo dei 
tre provvedimenti impugnati dal dott. Russo in primo grado � stato 
annullato per il riconosciuto vizio d'incompetenza del Presidente della 
Giunta regionale; la materia del contendere, pertanto, ora � ristretta 
agli altri due decreti dello stesso Presidente, datati entrambi 27 ottobre 
1975, con i quali rispettivamente sono state dichiarate la pubblica utilit�, 
l'indifferibilit� e l'urgenza dei lavori, ed � stata autorizzata l'occupazione 
d'urgenza delle aree. 

La censura d'incompetenza � stata dedotta anche nei confronti di 
questi ultimi due decreti, ma, a differenza di quanto rilevato per il 
primo, rispetto ad essi non � fondata. In punto di fatto; la differenza 
consiste in' ci�, che i due nuovi decreti presidenziali sono stati preceduti 
da conformi deliberazioni della Giunta regionale; deliberazioni che si 
concludono con le seguenti parole: � � dato mandato al Presidente della 
Giunta regionale, di emettere contestualmente il relativo formale decreto 
e gli atti connessi e conseguenti ( ...) �, Ed un riscontro testuale tra 
ciascuna delibera ed il relativo, conseguente decreto, permette di constatare 
che, in effetti, il Presidente della Giunta regionale ha interamente 
mutuato, da quelle delibere, motivazione (o premesse) e dispositivo. 

In altre parole, il Presidente della Giunta non ha espresso una volont� 
provvedimentale propria, ma ha soltanto esternato, nella forma del 
decreto, la volont� deliberata dalla Giunta regionale. Del resto, nelle 
premesse di ciascuno dei due decreti � richiamata (con data e numero, 
ancorch� senza l'indicazione dell'autorit� emanante) la delibera collegiale 
sottostante. La giurisprudenza di questo Consiglio ha gi� definito 
la funzione meramente esternativa e subalterna di siffatti decreti presidenziali 
riproduttivi di corrispondenti delibere di Giunta (Sez. IV, decisioni 
3 febbraio 1981, n. 129 e 6 giugno 1983, n. 401, in questa Rassegna, 

ed in particolare i decreti con i quali viene dichiarata la pubblica utilit� e 
quelli d'autorizzazione all'occupazione di urgenza, sulla scia della sentenza 
14 luglio 1981, n. 593 della IV Sezione (in Cons. Stato, 1981, I, 682) a meno che 
non sia diversamente previsto dalla legislazione regionale, nella quale ipotesi 
si versa ad esempio secondo Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 1982, n. 256 ex legge 
reg. Puglia 21 gennaio 1974, n. 2. 

(2) Il principio evidenziato nella massima si ricava piuttosto chiaramente 
dall'art. 10 decimo comma della legge 18 aprile 1962, n. 167 modificato dal� 
l'art. 35 legge 22 ottobre 1971, n. 865, ma il merito della sentenza � quello di 
aver evidenziato la logica del procedimento, apparentemente oscura, nella parte 
in cui dispone l'espropriazione e poi la cessione in propriet� al medesimo 
proprietario espropriato, individuata nella necessit� di far pagare anche ad esso 
la quota delle opere di urbanizzazione e di vincolarlo alla stipula della convenzione 
contenente gli impegni in ordine ai modi ed ai tempi dell'edificazione. 
Per qualche riferimento cfr. Ad. Plen., 28 ottobre 1980, n. 40 (in Cons. 
Stato, 1980, I, 1284) secondo la quale l'art. 10 suddetto non attribuisce una 
preferenza assoluta in favore degli originari proprietari e Cons. Stato, IV, 
27 giugno 1978, n. 608 (ivi, 1978, I, 1017) per la quale � illegittima l'assegna



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 277 

1981, I, 107; 1983, I, 643), tanto che si pu� anche mettere in dubbio che 
essi siano necessari, quanto meno in assenza di speoifiche disposizioni 
procedimentali che li richiedano. Ma anche ammettendo che, nel caso 
in esame detti decreti presidenziali fossero necessari (il che, d'altronde, 
non � contestato) per concludere formalmente il procedimento ed esternare 
la volont� dell'Ente, determinatasi-mediante la delibera collegiale, 
� certo che il loro rilievo si esaurisce appunto in questi effetti formali. 
Di conseguenza, la verifica della competenza va fatta con riferimento alle 
delibere e non ai decreti; e poich� il ricorrente (ora appellante) ha sempre 
sostenuto che i decreti erano viziati siccome invasivi della competenza 
propria della Giunta, � inevitabile concludere che il vizio d'incompetenza 
non sussiste. 

2. -Le considerazioni ora fatte permettono, inoltre, di ritenere che 
il motivo aggiunto, proposto dal Russo in secondo grado con atto notificato 
il 15 gennaio 1982, � tardivo, o, se si vuole, inammissibile. 
Secondo la tesi dell'appellante, la nuova conoscenza idonea a riaprire 
i termini per l'integrazione del ricorso (mediante il motivo aggiunto) 
sarebbe appunto rappresentata dalla produzione in giudizio delle 
suddette due delibere della Giunta regionale. Le parti hanno vivacemente 
discusso (anche con deposito di svariati documenti) circa la 
novit� di questa acquisizione, giacch� le Amministrazioni resistenti sostengono, 
e l'appellante nega, che quegli atti erano stati gi� prodotti 
in primo grado, in evasione di apposito provvedimento istruttorio. II 
Collegio, grazie all'interesse degli atti in suo posses'o, ritiene provato, 
al di l� di ogni ragionevole dubbio, il fatto che quelle delibere fossero 
state gi� prodotte in primo grado; nondimeno, ritiene possibile prescin


zione a terzi quando il Comune non abbia posto il proprietario in condizione 
di esercitare il proprio diritto di preferenza. 

(3) 1Sulla necessit� che la compilazione dello stato di consistenza preceda 
il decreto di occupazione d'urgenza nel sistema di cui all'art. 71 legge n. 2359/1865 
non modificato dall'art. 20 legge n. 865/1971 � pacifica la giurisprudenza (cfr. 
Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 1978, n. 646, in Cons. Stato, 1978, I, :1024 e 22 giugno 
1976, n. 485, ivi, 1976, I, 705); peraltro la situazione � stata modificata dalla 
legge 3 gennaio 1978, n. 1 il cui art. 3 secondo comma ha disposto che lo stato 
di consistenza sia compilato dopo l'occupazione d'urgenza in concomitanza con 
la redazione del verbale di immissione nel possesso. 
(4) Sulla rilevanza dello stato di consistenza redatto per altra occupazione 
d'urgenza, questione che rimane impregiudicata nella sentenza massimata, 
avendo l'Adunanza Plenaria dato preminente rilievo alla mancanza del formale 
richiamo dello stesso nei provvedimenti impugnati, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 
17 marzo 1981, n. 255 (in Cons. Stato, 1981, I, 284) secondo la quale � legittimo 
il decreto d'occupazione adottato in base ad uno stato di consistenza compilato 
molto tempo prima quando non sia contestato un sopravvenuto mutamento 
dei luoghi, e Sez. IV, 29 gennaio 1980, n. 45 (in Cons. Stato, 1980, I, 33) che 
ammette la possibilit� di utilizzare per il decreto di occupazione d'urgenza 
lo stato di consistenza redatto per fini espropriativi. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dere da questa circostanza di fatto per la risolutiva considerazione che 
il vizio dedotto nel motivo aggiunto (mancata fissazione dei termini iniziali 
e finali per le espropriazioni ed i lavori, di cui all'art. 13 della legge 

n. 2369 del 1865) era gi� pienamente conoscibile (semprech� di vizio si 
tratti) attraverso i decreti presidenziali impugnati, vale a dire sin dalla 
origine della controversia. 
Si � messo in luce, infatti, che i decreti presidendali in esame riproducono 
esattamente ed integralmente le delibere e ne costituiscono la 
mera esternazione piuttosto che un atto esecutivo pi� o meno vincolato. 
La volont� dell'ente, si � detto, si � formata nella sede collegiale ma � 
stata esternata e resa pubblica mediante i decreti. L'omissione, nel dispositivo, 
di una statuizione asseritamente indispensabile era dunque direttamente 
rilevabile dai decreti stessi, al pari di tutti gli altri vizi tempestivamente 
dedotti dal ricorrente. La sopravvenuta esibizione delle delibere 
collegiali avrebbe potuto giustificare motivi aggiunti solo se fosse 
stata riscontrata difformit� tra i due testi, oppure se fossero emersi 
vizi inficianti l'atto collegiale in s� considerato (es.: difetto del numero 
legale, irregolare composizione del Collegio, mancata astensione di membri 
incompatibili, e via dicendo); ma il vizio in discorso non rientra in 
queste ipotesi. 

Il motivo aggiunto va, dunque, dichiarato tardivo ed inammissibile. 

3. -Si pu�, ora, passare all'esame del secondo motivo del secondo 
ricorso di primo grado che consi,ste, in sostanza, nella denuncia della 
mancata considerazione del diritto . di preferenza spettante ai proprietari 
�spropriati a norma del decimo comma dell'art. 10 della legge 18 aprile 
1962, n. 167, nel testo modificato dall'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, 
n. 865. La norma invocata dispone: � Le aree di cui al secondo comma 
del presente articolo, destinate alla costruzione di case economiche e 
popolari(...) sono cedute in propriet� a cooperative edilizie ed ai singoli, 
con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della presente legge, 
sempre che questi (...) abbiano i requisiti previsti, ecc.�. 
Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto di poter disattendere 
questa doglianza basandosi sulla constatazione di fatto che, in realt�, 
al ricorrente risultava assegnato un lotto, con delibera del Consiglio 
comunale di Ancona, n. 633 del 2 luglio 1975. Appellando, il dott. Russo 
ha lamentato, in punto di fatto, che la delibera in parola non faceva 
parte del materiale documentale prodotto in giudizio (sicch�, a suo dire, 
il Collegio giudicante ne avrebbe acquisito conoscenza aliunde, ed avrebbe, 
in sostanza, fatto indebito uso della scienza privata del giudice);. e, 
in� punto di diritto, che la delibera stessa non pu� comunque considerarsi 
per alcun verso satisfattiva del dedotto diritto di preferenza, giacch� 
il lotto assegnato non corrisponde, n� per ubicazione n� per estensione, 
all'area richiesta dal Russo e che questi aveva diritto di ottenere. 

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PARm I, SBZ. V, GIURlSPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 

Questo Collegio osserva che, per le ragioni che saranno esposte appresso 
la delibera consiliare 2 luglio 1975, n. 633 non ha rilievo risolutivo 
(diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R.) in ordine al presente 
motivo di ricorso, sicch� si potrebbe prescindere dalla questione della 
ritualit� o meno della sua acquisizione da parte dei primi giudici. Nondimeno, 
va chiarita quella che � l'obiettiva risultanza del fascicolo processuale; 
e cio� che il documento in parola � compreso tra quelli depositati 
preso il T.A.R. dal Comune di Ancona in data 27 aprile 1978, ed � 
citato nella memoria difensiva del Comune stesso, datata 1� maggio 1978 
e depositata il 6 maggio successivo in vista dell'udienza di discussione 
che si sarebbe tenuta il 18 dello stesso mese (data nella quale effettivamente 
il ricorso � stato deciso). Si pu� dunque concludere che il Tribunale 
amministrativo, pronunciando la sentenza in esame, si � valso 
di un documento ritualmente acquisito. 

Ci� premesso, si osserva che nel sistema dell'art. 10 della legge 18 
aprile 1962, n. 167, come modificato dall'art. 35 della legge 22 ottobre 
1971, n. 865, tutte le aree comprese nei piani di zona per l'edilizia economica 
e popolare sono soggette ad espropriazione, a nulla rilev:ando in 
contrario il fatto che taluno dei proprietari si proponga di edificare sul 
suo terren� in conformit� alle previsioni del piano. 

Nessuna disposizione, invero, stabilisce che in tale eventualit� non 
si faccia luogo ad espropriazione; anzi, al contrario, il primo comma 
dell'art. 10 (nuovo testo) sembra inequivoco nel senso che tutte le aree 
debbono essere espropriate, ed ancora pi� esplicito � il decimo comma 
(sempre secondo il nuovo testo), che � la disposizione invocata dal ricorrente 
e poc'anzi citata. 

I proprietari �espropriati� hanno un (mero) titolo di preferenza da 
far valere nel procedimento (presumibilmente concorsuale) di assegnazione 
dei lotti, in vista di ottenere la � cessione in propriet� � degli stessi, 
e non gi� un titolo per essere esclusi dall'espropriazione. Il sistema 
cos� delineato dalla legge potr� sembrare pi� o meno ragionevole, ma 
non si pu� dire che non sia espresso con chiarezza. D'altro canto, esso 
ha anche una sua ratio, che � desumibile dal comma successivo, secondo 
cui il prezzo della cessione (o retrocessione) delle aree � pari al costo 
di acquisizione (vale a dire all'indennit� pagata per l'esproprio), maggiorato 
del � costo delle relative opere di urbanizzazione in proporzione 
al volume edificabile�, ci� significa che tra espropriazione e cessione si 
interpone idealmente l'intervento di urbanizzazione. 

Ancora, il comma che segue dispone che la cessione venga accompagnata 
da una convenzione contenente gli impegni assunti dal cessionario 
in ordine ai modi e ai tempi dell'edificazione. Secondo il pensiero 
del legislatore, il proprietario che si propone di edificare sul proprio 
terreno � comunque soggetto all'espropriazione ed alla successiva cessione, 
perch� quest'ultima �, a parte altre considerazioni, lo strumento 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

280 

per far pagare al cessionario la sua quota di opere di urbanizzazione, e 
per vincolarlo alla stipula della convenzione di cui al dodicesimo comma. 
Si pu� dl,lilque concludere, sul punto: 

a) che la legittimit� dell'espropriazione non � esclusa per il fatto 

che l'interessato abbia richiesto al Comune di valersi della preferenza 

a lui spettante in forza dell'art. 10; 

b) che, a maggior ragione, gli eventuali vizi dell'atto con cui il 

Comune provvede sulla richiesta del proprietario (negandogli l'assegna


zione, o, come nella specie, assegnando un terreno diverso, per esten


sione ed ubicazione, da quello richiesto) viziano il provvedimento stesso 

(e pert�nto debbono essere dedotti mediante rituale impugnazione di 

quest'ultimo) e non anche il provvedimento d'esproprio. 

Il motivo in esame va dunque respinto, sia pure per ragioni diverse 
da quelle ritenute dalla sentenza appellata; mentre non vi � luogo a 
pronunciare sulle doglianze riferite ai vizi dell'atto di assegnazione (delibera 
n. 633 del 2 luglio 1975), perch� si tratta di atto non impugnato in 
questa sede. 

4. -Con il terzo motivo del secondo ricorso, il ricorrente aveva 
lamentato l'omessa pronuncia suMa � opposizione� proposta in data 28 ottobre 
1974 e ricevuta dal Comune il giorno 30 successivo. Secondo la sua 
tesi, si tratterebbe di un tipico atto di opposizione, inserito nella procedura 
espropriativa, e pertanto doveva essere preso in formale considerazione 
nella dichiarazione di pubblica utilit�. 
Il Collegio osserva che il documento in questione, senz'altro inequivoco 
come manifestazione di una volont� integralmente critica nei confronti 
dell'operato del Comune, � invece di difficile interpretazione (anche 
perch� redatto senza alcuna ricerca di precisione in questo senso) 
ai fini del suo inquadramento in una categoria giuridica tipica. Esso 
si palesa prima facie come reazione alla pubblicazione del bando per le 
assegnazioni dei lotti, ed anzi � dichiaratamente qualificato come impugnazione 
del �manifesto�; e pi� precisamente richiama il diritto di preferenza 
di cui all'art. 10, decimo comma, della legge n. 167 del 1962 
modificata; contiene tuttavia riferimenti critici riferiti all'intera formazione 
del piano di zona (peraltro in s� inoppugnabile, siccome approvato 
dieci anni prima) ed alla sua attuazione; e sembra anche concludersi 
con un invito al Comune a riesaminare (in via di resipiscenza) l'intero 
piano e le conseguenti determinazioni. 

Sta di fatto, comunque, che il documento in questione non rientra 
in alcuna delle sequenze procedimentali tipiche previste dalle leggi sulla 
�.�edilizia economica e popolare, e nelle quali le leggi stesse inseriscono 
le formali opposizioni dei privati: non quella di cui all'art. 6 della legge 

n. 167 del 1962 (opposizioni presentate durante la formazione del p.e.e.p. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

e precisamente dopo l'adozione e prima dell'approvazione), per�h� il 

piano era stato approvato nel 1964; e nemmeno quella di cl.!1 agli artt. 10 

e 11 della legge n. 865 del 1971 (osservazioni dei privati alla relazione 

esplicativa, piano parcellare, ecc.), perch�, nella specie, _gli atti di cui 

al citato art. 10 sono stati pubblicati e depositati alcuni mesi dopo e 

cio� nel luglio 1975, ed in quella occasione l'attuale appellante non risul


ta abbia presentato osservazioni od opposizioni. 

Riassumendo, il documento del 28 ottobre 1974 pu� essere interpre


tato o come una (irrituale) impugnativa del bando-manifesto (secondo 

quanto si desume dal suo enunciato), o come un esposto diretto a sol


leci~are il Comune ad un riesame globale della vicenda, o, infine, per 

i richiami al diritto � di preferenza �, come un atto rivolto a sostenere 

con apposita argomentazione la domanda (presentata contemporanea


mente) di concorrere all'assegnazione dei lotti. In nessun caso si trattava 

di un atto su cui l'amministrazione fosse tenuta a pronunciarsi, o, quan


to meno, a pronunciarsi in sede di dichiarazione della pubblica utilit�. 

Anche sotto questo profilo, pu� essere confermata la legittimit� dei 

provvedimenti impugnati. 

5. -Gli ulteriori motivi del secondo ricorso di primo grado riguardano 
propriamente solo i provvedimenti relativi all'occupazione d'urgenza 
(o meglio la seconda occupazione d'urgenza; della prima, impugnata 
col primo ricorso di primo grado, � stata gi� riconosciuta l'illegittimit�); 
vale a dire la delibera 24 ottobre 1975, n. 426 della Giunta regionale (oggetto: 
� Decreto di occupazione d'urgenza dei beni stabili siti nel territorio 
del Comune di Ancona occorrenti per la realizzazione di alloggi 
economico-popolari nel piano di zona comprensorio Cittadella Sud), e il 
conseguente decreto presidenziale di esternazione, 27 ottobre 1975, n. 5762. 
I vizi dedotti, infatti, per loro natura possono essere imputati solo ai 
detti provvedimenti, e non a quelli rispettivamente immediatamente anteriori, 
relativi alla dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� ed 
urgenza (delibera della Giunta regionale 24 ottobre 1975, n. 425; decreto 
del Presidente della Giunta, 27 ottobre 1975, n. 5761). 
Tanto premesso, si osserva che � fondato ed assorbente il motivo 

originariamente dedotto come quarto, nella parte in cui esso denuncia la 

totale omissione della compilazione dello stato di� consistenza. 

Al riguardo va precisato che il procedimento si � svolto� vigendo an


cora il sistema di cui all'art. 71 della legge n. 2359 del 1865 (non innovato, 

sul punto dall'art. 20 della legge n. 865 del 1971), secondo il quale la 

compilazione dello stato di consistenza doveva precedere l'emanazione 

del decreto di occupazione (e non seguirla, come poi sarebbe stato 

disposto dalla legge n. 1 del 1978) ed era ritenuto pacificamente �un 

�inderogabile 
presupposto di legittimit� del decreto d'occupazione d'urgenza
� (Sez. IV, 4 luglio 1978, n. 646, in questa Rassegna, 1978, I, 1024). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

282 

Pi� precisamente, secondo lo schema normale del procedimento delineato 
dall'art. 71, cit., la compilazione dello stato di consistenza doveva 
interporsi tra la dichiarazione d'indifferibilit� ed urgenza dei lavori, e il 
decreto d'occupazione. 

Nella specie, le due deliberazioni della Giunta regionale, rispettivamente 
di dichiarazione d'indifferibilit� ed urgenza, e di autorizzazione 
all'occupazione, sono state adottate 'consecutivamente, nella stessa seduta, 
e perci� � ovvio che tra la prima e la seconda non ha potuto essere 
compilato lo stato di consistenza; lo stesso si deve dire se si vuole 
aver riguardo, anzich� alle delibere della Giunta, ai decreti presidenziali 
esternativi, ugualmente emanati l'uno consecutivamente all'altro. �Ma 
si pu� ritenere pacifico, in fatto, che lo stato di consistenza non ha 
avuto luogo neppure nel breve intervallo tra le due . delibere (24 ottobre) 
e i due decreti (27 ottobre). 

In verit�, l'Amministrazione si. � difesa richiamandosi all'esistenza 
di uno stato di consistenza eseguito il 25 marzo 1975 (cio� sette mesi 
prima del decreto di occupazione ora in contestazione) in vista di un 
altro provvedimento, quello del 17 aprile 1975, annullato per incompetenza 
con decisione parziale emessa nel corso del presente giudizio. 

A parte ogni considerazione sia sull'intrinseca legittimit� di questo 
stato di consistenza, sia sulla legittimit� dell'utilizzazione, per un nuovo 
decreto di occupazione, dello stato di consistenza preordinato ad un distinto 
e precedente decreto (nel quadro, comunque, di un'unica vicenda 
espropriativa), sta di fatto che il documento in parola non � miniillamente 
richiamato nelle premesse dei due provvedimenti (delibera della 
Giunta e decreto presidenziale), dei quali esso avrebbe dovuto essere inderogabile 
presupposto di legittimit�. 

In altre parole: dato e non concesso che l'amministrazione potesse 
fondare un decreto d'occupazione su un verbale di consistenza redatto 
un certo tempo prima a supporto di un altro decreto, sta di fatto che 
non si ha alcun elemento per ritenere che l'autorit� emanante si sia servita 
di quel verbale; anzi, si deve presumere il contrario, e cio� che 
quello stato di consistenza non facesse parte del materiale documentale 
preso in esame dalla Giunta e dal suo Presidente al momento dell'emanazione 
dei provvedimenti ora contestati. 

Tanto basta per affermare l'illegittimit� di questi ultimi, giacch� 
l'obbligo di pronunciare solo previa compilazione e visione dello stato 
di consistenza non si pu� ritenere assolto solo perch� il relativo documento 
era materialmente presente negli archivi, ma non alla mente della 
autorit� emanante, senza adempiere la sua funzione tipica di strumento 
di conoscenza della situazione reale in cui venivano ad incidere i provvedimenti 
emanandi. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 283 

6. -Conclusivamente, l'appello del dott. Russo, per la parte ancora 
in contestazione dopo la decisione parziale di accoglimento della IV Sezione 
(n. 593 del 1981), va accolto limitatamente all'occupazione d'urgenza 
disposta il 24-27 ottobre 1975, ferma restando, invece, la legittimit� della 
dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� ed urgenza pronun:riata 
nelle stesse date. 
Poich� l'accoglimento dell'appello non � integrale, ed inoltre numerose 
doglianze dell'appellante si sono dimostrate infondate, si giustifica 
la compensazione delle spese del giudizio. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 843 -Pres. 
De Roberto -Est. Cortese -Regione Piemonte (avv.ti Sertorio e Romanelli) 
c. Soc. Azienda agricola Borello (avv.ti Siniscalco e Guarino) 
ed altro (n.c.). 

Urbanistica -Concessione edilizia -Annullamento � Agriturismo � Desti� 
nazione agricola del terreno � Contratto � Elementi obiettivi di valutazione. 


� legittimo l'annullamento da parte della Regione di trentadue concessioni 
edilizie rilasciate dal Sindaco per l'edificazione di altrettant,i edifici 
ad uso agriturismo in zana destinata ad uso agricolo dagli strumenti 
urbanistici vigenti, quando sia fondato su una serie di elementi che 
escludano in maniera inequivoca ogni collegamento dell'insediamento 
abitativo con la destinazione della zana (nella specie sono stati ritenuti 
tali la tipologia delle villette, l'orografia della zana, l'assenza di qualsiasi 
coltivazione, da parte del titolare della concessiione, la predisposta ripartizione 
del terreno; e sono invece stati considerati meri espedienti la destinazione 
di un locale per ogni villetta ad autorimessa o ripostiglio per 
attrezzi agricoli e la costruzione di un capannone destinato a rimessa comune 
degli attrezzi. (1) 

(1) Per un'analoga fattispecie di annullamento di licenza edilizia con decreto 
presidenziale ex art. 7 legge n. 765/11967', cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 ottobre 
1972, n. 931, che lo ritenne legittimo in relazione ad una licenza che prevedeva 
17 fabbricati su mq. 52.000 in una zona non urbanj.sticamente sistemata configurando 
quindi un'ipotesi di lottizzazione in quanto idonea a dare assetto urbanistico 
ad una vasta zona vergine. Cos� pure Sez. IV, 13 marzo 1973, n. 222, che 
afferm� l� legittimit� dell'annullamento di una licenza per violazione del'l'articolo 
41 quinquies legge n. 1150/1942 in quanto rilasciata per la costruzione di immobile 
in zona priva di strumenti urbanistici e dotata di particolare pregio ambientale. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

284 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, sent. 25 novembre 1983, n. 845 -Pres. 
Mezzanotte, Est. Cortese -Comune di Rieti (avv. Nigro) c. Durastante 
(avv. Mannucci) e Lorenzini ed altri (avv. Delli Santi). 

Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Legislazione vigente Notifica 
sentenza -Successivo provvedimento illegittimo annullato. 

Per dare corretta esecuzione al giudicato il Comune, cui sia stata 
notificata la sentenza dichiarativa dell'obbligo di provvedere sull'istanza 
dei privati volta ad ottenere l'approvazione di un progetto di lottizzazione, 
deve applicare la normativa vigente alla data di tale notifica anche 
se, nel tempo nec�ssario ad ottenere l'annullamento in s.g. di un provvedimento 
di rigetto successivamente adottato, tale normativa sia stata 
mutata. (1) 

(1) La sentenza � stata resa in merito ad una vicenda che merita chiarire, 
per rendere pi� comprensibile anche la massima. Il privato aveva avanzato 
nel 1974 istanza per ottenere l'approvazione di un progetto di lottizzazione; 
non ricevendo risposta aveva provocato il silenzio-rifiuto ottenendone quindi 
l'annullamento da parte del T.A.R. che aveva dichiarato l'obbligo del Comune 
di pro\ivedere. 
Notificata tale sentenza il Comune aveva, con atto sindacale, respinto 
la domanda di lottizzazione, ma questo provvedimento era stato a sua volta 
impugnato ed annullato dal G.A. per incompetenza. 

Notificata anche questa seconda sentenza il Comune aveva preteso di agire 
in base non alla legge vigente all'epoca della prima, ma bens� della seconda 
decisione. 

Nel ritenere illegittimo tale comportamento il Consiglio di Stato evidenzia 
che esso costituisce in sostanza un modo per eludere il contenuto della prima 
decisione, violare i principi di pienezza e sostanzialit� della difesa giurisdi� 
zionale contro gli atti della P.A., che postulano la cristallizzazione della 
normativa �di riferimento al tempo della notifica della decisione di annullamento 
del provvedimento illegittimo. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, sent. 30 gennaio 1984, n. 33 -Pres. 
Anelli -Est. Giovannini -Papi (avv. Lavitola) c. Comune di Sabaudia 
(n.c.). 

Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Sentenza che com� 
porta attivit� discrezionale � Ricorso per ottemperanza � Ammissibi� 
lit�. 

Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Sentenza chel lascia 
ali'Amministrazione possibilit� di scelta tra diverse alternative � Ri� 
corso per ottemperanza centrato su una sola alternativa � Inammissibilit�. 




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 285 

Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato -Sentenza che lascia 
all'Amministrazione scelta tra diverse alternative � Ricorso per ottemperanza 
centrato su una sola alternativa � Impossibilit� per il giudice 
disporre esecuzione propria sentenza � Principio con:ispondenza tra 
chiesto e pronunciato. 

Il giudizio di ottemperanza � ammissibile non solo in relazione a 
sentenze comportanti un'attivit� vincolata dell'Amministrazione ma anche 
quando l'Amministrazione in esecuzione del giudicato sia tenuta allo 
svolgimento di un'attivit� di carattere discrezionale. (1) 

Annullato dal G.A. un piano regolatore generale, il Comune mantiene 
il potere di scegliere tra diverse alternative per ristab�lire l'assetto 
urbanistico sicch� � inammissibile il ricorso per inottemperanza nel 
quale gli istanti circoscrivano la loro richiesta all'imposizione al Comune 
della stipula di una convenzione urbanistica. (2) 

Circoscritta la richiesta di ottemperanza all'imposizione al Comune 
di una stipula di convenzione urbanistica, a seguito dell'annullamento 
da parte del G.A. del piano regolatore, il principio della corrispondenza 
tra chiesto e pronunciato inibisce al giudice adito di provvedere all' esecuzione 
della sentenza in base all'effettiva portata delle sue precedenti 
decisioni. (3) 

(omissis) In via preliminare va rilevato come, conformemente alle 
deduzioni degli istanti, l'inerenza del presente atto di appello a giudizio 
promosso ai sensi degli artt. 37 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27, n. 4), 

r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, non osti alla sua ammissibilit�. 
Considerato invero che le questioni affrontate dai primi giudici hanno 
attenuto all'individuazione della esatta portata delle proprie precedenti 
decisioni 14 luglio 1976, n. 441, e 7 novembre 1979, n. 826, eppertanto 
alla consistenza ed ai limiti del diritto degli istanti ad agire in executivis, 
la pronuncia di prime cure ha finito coll'assumere quella valenza tipi


(1) Sul princ1p10 rias,sunto nella massima non vi sono dubbi dopo che 
Ad. Plen., 9 marzo 1973, n. 1 (in Cons. Stato, 1973, 1, 351), ribaltando il precedente 
orientamento restrittivo, ha affermato che in caso di inottemperanza il 
G.A. pu� sostituirsi alla P.A. onde compiere atti discrezionali an,che a mezzo 
di un commissario (sul punto cfr. SANDULLI, in Man. dir. Amm., �1980, p. 860). 
(2-3) A prescindere dal principio generale della corrispondenza tra chiesto 
e pronunciato (su cui cfr. Sez. VI, 15 giugno 1979, n. 459, e Sez. V, 17 marzo 
1978, n. 328), la decisione riportata � di estremo interesse per il inodo in cui 
articola l'applicazione del principio suddetto con la questione del rapporto 
tra sentenza di cui si chiede l'esecuzione e ricorso centrato su una sola possibile 
alternativa rimessa alla discrezionalit� dell'Amministrazione: sembra infatti 
di capire dal tenore della motivazione che l'istante per un verso ha chiesto 
pi� di quelo che il G.A. in sede di ottemperanza poteva accordargli e per altro 
verso ha chiesto troppo poco inducendo il G.A. a trincerarsi dietro il principio 
della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. 



286 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

camente cognitoria atta, giusta l'indirizzo espresso dall'Adunanza ple


naria con decisione 29 gennaio 1980, n. 2, a consentirne l'impugnazione 

in appello secondo le regole ordinarie~ 

Nel merito il gravame deve peraltro essere respinto, sebbene la mo


tivazione della sentenza impugnata meriti in taluna parte di venire 

corretta. 

Invero, meritevole di correzione appare l'affermazione del tribunale 

regionale, secondo cui giudizio di ottemperanza sarebbe dato solo nei 

riguardi di pronunce comportanti attivit� meramente vincolate dell'am


ministrazione. Contrario �, infatti, l'ormai costante orientamento della giu


risprudenza (vedasi per tutte: Ad plen., 9 marzo 1973, n. 1), fa quale ha in 

molteplici occasioni ribadito l'esperibilit� di detto giudizio pur a1lorch�, 

in virt� del giudicato, l'amministrazione sia tenuta allo svolgimento di 

un'attivita di carattere discrezionale. Orientamento questo che il Collegio 

ritiene di dover riaffermare in considerazione della sua rispondenZJa a 

quella esigenza di piena effettivit� dei princ�pi, costituzionalmente garantiti 

(artt. 24 e 113 Cost.), di tutela dei singoli, rispetto alla quale non possono 

certo tollerarsi Hmitazioni in dipendenza del tipo di adempimenti rimessi, 

dopo la formazione del giudicato, all'amministrnzione. 

Meritevole di conferma la sentenza impugnata, viceversa, appare l� 
dove ha dichiarato l'inammissibilit� del ricorso in quanto volto ad ottenere 
determinazioni prive di aderenza nei confronti del reale contenuto 
. delle citate precedenti decisioni del tribunale regionale 14 giugno 1976, 

n. 441 e 7 novembre 1979, n. 826. 
In effetti, come esattamente notato dai primi giudici, tali precedenti 
decisioni ebbero a pronunciare l'annullamento del piano regolatore generale 
di Sabaudia nella parte concernente gli immobili degli istanti, puram~
nte e semplicemente per essere mancati esame e motivazione circa 
il mutamento di destinazione urbanistica che veniva con esso apportato 
rispetto alle previsioni contenute nel preesistente piano di lottizzazione 
interessante gli stessi immobili, negandosi nel contempo che, ai fini della 
sussistenza dell'onere di esame e di motivazione predetti, potesse spiegare 
effetto lo stato di inefficacia della lottizzazione ai sensi dell'art. 28 
legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato da1l'art. 81, legge 6 agosto 
1967, n. 765, stante la non ancora intervenuta stipulazione della relativa 
convenzione. 


Ora � evidente che, a fronte di statuizione siffatta, restavano nella 
potest� delle autorit� competenti ampie facolt� di diversamente determinarsi 
e, cio� a dire, o confermare le previsioni urbanistiche del piano 
adeguatamente giustificando la loro difformit� rispetto alla lottizzazione, 
ovvero recepire in tutto od in parte quest'ultima curandone il completo 
perfezionamento, o altro ancora. L'avere, pertanto, gli istanti espresso 
dinanzi al tribunale regionale una richiesta di ottemperanza strettamente ~ 

~ 

f: 
;

J 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 

circoscritta all'imposizione a carico dell'amministrazione comunale della 
stipula della convenzione urbanistica, non poteva non condurre alla 
declaratoria di inammissibilit� del ricorso per inidoneit� delle decisioni 
in questione a comportare -vincolativamente -un simile tipo di 
adempimento. 

In contrario non ha, d'altro canto, valore l'argomentazione, formulata 
nell'atto di gravame, s~condo cui nell'ambito del giudizio previsto 
dagli artt. 37 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27 n. 4) r.d. 26 giugno 1924, 

n. 1054, il giudice amministrativo gode di un'ampia discrezionalit� circa 
l'individuazione dei modi di ottemperanza al giudicato s� che, malgrado 
il ristretto contenuto di quella richiesta, ben avrebbe il tribunale regionale 
potuto statuire in base all'effettiva portata delle sue precedenti 
decisioni. 
In realt�, infatti, non sussisono ragioni perch�, anche per il giudizio 

�di ottemperanza, non debba operare il principio di corrispondenza tra 
chiesto e pronunciato, la cui funzione garantistica sia nei riguardi della 
parte intimata (che attraverso di esso � posta in grado di conoscere i 
precisi limiti della materia del contendere, onde potervi esattamente 
commisurare le proprie difese), sia nei riguardi della stessa parte istante 
(che vede per sua virt� esclusa l'eventualit� di un accoglimento della 
domanda per ragioni, al limite, contrarie al proprio concreto interesse) 
ne fa regola ineliminabile di qualsiasi procedimento giurisdizionale. 

� Vero � semmai che, in quanto raccordato alla esistenza di una precedente 
pronuncia, il giudizio de quo consente la proposizione di richieste 
generiche di ottemperanza, determinabili per riferimento al contenuto 
di essa pronuncia. E tale risulta, per l'appunto, essere stato il caso 
fatto oggetto della decisione della VI Sezione 24 giugno 1975, n. 207, 
cui .si � riportata la successiva decisione dell'Ad. plen. 14 luglio 1978, 

n. 23, entrambe invocate dagli istanti, ove si verteva in tema di domanda 
del tutto aspecifica di esecuzione del giudicato, domanda in relazione 
alla quale vanno, pertanto, valutate talune affermazioni delle decisioni 
medesime, anche sotto il profilo del loro carattere di meri obiter dieta. 
Il ricorso va, quindi, respinto. 
Nulla � da disporre per le spese del presente grado del giudizio, non 
essendosi ivi la parte intimata costituita. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, sent. 18 gennaio 1984, n. 49 -Pres. Piga Est. 
Rosini -Comune di Firenze (avv. De Paoli Mori) c. Soc. Publimondo 
ed altri (avv.ti Colarizi e Medugno) e soc. Publil.ancio (n.c.). 

Contabilit� pubblica -Contratti della P .A. -Licitazione privata � Scelta 
d�i contraenti � Interesse all'impugnazione � Soggetto non invitato 
alla gara. 


288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Contabilit� pubblica � Contratti della P .A. � Licitazione privata � Scelta 
dei contraenti � Soggetto non invitato alla gara � Interesse personale 
e non collettivo. 
Contabilit� pubblica � Interesse legittimo � Qualificazione giuridica � Previsione 
nella norma disciplinatrice del potere della P .A. � Rilevanza 
sociale dell'interesse. 
Contabilit� pubblica � Contratto della P .A. � Delibera di far luogo alla 
licitazione privata � Motivazione su esclusione pubblici incanti � Necessit�. 
Contabilit� pubblica � Contratti della P .A. � Licitazione privata � Scelta 
delle ditte da invitare alla gara � Competenza della Giunta Mu� 
nicipale. 
� legittimato ad impugnare la delibera con la quale si stabilisce di 
far ricorso alla licitazione privata invece del pubblico incanto per la 
scelta del contraente della P.A., il soggetto che non sia stato invitato a 
partecipare alla gara nonostante il manifestato intendimento di parteciparvi 
e l'affidamento seppure informale ricevuto, in quanto il suo interesse 
di fatto non pu� essere assimilato a quello generico al rispetto 
di norme poste a tutela di interessi generali. (1) 
In relazione alla scelta della P.A. circa il tipo di procedimento contrattuale, 
l'interesse dell'aspirante contraente ha carattere individuale e 
non collettivo, nonostante il fatto che esso sia individualizzabile in qualunque 
soggetto che all'epoca esercitasse l'attivit� in questione. (2) 
La qualificazione giuridica degli interessi si pu� ricavare non solo 
dalla norma che, disciplinando il potere amministrativo, li prende in 
considerazione, ma anche dalla loro oggettiva rilevanza sociale che li 
rende meritevoli di tutela. (3) -
La delibera del Comune con cui si decide di far ricorso alla licitazione 
privata per la scelta del contraente deve essere adeguatamente 
motivata sulle ragioni particolari per le quali si � preferito tale sistema a 
quello ordinario dei pubblici incanti. (4) 
La scelta delle ditte da invitare alla licitazione privata, spetta alla 
Giunta Municipale, per cui � viziata da incompetenza la scelta effettuata 
dal Sindaco (salvo che sia una mera esecuzione della delibera della 
Giunta) o da un assessore. (5) 
(1-5) La sentenza massimata, la cui motivazione di seguito riportata nel 
testo integrale si deve alla cortesia del consigliere RosINI, essendo quella pubblicata 
sul Consiglio di Stato difficilmente comprensibile a causa di un errore 
di stampa alla pag. 44 � del massimo rilievo in ordine ai temi generali della 
qualificazione e della individuazione dell'interesse legittimo e non abbisogna 
di essere corredata da richiami giurisprudenziali essendo ricchissima di citazioni 
alle quali si rimanda il lettore. 
:-: r. 
{ 


PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

(omissis) 1. -L'ambito del giudizio di appello � limitato all'esame 
dei motivi accolti dal primo giudice, oltre che della preliminare eccezione 
di inammissibilit� proposta dal Comune. Le societ� ricorrenti, infatti, 
non hanno proposto appello avverso la reiezione del primo motivo 
del ricorso e non hanno insistito nelle censure non esamtnate dal primo 
giudice -che perci� s'intendono rinunciate (art. 346 cod. proc. civ.) limitandosi, 
nella comparsa di costituzione, a contrastare i motivi dell'appello. 


I motivi d'impugnazione devoluti alla Sezione sono, pertanto, il secondo, 
il quarto e il quinto (il settimo si limita ad estendere l'impugnazione 
agli atti successivi a quelli viziati). Di questi, il secondo -con 
cui si denuncia il difetto di motivazione dell'adozione della licitazione 
privata in luogo dell'asta pubblica -si riferisce alla deliberazione del 
4 giugno 1981, con cui la Giunta municipale di Firenze ha stabilito di 
indire una licitazione privata per la concessione della pubblicit� negli 
impianti sportivi comunali per il periodo compreso tra il 1�. agosto 1981 
e il 30 giugno 1987 (come � precisato non nella suddetta deliberazione 
ma nel �verbale di aggiudicazione per licitazione privata� del 30 luglio 
1981). Il quarto e il quinto motivo -nei quali si denuncia, rispettivamente, 
l'incompetenza dell'organo che ha scelto le imprese da invitare 
alla gara, e il mancato invito ad essa delle societ� ricorrenti -devono 
intendersi riferiti all'atto (la nota 8 luglio 1981 dell'assessore al patrimonio 
all'Ufficio contratti, certamente impugnata bench� non eplicitamente 
elencata tra gli atti di cui si chiede l'annullamento) con cui � 
stato redatto l'elenco delle ditte da invitare e alla lettera del 25 luglio 
1981 con cui l'assessore al patrimonio ha confermato alla soc. Pubblimondo 
il rifiuto di invitarla alla gara. Dall'eventuale annullamento di 
uno degli atti suindicati discenderebbe, infine (settimo motivo), la illegittimit� 
del verbale di aggiudicazione del 30 luglio 1981. 

L'impugnazione della lettera del 1� agosto 1981, che l'assessore agli 
affari legali del Comune ha scritto al difensore delle societ� ricorrenti 
per sostenere la legittimit� della loro esclusione dalla gara, � inammissibile, 
perch� quella lettera non ha carattere provvedimentale. 

La difesa del Comune non ha prodotto -bench� dovesse farlo a 

norma dell'art. 21, quarto comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1024 -n� 

il disciplinare approvato con la deliberazione del 4 giugno 1981 n� la 

deliberazione del 10 luglio 1981. Le societ� ricorrenti hanno chiesto l'an


nullamento di quest'ultima, che a loro .dire avrebbe modificato il pre


detto disciplinare, senza precisarne il contenuto e la rilevanza. Questa 

impugnazione �, pertanto, inammissibile. 

2. -Insistendo nell'eccezione di inammissibilit� del ricorso introduttivo 
il Comune appellante ripropone il problema, ad ogni altro preliminare, 
della legittimazione processuale delle imprese ricorrenti, quello, 
vale a dire, dell'ammiss.ibilit� di un ricorso con cui si denuncia la 

kASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

290 


illegittimit� del procedimento di licitazione privata (e anzitutto della 
adozione di questo modo di scelta del contraente), da parte di chi non 
ha partecipato al procedimento stesso perch� non invitato. 

La questione ha due aspetti e va considerata da un duplice punto di 
vista: sul piano processuale, per accertare se nella concreta fattispecie 
sussistono le condizioni necessarie per dare ingresso al giudizio, cio� per 
legittimare in concreto il ricorrente all'impugnazione; sul piano sostanziale, 
per stabilire se l'interesse fatto valere con l'impugnazione possa 
qualificarsi come interesse legittimo in senso tecnico, vale a dire come 
posizione soggettiva per la cui tutela � dato il ricorso ai giudici amministrativi. 


Il primo giudice s'� limitato a sottolineare, nella motivazione della 
sua decisione, che le imprese ricorrenti, a seguito della lettera con cui 
l'assessore al patrimonio aveva promesso che sarebbero state invitate 
alla licitazione, venivano a trovarsi � in una relazione qualificata e differenziata 
con la futura attivit� dell'ente, da cui discende il potere di 
sindacarne la legittimit� in sede giurisdizionale �. Ma in questo modo 
la questione dell'interesse a ricorrere viene risolta nella mera affermazione 
della sussistenza di un interesse legittimo; che, pur se nella fattispecie 
deve ritenersi esatta, richiede una pi� attenta considerazione e 
una motivazione in parte diversa; tanto pi� che si tratta di questioni 
che hanno dato luogo, anche nella sede giurisdizionale, a qualche incer� 
tezza e persino a contraddizioni e conflitti. 

L'aspetto pi� delicato della questione � quello della configurabilit� 
in astratto di posizioni di interesse legittimo quando in sede di impugnativa 
di atti che attengono al procedimento di licitazione privata si 
deduce la violazione delle norme che fissano le condizioni di ammissibUit� 
del procedimento e le possibili deroghe al sistema di contrattazione 
per pubblici incanti; questione che sar� esaminata nei successivi 
paragrafi. Ci� che � da rilevare in via del tutto preliminare, e con riferimento 
all'eccezione della non tutelabilit� in concreto dell'interesse delle 
societ� ricorrenti sollevata dalla difesa del Comune sotto il profilo dell'interesse 
a ricorrere, � che l'interesse fatto valere � quello di chi si 
duole per non essere stato invitato a partecipare ad una gara alla quale 
intendeva partecipare, e di esserne stato escluso bench� il Comune, per 
precedenti contatti e rapporti precontrattuali, fosse aconoscenza di tale 
intendimento e degli interessi che nella sua qualit� di operatore nel settore 
l'impresa intendeva perseguire con la partecipazione alla gara. Inoltre 
nella fattispecie pu� ritenersi che lo stesso Comune, sia pure in forma 
giuridicamente discutibile (lettera dell'assessore al patrimonio) e con 
atti di incerta rilevanza anche perch� sottoscritti � per il Sindaco � da 
un assessore sprovvisto di delega (per quanto risulta in causa; e si sa 
che l'assessore non ha competenza esterna: Sez. V, 28 novembre 1959, 

n. 775) aveva dato alle imprese ricorrenti affidamenti tali, da rendere 

PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVAi 

certo ed evidente il loro interesse diretto, specifico, per realizzare il 

quale esse si propongono, col ricorso, di ottenere l'annullament_d della 

procedura di licitazione privata. Si tratta di un interesse, dunque, imme


diatamente apprezzabile in linea processuale, come interesse che in fatto 

appartiene al soggetto che lo fa valere e che, contrariamente a quanto 

si sostiene dalla difesa del Comune, non pu� essere confuso con quello 

generico al rispetto di norme poste a tutela di interesse generali. 

Se poi questo interesse s.ia protetto ;in ragione della sua natura di 

interesse legittimo in senso tecnico, � questione sulla quale sar� neces


sario, ripetesi, svolgere ulteriori considerazioni. Ci� che si � inteso sin 

qui mettere in luce � l'interesse (processuale) delle societ� ricorrenti, 

siccome titolari di imprese pubblicitarie (e nella situazione specifica che 

in punto di fatto risulta dal contatto tra esse e il Comune), ad impu


gnare i provvedimenti con cui l'amministrazione comunale ha stabilito 

di ricorrere alla licitazione privata per la scelta del concessionario del


l'esercizio della pubblicit� nei campi sportivi, come pure quelli con cui 

la stessa amministrazione ha scelto le imprese da invitare alla gara. 

3. -N� pu� condividersi l'eccezione di inammissibilit� del ricorso 
sostenuta dal Comune con l'argomento che le societ� ricorrenti, non 
essendo state invitate alla gara, non trarrebbero alcun vantaggio dall'accoglimento 
dell'impugnazione; il quale, invece, aprirebbe loro la 
prospettiva -che basta a concretizzare l'interesse al ricorso (Ad. Pl., 
27 ottobre 1970, n. 4; Sez. IV, 22 febbraio 1980, n. 114; Sez. VI, 14 luglio 
1981, n. 441; Sez. V, 15 aprile 1983, n. 130) -della rinnovazione del procedimento, 
che consentirebbe loro di partecipare ai pubblici incanti (nel 
caso di accoglimento del secondo motivo del ricorso) o di essere invitate 
alla licitazione (nel caso di accoglimento del quarto o del quinto motivo). 
4. -Sul piano dell'interesse sostanziale, viene in rilievo la considerazione 
che i vizi di legittimit� denunziati hanno origine da violazione 
di una norma tm le pi� caratteristiche della disciplina dei contratti della 
pubblica amministrazione, poste anzitutto a tutela del buon andamento. 
della stessa; l'art_. 3, secondo comma, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, 
nel testo introdotto dall'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 627, a norma 
del quale per i contratti dai quali derivi un'entrata per la pubblica 
amministrazione debbono bandirsi pubblici incanti, quando non sussistano 
particolari ragioni per fare ricorso ad altri modi di scelta del 
contraente. Questa regola garantisce, fra l'altro, l'imparzialit� dell'am. 
ministrazione e le uguali aspettative di tutti i soggetti a partecipare 

� ai vantaggi connessi ai rapporti economici da essa promossi; e sarebbe 
vanificata (e ne sarehf?ero vanificati valori saldamente radicati nell'ordinamento) 
dal diniego di tutela giurisdizionale opposto -in contrasto 
col principio, anch'esso di valore costituzionale e manifestamente in via 
di espansione, della giuridicizzazione delle situazioni incise, o suscetti



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bili di essere incise, dall'esercizio del potere amministrativo (Sez. VI, 
�22 giugno 1979, n. 500) -a chi ne pretenda il rispetto. 
5. -Bench� sia confortata da qualche precedente (Ad. PI., 28 gennaio 
1961, n. 3; Sez. V, 11 marzo 1977, n. 185kla conclusione che precede 
non si iscrive in un indirizzo giurisprudenziale ricevuto da questo Consiglio; 
che proprio in analoga fattispecie ha anche recentemente ribadito 
che nei confronti degli atti amministrativi con cui viene determinato il 
procedimento da seguire per addivenire alla scelta del contraente non 
sono ravvisabili situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo 
(Sez. VI, 27 novembre 1981, n. 721; Sez. IV, 4 maggio 1979, n. 300; Sez. V, 
11 marzo 1976, n. 453; Cons. giust. Si., 17 ottobre 1974, n. 382; Sez. V, 
10 luglio 1973, n. 608; Sez. VI, 23 maggio 1972, n. 265; Sez. V, 5 aprile 
1963, n. 186; Sez. V, 26 gennaio 1956, n. 9); ed era questo l'insegnamento 
della Corte regolatrice (Sez. Un., 21 settembre 1970, n. 1645) prima di 
un recente mutamento di indirizzo (Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 328). 
Peraltro la massima prevalente nella giurisprudenza del Consiglio 
di Stato non solo sembra contrastare con l'attuale orientamento delle 
Sezioni Unite della Cassazione (sent. 328/83 cit.), ma � anomala rispetto 
ai princ�pi che sovraintendono, nella sua stessa giurisprudenza, alla discriminazione 
delle posizioni di interesse legittimo da quelle giuridicamente 
irrilevanti; ed esigenze di coerenza, oltre che di adeguamento alla 
tendenza all'ampliamento della tutela giurisdizionale sulla traccia dell'art. 
113 della Costituzione, suggeriscono di dare anche a questo caso 
una soluzione conforme a quella che garantisce posizioni soggettive non 
dissimili. 
L'indirizzo da cui il Collegio dissente si fonda sulla considerazione 
che il potere della P.A. di scegliere il tipo di procedimento contrattuale 
non � disciplinato da norme che attribuiscano a qualche soggetto una 
posizione particolare e differenziata; sicch� tutti potrebbero, astrattamente, 
aspirare ad essere parti nel contratto. A nessuno, dunque, potrebbe 
. riconoscersi la titolarit� di un interesse che in quanto personale, 
individuale, � tutelabile avanti al giudice amministrativo, la cui cognizione 
� limitata alle impugnazioni di provvedimenti � che abbiano per 
oggetto un interesse di individui ... � (art. 3, legge 31 marzo 1889, n. 5992). 
Ma per negare a un interesse dedotto in giudizio il carattere della 
individualit� non basta che altre persone si trovino nella stessa situazione 
del ricorrente: occorre che l'utilit� da lui fatta valere non gli 
appartenga tutta ma costituisca la sua quota di una utilit� indivisibile 
appartenente ad una collettivit� pi� o meno istituzionalizzata: una pluralit� 
di interessi identici non equivale a un interesse collettivo (Sez. VI, 
3 dicembre 1948, n. 423). 
La differenza fra la lesione di un interesse individuale e le conseguenze 
economiche e morali (con riferimento alle quali si pu� rparlare, 
1. 
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i:; 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 

se si vuole, di interessi di fatto), che all'individuo siano provocate dalla 
lesione di un interesse della collettivit� cui appartiene, � rilevante perch� 
secondo la giurisprudenza italiana gli interessi indivisibili di una 
collettivit� non possono esser fatti valere in giudizio dai singoli suoi 
componenti se non nei casi di azione popolare tassativam�nte previsti 
dalla legge (e non se ne fa esperienza solo nel campo del diritto amministrativo: 
un analogo ordine di problemi � posto, per esemplificare, 
dall'art. 2395 cod. civ., su cui ved. Cass. civ., Sez. I, 1� giugno 1960, 

n. 1424, e Cass. civ., Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1290, e dall'art. 28 dello 
Statuto dei lavoratori, su cui ved. Cass. civ., Sez. lav., 19 aprile 1980, 
n. 2573). Questo principio deriva da quello che gli interessi di una collettivit� 
vanno apprezzati e difesi in modo unitario dagli organi ,della 
collettivit� stessa (ved. Sez. VI, 29 novembre 1977, n. 882; Sez. VI, 10 novembre 
1978, n. 1187; Sez. VI, 17 novembre 1978, n. 1208; Sez. VI, 28 novembre 
1978, n. 1248; Sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378). Si pu� escludere, 
perci�, che ci si trovi in presenza di un interesse collettivo, e si pu� 
d~que predicare la personalit� dell'interesse, quando non ne sia ipotizzabile 
la disponibilit� da parte di organi della collettivit� alla quale 
l'interesse stesso sia riferibile. Cos� nella sentenza del 16 ottobre 1954, 
n. 3753, le Sez. Un., confermavano la giurisprudenza del Consiglio di 
Stato sul ricorso di un commerciante avverso l'istituzione dell'imposta 
di consumo sui generi extratariffa osservando che � allorch� il provvedimento 
colpisce una determinata o determinabile categoria di persone, 
ed � pertanto configurabile... un conflitto di interessi... si profila quella 
stessa utilit� privata, personale, che forma il contenuto del diritto soggettivo, 
e viene quindi a realizzarsi quel connotato che � tipico dell'interesse 
legittimo: la funzione strumentale che esso spiega rispetto alla 
protezione di beni o diritti i.dividuali �. Questo insegnamento chiarisce 
come la limitazione della tutela giurisdizionale agli interessi personali sia 
connaturata ad una giurisdizione che, lungi dall'essere di diritto obiettivo, 
ha la funzione di risolvere conflitti di interessi; e il rilievo giova 
alla costruzione di un criterio discriminante. Nel caso, le societ� ricorrenti 
fanno valere l'interesse a conseguire una concessione amministrativa 
che � potenzialmente in conflitto con gli interessi di ogni altra 
impresa, � ben distinto da quello (che primieramente le norme invocate 
tutelano) dell'ente pubblico a ricavare dai contratti attivi il massimo 
provento, bench� con esso converga, ed �, pertanto, personale, nonostante 
che sia individualizzabile in qualunque soggetto che all'epoca 
della vicenda amministrativa dedotta in lite esercitasse attivit� pubblicitaria 
in forma d'impresa. 
Del resto, che agli interessi c.d. diffusi non vada negata, per tale 
loro carattere, la tutela giurisdizionale propria degli interessi legittimi, 
� stato acclarato da questo Consiglio (Ad. Pl., 19 ottobre 1979, n. 24, 
e cfr. Sez. V, 30 luglio 1980, n. 750, e Sez. Un., 8 maggio 1978, n. 2207). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

6. -Non ogni interesse personale, per�, � un interesse legittimo (o 
un diritto soggettivo): l'ordinamento non tutela pretese futili o immorali 
o emulative o tendenti a porre in essere situazioni contrarie alla 
legge; di qui il ritenuto parallelismo tra l'interesse legittimo e l'interesse 
pubblico (Sez. IV, 28 agosto 1951, n. 563; Sez. V, 29 ottobre 1968, 
n. 1315; Ad. PI., 8 gennaio 1966, n. 1; Sez. IV, 11 maggio 1966, n. 352; 
Sez. V, 19 febbraio 1976, n. 274). 
Secondo la giurisprudenza e la dottrina meno recenti, la qualificazione 
giuridica degli interessi si manifesta nella norma che, disciplinando 
il potere amministrativo, li prende in considerazion� (Ad. PI., 26 gennaio 
1971, n. 1; Sez. V, 15 novembre 1957, n. 976). 

