ANNO XXXV -N. 2 MARZO -APRILE 1983 



RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1983 

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ABBONAMENTI ANNO 1983 

ANNO ���������..� �������.���..���...� �. � � � � � . L. 29.000 
UN NUMERO SEPARATO .� ; ...��..����.� , ������. � 5.300 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 
(4219208) Roma, 1983 -Istituto poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 




-


INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'
avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . pag. 231 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
de/l'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara) . . � 285 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . � 304 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA 
Antonio Catricol�) 
CIVILE (a cura de/l'avvocato 
)) 331 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura 
gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 
de
� 359 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a 
vocato Carlo Bafi/e) . . . . . 
cura de/l'av
� 363 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 403 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 424 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


QUESTIONI pag. 13 
LEGISLAZIONE )) 34 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; 
Giancarlo MANn�, Venezia. 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

CARAMAZZA I.F., Banche dei dati e privacy del cittadino: il sistema 
svedese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 13 

CENERINI BovA A., Nozione di centro abitato e tutela della viabilit� . I, 333 

DE 
STEFANO A., Arbitrato di equit� ed impugnazione del lodo per 
difetto di motivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 341 

FAVARA F., Le plusvalenze realizzate mediante cessioni di partecipazioni 
societarie (capital gains) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 19 

POLIZZI G. P., La sospensiva sul diniego di ammissione all'esame di 
maturit� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 359 

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PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Revi.
sione dei prezzi -Costo della manodopera 
-Oneri derivanti da contratti 
aziendali di lavoro -Computabilit� Esclusione, 
418. 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Situazfone soggettiva 
dell'appaltatore -Contratto 
'anteriore alla legge 22 febbraio 1973, 

n. 37 -Clausola di rivedibilit� del 
prezzo -Diritto alla revisione -Condizioni, 
403. 
-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Situazione soggettiva 
dell'appaltatore -Interesse 
legittimo, 404. 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Situazione soggettiva 
dell'appaltatore -Trasformazione 
da interesse legittimo in diritto 
soggettivo -Liquidazione di 
acconti -Effetti, 403. 

ARBITRATO 

-Arbitrato secondo equit� -Impugnazione 
di lodo arbitrale per vizi 
della motivazione Motivazione 
�per relationem � -Controllo del 
giudice �ad quem � -Contenuti e 
forme, con nota di A. DE STEFANO, 

340. 
-Arbitrato secondo equit� -Lodo arbitrale 
-Impugnazione per vizi della 
motivazione -Ammissibilit�, con nota 
di A. DE STEFANO, 340. 

ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI 

-Associazioni sindacali -Tutela &nteressi 
individuali dei lavoratori -Assenza 
di potere dispositivo, 233. 

CITTADINANZA 

-Figlio di donna italiana coniugata 
con uno straniero -Acquista la cittadinanza 
italiana per nascita, 261. 

COMPETENZA CIVILE 

-Azione di �indebito arricchimento 
nei confronti della p.a. -Riconoscimento 
implicito -Irrilevanza -Imputabilit� 
giuridica alla p.a. delle 
situazioni dedotte in giudizio -Necessit� 
-Determinazione economica 
della prestazione resa -Giurisdizione 
ordinaria, 304. 

-Foro dello Stato -Ufficio Liquidazione 
presso il Ministero del Tesoro 
-Controversie in corso -Applicabilit� 
immediata, 328. 

-� Perpetuatio jurisdictionis � -Inapplicabilit� 
nel corso di nuove leggi 
modificatrici della competenza funzionale 
(foro dello Stato), 329. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione 
dei conti -Aiuti allo 
ammasso di formaggio, 292. 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione 
dei conti -Aiuti al 
magazzinaggio del vino, 292. 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione 
dei conti -Aiuti per il 
latte scremato in polvere, 291. 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione 
dei conti -Aiuto allo 
ammasso di carni essiccate, 292. 


INDICE DEl..LA GIURISPRUDENZA 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e di garanzia (F.E.O.G.A.) Liquidazione 
dei conti -Vendita di 
cereali di intervento, 291. 

-Unione doganale -Dazi doganali e 
tasse di effetto equivalente -Importazione 
da paesi terzi -Carni fresche 
di volatili da cortile -Diritti 
di visita sanitaria -Regime provvi� 
sorio, 300. 

-Unione doganale -Tributi interni 
differenziati -Legittimit� -Limiti 


I.V.A. -Acqueviti, 285. 
CONTABILIT� PUBBLICA 

-Bilancio di previsione -Capitali dell'entrata 
-Proventi di recuperi � Non 
possono essere indicati come entrata, 
233. 

-Contratti della pubblica amministra� 
zione -Forniture -Revisione dei 
prezzi -Previsione in contratto Diritto 
soggettivo alla revisione Clausola 
compromissoria -Validit� Onere 
di ricorso amministrativo Non 
sussiste, 414. 

C.ORTE COSTITUZIONALE 

-Questione proposta in via incidentale 
-Contraddittoriet� delle deduzioni 
-Inammissibilit�, 264. 

CORTE DEI CONTI . 

-Giurisdizione domestica -Deroga alla 
nonrtativa generale �sulla competenza 
in materia di pubblico� impiego 
� Legittimit�, 308. 

-Giurisd�iione domestica � Poteri e 
mancanza del doppio grado di giurisdizione 
� Questione propo&ta in 
sede . di giurisdizione -Inammissibilit�, 
308. 

-Giurisdizione domestica � Questione 
di legittimit� costituzionale per violazione 
dell'art,: 3 Cost. � Manifesta 
infondatezza, 308. 

-Legge retroattiva � Soggezione del 
giudi�e alla legg� � Garanzia costituzfonal� 
delle pretese risarcitorie 
dello Stato � Insussistenza, 264. 

-Responsabilit� degli amministratori 
di comuni e provincie -Responsabilit� 
c.d. formale -Requisiti del 
danno .effettivo e della colpa -Necessit�, 
267. 

ENTI PUBBLICI 

-Enti mutualistici � Fase di liquidazione 
disposta o Per legge o con 
atto amministrativo -Diversit� ai 
fini del foro dello Stato, 328. 

-Enti mutualistici � Soppressione � 
Fase di liquidazione affidata al Ministero 
del Tesoro � Posizione giuridica 
dell'Ufficio di liquidazione,

328. . 
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Indennit� � Requisizione -Mora Rivalutazione 
del credito � Ammissibilit�, 
331.. 

FARMACIE 

-Indennit� di residenza -Posizione 
soggettiva del titolare �. Diritto soggettivo 
o interesse legittimo � Lesione 
-Criterio .distintivo della giurisdizione, 
315. � 

FONTI DEL DIRITTO 

-Ordine del giorno approvato da un 
ramo del Parlamento -Non pu� 
abrogare la legge � Attribuzioni delle 
provincie di Trento e Bolzano � 
Omessa indicazione -Illegittimit� 
costituzionale, 231. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Natura vincolata della norma giuridica 
� Diritto soggettivo�� � Irrilevanza 
� Finalit� della norma -Ne


. cessit�, 315. 

-Rapporto di pubblico impiego -Caratteristiche 
� Compatibilit� con altra 
attivit� .professionale prevalente 
� Atto di nomina � Irrilevanza � 
Controversie � �Giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, 322. 


VIII 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Sospensione provvedimento impugnato 
-Giudizio di non ammissione 
ad esami di maturit�, con nota di 

G.P. POLIZZI, 359. 
IMPIEGO PUBBLICO 

-Enti pubblici -Atto formale -Irrilevanza 
-Impiego pubblico -Amministrazione 
dello Stato -Atto formale 
-Necessit�, 324. 

-Prescrizione -Sospensione in costanza 
del rapporto -Inammissibilit�, 
324. 

ISTRUZIONE 

-Consigli scolastici -Elettorato attivo 
e passivo -Diritto soggettivo Controversie 
-Competenza per materia 
e per territorio -Principi generali, 
323. 

-Consigli scolastici -Elettorato attivo 
e passivo -Situazione soggettiva 
-Diritto soggettivo -Controversie 
-Giurisdizione ordinaria, 323. 

LAVORO 

-Controversie -Appello -Deposito 
del fascicolo e della sentenza impugnata 
-Irrilevanza, 340. 

LEGGE 

-Legge interpretativa -Individuazione 
-Criterio, 315. 

LOCAZIONE 

-Prelazione del conduttore -Immobili 
destinati a studio professionale 
-Insussistenza del diritto, 281. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

..:... 
Motivazione dei provvedimenti giurisdizionali 
-Esigenza, finalit� e requisiti, 
con nota di A. DE STEFANO, 

340. 
REATO 

-Aggiotaggio bancario -Oggetto della 
tutela penale, 269. 

-Occupazione abusiva di suolo demaniale 
marittimo -Condanna dell'imputato 
al rilascio e alla riduzione 
in pristino -Inammissibilit�, con 
nota di N. BRUNI, 424. 

-Reati contro la personalit� dello 
Stato -Associazione sovversiva, banda 
armata, insurrezione armata contro 
i poteri dello Stato -Costituzio 
ne di parte civile della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri -Ammissibilit�, 
con nota di N. BRUNI, 428. 

-Reati di eversione -Erogazione da 
parte del Ministero dell'Interno della 
speciale elargizione prevista dalla 
legge 13 agosto 1980 ,n. 466, e successive 
modificazioni -Costituzione 
di parte civile del Ministero dell'Interno 
al fine del rimborso della somma 
erogata -Ammissibilit�, con nota 
di N. BRUNI, 428. 

REGIONI 

-Agevolazioni di credito -Determinazione 
dei tassi minimi di interesse 
agevolato -Diversit� della determinazione 
del limite massimo 
dell'intervento regionale, 231. 

-Bilancio di previsione -Capitoli dell'entrata 
-Assegnazioni statali -Non 
ancora determinate -Non possono 
essere indicate come entrate, 233. 

-Competenze della Giunta regionale -
Delegabilit� ad assessore -Limiti, 

232. 
- 
Inerzia della Regione -Poteri statali 
di sostituzione -Sussistono in 
presenza di obblighi internazionali 

o comunitari -Rilevanza del carattere 
cautelare e temporaneo degli 
interventi statali, 232. 
-Istituto professionale -Scuole di 
ostetricia -Non sono equiparabili 
ad universit�, 257. 

-Legislazione regionale -Decreti legislativi 
e decreti legge -Non pos� 
sono essere emanati, 233. 

-Materia di trasporti d'interesse regionale 
-Comprende anche la submateria 
inquadramento del perso� 
nale, 233. 

- 
Poteri statali di indirizzo e coordinamento 
-Esercizio mediante provvedimento 
amministrativo -Presupposti, 
231. 



INDICE DEU.A 

-Regione a statuto ordinario -Legge 
regionale contrastante con statuto Illegittimit� 
costituzionale, 232. 

SANIT� 

-Prevenzione e cura delle tossicodipendenze 
-Non rientra nella materia 
� assistenza pubblica � -Presenza 
di obblighi internazionali -Attribuzioni 
statali -Legittimit� costituzionale, 
231. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento � Circolari -Natura Difformit� 
-Irrilevanza, 384. 

-Contenzioso tributario -Foro dello 
Stato -Controversia in sede di esecuzione 
sulla spettanza di privilegi, 

364. 
TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Catasto -Rilevanza della categoria 
catastale per l'equo canone -Tutela 
giurisdizionale del conduttore -Sussiste, 
276. 

-Dichiarazione -Redditi non compresi 
nella dichiarazione presentata 
� Omissione di dichiarazione, 386. 

-Imposta di ricchezza mobile e complementare 
-Rapporti tributari in 
corso al momento dell'entrata in vigore 
della riforma tributaria -Diritto 
al premio maturato anteriormente 
� Applicabilit� della normativa 
antiriforma � Percezione successiva 
� Irrilevanza, 393. 

-Imposta sulle societ� � Esenzione 
dell'art. 151, lett. C), del t.u. 29 gennaio 
1958, n. 645 -Consorzio -� limitata 
ai consorzi fra enti pubblici 
territoriali -Ente Autonomo Acquedotto 
Pugliese � Non � tale, 369. 

-Imposte fondiarie � Fabbricato in 
compropriet� -Destinazione ad attivit� 
commerciale esercitata da alcuni 
soltanto dei comproprietari -Assoggettamento 
all'imposta fondia:rfa 
per l'intero � Esclusione, 380. 

-IRPEF -Reddito d'impresa -Elargizioni 
liberali ad universit� -Deducibilit�, 
278. 

-IRPEF -Separata determinazione 
dei redditi dei coniugi -Oneri deducibili 
7 Interessi passivi per mu-

GIURISPRUDENZA 

tui fondiari -Deducibilit� solo dal 
reddito del coniuge mutuatario Legitti:
rnit� costituzionale, 211. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Contenzioso tributario -Competenza 
e giurisdizione -Canone di abbonamento 
alle radioaudizioni -Natura 
del tributo -Competenza del 
tribunale, 373. 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di lusso 
-Appalto risoluto prima della 
esecuzione -Decadenza, 395. 

-Imposta di registro -Appalto -Variazioni 
in corso d'opera d'importo 
superiore al sesto quinto -Nuovo 
autonomo contratto, 397. 

-Imposta di registro � Solidariet� � 
Parti contraenti -Soggetto che ha 
partecipato alla formazione dell'atto 
come rappresentante -� tale, 

368. 
- 
Imposte doganali -Accertamento Revisione 
-Termine di decadenza Erronea 
applicazione della tariffa Esclusione, 
363. 

TRIBUTI LOCALI 

-Sovrimposte fondiarie -Competenza 
e giurisdizione -Diritto alla imposizione 
-Diritto soggettivo pubblico 
dell'ente locale -Giurisdizione ordinaria 
-Sussiste, 377. 

-ILOR -Tassazione del reddito dei 
fabbricati di societ� dati in locazione 
-Natura di reddito fondiario Tassazione 
ILOR separata con il 
sistema dell'esazione catastale, 388. 

URBANISTICA 

-Piano regolatore -Centro abitato -
Perimetrazione -Costruzioni in prossimit� 
del ciglio stradale -Distanze 
previste dal D.M. 1� aprile 1968 � 
Osservanza � Necessit� -Centro abitato 
-Perimetrazione ex art. 17, legge 
765 del 1967 e perimetrazione 
ex art. 18, legge 865/1971 -Diversit� 
di nozioni e di effetti -Mancanza 
di strumenti urbanistici -Abitato 
reale -Riferimento -Necessit�, con 
nota di A. CENERINI Bov�, 333. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

29 luglio 1982 n. 150 
1� febbraio 1983 n. 14 

9 febbraio 1983 n. 30 

22 febbraio 1983 n. 31 

10 marzo 1983 n. 48 
16 marzo 1983 n. 54 
16 m~rzo 1983 n. 65 (ordinanza) 

23 marzo 1983 n. 69 . � 

23 marzo 1983 n. 70. 

23 marzo 1983 n. 72. 

23 marzo 1983 n: 73 . 

24 marzo 1983 n. 76. 

7 aprile 1983 n. 84 

28 aprile 1983 n. 108 . 

5 maggio 1983 n. 128 . 

. �. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE. COMUNIT� EUROPEE 

15. marzo 1983, nella causa 319/81 . . . . . . . 
15 marzo .1983, nelle due cause 61/82 e 62/82 
22. marzo 1983, nella causa 88/82 . . . . . . . 
GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 


Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4198 . 
Sez. Un.-, 22 lugli� .1982, n. 4288 . 
Sez. I. 11 agosto 1982, n. 4521 
Sez. I, 11 a,gosto 19,82, n. 4522 . . 
Sez. I, 11 agosto 1982, n. 4524 
Sez. Un., 13 tJ:�vembre 1982; n. 6035 . 
Se:z;. I,' 6 gen~aio 1983, n. 64 
Sez. I, 1� febbraio. :1983, n. 864 . 
Sez. Un.,.17 febbraio.�1983, n. 1205. 
Sez. I, ~11 febbraio 1983; n. 1223 . . . 


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231 
257 
261 
231 

232 . 
233 
264 
231 
264 
267 
269 
27" 
276 
278 
281 
285 
291 
300 

304 
404 

363 
364 
368 
.369 
331 
373 
377 
333 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Xl 

Sez. Un., 23 febbraio 1983, n. 1366 . � 403 
Sez. Un., 23 febbraio 1983, n. 1370 . � 414 
Sez. Un., 1� marzo 1983, n. 1526 � 308 
Sez. Lavoro, 3 marzo 1983, n. 1595 . � 340 
Sez. Un., 4 marzo 1983, n. 1622. � 315 
Sez. Un., 22 marzo 1983, n. 2008 . � 322 
Sez. Un., 23 marzo 1983, n. 2017 . � 323 
Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2091 . � 380 
Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2092 . � 384 
Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2130 . � 386 
Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2135 . � 388 
Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2138 . � 393 
Sez. I, 29 marzo 1983; n. 2226 . � 395 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2289. � 397 
Sez. Un., 6 aprile 1983, n. 2430 � 324 
Sezione Lavoro, 13 maggio 1983, n. 3276 . � 328 

CORTE DI APPELLO DI BARI 

Sez. I, 20 gennaio 1983, n. 20 . . ........... pag. 340 


GIURISDIZIONI AM.MINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. plen. ordinanza 8 ottobre 1982, n. 17 . ... pag. 359 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 

Sez. III, 28 maggio 1983, n. 440 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 418 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III, 3 dicembre 1982 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 424 

PRIMA CORTE DI ASSISE DI ROMA 

Ordinanza 7 marzo 1983 . . . . . . . . . . . �. . . . . . . . . . . . . . pag. 428 


PARTE SECONDA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLE CONSULTAZIONI 
Questioni ............................... pag. 13 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I -Norme dichiarate incostituzionali . .......... . 
II -Questioni dichiarate non fondate . 
III -Questioni proposte . 
pag. 
� 
� 
34 
34 
36 



PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I. 
CORTE COSTITUZIONALE, 29 luglio 1982 n. 150 -Pres. Elia -Rel. La 
Pergola -Regione Emilia Romagna (avv. Spagna Russo), Regione 
Veneto (avv. Viola), Regione Toscana (avv. Cheli), Regione Lazio 
(avv. Bellini), Regioni Campania Umbria e Piemonte (avv. D'Onofrio), 
Regione Liguria (avv. Guarino), Regione Lombardia (avv. Pototschni~, 
e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruno). 

Regioni -Poteri statali di indirizzo e coordinamento -Esercizio mediante 
provvedimento amministrativo � Presupposti. 

Regioni -Agevolazioni di credito � Determinazione dei tassi minimi di 
interesse agevolato -Diversit� della determinazione del limite massimo 
dell'intervento regionale. 

La funzione statale di indirizzo e coordinamento delle attivit� anche 
legislative delle regioni a statuto ordinario pu� essere esercitata mediante 
atto amministrativo (nella specie, decreto del Presidente del Consiglio 
dei Ministri) solo se tale atto trova supporto nella legislazione 
statale, in una disposizione che vincoli e� diriga le scelte dell'Esecutivo. 

Una d�termin.azione del tasso praticabile dagli istituti erogatori del 
credito agevolato non pu� essere identificata con la determinazione del 
tasso minimo di interessi a carico dei beneficiari ai sensi dell'art. 109 
del d.P.R. n. 6l6 del 1977. 

II. 
CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1983 n. 31 -Pres. Elia -Rel. 
Ferrari -Provincia di Bolzano e Provincia di Trento (avv. Biagini) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Fonti del diritto -Ordine del giorno approvato da un ramo del Parlamento 
-Non pu� abrogare la legge -Attribuzioni d�lle provincie di 
Trento e Bolzano -Omessa indicazione -Illegittimit� costituzionale. 
(Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, 9 e 16; 1. 22 dicembre 1975, n. 685). 

Sanit� -Prevenzione e cura delle tossicodipendenze ~ Non rientra nella 
materia � assistenza pubblica � -Presenza di obblighi internazionali Attribuzioni 
statali � Legittimit� costituzionale. 
(Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4, 8 e 9; 1. 22 dicembre 1975, n. 685). 



232 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Regioni � Inerzia della Regione � Poteri statali di sostituzione � Sussistono 
in presenza di obblighi internazionali o comunitari � Rilevanza 
del carattere cautelare e temporaneo degli interventi statali. 
(Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4 e 5; I. 22 dicembre 1975, n. 685). 

Un ordine del giorno approvato da un ramo del Parlamento � atto 
interno cui non pu� essere riconosciuta funzione surrogativa di disposizione 
legislativa; la legge 22 dicembre 1975 n. 685 (disciplina degli 
stupefacenti) � costituzionalmente illegittima nelle parti, concernenti le 
attribuzioni delle regioni, in cui non statuisce che, nell'ambito della 
regione Trentino-Alto Adige, dette attribuzioni spettano alle province di 
Trento e Bolzano. 

La funzione di prevenzione cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza 
non rientra nella materia �assistenza pubblica�, ed � 
caratterizzata dalla presenza di obblighi internazionali che legittimano, 
persino nelle regioni a statuto speciale, attribuzioni dello Stato. 

Lo Stato pu� sostituirsi alla Regione (o Provincia autonoma) inerte 

o non sufficientemente attiva ogniqualvolta il suo intervento -anche 
per l'organizzazione di apparati amministrativi -� dovuto in adempimento 
di obblighi internazionali. Ha inoltre rilevanza la circostanza che 
l'intervento statale abbia carattere temporaneo e perci� cautelare. 
III. 
CORTE COSTITUZIONALE, 10 marzo 1983 n. 48 -Pres. Elia -Rel. Paladin 
-Gherardi (avv. Paolucci), Comune di Bologna (avv. Stella 
Richter), Azzaroli (avv. Stoppani), Regione Emilia Romagna (avv. 
Predieri) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato 
Carafa). 

Regioni � Regione a statuto ordinario � Legge regionale contrastante con 
statuto -Illegittimit� costituzionale. 
(Cast., art. 123; I. reg. Emilia 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4). 

Regioni � Competenze della Giunta regionale � Delegabilit� ad assessore Limiti. 
(Cast., artt. 118 e 121; Statuto Regione Emilia-Romagna, art. 25; I. reg. Emilia 11 otto


bre 1972, n. 9, art. 4). 

La violazione di una disposizione dello Statuto di regione a statuto 
ordinario determina una violazione dell'art. 123 Cost. e quindi d� luogo 
ad illegittimit� costituzionale. 

N� l'art. 118 Cast., il quale prescrive come �normale� ma non ne;::: 


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cessario che le funzioni amministrative regionali siano esercitate me


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diante delega ad enti locali, n� l'art. 121 Cast., il quale non contiene 

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un elenco tassativo degli organi della regione, impediscono il conferi{: 
mento di deleghe a singoli componenti di Giunta regionale. L 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 

IV. 
CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1983 n. 54 -Pres. Elia -Rel. La 
Pergola -Regione Umbria (avv. Dean), Regione Campania (avv. Abbamonte), 
Regione Valle d'Aosta {avv. Romanelli) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. generale Stato Azzariti e avv. Stato 
D'Amico). 

Contabilit� pubblica -Bilancio di previsione -Capitali dell'entrata -Proventi 
di recuperi -Non possono esser.e indicati come entrata. 

Regioni -Bilancio di previsione � Capitoli dell'entrata � Assegnazioni statali 
� Non ancora determinate � Non possono essere indicate come 
entrate. 

L'imputazione ad un capitolo di entrata (nella specie, di bilancio 
regionale) dei proventi del recupero (nella specie, dalla C.E.E. o dallo 
Stato) di somme erogate per anticipazione temporanea non costituisce 
idonea copertura della spesa. 

Una regione non pu� indicare nel proprio bilancio come entrata 
una somma proveniente dal bilancio dello Stato, se essa non � stata 
anteriormente determinata nel quantum dai competenti organi centrali. 

V. 
CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983 n. 69 -Pres. Elia -Rel. Saya Picchi 
ed altri (avv. Zammit), STEFER e ACOTRAL (avv. Cavasola) 
e Regione Lazio (avv. Nigro). 

Regioni � Materia di trasporti d'interesse regionale � Comprende anche 
la sub-materia inquadramento del personale. 
(Cost., art. 117; 1. reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1). 

Associazioni e fondazioni � Associazioni sindacali � Tutela interessi indivi� 
duali dei lavoratori � Assenza di potere dispositivo. 
(Cost., art. 39; l. reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 70, art. 1). 

Regioni � Legislazione regionale � Decreti legislativi e decreti legge � Non 
possono essere emanati. 
(Cost., art. 76; 1. reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1). 

Nella materia dei trasporti tramviari e automobilistici, attribuiti 
alla regione, non � possibile distinguere nettamente il momento organizzativo 
da quello funzionale, essendo i due momenti collegati ad uno 
stesso nesso strumentale: sicch� deve ritenersi che anche la sub-materia 
relativa al personale suddetto rientra nella previsione dell'art. 117 Cost., 
con il limite della esclusione dell'ambito del diritto privato. 

2 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

234 

L'affidamento ex lege ad associazioni sindacali della tutela di interessi 
individuali dei lavoratori (affidamento della cui compatibilit� con 
l'art. 39 Cast. il giudice a quo ha dubitato) non si ha allorquando nessun 
potere dispositivo sia riconosciuto a dette associazioni. 

Gli articoli 76 e 77 della Costituzione sono disposizioni eccezionali, 
non applicabili alla attivit� legislativa delle regioni. 

I. 
(omissis) Il presente conflitto � promosso dalle Regioni Campania, Emilia-
Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia: Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto, 
Umbria, le quali tutte impugnano, deducendo la lesione delle rispettive sfere 
di attribuzioni, il decreto emesso dal Presidente del Consiglio in data 
30 dicembre 1980. Il provvedimento impugnato reca disposizioni di indirizzo 
e coovdinamento con riguardo all'esercizio delle funzioni regionali 
in mater.ia di interventi creditizi a favore delle imprese artigiane. Di queste 
norme, alcune concernono l'intervento regionale nel settore del credito 
ivi definito rispettivamente come a medio e a breve termine, secondo che 
esso abbia durata superiore, o non, ai diciotto mesi; altre sono dettate 
per il coordinamento della disciplina afferente ai rapporti con gli istituti 
di credito; altre, ancora, dispongono intorno all'ammissibilit� delle agevolazioni 
e ai controlli sull'effettiva destinazione delle agevolazioni concesse 
ai sensi dello stesso decreto. Pi� precisamente, l'art. 2 prescrive 
che l'intervento della Regione nel settore del credito a medio trmine, finalizzato 
allo sviluppo delle imprese artigiane, sia coordinato attraverso la 
Cassa per il credito alle imprese anzidette; i limiti massimi di importo, 
durata e garanzia sussidiaria, nonch� i limiti minimi di tasso, sono quelli 
stabiliti nelle leggi e negli altri atti statuali, che la norma citata richiama, 
per farne discendere altrettanti limiti all'esercizio delle funzioni regionali 
(cfr. art. 34, 5� e 7� comma, della legge 25 luglio 1952, n. 949, come 
modificato dall'art. 2 della legge 19 dicembre 1956, n. 1524 e dalla legge 
31 ottobre 1966, n. 947, che fissano i limiti massimi di importo e durata 
per le operazioni della Cassa anzidetta; la legge 14 ottobre 1964, n. 1068, 
per quel che concerne i limiti di garanzia sussidiaria; il decreto ministeriale 
7 aprile 1976, emesso in applicazione dell'art. 2 bis del decreto legge 
13 agosto 1975, n. 377 e della relativa legge di conversione 16 ottobre 1975, 

n. 493, che fa riferimento ai limiti di cassa). Lo stesso art. 2 conferisce 
alle Regioni talune attribuzioni in merito, sia alla concessione di contri� 
buti in conto interessi a valere sul fondo costituito ex art. 37 della legge 
949 del 1952, presso la Cassa, sia alla determinazione delle modalit� e dei 
criteri previsti nella legge n. 1068 del 1964 in ordine agli interventi del 
fondo di garanzia, anch'esso operante presso la Cassa. Quanto al settore 
del credito a breve termine, l'intervento della Regione, che � qui connesso 
con le occorrenze di esercizio delle imprese artigiane, deve, a norma 

PARTB J, . SEz. I, GIURISJ>RUDENZA .COsTITUZI()NALE 

dell'art. 3, essere esclusivamente diretto al regolamento deHe cooper:;i.tive 
di garanzia costituite tra le imprese agevolate, e della partecipazione regionale 
al relativo fondo, nonch� alla gestione di tali cooperative, restando 
esclusa ogni agevolazione sui tassi di interesse. Gli articoli 4 e 6 contengono 
norme di coordinamento -rispettivamente con riferimento ai rappcmLcon 
gli istituti di .credito e al controllo sull'effettiva destinazione 
clelle agevolazioni concesse dalla Regione -.nelle quali sono previsti compitf 
dfvario genere per i comitati tecnici regionali della Cassa. L'art. 5 
assume come norma �li indirizzo che il credito vada orientato -nei modi 
c~e ivi si delineano, e sempre nell'ambito fissato dalle leggi statali -verso 
q.i.teg(.)tie .�e zone non. sufficienteme.nte sviluppa.te .. Infine, l'ultimo articolo 
�.�� &~fdecreto.. (art. 7).� stabilisce che, fino .. a quando ciascuna Regione non 
abbi:~ provV'eduto ad esercitare le funzioni amministrative ad essa trasfepi~
einv�rtli dell'art.. 109, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, -quelle che appunto 
rlguardtl.llo gli interventi agevolativi del credito, a favore, nella specie, delle 
ijjlprese ar.gfauie ..;;_�.continuano ad applicarsi le norme previste dalla legist\
iipl1e .stafale ... Le Regioni sono dal canto loro tenute ad adeguare le 
proppe leggj ~Ile disposizioD:i del decreto in esame, entro un anno dall'entrata 
in. vigore di esso. Sono fatte salve le agevolazioni concesse alla 
da# dfscadenza di tale termine, purch� i relativi procedimenti ammi


nisfrativi abbiano avuto inizio prlma che il decreto entrasse in vigore. 

Dopo che il decreto 30 dicembre 1980 era stato impugnato dalle ricor


r�riti� intervenuto, a modificarne ed a integrarne sotto vario riguardo le 

previsioni, un nuovo decreto del Presidente del Consiglio, emesso il 

2() marzo 1981. Quest'ultimo provvedimento contempla, tra l'altro, le mo


difiche segp:enti: 

a) dall'art. 2 del decreto originario � eliminata la disposizione che 

demandava alla Cassa per il credito alle imprese artigiane il coordinamento 

e l'indfrizzo degli interventi regionali nel credito a medio termine, il cui 

raggio temporale eccede, nel nuovo testo, non pi� i diciotto, ma i venti


quattro. mesi; 

b) con riguardo al credito a breve termine (quello di durata infra


biennale) � soppressa la clausola dell'art. 3, che vietava alle Regioni di 

concedere agevolazioni sui tassi di interesse, mentre si estende, rispetto 

al previgente decreto, la sfera degli interventi regionali, includendovi la 

concessione di contributi in conto interessi e l'accertamento dell'effettiva 

destinazione dei provvedimenti agevolativi alle esigenze delle imprese be


neficiarie; 

e) da ultimo, sono rimosse le disposizioni contenute nell'art. 7 del 

decreto del 1980. 

I sopra citati decreti del Presidente del Consiglio risultano adottati 
in virt� dell'art. 3, della legge 22 luglio 1975, n. 382 (� Norme sull'ordinamento 
regionale e sull'organizzazione della pubblica amministrazione�). 

(omissis) 


2"36 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel caso di specie, l'atto di indirizzo e coordinamento concerne il 
settore delle agevolazioni creditizie in favore dell'impresa artigiana, che 
le ricorrenti assumono loro espressamente attribuito all'art. 109 del decreto 
n. 616 del 1977, in quanto connesso con una materia, qual � l'artigianato, 
spettante alle Regioni, ai sensi dell'art. 117 Cost. (omissis) 

In ordine logico, va anzitutto presa in esame la serie delle censure 
mosse sia al decreto del 1980, sia a quello successivo. 

Se si considera la prospettazione dei vizi che si riscontrerebbero nel 
decreto originario, anche dopo le modifiche ed integrazioni intervenute con 
il provvedimento del 1981, il problema .sollevato in questa sede �, in 
sostanza, il seguente: la Corte � chiamata a stabilire se lo Stato poteva 
nella specie esercitare la funzione di indirizzo e coordinamento in via 
amministrativa, senza che ne risultasse la lamentata lesione della sfera 
delle attribuzioni regionali. I provvedimenti impugnati, si deduce dalle 
ricorrenti, dispongono di materia trasferita alla Regione, e la re~olano in 
difformit� delle norme di legge che ciascuna di esse assume di avere, 
nell'ambito delle proprie competenze, legittimamente prodotto. Senonch�, 
si soggiunge, la legge regionale � limitata solo dalla legislazione statale 
di principio. Cos�, nella specie, l'atto amministrativo non sarebbe assistito 
da alcun tj..tolo costituzionale per condizionare la potenzialit� della fonte 
legislativa regionale, n� per contrastare le disposizioni da essa scaturenti. 

Ora, l'impugnato provvedimento del Presidente del Consiglio emana 
da una funzione, la quale, sebbene configurata dalla legge ordinaria, ha 
sicuro fondamento in Costituzione. Nelle previsioni della legge n. 382 
del 1975, detta funzione abbraccia -si pu� dire, in via istituzionale -l'intero 
ambito in cui l'Ente Regione esplica i propri poteri amministrativi, 
che ha poi la stessa estensione dell'autonomia legislativa ad esso spettante. 
Occorre aggiungere che l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento implica, 
certo, l'insorgenza di vincoli, ai quali gli organi della Regione devono 
adeguarsi. Ma sono vincoli giustificati, sul piano costituzional,e, in quanto 
indispensabili al perseguimento delle esigenze di carattere unitario, che 
l'intervento dello Stato garantisce. Gli organi centrali sono infatti -come 
la Corte ha in precedenti pronunzie precisato -investiti degli interessi 
che per natura o dimensione, concernono l'intera collettivit� nazionale, e 
restano necessariamente affidati al loro apprezzamento (cfr. sentenze 
nn. 138/1972; 140/1972; 141/1972; 142/1972; 191/1976). 

Detto ci�, non si pu�, d'altra parte, trascurare che i vincoli in discorso, 
quali scaturiscono dai provvedimenti statuali, incidono pur sempre sull'esercizio 
di funzioni proprie della Regione, e ad essa costituzionalmente 
garantite: versiamo cos� in un'ipotesi ben diversa da quella che, per esempio, 
configura, nell'ultima comma dell'art. 121 Cost., la statuizione secondo 
la quale � il Presidente della Giunta dirige le funzioni delegate dallo Stato 
alla Regione conformandosi alle istruzioni del governo centrale �. 


PARTE. I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

L'esame della specie esige quindi che si enunci un criterio, grazie al 
quale l'esercizio in via amministrativa del potere statale di indirizzo e 
coordinamento possa essere delimitato nei suoi legittimi confini. 

Il potere anzidetto, va ricordato, � stato introdotto nel vigente sistema 
istituzionale nel momento in cui veniva attuato il primo organico trasferimento 
delle funzioni alle Regioni a Statuto �ordinario. Si tratta di uno 
strumento affidato allo Stato, perch� serva a comporre, in conformit� del 
disegno costituzionale del decentramento, le istanze dell'autonomia con le 
esigenze unitarie (cfr. sentenza n. 39/1971). Vi � dunque, in questo senso, 
un'imprescindibile garanzia di equilibrio, che va rispettata nel perseguire 
gli interessi della collettivit� nazionale rispetto alla sfera riservata alle 
competenze regionali, e che non pu�, ritiene la Corte, non riflettersi anche 
sulle modalit� con le quali opera il congegno della legge istitutiva della 
funzione in esame. Qra, il ricorso all'atto amministrativo, come si atteggia 
nella specie, � giustificato solo se trova un legittimo ed apposito supporto 
nella legislazione statale, e concreta il disposto offerto a questo fine dalla 
previsione normativa, in relazione alle attivit� regionali che ne formano 
oggetto. L'inosservanza del principio di legalit�, sotto il profilo test� precisato, 
costituisce quindi un assorbente motivo di invalidit� dell'atto 
statale: e di qui, precisamente, discende la violazione della sfera garantita 
alla Regione. Tale conseguenza resta per� esclusa nell'opposto caso, in 
cui l'adozione dell'atto amministrativo, soddisfa, come si � test� avvertito, 
i requisiti per il corretto esercizio dell'indirizzo e del coordinamento. In 
quest'ultima evenienza, il vincolo nei confronti dell'attivit� dell'ente autonomo 
risale per vero alla norma di legge, dalla quale trae specifico fondamento 
il provvedimento sub-legislativo che lo configura. Il sistema 
costituzionale, con ci�, non � leso; n�, dunque, la Regione � esonerata, 
come deducono le ricorrenti, dall'uniformarsi al provvedimento statuale, 
per il semplice fatto di aver dettato norme con esso incompatibili: altrimenti 
verrebbero frustrate le esigenze unitarie, che la funzione di indirizzo 
e coordinamento deve invece garantire, anche quando -fermo restando 
il rispetto del principio di legalit� -essa si eserciti mediante atto amministrativo. 


:�. appena il caso di precisare che a giustificare fa soluzione adottata 
nella specie non basta la sola previsione dell'art. 3 della legge n. 382 del 1975. 
Tale norma, si � visto, contempla, fra le modalit� dell'esercizio dell'indirizzo 
e coordinamento, anche quelle che si estrinsecano in provvedimenti 
amministrativi: non riguarda, n� delimita per alcun verso, il possibile 
contenuto sostanziale degli atti di questo tipo. Ma, come la Corte ha in 
altra occasione affermato (sentenza n. 13/1957), �disposizioni normative 
in bianco non autorizzano il Governo a introdurre qualsiasi restrizione dell'autonomia 
amministrativa regionale �. Perch� il principio di legalit� sia 
salvaguardato nella sede che qui interessa, occorre pertanto� un'ulteriore 
disposizione legislativa: la quale, in apposita considerazione della materia, 


238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che volta a volta esige l'intervento degli organi centrali, vincoli e diriga 

la scelta del Governo, prima che questo possa, dal canto suo, indirizzare 

e coordinare lo svolgimento di poteri di autonomia. La fonte legislativa 

deve operare -si � detto nella pronunzia test� richiamata, e va ora 

ribadito -in guisa che si abbia �preventiva certezza delle competenze 

amministrative dello Stato e della Regione �. Spetta dunque al legislatore 

discernere le esigenze unitarie, che sollecitano l'esercizio della funzione 

qui considerata: e, come vuole la legge n. 382, emanare esso stesso le 

norme volte ad attuarle, o diversamente stabilire almeno i criteri, in 

base ai quali, sempre in conformit� di dette esigenze, l'indirizzo ed il 

coordinamento -ed i connessi vincoli dell'attivit� amministrativa regio


nale -sono posti in essere mediante atti degli organi governativi. Simili 

estremi difettano per� nel caso in esame, per le ragioni di seguito precisate. 

Il testo che rimane invariato nell'uno e nell'altro decreto del Presidente 
del Consiglio, richiama, � vero, disposizioni della legge statale, cos� nel 
configurare i limiti di importo e durata, e le altre restrizioni afferenti agli 
interventi regionali nel settore del credito, come nel produrre norme di 
coordinamento in ordine alla disciplina dei rapporti con gli istituti e le 
aziende di credito, ai fini della concessione o erogazione di contributi in 
conto interessi. Senonch�, questa disciplina non � stata predisposta in 
vista dell'indirizzo e del coordinamento delle funzioni trasferite alle Regioni: 
essa � stata a tal proposito soltanto invocata, ed utilizzata, dall'organo 
esecutivo, .il quale ne ha per� largamente e sostanzialmente innovato 
il contenuto, col prevedere, fra l'altro, la distinzione tra medio e breve 
termine nel settore del credito, la tassativa e vincolata destinazione degli 
, interventi regionali in quest'ultima fascia temporale, l'attribuzione dei 
compiti sopra accennati alla Cassa delle imprese artigiane e ai relativi 
comitati tecnici regionali. L'atto amministrativo ha insomma instaurato 
un sistema di vincoli, che investe tutto un settore delle competenze regionali, 
senza per� che questo risultato fosse prescritto, e nemmeno con


sentito, da alcuna disposizione legislativa dello Stato. 

Un'avvertenza si impone solo per quel che concerne il tasso minimo 

di interesse a carico dei beneficiari, la cui fissazione in sede di indirizzo 

e coordinamento � testualmente prevista dall'art. 109 del d.P.R. n. 616 

del 1977. Cos�, in effetti, � stata inserita, nel medesimo contesto normativo 

in cui si ripartiscono le competenze tra Stato e Regione con riguardo 

alle agevolazioni creditizie, una norma, la quale abilita anche il Governo 

ad adottare la misura in essa definita. Ma proprio di questa puntuale 

copertura della legge l'organo deliberante non si � giovato. Quando, in


fatti, con riferimento alle agevolazioni del credito a medio termine, l'art. 2 

del decreto stabilisce che il limite minimo di tasso � fissato dal decreto 

ministeriale 7 aprile 1976 in applicazione dell'art. 2 bis del decreto legge 

16 agosto 1975, n. 377, e della relativa legge di conversione (16 ottobre 1975, 


m1:d>d.a1l� Corte � del resto avvalorato da qualche 
cui. conviene far cenno. Altri dati del vigente ordinasenso
� che i provvedimenti in esame andavano ema"'''"<�::::.:<::
�: ~�e criteri prestabiliti dalla fonte legislativa. L'art. 45, 
Cost; demanda, appunto, alla legge la tutela e lo sviluppo 

statroe con specifico riferimento ai limiti massimi entro cui 
Je funzioni regionali nel settore che qui si indaga: anche 
~vlM6i16; nell'ambito da essa coperto, preclude quindi il ricorso 
e l� dove, infine, il regolamento della specie in-
della programmazione economica -come accade in 
norma di indirizzo, contenuta nell'art. 5 del decreto 


240 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAT() 

p.q.m. 
a) dichiara che non spetta allo Stato esercitare i poteri di indirizzo 
e coordinamento degli interventi a favore del settore artigiano mediante 
atto amministrativo, senza che l'adozione di tale provvedimento sia consentita 
da un'apposita previsione legislativa statale; 

b) annulla di conseguenza i decreti del Presidente del Consiglio dei 
ministri 30 dicembre 1980 e 20 marzo 1981, di cui in epigrafe. 

II. 
I due ricorsi, proposti rispettivamente dalle province autonome di 

Trento e Bolzano, vanno riuniti e decisi con unica sentenza, in quanto 

entrambi investono la medesima normativa -venti articoli della legge 

22 dicembre 1975, n. 685 -e formulano le medesime censure, lamentando 

che la legge de qua: ha omesso di precisare che le competenze da essa 

conferite in materia alle regioni spettano, nel Trentino-Alto Adige, alle due 

province ricorrenti; ha facoltizzato il Governo della Repubblica a dettare 

in materia disposizioni di indirizzo e �coordinamento oltre i limiti consen


titi dallo Statuto speciale; ha devoluto ad organi dello Stato poteri 

amministrativi -di autorizzazione, di vigilanza, di controllo -spettanti 

statutariamente alle ricorrenti. 

La prima censura, con la quale vengono chiamati in causa ben tredici 
dei venti articoli impugnati, appare fondata. t!. un dato obiettivo, infatti, 
che la legge n. 685 del 1975 non indica mai nominatim le province di Trento 
e Bolzano quali attributarie delle competenze di che trattasi, bens� sempre 
e soltanto le �regioni�, i �consigli regionali�, la �giunta regionale�, 
i �comitati regionali�, gli �organi regionali�, gli �uffici regionali�, i 
�centri regionali medici�, la �autorit� sanitaria regionale�, le �statistiche... 
regionali � ecc. Ed � un dato obiettivo altres� che gli artt. 90 e 92 
dispongono rispettivamente che la regione delega taluni servizi alle � province 
� e che il consiglio regionale deve sentire le � amministrazioni provinciali
�. 

Rileva al riguardo la difesa dello Stato che non v'� motivo di doglianza 
giacch� in sede di approvazione della legge impugnata venne proposto 
-ed accolto dal Governo -l'ordine del giorno Boffardi ed altri, col quale 
esso Governo veniva impegnato, �ai fini dell'esercizio di funzioni da parte 
delle regioni o di loro organi, a tener conto che le stesse s'intendono riferite, 
per quanto attiene al Trentino-Alto Adige, alle province autonome di 
Trento e Bolzano�. Senonch�, pur prescindendo da qualsiasi cenno alla problematica 
degli ordini del giorno in s� e del loro effettivo e durevole 
valore vincolante nei confronti del potere governativo, deve negarsi validit�, 
soprattutto in sede giurisdizionale, alla concezione secondo cui ad 
un ordine del giorno -atto monocamerale, interno, per di pi� approvato 


Nel dare vita al sistema in discorso, il legislatore statale ha mirato 
ad eliminarele condizioni che favoriscono 11 diffondersi del fenomeno; ponendo 
in pericolo alcuni di quei valori che, per espresso. dettato della 
Costituzione, la Repubblica italiana � tenuta a tutelare, e che risultano 
espressamente evocati nel dibattito parlamentare conclusosi con la legge 
de qua.. L'art. 31 cpv., Cost., prescrive di proteggere � la giovent��, oltre 
che la �maternit� e l'infanzia, e l'art. 32, primo comma,. Cost., dispone che 


242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� la salute � va tutelata, in quanto � non solo � fondamentale diritto dell'individuo 
�, ma anche � interesse della collettivit��. Ora, poich� il fenomeno 
droga attenta ai suddetti valori, ne discende che le singole disposizioni 
contenute nella legge in vigore non sono correttamente valutate, se 
non in relazione all'ineludibile e preminente dovere costituzionale di salvaguardare 
quei valori. 

Ma l'impugnata legge � anche l'attuazione nel nostro ordinamento della 
strategia globale, concordata in sede internazionale, contro il sempre pi� 
diffuso ed allarmante uso non terapeutico della droga. Ne � prova il fatto 
che essa � stata emanata poco pi� di un anno dopo la pubblicazione 
nella Gazzetta Ufficiale (30 settembre 1974) della legge (5 giugno 1974, 

n. 412) che contiene appunto la �ratifica ed esecuzione della Convenzione 
unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del 
protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1971 �; ne 
offre conferma definitiva l'art. 4, lett. a), di tale Convenzione, il quale 
stabilisce testualmente che �le Parti adotteranno le misure legislative e 
amministrative che si renderanno necessarie per dare attuazione alle disposizioni 
della presente Convenzione nei loro territori �. Stante allora il 
rilevato legame, la legge n. 685 del 1975 non pu� a sua volta essere intesa 
ed applicata rettamente, se non tenendo presenti la Convenzione, i motivi 
che l'hanno promossa ed i princ�pi cui si � ispirata, la strategia e gli 
stn1menti da essa delineati e, soprattutto, i valori che intende salvare. 
(omissis) 

Nel testo articolato, poi, che � una compiuta e minuziosa regolamentazione 
della materia, risulta, tra l'altro, fatto obbligo alle Parti: di inviare 
al Segretario generale, non solo �un rapporto annuale relativo all'esecuzione 
della Convenzione in ogni suo territorio�, ma anche � i testi di tutte 
le leggi e di tutti i regolamenti promulgati al fine di dare applicazione 
alla (presente) Convenzione � e persino � i nomi ed indirizzi delle autorit� 
amministrative autorizzate a rilasciare le autorizzazioni od i certificati di 
esportazione ed importazione� (art. 18, paragrafo 1), nonch� di fornire 
all'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti stime, statistiche 
annuali e trimestrali, informazioni, ecc. (artt. 12, 13, 14, 20); di esigere 
che le persone � che occupano posti direttivi o di sorveglianza... abbiano 
le qualit� necessarie per applicare concretamente e fedelmente le disposizioni 
delle leggi e regolamenti emanati in esecuzione della (presente) 
Convenzione� (art. 34, lett. a); di assicurare �sul piano nazionale un 
coordinamento dell'azione preventiva e repressiva contro il traffico illecito�, 
creando all'uopo � un servizio adeguato incaricato di tale coordinamento � 
(art. 35, lett. a); di consentire che sul proprio territorio �l'Organo internazionale 
di controllo degli stupefacenti� faccia �intraprendere uno studio
�, quando abbia � ragioni obiettive di credere che gH scopi della 
(presente) Convenzione siano seriamente compromessi dal fatto� che le 
autorit� del posto �non attuino le disposizioni della Convenzione� (art. 14, 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

paragrafo 1, come modificato con l'art. 6 del protocollo di emendamento); 
di punire con adeguata pena detentiva ogni infrazione dolosa e grave, 
anche se solo allo stato preparatorio (art. 36, paragrafi 1 e 2, come modificati 
dall'art. 14 del protocollo di emendamento) ecc. 