Questo indirizzo, cui � coerente il rifiuto di ravvisare interessi legittimi 
riferiti alla determinazione del tipo di procedimento contmttuale, 
� stato superato da una giurisprudenza che ricerca in un pi� ampio 
spettro di norme e principi giuridici i punti di emersione della qualificazione 
normativa degli interessi personali, della loro oggettiv.a rilevanza 
sociale che li rende meritevoli di tutela (Sez. VI, 4 marzo 1980, n. 289; 
Cons. giust. Si., 19 dicembre 1980, n. 89). E in quest'ultimo ordine di 
idee (esplicitato dalla Sez. VI nella citata decisione del 22 giugno 1979, 

n. 500) questo Consiglio ha dato adito a ricorsi in cui si son fatte valere 
posizioni soggettive non considerate specificamente dalle norme regolatrici 
del potere esercitato con l'atto impugnato: dei vicini, contro le 
autorizzazioni di costruzioni, ancor prima della legge 6 agosto 1967, 
n. 765 (Sez. V, 28 maggio 1965, n. 546; Sez. V, 13 gennaio 1967, n. 16; 
cfr. Sez. V, 9 giugno 1970, n. 523); del terzo, contro l'inerzia del Sindaco 
nei confronti di abusi edilizi (Sez. V, 14 maggio 1983, n. 158); dei proprietari 
di fondi ed edifici, per la conservazione dei vincoli gravanti sui 
beni limitrofi in base ala legislazione sulla protezione delle bellezze naturali 
(Sez. V, 29 dicembre 1950, n. 1335; Sez. VI, 9 gennaio 1957, n. 4; 
cfr. Sez. Un., 15 marzo 1972, n. 745); del proprietario di un edificio contiguo 
al luogo di ubicazione di un'opera pubblica, contro il provvedimento 
che dispone al riguardo (Sez. V, 17 febbraio 1970, n. 134); di commercianti, 
contro i provvedimenti generali istitutivi dell'imposta di consumo 
sui generi extratariffa (Sez. V, 15 marzo 1952, n. 449, e vd. Sez. Un., 
16 ottobre 1954, n. 3153 cit.; Sez. Un., 20 maggio 1950, n. 1294; contra, 
Sez. Un., 14 agosto 1951, n. 2519); degli utenti dei servizi portuali, contro 
i provvedimenti tariffari (Sez. VI, 14 novembre 1969, n. 716; Sez. VI, 
14 luglio 1970, n. 589; Sez. VI, 21 febbraio 1978, n. 254; Sez. Un., 20 aprile 
1974, n. 1094) e organizzativi (Sez. VI, 4 marzo 1977, n. 178) delle competenti 
amministrazioni; di un'azienda di credito, contro il provvedimento 
che autorizza l'apertura di sportelli di un'azienda concorrente 
(Sez. IV, 2 dicembre� 1949, n. 423, cit., che valorizza la titolarit�, da parte 
della ricorrente, �di un interesse specifico relativo ad una ben indivi

PARm I, Sl!Z. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

duata sfera di attivit��); della Provincia autonoma di Bolzano, contro 

gli atti lesivi del principio della proporzionalit� tra i gruppi linguistici 

nell'amministrazione ferroviaria statale (Sez. VI, 6 maggio 1980, n. 890); 

del titolare di un'autorizzazione commerciale, contro la concessione di 

altra autorizzazione al figlio del locatore dell'immobile dove egli eser


cita (Sez. V, 21 settembre 1982, n. 676); della ditta concessionaria di un 

pubblico servizi� di autolinea, che aspira al rinnovo della concessione, 

contro la deliberazione di municipalizzazione del servizio� (Sez. VI, 9 feb


braio 1973, n. 30); di esercenti di sale cinematografiche, contro il nulla


osta alla costruzione di una nuova sala cinematografica nel Comune 

(Sez. IV, 21 novembre 1958, n. 866; Sez. IV, 24 febbraio 1960, n. 195); di 

titolari di agenzie di viaggi, contro il nulla-osta all'apertura di agenzie 

concorrenti (Sez. VI, 11 marzo t977, n. 205, che ricava dall'art. 31 della 

Costituzione la qualificazione dell'interesse); del titolare di un distribu


tore di carburante, contro il provvedimento che consente l'apertura di 

un esercizio concorrente (Sez. V, 4 dicembre 1964, n. 1460); dei frontisti 

di una strada pubblica, e anche dei titolari di imprese e laboratori ubi


cati lungo la stessa, o lungo un canale, contro i provvedimenti di sdema


nializzazione e contro quelli che regolano il transito dei natahti (Sez. V, 

16 dicembre 1969, n. 1526; Sez. V, 9 febbraio 1973, n. 104; Sez. V, 13 luglio 

1973, n. 626); dell'impresa che aspira ad una concessione mineraria, con


tro l'atto con cui si dispone che non si dia corso al procedimento di deca


denza nei confronti dell'attuale concessionario (Sez. VI, 23 aprile 1958, 

n. 231); dell'impresa esercente un servizio pubblico di trasporto in concessione, 
contro gli atti di nomina dei componenti il consiglio di disciplina, 
data l'influenza che il funzionamento di questa pu� avere su:ll'an� 
damento del servizio (Sez. VI, 25 novembre 1969, n. 798); di notai in 
tema di tabelle notarili (Sez. IV, 18 ottobre 1967, n. 506; Sez. IV, 15 novembre 
1967, n. 798); di un Comune contro l'attribuzione della qualifica 
di localit� economicamente depressa a un comune limitrofo (Sez. Un., 
18 maggio 1965; n. 964); del creditore del Comune, contro il provvedimento 
dell'autorit� di controllo che riduce il relativo capitolo di spesa del 
bilancio comunale (Sez. V, 9 maggio 1967, n. 406); del mezzadro, contro 
il provvedimento che autorizza la costituzione del fondo in maso chiu. 
so (Sez. VI, 
22 giugno 1969, n. 501); dei tecnici di volo, e della loro associazione, 
contro i provvedimenti del Registro aereonautico relativi alla 
composizione degli equipaggi (Sez. VI, 18 maggio 1979, n. 378 cit.); di 
impiegati pubblici, in tema di organizzazione degli uffici e servizi cui 
sono addetti (Sez. V, 7 giugno 1983, .n. 206; Cons. giust. Si. 3 dicembre 
1982, n. 73; Sez. V, 6 aprile 1979, n. 171; Ad. Pl., 26 gennaio 1971, n. 1; 
Sez. V, 7 novembre 1969, n. 1120; Sez. V, 25 giugno 1968, n. 967; Ad. Pl., 
8 novembre 1966, n. 23; Ad. Pl., 26 febbraio 1965, n. 5; Sez. V, 11 luglio 
1953, n. 501)~ 


296 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

L'indirizzo che emerge da questo panorama giurisprudenziale garantisce 
tutti gli interessi personali che non siano � illegittimi � nel senso 
sopra precisato, chiarisce che l'ulteriore attributo della differenziazione 
si focalizza sull'interesse al ricorso piuttosto che sulla posizione s�stanziale 
(cfr. Sez. VI, 14 aprile 1954, n. 234; Sez. V, 8 maggio 1965, n. 499; 

Ad. Pl., 16 gennaio 1971, n. 1 cit.) e vanifica la categoria concettuale 
degli interessi semplici (nella quale sono di solito inquadrati, dalla giurisprudenza 
qui disattesa, quelli dei soggetti lesi dall'illegittimo ricorso, 
da parte della p.a., a procedure contrattuali che li escludono). L'art. 113 
della Costituzione, che � un canone di interpretazione delle norme non 
meno che un precetto e un vincolo per il legislatore ordinario, impone, 
infatti, un massimo di garanzie giurisdizionali: l'azione della p.a., salva 

l'insindacabilit� delle sue valutazioni di opportunit�, non pu� mai, in 
ogni caso, sottrarsi al controllo giurisdizionale, avanti il giudice ordinario 
o a quello amministrativo (Sez. Un., 16 ottobre 1954, n. 3753); e l'ampiezza 
del potere discrezionale della p.a. rileva sul piano della fondatezza 
della domanda, non su quello della legittimazion�, che non pu� 
essere negata ad interessi personali (a pretese disposizioni o aspettative 
di �vantaggio) che non siano giuridicamente irrilevanti o immeritevoli 
di tutela. 

Che tali non siano quelli fatti valere dalle societ� ricorrenti, non 
pu� essere revocato in dubbio: li qualificano le norme costituzionali che 
garantiscono la libert� d'impresa e l'imparzialit� della P.A., e quelle ordinarie 
che delle prime fanno specifica applicazione limitando la discrezionalit� 
della p.a. in punto di scelta del tipo di procedura contrattuale. 

7. -Dovendo, perci�, essere respinte le eccezioni con cui il Comune 
contesta la ricevibilit� dell'impugnazione, i motivi della stessa devoluti 
al giudice d'appello vanno riesaminati nel merito. 
Il secondo motivo del ricorso introduttivo � fondato, cos� come ha 
ritenuto il primo giudice. 

L'art. 3, secondo comma, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, come modificato 
dall'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 627, il quale dispone che i contratti 
dai quali derivi un'entrata per la P.A. debbono essere preceduti da 
pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, da esternarsi adeguatamente, 
non si intenda far ricorso alla licitazione o, in caso di necessit�, 
alla trattativa privata, pone un principio valido anche per le amministrazioni 
locali, per le quali, d'altra parte, l'illegittimit� dell'attribuzione 
della concessione in questione col metodo della licitazione privata 
si ricava dall'art. 87 t.u.1.c.p. approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383. 

Nell'impugnata deliberazione del 4 giugno 1981, n. 3634, la scelta di 
un procedimento diverso dai pubblici incanti non � sorretta da alcuna 
giustificazione. Il Comune appellante afferma che il ricorso alla licitazione 
privata per la concessione del servizio di pubblicit� visiva e fonica b 

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1: 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

negli impianti sportivi fiorentini � adottato da anni, e che la deliberazione 
del 4 giugno 1981, siccome si richiama alle precedenti analoghe 
deliberazioni, deve intendersi motivata per relationem. Ma negli atti 
versati in causa non ce n'� alcuno da cui possano ricavarsi le ragioni 
che dovevano essere enunciate specificamente, che hanno indotto il Comune 
a ricorrere alla licitazione privata in luogo dei pubblici incanti. � 

8. -Anche il quinto motivo del ricorso, che denuncia il vizio di 
incompetenza nella nota dell'8 luglio 1981, merita di esere accolto. La 
scelta delle ditte da invitare alla licitazione privata spetta alla giunta 
municipale a norma dell'art. 25, secondo comma, r.d. 30 dicembre 1923, 
n. 2839, richiamato in vigore, con modificazioni, dalla legge 9 giugno 
1947, n. 530. Per scrupolo di completezza pu� aggiungersi che a ritenerlo, 
come vorrebbe (erroneamente) il Comune appellante, atto di mera 
esecuzione della deliberazione relativa alla scelta del procedimento con� 
trattuale, apparterrebbe alla competenza del sindaco; e la nota dell'8 
luglio 1981, contenente l'elenco delle ditte da invitare alla licitazione, 
non � stata firmata dall'assessore al patrimonio per il sindaco ma come 
atto del proprio ufficio. 
9. -Del quarto motivo, evidentemente assorbito, non � il caso di 
occuparsi. 
I vizi degli atti che lo precedono travolgono il verbale di aggiudicazione 
del 30 luglio 1981. 
Va, conclusivamente, confermato l'annullamento degli atti la cui im� 
pugnazione non � inammissibile (vd. � 1). Viene cos� precisato il generico 
dispositivo della sentenza di primo grado, senza che tale precisazione ne 
comporti la riforma. La motivazione della sentenza stessa va, per�, sostituita 
dalle considerazioni che precedono. (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, Sent. 4 ottobre 1983, n. 705 � Pres. Benvenuto
� Est. Berruti � Federazione Italiana Consorzi Agrari (avv. Guarino) 
c. Comune di Livorno (n.c.). 

Giustizia amministrativa � Esecuzione del giudicato � Annullamento prov� 
vedimento inibitorio � Adempimento della P .A. � Provvedimento autorizzatorio 
� Non necessariet� � Inammissibilit� ricorso inottemperanza. 

Annullato in sede giurisdizionale il provvedimento del Sindaco che 
vietava l'attivazione di uno stabilimento industriale nell'interesse della salute 
pubblica, per l'esecuzione di tale giudicato non � necessario un provvedimento 
autorizzativo neanche sotto il profilo dell'abitabilit�, essendo 
sufficiente la mancata emanazione di un nuovo provvedimento proibi� 


298 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

torio nel termine fissato con diffida dall'interessato,� pertanto in tale ipo�� 
tesi � inammissibile il ricorso per inottemperanza. (1) 

(1) Nessun precedente in termini. Sulla necessit� di ricostruire il senso 
e la portata della statuizione del giudice in ragione del contrasto di� interessi 
definito allo scopo di stabilire se l'Amministrazione abbia dato ottemperanza 
al giudicato o sia J:imasta inerte, che � quanto viene ribadito nella premessa 
della presente decisione, in cui il ricorrente lamentava l'inerzia dell'Amministrazione 
in relazione ad una pretesa eccedente il giudicato, cfr. Sez. VI, 
3 aprile 1979, n. 205; sull'obbligo per l'Amministrazione di eliminare gli effetti 
prodotti dall'atto annullato e ricostruire conseguenzialmente la situazione contemplata 
nella decisione, non limitandosi all'inerte constatazione che l'atto 
� stato cancellato ipso iure dal modo giuridico cfr. Sez. V, 119 ottobre 11973. 
n. 686. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, Sent. 10 ottobre 1983, n. 723; Pres. Benvenuto, 
Est. Vacirca; Romagnoli (avv. Ledda) c. Ministero beni culturali 
e ambientali (avv. Stato Tamiozzo) e Guerra Moscardini (avv. 
Lubrano). 

Demanio � Beni storici ed artistici � Vhtcolo � Luogo di incontri culturali 
da inizio secolo � Legitthnlt�. � � 

Demanio � Beni storici ed artistici � Vincolo � Beni accessori � Inesistenza 
vincolo pertinenziale � Deducibilit� -Limiti soggettivi. 

Demanio � Beni storici ed artistici � Vincolo � Limiti e destinazione beni 
vincolati � Legittimit� � Imposizione esercizio attivit� economica � 
Illegittimit�. � 

Demanio � Beni storici ed artistici � Vincolo � Adozione ad evitare pregiudizi 
� Eccesso di potere per sviamento � Insussistenza. 

� legittimo il provvedimento di vincolo ex art. 2 legge 1� giugno 1939, 

n. 1089, di un luogo di incontri e scambi conviviali su problemi di cultura 
ed attualit� mantenuto sostanzialmente inalterato dall'inizio del secolo. 
(1) 
Il proprietario del bene accessorio non pu� far valere la insussistenza 
del nesso pertinenziale iure privato al fine di sottrarlo aUa dichiarazione 

(1-3) Tra le decisioni pi� significative in tema di beni storico-artistici 
cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 1978, n. 446, che ritiene applicabile la tutela 
di cui alla legge n. 1089/1939 ai terreni paludosi facenti parte del complesso 
monumentale costituito dalle foci del Timavo e dalla sovrastante montagna 
dell'Hermada; Sez. VI, 24 aprile 1978, n. 306, relativa alle mura estensi di 
Ferrara ritenute sottoposte a tutela ex art. 1 legge cit. e senza quindi necessit� 
di provvedimento di vincolo diretto. 

Circa la possibilit� di sottoporre a vincolo anche l'opera di un artista non 
avente una fama consolidata purch� riconosciuta significativa con riferimento 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 299 

di interesse particolarmente importante, quando egli sia anche proprietario 
del bene principale. (2) 

Con i vincoli per la tutela di interesse storico ed artistico possono 
essere previsti limiti alla destinazione dei beni vincolati ma non si pu� 
imporre lo svolgimento di una determinata attivit� economica. (3) 

Il fatto che un provvedimento di tutela delle cose di interesse artistico 
sia stato adottato nell'imminenza di un evento che poteva pregiudicare 
la destinazione o la stessa esistenza non � indice certo di sviamento 
dell'attivit� amministrativa. (4) 

(omissis) 1. -Con il primo tnotivo di appello il ricorrente sostiene 
che il Tribunale abbia erroneamente interpretato il provvedimento, attribuendo 
all'Amministrazione l'intenzione di avvalersi del potere previsto 
dall'art. 5 legge 1� giugno 1939, n. 1089. 

La doglianza � infondata. 

Il Tribunale, sia pur con motivazione estremamente sintetica, ha richiamato, 
oltre gli artt. 1 e 7, anche l'art. 5 della legge n. 1089 del 1939, 
al fine di trarne argomento a sostegno dell'opinione secondo cui � possibile 
che i vincoli previsti da tale legge siano imposti su beni, i quali, 
indipendentemente da un loro intrinseco valore in qu~to isolatamente 
considerati, presentino un interesse culturale nel loro collegamento funzionale. 


Indipendentemente dalla qualificazione operata dal T.A.R., poi, si ricava 
sia dal dispositivo sia dalla motivazione del provvedimento che l'Amministrazione 
non ha inteso esercitare il potere di vincolare una � collezione
� o una �serie di oggetti� ai sensi dell'art. 5 legge n. 1089 del 1939. 
Tale norma non �, infatti, richiamata nelle premesse. Inoltre il dispositivo 
si riferisce a un immobile e non a una universalit� di mobili. Sono, pertanto, 
infondate anche le censure, con le quali si deduce il difetto di pre


alla storia dell'arte e della cultura in genere cfr. Sez. IV, 12 novembre 1974, 

n. 789. 
Sull'irrilevanza degli errori di citazione storica o di riferimento dell'opera 
ad un artista invece che ad un altro, purch� nella motivazione del provvedimento 
sia adeguatamente giustificato il giudizio sulle caratteristiche dell'immobile 
cfr. Sez. IV, 7 maggio 1974, n. 350. 

Si ricorda infine Sez. IV, 20 giugno 1972, n. 540, che ritenne manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale della legge 1089/1939 in 
relazione all'art. 42 Cost. 

(4) Sulla rilevanza del vincolo pertinentale cfr. Sez. IV, 23 giugno 1939, 
n. 355; 5 marzo 1943, n. 61; Sez. VI, 29 gennaio 1964, n. 61, citate in motivazione. 
La prima sentenza in particolare afferma decisamente il principio applicato 
nella decisione massimata laddove sottolinea che il vincolo imposto alla 
pertinenza annullerebbe completamente il diritto spettante al proprietatio della 
stessa attribuendo inoltre un indebito lucro al proprietario del bene principale, 
qualora non sussistesse identit� tra le due persone. 



300 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

supposti per l'esercizio del potere ex art. 5 cit., nonch� l'illegittimit� del 
procedimento per difetto del parere del Consiglio superiore delle antichit� 
e belle arti. 

2. -Col. secondo motivo di appell~ il ricorrente ripropone il primo 
motivo del gravame di primo grado, sostenendo l'indeterminatezza dello 
interesse pubblico ravvisato dall'Amministrazione, nonch� dell'oggetto e 
della portata del vincolo, e deducendo, altres�, incongruenza e perplessit� 
della motivazione e del dispositivo. 
In ordine all'interesse pubblico connesso al bene, la motivazione � chiara 
nel senso che l'immobile � stato riconosciuto di �interesse particolarmente 
importante� per il suo riferimento alla storia della letteratura, 
dell'arte e della cultura. Gli accenni al �carattere di tipica trattoria romana 
� agli � schizzi satirici e quadri di Mino Maccari, Renato Brozzi, Giulio 
Turcato, Achille Perilli, Toti Scialoja, Eliseo Mattiacci e altri� nonch� 
alla �,autentica insegna � e agli � sporti in legno dell'epoca � non sono intesi 
alla dimostrazione di un autonomo interesse artistico dei singoli beni 
descritti, ma costituiscono premesse della successiva affermazione sulla 
opportunit� di conservare un � luogo di incontri e scambi conviviali su 
problemi di cultura e attualit��, mantenuto �sostanzialmente inalterato 
dall'inizio del secolo �. 

L'esigenza di vincolare un �luogo di ritrovo e d'incontro di artisti, 
scrittori, giornalisti e uomini di cultura italiani e stranieri � � riconducibile 
senza dubbio al tipo di interessi presi in considerazione nell'art. 2 
legge n. 1089 del 1939, n� pu� aver rilevanza il fatto che nel dispositivo 
del provvedimento siano citati congiuntamente i primi due articoli della 
legge. 

Sufficientemente determinato � anche l'oggetto del vincolo. Esso incide 
sull'immobile, cos� come descritto nelle premesse; pertanto concerne sia 
il locale che le pertinenze giudicate indispensabili per conservarne� le caratteristiche. 


Quanto alla portata del vincolo, essa si desume dalla legge, onde non 
costituisce vizio del provvedimento il fatto che non risulti espressamente 
ricordata. 

Non si ravvisa, infine, incongruenza e perplessit� della motivazione e 
del dispositivo. In quest'ultimo sono indicati come destinatari del provvedimento 
sia il proprietario dell'immobile sia il titolare della licenza di 
esercizio, onde risulta chiara la volont� di vincolare anche beni appartenenti 
a quest'ultimo (in quanto costituenti pertinenze dell'immobile), in 
accordo con le premesse del decreto. 

3. -Col terzo motivo di appello si ripropone il secondo motivo del 
ricorso di primo grado, il quale � formulato, in via ipotetica, in relazione 
a diverse interpretazioni del provvedimento (come riferentesi al solo immobile 
oppure all'insieme dell'immobile e degli arredi). 

PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Poich� -come si � sopra dichiarato -il provvedimento va interpretato 
nel secondo senso, il motivo deve essere esaminato nella sola parte in 
cui il ricorrente deduce: a) la non configurabilit� di tali arredi come pertinenze, 
b) la loro insufficiente individuazione .. 

a) Per quanto concerne il primo profilo, il ricorrente riconosce che 
il vincolo di cui all'art. 2 legge n. 1089 del 1939 possa incidere, oltre che su 
immobili, sulle loro pertinenze, ma nega che tali possano considerarsi, 
alla stregua dei principi civilistici (art. 817 cod. civ.) le cose destinate 
dal conduttore a servizio od ornamento del locale. 

La doglianza � inammissibile per difetto d'interesse. Il nesso pertinenziale 
iure privato � stato talvolta preso in considerazione in giurisprudenza 
come presupposto di legittimit� del vincolo pertinenziale iure publico 
costituito con provvedimento amministrativo in applicazione della 
legge n. 1089 del 1939 o della previgente legge 30 giugno 1909, n. 364 (Cons. 
Stato, Sez. IV, 23 giugno 1939, n. 355; id., 5 marzo 1943, n. 61; id., Sez. VI 
29 gennaio 1964, n. 61, ma � stata anche affermata l'autonomia del vincolo 
pubblicistico (ex artt. 11 e 12 legge n. 1089) e la sua idoneit� a persistere 
indipendentemente dal rapporto privatistico (Cons. Stato, Sez. VI, n. 61 
del 1964 cit.). 

La rilevanza del nesso pertinenziale iure privato � stata, quindi, riconosciuta 
non in ragione dell'idoneit� o meno della pertinenza a soddisfare 
l'interesse artistico o storico, bens� a tutela della posizione del proprietario 
del bene accessorio nei casi in cui la sua destinazione a servizio o 
ad ornamento di un altro bene non sia stata gi� impressa nei modi previsti 
dalle norme civilistiche o sia venuta a cessare prima dell'imposizione 
del vincolo pubblieistico. Esplicitamente in tal senso, con riferimento 
all'art. 13 della legge 20 giugno 1909, n. 364, e al codice civile del 
1865, sono i rilievi svolti nella citata decisione della IV Sezione n. 355 del 
1939, in cui si osserva: �Il divieto (conseguente all'imposizione del vincolo 
artistico) di rimuovere una cosa mobile per natura dal luogo ove 
essa si trova costituisce indubbiamente una grave limitazione del diritto 
di propriet�, ma non � tale da svuotare il diritto stesso di ogni contenuto 
allorch� la cosa sia posta al servizio di un immobile appartenente allo 
stesso proprietario. Ma se, invece, detto divieto potesse colpire cose mobili 
per natura collocate in un immobile di propriet� di terzi, il diritto spettante 
ai proprietari di tali cose mobili ne risulterebbe completamente annullato, 
rimanendo ad essi praticamente interdetto sia il goderne personalmente, 
sia di disporne unitamente allo immobile, mentre, d'altra parte, 
il proprietario dell'immobile ne trarrebbe un indebito lucro �, 

� da ritenere quindi, che soltanto il proprietario del bene accessorio 
possa far valere l'eventuale insussistenza di un nesso pertinenziale iure 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

302 

privato al fine di sottrarre il proprio bene alla dichiarazione di interesse 
particolarmente importante ai sensi della legge n. 1089 del 1939. 

Il secondo profilo, in cui si articola la complessa doglianza, � infondato. 
I beni accessori rilevanti ai fini della conservazione delle caratteristiche 
proprie dell'immobile vincolato sono sufficientemente specificati, 
n� occorre che essi formino oggetto di un inventario dettagliato, che la 
legge non richiede neppure nel caso di vincolo imposto su collezioni. 

4. -Anche il quarto motivo di appello, corrispondente al terzo motivo 
del ricorso di primo grado, � formulato in via ipotetica: il provvedimento 
sarebbe illegittimo, perch� imposto su opere di autori viventi o 
eseguite da meno di cinquant'anni, se il vincolo colpisse anche i � disegni, 
schizzi satirici e quadri�, mentre sarebbe contraddittorio e incongruo 
in caso contrario. 
Come si � prima osservato, anche le predette opere devono ritenersi 
soggette a vincolo, ma non per il loro pregio artistico, bens� come pertinenze 
dell'immobile. Non opera, quindi, il limite previsto dall'art. 1 ultimo 
comma legge n. 1089 del 1939. 

Priva di fondamento �, poi, la censura di contraddittoriet� e incongruit� 
del provvedimento, formulata nel presupposto che l'Amministrazione, 
dopo aver richiamato i disegni, gli schizzi e i quadri nella motivazione, 
non li avesse poi sottoposti a vincolo. 

5. -Col quinto motivo di appello il ricorrente ripropone il quarto e 
il quinto motivo del gravame di primo grado. Premesso che la finalit� 
perseguita dall'Amministrazione appare essere non gi� la mera conservazione 
dell'immobile, bens� la prosecuzione di una determinata attivit� economica, 
il ricorrente sostiene l'estraneit� di tale interesse alla previsione 
della legge n. 1089 del 1939 e deduce violazione della legge stessa, del principio 
di legalit� dell'amministrazione, del principio di tipicit� dei provvedimenti 
e dei principi costituzionali di cui agli artt. 41 e 42 Cost. Deduce, 
inoltre, illogicit�, contraddittoriet� e incongruenza del provvedimento, 
giacch� esso non potrebbe garantire la finalit� predetta. 
Le censure sono infondate. 

Non � estranea al sistema dei vincoli per la tutela delle cose d'interesse 
storico o artistico la previsione di limiti alla loro destinazione 
(art. 11 cpv., e art. 12 legge n. 1089 del 1939, a norma dei quali �le cose 
medesime non possono essere adibite ad usi non compatibili con il loro 
carattere storico od artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro 
conservazione o integrit��). L'Amministrazione non ha invece, il potere di 
imporre lo svolgimento di una determinata attivit� economica, ma un 
simile vincolo non � stato costituito col provvedimento in esame, n� risulta 
che sia stato giudicato indispensabile dal Ministero, il quale si � 
limitato a dichiarare di interesse particolarmente importante l'immobile 
e le sue pertinenze. 

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PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

I divieti che da tale dichiarazione derivano non sono idonei a rendere 
obbligatoria la gestione della trattoria, ma ne pongono di fatto le 
premesse. 

Il provvedimento non �, quindi, in contrasto con la legge, n� risulta 
incongruo rispetto alla dichiarata finalit� di conservare un tradizionale 
luogo di ritrovo e d'incontro di artisti, scrittori e uomini di cultura. 

6. -Col sesto motivo il ricorrente ripropone le censure di insufficienza, 
perplessit� e incoerenza della motivazione nonch� di travisamento 
dei presupposti. 
Anche queste doglianze, riferite a singole parti della motivazione, appaiono 
infondate. In particolare va osservato che: 

a) il rilievo che � l'insieme determina un'interessarrte pagina di storia 
e di costume e parte integrante del patrimonio collettivo della citt� � 
non deve essere letto isolatamente, ma costituisce la conclusione di una 
lunga esposizione, in relazione alla quale assume concretezza; 

b) la motivazione non risulta incongrua rispetto alla determinazione 
dell'oggetto del provvedimento; 

e) la frequentazione del locale da parte di artisti, scrittori, giornalisti 
e uomini di cultura non � considerata come fatto occasionale, riferibile 
anche ad altri locali, ma come caratteristica dell'immobile definito 
�luogo di ritrovo e d'incontro�; non costituisce, inoltre vizio del provvedimento 
la mancata individuazione di un puntuale fatto storico, essendo 
ci� richiesto soltanto quando il valore culturale di un bene sia desumibile 
dal suo riferimento a un evento determinato; 

d) l'affermazione che la trattoria abbia mantenuto sostanzialmente 
inalterato � dall'inizio del secolo il carattere di luogo d'incontro e di 
scambi conviviali su problemi d'attualit� e di cultura � � contrastata dal 
ricorrente sulla base di mere congetture senza che siano indicati precisi 
eleme:qti di prova in contrario; 

e) il riferimento al �costume� non pu� considerarsi apodittico e 
generico, alla luce degli altri elementi contenuti nella motivazione, n� pu� 
condividersi l'opinione -espressa dal ricorrente -che l'Amministrazione 
abbia inteso attribuire rilievo essenziale al carattere familiare della gestione 
non garantibile con l'imposizione del vincolo, giacch� al contrario 
risulta chiaro che ben altre sono le ragioni prese in considerazione; 

f) la circostanza che Carlo Cassola abbia assunto il locale quale � riferimento 
di ambientazione � di un brano del romanzo �Vita d'artista� 
non pu� considerarsi priv� di rilievo, giacch� nell'ambito della motivazione 
� ricordata a dimostrazione delle caratteristiche della trattoria, descritta 
nel romanzo stesso come � frequentata da letterati e artisti e da altri che 
vivevano nella loro orbita� e accomunata al vicino � caff� greco �; 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

304 

g) l'affermazione che il locale sia stato sede di � mostre di artisti 
contemporanei� non aveva, per le ragioni esposte sub e), necessit� di es� 
sere corroborata con l'indicazione di precisi riferimenti temporali; tale 
destinazione, sia pur ocasionale, del locale non pu�, poi, considerarsi irrilevante, 
giacch� ne � evidente il legame con le caratteristiche dell'ambiente 
e della clientela; 

h) la censura relativa alla valutazione delle opere disposte sulle pareti 
� inammissibile, in quanto si risolve in una critica generica ,all'apprezzamento 
discrezionale dell'Amministrazione; 

i) la qualificazione del locale come � esempio di tipica trattoria romana
� ha valore descrittivo, ma, come risulta �chiaro dall'insieme della 
motivazione, non individua ~l valore culturnle che si � inteso salvaguardare; 
non pu�, quindi, ritenersi contraddittorio il provvedimento per difetto 
del requisito della �tipicit��, che sarebbe -secondo l'opinione del 
ricorrente -escluso dalla circostanza che la trattoria risulta dall'adattamento 
(effettuato all'inizio del secolo) di una fiaschetteria. 

7.. Col settimo motivo il ricorrente ripropone la censura di ec


cesso di potere per carenza di motivazione in ordine alla diretta valuta


zione delle caratteristiche del bene, nonch� per omissione di ispezioni o 

sopralluoghi ad opera di funzionari del Ministero o della Soprintendenza 
competente. 
Anche questa censura � priva di fondamento. 
La legge non dispone che all'imposizione dei vincoli si proceda sulla 

base di relazioni delle Soprintendenze competenti n� prescrive che gli ele� 

menti di valutazione siano acquisiti mediante ispezione diretta. Tali atti 

ed operazioni preparatori vengono in rilievo al fine di ricostruire l'iter 

logico seguito dall'Amministrazione nell'imporre il vincolo, allorch� esso 

non possa integralmente desumersi dalla motivazione del provvedimento. 

Nella specie, per�, la motivazione del decreto � assai ampia e contiene una 

descrizione dettagliata del locale e delle sue caratteristiche. Rispetto a 

tale descrizione si pu� discutere della rispondenza alla realt�, mentre 

resta irrilevante il modo in cui gli elementi siano stati acquisiti. 

8. -Con l'ottavo motivo il ricorrente deduce sviamento, sotto tre 
profili: 
a) lo scopo di conservazione dei caratteri del locale non corrisponderebbe 
alle finalit� indicate dalla legge, che potrebbero essere corretta� 
mente riferite soltanto a testimonianze suscettibili di essere tramandate 
per un periodo indeterminato. 

b) da giornali e periodici si ricaverebbe che l'imposizione del vincolo 
mirerebbe a consentire la prosecuzione dell'esercizio attuale, con le 
caratteristiche legate alla persona degli odierni gestori. 


PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

e) le finalit� reali del provvedimento si riceverebbero dalle dichiarazioni 
del Ministro allora in carica, il quale .nel corso di un'intervista 
aveva manifestato il proposito di impedire che il gestore della trattoria 
fosse sfrattato. 

Neppure l'ultima censura risulta fondata. 

Per quanto concerne il primo aspetto, � sufficiente richiamare quanto 
esposto nel paragrafo 2, in cui � stato osservato che il riferimento di un 
immobile alla storia della letteratura, dell'arte e della cultura costituisce, 
secondo la legge, ragione sufficiente perch� il bene riconosciuto di interesse 
particolarmente importante, sia sottoposto a vincolo. 

In ordine al secondo aspetto, occorre distinguere fra gli auspici di 
parte della stampa e la portata effettiva del provvedimento. Quest'ultimo 
tutela il bene in s�, con le sue pertinenze, ma non garantisce n� 
lo potrebbe -che l'attivit� di impresa continui a essere svolta dallo 
stesso soggetto. 

Infine, per quanto riguarda il terzo aspetto, va considerato che non di 
rado i provvedimenti in materia di tutela delle cose di interesse storico 

o artistico sono adottati nell'imminenza di eventi che ne possano pregiudicare 
l'aspetto, la destinazione .o la stessa esistenza. 
Tale circostanza per�, non costituisce di per s� indice di sviamento 
dell'attivit� amministrativa, che risulta comunque conforme alle finalit� 
poste dalla legge. 

N� l'occasionale coincidenza dell'interesse pubblico con un interesse 
privato (nella specie quello del gestore della trattoria, minacciato di sfratto) 
appare significativa, essendo tale rapporto riscontrabile in tutti gli 
interessi legittimi. 

9. -L'appello va, pertanto, respinto. 
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, sent. 22 ottobre 1983, n. 747 -Pres. Benvenuto 
-Est. Barberio Corsetti -Di Dario (avv. Carratelli) c. Ministero 
beni culturali ed ambientali (avv. Stato Tarin). 

Impiego pubblico -Trasferimento per incompatibilit� ambientale -Dissidio 
con altro dipendente � Valutazione sommaria ragioni contrapposte 
� Necessit�. 

Impiego pubblico � Trasferimento per incompatibilit� ambientale � Dissi� 
dio con altro dipendente � Specificazione influenza su andamento 
ufficio � Necessit� � Motivazione. 

� illegittimo il provvedimento di trasferimento di un pubblico dipendente 
per incompatibilit� ambientale disposto in relazione ad un dissidio 


306 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

insorto con altro dipen�l.ente senza valutare con adeguata motivazione 
almeno il fumus delle ragioni contrapposte (1). 

E illegittimo il provvedimento di trasferimento di un pubblico dipendente 
per incompatibilit� ambientale disposto in relazione ad un dissidio 
con altro dipendente senza specificare se e quali effetti tale dissidio 
determini sull'andamento dell'ufficio (2). 

(1-2) Sarebbe invece legittimo il trasferimento che sia motivato con riferimento 
ad una relazione ispettiva nella quale risulti incontestabilmente la 
necessit� di tutelare il prestigio esterno dell'ufficio con l'allontanamento del 
dipendente (Sez. IV, 24 aprile 1979, n. 287); mentre � stato dichiarato illegittimo 
il trasferimento del direttore di una scuola di arte adottato senza 
alcuna indicazione neppure sommaria sulla natura degli inconvenienti e del 
comportamento che li avrebbe determinati (Sez. VI, 25 gennaio 1972, n. 27). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 22 ottobre 1983, n. 749 -Pres. Benvenuto 
-Est. Noccelli -Imperatori (avv. Fabrizio) c. Ministero Pubblica 
istruzione (avv. Stato Siconolfi). 

Istruzione e scuole -Diritto all'istruzione -Contenuto. 

Istruzione e scuole � Sanzione disciplinare -Allontanamento dalla scuola Limite 
al diritto all'istruzione -Interesse collettivit� -Legittimit�. 

Istruzione e scuole � Sanzione disciplinare -Allontanamento dalla scuola 
� Motivazione -Inadeguata valutazione fatti -Mancanza prova fatti 
pi� gravi. 

Poich� il diritto all'istruzione si realizza nella pretesa all'eliminazione 
degli ostacoli di ordine sociale ed economico alla libera esplicazione della 
personalit� nell'istituzione scolastica esso non impone allo Stato una 
prestazione specifica svin.�olata dal rispetto di altri obblighi volti ad assicurare 
il buon andamento della funzione didattica, la tutela della dignit� 
dei docenti e del diritto all'istruzione da parte degli altri discenti 
(1). 

La sanzione disciplinare dell'allontanamento dalla scuola fino al termine 
delle lezioni non viola il diritto all'istruzione, ma ne limita il con


(1-2) Sul diritto all'istruzione cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 1981, n. 420, 
che precisa che l'art. 34 della Costituzione non pu� essere inteso quale garanzia 
di un'apertura indiscriminata della scuola, prescindente da detorminati 
requisiti, per cui mentre non � lecita una selezione che si fondi sulle ragioni 
che l'art. 3 Cost. enumera per escludere la differenza di trattamento, � consentito 
condizionare l'accesso agli studi a requisiti di et�, di idoneit� ed anche 
di condotta. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 307 

tenuto subordinandolo, in caso di necessit�, all'interesse della collettivit� 
ad impedire i comportamenti devianti del singolo (2). 

La sanzione disciplinare dell'allontanamento dalla scuola fino al termine 
delle lezioni � provvedimento immotivamente troppo grave quando 
non siano state adeguatamente considerati i precedenti storici, il particolare 
ambiente ed il clima nei quali furono commesse le azioni addebitate 
e non sia stata raggiunta la prova certa di taluni dei fatti pi� 
gravi (3). 

(3) Sul potere disciplinare delle autorit� scolastiche cfr. la sent. sopra cit., 
la quale esclude l'assimilabilit� di esso a quello esercitato dei superiori gerarchici 
nei confronti del pubblico impiegato; nello stesso senso con riferimento 
alla sospensione cautelare Sez. Il, 14 luglio ,1978, n. 452/78, in Cons. Stato, 
1980, 801. 
Si precisa che nella massima si � di proposito riportata la formula usata 
dal G.A., per censurare il provvedimento, ovverosia �immotivatamente troppo 
grave�, proprio per sottolineare l'intima contraddittoriet� della decisione che 
sembra aver invaso, con il pretesto della motivazione, proprio la discrezionalit� 
dell'Amministrazione, giungendo a ritenere troppo grave la sanzione irrogata 
allo studente invece di individuare dei precisi sintomi del lamentato e ritenuto 
eccesso di potere. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, n. 772 -Pres. Benvenuto 
-Est. Tanzi -Conservatorio di musica di Perugia ed altro (avv. 
Stato Nucaro) c. D'Ambrosio (avv. Schiavone). 

Impiego pubblico -Insegnante � Nomina con effetti giuridici retroattivi � 
Proscioglimento in sede penale � Retribuzione � Irretroattivit�. 

L'insegnante cui, a seguito del proscioglimento in sede penale, sia 
stata conferita la nomina con effetti giuridici retroattivi non ha diritto 
alla retribuzione per il periodo pregresso, non potendosi in tale ipotesi 
prescindere dal fondamentale principio per cui la corresponsione degli 
assegni ha come presupposto ineliminabile l'effettiva prestazione del servizio 
(1). 

(1) L'applicabilit� del principio della restitutio in integrum di cui all'art. 97 
t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, � stata invece affermata in caso di estinzione del giudizio 
penale per morte dell'imputato, ritenendosi cos� di dover colmare la lacuna 
della disciplina in materia. 
Per l'irretroattivit� della nomina agli effetti economici cfr. da ult. Sez. VI, 
24 settembre 1983, n. 684, in cui il ritardo nell'assunzione era dovuto alla 
necessit� di rinnovare la procedura a seguito di annullamento giurisdizionale 
di precedente provvedimento illegittimo e 2 aprile 1982, n. 184, per i candidati 
ad un pubblico impiego nominati con ritardo a seguito dell'accoglimento del 
gravame amministrativo. 



308 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 2 novembre 1983, n. 786 -Pres. Caianello 
-Est. Vacirca -De Marchis (avv. Stella Richter) c. Regione 
Calabria (avv. Stato Ferri) e Soc. Serragiumenta Laterizi (avv. Nigro). 

Demanio -C�va -Prefissione di termine per Io sfruttamento al proprietario 
-Impugnabilit� -Errata conoscenza caratteristiche del minerale. 

Demanio -Cava -Prefissione di termine al proprietario per Io sfruttamento 
� Sottrazione disponibilit� cava al proprietario -Concessione a 
terzi anche a distanza di tempo. 

La conoscenza delle caratteristiche del minerale ha rilievo per la valutazione 
dell'interesse pubblico alla coltivazione della cava e per ponderare 
la preminenza di tale interesse rispetto agli altri connessi ad un diverso 
sfruttamento economico del bene, per cui la non corretta valutazione 
di tale interesse pu� essere fatta valere in sede di ricorso del proprietario 
del suolo contro il provvedimento che gli fissa un termine per 
intraprendere la coltivazione della cava. (1) 

Scaduto infruttuosamente il termine assegnato al proprietario del 
suolo per intraprendere la coltivazione della cava si determina la sottrazione 
della cava alla disponibilit� del medesimo consentendosi il' rilascio 
della concessione a terzi anche a distanza di lungo tempo. (2). 

(1-2) Sul termine assegnato al proprietario della cava per dare inizio allo 
sfruttamento cfr. Sez. VI, 8 settembre 1974, n. 355 e 6 giugno 1967, n. 369, nelle 
quali si sottolineano il carattere di diritto affievolito del diritto di propriet� 
ed i limiti ad esso imposti dalla rilevanza pubblica del bene che lo vincolano 
ad un esercizio che -svolga la funzione di interesse generale di sfruttamento, al 
fine di sottrarlo alla sfera di operativit� dell'art. 42 Cost. 

Peraltro sulla conformit� a tale norma costituzionale dell'art. 45 r.d. n. 1443/ 
1927 cfr. Corte cost., 9 marzo 1967, n. 20, secondo la quale legittimamente la 
legge non dispone indennizzi quando segna limitazioni che attengono al regime 
di appartenenza o di godimento di certi beni in generale purch� le prescrizioni 
abbiano carattere obiettivo e siano rivolte alla generalit� dei soggetti i 
cui beni si trovano in situai:ioni rilevanti per di pubblico interesse. 

Sul carattere immediatamente lesivo della diffida con la quale l'Ammini


strazione intima al proprietario di provvedere alla coltivazione del giacimento 

cfr. Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 342, e sulla sua autonoma impugnabilit�, Sez. VI, 

22 ottobre 1982, n. 503. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 17 gennaio 1984, n. 6 -Pres. Benvenuto 
-Est. Vacirca -Ravelli (avv. Speranza e Romagnoli) c. Ministero 
beni culturali ed ambientali (avv. Stato Imponente). 

Demanio � Beni storici ed artistici � Esportazione in paesi della C.E.E. 
Acquisto da parte dello Stato -Prezzo pari al valore dichiarato � 
Illegittimit� � Proposta di prezzo da parte del Ministero -Necessit�. 

Quando venga richiesta una licenza di esportazione per paese appartenente 
alla Comunit� Economica Europea di beni di notevole interesse 
storico ed artistico � illegittimo il provvedimento di acquisizione per un 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 309 

corrispettivo pari al valore denunciato, dovendo la facolt� di acquisto 
esercitarsi nella forma di proposta del prezza da parte del Ministro (1). 

(omissis) 1. -Deve, preliminarmente, verificarsi la giurisdizione del 
giudice amministrativo in ordine alle controversie sull'esercizio della facolt� 
di acquisto da parte dello Stato di cose di interesse storico o artistico. 


Va, al riguardo, considerato che l'art. 39 legge 1� giugno 1939, n. 1089, 
prevede un potere di ablazione, sia pur esercitabile in occasione della 
esportazione del bene (conf. Cass., 23 gennajo 1953, n. 204; Cass., 30 luglio 
1982, n. 4364; Cass., 26 giugno 1956, n. 2291; Cons. Stato, Sez. VI, 28 giugno 
1960, n. 469; Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 1980, n. 894, onde � configurabile 
un interesse legittimo al corretto esercizio di tale potere. 

Pertanto � ammissibile il ricorso in esame, proposto per l'annullamento 
del decreto col quale il Ministro per i beni culturali e ambientali 
ha esercitato il potere di acquisto. 

N� rileva l'impropria qualificazione data dal ricorrente al primo dei 
vizi dedotti. 

Egli, infatti, non lamenta nella sostanza una �carenza di potere� 
dell'Amministrazione, ma sostiene che essa abbia esercitato in modo illegittimo 
la c.d. facolt� di acquisto, seguendo per un'esportazione diretta 
verso un Paese della Comunit� economica europea il procedimento previsto 
per le esportazioni verso Paesi terzi. 

2. --col primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 4 d.l. 
5 luglio 1972, n. 288, in quanto l'Amministrazione ha seguito il procedimento 
previsto dall'art. 39 primo comma della legge n. 1089 del 1939 (acquisto 
per il valore dichiarato) nonostante che fosse richiesta una licenza 
di esportazione per un Paese appartenente alla Comunit� economica 
europea. 
Va, preliminarmente, chiarito che l'Amministrazione non ha avanzato 
una propria proposta n� a tale adempimento pu� equipararsi -cos� 

(1) La sentenza costituisce una delle prime interpretazioni da parte del 
ConsigHo di Stato del d.l. n. 288/1972 conv. in legge n. 487/1972 emanato a seguito 
della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunit� europee 10 dicembre 
1968, n. 7 /68 che aveva dichiarato incompatibile con l'art. 16 del Trattato 
C.E.E. il tributo previsto dall'art. legge n. 1089/1939 per l'esportazione di beni 
d'interesse storico ed artistico in paesi della Comunit�. 
La decisione � molto interessante anche per la soluzione che d� all'apparente 
conflitto tra il decreto e la legge di conversione ricorrendo all'esame, 
per una volta tanto significativo, dei lavori preparatori; tale soluzione � difforme 
da quelle sino ad oggi sperimentata dai T.A.R. nelle decisioni citate in 
motivazione e sarebbe anche difforme da una sentenza della cassazione che 
per� � richiamata con data e numero errati che ne rendono impossibile il 
reperimento. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

310 

come sostiene l'Avvocatura dello Stato -la dichiarazione di voler acquistare 
per il valore dichiarato, giacch�, comunque, in difetto di un'accettazione 
da parte dell'esportatore, il procedimento avrebbe dovuto proseguire 
con la determinazione del corrispettivo ad opera di una Commissione, 
secondo le moda1it� di cui all'art. 37 della legge n. 1089 del 1939, mentre � 
sicuro che l'Amministrazione ha inteso esercitare il potere di acquistare 
per il valore dichiarato. 

3. -Ci� posto, occorre stabilire se anche per le esportazioni verso 
Paesi della Comunit� si applichi l'art. 39 primo comma della legge n. 1089 
del 1939 (nel testo introdotto dal d.l. n. 288 del 1972, convertito nella legge 
n. 487 del 1972), il quale cos� recita: �Entro il termine di novanta giorni 
dalla denuncia, il Ministro per la pubblica istruzione (ora: �per i beni 
culturali e ambientali�) ha {acolt� di acquistare, per il valore dichiarato 
nella denuncia stessa, le cose che presentino interesse per il patrimonio 
tutelato dalla presente legge�. 
La risposta negativa al quesito discende pienamente dai successivi 

due commi dell'art. 39 (anch'essi introdotti dal d.I. n. 288 del 1972): �Ai 

fini dell'esercizio della facolt� di cui al precedente comma, nei confronti 

dei beni per i quali viene richiesta licenza di esportazione verso i Paesi 

appartenenti alla Comunit� europea, il prezzo di acquisto � proposto dal 

Ministero stesso. 

Ove l'esportatore ritenga di non accettare il prezzo offerto dal Mi


nistro e non rinunzi all'esportazione, il prezzo stesso sar� stabilito se


condo le modalit� di cui all'art. 37 �. 

Tuttavia in giurispn1denza si sono formati due orientamenti, entrambi 

contrari all'interpretazione letterale, i quali traggono argomento dal fatto 

che nella legge di conversione 8 agosto 1972, n. 487, fu ripristinato, anche 

per le esportazioni dirette verso Paesi della Comunit�, l'obbligo per 

l'esportatore di dichiarare il valore venale delle cose da esportare, obbli


go che era stato espressamente escluso dall'art. 3 secondo comma, d.I. 

5 luglio 1972, n. 288. 

Secondo il primo di detti orientamenti (seguito, oltre che nella sen


tenza impugnata dal TAR Piemonte, anche dal TAR Lazio, Sez. Il, 18 aprile 

1979, n. 2460, in TAR, 1979, I, 1500), vi sarebbe un'antinomia fra la previ


sione di un obbligo di dichiarare il valore (introdotta dalla legge di con


versione, a modifica dell'art. 3 secondo comma, del decreto-legge) e il 

particolare procedimento disciplinato dall'art. 4 dello stesso decreto-legge 

per l'esercizio della facolt� di acquisto di beni diretti verso Paesi della 

Comunit�. Pertanto le norme, che questo procedimento prevedono, sareb


bero inapplicabili e prevarrebbe il principio generale, secondo cui l'ac


quisto pu� essere effettuato per il valore denunciato. 

Secondo l'altro orientamento (TAR Toscana, 30 aprile 1980, n. 208; 
Cass., 30 luglio 1982, n. 4362, in TAR, 1980, I, 2579) coesisterebbero due diversi 
procedimenti: il Ministro potrebbe acquistare per il valore dichia


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

rato oppure, quando questo risultasse eccessivo in difetto di una controspinta 
fiscale (essendo esenti da imposta le esportazioni nell'ambito della 
Comunit�), potrebbe proporre un prezzo inferiore (al valore dichiarato). 

4. -La Sezione ritiene di non poter condividere n� l'una n� l'altra 
opinione. Per quanto concerne la prima, � decisivo il rilievo che l'abrogazione 
implicita presuppone un rapporto di incompatibilit� fra � nuove � 
disposizioni e norme precedenti (art. 15, disp. prel. cod. civ.). Non �, pertanto, 
agevole ammettere che alcune disposizioni di un decreto-legge siano 
abrogate implicitamente con lo stesso atto normativo che le converte in 
legge, giacch� ci� presupporrebbe, rispetto alla stessa norma, due intenzioni 
contemporanee e contrarie del legislatore (�n� pentere e volere insieme 
puossi �). 
Neppure la seconda opinione appare pienamente convincente. 
Essa s'imbatte in due ostacoli: in primo luogo la lettera dell'art. 4 dl. 


n. 288 del 1972 non consente di intendere il procedimento imperniato sulla 
proposta del Ministro come facoltativo, essendo chiaro che esso sostituisce 
integralmente il procedimento generale nel caso di esportazioni nell'ambito 
comunitario; in secondo luogo, non � -dimostrata a sufficienza la 
proposizione su cui entrambi gli orientamenti esposti sono basati: doversi 
ritenere inutiliter data la norma ripristinatoria dell'obbligo di indicare 
il valore anche per le esportazioni nell'area comunitaria, in difetto di una 
sua rilevanza a fini fiscali o ai fini del potere di prelazione. 
In realt� nel sistema originario disciplinato dalla legge n. 1089 del 
1939, la dichiarazione di valore ha tre funzioni distinte, la prima delle quali 
risulta dalla lettura dell'art. 36, che, dopo aver stabilito la necessit� di una 
licenza per esportare cose di interesse artistico, storico, archeologico o 
etnografico, prescrive: �A tale scopo (l'esportatore) deve fare denunzia e 
presentare all'ufficio. di esportazione le cose che intende esportare, dichiarando 
per ciascuna di esse il valore venale �. 

Altre norme prevedono un tributo progressivo sul valore determinato 
dal Ministro e, in caso di non accettazione da parte dell'esportatore, 
da un'apposita commissione arbitrale (art. 37), nonch� il potere del Ministro 
di acquistare per un corrispettivo pari al valore dichiarato (art. 39). 

Nel sistema della legge n. 1089 del 1939, dunque, la dichiarazione di 
valore ha la funzione di fornire elementi all'Amministrazione ai fini dell'esercizio 
del potere di autorizzazione, nonch� ai fini dell'imposizione fiscale 
eai fini dell'eventuale prelazione. Tale sistema, rimasto nelle sue 
linee generali invariato per quanto riguarda le esportazioni dirette verso 
Paesi non appartenenti alla Comunit� economica europea, � congegnato 
in modo da garantire una denuncia fedele, giacch� la dichiarazione di un 
valore inferiore a quello reale esporrebbe l'esportatore al rischio di perdere 
il bene per un prezzo irrisorio, mentre la dichiarazione di un valore 
superiore gli evite;rebbe questo rischio, ma comporterebbe un notevole 
aggravio fiscale. 


RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

Il venir meno di uno dei contrappesi o di entrambi pu� rendere difettoso 
il congegno di garanzia, ma non rende in s� inutile la dichiarazione 
di valore, la quale conserva sempre la funzione di fornire elementi affinch� 
l'Amministrazione valuti se rilasciare o negare la licenza. 

Costituisce mater~a di scelta politica stabilire se, in difetto di un'imposizione 
fiscale e di un potere di acquisizione in base al valore dichiarato, 
sia opportuno mantenere l'obbligo di rendere, all'atto della presentazione 
della domanda di licenza, una dichiarazione di cui non � garantita 
l'attendibilit�. E proprio su questa scelta si � manifestata convergenza 
fra il testo governativo e la legge di conversione. 

Non �, per�, possibile affermare l'assoluta inutilit� di tale dichiarazione 
di valore e trarre argomento da questa affermazione per costruire 
una disciplina diversa da quella risultante dalle norme. 

5. -Le ,considerazioni svolte trovano puntuale conferma nei lavori 
preparatori. 
Il decreto-legge n. 288 del 1972 fu emanato in seguito ad una sentenza 
della Corte di giustizia delle Comunit� europee (10 dicembre 1968, 

n. 7/68), che aveva dichiarato incompatibile con l'art. 16 del trattato CEE 
il tributo previsto dall'art. 37 cit. 
Il testo elaborato dal Governo prevedeva, per le esportazioni nell'ambito 
della Comunit�, non solo l'esenzione dal tributo (art. 3, primo comma, 
d.1.), ma anche la soppressione dell'obbligo di dichiarare il valore 
all'atto della domanda di licenza (art. 3, secondo comma, d.l.) e la previsione 
di uno specifico procedimento per l'acquisto da parte dello Stato 
(art. 4, secondo e terzo comma). 

Nel corso della discussione sulla legge di conversione (seduta del 26 
luglio 1972) fu presentato dal sen. Branca un emendamento all'art. 3 del 
seguente tenore: " Al secondo comma, sostituire le parole " non � tenuto 
a dichiarare " con le altre: " � tenuto tuttavia ai fini dell'applicazione dell'art. 
4 del presente decreto a dichiarare"� (Atti parl. Senato, VI legislatura, 
p. 920). 

L'emendamento, come risulta dall'illustrazione dello stesso sen. 

Branca, era inteso a far s� che, anche nel caso di esportazione nell'ambito 

della Comunit�, lo Stato potesse acquistare il bene per un corrispettivo 

corrispondente al valore denunciato e quindi evitarne l'espatrio (Atti parl. 

Sen., cit., p. 922). 

Il relatore sen. Limoni cos� replic�: � A me sembra, collega Br~nca, 
che non valga la pena di asserire in questo articoli l'obbligo da parte dell'esportatore 
di dkhiarare il, valore della cosa esportata quando poi all'art. 
4 si dice che, proprio agli effetti dell'acquisto da parte dello Stato 
italiano dei beni che si intendono esportare da parte dei mercanti di 
cose d'arte, il prezzo � stabilito dal Ministro della pubblica istruzione e 
non dall'esportatore. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

� Per questo motivo era stato soppresso quest'obbligo per l'esportatore 
all'articolo 3. 

� Tuttavia le confessQ che non avrei esitazioni a mantenere anche 
quest'obbligo come termine di confronto, purch� rimanga in piedi l'art. 
4 �. (Atti parl. Sen., cit., p. 925). 

La proposta del sen. Limoni si concret� nel seguente emendamento: 
�Sostituire il secondo comma dell'articolo con il seguente: "Anche nei 
casi previsti dal precedente comma restano ferme le al~re disposizioni 
relative alla licenza di esportazione, compreso l'obbligo per l'esportatore 
di dichiarare il valore venale delle cose che intende esportare " �. 

Quest'ultimo emendamento fu approvato, con l'adesione del rappresentante 
del Governo e dello stesso sen. Branca, che ritir� il proprio 
(Atti parl. Sen., p. 927). 

Risulta, quindi, dai lavori preparatori che il mantenimento, per le 
esportazioni nell'area comunitaria, del procedimento di acquisto imperniato 
sull'offerta del Ministro, cos� come era previsto nell'art. 4 del decreto-
legge, non � conseguenza di un difetto di coordinamento; �, poi, significativo 
che con l'emendamento (approvato) all'art. 3, secondo comma del 
decreto-legge si sia inteso soltanto fornire all'Amministrazione un � termine 
di confronto�, ossia un elemento da valutare nell'esercizio dei suoi 
poteri. 

6. -Deve, pertanto, concludersi che, per le esportazioni nell'ambito 
comunitario, sia illegittimo il provvedimento di acquisizione per un corrispettivo 
corrispondente al valore denunciato, dato che, ai sensi dell'art. 
39, secondo e terzo comma della legge n. 1089 del 1939 (nel testo introdotto 
dall'art. 4 d.l. n. 288 del 1972), la facolt� di acquisto si esercita in tali 
casi mediante proposta del prezzo da parte del Ministro. 
Il primo motivo �, quindi, fondato e, in riforma della sentenza impugnata, 
deve annullarsi il decreto ministeriale del 4 marzo 1975. 
Resta assorbita l'altra censura. (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 23 -Pres. Daniele 
-'Est. Adobbati -Ente autonomo Teatro Comunale di Firenze 
(avv. Stato Cerocchi) c. Cappari (avv. Gianni e Ragazzini). 

Impiego pubblico -Enti lirici � Legge speciale -Regolamento organico � 
Contratto collettivo � Deroga a legge su contratto a termine. 

Impiego pubblico -Enti lirici -Contratto collettivo -Limitazioni al � favor � 
per contratto a tempo indeterminato � Necessit� particolari enti 
lirici. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

314 

Impiego pubblico . Enti lirici . Contratto collettivo � Rinnovazioni contratti 
a termine � Trasformazioni in rapporto a tempo indeterminato � 
Limitazioni a computabilit� della rinnovazione � >Sostituzione artista 
assente� Avvertimento scritto della sostituzione. 

Il complesso � legge di ristrutturaz.fone degU enti lidci -regolamento 
organico -contrattazione collettiva � costituisce uno speciale ordinamento 
settoriale per gli enti lirici che regola il rapporto di lavoro dei relativi dipendenti 
in modo particolare ed esclude l'applicazione della legislazione 
comune in materia di contratto di lavoro a tempo determinato. (1) 

La normativa collettiva per i dipendenti degli enti lirici contiene un 
correttivo del principio legislativo del favor per l'indeterminatezza temporale 
delle relazioni lavorative in relazione alla particolare necessit� dell'Amministrazione 
operistica di dare una struttura pi� o meno ampia al 
complesso corale secondo le caratteristiche degli spettacoli. (2) 

Nelle tre rinnovazioni che consentono la trasformazione del rapporto 
a termine in contratto a tempo indeterminato per i dipendenti degli enti 
lirici secondo la relativa normativa collettiva non � computabile l'assunzione 
dell'artista in sostituzione d'altro assente, quando esso venga avvertito 
per iscritto della precariet� dell'assunzione anche se non gli venga 
precisato il nome dell'artista sostituito. (3) 

(omissis) Contro 1a decisione del T.A.R. della Toscana, con la quale 
si � dichiarato sussistente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, 
con decorrenza dal 1� settembre 1970, tra la ricorrente sig.ra Cappai e 
l'Ente autonomo Teatro comunale di Firenze, l'Ente appellante -premesso 
che la Cappai, contrariamente a quanto affermato nel suo ricorso 
e ritenuto anche dal T.A.R., aveva preso parte esclusivamente alla prepa


(1) Sulla inapplicabilit� della legge 18 aprile 1962, n. 230, al pubblico impiego 
quando sussista una specifica disciplina contraria anche se contenuta 
nel regolamento organico dell'Ente (nella specie l'lnps) ,si era gi� espresso il 
Consiglio di Stato con la sentenza 29 marzo 1983, n. 164 (VI) in Cons. Stato, 
1983, I, 333. 
(2-3) Nulla in termini sulle limitazioni del principio del favor per il lavoro 
a tempo indeterminato. Sulla impugnazione del termine apposto al rapporto 
di lavoro la giurisprudenza a partire da Ad. Plen., 21 giugno 1968, n. 15 fino 
a Sez. VI, 30 ottobre 1979, n. 758 (in Cons. Stato, 1968, I, 766 e 1979, I, 1491) 
ha sempre ritenuto che debba essere tempestivamente impugnato il provvedimento 
di nomina che contenga l'apposizione di un termine illegittimo sicch� 
l'impugnazione � inammissibile dopo la scadenza del rapporto quando sia trascorso 
il tempo utile. Da ultimo per� la Sez. VI, con l'ordinanza 13 giugno 1980, 

n. 688 (ivi, 1980, 1039) ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione segna1ando 
che il soggetto assunto con rapporti a tempo determinato non ha interesse ad 
impugnare i provvedimenti di assunzione che periodicamente rinnovano il 
rapporto concretandosi tale interesse solo al momento in cui l'Amministrazione 
non rinnova pi� il rapporto alla scadenza. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

razione ed esecuzione di determinati spettacoli e non di tutti quelli in cui 
era stato impegnato il complesso corale, con rilevanti intervalli tra l'una 
e l'altra prestazione -ha articolato i seguenti motivi di gravame: 

1) inammissibilit� del ricorso introduttivo, per la mancata impugnazione 
del termine di durata del rapporto apposto nel provvedimento 
di nomina del 3 marzo 1974, per effetto del quale si sarebbe determinata 
-secondo il T.A.R. -la trasformazione del rapporto; 

2) violazione dell'art. 25 della legge 14 agosto l967, n. 800, in riferimento 
agli artt. 3 e 8 del Contratto collettivo nazionale di lavoro per gli 
artisti del coro dipendenti dagli Enti lirici, perch� -non essendo computabile, 
agli effetti della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo 
determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'art. 3, 
il primo contratto (di assunzione in sostituzione di artista assente) le 
scritture computabili, in base agli anni solari, sarebbero state solo tre 
(1972, 1973 e 1974) e quindi soltanto due le rinnovazioni e non tre, come 
affermato dal T.A.R. con arbitraria interpretazione restrittiva dell'art. 
8 del c.c.1.; 

3) travisamento dei fatti e violazione delle dette norme, avendo il 
T.A.R.: erroneamente ritenuto che la Cappai avesse partecipato a tutte le 
attivit� svolte dal coro negli anni in questione; erroneamente omesso di 
precisare che trattasi, se mai, di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato 
con sosta stagionale, come stabilisce il detto art. 3; erroneamente 
fatta decorrere la trasformazione dal 1�. settembre 1970 invece 
che dalla ritenuta terza rinnovazione (20 marzo del 1974). 

Ritiene il Collegio che pu� prescindersi dall'esame delle questioni sollevate 
con il primo motivo, essendo fondato ed assorbente il secondo motivo 
di appello. 

Con provvedimento 1� settembre 1970 la sig.ra Cappai venne assunta, 
come artista del coro, per il periodo 1� settembre 1970-31 gennaio 1971 
nei termini di cui all'art. 1 lett. b) della legge 18 aprile 1962, n. 230, 
in relazione alla necessit� di procedere alla sostituzione di una artista del 
coro assente dal servizio per gravidanza; con successivi provvedimenti la 
medesima venne assunta a contratto per periodi determinati ai sensi dell'art. 
28 del Regolamento dei servizi (1� marzo, 4 giugno, 11 giugno del 
1972, 30 giugno, 16 luglio-22 agosto, 4 settembre del 1972, 23 settembre 
1972; 2 gennaio 1973; 25 gennaio, 23 giugno, 29 luglio del 1973; 23 ottobre, 
2 dicembre, 27 dicembre del 1973; 20 marzo, 19 maggio, 25 giugno del 1974). 

Correttamente H T.A.R. ha ritenuto applicabile non Ia L. 18 aprile 1962, 

n. 230, ma il Contratto collettivo nazionale di lavoro per gli artisti del 
coro dipendenti dagli Enti lirici e sinfonici, che, in forza dell'esplicito 
richiamo contenuto nell'art. 25 della legge 14 agosto 1967, n. 800, concorre 
direttamente -senza necessit� di alcun atto di recepimento da parte del

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'Ente -a disciplinare il rapporto. di impiego dei detti dipendenti degli 
Enti lirici. 

Infatti il complesso � legge di ristrutturazione-regolamento organicocontrattazione 
collettiva� d� vita ad uno speciale ordinamento settoriale 
degli Enti lirici, la cui normativa, avendo valore speciale e regolando 
completamente ed in maniera contrastante con la legge generale la materi� 
in questione, esclude, in conformit� alla linea interpretativa seguita 
dalla giurisprudenza amministrativa, quanto meno per i rapporti con i 
coristi, l'applicazione della legge n. 230. 

Ma erroneamente il T.A.R. ha interpretato gli articoli 3 e 8 del detto 
Contratto. 

L'art. 3 conferma alcune delle forme di assunzione previste dal Regolamento, 
tra cui quelle a tempo determinato o stagionale (art. 28 Reg.), 
e, tra l'altro, nell'ultimo comma, dispone che, dopo la terza rinnovazione 
successiva (ed, ovviamente, consecutiva), il rapporto di lavoro a tempo 
determinato si trasforma automaticamente in rapporto di lavoro a tempo 
indeterminato con sosta stagionale ma con due precisazioni inserite nel 
chiarimento a verbale: 

1) la trasformazione � consentita solo per ripetuti contratti con 
durata non inferiore alla stagione; 

2) nel caso in cui un Ente effettui pi� stagioni liriche o sinfoniche 
nel corso di un anno solare, le stesse saranno considerate, agli effetti della 
predetta conversione, come una unica stagione. 

Inoltre, l'articolo 8 considera separatamente l'ipotesi di assunzione dell'artista 
del coro in sostituzione di altro assente, stabilisce che egli dovr� 
essere avvertito per iscritto all'atto della assunzione della provvisoriet� 
della prestazione (destinata a cessare quando l'artista sostituito riprende 
servizio) ed, al secondo comma, precisa: � In tal caso non trover� applicazione 
la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 3 del presente 
contratto �, e cio� che questa ipotesi di assunzione non � computabile 
tra quelle utili agli effetti della conversione. 

La normativa collettiva appare ispirata, dunque, ad un evidente 
intento correttivo del principio legislativo del favor per l'indeterminatezza 
temporale delle relazioni lavorative; e ci� perch� l'utilizzazione dei 
contratti a termine o stagionali costituisce una facolt� legittima, come 
tale prevista e disciplinata dal Regolamento dei servizi e del perso�ale 
(artt. 26 e 28), da parte dell'Amministrazione operistica, in relazione alle 
particolari necessit� della stessa, quale � quella di dare una struttura 
pi� o meno ampia al complesso corale secondo le caratteristiche degli 
spettacoli (o dei gruppi di spettacoli) da rappresentare. 

Orbene, il T.A.R. ha considerato terza rinnovazione il contratto relativo 
al periodo 20 marzo -25 giugno 1974 (che, tra l'altro, aveva durata 
inferiore alla stagione, nel senso di cui al chiarimento a verbale); se



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

conda e prima rinnovazione le assunzioni relative agli anni solari 1973 
e 1972; ed ha poi incluso, nel coacervo delle quattro assunzioni stagionali 
consecutive necessarie per la conversione del rapporto, anche quella 
relativa al periodo 1� settembre 1970-31 gennaio 1971, anteriore di tredici 
messi alla successiva, pur dando atto che la relativa prestazione 
era stata effettuata dalla Cappai in sostituzione di altro artista. 

Tale inclusione � stata giustificata con l'assunto che il secondo comma 
dell'art. 8 del c.n.l. escluderebbe la computabilit� dell'assunzione in sostituzione 
solo quando questa si inserisca tra le � rinnovazioni � e non 
anche quando costituisca il � primo rapporto � a termine, cui seguano 
le rinnovazioni. 

Ma tale interpretazione restrittiva urta contro la lettera e contro la 
ratio della detta disposizione, come si � innanzi accennato. 

Nella memoria de11'8 maggio 1982 la difesa dell'appellata ha dedotto 
che la prima assunzione va inclusa tra quelle compqtabili ai fini della 
conversione anche perch� il provvedimento del 1� settembre 1970 non 
rivestirebbe i requisiti tali da concretare l'ipotesi dell'assunzione in sostituzione, 
in quanto la stessa sarebbe stata effettuata per un periodo 
determinato e non in via precaria, sino alla ripresa di servizio dell'artista 
sostituita, e senza indicazione nominativa della corista sostituita; 
ed inoltre perch� mancherebbe la prova della correlazione tra l'assunzione 
a termine e l'assenza. 

Ma tali argomenti, oltre ad ampliare irritualmente l'ambito del giudizio 
di appello, sono anche essi infondati. 

La norma che qui interessa prescrive solo che l'artista assunto in 
sostituzione deve essere avvertito per iscritto all'atto dell'assunzione 
della provvisoriet� della prestazione e ci� � stato fatto (�assunzione effettuata 
nei termini di cui all'art. l, lett. b) della legge 18 aprile 1962, 

n. 230, in relazione alla necessit� di provvedere alla sostituzione di una 
artista del coro assente dal servizio per gravidanza�); la indicazione 
nominativa del lavoratore sostituito non � richiesta dalla normativa speciale; 
dagli atti emerge che la sig.ra Cappai fu assunta in sostituzione 
della sig.ra Kemperle, in base a nota 3 agosto 1970 dell'Istituto assistenziale, 
nella quale risulta indicata, come presumibile per il parto, la data 
del .30 settembre 1970, ci� che rendeva prevedibile il rientro in servizio 
della predetta per la fine di dicembre 1970 (tre mesi dopo la nascita del 
neonato): con la conseguenza che la sua sostituzione doveva essere protratta 
sino al termine della stagione lirica (31 gennaio 1971), perch�, non 
partecipando alla preparazione delle opere, la stessa non sarebbe stata 
in grado di partecipare alle manifestazioni. 
Le assunzioni compatibili agli effetti della conversione del rapporto 
sono, pertanto, tutt'al pi� tre e quindi solo due sono le rinnovazioni; 
mentre l'ultimo comma dell'art. 3 consente la trasfomazione automatica 
� dopo la terza rinnovazione ... �. 


~ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'appello va, per conseguenza, accolto e la sentenza impugnata va f.:

i: 
totalmente riformata: 

Sussistono motivi di equit� per \a compensazione delle spes~ del 
doppio grado. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, sent. 31 gennaio 1984, n. 26 -Pres. Benvenuto, 
Est. Noccelli -Ministero dei Beni culturali ed ambientali (avv. 

Stato Tamiozzo) c. Spinosa (avv. Liuzzo e Cardarelli) e Pontificio 
Collegio Irlandese (avv. Stella Richter). 
Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo -Trascrizione -Carattere 

costitutivo per i terzi non per il proprietario. 

Demanio -Beni storici .ed artistici -Vincolo non trascritto -Efficacia nei 
confronti degli� aventi causa dal proprietario notificato -Impedimento 
alla realizzazione degli effetti del negozio privatistco. 

Demanio -� Beni storici ed artistici -Vincolo -Notifica -Opere di rinnovazione 
dopo-nuova legge su tutela cose interesse artistico -Insussistenza 
per mancanza regolamento. 

Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo -Notifica -Negozio traslativo 
-Onere denuncia -Irrilevanza conoscenza di fatto dell'Amministrazione 
-Permanenza -Potere prelazione per mancata denuncia. 

Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo � indiretto � -Motivazione Necessit� 
-Contenuto. 

Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo indiretto -Difetto di motivazione 
-Rilevabilit� in sede di impugnazione del provvedimento di 
prelazione. 

La trascrizione del decreto di vincolo sui beni di notevole interesse 
storico ed artistico nei registri immobiliari non ha effetto costitutivo 
nei confronti del proprietario cui il provvedimento sia stato direttamente 
notificato. (1) 

Il decreto di vincolo sui beni di notevole interesse storico ed artistico 
notificato all'originario proprietario, anche se non � stato trascritto nei 
registri immobiliari, ha efficacia nei confronti dei suoi aventi causa i 
quali non sono terzi rispetto a fattispecie complesse in cui non assu


(1-2) La sentenza riportata determina un notevole revirement nella giurisprudenza 
del Consiglio di Stato nonostante il tentativo operato nella motivazione 
di occultare il carattere di novit� rispetto alle precedenti decisioni pur richiamate. 


Infatti mentre l'Adunanza Plenaria con la sentenza 9 lugldo 11%8, n. 21 (in 
Cons. Stato, 1%8, I, 1.149) aveva stabilito che l'efficacia nei confronti dei terzi 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 319 

mono rilevanza giuridica comportamenti colpevoli, ma il particolare 

profilo pubblicistico inerente alla natura del bene diviene elemento ido


neo ad impedire che si realizzino gli effetti propri del negozio privati


stico. (2) 

L'originaria notifica del decreto di vincolo sui beni di notevole interesse 
storico ed artistico non deve essere rinnovata ai sensi della nuova 
legge sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico; in quanto 
il regolamento che doveva prevedere il termine per tale adempimento non 
� mai stato emanato. (3) 

Una volta notificato il decreto di vincolo sui beni di notevole inte


resse storico ed artistico se il proprietario alienante non effettua la 

rituale denuncia degli atti traslativi relativi a tale bene il Ministero 

conserva il potere di esercitare il diritto di prelazione, anche se abbia 

avuto conoscenza di fatto del negozio stesso. (4) 

Non soltanto il vincolo �diretto� sui beni di notevole interesse storico 
ed artistico, ma anche quello � indiretto � deve essere adeguatamente 
motivato sia per giustificare l'ampiezza della fascia di rispetto sia 
per valutare quei particolari interessi secondari che consentono l'ulteriore 
compressione del diritto del privato. (5) 

Il difetto di motivazione del vincolo � indiretto � sui beni di notevole 
interesse storico ed artistico pu� essere eccepito dall'acquirente 
dell'immobile che impugni il provvedimento con il quale � stato esercitato 
il diritto di prelazione� anche se non sia stato fatto valere dall'originario 
proprietario nei confronti del provvedimento di vincolo. (6) 

(omissis) L'appello dell'Avvocatura dello Stato, ancorch� vi si espongano 
considerazioni in parte da rettificare e in parte da integrare, � nella 
sostanza fondato e va quindi accolto. 

Il tema centrale della controversia si articola nei seguenti punti: 

1) se vi sia stata mai una valida costituzione di vincolo archeologico-
storico sugli immobili, attualmente di propriet� del Pontificio Collegio 
Irlandese, nei cui confronti il Ministero per i beni culturali e am


dal vincolo non � condizionata alla trascrizione nel vigore della legge 11 giugno 
1922, n. 778, aveva nel contempo lasciato intendere che la situazione era 
mutata a seguito dell'entrata in vigore della legge 29 giugno 1939, n. 1497. 

Successivamente la VI Sez. nella sentenza 24 aprile 1981, n. 151 (ivi, 1981, 
I, 439) aveva dichiarato l'inefficacia del vincolo nei confronti dei terzi perch� 
non trascritto ex lege 1497/1939. Proprio su ta1i presupposti la linea difensiva 
dell'appellante si muoveva sulla strada dell'originaria efficacia dei decreti di 
vincolo ex lege 778/1922 non venuta meno con la successiva legge n. 1497/1939. 

La sentenza massimata invece, senza dare peraltro particolare rilievo ai 
precedenti contrari, ha chiaramente stabilito che la mancanza di trascrizione 
anche sotto la nuova legge non esclude la possibilit� per l'Amministrazione 
di esercitare il diritto di prelazione in relazione non solo del primo negozio 
traslativo ma anche dei successivi in quanto l'acquirente dell'immobile su cui 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

320 

bientali ha inteso esercitare il diritto di prelazione (ai sensi dell'art. 31 
della legge 1� giugno 1939, n. 1089), con il provvedimento qui impugnato; 

2) se la prelazione sia stata validamente esercitata, tenendo conto: 
a) della mancata trascrizione dei primi provvedimenti impositivi del 
vincolo; b) dei vizi di notifica dei detti decreti agli originari propretari; 
e) della tardiva dichiarazione di esercizio del diritto di prelazione da 
parte del Ministero; d) del lungo tempo trascorso tra l'imposizione del 
vincolo e la dichiarazione di esercizio della prelazione; e) dei mutamenti 
di fatto intervenuti nella consistenza dei beni vincolati durante tale 
lasso di tempo. 

1. -La tesi del Tribunale, contro cui si appuntano le censure dedotte 
con il secondo motivo di appello, � che la trascrizione prevista 
dall'art. 2, secondo comma, della legge n. 1089 del 1939, abbia valore 
costitutivo del vincolo nei confronti dei terzi proprietari e possessori 
del bene, e che tale sistema di pubblicit�, imposto gi� dalla legge 11 
maggio 1922, n. 788, dovesse essere dall'Amministrazione rispettato in 
riferimento ai due originari decreti di vincolo, notificati al primo proprietario 
(sig. Michele Di Vasto) rispettivamente il 14 gennaio 1926 e il 
14 dicembre 1927. La dichiarazione del �notevole interesse�, perci�, 
non sarebbe opponibile n� al Pontificio Collegio Irlandese, che aveva 
acquistato gli immobili �lel Di Vasto nel 1930, n� tanto meno ai successivi 
aventi causa del Collegio cui i beni furono trasmessi �con atto 
del 28 aprile 1971. Di conseguenza, ad avviso del Tribunale, il negozio 
concluso tra il Collegio Irlandese e i fratelli Spinosa senza la prescritta 
denunzia al Ministero non potrebbe considerarsi � nullo � di diritto 
(art. 61 della legge n. 1089 del 1939), stante l'impossibilit� logico-giuridica 
grava il vincolo di indisponibilit� notificato al proprietario pu� considerarsi 
terzo solo rispetto agli obblighi che la legge pone a carico del solo proprietario 
ma non riguardo a � fattispecie complesse in cui non \anto assumono giuridica 
rilevanza comportamenti colpevoli e la connessa responsabilit�... quanto 
invece assume ad elemento costitutivo degli effetti un particolare profilo pubblicistico 
inerente alla natura dello stesso bene: la mancanza del quale... 
impedisce il completamento della fattispecie paralizzando la produzione degli 
effetti propri del negozio (privatistico) che ne costituisce un semplice elemento>>. 

(34) In materia di denuncia del passaggio di propriet� cfr. la gi� cit. sent. � 
129/82 secondo la quale essa non pu� ritenersi rituale se priva dei requisiti 
richiesti dall'art. 57 R.D. 30 gennaio 1913, n. 365 e non � quindi idonea a far 
decorrere il termine per l'esercizio della prelazione. La stessa decisione stabilisce 
l'inefficacia ostativa alla prelaiione dell'usucapione maturata dall'acquirente 
del bene. 
(5-6) Sulla necessit� di motivazione del decreto di vincolo sia esso diretto o 
indiretto la giurisprudenza � pacifica (cfr. per tutte Sez. IV, 16 giugno .198l, n. 477, 
in Cons. Stato, 1981, 652 e Sez. IV, 2 luglio 1974, n. 528, ivi, .1974, p. 888), non 
constano invece precedenti specifici sulla rilevabilit� in sede di impugnazione 
del provvedimento di prelazione del difetto di motivazione del vincolo. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

di ricollegare una cos� grave sanzione a un comportamento omissivo 
dell'alienante, e a maggior ragione degli acquirenti, insuscettibile di valutazione 
negativa per la mancanza, a monte, dell'obbligo legale di � fa. 
cere � cui rapportare la colpevole omissione. 

Replica l'Avvocatura. eccependo, innanzi tutto, che la trascrizione 
non era considerata, � dalla giurisprudenza successiva sia alla legge 20 
giugno 1909, n. 364, sia alla legge 11 giugno 1922, n. 722 �, elemento costitutivo 
della complessa fattispecie cui le leggi citate collegavano il sorgere 
del vincolo d'interesse storico-artistico-archeologico, e che, in secondo 
luogo, essendo del tutto regolare la notifica a suo tempo fatta 
al proprietario Di Vasto, tutti i successivi �proprietari degH immobili de 
quibus avevano l'onere di notificare al Ministero i rispettivi atti di vendita, 
sicch� l'inadempimento dell'onere, comportando la nullit� di pieno 
diritto dell'ultima alienazione, consentirebbe all'Amministrazione di eseroitare 
in ogni tempo il diritto di prelazione. 

Osserva in proposito la Sezione che l'opinione secondo cui la trascrizione 
nei registri ipotecari del decreto ministeriale del vincolo aveva 
valore di mera pubblicit�-notizia sotto il vigore della legge n. 722 del 1922 
fu autorevolmente sostenuta dall'Adunanza plenaria del Consiglio di 
Stato con decisione del 9 luglio 1968, n. 21 (v. pure dee. n. 200 del 1966, 
VI Sez.), ma fu poi abbandonata in relazione a1la legge 1� giugno 1939, 

n. 1089 soprattutto ,in base a1l'esame della formulazione letterale delle 
norme sopravvenute, che sembra giustificare la diversa tesi della stretta 
interdipendenza tra onere di pubblicazione dell'atto, posto dalla ~egge a 
carico dell'amministrazione, e operativit� delJ'intera fattispecie costitutiva 
del vincolo nei riguardi dei terzi (cfr., da ultimo, Sez. VI, 24 aprile 1981, 
n; 151). Nel caso di specie quindi si tratterebbe di verifioare ,sem~ioemente 
se l'originaria efficacia del vincolo in ipotesi ricohlegabile alle prime notifiche 
dei decreti ministeriali recanti la dichiarazione di � notevole interesse
� della zona, sia sopravvissuta all'entrata in vigore della legge n. 1089 
del 1939, come lascerebbe intendere non soltanto iil carattere evidentement~ 
innovativp della disposizione prescrivente l'onere (e non pi� soltanto l'obbligo) 
della trascrizione per la operativit� del va.ncolo nei confronti dei 
terzi, quanto anche, e sopmttutto, il tenore della norma transitoria dell'art. 
71, secondo comma, della stessa legge n. 1089, che, nel far salve 
�agli effetti stabiliti dalla presente legge� le notifiche effettuate (anche) 
a norma della legge 11 giugno 1922, n. 778, non poteva altro significare se 
non che il precedente regime del viincolo, cos� come inteso e ricostruito 
dalla giurisprudenza, doveva continuare ad esplicare effetti pur !in assenza 
degli ulteriori adempimenti procedimentali dalla stessa legge n. 1089 introdotti 
a garanzia dei terzi. 

La questione, tuttavia, non � rilevante ai fini di questa controversia, 
trattandosi nella specie di valutare se la notifica del dichiarato interesse 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

342 

archeologico della zona al proprietario alienante (e cio� al Collegio Irlandese), 
abbia o meno fatto sorgere a suo carico l'onere di denuncia del 
negozio traslativo, e se, di conseguenza, rimasto inadempiuto tale onere 
di denuncia, il diritto di prelazione possa esercitarsi in ogni tempo da 

parte dell'Amministrazione, anche nei confronti dell'acquirente (in ipotesi) 
incolpevole. 

La tesi secondo cui la trascrizione del decreto di vincolo nei registri 
immobiliari avrebbe effetto costitutivo � sostenibile anche sotto il 
vigore della legge 1� giugno 1939, n. 1089, nei riguardi dei terzi, ma non 
certo nei confronti del proprietario (e possessore) cui il provvedimento 
sia stato direttamente notificato: ci� si evince agevolmente dalla formulazione 
letterale delle disposizioni che disciplinano, rispettivamente, 
l'onere di trascrizione a carico del Ministero (art. 2, secondo comma, e 3, 
secondo comma, della legge n. 1089 del 1939), cui la legge subordina la 
operativit� del vincolo nei confronti dei terzi, e l'onere di denuncia a 
carico del proprietario (quando questi voglia disporre del bene), che � 
invece correlato, nel suo momento genetico, alla sola �obiettiva esistenza 
del vincolo sorto per effetto del provvedimento �notificato� (art. 30). 

Sarebbe d'altra parte assurdo sul piano logico, prima ancora che 
giuridico, presupporre l'inoperativit� del provvedimento nei confronti 
dell'attuale possessore e proprietario che ne abbia avuto legale scienza 
attraverso un formale provvedimento notificatorio, e ci� non solo perch� 
la trascrizione, essendo intesa a dirimere i conflitti riguardanti gli aventi 
causa dal notificatario, destinatario dei provvedimenti dell'Amministrazione, 
� per sua natura inidonea a regolare i rapporti tra l'Autorit� pubblica 
e il soggetto destinatario dei suddetti provvedimenti (in tal senso, 
cfr. Adun. plen. n. 21 del 1968 cit.), ma anche perch�, ove si ritenesse il 
regi.me di pubblicit� presupposto necessario per lo stesso venire in �ssere 
del vincolo, n� risulterebbe snaturata la funzione propria della trascrizione 
immobiliare quale si configura invece secondo le norme civilistiche, 
finendosi cosi per applicare, nel campo dei rapporti amministrativi, 
un istituto del tutto nuovo e di certo non consentaneo ai principi 
che regolano gli effetti dei provvedimenti autoritativi dell'Amministrazione 
nei confronti dei � diretti interessati �. Se ci� � vero, come sembra 
indubitabile, appare allora evidente che il vincolo de quo fu al Collegio 
irlandese ritualmente notificato ai sensi dell'art. 53, lett. a), del R.D. 
30 gennaio 1913, n. 363 (tuttora vigente per non essere stato mai emanato 
il regolamento di esecuzione previsto dall'art. 73 della legge n. 1089 del 
1939: cfr. Sez. IV, 28 settembre 1967, n. 430). Non rileva il fatto che non 
si rinviene agli atti l'avviso di ricevimento della lettera raccomandata 
(sulla cui copia � peraltro ben visibile l'annotazione �Racc. con R.R. �) 
spedita dall'allora Soprintendente alle antichit� e belle arti della Campania 
e Molise al legale rappresentante del Pontificio Collegio Irlandese, 
poich� risulta comunque la prova certa che il Rettore del Collegio non 


~; 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

solo prese buona nota di quella comunicazione, ma addirittura si premur� 
di rispondere (v., lettera del 21 novembre 1930), assicurando la 
Soprintendenza che la �importanza archeologica della villa� sarebbe 
stata sempre in avvenire rispettata (la lettera, esistente agli atti del 
fascicolo dell'Avvocatura non � mai stata contestata). 

Si trattasse di una nuova notifica del vecchio vincolo o di vera e 
propria rinnovazione del vincolo (e in quest'ultimo caso di vizio di 
incompetenza, se potesse effettivamente configurarsi, sarebbe tardivamente 
invocato dai ricorrenti), certo � che la notifica raggiunse alla 
epoca il suo scopo, onde l'irregolarit� formale del procedimento partecipativo, 
quand'anche potesse nella specie ritenersi sussistente, non potrebbe 
inficiare il risultato pratico dell'avvenuta legale conoscenza dell'atto 
da parte del destinatario: conclusione logica, questa, che trova 
positivo riscontro nella norma dell'art. 156, ult. comma, del c.p.c., cui 
non pu� non riconoscersi -contrariamente all'assunto dei ricorrenti portata 
di principio generale, atteso che il carattere meramente strumentale 
di ogni tipo di procedimento partecipativo resta identico, sia 
che l'atto da notificare incida su rapporti processuali sia che, invece 
sia destinato a costituire, modificare o estinguere, rapporti di diritto 
sostanziale. 

Neppure pertinente � l'altra argomentazione difensiva degli appellati, 
secondo cui l'originaria notifica, ancorch� regolarmente effettuata, 
avrebbe dovuto essere rinnovata a mente dell'art. 71, primo comma, della 
legge n. 1089 del 1939. 

La legge non poneva un termine perentorio per l'adempimento prescritto 
all'Ammnistrazione, ma, nel disporre che la rinnovazione delle 
vecchie notifiche avrebbe dovuto seguire nel termine previsto dall'emanando 
regolamento di attuazione, ha, con espresse disposizioni, non soltanto 
prorogato sine die l'efficacia delle notifiche precedentemente fatte, 
quanto anche confermato le previgenti norme regolamentari � fino a 
quando non entrer� in vigore � il nuovo regolamento. L'inadempimento 
dell'obbligo di emanare il nuovo testo regolamentare -imprescindibile 
presupposto di operativit� dell'ulteriore obbligo, imposto dall'Amministrazione, 
di rinnovazione delle singole notifiche -pu� dunque impegnare 
la responsabilit� politica del Governo di fronte al Parlamento, ma 
giammai pu� costituire in favore di terzi situazioni soggettive azionabili 
dinanzi agli organi giurisdizionali, stante la mancata previsione nella 
stessa legge impositiva dei suddetti obblighi a carico deHa P. A., di 
automatici meccanismi caducatori (dei precedenti atti dell'Amministrazione 
medesima) idonei a ripristinare, in favore dei privati, l'integrit� 
delle posizioni subiettive originariamente compresse. 

Resta quindi da vedere se, sussistendo a carico del Collegio Irlandese 
l'onere di denuncia del negozio traslativo, la mancata denunzia possa 
aver determinato quell'inefficacia assoluta, nei confronti dell'Amministra



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ..O STATO 

zione, che rende in ogni tempo esercitabile da parte di quest'ultima il 
diritto di prelazione. In proposito, eccepiscono gli appellati Spinosa che 
l'inottemperanza all'obbligo di denuncia, quand'anche fosse ascrivibile 
al comportamento colpevole del proprietario dante causa, non impedirebbe 
comunque al negozio di produrre gli effetti suoi propri in favore 
dell'acquirente, essendo costui terzo rispetto alla fattispecie sanzionatoria 
che, in relazione all'obbligo di denuncia, si configura esclusivamente 
nei rapporti tra Amministrazione e proprietario (o possessore) del bene 
vincolato: altrimenti opinando, concludono gli appellati, si ipotizzerebbe 
a carico del terzo acquirente una specie di � autoresponsabilit� � senza 
colpa, per essere costui impedito nella realizzazione di effetti a s� favorevoli 
in conseguenza di una fattispecie di inadempimento non ascrivibile 
a un proprio comportamento omissivo. . 

Il Collegio ritiene che tale ragionamento sia viziato, sotto il profilo 
logico-giuridico, in entrambi i presupposti da cui muove. Innanzi tutto, 

. l'acquirente di immobile, su cui gravi l'obiettivo vincolo di (parziale) 
indisponibilit� sorto per effetto del provvedimento debitamente notificato 
al proprietario (o possessore) del bene, pu� dirsi �terzo� rispetto 
agli obblighi che la legge pone a carico del solo proprietario (e ci� 
nel senso che non pu� risentire effetti pregiudizievoli dalla violazione 
di quegli obblighi), ma non � terzo riguardo a fattispecie complesse, in 
cui non tanto assumono giuridica rilevanza comportamenti colpevoli e 
le connesse responsabilit�, penali o amministrative, che ad esse la legge 
collega, quanto invece assurge ad elemento costitutivo degli effetti un 
particolare profilo pubblicistico inerente alla natura stessa del bene: la 
mancanza del qu~e, sia o men� ascrivibile a fatti di indole subiettiva, 
impedisce il completamento della fattispecie paralizzando la produzione 
degli effetti propri del negozio (privatistico) che ne costituisce un semplice 
elemento. 

Inerisce a tale prima considerazione l'ulteriore conseguenza logicogiuridica 
che, in caso di mancata denunzia del negozio traslativo, l'acquirente 
non risente gli effetti pregiudizievoli di un'omissione altrui, ma 
semplicemente non pu� invocare in proprio favore gli effetti reali del 
negozio per la mancanza di un elemento costitutivo dell'intera fattispecie, 
in cui l'atto dispositivo � inserito: conseguenza, questa, che, ricollegandosi 
alla natura obiettiva del vincolo, opera su di un piano diverso 
da quello in cui rileva il negozio privatistico di alienazione, dovendosi 
riguardare la inefficacia del negozio nei confronti della P.A. non solo 
come reazione dell'ordinamento a un comportamento colpevole, ma anche 

�sotto il contestuale e simmetrico profilo di misura coercitiva in funzione 
di autotutela volta a consentire il trapasso del bene in mano pubblica 
(ove ne ricorrano i presupposti di legge) al di l� e contro le modificazioni 
giuridiche � medio tempore � prodotte dagli atti dispositivi del 
proprietari9. 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Le argomeatazioni che precedono inducono a rigettare anche il secondo 
motivo degli originari ricorsi, dal T.A.R. invece riconosciuto fondato. 

Fosse o meno a conoscenza del � fatto � dell'avvenuta alienazione, il 
Ministero aveva la possibilit� di esercitare in ogni tempo il diritto di prelazione 
per il pennanere dell'obiettiva condizione di assoluta inefficacia 
del negozio conseguente alla sua mancata notifica nei modi e termini prescritti 
dagli artt. 30-31 e 61 della legge n. 1089 del 1939 e dagli artt. 56-57 
del r.d. 30 gennaio 1913, n. 363; non � infatti la conoscenza del negozio 
comunque attinta, ma la conoscenza acquisita attraverso la formale dichiarazione 
del proprietario, l'elemento che, consentendo all'Amministrazione 
di aver chiari tutti gli aspetti e le indicazioni del concluso negozio, 
la costituisce anche in mora al fine del tempestivo esercizio del diritto di 
prelazione. Giustamente osserva in proposito la difesa erariale che la legge 
collega la nullit� assoluta del negozio (da intendersi come inefficacia assoluta 
nei confronti della P.A.: in tal senso, pi� di recente, Cass. 16 maggio 
1971, n. 1440) a un comportamento contestualmente qualificato (art. 63 
della legge n .. 1089), come illecito penale: perci� il comportamento omissivo, 
integrante ipotesi criminosa, che � causa della � nullit� � del negozio 
privatistico, non potrebbe, per altro verso, venire annullato nella sua 
giuridica rilevanza da un elemento estrinseco alla fattispecie, quale appunto 
si configura la conoscenza di fatto, aliunde attinta dall'Amministrazione, 
del negozio concluso tra le parti private e mai ad essa formalmente 
notificato. 

Parzialmente fondati sono, invece, il quarto motivo dell'originario ricorso 
del Pontificio Collegio Irlandese e il terzo motivo del ricorso Spinosa, 
corrispondente al terzo motivo del � controricorso e ricorso incidentale 
� in appello proposto dai medesimi ricorrenti. La censura, che va ricostruita, 
nell'interesse del suo contenuto logico-giuridico, anche sUil.1a base 
di talune argomentazioni svolte nel primo motivo del ricorso del Collegio 
Irlandese, investe la parte del provvedimento impugnato in cui si fa riferimento 
ad unit� immobiliari non esattamente individuate negli originari 
decreti di vincolo. �:� giurisprudenza pacifica di questo Consesso che non 
soltanto il vincolo � diretto �, finalit� di tutela di cose d'interesse storicoartistico-
archeologico, deve indirizzarsi a beni determinati, previa adeguata 
rilevazione e specificazione degli elementi che ad essi conferiscono � notevole 
importanza� (cfr., di recente, Sez. VI, 19 gennaio 1982, n. 39; 28 giugno 
1982, n. 322, in questa Rassegna, 1982, I, 58 e 944), ma anche soprattutto 
che il vincolo c.d. � indiretto � deve essere congruamente motivato 
con riferimento sia all'ampiezza della fascia di rispetto (Sez. IV, 10 febbraio 
1983, n. 78; Sez. VI, 20 maggio 1982, n. 272; Sez. IV, 16 giugno 1981, 

n. 477; ecc., in questa Rassegna, 1983, I, 127; 1982, I, 704; 1981, I, 652) sia 
a quei particolari valori o interessi secondari che giustificano secondo 
l'art. 21 della legge n. 1089 del 1939, l'ulteriore compressione o sacrificio 
del diritto del proprietario (cfr., da ult., Sez. VI, 13 aprile 1983, n. 253, in 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

questa Rassegna, 1983, I, 421). Sotto questo profilo, i decreti originari con 
cui il Ministro della P.I. ebbe ad imporre il vincolo oltre che sui �ruderi 
esistenti nella villa detta Marina... in localit� Conca o Arcella... �, anche 
sul � retroterra in tutta la sua estensione �, dovevano considerarsi sicuramente 
illegittimi per difetto di adeguate istruttoria e motivazione, e se 
tali vizi non furono a tempo debito accertati in sede giurisdizionale per 
mancanza d'iniziativa da parte degli interessati, � innegabile che gli identici 
vizi, aggravati dal passare del tempo e dalle trasformazioni edilizie 
� medio tempore � verificatesi nella zona (nella generale indifferenza e con 
la colpevole acquiescenza dei competenti organi dell'Amministrazione), 
possono essere fatti valere nei confronti del pi� recente provvedimento 
esplicante la volont� dell'Amministrazione di entrare in possesso di �beni, 
di cui appaiono oltremodo incerti sia gli elementi strutturali all'epoca del 
vincolo originario, sia l'entit� e la natura delle sopravvenute modifiche, 
sia il valore strumentale, in origine e successivamente, rispetto ai diversi 
tipi di interesse pubblici per la cui tutela la legge n. 1089 del 1939 consente 
di esercitare lo ius praelationis (per un caso analogo, cfr. Sez. VI, 
23 marzo 1982, n. 129, in questa Rassegna, 1982, I, 356). 

Non valgono a restituire credibilit� all'impugnato decreto ministeriale 
le diffuse argomentazioni e le analitiche descrizioni di ambiente che si leggono 
nella memoria dell'Avvocatura erariale del 5 aprile 1983, poich� neppure 
sulla base di esse � possibile accertare quali immobili, quali fabbricati, 
quali reperti fossero c_ompresi nel � retroterra � della villa � Marina � 
(ora villa �Irlanda�), a suo tempo assoggettata a vincolo, n� chiarire con 
sicurezza se le unit� immobiliari e abitative, meglio descritte nel provvedimento 
del Ministro qui impugnato con l'espressione �fabbricato di complessivi 
vani 39 non riportato in catasto e inesistente sul mappale 131 
del foglio 12 �, fossero gi� esistenti nel 1926 o siano state edificate successivamente, 
da chi quando e come siano state costruite, quale � importante 
interesse � possono rivestire attualmente una volta che ne sia stata accertata 
(in ipotesi) la realizzazione in epoca recente, quale ne sia, infine, il 
v~lore strumentale per la tutela di altri reperti eventualmente rinvenuti 

in loco. 

Ne consegue che, dovendosi ritenere illegittimo in parte qua, per le 
ragioni sopra dette, l'impugnato decreto ministeriale del 4 settembre 
1980, va accolto il terzo motivo dei ricors'i incidentali degli appellati (corrispondente 
ai motivi terzo e quarto dei ricorsi originariamente proposti 
da fratelli Spinosa e dal Consiglio irlandese), nella parte in�cui denuncia 
l'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione con riferimento 
alle sopra specificate unit� immobiliari, che non risultano chiaramente 
ed esattamente individuate negli originari decreti di vincolo .. 

Conclusivamente, tutti gli appelli, quello principale e i due incidentali, 

vanno accolti, con conseguente integrale riforma della sentenza appel


lata. (omissis) 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 novembre 1983, n. 6915 -Pres. Mirabelli 
� Est. Cruciani -P. M. Tamburrino (conf.). -Ferrara (avv. Varvesi) 
c. Ministero delle Finanze (vice avv. Gen. Stato Gargiulo). 

Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Giurisdizione delle commissioni 
� Estensione � Accertamento della qualit� di soggetto passivo � 
Rinuncia all'eredit� � Deducibilit� innanzi alle commissioni. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1). 
Tutte le controversie inerenti alle imposte elencate dall'art. 1 del d.P.R. 

n. 636 del 1972 sono devolute alla giurisdizione delle �commissioni, comprese 
quelle sulla qualit� essenziale di soggetti passivi quale la qualit� di 
erede nell'imposta di successione. (1) 
(omissis) La censura della ricorrente si. articola sui seguenti punti: 

1) l'oggetto della controversia sarebbe estraneo alla previsione dell'art. 
1 del decreto n. 636/72, non contestandosi la natura, esistenza ed 
esigibilit� del tributo, ma solo la qualit�� dell'ingiunta nei confronti del 
rapporto tributario ed il conseguente difetto de.I potere impositivo della 
pubblica amministrazione; 

2) la distinzione operata dal giudice di appello tra sussistenza ed 
esercizio del potere impositivo doveva considerarsi superata dalla giurisprudenza, 
che avrebbe esteso al contenzioso tributario attualmente vigente 
i principi che l'art. 90 r.d. 14 settembre� 1931, n. 1755, limitava alle 
imposte di consumo; 

3) l'estraneit� dei soggetti al rapporto tributario rendeva inconferente 
il richiamo della sentenza impugnata all'art. 40 del d.P.R. n. 636/72. 

Le censure non hanno fondamento. 

(1) Decisione esattissima che va segnalata per ostacolare il tentativo, riaf. 
fiorante sotto vari aspetti, di prospettare come controversia ordinaria, a 
causa dell'asserito difetto di potere di imposizione, la questione che costituisc� 
invece il cardine della controversia di imposta. Per l'inammissibilit� del tentativb 
di considerare come azione di indebito ordinario una domanda di rimborso di 
imposta che si assume pretesa al di fuori di ogni potere (che si inquadra invece 
nell'assai pi� semplice questione se la pretesa sia o meno fondata) v. Cass., 
10 marzo 1982, n. 1544, in questa Rassegna, 1982, I, 816. �� 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

328 

Non corrisponde al contenuto della decisione quanto affermato dal 
ricorrente che la Corte di merito avrebbe enunciato astrattamente il principio 
del potere impositivo dell'Amministrazione in materia di imposta 
di registro -ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -ma 
non avrebbe considerato che quel potere sussiste solo nei confronti di chi 
abbia assunto, in concreto, la posizione giuridica di contribuente o di sostituto 
di imposta e non invece nei confronti di chi nega e contesta totalmente 
tale posizione, sottraendosi quindi alla giurisdizione tributaria per 
rivolgersi al giudice ordinario. 

Al contrario la Corte di Napoli -con chiara e coerente motivazione 
-ha identificato l'azione proposta in una indagine diretta ad accertare 
la qualit� di debitrice di imposta, affermata dall'Amministrazione e negata 
dalla Del Torna, non sul piano della carenza di un potere impositivo, 
ma in realt� per il venir meno, in conseguenza della rihuncia alla eredit�, 
della qualit� di erede del contribuente debitore� deceduto. 

Non si tratta quindi -come pretenderebbe il ricorrente -di una 
estraneit� del soggetto al procedimento di accertamento fiscale (e quindi 
fuori dei limiti del potere impositivo), ma soltanto di �una questione attinente 
all'esercizio del potere di imposizione, attraverso la contestazione 
della posizione giuridica di erede del contribuente, che si assume erroneamente 
affermata dall'Amministrazione. 

Ci� posto, esattamente la sentenza impugnata ha individuato la giurisdizione 
del giudice tributario, secondo la n_ormativa del d.P.R. n. 636 
del 1972, rilevando come il legislatore abbia inteso attribuire alle commissioni 
tributarie la competenza esclusiva a conoscere qualsiasi controversia 
in materia di imposte dirette, in relazione alla impugnazione dell'atto, 
con il quale l'amministrazione manifesta la sua pretesa ingiuntiva. 

Non vi � dubbio, infatti, che il complesso sistema di disciplina delle 
controversie tributarie -previsto negli articoli da 1 a 16 del decreto citato 
-non consente pi� alcuna distinzione sulla natura della controversia, 
in quanto ha inteso devolvere alla giurisdizione delle Commissioni 
tributarie tutte le controversie in tema di imposte, elencate nell'art. 1 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (tra le quali l'imposta di registro), riservando 
alla cognizione della Corte di Appello le sole impugnazioni previste 
dall'art. 40. 
Pertanto solo sotto questo peculiare profilo l'organo della giurisdizione 
ordinaria viene inserito nella struttura giurisdizionale del contenzioso 
tributario, diversamente da quanto accadeva nel sistema del contenzioso 
precedente alla riforma, in cui il giudizio davanti all'autorit� 
giudiziaria ordinaria era del tutto distinto da quello che si svolgeva presso 
le commissioni tributarie; ciascuno sviluppandosi in maniera autonoma, 
secondo un modello processuale compiuto nella struttura e nei gradi. 

Deve quindi essere rigettato il ricorso e dichiarata la giurisdizione 
del giudice tributario. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 329 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7160 -Pres. Zappulli 
-Est. Contu -P. M. Martinelli (conf.) -Soc, COGECO (avv. Picciaredda) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Agevolazione per le auto


strade -Art. 8 legge 24 luglio 1961, n. 729 -Interpretazione autentica 


Applicazione. 

(legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 8; legge 7 agosto 1982, n. 530, art. 4 bis). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata e imposta di conguaglio Agevolazione 
per le autostrade -Si estende alla imposta di conguaglio. 

(legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 8; legge 7 agosto 1982, n. 530, art. 4 bis; legge 31 luglio 
1954, n. 570, art. 1). 

Tributi erariali indiretti --Imposta sull'entrata -Agevolazione per le autostrade 
-Appaltatore dei lavori -Si estende. 

(legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 8). 

L'agevolazione dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961 n. 729 per la costruzione 
di autostrade si estende alla imposta sull'entrata per effetto 
della norma interpretativa contenuta nell'art. 4 bis della legge 7 agosto 
1982, n. 530, e ci� indipendentemente dalla inesistenza di dubbi di interpretazione 
della norma originaria ed anche se l'interpretazione di legge 
si rivela inesatta alla stregua del diritto previgente. (1) 

L'estensione dell'agevolazione dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 
729, alla imposta sull'entrata per effetto dell'interpretazione autentica contenuta 
nell'art. 4 bis della legge 7 agosto 1982, n. 530, deve intendersi applicabile 
anche alla imposta di conguaglio sui prodotti industriali importati 
istituita con l'art. 1 della legge 31 luglio 1954, n. 570, con il fine di 
assoggettare le merci importate alla stessa imposizione di I.G.E. che avrebbero 
scontato se prodotte in Italia. (2) 

L'agevolazione per la costruzione di autostrade dell'art. 8 della legge 
24 luglio 1961, n. 729, ha natura oggettiva e benefica non soltanto le operazioni 
compiute da concessionari, ma anche quelle riferibili agli appaltatori. 
(3) 

(omissis) Con l'unico motivo la ricorrente -denunziando violazione 
dell'art~ 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729 -deduce di aver diritto alle 
agevolazioni tributarie previste da tale norma, essendo le stesse applicabili 
a tutti i tributi connessi con la costruzione di autostrade, e non potendo 
essere condivisa, perch� estranea al sistema legislativo, la distin


(1-3) La prima massima, pur qualificando la legge sopravvenuta come 
interpretativa soltanto nella denominazione, prende atto della volont� legislativa. 