Con le ricordate disposizioni, lo Stato italiano risulta convenzionalmente 
vincolato, nei confronti della comunit� internazionale e, per essa, 
nei confronti degli �organi internazionali di controllo�, indicati nominatim 
nell'art. 5 della Convenzione -nonch� della �Organizzazione mondiale 
della sanit��, indicata nell'art. 3 -, ad assicurare sul piano nazionale il 
felice esito dell' � azione universale � intesa a � prevenire e combattere � 
il �flagello� rappresentato dal consumo di stupefacenti a scopo voluttuario. 
Tra gli impegni miranti a tal fine sono compresi quelli di coordinare 
ogni misura, non solo repressiva, ma anche preventiva, adottata per 
applicare fedelmente la Convenzione, e di esercitare un effettivo controllo, 
non solo sull'intera vicenda degli stupefacenti, dalla coltivazione al consumo, 
e sugli operatori in materia (art. 30), ma anche sull'affidabilit� del 
personale statale con compiti di direzione e di sorveglianza (art. 34). 

Si tratta di reagire contro un fenomeno di dimensione ormai mondiale, 
qual � diventato appunto il fenomeno-droga, che ha effetti devastanti, 
non solo su quei valori espressamente richiamati dalla Convenzione, 
come l'� individuo� e la �salute fisica e morale dell'umanit��, ma 
anche sugli altri valori che, come pi� sopra gi� rilevato, la nostra Costituzione 
non si limita a proclamare, ma impegna la Repubblica a tutelare, 
quali appunto la �giovent�� e la �collettivit��. Contro questa minaccia 
l'umanit� ha reagito, concordando �un'azione universale �, � una costante 
cooperazione nazionale� ed imponendo agli Stati, mediante la Convenzione 
unica sulla droga, adempimenti che, per la loro dovizia, intensit� e 
specificit�, non sono certo consueti, e che trovano giustificazione nella consapevolezza, 
anche da parte degli Stati pi� gelosi della loro sovranit�, 
che il flagello della droga, alleato su scala mondiale con organizzazioni 
antigiuridiche, non pu� �essere vittoriosamente combattuto con guerre 
locali. Da quanto precede � congruente dedurre che questi obblighi rappresentano 
la guida pi� sicura nell'opera di interpretazione ed applicazione 
della disciplina nazionale che ha attuato la Convenzione, segnando la fine 
della superata legge di oltre vent'anni prima (22 ottobre 1954, n. 1041). 
Ed al riguardo valgono altres� le considerazioni svolte nella sentenza 

n. 30 del 1981, le quali indusseto questa Corte a dichiarare inammissibile 
la richiesta di referendum popolare per la parziale abrogazione della 
legge de qua. 
Alla stregua delle suesposte considerazioni, appare non fondata la censura 
formulata contro quelle disposizioni della legge n. 685 del 1975, le 
quali, per quanto riguarda la prevenzione, la cura, la riabilitazione degli 
stati di tossicodipendenza, hanno assoggettato le regioni -e, quindi, le 
ricorrenti province -� alle direttive, all'indirizzo e al coordinamento del 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

244 

Ministero della sanit��, cio� dello Stato, (art. 1, secondo comma) ed attribuito 
a questo la potest� di stabilire � i criteri di indirizzo e di coordinamento
� (art. 2). Le due province di Trento e Bolzano -osserva la loro 
difesa -godono di autonomia speciale, hanno potest� legislativa esclusiva 
in materia di �assistenza e beneficenza pubblica, ai sensi dell'art. 8, n. 25, 
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale 
per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e, pur se in 
materia di � igiene e sanit�, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera
�, hanno, invece, competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 
9, n. 10, stesso d.P.R. n. 670 del 1972, la loro competenza in tale 
settore � pi� ampia di quella delle regioni a statuto ordinario, perch� 
� comprende l'intero campo dell'igiene e sanit� �. Ne deriva che sarebbe 
precluso allo Stato qualsiasi intervento nelle suddette materie, sia pur 
soltanto sotto le forme di direttive, di indirizzo e di coordinamento. 

L'opinione non pu� essere condivisa. A parte le ragioni pi� sopra 
illustrate, l'attivit� di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di 
tossicodipendenza non pu� farsi rientrare nella materia �assistenza (e beneficenza) 
pubblica�; del resto, se � pur vero che tale materia � compres_a 
nella competenza legislativa esclusiva delle due province, � altrettanto vero 
che questa non � illimitata perch�, attraverso il rinvio dell'art. 8 all'art. 4 
del menzionato d.P.R. n. 670 del 1972, incontra precisi e invalicabili 
limiti, tra i quali si annovera anche quello del � rispetto degli obblighi 
internazionali �. Ci� vale a maggior ragione in ordine alla materia � igiene 
e sanit�, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera �, giacch� la 
competenza legislativa concorrente, attraverso il rinvio dell'art. 9 all'art. 5 
e di questo all'art. 4, si imbatte anch'essa nel principio del �rispetto 
degli obblighi internazionali �. Uno dei quali � appunto quello di � prevenzione 
ed intervento contro l'uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti 
o psicotrope�, previsto dall'impugnato art. 2 della legge n. 685 
del 1975, il quale, a ben guardare, � la trascrizione dell'art. 38, paragrafo 1, 
della Convenzione (come modificato dall'art. 15 del protocollo di emendamento), 
secondo cui gli Stati (adotteranno tutte le misure possibili� per 
prevenire l'abuso degli stupefacenti e � per assicurare la pronta diagnosi, 
cura, correzione, p�st-cura, riabilitazione e reinserimento sociale delle persone 
interessate �. Non pu� al riguardo non convenirsi che, in un ordinamento 
nel quale tale compito spetti, secondo Costituzione, a poteri locali 
dotati di autonomia legislativa, � pur sempre il potere centrale responsabile, 
dinanzi agli organi internazionali, dello scrupoloso adempimento 
dell'obbligo su tutto il territorio nazionale e, per ci� stesso, legittimato 
ad impartire le necessarie direttive, a stabilire i criteri di indirizzo e 
coordinamento. Oltre tutto, � attraverso questi strumenti che, in uno Stato 
delle autonomie, il potere centrale pu� assicurare la fedele ed uniforme 
osservanza, da parte dei poteri locali, delle raccomandazioni, delle decisioni 
e misure correttive, dei pareri tecnici, che gli organi internazionali 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

formulano, adottano, esprimono ai sensi rispettivamente, degli artt. 8, 
lett. c), 14 e 38 bis della Convenzione. Ne offre definitiva conferma l'art. 5, 
primo comma, della legge 23 dicembre 1978; n. 833, recante �Istituzione del 
servizio sanitario nazionale �, a sensi del quale �la funzione di indirizzo 
e coordinamento delle attivit� amministrative delle regioni in materia sanitaria, 
attinente ad esigenze di carattere unitario... nonch� agli impegni 
derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari, spetta allo Stato �. 

Non vanno poi trascurati altri argomenti, che integrano quanto pi� 
sopra gi� esposto. 

La crescente diffusione del consumo di droga a scopo non terapeutico 
e l'opera di prevenzione e cura costituiscono un problema, che, secondo 
l'indirizzo ormai prevalente, interessa la scienza -non solo medica con 
i suoi continui aggiornamenti e perfezionamenti. ti. riconoscendo questo 
carattere peculiare del fenomeno, che gli Stati hanno convenuto di 
coordinare �i loro sforzi�, non solo nella repressione, ma anche nella 
prevenzione e terapia, mediante comuni � programmi di ricerche scientifiche 
e (gli) scambi di informazioni di carattere scientifico e tecnico� 
(art. 8, lett. e, della Convenzione), e di far capo in materia agli organi 
internazionali appositamente creati (art. 5 Convenzione) -oltre che a 
quelli preesistenti, come l'Organizzazione mondiale della sanit� (art. 3 Convenzione) 
-o anche ad altre �istituzioni specializzate� (art. 38 bis della 
Convenzione), nonch� di istituire nuovi organismi, quali appunto sono i 
� centri regionali di ricerca scientifica e di correzione al fine di lottare 
contro i problemi derivanti dall'uso (e dal traffico illecito) degli stupefacenti
� (art. 38 bis Convenzione). Se cos� �, allora direttive, indirizzo e 
coordinamento dello Stato ai sensi della Convenzione sono per esso Stato 
attivit� dovuta, e perci� indeclinabile. 

Ancora: constatato che la tossicomania, la quale ha perduto la dimensione 
individuale dei tempi andati, si � dappertutto rivelata, per la raggiunta 
dimensione sociale, uno dei pi� preoccupanti problemi del tempo 
presente, se ne � inferito che il fenomeno � una malattia sociale e che, 
quindi, come tale va trattata. Sono nella logica di questa concezione 
quelle norme della Convenzione che prevedono, per le � persone utilizzanti 
in modo abusivo stupefacenti �, in luogo di una sanzione penale o in 
aggiunta ad essa, la sottoposizione � a misura di cura, correzipne, postcura, 
riabilitazione e reinserimento sociale� (art. 36, paragrafo 1 emendato) 
e la � formazione di un personale � capace di assolvere un cos� arduo compito 
(art. 38, paragrafo 2 emendato). La legge n. 685 del 1975, disponendo 
�interventi� non solo �informativi ed educativi� (artt. 85-89), ma anche 
�preventivi, curativi e riabilitativi� (artt. 95-102), e creando appositi � centri 
medici e di assistenza sociale� (artt. 90-94), mostra di avere pienamente 
accolto quella concezione. Ma una malattia sociale, per di pi� in 
paurosa crescita, che pone in gioco il presente e l'avvenire dell'intera comunit� 
nazionale, non si contiene e, meno ancora, si debella, combattendola 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

246 

in ordine sparso, bens� mediante un'azione organica e coerente. In una 
siffatta contingenza, insomma, ricorrono quelle �esigenze di carattere unitario
�, gi� affermate da questa Corte (sentenza n. 39 del 1971) -anche 
con riferimento � agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali � -e 
quella necessit� di �tutela di interessi unitari� (sentenza n. 142 del 1972), 
che concorrono a far ritenere del tutto legittimo in materia l'esercizio 
da parte dello Stato del potere di indirizzo e coordinamento, esplicitamente 
ribadito nel gi� menzionato art. 6 della legge n. 833 del 1978. 

(omissis). 

Tale conclusione non viene inficiata, contrariamente a quanto ritiene 
la difesa delle province, per il fatto che, in pendenza del ricorso, la provincia 
di Bolzano ha istituito un servizio di prevenzione, cura e riabilitazione 
delle forme di devianza sociale, compresa la tossicodipendenza, e 
che il Governo nessun rilievo ha mosso alla relativa legge provinciale 
(7 dicembre 1978, n. 69). Nel presente giudizio, infatti, non � in contestazione 
la competenza legislativa delle due province ricorrenti in materia 
bens� la legittimit� del potere statale di direzione e coordinamento, che 
non � certo preclusivo dell'esercizio delle funzioni, anche legislative, spettanti 
alle ricorrenti. (omissis) 

Deve egualmente dichiararsi infondata anche la residua censura, quale 
precisata nelle memorie di cui sopra: le due province denunciano l'illegittimit� 
costituzionale degli artt. 103 e 107 della legge de qua, in quanto 
facoltizzano il Ministro della sanit� ad utilizzare direttamente, �in caso di 
carenza degli organi regionali�, i fondi assegnati alle regioni per l'attivit� 
di prevenzione, cura e riabilitazione (art. 103, quinto comma) e ad istituire 
�con proprio decreto�, �qualora i Consigli regionali non provvedano nel 
termine� stabilito, �i centri regionali medici e di assistenza sociale� 
(art. 107, terzo comma). Cos� disponendo, la legge avrebbe riservato allo 
Stato poteri sostitutivi in violazione degli artt. 4, n. 7, e 5, n. 2 del 
pi� volte menzionato statuto (d.P.R. n. 670 del 1972), che riservano alla 
regione Trentino-Alto Adige � la competenza a livello di strutture, vale a 
dire di ordinamento delle istituzioni di assistenza e beneficenza e degli 
enti sanitari ed ospedalieri �. 

La creazione dei �centri regionali medici e di assistenza sociale� 
rientra indubbiamente nell'obbligo, che lo Stato ha assunto con la Convenzione 
unica sugli stupefacenti, di adottare in materia misure per la 
prevenzione, cura e riabilitazione, e pu� pertanto considerarsi un'attivit� 
dovuta, che legittima l'intervento dello Stato nel caso in cui gli enti titolari 
della relativa competenza tardino a provvedere, compromettendo cos� 
l'esito della lotta che lo Stato ha l'impegno di combattere contro la droga 
per la salvezza dei valori costituzionalmente garantiti, di cui pi� sopra si 
� detto. Non sembra pertanto che si ravvisi la denunciata illegittimit� 
costituzionale; tanto pi� che l'art. 107, terzo comma, statuisce che �qua




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

lora i consigli regionali non provvedano nel termine sopra indicato, il 
Ministro per la sanit� istituisce con proprio decreto in via provvisoria, i 
centri regionali medici e di assistenza sociale�. (omissis) 

III. 
(omissis) Pertanto, il problema che tutte le ordinanze propongono 
alla Corte si risolve nel verificare se la delega giuntale agli assessori, 
come prevista dall'art. 4 cpv. della legge regionale n. 9 del 1972 (al di 
l� degli specifici casi in questione nei giudizi a quibus), sia direttamente 
o indirettamente incostituzionale: da un lato, per la pretesa lesione 
degli artt. 118, terzo comma, e 121 Cost.; d'altro lato, in riferimento 
al � modo collegiale � di esercizio delle attribuzioni della Giunta, prescritto 
dall'art. 25, secondo comma, dello Statuto regionale: la violazione 
del quale verrebbe in sostanza a sovvertire il sistema delle fonti 
normative regionali, configurato dagli artt. 117 e 123 della Costituzione. 

Ora, va precisato anzitutto che n� la Costituzione n� lo Statuto della 
Regione Emilia-Romagna escludono in termini assoluti qualunque tipo 
di delegazione delle attribuzioni giuntali agli assessori: come invece 
ipotizzano le ordinanze di rimessione e come, specialmente, assumono 
le difese delle parti ricorrenti nei giudizi a quibus. 

a) Sul piano costituzionale, non � questo il significato degli artt. 118, 
terzo comma, e 121 Cost., cui fanno sommario richiamo alcune ordinanze 
del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna. 

La prima di tali diisposizioni prescrive bens� che la Regione eserciti 
le proprie funzioni amministrative � delegandole alle Provincie, ai Comuni 
o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici �. Ma questi criteri 
s'impongono solo � normalmente �, cio� sulla base di una serie di valutazioni 
politiche e tecniche, aventi riguardo -in particolar modo alla 
natura delle varie !unzioni regionali ed all'efficienza delle varie specie 
di enti locali, fra cui la Regione � pur sempre chiamata ad effettuare 
una scelta ai fini della delega (come pure nel caso alternativo d'una 
diretta utilizzazione delle loro strutture). Valutazioni e scelte del genere, 
evidentemente, mal si prestavano ad essere operate con effetto immediato, 
sin dal primo trasferimento delle funzioni amministrative statali, 
e senza aver potuto stabilire una nuova disciplina delle funzioni medesime. 


Del resto, gi� nell'art. 1, secondo comma lett. a, della legge regio� 
nale n. 9 del 1972 si prevedeva che le contestuali � norme transitorie � 
per l'esercizio delle funzioni trasferite o delegate alla Regione EmiliaRomagna 
avrebbero perduto efficacia con l'entrata in vigore �delle leggi 
che, entro un anno dalla promulgazione di questa legge, conferiranno la 
delega delle funzioni agli enti locali di cui all'art. 57 dello Statuto "� E 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

248 

varie leggi regionali successive -in parte ricordate dalle pi� recenti 
fra le ordinanze in esame -sono in effetti intervenute per attuare in 
tal senso lo Statuto e la Costituzione, sia pure con ritardo rispetto ai 
tempi dapprima indicati (e senza incidere sull'originaria rilevanza delle 
impugnative gi� proposte dai giudici a quibus). 

N� si pu� dire che la delega delle funzioni giuntali agli assessori 
sia comunque lesiva dell'art. 121 Cost. Disponendo che �sono organi 
della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente �, il 
primo comma di quell'articolo non ha inteso dettare un elenco esaustivo 
degli uffici regionali competenti ad adottare atti provvisti di rilevanza 
esterna, ma pi� semplicemente ha indicato gli organi necessari dell'ente 
in questione, risolvendo pertanto un problema attinente alla forma 
regionale di governo. Il che non esclude che i provvedimenti amministrativi 
I'.egionali possano venire adottati per mezzo di organi o soggetti 
diversi (quali sono, oltre agli assessori, gli � enti amministrativi dipendenti 
dalla Regione�, le strutture decentrate in applicazione dell'art. 129 
Cost., gli uffici degli enti locali di cui alla parte finale dell'art. 118, terzo 
comma ...): alla sola condizione che ci� non comprometta la stessa posizione 
di �organo esecutivo delle Regioni� espressamente attribuita 
alla Giunta dall'art. 121, terzo comma. 

b) Conclusioni analoghe vaJgono anche per quanto riguarda l'art. 25 
dello Statuto della Regione Emilia-Romagna, malgrado esso affermi -nel 
suo secondo comma -che � la giunta � responsabile collegialmente 
di fronte al consiglio, determina la ripartizione dei compiti fra i propri 
componenti ed esercita le proprie attribuzioni in modo collegiale �. 

Da questo disposto il Consiglio di Stato desume � che una cosa � 
la semplice ripartizione dei compiti�, prevista dalla ricordata norma 
statutaria, �ed altra � l'attribuzione agli assessori, mediante la delega, 
di funzioni amministrative che comportano la emanazione di provvedimenti 
di sicura rilevanza esterna�; laddove atti del genere dovrebbero 
sempre venire adottati -come precisa il Tribunale amministrativo 
regionale per l'Emilia-Romagna -�dalla Giunta nel suo complesso, 
nella sua competenza e responsabilit� collegiale�. Una cos� rigida ricostruzione 
della disciplina statutaria in esame trascura, per�, la circostanza 
che l'art. 25 non pu� venire scisso dall'articolo che lo precede, 
concernente appunto le funzioni che spettano alla Giunta regionale. Dopo 
aver elencato una serie di specifiche attribuzioni giuntali, l'art. 24, terzo 
comma n. 11, termina infatti con la disposizione -giustamente messa 
in luce dalla difesa della Regione -per cui nella competenza della 
Giunta rientra altres� l'adozione dei �provvedimenti di ordinaria amministrazione
�, ma nei soli �limiti stabiliti dalla legge regionale�: il che 
non tanto consente di far rifluire siffatti provvedimenti nella generale 
competenza del Consiglio, al di l� del ruolo proprio del legislativo regionale, 
quanto facoltizza le leggi locali a conferire l'esercizio di quelle 


PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

funzioni giuntali ad organi subordinati alla Giunta medesima, assessori 
regionali inclusi. 

Ed anche il Consiglio di Stato finisce per prendere atto di simili 
esigenze, rispondenti -oltre tutto -alla direttiva costituzionale di 
buon andamento dell'amministrazione, allorch� distingue con nettezza 
fra le deleghe implicanti �la realizzazione di una attivit� meramente 
esecutiva� e le deleghe attinenti all'� esercizio di rilevanti poteri discrezionali
�: per avvertire che solo le seconde sarebbero sicuramente in


. compatibili � con il disegno statutario �. 

Senonch� tutto questo non vale a sanare il contrasto fra la norma 
impugnata e l'art. 25, secondo comma, dello Statuto della Regione EmiliaRomagna. 


Effettivamente, come nel primo comma dell'art. 4 della legge regionale 
n. 9 del 1972 si considerano tutte le funzioni amministrative 
fatte rientrare nella competenza della Giunta sulla base dei decreti presidenziali 
di trasferimento del 14-15 gennaio 1972, cos� nel comma seguente 
-senza operare distinzioni, n� introdurre eccezioni di sorta si 
prevede che ognuna di tali funzioni possa venir delegata dalla Giunta 
ai suoi singoli componenti. In altri termini, per chi la interpreti nel 
senso �fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione 
di esse�, la norma impugnata non � riferibile alla sola adozione 
dei �provvedimenti di ordinaria amministrazione�, specificamente 
previsti dall'art. 24, terzo comma n. 11, dello Statuto regionale, ma include 
l'intero complesso delle attribuzioni giuntali, risultanti dai predetti 
decreti di trasferimento, ivi compresi gli atti di alta amministrazione, 
nell'adozione dei quali la Giunta sia dotata di larghi margini 
discrezionali. Il che concreta un'evidente lesione dello Statuto, l� dove 
esso impone -di regola -l'osservanza del principio di collegialit�. 

Non giova replicare che l'art. 4 cpv. distingue comunque fra la titolarit� 
delle funzioni delegate, che resta in capo alla Giunta, e l'esercizio 
di esse, che spetta ad ogni singolo assessore interessato. Deleghe cos� 
ampie come quelle in esame, non riguardando la sola firma di determinati 
atti o la mera esecuzione di previe deliberazioni o direttive 
giuntali, comportano pur sempre una sostanziale alterazione dell'ordine 
delle competenze statutariamente previsto, cui non si pu� consentire 
qualora lo stesso Statuto lo escluda. 

D'altra parte, non � revocabile in dubbio che il riscontrato contrasto 
con l'art. 25 cpv. dello Statuto speciale si risolva in una violazione 
-sia pure indiretta -dell'art. 123 Cost., determinando pertanto 
l'illegittimit� costituzionale della norma impugnata. II primo comma 
dell'art. 123 include espressamente nella competenza statutaria � le norme 
relative all'organizzazione interna della Regione�, con particolare 
riguardo alla disciplina dei rapporti fra gli organi regionali di governo; 
e, sebbene 1'� ordinamento degli uffici� regionali rientri nella compe



'250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tenza legislativa definita dal primo. comma dell'art. 117 Cost., la dottrina 
e la stessa giurisprudenza riconoscono che la legislazione locale deve 
in tal campo uniformarsi allo Statuto. Diversamente, infatti, non avrebbe 
senso l'apposito ed aggravato procedimento formativo dello Statuto stesso, 
prescritto dal capoverso dell'art. 123: in cui si richied.e che tale atto 
venga �deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei 
suoi componenti � e -specialmente -si esige che esso sia quindi 
� approvato con legge della Repubblica �. 

Ed anche la Corte si � implicitamente pronunciata in questo senso, 
con la sentenza n. 10 del 1980, che ha dichiarato -fra l'altro -non 
fondata la questione di legittimit� costituzionale d'una serie di norme 
della legge laziale n. 20 del 1973, sollevata per il preteso contrasto con 
l'art. 49, secondo comma, lett. b, dello Statuto della Regione Lazio. 

IV. 
(omissis) Le controversie di cui � investita la Corte concernono, 
per asserita violazione dell'art. 81 Cost., disegni di legge approvati dagli 
organi legislativi di varie Regioni: Umbria, Campania, Valle d'Aosta, 
Friuli-Venezia Giulia e Sicilia. 

I relativi giudizi sono riuniti e definiti con unica sentenza, data 
l'identit� del precetto costituzionale che con tutti i ricorsi in esame si 
assume leso. 

Le proposte questioni di legittimit� vanno dichiarate fondate con 
riguardo ai disegni di legge approvati dai Consigli regionali dell'Umbria, 
della Campania e della Valle d'Aosta. Soccorrono in questo senso le 
considerazioni seguenti. 

Il disegno di legge umbro autorizza (all'art. 1) la Giunta regionale 
all'anticipazione di somme a favore di certe categorie di aziende agricole, 
in riferimento a provvedimenti formali delle competenti autorit�, 
di provvidenze e contributi previsti in fonti statali e comunitarie..., 
nonch� a favore dei beneficiari del regime di aiuti del FEOGA, sezione 
orientamenti, dove si tratti di realizzare progetti per i quali sia intervenuta 
decisione favorevole della Commissione delle Comunit� Europee. 

Nell'apposita norma concernente le modalit� e i criteri dell'erogazione 
(art. 2) � stabilito che, ai fini della garanzia del recupero, le 
anticipazioni sono concesse previo rilascio, a favore della Regione, di 
delega a riscuotere le somme spettanti ai beneficiari in base al titolo 
suddetto; il beneficiario rimane direttamente responsabile della restituzione 
della somma ricevuta, dandosi obbligo di sottoscrivere apposita 
convenzione. Le norme finanziarie (cfr. l'art. 3) fissano in L. 1.500.0000 
il massimo ammontare dell'anticipazione consentita, da imputare, per 
l'esercizio degli anni 1975 e seguenti, ad un capitolo di nuova istituzione, 
nella parte uscita del bilancio, mentre � istituito, nella parte. entrata 



PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

del bilancio stesso, il corrispondente capitolo, al quale sono destinate 
le somme rimborsate. 

Il Governo aveva eccepito, in sede di rinvio, che il provvedimento 
cos� congegnato non rispondeva ai precetti dell'art. 81 Cost., nel senso, 
precisamente, che non veniva indicata, in relazione ai finanziamenti, 
alcuna fonte immediatamente disponibile, ma si faceva affidamento sul 
recupero delle somme anticipate, senza tener conto della aleatoriet� del 
momento in cui la previsione dell'entrata avrebbe potuto concretamente 
operare. Di fronte alla riapprovazione della legge da parte degli organi 
regionali, l'Avvocatura dello Stato afferma, nel ribadire la lamentata 
infrazione dell'art. 81 Cost., che ogni finanziamento ed ogni anticipazione 
ha un suo costo, che non pu� essere compensato con la mera 
restituzione della somma anticipata. (omissis) 

Resta, per�, il decisivo rilievo che l'imputazione al capitolo di entrata 
dei proventi del recupero non costituisce idonea copertura della 
spesa. �Si tratta, invece, di una soluzione imposta dallo stesso meccanismo 
dell'anticipazione, perch� altrimenti sarebbe stata duplicata la 
sovvenzione erogata ai beneficiari. La via prescelta nella legge regionale 
-quella di un'erogazione temporanea, e del connesso riferimento 
ad altro e successivo provvedimenfo amministrativo -implica, d'altra 
parte, la necessaria scissione fra la fase dell'anticipazione e quella del 
recupero: ed � proprio questo risultato ad offendere l'invocato precetto 
costituzionale, nonostante le molteplici cautele che la Regione deduce 
di avere introdotto nel disegno di legge per garantirsi del recupero delle 
somme anticipate. Infatti, l'anticipazione costituisce pur sempre un nuovo 
onere a carico del bilancio regionale, e la relativa copertura va reperita, 
ai sensi dell'art. 81, ultimo comma, Cost., attraverso i mezzi consueti: 
cio� con quelle fonti di finanziamento della spesa, che consentono 
di non alterare nel corso dell'esercizio i dati impostati nel bilancio di 
previsione. 

Il disegno di legge approvato dal Consiglio regionale della Campania 

il 26 febbraio 1976, consta di un solo articolo, in cui si dispone che il 

capitolo, ivi individuato, dello stato di previsione dell'entrata, �, per 

l'anno finanziario 1975, aumentato dell'importo di lire venticinque miliar


di, e che in p�ri misura � aumentato il corrispondente capitolo dello 

stato di previsione della spesa... 

Tale disegno era stato una prima volta approvato dal legislatore 

campano, ma rinviato dal Governo, con il rilievo che non vi erano indicate 

le ragioni della prevista variazione di bilancio. In sede di riesame, il Con


siglio regionale, prima di riapprovarne il testo, ha richiamato una � rela


zione illustrativa � ed una lettera del Presidente della Giunta, nella quale 

sarebbe motivata l'urgenza del provvedimento e indicata la fonte di 

copertura della conseguente spesa. Nel ricorso successivamente prodotto 

dal Presidente del Consiglio, la violazione del citato precetto costitu



252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zionale � poi dedotta sull'assunto che, alla stregua della costante giurisprudenza 
di questa Corte, il terzo comma forma sistema con il quarto 
comma dell'art. 81 Cost. Di qui si fa discendere che la legge di variazione 
del bilancio, non importa se della Regione o dello Stato, � istituzionalmente 
vincolata ad operare nell'ambito dell'ordinamento precostituito 
dalla legislazione sostanziale: laddove, asserisce l'Avvocatura, l'onere finanziario 
conseguente all'approvazione dell'impugnato disegno non trae idoneo 
titolo di copertura dalla previgente normativa. La Regione oppone, 
dal canto suo, che alla spesa prevista si fa fronte, come risulterebbe 
dalla relazione e dalla lettera sopra ricordate, con le somme destinate 
dal Tesoro nazionale ad integrazione del fondo nazionale ospedaliero. 
Una legge di variazione del bilancio -e tale � quella che qui viene 
in rilievo -non lede il sistema dell'art. 81 Cost. -si afferma, in 
sostanza, dalla ricorrente -quando le nuove spese siano coperte con 
fondi comunque derivanti da entrate gi� previste dalla normazione in 
vigore; e si soggiunge che non rileva a tal riguardo se le somme siano, 
oppur no, gi� introitate e materialmente d.::tenute dalla Regione. Con 
riferimento alla specie si assume, va precisato, che l'osservanza del 
precetto costituzionale sia assicurata grazie al disposto degli artt. 14 
e 16 della legge statale n. 386 del 17 agosto 1974, che ha convertito il 

d.l. 8 luglio 1974, n. 264. Queste norme di legge prevedono, fra l'altro, 
l'istituzione nello stato di previsione della spesa del Ministero della 
Sanit�, a decorrere dall'l gennaio 1975, di un capitolo denominato 
� Fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera � e destinato al finanziamento 
della spesa per gli scopi che la legge stessa contempla; dispongono 
come detto fondo � alimentato, e dettano procedure, modalit� e 
criteri con riguardo alla ripartizione del fondo stesso fra le Regioni. 
I relativi parametri vanno -� ivi stabilito -determinati numericamente 
per ogni singola Regione, in base agli elementi di valutazione 
appositamente indicati; le quote da assegnare alle Regioni sono trasferite 
con decreto del Ministro per la Sanit�, di concerto con il Ministro 
del Tesoro ed il Ministro per il Lavoro e la Previdenza Sociale. 
Proprio in forza, dunque, delle test� riferite statuizioni, gli organi re� 
gionali hanno, in sede di riapprovazione del disegno in esame, ritenuto 
di poter dedurre che alla Campania dovessero essere assegnati, per l'anno 
1975, 40 miliardi di lire, corrispondenti a circa il 20-22 % del fondo nazionale 
ospedaliero. La difesa della resistente ne trae ora la conseguenza che la 
variazione approvata, di venticinque miliardi, risultava largamente coperta. 
L'assunto va per� disatteso. La citata legge statale, ancor quando essa 
possa esser presupposta come mezzo di copertura dell'onere in questione, 
attribuisce alla Regione la relativa quota del fondo ospedaliero nazionale 
solo in seguito all'intervento degli organi centrali, chiamati, sia pure in 
conformit� alle puntuali indicazioni del dettato normativo, al discrezionale 
esercizio delle rispettive competenze. Una volta esaurita la serie degli 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

adempimenti procedurali, il prescritto decreto ministeriale determina la 
quota da assegnare alla Regione. Non essendo, nella specie, stato soddisfatto 
quest'ultimo requisito, risulta ingiustificato il riferimento fatto dalla 
Regione all'assegnazione suddetta come fonte di finanziamento, precostituita 
e gi� operante nell'ordinamento positivo,. in relazione all'impugnato 
provvedimento. In conseguenza, sussiste la dedotta violazione dell'art. 81 
Costituzione. 

Analogo ordine di considerazioni condt�ce a ritenere la fondatezza 
della questione che ha per oggetto il disegno di legge approvato dal consiglio 
regionale della Valle d'Aosta in data 31 marzo 1977, concernente 
�aperture di credito su mandato a favore dell'ente ospedaliero regionale 
ad integrazione delle leggi regionali 19 febbraio 1975, n. 4, e 29 dicem� 
bre 1975, n. 52 �. Il provvedimento autorizza la Giunta regionale a contrarre 
con proprie deliberazioni speciali, e fino alla concorrenza di due 
miliardi, aperture di credito, che potranno essere utilizzate dall'ente 
ospedaliero regionale; � altres� detto, nell'art. 2, ultimo comma, del disegno 
che la � spesa per la copertura degli oneri derivanti dall'utilizzazione dell'apertura 
di credito � assicurata dall'adeguamento delle quote da assegnare 
alla Regione per gli anni 1975 e 1976 sul fondo nazionale ospedaliero e da 
ogni altra fonte integrativa di finanziamento, ivi compreso il ricavato 
di eventuali mutui passivi, assistiti da garanzia regionale, da contrarre 
dall'ente regionale ospedaliero della Valle d'Aosta a copertura di tale 
apertura di credito�. L'Avvocatura dello Stato deduce che simili indicazioni 
non osservano il precetto dell'art. 81 Cost. Il rilievo era gi� stato 
mosso al disegno in esame dal Governo, in sede di rinvio; l'organo regionale 
aveva, nel riapprovare la legge, replicato che la copertura degli oneri 
assunti sussisteva, e veniva appunto offerta dalle proposte, sia pure non 
ufficiali, allora gi� avanzate dal CIPE, in ordine alle assegnazioni dello 
Stato al fondo ospedaliero per gli anni 1975 e 1976. 

I rilievi della Regione, va tuttavia avvertito, nulla tolgono alla fondatezza 
della proposta questione. Infatti, come soggiunge la difesa dello 
Stato, l'ammontare �del fondo suddetto, determinato annualmente nella 
legge di approvazione del bilancio di previsione, non pu� essere in alcun 
caso modificato dal CIPE, che di anno in anno deve solo verificarne l'andamento, 
quindi la sufficienza. A disporre eventuali adeguamenti ed integrazioni 
del fondo, di cui il CIPE abbia rilevato l'esigenza, provvedono, 
nell'autonomo esercizio delle rispettive funzioni, Governo e Parlamento, 
compatibilmente con la possibilit� di reperire i mezzi finanziari occorrenti 
(cfr. artt. 14 e 16 del citato d.l. n. 264/74 e della relativa legge di 
conversione �legge n. 386 del 1974 �). Del resto, la legge impugnata � 
stata deliberata prima dell'adozione del decreto ministeriale che secondo 
legge, come sopra si osservava, opera il trasferimento della quota da 
assegnare alla Regione (cfr. art. 16, ultimo comma, della citata legge 

n. 386 del 1974). La copertura della spesa, assunta dalla Regione nella 

"254 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

specie, viene dunque fatta dipendere da assegnazioni che, quando � 
stato approvato il disegno di legge, risultavano, per l'ammissione della 
stessa resistente, soltanto da proposte ufficiose del CIPE. Cos� configurata, 
la . previsione della spesa non � allora conforme alle prescrizioni dell'art. 
81 Cost. Ai fini cj.ella decisione che si adotta, deve aggiungersi, non 
rileva, d'.altronde, quanto la Regione espone, nella memoria aggiuntiva 
per l'udienza, circa le vicende del provvedimento del Presidente della Regione, 
istitutivo dell'ente ospedaliero regionale, che la legge in esame contempla. 
(omissis) 

V. 
(omissis) Neppure fondato � il secondo profilo. Invero non sarebbe 
stato logicamente possibile, contrariamente a quanto deduce l'ordinanza di 
rimessione, che l'art. 117 Cost. facesse riferimento al� rapporto di lavoro� 
del. personale dipendente dalle imprese concessionarie dei servizi di trasporto, 
dato che tale rapporto ha natura privatistica e la Regione, come 
questa Corte ha c�stantemente ritenuto, non ha poteri nell'ambito del 
diritto privato (cfr. le sent. 20 gennaio 1977 n. 38, 7 maggio 1975 n. 108, 
27 luglio 1972 n. 154 e 22 maggio 1968 n. 60). 

Piuttosto � da osservare come nella materia dei trasporti tramviari e 
automobilistici, attribuiti alla regione, non � possibile distinguere nettamente 
il momento organizzativo da quello funzionale, essendo i due mom�nti 
collegati da uno stretto nesso strumentale: sicch� deve ritenersi 
che anche la sub-materia relativa al personale suddetto rientra nella previsione 
dell'art. 117 Cost. con il limite, ben s'intende, sopra indicato, e 
quindi soltanto rispetto al profilo pubblicistico. 

Conseguentemente deve altresl ritenersi che anche le funzioni amministrative 
concernenti il personale erano comprese nell'ambito del d.P.R. 
14 gennaio 1972 n. 5 relativo al trasferimento alle regioni a statuto ordinario 
delle funzioni amministrative statali in materia di tramvie e linee 
automobilistiche di interesse regionale; ci� risulta dall'ampia formula 
dell'art. 1 cit. d.P.R. e non � contraddetto dalla disposizione dell'art. 3, 
ove � contenuta una elencazione delle funzioni trasferite, da considerare 
esemplificativa, come chiaramente risulta dall'espressione �tra l'altro�, ivi 
usata (si veda ora l'art. 84, ultimo comma, d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616)... 

Neppure pu� condividersi il terzo profilo sotto cui viene dedotta ulteriormente 
la violazione dell'art. 117 della Costituzione. 

In proposito, per stabilire la natura giuridica della norma impugnata, 
e cio� se essa attenga o no al diritto privato, non � possibile considerarla 
isolatamente, vale a dire avulsa dall'intera normativa emanata dalla 
Regione in tema di trasporti pubb'lici, ma occorre definirne la portata 
nel quadro complessivo di detta normativa. 

Avvenuto nel 1972 il trasferimento alle regioni ordinarie delle funzioni 
amministrative relative alle � tr�mvie e linee automobilistiche di interesse 
regionale� (le quali comprendevano, come si � detto, anche il personale) 

.. 



PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDBNZA COSTITUZIONALE 

e reso cos� concretamente possibile l'esercizio della correlativa potest� 
legislativa, la Regione Lazio, dopo un intervento puramente provvisorio, 
eman� la 1. 2 aprile 1973 n. 12 intitolata �Legge generale sui trasporti 
pubblici in concessione �. Con essa fu prevista la redazione di un piano 
generale dei trasporti concernente lo sviluppo equilibrato dei pubblici 
collegamenti regionali in diretto coordinamento con le linee di sviluppo 
economico e d� assetto territoriale della Regione; conseguentemente fu, 
tra l'altro, previsto il riordinamento dei servizi dati in concessione e stabilito 
che tale potere di riordinamento comportava la possibilit� di risolvere 
le concessioni di autolinee in atto (art. 4). 

All'art. 6 fu disposto che il personale appartenente alle imprese di 
trasporto, le quali cessavano le loro attivit� ai sensi del!a medesima legge, 
passava alle dipendenze del concessionario che assumeva la gestione dei 
servizi, fatte 1salve le posizioni giuridiche ed economiche leg1ttimamente 
acquisite. 

In attuazione di tale legge, la Regione Lazio eman� altro provvedimento 
legislativo (1. reg. 22 aprile 1975 n. 33) con cui recov� tutte le 
precedenti concessioni di autolinee in atto nei bacini del traffico della 
soc. Stefer e della soc. Romana Nord ed affid� tali servizi, in attesa della 
concessione definitiva ad un'azienda regionale (l'Acotral), alle due predette

,_ 

societ�, a capitale esclusivamente pubblico (art. 1). 

In conformit� all'art. 6, sopra riportato, della legge generale n. 12 
del 1973, l'art. 5 della 1. n. 33 del 1975 testualmente stabill: �Il personale 
dipendente dalle imprese di trasporto private che cessino la loro attivit� 
ai sensi della presente legge... avr� diritto, a richiesta, ad essere utilizzato 
dalle soc. Stefer e Romana Ferrovie del Nord, fermo restando il 
trattamento giuridico ed economico goduto al momento del trasferimento 
della gestione dei servizi�, 

Con l'art. 1 della 1. 2 dicembre 1975 n. 79, ossia con la disposizione 
impugnata dai giudici a quibus, si stabil� che i provvedimenti relativi al 
trattamento giuridico ed economico e all'inquadramento del personale 
considerato dall'art. 5 della citata legge n. 33 dello stesso anno, sarebbero 
stati adottati dalla Giunta regionale, previe trattative da condurre dalle 
due predette societ� con le organizzazioni sindacali di categoria e regionali 
confederali. . " 

Cos� puntualizzato il quadro della normativa regionale, giova rilevare 
che al personale dipendente dalle imprese private che cessavano dall'eser"' 
cizio del servizio pubblico dei trasporti automobilistici non spettava, in 
base alla legislazione statale, il diritto alla stabilit� del rapporto di lavoro. 

Al riguardo non gioverebbe invocare la disciplina speciale per il personale 
degli autoservizi extraurbani contenuta negli artt.. 26 r.d. 8 gennaio 
1931 n. 148, 1 1. 24 maggio 1952 n. 628 nonch� 5 1. 22 settembre 1960 n. 1054. 

Secondo un costante orientamento della Corte di cassazione, la stabilit� 
del rapporto di lavoro prevista dalla normativa speciale � subordinata 


256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla circostanza che permangano immutate le condizioni in cui si svolge 
il servizio gestito dalla impresa che ha cessato la sua attivit�, sicch� il . 
diritto del lavoratore non sussiste nel caso di mutamento di tali condizioni, 
come si verifica nel caso, pi� volte ricordato dalla giurisprudenza 
ordinaria, di intervento della pubblica autorit� che' provveda -e ci� � 
avvenuto appunto nella specie -al riordinamento del servizio. 

Il diritto alla stabilit� del rapporto di lavoro, con il mantenimento 
delle posizioni giuridiche ed economiche gi� acquisite, � riconosciuto perci� 
al personale in esame dalla legislazione regionale e precisamente dai 
ricordati artt. 6 I. n. 12 del 1973 e 5 della I. n. 33 del 1975. 

Da ci� chiaramente discende come non possa accertarsi la prospettazione 
delle ordinanze di rimessione, le quali, da un lato, riconoscono, sia 
pure implicitamente, che rientrava nel potere della Regione disporre la 
stabilit� del rapporto di lavoro, non risultante da alcuna legge statale e, 
dall'altro, negano invece tale potere rispetto alla norma puramente complementare 
e strumentale relativa alle modalit� di concreta attribuzione 
della posizione giuridica ed economica dei lavoratori nell'ambito delle 
imprese alle cui dipendenze erano passati. 

In realt� le due norme, pur se contenute in due testi legislativi formalmente 
distinti, costituiscono sostanzialmente un precetto di carattere 
unitario, il quale in un momento logicamente anteriore attribuisce un diritto, 
e, quindi, regola il procedimento per la sua attuazione concreta: 
sicch� ad esse per evidenti esigenze logiche non pu� non riconoscersi la 
medesima natura giuridica. 

Il conferimento ai lavoratori del diritto alla stabilit� ineriva, come 
non � contestato, al potere di riordinamento degli autoservizi di interesse 
regionale: e ci� sia per intuitive ragioni di carattere squisitamente sociale 
(la Corte non � in possesso di una documentazione ufficiale, ma dagli 
scritti difensivi si evince che trattavasi di circa quindicimila dipendenti). 
sia, sotto il profilo prettamente tecnico, per evitare che potessero andare 
disperse l'esperienza e la professionalit� dei dipendenti delle imprese gi� 
concessionarie, 

Se cos� �, allo stesso potere organizzativo era collegata anche la disposizione 
impugnata, concernente, come pi� volte si � detto, le modalit� con 
cui concretamente tale stabilit� doveva essere assicurata. (omissis) 

Con la seconda questione sollevata i giudici a quibus denunciano .la 
indicata disposizione con riferimento all'art. 39 della Costituzione, in 
quanto essa affiderebbe alle associazioni sindacali la tutela di interessi 
individuali sottraendola ai titolari. 

Anche tale questione � priva di giuridico fondamento. 

L'intervento delle associazioni sindacali, come testualmente e inequivocabilmente 
dispone la legge impugnata, era diretto soltanto a compiere 
delle � trattative � con le due societ� affidatarie. Tale intervento si inseriva 
perci� in una fase procedimentale necessaria per disciplinare il nuovo 

: . 


inquadramento; con provvecfu:nenti. che erano di competenza della Giunta 
regionale . 

. Come si � detto, questi provvedimenti dovevano essere emanati con 
criteri generali ed uniformi n()nch� �on un esame comparativo delle 
varie posizioniindividuali, . sicch� la partecipazione delle associazioni sindacali 
alla fase> prelindnare delle trattative con le due societ� trovava 

�� . la. sqf.l .rf.lgf.9n <l'~ssel'e .fl~ll'apl)()rtO che le associazioni medesime avrebbero 

... �. ᥥ ;[~~N~.d~@~~!lal'ft:;~j~s;;~tt~o~i~~~;:er~~:~it:rad~::o:~:fu1:s~ ~= 
terla alle d�t~� asso�iazioni, me11tre il provvedimento conclusivo spettava 

� �~Bl~jh~e�~e fui!d~?t\J;~~~=d:~ento il aveva potere

lavoratore il 
cli ri(;oii:�~� ~ gl�<!ice (ordinario) per la tutela dei suoi diritti eventualm�ht~ 
ll)fi;b�li()scihti (e �io� la conservazione delle posizioni giuridiche ed 

. �6�n�fuf66e gti�l ~64,.Uisite), come riconosciuto dall'ordinanza della Corte 
.� ....�. di 61.�~ii�ii()n� c1h.� ha ritenuto che non poteva essere invocato quale pararn�#
� i;fu(;J.i~ji~t. 24 della Costit\lzione) ... 

. . JJ:Ul,ne.i #sW:ta infondata l'ultima questione dedotta, secondo cui la 
ti()f:m~ irnkl.t~ata violerebbe l'art. 76 Costituzione, in quanto conterrebbe .una'. �t�l�g# l�~slativa.senza la determinazione di principi e criteri direttivi. 

�Al :l;'ig.l;\rdo; non pu� anzitutto condividersi il presupposto da cui 
~uoYQ(to li. giudi�i a q.ibus, che ritengono applicabile il cit. art. 76 Cost. 
a�l� l�ki$lazione regionale: il principio generale della inderogabilit� delle 
c<:>mt>eten~e costitu:d(.)nali esclude invece, come gi� questa Corte ha deciso 
(~e:l'iJ~ 9 git;�gn<:> 1961. n. 32) e come ritiene la migliore dottrina, la possibili.
t� <li estendere: alle Regioni le disposizioni degli artt. 76 e 77 della 
Costitu,zione: disposizioni che hanno carattere eccezionale e pertanto non 
p()$$()no trq,vare appli�azione al di l� dell'ordinamento dello Stato. 
�enza.�tire che, in base a quanto sopra � stato precisato, la disposizione: 
fienUI1Ciat11 :O,()!l. conteneva alcuna delega legislativa, ma attribuiva alla 
g(;lg,�$)!l�. il .P()t(;lte. dl.l'e>rre in essere gli atti di mera amministrazione per 

� ��� 1�ip.quadraml;lnto ci~l p�rsonale nell'ambito delle due societ� a cui, dopo 
I~ re'ifoca .4elle pre�edenti cqncessioni, erano stati affidati gli autoservizi 

d.i�. interesse� reg,ionale. � 
CORTE COS'rl'tUZIONALBi.1~ febbraio 1983 n. 14 -Pres. Elia -Rel. Ferrari 
� Presidente Consiglio dei Ministri (vice Avv. Gen. Stato Carafa) 
e Regione Campania. (avv. Abbamonte). 

Regioni � Istituto professionale � Scuole di ostetricia . Non sono equiparablli 
ad universit�. 

Non possono considerarsi a livello universitario le scuole e gli istituti 
che svolgono solo attivit� didattica, ancorch� mediante corsi tenuti da 

7_ -~� fil�.

-


258 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STA1'0 

docenti universitari, e non anche attivit� di ricerca, e che non hanno 
autonomia di determinazione per q.anto riguarda le materie di insegnamento, 
il loro ordine, e la durata degli studi. Le scuole di ostetricia non 
sono equiparabili alle istituzioni universitarie; le attribuzioni relative a 
dette scuole rientrano tra quelle assegnate alle regioni a statuto ordinario 
dall'art. 117 Cast. 

(omissis) Con ricorso in data 10 ottobre 1978 il Governo, in persona 
del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura 
Generale dello Stato, ha impugnato la legge riapprovata dalla 
Regione Campania il 25 settembre 1978, recante �attivit� formative per la 
professione di ostetrica�, chiedendo che ne fosse dichiarata l'illegittimit� 
costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione. (omissis). 

L'art. 33, ultimo comma, Cost. comprende le Universit� tra � le istituzioni 
di alta cultura� e riconosce a queste �il diritto di darsi ordinamenti 
autonomi�. 

a) App�iono conformi alla configurazione delineata. dal legislatore 
costituente, non solo la legge 11 luglio 1980, n. 382, il cui art. 63, primo 
comma, recita testualmente che � l'Universit� � sede primaria della ricerca 
scientifica>>, ed il cui Capo V, Titolo I, prevede il ruolo dei �ricercatori�, 
come il Titolo III � dedicato alla � ricerca scientifica >>, ma persino il testo 
unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con regio decreto 
31 agosto 1933, n. 1592 ed in larga parte ancora vigente. Anche questo, 
infatti, proclama solennemente all'art. 1, primo comma, che �l'istruzione 
superiore ha per fine di promuovere il progresso della scienza e di fornire 
la cultura scientifica necessaria per l'esercizio degli uffici e delle professioni 
�. Ne deriva che non basta, perch� una scuola attinga livello universitario, 
che ivi siano impartiti, sia pure da professori universitari, insegnamenti 
a fini professionali, ma occorre che vi venga svolta anche la 
ricerca scientifica. Sono due, insomma, ed inscindibili i compiti istituzionali 
delle Universit�: l'attivit� didattica e quella scentifica, l� dove venga 
esercitata soltanto questa, si pu� avere un'istituzione di alta cultura -ed 
� il caso del Consiglio nazionale delle ricerche -, e l� dove venga esercitata 
esclusivamente attivit� didattica, non si ha Universit�. 

b) Ancora dalla Costituzione si ottiene un altro elemento caratterizzante 
l'Universit� e, quindi, la istruzione superiore: � la potest� statutaria, 
sia pure �nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato�, come testualmente 
enuncia il gi� richiamato art. 33, ultimo comma, Cost. Si tratta di una 
potest� non conculcata neppure nel periodo autoritario, come comprovano: 
l'art. 17 del T.U. n. 1592 del 1933, a sensi del quale �ogni Universit�... ha 
uno speciale statuto � (primo comma), � gli statuti sono proposti dal 
Senato accademico, uditi il Consiglio di amministrazione e le Facolt�� i 

lo 

lo 

I ?: 

~~ 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

. (secondo comma), � le modificazioni sono proposte ed approvate con le 
medesime modalit�� (terzo comma); l'art. 18, terzo comma, a sensi del 
quale � lo statuto di ogni Universit� determina, per ciascuna Facolt�..., 
le materie d'insegnamento, il loro ordine ed il modo con cui debbono 
essere impartite�; l'art. 20, ottavo ed ultimo comma, a sensi del quale 
� la durata degli studi per le scuole ed i corsi... � determinata dagli 
statuti>>, ecc. E proprio nell'autonomia dell'ordinamento universitario pu� 
dirsi che trovi fondamento la regola, ancorch� esplicitata mediante una 
norma regolamentare -art. 42, secondo e terzo comma, del regio decreto 
4 giugno 1938, n. 1269 -, secondo cui le commissioni per gli esami, tanto 
di profitto, quanto di laurea o di diploma, possono costituirsi soltanto 
� di professori ufficiali..., di liberi docenti o cultori delle discipline che 
fanno parte della Facolt� �, con esclusione di professionisti estranei. Da 
quanto precede discende che non possono considerarsi a livello universitario 
le scuole e gli istituti che siano assoggettati alla vigilanza del 
potere governativo, che non abbiano autonomia di determinazione per 
quanto riguarda le materie d'insegnamento,� il loro ordine, la durata degli 
studi e che debbano comporre le commissioni per gli esami, o di profitto 

o di diploma, con membri non appartenenti alla stessa scuola od istituto. 
Compito esclusivo delle scuole di ostetricia, invece, � l'insegnamento, 
un insegnamento di carattere prevalentemente pratico, e perci� a fini 
esclusivamente professionali. Nel regio decreto 24 luglio 1940, n. 1630, 
infatti, col quale � stato approvato il regolamento, che in parte � ancora 
in vigore, per le scuole di ostetricia, come modificato con decreto ministeriale 
12 novembre 1958, prima, e con d.P.R. 27 settembre 1980, n. 1029, 
poi, non � rintracciabile una sola norma che contenga qualche cenno alla 
attivit� di ricerca scientifica, la quale pertanto, almeno allo stato, � 
preclusa alle predette scuole. E sul punto non si registra alcuna innovazione 
sostanziale nel gi� menzionato d.P.R. n. 1029 del 1980, recante � modificazioni 
all'ordinamento degli studi delle scuole di ostetricia�, ma solo 
la conferma della riduzione del corso di studi da un triennio ad un 
biennio, gi� disposta dall'art. 1 della legge n. 1252 del 1957. 

Tali scuole, inoltre, non godono di alcuna autonomia: non solo non 

hanno la potest� statutaria che � riconosciuta alle Universit� per quanto 

attiene alla didattica, ma questa non risulta disciplinata neppure con 

legge, bensl con un regolamento, qual � il decreto presidenziale n. 1029 

del 1980 e qual era appunto il gi� menzionato regio decreto n. 1630 del 1940, 

adottato di concerto tra il ministro per l'educazione nazionale e �quelli 

per l'interno, per la grazia e giustizia, per la finanze e per le corpora


zioni�; �per l'esame di diploma, la commissione � composta�, non solo 

del professore-direttore e di un professore o libero docente delle Facolt� 

o cultore della materia, ma anche � del medico provinciale e di un 
medico-chirurgo scelto dalla Facolt� in una terna proposta dal sindacato 

260 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
professionale medico � (art. 32, terzo comma, regio decreto n. 1630 del 
1940); il regio decreto legge 15 ottobre 1936, n. 2128, convertito nella legge 
25 marzo 1937, n. 921, statuisce all'art. 3, primo comma, che �spetta al 
Ministro per l'educazione nazionale la vigilanza sulle scuole di ostetricia 
autonome�, anche se poi precisa nei due commi successivi che tale 
�vigilanza� � esercitata tramite una UniveFsit�. 
Le rilevazioni ed i raffronti di cui sopra inducono a disattendere l'opinione, 
su cui si basa il ricorso de quo, che l'attivit� formativa per la professione 
di ostetrica e, quindi, l'ordinamento delle relative scuole siano 
da considerarsi equiparati al livello universitario. La conclusione cui si 
perviene nel presente giudizio trova, del resto, un precedente in termini 
nella pronuncia n. 128 del 1977, con la quale questa Corte ha testualmente 
sentenziato che le � scuole, ove si svolgono i corsi per il conseguimento 
del diploma di ostetrica, non possono considerarsi a livello universitario �. 
E basta la trascritta proposizione della surricordata sentenza a dimostrare 
quanto sia inesatta l'affermazione dell'avvocatura dello Stato, secondo cui, 
stante la diversit� di quella fattispecie, � il richiamo alla citata sentenza 
non appare pertinente �. 
Certo, gli elementi pi� sopra evidenti non sono i soli caratterizzanti 
l'istruzione universitaria; altrettanto certamente, tuttavia, si deve ritenere 
che, se non sono sufficienti, sono peraltro necessari, perch� possa ravvisarsi 
in una scuola dignit� di istituzione di alta cultura. 
Non varrebbe in contrario osservare che, per il conseguimento del diploma 
di ostetrica, la legge (art. 1 regio decreto legge n. 2128 del 1936) 
conosce, non solo le � scuole di ostetricia autonoma �, ma anche le � scuole 
di ostetricia annesse alle cliniche ostetrico-ginecologiche delle Universit��, 
giacch� allo stato attuale della legislazione la conclusione conserva validit� 
anche nei confronti di queste ultime, che non mutano natura, fermi 
rimanendo la loro funzione, i loro insegnamenti ed il tipo di questi, 
sol perch� inserite nelle stn1tture universitarie. Se fosse altrimenti, 
si dovrebbe riconoscere grado universitario persino a tutte quelle scuole 
dichiaratamente pr�fessionali, che le Universit� sono autorizzate ad istituire, 
quali �le scuole-convitto professionali per infermiere� (art. 2 regio 
decreto 21 novembre 1929, n. 2330; 130, primo comma, testo unico 
delle leggi sanitarie, approvate con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265; 
l, secondo comma, legge 25 febbraio 1971, n. 124); le �scuole per infermiere 
generiche e per infermieri generici � (art. 1 legge 20 ottobre 1954, n. 1046); 
�le scuole per l'abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di 
tecnico di radiologia medica� (art. 4, primo comma, legge 4 agosto 1965, 
n. 1103), ecc. Ed i richiami test� fatti mostrano che una cosa � l'ambito 
universitario, altra cosa � il livello universitario, e che pertanto non basta 
operare nell'uno per conseguire il riconoscimento dell'appartenenza all'altro. i 
(omissis). ---
i 

~


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PARTE I,. SEZ. l; GIURJSPRUl)BNZA COSTil'VZIONALB 261. 

CORTE COSTITUZIONALE, 9 febbraio 1983, .n. 30 � Pres. e Rel. Elia -Pincella 
(n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato 
Carafa). 

Cittadtnania -Figlio di donna italiana coniugata con uno straniero . 
Acq-qtsta la cittadinanza ���ftalianav p�r �nascita. 

(9'!~t;,. art,t; 2;i 3 e 29; t 13 giu~o 1912, n. 555, artt. 1 e 2). 

�� < Contrastano' c()n # principio di eguaglianza, e in particolare di eguaglianza 
tra i coniugi, gli artt. 1 e 2 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella 
....... P4.rt~dn �u( 1'1,ofl: pr'�.V:�d.<�no che il figlio di madre italiana sia cittadino 
/ i�:tifap.<2�� per nascita <e possa .. conservare, ancorch� riconosciuto dal padre 

str<ini�ro, la cittadinanza it�liana. 

(omissis) Per fa sua priorit� nell'ordine logico, e perch� concerne 
rait>llri~ 1/della legge n. 555 del 1912, va esaminata per prima la questfone 
stillevata dafTtibt.male di Milano in riferimento alla disposizione 
ora citata �nella parte in cui non prevede che il figlio di cittadina italiana, 
che abbia conservato la cittadinanza anche dopo il matrimonio con 
i� straniero, abbia fa cittadinanza italiana �. In realt� tale norma differenzia 
la sittiaz1one del marito straniero da quello della moglie italiana quanto 
all'acquisto della. cittadinanza italiana da parte dei discendenti diretti del 
cittadino. Questa discriminazione tra coniugi in ordine alla determinazio.e 
c;lello status civitatis dei figli legittimi comporta inoltre conseguenze 
molteplici e di non secondario rilievo, quando si consideri che alla cittadinanza 
si riconnettono situazioni soggettive di segno diverso e di disparato 
contenuto, ma tutte raggruppabili in una condizione complessivamente 
positiva nell'ambito dell'ordinamento italiano. 

L'art. l; n. 1, della legge n. 555 del 1912 � in chiaro contrasto con 
l'art. 3, 1� com:ma, (eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di 
sesso) e �on l'art. 29, 2� comma, (eguaglianza morale e giuridica dei 
coniugi). 

N� giustifica la differenziata disciplina in tema di acquisto della cittadinanza 
per nascita il richiamo ad un limite all'eguaglianza tra i coniugi, 
stabilito dalla legge a garanzia della unit� familiare. Tra l'altro non si 
vede come la. diversit� di cittadinanza tra i coniugi, ammessa dalla sentenza 
n; 87/1975 e dall'art. 143 ter codice civile (introdotto dalla legge 
19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia), sia stata ritenuta 
compatibile con l'unit� familiare, mentre non potrebbe esserlo l'attribuzione 
congiunta al figlio minore della cittadinanza paterna e di quella 
materna. 

Nemmeno varrebbe poi, a giustificare il mancato ossequio ai princ�pi 
degli artt. 3, primo comma, e 29, secondo comma, l'esigenza di evitare i 
fenomeni di doppia cittadinanza, per gli impegni assunti anche in sede 


262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

internazionale (cfr. Convenzione di Strasburgo del 1963, la cui ratifica fu 
autorizzata con 1. 4 ottobre 1966, n. 876, e depositata dall'Italia con alcune 
riserve). Deve infatti riconoscersi come prevalente, rispetto ad inconvenienti 
pur seri, la necessit� di realizzare il principio costituzionale di eguaglianza 
anche a proposito di acquisto dello status civitatis per nascita. 
N� fanno difetto al legislatore i mezzi per ridurre in limiti tollerabili le 
difficolt� nascenti dalla pluralit� di cittadinanze in capo al figlio. 

Del resto anche la sentenza n. 87 del 1975 e l'art. 143 ter del codice 
civile danno luogo a casi di doppia cittadinanza senza che ci� sia valso 
a porre in dubbio il fondamento costituzionale delle soluzioni adottate. 
In questo senso la odierna pronuncia costituisce la logica proiezione, in 
tema di acquisto della cittadinanza per nascita, della ratio decidendi 
accolta nella sentenza n. 87 del 1975. Tale ratio, pi� che porre in rilievo 
la volont� del soggetto, consiste proprio nel riconoscimento delle conseguenze 
che derivano dai principi affermati nell'art. 3, primo comma, e 

Ifil

nell'art. 29, secondo comma, della Costituzione. Invero, anche nella fattispecie 
ora esaminata, ci� che si valorizza � l'esigenza di una assimilazione 

giuridica nella comunit� statale di coloro che vengono considerati, effettiva]
filmente o potenzialmente, integrati nella realt� socio-politica che Fordina


@ 
mento deve regolare. Tale rilievo, accolto dalla dottrina italiana che pi� t: 

si � occupata delle tendenze evolutive del diritto della cittadinanza in i

i:=

ambito europeo, corrisponde anche alla evoluzione del nostro diritto <:i 

~!.

quale emerge dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 e ?:~ 

dalla giurisprudenza di questa Corte. 

I 1:: 

Certo non si pu� parlare, in senso tecnicamente proprio, di un diritto 
dei genitori di �trasmettere ai figli� i rispettivi status civitatis: � sempre 
l'ordinamento statale a prevedere le fattispecie nelle quali si realizza 

i::

l'acquisto della cittadinanza jure sanguinis, acquisto che, dal punto di ~== 

~== 

vista giuridico, esclude ogni trasferimento o trasmissione. Ci� non toglie r:: 
che la disciplina attuale, con il prevedere l'acquisto originario soltanto 
~:: 

I m 

della cittadinanza del padre, lede da pi� punti di vista la posizione giu:-:
� 
ridica della madre nei suoi rapporti con lo Stato e con la famiglia. In 

particolare non pu� contestarsi l'interesse, giuridicamente rilevante, di 

entrambi i genitori a che i loro figli siano cittadini e cio� membri di 

quella stessa comunit� statale di cui essi fanno parte e che possano 

� 

godere della tutela collegata a tale appartenenza. Del pari la disciplina @ 
vigente lede la posizione della madre nella famiglia, se si considera la ~ 

I f:j

parit� nei doveri e nella responsabilit� verso i figli ormai affermata 

negli ordinamenti giuridici del nostro tempo (per l'Italia valgono soprattutto 
i novellati artt. 143 e 147 del codice civile). 

In definitiva, l'art. 1, della legge n. 555 del 1912 rappresenta una tipica 1:: 

!

espressione della diversit� di posizione giuridica e morale dei coniugi, f:: 

ritenuta necessaria dal legislatore di quel tempo per realizzare l'unit� l 

familiare, mediante l'assoggettamento della moglie e dei figli alla condizione, t 

I lii 
i:: 

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I 


PARTE I, SEz. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

rispettivamente, del marito e del padre. N� va dimenticato che la disci� 
plina impugnata contrasta con il principio di eguaglianza, giacch� tratta 
in modo diverso i figli legittimi di padre italiano e di madre straniera 
rispetto ai figli legittimi di padre straniero e madre italiana. 

Pertanto deve essere dichiarata la illegittimit� costituzionale dell'art. l, 

n. 1, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non prevede che sia 
cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina. In applicazione, 
poi, dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va pure dichiarata l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 1, n. 2, della legge sulla cittadinanza, che 
collega l'acquisto della cittadinanza materna da parte del figlio soltanto 
ad ipotesi di carattere residuale. 
L'ordinanza del Tribunale per i minorenni di Milano solleva questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 2, 2� comma, della legge n. 555 del 
1912, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. Lasciando da 
parte l'art. 29, che riguarda la famiglia fondata sul matrimonio, � da 
chiedersi se la citata disposizione, prevedendo che il riconoscimento del 
padre, nella fattispecie straniero, abbia l'effetto automatico e necessario 
di fare acquisire al figlio minore la cittadinanza straniera e di fargli perdere 
quella italiana acquisita per il previo riconoscimento materno, risulti 
in armonia con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. 

Quanto si � detto sopra vale a fortiori per escludere la legittimit� 
costituzionale del precetto impugnato. In effetti, cade in questa fattispecie 
anche il richiamo alla ratio dell'unit� familiare,. posta a fondamento della 
disciplina dell'art. 1, n. 1. Viene qui in evidenza la disparit� di trattamento 
in ragione di sesso e la discriminazione conseguenziale in ordine allo 
status dei figli minori, senza che sia necessario indugiare sui gravi inconvenienti 
pratici sottolineati nell'ordinanza. Deve quindi dichiararsi l'illegittimit� 
costituzionale del 2� comma dell'art. 2 della legge n. 555 del 1912. 

La Corte � consapevole del travagliato iter che in sede parlamentare, 
nel corso di pi� legislature si � svolto e si svolge tuttora in tema di riforma 
delle leggi sulla cittadinanza e sul suo adeguamento alla Costituzione, 
agli accordi internazionali ed alle mutate condizioni di vita nella famiglia 
e fuori di essa. Pur tenuto conto della complessit� della materia, essa 
ritiene tuttavia che sia quanto mai necessaria ed urgente una revisione 
organica dell'interna normativa sulla cittadinanza, revisione che tenga conto 
di tutti i collegamenti tra una nuova disciplina e le regole del diritto 
internazionale privato. 

p.q.m. 
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale 
dell'art. l, n. 2, della legge 13 giugno 1912, n. 555, e dell'art. 20 delle disposizioni 
preliminari al codice civile, sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3 
della Costituzione dal Tribunale per i minorenni di Firenze; 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DF.l.LO STATO

264 

2) dichiara l'illegittimit� costituzionale: 

a) dell'art. l, n. l, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte in 
cui non 'prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre 
cittadina; 

b) dell'art. 2, comma 2�, della legge predetta; 

3) dichiara -in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, 

n. 87 -l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1, n. 2, della 'legge 13 giugno 
1912, n. 555. 
CORTE COSTITUZIONALE, 16 marzo 1983, n. 65 (ordinanza) -Pres. e 
rel. Elia -Cefis ed altri, e Presidente Consiglio dei Ministri. 

Corte Costituzionale -Questione proposta in via incidentale -Contraddittoriet� 
delle deduzioni -Inammissibilit�. 

� inammissibile per contraddittoriet� la questione di legittimit� proposta 
dal giudice a quo, ipotizzando al tempo stesso la caducazione di una 
disposizione legislativa e l'estensione del suo ambito d'applicazione. 

(omissis) ... l'ordinanza, relativa al reato di rifiuto di vendita di merci 
il cui prezzo massimo � stato fissato con provvedimento dell'autorit�, 
censura in primo luogo la norma nella parte in cui non si estende alla 
cessazione della produzione e nel contempo lamenta l'illegittimit� costituzionale 
della norma stessa perch� prevederebbe una prestazione imposta 
senza il rispetto della riserva di legge, presentando cos� un thema 
decidendi contraddittorio, giacch� si richiede da un lato l'estensione della 
normativa e dall'altro la sua caducazione; simile contraddittoriet� rende la 
questione inammissibile, come questa Corte ha ritenuto da ultimo con 
sentenza n. 30/1983; (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983, n. 70 -Pres. Elia -Rel. Reale -
Masucci ed altri (avv. Cattaneo), Castellino ed altri (avv. Sorrentino) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). 

Corte dei Conti -Legge retroattiva -Soggezione del giudice alla legge 
Garanzia costituzionale delle pretese risarcitorie dello Stato -Insussistenza. 
(Cost., artt. 28, 101 e 113; I. 25 novembre 1971, n. 1042, art. 2). 

La norma di diritto sostanziale che regola una situazione pregressa 
non sottrae al giudice una controversia, ma gli fornisce il diritto che egli 



PARTE I, SEZ. I, .GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

deve applicare. L'art. 28 Cast. non d� garanzia costituzionale alle pretese 
risarcitorie dello Stato o dell'Ente pubblico nei confronti dei propri 
funzionari. 

(omissis) I consigli di amministrazione delle Universit� e degli Istituti 
universitari, come si desume dai lavori preparatori della legge 25 novembre 
1971, n. 1042, si erano trovati da vari anni, per evitare � l'arresto totale 
del funzionamento della vita universitaria� conseguente all'enorme aumento 
dell'onere di lavoro senza che gli organici del personale non insegnante 
fossero adeguati per numero e per remunerazione alla nuova situazione, 
nell'assoluta necessit� di accordare al personale non insegnante speciali 
compensi incentivanti �con riferimento all'eccezionale stato di necessit��; 
facendoli gravare � sui fondi di bilancio non destinati per legge a fini 
specifici "� Organi consultivi e di controllo avevano negato la legittimit� 
delle erogazioni, creando �una situazione di estremo disagio in tutte le 
universit��. 

Per regolarizzare questa grave situazione, la citata legge n. 1042 cos� 
disponeva all'art. 2, primo comma: �I compensi attribuiti, anche per il 
titolo di cui all'art. 13 della legge 18 dicembre 1951, n. 1551 (relativo ai 
diritti di segreteria e alla loro destinazione) pur in mancanza del decreto 
del Presidente della Repubblica in esso previsto al personale non insegnante 
delle Universit� e degli Istituti di istruzione universitaria, continuano 
ad essere corrisposti come in precedenza secondo le deliberazioni 
dei rispettivi consigli di amministrazione nei limiti dei fondi stanziati 
nei rispettivi bilanci e delle disposizioni che seguono �. 

La Corte dei conti... dubita della legittimit� costituzionale della 
norma citata. 

Con l'ordinanza 27 novembre 1975, la seconda sezione giurisdizionale 
identifica la ratio legis nella volont� del legislatore di legittimare la situazione 
di fatto determinata dalla corresponsione dei compensi attribuiti 
contra legem al personale non insegnante, sanando non soltanto gli effetti 
di tale comportamento, cio� la percezione dei compensi da parte del personale 
non insegnante (il che non darebbe luogo a rilievi di carattere 
costituzionale), ma anche il comportamento stesso degli amministratori che 
ne avevano disposto l'erogazione, il che la legge non avrebbe potuto fare 
retroattivamente e incidendo in processi di responsabilit� in corso... 

(omissis). 

Vengono innanzitutto indicate come parametri della affermata illegittimit� 
costituzionale, la disposizioni del titolo quarto del libro secondo 
della Costituzione (la Magistratura), cio� gli artt. da 101 a 113... 

Poich� queste disposizioni sono � intese a garantire l'indipendenza 
della funzione giudiziaria da ogni potere�, afferma la Corte dei conti, non 
� lecito �modificare con legge il contenuto di tma sentenza�, �sindacare 
l'operato di un giudice � o � sottrarre al giudizio una qualsiasi contro



266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

versia �: ci� che nella specie si sarebbe appunto verificato con l'art. 2, 
comma primo, della legge n. 1042. 

La censura � priva di ogni fondamento. La norma di diritto sostanziale 
che regola una situazione anche pregressa senza violare un giudicato 
non modifica il contenuto di una sentenza (nella specie inesistente); non 
sindaca l'operato di un giudice, ma costituisce la legge alla quale il 
giudice � soggetto; non sottrae al giudice alcuna controversia, ma gli 
fornisce appunto il diritto che egli deve applicare. 

A seguire il ragionamento del giudice a quo bisognerebbe negare la 
legittimit� costituzionale delle leggi di depenalizzazione e di amnistia, o 
ipotizzare un generale divieto di retroattivit� delle leggi civili e amministrative. 
N� vale opporre a questa elementare considerazione, come fa 
l'ordinanza, che l'amnistia non esclude gli effetti patrimoniali dell'illecito, 
perch� il problema � altro: � cio� quello di stabilire se al legislatore sia 
sempre vietato di modificare una legge (depenalizzazione) o di eliderne 
gli effetti (amnistia) in pendenza di una procedura giudiziaria. Non c'� 
quindi �violazione del principio della divisione dei poteri�, come il giudice 
a quo finisce con l'ammettere. passando agli altri numerosi parametri 
costituzionali invocati. (omissis). 

Segue, nella lista delle illegittimit� costituzionali nelle quali sarebbe 
incorsa la legge n. 1042 del 1971, la violazione dell'art. 28 della Costituzione, 
peraltro non affermata, ma solo ipotizzata nell'ordinanza di rimessione, 
nella quale si legge: � ove tale precetto (l'art. 28) si configuri come 
disposizione di principio, applicabile quindi non solo a tutela dei diritti 
degli amministrati ma anche di quelli dell'amministrazione di fronte ai 
comportamenti illeciti dei propri dipendenti�. 

Ma � appunto questa ipotesi ermeneutica che non regge, sia perch� 
l'art. 28 � non generalizza, ma espressamente riconduce il concetto di responsabilit� 
a quanto dispongono le leggi penali, civili e amministrative � 
(sentenza n. 123 del 1972), sia perch� esso �si riferisce chiaramente ed 
esclusivamente alla responsabilit� verso i soggetti privati danneggiati 
e non anche alle diverse responsabilit� di carattere interno del funzionario 

o impiegato verso lo Stato o l'ente pubblico� (sentenza n. 184 del 1982). 
(omissis) 

Quanto all'art. 103 (che pure era compreso nel richiamo globale al 
titolo quarto del libro secondo della Costituzione fatto nell'ordinanza precedente) 
l'ordinanza ora in esame specifica che con la norma impugnata 
� si viene ad incidere, limitandola, nella sfera di giurisdizione attribuita 
dalla Costituzione alla Corte dei conti con la sottrazione ad essa di fattispecie 
in cui possono ravvedersi ipotesi di responsabilit�, senza peraltro 
indicazione chiara ed espressa dei casi in cui detta limitazione dovrebbe 
operare�. 

Anche questa formulazione del richiamo all'art. 103 � tuttavia priva 
di fondamento giuridico. Come gi� pi� innanzi si � osservato, una norma 


PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

di diritto sostanziale non sottrae al giudice la fattispecie, non ancora 
decisa, sulla quale egli deve provvedere. Solo che il giudice deve applicare 
la legge. Affermare poi che la legge non contiene indicazione chiara ed 
espressa dei casi in cui deve applicarsi, significa proporre non .un problema 
costituzionale ex art. 103, ma un problema di interpretazione, o se 
si vuole di difficolt� di interpretazione. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983, n. 72 -Pres. Elia -Rei. Saja -
Pirito ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Mataloni). 

Corte dei Conti � Responsabilit� degli amministratori di comuni e pro


vincie � Responsabilit� c.d. formale � Requisiti del danno effettivo e 

della colpa � Necessit�. 

(Cost., art. 3; r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 252). 

La responsabilit� prevista dall'art. 252 del testo unico della legge comunale 
e provinciale del 1934 � una comune responsabilit� patrimoniale fondata 
sugli elementi della colpa e del danno; essa determina un unico ed 
integrale giudizio avanti la Corte dei conti. 

(omissis) Con esse la Corte dei conti dubita della legittimit� costi� 
tuzionale dell'art. 252 t.u. legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 

n. 383, che prevede alcuni casi di responsabilit� degli amministratori dei 
comuni e delle province (nella specie: per spese non autorizzate in bilancio). 
Il dubbio trae motivo dalla considerazione che detta norma (ed analogamente 
� da dire per quella sancita dal successivo art. 253) darebbe luogo 
alla c.d. responsabilit� formale, la cui previsione normativa, determinando 
un'irrazionale disparit� di trattamento, contrasterebbe non solo con l'art. 3, 
ma indirettamente anche con gli artt. 5, 24, 28, 97 e 128 della Costituzione. 
Si osserva infatti, nei provvedimenti di rimessione, come la norma denunciata, 
senza giustificato motivo, stabilisce relativamente agli amministratori 
comunali e provinciali un trattamento deteriore rispetto a quello previsto 
per gli amministratori degli altri enti pubblici: e ci� in quanto sancisce 
nei loro confronti oltre la normale responsabilit� patrimoniale civile e 
quella contabile, comuni a tutti i dipendenti pubblici, anche quella c.d. 
formale, consistente, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti prevalente 
all'epoca in cui le ordinanze furono emesse, nell'obbligo di rispondere 
delle somme illegalmente erogate, prescindendo sia dalla produzione 
di un danno patrimoniale effettivo sia dall'elemento psicologico. 
Proprio sul contenuto della responsabilit� formale, intesa come ora si 
� precisato, le ordinanze di rimessione appuntano Ia loro critica, accostandosi 
cos� ad un autorevole orientamento dottrinale, il quale ha espresso 


268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO 

il pi� netto dissenso dalla ricordata interpretazione della norma da parte 
della giurisprudenza della Corte dei conti. In proposito � stato osservato 
da detta dottrina come non sussista alcuna ragione idonea a giustificare 
l'indicato indirizzo giurisprudenziale, decisamente contrastante con il sistema 
vigente; e ci� perch� non si pu� considerare che ogni spesa effettuata 
senza il rispetto delle norme prestabilite cagioni ipso iure all'ente 
pubblico un nocumento patrimoniale pari all'importo delle stesse spese: 
nocumento che, nella multiforme variet� di casi concreti, non sempre 
sussiste in quanto la spesa -anche se illegalmente erogata -pu� in 
realt� riuscire sostanzialmente giustificata. 

Situazioni di emergenza -si aggiunge -possono invero essere idonee 
ad escludere l'iHiceit� di interventi diretti sostanzialmente alla soddisfazione 
di un interesse pubblico e quindi non contrastanti con i princ�pi a 
cui deve ispirarsi l'azione amministrativa. 

Da ci� la stessa dottrina ha tratto l'illazione di una grave frattura 
di criterio logico, in quanto, da una parte, si richiede da quella giurisprudenza 
la sussistenza del danno, caratteristico dell'illecito civile, e, dall'altra, 
si prescinde dal danno stesso inteso in senso civilistico, ritenendo 
sufficiente la mera condotta illegittima. Conclude la dottrina che in situazioni 
del genere dovrebbe essere tutt'al pi� prevista una sanzione amministrativa 
pecuniaria. 

Anche la possibilit� dell'amministratore di esperire l'actio de in rem 
verso non si � sottratta a critiche dottrinali. Invero � stato osservato come 
risulti particolarmente oneroso e artificioso un sistema che impone rispetto 
ad un unico rapporto due distinti giudizi: l'uno innanzi alla giurisdizione 
contabile per il rimborso delle spese illegalmente effettuate e l'altro avanti 
al giudice ordinario per il recupero della somma corrispondente all'utilit� 
di cui l'ente pubblico si sia arricchito; con l'ovvia conseguenza che, in caso 
di coincidenza dei relativi importi (circostanza questa ricorrente in tutti 
i casi in cui la pubblica amministrazione ha riconosciuto l'integrale utilit� 
della spesa) vi sarebbe un vuoto e assurdo dispendio di attivit� processuale, 
in quanto il secondo giudizio verrebbe ad annullare gli effetti della 
prima pronuncia. Per contro, una diversa concezion~ della c.d. responsabilit� 
formale importerebbe un'unicit� dei giudizi, senza gli inconvenienti 
ora accennati. 

Ai quali un altro, molto grave, potrebbe aggiungersi nell'ipotesi in cui 
l'ente pubblico per ragioni non obiettive (arbitrio, ritorsione, ecc.) abbia 
negato l'utilit� della spesa illegittimamente effettuata, impedendo cos� in 
radice l'accoglimento dell'azione prevista dall'art. 2041 cod. civile. 

Le incongruenze denunziate dalla dottrina sono state gradualmente 
avvertite anche dalla Corte dei conti, la quale ha abbandonato il precedente 
indirizzo, orientandosi verso la tesi dottrinale superiormente accennata. 
Cosicch� ormai si � formata una giurisprudenza ripetutamente 
espressa dalle sezioni semplici e ribadita anche dalle Sezioni Riunite, in 

-



269. 
com;Prese nella .� c':d. 
pi� recente orientam~11to 

il giudice a� quo .per sollevar~. 
dirsi pi� sussistente, dovendpsi 
vivente � la responsabilit� in esa.me 
patrimoniale fondata sui requisiti 

N<>n .$us;s�.$t~ .q1i1I!lW q1i~11a diversit� di trattamento per cui la norma 
le prospettate questioni sotto i vari profili 
tutte. a tale diversit�, risultano prive di 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1983, n. 73 -Pres. Elia -Rel. Saya � 
Capit�nio (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen . 
....����stato car�fa); 

Reati> .� Aggiotaggio bancario � Oggetto della tutela penale. 
(Cost., artt. 3 e 21; I. 7 marzo 1938, n. 141, art. 98). 

L'oggetto della tutela penale nel reato di aggiotaggio bancario non 
consiste nella mera reputazione delle singole aziende, considerata come 
un bene individuale ed esclusivo di esse, ma si sostanzia nelli'nteresse 
pubblico al normale e regolare esercizio del credito e quindi concerne 
quell'interesse espressamente indicato e tutelato dall'art. 47 della Costituzione. 


Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Macerata dubita della 
legittimit� costituzionale dell'art. 98, legge 7 marzo 1938, n; 1:41, con la quale 

-



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fu convertito in legge il r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, contenente disposizioni 
per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia. 
Tale norma, che prevede il c.d. aggiotaggio bancario, testualmente dispone: 
� Chiunque divulghi, in qualunque forma, notizie false, esagerate o tendenziose 
circa aziende esercenti il credito, atte a turbare il mercato dei 
titoli e dei valori, o a indurre il panico nei depositanti, o comunque a 
menomare la fiducia del pubblico, � punito con le pene stabilite dall'art. 501 
del codice penale�. 

Il giudice a quo impugna la disposizione suddetta sotto duplice profilo, 
ritenendo che essa contrasti: a) con l'art. 21 Cost. perch� limita la 
libert� di manifestazione del pensiero senza alcuna finalit� di interessi 
costituzionalmente protetti; b) con l'art. 3 Cost. in quanto richiede per 
la sussistenza del reato soltanto il dolo generico, a differenza dell'art. 501 
cod. pen.. (che prevede il c.d. aggiotaggio comune), il quale esige il dolo 
specifico, cos� diversificando senza razionale giustificazione le due fattispecie 
... 

Sotto il primo profilo, il giudice a quo correttamente muove dal presupposto, 
pi� volte affermato da questa Corte, secondo cui la libert� di manifestazione 
del pensiero, prevista nell'art. 21 della Costituzione, trova un 
limite insuperabile nell'esigenza che attraverso il suo esercizio non vengano 
sacrificati altri beni che la Costituzione ha voluto pure garantire 
(cfr. sent. nn. 18 del 1981; n. 199 del 1972; n. 18 del 1966; n. 19 del 1962); 
senonch�, dopo tale enunciazione, il detto giudice ritiene che il cit. art. 98 
legge bancaria sarebbe diretto� a tutelare �il buon nome delle singole 
aziende di credito�, che non pu� essere considerato un bene giuridico 
costituzionalmente garantito; e pertanto esso confliggerebbe con il ricordato 
precetto costituzionale. 

Ma tale opinione sull'oggetto della tutela penale del cit. art. 98 non 
pu� essere condivisa. Giova ricordare come questa Corte (sent. 20 mag� 
gio 1976, n. 123) ha ritenuto la legittimit� costituzionale della norma di 
cui all'art. 501 cod. penale -che, come si � detto, prevede l'aggiotaggio 
comune -sulla considerazione che tale norma � diretta alla tutela non 
gi� dei singoli operatori economici bens� dell'economia pubblica, la quale 
rientra nella previsione dell'art. 41 Cost. (cfr. su questo punto anche le 
sentenze nn. 5 e 54 del 1962 e 30 del 1965); in proposito aggiunse la Corte 
che il cit. art. 501 cod. penale, in quanto concerne la pubblica economia, 
trova il suo razionale fondamento anche nell'art. 47 Costituzione, il quale 
dispone, tra l'altro, che la Repubblica �disciplina, coordina e controlla 
l'esercizio del credito�. 

Ora, non pu� essere dubbio che il cit. art. 98 l.b. abbia per oggetto 
proprio la tutela dell'attivit� delle aziende di credito, come inequivocabilmente 
si evince dalla previsione normativa che esige, per la sussistenza 
del reato, la divulgazione di notizie circa le stesse aziende, tali da incidere 
negativamente su detta attivit�, in quanto idonee a turbare il mer



271

PARTE I, SEZ�. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

cato dei titoli e dei . valori, ovvero a diffondere il panico nei depositanti 
oppure, infine, a incrinare quel rapporto di fiducia che � indispensabile 
nei rapporti tra istituti bancari e clienti. L'oggetto della tutela penale non 
consiste �nella mera reputazione delle singole aziende, considerata come 
un bene individuale ed esclusivo di esse, ma si sostanzia nell'interesse 
pubblico al normale�� e. regolare esercizio del credito e quindi concerne 
quell'interesse esprei;samente indicato e tutelato dall'art. 47 della Costituzfon�. 
foteresse che, .come � sfato precitato nella cit. sent. n. 123 del 1976, 
ti$ulta strettamente collegato all'economia pubblica, in quanto nel moderno 
sistema economico l'attivit� bancaria costituisce una notevole forza 
ci'ippplso dell'~conomia.stessa ed � perci� che la legge la disciplina com


.� 
piutamente, affidando a� organi statali poteri non soltanto di vigilanza, 
':llia anche di d�rez�one in relazione alle esigenze della contingente e sempre 
mutevole. situazione finanziaria nazionale. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 24 marzo 1983, n. 76 -Pres. Elia -Rel. De Stefano 
-Zammuto (avv. Moscarini) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(Vice avv. gen. Stato Albisinni). 


Tributi erariali� diretti -IRPEF -Separata determinazione dei redditi dei 
coniugi � Oneri deducibili -Interessi passivi per mutui fondiari � 
Deducibilit� solo dal reddito del coniuge mutuatario -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 29, 30, 31 e 53; l. 12 novembre 1976, n. 751, artt. 1, 3 e 6; I. 13 apri� 


le 1977, n. 114, artt. 19 e 20). 

Il sistema della separata tassazione dei coniugi � coerente con i princ�pi 
costituzionali; il legislatore ordinario � peraltro autorizzato ad apprestare 
rimedi alle sperequazioni che, da tale sistema, se rigidamente applicato, 
potrebbero derivare. In questo quadro, non sono, costituzionalmente 
illegittime le disposizioni che consentono solo al coniuge mutuatario di 
dedurre dal proprio reddito complessivo, nei limiti stabiliti dalla legge, 
gli interessi passivi pagati per mutui ipotecari gravanti sulla casa di abitazione 
della famiglia. 


(omissis) Ai fini dell'esame del merito residuano, pertanto, le questioni 
che possono cos� puntualizzarsi: 


A) se contrastino con gli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione gli 
artt. 3 e 6 della legge n. 751 del 1976, in quanto prescrivono d'obbligo 
l'accertamento separato dei redditi dei coniugi; 


B) se contrastino con gli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione 
gli artt. l, comma terzo, della legge n. 751 del 1976 e 19 e 20 della legge 
ri. 114 del 1977, in relazione al testo originario dell'art. 10 del d.P.R. n. 597 


--~ :.? . 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del 1973, nella parte in cui escludono la deducibilit� dal reddito complessivo 
del coniuge che lo ha effettivamente sostenuto, dell'onere per gl'interessi 
passivi pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione 
della famiglia, intestata all'altro coniuge, sfornito di redditi propri all'infuori 
del reddito catastale derivante dalla propriet� della casa suddetta 
e di ammontare inferiore a quello degl'interessi medesimi. 

Nei termini sopra esposti, infatti, la Corte, in armonia con la propria 
giurisprudenza (da ultimo sentenze nn. 137 e 151 del 1980, n. 42 del 1981), 
precisa l'oggetto delle questioni sulle quali � chiamata a pronunciarsi. 

La questione puntualizzata sub A non � fondata. 

Giova ricordare che questa Corte, con sentenza n. 179 del 1976, ebbe 
a dichiarare la illegittimit� costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 
29 e 53 della Costituzione ... della normativa allora denunciata, proprio nella 
parte in cui essa prevedeva l'imputazione al marito dei redditi della moglie 
ed il cumulo dei redditi di entrambi i coniugi ai fini dell'applicazione 
dell'imposta complementare e dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. 
La pronuncia della Corte spiegava i suoi effetti immediati e diretti unicamente 
nei confronti di norme legislative che ormai non potevano trovare 
applicazione oltre l'�mbito dei rapporti giuridici gi� sorti e non ancora 
interamente esauriti, mentre non venivano colpite le norme della successiva 
legge 2 dicembre 1975, n. 576, che avevano disciplinato, con effetto 
dal 1� gennaio 1975, l'imposizione sui redditi dei coniugi secondo criteri 
parzialmente diversi. 

La legge n. 751 del 1976, i cili artt. 3 e 6 sono ora sottoposti, sotto 
l'indicato profilo, a verifica della loro legittimit� costituzionale, � stata 
appunto emanata -come risulta non soltanto dal suo argomento, ma 
esplicitamente dai relativi atti� parlamentari -per far fronte ad una 
situazione di emergenza, e cio� per soddisfare �l'esigenza di un sollecito 
intervento legislativo diretto a regolare gli effetti di tale pronuncia su quei 
rapporti giuridici, riguardanti i predetti tributi, che ne risultano immediatamente 
influenzati; ci� allo scopo di consentire la definizione di tali 
rapporti tributari e la riscossione delle imposte dovute dai coniugi, 
alla stregua delle statuizioni della Corte�. (omissis) 

Ben vero che nella stessa sentenza n. 179 del 1976, la Corte, conclusa 
la sua argomentazione, ha espresso � l'auspicio che sulla base delle dichiarazioni 
dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla 
tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, possa essere data 
ai coniugi la facolt� di optare per un differente sistema di tassazione 
(espresso in un solo senso o articolato in pi� modi) che agevoli la formazione 
e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna 
casalinga e lavoratrice �. Ma non pu� certo sostenersi che il legislatore 
abbia violato gl'invocati parametri costituzionali sol perch� in una normativa, 
come quella denunciata, emanata a pochi mesi dalla sentenza 
con l'espresso intento di adeguarsi alle sue statuizioni e in un �mbito cir



PARTE I, SEZ. I, GiuRISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

coscritto alla determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei 
coniugi per gli anni 1974 e precedenti, non ha trovato eco la raccomandazione 
rivoltagli dalla Corte. 

Raccomandazione che, peraltro, non ha avuto seguito nemmeno nella 
successiva legge n. 114 del 1977, con la quale � stata operata la revisione 
della nuova normativa dettata dalla citata legge n. 576 del 1975 e non 
direttamente investita dalla decisione della Corte, adeguando ai princ�pi 
da questa affermati la struttura dell'imposta personale, con totale abbandono 
del sistema di cumulo dei redditi dei coniugi. Dai relativi atti parlamentari 
si evince, infatti, che non si � ritenuto possibile ed opportuno 
realizzare in quell'occasione l'auspicio espresso dalla Corte, con l'offrire 
ai coniugi sistemi alternativi di tassazione personale, quali quello del quoziente 
familiare, dello splitting, del cumulo facoltativo, accolti in alcune 
legislazioni straniere. Pur non disconoscendo a tali sistemi il pregio di 
apprestare, in determinate situazioni, strumenti pi� adeguati alla tassazione 
dei redditi familiari, si � allora osservato che la intrinseca complessit� di 
tali sistemi postula valutazioni e scelte non sempre facili, nonch� una 
modulistica assai differenziata. � L'introduzione di essi -si legge nella 
relazione che accompagna il disegno di legge di iniziativa governativa nell'attuale 
delicato momento di ancora iniziale avvio della riforma tributaria, 
caratterizzato da una non completa informazione tributaria dei 
cittadini e da condizioni di operativit� dell'Amministrazione finanziaria 
non del tutto adeguate, finirebbe con il creare una intollerabile situazione 
di incertezza e di ingovernabilit� del tributo, con gravi e negative ripercussioni 
nell'ormai consolidato sistema di ritenuta alla fonte sui redditi 
di lavoro subordinato, che esonera larga parte dei contribuenti da adempimenti 
ed oneri connessi con l'obbligo della dichiarazione dei redditi�. 

Il legislatore, dunque, nell'approvare la legge n. 114 del 1977, ha, 
in buona sostanza, sulla base delle considerazioni test� ricordate, che 
fanno soprattutto leva su circostanze di carattere temporale, connesse 
all'attuazione della riforma tributaria, rinviato ad una fase successiva 
l'introduzione, nel sistema della tassazione separata dei redditi dei coniugi, 
di opportuni temperamenti. Ne fa fede l'ordine del giorno allora accolto, 
con il quale il Governo assumeva appunto l'impegno di riconsiderare il 
problema, e di proporre al Parlamento � una nuova e definitiva disciplina 
�, pienamente aderente al criterio della tassazione separata, ma con la 
facolt� per i coniugi � di optare per un differente sistema di tassazione 
che agevoli la formazione della famiglia in conformit� all'art. 31 della 
Costituzione; elimini totalmente ogni possibile disparit� di trattamento 
rispetto ad altri istituti tributari riguardanti la famiglia; tenga concretamente 
conto della posizione dei coniugi, e della donna casalinga in particolare, 
nell'�mbito del nuovo diritto di famigHa �. 

In proposito la Corte deve ribadire che il sistema del cumulo, imposto 
senza possibilit� di alternative, risulta lesivo dei princ�pi costituzionali 


274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che sono a base della sua precedente pronuncia; princ�pi ai quali appare, 
invece, aderente il sistema della separata tassazione, dal quale il legislatore 
non pu� prescindere, dovendo riconoscere ai coniugi, in ogni caso, 
il diritto di chiederne l'applicazione. Spetta, peraltro, allo stesso legislatore 
di apprestare rimedio alle sperequazioni, che da tale sistema, rigidamente 
applicato, potrebbero derivare in danno della famiglia nella quale 
uno solo dei coniugi possegga reddito tassabile, rispetto a quella in cui 
ambedue i coniugi posseggano reddito, pari nel complessivo ammontare a 
quello della famiglia monoreddito, ma soggetto a tassazione separata, con 
aliquote pi� lievi, per le due componenti. La innegabile esigenza di correggere 
tali effetti distorsivi, nella prospettiva di quel favor familiae cui 
s'informa l'art. 31 della Costituzione, pu�, invero, venire appagata sia 
con oculata scelta di un sistema alternativo, suscettibile di essere affiancato 
in via opzionale al sistema della tassazione separata, sia anche all'interno 
di quest'ultimo, ristrutturando gli oneri deducibili e le detra2Jioni 
soggettive dall'imposta per meglio adeguarli all'esigenza medesima. Ampi, 
infatti, sotto ambedue gli aspetti, sono gli spazi entro i quali, nel rispetto 
dei princ�pi richiamati dalla Corte, pu� esercitarsi la discrezionalit� �del 
legislatore, cui incombe di assolvere l'impegno a tal riguardo assunto or 
sono sei anni. 

Alla luce delle suesposte considerazioni, anche l'altra questione, puntualizzata 
sub B, va dichiarata non fondata. 

Occorre in proposito ricordare che, anteriormente alla richiamata pronuncia 
di questa Corte (n. 179 del 1976), entro l'�mbito del sistema 
del c.d. cumulo dei redditi dei coniugi, l'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973, 
nel suo testo originario, prevedeva, alla lett. e) del comma primo, che 
gl'interessi passivi fossero dedotti dal reddito complessivo del contribuente, 
anche se il relativo onere non fosse stato sostenuto dal medesimo, 
ma dalla moglie, il cui reddito, peraltro, per il disposto dell'art. 4, lett. a), 
dello stesso decreto, veniva a lui imputato, ai fini della determinazione 
del reddito complessivo soggetto a tassazione. 

Tale sistema, in vigore per i redditi posseduti sino a tutto il 1974, 
era stato temperato dalla citata legge n. 576 del 1975, la quale, con 
effetto dal 1� gennaio 1975 e relativamente ai redditi posseduti da tale 
data, aveva disposto, all'art. 2, che se il reddito complessivo lordo dei 
coniugi non superasse i sette milioni di lire annui, l'imposta venisse commisurata 
separatamente sul reddito proprio di ciascuno dei coniugi, al 
netto degli oneri di cui al citato art. 10 del decreto n. 597 del 1973, � riferibili 
ad ognuno di essi �; mentre aveva mantenuto, all'art. l, il cumulo 
ove il reddito complessivo lordo dei coniugi fosse d'importo superiore ai 
sette milioni. 

Dichiarata da questa Corte, con la sentenza n. 179 del 1976, la illegittimit� 
costituzionale del sistema del cumulo, nei limiti innanzi richiamati, 
il legislatore, in aderenza ai princ�pi ivi affermati, ha disposto, con la 



.P!Rl'Ec I; SEZ;. I; GltlRlSl'RUDENZA COSTITUZIONALE 

275 

citata legge n. 7St del 1976, relativamente ai redditi dei coniugi per gli 
anni 1974 e precedenti, che l'imposta venga commi.surata separatamente 
sul reddito complessivo proprio del marito e su quello della moglie. Circa 
gli oneri previsti dall'art. 10 del decreto. n. 597 del 1973 -venuta meno, 
per. effetto della pronuncia di q:uesta Corte, la imputazione al marito 
C(e� reC(ditl della mqglie.> . itdenunciato conuna terzo dell'art. 1 della stessa 

....�.. If!gg~ '..' ~ta~m:to phe essi> � s.oM . deducibili �.dal. reddito . complessivo del 
.� .� ��. ct>,trlug~ che li ha sost(lori.uti�i< M il successivo am. 3 ha ribadito che i redditi 
cornplessM propJi. del marito e della moglie vengono determinati 
� al nette) degR oneri riferibili a ciascuno di essi �. 