Indubbiamente esatta � la correlativit� tra I.G.E. e imposta di conguaglio 
sui beni importati (con la sent. 20 ottobre 1975, n. 3403, in questa Rassegna, 1975, 
I, 981 fu evidenziato che la imposta di conguaglio, appunto perch� diretta a 
parificare la pressione tributaria sui beni importati a quella sui beni prodotti 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

330 

zione fra imposta che colpisce gli atti ed i contratti ed imposta attinente 
alla pura e semplice entrata, posta a sostegno della decisione impugnata. 

La censura � fondata poich� lo jus superveniens verificatos.i nelle more 
del giudizio � decisamente risolutivo del problema. � sopravvenuto, infatti, 
l'art. 4 bis della legge 7 agosto 1982, n. 530, cpe cos� dispone: Le 
disposizioni agevolative contenute nell'art. 8, comma primo, della legge 
24 luglio 1961, n. 729, devono intendersi comprensive dell'esenzione dalla 
imposta generale sull'entrata�. 

Trattasi, indubbiamente, di una norma di interpretazione autentica, 
come emerge chiaramente dal significato letterale delle parole usate dal 
legislatore, con le quali si � voluta chiarire la portata di una disposizione 
legislativa esistente, superan,do la contraria interpretazione giurisprudenziale 
fino a quel momento prevalente. 

N� pu� essere di ostacolo al riconoscimento della natura interpretativa 
della norma l�l. circostanza che, sulla scorta della costante giurisprudenza 
di questa Corte Suprema, si fosse realizzata una uniformit� di interpretazione 
dell'art. 8 della legge n. 729 del 1961 e che, in mancanza di 
una ragionevole ed obiettiva incertezza sul suo significato, non apparisse 
necessario il ricorso del legislatore allo strumento di interpretazione autentica. 
Deve infatti ritenersi che, in tema di interpretazione autentica, 
l'intervento del legislatore sia ammissibile anche quando l'indirizzo ermeneutico 
segnato da .questa Corte, istituzionalmente investita del potere 
nomofilattico, risulti omogeneo, ed anche se l'interpretazione imposta non 
sia da ritenere esatta alla stregua del diritto previgente (conf. Cass. n. 3119 
del !982). 

L'efficacia retroattiva incontrastatamente riconosciuta alle leggi di interpretazione 
autentica implica l'applicabilit� alla fattispecie delle agevolazioni 
tributarie di cui all'art. 8 della legge n. 729 del 1961, essendo stato 
stabilito dal legislatore che l'IGE (ora soppressa) � soggetta allo stesso 
trattamento degli altri tributi e, conseguentemente, non � dovuta in relazione 
ad atti astrattamente generatori del debito d'imposta ma posti in 
essere in quanto occorrenti per la costruzione di autostrade. 

Per quanto concerne, poi, l'imposta di conguaglio; noft pu� certo ritenersi 
che essa sia esclusa dall'ambito del beneficio tributario per avere 
la legge interpretativa menzionato la sola imposta generale sull'entrata. 
� stato chiarito dalla giurisprudenza, di questa Corte Suprema, infatti, 
che l'imposta di cong�aglio, istituita con la legge n. 570 del 1954 (ed ora 

in Italia, non ha natura di imposta doganale); tuttavia attesa la particolarit� della 
norma interpretativa, la sua applicazione non dovrebbe essere estensiva. 

Sulla questione se l'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, fosse riferibile 
soltanto ai concessionari o anche agli appaltatori si era in effetti formato un 
orientamento ben fermo, con riferimento alle imposte che si ritenevano comprese 
nell'agevolazione. Il problema per� meritava di essere riesaminato in relazione 
all'l.G.E. che pone prospettive nuove. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

, soppressa), non aveva natura e finalit� analoghe a quelle del dazio doganale 
e rispondeva, invece, ad una finalit� perequativa fra merci nazionali, 
assoggettate all'IGE, e merci estere importate, che altrimenti sarebbero 
state avvantaggiate; essa era perci� rapportata all'IGE che i prodotti 
industriali importati avrebbero assolto durante la loro fabbricazione in 
Italia (Cass. n. 2930 del 1972 -n. 3403 del 1975). 
L'affinit� fra l'IGE e l'imposta di conguaglio balza ancor pi� evidente 
se si considera che entrambi i tributi sono stati soppressi, a seguito 
dell'istituzione dell'IVA, con l'art. 90 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il 
quale li ha accomunati nella stessa norma, ponendone cos� in rilievo la 
analoga natura. 
La considerazione che l'imposta di conguaglio si riconnette all'imposta 
generale sulla entrata dovuta per il fatto dell'importazione comporta che 
l'esenzione prevista per quest'ultima debba estendersi necessariamente 
alla prima, non essendo altrimenti giustificata una disparit� di trattamento 
per situazioni sostanzialmente identiche. L'imperfezione normativa 
pu� perci� essere superata interpretando estensivamente la norma in 
esame nel senso che la locuzione �imposta generale sull'entrata� si~ comprensiva 
anche dell'imposta di conguaglio ad essa affine. 
Da parte dell'Amministrazione Finanziaria si � sostenuto nella discussione 
orale che la CO.GE.CO non avrebbe comunque diritto al beneficio 
tributario invocato, poich� questo si applicherebbe solo nei confronti dei 
concessionari di autostrade e non degli appaltatori di lavori autostradali. 
Tale tesi si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di questa 
Corte, dalla quale non vi � motivo di discostarsi, e non pu� essere condivisa. 
La questione relativa all'ambito di applicazione del beneficio tributario 
in cui trattasi fu decisa da questa Corte Suprema con un gruppo 
di sentenze pubblicate il 13 maggio 1969 con i nn. dal 1638 al 1650, nelle 
quali fu affermato il seguente principio di diritto: �L'esenzione da tributi 
prevista dal comma primo dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, 
ha carattere oggettivo e riguarda sia il caso di costruzione ed esercizio 
di autostrade da parte dell'ANAS sia quello della concessione della costruzione 
e dell'esercizio a societ� private �. Tale indirizzo fu poi ribadito 
con la successiva sentenza n. 3856 del 1969 e l'esattezza del principio 
cos� affermato non � stata pi� contestata. Esso � giustificato, infatti, dal 
significato letterale della norma, che prevede l'esenzione tributaria per 
�tutti gli atti e contratti occorrenti per l'attuazione della presente legge�, 
e della ratio della norma stessa che, essendo volta ad agevolare lo sviluppo 
delle costruzioni autostradali, non pu� non riferirsi anche alle costruzioni 
delle autostrade effettuate mediante appalti anzich� con il sistema 
della concessione. 
Il carattere oggettivo dell'esenzione implica, dunque, che di essa debbano 
usufruire anche gli appaltatori di costruzioni autostradali. Con giuri



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

332 

sprudenza ormai consolidata � stato invece ritenuto che l'esenzione non 
si estenda ai contratti di subappalto non espressamente approvati dalla 
autorit� competente (v. per tutte Cass. S.U. n. 2974 del 1975), ma siffatta 
fattispecie � del tutto estranea alla presente controversia, data l'incontestata 
qualit� di appaltatrice di lavori autostradali assunta , dalla COGECO. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 dicembre 1983, n. 7240 -Pres. Brancaccio 
-Est. Zappulli -P.M. Dettori (conf.). Menzani c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Zotta). 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione sintetica -Dichiarazione 
solo apparentemente analitica. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 37). 
Nei confronti dei soggetti non tassabili in base a bilancio l'obbligo 
dell'ufficio di eseguire l'accertamento con metodo analitico � correlativo 
all'onere del contribuente di presentare una dichiarazione analitica; � 
per� giustificata una motivazione sintetica quando la dichiarazione sia 
solo apparentemente analitica. (1) 

(omissis) La ricorrente Menzani, con il primo motivo del ricorso, ha 
lamentato la violazione, nella sentenza impugnata, degli artt. 117, 118 e 
37 del. t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, 
per essere stata riconosciuta legittima la motivazione induttiva dell'accertamento 
notificatole sebbene fosse disposto da quelle norme l'obbligo 
dell'accertamento analitico ogni qualvolta il contribuente avesse fornito 
tutti i dati ed esibito i libri, le scritture e i documenti necessari per il 
loro controllo, senza che l'ufficio finanziario potesse ricorrere all'accertamento 
sintetico-induttivo e quanto meno senza prima esaminare, mediante 
apposita previa richiesta di esibizione di documenti, i singoli elementi 
della denunzia dei redditi. 

Il motivo � infondato. Invero, come ritenuto pacifico nella decisione 

impugnata, la ditta ricorrente, essendo compresa nei piccoli imprenditori 

di cui all'art. 2214 e.e., non era obbligata alla tenuta dei libri contabili e 

non rientrava, pertanto, nel campo di applicazione del secondo comma 

dell'art. 117 del citato t.u. Se da un lato ci� implicava che essa fosse 

esente da quell'obbligo, dall'altro importava che l'ufficio finanziario non 

fosse tenuto a chiedere preventivamente l'esibizione dei libri e docu


menti, rimanendo i suoi poteri regolati dalla norma generale del primo 

.(1) Giurisprudenza ormai costante: 3 marzo 1980, n. 1403; 29 gennaio 1981, 

n. 687; in questa Rassegna, 1981, I, 123 e 593. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

comma di quell'articolo, statuente che esso, per l'accertamento, � si avvale 
di tutti gli elementi e dati, indicati dal contribuente e raccolti d'ufficio... 
�. 

Per quanto concerne l'obbligo di motivazione .analitica dell'accertamento 
� a pena di nullit�� posto dal primo comma dell'art. 37 dello stesso 
T.U., � da osservare che tale forma di motivazione, ai sensi del successivo 
terzo comma, non � richiesta � quando la dichiarazione manchi dell'indicazione 
analitica degli elementi attivi e passivi �. 

In applicazione di tale norma questa corte regolatrice ha pur recentemente 
affermato che, -in presenza di un soggetto esercente una 
impresa commerciale che non ha chiesto di essere tassato in base a bilancio 
e che ha presentato la dichiarazione dei redditi con indicazione 
analitica degli elementi attivi e passivi, -il relativo accertamento deve 
essere effettuato dall'ufficio finanziario secondo una motivazione analitica 
contestando le singole partite attive e passive e non sulla base di un calcolo 
effettuato sinteticamente ed induttivamente ma non giustificato per 
la semplice asserzione della inattendibilit� della dichiarazione (Cass. 17 
febbraio 1981 n. 951). Tuttavia, � stato ben precisato nella motivazione 
della sentenza che tale inattendibilit� � irrilevante solo quando sia semplicemente 
� asserita �, come nella specie formante oggetto di quella controversia. 
La stessa sentenza ha affermato che, viceversa, si poteva ricorrere 
all'accertamento induttivo quando dalla verifica della dichiarazione 
fosse emerso che gli elementi forniti erano incompleti, non veritieri o 
inidonei per accertare analiticamente il reddito, essendo necessario, in tal 
caso, che nell'avviso di accertamento fossero enunciati i motivi posti a 
base della rettifica. 

� ovvio, infatti, che una indicazione solo formalmente analitica non 
pu� costituire un facile mezzo di elusione di pi� approfondite indagini 
che possono essere condotte anche con il sistema sintetico-induttivo. Non 
pu�, certamente, riconoscersi la qualifica analitioa ad una indicazione degli 
elementi passivi e attivi che appaia contraddittoria e inadeguata alle 
caratteristiche dell'attivit� alla quale si riferiscono i redditi, rilevabili da 
elementi univoci e concorrenti. Il legislatore, nel richiedere la � indicazione 
analitica�, si � necessariamente riferito all'effettivo contenuto 
della dichiarazione e non alla_ sua mera forma esteriore, e ci� ancor pi� 
nella materia dell'imposta di ricchezza mobile, per la quale era stata prevista 
la presentazione della documentazione corrispondente. 

In tale pi� rigorosa interpretazione, conforme al principio consacrato 
neli'art. 53 della Costituzione sulla corrispondenza dei tributi alla capacit� 
contributiva dei singoli, questa Suprema Corte ha gi� affermato, per 
quella imposta, che qualora i documenti prodotti e le risultanze raccolte 
dall'ufficio non consentano, per parziale incompletezza o inattendibilit�, 
di pervenire all'accertamento analitic� del reddito tassabile, l'ufficio finanziario 
poteva ricorrere, anche in via concorrente e integrativa, all'accer



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

334 

tamento sintetico, con riferimento a tutte le componenti idonee a incidere 
sul risultato dell'accertamento stesso (Cass. 24 gennaio 1981 n. 547), 
cos� come nei casi di inidoneit� dei documenti giustificativi prodotti (Cass. 
13 gennaio 1981, n. 267). 

Se, a garanzia del contribuente, � stato pure affermato che si pu� 
procedere ad accertamento induttivo soltanto nel caso in cui concorrano 
i presupposti indicati dalla legge o concorrano presunzioni certe e concludenti 
sulla non corrispondenza al vero dei redditi denunziati, e sempre 
con idonea motivazione (Cass. 12 gennaio 1981 n. 260), si �, peraltro, consentito 
quell'accertamento induttivo, per la prevalenza dell'elemento sostanziale, 
quando la denunzia stessa sia solo apparentemente analitica 
(Cass. 30 ottobre 1980 n. 5825) o comunque inattendibile (Cass. 8 agosto 
1979, n. 4576). 

Nella specie, pertanto, la decisione impugnata ha esattamente applicato 
quei principi, precisando, sulla base delle decisioni di grado inferiore, 
che erano stati indicati elementi in base ai quali risultava la inattendibilit� 
della dichiarazione, e ha nuovamente elencati questi ultimi, rilevando 
che non vi era l'obbligo dell'ufficio di ricbiedere ulteriori dati e 
documenti. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 7301; Pres. Brancaccio 
-Est. Ruggiero -P. M. Iannelli (diff.). Gallucci (avv. Acone) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini). 
Tributi erariali diretti -Accertamento -Competenze dell'ufficio -Domicilio 
fiscale -Luogo di produzione del reddito -Irrilevanza -Omessa 
presentazione della dichiarazione -Non esclude la nullit� dell'accertamento 
-Dichiarazione presentata ad ufficio incompetente � Fissazione 
di domicilio diverso. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 9, 10, 29 e 33). 
La competenza dell'ufficio per l'accertamento (di carattere funzionale 
ed inderogabile, il cui difetto importa nullit� assoluta dell'atto rilevabile 
di ufficio in ogni stato e grado) si determina con riferimento al domicilio 
fiscale inteso, per le persone fisiche di cittadinanza italiana, come 
il comune di residenza anagrafica del contribuente al momento in cui 
� presentata o deve essere presentata la dichiarazione; solo sussidiariamente, 
se il domicilio non � determinabile in base a detto criterio, la 
competenza si determina con riferimento al luogo di produzione del reddito. 
La nullit� dell'accertamento proveniente da ufficio incompetente non 
� esclusa dal fatto che il contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione 
o di comunicare il cambiamento di domicilio. Solo ove risulti, 
sia pure per implicito, una manifestazione di volont�, accolta dell'ufficio, 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 335 

diretta ad ottenere la fissazione del domicilio fiscale in comune diverso, 
si pu� avere deroga alla competenza dell'ufficio. (1) 

(omissis} Con l'unico motivo di censura, il ricorrente, denunziando la 
violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 21, 29, 30 e 33 del d.P.R. 29 gennaio 
1958, n. 645 e degli artt. 28, 38 e 157 cod. proc. civ., nonch� omessa, 
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della 
controversia, in relazione all'art. 360 n. 2, 3 e 5 cod. proc. civ., deduce 
che erroneamente, anzitutto, la commissione tributaria centrale avrebbe 
ritenuto che competente a procedere all'accertamento era l'ufficio di Castellammare 
di Stabia, nella cui circoscrizione il reddito si era prodotto, 
mentre secondo le combinate disposizioni degli artt. 9, 29 e 33 del testo 
unico n. 645 del 1958, tale competenza doveva determinarsi con riferimento 
al domicilio fiscale del contribuente al tempo in cui era presentata 

o doveva presentarsi la dichiarazione dei redditi, per cui individuandosi 
il domicilio fiscale nel comune dove il soggetto aveva la sua residenza 
anagrafica, competente nella specie era l'ufficio di Pagani, nella cui circoscrizione 
il contribuente aveva trasferito la propria residenza fin dal 
28 marzo 1969; erroneamente e con motivazione insufficiente e contraddittoria 
la commissione avrebbe, inoltre, affermato che l'asserita nullit� 
non poteva essere opposta dal contribuente, per aver egli stesso, con il 
suo comportamento, dato causa all'operato dell'ufficio, omettendo di considerare 
da un lato, che, atteso il carattere assoluto dell'incompetenza 
territoriale dell'ufficio, la nullit� dell'accertamento era radicale ed insanabile 
e rilevabile anche ex officio, e dall'altro che nella specie il contribuente, 
il quale non aveva presentato la dichiarazione per il mancato 
raggiungimento del minimo imponibile, non aveva posto in essere alcun 
positivo comportamento malizioso o doloso che avesse potuto indurre in 
(1) L'affermazione contenuta nella massima bench� conforme ad altre precedenti 
(19 ottobre 1977, n. 4462, 5 luglio 1980, n. 4277, in questa Rassegna, 1977, 
I, 863, 1981, I, 378) non pu� essere pienamente condivisa. Intanto la nullit� 
assoluta, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado, dell'accertamento eseguito 
da ufficio incompetente sembra poco conciliabile con la derogabilit� della regola 
della competenza sia nel caso del criterio sussidiario della identificazione della 
competenza con riferimento al luogo di produzione del reddito, sia, pi� ancora, 
in quella sorta di deroga convenzionale ex art. 10, secondo comma, del 
t.u. del 1958. L'incompetenza � piuttosto un vizio da denunciare con il ricorso 
ma che non pu� essere eccepito dalla parte che vi abbia dato causa con la 
indicazione, non tempestivamente rettificata, di un domicilio fiscale diverso 
da quello anagrafico. E che la competenza dell'ufficio non sia un assoluto, lo 
dimostra proprio l'art. 9 del t.u. che identifica il domicilio fiscale non con il 
luogo di residenza bens� con il Comune nella cui anagrafe il cittadino � iscritto; 
� cio� il dato formale dell'iscrizione anagrafica, che ha a 'tutti gli effetti un 
valore soltanto presuntivo, che prevale sul criterio sostanziale, il che significa 
che la competenza pu� essere modificata con uno spostamento meramente ana

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

336 

errore l'ufficio, tanto che l'accertamento era stato regolarmente notificato 

proprio ad Angri, nella residenza del Gallucci. 

Il ricorso � fondato. 

Il principio affermato dal giudice tributario, secondo il quale nel vi


gore del testo unico delle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 
1958, n. 645, competente per l'accertamento tributario deve ritenersi l'ufficio 
del luogo in cui il reddito � stato prodotto, rron trova riscontro nello 
indicato sistema normativo. 

L'art. 29 del cit. testo unico stabilisce che la dichiarazione (dei redditi) 
deve essere presentata � all'ufficio distrettuale delle imposte dirette o all'ufficio 
del comune in cui si trova il domicilio fiscale del soggetto� (vale 
a dire, del dichiarante soggetto in concreto all'imposizione), ed il successivo 
art. 33 dispone che �competente per l'accertamento � l'ufficio nella 
cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto �. 

Dal coordinamento delle due disposizioni appare evidente, tenuto 
conto che la presentazione della dichiarazione o la scadenza del relativo 
obbligo segna il momento in cui concretamente ha inizio e si radica il 
procedimento impositivo, che l'ufficio competente per l'accertamento deve 
essere identificato in quello del domicilio fiscale del contribuente al momento 
in cui � presentata o deve essere presentata la dichiarazione (cfr., 
specialmente nella motivazione, Cass. nn. 3596 e 6492 del 1980, 3686 del 
1981). 

Ci� posto, va rilevato che, ai sensi dell'art. 9, secondo comma, dello 
stesso testo unico n. 645 del 1958, i cittadini italiani hanno il domicilio 
fiscale nel comune nella cui anagrafe civile sono iscritti, n� pu� ritenersi 
come sostenuto dal procuratore generale nella sua requisitoria, c~e il domicilio 
fiscale si determini in relazione al luogo dove � stato prodotto il 
reddito o � stata svolta l'attivit� cui si riferisce l'azione impositiva, poich� 
un siffatto criterio � previsto dal p�nultimo comma del predetto art. 9 del 

grafico (appunto perch� non esiste un principio indefettibile di competenza); ma 
la variazione anagrafica deve essere portata a conoscenza dell'ufficio con la dichiarazione 
e con ogni altro atto (art. 9, ultimo comma). Quando manchi la 
dichiarazione non pu� rimproverarsi all'ufficio il non aver seguito i capricci 
del contribuente che si � iscritto ad una anagrafe diversa dal luogo in cui il 

reddito � prodotto. 

Altra perplessit� presenta l'affermazione che il momento determinante per 
l'individuazione della competenza � quello del domicilio fiscale al tempo della 
presentazione della dichiarazione (Cass., 2� giugno 1980, n. 3596, ivi, 1981, I, 366) 
successivo alla conclusione del periodo di imposta nel quale ,il reddito � stato 
prodotto. L'obbligazione tributaria sorge in conseguenza del possesso del red


. dito, e non della relativa dichiarazione, e si radica in questo momento, tanto che 
nel caso di morte del contribuente il procedimento di accertamento prosegue inalterato 
e resta radicato presso l'ufficio di origine e non si trasferisce al diverso 
(o ai diversi) ufficio nel quale ha il domicilio l'erede (art. 16). Nel caso poi, 
specificamente considerato, di cessazione dell'attivit� la variazione di residenza 
successiva all'estinzione del rapporto sostanziale � evidentemente irrilevante. 

................................,, . . . . j 
~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

testo unico, soltanto come un criterio sussidiario, nell'ipotesi in cui 

il domicilio fiscale non sia determinabile in base ai criteri enunciati nei 

commi precedenti (residenza anagrafica per le persone fisiche, sede legale 

per le persone giuridiche). 

Erroneamente, pertanto, la Commissione Centrale ha ritenuto competente 
l'Ufficio di Castellammare di Stabia, e valido di conseguenza l'accertamento 
dallo stesso compiuto, a motivo che in quel comune si era prodotto 
il reddito oggetto dell'accertamento, omettendo di prendere in considerazione 
il criterio della residenza anagrafica del contribuente al momento 
in cui egli aveva l'obbilgo di presentare la dichiarazione, e la possibilit� 
o meno di determinare il domicilio fiscale secondo il detto criterio. 

N� contrario pu� aver rilievo la circostanza, cui pure ha fatto riferimento 
la decisione impugnata, che il contribuente, all'epoca in cui il reddito 
si era prodotto, non aveva ancora trasferito il suo domicilio, poich�, come 
si � gi� ricordato, la soggezione all'imposizione, pur essendo correlata al 
presupposto della produzione di un reddito e gi� sussistendo allo stato 
astratto e potenziale al verificarsi di tale presupposto, diventa effettiva 
ed operante, ed il relativo procedimento pu� essere concretamente posto 
in attuazione, solo dal momento in cui �' presentata o deve essere presentata 
la dichiarazione (cfr. Cass., n. 3596 del 1980, cit.), ed � comunque 
al domicilio fiscale nel detto momento a cui la legge, per individuare l'ufficio 
competente a riceversi la dichiarazione ed a compiere i successivi 
atti del procedimento, ha chiaramente riguardo allorch� dispone che la 
dichiarazione � presentata all'ufficio del luogo in cui �si trova�, vale a 
dire dov'� attualmente, il domicilio fiscale del soggetto a ci� obbligato. 

Non pu� essere condivisa nemmeno l'ulteriore argomentazione contenuta 
nella decisione impugnata che l'operato dell'ufficio � stato determinato 
dall'illegittimo comportamento del contribuente il quale non solo 
non ha presentato la dichiarazione, ma ha omesso altres� di comunicare 
agli uffici finanziari il cambiamento del proprio domicilio nonch� l'avvenuta 
cessazione dell'attivit� produttiva del reddito, per cui il contribuente 
medesimo, anche in virt� del principio generale contenuto nell'art. 157 cod. 
proc. civ., non poteva opporre una nullit� cui egli stesso aveva dato 
causa. 

In primo luogo va osservato che, come ha rilevato la stessa commis~ 
sione centrale, il contribuente nella specie non era obbligato a comunicare 
all'ufficio il cambiamento del proprio domicilio, siffatto obbligo essendo 
previsto dall'art. 33, terzo comma del testo unico del 1958, solo per 
i contribuenti soggetti ad una imposta fondiaria. Nemmeno, va aggiunto, 
sussisteva un'obbligo di denuncia di cessazione dell'attivit�, atteso che, 
a termini dell'art. 30 del cit. testo unico, il contribuente nel caso di cessazione 
del presupposto nel corso del periodo d'imposta, � ha facolt� � di 
presentarne denuncia. Quanto all'omissione della dichiarazione, il relativo 
obbligo, di fronte alle contestazioni di merito del contribuente di non 


338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
aver reali~ato nel periodo considerato un reddito superiore al rmmmo 
imponibile, non � stato ancora accertato, ed esso, comunque, costituisce 
un posterius, rispetto al problema di individuare l'ufficio presso il quale 
l'obbligo doveva essere adempiuto. 
Pu� ancora osservars.i che fa commissione centrale non ha neppure in� 
dicato gli elementi in base ai quali l'operato dell'ufficio poteva ritenersi 
effettivamente essere stato determinato dal comportamento del contd� 
buente, ove si consideri che l'accertamnto fu direttamente notificato proprio 
al nuovo domiciilio del contribuente. 
Ma, a parte tali considerazioni, deve essere qu� rilevato che come � 
stato gi� ripetutamente affermato da questa Suprema Corte, ila competenza 
territoriale, nell'ambito generale dell'attivit� della pubblica amministrazione, 
costituisce il complesso della facolt� e delle funzioni che cia� 
scun organo � autorizzato ad esercitare nei limiti di spazio nei quali l'agente 
possa essere considerato come autorit� amministrativa, ed essa, per� 
tanto, segnando i confini entro i quali il singolo organo amministrativo 
pu� esercitare le potest� ad esso attribuite, ha carattere funzionale ed 
inderogabile, e l'atto posto in essere al di fuori dei predetti limiti deve 
ritenersi, se non addirittura inesistente, quanto meno irrimediabilmente 
nUJJ.lo proprio per la mancanza di potere dell'organo che lo ha emesso. 
Ed � pacifico che il difetto di potere, quando riguardi un atto amministrativo 
quale l'accertamento tributario, costituisce un vizio sostanziale 
e radicale dell'atto che, importandone la nullit� assoluta, � rilevabile anche 
d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per 
oggetto l'atto medesimo, donde l'inapplicabilit� della regola posta dall'art. 
157 cod. proc. civ., che presuppone il carattere relativo della nullit� 
e la sua dlevabilit� esclusivamente su istanza della parte interessata (cfr., 
oltre le gi� citate Cass., nn. 6492 e 3596 del 1980; Cass. nn. 4277 del 1980 
e 4462 del 1977, ed in epoca meno recente Cass., n. 1139 del 1969; Cass., 
Sez. Un., n. 2619 del 1968; Cass., n. 226 del 1968). 
Una deroga, per la verit� solo apparente, all'esposto principio � stata 
ammessa dalla giurisprudenza di questa Corte nell'ipotesi di un accerta� 
mento compiuto da un ufficio originariamente incompetente a cui il contribuente 
abbia presentato la propria denuncia dei redditi indicando il domicilio 
fiscale in comune diverso da quelfo nella cui anagrafe � iscritto. 
La validit� dell'accertamento, nella ipotesi considerata, � stata ritenuta 
in relazione alla possibilit� concessa dall'art. 10, secondo comma del 
testo unico del 1958 che, su istanza del contribuente, l'amministrazione fi. 
nanziaria possa consentirgli di stabilire il domicilio fiscale :in un comune 
diverso da quello previsto nel precedente art. 9, dovendo ravvisarsi nella 
dichiarazione del contribuente, contenuta nella denuncia, di un domicilio 
fiscale diverso da quello corrispondente alla residenza anagrafica, non 
solo una manifestazione di scienza, ma anche di volont� di carattere recet� 
tizio, in sostanziale corrispondenza all'istanza di cui all'art. 10, secondo ~~ 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

comma, e nell'operato dell'ufficio accertatore un implicito accoglimento 
dell'istanza stessa, e ci� anche indipendentemente dall'intento malizioso o 
non, del contribuente (Cass., n. 4462 del 1977). 

Non � quindi certamente sufficiente, all'indicato fine, un comportamento 
meramente omissivo del contribuente, tanto pi� quando esso non 
sia correlato ad un obbligo posto a suo carico, ma � necessario un comportamento 
positivo tale da evidenziare una sia pure implicita manifestazione 
di volont� diretta ad ottenere lo stabilimento del domicilio fiscale 
in deroga a quanto disposto dall'art. 9 del testo unico, alla quale 
possa ritenersi corrispondente, nel senso dell'accoglimento, l'attivit� dell'ufficio. 


La decisione impugnata che non si � attenuta agli esposti principi e 
non ha provveduto agli indicati accertamenti, deve essere di conseguenza 
cassata, con rinvio aHa stessa commissione tributaria centrale perch� proceda 
ad un nuovo esame della validit� dell'accertamento in contestazione 
in relazione alla competenza dell'ufficio, tenendo presente che tale competenza, 
di carattere funzionale ed inderogabile ed il cui difetto importa la 
nullit� assoluta dell'atto rilevabile anche ex officio, in ogni stato e grado 
del procedimento tributario, si determina, nel sistema del testo unico delle 
imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, con riferimento 
al domicilio fiscale, inteso, per le persone fisiche di cittadinanza 
italiana, come il comune di residenza anagrafica del contribuente, al momento 
in cui � presentata o deve essere presentata Ja dichiarazione, ed 
in via sussidiaria, se il domicilio fiscale non � determinabile in base al 
detto criterio, con riferimento al luogo di produzione del reddito, a tale 
regola potendo derogarsi a capsa del comportamento del contribuente 
solo se in questo sia ravvisabile, .anche per implicito, una manifestazione 
di volont�, esplicitamente o implicitamente accolta dall'Amministrazione, 
diretta ad ottenere che il domicilio fiscale sia stabilito in comune diverso, 
in deroga ai predetti criteri. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1984, n. 18 -Pres. Santosuosso Est. 
Scordo -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) 
c. Istituto Nazionale del Dramma Antico. 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Com


pensi per prestazioni artistiche -Ritenuta alla fonte -Rimborso spese 

� a pi� di lista � -Rigorosa documentazione -ti:. necessaria. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 128; legge 28 ottobre 1970, n. 801, art. 3). 
La ritenuta di acconto sulle somme a qualsiasi titolo corrisposte a titolo 
di prestazioni professionali, pu� essere esclusa sui rimborsi di spese 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

340 

non costituenti compenso solo a condizione che i rimborsi trovino riscontro 
in un conto con precisa e completa documentazione. (1) 

(omissis) Con l'unico mezzo svolto a sostegno del ricorso, l'Amministrazione 
finanziaria chiede l'annullamento della decisione impugnata per 
insufficiente ed omessa motivazione su punti decisivi, ai sensi dell'articolo 
360 n. 5, cod. proc. civ. 

Sostiene che, pur di fronte alla dichiarazione dell'Istituto di aver 
corrisposto emolumenti per lire 94.990.285 e di aver effettuato la prescritta 
ritenuta di acconto su parte di essi, omettendola sulla somma 
di lire 63.327.500, la commissione centrale ha ritenuto accertato che per 
questa parte l'erogazione era avvenuta a titolo di rimborso spese, e ci� 
sulla base della documentazione relativa ad un solo rapporto su 74; soggiunge 
che le somme corrisposte agli artisti in forza di lettere aggiuntive, 
integrative dei contratti, avrebbero comunque dovuto essere assoggettate 
a ritenuta, in quanto erano state erogate forfettariamente, senza che fosse 
stata provata la loro natura di effettivo rimborso spese, per assoluta 
mancanza di documenti giustificativi. 

Il ricorso � fondato. 

La motivazione della decisione impugnata si esaurisce nell'affermazio


ne che, essendo pacifico in causa che tutta la documentazione era stata 

ritirata dalla Polizia tributaria all'atto dell'ispezione, non vi era ragione 

di dubitare dell'uniformit� della regolamentazione dei rapporti tra l'Ente 

e gli artisti che -come risultava dall'unico rapporto che il contribuente 

era stato in grado di documentare -prevedeva un compenso e un rim


borso spese, in conformit� di una prassi vigente nel campo. teatrale. Se


nonch�, la mancata esibizione della documentazione relativa agli altri 73 

rapporti non poteva ritenersi giustificata, ove si consideri che -come 

era stato dedotto e risultava dagli atti (verbale di sequestro) -al mo


mento dell'ispezione la Polizia tributaria rilasci� al contribuente la copia 

di tutti gli atti ritirati. 

Da condividersi � poi il secondo e pi� penetrante profilo della cen


sura formulata dalla ricorrente amministrazione, riflettente l'omesso esa


me di un punto decisivo. A fronte di erogazioni dichiarate per lire 94.990.285 

e di trattenute effettuate su sole lire 34.447.000, l'affermazione dell'Ente 

di non avere assoggettato a ritenuta la differenza per ben lire 63.327.500, in 

quanto versate a titolo di rimborso spese �a pi� di lista�, non poteva 

accogliersi se non previo accertamento dell'effettiva natura dell'eroga


zione supplettiva, in relazione ai principi vigenti nella materia. Devesi 

(1) Decisione di evidente esattezza che chiude la porta alla �prassi vigente� 
di far apparire i compensi come rimborso di spese. In effetti in taluni settori 
la documentazione a pi� di lista� pu� essere difficoltosa, ma non si pu� indulgere 
ad ammettere determinazioni forfettarie e incontrollabili di rimborsi. 
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I: 
1: 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Hl 

infatti ricordare che, in forza delfa aggiunta apportata al primo comma 
dell'art. 128 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 
29 gennaio 1958, n. 645, dall'art. 3 della legge 28 ottobre 1970, n. 801, le 
regioni, le province, i comuni, le persone giuridiche private e pubbliche, 
le societ� e le associazioni di ogni genere e gli imprenditori commerciali 
dovevano operare la ritenuta nella misura dell'8 per cento a titolo 
di acconto dell'imposta dovuta dal soggetto percipierite, sui due terzi 
delle somme sotto qualsiasi forma corrisposte a titolo di prestazioni professionali. 
� 

Orbene, la perentoria formulazione della legge, chiaramente preoccupata 
che non sfuggisse alla tassazione anticipata parte dei proventi della 
attivit� professionale, impone di ritenere che la esclusione della funzione 
corrispettiva delle somme erogate dal benefic\ario delle prestazioni dovesse 
(e debba, anche in forza della attuale disciplina risultante dall'art. 25 
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, quale modificato dall'art. 12 della legge 
13 aprile 1977, n. 114 e dall'art. 13 della legge 24 luglio 1978, n. 388) avere 
un rigoroso riscontro. In particolare, se � vero che il rimborso di spese 
non costituisce compenso, esso deve� trovare un corrispondente aritmetico 
in esborsi effettivamente attuati e non pu�, per definizione, essere predeterminato 
senza riferimento ad un conto, con una precisa e completa 
documentazione. E su tale esigenza, cui invano l'Amministrazione si richiamava, 
la motivazione del giudice tributario � totalmente carente. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 gennaio 1984, n. 457 -Pres. Sandulli 


Est. Battimelli -P. M. Ferraiolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 

Stato D'Amato) c. Crespi Morbio (avv. Palladino). 

Tributi erariali diretti � Imposte sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza 
� Intento di speculazione � Fattispecie. 

(t.u. 29 gennaio 1945, n. 645, art. 81). 
L'intento di speculazione nella realizzazione di plusvalenze pu� essere 
accertato in base a presunzioni inerenti alle modalit� della vendita anche 
con riferimento al comportamento successivo dell'acquirente; nell'ipotesi 
di vendita di azioni l'intento di speculazione pu� essere rivelato da un 
accordo fra pi� possessori di azioni e fra questi e l'unico acquirente, 
volto a conseguire un maggior ricavo. (1) 

(1) La sentenza, ponendosi in una posizione diversa dalla recente pronunzia 
delle sezioni unite, 13 ottobre 1983, n. 5960 (in questa Rassegna, 1984, I, 135), lascia 
un possibile spazio per la determinazione, quasi necessariamente presuntiva, 
dell'intento di speculazione. 
Sulla questione specifica della vendita di azioni raggruppate ad un�co acquirente 
si era precedentemente discusso se l'accordo fra i possessori creasse 



342 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO. 

(omissis) Ed invero, nel suo ricorso alla commissione centrale, l'uffi~ 
cio, per dimostrare il carattere speculativo dell'operazione in questione, f 
aveva diffusamente evidenziato varie circostanze, alcune ininfluenti ai fini ! [della soluzione del problema (quali la natura oggettivamente speculativa 
dei beni venduti -ch� in tal caso ogni vendita di azioni, comunque avvenuta, 
sarebbe tassabile come operazione speculativa -o operazioni po


I

ste in essere dai danti causa degli acquirenti -si veda in proposito 
quanto osservato nell'esame del secondo motivo di ricorso-), altre invece 
che, attenendo alla condotta posta in essere, dopo l'acquisto delle azioni, 
dai contribuenti, ben avrebbero potuto costituire elementi di valutazione 1 
per l'accertamento di una condotta intesa a realizzare un realizzo maggiore 
di quello conseguente ad un puro e semplice disinvestimento pa


I

trimoniale, in conformit� proprio del principio di diritto correttamente 
enunciato dalla Commissione Centrale, evidenziato nella disamina del 
primo motivo di ricorso (principio che, va aggiunto, non vale solo per la 
alienazione di beni immobili, bens� anche per la vendita di titoli azionari, 
sia pure acquistati per successione). 

!: I 

L'ufficio, nel ricorso alla commissione centrale, aveva invero evidenziato 
sia l'oggetto delle societ� le cui azioni erano in possesso dei con


I 

I 
~

tribuenti, quali finanziarie aventi il controllo della societ� editrice del 

Y.
quotidiano Il Corriere della Sera, sia l'esistenza di presunzioni di un 
i= 
accordo e di una cooperazione di tutti i possessori delle azioni al fine 
di a!lmentarne il valore di mercato, presunzioni basate sulle modalit� 
della vendita; tali elementi, minuziosamente indicati, e non presi in 
considerazione dalla decisione di secondo grado, avrebbero dovuto essere 

~ 

esaminati, nell'espletamento dei suoi poteri di giudice anche dei fatti, 

I 
~ 

dalla commissione centrale, al fine dell'accoglimento o del rigetto del ricorso 
in base alla valutazione che, con adeguata motivazione, la commissione 
centrale avrebbe dovuto dare sulla natura dei fatti medesimi. La �=� 
decisione impugnata invece, disattendendo proprio l'esatto principio di 
diritto da essa stessa enunciato (e cio� la possibilit� di ravvisare operazioni 
speculative anche su beni pervenuti per successione, in presenza 
di attivit� successive all'acquisto ed intese ad aumentare il valore di 
mercato dei beni cos� come pervenuti), ha del tutto ignorato l'esistenza 
di tali circostanze e dei motivi di ricorso dell'Ufficio che su di esse si 

una societ� occasionale (da considerare impresa rispetto alla quale l'intento di 
speculazione � presunto) ovvero desse luogo ad �altra� organizzazione di persone 
ex art. 8 del t.u.. delle imposte dirette (Cass., 22 luglio 1980, n. 4784, in 
questa Rassegna, 1981, I, 391). Ora viene superato questo passaggio ritenendo 
esattamente che l'accordo fra gli azionisti rivolto a far crescere il prezzo delle 
azioni, al quale pu� anche partecipare l'acquirente, pu� essere direttamente rivelatore 
di un intento di speculazione. Ci� non esclude che, emergendone i presupposti, 
possa ritenersi costituita una societ� occasionale che diventa una 
impresa. 

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1:
i: 
r: 
. I 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 343 

fondavano, ed ha genericamente respinto l'impugnazione in base alla 
semplice affermazione immotivata secondo cui, nel caso in esame, i 
contribuenti si aarebbero limitati ad effettuare la _vendita di azioni che 
erano loro pervenute per successione o per divisione, aggiungendo soltanto 
che a nulla rilevava che la cessione delle azioni fosse stata fatta 
a favore di un unico acquirente, e trascurando anche di esaminare il 
comportamento successivo di detto acquirente, pure evidenziato dall'ufficio, 
al fine di accertare se esso fosse o meno frutto di un accordo preesistente 
con i venditori e mezzo per conseguire un maggior ricavo dalla 
vendita delle azioni. 

Non � questa la sede per risolvere le questioni di fatto che sul punto, 
sono state sollevate da entrambe le parti, data la natura del giudizio di 
legittimit�; ma va peraltro rilevato che senza dubbio sussistono i denunziati 
vizi di difetto di motivazione e di omesso esame di fatti che non 
possono qui qualificarsi come decisivi in un senso o nell'altro, ma che tali, 
nella sua libera valutazione di merito, avrebbero dovuto essere riconosciuti 
dalla commissione centrale, che avrebbe dovuto valutarli per accertare 
se essi costituissero o meno, secondo le opposte tesi, un complesso 
di attivit� intese ad aumentare artificiosamente il valore dei beni. La mancata 
disamina e valutazione su tale punto comporta pertanto l'accoglimento 
del terzo motivo, con conseguente rimessione alla Commissione 
centrale per un pi� approfondito esame e per una sufficiente motivazione 
di accoglimento o di rigetto dei motivi di ricorso dell'Ufficio. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1984, n. 547 -Pres. Brancaccio Est. 
Sensale -P. M. Catelani (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. Ancarani. 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plu


svalenza � Svalutazione monetaria � Deve essere dedotta dall'am


montare del plusvalore. 

(t.u. 29 gennaio 1978, n. 645, art. 81 e 100). 
Poich� il concetto di reddito � assunto dalla legge come incremento 
pa(rim�niale reale e non soltanto nominale, nello stabilire quali debbano 
essere i termini da porre a confronto al fine di determinare l'an e il quantum 
di una plusvalenza deve tenersi conto della svalutazione monetaria 
verificatasi, quando i termini di confronto siano distanziati nel tempo 
in misura tale da ritenersi disomogenei. (1) 

(1) La sentenza affronta e risolve un problema grav1ss1mo e controverso 
con scarso approfondimento e senza considerare vastissime ripercussioni di 
cui il principio affermato sarebbe suscettibile. 
Tutta la motivazione sta nella mera considerazione che � i termini reddito, 
ricchezza, profitto, guadagno, incremento patrimoniale sono assunti dalla legge 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

344 

(omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'amministrazione delle Finanze 
denuncia la violazione e falsa interpretazione dell'art. 100 del t.u. 
29 gennaio 1978, n. 645 e dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 
censurando la decisione impugnata per avere erroneamente ritenuto che 
quella prospettata con i motivi di appello, circa la non incidenza della 
svalutazione monetaria, sulla determinazione della plusvalenza ai sensi 
dell'art. 100 del citato testo unico, fosse questione di fatto relativa a valutazione 
estimativa, come tale sottratta alla cognizione della commis� 
sione tributaria centrale, e per avere, in conseguenza, confermato la determinazione 
della plusvalenza operata dalla commissione di secondo grado, 
tenendo conto della svalutazione monetaria. Osserva l'amministrazione 
che non era stata oggetto del ricorso, da parte dell'ufficio, la quantificazione 
dell'indice di svalutazione, bens� la legittimit� della s~essa, in quanto 
non consentita dall'art. 100 del t.u. del 1958, secondo il quale, ai fini della 
determinazione della plusvalenza, il valore di riferimento iniziale dei beni 
non pu� essere superiore al costo storico non ammortizzato, o se diverso, 
all'ultimo valore riconosciuto fiscalmente, e le eventuali variazioni, legittimamente 
apportabili a tale costo, sono soltanto quelle ammesse di volta 
in volta, quale correttivo, dalle apposite leggi di rivalutazione per conguaglio 
monetario, con le quali il legislatore intende appunto consentire 
l'adeguamento dei valori patrimoniali di acquisto, monetariamente superati. 


Il ricorso � infondato. 

Occorre innanzi tutto precisare che la commissione tributaria centrale 
ha dato atto, nella motivazione della decisione impugnata, che la 
contestazione da parte dell'Ufficio investiva la legittimit� dell'applicazione 
di un indice cli svalutazione monetaria al fine della determinazione del 
reddito differenziale tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita dell'immobile. 
Nel ritenere che tale criterio rientri fra quelli inerenti alla estimazione 
del reddito )a Commissione centrale ha necessariamente presupposto 

e recepiti dall'interprete nel loro indeclinabile presupposto economico �. In 
base a questo enunciato generale, non si giustificherebbe la limitazione della 
considerazione della svalutazione monetaria alle svalutazioni in cui essa ha 
operato in uno spazio temporale notevolmente lungo (ma quanto lungo?); se 
l'incremento nominale non � reddito, dovrebbe essere sempre neutro. Questo 
dovrebbe allora significare, si pu� dire per assurdo, che ogni reddito deve essere 
depurato dall'incremento nominale da svalutaziO'Ile; i redditi di lavoro dipendente 
incrementati in ragione del costo della vita, i redditi di capitali che 
producono interessi ad un tas�so la cui altezza � dovuta alla diminuzione del 
potere di acquisto della moneta, i redditi dei fabbricati stabiliti su canoni di 
locazione rivalutati secondo indici ISTAT, i redditi di lavoro autonomo regolati 
da tariffe professionali adeguate frequentemente al mutato valore della 
moneta, come dovrebbero essere considerati a fini dell'imposizione? E nello 
ambito del reddito di impresa non solo le plusvalenze ma anche i ricavi e le 

rimanenze dovrebbero essere allo stesso modo depurati. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 345 

l'affermazione della legittimit� dell'applicazione di un indice di svalutazione 
nell'accertamento della plusvalenza, risolvendo cos� sfavorevolmente 
all'Amministrazio;1e la questione di diritto che essa aveva posto e passando 
poi alla ulteriore affermazione del carattere meramente estimativo 
della determinazione in concreto dell'indice di svalutazione. 

Ci� che occorre verificare � se la prima affermazione -quella di 
diritto -resista alle censure formulate dall'Amministrazione. 

�:. necessario premettere che nella decisione impugnata si afferma 
espressamente che l'Ufficio aveva inte~o perseguire il reddito conseguito 
dagli Ancarani con la vendita dell'albergo Rio non come plusvalenza nello 
ambito della seconda parte del secondo comma dell'art. 81 del t.u. n. 645 
del 1958 (sotto il cui vigore la fattispecie impositiva si � realizzata), cio� 
come plusvalenza conseguita da soggetto non imprenditore commerciale 
in dipendenza di operazione speculativa, bens� in base al successivo art. 100, 
cio� come plusvalenza commerciale, comprensiva dell'avviamento, derivante 
dal realizzo dei beni relativi alI'impresa. Ed � questo un punto 
fermo della decisione, che non ha formato oggetto d'impugnazione e dal 
quale deve, quindi, procedersi nell'esame del ricorso. 

Presupposto dell'imposta di ricchezza mobile �, secondo l'art. 81, la 
produzione di un reddito netto, in denaro o in natura, continuativo od 
occasionale, derivante da capitale o dal concorso di capitale o lavoro 
ovvero derivante da qualsiasi altra fonte e non assoggettabile ad imposta 
sui terreni o sui fabbricati. Costituiscono, inoltre, presupposto dell'importo 
le plusvalenze e le sopravvenienze indicati negli art. 100 (per le 
imprese commerciali) e 106 (per i soggetti tassabili in base a bilancio), 
le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni speculative 
nonch� i premi su prestiti e le vincite di lotterie, concorsi a 
premio, giuochi e scommesse. Oggetto della imposta �, quindi, la nuova 
ricchezza prodotta, s� che nel concetto giuridico-tributario di plusvalenza 
� insito il connotato che il soggetto passivo dell'imposta abbia conseguito 
un profitto, un guadagno, un incremento patrimoniale -che 

Ma a questo punto, se ci si avvia alla totale eliminazione del principio 
nominalistico (come tornando al baratto) si dovr� anche dire che imposte su 
redditi riportati ai livelli di venti anni addietro vanno pagate secondo il valore 
che la moneta aveva in quello stesso periodo. 

Riguardo poi al reddito di impresa sul quale influiscono criteri di valutazione 
rigidi diventa impensabile solo l'idea di tener in considerazione la 
svalutazione. 

Se la soluzione del problema � cos� semplice, che senso hanno le leggi 
e i progetti sulle rivalutazioni monetarie, le indicizzazioni e i rimedi vari che 
si tentano per mitigare, senza mai totalmente escluderli, gli effetti della svalutazione 
in taluni settori? 

Certamente un problema esiste, ma � un problema politico colossale che 
non si pu� fingere di scavalcare in via di interpretazione. E non basta un 
richiamo all'art. 53 Cost., specie dopo la sentenza della Corte costituzionale 

n. 126 del 1979. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

346 

l'art. 100 indica nel realizzo dei beni ad un prezzo superiore al costo non 
ammortizzato o, se diverso, all'ultimo valore riconosciuto ai fini della 
determinazione del reddito -senza di che non vi sarebbe plusvalenza 
tassabile. Appare, quindi, evidente che il concetto giuridico-tributario di 
plusvalenza non pu� separarsi dal suo substrato economico (in base al 
quale la plusvalenza indica il calcolo di una valenza aggiuntiva), poich� 
i termini �reddito�, �ricchezza�, �profitto�, �guadagno�, �incremento 
patrimoniale�, sono assunti dalla legge e recepiti dall'interprete nel loro 
indeclinabile presupposto economico. 

Se ne trae la conseguenza che, anche nella previsione dell'art. 100 
(per il quale -� detto testualmente -concorrono a formare il reddito 
imponibile le plusvalenze derivanti dal realizzo di beni... ad un prezzo 
superiore al costo non ammortizzato), perch� vi sia plusvalenza, � necessario 
che questa costituisca reddito, cio� reale incremento patrimoniale, 
poich� detta norma fa applicazione ai redditi di impresa, di principi 
dettati in generale dall'art. 81 (con il quale va raccordata) e poich� 
l'alternativa in essa prevista � indicata in una espressione economica, 
qual � il valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito. 

Ne deriva che, nello stabilire quali debbano essere i termini da porre 
a confronto, ai fini dell'an e del quantum della plusvalenza, l'art. 100 
non pu� fare riferimento che ad entit� omogenee, ossia a valori che 
vanno riportati ad omogeneit� (tenendosi conto della verificatasi valutazione 
monetaria) quando siano dal punto di vista temporale cos� distanti 
(come nel caso concreto, nel quale tale distanza � stata accertata in dieci 
anni) da indurre a ritenere certa la loro disomogeneit�: ci� perch� lo 
art. 100, letto in aderenza al principio costituzionale per cui tutti sono 
tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacit� 
contributiva, si riferisce a valori reddituali e ad un concetto di plusvalenza 
che non pu� essere meramente nominale, bens� effettiva e reale, come 
realizzo di maggior valore. 

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1984 n. 635 -Pres. Santosuosso 
-Est. Sgroi -P. M. Paolucci (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Vittoria) c. Fabbi e Plevisani (avv Declich). 

Tributi erariali diretti � Soggetti passivi � Sostituto d'imposta � Trasferimento 
di azienda nel corso del periodo di imposta � Dovere di 
dichiarazione per il cedente � Sussiste � Responsabilit� solidale del 
cessionario. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 14, 25, 127, 143 e 197). 
Colui che si trova nelle condizioni previste dalla legge per eseguire 
la ritenuta e il versamento dell'imposta dovuta dai percipienti � altres� 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 

obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi altrui, corrisposti nel 
periodo di imposta; ove nel corso del periodo di imposta si verifichi la 
cessazione della qualit� di sostituto d'imposta non viene meno l'obbligo 
della dichiarazione per i redditi erogati fino al momento della cessazione; 
se poi nella posizione subentra un altro soggetto quale cessionario di 
azienda, questi risponder� solidalmente dell'imposta, ma ci� non fa venir 
meno i doveri del cedente n� per il pagamento n� per la dichiarazione. (1) 

(omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione finanziaria dello 
Stato deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 14, 19, 25, 30, 3~, 
127, 143 e 197 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 (artt. 360 n. 3 cod. proc. 

civ. e 111 Cast.), osservando che � l'avvenuta corresponsione di una 
retribuzione sulla base di un rapporto di lavoro in atto che vale a costituire 
l'imprenditore nella posizione di obbligato al pagamento dell'imposta 
in luogo di altri, cio� di sostituto d'imposta. In ragione, poi, della 
posizione cos� acquisita graver� sull'imprenditore il dovere strumentale 
di dichiarare i redditi altrui. La circostanza che, nel corso del periodo 
d'imposta, altri sia succeduto nella titolarit� dell'azienda e degli inerenti 
rapporti di lavoro, non determina il venir meno della qualit� di sostituto 
in capo all'imprenditore che dismette quella titolarit�, ma solo l'aggiungersi 
agli obblighi del sostituto della responsabilit� dell'acquirente 
il quale � soggetto estraneo ai rapporti d'imposta sorti prima del suo 
acquisto e, a differenza del sostituto, non � soggetto necessario del 
rapporto di accertamento. 
Il motivo � fondato. Si deve premettere che i controricorrenti sostengono 
l'esattezza della decisione impugnata sulla base di presupposti 
di fatto che non si rinvengono in essa, e cio� dell'assunto che gli agenti 

(1) Decisione esattissima che applica al sostituto di imposta le stesse regole 
che valgono per il contribuente riguardo alla successione nel rapporto: 
E' noto che non � mai ammessa nel rapporto tributario la successione a 
titolo particolare, con la conseguenza che ove nel corso del periodo si sia verificata 
la cessazione della situazione che d� origine al rapporto (sia del contribuente 
che del sostituto) resta fermo sia l'obbligo di pagamento sia il dovere 
di dichiarazione; ove poi vi sia stata cessione d'azienda nasce per il cessionario 
una obbligazione sussidiaria per il pagamento (responsabile d'imposta) che si 
affianca a quella del cedente senza sostituirla. 