�� . Analoga~~~~�.PerJ .tf!.4diti possf!dt1ti.4ai .coniugi .. nell'anno 1975 (e 
� qichiara,tfl1el1976){la s?ccessiva legge n. 114 del 1977, abrogando le norme 
detfate'dall�legge n; 576d:l1975, lfa disposto, con fdenunciati artt. 19 e 20, 
��cheJ'il1).post�sf applica separatamente sul reddito complessivo netto di 
cil;i.ScuJi �o:t}itt~e; � .eh~ gli oneri pi;'(Wisti dall'art. 10 del decreto n. 597 
���c1ert973j �SOJ:1tj (;{edm~�l)ili�dal�reddito .complessivo del coniuge che li ha 

sostenuti�" 

Pur con questa t:np�'.inca, che .consegue all'adozione del sistema di tas.$
llZic>ne separata del reddito dei coniugi, le denunciate norme fanno ancora 
dferi:tllent�, pe:i:' q\tanto riguarda i tipi di oneri riconosciuti deducibili, 

altesto originario del citato art. 10 (le innovazioni apportate in proposito 
cl~'ai:t. 5 della legge n. 114 del 1977, hanno invero effetto, ai sensi degli 
arlt~ 20, ultimo comma, e 23 della legge medesima, dal 1� gennaio 1976, relativ~.
n1el1~e ai redditj posseduti da tale data: e si � gi� rilevato che le controversie 
all'esame dei giudici a quibus concernono, invece, redditi posseduti 
dai coniugi nel 1974 e nel 1975). Per il combinato disposto di tali 
norme, qualora si tratti di interessi passivi relativi ad un mutuo, trova 
puntuale e razionale applicazione il principio che l'onere viene dedotto 
dal reddito del contribuente che lo sostiene; e cio�, nel caso, dal reddito 
del mutuatario, giuridicamente tenuto (artt. 1815 e 1820 cod. civ.) al pagamento 
dei relativi interessi. Una volta che il reddito della moglie non 
viene pi� imputato al marito, ma � sottoposto ad autonoma tassazione, 
e che gli oneri sostenuti dalla prima vengono dedotti dal reddito medesimo, 
e non pi� dal coacervo dei redditi dei coniugi, il principio non pu� 
non valere anche per gl'interessi passivi di un mutuo, del quale mutuataria 
sia la moglie, tenuta perci�, essa sola, al pagamento degl'interessi 
medesimi. 

Nei giudizi a quibus si controverte sulla deducibilit� di interessi passivi 
pagati per mutuo ipotecario gravante sulla casa di abitazione della 
famiglia: casa, peraltro, intestata unicamente alla moglie, sola mutuataria, 
sfornita di redditi propri all'infuori del reddito catastale derivante 
dalla propriet� della casa medesima. Le ordinanze �di rimessione lamentano 
che in tale fattispecie le denunciate norme non consentano la 
deduzione dal reddito del marito di quella parte dell'onere per interessi 

-<--)'I""'� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

276 

pass1v1, che eccede l'ammontare del reddito catastale imputato alla 

moglie e non pu� pertanto essere dedotto da quest'ultimo: e in ci� 
ravvisano violazione degli artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione. 

La Corte ritiene che nessuno degl'invocati parametri possa avvalo


rare la mossa censura di illegittimit� costituzionale. Le denunciate norme, 
infatti, operano nell'ambito di un sistema che, escludendo ai fini 
della tassazione il cumulo dei redditi dei coniugi e la conseguente indifferenziata 
deduzione dal cumulo medesimo degli oneri sostenuti dal 
marito o dalla moglie, trae ispirazione proprio dagli stessi precetti costituzionali, 
che ora vengono invece posti a base della sollevata questione. 
Non si nega che dall'applicazione delle contestate norme alla descritta 
fattispecie possa derivare uno di quegli eventuali effetti distorsivi del 
sistema di tassazione separata del reddito dei coniugi, ai quali si � gi� 
fatto riferimento. Soprattutto se si consideri che la �propriet� dell'abitazione 
� � un obiettivo il cui perseguimento va incoraggiato, non soltanto 
favorendo -come prevede il secondo comma dell'art. 47 della 
Costituzione -l'accesso ad essa del risparmio popolare, ma improntando 
anche ad eguale favore il regime fiscale che la concerne, tanto al 
momento dell'acquisizione dell'immobile, quanto in costanza della sua 
destinazione ad alloggio del nucleo familiare del contribuente che lo 
possiede. Ma, come si � affermato nella sentenza n. 179 del 1976, e si 
ribadisce in questa, � il legislatore che deve apprestare adeguati rimedi 
ai possibili effetti distorsivi del sistema, operando le pi� convenienti scelte 
normative nell'ambito di quel potere discrezionale, il cui esercizio si 
sottrae al sindacato di questa Corte tutte le volte che non sconfini nella 
irrazionalit� e nell'arbitrio. 
CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1983, n. 84 -Pres. Elia -Rel. Saja -
Falconi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Carafa). 
Tributi erariali diretti -Catasto -Rilevanza della categoria catastale per 
l'equo canone � Tutela giurisdizionale del conduttore -Sussiste. 
(Cost., artt. 3, 24 e 113; I. 27 luglio 1978, n. 392, art. 16). 
Avverso l'accertamento ad opera dell'amministrazione finanziaria della 
categoria catastale di fabbricato dato in locazione, il conduttore ha 
tutela giurisdizionale secondo modalit� la cui individuazione � rimessa 
dall'ordinamer.to al giudice ordinario adito per la determinazione del 
canone. 
(omissis) Con le predette dieci ordinanze i giudici a quibus contestano 
la legittimit� costituzionale dell'art. 16 primo comma I. 27 luglio 
1978, n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), il quale, considerando il �tipo� 
~: 
.~j 


277 

delll'J1:rin101:1ile quale .elemento correttivo per la detet'minazione del �canone, 

in proposito riferimento alla .�categoria catastale 
secondo i coefficienti risultanti dalla tabella ivi prevista (coeffiCientj 
Lquali� decrescono gradualmente da 2,00 p~.��le� abitazioni.di� tipo. signorile 
sirto a o,so per ql.lelle>di tipo ultra�popolare). I �giudici�. suddetti,� muoV�licl9i 
g�l'ajJ:eP�:azjone/ apoditti�axnente .formulata, che la norma de� 

. n~at' non �o:ns�te ~Jci,tna. tutela gi.~sdizi91lale al c9.Xl<;li,tttore; ...� in 
���������ᥥ�� 4�tllnt<)���nei���stttji!����c�nfrontl��la.��.C:ategoria.��catastale�� stabilita�. dall'ufficio. pubblico 
satie'bl;�i yin�Qlfulte';/tfedu�o.n.o chela norma � contraste:reh'l~evcon gli�ttt; 24 � ilidella C-Ostituzione. � � .� �� 

'Blilit'llt!f!:tt!i~E1~~~E 


��������i:�ssfr����~li�����d�vfebb~o����suhire���in�����o@li�ᥥ�<:aso�����g1i����effetti� ��.aell'~ccertamento 

fi$$1!tle~ t~ili� se le$lt1:$n�9 qu~tg s;e �vi~~ato d� illeg!tt�mit�1 � .. sicch� la 
�.�������41$~9$tzi6ne.��� 4~�� qu:a���sM�bhe���~nche�� in�� coritl'asto�.�con��l'art.�� 3�� Costituzione. 
�.� �� I>eve anzitutto 1a'ۘrte riaf:fer�t,lare ilpmeipfo -"-gi� pi� volte enun


. .� < c:1l;lt()� >�. ~e<::C>n<l<f cui 4t tti:tel� gj),.J);i$dizional~ sul diritto controverso va 
.� ~l�;tl~e:iite gl!ri;a:O.tit:f attra\rets� il regolare contraddittorio e l'ammissioI!.
� (ii ql.lei riiezzi plfob~t�d che sono opportuni per la ricerca della verit� 
e�. J?~r .l'~:ttuaziqrie .deJla, .� $lustizia: in particolare, l'accertamento fiscale, 
tij!.$ferl:tQi it(l.lll pr()l:le<iilri�nto tra privati avente necessariamente carat:
teftfe C()nteI!.l.lfo divers:ii� soggetto, per quanto concerne la sua legitti� 
. m�t:ti.;. a1i�ll.pp);ezta.wenfo . del giudice al quale spetta la cognizione del 
diritto c6riti'<fv�fio N>te sentenze n. 225 del 1976 e n. 56 del 1980). 
M�, a diffe:f�nza delle ipotesi considerate dalle decisioni ora dette, 
va osservato che nella specie il presupposto delle ordinanze di rimessione 
non trova alcun riscontro nella norma denunziata, la quale nel primo 
comma rinvia, come si � detto, all'accertamento effettuato dall'ufficio 
del catasto e, nel capoverso, per gli immobili non censiti dispone che 
pu� essere richiesto l'ufficio tecnico erariale perch� stabilisca, aJ soli 
/filli della determinazione del canone, la categoria catastale. La norma 
noti C�riti�n.e . alcuna previsione relativa alla tutela giurisdizionale e dal 
silenzio di essa non pu� senz'altro dedursi che tale tutela sia stata 
�$cl.sa, in violazione del dettato costituzionale. Occorre, invece, fare capo 
~la discipllna prevista dal n,ostro ordinamento relativamente al controllo 

���.��.�� �.� ..��..�... S{ 

giudiziario sugli atti della pubblica amministrazione, il che � stato larga� 
mente avvertito nella giurisprudenza dei giudici di merito (non risulta 
c;he la Corte di cassazione si sia pronunciata al riguardo), nella quale 
sono emersi due distinti orientamenti, entrambi diretti ad assicurare al 
locatario la necessaria ed insopprimibile tutela giurisdizionale. 

Il primo di tali orientamenti valorizza il contenuto specifico dell'atto, 
per cui ritiene possibile, anche da parte del conduttore, il ricorso 
alle commissioni tributarie sulla base dell'art. 1, Ultimo comma, d.P.R. 

-�--~'r.'�� 

-



278 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

26 ottobre 1972, n. 636 relativo al contenzioso tributario, il quale devolve 

alla cognizione di dette commissioni le controversie concernenti la consi


stenza, il classamento delle singole unit� immobiliari e l'attribuzione 

della rendita catastale. In tali sensi si � anche espressa l'Avvocatura dello 

Stato negli atti con cui � intervenuta nei singoli giudizi. 

Il secondo orientamento, invece, si richiama al potere-dovere, che 
comunque spetta al giudice ordinario ex art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248 
all. E nelle controversie tra privati, di accertare incidentalmente la 
legittimit� dell'atto amministrativo da cui deriva il diritto dedotto in 
giudizio, legittimit� nella cui nozione rientrano pure le condizioni di 
fatto richieste dalla legge per l'emanazione dell'atto nonch� i meri accertamenti 
tecnici: con la conseguenza che, in caso di accertata illegittimit� 
(sia originaria che sopravvenuta), l'accertamento catastale nessun effetto 
pu� esplicare sul rapporto di locazione. Peraltro, dovendo comunque il 
giudice ad�to determinare l'equo canone, perch� questo costituisce l'oggetto 
del giudizio, la classificazione dell'immobile dovr� necessariamente 
essere effettuata nel processo civile �sulla base di un accertamento probatorio, 
rispetto al quale il giudice ha i normali e ampi poteri di indagine 
e di apprezzamento. Quando ci� accade, la pronuncia varr� indubbiamente 
nei limiti oggettivi e soggettivi del caso deciso, ai soli fini della 
determinazione del canone. 

Dai superiori rilievi discende, in conclusione, che si tratta di un problema 
di interpretazione, relativo all'individuazione del mezzo di tutela 
spettante al conduttore, problema la cui soluzione rientra nei compiti 
esclusivi del giudice ordinario adito per la determinazione del canone. 

Le proposte questioni sono dunque inammissibili. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 aprile 1983, n. 108 -Pres. Elia -Rel. 
Roehrssen -Bruni (n.p.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali diretti -IRPEF -Reddito d'impresa -Elargizioni liberali 

ad universit� -Deducibilit�. 

(Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 60). 

Il reddito d'impresa non pu� essere posto sullo stesso piano dei 
redditi di diversa parte; non contrasta con gli articoli 3 e 53 Cast. la 
disposizione che prevede soltanto per i redditi d'impresa la deducibilit� 
delle erogazioni liberali per fini di ricerca scientifica e istruzione 
universitaria (1). 

(1) La questione esaminata presenta risvolti politici e tecnici di notevole 
rilievo, che -superata ormai la pretesa di generalizzazione dell'art. 60, comma 
secondo -potrebbero condurre ad una riconsiderazione, di segno opposto (os

PARTB �:I .Si!Z. �t1 ~lt;11USPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 PARTB �:I .Si!Z. �t1 ~lt;11USPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 
La Corte � chfa:illata. a decidere se sia costituzionalmente legittima, 
cori riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la disposizione contenuta nell'articolo 
60, secondo comma, lettera a), del d.P;R. 29 settembre 1973, n. 597 
(� lstituzione e disciplina delrbnposta sul reddito delle persone fisiche �), 
iii 'base� alla quale sono deducibili� dal� reddito di impresa, nei �limiti del 
.. d,11~ per 5ento (I.ella. somrt�a i:illponibile, fo �erogazioni liberali fatte�. dalle 
..... . . imPtes~ a fa\rore� di .pivetsit� e .di istit~ti. �di istruzione �.universitaria. 
�� j� $i#ttite 4 'iU<J (luljita cleHa�� leg�ttimit� costituzionale �di tate norma, 
in quililtP 6$sa, lindta.ta.iaLsoli redditi d� impresa, porrebbe ��in essere 
. .na �ngiustjfi'cat~ disparit� di� trattamento, nell'ambito dell'IRPEF, a de. 
. tl'im~n,to degli :att:d tiPi di . redditi che a norma dell'art. 1 del citato 

.� d.P.~n<iie9~ij~~(Jl:~g~t~0=~~:.menzionata imposta. 

~ ~sposiziotli . legislative le quali contengono agevolazioni e bene�
.� .�.��. . Ji�i trl~U,t~ di qualsiasi specie, quali che ne siano le finalit�, hanno 
. :Plilese carattere derogatorio e costituiscono il frutto di scelte del legisla


�. t�re.. al quale soltanto spetta di valutare e di decidere non solo in ordine 
(I.man,. ma anche �� ordine al quantum e ad ogni altra modalit� e conclizione 
afferente alla determinazione di dette agevolazioni: come questa 
Corte ha gi� riconosciuto (sentenza n. 134 del 1982) la deducibilit�, infatti, 
� va concretata e commisurata dal legislatore ordinario secondo un criterio 
che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino 
chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non .meno 
pressanti di quelli della vita individuale�. 
Ora, per costante giurisprudenza di questa Corte, valutazioni e scelte 
di questo genere non sono sindacabili dal giudice della legittimit� costituzionale 
se non quando esse si appalesino irrazionali o ingiustificate. 

sia restrittivo), della anzidetta disposizione (ad esempio in sede di redazione del 
testo unico). 

Sul piano politico-costituzionale non pu� reputarsi aproblematico il riconoscimento 
-ai soli imprenditori -della facolt� di fare � elargizioni ,, a parziale 
car.ko dello Stato (la deduzione da11'imponibile equivale ad un concorso 
dello Stato pari mediamente al 42 per cento di quanto �elargito�), tanto pi� 
che trattasi di elargizioni ovviamente incontrollate nei fini e nei modi, e, per 
di pi�, potenzialmente idonee a condizionare la ricerca scientifica. Sicch�, lo Stato 
-che di questa sopporta la quasi totalit� dei costi -concede ad una categoria 
di cittadini sia la possibilit� di influire sui programmi di essa sia, in parte, le 
risorse finanziarie necessarie per esercitare tale influenza. 

Va aggiunto che la disposizione in questione usa espressioni generiche (� ricerca 
scientifica�, �persona giuridica�, �universit��) e quindi non indirizza le 
�elargizioni� verso quei settori -ad esemrpio, la tecnologia avanzata -che giustificherebbero 
un regime di favore. Pu� quindi accadere che come � ricerca 
scientifica � possa essere presentato, ad esempio, lo � studio � commissionato 
per meglio promuovere o tutelare gli interessi di un settore, ad esempio banche 

o assicurazioni, e per �persona giuridica � un qualsiasi �istituto � o �centro� 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

280 

Il che non avviene nel caso di specie, dato che il citato art. 60, lettera 
a), che ha accordato ai soli redditi di impresa la detraibilit� delle 
predette erogazioni, appare sorretto da sufficienti motivi. 

Ed invero, premesso che il d.P.R. n. 597 del 1973 accoglie, ai suoi 
fini, nell'art. 51, una nozione di impresa pi� ampia di quella che d� 
il codice civile nell'art. 2195 (sicch� la sfera di applicazione del beneficio 
in parola risulta essa stessa notevo.lmente ampia), non possono 
porsi sul. medesimo piano i redditi che devono essere qualificati giuridicamente 
come redditi di impresa e quelli che tale qualifica non hanno: 
i primi, infatti, sono sottoposti per molti aspetti (compreso quello tributario) 
ad un regime giuridico differenziato� come conseguenza della struttura 
propria di una impresa e, soprattutto, della funzione che questa 
svolge nella vita economica e sociale della Nazione. 

Ne consegue che il reddito di impresa, legato anche (art. 52 del 
citato d.P.R. n. 597) alle risultanze di apposite documentazioni che devono 
essere tenute dai titolari delle imprese, non pu� essere posto sullo 
stesso piano di redditi di diversa fonte. 

D'altro canto il legislatore con la norma in questione ha inteso 
incentivare una forma di partecipazione delle imprese ad attivit� scientifiche 
e culturali, che non � infrequente da parte delle imprese medesime, 
anche in ragione dell'interesse che molte di esse indubbiamente 
hanno per le or cennate attivit�: e perci� l'art. 60. non solo comprende 
le erogazioni di cui trattasi fra gli oneri deducibili al momento della 
denuncia dei redditi, ma altres�, definisce tali oneri come �sociali�, a 
questo titolo escludendoli, sia pure parzialmente, dalla determinazione 
dei redditi. 

eventualmente anche operante per ordentare dn senso non necessariamente 
coerente con gli interessi generali. 

Sul piano tecnico non par contestabile che la normativa sul reddito d'impresa, 
nella sostanza, concreti uno. � statuto tributario speciale �, nel complesso 
(tenuto conto dei ricorrenti provvedimenti volti a sterilizzare fiscalmente le plusvalenze) 
pi� favorevole del trattamento applicato ad altre � categorie � di reddito. 
Tuttavia, parrebbe non opportuno promuovere detto � statuto � a livello 
di integrazione giurisprudenziale della Costituzione, enfatizzando e quasi mitizzando 
la diversit� di situazioni oggettive. Oltretutto la � categoria� del reddito 
d'impresa � stata talmente allargata dal legislatore delegato, che molto facile �, 
agli effetti fiscali, apparire imprenditore. 

Ancora una notazione sul piano tecnico: non pare il caso di parlare di 

� agevolazioni e benefici tributari � con riferimento ad un elemento negativo del 

reddito d'impresa. 

Da ultimo, si osserva che una problematica analoga a quella trattata nella 

sentenza in rassegna si presenta per i contributi ad associazioni sindacali e di 

categoria. Tali contributi (che -anche se non � specifici � -non di rado sono 

contropartita anche di � servizi � pi� o meno � personalizzati �) sono deducibili 

se corrisposti da imprenditori con carattere di periodicit�. Al contrario, i lavo


ratori subordinati versano alle loro associazioni sindacali contributi previamente 

tassati. 


PARTB I, .SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

281 

L'art. 60, lettera a), infine, si inquadra in una vasta serie di disposizioni 
tributarie che, in ossequio al disposto degli artt. 9 e 33 Cost., 
relativi l'uno allo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica 
e l'altro alla � tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione 
�, accordano agevolazioni di vario tipo. Ma queste disposizioni, 
pur perseguendo una medesima finalit�, hanno caratteri diversi e non 
sono riconducibili a sistema: esse, infatti, si differenziano sia in ordine 
al contenuto dell'agevolazione, sia in ordine all'individuazione dei destinatari, 
sia, infine, per quel che riguarda i modi, le forme, i termini e, 
in particolare, il quantum delle agevolazioni medesime: lo stesso art. 60 
contiene disposizioni diverse nel primo e nel secondo comma. 

In questo quadro cos� vario ed articolato, che meriterebbe di essere 
reso organico ma che costituisce frutto della cennata discrezionalit� del 
legislatore e della possibilit� di valutazioni diverse a seconda dei caratteri 
di ciascuna imposta e delle sue varie applicazioni, si colloca anche 
la norma denunciata in questa sede, la quale ha voluto prendere in considerazione 
un solo modo di produzione dei redditi, quello cio� che 
esso ha ritenuto, non senza ragione, maggiormente interessato alle attivit� 
scientifiche e culturali in genere. 

Tutto ci� premesso, la Corte non ravvisa nella norma in questione 
violazione n� dell'art. 3, primo comma, n� dell'art. 53 Cost. 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1983, n. 128 -Pres. Elia -Rel. Mac-,, 
� carone -Cortese (avv. Morabito) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Cosentino). 

Locazione � Prelazion~ del conduttore � IJ.iunobili destinati a studio pro
�fessionale � � fnsussistenza del diritto. 
(Cost., artt. 3 e 35; I. 27 1u:glio� 1978, n. 392, artt. 3$, 39, 40, 41 e 13). 

L'eventuale estensione del diritto di prelazione a categorie di conduttori 
� rimessa al l'egislatore ordinario; non � irragionevole che tale 
diritto sia riconosciuto agli esercenti di attivit� commerciali industriali 
e� attigianali nelle quali vi .� contatto diretto con il pubblico, e non anche 
ai prof es sionisti. 

(omissis) Va poi rilevato che le argomentazioni svolte nella motiva.. 
zione dell'ordinanza del Tribunale di Bassano del Grappa risultano ivi 
riferite alla pretesa violazione degli artt. 3, 35 e 42 Cost. e consistono, 
in sostanza; nell'affermazione che anche per i professionisti, al pari degli 
altri . esercenti attivit� industriali, commerciali e artigianali, nelle quali 
vi � contatto diretto con il pubblico degli utenti o dei consumatori, avrebbe 
normalmente rilievo l'esercizio deWattivit� in �un determinato luogo 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

282 

per cui dovrebbe essere attribuito anche a costoro il diritto di prelazione 
in caso di alienazione dell'immobile. (omissis). 

Con l'ordinanza sopra citata (Corte cost., 7 luglio 1982), questa Corte 
si � pronunciata in ordine all'interpretazione dell'a11t. 73 della legge 

n. 392 del 1978, in relazione all'art. 41 della stessa legge, ritenendo, in 
conformit� dell'opinione prevalente, che, in base ad una interpretazione 
logico-sistematica, appare evidente il riehiamo implicito, nell'art. 73, della 
disposizione dell'art. 41, secondo comma, che esclude il diritto di prelazione 
per i rapporti di locazione relativi ad immobili destinati all'esercizio 
di attivit� professionale. Tale esclusione comprende perci� anche 
i contratti in corso al momento dell'entrata in vigore della legge n. 392 
del 1978... Pertanto l'indagine va limitata alla seconda questione sollevata 
dal Tribunale di Bassano del Grappa, nei limiti sopra precisati, poi proposta 
sostanzialmente anche dal Tribunale di Salerno, concernente la 
assunta disparit� di trattamento nei confronti dei rapporti locativi riguardanti 
immobili destinati a studio professionale per la dedotta irrazionalit� 
dell'esclusione di tali rapporti dal beneficio della prelazione e riscatto 
in caso di vendita dell'immobile. 
Il campo di indagine � stato, peraltro, amp1iato dall'ordinanza di 
questa Corte che, ai fini della verifica di legittimit�, e per dare completezza 
logica all'impostazione della problematica relativa, ha ritenuto opportuno 
di estendere l'esame all'intero sistema normativo che regola 
il diritto di prelazione e riscatto nelle locazioni di immobili urbani, allo 
scopo di stabilire, attraverso la visione globale della disciplina legislativa, 
se il cennato beneficio possa o meno costituire, per il modo come 
� regolato, un ingiustificato privilegio a favore delle categorie di conduttori 
ai quali � accordato. 

La questione sollevata con l'ordinanza di questa Corte � preliminare 
rispetto all'altra, in quanto nell'ipotesi di dichiarazione di totale 
illegittimit� delle norme che istituiscono il diritto di prelazione e riscatto 
per i rapporti di locazione riguardanti immobili urbani, resterebbe assorbita 
la questione concernente l'illegittimit� della esclusione dal beneficio 
dei conduttori di immobili destinati a studi professionali. 

Esaminata la questione, la Corte � dell'avviso che il dubbio non sia 
fondato. Il legislatore ha stabilito, per le locazioni di immobili urbani 
non destinati ad abitazione, un complesso di agevolazioni che vanno 
dalla durata del rapporto (art. 27) alla sublocazione, alla cessione e successione 
nel contratto (artt. 36 e 37). Nell'ambito delle categorie di conduttori 
degli immobili anzidetti ha fatto ulteriori distinzioni, agevolando 
rispetto agli altri quelli che svolgano attivit� che comportino contatti 
diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori ed ha attribuito ad 
essi, oltre all'indennit� per la perdita dell'avviamento ed al diritto di 
prelazione in caso di nuova locazione gi� previsti dalla legge n. 19 del 
1963, anche il diritto di prelazione e riscatto in caso di vendita dell'im



PAlttB' 11 Sl!Z� l; GIUR�S!ilRUD$1Z\ �COS'.l'lWZIONALB 

mobile � !Qcato, . Sono stati. espressamente e$ciusi , dal beneficio i condut� 
tori di immobili destinati all'esercizio di attivit� professionali e quelli 
la cui attivit�; pur caratterizzata dal rapporto con il pubblico, sia transitoria 
o-svolta��in locali interni. a stazioni ;ferroviarie, porti, aeroporti e 
negli altri immobili indicati nell'art ..35 della legge. 

������� ..� Se~del.le anzidette d�.sposizioni. :� la conservazione,. anche nel pub
�.. Rli,�9 it)~e+,ss~~ d~Ue irnpres~ ~p.~i4erate, t1itelate, niedfonte il mantenitl:
l�n~ deUa, clientela,. che costituisce una componente essenziale. dell'avviamenti:>' 
connnel:'ciaJe; �. 
Tale. intentQ. del legislatore si desume chiaramente dalla esclusione 
diqp,elle .a~i:ivit� p~~le quali :tton, pu� parlarsi di avv~amento in senso 
. t~mW~<�i~ ooin�i feJ:l())J]tmQ che ~edeall1impresa esercitata, ma ii+ens(;
� ��� soptattUttQ all'ubicazione .dell'immobile; � . 
B J.l�n .�. (!, . c(,)nte$tl:�bile che spetti . l.\lla d�screzionale valutazione del 
> / .. fogislato~e l'iQ.,11tincazione 4~ quelle sit1Iazi()nteconomiche o di mercato 
... � � .� ch.e,)a suo gj4dizi(); �ol(lSigliano age~olazioni anche nell'interesse della 
� � �9U~ttiv�t�: (V.. sent� 29175h � 
� N'� p.� ij�rsi. il'l;'ll\ID()nevoler la scelta legislativa in questione, sia in 
tjferixn~to alla . Ihnitazione ciel beneficio a determinati conduttori, sia 
in x~l:azione all'litt4'ib~zione ad essi del duplice beneficio dell'indennit� 

di avviamento e del diritto d� prelazione. 

�\ll�. pri.tn() ~unio � $Qffic\ente considerare che il legislatore, per gli 
jllln'lQbili destinati ad abitazione, ha ritenuto _; e non importa indagare 
~on 'lU:al~ �ffi~cia ..-. di risolvere le difficolt� esistenti mediante il meccanismo 
dell'eq:uo canone: per gli immobili destinati ad uso diverso ha 
rlt:enttto meritev�le di partic()larei tutela quelle aziende,' generalmente 
di pic�ola o media dimensiorie, che nel contatto diretto � con il pubblico 
degli utenti e dei consumatori � trovano la fonte e la ragione prevalenti 
del loro avviamento; La conservazione di esso costituisce l'oggetto 
specifico della� tutela legislativa. 

. N� . p~�' rlteheJ:si valieato � il li.lite � della ragionevolezza per l'attribuzione 
. di un duplice beneficio a tutela di uno stesso interesse. Invero 
l'indennit�� per la perdita dell'avviaril�nto ed il diritto di prelazione, pur 
se coUegati dal fine comune, mirando entrambi alla tutela dell'avviamentQ* 
adelllJ?i~no t1Ittavia a fQnzi<>ni diverse. 

Va anzltutt<.i ricor~at? <;lie t eh.te b~efici non si sommano in quanto, 
in caso di vendita dell'immobile, opera la prelazione ma non l'indennit� 
di avviamento, dovuta, per l'art. 34 della legge, in caso di cessazione 
del rapporto locativo per cause diverse dalla vendita dell'immobile e 
non imputabili al conduttore. 

Inoltre, l'indennit� di avviamento ha contenuto riparatorio del danno 
sub�to dal locatario per la perdita dell'avviamento stesso, del quale 
potrebbe beneficiare il locatore subentrando al conduttore nella medesima 
attivit� o lucrando sulla locazione dell'immobile a terzi, che trar



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rebbero vantaggio dall'avviamento dovuto all'attivit� del precedente conduttore. 


Il diritto di prelazione, invece, solo mediamente tutela il personale 
interesse del conduttore, essendo volto a soddisfare esigenze sociali, 
quale � la conservazione delle aziende . 

Pur se discutibile sul piano legislativo, non � dunque arbitraria l'attribuzione 
del diritto di prelazione agli operatori economici considerati. 
L'eventuale estensione del beneficio ad altre categorie di conduttori di 
immobili urbani � compito esclusivo del legislatore, al quale spetta la 
valutazione delle esigenze della collettivit� e l'identificazione dei settori 
meritevoli del suo particolare intervento. 

Recentemente, del resto, con la legge 22 aprile 1982, n. 168, il diritto 
di prelazione � stato attribuito anche ai conduttod di immobili destinati 
ad abitazione di propriet� di enti pubblici previdenziali, di imprese di 
assicurazione o che abbiano per oggetto l'acquisto, la gestione o l'alienazione 
di immobili. 

Ci� dimostra la tendenza del legislatore ad estendere il beneficio ad 
altre categorie di conduttori, ma in base a valutazioni e scelte discrezionali. 


Le considerazioni innanzi esposte dimostrano altres� la non fondatezza 
del dubbio di legittimit� costituzionale, anche sotto il profilo considerato 
nelle ordinanze di rinvio dei giudici di merito. 

Non � invero rilevabile, nelle ipotesi di esclu,sione del beneficio, quell'elemento 
che, come si � detto, il legislatore ha invece voluto tutelare, 
cio�, l'inerenza diretta all'ubicazione dell'immpbile dell'avviamento creato 
dal conduttore, giacch� trattasi di attivit� in cui ordinariamente prevale 
l'elemento .soggettivo indipendentemente dalla sede in cui viene ~sercitata 

(v. sent. 36/80). 
Non pu� quindi riscontrarsi nella fattispecie considerata omogeneit� 
di situazioni tra operatori economici ed esercentj. attivit� professionali. 
� pertanto infondata. la censura sollevata sotto il profilo della pretesa 
violazione dell'art. 3 Cost. (omissis). 

,. 

:: 

fi 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 15 marzo 1983, 
nella causa 319/81 -Pres. Mertens de Wilmar~ -Avv. Gen. Slynn Commissione 
delle C.E. (ag. Abate) c. Repubblica Italiana (avv. Stato 
Conti), con intervento del Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda 
del Nord (ag. Howes). 

Comunit� Europee -Unione doganale -Tributi interni differenziati -Le


gittimit� -Limiti -I.V.A. � Acqueviti. 

(Trattato e.E.E., art. 95; d.l..4 marzo 1977, n. 58, conv. in legge 9 maggio 1977, n. 183; 

d.l. 10 ottobre 1982, n. 697). 
Gli Stati membri hanno la facolt� di stabilire, nell'osservanza delle 
direttive in materia, un'aliquota IVA pi� alta per i prodotti di lusso 
rispetto ai prodotti nazionali o importati che non abbiano tale carattere, 
purch� tuttavia i criteri scelti per determinare la categoria pi� colpita 
non siano discriminatori nei confronti dei prodotti similari analoghi o 
che siano nel rapporto di concorrenza di cui all'art. 95, secondo comma, 
del trattato e.E.E., coi prodotti nazionali. Applicando alle acqueviti ur.a 
tassazione differenziata in funzione del criterio della denominazione di 
origine o di provenienza, la Repubblica Italiana ha trasgredito, per quanto 
riguarda i prodotti importati dagli altri Stati membri, gli obblighi 
derivantile dall'art. 95 del trattato e.E.E., in quanto fra tutte le acqueviti 
vi � un determinato numero che vanno qualificate prodotti similari 
e comunque fra tutte le acqueviti esistono propriet� comuni sufficienti 
per costituire un rapporto di concorrenza almeno parziale o potenziale, 
e con il criterio suddetto vengono in pratica ad essere tassati maggiormente 
solo i prodotti importati, sebbene la denominazione d'origine o 
di provenienza non conferiscano in linea generale ed automatica alle 
acqueviti cui si riferiscono il carattere di beni di consumo di lusso o di 
prestigio (1). 

(1) La sentenza � nella scia dell'indirizzo seguito dalla Corte riguardo alla 
tassazione delle bevande alcoliche in Italia. Pur riaffermando il principio che il 
diritto comunitario non limita la libert� di ciascuno Stato membro di istituire 
sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in funzione di criteri obiettivi 
come le condizioni di produzione e le materie prime impiegate (sentenze, 
citate in motivazione, 14 gennaio 1981, nella causa 46/80, VINAL, e nella causa 
140/70 CHEMio\L FARMACEUTICI, in questa Rassegna, 1981, I, 47, e 27 maggio 
1981, nelle cause riunite 142-143/80, EssEVI-SALENGO, ibidem, 303, oon note dl 
r11111111r1a111rt1rm1tr1.1111111t,111111111111~1r11111111111111111111111 



286 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte iJ 
23 dicembre 1981, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, 
a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far dichiarare 
che la Repubblica italiana, applicando in materia di imposta sul valore 
aggiunto (IVA) una tassazione differenziata alle acqueviti in funzione del 
criterio della denominazione d'origine o di provenienza, ha trasgredito 
agli obblighi derivantile dall'art. 95 del Trattato CEE. 

2. -Il regime italiano dell'IVA prevede accanto all'aliquota ordinaria, 
un'aliquota ridotta e due aliquote maggiorate. La prima aliquota 
maggiorata, pari al momento dell'introduzione del ricorso al 18%, veniva 
portata al 20% dal decreto legge 1� ottobre 1982, n. 697 (G. U. Repubblica 
Italiana 4 ottobre 1982, n. 273). Essa si applica ad una serie di prodotti 
destinati, secondo il legislatore italiano, al consumo non necessario o 
voluttuario. La seconda aliquota maggiorata che colpisce prodotti il cui 
consumo, secondo il legislatore italiano, ha carattere di lusso o di prestigio, 
era del 35% al momento dell'introduzione del ricorso e veniva 
portata al 38% dal decreto legge 1� ottobre 1982, n. 697. 
3. -Ai sensi del decreto legge 4 marzo 1977, n. 58 (G. U. Repubblica 
Italiana 14 marzo 1977, n. 70), convertito nella legge 9 maggio 1977, n. 183 
(G. U. Repubblica Italiana 13 maggio 1977, n. 129) e modificato con decreto 
legge 1� ottobre 1982, n. 697 (G.U. Repubblica Italiana 4 ottobre 
1982, n. 273), tutte le acqueviti sono tassate con aliquota maggiorata. 
Nell'ambito delle stesse viene, tuttavia, fatta una distinzione poich� il 
gin e le acqueviti a denominazione di origine o di provenienza regolamentata 
o tutelata con norme specifiche sul territorio di produzione vengono 
tassate al 35%, ora al 38%, mentre le altre sono gravate del 18%, 
ora del 20%. 
CONTI), la Corte, proprio in applicazione di tale principio, ha rdtenuto discriminatorio, 
e come tale contrario all'art. 95 del Trattato, il regime IVA italiano 
che colpisce con aliquote diverse le acqueviti a seconda che esse abbiano una 
denominazione di origine o di provenienza (come quasi tutti i prodotti importati) 
o non l'abbiano (come quasi tutti i prodotti nazionali): siffatto criterio non 
sarebbe obiettivo, secondo la Corte, perch� non tale da caratterizzare una singola 
acquavite e distinguerla da altre che pur si trovano in condizioni di similarit� o 
in rapporto di concorrenza almeno parziale o potenziale. In questa angolazione la 
sentenza si riallaccia alle precedenti sentenze 27 febbraio 1980, nella causa 169/78, 
COMMISSIONE c. ITALIA, in questa Rassegna, 1980, I, 272, con nota di CONTI, 
relativa ai contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquavite destinata alla 
vendita al minuto, e 15 luglio 1982, nella causa 216/81, CoGis, ibidem, 1982, 913, 
relativa alla sovrimposta di confine e al diritto erariale che colpivano !'whisky 
importato. 


PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 287 

4. -In considerazione del fatto che non esiste in Italia alcuna regolamentazione 
di tutela della denominazione d'origine o di provenienza 
per le acqueviti di produzione nazionale -essenzialmente quelle chiamate 
� grappa � -la Commissione sosteneva che detto regime aveva 
creato, col criterio sopra descritto, una sotto-categoria fiscale che portava 
a gravare maggiormente la quasi totalit� delle acqueviti importate 
dagli �altri Stati membri rispetto ai prodotti nazionali analoghi o concorrenti. 
5. -Ritenendo pertanto questo regime incompatibile con l'art. 95 
del Trattato, essa apriva la procedura di cui all'art. 169 del Trattato ed 
emetteva, il 2 febbraio 1979, un parere motivato concernente sia la tassazione 
maggiorata del gin, sia quella delle acqueviti a denominazione di 
origine o di provenienza prodotte negli altri Stati membri. Con tale 
parere essa affermava che mantenendo ~l suddetto regime di tassazione, 
la Repubblica Italiana aveva trasgredito gli obbl�ghi derivantile dall'articolo 
95 del Trattato e l'invitava ad adottare i provvedimenti necessari 
ad ovviare alla suddetta trasgressione. 
6. -Non avendo la Repubblica Italiana ottemperato all'invito, la 
Commissione ha proposto il presente ricorso. 
7. -La Commissione, le cui conclusioni sono sostenute dal Governo 
del Regno Unito, assume, essenzialmente, che il regime di tassazione 
differenziata di cui � causa ha l'effetto di gravare la quasi totalit� delle 
acqueviti importate dagli altri Stati membri pi� onerosamente della 
quasi totalit� delle acqueviti italiane e di proteggere in tal modo la 
produzione nazionale. Pur riconoscendo che � consentito agli Stati membri 
prevedere aliquote di tassazione differenziata anche per prodotti 
similari o concorrenti nell'osservanza delle condizioni stabilite dalla Corte 
nella sentenza 14 febbraio 1981 (Vinai, 46/80, Racc. 1981, pag. 77), la Commissione 
sostiene che i criteri scelti dal Governo italiano non soddisfano 
tali requisiti. Il criterio tratto dalla denominazione d'origine o di provenienza 
controllata� ha l'effetto di escludere, a priori, dall'ambito di applicazione 
dell'aliquota meno elevata la quasi totalit� delle �cqueviti importate, 
riservandone il beneficio alla quasi totalit� della produzione italiana, 
sebbene il fatto che altri Stati membri regolamentino la tutela 
della denominazione d'origine o di provenienza delle acqueviti non differenzi 
queste acqueviti da quelle italiane in misura suffi�iente a poter 
giustificare il diverso trattamento. A sostegno della sua tesi, la Commissione 
sottolinea che il prezzo base -tasse escluse -di talune acqueviti 
importate � analogo a quello di taluni prodotti italiani; tale confronto 
contraddice l'affermazione del Governo italiano secondo cui i prodotti 
rJ1111111111111111~11J11111r11111:11111111JJ1l1111111111111.-1.a 



288 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 
soggetti ad aliquota pi� alta vengono consumati da clienti che si servono 
di preferenza di prodotti di lusso o di prestigio e che hanno maggiori 
capacit� contributive. 
8. -Il Governo della Repubblica Italiana, sia durante il procedimento 
amministrativo, sia nel corso della fase giurisdizionale della presente 
causa, non ha smesso di contestare l'asserita trasgressione. Esso 
osserva, anzitutto, che secondo la costante giurisprudenza della Corte gli 
Stati membri possono istituire sistemi impositivi diferenziati, anche 
per prodotti identici, in funzione di criteri obiettivi, come le condizioni 
di produzione e le materie prime impiegate (22 giugno 1976, Bobie, 
127/75, Racc. 1976, pag. 1079; 10 ottobre 1978, Hansen, 148/77, Racc. 1978, 
pag. 1787; 8 gennaio 1980, Schneider, 26/80, Racc. 1980, pag. 3469; 14 gennaio 
1981, Chemial, 140/79, e Vinal, 46/80, Racc. 1981, pagg. 1 e 77; 27 maggio 
1981, Essevi e Salengo, 142 e 143/80, Racc. 1981, pag. 1413). Esso sottolinea 
in particolare che, nelle due sentenze 14 gennaio 1981, Chemial e 
Vinai, la Corte ha riconosciuto che l'applicazione di un sistema di tassazione 
differenziata non pu� essere considerata come una protezione indiretta 
della produzione nazionale ai sensi dell'art. 95, 2� comma, per il solo 
fatto che il prodotto tassato in misura maggiore �, in pratica, un prodotto 
esclusivamente importato dagli altri Stati membri. 
9. -Secondo il Governo italiano, la maggiore tassazione del gin e 
delle acqueviti a denominazione d'argine o di provenienza disciplinate o 
tutelate da disposizioni specifiche sul territorio di produzione risponde 
a criteri obiettivi. La maggiore aliquota IVA che grava su queste acqueviti 
corrisponderebbe alla legittima preoccupazione, peculiare ad ogni 
regime IVA, di applicare aliquote diverse ai prodotti di consumo che 
rispondono ad esigenze essenziali o, comunque, necessarie, a quelli non 
necessari e, infine, a quelli di prestigio o di lusso. 
10. -Le acqueviti protette da una denominazione d'origine o di provenienza 
rientrerebbero, proprio per tale caratteristica, nell'ultima categoria, 
e sarebbero pertanto particolarmente ricercate dalle classi sociali 
pi� agiate, cosicch� la loro maggiore tassazione � intende soltanto colpire 
pi� pesantemente, per ragioni di giustizia distributiva, un consumo 
di lusso che costituisce, come tale, indice di una pi� elevata canacit� 
contributiva �. Il regime di tassazione di cui � causa risponderebbe pertanto 
alle esigenze di obiettivit� e di neutralit� necessarie a giustificare, 
nell'osservanza dell'art. 95, le tassazioni differenziate di prodotti analoghi 
o concorrenti. 
11. -In linea di fatto, il Governo italiano osserva inoltre che il gin 
di produzione nazionale -il cui volume supera quello dei prodotti 
importati -� gravato, per le medesime considerazioni, dell'aliquota pi� ~j 
!! 
~� 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 289 

alta. Esso aggiunge che la maggiore tassazione delle acqueviti a denominazione 
d'origine o di provenienza controllata non ha avuto l'effetto, 
vietato dall'art. 95, 2� comma, di proteggere altre produzioni. I dati statistici 
dedotti dalle due parti dimostrerebbero infatti che l'importazione 
in Italia da altri Stati membri -specialmente dal Regno Unito e dalla 
Francia -sia di gin che di acqueviti a denominazione d'origine o di 
provenienza era complessivamente aumentata in forte misura dal 1971 
al 1981. 

12. -Prima d'esam�nare le varie tesi sostenute nella presente causa, 
va constatato che -come si desume dal tenore letterale del ricorso ed 
� stato confermato dalla Commissione all'udienza -la causa non riguarda 
la tassazione del gin, ma solo quella delle acqueviti a denominazione 
d'origine o di provenienza controllata o disciplinata da norme specifiche 
sul territorio di produzione. 
13. -In merito a dette acqueviti, il Governo della Repubblica Italiana 
ha ragione di ricordare che, secondo la giurisprudenza costante della 
Corte � il diritto comunitario non limita, nello stadio attuale della sua 
evoluzione, la libert� di ciascuno Stato membro di istituire sistemi impositivi 
differenziati per taluni prodotti, in funzione di criteri obiettivi. 
Siffatte differenziazioni sono compatibili col diritto comunitario purch� 
perseguano scopi di politica economica compatibili, anch'essi, con gli 
imperativi del Trattato e del diritto derivato, e le loro modalit� siano tali 
da evitare qualsiasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, nei confronti 
dei prodotti importati dagli altri Stati membri, o di protezione a 
favore di prodotti nazionali concorrenti� (sentenza 27 maggio 1981, Essevi 
e Salengo, 142 e 143/80, Racc. 1981, pag. 1413). 
14. -Non si pu�, del resto, contestare che, nell'ambito dei regimi 
armonizzati di imposta sul valore aggiunto, gli Stati membri hanno la 
facolt� di gravare maggiormente, in particolare, certi beni di consumo 
considerati prodotti di lusso. Tuttavia, la libert� d'imposizione in materia 
di tributi nazionali, che deve pertanto essere lasciata agli Stati membri, 
non pu� legittimare deroghe al principio fondamentale di non discriminazione 
fiscale di cui all'art. 95, ma deve rientrare nell'ambito di 
detta norma e rispettarne i divieti. 
15. -L'esame del regime di cui � causa porta a concludere che esso 
non soddisfa tali condizioni. 
16. -Come ha ripetutamente ammesso la Corte, fra l'altro, nelle 
sentenze 27 febbraio 1980 (Commissione e/ Francia, 168/79; Commissione 
e/ Italia, 169/78 e Commissione e/ Danimarca, 171/78, Racc. 1980, pagine 
347, 385 e 447), fra tutte le acqueviti vi � un indeterminato numero 

290 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

Idi bevande che vann� qualificate prodotti similari ai sensi dell'art. 95, 

1� comma, ed anche nei casi in cui non � possibile riscontrare un suffi


li

ciente grado d'analogia fra i prodotti considerati, esistono tuttavia fra 

I lli

tutte le acqueviti propriet� comuni sufficienti per costituire un rapporto 
di concorrenza almeno parziale o potenziale. Basta questa constatazione 
per desumere che la loro rispettiva tassazione non deve avere effetto 
protezionistico della produzione nazionale. Onde valutare quest'effetto, 
� necessario, lasciando da parte il raffronto di dati relativi al consumo 
e all'importazione, considerare quale sarebbe il mercato potenziale dei 
prodotti di �cui trattasi in assenza di misure protezionistiche. 

17. -Trattandosi di prodotti sia similari, sia in rapporto di concorrenza, 
che rientrano quindi nell'ambito d'applicazione dell'art. 95, 2� comma, 
non si pu� pertanto ritenere compatibile col divieto di discriminazione 
posto da detta norma un criterio di tassazione maggiorata, quale 
quello di denominazione d'origine o di provenienza, che, per definizione, 
non possa comunque venir applicato ai prodotti nazionali analoghi o che 
si trovino nel suddetto rapporto di concorrenza coi prodotti importati 
da altri Stati membri. Un regime del genere ha l'effetto d'escludere a 
priori i prodotti nazionali dal regime di tassazione pi� oneroso, in quanto 
essi non soddisferanno mai le condizioni della tassazione maggiorata 
e dipende solo dalla volont� del legislatore nazionale -non instaurando 
un regime generale da applicare a tutte le acqueviti -prolungare indefinitamente 
tale situazione indipendentemente, peraltro, dalle similitudini 
o dalle discordanze nelle condizioni di produzione, di qualit�, di prezzo 
e di concorrenza fra prodotti nazionali e prodotti importati dagli altri 
Stati membri; 
18. -Siffatto carattere discriminatorio e, comunque, protezionistico 
della produzione nazionale � posto in piena luce dalla constatazione, che 
risulta dai dati statistici forniti dalla convenuta, che, per il periodo 
1975-1981, almeno il 98,5 O/o delle acqueviti importate � stato tassato coll'aliquota 
maggiorata del 35 O/o (secondo la valutazione del Governo italiano, 
l'Italia importava solo hl. 2.000-3.000 di acqueviti tassate al 18 % , 
su un'importazione annua complessiva oscillante fra hl. 194.099 ed 
hl. 284.087), mentre, per lo stesso periodo, pi� del 98,5 % delle acqueviti 
italiane ha fruito dell'aliquota del 18 % (il consumo annuo di gin italiano 
soggetto ad imposta del 35 % � stato stimato a hl. 4.000 circa, 
mentre il consumo complessivo di acqueviti nazionali variava da 
hl. 266.978 ad hl. 368.644 annui). 
19. -Non si pu� inoltre trascurare il fatto che se fra le denominazioni 
d'origine o provenienza talune possono essere tali da conferire ai 
prodotti che ne beneficiano una reputazione di qualit�, esse non conferiscono, 
per questo, in linea generale ed automatica alle acqueviti a cui n 
I

fil 

.

J. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

si riferiscono il carattere di beni di consumo di lusso o di prestigio. 
Cosa che avviene, in particolare, quando queste non hanno tale carat� 
tere nello Stato membro d'origine. 

20. -Se del resto -e non ha potuto essere dimostrato -la presunzione 
di prodotto di lusso o di prestigio che la normativa italiana 
desume dalla denominazione d'origine o di provenienza dovesse, momentaneamente, 
corrispondere, nell'uno o nell'altro Stato membro, a 
precedenti abitudini di consumo, si deve tener conto del fatto che la 
creazione di un mercato comune nel quale, in conformit� agli artt. 2 e 3 
del Trattato, le merci circolano liberamente in condizioni di concorrenza 
non falsata, ha lo scopo d'eliminare simili cristallizzazioni delle 
abitudini di consumo garantendo, quanto pi� � possibile, a tutti i consumatori 
le medesime possibilit� d'accedere all'insieme dei prodotti 
comunitari. 
21. -Va infine sottolineato che le suddette considerazioni non limitano 
affatto la facolt� degli Stati membri di stabilire, nell'osservanza 
delle direttive in materia, un'aliquota IVA pi� alta per i prodotti di 
lusso rispetto ai prodotti nazionali o importati che non abbiano tale 
carattere, purch� tuttavia i criteri scelti per determinare la categoria 
pi� colpita non siano discriminatori nei confronti dei prodotti importati 
analoghi o che siano nel rapporto di concorrenza di cui all'art. 95, 
2� comma, coi prodotti nazionali. 
22. -Dalle suddette considerazioni risulta che, applicando alle acqueviti 
una tassazione differenziata in funzione del criterio della denominazione 
d'origine o di provenienza -come risulta dal decreto legge 
4. marzo 1977, n. 58, relativo all'IVA -la Repubblica italiana ha trasgredito, 
per quanto riguarda i prodotti importati dagli altri Stati membri, 
gli obblighi derivantile dall'art. 95 del Trattato CEE. (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 15 marzo 1983, 
nelle due cause 61/82 e 62/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. 
Gen. Roz�s -Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione 
delle C.E. (ag. Campogrande). 

Comunit� Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia 
(F.E.O.G.A.) -Liqlddazione dei conti � Vendita di cereali di intervento. 
(Regolamento e.E.E. del Consiglio� 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; reg. �e.E.E. 

della Commissione 27 febbraio 1970, n. 376, artt. 1 e 3). 

Comunit� Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia 
(F.E.O.G.A.) � Liquidazione dei conti � Aiuti per il latte scremato 
in polvere. 
(Regolamento C.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; reg. C.E.E. 

della Commissione 15 maggio 1972, n. 990, art. 1). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

292 

Comunit� Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garan


zia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Aiuti al magazzinaggio del 

vino. 

(Regolamenti e.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 28 aprile 1970, 

n. 816, artt. 5, 6 e 7; reg. e.E.E. della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437). 
Comunit� Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia 
(F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Aiuti all'ammasso di formaggio. 
(Regolamenti C.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 15 luglio 1968, 

n. 971, artt. 10 e 11; reg. e.E.E. della Commissione 27 luglio 1968, n. 1107, art. 17). 
Comunit� Europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e di garan


zia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti � Aiuto all'ammasso di carni 

essiccate. 

(Regolamento C.E.E. del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5; reg. e.E.E. 

della Commissione 11 ottobre 1974, n. 2600). 

Nel 1974 l'organismo di intevento italiano non poteva vendere i cereali 
detenuti ad un prezzo inferiore a quello di mercato, secondo quanto 
stabilito nel regolamento CEE della Commissione 27 febbraio 1970, n. 376, 
in quanto preoccupazioni di carattere sociale, quali l'intento di frenaire 
fenomeni speculativi, avrebbero potuto legittimare opportune iniziative 
dirette ad ottenere, nell'ambito comunitario, l'adeguamento della normativa 
da applicare, ma non avrebbero dovuto condurre ad una interpretazione 
dei regolamenti comunitari in contrasto con la loro lettera e 
con le loro finalit�: � pertanto legittimo l'accredito al F.E.O.G.A. di una 
somma corrispondente al minore introito della vendita (1). 

Gli aiuti al latte scremato trasformato in alimenti composti per 
animali possono essere corrisposti solo per il quantitativo di prodotto 
effettivamente utilizzato nella fabbricazione dei mangimi, senza tener 
conto dei cali di lavorazione: le somme erroneamente corrisposte dall'organismo 
di intervento italiano per il prodotto disperso in cali di 
lavorazione effettivi non sono imputabili al F.E.O.G.A. (2). 

Gli aiuti al magazzinaggio privato de? vino, previsti e disciplinati dai 
regolamenti CEE del Consiglio n. 816/70 del 18 aprile 1970 e della Com� 
missione n. 1437/70 del 20 luglio 1970, sono legittimamente corrisposti, 
e come tali imputabili al F.E.O.G.A., solo se i relativi contratti di ma


(1-5) La Commissione prosegue in una linea di interpretazione rigidissima, 
e non sempre molto convincente, anche per Ia sinteticit� delle motivmoni 
adottate, dei regolamenti comunitari. che contemplano spese che fanno carico 
al F.E.0.G.A. (cfr. la precedente sentenza 27 gennaio 1981, nella causa n. 1251/79, 
ITALIA c. COMMISSIONE, in questa Rassegna, 1981, I, 172, e le. altre sentenze, 
ivi citate, che hanno respinto analoghi ricorsi di altri Stati, ctii adde, ora, la 
sentenza 15 marzo 1983, nella causa 45/82, PAESI BASSI c. COMMISSIONE, che 
ha visto anch'essa soccombente lo Stato ricorrente). La constatazione della rigidit� 
con la quale la Corte e prima di essa la Commissione controllano la impu




Pi\R.Tll I, SllZ. II, GlURIS. COMUNITi\RIA E INTERNAZIONALE 293 

gazzinaggio siano stati stipulati nei termini prescritti dalla normativa 
comunitaria con la stesura di atto scritto, previa verifica di tutti gli 
elementi pertinenti da parte dell'ente di intervento (3). 

Gli ai�ti al magazzinaggio privato del formaggio, previsti e disciplinati 
dai regolamenti CEE del Consiglio n. 971/68 del 15 luglio 1968 
e della Commissione n. 1107/68 del 27 luglio 1968, sono legittimamente 
corrisposti, e come tali imputabili al F.E.O.G.A., solo se i relativi contratti 
di magazzinaggio siano stati stipulati nei termini prescritti dalla 
normativa comunitaria con la stesura di uno specifico atto scritto (4). 

Gli aiuti _all'ammasso privato di carni essiccate, di cui al regolamento 
�eE <J,elta �om,m,issione n. 2600/74 dell'll ottobre 1974 sono legittimairtente 
corrisposti, e come tali imputabili al F.E.O.G.A., solo se � stato 
rispettato il periodo minimo di stagionatura, che deve riguardare tutti 
i prodotti che formano oggetto del singolo contratto (5). 

I 

(omissis) 1. " C�n atto registrato in cancelleria 1'11 febbraio 1982, 
la Repubblica italiana ha presentato a questa Corte, ai sensi dell'art. 173, 
1� comma, del Trattato CEE, un ricorso diretto all'annullamento della 
decisione della Commissione 16 novembre 1981, n. 81/1043, relativa alla 
liquidazione dei conti presentati dalla Repubblica italiana per le spese 
dell'esercizio 1974 finanziate dal Fondo europeo agricolo di orientamento 
e di garanzia, sezione garanzia (G. U. 1981, n. L375, pag. 25), in quanto 
la Commissi�ne ha aumentato a beneficio del F.E.A.O.G. le entrate connesse 
con la vendita di cereali d'intervento di un importo di lire 

2.264.702.642 e in quanto essa non ha imputato al F.E.A.0.G. un importo 
<;li L. 1.876.422'.089 relativo al versamez;tto di aiuti inerenti al latte magro 
in polvere u:tilizz_ato per l'alimentazione degli animali, al magazzinaggio 
del vino e all'ammasso di formaggio. 
a) Vendita di cereali di. intervento 

i. -Il regolamento deJ}a Commissione 27 febbraio 1970, n. 376, � che 
fis~a le proced�re e le condi:zioni per la vendita dei cereali detenuti dagll 
.. . 

tabilit� al F:E.0.G.A. delle spese erogate dagli organismi di intervento, in adempimento 
di obblighi imposti da norme c�munitarie, deve indurre anche tali organismi 
ad una attenta considerazione dei .problemi che si pongono, che li veda 
magari, in caso di effettivo dubbio,. subordinare l'erogazione dell'aiuto ad una 
chiara e specifica presa di ppsizione positiva da parte della. Commissione o addirittura 
alla risoluzione delfa controversia in sede contenziosa previo giudizio 
interpretativo della Corte di giustizia: ci� pu� ritardare effettivamente l'erogazione 
di alcuni aiuti, nia, nei casi dubbi, � preferibile il r.itardo alla esclusione 
di ingentissime somme dalla imputaziene al F.E.O.G.A. 

~~ �.,�~:: 

.. X'

--��,�x-



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

294 

organismi d'intervento� (G. U. n. L47, pag. 49), dispone, all'art. l, che 
detta vendita deve essere effettuata mediante gara e, all'art. 3, n. 2, che 
il prezzo di vendita deve corrispondere, almeno, al prezzo locale di 
mercato. 

3. -Il Governo italiano sostiene che tali condizioni sono state osservate 
all'atto della vendita di rilevanti quantitativi di cereali acquistati 
presso enti di intervento di altri Stati membri e messi in vendita in 
Italia durante i primi sette mesi del 1974. La Commissione afferma, per 
contro, che i cereali trasferiti alla Azienda di Stato per gli interventi 
nel� mercato agricolo (in prosieguo: A.I.M.A.), ente italiano di intervento, 
sono stati messi in vendita da quest'ultimo a prezzi nettamente inferiori 
ai prezzi di mercato locali. 
4. -� ormai pacifico fra le parti, in questa fase della controversia, 
che, all'epoca presa in considerazione, la media dei prezzi di mercato 
rilevati sulle piazze di Alessandria, Milano, Bologna, Padova, Ancona e 
Grosseto, ascendeva a 9.500 lire al quintale, mentre i prezzi di vendita 
dei cereali di intervento praticati dall'A.I.M.A. oscillavano fra le 8.000 
e le 8.200 lire al qumtale. 
5. -Il Governo italiano fa valere tuttavia. che gli anni 1973 e 1974 
sono stati caratterizzati da una situazione congiunturale particolare che 
ha condotto le autorit� italiane a disporre un blocco temporaneo dei 
prezzi per taluni generi alimentari di largo consumo quali le paste 
alimentari. I prezzi dei cereali d'int"ervento sono stati determinati iri 
funzione di questo blocco. Infatti, i cereali d'intervento sono stati esitati 
dall'AIMA allo scopo di agevolare il mantenimento di tale blocco a fronte 
di movimenti speculativi sul mercato e tale operazione non avrebbe avuto 
alcun successo se questi cereali fossero stati venduti al prezzo di mercato. 
6. -Questo argomento va disatteso. Bench� preoccupazioni di carattere 
sociale possano legittimare opportune iniziative dirette ad ottenere, 
nell'ambito comunitario, l'adeguamento della normativa da applicare, 
esse non possono condurre tuttavia ad una interpretazione dei regolamenti 
comunitari in contrasto con la loro lettera e con le loro finalit�. 
7. -Va ricordato, al riguardo, che le disposizioni del regolamento 
n. 376/70, a norma delle quali il prezzo di vendita dei cereali messi in 
vendita dagli enti di intervento deve corrispondere, almeno, al prezzo 
locale di mercato, si prefiggono lo scopo di evitare un deterioramento 
del mercato, garantendo cos� il buon funzionamento dei provvedimenti 
di intervento comunitari. 
8. -Ne consegue che tale capo della domanda va respinto. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

b) Aiuti per il latte scremato in polvere 

9. -L'art. 1 del regolamento della Commissione 15 maggio 1972, 
n. 990, � r�lativo alle modalit� per la concessione di aiuti al latte scremato 
trasformato in alimenti composti ed al latte scremato in polvere 
destinato all'alimentazione degli animali� (G. U. n. L 115, pag. 1), dispone 
che il latte magro in polvere pu� beneficiare di aiuti soltanto dopo 
essere stato utilizzato nella fabbricazione di mangimi composti alle condizioni 
di cui all'art. 4. Questa ultima norma fissa i requisiti a cui debbono 
rispondere gli alimenti composti per animali. 
10. -Il Governo italiano sostiene che la Commissione avrebbe dovuto 
imputare al F.E.A.O.G. un importo corrispondente ai cali di lavorazione, 
vale a dire il quantitativo di latte magro in polvere perduto, per motivi 
puramente tecnici, nel corso del processo di fabbricazione del prodotto 
composto. Gli aiuti corrisposti dall'A.I.M.A. ai produttori erano comprensivi 
di tali perdite fino al limite massimo del 2 % dell'ammontare 
complessivo dell'aiuto. 
11. -A parere della Commissione, solo il latte magro ed il latte 
magro in polvere effettivamente utilizzati per l'alimentazione degli animali 
possono fruire dell'aiuto comunitario. La tesi del Governo italiano 
equivarrebbe ad accordare l'aiuto a qualsiasi quantitativo di prodotto 
utilizzato nel processo di produzione dei mangimi. 
12. -Il punto di vista esposto dalla Commissione va accolto. Esso 
� conforme alla stessa formulazione delle norme del regolamento numero 
990/72 e si fonda sul suo preambolo ove, dopo un accenno alla 
necessit� di apportare talune modifiche alla normativa vigente all'epoca, 
viene menzionata espressamente l'esigenza di assicurare �che il latte 
scremato e il latte scremato in polvere ai quali siano concessi aiuti 
siano effettivamente utilizzati per l'alimentazione degli animali �. 
13. -Il Governo italiano fa altresl valere che la Commissione, anche 
ove la sua interpretazione fosse esatta, non aveva il diritto di ridurre 
le spese di cui trattasi nella misura del 2 % che costituisce il limite 
massimo consentito dalla legge italiana. In realt� la percentuale media 
di perdite a fronte delle quali � stato versato l'aiuto andrebbe valutata 
all'l %. 
14. -Il Governo italiano ha prodotto alla Corte come prova una 
tabella che riguarda tuttavia solo il 25 % del quantitativo totale di polvere 
di latte trasformato in mangimi in Italia durante gli anni 1974 e 
1975. Relativamente a tale quantitativo, il calo medio ammontava a 
1,745 % per l'anno 1974 e a 1,464 % per l'anno 1975. 

'� '� 
296 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

15. -Alla luce di quanto sopra, non � provato che, sul totale del 
quantitativo trasformato, la percentuale delle perdite effettive si scosti 
sensibilmente dalla misura massima del 2 % contemplata dalla legge 
italiana: e sulla quale si � basata la Commissione all'atto della liquidazione. 
16. -Di conseguenza, le censure mosse alla decisione della Commis� 
sione per quanto concerne gli aiuti al latte magro in polvere vanno 
respinte. 
c) Aiuti al magazzinaggio del vino 

17. -Il Governo italiano riconosce che la decisione della Commissione 
di non imputare al F.E.A.O.G. l'importo litigioso relativo all'aiuto 
al magazzinaggio di vino per l'anno 1974 si basa sugli stessi motivi dell'analoga 
decisione riguardante l'anno precedente e che la Corte ha 
respinto il ricorso promosso dalla Repubblica italiana contro tale ultimo 
provvedimento nella sentenza 27 gennaio 1981 (causa 1251/79, Italia 
c. Commissione, Racc. pag. 205). Esso chiede tuttavia alla Corte di riconsiderare 
il suddetto problema. 
18. -Come giustamente ricordato dal Governo italiano, la sentenza 
27 gennaio 1981 ha accertato che l'A.I.M.A. non aveva corrisposto gli 
aiuti al magazzinaggio di vino, per l'anno 1973, in conformit� alle norme 
comunitarie pertinenti in quanto non si era provveduto alla conclusione 
dei contratti entro una certa data. La Corte ha precisato che, ai sensi 
delle norme comunitarie in materia, la conclusione di un contratto di 
magazzinaggio avviene solo al momento della stesura dell'atto scritto 
previa verifica della sussistenza delle condizioni cui l'aiuto comunitario 
� subordinato. 
19. -Il Governo ricorrente contesta tale ultima interpretazione senza 
tuttavia fornire ulteriori argomenti oltre a quelli gi� esaminati nella 
succitata sentenza. 
20. -Di conseguenza, neppure questo capo della domanda pu� essere 
accolto. 
d) Aiuti all'ammasso di formaggio 

21. -L'art. 10 del regolamento del Consiglio 15 luglio 1968, n. 971, 
� che stabilisce le norme generali che disciplinano le misure d'intervento 
sul mercato dei formaggi Grana padano e Parmigiano-Reggiano � (G. U. 
n. L 166, pag. 8), dispone, al n. 2, che l'aiuto all'ammasso privato di detti 
formaggi � subordinato alla stipulazione di un contratto d'ammasso fra 
l'ente di intervento e ogni interessato in grado di rispettare le condizioni 
del contratto. 

I'ARTB I, SBZ. II, GIURJS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 297 

22. -Il Governo italiano sostiene� che, conformemente alla prassi 
seguita dall'A.I.M.A., la redazione, da parte di un funzionario dellc> 
Stato, del verbale di costituzione in ammasso, che precisa la data di 
inizio dell� operazioni di introduzione in� magazzino, va equiparata alla 
conclusione di un contratto. 
23. -A parere della Commissione, un contratto di ammasso si mtende 
con�luso, ai sensi dell'art. 10 del regolamento n. 971/68, solo al 
momento della sottoscrizione, da parte dell'ammassatore e del rappresentante 
dell'ente di intervento, dell'atto scritto contenente le condizioni 
del contratto. Essa ricorda, al riguardo, che a norma dell'art. 11 del 
regolamento n. 971/68, il contratto di ammasso deve almeno comprendere 
disposizioni riguardanti la quantit� di formaggio immagazzinata, 
l'importo dell'aiuto, le date relative all'esecuzione del contratto, le condizioni 
concernenti la quantit� minima di formaggi per partita e le 
misure di controllo. 
24. -Il Governo italiano si fonda essenzialmente sull'argomento secondo 
cui la conclusione di un contratto di ammasso di formaggi � 
disciplinata dal diritto nazionale. A differenza delle norme comunitarie in 
materia di magazzinaggio di vino, oggetto della sentenza 27 gennaio 1981, 
quelle relative all'ammasso di formaggio non richiederebbero alcuna 
forma particolare per il contratto. Orbbene, le norme generali del diritto 
civile italiano dispongono che il contratto � concluso nel momento dell'incontro 
di volont� fra le parti. Inviando all'A.I.M.A. una domanda 
per la concltisione di un contratto d'ammasso, l'ammassatore farebbe 
una proposta all'A.l.M.A. che verrebbe accettata da quest'ultima al momento 
della stesura del verbale di constatazione dei quantitativi di formaggio 
costituiti in ammasso. L'atto scritto, in forma di disciplinare, 
che l'interessato � successivamente invitato a sottoscrivere, si limiterebbe 
a riassumere, a fini contabili, le operazioni gi� eseguite. 
25. -La Commissione muove, come il Governo italiano, dal presupposto 
che la conclusione del contratto d'ammasso sia disciplinata, nella 
specie, dalla legge italiana. A suo parere, le norme nazionali inerenti 
alle attivit� dell'A.I.M.A. dispongono tuttavia che il contratto fra tale 
ente e l'ammassatore � concluso nel momento in cui questo ultimo 
appone la propria firma all'atto di sottomissione col quale si impegna 
ad osservare le condizioni elencate nel disciplinare. 
26. -Va fatto rilevare che le norme comunitarie, pur non fissando 
espressamente la forma del contratto d'ammasso di formaggio, si basano 
sul presupposto che ogni operazione di ammasso, onde beneficiare dell'aiuto 
comunitario di cui all'art. 10, n. 2, del regolamento n. 971/68, 
dev'essere .preceduta dalla stipulazione di un contratto scritto. 
6 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

298 

27. -Tale requisito discende innanzitutto dal preambolo del regolamento 
n. 971/68 ove, dopo la considerazione che l'ammasso privato 
deve contribuire a realizzare l'equilibrio del mercato, si fa osservare� 
che varino adottate norme comunitarie che assicurino il regolare funzionamento 
di tale forma di ammasso e che a tal fine � necessario, in 
particolare, prevedere � un contratto d'ammasso stipulato secondo norme 
comunitarie �. 
28. -Si rica-va poi dalle norme comunitarie pertinenti ed in particolare 
dall'art. 11 del regolamento n. 971/68, che elenca talune disposizfoni 
da inserire obbligatoriamente nel contratto di ammasso, che quest'ultimo 
pu� avere soltanto forma scritta. La stessa conclusione di~
cende dall'art. 17, n. 2, del regolamento della Commissione 27 luglio 
1968, n. 1107, �relativo alle modalit� di applicazione degli interventi, 

sul mercato dei formaggi Grana padano e Parmigiano Reggiano� (G. U. 

n. L 184, pag. 29), a norma del quale l'assuntore perde il beneficio dell'aiuto 
se quantitativi di formaggio compresi nel contratto escono dall'ammasso 
prima della scadenza contrattuale. 
29. -La stessa interpretazione si impone, infine, alla luce degli scopi 
perseguiti dal regime di intervento di cui trattasi. Detto regime, che 
rientra nell'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e 
dei prodotti lattiero-caseari, mira a contribuire alla stabilizzazione di 
questi mercati, fra l'altro, tramite un aiuto comunitario all'ammasso 
privato di taluni formaggi, stabilizzazione che pu� essere raggiunta 
solo se l'effettiva sottrazione dal mercato dei quantitativi di formaggio 
oggetto dei contratti di ammasso viene garantita da norme comunitarie. 
30. -Ne consegue che, ai sensi del regolamento n. 971/68, il contratto 
di ammasso viene concluso soltanto al momento della firma 
dell'atto scritto. D'altro canto, le disposizioni nazionali che disciplinano 
le attivit� dell'A.I.M.A. precisano le modalit� di sottoscrizione dei contratti 
di ammasso proprio per soddisfare tale requisito posto dal 
diritto comunitario. 
31. -La doglianza del Governo italiano in ordine all'esclusione dall'imputabilit� 
al F.E.A.0.G. di talune spese relative agli aiuti all'ammasso 
di formaggio non pu� pertanto essere accolta. (omissis) 
II 

(omissis) 1. -Con atto registrato in cancelleria 1'11 febbraio 1982, la 
Repubblica italiana ha presentato a questa Corte, ai sensi dell'art. 173, 
1� comma, del Trattato CEE, un ricorso diretto all'annullamento della 
decisione della Commissione 16 novembbre 1981, n. 81/1044, relativa alla 
liquidazione dei conti presentati dalla Repubblica italiana per le spese 

~ 

~ 


PARTE I,., SEZ. lI, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 299 

dell'esercizio 1975 finanziate dal Fondo europeo agric�lo di orieptamento 
e di gaFanzia, sezione garanzia (G. U. n. L 375, pag. 27), in quanto la 
Commissione non ha imputato al F.E.A.Q.G. un importo di L. 8.395.731.522 
relativo ai versamento di aiuti inerenti al latte scremato in polvere 
utilizzato per l'alimentazione degli animali, all'amm�sso di carni essiccate, 
al magazzinaggio di vino e all'ammasso. �di formaggio. (o11Ji~sis) (1) 

b) Aiuti all'ammasso di carni essiccate 

10. -Il regolamento della Commissione 11 ottobre 1974, n . .2600, �che 
tl1odifica il regolamento :n. 289/71 per quanto riguarda le modalit� di 
applicazione della concessione di aiuti all'ammass� privato di alcuni 
prodotti. stagionati o stagionati e affumicati del settore delle carni 
suine� (G. U, n. L 277, pag. 34) �dispone, all'art. 2, che l'ammasso effettivo 
(le;L :t?t9sciutti stai?;ionati o stagionati e affumicati inizia il primo giorno 
ciel)sesto mese successivo all'inizio delle operazioni di stagionatura o 
di .stagionatura .e affumicatura. 
H. -La C�htroversia fra le parti riguarda l'espressione �inizio delle 
�perazioni di stagionatura o di stagionatura e affumicatura�. Il Governo 
italiano considera come inizio delle operazioni la data della pesatura 
della pt.ima partita di prodotto fresco oggetto di ciascun contratto di 
ammasso. Per la Commissione, l'operazione ha avuto inizio soltanto 
quando essa ha interessato tutti i prodotti costituenti la partita da 
immagazzinare. 
12. -La Commissione ricorda, al riguardo, che la nozione di prosciutto 
stagionato o stagionato e affumicato viene precisata all'art. 1 
del regolamento n. 2600/74, nel senso che si richiede che il prodotto� 
abbia subito un periodo minimo di maturazione di 5 mesi. Di conseguenza, 
solo un prodotto gi� sottoposto a tale maturazione potrebbe 
essere ammesso a beneficiare dell'aiuto comunitario all'ammasso dci 
prosciutti stagionati o stagionati e affumicati. 
13. -La tesi propugnata dalla Commissione va accolta. L'interpre� 
tazione data dal Governo italiano porterebbe infatti a far sovvenzionare, 
almeno parzialmente, i prodotti di cui � causa anche durante il periodo 
della maturazione, mentire il� regime degli aiuti si propone di consentire 
la sottrazione dal mercato di prodotti in possesso di tutti i requisiti 
per esservi immessi. 
14. -Questo capo della domanda � quindi infondato. (omissis) (1) 
Cl) Si omettono le parti della motivazione relative agli aiuti inerenti al 
latte scremato in polvere, al magazziinaggio del vino e all'ammasso del formaggio, 
in quanto identiche a quella della sentenza che precede. 



300 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 marzo 1983, 
nella causa 88/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione 
italiana nella causa Amministrazione delle Finanze c. Leonelli -
Interv.: Governo italiano (avv. Stato Laporta) c. Commissione delle 

C.E. (ag. Campogrande). 
Comunit� Europee -Unione doganale -Dazi doganali e tasse di effetto 
equivalente -Importazione da paesi terzi -Carni fresche di volatili 
da cortile -Diritti di visita sanitaria -Regime provvisorio. 
(Regolamento e.E.E. del Consiglio 13 giugno 1967, n. 123, art. 11; direttiva e.E.E. del 

Consiglio 15 febbraio 1971, n. 71/118, art. 15). 

Per le importazioni di carni fresche di volatili da cortile da paesi terzi, 
la deroga introdotta dall'art. 15 della direttiva del Consiglio 15 febbraio 
1971, n. 71/118, al divieto di esigere dazi doganali o tasse d'effetto equivalente, 
sancito dall'art. 11 n. 2, del regolamento del Consiglio 13 giugno 
1967, n. 123, si applica a far data dalla notifica della suddetta direttiva 
allo Stato membro interessato, indipendentemente dal fatto che questo 
ultimo abbia o meno adottato i provvedimenti necessari per conformarsi 
alle disposizioni della direttiva stessa (1). 

(Omissis) 1. -Con ordinanza 15 maggio 1981, pervenuta il 12 marzo 
1982, la Corte Suprema di cassazione ha proposto a questa Corte, ai 
sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa 

< all'interpretazione dell'art. 15 della direttiva del Consiglio 15 febbraio 
1971, n. 71/118, � relativa a problemi sanitari in materia di scambi di 
carni fresche di volatili da cortile� (G. U. n. L 55, pag. 23). 

2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di una causa intentata 
dai sigg. Armando e Ottavio Leonelli contro l'amministrazione italiana 
delle finanze onde vederla condannare alla restituzione delle somme 
versate quali diritti di controllo sanitario a fronte d'importazioni, fra 
(1) Pronuncia conforme alla soluzione proposta dal Governo italiano, il 
quale aveva osservato che l'operativit� della deroga introdotta dall'art. 15 della 
direttiva non era subordinata a condizione alcuna, e in particolare all'adozione 
da parte dello Stato membro delle norme di attuazione della dirett.iva stessa 
(contenute in Italia nel d.P.R. 12 novembre 1976, n. 1000). Per la nozione di tassa 
di effetto equivalente a un dazio doganale, nella giurisprudenza della Corte, cui 
la sentenza si richiama nel punto 7, cfr. le sentenze citate in FIUMARA, Corte 
di Giustizia delle Comunit� Europee e libera circolazione delle merci, in questa 
Rassegna, 1978, II, pag. 3, e Le pi� recenti sentenze della Corte di Giustizia sulla 
libera circolazione delle merci, ibidem, 1980, II, pag. 78, e, in particolare, riguardo 
a diritti per controlli sanitari di carni importate da paesi terzi, oltre la sentenza, 
citata in motivazione, 22 gennaio 1980, nella causa 30/79, WIGEI, in Racc. 1980, 
151, le sentenze 28 giugno 1978, nella causa 70/77, SIMMENTHAL, in Racc., 1978. 

PARTE I, SEZ. 11, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 301 

l'altro di pollame vivo e di carni fresche di volatili da cortile dall'Ungheria, 
effettuate fra H 1968 e il 1975. I sigg. Leonelli hanno sostenuto 
che tali diritti erano stati riscossi in violazione dell'art. 11, n. 2, del 
regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 123 �relativo all'organizzazione 
comune dei mercati nel settore del pollame�. (G. U. pag. 2301). Tale 
norma vieta, fra l'altro, salvo disposizioni contrarie dello stesso regofamento 
o deroga decisa dal Consiglio, la riscossione di qualsiasi dazio 
doganale o tassa d'effetto equivalente sulle importazioni di pollame da 
paesi terzi. 

3. -Tuttavia, l'art. 15 della precitata direttiva del Consiglio n. 71/118 
dispone che �fino all'entrata in vigore delle disposizioni comunitarie 
relative alle importazioni di carni fresche di volatili da cortile in provenienza 
da paesi terzi, gli Stati membri applicano a tali importazioni 
disposizioni almeno equivalenti a quelle risultanti dalla presente direttiva
�. 
4. -A norma dell'art. 16 della stessa direttiva, gli Stati membri 
erano tenuti ad adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed 
amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni della direttiva, 
per quanto concerne gli scambi intracomunitari, entro due anni 
dailla notifica stessa. 
5. -Ritenendo subordinata la sentenza da pronunciare all'interpretazione 
delle suddette norme di diritto comunitario e, pi� in particolare, 
del combinato disposto di tali norme, la Corte Suprema di cassazione ha 
sospeso il procedimento sottoponendo a questa Corte la questione di 
� ... interpretazione dell'art. 15 della direttiva del Consiglio 71/118 relativa 
a problemi sanitari in materia di scambi di carni fresche di volatili 
da cortile, affinch� accerti se la deroga da detta norma introdotta al 
divieto di esigere dazi doganali diversi da quelli indicati nella tariffa 
doganale comune e tasse nazionali d'effetto equivalente (divieto sancito 
nel regolamento CEE n. 123 del 13 giugno 1967 relativo all'orga1453, 
e 5 luglio 1978, nelle cause 137/77, NEUMANN, dn Racc. 1978, 1623 e 138/77, 
LUDWIG, in Racc., 1978, 1645, ove la Corte rileva come gli obiettivi e le basi 
giuridiche non siano identici per gli scambi con i paesi terzi e per l'interscambio 
comunitario: per quest'ultimo il divieto delle tasse di effetto equivalente � inteso 
a realizzare il principio fondamentale della libera circolazione delle merci, mentre 
nei confronti dei paesi terzi la questione della riscossione di tali tasse dipende 
dai principi della politica commerciale comune e dall'esigenza di parificazione 
delle condizioni di importazione, derivante dall'istituzione della tariffa doganale 
comune; H divieto � quindi incondizionato e assoluto negli scambi dntercomunitari, 
mentre la regolamentazione comunitaria pu� ammettere eccezioni e deroghe 
negli scambi esterni, purch� si tratti unicamente di oneri aventi, iD. quanto tali, 
incidenza uniforme in tutti gli Stati membri sugli scambf considerati. 



302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nizzazione comune dei mercati nel settore del pollame) e, conseguen4 
temente, il potere per ogni Stato membro di continuare ad esigere 
detti tributi siano subordinati anche alla condizione ch'esso abbia gi� 

~l 
adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie 
per conformarsi alla citata direttiva �. 

I

6. -Tale questione mira sostanzialmente a stabilire se, per le importazioni 
di carni fresche di volatili da cortile in provenienza dai paesi 
terzi, la deroga stabilita dall'art. 15 della direttiva n. 71/118 al divieto 
I di riscuotere dazi doganali o tasse d'effetto equivalente, enunciata all'art. 
11, n. 2, del regolamento n. 123/67, si applichi a decorrere dalla 
notifica della suddetta direttiva allo Stato membro interessato ovvero 
se la sua applicazione dipenda dalla ulteriore condizione che tale 
Stato membro abbia gi� adottato i provvedimenti necessari a conformarsi 
alle disposizioni della direttiva stessa. 

7. -Come la Corte ha constatato nella sentenza 22 gennaio 1980 
(causa 30/79, Wigei, Racc. pag. 151), l'art. 11, n. 2, del regolamento 
n. 123/67 vieta effettivamente, salvo deroga decisa dal Consiglio, la riscossione, 
negli scambi con i paesi terzi di carni fresche di volatili, di 
diritti doganali diversi da quelli indicati n�lla tariffa doganale comune 
o di tasse nazionali d'effetto equivalente. In forza di una giurisprudenza 
costante della Corte, la nozione di tassa d'effetto equivalente a un dazio 
doganale riguarda gli oneri pecuniari, di qualsiasi entit�, imposti per 
ragioni di controllo sanitario degli animali e delle carni bovine importati 
dai paesi terzi, a meno che tali oneri facciano parte di un sistema generale 
di tri?uti interni gravanti sistematicamente, secondo gli stessi 
criteri e nella stessa fase di distribuzione, sia sulle merci nazionali, sia 
su quelle importate. 
8. -La deroga apportata a tale divieto dall'art. 15 della direttiva 
n. 71/118 ha ilo scopo, come la Corte ha altres� gi� constatato nella precitata 
sentenza 22 gennaio 1980, di sancire, in via provvisoria, in attesa 
dell'attuazione del sistema comunitario di controlli sanitari relativo alle 
importazioni di carni fresche dai paesi terzi, un principio da applicare 
ai regimi nazionali rimasti in vigore. S�condo tale principio, i controlli 
relativi alle importazioni dai paesi terzi e i diritti riscossi in ragione 
di essi non debbono essere pi� favorevoli di quelli che, ai sensi della 
direttiva, disciplinano gli scambi comunitari al fine di impedire cos� 
che gli operatori economici i quali immettono sul mercato carni fresche 
di origine comunitaria siano sfavoriti rispetto ai loro concorrenti i quali 
importano carne da paesi terzi. 
9. -Dalla stessa formulazione dell'art. 15 della direttiva n. 71/118 
e dalla sua collocazione nel contesto della direttiva stessa si ricava che 

da esso imposto agli Stati m�mbri, di sottoporre le impor


paesi terzi a disposizioni nazionali almeno altrettanto severe 
e onerose di quelle risultanti dalla direttiva, non � subordinato alla conc;
lizi()ne cije ~�$i ~bbi<1:nC> gi�, adpttatoi provvedimenti necess~i per conformarsi 
alle disp()sizioni della direttiva e dipende dalla sola condizione 
della notifica della direttiva allo Stato.. membro. 

�... < : �'. �..:��� .:�� . . 

>10, ., Tlifo; punto J.U. .'Yb~ta �,cpnforme allo scopo della norma di cui 
~.ca\l~il c.i effett9 utile dsUlteJ:"ebbe compromesso ove la deroga ivi 
cohtenuta si ap];>licasse soltant<>< dopo l'attuazione, da parte dello Stato 
j_lleml:>ro igt~rei;i;i;ito.delle disposizioni della direttiva. Se si ammettesse

1 
.�.� .ll.l;l! sijfatt,a JnteJl>re~iQ:ne> i� prodotti provenienti dai paesi terzi po. 
trebberQ entrarec nella. Comunit� . attraverso uno Stato membro non 

� ~~ora ~<)nformat9si�.aua direttiva e circolare liberamente senza essere 
a:~i;og~ettli\t~ agli pneri relativi al loro controllo sanitario mentre altri 
Sta.ti metnl:>ri, iJ:l;yece, avrebbero gi� dato attuazione alla direttiva stessa . 

.� 
Qrb~ne{ ci� avrebbe . la conseguenza di sfavorire le importazioni da 
ta.U llltirrd .��Stati membri, in contrasto col principio della preferenza 
coml.il!litai:ia; non:soltanto nei confronti dei prodotti deMo Stato membro 
~i euf s.� tratta, ma anche nei confronti dei prodotti, provenienti dai paesi 
te.i'zi} importati nella Comunit� attraverso tale Stato membro. 

11� �" \Tl;l! aggi�to che la deroga di cui all'art. 15 della direttiva 
n;, � 7U118 rigul:lrcl:a solo le importazioni di carni fresche di volatili da 
c9rtAe .e 11�n, <it:telle di pollame vivo cos� come appare chiaramente 
sia dalla � fOrnlUilazione stessa di questa norma sia dallo scopo della 
sud<letta direttiva quale definito all'art. 1 della stessa. 

12. � La q\lestfone sollevata dalla Corte Suprema di cassazione va 
pertanto risolta nel senso che, per le importazioni di carni fresche di 
volatilida c.ortileda paesi terzi, la deroga, introdotta dall'art. 15 della 
ditettN~ d~l Eonsi~lio 15 febbraio 1971, n. 71/118, al divieto di esigere dazi qogartali o tasse d'effetto equivalente, sancito all'art. 11, n. 2, del 
:regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 123, si applica a far data 
dalla notifica della suddetta direttiva allo Stato membro interessato, 
il).dip~nd.e);lteiuente �di;il fatto che quest'ultimo abbia o meno adottato i 
pr(>'\fV~4imet1.H !J.ec~sari a . conformarsi alle disposizioni della direttiva 
stessa� (omissis) .�.��� � 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 luglio 1982, n. 4198 -Pres. Berri -

Rel. Vela -P. M. Grimaldi -Pistacchi (avv. Raffaelli) c. Presidenza 

Consiglio dei Ministri (avv. Stato Cerocchi). 

Competenza civile -Azione di indebito arricchimento nei confronti della 

p.a. -Riconoscimento implicito -Irrilevanza -Imputabilit� giuridica 
alla p.a. delle situazioni dedotte in giudizio � Necessit� � Determinazione 
economica della prestazione resa � Giurisdizione ordinaria. 
Le prestazioni (nella specie di stenodattilografo) presso la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, effettuate senza la emanazione di un provvedimento 
o comunque di atto scritto, ma in virt� di una assunzione solo 
verbale, non sono riconducibili n� ad un rapporto di impiego pubblico, 
n~ ad un rapporto di impiego privato di lavoro subordinato secondo 
la .disciplina della legge 23 luglio 1961 n. 520 (che richiede l'atto scritto), 
ma hanno rilevanza solo come fatto produttivo di un indebito arricchimento, 
la cui azione � proponibile dinanzi l'A.G.O., anche per la determinazione 
economica della prestazione resa, se la p. a., di ci� consapevole, 
nulla abbia fatto per respingerla, sicch� nell'avvenuta utilizzazione 
della prestazione � da ravvisare, invece di un atto di riconoscimento, 
un mero fatto dimostrativo dell'imputabilit� giuridica alla p. a. della situazione 
dedotta in giudizio (1). 

(omissis) La Pistacchi sosil:iene che la Corte d'appello ha violato, con 
motivazione per di pi� contraddittoria ed insufficiente, � tutte le norme 
ed i princ�pi � posti a tutela del rapporto di lavoro subordinato, in 

(1) Nella motivazione della sentenza possono ravvisarsi, su questioni marginali 
rispetto all'oggetto del giudizio, alcune precisazioni sulla irrilevanza, per la 
configurazione del rapporto di impiego pubblico, della esistenza di un atto formale 
di nomina (cfr. Sez. Un. 19 marzo 1982 n. 1788), tranne se si tratta di rapporto 
costituito con la Amm.ne dello Stato e sulla inapplicabilit� del principio 
della libert� di forma nei confronti della p.a. Ma la sentenza desta particolare 
interesse laddove, ai fini della proponibilit� dell'azione di indebito arricchimento, 
afferma che � sufficiente non il riconoscimento dell'avvenuta utilizzazione della 
prestazione, bens� la imputabilit� giuridica alla p.a. della situazione dedotta in 
giudizio: sulla proponibilit� dell'azione qui in esame cfr. Cass. 28 gennaio 1970, 
in questa Rassegna 1970, I, 67 e Sez. Un. 22 marzo 1983 n. 2008, ivi, ultra, 322; 
v. anche il Contenzioso dello Stato 1976-80, II, 153. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

quanto di quest'ultimo ha negato l'esistenza, nella specie, per difetto 
non gi� degli elementi strutturali accertati dal Tribunale (continuit�, 
subordinazione, vincolo di presenza e di orario, retribuzione mensile, 
diritto al riposo settimana[e ed alle ferie), ma di. un requisito formale, 
qual'� quello della forma scritta dell'atto cli costituzione, che non � 
essenziale e condiziona unicamente la configurabilit� del rapporto di 
impiego pubblico. 

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, invece, oltre ad eccepire 
che la prospettazione dell'attrice induce proprio a ravvisare un rapporto 
di impiego pubblico, posto che neppure per esso la giurisprudenza richiede 
pi� ['atto di nomina, denuncia violazione ed errata applicazione 
degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., violazione dell'art. 4 legge 20 marzo 
1865, n. 2248 ali. E, in quanto ritiene che alla Corte di merito fosse inibito 
l'esame della congruit� del compenso a suo tempo gi� versato all'attrice, 
atteso che � il discrezionale riconoscimento, da parte della pubblica 
amministrazione, deN'utilit� delle prestazioni... ricevute -riconosciment�' 
che � condizione di ammissibilit�� dell'azione di arricchimento 
contro la stessa pubblica amministrazione proposta -investe anche la 
misura dell'utilit� conseguita�, nella specie gi� reputata congrua all'atto 
del pagamento del compenso suddetto. 

Entrambe le censure sono infondate. 

La prima � stata contenuta in limiti tanto ristretti da impedire di 
ravvisare, nella specie, non solo gli estremi dell'impiego pubblico, ma 
anche quelli del rapporto di lavoro privato. 

La ricorrente, invero, forse preoccupata di tener lontano da s� il 
rischio di una dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario 
da lei adito, adduce unicamente di aver reso alla Presidenza del 
Consiglio dei Ministri prestazioni lavorative che, pur non essendole state 
richieste con un qualunque atto scritto, meritano la tutela apprestata 
dalle leggi civili al rapporto di lavoro subordinato privato, perch� questo 
-ella sostiene -pu� instaurarsi tacitamente anche con lo Stato. 

Tale impostazione preclude anzitutto l'applicazione della pi� recente 
giurisprudenza della Corte, che considera irrilevante, ai fini della configurabilit� 
di un rapporto di impiego pubblico, la indagine sull'emanazione 
di un formaile atto di nomina del dipendente quando consti l'inserimento 
di costui nell'organizzazione dell'ente, non tanto perch� non contiene 
neppure l'allegazione che tale inserimento nella specie vi sia stato, 
quanto perch� quella giurisprudenza per un verso esige che almeno esista 
una documentazione idonea a dimostrare che il rapporto � stato instaurato 
per volont� dell'ente (v., per tutte, S.U. 26 maggio 1979, n. 3070), 
per un altro verso si � formata con riguardo agli enti pubblici diversi 
daMe Amministrazioni centrali dello Stato; basti rammentare che in tutti 
i casi sino ad ora esaminati di azioni promosse, come quella in esame, 
contro la Presidenza del Consiglio, risultava che i rapporti erano stati 


306 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


costituiti con atti scritti: SS.UU. 17 novembre 1978, n. 5337; 11 giugno 
1977, ;n. 2439; 25 gennaio 1975, n. 293, ed altre. Del resto, l'esigenza della 
forma emerge dalla stessa disciplina volta a regolarizzare le situazioni 
che, come sembra quella denunciata daHa Pistacchi, si verificarono in 
seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero del turismo 
e dello spettacolo a seguito dell'utilizzazione di personale effettuata 
senza l'emanazione di �appositi provvedimenti. Infatti, la legge 23 giugno 
1961, n. 520 previde la stipulazione del contratto per l'assunzione 
in servizio di tale personale (la previsione � testuale per quello, detto 
appunto � a contratto�: primi commi degli artt. 2, 5, 6 e 8; ma deve 
ritenersi formulata, sia pure implicitamente, per quello �a prestazione 
saltuaria�, atteso l'accennato scopo di riorganizzazione del settore, proprio 
dell'intervento legislativo). 

N� potrebbe replicarsi che l'art. 12 assoggett� quei rapporti alle norme 
dell'impiego privato, fra le quali � da annoverare la regola della 
libert� della forma dell'atto costitutivo, perch� l'argomentazione sarebbe 
resistita sia, testualmente, dal fatto che dette norme furono rese operanti 
a condizione che fossero �non incompatibili con la presente legge� 
sia, logicamente, dalla contraddizione che altrimenti sul punto che interessa 
si verificherebbe tra i due tipi di disciplina. 

Ci� vuol dire, poi, per un altro verso, che la �convertibilit�� dell'impiego 
pubblico in impiego privato pu� escludersi, nel caso in esame, 
anche senza affrontare gli aspetti generali del problema, in virt� della 
stessa legge n. 520 del 1961, dal momento che far luogo alla disciplina 
del secondo tipo di rapporto per difetto del �contratto� significherebbe 
eludere, in pratica, quella legge. 

Solo per completezza deve aggiungersi, riguardo ancora alla configurabilit� 
del rapporto di lavoro privato, che il principio di libert� di forma 
degli atti di autonomia ha efficacia generale nei confronti dei privati 
(arg. ex artt. 1325 n. 4 e 1350-1352 cod. civ.), ma non anche degli enti 
pubblici non economici, i quali, appunto perch� non sono organizzati ad 
imprese, debbono sottostare a determinate procedure allorch� intendano 
concludere contratti di diritto civile, Comunque, esso non vale per le 
Amministrazioni statali, vincolate all'obbligo di seguire le disposizioni 
poste dalla legge di contabilit�, la quale solo per �i servizi che per la 
loro natura debbono farsi in economia � consente deroghe, affidandole, 
peraltro, ad apposite norme regolamentari (art. 8 r.d. 18 novembre 1923, 

n. 2440). N� deroghe di tal genere si ravvisano per quanto attiene alla 
provvista di personale in regime di diritto privato, ch� anzi le disposizioni 
reperibili in materia impongono l'adozione dell'atto scritto: v. ad 
esempio, gli artt. 3, ultimo comma, e 5 legge 26 febbraio 1952, n. 67, sulla 
attribuzione, ad ogni amministrazione, della. facolt� di assumere operai 
giornalieri per esigenze impreviste ed indilazionabili; l'art. 3, secondo 
comma, d. lgs. legt. 17 novembre 1944, �l. 335, suM'ammissione di estranei 

ill�iiiiliii~~~~c~o~n~s;id:e:r:a~:c:h:e, appunto perch� 
Gittdic:~ d'appello doveva trarne tutte le 
del Consiglio contestasse l'esorbial 
compenso versato all'attrice. 
definitivo chiarimento la tormentata 


sistemazione in dottrina e in giurisprudenza, 
~s~~J~ez.j6ttf1.fuit� tile,V'ar�onio, con la sent. 28 maggio 1975, n. 2157, che 
il'.:r�inbtif nr�inr'.iniin s�condo cui l'azione � esperibile contro un ente pubquest'ultimo 
abbia riconosciuto l'esistenza della loclu


era stato notevolmente incrinato da quando si era ritenuto 
che tale ammissione potesse ricavarsi anche per implicito, dal fatto che 
l'ente si fosse servito della cosa o della prestazione resagli indebitamente. 
Spiegarono allora che il nuovo orientamento risultava pi� aderente non 
solo alla sopravvenuta inclusione della disciplina dell'azione nel codice 
�ivile del 1942, ma anche, e soprattutto, alla garanzia del diritto di agire 
in giudizio anche contro l'amministrazione pubblica, assicurata a chiunque 
dagli artt. 24 e 113 Cost. Ed aggiunsero che in sostanza quel che 
occorre evitare all'ente pubblico � il pericolo di subire le conseguenze 
di iniziative che i terzi, pur presentandosi come ingiustamente depauperati, 
possano aver preso contro il volere o comunque all'oscuro dei 
suoi organi rappresentativi: pericolo che quindi pone solo un problema 
di attribuibilit� del vantaggio indebito all'ente e che pu� risolversi indagando 
non tanto se quest'ultimo abbia riconosciuto l'arricchimento, 
quanto se sia stato a!lmeno consapevole della prestazione indebita e nulla 
abbia fatto per respingerla, sicch� nell'avvenuta utilizzazione della prestazione 
� da ravvisare, invece che un atto di riconoscimento -difficilmente 
definibile nei suoi caratteri e soprattutto giuridicamente inammissibile, 
non potendo mai condizionarsi la proponibilit� di un'azione ad 
una preventiva manifestazione di volont� del soggetto contro cui essa � 
diretta -un mero fatto, dimostrativo dell'imputabilit� giuridica a tale 
soggetto della situazione dedotta in giudizio. 