Tutto ci� risulta confermato dall'art. 22 del t.u. del 1958 (oggi art. 11 

d.P.R. n. 600/1973) il quale prevede che nel caso di fusione di societ� la dichiarazione 
relativa all'ultimo periodo (o allo spezzone di periodo) dei soggetti 
estinti deve essere presentata dalla societ� risultante dalla fusione o incorporante 
(vale cio� la regola opposta); ma ci� avviene perch� questa � una successione 
a titolo universale a seguito della quale la societ� assorbita nella 
fusione non esiste pi� e quindi i redditi da essa prodotti (o erogati a terzi) 
devono essere necessariamente dicl�arati dal suo successore. Quando, al contrario, 
non si verifica successione, il soggetto al quale sono imputabili i redditi 
conserva tutti i suoi obblighi e doveri formali, vi sia stato o meno un subingresso 
nella sua posizione a titolo particolare. 

348 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Fabbi e Plevisani, nel periodo semestrale nel quale erano stati titolari 
dell'agenzia LN.A., non erano i datori di lavoro dei produttori inseriti 
nell'organizzazione dell'agenzia stessa, i quali dipendevano direttamente 
dall'Istituto nazionale delle assicurazioni che li pagava. 

Tale assunto di fatto -per cui gli agenti Fabbi e Plcvisani' non 
avrebbero mai rivestito la posizione di sostituti d'imposta dei produttori 
-non � contenuto nella decisione impugnata, la quale ha invece 
affermato che i suddetti non rivestivano la qualifica attuale di datori 
di lavoro al momento della dichiarazione (31 marzo 1971) e non potevano 
a tale epoca esercitare il diritto di rivalsa ed adempiere alle formalit� 
richieste dall'art. 25 del t.u. n. 645 del 1958. � evidente, pertanto, che la 
commissione centrale (la quale poteva compiere indagini in fatto sulla 
qualit� o meno di datore di lavoro dei produttori, a norma dell'art. 26 
del d.P.R. 26 qttobre 1972, n. 636) non ha escluso che nel periodo seme� 
strale dal 1� gennaio al 30 giugno 1970 i Fabbi e Plevisani fossero stati 
datori di lavoro dei produttori dell'agenzia da loro gestita in quella 
epoca, ma ha soltanto escluso l'attualit� degli obblighi al momento 
della scadenza della dichiarazione dei redditi, ritenendo che i suddetti 
obblighi fossero condizionati alla persistenza della � posizione del datore 
di lavoro nel soggetto tenuto alla dichiarazione� a quel momento. I 
controricorrenti, per poter utilmente ancorare la loro tesi ad un diverso 
presupposto di fatto (e cio� all'assenza, in qualsiasi momento anteriore 
alla scadenza dell'obbligo della dichiarazione dei redditi, della qualit� 
di datori di lavoro e di sostituti d'imposta dei produttori) non potevano 
limitarsi -come hanno fatto -a chiedere la conferma sul punto della 
decisione impugnata, ma avrebbero dovuto proporre ricorso incidentale 
condizionato volto all'annullamento della stessa decisione, per un 
nuovo accertamento di fatto sui rapporti con i produttori dell'agenzia. 

Poich� in questa sede -come � ovvio -non si pu� procedere ad 
un accertamento di fatto diverso da quello contenuto nella decisione 
impugnata, e poich� tale accertamento risulta incentrato sulla �cessazione
� della qualit� di datori di lavoro (che presuppon,e evidentemente 
l'esistenza di tale qualit�, anteriormente a tale cessazione), si deve affermare 
l'erroneit� delle conseguenze tratte in linea di diritto dalla 
decisione impugnata. 

L'art. 127, primo comma, del citato t.u. disponeva che la rivalsa 
obbligatoria dell'imposta gravante sui redditi indicati dall'art. 87 corrisposti 
ai prestatori di lavoro doveva essere operata in ciascun periodo 
di paga mediante ritenuta all'atto della corresponsione dei redditi. L'articolo 
143 disponeva che nei casi previsti dall'art. 127, primo e secondo 
comma, doveva essere operata in ciascun periodo di paga, a titolo di 
acconto dell'imposta complementare dovuta dal prestatore di lavoro sul 
reddito complessivo da accertare in base alla dichiarazione, la ritenuta 
con le aliquote indicate nel medesimo articolo. Era quindi l'avvenuta 

~ 


~: 

b 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

corresponsione di una retribuzione sulla base di un rapporto di lavoro, 
in atto non al momento della dichiarazione, ma al moniento del pagamento, 
che co:;tituiva l'imprenditore nella posizione di sostituto d'imposta 
ex art. 14. Il sostituto aveva l'obbligo della dichiarazione dei redditi 
altrui, a norma dell'art. 19, 21, terzo comma, e 25 del t.u. In particolare 
-poich� quest'ultima norma si riferiva alle retribuzioni gi� 
corrisposte -non si vede quale fosse la .pretesa impossibilit� di adempiere 
alle formalit� in essa dettate, affermata dalla Commissione centrale. 
� evidente che, a stare al suo assunto, anche il licenziamento o 
le dimissioni del lavoratore dipendente durante il corso dell'anno precedente 
(al quale si riferiva la dichiarazione unica dei redditi) avrebbero 
comportato la � cessazione � della qualit� di sostituto d'imposta e l'inesistenza 
degli obblighi citati in capo all'imprenditore. La conclusione che 
sarebbe nella logica della decisione impugnata -� tale che da sola 
vale a far rilevare l'erroneit� della tesi di fondo. La verit� � pi� semplice: 
esisteva l'obbligo, secondo opportuni calcoli (si vedano, per esempio, 
le tabelle delle ritenute periodiche contenute nella circolare 29 maggio 
1971 n. 22) di operare le ritenute periodicamente e di dichiarare i 
redditi effettivamente corrisposti nell'anno anteriore, anche se il rapporto 
di lavoro fosse cessato durante il corso dell'anno stesso, p~r qualsiasi 
motivo attinente o al lavoratore (licenziamento, dimissioni, e�c.) o 
al datore di lavoro (cessazione dell'impresa; trapasso di essa -ivi 
compresi i rapporti di lavoro -da un soggetto all'altro, ecc.). 

In particolare, il subentro di un impren�l.itore ad un altro comportava 
per il cedente l'obbligo della denuncia di cessazione ex art. 30 del 
t.u., che espressamente disponeva che la presentazione della denuncia 
di cessazione non esimeva il contribuente dall'obbligo della dichiarazione; 
e, per il cessionario, la responsabilit� solidale ex art. 197, che presupponeva 
la responsabilit� anche del cedente per le imposte dovute 
per il periodo in corso alla data della cessione, ivi comprese le imposte 
sui redditi di cat. C/2, e cio� sui redditi dei lavoratori dipendenti dalla 
impresa ceduta. 

Concludendo, l'impreditore che cessava dalla titolarit� dell'azienda 
nel corso del periodo d'imposta, come era obbligato a pagare -con 
obbligo di rivalsa -le imposte di cui agli artt. 127 e 143 sui redditi 
corrisposti fino alla cessazione, cos� era tenuto a presentare la dichiarazione 
dei redditi stessi ed era soggetto ad accertamento, in caso di 
omissione, ai sensi dell'art. 31 del t.u. n. 645 del 1958. 

Erroneamente, pertanto, la Commissione centrale ha dichiarato nullo 
l'avviso di accertamento nei confronti dei Fabbi e Plevisani, in quanto, 
invece, esso poteva spiegare effetto nei confronti dei predetti nei limiti 
delle retribuzioni da loro �corrisposte ai produttori nel semestre in cui 
erano stati titolari dell'agenzia dell'I.N.A. (omissis) 


350 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 febbraio 1984, n. 871 -Pres. Mirabelli 
-Est. Cantillo -P.M. (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Angelini Rota) c. De Pisis. 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Ripartizione di potest� tra 
�ommissioni e giudice ordinario e questione di giurisdizione � Ri� 
partizione di potest� tra commissioni di primo e secondo grado e 
corte di appello � :t questione di competenza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 40). 
Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Giurisdizione � Giudizi pen� 
denti innanzi alla giurisdizione ordinaria alla data di entrata in 
vigore della riforma del contenzioso � Perpetuazione della giuri� 
sdizione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 43). 
Poich� le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione speciale, 
costituisce questione di giurisdizione quella attinente al riparto di 
potest� tra giudice ordinario e commissioni. D� luogo invece a questione 
di competenza quella attinente al riparto, nell'ambito di stesso processo, 
di potest� tra commissioni di primo e secondo grado e corte d'appello. 
(1) 

Con l'attuazione della riforma del processo tributario, non � venuta 
meno la giurisdizione ordinaria per i procedimenti gi� pendenti. (2) 

(omissis) 1. -Con unico motivo di ricorso, denunziando la violazione 
dell'art. 42 �od. proc. civ., in relazione all'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636, l'Amministrazione deduce che anche nella disciplina 
del nuovo contenzioso le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione 
speciale e non organi specializzati del giudice ordinario, come 
ritenuto dalla sentenza impugnata, la quale perci� ha erroneamente dichiarato 
inammissibile l'appello sul presupposto che il Tribunale, nel declinare 
la giurisdizione a favore delle commissioni, avesse in realt� deciso 
una questione di competenza, cio� una pronunzia impugnabile solo 
con il regolamento di competenza, ex art. 42 cit. 

La censura � fondata. 

La sentenza in esame � motivata in base all'unico rilievo che diversamente 
da quanto accadeva nel sistema del contenzioso precedente alla 
riforma, in cui il giudizio davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria era 
del tutto distinto da quello che si svolgeva presso le commissioni tributarie 
(ciascuno sviluppandosi in maniera indipendente, secondo un mo


(1-2) La prima massima, di evidente esattezza, � particolarmente interessante 
per quanto concerne la posizione della corte d'appello nell'ambito del 
processo speciale; sul punto era gi� intervenuta la sentenza 31 marzo 1983, 

n. 2350, in questa Rassegna, 1983, I, 552. La seconda massima � ineccepibile. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dello processuale compiuto nella struttura e nei suoi gradi) nel 
nuovo ordinamento della giustizia tributaria il ricorso alla Corte di appello 
non d� luogo ad. un'autonoma azione giudiziaria, ma configura un normale 
mezzo di impugnazione della -decisione della commissione di secondo 
grado, previsto nell'ambito dell'unico processo tributario come rimedio 
alternativo di contenuto uguale al ricorso alla Commissione centrale 
(art. 40 d.P.R. n. 636 del 1972); questo carattere unitario del giudizio 
dimostra, secondo la Corte napoletana, che la giurisdizione in materia 
� rimasta affidata al giudice ordinario e che perci� le commissioni, partecipi 
della stessa giurisdizione, non possono che essere considerate 
organi specializzati di detto giudice. 

L'inconsistenza della tesi risulta evidente appena si consideri che 
nel nostro ordinamento, in virt� del tassativo disposto dell'art. 102 Cost., 
non � ammessa una figura di giudice specializzato diversa dalle sezioni 
specializzate che, per determinate materie, si possono costituire presso 
gli organi giudiziari ordinari, ancorch� con la partecipazione di estranei 
alla magistratura (partecipazione che integra e non sostituisce, nello 
spirito e nella lettera del precetto costituzionale, la funzione giurisdizionale 
dei magistrati ordinari); e tali non sono, manifestamente, le commissioni 
tributarie, le quali -oltre ad essere investite solo (di parte) 
della matera tributaria -costituiscono uffici giudiziari del tutto distinti 
e autonomi da quelli ordinari, organizzati in modo affatto diverso e 

' coordinati in un apposito apparato giurisdizionale. 
� perci� principio assolutamente pacifico -tanto nella giurisprudenza 
di questa Corte Suprema (cfr. fra le pi� recenti, sent. n. 2350 
del 1983; n. 3877 del 1979; n. 4507 del 1978; n. 942 del 1977), quanto, superato 
ii dubbio sulla loro giurisdizionalit�, nella giurisprudenza della 
Corte costituzionale (sent. n. 57 del 1982; n. 215 del 1976; n. 287 del 1974) 
-che le commissioni in oggetto sono organi speciali di giurisdizione; 
qualifica che, del resto, si impone anche alla stregua dell'esegesi storica 
della legislazione in materia, essendo ben noto che la nuova disciplina 
� stata dettata in attuazione della disposizione transitoria VI della Costituzione, 
sulla revisione delle residue giurisdizioni speciali. 
-In realt�, come queste Sezioni unite hanno gi� avuto occasione di 
precisare (sent. n. 2350 del 1983), l'inserimento della Corte di appello, 
quale giudice eventuale di un'impugnazione limitata (essendone escluse 
le questioni di fatto relative alla valutazione estimativa e alla misura 
delle pene pecuniarie), nell'ambito di un unico processo tributario di 
merito affidato nei primi due gradi esclusivamente alle commissioni 
tributarie, non incide n� sulla natura di queste, che non sono attratte 
nella giurisdizione ordinaria, n� sulla posizione della Corte di appello, 
che non diventa organo di giurisdizione speciale; e con questo singolare 
modulo processuale -adottato dal legislatore della riforma allo scopo 
di eliminare il previgente sistema della duplice tutela, privilegiando il 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

352 


giudice speciale senza tuttavia escludere quello ordinario -entrambe 
le giurisdizioni vengono coordinate nello svolgimento dello stesso processo, 
all'interno del quale la potest� giurisdizionale nella materia tributaria 
risulta attribuita anche alla magistratura ordinaria, limitatamente 
ad un suo organo e ad una fase di gravame. 

Agli effetti che qui interessano, tale collegamento assume rilievo nei 
rapporti endoprocessuali tra le commissioni e la Corte di appello, adita 
in sede di impugnazione della decisione della commissione di secondo 
grado, dovendosi negare -come pure � stato chiarito (con la citata 
sentenza n. 2350 del 1983) -che essi diano luogo a problemi di giurisdizione. 


Una questione di giurisdizione, secondo la nozione che si ricava dall'art. 
41 cod. proc. civ., sussiste quando si discute se il potere giurisdizionale 
sulla controversia appartenga, invece che al giudice ordinario, 
ad un giudice speciale, la cui giurisdizione si pone, quindi, in alternativa 
e in contrapposizione a quella ordinaria in virt� di norme che attribuiscono 
le contravesie in materia alla prima e non alla seconda; e 
un problema di questo tipo in nessun caso pu� sorgere tra gli organi 
suddetti, i quali, essendo preposti a gradi diversi del medesimo giudizio, 
per ci� stesso sono provvisti di potest� giurisdizionale sulle controversie 
per le quali quel procedimento � stato istituito. 

La diversit� delle due giurisdizioni (in senso soggettivo), cio�, diventa 
giuridicamente irrilevante, sotto il profilo in esame, in conseguenza 
del loro coordinamento nello stesso sistema di tutela giudiziaria 
dei diritti e interessi relativi alla materia: le norme che qualificano i 
rapporti fra organo ordinario e speciale non sono quelle che delimitano 
l'ambito della speciale giurisdizione tributaria, che costituiscono il comune 
fondamento della potest� giurisdizionale di tali uffici sulle controversie 
in materia, bens� quelle che disciplinano il gravame innanzi alla 
corte di appello, definendo la sua competenza funzionale quale giudice 
di una fase del processo; e rispetto a tali norme si configurano soltanto 
problemi di ammissibilit� dell'impugnazione, non certo di appartenenza 
della cognizione della controversia al detto giudice ordinario o al giudice 
speciale (per questa ragione non involge un .problema di giurisdizione 
a�certare se, agli effetti dehl'art. 40 cit., una questione sia inerente a valutazione 
estimativa e se, quindi, la statuizione della commissione di secondo 
grado possa essere impugnata davanti aJ.la Corte di appello). 

A conclusione opposta si deve pervenire, invece, per le questioni 
che investono� i rapporti tra commissioni e giudice ordinario esterni al 
processo tributario, perch� allora, essendo in discussione se la controversia 
debba essere decisa con tale procedimento, il problema attiene 
al riparto delle giurisdizioni. 

Le norme che determinano la materia oggetto del processo, infatti, 
delimitano la giurisdizione dei giudici speciali rispetto a quella della 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 

magistratura ordinaria, la cui potest� giurisdizionale sussiste -come 
si � detto ..:.... solo all'interno del medesimo procedimento ed � circoscritta 
all'impugnazione di una pronuncia resa dal giudice speciale, con 
la conseguenza che il giudice ordinario, se non ad�to con tale impugnazione, 
difetta di giurisdizione. 

Involge perci� una questione di giurisdizione, e non di competenza, 
stabilire se una controversia rientra fra quelle che, ai sensi dell'art. 1 
del d.P.R. n. 636 del 1972 (modif. con d.P.R. n. 739 del 1981), sono devo-Iute 
alle commissioni tributarie, per essere decise con lo speciale procedimento 
prevjsto da detta legge, ovvero di essa debba conoscere 
il giudice ordinario, secondo le normali regole processuali; la pronunzia 
resa al riguardo da quest'ultimo giudice non �, quindi, impugnabile 
con regolamento di competenza. 

Nella specie, declinando la giurisdizione a favore delle commissioni, 
il tribunale di Napoli, ha effettivamente risolto una questione di giurisdizione 
e conseguenzialmente deve essere cassata la sentenza della Corte 
di appello, la quale ha dichiarato inammissibile l'appello nell'errato convincimento 
che la pronunzia dovesse essere necessariamente impugnata 
con il regolamento di competenza, ai sensi dell'art. 42 cod. proc. civ. 

2. -Queste sezioni unite, chiamate a regolare la giurisdizione, debbono 
tuttavia rilevare che ugualmente non � conforme a diritto la pronunzia 
del Tribunale, il quale, nel dichiarare il difetto di giurisdizione 
in base alla disciplina del nuovo contenzioso tributario, non ha considerato 
che essa non si applica ai giudizi che, alla data della sua entrata 
in vigore, erano pendenti innanzi ai giudici ordinari in forza della pregressa 
normativa. 
Quanto alle controversie relative ai tributi precedenti alla riforma, 
infatti, il d.P.R. n. 636 del 1972 regola soltanto i procedimenti innanzi 
alle vecchie commissioni, stabilendo all'art. 43, secondo comma, che 
essi passano automaticamente alla cognizione delle nuove commissioni 
dalla data di insediamento delle stesse. Nulla direttamente dispone, invece, 
per i giudizi pendenti davanti ai giudici ordinari, ma al quarto 
comma dello stesso art. 43 detta che nelle controversie decise dalle passate 
commissioni prima della data di insediamento delle nuove, le 
parti possono, se ancora in termini, �esperire l'azione giudiziaria dinanzi 
ai tribunali, secondo le disposizioni anteriormente vigenti �. 

Ora, poich� nel sistema previgente era prevista, come si � ricordato, 
una distinta azione davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria, munita di 
autonoma giurisdizione al riguardo, gi� l'assenza di una norma che 
abroghi con effetto retroattivo tale giurisdizione conduce ad escludere 
che la nuova disciplina sia applicabile alle cause pendenti. N� la retroattivit� 
dell'abrogazione si desume per implicito da ~tre norme, nessuna 
delle quali incide ex tunc sui presupposti di quella giurisdizione; e tanto 


� 354 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
meno pu� essere invocato il principio tempus regit actum, essendo evidente 
che le disposizioni del nuovo contenzioso, concernenti il giudizio 
innanzi alle commissioni, non operano quali norme processuali nei procedimenti 
ordinari. 

Ma la conclusione suddetta si impone anche in base al disposto del 
quarto comma dell'art. 43, innanzi riferito: poich� in tal modo � stata 
transitoriamente mantenuta in vita la precedente normativa nelle ipotesi 
in cui il ricorso all'autorit� giudiziaria, pur non essendo stato proposto, 
era ancora proponibile, a fortiori si deve ritenere che la medesima 
normativa � rimasta ferma per le controversie gi� portate alla 
cognizione del giudice ordinario. 

Tal'� quella in esame, in quanto risulta dagli atti che alla data d� 
entrata in vigore della nuova disciplina il giudizio era pendente innanzi 
al tribunale di Napoli, ritualmente ad�to secondo la normativa dell'epoca, 
ess'endo stata opposta un'ingiunzione di pagamento per imposta di registro. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 febbraio 1984, n. 932 -Pres. Santosuosso 
-Est. Caturani -P. M. Paolucci (d�ff.) -Ministero delle Finanze 
(Vice Avv. Gen. Stato Gargiulo) c. Galletti. 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Presupposti � 
Integrazione nel corso del processo � Legittimit�. 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Prova del 
fatti indice � Insufficienza � Pronuncia del giudice di terzo grado � 
Legittimit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). 
Tributi erari~Ii diretti � Accertamento � Metodo induttivo � Ricerca ana� 
litica di un singolo cespite � Illegittmit�. 

L'accertamento induttivo, se pure deve indicare sinteticamente i fatti 
sui quali si fonda, non richiede una specifica e dettagliata enunciazione 
dei fatti stessi; in ogni caso nel processo giurisdizionale contro l'accertamento 
l'ufficio pu� procedere ad una specificazione e integrazione della 
motivazione. (1) 

(1-3) La prima massima, che ha un precedente in Cass., 18 luglio 1979, 

n. 4261 (in Comm. Trib. centrale, 1979, II, 1805) � molto importante. Non pu� 
invece essere condivisa la terza massima (in senso conforme Cass., 12 ottobre 
1981, n. 5338, in questa Rassegna, 1982, I, 175); se � vero che non � possibile 
determinare sinteticamente il reddito complessivo e a questo aggiungere un 
reddito specificamente accertato (in tal modo si farebbe una duplicazione), non 
si vede perch� nella determinazione induttiva non possono essere utilizzati 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 

Ove i fatti indice che giustificano l'accertamento induttivo non siano 
stati dimostrati, il giudice di terzo grado pu� dichiarare l'illegittimit� 
dell'accertamento. (2) 

Quando si procede all'accertamento induttivo del reddito complessivo, 
non possono essere utilizzati elementi attinenti a redditi specifici. (3) 

(omissis) Gli uffici distrettuali delle imposte dirette di Firenze e 
Prato notificarono in varie date ad Ascanio. Galletti accertamenti per 
imposta complementare sul reddito relativamente agli anni dal 1956 al 
1964: in tutti gli atti di accertamento si rilevava che il metodo analitico 
appariva insufficiente perch� in contrasto con la effettiva capacit� contributiva 
del Galletti, e perci� si riteneva doversi procedere ad accertamento 
in via sintetica, accertando per i singoli anni un reddito complessivo 
di lire venti milioni in base al tenore di vita lussuoso del contribuente, 
al personale di servizio, all'annuale villeggiatura, al possesso 
di autovetture, nonch� per la mancata dichiarazione degli �nteressi percepiti 
dalla Societ� Purfina Italiana a titolo di ripartizione degli utili 
sulle azioni da lui possedute (n. 17.800 del valore nominale di lire 50.000). 

Sui ricorsi presentati dal Galletti, le commissioni tributarie determinavano 
il reddito, per i singoli anni, in lire cinque milioni. 

Deceduto il Galletti il 6 maggio 1964, gli eredi Giuseppe, Eleonora e 
Maria Adriana Galletti, con separati atti di citazione in data 15 aprile 
1976, con:venivano innanzi alla Corte di appello di Firenze l'amministrazione 
finanziaria dello Stato e chiedevano che fosse dichiarata la nullit� 
ed illegittimit� degli accertamenti tributari. 

oltre a indici generali (tenore di vita) fatti pi� specifici (nel caso possesso di 
azioni) che concorrono a sostenere la presunzione di capacit� contributiva. 
�� La seconda massima non appare 'esatta n� sul punto della illegittimit� 
dell'accertamento quando non siano dimostrati i fatti addotti come indice di 
capacit�, n� sul punto della pronuncia su tale questione da parte del giudice 
di terzo grado. Sotto il primo profilo occorre distinguere tra motivazione dello 
accertamento, che pu� comportare la illegittimit� (integrale) dell'atto, e dimostrazione 
dei fatti assunti nella motivazione, che attiene alla fondatezza della 
pretesa nel merito. L'accertamento pu� cio� essere motivato su fatti non dimostrati, 
ovvero non motivato bench� sia data la prova dei fatti (Cass., 3 maggio 
1971, n. 1271, in questa Rassegna, 1971, I, 1076). Ci� chiarito appare evidente 
che la prova dei fatti che sorreggono l'accertamento, la cui insufficienza pu� 
portare ad una riduzione della base imponibile o anche alla dichiarazione della 
totale infondatezza della pretesa, rientra nella semplice estimazione (o valutazione 
estimativa). Rientra nei poteri del giudice di terzo grado la pronunzia, in 
punto di diritto sulla legittimit� del ricorso all'accertamento induttivo, ma non 
quella sulla valutazione della quantit� imponibile determinata induttivamente e 
sulla relativa prova (Cass., 10 aprile 1979, n. 2046, in questa Rassegna, 1979, 
I, 719; 6 marzo 1980, n. 1500, ivi, 1981, I, 125). Ed � ormai pacifico che anche 
l'accertamento della esistenza del presupposto del reddito non esorbita dalla 
estimazione semplice (Cass., 12 maggio 1979, n. 2739, ivi, 1979, I, 763; 27 giugno 

1981, n. 4185, ivi, 1982, I, 152; 11 agosto 1982, n. 4519, ivi, 1983, I, 171; 13 ottobre 
1983, n. 5960, ivi, 1984, I, 135). 



356 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nella resistenza della convenuta amministrazione, la Corte d'appello, 
con la sentenza in questa sede �impugnata, dichiarava illegittimi gli accertamenti 
impugnati, rilevando: 

a) non si spiega anzitutto, avendo gli uffici proceduto ad un accertamento 
sintetico, come sia stato osservato che il contribuente avrebbe 
omesso di dichiarare gli interessi percepiti dalla societ� Purfina Italiana 
sulle 17.800 azioni da lui possedute: il rilievo avrebbe potuto giustificare 
una rettifica dei redditi analiticamente dichiarati, ma non poteva costituire 
elemento da prendere a base per un accertamento sintetico; comunque, 
della omessa dichiarazione dei detti redditi il giudice non pu� 
tener alcun conto perch� le azioni della Purfina furono vendute dal Galletti 
nel novembre 1955, cio� in epoca anteriore agli anni cui gli accertamenti 
si riferiscono; 

b) per quanto riguarda la legittimit� dell'accertamento sintetico, 
esso richiede la sussistenza e la contest�Zione di elementi e fatti concreti, 
specifici e comprovati, valutabili in termini di vera e propria erogazione 
di reddito, onde nel caso di specie si dovevano quanto meno 
contestare i fatti che inducevano a ritenere lussuoso il tenore di vita 
del Galletti e si doveva contestare il numero delle persone al suo servizio, 
le localit� ed i tempi delle villeggiature, il numero delle automobili, 
perch� soltanto fatti e contestazioni di tal genere potevano far ritenere 
legittimo l'abbandono dell'accertamento analitico ed il ricorso a quello 
sintetico; 

e) inoltre, i fatti indicati come elementi giustificativi degli accer


tamenti sintetici non sono veri e sono contestati senza smentita. 

Comunque, pur prescindendo dalla verit� dei fatti indicati, i conte


stati accertamenti sono illegittimi per violazione delle norme che disci


plinano l'accertamento fiscale con il metodo sintetico di cui al t.u. del 

1958, n. 645; 

d) non si versa infatti in tema di estimazione semplice, come so


stenuto dall'amministrazione finanziaria, perch� la controversia pone una 

questione di diritto in quanto importa il quesito in ordine alla legitti


mit� o meno della condotta degli uffici tributari con riferimento, in 

particolare, alle norme che regolano le operazioni di accertamento con 

il metodo sintetico. 

Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre l'Amministrazione 
finanziaria dello Stato sulla base di due motivi; resistono con controricorso 
Giuseppe, Eleonora e Maria Adriana Galletti che hanno anche 
depositato memoria. 


;:: 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

I 1

Con il primo motivo, denunziandosi violazione degli artt. 37 e 137 
gel t.u. n. 645/1958, dell'art. 40 d.P.R. n. 636/1972, dell'art. 2697 cod. civ., 


i 

I 



PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nonch� difetto di motivazione, la ricorrente sostiene che la sentenza im� 
pugnata ha proceduto in realt� ad un riesame dei presupposti di fatto 
dell'accertamento sintetico e per giustificarlo � incorsa in un capovolgimento 
logico della motivazione, facendo dipendere la legittimit� dello 
accertamento induttivo unicamente dalla effettiva esistenza dei fatti assunti 
in accertamento. Si assume altres� che la Corte di appello non ha 
considerato che il possesso da parte del contribuente di azioni della 
societ� Purf�na del valore di un miliardo di lire era stato indicato dall'amministrazione 
come indice di una specifica capacit� contributiva, a 
nulla rilevando che il Galletti si fosse spogliato di quelle azioni nel 1956, 
in quanto al posto delle azioni era subentrato il relativo prezzo, sicch� 
quel dato legittimava ancor pi� l'ufficio a procedere induttivamente 
contro il Galletti. 

Le riassunte censure sono infondate. 

Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il 
principio secondo cui l'obbligo di motivazione dell'accertamento induttivo 
di un reddito pi� elevato di quello dichiarato dal contribuente, ai 
sensi e sotto il vigore del t.u. sulle imposte dirette di cui al d.P.R. 29 
gennaio 1958, n. 645, deve ritenersi assolto qualora il relativo atto contenga, 
si� pure in modo sintetico findicazione dei fatti sui quali l'accertamento 
medesimo si fonda, s� che il contribuente sia in grado di 
conoscere la pretesa fiscale in tutti i suoi elementi essenziali, ai fini 
di una efficace contestazione sull'an e sul quantum (sent. nn. 2122/83; 
3898/SO; 2324/79; 1689/78). 

Il principio medesimo � stato applicato altres� con riguardo alla 
imposta complementare con accertamento del reddito in base a metodo 
induttivo (art. 137 d.P.R. cit.) nel senso che in tal caso si richiede una 
specificazione e contestazione al contribuente dei fatti indici posti a 
base dell'accertamento stesso, nonch� la loro idoneit� a gius!ificare il 
ricorso a quel metodo, ed il relativo controllo � devoluto alla Corte di 
appello in sede di impugnazione della decisione della commissione 
tributaria di secondo grado (sent. nn. 48/78; 4576/79; 3609/81; 2140/82, 
di cui la prima resa a sezioni unite). 

Nel caso di specie, la Corte di appello ha interpretato questo indirizzo 
nel senso che la Finanza avrebbe dovuto contestare i fatti che inducevano 
a ritenere lussuoso il tenore di vita del Galletti nonch� il numero 
delle persone al suo servizio, le localit� ed i tempi della villeggiatura, 
il numero delle automobili, perch� soltanto fatti e contestazioni di tal 
genere potevano far ritenere legittimo l'abbandono dell'accertamento analitico 
ed il conseguente ricorso all'accertamento sintetico. L'affermazione, 
tuttavia, nella sua assolutezza deve essere precisata �in questa sede, tenendo 
presente che l'avviso di accertamento introduce su iniziativa del 
contribuente (attesa la esecutoriet� dell'atto amministrativo) un apposito 
procedimento, nel quale le posizioni contrapposte delle parti ben 


358 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

possono essere precisate e meglio delineate rispetto a quanto risulta 
dalla iniziale impostazione della controversia tributaria. 

Questa Corte ha, invero, ritenuto che in materia persino l'eventuale 
originaria illegittimit� dell'accertamento per la mancanza di una adeguata 
contestazione di fatti e circostanze sui qua:li sia stata fondata la valutazione 
presuntiva di una capacit� contributiva superiore a quella risultante 
dal metodo analitico, resta sanata qualora nel corso del procedimento di 
merito instaurato dal contribuente dinanzi alle commissioni tributarie, 
l'amministrazione finanziaria provveda ad un'esauriente integrazione e 
specificazione degli indicati elementi (sentt. nn. 4261/79). 

Il principio della motivazione dell'accertamento tributario, invero, � 
stato introdotto in funzione della garanzia di un'adeguata difesa del contribuente 
nel corso del procedimento di merito. Questa esigenza, in materia 
di accertamento sintetico ai fini dell'imposta complementare sull reddito 
-di cui si discute nel presente giudizio -� soddisfatta inizialmente 
allorch� l'amministrazione, facendo riferimento a precisi fatti-indici (qua1i 
il tenore di vita 1lussuoso, il possesso di autovetture, le villeggiature, il personale 
di servizio etc.) ponga il contribuente in condizioni di contestare i 
fatti medesimi. 

Di fronte a questa contestazione, il probJema non soltanto si presenta 
in termini di una pi� specifica enunciazione dei fatti-indici, ma si pone per 
la Finanza l'onere di fornire fa prova del proprio assunto, la quale dovr� 
gustifkare in base a quali circostanze. opportunamente acclarate, si sia 
ritenuto di superare le risultanze dell'accertamento analitico, per far 
ricorso al metodo sintetico sulla base di una maggiore capacit� contributiva 
del contribuente (art. 2697, primo comma, cod. civ.). 

Ne consegue che il mancato assolvimento di tale onere incide sulla 
fondatezza della pretesa tributaria, determinando l'illegittimit� del-l'accertamento 
(sent. n. 2343/82 e per il principio generale n. 5951/79; 2990/79). 

� Discende dalle precedenti considerazioni che l'[mpugnata sentenza, 
pur avendo erroneamente 11itenuto l'tHegittimit� degli accertamenti tributari, 
ha poi colto i veri termini del problema proposto alforch� ha osservato 
(sia pure ad abundantiam; nella logica di quella motivazione) che nel 
caso in esame, di fronte alla contestazione di quei fatti-indici da parte 
del contribuente, l'amministrazione non solo non aveva addotto alcuna 
prova a sostegno del proprio assunto, ma non aveva neppure smentito i 
fatti addotti dal contribuente a dimostrazione dell'a.nfondatezza della pretesa 
tributaria. 

In questa prospettiva, si comprende inoltre come non colga nel segno 
neppure quella parte delle censure con cui 1a ricorrente ha sostenuto che, 
motivando in tal modo, la Corte di appello sarebbe caduta in tema di estimazione 
semplice, superando in tal modo i :limiti deilla propria competenza. 

In contrario, pu� osservarsi che, ai sensi degli artt. 26 e 40 del d.P.R. 
del 1972 n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, la 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 359 

pronuncia della commissione di secondo grado � sindacabile sia in sede di 
ricorso alla commissione centrale che in sede di .impugnazione davanti aHa 
Corte d'appello per ogni violazione di legge, ivi compreso il vizio di motivazione 
o l'errata risoluzione di questioni di fatto, con la sola esclusione 
delle questioni di fatto, che attengono alla valutazione estimativa (sent. 

n. 1307/80). E non 'rientrano certamente tra le questioni di fatto attinenti 
alla valutazione estimativa le questioni esaminate in sede di merito dalla 
Corte d'appello, riflettenti i presupposti di legittimit� dell'accertamento tributario 
in via sintetica (sent. 4261/79 cit. con riferimento ai poteri defila 
commissione centrale). Non merita infine alcuna censura il rilievo della 
Corte, secondo cui non poteva rientrare tra li fatti-indici dell'accertamento 
in via sintetica fa omessa dichiarazione da parte del contribuente deglri 
interessi percepiti dalla societ� Purfina Italiana sulle 17.800 azioni da lui 
possedute. Invero, come la Corte ha rettamente osservato, H. rilievo avrebbe 
potuto giustificare una rettifica analitica dei redditi, ma non poteva costituire 
elemento da prendere a base per un accertamento sintetico, in omaggio 
al principio secondo cui non si pu� procedere rad accertamento in via 
sintetica su fatti costitutiW. di redditi rea:li da accertare analiticamente, 
quali ad esempio il possesso di titoli azionari. 
Qualora infatti, ['ufficio ritenga di poter procedere all'accertamento 
sintetico, a norma dell'art. 137 d.P.R. cit., di un reddito complessivo adeguato 
a quello rilevato dal tenore di vita deil contribuente, ovvero anche da 
circostanze o da elementi di fatto espressivi di disponibilit� di reddito, non 
pu� assumere come elemento rivelatore del reddito complessivo che intende 
accertare sinteticamente, il possesso di specifici redditi (dichiarati 

o accertati d'ufficio), ma deve invece accertare i fatti e la circostanza 
cio�, i fatti-indici, che provando un certo ammontare di spese presuppongono 
la disponibilit� di un reddito complessivo spendibile superiore a 
quello accertabile analiticamente (sentenza n. 2343/82 cit.). (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 febbraio 1984, n. 935 -Pres. Mazzacane 
-Est. Caturani -P.M. Paolucci (conf.). Ministero de1le Finanze 
(avv. Stato Braguglia) c. Soc. Philips (avv. Gava). 

Tributi (in genere) -Restituzioni e rimborsi � Interessi � Prescrizione Autonomia 
rispetto al credito. 

(legge 26 gennaio 1961, n. 29; cod. civ. art. 2948, n. 5). 

Gli interessi spettanti sui rimborsi hanno natura autonoma rispetto 
all'obbligaziione tributaria cui accedono e si prescrivono, nel termine quinquennale, 
ir.:dipendentemente dalle vicende interruttive riguardanti il credito 
di imposta. (1) 

(1) Sull'autonomia della obbligazione di interessi e sulla applicabilit� ad 
essi della prescrizione quinquennale dell'art. 2948 n. 5, quale che sia la prescri..............................--.-........-...................,.....,,,....-,,..................,, 
...,.,.,.,. ..,.,.,. ...,. ....,....................................... ------------�---�-��������-�����----�������--�������������������������������������������������������������������������� 



360 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
(omissis). Con unico motivo l'Amministrazione ricorrente, denunziando 
violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2984 (rectius 2948) 
n. 4 cod. civ. e dell'art. 5 legge 26 gennaio 1961, n. 29, assume che, contrariamente 
a quanto ritenuto dall'impugnata sentenza, la causa debendJi 
degli interessi in questione � autonoma rispetto a quella del credito per 
il capitale sicch� l'interruzione della prescrizione operata dalla Phildps con 
riferimento a quest'ultimo non si estende al credito di interessi per i quali 
quindi pu� profilarsi una inerzia del creditore cui si ricollega l'effetto 
estintivo della prescrizione. 
La censura � fondata. 
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio 
secondo cui la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 n. 4 
cod. oiv. si applica agli interessi dovuti sulle somme indebitamente percette 
dalI'accipiens in tema di condictio indebUi, dovendo riconoscersi 
in tal caso agli interessi una causa debendi autonoma rispetto a quella che 
caratterizza la domanda principale e potendo profilarsi rispetto ad essi 
una inerzia del creditore cui pu� ricollegarsi l'effetto estintivo della prescrizione 
(sent. 13 maggio 1977, n. 1884; 29 gennaio 1980, n. 687). 
La Corte d'appelilo ha ritenuto di discostarsi da tale indirizzo facendo 
leva in particolare sulla disciplina contenuta nell'art. 5 della legge 26 gennaio 
1961, n. 29, il quale statuisce che sulle somme pagate per tasse od 
imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di provvedimento 
in sede amministrativa o giudiziaria spettano al contribuente gli 
interessi di mora a decorrere dal!la data della domanda di rimborso. 
La formulazione della legge, tuttavia, lungi dal dimostrare l'esattezza 
della tesi sostenuta dalla senten:re impugnata circa il collegamento tra erezione 
stabilita per l'imposta non nascono dubbi (v. Relazione Avv. Stato, 19761980, 
II, 428). 
Meno costante � la giurisprudenza sul punto se l'interruzione della prescrizione 
del credito di imposta si rifletta sugli interessi (vedi la citata Relazione 
cui adde Cass., 2 ottobre 1980, n. 5343, in questa Rassegna, 1981, I, 547). 
In via generale la regola della completa autonomia e indifferenza dei due 
rapporti pu� dirsi esatta e bene applicabile alla domanda di rimborso da considerare 
come una qualsiasi domanda di pagamento. 
Diverso � il problema per gli atti della Amministrazione nei quali si opera 
piuttosto la contestazione di un fatto che interrompe la prescrizione per tutte 
le obbligazioni che per legge da esso discendono. Cos� un verbale di ispezione 
di polizia giudiziaria contesta fatti dai quali discendono un ventaglio di obbligazioni 
per imposte diverse (ad es. registro, IVA, bollo), sanzioni ed interessi; 
allo stesso modo un accertamento di maggior valore nelle imposte indirette 
produce effetto, anche ai fini interruttivi, sull'imposta di registro, l'INVIM, le 
imposte ipotecarie, le sanzioni e gli interessi. Se poi si considera che in molte 
ipotesi gli interessi cominciano a maturare prima della esigibilit� e liquida� 
zione definitiva del credito principale; sembra eccessivo pretendere che l'ufficio 
si debba preoccupare di interrompere autonomamente la prescrizione per interessi 
non ancora determinabili nella quantit�. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

I 361 

dito relativo alla somma capitale e credito di interessi, si limita a risolvere 
il problema dell'individuazione del dies a quo degli interessi dovuti 
dall'amministrflzione, mentre lascia del tutto impregiudicato il diverso 
quesito della natura autonoma o meno del credito stesso rispetto al credito 
riflettente la somma capitale, quesito che deve essere risolto alla 
stregua dei rilievi cui si chiama l'indirizzo giurisprudenziale accennato. 

La societ� resistente, a sostegno della propria tesi difensiva, ha inoltre 
sostenuto che la legge 28 marzo 1962, n. 147, statuendo che il diritto dell'Erario 
agli interessi spetta dallo stesso giorno in cui � dovuto il tributo 
principale, presuppone che lo stesso diritto, in virt� dell'art. 5 della citata 
legge 1961, n. 29, spetti pure al contribuente, essendo ~mpensabile che una 
disposizione legislativa possa avvantaggiare solo una delle parti del rapporto 
tributario. 

Al riguardo pu� osservarsi che non � esatta la premessa maggiore del 
~agionamento, dato che in tema di imposte J.ndirette il debito relativo agli 
interessi gi� maturati integra anch'esso un'obbligazione autonoma rispetto 
al debito di imposta (principale). Pertanto, la prescrizione del corrispondente 
credito per interessi resta sganciata dalla prescrizione fissata per il 
credito di imposta ed � insensibile alle vicende interruttive riguardanti 
esclusivamente quest'ultima (sent. 2 ottobre 1980, n. 5343). H principio 
dell'autonomia del credito di interessi rispetto al credito principale vale 
quindi sia per il credito di rimborso del contribuente che per il credito 
tributario. 

Da quanto precede consegue che � erronea in diritto l'affermazione 
della Corte di appello che ha ritenuto estensibile al credito di interessi gli 
atti interruttivi della prescrizione relativi al capitaJ.e della somma dovuta 
dall'amministrazione a titolo di rimborso, onde in sede di rinvio il credito 
degli interessi potr� essere riconosciuto in favore della societ� resistente 
nel quinquennio ante~iore alla domanda di rimborso ex art. 2948 

n. 4 cod. civ. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 febbraio 1984, n. 1376 -Pres. Mazzacane 
-Est. Corda -P. M. Corasaniti (diff.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Palatiello) c. IACP di Ancona (avv. Alfieri). 

Tributi locali -Ilor -Tassazione del reddito dei fabbricati destlnatl alla 
locazione degli Istituti autonomi delle case popolari -Natura di reddito 
fondiario -Tassazione ILOR separata. 
(art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; artt. 2 e 5 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; 

artt. 4 e 6 d.P .R. 29 settembre 1973, n. 599). 

Ai fini della tassazione in ILOR, sono strumentali gli immobili direttamente 
impiegati per l'espletamento delle attivit� tipicamente imprenditoriali, 
e cio� quelli ohe, per destinazione, sono inseriti nel ciclo produttivo 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

362 


tanto da essere insuscettibili di dare un reddito autonomo da quello di 

impresa. {1) 

Non esiste una norma che, ai fini della tassazione in IWR, disponga 

;che gli immobil,i delle societ� e degli enti equiparati siano per ci� solo,. 

:ossia a presc.indere dal requisito della strumentalit�, produttivi di un\ 

1reddito tassabile in ILOR non separatamente ma come componente del 

reddito di impresa. (2) 

(omissis) In data 24 settembre 1975, l'Istituto autonomo per [e case 
popolari (IACP) di Ancona proponeva ricorso (alla competente commissione 
tributaria) contro l'iscrizione a ruolo della imposta locale sui redditi. 
(ILOR) relativa a un imponibile di 1}.re 12.942.723 e a un'imposta di Hre 
349.456, per i redditi (prodotti nell'anno 1974) degli .immobili assegnati 
in locazione e tassati (autonomamente) come �fondiari�. Deduceva l'inesistenza 
dell'obbligazione tributaria invocando la disposizione dell'art. 40 
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (richiamato dal quinto comma del~ 
l'art. 6 della Jegge ILOR), nell'assunto che il reddito degli immobili predettli, 
essendo questi uWmi �strumentali per l'esercizio della impresa commerciale
�, non poteva essere considerato (autonomamente) come �fondiario�, 
ma concorreva (solo) a formare il �reddito complessivo �, come � componente 
del reddito d'impres::l �, 

Con decisione dell'8 ottobre 1976, la Commissione tributaria di primo 
grado di Ancona accoglieva il ricorso; ma la commissione di secondo 
grado, adita dall'ufficio, con decisione del 3 ottobre 1977 dichiarava infondata 
la pretesa dell'IACP. 

Proposto ricorso dal predetto contribuente, la commissione tributaria 
centrale, a sezioni unite, con decisione pubblicata il 20 dicembre 1979, 
accoglieva la detta impugnazione e, pertanto, dichiarava che � ai firui. 
d~l'imposta locale sud redditi la tassazione dei canon.i. degli immobili va 
eseguita in base al reddito complessivo dell'IACP determinato a norma 
dell'art. 4 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 �. Osservava che il fine istltu


(1) Con la decisione in rassegna, ed altre coeve, le sezioni unite offrono 
la definitiva risposta al grave problema della tassazione in ILOR degli immobili 
delle societ� e degli enti equiparati, sul quale si era avuto un contrastante 
orientamento della I Sezione: con le sentenze del 2 luglio 1981, n. 4288 e 4289 
(in questa Rassegna, 1982, I, 157) e 15 dicembre 1981, n. 6613, la Corte aveva 
fornito una nozione di strumentalit� che non poteva essere condivisa: ritenne 
in quella occasione la Corte che il bene strumentale, ai fini della tassazione 
in ILOR, � quello che serve all'ente proprietario anche solo allo scopo del 
procacciamento delle entrate destinate ai fini statutari. Il problema venne 
riproposto all'attenzione della Corte dall'Avvocatura dello Stato, che evidenzi� 
come la nozione di strumentalit� andasse costruita con riguardo al concetto di 
reddito dei fabbricati: il bene strumentale � quello inidoneo a fornire reddito 
di fabbricato, e cio� reddito autonomo rispetto a quello di impresa, non esistendo, 
d'altra parte, nessuna esenzione soggettiva in favore delle societ� o degli 

PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 363 

zionaJe del predetto Istituto � quello di fornire alloggi in focazione (alle 
classi meno abbienti); di modo che gli alloggi stessi devono essere considerati 
� strumentali � rispetto al perseguimento di quel fine. 

Contro ta:le decisione ha ricorso per cassazione l'Amministrazione 
finanziaria, con un unico motivo di censura. 
L'IACP ha resistito m�diante controricorso e ha, a sua volta, proposto 
ricorso incidentale, anch'esso affidato a un un!ico motivo 
La ricorrente ha, pure, presentato una memoria iillustrativa. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -I due ricorsii (principale e incidentale), in quanto proposti contro 
la stessa sentenza, devono essere riuniti sotto il numero di ruolo pi� antico, 
ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. 
2. -Col ricorso principale (denunciando, ai sensi deWart. 360, n. 3 
cod. proc. civ., Ja violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 6 del 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, degli artt. 21, 40 e 52 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597, degli artt. 2 e 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598), l'amministrazione 
finanziaria censura l'.impugnata decisione della commissione 
tributaria centrale per avere ritenuto applicabile la � esenzione � oggettiva 
di cui all'art. 40 del decreto n. 597 e sostiene che fa commissione predetta 
non avrebbe tenuto presente che il conseguimento del fine di dare alloggi 
in locazione non costituisce esercizio di attivit� commerciale e che l'attivit� 
obiettivamente commerciale degli I&CP ha per scopo Ja costruzione 
delle case, non la gestione del patrimonio immobiliare realizzato attraverso 
l'attivit� commerciale. Sostiene che si sarebbe dovuto, invece, ritenere 
che gli immobili oggetto di locazione danno luogo a reddito fondiario 
(come tali, quindi, soggetti a tassazione separata -in ILOR -anche 
i canoni di locazione che concorrono alla formazione del reddito d'impresa) 
e non sono � strumenti� per l'esercizio di quell'attivit� obiettivamente 
enti equiparati in quanto tali. Le argomentazioni dell'Avvocatura furono recepite 
da Cass., 17 febbraio 1982, n. 993 (ed altre coeve), in questa Rassegna, 1982, 
I, 367, con nota di Palatiello; e poi, con riguardo ad una societ� commerciale, 
da Cass., 6 maggio 1982, n. 2836 e 26 marzo 1983, n. 2135, in questa Rassegna, 
1983, I, 147 e 388. 

(2) Questo secondo orientamento impedisce alle societ� commerciali di considerare 
strumentali gli immobili messi a reddito e di invocare una pretesa 
esenzione soggettiva che sarebbe derivata dalla equiparazione dell'immobile societario 
all'immobile strumentale. 
Il problema fu portato all'esame delle sezioni unite che l'hanno risolto come 
dalla decisione in rassegna, facendo giustizia sia della nozione empirica di 
strumentalit� (per la quale sarebbe strumentale l'immobile che � comunque 
usato per i fini statutari) sia della pretesa esenzione soggettiva in favore degli 
enti commerciali. 



364 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO StATO 

commerciale che si pone quale mezzo al fine di realizzare lo scopo istitu


zionale dehl'ente (pubblico) di dare in locazione le case. 
Il ricorso � fondato nei limiti che saranno qui appresso indicati. 
La questione che viene oggi proposta all'esame delle sezioni unite 

ha formato oggetto di pronunce contrastanti, nell'ambito della Prima 
Sezione di questa Corte. 

Con la sentenza 2 luglio 1981, n. 4288 (seguita, poi, dalla sentenza 
15 dicembre 1981, n. 6613), si � ritenuto che, con ni.ferimento agli ahloggi 
assegnati in locazione dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) 
deve escludersi l'applicabilit� dell'imposta locale sui redditi (ILOR), a 
norma dell'art. 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.597 (richiamato dall'art. 6, 
quinto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599), posto che gli immobili 
predetti, lungi dal costituire (per gli IACP) una dotazione patrimoniale, 
autonomamente gestita, costituiscono gli strumenti di un'attivit� di tipo 
commerciale, strettamente collegata con la finalit� istituzionale degli 
Istituti medesimi. 

Con fa sentenza 17 febbraio 1982, n. 993 (seguita, poi, dalla sentenza 
9 marzo 1982, n. 1472), si �, invece, adottata la soluzione opposta, sul rilievo 
che fa norma limitatrice (l'art. 40 cit.) prevede la non tassabilit� dei soli 
immobili che sono concretamente e direttamente impiegati per l'espleta~ 
mento delle attivit� tipicamente imprenditoriali, in quanto inseriti nel 
complesso aziendale, e non, quindi, anche deglii immobili che vengono utilizzati 
al fine deHa produzione di rendite, quali sono gli immobili che 
gli IACP assegnano in locazione alle categorie meno abbienti. 

Questi due enunciati giurisprudenziali contengono entrambi, nella 
premessa, una parte di vero. Data la particolare natura e la strutturazione 
degli IACP, pu�, infatti, bene ritenersi: a) da un fato, che gli immobihl 
in questione costituiscono lo � strumento � di cui gli IACP si ser� 
yono per il conseguimento dei loro fini istituzionali, che sono quelli di 
fornire alloggi ai meno abbienti (nel senso che gli Istituti predetti, quali 
enti pubblici. non economici, perseguono la loro finalit� avvalendosi di 
un'attivit� imprenditoriale, di modo che la �strumentalit�� degli ii.mmobili 
deve essere riferita non tanto all'azienda -che � gi� � strumento � quanto, 
piuttosto, al conseguimento della finalit� predetta): b) dall'altro, 
che gli immobili costituiscono, nel contempo, anche l'oggetto dell'attivit� 
imprenditoriale, finalizzata alla costruzione e/o ailla �gestione� delle locazioni, 
nel senso che, oltre che strumento adoperato per H conseguimento 
dei fini .istituzionali di cui si � detto, essi costituiscono pur sempre il 
�risultato� dell'attivit� commerciale (di modo che, sotto questo profilo, 
non appare certo inesatto quanto � stato osservato nella seconda delle 
sentenze prima ricordate -la n. 993 del 1982 -secondo cui la � strumentalit�
� considerata ai fini della precedente impostazione sarebbe elemento 
di connotazione non gi� degli immobili, bens� del reddito da essi prodotto). 

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PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ma il rilievo che gli immobili degli IACP possono essere considerati, 
contemporaneamente, � oggetto � e � strumento � dell'attivit� imprendi� 
toriale in questione conduce, inevitabilmente, alla conclusione che il loro 
reddito deve essere tassato, in ILOR, come reddito fondiario. 

La regola -secondo il disposto dell'art. 6 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 599 -� che i redditi fondiari sono soggetti all'imposta focale 
sui redditi. L'eccezione � quella stabilita dal quinto comma di taile articolo, 
il quale richiama -come si � detto -l'art. 40 del d.P.R. n. 597 del 1973: 
se gli immobili costituiscono beni �strumentali� per l'esercizio delle imprese 
commerciali, il loro reddito concorre a formare, come componente, 
il reddito d'impresa. � intuitivo, dunque, che fa norma in esame (il quinto 
comma dell'art. 6 predetto, che richiama, appunto, l'art. 40 della legge 
IRPEF), costituendo �eccezione� alla regola generale, deve essere inter� 
pretata in senso restrittivo. Il risultato di tale :interpretazione, quindi, 
non pu� essere che uno: la norma limitatrice pu� trovare applricazione 
solo in presenza di una strumentalit� �pura �, non gi� in presenza di quella 
strumentalit� ibrida che � stata pi� sopra messa in luce (con riferimento 
al caso deg.li IACP in cui -come si � detto -l'immobile non � solo 
strumento, ma anche oggetto dell'attivit� imprenditoriale). In definitiva, 
la norma, interpretata ristrettivamente, sottrae al generale criterio di 
tassazione solo quegli immobili che hanno, come � unica � destinazione, 
lo scopo di essere direttamente impiegati per l'espletamento delle attivit� 
tipicamente imprenditoriali, ossia quelli che, per destinazione sono inseriti 
nel complesso aziendale (e non sono quindi, suscettibili di creare un 
reddito autonomo); non anche, quindi, quegli immobili che, pur potendo 
essere in certo senso strumentali rispetto alle finalit� che il soggetto d'im� 
posta persegue attraverso l'esercizio dell'impresa, costituiscono, nel contempo, 
J'oggetto della predetta attivit� imprenditoriale. 