In questa prospettiva, non trova assolutamente spazio la tesi che 
all'ente pubblico sia riservato il potere di riconoscere non solo il vantaggio 
in s�, ma anche la relativa entit� economica: tesi che ad ogni 
modo � inaccettabile, sia perch� pone ancora una volta N giudice nella 


308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

condizione di dover unicamente prendere atto delle determinazioni del 
convenuto, sia perch� contraddice alla stessa funzione dell'azione, consistente 
nell'apprestare un rimedio � generale � per i casi in cui sia possibile 
risolvere sul piano economico il contrasto fra legalit� e giustizia. 

Pertanto ben poteva la Corte d'app~llo valutare in qual misura la 
Presidenza del Consiglio si era giovata del lavoro dell'attrice. 

I

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 1� marzo 1983 n. 1526 -Pres. Tam� 
burrino, Est. Sandulli, P. M. Sgroi -Sciarretta (avv. Biagini) c. Corte 
Conti e Presidenza Consiglio Ministri (v. Avv. Gen. Carafa). 

I 

Corte dei Conti � Giurisdizione domestica -Questione di legittimit� costituzionale 
per violazione dell'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza. 

Corte dei Conti � Giurisdizione domestica -Poteri e mancanza del doppio 
grado di giurisdizioni;) -Questione proposta in sede di giurisdizione 
Inammissibilit�. 

Corte dei Conti � Giurisdizione domestica -Deroga alla normativa generale 
sulla competenza in materia di pubblico impiego -Legittimit�. 

Sono manifestamente infondate le questioni di legittimit� costituzionale 
degli artt. 3 e 65 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, concernenti la c.d. 
giurisdizione domestica della Corte dei Conti, in riferimento agli artt. 3, 
24, 25, 97, 101, 108, 113 della Cost., sotto il profilo della ingiustificata 
disparit� di trattamento riservato ai magistrati della Corte rispetto agli 
altri dipendenti pubblici (a); sotto il profilo della mancanza di indipendenza 
dell'organo giudicante cui partecipano alcuni componenti degli 
organi di governo della Corte (b); per mancanza del doppio grado di 
giurisdizione (c); in quanto: (sub a) la giurisdizione domestica, non essendo 
in contrasto con la Costituzione, non pu� conseguentemente confliggere 
con il principio di eguaglianza; sub (b) gli organi della Corte cui 
sono attribuite funzioni amministrative del personale risultano, istituzionalmente, 
distinti dalle Sezioni Riunite chiamate a giudicare sulla legittimit� 
degli atti emanati da quegli organi e disciplinate, comunque, dagli 
istituti dell'astensl.one e della ricusazione; sub (c) l'istituto del doppio 
grado di giurisdizione ha rilevanza costituzionale solo rispetto alla giurisdizione 
ordinaria e non riguardo alle giurisdizioni amministrative speciali 
ed attiene alla concreta struttura del procedimento, e nor. alla esistenza 
della giurisdizione, non dipendendo dalla norma impugnata la 
attribuzione della controversia ad altro ordine giurisdizionale (1). 

(1-3) La sentenza affronta, come � chiarito nella motivazione, per la prima 

volta la questione della legittimit� costituzionale della giurisdizione c.d. dome


!: 


PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 309 

Non sono ammissibili in sede di g�urisdizione le questioni che atten; 
gono ai poteri della Corte dei Conti, che si assume priva del potere di 
annullare gli atti impugnati, di dare esecuzione al giudicato e non � disciplinata 
dal doppio grado di giurisdizione (2). 

E infondata la tesi che, in seguito all'entrata in vigore della Costituzione, 
la compete!tza a conoscere delle controvers?e d'impiego dei magistrati 
della Corte spetti al giudice amministrativo, perch� la sopravvivenza 
della c.d. giurisdizione domestica della Corte, derogativa della normativa 
generale che regola la competenza in materia di pubblico impiego, 
va giustificata nell'esigenza dell'indipendenza organica e funzionale della 
Corte, alla quale va assicurata altres� una autonomia giustiziale (3). 

(omissis). Passando, quindi, all'esame dell'unico ricorso ritualmente 
proposto, vanno presi in considerazione per prima i profili d'incostitu. 
zionalit� delineati in ordine alle norme che prevedono e disciplinano la 

cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei Conti. 

Il ricorrente sostiene -ai fini dell'affermazione del difetto {ii giurisdizione 
delle Sezioni Riunite di detta Corte -l'illegittimit� costituzionale: 


a) degli artt. 3 e 65 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 (t.u. delle leggi 
sulla Corte dei Conti), per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 104, 113 Cost., 
in quanto non sarebbero assicurate al magistrato della Corte dei Conti 
l'imparzialit� e la pienezza del giudizio in materia d'impiego pubblico, 
non essendo l'organ,o giudicante diverso da quello di governo della Corte 
dei Conti ed essendo lo stesso sprovvisto del potere di annullamento dcl 
provvedimento impugnato; 

b) delle disposizioni legislative del cit. r.d. n. 1214 del 1934, per 
contrasto con gli artt. 3 e 113 Cost., in quanto non prevederebbero, in 
ordine al procedimento davanti alle Sezioni Riunite, un secondo grado 
di gi�risdizione; 

c) dell'art. 72 del cit. r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con l'art. 3 
Cost., in quanto prevederebbe la presenza del pubblico ministero in 
detto procedimento. 

Con la memoria difensiva, il ricorrente ha delineato nuovi profili di 
incostituzionalit�, riguardo aH'art. 1 del cit. r.d. n. 1214 del 1934 ed 
all'art. 5 del r.d.I. 20 giugno 1941, n. 856, per contrasto con gli artt. 3, 
25, 97, 101, 108 Cost., in quanto il Presidente della Corte dei Conti, oltre 

stica rispetto all'art. 3 della Cost. e la risolve precisando che essa non pu� 
confliggere con principi di eguaglianza poich� � la sopravvivenza di tale giurisdizione 
� stata riconosciuta non in contrasto con la Costituzione �. 

Sulle altre questioni cfr. Cass. 22 giugno 1978 n. 2067 e Cass. 9 ottobre 1982 

n. 5166; sul principio del doppio grado cfr. Corte Conti Sez. Riunite, 17 novem� 
bre 1982 n. 73, in Foro it. 1983, Ili, 8, con nota. 

.. 

310 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

a presiedere il Consiglio di Presidenza (organo di governo della Corte), 
presiederebbe le Sezioni Riunite, di cui farebbero parte anche il Segre" 
tario Generale della Corte e Presidenti di sezioni membri del cennato 
Consiglio, ed in quanto una ingiustificata disparit� di trattamento sarebbe 
riservata ai magistrati soggetti alla giurisdizione domestica della Corte 
dei Conti. 

Le questioni di illegittimit� costituzionale delle norme sulla cosiddetta 
giurisdizione domestica della Corte dei Conti in relazione alla 
esigenza di indipendenza dell'organo che la esercita sono state gi� portate 
(con sei ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 
25 ottobre 1973 e con ordinanza della seconda sezione giurisdizionale 
della Corte dei Conti del 6 maggio 1977) all'esame della Corte Costitu2;
ionale, per contrasto con norme fondamentali in parte diverse da quelle 
indicate nell'ipotesi di specie considerata. 

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 135 dell'll giugno 1975 
-dopo aver ricordato come dal � generale sfavore � della Costituzione 
nei riguardi delle giurisdizioni speciali siano esenti quelle del Consiglio 
di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali militari (stante che la VI 
disp. trans. della Costituzione le sottrae all'obbligo della �revisione� ivi 
sancito) e come, specificatamente per la Corte dei Conti, la questione 
appaia superata dal comma secondo dell'art. 103 Cost. che, oltre a ribadire 
la giurisdizione sulla cont~bilit� pubblica (assicurandole per questa 
parte la garanzia costituzionale), ne richiama la giurisdizione nelle altre 
materie specificate dalla legge -ha ritenuto la legittimit� della giurisdizione 
domestica della Corte dei Conti, considerando che gli organi di 
detta Corte con funzioni amministrative sul personale sarebbero nettamente 
distinti dalle Sezioni Riunite, chiamate a giudicarne gli atti; e che 
l'esigenza dell'imparzialit� del giudice non potrebbe essere intesa in modo 
cos� fato e generico da farvi rientrare anche l'interesse che il giudice, 
�come privato cittadino�, potrebbe avere alla soluzione specifica dei 
problemi di diritto inerenti alla controversia portata davanti alla Corte 
dei Conti. 

Con la sentenza n. 19 del 7 marzo 1978, la Corte Costituzionale -dopo 
avere premesso come la rilevanza delle questioni di illegittimit� debba 
escludersi quando manchi il carattere di pregiudizialit� della questione 
di legittimit� rispetto a quella di merito -ha ritenuto irrilevanti le 
questioni di legittimit� attinenti alla mancanza d'indipendenza delle Se


I 

zioni Riunite della Corte dei Conti, conseguente a norme regolatrici della 

I

organizzazione degli uffici e dello status dei magistrati della Corte, incidenti 
sulla serenit� ed obiettivit� di giudizio, e quindi, sulla indipendenza ~ 


i. 
del giudice, nonch� sulla effettivit� del diritto di difesa e sull'osservanza [ 
della garanzia di eguaglianza, quando si tratti di violazioni potenziali r= 

!

(e non attuali) delle garanzie costituzionali e di ipotetiche interferenze 

I 
~ 

sull'indipendenza di giudizio del giudice a quo. f 

f

i

i 

f: 
1 

p 

f 

.. 


............. ����� .. ����������������� ...................... .. ... ......... ..... .... ........... ... ............... 



PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Alle nuove questioni d'incostituzionalit� prospettate in questa sede 
non possono, per�, opporsi, in via preclusiva, le riportate statuizioni della 
Corte Costituzionale, giacch� la medesima questione di illegittimit� pu� 
essere riproposta in qualsiasi momento quando sia raffrontata a norme 

o principi costituzionali diversi o sia raffrontala alle stesse norme o principi 
sotto profili ed aspetti nuovi. 
E .;.;.... poieh� lft Corte Costituzionale, nel ritenere irrilevanti (con la 
sentenza n. �19 del 1978) le questioni di illegittimit� innanzi �d essa 
dedotte e nel dichiarare non fondate (con la sentenza n. 135 del 1975) le 
questioni di .incostituzionalit� degli artt. 3 e 65 del T.U. n. 1214 del 
1934, in� riferimento agli artt. 3 e 108 Cost., ha fatto essenzialmente leva 
sul sistema normativo risultante dagli artt. 102 e 103, comma secondo, 
e �della VI disposizione fin�le e transitoria della� Costituzione per negare 
il contrasto della giurisdizione domestic� con la Costituzione, lasciando 
impregiudicato il problema se tutte le singole norme disciplinanti i modi 
di esercizio di detta giuristlizione e lo stesso organo che la esplica siano, 
per ci� solo, esenti dal, sindacato di legittimit� costituzionale -non possono 
ritenersi preclusi i profili di illegittimit� dedotti, attinenti al modo 
di esercizio della giurisdizione domestica, alla composizione dell'organo 
che l'esercita ed all'ingiustificata disparit� di trattamento riservata ai 
magistrati che vi sono soggetti, in quanto gli stessi vanno raffrontati, in 
base alla loro delineazione, con norme fondamentali diverse da quelle in 
precedenza invocate come parametro di costituzionalit� e valutate dal 
giudice della legittimit� delle leggi. 

Di tali questioni di incostituzionalit� va, per�, dichiarata la manifesta 
infondatezza. 

Riguardo alla questione sollevata con la memoria. difensiva sotto il 
profilo dell'ingiustificata disparit� di trattamento che verrebbe riservata 
ai magistrati della Corte dei Conti rispetto agli altri dipendenti 
pubblici, basta rilevare, per affermarne fa manifesta infondatezza, come 
-essendo stato escluso dalla Corte Costituzionale (sent. n. 135 del 
1975) che la sopravvivenza della giurisdizione domestica sia in contrasto 
con la Costituzione repubblicana -la previsione di detta giurisdizione 
non possa conseguentemente considerarsi confliggente con il principio di 
uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. 

D'altro canto, l'esigenza dell'uguaglianza (che vorrebbe assegnata la 
giurisdizione al giudice dell'impiego pubblico) trova il proprio bilanciamento 
con l'esigenza fondamentale dell'indipendenza e dell'autonomia 
esterna della Corte dei Conti. 

Relativamente alla questione profilata sub a) sotto il riflesso della 
mancanza di garanzia per l'interessato, contro eventua[i abusi a causa 
del modo di esercizio della funzione giurisdizionale e della composizione 
dell'organo giudicante, che formato prevalentemente da soggetti investiti 
del governo della Corte, non sarebbe dotato della necessaria indipen



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

denza, va osservato come tale profilo di illegittimit� debba considerarsi 
manifestamente infondato, giacch� gli organi delfa Corte cui sono attribuite 
funzioni di amministrazione del personale risultano, dal punto di 
vista istituzionale, nettamente distinti dalle Sezioni Riunite, chiamate a 
giudicare degli atti da quelli promananti, cui non � affidato alcun compito 
di carattere amministrativo in materia residua, e giacch� l'eventuale 
mera coincidenza nelle stesse persone (Presidente, Segretario Generale, 
Presidenti di Sezioni, componenti del Consiglio di Presidenza) di I 
funzioni amministrative e di funzioni giurisdizionali, aventi ad oggetto 
il modo di esercizio delle prime, � conseguenza non del sistema (non 
essendo connaturata ad esso), ma di mere c�sualit� connesse all'impianto 
organizzatorio delle funzioni istituzionali, comportanti inconvenienti accidentali 
cui soccorrerebbero adeguatamente, nel giudizio innanzi al giudice 
a quo, gli istituti dell'astensione e della ricusazione. Per modo che 
il problema della mancanza di indipendenza del giudice, confliggente con 
i principi della Costituzione, sia che lo si imposti sotto il profilo oggettivo 
sia che lo si consideri sotto l'aspetto soggettivo, non pu� portare 
che al medesimo risultato della manifesta infondatezza. 
Manifestamente infondate o irrilevanti appaiono, poi, anche le altre 
questioni di legittimit� sollevate dal ricorrente. 
In particolare, questo sostiene, l'illegittimit� costituzionale: a) degli 
artt. 3 e 65 del r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con gli artt. 3 e 113 
Cost., non prevedendo, in ordine alla giustizia domestica, il doppio grado 
di giurisdizione; b) dell'art. 72 del r.d. n. 1214 del 1934, per contrasto con 
l'art. 3 Cost., prevedendo nel giudizio domestico la presenza del pubblico 
ministero. 
In ordine al primo profilo, � sufficiente osservare che la Corte Costituzionale 
(con la sentenza n. 62 del 1981 e n. 8 del 1982) ha gi� chiarito 
come l'istituto del doppio grado di giurisdizione abbia rilevanza costituzionale 
ex art. 125, comma secondo, Cost. soltanto rispetto alla giurisdizione 
amministrativa ordinaria, e non riguardo alle giurisdizioni amministrative 
speciali (quale � quella delle Sezioni Riunite della Corte dei 
Conti in tema di giurisdizione domestica) e come siffatto principio sia 
stato altre volte affermato dalle Sezioni Unite della Corte Suprema (cfr. 
sent. 22 giugno 1978 n. 3067 e, di recente, sent. n. 5166 del 1982) proprio 
con riferimento alla giurisdizione domestica. 
Circa il secondo profilo, basta rilevare come questa Corte Suprema 
abbia gi� escluso, con la sentenza 22 giugno 1978 n. 3067, la rilevanza 
della questione di illegittimit� con esso dedotta, sul riflesso che la stessa, 
attenendo non all'esistenza della giurisdizione ma alla concreta strutturazione 
del procedimento, rileverebbe non ai fini del regolamento di 
giurisdizione, ma del regolare svolgimento del giudizio dinnanzi alla ~: 
Corte dei Conti, non dipendendo dalla permanenza o eliminazione della j 
t: 
!li 



313 

contro-

quesito, occorre muovere dai 

---;..>:<?�' ~ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

314 

La giustificazione di tale privilegio, derogativo della normativa gene� 
rale che regola la competenza giurisdizionale in materia di pubblico 
impiego, va individuata in una insopprimibile esigenza di rafforzamento 
dell'indipendenza esterna dell'Istituto. 

Invero -nonostante che anche in tempi recenti, la giurisprudenza 
abbia escluso che l'indipendenza (anche di organi costituzionali -Pre� 
sidenza della Repubblica, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica 
-fatta eccezione per la Corte Costituzionale) risulti menomata 
dall'assoggettamento, ad un giudice esterno, del rapporto d'impiego con 
il proprio personale e degli atti posti in essere dagli organi stessi nei 
relativi procedimenti (cfr. Cass. sent., 5 agosto 1975 n. 2979; ord. 11 luglio 
1977, n. 356; ord. 23 marzo 1981 n. 124) -deve ritenersi, anche alla 
luce deMe considerazioni contenute nelle decisioni n. 135 del 1975 e n. 19 
del 1978 della Corte Costituzionale, che le controversie, aventi per oggetto 
il rapporto d'impiego dei magistrati della Corte dei Conti di qualsiasi 
ordine e livello giurisdizionale e che traggono origine da provvedimenti 
amministrativi aventi per destinatari magistrati e giudici di qualsiasi 
specie, non possono considerarsi sottoposte al regime giurisdizionale 
comune, in quanto, per il carattere ed il ruolo della funzione esplicata 
(quale espressione dell'ordinamento e/o della comunit� unitariamente 
intesa). alla Corte dei Conti va assicurata una indispensabile autonomia, 
anche giustiziale (con distacco da qualsiasi particolare interesse) che le 
assicuri una piena indipendenza funzionale in seno all'apparato dei pubblici 
poteri. 

La Costituzione repubblicana -conferendo all'istituto della Corte 
dei Conti, tramandato dal regno sabaudo all'Italia unificata e da questa 
potenziato con la legge 14 agosto 1862 n. 800 -ha attribuito alla Corte 
dei Conti ed alle sue funzioni rilevanza costttuzionale e rinnovata vitalit�. 

Essa (in comune con il Consiglio di Stato) ha non solo il carattere 
di organo garante della legalit� nell'esercizio dell'attivit� della pubblica 
Amministrazione, ma anche il carattere binario delle sue attribuzioni, 
essendo investita di compiti di controllo e di compiti giurisdizionali, da 
svolgere in veste obiettiva e neutrale. 

A causa di ci�, il Costituente, con l'art. 100, comma terzo, Cost. si � 
preoccupato di statuire che la legge assicuri alla Corte come organo ed 
ai componenti di essa � l'indipendenza di fronte al governo �. 

Invero, sta nell'indipendenza dell'organo -la quale � in grado di 
assicurargli una posizione di superiorem non recognoscens, e perci� di 
Potere dello Stato -la chiave dell'obiettivit� ed imparzialit� con cui esso 
si trova a potere operare nell'esercizio delle sue competenze, considerandosi, 
anche nell'espletamento della sua funzione di riscontro, al servizio 
soltanto dell'ordinamento, e non di questo o quell'interesse, sia pure 
istituzionale, dell'apparato statale o di singoli organi di esso. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 315 

E -poich� l'indipendenza organica non basta ad assicurare l'indipendenza 
funzionale della Corte, in quanto la condizione prima ed essenziale 
dell'indipendenza funzionale di un organo � rappresentata anche 
dalla posizione d'indipendenza fatta a coloro che, in seno all'apparato 
dei pubblici poteri,� sono preposti a pubbliche funzioni -deve ritenersi 
che in perfetta consonanza con taH principi, la giurisdizione esclusiva 
in materia d'impiego dei magistrati e dei dipendenti della Corte dei Conti 
(cosiddetta autonomia giurisdizionale o giurisdizione domestica o autodichia) 
sia tuttora -riservata alle Sezioni Riunite di detta Corte, come 
del resto, hanno gi� ritenuto, anche di recente, queste Sezioni Unite della 
Suprema Corte (cfr. sent. n. 5166 del 1982; sent. n. 3067 del 1978). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 4 marzo 1983, n. 1622 -Pres. Marchetti 
-Rel. Cantillo -P. M. Fabi -Ministero della Sanit� (avv. Stato 
Zotta) c. Corso (avv. Visconti). 

Farmacie -Indennit� di residenza -Posizione soggettiva del titolare � 
Diritto soggettivo o interesse legittimo � Lesione -Criterio distintivo 
della giurisdizione. 

Giurisdizione � Natura vincolata della norma giuridica -Diritto soggettivo 
-Irrilevanza -Finalit� della norma -Necessit�. 

Legge � Legge intei:pretativa -Individuazione � Criterio. 

Le farmacie, ai fini dell'indennit� di residenza, vanno distinte in base 
a un criterio demografico, e cio� a seconda dell'entit� della popolazione 
del luogo ove sono ubicate, nel senso che se la popolazione � compresa 
fra tremila e cinquemila abitanti, l'indennit� � concessa solo se il reddito 
imponibile non superi un certo ammontare, ed il suo importo non 
� predeterminato, cou la conseguenza che il provvedimento � discre� 
zionale neM'an e nel quantum, e la posizione del titolare consiste in un 
interesse legittimo; se invece la popolazione � inferiore a tremila abitanti 
l'indennit� � dovuta, ed il farmacista � titolare di un diritto soggettivo, 
anche per la misura (1). 

Nelle controversie riguardanti un'attivit� vincolata, per stabilire la 
natura della posizione giuridica del privato (se diritto soggettivo o interesse 
legittimo), occorre aver riguardo alle finalit� delle norme vincolanti 
violate, dovendosi ravvisare un diritto soggettivo se la condotta 

(1-3) Cfr. sul sistema legislativo precedente cfr. Cass. 1973 n. 825; sulla natura 
vincolata o meno della norma, ai fini del sorgere o meno dei diritti soggettivi, 
cfr. Sez. Un. 1981 n. 2113; e Sez. Un. 13 luglio 1981 n. 4549, in questa Rassegna 
1982, I, 697; 17 giugno 1981 n. 3945, ivi, 1982, I, 76; 7 aprile 1982 n. 2139, 
ivi, 1982, I, 748; sulla natura interpretativa di una legge cfr. Cass. 5 novembre 
1981, n. 5822. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della p.a. sia. imposta da una legge, che, sebbene abbia finalit� pubblica, 
prende in esame in modo specifico e diretto l'interesse del privato, 
disciplinando un rapporto dal quale scaturiscono diritti e obblighi; nella 
specie la legge, sia pure allo scopo di assicurare il servizio farmaceutico 
nelle localit� rurali, considera in modo immediato e diretto il personale 
interesse del farmacista, riconoscendogli una indennit� finalizzata alla 
duplice esigenza di premiare la disagiata residenza e di integrare il basso 
reddito, ed il provvedimento di liquidazione ha funzione dichiarativa dei 
presupposti al cui concorso � condizionato il sorgere del diritto, le cui 
controversie rientrano nella giurisdizione ordinaria (2). 
La legge 5 marzo 1973 n. 40, per il contenuto e le finalit� delle sue 
disposizioni, ha carattere interpretativo e quindi retroattivo (3). 
(omissis) 1. -Il ricorso attiene all'indennit� di residenza prevista 
dall'art. 115 del t.u. delle leggi sanitarie 7 luglio 1934, n. 1265, e dall'art 2 
della legge 8 marzo 1968 n. 221, a favore del titolare, direttore o gestol'.e 
provvisorio di farmacie rurali, che, nel sistema della legge del 1968, 
vengono distinte dalle farmacie urbane per ci� che sono ubicate in 
comune, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a cinquemila 
abitanti (e non si trovano in quartieri periferici delle citt�, 
congiunti a queste senza discontinuit� di abitati). 
Per intendere i termini delle questioni dibattute, occorre ricordare 
che �'art. 115 cit., nell'ambito delle farmacie ubicate in comuni con popolazione 
inferiore ai cinquemila abitanti, disciplinava diversamente quelle 
di nuova istituzione, per le quali l'indennit� era in ogni caso dovuta a 
prescindere dall'ammontare del reddito del farmacista, da quelle non 
di nuova istitUzione, per le quali l'indennit� poteva essere concessa sol� 
se il reddito medio del titolare, imponibile con l'imposta di ricchezza 
mobile, non fosse superiore ad un certo ammontare: in entrambe le ipotesi, 
per�, la determinazione dell'indennit� era affidata al potere discrezionale 
dell'apposita commissione prevista dall'art. 105, la quale poteva 
graduarla entro un massimo stabilito dalla legge. 
Successivamente, con l'art. 1 della I. 22 novembre 1954, n. 1107, fu 
enucleata, in pratica, una terza categoria di farmacie rurali, cio� quelle 
il cui reddito non raggiungesse l'imponibile minimo di ricchezza mobile, 
per le quali -'-sec�ndo l'interpretazione data alla disposizione da queste 
Sezioni Unite (sent. n. 725 del 1972) -l'indennit� era stabilita in misura 
fissa (allora trecentomila lite annue). 
Questa disciplina � stata radicalmente innovata dalla legge n. 221 del 
1968, la quale distingue le farmacie rurali a seconda che siano ubicate 
in localit� inferiore o superiore ai tremila abitanti; per quelle del primo 
gruppo, il primo comma dell'art. 2 testualmente detta che l'ind�nnit� 
di residenza � prevista dall'art. 115 del t.u., � fissata in L. 850.000 annue 
per popolazione fino a 1.000 abitanti, in L. 550.000 annue per popolazione !: 
1, 
r: 
1: 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

fino a duemila abitanti, e in L. 500.000 annue per .popolazione fino a 
tremila abitanti�; per quelle del secondo gruppo (ubicate, ciq�, in localit� 
con popolazione compresa fra tremila e ciqquemila ~bitanti), il 
secondo comma della disposizione stabilisce, invece, che .l'indennit� pu� 
essere concessa fino alla misura di L. 300.000 annue purch� il reddito 
netto del farmacista, definitivamente accertato agli effetti dell'imposta di 
ricchezza mobile, non superi le seicentomila lire annue. 

L'art. 5, poi, dispone che la Commissione prevista dall'art. 105 del 

t.u. delibera sul diritto all'indennit�, e sulla misura di essa in base ai 
dati ufficiali della popolazione rilevati dall'ISTAT o, in mancanza, in 
base ad attestato del prefetto; infine, con l'articolo unico della legge 
5 marzo 1973, n. 40, definita nel titolo interpretativa del detto art. 2, � 
stato stabilito che � ai fini della determinazione dell'indennit� si tiene 
conto della popolazione della localit� o agglomerato rurale in cui � 
ubicata la farmacia, prescindendo dalla popolazione della sede farmaceutica 
prevista dalla pianta organica�. 
In relazione a questo quadro normativo, le questioni che vengono 
all'esame delle Sezioni unite sono due: la prima -che attiene alla giurisdizione 
e forma oggetto del primo motivo di ricorso -� se il titolare 
(o direttore responsabile o gestore provvisorio) di farmacia rurale ubicata 
in localit� con popolazione inferiore a tremila abitanti abbia ex 
lege un diritto soggettivo all'indennit� di residenza, sicch� la mancata 
concessione lo abiliti ad agire direttamente davanti al giudice ordinario 
-come ha ritenuto la sentenza in esame -ovvero gli competa .soltanto 
una posizione di interesse 'legittimo, con la conseguenza che debba impugnare 
innanzi al giudice amministrativo il provvedimento negativo o 
il silenzio-rifiuto della Commissione suddetta; l'altra questione, che viene 
in rilievo solo ove si ritenga la giurisdizione ordinaria e forma oggetto 
del secondo motivo di ricorso, � se la legge n. 40 del 1973, ancorch� definita 
interpretativa, sia sostanzialmente innovativa e perci�, non avendo 
efficacia retroattiva, sia inapplicabile ai rapporti sorti, come quello in 
esame, anteriormente alla sua entrata in vigore. 

2. -L'Amministrazione critica la soluzione data dalla sentenza alla 
prima questione, gradatamente deducendo: 
a) l'art. 2, primo comma, della tlegge n. 221 del 1968, si � limitato 
a graduare, a seconda della popolazione, l'ammontare della � indennit� 
prevista dall'art. 115 del t.u. del 1934 � e ha lasciato cos� ferma la precedente 
disciplina in ordine alla discrezionalit� della sua attribuzione 
alle farmacie non di nuova istituzione, mentre ha reso vincolato il provvedimento 
soltanto per il quantum della liquidazione; 

b) il carattere in tutto o in parte vincolato di un'attivit� amministrativa 
non basta a configurare nel privato una posizione di diritto soggettivo, 
tanto pi� che nella specie, ai sensi degli artt. 5 e 6 della legge, 


318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il credito del farmacista sorge solo all'esito di un procedimento amministrativo, 
per effetto del provvedimento della Commisione; 

e) questo ha natura di atto concessorio di sovvenzione per una 
attivit� privata svolta anche nell'interesse pubblico e perci� le controversie 
in materia rientrano nella previsione di cui all'art. 5 della legge 
6 dicembre 1971, n. 1034, che devolve ai T.A.R. la giurisdizione esclusiva 
in tema di concessione di beni. 

Le critiche non sono fondate. 

L'argomento esegetico sub a) si affida ad un elemento della formula 
normativa, cio� il riferimento all'originaria disposizione istitutiva della 
indennit�, che adempie a funzioni di mero raccordo con la disciplina 
anteriore e che perci� altro valore non pu� avere che quello di mantenerla 
in vita nelle parti in cui non risulti espressamente o implicitamente 
abrogata; e in questa prospettiva emerge chiara l'inconsistenza 
dell'interpretazione proposta, la quale contrasta apertamente con il 
nuovo sistema, affatto diverso dal precedente sia quanto al criterio di 
classificazione delle farmacie rurali che ai presupposti e alla quantificazione 
dell'indennit�. 

La distinzione tra farmacie di nuova istituzione e non di nuova 
istituzione, alla quale era correlato, nel disposto dell'art. 115 del t.u., il 
carattere discrezionale, o meno, dell'attribuzione dell'indennit� -espresso 
per le farmacie non nuove con la dicitura � pu� essere concessa � a 
questi effetti non ha pi� alcun rilievo nella legislazione vigente, in cui � 
stata sostituita dall'altra basata sull'entit� della popolazione del luogo 
dove � ubicata la farmacia, a seconda che sia inferiore o superiore a 
tremila abitanti. 

Come si � visto, le farmacie di quest'ultima categoria (site in localit� 
con popolazione compresa fra tremila e cinquemila abitanti) ricevono 
ora un trattamento sostanzialmente analogo a quel[o cui erano soggette 
in passato le farmacie non di nuova istituzione: l'indennit� � prevista 
solo se il reddito imponibile non superi un certo ammontare; anche 

� ricorrendo tale presupposto essa non � senz'altro dovuta, bensi � pu� 
essere concessa� (ed � significativo che la norma ripeta la stessa espressione 
prima usata per le farmacie non nuove); l'importo dell'indennit� 
non � predeterminato, ma va fissato dalla Commissione entro un massimo 
stabilito dalla legge. Per tali farmacie, quindi, l'indennit� di residenza 
ha carattere meramente eventuale e la sua concessione � rimessa 
all'apprezzamento della Commissione provinciale, la quale ha la facolt�, 
non l'obbligo di corrisponderla e, nel limite di legge, pu� determinarne 
l'ammontare secondo i criteri che pi� ritiene opportuni nell'interesse 
pubblico, con la conseguenza che il provvedimento � discrezionale nelI'an 
e nel quantum; corrispondentemente, la posizione dell'interessato 
non ha consistenza di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo, venen


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PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUBSTIONI DI GIURISDIZIONE 

do ad esistenza il credito solo per effetto del provvedimento di liquidazione 
(ci� che, nel sistema dell'art. 115, questa Corte aveva affermato 
per le farmacie non nuove: v. sent. n. 825 del 1973). 

La disciplina delle farmacie delraltro gruppo (site in localit� con 
popolazione inferiore a tremila abitanti) corrisponde a quella prevista 
in passato per le farmacie di nuova istituzione quanto all'attribuzione 
dell'indennit�, siccome questa � dovuta indipendentemente dall'entit� 
del reddito del farmacista e senza che sia dato alcun potere discrezionale 
all'Amministrazione (non venendo adoperata l'espressione �pu� 
essere concessa�); inoltre, nella stessa linea della legge n. 1107 del 1954, 
la misura dell'indennit� � � fissata � direttamente dalla norma, che 
-come pure si � detto -provvede a graduarla in tre somme diverse 
in rapporto ad altrettante categorie di farmacia enucleate sempre secondo 
il criterio demografico (per modo che l'importo maggiore � stabilito 
per gli esercizi farmaceutici ubicati nelle localit� meno popolate). Contrariamente 
a quanto sostiene il ricorrente, quindi, il provvedimento 
della Commissione �, in queste ipotesi, ricollegato a presupposti precisi 
sia in ordine all'an che a[ quantum dell'indennit�, come risulta pure dagli 
artt. 4 e 5 della legge, che demandano all'organo amministrativo soltanto 
il compito di verificare l'effettivo esercizio della farmacia e la popolazione 
della localit�; anzi, anche le modalit� dell'attivit� istruttoria sono 
stabilite dalla norma, posto che il primo elemento deve risultare da � certificato 
del sindaco attestante che la farmacia o il dispensario sono 
aperti � e il secondo va riscontrato in base alle pubblicazioni ufficiali 
dell'ISTAT o, in mancanza, ad attestazione della prefettura o alla documentazione 
prodotta dal richiedente. 

L'attivit� dell'amministrazione �, cio�, interamente vincolata e si deve 
in conseguenza riconoscere che il farmacista ha un diritto soggettivo 
all'indennit�. 

Al riguardo va detto -e cos� si passa a confutare la censura sub 
b) -effettivamente il carattere vincolato di un provvedimento amministrativo 
non sempre comporta, per il privato interessato, una posizione 
di diritto soggettivo, ci� dovendosi escludere quando l'attivit� sia 
vincolata da norme dirette unicamente ad assicurare la conformit� 
dell'azione dell'amministrazione al pubblico interesse, in relazione al 
quale quello del privato pu� risultare tutelato soltanto il mo.do fodiretto 
e occasionale. Pertanto queste Sezioni unite hanno numerose volte 
avvertito che, nelle controversie riguardanti un'attivit� amministrativa 
vincolata, per stabilire se la posizione del privato abbia consistenza di 
diritto soggettivo o di interesse legittimo occorre guardare alla natura 
e alle finalit� delle norme vincolanti che si assumono violate, dovendosi 
ravvisare un diritto soggettivo quando la condotta della pubblica 
amministrazione sia imposta da una disposizione di legge che, sebbene 
per una finalit� pubblica, prenda in considerazione in modo specifico 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e diretto l'interesse del privato medesimo, disciplinando un rapporto 
del quale scaturiscono reciproci diritti ed obblighi (cfr. da ultimo, sent. 

n. 2113 del 1981). 
Ma appunto ci� deve dirsi nel caso in esame, in quanto l'analisi 
svolta evidenzia che la legge, sia pure allo scopo di assicurare il servizio 
farmaceutico nelle localit� rurali e, in genere, nei minori centri, 
considera in modo immediato e diretto il personale intei;-esse del farmacista, 
riconoscendogli un'indennit� finalizzata alla duplice esigenza 
di premiare la disagiata residenza e di integrare il basso reddito proveniente 
dalla gestione della farmacia. 

Neppure osta alla configurazione del diritto in parola la necessit� 
del provvedimento di liquidazione da parte della Commissione, che 
-a parere del ricorrente -condizionerebbe il sorgere del credito, 
precludendone la tutela giurisdizionale nella fase anteriore. L'obiezione 
resta superata dall'ovvio rilievo che, come per ogni altra obbligazione 
ex lege, il diritto soggettivo nasce con il verificarsi dei presupposti di 
fatto e di diritto previsti per l'emanazione del provvedimento e non gi� 
in forza di ta:le atto amministrativo, i cui effetti giuridici sono direttamente 
collegati all'accertamento dei requisiti suddetti. Non � esatto, 
dunque, che nella fase del procedimento il farmacista sia titolare di una 
mera aspettativa del diritto: questo esiste gi� al momento in cui si 
chiede la liquidazione dell'indennit� e il provvedimento amministrativo 
ha natura ricognitiva o dichiarativa, nel senso che svolge la funzione di 
attribuire al credito i caratteri deMa certezza e liquidit�. 

Le considerazioni svolte valgono a respingere anche la censura sub 
c), che muove, per altro, da un'inaccettabile premessa circa l'ambito 
della giurisdizione esclusiva dei T.A.R. 

Si deve pertanto concludere, con la sentenza impugnata, che i farmacisti 
titolari, direttori o gestori provvisori di farmacie rurali ubicate 
in centri con popolazione fino a tremila abitanti, ancorch� non di nuova 
istituzione, hanno un diritto soggettivo perfetto all'indennit� di residenza 
di cui all'art. 2, primo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 221, 
con la conseguenza che le controversie concernenti la spettanza e la misura 
della medesima indennit� rientrano nella giurisdizione del giudice 
ordinario, innanzi al quale l'interessato pu� contestare il provvedimento 
negativo della competente Commissione provinciale e proporre 
azione di condanna delle amministrazioni obbligate al pagamento. 

3 -Quanto alla seconda questione, risulta dalla Corte di appello 
nel senso della retroattivit� della legge n. 40 del 1973, il Ministero ricorrente 
sostiene che i1l testo dell'originaria disposizione non consentisse 
dubbio in ordine alla necessit� di far riferimento alla popolazione della 
sede farmaceutica e non a quella del centro abitato (capoluogo, frazione 
o borgata), per modo che alla legge suddetta dovrebbe riconoscersi 
natura innovativa e non interpretativa; ed altres� che la nuova disposi



PARTB I, SEZ.' Ili, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 321 

zione sia stata dettata soltanto ai fini della quantificazione dell'indennit� 
di residenza, non anche per il riconoscimento del carattere urbano 

o rurale della farmacia ovvero per la sua classificazione agli effetti dell'applicabilit� 
del primo o del secondo comma dell'art. 2 della legge 
n. 
221 del 1968. 
Anche queste critiche non hanno pregio. 
Il carattere interpretativo di una legge dipende esclusivamente dal 
suo contenuto, caratterizzato da ci� che nella struttura della disposizione 
debbono concorrere un momento logico-assertivo, consistente nella 
enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa: il significato 
di un precetto antecedente cui la norma si ricollega nella formula e 
nella ratio, e un momento precettivo, con il quale iJl legislatore conferisce 
valore normativo a questa interpretazione, escludendone ogni altra. 
E questi elementi distintivi vanno accertati, ovviamente, sulla base 
della formula impiegata nel testo e dell'eventuale indicazione racchiusa 
nel titolo (che pu� non essere sufficiente, se non sorretta da un corrispondente 
contenuto), nonch� -se del caso -con riguardo ai lavori 
preparatori, mentre � priva di rilievo a tal fine l'esistenza, o meno, di 
contrasti giurisprudenziali o ufficiali sul significato della legge interpretata, 
che possono riguardare soltanto l'opportunit� o la necessit� 
dell'interpretazione autentica, dunque un aspetto ininfluente sul piano 
normativo. 

Il fatto, cio�, che la legge interpretata possa dar luogo, o effettivamente 
abbia dato luogo, ad incertezze e a discordanti interpretazioni, 
non � condizione necessaria della natura di interpretazione autentica 
della legge che si presenta come interpretativa; n�. interferisce con 
l'efficacia retroattiva connaturale alla legge medesima; la quale, anche 
quando discutibile per il suo contenuto logico, in ogni caso introduce 
nell'ordinamento un nuovo precetto, darto dall'interpretazione con essa 
imposta e sostitutivo di quello cos� interpretato; alla vecchia disposizione 
si sostituisce la nuova, che perci� ha sempre efficacia retroattiva, 
a meno che la stessa legge (interpretativa) disponga altrimenti (v. sent. 

n. 
5822 del 1981). 
A questi principi si � attenuta la Corte d'appello, la quale bene ha 
riconosciuto carattere interpretativo, e conseguentemente retroattivo, 
alla norma in esame per il motivo che essa � esplicitamente finalizzata 
all'interpretazione del precedente precetto dell'art. 2 della legge n. 221 
del 1968 (come si legge nel titolo) ed � strutturata appunto quale norma 
di interpretazione autentica, in quanto stabilisce, come si � visto, doversi 
l'enunciato originario intendere nel senso che, ai fini della determinazione 
dell'indennit� di residenza, occorre aver riguardo alla popolazione 
della localit� o agglomerato rurale in cui � ubicata la farmacia, 
non gi� alla popolazione della sede farmaceutica prevista dalla pianta 
organica. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

322 

Ci� senza dire che, come pure ha osservato la sentenza, la disposizione 
venne promulgata proprio perch� in pratica erano sorti dubbi in 
ordine alla base territoriale cui dovevasi aver riguardo per determinare 
il numero degli abitanti agli effetti delle categorie delle farmacie rurali 
previste dalla legge n. 221 del 1968 (e, in senso contrario a quello poi recepito 
dalla norma interpretativa, vi era stata una deliberazione della 
Corte dei Conti, che aveva dato luogo anche al provvedimento di diniego 
oggetto del presente giudizio). 

Pertanto la disposizione si applica pure alle annualit� dell'indennit� 
di residenza precedenti alla sua entrata in vigore (salvi i noti limiti generali 
della retroattivit� della legge, i quali, tuttavia, nella specie non 
vengono in questione). E non vi sono ragioni per ritenere che essa valga 
ai fini dell'ammontare dell'indennit� e non per l'attribuzione del relativo 
diritto, che ugualmente � regolata, come si � detto, in base al criterio 
demografico: una limitazione in tal senso non si rinviene n� nella 
norma interpretata n� in quella interpretativa e, sotto il profilo dei 
principi ermeneutici, � sicuramente illogica, non essendo possibile attribuire, 
nell'ambito della medesima disposizione, due significati diversi 
alla nozione di localit� in cui � ubicata la farmacia. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 22 marzo 1983, n. 2008 -Pres. Moscone 
-Rel. Afeltra -P. M. Fabi -E.N.P.A.L.S. (Avv. Stato Cerocchi) 

c. Spissu (avv. Filippi). 
Giurisdizione civile -Rapporto di pubblico impiego -Caratteristiche -Com


patibilit� con altra attivit� professionale prevalente -Atto di nomin~ � 

Irrilevanza -Controversie -Giurisdizione esclusiva del giudice ammi


nistrativo. 

La qualificazione di un rapporto giuridico (nella specie di lavoro) 
non deriva dal nomen iuris dato dalle parti, n� dal raffronto con un diverso 
tipo di rapporto posto in essere dalla p.a. con la maggioranza del 
personale (di carriera), ma dipende dalle sue concrete estrinsecazioni 
che lo classificano come pubblico se il rapporto si � espletato senza interruzione 
con costante uniformit� del contenuto delle prestazioni, in 
condizioni di subordinazione nell'ambito delle strutture dell'Ente attuative 
delle sue finalit� pubblicistiche, senza che abbiano rilevanza la durata 
giornaliera delle prestazioni, anche se a tempo parziale (tali da non 
costituire la prevalenza delle attivit� professionali del dipendente) ed 
anche se non esiste un atto formale di nomina: di conseguenza le relative 
controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 


(1) Giurisprudenza ormai costante: cfr. Sez. Un. 26-5-1979, n. 3070. 

323

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONI! 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 marzo 1983, n. 2017 -Pres. Mar


chetti -Rel. Cassata -P. M. Fabi -Ministero della P.I. (Avv. Stato 

Favara) c. Borsi (avv. Mariani). 

Istruzione -Consigli scolastici -Elettorato attivo e passivo -Situazione 
soggettiva -Diritto soggettivo -Controversie -Giurisdizione ordinaria. 

Istruzione -Consigli scolastici -Elettorato attivo e passivo -Diritto soggettivo 
-Controversie -Competenza per materia e per territorio Principi 
generali. 

Ricorre un caso di diritto soggettivo, e non di mero interesse legittimo, 
tutte le volte che la legge attribuisce a determinati soggetti la 
fur..zione di partecipare alla formazione di organismi pubblici mediante 
l'elezione dei loro (o di parte dei loro) componenti, non semplicemente 
per i fini di buona amministrazione e di efficienza, ma in ragione dell'interesse 
diretto che quei soggetti, e la collettivit� che essi costituiscono, 
abbiano al funzionamento di quelle strutture; e ci� con riguardo 
ar..che ai consigli scolastici che la stessa legge istitutiva (D.P.R. 31 maggio 
1974 n. 416) definisce organi �di governo�, in cui si realizza la 
� partecipazione nella gestione della scuola �, intesa come � comunit� 
che interagisce con la pi� vasta comunit� sociale e civica � e la cui 
composizione (art. 3, 5, 7) con rappresentanti delle varie categorie del 
personale scolastico, degli alunni e dei loro genitori, dei comuni, delle 
forze sociali rappresentative di interessi generali e delle organizzazioni 
sindacali � indicativa del valore riconosciuto dal legislatore agli interessi 
specifici di ciascuno di tali gruppi in base ai principi della democrazia 
pluralistica (1). 

La normativa generale in materia elettorale (art. 42 del D.P.R. 

20 marzo 1967 n. 233) stabilisce una disciplina processuale speciale, come 

tale insuscettibile di applicazione, giusta il disposto dell'art. 14 delle 

preleggi, al di fuori degli stretti limiti della materia per cui � dettata; 

ed in questi limiti, circoscritti al contenzioso sul diritto all'elettorato 

politico attivo -ordinato in via principale alla scelta dei membri del 

Parlamento e di riflesso anche di quelli degli organi rappresentativi 

della volont� popolare delle regioni, delle provincie e dei Comuni ed 

alla formazione delle relative liste, nor.. possono di certo farsi rientrare 

-come specie sul genere -i diritti di elettorato attribuiti -nel caso 

(1-2) Nel caso di elezioni scolastiche cfr. Cass. Sez. Un. 16 settembre 1980 

n. 5262, in questa Rassegna 1981, I, 66, con nota; nel caso di posizioni soggettive 
in relazione al servizio sanitario nazionale cfr. Sez. Un. 9 giugno 1982, n. 3474, 
ivi, 1982, I, 725. Per altre ipotesi di elezioni (componenti del Consiglio Nazionale 
del notariato) cfr. Cass. 25 novembre 1966 n. 2802; (componenti del Consiglio 
Superiore della Magistratura) cfr. Cass. 7 ottobre 1972 n. 2918. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

324 

dei consigli scolastici -per fini del tutto diversi sulla base di sp~cifici 
presupposti e in forza di particolari procedimenti di accertamento,� 
le cui controversie, pertanto, appartengono alla cognizione del giudice 
ordinario secondo i criteri generali di ripartizione della competenza, per 
materia o per territorio (artt. 9 e 25 c.p.c.) (2). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 aprile 1983, n. 2430 -Pres. Greco Est. 
Sensale -P. M. Sgroi -Presidenza del Consiglio dei Ministri 
(Avv. Stato Fienga) c. vari (avv. Mondello). 

Impiego pubblico -Enti pubblici -Atto formale -In'ilevanza -Impiego 
pubblico -Amministrazione dello Stato -Atto formale -Necessit�. 

Impiego pubblico -Prescrizione -Sospensione in costanza del rapporto � 
Inammissibilit�. 

Ai fini della configurabilit� di un rapporto di impiego pubblico � 
irrilevante, secondo il recente orientamento della giurisprudenza, la indagine 
sulla esistenza di un atto formale di nomina, quando consti l'inserimento 
del dipendente nell'organizzazione dell'ente attraverso scrittura 
o documenti costitutivi del rapporto o attraverso atto autoritativo 

o atto equipollente, i quali rivelino la inequivoca volont� dell'ente di inserire 
il dipendente r.ella sua organizzazione, escludendosi in ogni caso 
l'estensione di tale orientamento giurisprudenziale ai rapporti con le 
Amministrazioni centrali dello Stato, che vanno sempre costituiti con 
atti formali di nomir.a (1). 
In relazione ad un rapporto di lavoro di diritto privato, la declaratoria 
d'incostituzionalit� degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 e.e. 
non riguarda il caso in cui il rapporto stesso sia caratterizzato da stabilit� 
la quale deve, pertanto, essere di volta in volta accertata, mentre 
nei rapporti d'impiego pubblico, anche di durata temporanea, il termine 
di prescrizione pu� sempre iniziare a decorrere riel corso dei rapporti 
medesimi, non solo perch� questi sono soggetti a una disciplina che 
normalmente assicura la stabilit�, ma soprattutto perch� per essi vigono 
in ogni caso le garanzie giurisdizionali cui ha fatto riferimento la sentenza 
della Corte Cost. n. 143 del 1969 (2). 