Iri previsione di una tale, possibile interpretazione della norma, il P.G. 
presso questa Corte ha sollevato il dubbio di costituzional!it�, per disparit� 
di trattamento fra un soggetto pubblico cos� caratterizzato e altri soggetti 
privati, non meglio indicati, i quali non potrebbero -secondo quella 
prospettazione -trovarsi in analoga condizione. Ma in proposito � sufficiente 
osservare che se i due soggetti, pubblico e privato, si trovano 
in differente situazione contributiva, difetta, proprio, il presupposto di 
quella denuncia -di incostituzionalit�; mentre, se il soggetto privato si 
trova in analoga condizione (cosa, del resto, astrattamente possibile, perch� 
la particolare situazione sopra descritta � collegata non gi� alla natura, 
pubblica o privata, del soggetto, ma al � :rapporto � fra l'immobile e 
l'impresa) non vedesi perch�, anche per lui, non debba essere applicata 
analoga regola. 

3. -Con J'unico motivo del ricorso incidentale, l'IACP di Ancona 
sostiene che la commissione tributaria centrale avrebbe dovuto ritenere 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

applicabile non gi� la � esenzione oggettiva � ( � strumentalit� � degli im,
mobili), bens� quella �soggettiva� (appartenenza degli immobili a un 
ente pubblico), pure prevista dall'art. 40 del decreto n. 597 del 1973. 

L'assunto � privo di fondamento. 

Analogo problema era gi� stato, da questa Corte, affrontato con fa 
sentenza n. 993 del 1982 (cit.) e risolto nel senso che il quinto comma 
dell'art. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, allorch� richiama, ai fini 
dell'applicabilit�, l'art. 40 della legge IRPEF, ha inteso rkhiamarlo unicamente 
nella parte in cui dispone che non si procede ad iscrizione a 
ruolo dei redditi degli immobili che costituiscono beni strumentali per 
l'esercizio dell'impresa. E tale conclusione merita di essere condivisa. 

LI citato art. 40, invero, dispone che non sono considerati redditi fondiari, 
ma concorrono unicamente a formare il reddito complessivo, come 
componente del reddito d'impresa, i redditi: a) degli immobili che costituiscono 
beni strumentali per l'esercizio dell'impresa commerciale; 
b) degli immobili posseduti da sooiet� in nome collettivo e :in accommandita 
semplice. E il ricorrente IACP, invocando l'art. 2 del d.P.R. 28 
marzo 1975, n. 60, che aLla disposizione di� cui al secondo comma dell'art. 
5 della legge IRPEG (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598) -nella 
parte in cui prevede che il citato art. 40, gi� applicabile alla societ� in 
nome collettivo e in accomandita semplice, sia applicabile �anche per 
le societ� di altro tipo soggette all'imposta sul reddito delle persone 
giuridiche � -ha aggi~nto le parole �e per gli enti pubblici e privati 
aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivit� commerciali 
�, sostiene che la separata tassazione, come redditi fondiari, dei 
redditi derivanti dagli immobili in questione dovrebbe ritenersi esclusa 
(�esenzione soggettiva�) per il solo fatto che gH immobili predetti appartengono 
a un ente pubblico che ha come oggetto principale {'esercizio 
di . una attivit� commerciale (tesi, questa, che gi� l'IACP aveva prospettato 
alla commissione tributaria centra:J.e e in relazione alla quale era 
rimasta soccombente). 

Ma la fragHit� di una tale prospettazione (che, peraltro, dato l'indubbio 
carattere innovativo della citata�disposizione del 1975, � di ben 
scarso rilievo pratico se riferi.ta -come nel caso concreto -a redditi 
prodotti nel 1974) appare evidente, proprio perch� l'art. 6, quinto comma, 
della legge ILOR non pu� essere inteso come riferentesi anche a quella 
sorta di �esenzione� avente natura �soggettiva�, perch� ci� svuoterebbe 
di significato quelle alt~e norme, sempre della ~egge ILOR, che 
preve�:iono la tassazione, come redditi fondiari, dei redditi degli immobili 
�posseduti� daLle societ� e (per l'estensione introdotta dalla citata 
:legge del 1975) dagli enti pubblici. 

Infatti, l'art. 4 di detta �legge dispone, nel quinto comma, che per 

i redditi fondiari l'imposta (ILOR) � applicata separatamente, per anno 

solare, � anche nei confronti dei soggetti indicati nel secondo e nel terzo 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 

comma�, cio� anche nei confronti delle societ� di capitali e degli enti 
esplicanti attivit� commerciali (che sono, appunto, indicati nel terzo 
comma). Ed � ovvio che una tale disposizione sarebbe contraddetta dal 
quinto comma del successivo art. 6, se quest'ultimo, richiamando l'art. 40 
della legge IRPEF, avesse voluto richiamare anche la disposizione che 
esclude, dalla tassazione separata, i redditi degli immobili � po.sseduti � 
dalle societ� e dagli enti, pubblici o privati, esplicanti attivit� commerciale. 
Tale esclusione, in realt�, vale solo per l'IRPEF e per l'IRPEG, ma 
non anche per l'ILOR, ai fini della quale ultima imposta � prevista, come 
si � detto, la separata tassazione dei redditi degli immobili (esclusi solo 
quelli che sono strumentali per l'esercizio delle imprese commerciali), 
come redditi fondiari. Ed � ovvio che, in sede di interpretazione di una 
norma che richiama un'altra legge, nell'alternativa tra una (asserita) 
contraddizione del legislatore e una (plausibile) efficacia o portata limitata 
di quel richiamo, deve propendersi per questa seconda soluzione. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Dn., 27 febbraio 1984, n. 1377 � Pres. Gambogi 
� Est. Virgilio -P.M. Miccio (diff.) Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Volterra. 

Tributi erariali indiretti � Imposta sull'entrata � Assegni ICCRI � Compensi 
pagati dall'ICCRI alle Casse di risparmio�� Natura di interessi � Esen� 
zione dall'imposta sulla entrata � Spettanza. 
(legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 1, lett. f), art. 3, lett. c)1. 

Gli interessi che le casse di Risparmio ricevono dall'ICCRI come 
corrispettiivo per la disponibilit� di somme di danaro nel tempo intercorrente 
tra l'emissione e l'estinzione degli assegni, hanno fur..zione 
di corrispettivo per il godimento del danaro e conseguentemente sono 
compresi nella esenzione 4all'imposta sull'entrata stabilita dall'art. 1 
lett. f) della legge 19 giugno 1940, n. 762. (1) 

(omissis) Deduce la ricorrente che erroneamente la Commissione 
tributaria centrale ha attribuito natura di interessi (corrisposti dall'ICCRI 
alle Casse di Risparmio) alle somme versate dall'Istituto alle 

(1) Conformi sono le decisioni in pari data n. 1378 -e 1379. Le sezioni unite 
abbandonano l'indirizzo delle sentenze 12 febbraio 1979, n. 933 e 22 giugno 1982, 
n. 3898 (in questa Rassegna, 1979, I, 351 e 1982, 1, 983). Non resta che prendere 
atto del nuovo orientamento. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

368 

d�tte Casse, mentre avrebbe dovuto ritenere che [e Oasse assumono 


rispetto alle .indicate somme -Ja qualit� non di creditore e di deposi


tante, bens� di depositario e di debitore, e sono perci� tenute a corri


spondere all'Istituto (depositante) i relativi interessi, e non gi� a ri


scuoterli. 

Per tali ragioni, le somme percepite dalle Casse di risparmio ~anno 

assoggettate all'IGE, in quanto esse hanno necessariamente natura di 

corrispettivi di un servizio (art. 3 della legge 19 giugno 1940, n. 762). 

Le sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi su una questione decisa 

in modo non uniforme dalla prima sezione civile dclla Corte. 

Con le sentenze n. 933 del 1979 e n. 2404 del 1980 � stato affermato 

che le somme corrisposte dall'Istituto di credito delle Casse di risparmio 

itaHane (ICCRI) a una cassa di risparmio per H servizio di emissione 

e di pagamento di assegni da essa tratti, a richiesta dei clienti, sull'isti


tuto medesimo rappresentano non gi� interessi dovuti su un deposito 

in conto corrente, ma si configurano come compensi pagati dall'ICCRI per 

l'espletamento della indicata attivit� giuridica, in forza di un rapporto 

di mandato, e perci� Je somme anzidette sono assoggettabili all'IGE a 

norma dell'art. 3 r.dJ. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito neHa legge 19 giu


gno 1940, n. 762. 

Con le sentenze da n. 3898 a n. 3901 del 1982 � stata egualmente af


fermata la tassabilit� delle stesse somme in quanto non costituiscono 

interessi di puro impiego di capitale, rientranti nella esenzione di cui 

all'art. 1, lett. /), del r.dil. n. 2 del 1940, ma utili inerenti all'attivit� im


prenditoriale della Cassa di risparmio, cio� interessi alla produzione dei 

quali concorrono insieme capitale e lavoro, come tali compresi nella 

categoria B dell'art. 85 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, ai fini dell'impo


sta di rit.:chczza mobile. 

Con le sentenze n. 3938 del 1981 e n. 3951 del 1982 � stato invece 
ritenuto che le somme liquidate dall'ICCRI a una cassa di risparmio 
sul conto particolare relativo alla emissione ed estinzione di assegni 
. tratti dalla cassa sull'istituto, a richiesta dei clienti, corrispondono a 
un credito de1la cassa per il capitale versato dal cliente e fornito al trattario 
(ICCRl) a copertura degli assegni, con la funzione di corrispettivo 
per l'uso di tale capitale: corrispettivo determinato in rapporto al periodo 
di circolazione dei titoli, e pertanto le somme stesse configurano 
interessi su movimenti di capitale, non computati nel conto generale esistente 
tra due istituti, esenti da IGE secondo rart. 1, primo comma, 

lett. f), del r.d.l. n. 2 del 1940. 

Delineato 11 panorama della giurisprudenza di questa Corte sul 

complesso problema, Je sezioni unite ritengono di dover premettere che 

nella presente controversia non esiste, sul piano del concreto svolgimento 

del rapporto tra l'ICCRI (che ha versato le somme delJa cui tassabilit� 

si discute) e l'istituto bancario� creditore (che le ha riscosse) alcuna 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sostanziale contestazione che possa involgere indagini di fatto rilevanti 
ai fini della decisione. 

Secondo gll elementi concreti esposti (o presupposti) nella statuizione 
impugnata, il rapporto tra i due istituti si � svolto (relativamente al fe. 
nomeno versamento-riscossione delle somme in esame) attraverso momenti 
che possono essere cos� descritti: 

1) versamento, da parte del cliente, dell'importo degli assegni 
richiesti ed emissione immediata dei titoli ad opera delJa Cassa di Risparmio 
con contestuale accred.itamento (nel giorno stesso) dell'importo stesso 
all'ICCRI (trattario) e correlativo addebito a proprio carico, quale normale 
traente, nel conto generale esistente tra i due iistituti, in cui sono 
contabilizzate anche tutte le altre operazioni bancarie svoltesi tra essi; 

2) da1la data di accreditamento, pur mancando una materiale tra� 
smissione di denaro, l'ICCRI poteva liberamente disporre ai suoi fini, per 
operazioni anche diverse, della valuta versata dal cliente alla cassa; 

3) il pagamento degli assegni poteva essere effettuato non soltanto 
dal trattario {ICCRI), ma anche dalla medesima cassa emittente 
come da ognuna delle altre casse consorziate con J'ICCRI, le qua:1i ultime 
erano autorizzate, in virt� di un mandato extracartolare, ad estinguere 
l'assegno per conto del trattario, cio� con pagamento da valere come 
fatto da quest'ultimo; 

4) tale pagamento era registrato nella stessa data a debito dell'ICCRI, 
per conto del quale era effettuato, e a credito della cassa che 
aveva estinto l'assegno; 

5) per ciascuna cassa o istituto consorziato l'IOCRI, oltre il conto 
generale, manteneva un altro conto particolare sul movimento degli 
assegnffnel quale erano annotati soltanto i movimenti di valuta relativi 
alle emissioni e aHe estinzioni degli assegni tratti da una stessa cassa 
(anche se i titoli fossero stati poi estinti da altre casse) con annotazioni 
inverse rispetto a quelle del conto generale, nel senso cio� che nel giorno 
di emissione la somma corrispondente a ciascun assegno era registrata 
a credito della cassa emittente, mentre la stessa somma era registrata 
a debito nel !�iomo in cui si verificava l'estinzione del titolo, in modo 
da evidenziare -per ciascuna cassa -la durata della circolazione di 
ciascun assegno emesso dalla medesima cassa, cio� il periodo di tempo 
(intercorrente tra Ia data di emissione e que11a di estinzione del titolo) 
durante il quale il trattario ICCRI aveva avuto la disponibilit� della 
provvista; 

6) interessi calcolati secondo i normali criteri erano contabilizzati 
sfa nel conto generale che in quello particolare; nel primo venivano 
annotate tutte indistintamente le operazioni intercorse tra i due istituti, 
per cui il conguaglio degli interessi poteva presentarsi in attivo o in 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO,

370 

passivo (a credito o a debito) per ciascuna cassa a secorida dello sbilancio 
giornaliero, ma nel detto conto generale, relativ:amente e limitatamente 
al movimento degli assegni, maturavano interessi generalmente 
passivi per 1a cassa, in quanto le emissioni di assegni costituivano appunto 
poste passive del conto e determinavano perci� altrettanti debiti, 
per i relativi importi, della cassa verso l'ICCRI; nel conto particolare 
invece, riguardante esclusivamente i movimenti di valuta degli assegni 
emessi dalla medesima cassa, gli interessi emno generalmente attivi 
per quest'ultima perch� in tale conto particolare le emissioni venivano 
annotate come partite attive per fa cassa, la. quale in tal modo risUJltava 
creditrice dell'ICCRI dell'importo degli assegni in circolazione e finch� 
durava la circolazione. 


Sulla base di questo meccanismo paradigmatico, il quale riproduce 
adeguatamente il fenomeno economico che qui interessa, va affrontata e 
risolta la questione della assoggettabilit� a11'IGE delle somme liquidate 
dall'ICCRI alle casse di risparmio o ad altri istituti convenzionati a 
titolo di interessi per la valuta rimasta � giacente � durante la circolazione 
degli assegni. 

Il quesito consiste ne1lo stabilire se anche a tali interessi, come 
per quelli risultanti dal conto generale esistente tra i due istituti di 
credito, possa ritenersi applicabile la norma di esenzione di cui all'art. l, 
secondo comma, let:t. f), del r.d.l. n. 2 del 1940, la quale menziona 
�gli interessi derivanti dal puro impiego di capitale, classificabile agli 
effetti dell'imposta di ricchezza mobi:le in categoria A, ii dividendi e gli 
interessi derivanti dall'impiego di capitali in titoli dello Stato, cli altri 
enti pubblici e delle societ� per azioni, nonch� gli interessi derivanti 
da depositi bancari o da rapporti di conto corrente, nonch� quelli derivanti 
da risconto tra aziende di credito o . da risconto o ant4;,ipazioni 
presso. l'Istituto di emissione �. 


Queste sezioni unite ritengono che :hl contrasto giurisprudenziale 
vada risolto in senso conforme alla tesi accolta nelle sentenze n. 3938 
del 1981 e n. 3951 del 1982, con le quali � stata affermata '1'applicabi1it� 
agli interessi di cui si discute della esenzione fiscale. 

Poich� la questione costituente oggetto di dibattito ha natura esclusivamente 
tributaria, essa va esaminata con riferimento agJi aspetti 
peculiari che tale natura comporta. 

Dal concreto meccanismo delle operazioni intercorse tra l'ICCRI e 
le casse di risparmio o ailtri istituti convenzionati risulta che La precipua 
finalit� del cosic;Idetto � conto speciale assegni � era quella di 
evidenziare per quanto tempo, rispetto a ciascun assegno, fosse rimasta 
�giacente� -presso l'istituto che aveva emesso il titolo -la somma 
versata dal cliente, onde poter calcolare gli interessi dovuti dahl'ICCRI 
sulla somma stessa nel periodo compreso tra data di emissione e data 
di estinzione di ogni assegno. i, 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDE_NZA TRIBUTARIA 

In definitiva, poich� la coesistenza e le mterferenze tm d due conti 
(generale e speciale) determinavano una situazione anomala, sul piano 
economico, perch� nel primo conto, attraverso l'immediato accreditamento 
all'ICCRI delle somme versate dai clienti, le casse di risparmio 
risultavano prevalentemente a debito (in quanto il numero delle emissioni 
di assegni superava di regola, per ciascun iscritto, quello delle estinzioni 
di eguali titoli), le parti intesero ovviare alla detta situazione con 
il sistema del conto speciale, che rifletteva unicamente la reale posizione 
delle due banche circa il movimento degli assegni. 

Il conto speciale era preordinato a una funzione di viequilibrio della 
situazione, al fine di evitare che l'ICCRI -per il periodo di tempo compreso 
tra data di emissione e data di estinzione di ciascun assegno cumulasse 
sostanzialmente due vantaggi, cio� la disponibilit� della valuta, 
che gli era immediatamente accreditata e della quale poteva liberamente 
disporre, e la percezione degli interessi relativi, in quanto in base 
all'accredito delle somme nel conto generale l'istituto figurava creditore 
nei confronti delle casse. 

Questa situazione, che evidenzia il fenomeno economico nella sua 
vera essenza, � sufficiente a far ritenere che le somme versate dal:l'ICCRI 
ai1le casse, in base al conteggio risultante dal conto speciale, vanno annoverate, 
agli effetti che qui intt:ressano, nell'ambito di applicazione di cui 
all'art. l, lett. f), del r.d. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 
giugno 1940, n. 762. 

Sulla qualificazione formale delle somme anzidette come interessi 
non esiste sostanziale contrasto, perch� non � contestato che esse fossero 
commisurate alla entit� delle somme rimaste giacenti nelle Casse 
di risparmio a disposizione dell'ICCRI, e che fossero inoltre calcolate 
in percentuale e con riguardo al tempo .di giacenza delle somme stesse, 
cio� con riferimento al momento della consegna dehla valuta da parte del 
cliente, fino al momento deHa estinzione del titolo. 

Di fronte a questi chiari elementi rivelatori della natura deHe somme 
in esame (che presentano i requisiti tipici degli interessi) non � 
concettualmente possibile, in base a.J sostrato di fatto costituente il presupposto 
della decisione impugnata, ritenere che le indicate somme 
fossero destinate ad assolvere una funzione diversa da quella di corrispettivo 
per il godimento del denaro, da parte dell'ICCRI, nei termini 
indicati dal conto speciale. 

La norma della cui applicabilit� alla fattispecie in esame si discute 
(lett. f) cit.), oltre gli interessi derivanti dal puro dmpiego di capita.Je, 
pre~isti all'inizio della disposizione, assoggetta a identica disciplina fi. 
scale anche altre categorie di interessi, senza porre alcuna distinzione 
-per tali ulteriori categorie -tra interessi classificabili in cat. A o B 
agli effetti della imposta di R.M. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

372 

Dalla struttura letterale della norma, nella quale � ripetuta pi� 
volte la congiunzione � nonch� �, risulta chiaramente che le numerose 
fattispecie d.i interessi previste nella complessa disposizione sono state 
accomunate nel beneficio della esenzione, ma sono state invece enucleate 
autonomamente quanto alle loro connotazioni, per cui sarebbe arbitrario 
ritenere che a tutta la gamma degli interessi previsti nella lett. f) sia 
riferibile fil requisito della classif�cabilit� in serie A per l'imposta della 
R.M., come � richiesto nella prima parte delle norme soltanto per gli 
interessi derivanti dal puro impiego di capitale. 

Sulla base di questi rilievi, e considerando inoltre che nella lett. f ) 
dell'art. 1, del r.d.I. n. 2, del 1940, non � stata stabilita alcuna limitazione, 
con riguardo al caso degli interessi derivanti � da rapporti di conto 
corrente�, circa i requisiti soggettivi delle parti tra le quali il conto 
corrente si svolge, � evidente che anche per gli istituti di credito vale [a 
regola della esenzione, ove si tratti appunto di interessi derivanti da 
rapporti di conto corrente. 

N� alla previsione della norma ~lett. f) pu� ritenersi comunque 
estranea la categoria degli interessi percepiti dalle aziende di credito 
in conseguenza di operazioni bancarie, in quanto nella stessa disposizione 
sono elencati gli interessi derivanti da � risconto tra aziende di credito 

o da risconto o anticipazicni presso l'Istituto di emissione �, 
In conclusione, una volta accertato che gli interessi di cui si discute 
nella presente controversia trovano la loro collocazione, agli effetti dell'imposta 
generale sull'entrata, nella esaminata norma di esenzione (perch� 
attinenti a rapporto di conto corrente tra ['ICCRI e le Casse di 
risparmio o altri istituti convenzionati) resta automaticamente esclusa 
la possibilit� del loro inquadramento nelle diverse ipotesi degli � interessi 
attivi a qualunque titolo percepiti ... da istituti e aziende in dipendenza 
dell'esercizio del credito, non classificabili ai fini dell'imposta di 

R.M. in cat. A � e � delle provvigioni e corrispettivi percepiti per operazioni 
e sennizi compiuti a favore dei clienti� (previste dall'art. 3, lett. c), 
del r.d.l. n. 2, del 1940, tra le entrate tassabili). (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 marzo 1984, n. 1546 ~ Pres. Brancaccio Est. 
Battime11i � P. M. Martinelli (conf.) Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Vittoria) c. Angiulli (avv. Ahbate). 

Tributi erariali indiretti � Interessi � Computazione � Esito finale del 
processo � Vicende intermedie � Irrilevanza � Pagamento o offerta 
di pagamento nel corso del processo � Rilevanza. 
(legge 26 gennaio 1961, n. 29, art. 3; legge 28 marzo 1962, n. 147; art. un.). 

Gli interessi vanno commisurati al maggior valore accertato all'esito 
finale della lite, mentre nessuna rilevanza hanno le fasi intermedie del 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 

processo e le decisioni non definitive favorevoli all'una o all'altra parte, 
Tuttavia ove il contribuente abbia pagato o promesso di pagare l'imposta 
prima della definizione del giudizio ovvero dopo che si sia definita la 
fase del contenzioso relativa alla determinazione della base imponibile, 
cessa la mora. (1) 

(omisS1is) La censura che l'Amministrazione ricorrente muove alla motivazione 
della decisione impugnata � esatta. 

La ragion d'essere, invero, della normativa degli artt. 3 della legge 26 
gennaio 1961, n. 29, ed unico della legge 28 marzo 1962, n. 147, sta nel porre 
a carico del contribuente la corresponsione di interessi (definiti moratori) 
per tutto il tempo necessario per accertare l'esatto ammontare deill'imponibile 
delle imposte indirette sugli affari attraverso un procedimento 
contenzioso che si instauri in conseguenza di omissione o di infedelt� di 
denunzia di valore (s'intende, qualora l'esito del giudizio porti ad un accertamento 
di valore maggiore -in caso di inesatta o infedele denunzia di 
quello dichiarato). 

In un giudizio del genere ci� che conta (analogamente a quanto avviene 
-in forza del principio errar iudicis est errar partis -per il pagamento 
delle spese alla controparte in .qualsiasi tipo di giudizio) � J'esito 
finale della lite, indipendentemente dalle varie fasi, alcune favorevoli ad 
una parte, altre alla controparte, in cui il giudizio si � articolato: til decorso 
del tempo, su cui calcolare l'ammontare degli interessi, va sempre 
calcolato, in caso di soccombenza del contribuente, dalla data iniziale in 
cui il tributo avrebbe dovuto essere pagato nel suo esatto ammontare, 
al momento finale in cui, esaurito il giudizio, � definitivamente accertato 

(1) La prima parte della massima � 'ineccepibile. Sulla seconda parte 
desta perplessit� la equivalenza tra pagamento e offerta di pagamento. Per 
giurisprudenza oramai consolidata, anche se non del tutto convincente, si � 
affermato che il riconoscimento di un maggior valore (anche se contenuto nel 
ricorso alla commissione) in quanto definitivo e tale da consentire all'ufficio 
la percezione dell'imposta complementare, fa venir meno, nei limiti, la mora, 
anche se il giudizio prosegue sulla contestazione di un pi� elevato valore preteso 
con l'accertamento. 
In tal caso il riconoscimento del valore (o l'offerta di pagamento della 
relativa imposta) � definitivo. Quando invece l'imposta � ancora controversa 
nel quantum e anche nell'an, � ben diversa cosa il pagamento, con riserva di 
ripetizione, e l'offerta di pagamento; il materiale pagamento fa venir meno la 
mora perch�, anche se non a titolo definitivo, ha consentito all'Amministrazione 
di trarre profitto dalla disponibilit� del danaro, quale che sar� la definitiva 
determinazione del credito; ma la semplice offerta di pagare un credito ancora 
controverso non elimina di certo la mora. 



374 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ii1 valore dell'imponibile cui commisurare l'imposta, senza che possa, da 
tale periodo globale, detrarsi la durata di una delle fasi del giudizio 
(di primo gr:::.do o di impugnazione) favorevole al contribuente, in quanto 
ci� che conta � che sia di fatto trascorso un certo periodo di tempo per 
rendere certo, attraverso una pronunzia definitiva, un imp~mibile maggiore 
di quello originariamente dichiarato. 

Tale principio generale, cui la decisione impugnata non si � conformata 
(per cui essa va cassata) soffre peraltro, delle eccezioni: fa prima 
discende dal fatto volontario del contribuente che, nelle more del giudizio, 
paghi in tutto o in parte l'imposta complementare in contestazione, si che 
alla data del pagamento cessa il. computo del periodo su cui commisurare 
gli interessi dovuti sulla somma pagata, anche se H giudi~io eventualmente 
continui (e in tal caso all'effettivo pagamento � equivalente anche 
la semplice offerta di pagare, fatta dal contribuente e rifiutata dal fisco); 

I i

l'altra si verifica allorch�, accertato definitivamente il valore nel giudizio 
di secondo grado, il processo tributario continui per la soluzione di questioni 
di altro genere, soluzione che non possa comunque influenzare la 
definitivit� e il passaggio in giudicato dell'avvenuta pronuncia di accertaJ 
mento di valore, e sempre che, anche in tal caso, H contribuente, prose,:! 
guendo il giudizio sotto altri profili, paghi od offra di pagare l'imposta I ~ 


f 
complementare sul valore accertato. f 
f 

Nel caso di specie, secondo quanto sostenuto nel controricorso, si sa~ 
rebbe verificata la seconda ipotesi prospettata, sostenendosi dal resistente 

I

che il giudizio di revocazione della decisione di secondo grado avrebbe 

! 

avuto ad oggetto . non gi� errori del giudice nella determinazione del 

! 

valore, bens� errori di altro genere, attinenti, a quanto pare, ad errata 

I

determinazione delle quote spettanti ai vari eredi, comunque tali da non 

e !

influire sul vero proprio accertamento di valore, ormai divenuto defi


nitivo anche in corso del giudizio di revocazione. In un caso del _genere, 

I 

l'ulteriore durata del giudizio non potrebbe essere posto a carico del I 
contribuente, ove questi avesse offerto ill pagamento dell'imposta in base ! 
all'imponibile definito, sia pure parzialmente in relazione alla minore 
quota che ritenesse essere a suo carico, senza cio� procastinare ulte


I 

! 
p

riormente il pagamento, in occasione dell'ulteriore corso di una impu


gnazione, comunque occasionata dall'instaurato giudizio di accertamento 

! 

di valore, da lui proposta. f 
Tali accertamenti non risultano effettuati dalila decisione impugnata, 

che ha apoditticamente ritenuto, in conseguenza di un 
non doversi comunque tener conto della durata del 
cazione. (omissis) 

principio errato, 

I 

giudizio di revo' 


�' 

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! 

I 

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i 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 marzo 1984, n. 1588 � Pres. Sandulli � 

Est. Falcone � P. M. Sgroi (conf.) � Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Stipo) c. Soc. Fratelli Pinna. 

Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Ricorso � Riconoscimento di 

ammontare di reddito superiore al dichiarato � :t vincolante � Decl� 

sione della commissione che determina reddito inferiore � Ultrape-, 

tizio ne. 

Ove il contribuente abbia riconosoiuto nel ricorso alla commissione 
un valore imponibile superiore a quello dichiarato, la commissione non 
pu�, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, determinare un reddito 
inferiore. (1) 

(omissis) Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 112 
cod. proc. civ. e 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l'amministrazione finanzia:
rfa censura Ja decisione impugnata per avere ritenuto che 1a commissione 
di secondo grado non avesse pronunciato oltre i limiti deille difese 
dei contribuenti nel determinare il reddito netto imponibile Jn L. 8.768.082, 
senza tener conto che la societ� Pinna, dopo avere denunciato un reddito 
imponibile di Lire 6.188.816, nel contestare l'accertamento di lire 28.138.959 
aveva chiesto, nel giudizio di primo grado, con la memoria aggiunta, sulla 
base di un calcolo analitico delle varie componenti, che H red&to stesso 
fosse accertato in lire 12.438.747, e che nell'impugnare la decisi,one di primo 
grado confermativa dell'accertamento, aveva insistito perch� venisse 
dichiarato l'indicato reddito netto di lire 12.438.747. 

La censura dev'e11sere accolta. 

La decisione impugnata, invero, ha ritenuto infondata la precisa denuncia, 
di ultrapetizione formulata dall'ufficio ricorrente, osservando che 
fa statuizione della commissione di secondo grado non aveva superato i 
limiti di quanto devoluto al suo riesame con il ricorso dei contribuenti, in 
quanto aveva riconosciuto la detraibilit� di alcune passivit� che gli stessi 
pretendevano di vedere riconosciute in toto. 

Ma cos� provvedendo ha dimostrato di non avere esattamente inteso 
la censura prospettatale ed � incorsa nella violazione del principio della 

(1) La decisione va messa in relazione con l'altra recente 6 luglio 1983, 
n. 4531, in questa Rassegna, 1983, I, 935, con nota di C. BAFILE. 
L'autonomia del contribuente che o in sede di dichiarazione o in sede 
di ricorso (la similarit� di effetti dei due atti � stata evidenziata da Cass., 
29 aprile 1982, n. 2691, ivi, 1982, I, 958) stabilisce unilateralmente la base imponibile 
su cui commisurare l'imposta, � certamente capace di produrre una 
dichiarazione comunque vincolante (sia essa di volont� o di conoscenza) che non 
solo esonera dalla �dimostrazione di 'quanto gi� riconosciuto, ma impedisce sia 
all'ufficio che alla commissione di stabilire una base imponibile inferiore. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

376 

corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sancito dall'art. 112 cod. 
proc. civ., la cui applicabilit� nel contenzioso tributario deriva dall'espresso 
richiamo Rlle norme del primo libro del codice di procedum oiVlile (con 
esclusione di norme che qui non interessano) contenuto nell'art. 39 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, e dalla considerazione che trattasi di norma 
espressiva di un principio generale del diritto processuale civile non incompatibile 
n� in contrasto con le norme speciali del processo tributario. 
Ove, dnfatti, il contribuente abbia dichiarato nel processo tributario 
-oome risulta essere avvenuto nella specie secondo l'assunto 'dell'amministrazione, 
la cui rispondenza alle risultanze degli atti del processo 
emerge dal controllo compiuto in questa sede, stante la natura del vizio 
(in procedendo) denunciato -un vailore imponibile maggiore del reddito 
indicato in sede di dichi�razione, allo scopo di rettificarlo, giustificando 
finanche, analiticamente, il nuovo maggiore importo di esso, fa commissione 
tributaria non pu�, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, determinare 
un reddito inferiore a quello che da ultimo il contribuente ha rico-� 
nosciuto da lui realizzato, giacch� trova in tale riconoscimento un limite 
invailicabile ai suoi poteri. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 marzo 1984, n. 1761 -Pres. Santosuosso 
-Est. Battime1li -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Salimei) c. Borgato. 

Tributi erariali diretti -Soggetti pass1v1 -Li'1uidatore delle societ� -Liquidatore 
di fatto -Responsabilit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). 
L'avvenuta nomina dei liquidatori non esclude la responsabilit� degli 
amministratori che abbiano, anteriormente compiuto una liquidazione di 
fatto. (1) 

(omissis) Il ricorso � fondato. 

Per quanto attiene, infatti, al primo motivo, va osservato che la sentenza 
impugnata fa leva su di una interpretazione della normativa dell'art. 
265 del t.u. delle imposte dirette n. 645 del 1958 difforme dal costante 
indirizzo giurisprudenziale di questa Corte. La quale ha pi� volte affermato, 
con una giurisprudenza ormai consolidata (ved. da ultimo le sentt. 

n. 328 e n. 3685 del 1981), che il solo fatto formale dell'avvenuta nomina dei 
(1) Viene ribadita la ben ferma giurisprudenza sulla responsabilit� del 
liquidatore di fatto (da ultimo Cass., 2 giugno 1980, n. 3593, in questa Rassegna, 
1981, I, 251) anche per l'ipotesi che una liquidazione ufficiale sia stata promossa 
! f 

dopo che la liquidazione era gi� sostanzialmente avvenuta. 

~:

r: 
~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

liquidatori non basta ad escludere la responsabilit� degli amministratori 
per l'attivit� da loro svolta prima della messa in liquidazione della societ�; 
ben � possibile, d.nfatti, che in epoca anteriore gli amministratori abbiano, 
di fatto, esaurito le attivit� sodali destinandole a fini diversi dal pagamento 
delle iimposte dovute sugli utili conseguiti ad attivit� sociali gi� compiute, 
s� che sia materialmente impossibile il pagamento di dette imposte 
nehla f~se di liquidazione, per difetto di attivo. 

In �casi del genere, quale appunto si assume essere quello di specie, 
la responsabjlit� del mancato pagamento delle imposte non pu� ascriversi 
ai liquidatori, ma va ascritta agli amministratori per la liquidazione da 
essi di fatto effettuata dell'attivo sociale, ove ne ricorrano i presupposti. 

Quest'ultimo rilievo comporta ailtres� l'accoglimento del secondo motivo 
di ricorso, che investe il mancato accertamento, nella sentenza impugnata, 
dell'esistenza, nel caso di specie, di una situazione del genere. 

La sentenza impugnata si fonda, iinvero, esolusivamente sull'affermata 
inapplicabilit� in astratto dell'art. 265 del t.u. del 1958, ed affronta solo 
per incidens la questione sollevata col secondo motivo di ricorso limitandosi 
all'apodittica affermazione: � a parte ogni manoanza di prova al 
riguardo�, 

La genericit� ed il mancate riferimento, sul punto, alle rispettive posizioni 
delle parti e alla rispettiva prospettazione della situazione di fatto, 
nonch� alla documentazione esistente agli atti, fa s� che non sia possibile 
alcun controllo sulla legittimit� di una simile affermazione; pertanto anche 
in relazione al motivo J.n esame la sentenza va cassata, essendo necessaria 
una completa disamina della questione di fatto ed una esauriente motivazione, 
da effettuarsi, in conformit� al principio di diritto enunciato in 
ordine al primo motivo, da altra Sezione della Corte di appello di Roma, 
cui la causa va rinviata e cui va rimessa anche la decisione sulle spese 
della presente fase del giudizio, in funzione dell'esito definitivo del giudizio 
a seguito dell'indagine di merito da effettuarsi. (omisSris) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1984, n. 1865 -Pres. Sandulli Est. 
Finocchiaro -P. M. Sgroi (diff) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Soc. CESICA (avv. Picciaredda). 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono 
� Agevolazione � Inconciliabilit�. 

(d.P.R. 5 novembre 1973 n. 660, art. 3). 
La domanda di condono delle imposte dirette comporta sempre irrevocabilmente 
la determinazione di un imponibile rigidamente ancorato 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

378 

a dati preesistenti; conseguentemente con tale determinazione viene ad 
essere esclusa ogni agevolazione, totale o parziale. 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa 
applicazione dell'art. 3, primo e quarto comma della legge 19 dicembre 1973, 

n. 823 di conversione con modificazione del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, 
nonch� difetto di motivazione in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. 
civ. per non avere la commissione centrale tenuto presente il dettato 
dell'art. 3, quarto comma, della legge, per il quale � di ogni altra nuova 
o maggiore agevolazione o nuova esenzione eventualmente spettante 
nei periodi di imposta da definire non si tiene conto nei casi in cui le 
relative imposte (...) sono commisurate all'ultimo imponibile definito 
maggiorato del dieci o del venti per cento �, 
Il ricorso � fondato. 

Il problema sottoposto per la prima volta al giudizio di questa 
Corte riguarda gli effetti su una domanda di condono, avanzata ai 
sensi del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 convertito con modificazione nella 
legge 19 dicembre 1973, n. 823, del successivo accoglimento di una domanda 
precedentemente presentata e diretta ad ottenere il riconoscimento 
del diritto ad una esenzione ai sensi di una legge gi� esistente al momento 
della presentazione dell'istanza di definizione agevolata (c.d. 
condono). 

Si tratta cio� di stabilire se il riconoscimento del diritto all'esenzione 
prevalga sulla domanda di condono o se invece quest'ultima renda 
priva di effetti, per gli esercizi in ordine ai quali la liquidazione dell'imposta 
� commisurata all'ultimo imponibile definito secondo i criteri 
di cui al citato d.l. n. 660 del 1973, la riconosciuta esenzione. 

Al fine di affermare la prevalenza dell'accoglimento della richiesta 
di .esenzione, la commissione tributaria centrale ha sostenuto che tale 
accoglimento assorbe ed elimina la domanda di condono in quanto non 
sorge in capo al soggetto che ne fruisce l'obbligazione tributaria per la 
quale � stata concessa l'esenzione stessa. 

Tale giustificazione ritiene il Collegio del tutto inappagante in quanto 
con la stessa� si viene ad introdurre una ipotesi di cessazione di efficacia 
della domanda di condono che contraddice alla irrevocabilit� della stessa 
espressamente prevista (art. 10, primo comma, d.l. n. 660 del 1973) senza 
alcun limite od eccezione. 

(1) Questione nuova. Con la sentenza 12 novembre 1983, n. 6740, in questa 
Rassegna, 1984, I, 159, era stato affermato che le agevolazioni �nuove o maggiori
� sono irrilevanti quan�o intervengono successivamente all'ultimo periodo 
imponibile anche se anteriormente alla legge di condono. Ora viene data una 
impostazione pi� ampia, da condividere pienamente, che risolve il problema 
in radice. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

N� maggiormente fondate appaiono le articolate difese del contribuente 
il quale, partendo dalla premessa secondo cui il presupposto 
essenziale per ottenere l'applicazione del condono � l'esistenza di un 
reddito imponibile e dal rilievo per cui il provvedimento di esenzione 
� meramente dichiarativo (o accertativo) di un diritto preesistente -onde 
lo stesso si pone come fatto impeditivo che inibisce la produzione di 
ogni qualsivoglia effetto derivante ab origine dalla realizzazione del 
presupposto del tributo -trae la conseguenza che l'emanazione del 
provvedimento di esecuzione a distanza di notevole lasso di tempo rispetto 
alla presentazione della domanda diretta ad ottenere l'esenzione 
stessa non esclude la sua applicabilit� e non consente di considerarla 
come � nuova esenzione � ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 3, quarto 
comma, d.I. n. 660 come modificato dalla legge n. 823 del 1973. 

'� sufficiente in proposito rilevare che, contrariamente all'assunto 
dell'intimato, presupposto per l'applicazione della liquidazione agevolata 
non � l'esistenza di un reddito imponibile con riferimento al periodo di 
imposta ~a definire, ma la dichiarazione (o l'intervenuta definizione dell'esistenza) 
di un reddito imponibile relativa a un periodo d'imposta 
precedente quello da definire e ci� a prescindere dall'esistenza, anche in 
tale periodo, di un reddito imponibile: il legislatore, cio�, d� rilievo 
-proprio allo scopo della soiiecita definizione delle pendenze tributarie 
cui � ispirata la legge agevolativa -non gi� alla effettiva esistenza di un 
reddito da sottoporre a tributo, ma alla circostanza che il contribuente 
lo abbia dichiarato per i periodi da prendere a base per la liquidazione 
e che, nel domandare l'applicazione delle disposizioni contenute nel d.l. 

n. 660 del 1973, ne affermi implicitamente l'esistenza per il periodo successivo. 
Se quanto precede � esatto, � evidente come sia priva di pratica 
utilit�. ogni discussione sulla natura dichiarativa o meno del provvedimento 
di riconoscimento dell'esenzione spettante ai sensi dell'art. 8, 
legge 29 luglio 1957, n. 635: l'irrilevanza della riconosciuta esenzione non 
deriva da un suo particolare carattere ma dalla circostanza che per 
il legislatore del 1973 l'esenzione si pone come elemento estraneo alla 
fattispecie agevolativa: tale esenzione -malgrado il carattere dichiarativo 
del provvedimento che la riconosce -come non pu� operare con 
riferimento ad un periodo d'imposta in ordine al quale sia intervenuto 
un accertamento definitivo -in quanto proprio la sua definitivit� ne 
impedisce ogni contestazione -non pu� parimenti operare quando sopravvenga 
in un periodo nel quale potrebbe astrattamente operare ove 
non fosse stata presentata la domanda di definizione agevolata ai sensi 
del d.I. n. 660 del 1973. 

La domanda di condono, infatti, imponendo la liquidazione dell'imposta, 
per i periodi ivi previsti, nei termh� e secondo le modalit� fissate 
dal citato decreto, impedisce di dare rilievo a situazioni e circostanze 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

380 

che potrebbero legittimare una diversa liquidazione; ammettere la rilevanza 
ai fini della liquidazione dell'imposta di provvedimenti di esenzione 
totale o parziale (come nella specie) sarebbe contrario allo spirito 
del provvedimento in quanto, introducendo un sistema di liquidazione non 

previsto, darebbe luogo ad una � definizione � illegittima per violazione 
delle norme del decreto (art. 11, secondo comma, d.l. n. 660 del 1973). 

Mentre, quindi, un imponibile definito impedisce di prendere in 
considerazione situazioni astrattamente idonee a modificarlo, proprio 
per la sua intangibilit�, la domanda irrevocabile del contribuente comportando 
la volont� -tipicamente valutata dal legislatore -di 
ottenere la liquidazione dell'imposta secondo i criteri fissati dal provvedimento 
che la prevede e l'obbligo dell'amministrazione di procedere a 
tale liquidazione secondo gli stessi parametri, impedisce ad entrambe 
le parti del rapporto tributario di procedere (o di pretendere che si proceda) 
ad una determinazione del reddito imponibile -e ad una conseguente 
liquidazione dell'imposta -valorizzando provvedimenti agevolativi 

I 

o di esenzione dall'imposta e senza che la �novit�� o meno delle agevolazioni 
o delle esenzioni induca a conclusioni diverse. 
La parte finale del quarto comma dell'art. 3, d.l. n. 660 del 1973, nel 

I

testo assunto a seguito delle modificazioni apportate dalla legge di con


I ~ 

versione n. 823 del 1973, nella parte in cui stabilisce che �di ogni altra 
nuova o maggiore agevolazione e nuova esenzione eventualmente spettante 
nei periodi di imposta da definire non si tiene conto nei casi in 
cui le relative imposte, a norma dei precedenti commi, sono commisurate 
all'ultimo imponibile definito maggiorato del dieci o del venti per cento� 
non legittima una interpretazione nel senso che delle agevolazioni o esen


I zioni � non nuove � si debba tener conto ai fini della liquidazione dell'imposta. 


I

t

Il legislatore, rimettendo al contribente la possibilit� di domandare 1 

o meno la liquidazione agevolata, vuole che lo stesso -sulla base della 
legislazione vigente al momento della presentazione della domanda -sia 
I

unico giudice della convenienza o meno dell'opzione da compiere. 
Pertanto, ove tale scelta il contribuente abbia compiuto ed abbia 
presentato domanda di condono, � evidente che nessun conto si pu� 

I

poi tenere di agevolazioni od esenzioni di cui lo stesso avrebbe potuto 
beneficiare e ci� a prescindere dal fatto che tali agevolazioni o esenzioni 

I� 

~

abbia ottenuto o meno o che la relativa pratica sia ancora in corso di E

i

definizione. Ci� del resto � coerente con il principio di cui all'art. 1 d.l. 

!

n. 660 secondo cui la domanda deve comprendere a pena di nullit�, tutte 
i 

le pendenze relative all'imposta da definire intendendo per tali non gi� f 

~ 

l'esistenza di una controversia sull'imposta applicata o da applicare, i 

f 

ma la semplice esistenza di un accertamento non definito. 

I 
~ 

Allo scopo, poi, di evitare che la scelta compiuta dal contribuente i 
possa essere posta nel nulla dal sopraggiugere di una nuova disciplina 

I 

i 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

agevolativa di maggior favore, in quanto in tale ipotesi la scelta non 
sarebbe stata compiuta nella conoscenza di tutti gli elementi utili per 
indirizzarla in un senso anzich�,._ nell'altro, con l'astratta possibilit� di 
una revocabilit� della domanda di condono, il legislatore ha dettato 
la norma sopra riportata, la quale, nell'affermare l'irrilevanza delle 
norme contenenti nuove e maggiori agevolazioni o nuove esenzioni even� 
tualmente spettanti, d� un pi� preciso contenuto al principio della irrevocabilit� 
della domanda di condono e della intangibilit� della definizione 
agevolata (art. 11, secondo comma, d.l. n. 660). 

Seppure � esatto -come rileva il contribuente -che con la domanda 
di condono non vi � rinunzia alle agevolazioni (o esenzioni) richieste o 
spettanti, in quanto il contribuente che la presenta non manifesta alcuna 
volont� in tal senso, deve per� rilevarsi che proprio la -richiesta di definizione 
agevolata della pendenza, secondo i parametri fissati dal provvedimento 
che la disciplina, impedendo la normale operativit� dei criteri 
per la liquidazione dell'imposta, ha quoad effectum il valore di una rinunzia 
a tali agevolazioni (o esenzioni). 

Sulla base dei precedenti rilievi �, quindi, irrilevante accertare se, 
nella fattispecie in esame, il riconoscimento del diritto all'esenzione prevista 
dall'art. 8, legge 29 luglio 1957, n. 635, intervenuto dopo la presenta� 
zione della domanda di c.d. condono costituisca o meno �nuova esenzione� 
dal momento che in qualsiasi modo si ricostruisca dogmaticamente la 
fattispecie agevolativa, la presentazione della domanda di condono impedisce 
che, ai fini della liquidazione agevolata, si possa tenere conto di 
qualsiasi esenzione sia essa �nuova� e �non nuova�, senza che si possa 
condividere la tesi sostenuta dal controricoi:rente il quale -al fine della 
�non novit�� dell'esenzione -afferma che la comunicazione dell'accoglimento 
della domanda di esenzione prima della presentazione della 
domanda di definizione agevolata avrebbe consentito al contribu~nte 
di beneficiare di entrambe le agevolazioni e da ci� trae le conclusioni 
che anche in ipotesi di comunicazione dell'accoglimento della domanda 
di esenzione dopo la domanda di condono si deve riconoscere il diritto 
del contribuente alla doppia agevolazione. 

� sufficiente in proposito osservare che la comunicazione della 
riconosciuta esenzione prima della presentazione della domanda di definizione 
agevolata avrebbe solo fornito al contribuente la possibilit� 
di pi� adeguatamente valutare le ragioni della scelta, ma che ove lo stesso 
avesse ritenuto di presentare, ci� malgrado, la domanda di condono, la 
stessa avrebbe -per le considerazioni precedenti -impedito di tener 
conto delle gi� concesse esenzioni ai fini della liquidazione dell'imposta. 

Si deve, pertanto, concludere che la presentazione della domanda 
di definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 660 del 1973, convertito con 
modificazioni nella legge n. 823 del 1973, impedisce che, ai fini della liquidazione 
dell'imposta dovuta per i periodi per i quali opera tale defi



382 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

mz1one agevolata, si possa tener conto delle esenzioni spettanti al contribuente 
in virt� dell'art. 8 della legge n. 635 del 1957, a prescindere 
dal momento -anteriore o posteriore alla presentazione della domanda 
di condono -in cui il riconoscimento del diritto all'esenzione sia stato 
comunicato al contribuente. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1984, n. 1867 -Pres. Sandulli Est. 
Rocchi -P. M. Antoci (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Laporta) c. Fallimento Tagliota (avv. Turchi). 

Tributi in genere -Accertamento � Sanzioni � Provvedimento di irrogazion� 
-Natura -Nascita dell'obbligazione. 

Sia l'obbligazione per il tributo sia quella per la sanzione nascono 
al momento dell'avveramento del presupposto, avendo sia l'accertamento 
che il provvedimento che irroga la sanzione natura dichiarativa di effetti 
gi� verificatisi ed essendo pronunciati al di fuori di ogni discrezionalit�, 
salvo che per la determinazione della misura della sanzione (applicazione 
in tema di ammissibilit� nel passivo fallimentare di sanzioni accertate 
dopo la dichiarazione di fallimento per infrazioni commesse anteriormente). 
(1) 

.(omissis) Con l'unico motivo di annullamento l'Amministrazione deduce 
violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 7 gennaio 1929, 

n. 4, nonch� degli artt. 21 e segg. in relazione agli artt. 41 e segg. del 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Lamenta in particolare, l'Amministrazione 
ricorrente che l'impugnata sentenza abbia negato che il credito per 
. pena pecuniaria da infrazioni della legge sull'IVA potesse essere collocato 
al passivo fallimentare,� all'uopo identificando il momento di nascita 
della relativa obbligazione con quello di irrogazione della sanzione, 
successivo, nel caso di specie, alla dichiarazione di fallimento. 

In sostanza, l'Amministrazione sostiene (nel presupposto che, nell'ambito 
del rapporto giuridico di imposta, la legge ricollega al verificarsi di 
un dato presupposto la nascita di obbligazioni formali e sostanziali a 
carico del soggetto passivo) che la violazione dei doveri di comportamenti 
preordinati al concreto e fruttuoso esercizio del potere di imposizione 
tributaria costituisce fatto da cui discendono immediatamente conse


(1) Conformi sono le sentenze in pari data nn. 1868 e 1869. 
Dopo la recente decisione 13 settembre 1983, n. 5552, in questa Rassegna, 
1983, I, 949, viene riaffermato in tutta l'ampiezza il principio cardine della 
natura dell'obbligazione (di imposta e di sanzione) dal quale discendono vastissime 
conseguenze. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

guenze patrimoniali, in termini di sanzione. In ordine alla quale, la discrezionalit� 
di cui gode l'Amministrazione riguarda solo la graduazione della 
pena pecuniaria, mentre l'atto con cui essa accetta il verificarsi dei relativi 
presupposti ed irroga la sanzione rimane fuori dalla fattispecie costitutiva 
della relativa obbligazione (onde l'ammissibilit� nella specie del 
relativo credito d'imposta al passivo fallimentare). 

Risolutivo in tal senso sarebbe l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, 

n. 4 secondo cui il diritto alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive 
col decorso di cinque anni dalla commessa violazione. 

Il ricorso � fondato. 

La questione proposta va esaminata sia avendo riguardo alla natura 
dell'accertamento tributario, sia avendo riguardo al provvedimento irrogativo 
della sanzione pecuniaria e al relativo credito. 

Sul primo punto, vale osservare che, con l'accertamento, l'Amministrazione 
finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti 
gi� verificatesi, al solo fine di precisare in termini quantitativi gli effetti 
giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, 
trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilit� (v. Cass., nn. 2397/81, 
5552/83). 

Inoltre, nel regime istituito con la riforma tributaria, vige anche per 
le imposte personali (corrispondenti a quelle che anteriormente erano 
qualificate �imposte con accertamento�) il sistema� dell'autoaccertamento 
e dell'autotassazione rispetto a cui il successivo eventuale accertamento 
dell'Ammistrazione ha, in definitiva, la funzione di verifica della regolarit� 
formale e sostanziale degli adempimenti del contribuente, e, in caso di 
inadempimento da parte di quest'ultimo, di dichiarare gli effetti che 
la legge ricollega alla fattispecie assunta come presupposto dell'imposta. 

Non sembra pertanto, dubbio che, in base alla natura dell'accertamento 
tributario, la data di riferimento, ai fini del giudizio sull'anteriorit� 
al fallimento del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella 
della infrazione e non quella della irrogazione �della sanzione. 

Anche per l'IVA, infatti il d.P.R. n. 633/72 prevede specifiche forme di 
autoaccertamento ed autotassazione e, in apertura del titolo quarto, 
concernente l'accertamento e la riscossione prevede attribuzioni e poteri 
all'ufficio in funzione di controllo delle dichiarazioni del contribuente 
(Cass., n. 5552/83). 

Quanto al secondo punto, va rilevato che prescindendosi dall~ problematica 
dell'accertamento del tributo ed avendo, cio�, riguardo al provvedimento 
irrogativo della sanzione pecuniaria ed al relativo credito 
(cio� al credito da pena pecuniaria per violazione degli obblighi imposti 
dal citato d.P.R. n..633) non si perviene a diversa conclusione. 

Va premesso che un credito si considera anteriore al fallimento, 
e quindi ammissibile al concorso, se il relativo fatto costitutivo (contratto, 
fatto illecito,� atto o fatto idoneo a produrlo in conformit� del



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'ordinamento) si sia concretato prima della data della sentenza dichiarativa 
di fallimento, e che a questi fini non ha alcuna rilevanza 
la circostanza che il credito sia o non sia, prima di tale data, liquido 
ed esigibile (Cass. n. 5552/83 cit.). 

In tale prospetto, deve rilevarsi che il credito erariale per sanzione 
pecuniaria trova la sua origine in un comportamento commissivo 
od omissivo del contribuente, il quale diventa giuridicamente rilevante 
(come fatto costitutivo della ragione di credito) nello stesso momento 
in cui risulta posto in essere. 

L'art. 51 del d.P.R. 633/72 attribuisce infatti, all'organo tributario 
il potere-dovere di irrogare la sanzione nell'ambito dell'attivit� con cui 
esso controlla la dichiarazione del contribuente e ne rileva l'eventuale 
omissione, per modo che il provvedimento irrogativo della sanzione (applicabile 
in caso di accertate violazioni) non � che la constatazione degli 
effetti di un comportamento anteriore e la determinazione quantitativa 
delle conseguenze patrimoniali derivatene a carico dell'autore della violazione. 


Consegue che solo a tale determinazione va riferito il margine di 
discrezionalit� attribuito all'ufficio erariale, mentre rimane sottratta alla 
sua disponibilit� l'obbligazione in se, potendo soltanto gli organi del 
contenzioso tributario dichiarare � non dovute � le pene pecuniarie (art. 48 
ultimo comma) con una valutazione che non esclude, peraltro, l'esistenza 
dell'anteriore presupposto dell'obbligazione stessa e valorizza circostanze 
che rendono non censurabile in concreto il comportamento del contribuente. 