La contestazione rimane, dunque, circoscritta al punto se il rapporto 
vertito dal 7 ottobre 1954 al 31 dicembre 1962 tra la Presidenza 

(1-2) Si riporta la motivazione della sentenza che contiene un puntuale 
riferimento alla giurisprudenza. Su entrambe le massime, oltre le sentenze 
Sez. Un., 22 marzo 1983, n. 2008 e 19 luglio 1982, n. 4198, retro, pagg. 322 e 304; 

v. anche Il Contenzioso dello Stato, 1976-1980, 153. 

PARm I, SBZ. UI, GIURlS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

del Consiglio dei Ministri e il Vari non sia da inquadrare, come sostiene 
l'Amministrazione ricorrente, nell'ambito del pubblico impiego, nel qual 
caso sarebbe sottratto alla giurisdizione ordinaria, come il rapporto 
svoltosi dal 1� gennaio 1963 in poi. 

Ricondotta la controversia entro questi limiti, il primo motivo del 
ricorso dell'Amministrazione � privo di fondamento. 

Quanto alla prima delle due censure con tale motivo formulate (supervalutazione 
dell'atto di nomina), � vero che, ai fini della configurabilit� 
di un rapporto d'impiego pubblico, � stata pi� volte affermata la 
irrilevanza della indagine sulla emanazione di un formale atto di nomina 
del dipend�nte, quando consti l'inserimento di costui nella organizzazione 
dell'ente (sentenze 2681/79, 2597/81, 1788/82, 2466/82 e 
2414/82 di queste Sezioni unite). Tuttavia, da un lato, si � pure ritenuto 
che 'tale inserimento debba risultare da una scrittura o da un documento 
costitutivi del rapporto (SS.UU., sent. 1671/70, 2439/77, 3070/79) o da un 
atto autoritativo imputabile all'Amministrazione (SS.UU., sent. 3175/72, 
293/75, 5337/78) o, comunque, da un atto equipollente (sent. 402/74, 
2508/82), i quali rivelino la inequivoca volont� dell'ente pubblico d'inserire 
il dipendente nella sua organizzazione, nell'ambito di un rapporto 
di diritto pubblico (e nel caso concreto vi fu assunzione verbale e non 
� stata accertata l'esistenza di atti scritti dai quali potesse desumersi 
una siffatta volont�); dall'altro (ed � ci� che pi� rileva), come queste 
Sezioni unite hanno gi� osservato in un caso analogo (v., in motivazione, 
la sentenza n. 4198/82), la giurisprudenza secondo la quale l'inserimento 
del dipendente nella organizzazione dell'ente sarebbe sufficiente 
a far configurare un rapporto di impiego pubblico, si � formata con 
ri~ardo agli enti pubblici diversi dalle Amministrazioni centrali dello 
Stato, tanto che in tutti i casi, fino ad ora esaminati, di azioni promosse, 
come quella in esame, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
nei quali � stata affermata l'esistenza di un rapporto d'impiego pubblico 
(v. sent. 3249/74, 293/75, 2439/77, 5337/78), risultava che i rapporti 
erano stati costituiti con atti scritti: esigenza formale che, come si � 
pute rilevato nella sentenza n. 4198/82, emerge dalla stessa disciplina 
della legge n. 520 del 1961. 

N� pu� ritenersi, come sostiene l'Amministrazione, che la mancanza 
dell'atto di nomina, se inducesse l'applicazione dell'art. 2126 e.e., 
non potrebbe non comportare che la situazione cos� determinata dovrebbe 
valutarsi come se fosse stata validamente costituita, sia pure 
interinalmente. 

Con riguardo ad una ipotesi nella quale illegalmente degli amanuensi 
erano stati adibiti alle funzioni di cancelliere, queste Sezioni unite 
(sent. 1609/76), dopo avere premesso che il 'rapporto tra l'amanuense e 
la� pubblica Amministrazione era inidoneo a configurare un rapporto di 
pubblico impiego, hanno ritenuto che esso potesse spiegare una residua 


326 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

efficacia di ordine patrimoniale nel campo del diritto privato ai sensi f 
i. 
dell'art. 2126 e.e., facendo cos� applicazione di detta norma non gi� come i 
sembra ritenere l'Amministrazione ricorrente, per farne discendere, an


I 

i 
>che in mancanza di un atto di nomina, la possibilit� di attribuire na2 
tura di pubblico impiego al rapporto di fatto instauratosi, bens�, come r 
si � esattamente ritenuto nella sentenza impugnata, per collocarne gli 
effetti nell'ambito del diritto privato, precisandosi che la illiceit� della 
causa o dell'oggetto, preclusiva dell'applicazione della norma in esame, 

I 

non pu� essere ravvisata. nella mera contrariet� a norme imperative, 
ma occorre in ogni caso l'incompatibilit� di tali elementi con i principi 
di ordine pubblico, strettamente intesi, o con norme imperative che di 
per s� stesse attengano all'ordine pubblico; ed escludendosi la possibilit� 
di configurare tale illiceit� nella ipotesi considerata, in conformit� 
con i principi costituzionali di tutela del lavoro in tutte le sue forme e 

IIapplicazioni (art. 35 Cast.) e del diritto del lavoratore a un� retribuzione 
proporzionata (art. 36 Cast.). 

I

Con il secondo motivo, l'Amministrazione denunzia la violazione 
degli artt. 2946 e 2948 e.e. e il vizio di omessa, insufficiente e contrad


I 

dittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in 

! 

j

cui ha respinto l'eccezione di prescrizione, sul presupposto che il rap


i

porto avesse acquistato il carattere della stabilit� solo nel 1967, con l'amf 
missione nei ruoli del Vari. Sostiene, per contro, la ricorrente che, se 

I

pure la prima fase (fino al 1962) avesse natura autonoma in quanto prif 
vatistica, non sarebbe possibile unificarla alla seconda (fino al 1967) al f 
~ 

I 1 

solo scopo di trarne la conclusione del mancato decorso del termine di 
prescrizione; che la ragione logica della sospensione della prescrizione 
durante il rapporto non assistito dalla stabilit� non � configurabile 

I 

quando il datore di lavoro sia una pubblica Amministrazione; che, in


fine, poich� in relazione alle prestazioni svolte dal 1� gennaio 1963 sus


I 

I i

siste il difetto di giurisdizione dell'a.g.o., il giudice d'appello non avreb


be potuto interloquire sulle caratteristiche di un rapporto la cui cogni


zione gli era sottratta. 

Tali censure sono fondate nei termini che saranno di seguito pre


Ii

cisati. 
La Corte d'appello ha fatto decorrere il termine della eccepita pre


Ii

scrizione quinquennale di cui all'art. 2948 e.e. dal febbbraio 1967, epoca 
in cui il Vari, quale vincitore di concorso, fu assunto in ruolo, sul presupposto 
che solo da tale momento il rapporto avesse assunto il carattere 
della stabilit�. 

I 

La decisione si riannoda alla sentenza della Corte costituzionale del ! 
10 giugno 1966, n. 63, con la quale fu dichiarata la illegittimit� costitu! 
I 
zionale degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. � 2 e 2956 n. 1 e.e., limitatamente i 

j

alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retri


i 

buzione decorra durante il rapporto di lavoro. I 

I 

Ii 

I, 

I

I 


PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

La giustificazione della decisione d'incostituzionalit� fu indicata nel 
fatto che, in un rapporto non dotato di quella resistenza che caratterizza 
invece il rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, cio� 
del licenziamento, spinge o pu� spingere il lavoratore sulla via della 
rinuncia a una parte dei diritti, di modo che la rinunzia, quando � fatta 
durante quel rapporto, non pu� essere considerata una libera espressione 
di volont� negoziale e la sua invalidit� � sancita dall'art. 36 Cost.; 
e nella considerazione della situazione psicologica del lavoratore, che 
pu� essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso mo� 
tivo per cui molte volte � portato a rinunciarvi, cio� per timore del li� 
cenziamento, cos� che la prescrizzione, decorrendo durante il rapporto 
di lavoro, produce proprio quell'effetto che l'art. 36 Cost. ha inteso precludere 
vietando qualunque tipo di rinunzia: anche quella che, in particolari 
situazioni, pu� essere implicita nel mancato esercizio del proprio 
diritto e nel fatto che si lasci trascorrere il termine di prescrizione. 

Chiamata successivamente a pronunciarsi sulla fondatezza o meno 
della questione di costituzionalit� dell'art. 2 del R.d.l. 19 gennaio 1939, 

n. 295, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, sulla prescrizione biennale 
di stipendi, pensioni ed altri emolumenti dovuti agli impiegati dello 
Stato, la Corte costituzionale, con sentenzza n. 143 del 20 novembre 
1969, ha osservato che la risposta negativa era implicita nella stessa 
sentenza n. 63 del 1966, che aveva gi� rilevato la particolare forza di resistenza 
che caratterizza il rapporto d'impiego pubblico, ed ha precisato 
che questa forza di resistenza � data da una disciplina che normalmente 
assicura la stabilit� del rapporto e dalla garanzia di rimedi giurisdizionali 
contro l'illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che 
il timore del licenziamento poss~ indurre l'impiegato a rinunziare ai 
propri diritti. 
N� a diversa conclusione potrebbe giungersi, come ha ulteriormente 
precisato la Corte costituzionale, per i rapporti di pubblico impiego di 
carattere temporaneo. Anche in essi l'impiegato � assistito dalla garanzia 

di rimedi giurisdizionali contro l'arbitraria risoluzione anticipata di po� 
tere, com'� confermato dalla giurisprudenza del Consiglio ,di Stato; e 
d'altra parte, secondo l'ordinamento del pubblico impiego, le assunzioni 
temporanee hanno carattere precario e la rinnovazione del relativo rapporto 
non presenta carattere di normalit�, s� che la rinnovazione costituisce 
un evento inerente alla natura del rapporto stesso e la previsione 
di esso non pone, pertanto, il lavoratore in una situazione di timore di 
un evento incerto, al quale egli sia esposto durante il rapporto, qual � 
il licenziamento nel rapporto di lavoro di diritto privato. La Corte costituzionale 
ha, quindi, espressamente concluso che la dichiarazione di 
parziale illegittimit� costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 

n. 1 e.e., contenuta nella sentenza n. 63/66, riguarda i rapporti di lavoro 

328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

regolati dal diritto privato e non si estende ai rapporti di pubblico 
impiego. 

Una ulteriore evoluzione la giurisprudenza costituzionale ha poi avuto 
a seguito dei rimedi offerti dalle leggi 15 luglio 1966 n. 604 e 20 mag� 
gio 1970 n. 300 contro i licenziamenti senza giusta causa, con la sentenza 
del 12 dicembre 1972 n. 174, con la quale si � istituita un'analogia tra 
rapporti di diritto privato e rapporti di pubblico impiego, quando i pr.imi 
abbiano il carattere della stabilit� e per esisi SU!Ssistano garanzie equivalenti 
a quelle disposte per i rapporti medesimi. 

D~ quanto precede si trae il principio di diritto (che risulta violato 
nella sentenza impugnata ed al quale dovr�, invece, uniformarsi il giudice 
di rinvio) che, mentre in relazione a un rapporto di lavoro di diritto 
privato, la declaratoria d'incostituzionalit� degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 
e 2956 n. 1 e.e. non riguarda il caso in cui il rapporto sia caratterizzato 
da stabilit� (v., al r.iguardo, le sentenze della Sez. lavoro n. 5111 e 6300 
del 1981), con la conseguente necessit� di accertare che tale requisito 
ricorra nel tipo di rapporto oggetto della controversia, per contro nei 
rapporti d'impiego pubblico, .anche di durata temporanea, il termine di 
prescrizione pu� sempre iniziare a decorrere nel corso dei rapporti medesimi, 
non solo perch� questi sono soggetti a una disciplina che normalmente 
assicura la stabilit�, ma soprattutto perch� per essi vigono in 
ogni caso le garanzie giurisdizionali cui la Corte costituzionale ha fatto 
riferimento nella sentenza n. 143 del 1969. 

Orbene, poich� l'accertamento della natura di rapporto d'impiego 
pubblico tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Vari, a partire 
dal 1� gennaio 1963, costituisce punto fermo della decisione della Corte 
d'appello, � evidente che il pr.incipio della sospensione del decorso del 
termine prescrizionale durante il rapporto di lavoro non torna applicabile 
in relazione al periodo successivo alla data del 1� gennaio 1963, 
dalla quale pertanto il termine stesso doveva farsi decorrere. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, 13 maggio 1983, n. 3276 . 
Pres. Greco -Rel. Nocella � P. M. Nicita � Ministero del Tesoro 
(Ufficio Liquidazione enti mutualistici) (avv. Stato Mataloni) c. Bertelli 
ed altri. 

Competenza civile � Foro dello Stato � Ufficio Liquidazione presso il Mini� 
stero del Tesoro � Controversie in corso � Applicabilit� immediata. 

Enti pubblici � Enti mutualistici � Soppressione � Fase di liquidazione 
affidata al Ministero del Tesoro � Posizione giuridica dell'Ufficio di 
liquidazione. 

Enti pubblici � Enti mutualistici � Fase di liquidazione disposta o per 
legge o con atto amministrativo � Diversit� ai fini c;Iel foro dello 
Stato. ',. 

'~ 

f: 
!: 

1: 
.......... 



PARTB I, SEZ. m, GIURIS; SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 329 

Competenza civile � � Perpetuatio jurlsdictionis � � Inapplicabilit� nel corso 
di nuove leggi modificatrici della competenza funzionale (foro dello 
Stato). 

Nelle cohtroversie relative alle operazioni di liquidaz�one destinate 
ad essere assunte dallo speciale Ufficio liquidazioni presso il Ministero 
del Tesoro (di cui alla legge 4 dicembre 1956 n. 1404), poich� tale ufficio 
fa parte dell'Amministrazior.e dello Stato, trovano integrale ed immediata 
applicazione sia le norme sul patrocinio (ai sensi dell'art; 1 della 
legge 27 giugno 1981 n. 331 l'Avvocatura dello Stato � autorizzata ad 
assumere la rappresentanza e la difesa degli enti di cui all'art. 12 bis del 

d.l. 8 luglio 1974 conv. nella legge 17 agosto 1974 n. 386), sia le norme 
sul foro dello Stato, senza necessit� che si siano verificati i presupposti 
previsti dall'art. 11 della citata legge n. 1404 (domanda di riconoscimento 
dei crediti, comunicazione della mancata ammissione nell'elenco dei crediti, 
ecc.) i(l). 
Anche se l'ente soppresso sopravvive al provvedimento di soppressione 
e messa in liquidazione fino alla chiusura della liquidazione stessa, 
l'assunzione ex lege delle operazioni di liquidazione da parte dell'ufficio 
liquidazioni presso il Ministero del Tesoro determina la sostituzione 
all'ente mutualistico dell'apposito organo statale, il quale agisce come 
branca dell'Amministrazione dello Stato con propria soggettivit� istituzionale 
e non come organo dell'ente soppresso (2). 

La liquidazione disposta con provvedimenti amministrativi a norma 
degli artt. 1 e 2 della legge n. 1404 del 1956 � diversa da quella disposta 
con atti legislativi, richiedendo la prima uno spec.ifico provvedimento che 
per sua natura non incide sulla competenza al di fuori della espressa 
previsione prevista dall'art. 11 della stessa legge, escludendo la seconda 
un ulteriore provvedimento diverso dalla legge e divenendo cos� operanti 
sin dalla data di entrata in vigore della legge stessa -le norme sul patrocinio 
e sul foro dello Stato (3). 

Non � invocabile, al fine di escludere la sopravvenienza del foro erariale 
per il giudizio di appello, l'art. 5 c.p.c. nella parte in cui dispone che 
ai fini della competenza non hanno rilevanza le modifiche della situazione 
di fatto intervenute dopo la proposizione della domanda, essendo 
il principio della perpetuatio jurisdictionis stabilito da tale norma inapplicabile 
non soltanto rispetto al sopravvenire di nuove leggi modifica


(1-4) Le prime due massime, anche se cli specie, sono conformi ai principi; 
sulla terza cfr. Cass. 5 maggio 1980 n. 2967; sulla quarta la giurisprudenza � 
pacifica: Cass. 28 giugno 1976, n. 2479. 

Sull'argomento, tin generale, cfr. Il Contenzioso dello Stato 1976-1980, II, 153. 

Su tutte le massime cfr. le sentenze di pari data n. 3280 e n. 3676. 

8 



330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
trici della competenza, ma anche rispetto al sopravvenire di nuove leggi, 
che, se anche non direttamente modificatrici di essa, incidano sul criterio 
determinante di essa (nella specie: norme sul patrocinio indirettamente 
ma essenzialmente incidenti sulla determinazione del foro erariale). 
Le modifiche di diritto, che riguardano la sfera del potere giurisdizionale 
attribuita a ciascun giudice, sono immediatamente applicabili 
alle controversie gi� pendenti ed anche se per queste sia intervenuta 
sentenza in ordine a questioni di competenza. La sostituzione ope legis 
di un'amministrazione dello Stato ad una delle parti originarie del giudizio, 
in quanto comporta il patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura erariale 
-con conseguente applicazione degli artt. 25 c.p.c. e 6 T.U. n. 1611 
del 1933 ....., si traduce, dunque, in una modifica della competenza territoriale 
per quanto riguarda le controversie vertenti con i disciolti enti mutualistici 
(4). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 gennaio 1983, n. 64 -Pres. Miele -
Rel. Cantillo -P. M. Morozzo della Rocca (concl. diff.). -Ministero 
del Tesoro (avv. Stato Cavalli) -Cammino (Can. Sandrelli) -altri. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Indennit� � Requisizione � Mora Rivalutazione 
del credito � Ammissibilit�. 

Pur essendo l'indennit� di esproprio (o l'indennit� di requisizione) 
non suscettibile di rivalutazione automatica perch� ha natura di debito 
di valuta tanto per la parte originariamente fissata nel decreto quanto 
per quella successivamente liquidata in seguito all'opposizione alla stima, 
la p.a.. deve ritenersi in mora secondo la regola ordir.aria nel pagamento 
di tale ulteriore somma e perci� il proprietario del bene espropriato (o 
requisito) ha diritto di ottenere oltre gli interessi, il risarcimento del 
maggior danno dipendente dal ritardo, ai sensi dell'art.1224, secondo comma, 
cod. civ., compreso quello dovuto alla svalutazione verificatasi durante 
il giudizio sempre che siffatto pregiudizio venga allegato o dimostrato 
ovvero, in difetto di prova contraria, sia desumibile da fatti notori 

o da presunzioni (1). 
1. -Con il primo motivo, denunziando la violazione dell'art. 1224, 
secondo comma, cod. civ. e vizi della motivazione, l'Amministrazione 
ricorrente critica sotto due profili la sentenza impugnata nella parte in 
cui ha. liquidato i danni da svalutazione monetaria: sostiene, anzitutto, 
(1) Il principio era gi� stato affermato in relazione all'indennit� di esproprio 
dalla stessa Corte di Cassazione con sentenze n .. 2395/1981, n. 410/1981. 
In tali sentenze, in senso conforme a quella che qui si pubblica, si era 
ritenuto che il risarcimento del maggior danno dipendente dal ritardo, ai s�nsi 
dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ., .comprendesse quello dovuto agli effetti 
negativi della svalutazione monetaria verificata& durante il giudizio; si era 
anche ammesso che in difetto di prove sul maggior danno sub�to, la circostanza 
fosse desumibile dal fatto notorio o dalla presunzione che le somme accreditate 
sarebbero state investite nell'attivit� commerciale esercitata dal creditore. 

Per la ininfluenza della svalutazione monetaria sulla indennit� ,di esproprio, 
anche se determinata in misura maggiore per effetto del giudizio di opposizione 
alla stima, cfr. Trib. sup. acque pubbliche, 3 aprile 1978, n. iS, in questa Rassegna 
1978, I, 763, con nota. 



332 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

che non possa ravvisarsi mora colpevole della pubblica amministrazione 
nel fatto che essa percorra tutti i gradi del giudizio per l'esatta determinazione 
dell'obbligazione dovuta, ci� che nella specie si era reso necessario 
perch�, una volta impugnata la liquidazione amministrativa, occorreva 
necessariamente attendere la pronuncia giudiziale; in secondo luogo, 
che il danno da svalutazione sia stato ritenuto provato non in base 
a concreti elementi riflettenti la posizione dei danneggiati, ma in relazione 
a generiche considerazioni in ordine all'utilizzabilit� del notorio e 
delle presunzioni. 

Entrambe le censure sono infondate. 
Alla prima � agevole obiettare che la sentenza si � attenuta al consolidato 
principio affermato da questa Corte in tema di espropriazione 
per pubblica utilit�, secondo il quale, sebbene la relativa fri.dennit� non 
sia suscettibile di rivalutazione automatica perch� ha natura di debito 
di valuta tanto per la parte originariamente fissata con il decreto di 
esproprio quanto per quella che venga successivamente liquidata dal 
giudice all'esito dell'opposizione alla stima, nondimeno la pubblica amministrazione 
deve ritenersi in mora, secondo le regole ordinarie, nel 
pagamento di tale somma ulteriore e perci� in relazione ad essa l'espropriato 
ha diritto di ottenere, oltre agli interessi, il dsarcimento 
del maggior danno dipendente dal ritardo, ai sensi dell'art. 1224, secondo 
comma cod. civ., compreso, dunque, quello dovuto alla svalutazione 
verificatasi durante il giudizio, sempre che siffatto pregiudizio venga 
allegato e dimostrato ovvero, in difetto di prove dirette, sia desumibile 
da fatti notori o da presunzioni (v. fra altre, sent. n. 2395, n. 2007 
e n. 410 del 1981;� n. 1852 del 1980; n. 1255 del 1979). 
La Corte di appello ha accolto la domanda di rivalutazione in sostanziale 
adesione a tale principio, sicuramente applicabile anche al debito 
della pubblica amministrazione per indennit� di requisizione, osserv~
do che questa nella fase amministrativa era stata legittimamente 
rifiutata dal pdvato perch� macroscopicamente inferiore a quella accertata 
dovuta in giudizio e che perci� l'Amministrazione doveva rispondere 
del danno dipeso dal massiccio deprezzamento della moneta avutosi 
nel corso dell'annoso processo. 

N� � esatto -e con ci� si passa alla seconda censura -che l'esistenza 
dl un tale pregiudizio non sia stata concretamente verificata 
dalla Corte, la quale, invece, dopo di avere ricordato i noti criteri 
elaborati in ordine alla prova del danno da svalutazione, lo ha ritenuto 
provato con riferimento ad un complesso di elementi, fra i qua1i assume 
decisivo rilievo la presunzione che il destinatario del provvedimento 
ablatorio avrebbe impiegato la somma nell'attivit� commerciale 
esercitata. E questo accertamento di fatto, cosl sorretto da congrua 
e logica motivazione, non � qui sindacabile. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 333 

COTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbr�io 1983, n. 1223 -Pres. Mazzacane 
-Est. Corda -P. M. Dettori (conf.). Prefetto della Provincia 
di Sondrio (Avv. Stato Ferri) e Maxenti Fermo (n. c.). 

Urbanistica -Piano regolatore -Centro abitato -Perimetrazione -Costru� 
zioni in prossimit� .del ciglio stradale � Distanze previste dal D.M. 
1� aprile 1968 -Osservanza � Necessit� � Centro abitato -Perlmetrazione 
ex art. 17, legge 765 del 1967 e perlmetrazione ex art. 18, legge 
865/1971 -Diversit� di nozioni e di effetti -Mancanza di strumenti 
urbanistici -Abitato reale -Riferimento -Necessit�. 

Le distanze dal ciglio stradale, previste dall'art. 19 della legge 765/ 
1967 e specificate col D.M. 1 aprile 1968, devono essere osservate fuori del 
centro abitato quale definito dai piani regolatori generali, dai programmi 
di fabbricazione e dalla perimetrazione effettuata ai sensi dell'art. 17 
Legge 765 entro il termine (di decadenza) di 90 giorni dall'entrata in 
vigore della legge medesima; e, in mancanza di tali strumenti urbanistici, 
occorre far riferimento al c.d. � abitato reale � senza che possano essere 
utilizzate perimetrazioni effettuate ad altri fini (nella specie � irrilevante, 
ai fini della nozione di centro abitato, la perimetrazione fatta ai sensi 
dell'art. 18 legge 22 ottobre 1971 n. 865). 

Col primo motivo (denunciando violazione dell'art. 19 della legge 
6 agosto 1967, n. 765, e del Decreto Ministeriale 1� aprile 1968, nonch� 
dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e dell'art. 81 del d.P.R. 
24 luglio 1977, n. 616), il ricorrente Prefetto di Sondrio critica la sentenza 
impugnata nel punto in cui, per escludere la concreta applicabilit� 
della norma che impone il rispetto delle distanze delle costruzioni dalle 
strade statali �fuori dei centri abitati�, ha fatto leva sulla considera-

Nozione di centro abitato e tutela della viabilit� 

Per valutare la importanza di questa sentenza appare opportuno riportare 
la normativa alla quale essa fa riferimento. 

Come � noto, la legge 765 del 1967, ha sostituito ed in parte integrato le 
norme vigenti in materia di distanze delle costruzioni dalle strade, e c1oe 
l'art. 66 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, l'art. 1 R.D. 8 dicembre 1933 n. 1740, 
l'art. 9 legge 24 luglio 1961 n. 728 per le autostrade. 

La predetta legge n. 765, al fine di evitare una edificazione indiscriminata 
e senz;i alcuna regola programmatica, ha previsto che, in mancanza di piano 
regolatore e di programma di fabbricazione, l'edilizia fosse vincolata a coefficienti 
di edificabilit� variabili a seconda del tipo di costruzioni-(edilizia residenziale, 
agricola, produttiva, etc.) e a seconda che le nuove costruzioni venissero 
edificate nelle aree ricadenti nel centro abitato o nelle restanti zone del territorio 
comunale. E perci� imponeva ai comuni che non avessero ancora adottato 
strumenti urbanistici l'obbligo di procedere alla perimetrazione del centro abitato 
con deliberazione da adottare entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore. 
Al successivo art. 19 la stessa legge dettava norme a difesa del patrimonio 
viario, integrando come si � detto la normativa gi� esistente e prevedendo che 



............................. 


334 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione che l'edificio dell'odierno intimato si trovava nell'interno del perimetro 
del �centro edificato�, come delimitato dal Comune ai sensi dell'art. 
18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Deduce che tale impostazione 
sarebbe erronea, posto che la nozione di � centro abitato �, come recepita 
dall'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e, quindi, dal Decreto 
Ministeriale del 1968, � quella fornita dal precedente art. 17; di modo 
che l'esclusione dall'obbligo di rispetto delle distanze va stabilito con 
riferimento ad una situazione �di fatto� sussistente alla data di emanazione 
della legge predetta, ovvero alla situazione � di diritto � conseguente 
all'attivit� di perimetrazione demandata ai Comuni, purch� svolta 
entro i novanta giorI\i dalla data �di entraita in vigore della legge stessa. 
Sarebbe, perci�, erronea l'impostazione della sentenza, la quale ha, invece, 
ritenuto (posto che il Comune di Cosio Valtellino non aveva tempestivamente 
proceduto a quella perimetrazione) che per l'edificio in 
questione non dovessero essere rispettate le distanze stabilite dal Decreto 
Ministeriale, essendo lo stesso (edificio) ricompreso in quel �centro edificato
� che l'art. 18 della successiva legge 22 ottobre 1971, n. 865, ha 
previsto per fini completamente diversi (cio� ai fini dell'applicazione 
� del precedente art. 16 � e, quindi, ai fini della determinazione dell'indennit� 
di espropriazione relativa all'acquisizione delle aree occorrenti 

� fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione 
distanze minime a protezione del nastro stradale misurate a partire dal ciglio 
della strada �. 

E' evidente cos� il richiamo all'art. 17, in quanto il riferimento alle aree 
comprese nel perimetro del centro abitato e ai diversi vincoli imposti alle 
costruzioni insistenti nel centro abitato, rispetto a quelle effettuate nelle restanti 
aree del territorio comunale rinvia alla deliberazione di perimetrazione 
che il Comune � tenuto ad adottare. In tal senso si � espresso anche il Consiglio 
di Stato, Sez. V 9 febbraio 1979 n. 60, Il Consiglio di Stato, II, 184. 

E' evidente altres� che, poich� l'art. 17 richiede la definizione dei centri 
abitati da parte dei comuni sprovvisti di piano regolatore generale e di programma 
di fabbricazione, nel caso contrario in cui i comuni abbiano gi� adottato 
i piani regolatori generali ed i programmi di fabbricazione, per l'individuazione 
del centro abitato occorrer� far riferimento a quanto previsto da tali 
strumenti urbanistici. (Cons. Stato Sez. V, 20 febbraio 1973 n. 167, Foro it. 1973, 
I, 2, 135, Cons. Stato 1973, I, 214, Foro it., 1973, III, 168). 

E' meno evidente, ma non per questo meno vero, che, mentre le limitazioni 
di edificabilit� previste nell'art. 17 hanno durata temporanea essendo circoscritte 
nel tempo e destinate a cessare per Io pi� con la adozione degli strumenti 
urbanisti.ci definitivi, l'obbligo della costruzione di rispettare determinate 
distanze dal ciglio stradale, non ha durata temporanea, bens� definitiva. 

Si aggiunga che i coefficienti di abitabilit� previsti dal 1� comma dell'art. 17 
si applicano ai comuni sprovvisti di piani regolatori e di programmi di fabbricazione, 
mentre le distanze di cui all'art. 19 dovrebbero ritenersi applicabili 
fuori del centro abitato in tutti i comuni provvisti anche di piano regolatore 
generale o di piano di fabbricazione, sprovvisti o non della perimetrazione del 
centro abitato (cos� cfr. Cons. Stato Sez. V, 3 novembre 1970 n. 848, dn Riv.

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giur. ed. 1970 I, pag. 1273). Contra Pret. Omegna 9 ottobre 1969, Giur. 38 1972, 

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335

PA!tTB I; Sl!Z. IV, Gi:URISPRUDBNZA.. CMLB 

per��.�l'attuazione dei programmi �dell'edili.zia resiqenziale pubblica}. Sostiene 
che ili tale errore la sentenza. impUgnata $ai;ebbe incorsa per non 
avere considerato;. che l'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e il 
consegt�ente .� j)e�retQJ MiJ).isteriale�hanno -con .nonne� �intese a proteggerei 
r.iteresse pubblico statal~ .�.alla �sicurezza. della circolazione sulle 
... strade e~traig~i:tJle 4 jnteso ~d~t�ll~are.��una situazione�. di fatto cos� 

�!Ei!��it~E~�.::~: 

����������ᥥ .. �.. Cot secon,�i() .~otivo {denunciail�io la violazione e falsa applicazione 

�����������������������������ᥥᥥ������ (lell(�rt. l~ 4ell~ legge 6 ~gqsto J?67, ~fJ65,..l'omessa o, quantomeno, 

> ��� � f~l~~~V~G~vr:wie~f~~o.P=�d~~~~~n.d;;~,~~;;~;:r:~�e 1:U~:, 

i!Ir&�t~~~~~~~ 

... ���stf4zjo~e Per ecui .�.~. c~l1Sa,� pur� mancandone il presupposto di fatto e di 

4lnH<� .� 

.�� 11634, ~91l llofa. p()nti;a:i:fa di Barotto che subordina la obbligatoriet� delle dist;:
inze lilia; :peritnet~l.\Zicme del centro abitato effettuata dal Comune. 
�pr;rettam.e;p.te t;)ett~to il D.M. 1 aprile 1968, previsto dal secondo comma 

� c:f~ll'axt. 19, nel�a: s:pecifl.cate le distanze minime a protezione del nastro stradale 
.q~ Qs$eJ:Yarsi ne~ e<liji.c;azione definisce la propria sfera di applicazione, in 
qU�$t� termini '� Ie disposizioni che seguono relative alle distanze minime a 
J;>rotezfone del n~sirc{stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perirne.
tra 1tti centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori e dai 
programmi di fabbri�azione �. Con tale disposizione si rende esplicito quanto 
gi�; coJiltentJ.to neWart'19 con la generica dizione � fuori del perimetro del centro 
� abitato � s~a ..J,teJ;i.?re c1eterminazione degli strumenti idonei alla perimetra.� 
zl,9ne e si �1:m)'.e~ qW!:P.19 '.!?rima affermato che contrariamente ai coefficienti 
..� cif abitabi.~ pl;'e\risti 411ll'arl:� �. 17, .le distanze minime dalle strade si applicano 
se#iP.re fi;ti>ri del centro abitato' indipendentemente dall'adozione da parte del 
comune di p.r.g., di p.f. e di perimetrazione del centro abitato. 

< JlW pre�is~'tQ; Jle�. <:<>.tl~egu.e�.. che la applicazione delle norme poste a tutela 

�. 4ella ~bil~ta e 4~JJa aj.ctll'e~a delle ~t,rade � collegata in maniera determinante 
� 
aIJ~ ;p.(�zi.oD.~ <:li ~1lt~9 l:lbi~atoi $el1�nc;~ li;t �� legge urbanistica non precisa il 
��n�ettc>. di centro abi~ato ~ detta nimne l)el' la determinazione del perimetro 
in cui il centro abitato deve essere Contenuto. 

Non solo, ma come si � visto vL� una nozione di perimetro di centro 
abitato che fa riferimento alla pedmetrazione adottata dal comune ed una 
nozione di centro abitato che deve invece ricavarsi dagli strumenti normativi 
del comune: nel ptjmo caso la perimetrazione � un atto ricognitivo, quasi una 
fotografia della realt�; nel secondo caso � un atto normativo di composizione 
di interessi diversi teso a disporre per le future edificazioni. 

N~ pu� tacersi che il richiamo generico dell'art. 19 al perimetro del centro 
abitato, senza rifedmento a .-.strumenti urbanistici adottati dal comune, non 



336 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEllO STATO 

Il primo degli esposti motivi � fondato. 

L'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765, dispone che fuori dei centri 
abitati debbono osserval'Si, nella edificazione, distanze mmi.me a prote� 
zione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. 

Il precedente art. 17, nel dettare le limitazioni dell'edificazione a 
scopo residenziale, individua le costruzioni ricadenti nei centri abitati e 
chiarisce che la perimetrazione di questi ultimi -nei Comuni sprovvi� 
sti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione deve 
essere definita (con delibera consiliare) entro novanta giorni dalla 
entrata in vigore della legge. 

Il Decreto Ministeriale 1 aprile 1968 (in Gazz. Uff. n. 96, del 13 aprile 
1968), dopo avere richiamato il citato art. 19 e avere enunciato �che � 
necessariio stabilire distanze minime a protezione del nastro stradale, mi� 
surate dal ciglio della strada, da osservarsi nella edificazione fuori del 
perimetro dei centri abitati�; e dopo avere stabilito (art. 1) che �le dispo� 
sizioni che seguono, relative alle distanze minime a protezione del nastro 
stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri 
abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dei 
piani di fabbricazone �, dispone (art. 4) che la distanza minima da osser� 
varsi, rispetto alle strade statali di media importanza (classificate nella 
lettera e dell'art. 3) � di trenta metri. 

esclude la rilevanza del centro abitato come realt� oggettivamente esistente indipendentemente 
da una sua determinazione da parte del Comune. 

Di qui una serie di problemi diversi: da un lato la scelta dei criteri per 
la individuazione del c.d. centro abitato che sono stati precisati dalla giurisprudenza 
del Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione oltre che nel codice 
della strada, nel relativo regolamento di esecuzione, nella circolare esplicativa 
della legge 765 del Ministero dei Lavori Pubblici); e attraverso tali criteri sono 
stati risolti i problemi interpretativi riguardanti il numero degli edifici costituenti 
centro abitato, la definizione delle aree contigue destinate all'espansione, 
ma non ancora edificate, e di quelle inedificate ricomprese tra i nuclei abitati. 

Dall'altro lato la legge, rinviando alla individuazione del centro abitato 

contenuta o nella perimetrazione di cui all'art..17 legge ponte o individuabile 

attraverso gli strumenti urbanistici usuali, fa dipendere l'obbligatoriet� delle 

prescrizioni a tutela del traffico stradale da strumenti normativi del comune. 

Sorgono cos� altri aspetti e dubbi che sono riscontrabili anche nella giurispru


denza: dalla necessit� di individuare gli strumenti urbanistici idonei a definire 

il centro abitato, dai criteri sostituivi in difetto di tali strumenti, dai poteri 

delle autorit� locali in relazione alla normativa statale, nonch� dalla necessit� 

di rapportare la individuazione del centro abitato operata dal comune con gli 

agglomerati urbani obbiettivamente esistenti su determinate aree, e cio� con 

il c.d. abitato reale. 
Su tale problematica, di particolare interesse per l'A.N.A.S., la sentenza 
della Cassazione sembra aver posto alcuni punti fermi: esplicitamente essa ha 
affermato che l'individuazione del centro abitato va fatta con riferimento ai 

p.r.g. e ai p.f. o alla perimetrazione deliberata entro 90 giorni dall'entrata in 
vigore della legge n. 765; ha escluso pertanto la rilevanza di delimitazioni delle 
zone urbane deliberate ad altri fini (in particolare della deliberazione fatta ai 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 337 

Ora, nel caso concreto, era pacifico tra le parti, nel giudizio di merito: 
1) che la strada statale in questione (n. 38, o �dello Stelvio�) 
� fra quelle comprese nella lett. C dell'art. 3 del citato Decreto ministeriale; 
2) che la costruzione di propriet� dell'odierno intimato dista 
quattordici metri dalla strada predetta; 3) che all'epoca della contestazione 
dell'infrazione non esisteva, nel Comune di Cosio Valtellino, n� un 
piano regolatore generale, n� un programma di fabbricazione; 4) che il 
Comune predetto non aveva provveduto a � definire il perimetro del 
centro abitato�, ai sensi e nei termini dell'art. 17 della legge 6 agosto 
1967, n. 765; 5) che lo stesso Comune aveva, invece, provveduto, ai 
sensi dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, a delimitare il � centro 
edificato� (delibera consiliare del 16 giugno 1973, n. 47); 6) che, 
infine, l'edificio in questione rientrava, bens�, in tale ultima �delimitazione
�, ma non nel periinetro del �centro edificato�, come inteso dalla 
legge n. 765 del 1967, poich� una tale � perimetrazione � non era stata 
mai operata. 

Nel giudizio di merito, quindi, le parti avevano posto il quesito se 
finclusione dell'edifioio nel �centro edificato�, delimitato ai sensi della 
legge n. 865 del 1971, producesse gli stessi effetti (di insussistenza dello 
obbligo di osservare le distanze) che avrebbe prodotto la (in realt� in-

fini della determinazione dell'indennit� di espropriazione ai sensi dell'art. 18 
della legge 22 ottobre 1971 n. 865). 

In mancanza di tali strumenti urbanistici, l'individuazione del perimetro 
del centro abitato va fatta con riferimento alla realt� obbiettivamente considerata 
da individuare di volta in volta dall'operatore giuridico, cio� al c.d. 
abitato reale (per usare una terminologia accolta nella sentenza). 

In motivazione la sentenza contiene altres� una affermazione di particolare 
rilievo: poich� la legge 765/1967 ha inteso cristallizzare la situazione di fatto 
e di diritto quale risulta dopo i 90 giorni dalla sua entrata in vigore, la perimetrazione 
effettuata successivamente deve ritenersi tardiva e come tale priva 
di qualsiasi effetto, in contrasto con la dottrina che aveva ritenuto tale termine 
ordinatorio. 

Senonch� la sentenza medesima non ha risolto e non ha eliminato altri 

dubbi conseguenti alla applicazione del D.M. 1 aprile 1968, ed in particolare 

quelli afferenti i �rapporti tra normativa statale e normativa comunale, e tra 

nozione di centro abitato individuata attraverso gli strumenti urbanistici comu


nali e c.d. abitato reale. 

Per quanto riguarda il primo problema dovrebbe ritenersi che le prescri


zioni contenute nel D.M. 1968 devono ritenersi cogenti anche nei confronti delle 

autorit� locali che vi si devono uniformare. 

Ha rilevato infatti la sentenza che l'obbligo di rispettare le distanze � 

posto a salvaguardia di interessi pubblici statali, i quali non possono venir 

meno per effetto di una semplice deliberazione del consiglio comunale adottata 

oltre i termini previsti dalla legge. Tale principio dovrebbe ritenersi applicabile 

anche ai piani regolatori e ai programmi di fabbricazione adottati successiva


mente alla entrata in vigore della legge ponte; nel senso che sia i p.r.g. sia i 

p.f. successivi alla legge ponte (non quelli precedenti), nel prevedere lo sviluppo 
di zone urbane, dovrebbero riservare sempre una zona di rispetto lungo 

338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sussistente) inclusione di esso neI �centro abitato�, perimetrato ari sensi 
della legge n. 765 del 1967. Tale quesito -com'� riferito nella parte 
espositiva di questa sentenza -� stato dal giudice di merito risolto 
(con la pronuBcia in questa sede impugnata) nel senso della totale parit� 
di effetti, in base a tre considerazioni: 1) la nozione di �centro abitato
� � pi� ampia di quella di �centro edificato�; 2) il �centro abitato 
reale�, ossia quello considerato come dato di una realt� effettuale (cio� 
come dato di fatto emergente dal mancato compimento di quell'attivit� 
di � perimetrazione � che competeva ai Comuni, ai sensi dell'art. 17 della 
legge n. 765 del 1967), non � elemento da prendersi in considerazione, 
perch� �troppo elastico, impreciso e incerto�; 3) allorquando una zona 
di territorio rientra in una perimetrazione del centro abitato, o edificato, 
anche se effettuata ai sensi dell'art. 18 della legge n. 865 del 1971 (legge 
�sulla casa�), non � possibile considerarla, ai fini della legge sulle distanze 
dalle strade statali, come assoggettata alla disciplina che riguarda 
le zone estranee all'abitato. 

Siffatta d.mpostazione non pu� essere condivisa. 

La legge del 1967 e la disciplina regolamentare dettata col Decreto 
Ministeriale hanno, chiaramente, inteso cristallizzare la situazione di 
fatto e di diritto quale risultava dopo i novanta giorni dalla entrata in 
vigore della legge stessa: l'obbligo di osservare le distanze, nell'ipotesi in 

le strade di comunicazione (v. in argomento Cass., 22 novembre 1980, n. 6215). 
AI riguardo il Consiglio di Stato ha riconosciuto l'obbligo per l'amministrazione 
comunale di rilasciare le licenze per la costruzione di fabbricati prospicienti 
la strada solo se siano state rispettate le norme statali che stabiliscono 
il rispetto delle distanze dal ciglio stradale (Sez. V, 3.5.76 n. 733) e ha ritenuto 
altres� che il comune nell'adozione del p.r.g. e del p.f. dovr� tener conto di 
tali prescrizioni considerando inedificabili le aree esistenti lungo la rete viaria 
nazionale (Cons. Stato, Sez. IV 7 novembre 1978 n. 966, Il Consiglio di Stato, 
1978, 1062: contra T.A.R. Valle d'Aosta 11 dicembre 1975, n. 37, in Trib. Amm. 
reg. 1976, I, 480). 

Proprio perch� la normativa prevista dall'art. 19 legge ponte e dal D.M. 
1 aprile 1968 � posta a salvaguardia di interessi dell'intera collettivit� i comuni 
non possono non tenerne conto nell'adozione di strumenti urbanistici normativi 
locali, sicch� il mancato rispetto di queste prescrizioni dovrebbe comportare 
l'illegittimit� della deliberazione comunale e la sua disapplicazione, o, in ogni 
caso, la loro non opponibilit� dall'ANAS che a tali interessi � preposta. 

Per quanto riguarda invece i rapporti tra il centro abitato individuato attraverso 
deliberazioni comunali ed il c.d. abitato reale, il problema si pone per 
quanto concerne gli interessi della pubblica viabilit� allorch� gli strumenti urbanistici, 
adottati dal comune dilatano il centro abitato reale, sicch� non potrebbero 
applicarsi le distanze minime delle costruzioni dal ciglio stradale pur 
trovandosi in presenza di.. aree non abitate. 

Anche in tal caso il richiamo agli interessi pubblici, alla funzionalit� e 
sicurezza delle strade dovrebbe comportare il prevalere del c.d. abitato reale 
con conseguente illegittimit� degli strumenti urbanistici adottati in difformit� 
dalla realt�; in particolare I'ANAS potr� sempre adottare misure repressive 
delle costruzioni poste in essere in violazione del D.M. 1968. 


339 

��sn�rm.rv1i;tn di piano regolatore gen�rale e di. piano 
come operante per>tUtte le costruzioni 
poste fu.<>r.i. dellaperimetrazione come effettuata entro il tennin.e di no) 
�. yantt'l gi()raj d~ll'entrt'lta jn �vigore. dell<t legge, <>vv<;:ro,. in .� map.canza di 

< i / l), 8�5, (:),eve intendersi fatta -per espressa disposizione -ai fini della 
.��. �.. � .� determinazione .dell'indennit� da corrispondere per la espropriazione delle 
aree destinate all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale e pubblica) 
non dispensa dall'obbligo di rispettare le distanze, tenuto anche 
conto, come osserva il ricorrente, che l'obbligo predetto � posto a salvaguardia 
di interessi pubblici statali, i quali non possono venir meno per 
effetto di una sempliice deliberazione del consiglio comunale adottata 
oltre i tennini previsti dalla legge. 

L'art. 1 del citato d.m. rinvia infatti ad una nozione di centro abitato quale 
individuata dagli strumenti urbanistici consueti o in difetto, dalla deliberazione 
di perimetrazione del centro abitato adottata dal comune. Ma come affermato 
dalla Cassazione, tale deliberazione ha un mero carattere ricognitivo della situazio11e 
reale esistente, cos� il riferimento agli insediamenti previsti dai p.r.g. e 
dal p.f. va inteso in relazione a quelli gi� esistenti al momento dell'entrata in 
Vigore del D.M. 1968, sempre ed in quanto rappresentativi di insediamenti reali. 

Tale interpretazione, sulla quale la Suprema Corte dovr� pronunciarsi, 
essendone stata investita con ricorso 3156 del 1983 -causa Prefettura di Avellino" 
Cappuccio -, � in armonia con lo spirito stesso della legge 765 che ha 
Voluto bloccare il disordine edilizio dettando misure urbanistiche transitorie 
<;id � stata gi� accolta dal TAR di Milano con sentenza 4 giugno 1980 n. 607, 
ili Trib. Amm. Reg. .1980, 3062, la quale ha esplicitamente affermato, � ai fini 
della tutela delle fasce di rispetto stradale, in caso di divergenza tra la perinietrazione 
fittizia e quella reale al ricordato fine del T.U. n. 1740 del 1933 e 
dell'art. 19 della legge 765 del 1967, vale il perimetro reale accertato di volta in 
Volta attraverso una indagine di fatto diretta ad individuare il confine dell'aggregato 
urbano edificato �. Discorso estensibile anche alle statuizioni contenute 
nel p.r.g. e nel p.f., anche se in tal caso pi� che di conformit� al c.d. 
abitato reale dovr� parlarsi di rispetto della normativa statale in quanto si 
tratta di strumenti urbanistici rivolti soprattutto alla composizione di interessi, 
e non a definire la realt� dell'agglomerato urbano. ANNA CENERINI BovA 



340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 3 marzo 1983 n. 1595 -Pres. Buffoni 
-Est. Laudato -P.M. Cantagalli -Ministero Tesoro (avv. Stato 
Nucaro) c. Palminteri (n.c.). 

I

t=: 

Lavoro -Controversie -Appello -Deposito del fascicolo e della sentenza 
impugnata -Irrilevanza. 

Nel nuovo rito delle controversie di lavoro ed in materia di previdenza 
ed assistenza obbligatoria, introdotto dalla legge n. 533 del 1973, 
la costituzione dell'appellante richiede il solo deposito del ricorso presso 
la cancelleria del tribur.ale e, non anche il deposito del fascicolo di parte 
e della sentenza impugnata: ne consegue che il mancato deposito , di 
questi ultimi, ancorch� necessari in relazione ai motivi del gravame, 
non comporta l'improcedibilit� dell'appello, come invece sancito dall'art. 
348 c.p.c. per il rito ordinario, ma pu� solo determinare il rigetto 
nel merito dell'impugnazione, per difetto di prova, semprech� i documenti 
occorrer.ti al suo accoglimento non siano gi� acquisiti attraverso 
il fascicolo d'ufficio o quello dell'appellato. 

(1) In senso conforme v. Cass. 22 ottobre 1976 n. 3791 e 6 luglio 1978 n. 3337. 
CORTE DI APPELLO DI BARI, Sez. I, 20 gennaio 1983, n. 20 -Pres. 
Mezzina; Est. Carucci -Ente Regionale per lo Sviluppo Agricolo della 
Puglia (Avv. Stato De Stefano) c. Rosciano Concetta ed altri (Avv. 
Giovanni Loiacono). 


Procedimento civile -Motivazione dei provvedimenti giurisdizionali -Esi� 
genza, finalit� e requisiti. 