Depone a favore della superiore tesi l'art. 17 legge 7 gennaio 1929, 

n. 4, richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633, secondo cui il diritto dello 
Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive in cinque anni 
dalla data dell'infrazione. 
La norma indicata esprime, infatti, un principio generale, nel senso 
che il fatto costitutivo del diritto di credito da sanzione pecuniaria 
sorge col comportamento commissivo ed omissivo del contribuente, 
assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria 
e come presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali. Ed 
a tale principio questa Corte ha riconosciuto una forza tale da porre a 
carico dell'amministrazione i tempi necessari allo svolgimento del procedimento 
di accertamento dell'infrazione (v. Cass., nn. 1502/78, 3431/80). 

Pi� specificamente e direttamente dispone in materia l'art. 58 del d.P.R. 

n. 633/72, citato, il quale, al terzo comma, con riferimento alle infrazioni 
che non danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere il termine 
per la notifica del provvedimento di irrogazione della sanzione, assumendo 
come anno iniziale quello in cui � avvenuta la violazione, cos� come, analogamente, 
il secondo comma (coordinato col precedente art. 57) per 
quanto riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamen

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 385 

to, fa riferimento all'anno in cui la dichiarazione del contribuente � stata 

o avrebbe dovuto essere presentata. Ora, � pur vero che la norma prevede 
piuttosto una decadenza dal potere di irrogazione della sanzione 
che una prescrizfone del relativo credito, ma � anche vero che tale potere 
si risolve nella constatazione formale (della rilevanza) di un fatto anteriore, 
costituente infrazione, e nella determinazione degli effetti che la legge vi 
ricollega. E poich� tali effetti si concretano in una obbligazione di pagamento 
di una somma di denaro, e la detta obbligazione ha carattere civile, 
ne deriva che essa (a differenza di quella relativa ad una sanzione penale) 
� concepibile e pu� sussistere anche come avente ad oggetto un illiquido, 
e che, quindi, il fatto considerato dalla legge come idoneo a produrla 
(cio� il comportamento omissivo o commissivo del contribuente) integra 
compiutamente il suo momento genetico (Cass., n. 5552/83 cit.). 
Alla luce di tutte le considerazioni svolte, deve quindi concludersi 
che, come tra l'altro gi� rilevato da questa Corte con senten2la 1502 del 
3 aprile 1978 in tema di infrazioni valutarie, anche nella materia in esame 
il procedimento sanzionatorio e il conseguente provvedimento hanno 
la funzione di accertare nei suoi termini quantitativi una obbligazione 
pecuniaria collegata ad ,un fatto costitutivo precedente, e che, se tale 
fatto � anteriore al fallimento dell'autore della violazione (come nella 
specie), il relativo credito dell'amministrazione finanziaria � ammissibile 
al concorso fallimentare. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 marzo '1984 n. 1925 -Pres. Virgilio Est. 
Maltese -P. M. Leo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Vittoria) c. Soc. Tintoria fratelli Bozzo (avv. Ghia). 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati -Reddito 
effettivo. Comparazione con canoni locativi di fabbricati analoghi 
� Esclusione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 74; legge 23 febbraio 1960, n. 131, art. 2)\ 
Con l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 � stato 
abrogato l'art. 74 del t.u. delle imposte dirette; conseguentemente il reddito 
effettivo, superiore a quello catastale, pu� essere preso a base dell'imposta 
solo quando esista una locazione e mai ricorrendo al criterio 
comparativo con canoni per fabbricati analoghi. (1) 

(1) Dopo il contrasto determinatosi con la sentenza 25 marzo 1983, n. 2083 
e 30 luglio 1982, n. 4360 (in questa Rassegna, 1983, I, 518 e 520), la S. C. prende 
nettamente posizione per la soluzione che esclude l'ammissibilit� del confronto 
con canoni correnti sul mercato per derogare al reddito catastale. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

386 

(omissis) Con l'unico mezzo il Ministero ricorrente denuncia la violazione 
degli artt. l, 2, 3, legge 23 febbraio 1960, n. 131 e degli artt. 17, 31, 69 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 2 cod. proc. civ. 
Sostiene che, in mancanza di una rendita catastale, la societ� avrebbe 
dovuto includere nella dichiarazione dei redditi l'indicazione della quota 
derivante dal godimento dell'immobile, da considerare reddito specificamente 
imputabile alla locazione del fabbricato. Provata la percezione 
del reddito, la consistenza di esso si sarebbe dovuta dimostrare con 
metodo induttivo, nelle forme previste, in genere, per l'accertamento 
dell'imponibile in tema di imposte dirette. Erroneamente, pertanto, la 
Corte d'appello avrebbe ritenuto di poter procedere a tale accertamento 
nelle sole forme stabilite per la determinazione della rendita: catastale, 
procedimento, questo, non utilizzabile nel caso concreto, per la mancata 
attribuzione di una rendita all'immobile, pur censito a catasto. 

Il motivo � infondato. 

Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, � in tema d'imposta 
sul reddito dei fabbricati, ed ai fini della determinazione del relativo 
imponibile; con l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131, 
il sistema di accertamento � basato sulla rendita catastale aggiornata 
secondo i coefficienti stabiliti annualmente dal Ministro delle Finanze, 
trovando una sola deroga in favore del criterio del reddito lordo effettivo � 
dell'unit� immobiliare, ove questo, ridotto del 25 % risulti superiore per 
oltre un quinto alla rendita catastale aggiornata, sicch� deve escludersi 
che l'amministrazione finanziaria possa fare riferimento, agli indicati 
fini, al reddito presunto in base alla comparazione con altri fabbricati 
analoghi, ai sensi dell'art. 74 del d.P.R. n. 645 del 1958 � (sent. Sez. I, 
1� aprile 1982, n. 2002; v. anche sent. Sez. I, 8 giugno 1979, n. 3244). 

� rimasta isolata la decisione contraria, con la quale si era ritenuto 
che �anche a seguito� dell'entrata in vigore dell'art. 3 legge 17 maggio 
1969, n. 254, contenente norme integrative della legge 23 febbraio 1960, 

n. 131, concernente l'applicazione dell'imposta fabbricati sulla base della 
rendita catastale, l'amministrazione finanziaria potesse ricorrere all'accertamento 
induttivo previsto dall'art. 74 d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 in 
ordine al reddito immobiliare, in contrasto con quello catastale � (Sez. I, 
30 luglio 1982, n. 4360). 
Infatti, con decisioni successive � stato riaffermato il principio secondo 
il quale � la determinazione del reddito imponibile dei fabbricati 
non pu� avvenire in via induttiva ai sensi dell'art. 2 legge n. 131 del 1960, 
in quanto tale norma -con l'espressione �reddito effettivo lordo� intende 
riferirsi al reddito realmente e concretamente ricavato dalla 
locazione dell'immobile� (Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2083); non � possibile, 
cio�, dopo l'entrata in vigore della legge n. 131 del 1960, determinare il 
reddito imponibile, ai fini della tassazione per l'imposta sui fabbricati, 

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mediante le semplici presunzioni desumibili dalla comparazione con red


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

diti di edifici similari, �in quanto l'art. 2 della legge 131/60 consente la 
tassazione di un reddito imponibile diverso dalla rendita catastale solo se 
venga accertata la reale esistenza di un reddito maggiore� (Sez. I, 
29 marzo 1983, n. 2231). 

Obietta l'amministrazione finanziaria che nel sistema della legge n. 131, 
��pur non potendosi ammettere una determinazione del reddito degli im


mobili non locati in base ai canoni correnti anzich� in base alla rendita 

catastale, sarebbe sempre possibile, una volta provata l'effettiva percezione 

di un reddito, dimostrarne Ja consistenza con metodo induttivo; e questo 

metodo consisterebbe nella comparazione col reddito di altri immobili 

similari dati in locazione. 

L'argomentazione della ricorrente non pu� essere condivisa dal 

Collegio. 

Invero, secondo l'art. 74 t.u. n. 645 del 1958, si accerta per comparazione 

un reddito potenziale in mancanza di un reddito noto o in contrapposizione 

a un reddito noto inferiore a quello di mercato. 

Ora, un reddito potenziale � cosa ben diversa dal � reddfto lordo ef


fettivo�, che rappFesenta secondo l'art. 2 legge n. 131 del 1960, l'unica 

alternativa possibile (ricorrendone le specifiche condizioni di legge sopra 

accennate) all'accertamento del reddito in base alla rendita catastale ag


giornata. 

Da ci� consegue, com'� stato gi� chiarito dalla giurisprudenza di 

questa Corte, che � precluso all'amministrazione ricorrere al sistema di 

accertamento per comparazione, � essendole solo consentito di procedere 

alla tassazione o della rendita catastale aggiornata, ovvero, alla condizione 

indicata dall'art. 2 legge del 1960, del reddito effettivo lordo, che non pu� 

intendersi se non quello realmente e concretamente ricavato dalla loca


zione dell'immobile� (sent. n. 2083/1983, cit.). 

Onde nel nuovo sistema della legge n. 131 del 1960 -sostanzialmente 

mantenuto, in regime transitorio, con la riforma del d.P.R. 27 settembre 

1979, n. 597 -� non trova pi� spazio, come reddito imponibile dei fab


bricati, il reddito presunto o potenziale, determinato comparativamente, 

secondo i criteri del mercato locatizio corrente� (sent. citata). 

Correttamente dunque, la Corte d'appello ha ritenuto che l'accerta


mento dovesse essere eseguito soltanto in base ai valori della rendita 

catastale -ancora mancanti -, da determinare secondo la stima del


l'U.T.E. nella competente sede censuaria. (omissis) 


SEZIONE SETTIA-IA 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE__ ED APPALTI PUBBLICI 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 marzo 1984, n. 2017 � Pres. Greco � 
Rel. Cantillo -P. M. Caristo � ENEL (avv. Mazzullo) c. Ministero delle 
finanze (vice avv. gen. Stato Del Greco). 
Acque � Sovracanoni � Imposizione -Presupposti. 
(r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 53; legge 4 dicembre 
21 dicembre 1961, n. 1501, art. 1). 
1956, n. 1377, art. 1; legge 
Il potere dell'amministrazione di imporre il sovracanone previsto dall'art. 
53 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sostituito dall'art. 1 della legge 
4 dicembre 1956, n. 1377 e modificato dall'art. 1 della legge 21 dicembre 
1961, n. 1501, ha come unico presupposto materiale la concessione della 
derivazione ed � perci� priva di rilievo la circostanza che la concessione 
non venga utilizzata per mancata realizzazione degli impianti o per altra 
causa, mentre l'ente concessionario, per sottrarsi all'atto di imposizione, 
pu� rinunziare alla concessione facendone venir meno il presupposto. (1) 
(omissis) La tesi svolta con l'unico motivo di ricorso -secondo cui 
il sovracanone previsto dall'art. 53 del t.u. sulle acque e gli impianti elettrici 
r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (sostituito dall'art. 1 della legge 4 dicembre 
1956, n. 1377, e modif. dall'art. 1 della legge 21 dicembre 1961, n. 1501), 
ha natura indennitaria e postula, perci�, la realizzazione degli impianti 
occorrenti per l'esercizio della derivazione -trova puntuale confutazione 
negli argomenti addotti da queste Sezioni Unite a sostegno dell'ordinanza 
indicata in narrativa, con la quale � stato precisato che il potere della 
pubblica amministrazione di imporre il sovracanone � correlato al solo 
presupposto dell'esistenza di un valido atto di concessione di una grande 
derivazione di acqua pubblica e che il sovracanone medesimo si inquadra, 
quindi, fra le prestazioni patrimoniali imposte, configurando un'entrata 
integrativa delle risorse degli enti rivieraschi. 
Come pure si � riferito in precedenza, tale qualificazione � stata 
condivisa dalla Corte costituzionale, che ha esaminato la legittimit� della 
norma con riferimento all'art. 23 Cost., affermando che la disposizione, 
~1) La sentenza 23 novembre 1972, n. 44, del Tribunale superiore delle acque 
confermata dalla Cassazione � pubblicata in Cons. Stato, 1972, II, 1265. 
L'ordinanza 1� apriie 1976 delle sezioni unite e la sentenza 31 dicembre 1982, 
n. 257, della Corte costituzionale possono leggersi, rispettivamente, in Giur. 
cast., 1976, II, 1665 e 1982, I, 2386. 
~ ! 
. ~ 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

oltre ad essere funzionale ad un'esigenza di ordine costituzionale, qual'� 
quella del sostegno delle autonomie locali, � in linea con il principio di 
legalit� dell'imposizione, in quanto la discrezionalit� degli organi amministrativi 
nell'esercizio del potere impositivo risulta sufficientemente limitata 
con riguardo sia ai criteri impositivi, individuati in modo oggettivo 
nell'importanza della derivazione -che � indice della capacit� contributiva 
del soggetto passivo in rapporto alla sua posizi�ne di concessionario e 
nelle condizioni economiche degli enti locali a cui favore � stabilita la 
prestazione; sia all'ammontare della medesima, venendo stabilita la misura 
massima del sovracanone; e sia alle garanzie procedimentali, prevedendosi, 
fra l'altro, il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. 

In definitiva, nel sistema della legge il sovracanone viene applicato 
dall'autorit� amministrativa nell'esercizio di un potere impositivo che ha 
come unico presupposto materiale la concessione della derivazione e perci� 
� priva di rilievo la circostanza che la concessione non venga utilizzata, 
per mancata realizzazione degli impianti o per altra causa; in queste ipotesi 
l'ente concessionario, per sottrarsi all'atto di imposizione, deve far venire 
meno il suo presupposto, rinunziando alla concessione. 

Nella vicenda in esame la sentenza ha correttamente ritenuto legittima 
l'imposizione del sovracanone nonostante la mancata realizzazione di parte 
delle opere occorrenti per la derivazione e pertanto il ricorso deve essere 
rigettato. (omissis) 

I 

CORTE D'APPELLO DI ROMA, Sez. I, 19 dicembre 1983, n. 2687 -Pres. 
Colesanti -Est. Rossi -Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Vittoria) 
c. Parasiliti (n.c.). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale d'appalto per 
le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici � Facolt�. di 
esclusione della competenza arbitrale � Competenza dell'Avvocatura 
dello Stato � Sussiste -Anteriore nomina dell'arbitro da parte della 

P.A. -Non preceduta da notifica della domanda all'Avvocatura � Irrilevanza. 
(t.u. 30 ottobre 1933, n.1611, art. 11 mod. da legge 25 marzo 1958, n. 260, art. 1; d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063, artt. 45 e 49). 
La scelta tra la competenza arbitrale e la competenza giudiziaria 
ordinaria da parte della P.A. costituisce un'attivit� di carattere tecnico 
processuale, come tale rientrante nella discrezionalit� del procuratore, 
il cui esercizio spetta all'Avvocatura dello Stato, rappresentante in giudizio 
ex lege della P.A. Se sia mancata la previa notifica della domanda di 
arbitrato presso l'Avvocatura dello Stato, non pu� porsi il problema se 


390 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
ia nomina dell'arbitro 
competenza arbitrale e 
da parte 
perci� ne 
della P.A. implichi accettazione della 
precluda la successiva declinatoria. (1) 
II 
CORTE D'APPELLO DI ROMA, Sez. I, 21maggio1984, n. 1204 -Pres. Minniti 
-Est. Cocco -ANAS (avv. Stato Bruno) c. D'Amico (avv. Manfredonia). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Clausola compromissoria -Richiamo 
alle disposizioni contenute nel capo VI del d.P.R. 16 luglio 1962, 
n. 1063 -Valore. 
(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art!. 43 e ss.). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Arbitrato -Disciplina del capitolato 
generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero 
dei lavori pubblici -Rilevanza normativa -Derogabilit� convenzionale -
Esclusione -Fattispecie -Facolt� di declinare la competenza arbitrale. 
(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art!. 43 e 47). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale d'appalto per 
le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Facolt� 
di esclusione della competenza arbitrale -Competenza dell'Avvocatura 
dello Stato -Sussiste. 
(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47). 
Il patto contenuto in un capitolato speciale unito a contratto d'appalto 
convenuto dall'ANAS, il quale stabilisca che �tutte le controversie tra 
l'Amministrazione e l'impresa, sorte durante i lavori oppure durante il 
collaudo, che non siano state definite in via amministrativa, quale che 
sia la loro natura, tecnica, amministrativa o giuridica, saranno defer:ite 
ad un giudizio arbitrale a termini delle disposizioni contenute nel capitolo 
VI del cap. gen. n. 1063 � contiene un rinvio per relationem alla 
speciale disciplina di cui al capo VI del d.P.R. n. 1063 del 1962 e non una 
preventiva rinuncia alle facolt� di scelta tra competenza arbitrale e giudiziaria 
ordinaria in essa regolate. (2) 
(1) -(4) Sulla prima parte della prima massima e sulla quarta, cfr. da 
ultimo Trib. Roma, 30 aprile 1983, n. 6688, in questa Rassegna, 1983, I, 577 ed 
ivi il richiamo della sentenza 22 dicembre 1969, n. 4022 della Cassazione e della 
contraria giurisprudenza arbitrale. 
Non constano precedenti in termini sulla seconda parte della prima 
massima. 
(2) Nello stesso senso cfr. ancora, con riguardo a clausola di analogo 
contenuto, Trib. Roma, 30 aprile 1983, n. 6688, cit. 
Alla contraria giurisprudenza arbitrale ivi citata, adde, Lodo 21 giugno 1982, 
n. 39, in Arch. giur. op. pubbl., 1982, Ili, 242; Lodo 26 giugno 1982, n. 41, ivi 
1982, III, 301. 
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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 391 

E inefficace la clausola contenuta in un capitolato speciale relativo 
ad ,appalto ricadente sotto la disciplina del capitolato generale approvato 
con il d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che, in difformit� dal disposto degli 
artt. 43 e 47 di tale capitolato, deferisca le controversie prevedute dall'art. 
43 alla competenza arbitrale, escludendo la facolt� di scelta della 
competenza giudiziaria ordinaria prevista dall'art. 47. (3) 

Rientra nelle funzioni dell'Avvocatura dello Stato esercitare ta facolt� 
di scelta tra competenza giudiziaria ordinaria e competenza arbitrale e 
perci� di declinare quest'ultima a norma dell'art. 47 del d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063. (4) 

I 

(omissis) L'impugnazione del lodo arbitrale � fondata. 

Nella relata di notifica della domanda di arbitrato sono stati indicati 
come destinatari il Ministero dei LL.PP., in persona del Ministro pro 
tempore e lo stesso Ministero presso il domicilio dell'Avvocatura dello 
Stato. I due avvisi di ricevimento dimostrano, per�, che i due plichi ven


(3) Nello stesso senso, Cass. 13 marzo 1982 n. 1638, richiamata in motivazione, 
che pu� leggersi in questa Rassegna 1982, I, 843 con nota di richiami e 
in Arch. giur. op pubbl. 1983, II, 35. 
L'esclusione della competenza arbitrale nelle norme del capitolato generale 

approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063. I rapporti tra notifica della 

domanda arbitrale, nomina dell'arbitro e declinatoria della competenza. 

1. -Una delle questioni affrontate dal lodo, di cui la corte d'appello ha 
pronunciato la nullit�, aveva riguardo al rapporto tra nomina dell'arbitro da 
parte del Ministro per i lavori pubblici a norma dell'art. 45 lett. d) del d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063 ed esercizio della facolt� di escludere la competenza 
arbitrale preveduta dall'art. 47, secondo comma, dello stesso decreto. 
Il lodo aveva ritenuto che la nomina fatta dal ministro per i lavori pubblici 
implichi la scelta per l'arbitrato e precluda una difforme valutazione da 
parte dell'Avvocatura dello Stato quanto all'esercizio della facolt� di deroga. 

2. -La successione dei fatti avutasi nel caso concreto era questa: la nomina 
dell'arbitro da parte del ministro si era avuta prima che la facolt� di 
derogare la competenza ~rbitrale fosse esercitata -di qui la conclusione, raggiunta 
dal lodo, che il primo atto precludesse il secondo -; la nomina non 
era stata preceduta dalla notificazione dell'istanza per arbitrato presso l'ufficio 
dell'Avvocatura generale dello Stato, invece prescritta (art. 11, primo comma, 
r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; art. 46, secondo comma, d.P.R. 1063 del 1962) 
-donde il problema se la prima conclusione, vera in ipotesi, fosse poi valida 
anche nel caso concreto -. 
3. -Nel sistema preveduto dagli artt. 43 e ss. del d.P.R. 16 luglio 1962, 
n. 1063, perch� si radichi la competenza arbitrale � necessario che la parte 
attrice la scelga e che tale scelta manifesti alla parte convenuta notificando 
l'istanza per arbitrato nel modo che s'� detto. 
La notifica all'Avvocatura dello Stato � imposta ai sensi e per gli effetti 
di cui all'art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933 e perci� la sua mancanza determina 



392 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nero consegnati presso il Ministero dei LL.PP. e ad un funzionario dipendente 
di tale Ministero. 

Gli atti istitutivi di giudizio che si svolgono innanzi agli arbitri .e in 
cui siano indicate Amministrazioni dello Stato vanno notificati alle Amministrazioni 
presso l'ufficio competente dell'Avvocatura dello Stato �a pena 
di nullit� rilevabile di ufficio � (t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, modificato 
dalla legge 25 marzo 1958, n. 260). L'art. 46 del capitolato LL.PP. del 1962/ 
1063 ribadisce che la notificazione dell'istanza di arbitrato � deve � essere 
fatta presso l'ufficio della Avvocatura generale dello Stato ai sensi e per 
gli effetti delle norme sopramenzionate. Nella procedura arbitrale (v. articoli 
48 e 49 del capitolato) � peraltro da sottolineare che solo dopo la 
notifica dell'istanza di arbitrato viene prevista la presentazione ai presidenti 
dei collegi menzionati dall'art. 45 del capitolato delle istanze per 
la nomina degli arbitri. 

N� va trascurato che la notifica della domanda di arbitrato � prevista 
dall'art. 47 del capitolato anche ai fini di ulteriori termini entro i quali 
l'una o l'altra parte hanno la facolt� di declinare la competenza arbitrale 
per la competenza del giudice ordinario. 

Deve, per�, osservarsi che il vizio di nullit� connesso ad una notificazione 
da eseguire nei casi normativamente previsti nei confronti dell'Avvocatura 
dello Stato appare, dopo la sentenza 8 luglio 1967 n. 97 della Corte 
costituzionale, suscettibile di sanatoria. 

Nel caso in esame, il Collegio arbitrale, comunque costituitosi dopo 
la omessa notifica della .istanza di arbitrato all'Avvocatura dello Stato, � ricorso 
all'art. 291 c.p.c. ordinando la rinnovazione della notifica della istanza 
nei confronti dell'Amministrazione dei LL.PP. nel domicilio presso 
l'Avvocatura dello Stato. Su�cessivamente, per�, la stessa Amministrazione, 
tramite il rappresentante dell'Avvocatura ebbe, con atto notificato 

la nullit� della domanda arbitrale. Ci� significa non solo, dal punto di vista 
degli effetti, che la domanda nulla non pu� valere a porre in moto il termine 
di decadenza (art. 47, primo comma, d.P.R. n. 1063 del 1962) entro il quale la 
facolt� di deroga pu� essere esercitata, ma anche che il capitolato generale 
considera essenziale, ai fini della scelta della competenza arbitrale da parte 
dell'Amministrazione, il fatto che l'Avvocatura dello Stato sia posta in condizi�mi 
di esercitare in tale fase le attribuzioni che le sono proprie, di rappresentanza 
patrocinio e assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato 
(art. 1 r.d. n. 1611 del 1933). 

Ora, quando la notifica sia stata fatta e nel tempo previsto per la scelta 
della competenza arbitrale l'amministrazione nomini il proprio arbitro, pu� 
porsi il problema del se alla nomina sia da riconoscere anche il valore di una 
scelta positiva in ordine alla competenza arbitrale, tale da non consentirne 
una successiva diversa. 

Quando per� manchi, perch� nullo, il primo atto del procedimento, attribuire 
alla nomina dell'arbitro da parte del ministro una rilevanza preclusiva 
dell'esercizio della facolt� di deroga da parte dell'amministrazione, significa 
assegnare all'atto di nomina un'efficacia sanante della nullit�. Ed invero le 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 393 

alla impresa appaltatrice, a declinare la competenza arbitrale ai sensi dell'art. 
47 del capitolato. 

Questa declinatoria di competenza � stata disattesa nella sentenza arbitrale 
con l'argomentazione che la rappresentanza riservata ex lege alla 
Avvocatura dello Stato non autorizzava quest'ultima a sopraffare la volont� 
di autodeterminazione dell'Amministrazione ponendo nel nulla la 
scelta della competenza arbitrale gi� inequivocabilmente compiuta mediante 
la designazione del proprio arbitro. Siffatta argomentazione non 
appare convincente in quanto la scelta tra la competenza arbitrale e la 
competenza giudiziaria ordinaria da parte della P.A. costituisce un'attivit� 
di carattere tecnico processuale, come tale rientrante nella discrezionalit� 
del procuratore: onde si � autorevolmente affermato (v. Cass., 
12 dicembre 1969, n. 4022) che spetta all'Avvocatura rappresentante in giudizio 
ex lege della pubblica amministrazione l'esercizio di tale scelta. 

N� va trascurato che la problematica di contemperare la volont� della 
parte rispetto alla volont� del procuratore si pone nell'ipotesi di parte assistita 
dal procuratore e di divergenza insorta tra l'assistito e il procuratore 
e non pu� certo porsi nel caso in esame in cui l'Amministrazione 
dei LL.PP. aveva designato il proprio arbitro e concorso alla formazione 
del Collegio arbitrale del tutto imilateralmente, e senza l'assistenza dell'Avvocatura, 
in conseguenza della omessa notifica a quest'ultima della 
istanza di arbitrato. 

Occorre quindi riconoscere che avendo l'Amministrazione dei LL.PP., 
assistita dall'Avvocatura dello Stato, manifestato subito dopo il rinnovo 
della notifica della istanza di arbitrato ed in conformit� del disposto del 
secondo comma dell'art. 47 del capitolato, di escludere la competenza arbitrale 
(v. relativo atto notificato all'impresa appaltatrice il 20 maggio 

due situazioni sono considerate equivalenti, nonostante che nel primo caso 
e non nel secondo vi sia stata una valida notifica della domanda arbitrale. 

Ma una tale efficacia sanante non pu� essere riconosciuta, giacch� essa 
viene a comportare un'alterazione dell'ordine delle competenze nell'ambito dell'amministrazione, 
che non � invece derogabile, e consentirebbe che la determinazione 
in ordine alla scelta della competenza arbitrale avvenga senza che 
ad essa partecipi l'organo, l'essenzialit� della cui partecipazione il capitolato 
ha inteso garantire, imponendo, a pena di nullit�, che presso di quello sia 
effettuata la notifica della domanda arbitrale. 

Dunque, dalla nomina dell'arbitro non derivava alcuna preclusione all'esercizio 
della facolt� di deroga, attraverso la notifica della dichiarazione di esclusione 
della competenza arbitrale preveduta dall'art. 47, secondo comma, d.P.R. 
1063 del 1962, una volta che la notificazione della domanda arbitrale fosse stata 
rinnovata. 

4. -La diversa conclusione, che era stata raggiunta dal lodo, appare il 
frutto di un evidente errore, concretizzatosi nell'aver impostato la questione 
in termini di possibilit� che la scelta per il giudice ordinario fosse espressa 
dall'Avvocatura dopo che gi� la scelta contraria era stata manifestata dal Ministro, 
mentre il problema era se l'atto del Ministro potesse essere considerato 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

394 

1974), il Collegio arbitrale doveva darne atto dichiarandosi incompetente, 
non potendo il giudizio proseguire se non innanzi al giudice competente 
a norma delle disposizioni del cod. proc. civ. (v. gi� citato secondo comma 
dell'art. 47 del capitolato). 

Per quanto sin qui esposto, il lodo oggetto di impugnativa merita di 
essere annullato. 

In considerazione della natura e del particolare sviluppo della controversia, 
si ritengono esistenti motivi di equit� idonei a giustificare la 
compensazione tra le parti delle spese processuali. (omissis) 

II 

(omissis) In primo luogo si pone all'attenzione della Corte la considerazione 
che l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza dell'ANAS, ha 
eccepito che a seguito della notifica dell'atto di messa in mora con contestuale 
istanza di arbitrato 16 febbraio 1977 dell'Impresa D'Amico, 
l'ANAS nei termini di legge, precisamente in data 11 marzo 1977, ha notificato 
all'Impresa D'Amico declinatoria della competenza arbitrale ai 
sensi del secondo comma dell'art. 47 del Capitolato Generale d'Appalto 
del 1962; che, nonostante ci�, l'impresa D'Amico ha rinnovato, con atto 
notificato il 12 settembre 1977, l'istanza di arbitrato e l'Amministrazione 
vi ha replicato con atto notificato il 7 ottobre 1977, per eccepire la intervenuta 
decadenza dell'Impresa dalla domanda per non averla rinnovata 
n�l termine di 60 giorni dalla declinatoria della competenza arbitrale dinanzi 
al giudice competente e per rinnovare la declinatoria della competenza 
arbitrale. 

rivelatore di tale scelta una volta che non era stato preceduto dalla notifica 

della domanda all'Avvocatura. 

Il collegio arbitrale, pur avendo convenuto sul punto che all'Avvocatura 

spetta la competenza a declinare la competenza arbitrale, aveva affermato che 

la scelta pu� essere esercitata in sostituzione e non contro quella gi� in pre


cedenza estrinsecata dall'Amministrazione. Ma anche questa prospettiva non 

era corretta e comunque non adeguata alla soluzione del caso in esame. 

La Corte di cassazione (sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022, in Giust. civ., 1970, 

I, 1426) ha avvertito che, nel sistema delineato dagli artt. 43 e ss. del d.P.R. 

16 luglio 1962, n. 1063, � appunto l'Avvocatura dello Stato l'organo cui compete 

esprimere e svolgere, nell'interesse dell'Amministrazione, la facolt� di scelta 

della competenza arbitrale. Ed allora, se la valutazione dell'Avvocatura si presta 

ad essere superata nelle forme prevedute per la soluzione dei conflitti tra 

organi dell'amministrazione dello Stato, l'ostacolo a che 'essa esprima e svolga 

la facolt� di deroga non poteva essere considerato derivare da un atto emesso 

in una situazione, in cui l'organo competente in via ordinaria non era stato 

messo in condizioni di conoscere l'esistenza della domanda arbitrale. 

Corretta � dunque da ritenere la decisione della Corte d'appello che si 

commenta, che ha ritenuto nullo il lodo. 

PAOLO VITTORIA 

! 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

In coerenza con l'iniziale impostazione difensiva l'ANAS ha dedotto 
avverso il lodo i seguenti motivi d'impugnazione: 

1) violazione dei canoni ermeneutici generali da parte del Collegio 
arbitrale sul punto in cui ha individuato nella clausola di deferimento del 
giudizio agli arbitri un contenuto derogatorio assoluto alla competenza 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria; 

2) violazione delle norme di diritto per la ritenuta competenza del 
Collegio arbitrale, nonostante la espressa declinatoria da parte dell'Avvocatura 
con gli atti formali 11 marzo e 7 ottobre 1977; 

3) violazione del precetto normativo che stabilisce un termine perentorio 
entro il quale, proposta una domanda di arbitrato ed intervenuta 
declinatoria, la domanda stessa dev'essere riproposta (la riproposizione 
dell'istanza di arbitrato, intervenuta in data 12 settembre 1977, avrebbe 
dovuto essere dichiarata inammissibile); 

4) violazioae dell'art. 1664 comma secondo cod. civ. per avere il 
Collegio arbitrale riconosciuto un maggior compenso alla Impresa D'Amico; 

5) Erroneit� della statuizione degli interessi dalla data della domanda 
di arbitrato poich�, vertendosi in tema d'indennizzo per maggiori 
oneri, non si sarebbe dovuto stabilire una decorrenza anteri�re a quella 
disposta dall'art. 36 del Capitolato Generale d'appalto. La Corte ritiene 
fondati i primi due motivi d'impugnazione. 

Osserva in ordine al primo motivo, relativo alla questione concernente 
la derogabilit� o meno del precetto contenuto nell'art. 47 del Capitolato 
generale del 1962, che l'impugnato lodo ha dato risposta positiva 
al problema circa la possibilit� per le parti di un rapporto, regolato dalle 
norme vigenti per le opere pubbliche in conto dello Stato, di determinare 
a priori ed in modo vincolante, in sede contrattuale, la competenza arbitrale, 
con esclusione esplicita della facolt� prevista dall'art. 47. 

In proposito il Collegio arbitrale risulta aver affermato che detto articolo 
contiene una norma dispositiva che consente ai destinatari del precetto 
non solo di operare una scelta tra le due competenze, arbitrale ed 
ordinaria, ma anche, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, di derogare 
all'indicata facolt� e porre in essere� pattiziamente una clausola 
predeterminante in maniera vincolante la co:i;npetenza del Collegio arbitrale. 


Siffatta portata il Collegio arbitrale ha erroneamente attribuito al 
patto contrattuale contenuto nell'ultimo comma dell'art. 30 del Capitolato 
Speciale d'appalto. Invero, il patto in parola con lo stabilire che � Tutte 
le controversie tra l'Amministrazione e l'impresa, sorte durante i lavori 
oppure dopo il collaudo, che non siano state definite in via amministrativa, 
quale che sia la loro natura, tecnica, amministrativa o giuridica, saranno 
deferite ad un giudizio arbitrale a termini delle disposizioni contenute 
nel capitolo VI del Cap. Gen. n. 1063 � contiene un chiaro rinvio per rela



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

396 

tionem alla speciale disciplina di cui al capo VI del d.P.R. n. 1063 del 
1962 e non una preventiva rinunzia alle facolt� di scelta in essa regolate. 
Del resto, � appena il caso di rilevare che qualora al patto de quo volesse 
attribuirsi una rinunzia preventiva alla facolt� di optare per l'autorit� giudiziaria 
ordinaria da parte delle amministrazioni statali, il patto stesso 
sarebbe inoperante, poich� anche con una recente pronunzia la Corte regolatrice 
ha stabilito che �in base al combinato disposto degli artt. 43 e 47 
del capitolato generale d'appalto per le 00.PP. approvato con d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063, le cui previsioni operano nei confronti delle amministrazioni 
statali con efficacia normativa, non sono consentite deroghe 
o rinunzie preventive, mediante clausole inserite nei contratti d'appalto, 
in vista di eventuali e future controversie, alla facolt� di optare 
per la competenza del giudice ordinario in luogo di quella arbitrale, in 
quanto la preventiva rinunziabilit� comporterebbe -quoad effectum la 
indiretta introduzione di nuove forme di giurisdizione speciale, nonch� 
la esclusione del potere di valutazione dell'interesse della P~A., presupponendo 
la deroga a tale ultima competenza una controversia in atto, e pi� 
precisamente che la parte che solleva la controversia proponga la domanda 
direttamente davanti al giudice ordinario, ovvero che l'altra parte, dopo 
la richiesta di arbitrato dell'attore e nel termine di trenta giorni dalla notificazione 
della stessa notifichi all'attore medesimo la propria volont� diretta 
in modo espresso ed univoco ad escludere la competenza arbitrale �. 

(v. Cass. 13 marzo 1982, n. 1638). 
In adesione a tale giurisprudenza, per difetto di validi motivi contrari, 
ritiene la Corte che, ove la clausola del capitolato speciale potesse 
venire interpretata nel senso di cui all'impugnato lodo, la medesima non 
potrebbe che considerarsi inefficace. 

Parimenti fondato ritiene la Corte il secondo motivo d'impugnazione, 
con il quale l'Amministrazione lamenta che erroneamente il Collegio arbitrale 
ha ritenuto la propria competenza, malgrado l'espressa declinatoria 
da parte dell'Avvocatura dello Stato con gli atti formali 11 marzo 
e 7 ottobre 1977. 

Il difetto di legittimazione dell'Avvocatura dello Stato a declinare la 
competenza arbitrale ritenuto nell'impugnato lodo sembra alla Corte privo 
di valido fondamento. L'art. 43 del Capitolato Generale dei lavori pubblici 
stabilisce che le controversie tra l'Amministrazione e l'appaltatore 
sono deferite ad un Collegio arbitrale ed il successivo art. 47 conferisce 
a ciascuna delle parti, cui sia stata notifkata la domanda di arbitrato, 
la facolt� di derogare a detta competenza arbitrale notificando la sua 
determinazione all'altra parte, la quale resta cos� vincolata 'a proporre la 
relativa domanda al giudice ordinario competente. Trattasi, dunque, di una 
speciale competenza alternativa e facoltativa, sottratta all'autonomia privata 
in quanto discendente dalla legge e da questa compiutamente disciplinata. 
Ne deriva che �Cos� la domanda di arbitrato come la sua declina




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 397 

toria e l'opzione del giudice ordinario sono nella specie atti meramente 
processuali, essendo processuale appunto e fondata direttamente sulla 
legge la �ompetenza alternativa e facoltativa dell'uno o dell'altro giudice. 
I,.a scelta rientra pertanto nella disponibilit� tecnica del procuratore, non 
diversamente dai casi in cui il medesimo ha il potere di proporre o meno 
l'eccezione di compromesso, di proporre l'eccezione di incompetenza territoriale, 
di aderire all'indicazione del foro proposto ex adverso � (v. Cass., 
Sez. I, 22 dicembre 1969, n. 4022). 

La Corte regolatrice nella medesima sentenza, che conferma di una 
analoga decisione di questa stessa Corte d'Appello sul punto in questione, 
ha anche evidenziato che se � indubbio che l'Avvocatura dello Stato, quale 
rappresentante per legge della pubblica amministrazione, ha facolt� di 
iniziare il processo davanti al giudice ordinario anzich� davanti al Collegio 
arbitrale, sarebbe illogico ritenere che difetti del potere di declinare la 
competenza di .quest'ultimo allorquando la controparte abbia adito il 
Collegio arbitrale: �si negherebbe all'avvocatura in via di eccezione 
l'identico potere che invece le si riconosce in via di azione �, Del resto, 
l'ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (oltre la sentenza 
citata cfr. Cass. nn. 2176 e 2483 del 1966, n. 1989 del 1964, n. 461 del 1965, 
obiter in n. 1569 del 1977) ha affermato �la natura processuale dell'art. 47, 
proprio nell'essenza della norma che attribuisce alle parti la facolt� di 
scelta fra il giudice ordinario e il giudice arbitrale e disciplina l'esercizio 
degli atti relativi� (cfr. cit. sent.). Pertanto, in assenza di nuovi e validi 
motivi contrari, questa Corte d'Appello non ha ragioni per dissentire 
dalla giurisprudenza che fin qui ha essa stessl,l contribuito a formare. 
Ne discende che l'Avvocatura dello Stato, secondo le funzioni ed i poteri 
ad essa pertinenti, ha validamente declinato, nella specie con l'atto formale 
13 marzo 1977, la competenza del Collegio arbitrale. L'impugnato 
lodo non pu�, di conseguenza, che essere dichiarato nullo. 

Il carattere assorbente degli esposti rilievi esonera dall'analisi dei restanti 
motivi. 
Stante la ragione della nullit� del lodo, non � consentito procedere 
alla fase del iudicium rescissorium (v. in ars. Cass. n. 4618 del 1977). 
In accoglimento della specifica istanza, l'Impresa per Costruzioni lng. 
Eugenio D'Amico, dev'essere condannata a restituire la somma di lire 

239.355.285 versata dall'A.N.A.S. in forza dell'esecutoriet� del lodo, oltre 
gli interessi legali dal giorno dell'acquisizione della somma, risultando 
senza causa, a seguito della presente pronunzia, il relativo pagamento. 
Le spese del presente giudizio possono essere dichiarate interamente 
compensate tra le parti per giusti motivi. 

Le spese, competenze ed onorari del giudizio arbitrale, comprensive 
delle spese per il funzionamento del collegio arbitrale, degli onorari per 
gli arbitri e del compenso per il segretario, vanno dichiarate dovute da 
ciascuna delle parti in pari misura. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE D'APPELLO DI ROMA, Sez. I, 16 gennaio 1984, n. 107 -Pres. Minniti 
-Est. Camuto -A.N.A.S. (avv. Stato Vittoria) c. Impresa Costruzioni 
Idriche Stradali I.C.I.S. (avv. Zammit e Bellini). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserva -Costituzione in mora � 
Equivalenza -Non sussiste. 

Appalto -�ppalto di opere pubbliche � Somme riconosciute in sede giudiziale 
-Interessi e maggior danno � Limitazione risultante dall'art. 36 
ultimo capoverso cap. gen. 00.PP. � Applicabilit� all'A.N.A.S. -Esclu� 
sione -Liquidazione del danno -Criterio � Riferimento all'art. 35 cap. 
gen. 00.PP. -Ammissibilit�. 

{d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36). 
La riserva, che contenga la specifica indicazione della somma richiesta 
e della ragione per cui � domandata, ma non una intimazione ad adempiere 
in un termine per questo assegnato, non pu� essere considerata alla 
stregua di un atto di costituzione in mora. (1) 

La disposizione dettata dall'ultimo comma dell'art. 36 del d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063, ha carattere eccezionale rispetto al principio dettato 
dall'art. 1224 cod. civ. e, non essendo applicabile all'A.N.A.S. in via diretta, 
giacch� i contratti ed i pagamenti dell'azienda non sono sottoposti 

(1) La questione cui ha riguardo la prima massima � se la riserva equivalga 
ad atto di costituzione in mora e se perci�, sulle somme riconosciute 
dal giudice e corrispondenti a crediti di valuta, interessi e maggior danno 
siano dovuti gi� dalla data della riserva. 
La Cassazione (Sez. I, 10 agosto 1977, n. 3679, in Arch. giur. op. pubbl., 

1978, II, 1) in un caso in cui si discuteva se potesse valere come costituzione 

in mora una riserva fatta nell'atto di collaudo, ha ritenuto che il giudice di 

merito avesse correttamente negato che la riserva per la sua stessa natura 

giuridica possa valere come costituzione in mora. La sentenza confermata 

aveva considerato che la riserva opera nel senso di mantenere in colui che 

la formula il diritto di impugnare le risultanze di determinati dati esposti 

nell'atto in � cui viene inserita. Osserv� in quell'occasione la Cassazione che 

dallo stesso contesto della riserva emergeva l'aderenza della formula usata 

al fine non gi� di intimare alcunch� al debitore, ma di ottenere salvezza per il 

riconoscimento di un diritto come momento necessariamente prodromico alla 

eventuale intimazione. 

Alla :;tessa conclusione, circa la funzione della riserva e la sua iinidoneit� 

a valere come atto di costituzione in mora, la Cassazione era pervenuta con 

la precedente sentenza 5 gennaio 1976, n. 8 (in Arch. giur. op. pubbl., 1976, 

II, 14) e a tale soluzione appare da ultimo rifarsi Cass. 13 marzo 1982, n. 1638 

(in Arch. giur. op. pubbl. 11982, II, 35), quando afferma che gli interessi legali 

sulle somme riconosciute come dovute dal giudice decorrono datla data della 

domanda, da considerare come primo atto di costituzione in mora. 

La giurisprudenza di merito e quella arbitrale registrano invece sul punto 
un orientamento oscillante. � 
Nel senso della decisione in rassegna possono confrontarsi: Lodo 8 ottobre 
1982, n. 60, in Arch. giui-. op. pubbl., 1983, III, 27; Lodo 26 giugno 1982, n. 41, 


1: 
I


I f 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 399 

al controllo preventivo della Corte dei conti, neppure pu� esserle applicata 
in via analogica. Il danno subito dall'appaltatore, tra l'inizio del giu
�dizio e la purgazione della mora, per il ritardo con cui consegue il pagamento 
delle somme riconosciute dal giudice, pu� essere liquidato appli


cando il tasso d'interesse determinato a norma dell'art. 35 del d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063. (2) 

(omissis) La sentenza di primo grado ha ritenuto che la riserva inserita 
dalla societ� attrice nel registro di contabilit�, in data 24 giugno 
1966, traducendosi in una �esplicita e precisa richiesta� di pagamento 
integrasse gli estremi d'un atto di vera e propria costituzione in mora 
della P.A. 

Considerato il tempo che di norma viene riconosciuto a quest'Ultima 
per eseguire i pagamenti (arg. ex art. 35 e 36 cap. gen. 00.PP.), la decorrenza 
degli interessi veniva ritardata di 120 giorni rispetto alla data suindicata. 


Il tribunale motivava l'inapplicabilit� al contratto de quo della disposizione 
dell'art. 36 del cap. gen. 00.PP., da un lato rilevando che i contratti 
e i pagamenti dell'A.N.A.S. non sono assoggettati al controllo preventivo 
della Corte dei conti, d'altro lato richiamando l'indirizzo giurisprudenziale 
del S. C., secondo il quale sulle somme contestate dalla P. A. 
e poi riconosciute dal giudice decorrono, a titolo di risarcimento del danno, 
gli interessi dalla data della domanda. 

ivi, 1982, III, 301; Lodo 4 dicembre 1981, n. 57, ibidem 1981, III, 285; Lodo 
25 luglio 1980 n. 43, in Arch. giur. op. pubbl., 1980, III, 302; Lodo 11 aprile 1980, 

n. 17, ivi 1980, III, 49. 
Nel senso, per contro, che la riserva posa valere come costituzione in mora, 
si confrontino: App. Roma, 5 luglio 1982, n. 1408, in Arch. giur. op. pubbl., 
1983, II, 182; Lodo 22 giugno 1979, n. 50, ivi 1979, III, 366; Trib. Roma 17 gennaio 
1979, n. 343, ibidem 1979, II, 178; Lodo 27 ottobre 1977, n. 132, in A-rch. 
giur. op. pubbl. 1978, III, 117. 

Contro la qualificazione della riserva come atto di costituzione in mora 
si pu� trarre argomento dal sistema strutturato, dal regolamento 25 maggio 
1895 n. 350, per l'esame delle riserve, e dal capitolato generale approvato con 
il d.P.R. 16 luglio 11962, n. 11063, per la soluzione delle controversie cui danno 
luogo le riserve non accolte. In effetti, a meno che non la riconosca fondata 
gi� nel corso della esecuzione dell'opera e nei modi preveduti dagli artt. 54 e 23 
del regolamento, l'amministrazione non � obbligata a provvedere sulla riserva se 
non in sede di approvazione del collaudo (artt. 109 secondo comma, 1100 secondo 
comma e 91 secondo comma reg.) e, fuori del caso preveduto dall'art. 44 comma 
secondo lett. b) del capitolato, la domanda giudiziiale non pu� essere proposta se 
non dopo l'approvazione del collaudo. Di qui l'impossibilit� di ritenere che l'amministrazione 
versi in :precedenza in situazione di ritardo colpevole nell'adempimento 
d'una propria obbligazione. 

(2) La giurisprudenza sulla prima parte della massima � costante: cfr., 
da ultimo, Cass., 4 novembre 1982, n. 5792, in questa Rassegna, 1982, I, 989. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

400 

I motivi d'appello, dedotti dall'Avvocatura dello Stato, si riferiscono 
essenzialmente alla decorrenza e alla misura degli interessi dovuti' sulla 
somma liquidata dal tribunale, e, in particolare, contestano l'inapplicabi� 
lit� al contratto delle disposizioni di cui agli artt. 35 e 36 del capitolato 
generale 00.PP. e l'affermazione secondo la quale la riserva, inserita dal� 
l'l.C.I.S. nel registro di contabilit�, costituisca nella specie un atto di costituzione 
in mora. 

Quest'ultima questione dev'essere esaminata per prima, poich� dalla 
soluzione di essa dipende la decisione �in ordine alla decorrenza degli interessi. 


Orbene, la decisione impugnata ha rilevato che la riserva espressa dall'l1C.
l.S. si riferiva al mancato riconoscimento d'una quantit� di lavoro 
effettivamente eseguito ed indicava, inoltre, il corrispettivo di esso. Sottolineava, 
quindi, che la procedura prevista dalla legge per la pronuncia 
sulle riserve non possa inficiare, con particolare riguardo alla fattispecie, 
la rilevanza dell'elemento fondamentale causativo della procedura stessa, 
costituito dal mancato tempestivo riconoscimento delle maggiori somme 
spettanti all'appaltatore. � 

Osserva che la Corte che � incontestabile, sotto un profilo strettamente 
equitativo, il fatto che la procedura prevista per la pronuncia 
sulle riserve lascia praticamente senza sanzione, per un periodo notevole 
di tempo, l'inadempimento della P. A. 

Tuttavia, ...;. com'� evidenziato dalla decisione di primo grado -il 
nostro diritto positivo ha stabilito il principio, secondo il quale l'appaltatore, 
che deduca la necessit� dell'integrazione del corrispettivo liquidatogli 
dalla P. A., ha l'onere di costituire in mora mediante l'assegnazione 
di un termine l'Amministrazione se, dopo l'approvazione del collaudo, 
essa ritardi ancora la propria decisione in ordine alle riserve. 

Nella specie, ripetesi, le riserve formulate dall'l.C.l.S. attenevano al 

mancato riconoscimento d'una quantit� di lavoro determinata ed indica


vano con precisione la quota del corrispettivo che doveva essere ancora 

liquidata dall'ente debitore. 

Tali circostanze hanno convinto il tribunale che l'atto abbia natura 

giuridica di una vera e propria richiesta di adempimento diretta alla P. A., 

e non d'una semplice riserva. 

A questa impostazione giuridica -pur sostenuta con acutezza di ar


gomenti -non ritiene di poter aderire la Corte. 

Rilevasi, innanzitutto, che l'atto di costituzione in mora deve avere 

una forma ed un contenuto inequivoci, mentre nel caso in esame le ri� 

serve, pur dedotte dall'l.C.I.S. in termini specifici, riguardo all'accerta


mento e alla liquidazione del corrispettivo, non integravano una vera e 

propria intimazione con termine ad adempiere nei confronti della P. A.; 

per cui la loro funzione appare solo quella di salvaguardare la possibilit� 

di far valere i crediti enunciati. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 401 

Di conseguenza appare decisiva la circostanza che, intervenuto in 
data 2 novembre 1967 il verbale di collaudo; la societ� appaltatrice non ha 
posto in essere alcun atto di messa in mora della P. A. per l'esame delle 
riserve, trascurando l'adempimento dell'onere che le incombeva. 

Si deve, pertanto, concludere che l'Amministrazione fu messa in mora 
soltanto con l'atto di citazione in giudizio. 

Secondo la tesi difensiva svolta dall'A.N.A.S., la decorrenza e la misura 
degli interessi dovrebbero esser disciplinate dalla d1sposiz1one dell'art. 
36 ultimo comma cap. gen. 00.PP. 

La suddetta tesi difensiva non pu� assolutamente essere condivisa. 

Com'� stato sottolineato dalla motivazione della dec�sio'1e impugnata, 
1 contratti ed i pagamenti eseguiti dall'A.N.A.S. non sono sottoposti al 
controllo preventivo da parte della Corte dei conti, e la disposizione di 
cm all'art. 36 ha carattere eccezionale rispetto al principio generale di c..ui 
all'art. 1224 cod. civ. e non pu� essere applicata neppure in via analogica 
al rapporto dedotto in giudizio. 

Va, per�, ribadito in �questa sede il principio affe1niato recentemente 
dal Supremo Collegio, secondo il quale anche alle somme contestate dalla 

P. A. e poi riconosciute in sede giudiziaria si applicano principi generali 
sulla mora. 
Nella fattispecie, gli interessi sono quindi dovuti dalla data di notificazione 
dell'atto introduttivo del giudizio. 
Per quanto concerne la misura degli interessi stessi, in considerazione 
della specifica attivit� imprenditoriale svolta dalla societ� credi� 
trice e del presumibile maggior danno che la stessa sta subendo, giustamente 
essa � stata equiparata dal giudice di primo grado all'interesse 
praticato dagli istituti di credito di diritto. pubblico o dalle banche di 
interesse nazionale, in analogia con quanto stabilisce l'art. 35 del citato 
capitolato generale. 

I suddetti interessi vanno corrisposti fino alla data dell'eseguito pagamento, 
poich� il maggior danno persiste fino al momento della purgazione 
della mora. (omissis) 

TRIBUNALE DI ROMA, Sez. I, 9 dicembre 1983, n. 12832 -Pres. Sammarco 
-Est. Ferrara -S.p.A. Salini costruttori (avv. Malorni e Di Trani) 

c. Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (avv. Stato 'Vittoria). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Interessi sul saldo del prezzo � Pretesa 
di ritardo nell'espletamento delle operazioni di collaudo � Riserva 
nel verbale di collaudo � Necessit�. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54 e 107; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche -Interessi sul saldo del compenso 
revisionale � Decorrenza � Art. 36 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 � Applicabilit�. 


(d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36; legge,
21 dicembre 1974, n. 700). 

402 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO 

Appalto � Appalto di opere pubbliche -Interessi per ritardato pagamento 
� Danni da ritardo nel pagamento degli interessi -Anatocismo � 
Applicabilit�. 
(cod. civ., art. 1283). 

La domanda di condanna al pagamento di interessi sulla rata di saldo 

del prezza � inammissibile se, basata sulla pretesa che le operazioni di 

collaudo abbiano avuta durata superiore a quella necessaria, non sia stata 

formulata con riserva all'atto della sottoscrizione del certificato di col


laudo. (1) 

Gli interessi per il ritardato pagamento del saldo della revisione dei 

prezzi sono dovuti dopo 120 giorni dalla data del certificato di collaudo, 

secondo quanto preveduto dall'art. 36 del d.P.R. 16 luglio �962, n. 1063, 

applicabile anche in materia di revisione dei prezzi, in forza della legge 

21 dicembre 1974, n. 700, che ha derogato l'art. 3 del d.l.C.p.S. 6 dicembre 

1947, n. 1501 ratificato dalla legge 3 maggio 1950, n. 329. (2) 

L'art. 1283 codice civile, secondo il quale gli interessi scaduti possono 

produrre interessi solo dal giorno della ,domanda giudiziale, esclude che 

sugli interessi legali, dovuti, a norma dell'art. 36 d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063, per il ritardato pagamento del saldo del prezzo e del compenso 
I

revisionale, siano dovuti prima della domanda giudiziale non solo altri {: 
interessi, ma anche il maggior danno da svalutazione monetaria. (3) 

(omissis) Due sono le questioni che si dibattono nel processo: 

a) se l'appaltatore debba espletare apposita riserva all'atto della 
firma del certificato di collaudo per poter validamente chiedere interessi 
conseguenti al ritardo nello svolgimento delle operazioni di collaudo; 

b) se l'art. 3, quinto comma, d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, sia 
stato abrogato dalla legge n. 700 del 1974. 

In relazione al primo punto, l'attore contesta l'esistenza dell'onere 
della riserva -pretesa invece dalla convenuta amministrazione -soste


I

nendo che la domanda scaturisce dall'applicazione del secondo comma del


(1) Nello stesso senso, Cass., 22 ottobre 1976, n. 3748, in Arch. giur. op. 
pubbl., 1977, Il, 9. 
(2) Nello stesso senso, cfr. Trib. Roma, 20 febbraio 1981, n. 1632, in Arch. 
giur. ,op. pubbl., 1981, Il, 351. La questione, dopo la conferma della sentenza 
.in appello, � stata portata all'esame della Cassazione. 
(3) Non constano precedenti in termini. Nel senso che anche riguardo agli 
interessi preveduti dagli artt. 35 e 36 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 trovi 
applicazione la disciplina dell'anatocismo, cfr. Lodo 26 giugno 1982, n. 41, in 
Arch. giur. op. pubbl., 1982, III, 301 (e, in motivazione, 352 e 358); nel senso 
dell'applicazione della stessa regola agli interessi legali maturati nel periodo 
di mora, Lodo 8 giugno 1979, n. 45, in Arch. giur. op. pubbl., 1979, III, 324 e 333; 
Lodo 30 maggio 1977, n. 49, ivi, 1978, III, 37 e 72. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

403 

l'art. 36 del d.P.R. n. 1063 del 1962 (capitolato generale di appalto), il quale 
prevede l'obbligo per l'amministrazione di corrispondere :interessi dopo 
l'inutile decorso di 120 giorni da11a data in cui doveva essere rilasciato Il 
certificato di collaudo, a meno che l'amministrazione non provi che !il 
ritardo nelle operazioni di collaudo sia dipeso da cause indipendenti dalla 
sua volont�. 

A parere del collegio la tesi dell'appaltatore � priva di fondamento. 

� principio fondamentale nei contratti di appalto di opere pubbliche 
che l'appaltatore per far valere pretese di compensi, rimborsi od indennizzi 
in aggiunta a quelli contabilizzati dall'amministrazione, ha l'onere di 
iscrivere apposita domanda nei documenti contabili; ci� per � consentire 
alla committente la tempestiva verifica delle contestazioni, per garantire 
la� continua evidenza della spesa, per approntare quanto necessario per 
fronteggiare l'imprevisto incremento dell'onere complessivo� (Cass. 25 
luglio 1973, n. 2168). 

A questa regola non sfugge il momento del collaudo dell'opera: dispone, 
infatti, l'art. 107 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che l'appaltatore 
all'atto della firma del certificato di collaudo pu� aggiungere le domande 
che crede nel proprio interesse, rispetto alle operazioni di collaudo, domande 
da formulare e giustificare nei modi indicati nell'art. 54 che disciplina, 
appunto, le riserve dell'appaltatore. Ora, la richiesta di interessi 
fondata sul ritardo dell'amministrazione nell'espletamento delle operazioni 
di collaudo postula l'accertamento di un comportamento colpevole della 
committente, produttivo di un danno (commisurato agli interessi) per l'appaltatore, 
e perci� si inquadra perfettamente nello schema tipico che disciplina 
i rapporti tra le maggiori pretese di quest'ultimo e la previsione 
di spesa che si evince dai documenti contabili predisposti dalla committente. 


Questa soluzione non contrasta affatto con l'art. 36, secondo comma, 
del d.P,R. n. 1063 del 1962, che l'attore pone a fondamento della domanda: 
� vero, infatti, che deUa norma prevede la corresponsione di interessi decorsi 
120 giorni dalla data entro la quale � doveva essere rilasciato il 
certificato di collaudo�, facendo salva all'amministrazione la possibilit� 
di dimostrare che il ritardo non le � imputabile, ma ci� � possibile soltanto 
se sussiste il presupposto necessario perch� fa pretesa possa essere 
fatta valere, id est la esplicazione tempestiva (nel certificato di collaudo) 
della relativa riserva. 

La prima domanda, quindi, deve essere rigettata. 

La seconda questione � stata gi� risolta da questo Tribunale con sentenza 
n. 1632 del 20 febbraio 1981 ed il collegio non ritiene sussistano valide 
argomentazioni per decidere in senso difforme, atteso che sia l'argomento 
letterale (richiamo della legge n. 700 del 1974 agli artt. 35 e 36 del 
capitolato generale) che l'argomento logico-sistematico (equiparazione della 
procedura di liquidazione dei compensi revisionali a quella di pagamento 

1111�1,1r11�r1�111111111r11111111111ir1111111111=1111111111r11r111111r1 



404 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


dei prezzi di appalto), esposti in detta sentenza, sono da condividere. Perci�, 
ferma restando la decadenza per le pretese collegate al ritardo nelle 
operazioni di collaudo, spettano all'appaltatore gli interessi previsti nell'art. 
36 del d.P.R. n. 1063 del 1962 per i pagamenti dei saldi revisionali 
effettuati oltre il 120� giorno dalla data del certificato di collaudo. 

Ora, essendo stati i quattro pagamenti -relativi ai quattro contratti 
di appalto -effettuati il 14 dicembre 1979, nulla spetta all'appaltatore per 
il primo contratto, il cui certificato di collaudo reca la data del 24 settembre 
1979; per il secondo (certificato del 31 maggio 1979) gli spettano gli 
interessi legali -su lire 98.110.000 -dal 1� ottobre 1979 al 14 dicembre 
1979; sul terzo (certificato del 5 giugno 1979) gli spettano gli interessi legali 
-su L. 43.450:000 -dal 6 ottobre 1979 al 14 dicembre 1979; sul quarto 
(certificato del 5 giugno 1979) gli spettano gli interessi legali dal 6 ottobre 
1979 al 14 dicembre 1979 sulla somma di L. 15.060.000. 

L'appaltatore � anche creditore -e lo riconosce l'amministrazione della 
somma di lire 96.800 per interessi dovuti a causa del ritardo nel pagamento 
dei saldi prezzi (14 giorni di ritardo per il secondo contratto, 78 
giorni per il terzo). 

L'attore ha chiesto la rivalutazione monetaria dei suoi crediti. Il Tribunale 
osserva, al riguardo, che trattandosi di crediti per interessi scaduti 
la regolamentazione dell'anatocismo (art. 1283 cod. civ.) deve valere anche 
per il maggior danno rappresentato dalla svalutazione monetaria: sarebbe, 
infatti, incongruo congelare la produzione di interessi -che rappresentano 
il corrispettivo d'el danno per il ritardo -e concedere il maggior 
danno: ci�, per�, sino alla maturazione degli eventi previsti dalla norma: 
nella specie, sino alla domanda giudiziale. Da tale momento, invece, sono 
dovuti sia gli interessi che il maggior danno da svalutazione monetaria. 
Quest'ultimo, considerato che l'attore � un imprenditore, pu� quantificarsi 
nella mi~ura dell'interesse bancario passivo, che in media ammonta 
al 25 % all'anno. I crediti della S.p.A. Salini vanno, pertanto, rivalutati, a 
decorrere dalla domanda, del 25 % all'anno. Sulla somma cos� rivalutata 
decorrono gli interessi legali, sino al saldo. (omissis) 



SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 26 gennaio 1984, n. 681 -Pres. 
Lavosi -Rei. Battistacci -lmp. Corradi -Parte civile Ministero delle 
finanze (avv. Stato Bruni). 

Reato -Reato finanziarlo -Olii minerali -Gasolio fiscalmente agevolato. 

Destinazione ad uso diverso -Elemento subiettivo -Necessit� nello 

agente della consapevolezza dell'antigiuridicit� del fatto -Esclusione. 

Ai fini della sussistenza dell'elemento subiettivo del reato di cui all'art. 
10 legge 2 luglio 1957, n. 474, non occorre nell'agente la consapevolezza 
dell'antigiuridicit� del fatto, ma � sufficiente che l'evento sia stato 
voluto come conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria. 

(omissis) Con sentenza in data 17 giugno 1981 il tribunale .di Torino 
affermava la colpevolezza di Corradi Roberto in ordine al reato di cui all'art. 
10 d.l. 5 maggio 1957, n. 271, conv. con modificazioni in legge 2 luglio 
1957, n. 474 per avere, nel periodo giugno 1973-novembre 1976, nella sua 
qualit� di socio accomandatario della s.a~s. �Pastificio Corradi di R. Corradi 
& C. corrente in Torino, destinato prodotti petroliferi soggetti ad aliquota 
ridotta di imposta erariale ad usi diversi da quelli consentiti e cio� 
per avere impiegato promiscuamente nel periodo suddetto kg 570.096 (di 
cui kg 2.853 sequestrati all'atto dell'intervento della polizia tributaria e 
rinvenuti nel serbatoio del reparto caldaie della societ�) di gasolio denaturato 
per riscaldamento sia per il riscaldamento dei locali aziendali che 
per uso industriale (funzionamento degli impianti di essiccazione della 
pasta); ace. in Torino dal 26 al 30 novembre 1976, con l'aggravante della 
recidiva specifica e infraquinquennale. Il tribunale, ritenuta la continuazione 
tra tutti gli episodi contestati ai sensi dell'art. 8 legge 7 gennaio 
1929, n. 4 e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla 
previsione del secondo comma dell'art. 23 bis d.1. 28 febbraio 1939 n. 334 
e succ. mod., lo condannava alla pena di mesi sette di reclusione e lire .4 
milioni di multa nonch� al risarcimento dei danni in favore dell'amministrazione 
dello Stato costituitasi parte civile. 

A seguito dell'appello proposto dal Corradi, la Corte di appello di To


rino, con la sentenza in data 27 settembre 1982, riformava parzialmente 

quella di primo grado, dichiarava le circostanze attenuanti concesse pre


valenti sull'aggravant� contestata e riduceva la pena a mesi quattro di re


clusione e lire 3 milioni di multa: concedeva pure il beneficio della so


spension� condizionale della esecuzione della pena. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

406 

Ricorre avverso la decisione suindicata il Corradi deducendo la nullit� 
della sentenza per violazione dell'art. 43 cod. pen. e per mancanza e contraddittoriet� 
della motivazione. La Corte di appello, pur riconoscendo la 
possibilit� di accogliere l'orientamento giurisprudenziale che richiede per 
la sussistenza del dolo la rappresentazione da parte dell'agente della antigiuridicit� 
della propria condotta, aveva ritenuto sussistere nell'imputato 
l'elemento intenzionale, in quanto il Corradf non aveva dimostrato che un 
elemento o un dato di fatto. avesse provocato in lui il difetto di rappresentazione 
dell'offensivit� della condotta da lui tenuta di usare promiscuamente 
il gasolio destinato al solo riscaldamento dei focali. E ci� nonostante 
che .la Corte avesse ricordato che alcuni documenti, che accompagnavano 
il prodotto, portavano una dizione scorretta tale da ingenerare nel Corradi 
la convinzione di poter usare il gasolio per usi diversi dal :riscaldamento 
dei loc~li. La Corte aveva affermato che, se anche nel Corradi fosse insorto 
un dubbio circa la liceit� della sua condotta sulla base dei documenti 
suindicati, tale atteggiamento corrispondeva alla nozione . di dolo 
eventuale sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo del reato a lui 
ascritto. Ora una tale motivazione si appalesa contraddittoria e non sufficiente 
per ritenere la sussistenza dell'elemento psicologico del reato ascritto 
al Corradi. 

La Corte ritiene che il ricorso sia da respingere con le conseguenze 
di legge essendo del tutto infondati i motivi che lo sostengono. Il Corradi 
va anche condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado 
dalla parte civile. 

La sentenza impugnata non pu� essere affatto censurata n� sotto il 
profilo della mancanza n� sotto quello della contraddittoriet� della motivazione. 
Infatti la sentenza in questione accoglie in via ipotetica l'orientamento 
giurisprudenziale che richiede per la sussistenza del dolo la rappresentazione 
da parte dell'agente della antigiuridicit� della propria condotta 
per dimostrare che, anche accogliendo tali ipotesi, non si sarebbe 
potuto escludere nel Corradi la consapevolezza della antigiuridicit� della 
sua condotta e quindi la sussistenza dell'elemento intenzionale del reato, 
quanto meno Sotto il profilo del dolo eventuale. Infatti solo alcuni dei documenti 
che accompagnavano le forniture del prodotto recavano la dizione 
scorretta �per il riscaldamento dei locali; per la produzione di acqua calda; 
per uso� domestico; per-servizi igienici e cucina�, che avrebbe potuto 
ingenerare un dubbio nell'imputato sulla liceit� dell'uso del gasolio denaturato 
a fini industriali e cio� per. il funzionamento degli impianti di essiccazione 
della pasta. Gli altri documenti invece recavano la dizione esatta, 
come contenuta. nella normativa relativa agli oli minerali, e cio�: �per il 
riscaldamento: dei locali; per la produzione di acqua calda per uso domestico; 
per a. servizi di cucina e igienici comprese le lavanderie �. Inoltre, 
.come pone in luce la sentenza impugnata, ad escludere che difettasse nel 
Corradi la consapevolezza della antigiuridicit� della sua condotta soccor




PARTE I,� SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

rono le seguenti altre circostanze e considerazioni: 1) ii.n tutti i documenti 
vi era la dizione' � oli da gas adulterati� e � colore rosso�, iii che avrebbe 
dovuto rendere edotto l'imputato che il gasolio non poteva essere destinato 
per usi industriali; 2) l'uso da parte del Corradi per gli essiccatoi 
della pasta del gasolio in questione anche in periodi estivJ, quando non vi 
erano da riscaldare i locali dell'azienda, per cui il Corradi avrebbe dovuto 
chiedersi per quale motivo, esistendo, come certamente sapeva, due generi 
di gasolio, l'uno adulterato e l'altro no, si consumasse sempre e soltanto 
quello da riscaldamento dei locali di �colore rosso e non invece quello pi� 
costoso e diversamente colorato; 3) il livello culturale dell'imputato e la 
sua esperienza di imprenditore che erano sicuramente tali da renderlo 
consapevole dell'esistenza di due tipi� di gasolio, l'uno adulterato, di 
colore rosso e di prezzo minore per uso riscaldamento, e l'altro di diversa 
colorazione e con un prezzo non agevolato per usi industriali. 

Tutte le considerazioni e le risultanze processuali suindicate poi, 
osserva la Corte, sono ancora pi� determinanti ai fini di ritenere la 
sussistenza dell'elemento intenzionale del reato ascritto al Corradi, qualora 
si accolga quello che � l'orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo 
il quale non occorre nell'agente la consapevolezza dell'antigiuridicit� del 
fatto ma � sufficiente, tranne i casi di dolo specifico, che l'evento sfa 
stato voluto come conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria. 
Ora, nel caso, non si discute che il Corradi abbia adoperato il gasolio 
denaturato ed agevolato destinato al riscaldamento dei locali aziendali 
per uso industriale e cio� per il funzionamento degli impianti di essiccazione 
della rpasta, n� si discute che egli lo abbia fatto volontariamente. 
La normativa v�gente in materia di oli minerali vieta l'uso del gasolio 
agevolato per fini diversi da quelli consentiti: quii.ndi, se un soggetto 
lo destina ad usi diversi ritenendo di non compiere un illecito, versa in 
uno stato di ignoranza della norma penale che non fa venir meno 1l'illiceit� 
della sua condotta mentre, se effettua tale diversa destina21ione del gasolio 
conoscendo la normativa vigente, pone chiaramente in essere, con piena 
coscienza e volont�, l'illecito che la normativa considera come reato. 

Quindi in ogni caso e qualunque sia l'orientamento giurisprudenziale 
seguito non pu� mai escludersi che difettasse nel Corradi l'elemento 
intenzionale del reato ascrittogli. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 2 febbraio 1984 n. 1024 � Pres. 
� De Martino � Rel. De 'Maio � Imp. Mazzillano -Parte civile Ministero 
delle Finanze (avv. dello Stato Bruni). 

Reato � Reati finanziari � Olii mitterali � Gasolio fiscalmente agevolato � 
Destinazione ad �uso diverso � Sussistenza del reato � Concreto impiego 
� Irrilevanza. 


408 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Pena � Sospensione condizionale della pena � Nuovo ragguaglio fra pena 
pecuniaria e pena detentiva introdotto dalla legge 24 novembre 1981, 

n. 689, successivamente al ricorso per cassazione -Applicabilit� da 
part� della Suprema Corte senza necessit� di rinvio al giudice di 
merito. -,il! 
Sussiste il reato di cui all'art. 10 legge 2 luglio 1957, n. 474, quando 
il soggetto assegnatario e beneficiario di gasolio fiscalmente agevolato lo 
destini ad un uso diverso da quello per il quale l'esenzione fiscale � stata 
accordata; Il concreto impiego del carburante si pone quindi in un momento 
successivo alla consumazione del reato e non ne rappresenta elemento 
costitutivo. 

Ai fini della sospensione condizionale della pena il nuovo ragguaglio 
tra pena pecuniaria e pena detentiva introdotto dalla legge 24 novembre 
1981, n. 689, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, 
pu� essere effettuato dalla Suprema Corte -senza necessit�, ai sensi del� 
l'art. 538 cod. proc. pen., di rinvio al giudice di merito. 

(omissis) La ricorrente � stata ritenuta colpevole del reato di cui 
all'art. 10 legge 2 luglio 1957, n. 474, per avere destinato ad uso diverso 
da quello consentito kg 59.145 di gasolio agevolato (Lecce, 30 giugno 1978). 

In punto di fatto � rimasto accertato che l'imputata, -titolare dell'omonima 
ditta esercente stabilimento di produzione di bibite, impiegava 
il gasolio nell'alimentazione di due bruciatori che servivano al riscaldamento 
dell'acqua per il lavaggio delle bottiglie ed alla saldatura di imballaggi 
di plastica avvolgenti pacchi da !2 bottiglie. 

Con i motivi, denuncia la violazione dell'art. 40 cod. pen. per avere 
la Corte di merito ritenuto la responsabilit� sulla base della mera rappresentanza 
civilistica dell'azienda mentre in sede penale doveva tenersi 
conto della sua estraneit� alla gestione, dimostrata da malattie documentate 
da certificazione sanitaria. 

Doveva, quindi, disporsi la chiesta rinnovazione del dibattimento per 
sentire dei testi al fine di provare eh~ non era stata lei ad ordinare 
l'acquisto del gasolio, bensi i suoi figli. 

Lamenta, inoltre, la violazione dell'art. 42, primo comma cod. pen. 
per difetto di motivazione sul dolo,. non essendo sufficiente l'affermata 
irrilevanza dell'ignoranza di legge penale in quanto gli stessi fornitori nulla 
obiettarono in ordine alla impossibilit� di usare il gasolio a fini industriali. 


Con un terzo mezzo la ricorrente ritiene superficiale la motivazione 
dell'esclusfone della ditta da quelle artigianali non essendo sufficiente 
l'argomento secondo cui l'iscrizione avviene su semplice istanza privata 
mentre � apodittica l'affermazione dei giudici sulle notevoli dimensioni 
dell'azienda e la rilevante attrezzatura dmpiegata per escludere il predetto 
carattere artigianale, che rendeva legittimo l'uso del gasolio da riscaldamento 
a fini industriali. 


PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Ritiene, altresl, violata la legge, in relazione alla misma della pena, 
perch� il giudice ha preso come pena base non quella relativa a quantitativi 
inferiori a venti quintali, quanti quelli giornailmente necessari per 
far funzionare i motori, bensl alla somma delle varie forniture nel tempo. 
Il reato si consumerebbe, cio�, ogni volta che l'agente utilizza diversamente 
il gasolio. 

Infine contesta la validit� della sentenza delle sezioni unite del 
12 aprile 1980 e condivide la precedente della VI sezione del 15 gennaio 
1980 secondo cui, ai fini della sospensione condizionale, non debba tenersi 
conto della pena pecuniaria convertibile, a seguito della decisione costituzionale 
n. 131 del 1979. 

La Corte ritiene privi di fondamento tutti i mezzi accennati. 

Il giudice di appello, infatti, non afferma una responsabilit� oggettiva 
della ricorrente quale titolare dell'azienda ma osserva, sul piano del suo 
corretto apprezzamento delle prove, che l'eventuale impedimento della 
predetta a condurre la gestione l'avrebbe indotta ad emettere formali atti 
di delegazione dei vari compiti, mentre la medesima ha mantenuto per s� 
la direzione della ditta stessa. Ci� quindi, peraltro, legittima il rifiuto di 
escutere nuovi testi previa rinnovazione parziale del dibattimento. 

Quanto al secondo motivo, il giudice ha giustamente ri:tenuto l'irrilevanza 
dell'asserita ignoranza della legge, trattandosi di normativa di natura 
penale. E a nulla rileva per contrastarla la condotta eventuale dei fornitori, 
per non averla avvertita del divieto di immutazione di destinazione 
del gasolio, in quanto la legge crea un rapporto diretto con 11 singolo 
cittadino senza intermediari di sorta in materia. 

La sentenza, inoltre, si occupa dell'eccezione sulla natura artigianale 

della ditta ma non la respinge soltanto perch� dubbia tale qualificazione 

ma perch� irrilevante in quanto il gasolio non 1alimentava forni bens� altre 

strutture tipicamente industriali escluse dalla legge agevolativa. 

Sulla misura della pena, la sentenza non merita censura avendo fissato 

il minimo edittale stabilito per i quantitativi eccedenti i venti quintali. 

Ed, invero, �appare peregrina la tesi difensiva secondo cui di reato si con


suma ogni giorno con l'uso_ del quantitativo quotidianamente necessario 

per azionare i bruciatori. 

La norma ha infatti riguardo alla destinazione e non gi� all'uso di 

fatto per cui la fattispecie criminosa si realizza, prima ancora dell'uso, 

con il dare alle forniture una destinazione di impiego diversa da quella 

consentita. 

Risulta ora per tabulas che ogni fornitura ha superato i 'venti quintali 

(v. certificato allegati). Altrettanto infondato � l'ultimo motivo perch� la 
Corte costituzionale non ha ritenuto illegittimo l'art. 135 cod. pen. che 
stabilisce un principio generale e cio� il ragguaglio fra pene diverse per 
qualsiasi effetto giuridico bensl l'art. 136 cod. pen. sulla conversione effettiva 
ed immediata della pena pecuniaria in detentiva. 

410 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il legislatore, infatti, mantenendo inalterata la convertibilit� in misure 
restrittive della libert� personale ne ha temperato l'immediatezza ponendo 
varie condizioni con la legge di modifica del sistema penale del 1981. 

La Corte deve per� rilevare che, a seguito de1la elevazione della pena 
pecuniaria ai fini del ragguaglio (lire 25.000 = 1 giorno di detenzione), 
la pena globale ragguagliata ammonta a mesi 13 e giorni .10 di reclusione, 
rientrante nei limiti della sospensione condjzionale che questo Collegio 
pu� concedere a norma dell'art. 538 cod. proc. pen.; infatti entrambi i 
giudici di merito l'hanno denegata soltanto perch� la precedente normativa 
determinava il superamento della rpena oltre i:l limite massimo di due 
anni. (omissis). 

I

I 



PARTE SECONDA 



:-:: 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura penale, art. 263-bis, secondo comma [come sostituito 
dall'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 532], nella parte in cui dispone che 
il termine di cinque giorni per la �richiesta di riesame da parte del difensore 
dell'imputato detenuto decorra dalla esecuzione del provvedimento, anzich� 
dalla sua notifica al difensore o comunque da quando egli abbia conoscenza 
del provvedimento stesso. 

Sentenza 29 marzo 1984, n. 80, G. V. 4 aprile 1984, n. 95. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 2110, secondo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Sentenza 5 aprile 1984, n. 90, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 

r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 72 e 76, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 

r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, artt. 3, primo comma, u.p., e 67 (artt. 3, 111, 
secondo comma, e 125, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 7 marzo 1984, n. 52, G. V. 14 marzo 1984, n. 74. 

r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 63, primo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. V. 11 aprile 1984, n. 102. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 49 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 14 marzo 1984, n. 69, G. V. 21 marzo 1984, n. 81. 
d.I.C.p.S. 15 settembre 1947, n. 896 artt. 7, 8 e 14 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 29 marzo 1984, n. 79, G. V. 4 aprile 1984, n. 95. 
legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione) 
Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. V. 11 aprile 1984, n. 102. 



42 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

legge 9 ottobre 1967, n. 973 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 11 aprile 1984, n. 104, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 


legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 11 aprile 1984, n. 104, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 


legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). 
Sentenza 29 marzo 1984, n. 78, G. U. 4 aprile l984, n. 95. 


legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, quarto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Sentenza 29 marzo 1984, n. 78, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 82 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 11 aprile 1984, n. 104, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 203, 204 e 205 (artt. 3, 36, 76 e 97 della 
Costituzione). 
Sentenza 5 aprile 1984, n. 91, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 14 marzo 1984, n. 66, G. U. 21 marzo 1984, n. 81). 

legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 30, secondo comma (artt. 3, 27 e 34 della 
Costituzione). 

Sentenza 29 marzo 1984, n. 77, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 15 e 21 (art. 25, se�ondo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 14 marzo 1984, n. 68, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 5 aprile 1984, n. 89, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 

III � QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile, art. 244, secondo comma (artt. 3, 24, 42, 101, 113 e 117 della 
Costituzione). 

Tribunale 
1984, n. 102. 
di Torino, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 1044, G. U. 11 -aprile 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

codice civile, art. 581 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Tribunale di Napoli, ordinanza 8 giugno 1983, n. 1003, G.U. 1,1 aprile 1984, 

n. 
102. 
codice civile, art. 2776 (artt. 1, 4, 35 e 36 della Costituzione). 

Tribunale di Spoleto, ordinanza 15 giugno 1983, n. 908, G. U. 21 marzo 1984, 

n. 
81. 
codice di procedura civile, art. 404 (artt. 3 e 24 della Costituzione) 

Pretore di Roma, ordinanza 15 gennaio 1984, n. 242, G. U. 21 marzo .1984, 

n. 
81. 
codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 4, 35 � 36 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 25 febbraio 
1983, n. 960, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. 

codice di procedura civile, art. 586 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 11 luglio 1983, n. 987, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. 

codice di procedura civile, art. 648, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino, ordinanza 29 aprile 1983, 

n. 
880, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
Giudice istruttore presso tribunale di Catania, ordinanze (due) 20 novembre 
1982, nn. 267 e 268/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 
Giudice istruttore presso tribunale di Catania, ordinanza 13 luglio 1983, 

n. 
269/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 
codice penale, art. 2, ultimo comma (art. 77 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 18 ottobre 1983, n. 1042, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
codice penale, artt. 307 e 384 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 1 aprile 1983, n. 945, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Verona, ordinanza 14 giugno 1983, n. 1046, G. U. 28 marzo 1984, 


n. 
88. 
codice penale, art. 590 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 maggio 1983, n. 980, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

codice penale, art. 617-ter (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 26 settembre 1983, n. 967, G. U. 14 marzo 
1984, n. 74. 


44 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

codice penale, art. 697 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 ottobre 1982, n. 897/83; G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 

codice di procedura penale, art. 41-bis {artt. 3, 97 e 101 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 16 marzo 1983, n. 983, G. U. 11 aprile 1984, 

n. 102. 
codice di procedura penale, art. 88, primo e terzo comma (art. 13 della 
Costituzione). 
Giudice istruttore presso il Tribunale di Perugia, ordinanza 27 sett�mbre 
1983, n. 919, G.. U. 21 marzo 1984, n. 81. 

codice procedura penale, art. 168 (art. 24 dela Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 28 novembre 1983, n. 19/84, G. U. 11 .aprile 
1984, n. 102). 

codice penale militare di pace, art. 180, primo e seondo comm.a (artt. 2, 3, 
2i, 52 e 97 della Costituzione). 

Giudic;e .istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 18 maggio 
1982, n. 989/83, G. U. 11 aprile 1984, h. 102. 

codice penale militare di pace, art. 196, terzo comma' (art. 3 della Costituzione). 
� 

Tribunale militare di Verona, ordinanza 2,1 ottobre 1983, n. 1043, G. U. 4 aprile 
1984, n. 95. , 

t.u. 15 marzo 1934, n. 383, art. 91, lett. d, n. 1 (artt. 5, 110 e 128 della 
Costituzione). 
Corte d'appello d� Milano, ordinanza 8 aprile 1983, n. 922, G. U. 14 marzo 
1984, n. 74. 

legge 24 aprile 1941, n. 392, artt. 1, 2 e 3 (artt. 5, 110 e 128�della Costituzione). 

Corte d'appello di Milano, ordinanza 8 aprile 1983, n. 922, G. U. � 14 marzo 
1984, n. 74. 

r.d. 16 marzo 1942, n., 267, art. 26, primo comma (art. 24 della,. Costituzione). 
Tribunal�. cii Roma, ordinanza 27 aprile 1983, n. 888, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
Tribunale di Milano, ordinanza 21 giugno 1983, n. 875, G. JJ. 7 marzo 1984, 
n. 67. 
d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 9, penultimo comma (artt. 3 e 36 della 
Costituzione) 
Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 17 febbraio 1983, 

n. 1009, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 

PARTB, II, LEGISUZIONB 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione) 
Pretore di Catania, ordinanza 24 maggio 1983, .n. 917, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
Pretore di Catania, ordinanza 10 maggio 1983, n. 918, G. U. 7 marzo 1984, 
n_. 67. 

legge 4 agosto 1955, n. 692, art. 6 (artt. 3 e 23 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 30 luglio 1983, n. 949, G. U. 28 marzo 1984, 

n. 88. 
legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 13, secondo comma [come modlflcato dal� 
l'art. 21 legge 31 dicembre 1962, n. 1852] (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 2 novembre 1983, n. 1096, G. U. 18 aprile 
1984, n. 109. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 19 � 140, ultimo comma (art. 3, 38, 
53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 
9 maggio 1983, n. 870, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 

legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 899/83, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. ~bis [introdotto dall'art. 142 della .legge 
24 .novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 20 luglio 1983, n. 940, G. U. 28 marzo 
1984, n. 88. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione) 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 27 maggio 1983, n. 980, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

legge 8 giugno 1962, n. 604, art. 6, terzo comma {artt. 3 e 97 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 11 luglio 
1983, n. 957, G. U. 14 marzo 1984, n. 74. 

legge 27 luglio 1962, n. 1228, art. t, te~ comma {art. 3 della Costituiione). 

Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 10 giugno 1983, 

n. 1024, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Viterbo, ordinanza. 16 luglio 1983, n. 913, G. U. 21 marzo 1984, 
n 81. 


RASSEGNA i>ELL'A.WOCATURA DELLO STATO

46 

� . legge 12 agosto 1962, n 1338, art. 2, secondo comma, sub a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Genova,� or:dinanza 18 agosto 1983, n. � 863, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
. Pretore di Udine, ordinanza 7 .ottobre 1983; n. lili!5, G. U. 18 aprile 1984, 
n. 
109. 
Pretore di Cosenza, ordinanza 22 novembre 1983, n. 1098, G. U. 26 aprile 
1984, n. 115. 

d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, art. 25, quinto comma (art. 3 della Costituzione) 
. 
. Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 15 aprile .1983, 

n. 
910, G. U. 21 marzo' 1984, n. 81. 
d.P.R.� 3o giugno 1965,� n. 1124, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, .. ordinanza .26 aprile 1983, n. 886; .G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
legge 22 luglio 1%6~ n. 614, art. 8 (artt. ~.e 53 della .Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Mondov�, ordinanza 18 febbraio 
1983, n. 883, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. � . 

legge 2 ottobre 1967, 11. 895, artt. 2 e. 7 (art. 3 della Cos~iti;;zione). 

Tribunale di Prato, ordinanza 6 ottobre 1983, n. 1030, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
legge 18 marzo 1968, n..313, artt. 64, primo comma, lett. a) e 67 (artt. 2 e 3 
della �Costituzione). � 

Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 5 maggio 1983, 

n. 900, G. U. 21 marzo .1984, n, 81.. 
., 

legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 29 giugno 1983, n. 1008, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. '�� 
Corte di cassazione, ordinanza 29 giugno 1983, n. 1007, G. U. 11 aprile 1984, 
n. 
102. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11, primo comma (artt. 3 e 4 della Costi


tuzio!].e)~ 

Pretore di Chieri, _ordinanza 7 ..novembre 1983, n. 1029, G. U. 18 aprile 1984, 

n. �109. � 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23, secondo comma (art. 3 della �Costituzione). 
� � �� � �� 

Pretor� di Ancona, ordinanza 9 s�ttembre 11983, n. 944, G.V. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.l. 19 giugno 1970, n. 370, art. 1, primo comma [convertito in legge 26 giugno 
1970, n. 576] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo� regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
24 febbraio 1983, n. 872, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 

d.l. 
26 ottobre 1970, n. 745, art. 28 [convertito in legge 18 dicembre 1970, 
n. 1034] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, 

n. 889, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
d.l. 5 luglio 1971, n. 429, �art. 1 [convertito in legge 4 agosto 1971, n. 589] 
(art. 81 della Costituzione). 
Pretore cli Catania, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1099, G. U. 26 aprile 1984, 

n. 
115. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (art. 76 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 3 marzo 1983, 

n. 849, G: U. 7~marzo 1984, n. 67. 
legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 51 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 15 dicembre 
1982, n. 946/83, .G. U. 14 marzo 1984, n. 74. 

legge 30 dicembre 1971, n. 1204, artt. 7 e 15 (artt. 3, 30, 31 e 37 della Costi� 
tuzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 1 luglio 1983, n. 11/84, G. U. 18 aprile 1984, 

n. 
109. 
legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo 
periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 17 maggio 1983, n. 871, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo 
periodo [come sostituito dall'art. 5 legge prov. di Bolzano 22 maggio 1978, n. 23] 
(artt. 24 e 42 della Costituzione). 

Corte cli cassazione, ordinanza 29 aprile 1983, n. 915, G. U. 21 ,marzo 1984, 

n. 
81. 
Corte di cassazione, ordinanza 29 aprile 1983, n. 1045, G. U. 28 marzo 1984, 
n. 88. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e), tariffa ali. A (artt. 11 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo . grado di Milano, ordinanza 10 giugno 
1983, n. 1024, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

dP.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3, primo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tnbutaria di primo grado di ~fondov�, ordinanza 20 novembre 
1981, n. 884/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 24 (artt. 24 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 13 ottobre 
1976, n. 985/83, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 20 maggio 1983, n. 948, G. U. 14 marzo 1984, 

n. 74. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dall'art. 45 
legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Chioggia, ordinanza 4 ottobre 1983, n. 1000, G. U. 11 aprile 1984, 

n. 102. 
Pretore di Chioggia, ordinanze (quattro) 8 novembre 1983, n. 25-28/84, G. U. 
18 aprile 1984, n. 109. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma, 195, n. 2 e 334 (art. 3 
della Costituzione). 
Pretore di Chioggia, ardinanze (quattro) 8 novembre 1983, n. 25-28/84, G.U. 
14 marzo 1984, n. 74. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 
1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Porretta Terme, ordinanze (due) 12 settembre 1983, nn. 3 e 4/84, 

G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. c) (artt. 2, 3, 13, 32 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 13 agosto 1983, 

n. 855, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
d.P.R. 29. s,itembre 1973, n. 597, artt. 12, lettera e), 14 e 46, secondo comma 
(artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 
9 maggio 1983, n. 870, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), e 46, secondo comma 
(artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
. Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanze (due) 19 gennaio 
1983, illtl. 1022 e 1023, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. 
,~om:.iissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanze (tre) i 
13 ottobre 1982, nn. 14-16/84, G. U. 18 aprile _1984, n. 109. 

!: 



PARTI! Il, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 50, quarto comma (artt. 3, 53 e 76 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 15 giugno 1979, 

n. 858/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzion"e). 
Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanze (quattro) 
10 dicembre 1983, nn. 79-82/84, G. U. 18 aprile 1984, n. 109. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Lamezia Terme, ordinanza 8 luglio 
1983, n. 938, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Enna, ordinanza 3 marzo 1983, 

n. 849, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 100 e 104 (art. 3 della Costituzione). 
Commissiohe tributaria di primo grado di Eooa, ordinanza 24 marzo 1982, 

n. 857/83, G. U. 7 marzo 1984, n..67. 
legge 18 dicembre 1973, n. 836, art. 27 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 aprile � 1982, 

n. 995/83, G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 82, secondo comma (art. 3 della 
Costituzio11e). 
Corte dei conti, ordinanza 13 dicembre 1982, n. 975/83, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
d.I. 8 luglio 1974, n. 264, art. 4, primo comma [convertito in legge 17 agosto 
1974, n. 386] (artt. 3 e 23 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 30 luglio 1983, n. 949, G. U. 28 marzo 1984, n. 88. 

dJ. 8 luglio 1974, n. 264, art. 4, primo comma [convertito in legge 17 agosto 
1974, n. 386] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, 

n. 889, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
legge reg. Lombardia 15 aprile 1975, n. 51, artt. 40, secondo comma, e 43, 
primo, terzo e quarto comma (artt. 3, 24, 42, 101, 113 e 117 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 15 aprile 1983, n. 1031, G. U. 
18 aprile 1984, n. 109. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 1 (artt. 3, 101, 104 e 113 della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 18 ottobre 1983, n. 1053, G. U. 28 marzo 1984, 

n. 88. 

50 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Agrigento, ordinanza 1 ottobre 1982, n. 897/83, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 15 ottobre 1982, n. 896/83, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 
Tribunale di Agrigento, ordinanze (tre) 3 novembre 1982, nn. 890, 891 e 
895/83, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 marzo 1983, n. 893, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 22 aprile 1983, n. 894, G. U. 7 marzo 1984, 
n. 
67. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 29 aprile 1983, n. 898, G.U. 7 marzo 1984, 
n. 
67. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Agrigento, ordinanza 19 novembre 1982, n. 892/83, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 25 e 101 della 
Costituzione). 

Tribunale di Vicenza, ordinanza 4 ottobre 1982, n. 916/83, G. U. 21 marzo 
1984, n. 81. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Lucca, ordinanza 24 novembre 1982, n. 964/83, G. U. 4 aprile 
1984, n. 95. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e� quinto conima (artt. 3 
38 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 16 settembre 1983, n. 976, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47, ultimo cpv., e 50, secondo comma (artt. 3, 
13 e 27 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 17 febbraio 1983, n. 914, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 [modificata dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976, 

n. 689] (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di La Spezia, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 1020, G. U. 11 aprile 
1984, n. 102. 

legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 22, ultimo comma (art. 81 della Costituzione). 


Pretore di Catania, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1099, G. U. 26 aprile 1984, 
P.� 11~. 



PARTE. II, LEGISLAZIONE: f1 

legge 10 maggio 1976, n. 319; art. 25 [modificato dalla legge 24 �dicembre 1979, 

n. 650] (artt. 2, 3, 9, 24 e 32 della Costituzione). 
Pretore di Ovada, ordinanza 28 luglio 1983, n. 1047, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
legge 8 ottobre 1976, n. 690, .art. 1-quater (art. 3 della Costit.zione). 

Tribunale di Verona, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 1018, G. U. 28 i.narzo 1984, 
n; -88. 

Tribunale di Verona, ordinanza 14 ottobre 1983, n. 1019, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
d.P.R. 2 novembre 1976, n. 784, art. 13 (art. 3 della Costituzione) 
Commissione tributaria� di primo' grado di Gori~ia, ordinanza 29 settembre 
1983, n. 998, G. U. 11 aprile 1984, n. J02 .. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, nono comma (art. 3 della Costituzione). 

~orte . d'appello di Nap0li, ordinanza 1 .dicembre 1982, n.. �1059./83�;. �.G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, nono comma (artt.� 3, 24 e 42 della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 1058, G. U. 28 marzo 
1984, n. 88. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 20 (artt. 3, 29, 31 e 53 delli,i. Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 febbraio 
1979, n. 965/83, G. U. 14 marzp 1984, n. 74, 

legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 8, quarto cpv. (art. 3 della � Costittizione): 

Tribunale di Spoleto., ordinaJJze �(due)� 19 novembre 1981, nn. 984 e 1011/83,

G. U. 11 aprile 1984, n. 102. � 
d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 513, ari:. 10 (artt. 3, 36 e 97 de�a Costituzio.e). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 aprile 1982, 

n. 995/83, G. U. 11 aprile 1982, n. 102. 
"!"; �. 

d.P.R. 6� marzo 1978, n. 218, art. 59 (art. 81 della CostitU.Zfone) 
Pretore di Catania, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1099, G. u: 26 aprile 1984, 

n. 115. 
legge 26 luglio 1978, n. 417, art. 15 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo� regionale del Lazio, ordinanza 26 april� 19821 

n. 995/83, G.U. 11 aprile 1984, n. 102. 
legge .27 luglio 1978; n. 392, artt. 1 �e 3 (artt. 2, 3, 24, 41, 42 e 47 della 
Costituzione) 

Pretore di Torino, ordinanza 5 maggio 1982, n. 375/84, G. U. 26 aprile 1984, 

n. 115. 

RASSEGNA DBLL'AWOCATUllA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanze (due) 18 luglio 1983, nn. 1065 e 1066, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

Pretore di Napoli, ordinanze (due) 31 agosto 1983, nn. 1063 e 1064, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

Pretore di Napoli, ordinanze (due) 20 settembre 1983, nn. 1067 e 1068, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

Pretore di Napoli, ordinanza 22 luglio 1983, n. 68/84, G. U. 18 aprile 1984, 

n. 109. 
Pretore di Napoli, ordinanze (tre) 18 luglio 1983, n. 69-71/84, G. U. 18 apri� 
le 1984, n. 109. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 38 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 7 /84, G. U. 11 aprile 1984, 

n. 102. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e segg., e 84 (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Pretore di Pizzo . Calabro, ordinanza 19 aprile 1983, n. 904, G.U. 7 mar� 
zo 1984, n. 67. 
Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 3 giugno 1983, n. 867, G.U. 7 marzo 
1984, �n. 67. 
Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 19 aprile 1983, n. 866, G. U. 14 mar� 
zo 1984, n. 74. 
Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 4 novembre 1983, n. 1028, G. U. 28 mar� 
zo 1984, n. 88. 
Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 7 ottobre �1983, n. 982, G. U. 11 apri� 
le 1984, n. 102. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 35 e 69, settimo comma (artt. 3,�24 e 42 
della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 12 marzo 1983, n. 885, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
legge 27 luglio 1971; n. 392, art. 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Matera, ordinanze (due) 21 febbraio 1983, nn. 864 e 865, G. U. 
7 marzo 1984, n. 67. 

legge 27 luglio 1971, n. 392, art. 60, primo comma (art. 24 della Costitu� 
zione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1983, n. 882, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 


Giudice conciliatore di Ragusa, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 1069/83, G. U. 
!1 aprile 1984, n. 102. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Cassino, ordinanza 1� agosto 1983, n. 856, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
legge 20 dicembre 1978, n. 863, art. 18, primo comma (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 16 settembre 1983, n. 976, G. U. 4 aprile� 1984, 

n. 95. 
legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57, primo e secondo comma (artt. 3, 
53 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanze (tredici) 28 novembre 1983, nn. 34-42 e 64-67/84, 

G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 
d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 57, primo comma, lett. a), 58, 70 e 86 
(artt. 2 e 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 5 maggio 1983, 

n. 900, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. 
d.�l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, terzo comma [come convertito in art. I 
legge 6 febbraio 1980, n. 15] (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'assise di Genova, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 206/84, G. U. 
11 �aprile 1984, n. 102. 

d.-1. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [convertito in legge 29 febbraio 1980, 
n.: 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). � 

Pretore di Biella, ordinanza 15 luglio 1983, n. 846, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
d.-1..30 dicembre 1979, n. 663, art. 14, quarto comma [convertito in legge 
29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 16 settembre 1983, n. 976, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 9 giugno 
1983, n. 1012, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. 

. legge 29 luglio 1980, n. 385 (artt. 24 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 1057/83, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. I e 2 (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). 

(Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 1058, G. U. 28 marzo 
1984, n. 88. 


f4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (artt. 24 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 1059/83, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 1� giugno 1983, n. 1060, G. U. 4 aprile 
1984, n.. 95. 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 1061, G. U. 4 aprile 
1984, n. 95. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (artt. 24, 42 e 113 della Costituzione). 


Corte d'appello di Napoli, ordinanza 27 aprile 1983, n. 1062, G. U. 4 aprile 
1984, n. 95, 

legge prov. di Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 2 (artt. 3 e 42 della 
Costit\tzione). 

Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 2 maggio 1983, n. 921, 

G. U. 14 marzo 1984, n. 74. 
legge prov. di Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 74 (artt. 4 e 8 dello 
statuto Trentino-Alto Adige).. 

Consiglio di Stato, adunanza plenaria,. ordinanza ~ maggio 1983, n. 921; 

G. U. 14 marzo 1984, n. 74. 
d.�I. 28 febbraio 1981, n. 36, art. 1, terzo comma [convertito in legge 29 apri� 
le 1981, n. 163] �(art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Catania, ordinanza 28 ottobre 1983~ n. 1099, G. U. 26 aprile 1984, 

n. 115. 
legge 23 aprile 1981, n. 154, artt. 6 e 7 (artt. 3, 24 e 51 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 27 maggio 1983, n. 947, G. U. 14 marzo 1984, 

n. 74. 
d.�I. 30 aprile 1981, n. 168, art. 1, penultimo comma [convertito in legge 
27 giugno 1981, n. 331] (artt. 24 e 113 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, ordinanza 25 marzo 1983, n. 997, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
d.-1. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [convertito in legge 26 settembre 1981, 

n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Biella, ordinanza 15 luglio 1983, n. 846, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 67. 
d.-1. 20 novembre 1981, n. 663, art. 7, secondo comma, lett. d) (art. 77 della 
Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 18 ottobre 1983, n. 1042, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 

PARTE 11, LEGISLAZIONE 

legge 24 novembre 1981, il. 689, artt. 53, 54, 59, 77, 78 e 84 (artt. 3, � 25 e 27 
della Costituzione). 

Tribunale militare di Torino, ordinanza 21 luglio 1983, n. 847, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Omegna, ordinanza 14 luglio 1983, n. 978, G. U. 4 april� 1984, 

n. 
95. 
Tribunale di Verona, ordinanza 27 ottobre 1983, n. 1032, G. U. 4 aprile 1984, 
n. 
95. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 


Pretore di Omegna, ordinanza 14 luglio 1983, n. 979, G. U. 11 aprile 1984, 

n. 
102. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (ar.tt. 24 e 101 della Cpstituzione). 


Tribunale di La Spezia, ordinanza 27 maggio 1983; n. 920, G. U. 21 marzo 
1984, n. 81. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Arezzo, ordinanza 11 luglio 1983, n. 911, G. U. 21 marzo 4984, 

n. 
81. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 19 luglio 1983, n. 912, G. U. 21 marzo 1984, 
n. 
81. 
. . Pretore di Arezzo, ordinanza 29 settembre 1983, n. 1026, G. U. 28 marzo 1984, 
Ii. 
88. . .. 

Pretore di Vigevano, ordinanza 4 ottobre 1983, n. 966, G. U. 28 marzo 1984, 

n. 
88. 
Pretore di Gubbio, ordinanza 23 settembre 1983, n. 1004, G. U. 11 aprile 
1984, n. 102. 

legge. 24 novembre 1981, n. 689, art.. 60 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanza 21 giugno 1983, n. 1056, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Trento, ordinanza 8 giugno 
1983, n. 881, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 7 maggio 1983, n. 852, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 

J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA !>ELLO STATO 
Pretore di Livorno, ordinanza 29 settembre 1983, n. 958, G. U. 28 marzo 1984, 

n. 
88. 
Pretore di La Spezia, ordinanza 28 ottobre 1983, n. 1052, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
Pretore di La Spezia, ordinanza 30 settembre 1983, n. 981, G. U. 11 aprile 1984, 
n. 
102. 
Tribunale di Venezia, ordinanza 19 ottobre 1983, n. 999, G. U. 11 aprile 1984, 
n. 
102. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Monza, ordinanza 9 luglio 1983, n. 853, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
Pretore di Moncalieri, ordinanza 26 maggio 1983, n. 939, G. U. 14 mar� 
zo 
1984, n. 74. 
Pretore di Monza, ordinanza 12 luglio 1983, n. 1048, G. U. 28 marzo 1984, 

n. 
88. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Saronno, ordinanza 3 giugno 1983, n. 862, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 

Pretore di Poggibonsi, ordinanza 17 ottobre 1983, n. 990, G. U. 11 aprile 1984, 

n. 
102. 
Pretore di Poggibonsi, ordinanza 17 ottobre 1983, n. 991, G. U. 11 aprile 1984, 
n. 
102. � 
d.-1. 
26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito In legge 26 gennaio 1982, 

n. 
12] (artt. 3, 32 e 33 della Costituzione). 
Pretore di San Ginesio, ordinanza 12 giugno 1983, n. 977, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, art. 12 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 5 maggio 1983, 

n. 
900, G. U. 21 marzo 1984, n. 81. 
d.-1. 
23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito in legge 25 marzo 1982, 

n. 
94] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 28 marzo 1983, n. 877, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
Pretore di Milano, ordinanza 10 maggio 1983, n. 887, G. U. 7 marzo 1984, 
n. 
67. 
Pretore di Milano, ordinanza 20 luglio 1983, n. 909, G. U. 21 marzo 1984, 

n. 
81. 
Pretore di Firenze, ordinanza 12 luglio 1983, n. 986, G. U. 11 aprile 1984, 
n. 
102. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 
f7 

lene 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bfs (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 23 luglio 1983, n. 878, G. U. 7 marzo 1984, 

n. 
67. 
Pretore di Fiorenzuola d'Arda, ordinanza 26 luglio 1983, n. 901, G. U. 7 marzo 
1984, n. 67. 
Pretore di Thiene, ordin�nza 12 ottobre 1983, n. 959, G. U. 28 ma~o 1984, 

n. 
88. 
Pretore di Almenno S. Salvatore, ordinanza 9 settembre 1983, n. 952, G. U. 
28 
marzo 1984, n. 88. 
Pretore di Roma, ordinanza 9 luglio 1983, n. 942, G.U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
Pretore di Roma, orqmanza 23 luglio 1983, n. 941, G.U. 4 aprile 1984, 
n. 
95. 
Pretore di Roma, ordinanza 15 ottobre 1983, n. 1027, G. U. 4 aprile 1984, 
n. 
95. 
Pretore di Pontedecimo, ordinanza 27 ottobre 1983, n. 1041, G. U. 4 apri� 
le 1984, n. 95. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanze (tredici) 28 novembre 1983, nn. 3442 e 64-67/84, 

G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Pretore di Biella, ordinanza 15 luglio 1983, n. 846, G. U. 7 marzo~ 1984, 

n. 
67. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, sesto comma (artt~ 3, 53 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 aprile 1983, 

n. 
889, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Fermo, ordinanza 17 giugno 1983, n. 9/84, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
Tribunale di Fermo, ordinanza 14 ottobre 1983, n. 32/84, G. U. 4 aprile 1984, 
n. 
95. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (art. 41 della Costituzione). 

Tribunale di Pesaro, ordinanze (due) 6 luglio 1983, nn. 1050 e 1051, G. U. 
14 marzo 1984, n. 74. 
Tribunale di Pesaro, ordinanza 13 luglio 1983, n. 53/84, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 
95. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (art. 41 della Costituzione). 

Tribunale di Rimini, ordinanze (sette) 27 ottobre 1983, nn. 1033-1039, G. U. 
21 marzo 1984, n. 81. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tribunale di Rimini, ordinanza 10 novembre 1983, n. 1040, G. U. 21 mar 
zo 1984, n. 81. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt, 25, 26, 28, 29 e 31 (artt. 3 e 41 della 
Costituzione). 

Tribunale di Grosseto, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 1/84, G.U. 4 aprile 
1984, n. 95. 

� legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 
della Costituzione). 

Tribunale di Padova, ordinanza 25 ottobre 1983, n. 161/84, G. U. 26 aprile 
1984, n. 115. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (art. 41 della Costituzione): 
� 

Tribunale di Pesaro, ordinanza 27 luglio 1983, n. 1049, G. U. 14 marzo 1984, 

n. 
74. 
Tribunale di Pesaro, ordinanze (cinque) 27 luglio 1983, nn. da 48 a 52/84, 
G. U. �4 aprile 1984, n. 95. 
l,egge 3. maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costit)-1-zione), 

Tribunale di Ancona, ordinanza 11 giugno 1983, n. 1025. G.U. 14 marzo 1984, 

n. 
74. 
Tribunale di Ancona, ordinanza 10 dicembre 1983, n. 192/84, G. U. 4 aprile 
1984, 
n. 95. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (quattro) 12 novembre 1983, nn. 104-107/84, 

G. U. 26 aprile 1984, n. 115. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (ci.que) 25 ottobre 1983, nn. 108-112/84, 
G. U. 26 aprile 1984, n. 115. � 
Tribunale di Ancona, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1983, nn. 174-177/84, 
G. U. 26 aprile 1984, n. 115. 
legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, secondo e terzo comma (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Pretore di Bra, ordinanza 28 maggio 1983, n. 851, G. U. 7 marzo 1984, n. 67. 

d.l. 
30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 77 e 79 della Costituzion�). 
Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 28 settembre 1983, n. 1017, G. U. 
11 aprile 1984, n. 102. 

d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito 
in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 22 giugno 1983, n. 1006, G. U. 11 aprile 1984, 

n. 
102. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, 
n. 873] (artt. 3, 11, 24 e 113 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanze (due) 20 aprile 1983, n. 1001 e 1002, G. U. 
21 marzo 1984, n. 81. 

dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, 

n. 873] (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanze (due) 29 marzo 1983, n. 22 e 23/84, G. U. 
18 aprile 1984, n. 109. 

legge. prov. di Trento 27 dicembre 1982, n. 31, art. 1, n. 6 (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Cavalese, ordinanza 4 luglio 1983, n. 1021, G. U. 4 aprile 1984, 

n. 95. 
dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 34 (artt. 24 e 113 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, ordinanza 25 marzo 1983, n. 997, G. U. 4 aprile 1984, n. 95. 

legge 4 inarzo 1983, n. 184 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Palermo, ordinanza 29 settembre 1983 n:'4J88, G. U. 4 aprile 
1984, n. 95. 

legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Venezia, ordinanza 10 agosto 1983, n. 953, G.U. 21 marzo '1984, 

n. 81. 
d.l. 5 ottobre 1983, n. 529 (artt. 2 e 97 dell� Costituzione). 
Pretore di Orvieto, ordinanze (d11.:;) 11 ottobre 1983, nn. 1054 e 1055, G. U. 
4 aprile 1984, n. 95. 

d.l. 5 ottobre 1983, n. 529, artt. 1, primo e quarto comma, 2, secondo comma, 
5, 6, primo e secondo comma, 7, terzo comma, e 8, primo e secondo comma 
(artt. 3, 23, 25, 77 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Menaggio, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 1005, G. U. 28 marzo 1984, 
.a. 88. 

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanze (tredici) 28 novembre 1983, nn. 3442 e 64-67/84, 

G. U. 11 aprile 1984, n. 102. 

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