Arbitrato -Arbitrato secondo equit� -Lodo arbitrale -Impugnazione per 
vizi della motivazione -Ammissibilit�. 


Arbitrato -Arbitrato secondo equit� -Impugnazione cli lodo arbitrale 
per vizi della motivazione -Motivazione � per relationem � � Controllo 
del giudice � ad quem � -Contenuti e forme. 

La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, richiesta ora da 

�una norma costituzionale (art. 111 Cast.), tende ad assicurare il controllo 
sulla giustizia e razior.alit� delle statuizioni adottate. Costituisce 
vizio della motivazione e determina nullit� della decisione la esposizione 
di motivi inconf erenti o contraddittori, tali cio� da non lasciare comprendere 
le ragioni del decidere, per mancanza di un collegamento logico 
tra l'iter intellettivo seguito e la determinazione volitiva da esso 
scat.rita, ovvero per difetto di riferimento a presupposti di fatto, dal 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 341 

cui previo accertamer.to non si pu� prescindere perch� possa giungersi 
ad un congruo ed apprezzabile risultato (1) . 

. Anche il lodo pronunciato secondo equit� deve essere congruamente 
motivato, al fine di assicurare che esso risponda ad esigenze di logica 
e razionalit� e sia a riparo da distorsioni della attivit� giurisdizionale 
verso fini ad essa estranei, se non addirittura contrari. Il difetto di motivazione, 
che costituisce vitium in procedendo, � quindi deducibile 
quale motivo di nullit� del lodo pronunciato secondo equit�, ai sensi 
dell'art. 829, primo comma, n. 5), c.p.c. (2). 

Il controllo sulla motivazione di un provvedimento giurisdizionale 
non �ha carattere meramente formale, ma implica che il giudice investito 
della impugnazione verifichi la effetti va sussistenza del fatto costitutivo 
del diritto azionato, attraverso la ricerca degli elemer.ti di prova richiamati 
nella decisione o negli atti processuali cui essa abbia fatto riferimento 
(3). 

(1-3) Arbitrato di equit� ed impugnazione del lodo per difetto di motivazione 
(*). 

1. La motivazione de{ provvedimenti giurisdizionali: contenuti e finalit�. 
In via preliminare, sembra necessario giustificare l'ammissibilit� della presente 
azione, che pure riteniamo fondata su concetti chiari e distinti e su princ�pi 
elementari del nostro ordinamento giuridico. Dobbiamo infatti farci carico 
delle eccezioni sollevate in proposito dalla controparte, la quale ha contestato 
la possibilit� di sindacare in qualsivoglia maniera -ed in specie attraverso 
l'esame della motivazione del lodo -l'operato degli arbitri che abbiano giudicato 
� secondo equit��. In altri termini, il giudizio emesso dagli arbitri � di 
equit�� sarebbe sottratto a qualsiasi forma di controllo o di censura, cos� che 
la loro discrezionalit� sarebbe protet4t da � barriere insormontabili �, che a nessuno 
� consentito superare. L'arbitrato � secondo equit�� riposerebbe pertanto 
sopra un'illimitata delega di poteri decisionali attribuita agli arbitri dall'ordinamento 
giuridico, che conferirebbe il crisma della giurisdizionalit� alla loro pronuncia 
sulla base di un controllo meramente estrinseco e formale del loro 
operato. Ogni diversa forma di sindacato si tradurrebbe in una indebita interferenza 
sul loro libero convincimento e in una impossibile rinnovazione delle 
loro autonome determinazi�ni. 

Gli avversi argomenti -dei quali sono ben evidenti le implicazioni e le 
conseguenze -si fondano per� su una nozione assai approssimativa di � libert� 
del giudizio�. Infatti, altro � riconoscere -come noi non abbiamo alcuna 
difficolt� a fare -la � discrezionalit�� delle valutazioni e delle scelte degli 
arbitri, e quindi la insindacabilit� nel merito delle loro opzioni, e tutt'altro � 
pretendere che il potere di giudicare sia per ci� stesso illimitato ed incontrollabile. 
L'assolutezza dello jus judicandi -che sarebbe sinonimo non di � libert� 
di giudizio �, ma di � arbitrariet� della pronuncia � -costituisce un concetto 
inammissibile ed arcaico, che � stato totalmente iiuperato dalla moderna evo


(*) Si riportano, con qualche marginale adattamento, alcune parti della comparsa conclusionale 
redatta in favore dell'E.R.S.A.P. con lo scopo di puntualizzare i princlpi dogmatici 
fondamentali vigenti in materia. 

Per-i profili inerenti ai poteri giurisdizionali degli arbitri ed alla validit� della clausola 
compromissoria nelle innumerevoli altre controversie di analogo oggetto, si veda, da ultimo, 
Cass., sez. un., 10 dicembre 1981, n. 6517, in Foro it., 1982, I, p. 684 ss., e Cass., sez. un., 
18 �gennilio 1982, n. 293, ivi, 1982, I, p. 683 ss. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

342 

t:. fondato il secondo mezzo, coi quale si denunzia la nullit� del lodo 
per omissione, insufficienza ed illogicit� di motivazione (art. 829 n. 5 
cod. proc. civ.), per non avere gli arbitri giustificato il proprio convincimento 
sul piano logico e razionale, esaurendo la pretesa esposizione dei 
motivi con il semplice e acritico riferimento alla consulenza tecnica 
d'ufficio, ritenuta � per sua natura sorretta da elementi di obiettivit� ed 
equilibrio, che ovviamente tendono a sfuggire ai periti di parte�, in tal 
modo incorrendo -i primi giudici -in una evidente petizione di principio 
e sottraendosi alla dovuta dimostrazione della correttezza delle 

luzione del pensiero giuridico. Il giudizio � bens� libero, ma non per questo � 
privo di regole. La libert� di giudizio deve espletarsi nell'ambito delle regole 
che ne limitano e condizionano l'esercizio, prime tra tutte le regole della logica, 
che costituiscono la base ed il fondamento dell'ordinamento. 

Il diritto -ars boni et aequi, secondo l'antica definizione romana -non 
pu� rinunciare alla sua insopprimibile esigenza di razionalit�, cos� che soltanto 
i provvedimenti (ed, in spede, i provvedimenti giudiziari) che rispondano a tale 
esigenza possono possedere e conservare i caratteri della giuridicit�. E' pertanto 
impossibile -perch� contrario all'intrinseca natura del fenomeno giuridico che 
l'ordinamento possa conferire forza e valore ad un qualsivoglia provvedimento 
giudiziario (ed, in particolare, ad una pronuncia arbitrale) non solo prescindendo 
da un controllo sulla sua logicit� ma addirittura impedendo che un 
simile controllo possa essere esercitato. 

Il controllo sulla logicit� dei provvedimenti, dunque, � deve � potersi esercitare, 
ed in effetti si esercita attraverso il controllo sulla loro motivazione; 
la quale motivazione, d'altro canto, ha proprio la funzione di consentire la 
verifica della correttezza dell'iter logico seguito dall'autorit� che ha emesso 
il provvedimento stesso, e quindi della legittimit� della pronuncia, in guisa che 
possa stabilirsi la sua conformit� o meno ai principi dell'ordinamento e che sia 
possibile attribuirvi o negarne la giuridica validit� ed efficacia. 

� L'introduzione dell'istituto della motivazione� -si afferma a proposito 
iin dottrina -� rappresenta uno degli ultimi prodotti della tendenza alla razionalizzazione 
del sistema... (che), prima ancora che per gli altri poteri dello 
Stato, ebbe inizio per il potere giudiziario... Il principio costituzionale dell'obbligatoriet� 
di questa � in stretta correlazione con l'altro fondamentale della 
legalit� della decisione che, a prescindere dall'art. 111 Cost., � sancito dall'art. 
113 c.p.c.: il giudice deve pronunciare... secondo coscienza e lasciandosi 
guidare dal suo prudente apprezzamento nel caso in esame, ma libert� e pienezza 
di valutazione non lo esimono dall'obbligo di esporre gli elementi di 
fatto e di diritto che costituiscono il fondamento logico della decisione � (S. 
EVANGELISTA, Motivazione della sentenza civile, in Encicl. Dir., Vol. XX.VII, 
Milano, 1977, pp. 154-159). 

Attraverso il generale obbligo di motivare i provvedimenti adottati, il diritto 
intende perci� tutelare il rispetto della logica, inteso quale corretto processo 
mentale di associazione delle idee o quale insieme dei princ�pi della 
ragione, mediante i quali si giudica del giusto e dell'ingiusto. N� la violazione 
di tale esigenza di razionalit� � priva di rimedio: � noto infatti che, correlativamente 
alla generalizzazione dell'obbligo di motivare, si � generalizzata la 
possibilit� di impugnare i provvedimenti viziati nella motivazione -e quindi 
nel fondamento logico da essa manifestato -perch� � evidente che la valutazione 
dell'operato del giudice non � fine a se stessa, ma tende a rimuovere 
il provvedimento che non sia conforme a giustizia: � la compiuta� realizzazione 



PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 343 

prove raccolte, neppure riscontrabile attraverso il rinvio recettizio alla 
consulenza tecnica, a sua volta caratterizzata dalle stesse deficienze. 

Giover� ricordare in proposito l'ess.enzialit� della motivazione quale 
elemento dei provvedimenti giurisdizionali, la cui esigenza, ora conclamata 
anche da una norma costituzionale (art. 111), assurge a vero e proprio 
principio, profondamente radicato, di civilt� giuridica. Ed � intuitiva 
la sua ratio e funzione di presidio contro ogni tentazione all'arbitrio 
nell'esercizio della funzione giurisdizionale, di modo che sia possibile 
un controllo sulla giustizia e razionalit� delle statuizioni adottate, 

del momento conoscitivo, tramite la motivazione, � consentita quindi anche 
all'autorit� preposta al controllo, che viene posta in grado di eseguire la valutazione 
della conformit� dell'atto ai valori ed alle regole che al medesimo presiedono. 
Rileva, in altre parole, quello che pu� definirsi il collegamento tra 
motivazione ed impugnazione� (S. EVANGELISTA, op. loc. cit.). 

A seguito� della impugnazione, soltanto la decisione che sar� ritenuta razionalmente 
motivata potr� essere tenuta ferma, mentre quella che non apparir� 
nel suo fondamento logico dovr� essere annullata. Non si dica d'altronde che 
queste conclusioni contraddicono il principio della libert� e della discrezionalit� 
delle determinazioni del giudice (o dell'arbitro) a quo. E' vero infatti che si 
incide sulle decisioni assunte in prime cure, perch� il controllo sulla motivazione 
� dato non per finalit� meramente estrinseche o formali, ma per ragioni 
di ordine sostanziale, in quanto il vizio della motivazione -espressione manifesta 
del procedimento psichico del giudice -� assunta come elemento sintomatico 
della viziosit� dello stesso giudizio. E' per� altrettanto chiaro che tale 
controllo non implica un riesame del merito o una nuova scelta rispetto a 
quella operata dal primo giudice, n� si traduce in una inammissibile rinnovazione 
del giudizio gi� da lui espresso, ma consiste piuttosto nel sindacato della 
legittimit� della pronuncia attraverso l'esame della sua giustificazione logica. 

Come osserva la migliore dottrina, non si ripete in tal modo � il giudizio 
di fatto �, che � il giudizio in cui � il giudice si vale di una effettiva discrezionalit�, 
nel senso che ci sono due possibili rispetto ai quali egli esercita un'opzione. 
La verit� � che il giudizio di fatto non � arbitrario, ma ha una logica 
interna che riduce fortemente la discrezionalit�, senza eliminarla del tutto... 
Di qui l' "apparente" incontrollabilit� del giudizio di fatto, perch� il controllo 
si esercita, sub specie juris, sulla sua logica, e solo in quanto sia rispettata 
in ogni caso la logica l'opzione pu� ritenersi legittima... Il giudizio di fatto 
risulta da un'opzione che come tale � incensurabile: la censurabilit� sta nell'iter, 
e cio� nel controllo se l'opzione ci sia effettivamente stata, se il giudice ha 
tenuto conto, dandone adeguata ragione, dell'altra possibilit�... Questa non � 
intrusione nel giudizio di fatto, almeno nel senso empirico della distinzione, 
perch� la logica del giudizio va al di l� del fatto e del diritto, � semplicemente 
logica, e cio� fedelt� al processo� (S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 
1967, pp. 399-400). 

Tutti questi principi trovano puntuale ed incontroversa applicazione da 
parte della nostra giurisprudenza in riferimento a tutti i giudizi di legittimit�, 
e cio� ai giudizi di impugnazione che non abbiano effetto devolutivo. Addirittura 
innumerevoli sono le pronunce giurisprudenziali relative al pi� frequente 
e diffuso tra i giudizi in esame -e cio� al ricorso per Cassazione avverso le 
determinazioni del giudice di secondo grado, ex art. 360, primo comma, n. 5, 

c.p.c. Da tali pronunce si desume chiaramente il costante ed incontroverso 

344 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attraverso, il riscontro della sua effettiva sussistenza e della logicit� 
delle proposizioni in cui essa si manifesta. 

� noto poi che si traduce in difetto di motivlWone la esposizione 
di motivi inconferenti o contraddittori (Cass. 3191/56, 1661/62), tali cio� 
da non lasciare comprendere le ragioni del decidere, per mancanza di 
un collegamento logico fra l'iter intellettivo seguito e la determinazione 
volitiva da esso scaturita, ovvero per difetto di riferimento a presupposti 
di fatto dal cui previo accertamento (coi vari mezzi , di prova 
dalla legge consentiti) non pu� prescindersi perch� si possa giungere 

insegnamento della impugnabilit� delle sentenze per vizi della motivazione, e 
si derivano la natura, i contenuti e le finalit� di tale forma di impugnazione. 

Premesso che tale azione � intimamente collegata con la funzione stessa 
della motivazione (Cass., 3 settembre 1957, n. 3428, in Foro it., Rep. 1957, vo�,e 
Cassazione in materia civile, c. 325, n. 54), si � affermato che essa tende ad 
assicurare che l'indicazione dei motivi e delle fonti di convincimento sia fatta 
in modo da rendl'!re possibile , di seguire il p'l:ocesso di formazione del convincimento 
stesso (Cass., 22 maggio 1954, n. 1644, in Foro it., Rep. 1954, voce Cassazione 
in materia civile, c. 325, n. 101). Si mira cio� al controllo di legalit� 
sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice nella motivazione, in guisa' da rendere 
possibile seguirne il processo logico (Cass., 24 gennaio 1966, n. 273, in 
Foro it., Rep. 1966, voce Cassazione in materia civile, c. 304, n. 122; Cass., 15 settembre 
1970, n. 1451, ivi, Rep. 1970, voce Cassazione civile, c. 312, n. 95; Cass., 
29 maggio 1971, n. 1616, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 334, n. 132). 

Il vizio della motivazione diventa pertanto espressione manifesta del vizio 
della pronuncia, consentendone l'annullamento allorquando si concreta in una 
mancanza totale o in una incompletezza di esame, che si ripercuota sulla ratio 
decidendi, ovvero riveli, nel processo logico seguito dal giudice di merito, tali 
lacune e contraddizioni che non riesca possibile cogliere, con sufficiente chiarezza, 
lo sviluppo logico seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione 
impugnata (Cass., 14 giugno 1965, n. 1209, in Foro it., Rep. 1965, voce 
Cassazione in materia civile, c. 350, n. .134; Cass., 16 luglio '1965, n. 1574, ivi, 
Rep. 1965, v. cit., c. 352, n. 165; Cass., 8 maggio 1971, n. 1501, ivi, Rep. 1971, voce 
Sentenza civile, c. 2711, n. 110; Cass., 22 luglio 1971, n. 2399, ivi, Rep. 1971, voce 
Cassazione civile, c. 336, n. 151). 

Tutto ci� � pienamente confermato anche dalle decisioni con le quali si 

specifica che l'esame della motivazione non consente un riesame del merito 

della controversia (cfr., tra le tante, Cass., 26 luglio 1954, n. 2675, in Foro it., 

Rep. 1954, voce Cassazione in materia civile, c. 325, n. 97; Cass., 16 dicembre 1954, 

n. 4511, ivi, v. cit., c. 325, n. 98 s.; Cass., 22 giugno 1955, n. 1936, ivi, Rep. 1955, 
v. cit., c. 300, n. 59; Cass. 27 giugno 1956, n. 2352, ivi, Rep. 1956, v. cit., c. 363, 
n. 54; Cass., 22 marzo 1968, n. 912, voce Cassazione civile, c. 313, n. � 118; Cass., 
30 ottobre 1969 n 3617, ivi, Rep. 1970, v. cit., c. 311, n. 90; Cass., 21 aprile 1971, 
.n. 1154, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 335, n. 139; Cass., 20 giugno 1973, n. 1827, ivi, 
Rep. 1973, v. cit., c. 321, n. 151; Cass., lQ febbraio 1974, n. 284, ivi, Rep. 1974, 

v. cit., c. 260, n. 125; Cass., 20 marzo 1974, n. 765, ivi, Rep. 1974, v. cit., c. 260, 
n. 127; Cass., 10 dicembre 1976, n. 4596, ivi, Rep. 1976, v. cit., c. 322, n. 69; Cass., 
15 dicembre 1976, n. 4641, ivi, Rep. 1976, v. cit., c. 322, n. 71). Tutte queste decisioni, 
infatti, se puntualizzano l'insindacabilit� nel merito della pronuncia del 
giudice a quo, ribadiscono che la sindacabilit� non � comunque esclusa, ma 
risiede. nella motivazione, e cio� nel controllo del processo logico seguito dal 
I 

I 

i 

I 


PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 345 

ad un congruo ed apprezzabile risultato. Perch� la motivazione sia veramente 
tale, e non cli mera apparenza, essa dev'essere fornita del carat� 
tere di pertinenza, intendendosi con ci� la considerazione -da parte 
del giudice -della realt� concreta del contesto della lite, senza di che 
l'eventuale enunciazione cli principi astratti non sarebbe che inutile 
divagazione. 

Al requisito della motivazione non si sottrae l'arbitrato rituale, per 
il quale l'art. 823 n. 3 prevede appunto �l'esposizione sommaria dei 
moti~i �, la cui mancanza costituisce specifico motivo di nullit� per l'ar


giudice in ordine all'esercizio del potere-dovere di esaminare i fatti costitutivi, 
estintivi o modificativi del rapporto in contestazione ed all'obbligo di munire 
la decisione di una adeguata e logica motivazione. 

2. Gli elementi ed i requisiti della motivazione. 
Nell'intento �di precisare la natura e i caratteri di tale forma di impugnazione, 
giover� richiamare brevemente quali sono in astratto gli elementi ed i 
requisiti che la motivazione deve possedere per dirsi sussistente ed adeguata, 
e quali sono per converso i vizi che possono inficiare la sua validit�; invalidando 
insieme la pronuncia cui essa accede. Si tratta cio� di definire e di precisare 
in cosa consista l'iter logico della decisione, di cui il giudice del merito 
deve dare dimostrazione attraverso la motivazione e� che il giudice della impugnazione 
deve essere in grado di controllare, anche mediante l'esame -compiuto 
a tale esclusivo fine -dei fatti del processo. 

In proposito, occorre osservare che i contenuti della motivazione devono 
rispecchiare e manifestare ovviamente l'intima natura della decisione, che pu� 
essere definita come un processo psichico di valutazione, di carattere sia volitivo 
che intellettivo, che si svolge nella mente del giudice sulla base di determinati 
stati di fatto e di determinati princ�pi di diritto (o di equit�, nel caso di pronuncia 
secondo equit�). Questi elementi (di fatto e di diritto) costituiscono le 
premesse della pronuncia, ovvero -pi� tecnicamente -i � motivi � della stessa. 
Da essi si ricava e ad essi consegue il momento pi� propriamente valutativo. 

La corretta motivazione -quale esternazione di tale iter logico -deve 
ovviamente giustificare entrambe le fasi del giudizio: quella della posizione delle 
premesse e quella della loro valutazione. In relazione a questi due distinti 
momenti, la dottrina ha anzi operato una sottile distinzione tra la � giustificazione 
�, che consiste nella esposizione dei � motivi � della decisione, e la 
� motivazione in senso stretto �, con la quale si fornisce la spiegazione delle 
scelte operate in base ad esse; la quale distinzione corrisponde d'altra parte 
a quella gi� operata dal Codice tra � l'esposizione dei fatti rilevanti della causa � 
e �le ragioni giuridiche della decisione� (art. 118 disp. att. c.p.c.), quali due 
momenti inscindibili dell'unico, complesso procedimento in cui consiste il giudizio. 


Per quanto riguarda il primo punto (�l'esposizione dei fatti rilevanti�), 
la nozione di � giustificazione � pu� allargarsi fino a ricomprendere anche la 
narrazione dello svolgimento del processo, nella misura in cui il verificarsi di 
determinate evenienze processuali determina una particolare decisione. In tal 
modo, la correttezza dell'iter logico seguito per pervenire alla decisione pu� 
essere controllata anche sotto il profilo procedurale (ad esempio; ammissione 

o non ammissione di una prova), la cui regolarit� pu� condizionare l'efficacia 
o la giustizia della pronuncia. 
9 



346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ticolo 829 n. 5. Del tutto vana sarebbe poi la ricerca di un'eventuale 
minore intensit� cogente dell'obbligo legale nell'attributo �sommaria� 
aggiunto alla � esposizione dei motivi �, dato che non sussiste alcuna 
sostanziale differenza fra tale formula e quella della � concisa esposizione 
dei motivi in fatto e in diritto � adottata dall'art. 132 n. 4 per le 
sentenze dei giudici dello Stato, all'infuori dell'omessa precisazione � in 
fatto e in diritto�, spiegabile con la frequente (se non normale) previsione 
-esplicita od implicita -del giudizio di equit� nelle clausole 
compromissorie. 

In senso stretto, poi, l'esposizione dovr� riguardare tutti quei fatti, atti 

o comportamenti, il cui accertamento � necessario per la dichiarazione del 
diritto nel caso concreto. Nulla quaestio -a tal proposito -ove l'interpretazione 
di tali fatti non sia controversa. Se viceversa vi fosse contestazione, la 
parte �espositiva � della motivazione non potr� avere un contenuto meramente 
narrativo, essendo richiesta una valutazione critica delle prove, solo a prezzo 
della quale si pu� dare sicuro conto delle ragioni che hanno convinto a porre 
un determinato fatto a fondamento della decisione. In ci� si stempera e si 
confonde la distinzione sopra accennata tra � giustificazione� e �motivazione 
in senso stretto �, tra � fase espositiva � e � fase valutativa �. Come tutti i giudizi 
valutativi, l'opzione tra le due possibilit� in discussione costituir� un accertamento 
incensurabile nel merito, salvo il dovere cti giustificare le ragioni della 
scelta operata. 
Esaurita la fase della posizione delle premesse, la motivazione dovr� com


prendere la manifestazione delle �ragioni giuridiche della decisione �, e cio� dei 

princ�pi normativi (o di equit�) che si intendono applicare alla fattispecie, al 

fine di trarre le finali determinazioni giuridiche. Anche questa operazione, nella 

quale consiste l'essenza del giudizio, � libera e discrezionale, e -come tale -'-


incensurabile nel merito; ma anche in riferimento ad essa sussister� sempre il 

dovere del giudicante di darne giustificazione attraverso la motivazione. 

E' evidente che solo allorquando abbia percorso tutte le fasi sopra indicate, 

sia d'ordine processuale che d'ordine sostanziale, il giudice avr� utilmente com


piuto l'iter necessario per pervenire alla pronuncia, e solo allorquando abbia 

dato ragione dello svolgimento di tali momenti del giudizio, egli avr� reso 

una motivazione idonea ad assolvere �alla propria funzione. Ma il discorso non 

pu� in tal modo ritenersi esaurito, poich� accanto agli aspetti contenutistici 

si pongono i profili qualitativi, che consentono di valutare la motivazione in 

termini di � congruit� � e di � adeguatezza�, in riferimento a ciascuna delle 

parti in cui essa si articola. Non una qualunque esposizione dei fatti ed una 

qualunque deduzione giuridica fondata su di essi pu� ritenersi appagante, ma 

solo quella che abbia un effettivo e concreto supporto razionale, alla luce delle 

risultanze processuali, nel tutto ed in ogni sua singola parte. 

II primo requisito essenziale -che non presenta rilievo particolare in 

relazione al caso di specie -pu� essere dunque individuato nel corretto ordine 

nell'esame e nella risoluzione delle varie questioni, � funzionalizzato alla rea


lizzazione di una rigorosa concatenazione logica delle proposizioni in cui (essa) si 

articola, in guisa tale che sia agevolata l'opera dell'interprete nella ricostru


zione del pensiero del giudice� (S. EVANGELISTA, op. cit., p. 169). 

Il secondo requisito � costituito dalla sufficienza, intesa come � l'indicazione 
di tutte le ragioni che siano obiettivamente adeguate, sul piano logico e su 
quello delle massime di esperienza, a suffragare il convincimento espresso dal 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 347 

Con pm specifico riferimento ai mezzi di difesa adottati dai convenuti, 
non pu� -poi -non rilevarsi l'inconsistenza dell'assunto secondo 
cui il vizio in questione non sarebbe configurabile nell'arbitrato di equit�. 
A parte la considerazione dell'elemento letterale, che non autorizza la discriminazione 
nel senso voluto, � lo stesso sistema ad imporre invece 
il requisito della motivazione all'arbitrato di equit� (cos� come del resto 
dispone l'art. 118 d. att. per la giurisdizione equitativa dello Stato) 
e si direbbe a maggior ragione, considerando proprio le maggiori opportunit� 
di arbitrio connesse ad un tipo di giudizio che, proprio per 

giudice, su ciascuna delle questioni decisive della controversia... La nozione di 
sufficienza si muove (dunque) nell'orbita dell'esigenza di una motivazione intesa 
come necessit� di una concreta esposizione della ratio decidendi, sicch� ogni 
vizio che inficia il ragionamento giustificativo, �sia �per incompletezza dei dati 
sia per difetto di coerenza logica, si profila come carenza di una motivazione 
idonea a fornire un'attendibile giustificazione della decisione, e cio� come una 
vera mancanza di base legale della medesima� (S. EVANGELISTA, op. cit., 
pp. 164-165). 

Con ci�, non intendiamo affermare che la compiutezza vada intesa secondo 
un'ottica di � fiscalismo processuale >>, nel senso che sia richiesto un diffuso 
richiamo di tutte le questioni sollevate e di tutto il materiale istruttorio acquisito. 
In omaggio al principio della concisione, (che nel lodo arbitrale diviene 
� sommariet� �), possiamo ben condividere l'indirizzo giurisprudenziale che ammette 
la motivazione per relationem. Possiamo perci� tranquillamente ritenere 
che sia sufficiente una valutazione globale e sintetica delle risultanze di causa 
e degli elementi di giudizio che, senza necessit� di un esame particolareggiato, 
consenta di ricostruire compiutamente quel procedimento (cfr., tra le tante, 
Cass., 12 marzo 1973, n. 701, in Foro it., Rep. 1973, voce Sentenza, ordinanza e 
decreto in materia civile, c. 2363, n. 34; Cass., 20 marzo 1975, n. 1059, ivi, Rep. 1975, 

v. cit., c. 2566, n. 65; Cass., 3 maggio 1975, n. 1707, ivi, Rep. 1975, v. cit., c. 2566, 
n. 68; Cass., 20 ottobre 1976, n. 3651, ivi, Rep. 1976, v. cit., c. 2744, n. 31). 
Quel che occorre specificare, comunque, � che l'adozione di un simile metodo, 
dovuta ad evidenti scopi di praticit�, non pu� mai tradursi nella sostanziale 
svalutazione dei fini della motivazione. Occorrer� dunque verificare che 
negli atti ai quali fa decisione rinvia, sia possibile ritrovare effettivamente 
gli elementi che giustifichino il convincimento assunto dal giudice e gli argomenti 
che consentano di superare, in maniera convincente e logica, le avverse 
deduzioni svolte dalla parte soccombente. Ne consegue che la sufficienza della 
motivazione dovr� essere valutata alla stregua della sufficienza di quel materiale 
istruttorio e di quegli elementi di giudizio sui quali la decisione, sia pure per 
esplicito o implicito richiamo, si rivela fondata. Cos�, ad esempio, ove la decisione 
si limiti a recepire le conclusioni rese dal consulente tecnico, ritenendole 
corrette ed obiettive, occorrer� accertare che la c.t.u. sia effettivamente sorretta 
da elementi di prova e di giudizio che, sul piano logico e razionale, ne giustifichino 
le conclusioni. 

Il terzo ed ultimo requisito della motivazione deve essere ricercato nella 
coereriza e nella non contraddizione nell'opera di individuazione, raccolta e 
valutazione complessiva degli elementi di giudizio. Ci� significa in primo luogo 
che tutti questi elementi devono essere ricompresi in un quadro organico ed 
omogeneo, in guisa che il discorso motivo si sviluppi attraverso momenti e 
proposizioni tra loro conciliabili, o comunque non contrastanti. Ma occorre 



348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

essere svincolato dall'osservanza delle norme di diritto, deve rispondere 
di quelle esigenze di logica e razionalit� a riparo da distorsioni della 
attivit� giurisdizionale verso fini ad essa estranei, se non addirittura 
contrari. 

Nel caso in esame, in cui trattasi effettivamente di un arbitrato di 
equit�, come risulta evidente dal capoverso dell'art. 19 del contratto di 
assegnazione 10 luglio 1954 (�Detto collegio decider� quale arbitro amichevole 
compositore, senza formalit� di rito, e le sue decisioni non saranno 
suscettibili di alcun gravame�), il problema si pone piuttosto 

altres� che non si registri contraddizione tra la realt� effettiva emergente dagli 
atti di causa e dal materiale istruttorio raccolto, e quanto assunto in punto di 
fatto dalla decisione (o dagli elementi di valutazione e di giudizio che la decisione 
abbia recepito ed ai quali abbia fatto rinvio). La esposizione dei fatti, in 
cui c�nsiste la posizione delle premesse del giudizio, deve essere quindi fedele 
e conforme all'effettiva realt�, sotto pena di incorrere in Vizi di falsit� e di 
travisamento, che possono essere assunti come ipotesi specifiche di contraddizione, 
e che costituiscono comunque un momento sintomatico della scorrettezza 
della motivazione e della nullit� della pronuncia. Il controllo del giudice della 
impugnazione dovr� dunque estendersi alla verifica della compatibilit� tra le 
concrete risultanze processuali e le. circostanze di fatto assunte dalla pronuncia. 
Con ci� non si rinnover� peraltro il giudizio di fatto, ma si conoscer� del fatto 
al fine di assicurare che la motivazione resa ne sia espressione verace, e non 
meramente fittizia. 

In sintesi, dai rilievi che precedono si evidenzia in misura sufficiente su 
quali basi sar� possibile cogliere la congruit� e la adeguatezza della motivazione 
fornita, e su quale piano occorrer� collocarsi per decidere se sia identificabile 
la ratio decidendi della pronunzia. E' evidente infatti che i requisiti in 
esame potranno essere opportunamente valutati non gi� sul piano della forma, 
ma solo sul piano della logica del processo, in base ai canoni che presiedono 
alla razionalit� del giudizio. Per l'effetto, non pu� certamente credersi che la 
motivazione sia idonea a sorreggere il giudizio sulla semplice base della correttezza 
lessicale e sintattica del discorso, perch� il vizio della motivazione 
non � (o non � soltanto) l'uso di una fraseologia sgrammaticata o sconnessa. 
Certo, se la decisione impugnata avesse adottato un linguaggio del genere, il 
discorso non sarebbe stato intellegibile, e la pronuncia avrebbe dovuto essere 
cassata; ma questa ipotesi irreale non coglie certamente il senso e l'essenza 
della previsione normativa, secondo la quale la non intellegibilit� deve essere 
considerata sul piano logico, e non soltanto su quello linguistico. 

Ma la logicit� di cui si discute non � neppure logica astratta. La motivazione 
non � solo esteriorit� ed apparenza, che sarebbero idonee a fornire 
soltanto l'illusione del diritto. Di conseguenza, la adeguatezza della motivazione 
non pu� essere colta esclusivamente sul piano del pensiero, dando per scontato 
e per ammesso qualsivoglia indimostrato presupposto su cui lo sviluppo del 
pensiero si dichiari fondato. 

� Diversi sono d significati � -si afferma ancora in dottrina -� in cui � 
comprensibile la logicit�. Pu� innanzi tutto ritenersi logica la motivazione che 
risponde agli astratti schemi del metodo sillogistico, ma si tratterebbe di una 
logic~t� tutta estrinseca e formale che, anche se sussistente, potrebbe non essere 
idonea ad evidenziare attraverso l'esposizione delle ragioni del decidere l'intima 
e reale congruenza che deve essere propria del giudizio. E' stato acutamente 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 349 

con riguardo alla qualificazione del difetto di motivazione come vizio 
in procedendo oppure in iudicando, ai fini dell'ammissibilit� dell'impugnativa 
di nullit�, posto che il secondo comma dell'art. 829 cod. proc. 
civ., esclude tale impugnativa per inosservanza -� nel giudicare � delle 
regole di diritto, nel caso del lodo di equit� o dichiarato non impugnabile. 
Ma il problema non presenta difficolt� di risoluzione, quando 
si consideri che, come del resto pu� dirsi per tutti i casi elencati dal 
primo comma del citato articolo, fra i quali il difetto di motivazione 
� annoverato, trattasi di vizio attinente alla irregolare attivit� del giudice 

notato che in nome della logica formale si rischia di mandare per buone le 
pi� incredibili storture del ragionamento, il cui rigore, invece, deve essere 
valutato alla stregua della plausibilit� e del senso comune� (S. EVANGELISTA, 
op. cit., p. 168). 

Simile � anche l'insegnamento della Corte Suprema di Cassazione, secondo 
la quale � la contraddizione non pu� essere soltanto esteriore e formale. Il giudice, 
chiamato, nelle funzioni che l'ordinamento gli attribuisce, non alla tutela 
di norme astratte, ma al controllo del rispetto e dell'osservanza della legge, 
deve annullare la sentenza di merito, quando la contraddizione ne infici la sostanza
� (Cass., 12 ottobre 1953, n. 3312, in Foro it., Rep. 1953, voce Cassazione 
in materia civile, c. 335, n. 81). 

La motivazione va dunque letta ed interpretata in senso sostanziale, sulla 
base di una logica concreta che esprima un senso di giustizia vivo ed operante, 
allo scopo di �togliere alla malignit� e alla frode qualunque pretesto ed assicurare 
nell'opinione del pubblico la esattezza e la religiosit� dei magistrati >>, 
secondo quanto dichiarava la prammatica del 27 settembre 1774 del Regno di 
Napo1i che, � sull'esempio e sull'uso dei Tribunali pi� rinomati �, introduceva 
per la prima volta nel nostro Paese l'obbligo della motivazione per � qualunque 
decisione... fatta da qualunque Tribunale di Napoli,. o collegio, o giunta, o altro 
giudice della stessa Capitale che abbia la facolt� di decidere�. Anche nel controllo 
della momvazione della sentenza hnpugnata, l'opera del giudice si dovr� fondare 
dunque non su schemi formali, ma sulla profonda attitudine, propria di ogni 
provvedimento giurisdizionale, a penetrare e ricostruire le cose umane ed a 
provvedervi con saggezza. Anche la sentenza che !in questa sede si dnvoca �non 
� operazione aritmetica; � un atto molto pi� complicato e misterioso, che ha Je 
sue radici nella coscienza morale. e non si spiega colle astratte leggi dei numeri � 

(P. CALAMANDREI, Processo e democrazia, in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965, 
p. 668). 
3. La motivazione del lodo arbitrale in particolare. Caratteri e funzioni. 
Prima di applicare al caso concreto i princ�pi sopra enunciati e di valutare 
se la motivazione della pronuncia impugnata -integrata dalle ragioni poste 
a base della richiamata consulenza tecnica -sia caratterizzata dalla necessaria 
compiutezza e congruit�, � doveroso verificare se l'excursus che precede possa 
essere effettivamente riferito a tutte le decisioni giurisdizionali, ed essere quindi 
esteso anche al lodo arbitrale pronunciato secondo equit�. Si obietta infatti che 
le considerazioni innanzi svolte in ordine agli aspetti contenutistici ed ai requisiti 
della motivazione, se possono riguardare la pronuncia del giudice ordinario, 
non trovano riscontro normativo a proposito del lodo, in quanto l'art. 829, 
primo comma, n. 5, c.p.c. sancisce la nullit� della pronuncia arbitrale per la 
sola ipotesi di totale omissione della motivazione, e non pure per le ipotesi di 



350 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

piuttosto che ad un erroneo giudizio (Cass. n. 2262/52, a proposito dello 
analogo vizio oggetto di ricorso per Cassazione). E per essi � l'impugnazione 
per nullit� � ammessa nonostante qualunque rinuncia� (v. 
in proposito Cass. n. 1595/81). 

Ad un esame specifico sotto i profili sopra delineati, la decisione in 
oggetto risulta -appunto -carente di motivazione in ordine al merito, 
all'oggetto che gli arbitri erano chiamati ad affrontare per stabilire 
se effettivamente ricorressero le condizioni per il riconoscimento e 
la quantificazione (nella misura di L. 51.931.113) dell'indennit� per l'au


omessa valutazione di punti decisivi o di inadeguatezza logica, previste invece 
dall'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. come ipotesi di nullit� della decisione 
del giudice ordinario. 

L'argomento letterale � per� del tutto inadeguato, perch� � sopraffatto e 
travolto dall'argomento logico. Che senso avrebbe infatti la motivazione, che 
-sia pur concisa e sommaria -� sempre richiesta per qualsivoglia provvedimento 
giurisdizionale, se poi ne fossero impediti l'esame ed il controllo? 
Ovvero, che senso avrebbe la motivazione, se il suo esame dovesse essere meramente 
estrinseco e formale, e se il controllo dovesse consistere nella semplice 
constatazione che una qualunque motivazione ci sia o non ci sia? E che senso 
avrebbe la motivazione, se fosse sufficiente motivare su alcuni punti soltanto, 
anzich� su tutti i punti decisivi della controversia, o se la motivazione sui 
singoli punti potesse essere anche incoerente, illogica, falsa o contraddittoria? 
Per la verit�, se la motivazione perdesse la sua rilevanza e la sua funzione 
di carattere sostanziale, o se potesse essere anche parziale o priva dei suoi 
requisiti di ordine, di sufficienza e di coerenza, essa si tradurrebbe in un 
orpello inutile, capace solo di irridere al senso comune della giustizia! 

Sussiste dunque in primo luogo un postulato di ragione che impone di 
ritenere che anche la motivazione del lodo arbitrale -pur nella sua sommariet� 
-deve possedere i contenuti ed i requisiti sopra enunciati, cos� da esporsi 
agli stessi vizi ed alle stesse censure di cui si � innanzi discusso in relazione 
alla motivazione di qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale. E di questo 
postulato sar� facile rendere ragione anche sul piano ermeneutico, ove la disposizione 
di cui al combinato disposto degli artt. 829, primo comma, n. 5, e 
823, secondo comma, n. 3, c.p.c. sia interpretata alla luce dell'evoluzione normativa, 
ed in particolare in considerazione del sopravvenuto principio costituzionale 
di cui all'art. 111 Cost., che non pu� non significare il definitivo compimento 
della tendenza storica del sistema giudiziario verso un'imprescindibile 
esigenza di logicit� delle decisioni assunte. 

La giurisprudenza e la dottrina dominanti sono perfettamente conformi a 
questa tesi, insegnando che la impugnazione del lodo � senz'altro ammessa, 
qualora si registrino vizi della motivazione che impediscano di cogliere la ratio 
decidendi; n� -si ripete -potrebbe ritenersi altrimenti, perch� anche per il 
lodo arbitrale, che ha la forza ed il valore dell'atto giurisdizionale, sussiste 
l'obbligo della motivazione, e perch� anche la motivaziione del lodo arbitrale, 
bench� sommaria, deve avere per sua stessa natura la finalit� di consentire il 
controllo sull'iter logico seguito dagli arbitri per giungere al loro convincimento. 


Pu� pertanto ritenersi pacifico, nella giurisprudenza della Corte Suprema, 
che �l'espressione... che il giudizio di impugnazione del lodo � diretto soltanto 
ad accertare se per ciascuna statuizione � stato soddisfatto l'obbligo della motivazione 
imposto dalla legge� � di per s� incompleta ed inesatta, perch� � non 


PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 351 

mento di valore del fondo, che l'art. 14 del contratto di assegnazione 
prevede come � effetto dei miglioramenti recati dall'assegnatario, indipendentemente 
da quelli compiuti dall'Ente �. 

Costituisce dunque presupposto di fatto del diritto azionato che 
dei miglioramenti siano stati �recati dall'assegnatario�, e ci� doveva 
essere accertato prima di ogni altra cosa, perch� si potesse procedere 
alla liquidazione del credito, che poi non � altro che quello riconosciuto 
al possessore di buona fede dal terzo comma dell'art. 1150 codice 
civile. 

una qualsiasi motivazione risulta idonea a sorreggere una pronuncia arbitrale 
sui singoli punti controversi, ma soltanto quella immune dai vizi, che rend�ho 
censurabile ogni decisione del giudice. L'esposizione dei motivi pu� bens� essere 
sommaria, ma non incompleta, illogica, contraddittoria ed erronea � � (Cass., 
24 dicembre 1%8, n. 407'5, in Foro it., 1969, I, p. 1206 ss., ed in Giur. it., 1969, I, l, 

p. 1721 ss.). Di conseguenza, �tra i vizi in procedendo che rendono animissibile 
la impugnazione per nullit� del lodo, ai sensi dell'art. 829, primo comma, c.p.c., � 
indubbiamente compreso anche il difetto di uno degli elementi essenziali della 
decisione arbitrale, ossia della motivazione, quando questa, o per la sua mancanza 
su punti decisivi della controversia, o per contraddittoriet�, o per insufficienza, 
non consenta di cogliere la ratio decidendi a sostegno del dispositivo 
(Cass., 28 marzo 1966, n. 815, in Giust. civ., 1966, I, p. 1049 ss., che si richiama 
a Cass., 27 giugno tl.%2, n. 1661). 
Parimenti, secondo la giurisprudenza di merito, la sentenza arbitrale � nulla 
� se contenga una motivazione manchevole, imprecisa e inadeguata, che... non 
indichi gli elementi tenuti presenti per giungere alla decisione, tale cio� da 
offrire non un ragionamento logico, ma una incontrollabile affermazione di verit�
� (App. Roma, 22 gennaio 1952, in Foro it., Rep. 1962, voce Arbitramento, 

c. 165, n. 117). Per l'effetto, �ai sensi dell'art. 829, primo comma, n. 5, e dell'art. 
823, secondo comma, n. 3, c.p.c., al di l� dell'ipotesi di radicale omissione 
della motivazione, si ha difetto di motivazione del lodo arbitrale quando questa 
sia meno che � sommaria �, tale da non consentire la individuazione dell'iter 
logico-giuridico seguito dagli arbitri per giungere alla decisione e da risolversi 
quindi in una apodittica ed incontrollabile affermazione di verit� � (App. Roma, 
28 gennaio 1980, in Ord. giur. oo.pp., 1980, II, p. 145 ss.). Nello stesso senso 
-con l'ulteriore specificazione che la valutazione della congruit� e della adeguatezza 
della motivazione costituisce accertamento di fatto riservato al giudice 
dell'impugnazione del lodo -cfr. Cass., 18 agosto 1949, n. 2351, in Foro it., 
Rep. 1949, voce Arbitramento, c. 127, n. 106; Cass., 18 aprile 1951, n. 956, ivi, 
Rep. 1951, v. cit., c. 148, n. 92; Cass., 24 marzo 1952 n. 805, ivi, Rep. 1952, v. cit., 
c. 165, n. 112 ss.; Cass., 7 maggio 1952, n. 1275, ivi, Rep. 1952, v. cit., c. 165, n. 115; 
Cass., 11 novembre 1952, n. 3153, ivi, Rep. 1952, v. cit., c. 164 s., n. 110 s.; Cass., 
20 dicembre 1952, n. 3251, ivi Rep. 1952, v. cit., c. 164, n. 108; App. Napoli, 25 novembre 
1952, ivi, Rep. 1953, v. cit., c. 173, n. 105 s., che si riporta erroneamente 
all'art. 829, n. 4, invece che al n. 5, c.p.c.; Cass., 12 gennaio 1956, n. 27, in 
Giust. civ., 1956, I, p. 210 ss., ed ivi ampi richiami; Cass., 10 giugno 1958, n. 1923, 
ivi, 1959, I, p. 1973 ss.; Cass. 12 gennaio 1959, n. 57, in Giur. it., 1959, I, 1, p. 410 
ss., e in Giust. civ., 1959, I, p. 1793 ss.; App. Napoli, 19 maggio 1958, in Dir. e giur., 
1959, p. 75 ss.; App. Torino, 23 giugno 1958, in Giust. civ., 1959, I, p. 364 ss.; 
Cass., 23 gennaio 1960, n. 54, ivi, 1960, I, p. 1235 ss., con note di richiami; Cass., 
25 maggio 1960, n. 1353, in Foro it., 1961, I, p. 99 ss.; App. Firenze, 20 gennaio 
1968, in Giur. tosc., 1968, p. 454 ss.; Cass., 12 febbraio 1968, n. 470, in Giust. civ., 

352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

Nessuna indagine, sia pure per presunzioni, risulta effettuata a riI 


~ 

guardo, n� dal giudice n� dal suo ausiliare. Le due pagine del lodo r:f: 
dedicate al relativo punto si diffondono nel riportare i risultati cui 
sono pervenuti il consulente di ufficio e quello di parte dell'Ente e nel 
manifestare la opzione per i primi, giustificandola esclusivamente con 
una supposta maggiore affidabilit�, connaturata al ruolo di collabora


zione del giudice del consulente di ufficio; al che seguono poi la rivalutazione 
del risultato secondo i valori monetari corirenti alla data del 
lodo e la detrazione dei controcrediti dell'Ente e di una somma (li


1968, I, p. 1016 ss., con nota favorevole di G. GUALTIERI, Vecchi e nuovi orientamenti 
giurisprudenziali in tema di clausola compromissoria e di procedimento 
di impugnazione per nullit� del lodo arbitrale; Cass., 13 febbraio 1969, n. 493, 
ivi, Rep. '1969, v. cit. c. 159, n. 87; Cass. 21 novembre 1970, n. 2466, ivi, Rep. 1971, 

v. cit., c. 172, n. 67; App. Salerno, 3 giugno 1972, in Dir. e giur., 1974, p. 619 ss.; 
App. Roma, 10 lugLio 1972, in Arbitrato e appalti, 1974, p. 27 ss.; Cass. 3 otto� 
bre 1972, n. 2838, in Foro it., Rep. 1972, v. cit., c. 176, n. 55; Cass., 23 novembre 
1973, n. 3171, tin Giust. civ., 1974, I, p. 437 ss.; Cass. 29 aprile 1976, n. 1537, in 
I 


Foro it., Rep. 1976, v. cit., c. 149, n. 48; Cass. 14 marzo 1977, n. 1006, ivi, Rep. 1977, 

v. cit., c. 143, n. 41). 
Simili sono gli orientamenti dominanti della dottrina nel cui ambito � si � 
svil.uppata una notevole corrente la quale -considerando il difetto o fa contraddittoriet� 
della motivazione come un vizio di attivit� del giudice che, attraverso 
la illogicit� o difettosit� dei motivi che giustificano il dispositivo, concreta 
l'errar in procedendo -considera come motivo di nullit� della sentenza arbi� 
trale non solo la mancanza dei motivi, ma anche l'insufficienza o la contrad� 
dittoriet� tra di essi, o tra i motivi e il dispositivo. Il quale ultimo indirizzo � 
quanto mai accettabile, in quanto rispondente all'effettivo pensiero del legislatore, 
specie ove si tenga presente il principio che gli arbitri, se pure con procedimento 
speciale, esercitano la funzione giurisdizionale al pari dei giudici ord�� 
nari, sicch� la questione della motivazione del lodo non pu� essere altrimenti 
trattata che con quegli stessi criteri che presiedono alla valutazione della sentenza 
del giudice ordinario. 

� Posto che, infatti, la Jegge richiede che il lodo sia motivato, non pu� soste� 
nersi che basti una qualunque motivazione per dirsi assolto l'obbligo. Se moti� 
vazione deve esserci, essa deve necessariamente -il che sembra insito nel 
concetto stesso del termine -contenere il processo logico, sia pure sommaria� 
mente esposto, attraverso il quale l'arbitro � giunto alla sua decisione... In defi� 
nitiva, tanto vale la mancanza che la insufficiente e contraddittoria motivazione � 

(G. SCHIZZEROTTO, L'arbitrato, Milano, 1982, p. 535 s. Conformi: F. CARNELUT� 
TI, Istituzioni del processo civile italiano, II, Roma, 1956, n. 602; R. VECCHIO� 
NE, Motivazione del lodo arbitrale, in Foro pad., 1954, I, p. 275 ss.; ID., L'arbitrato 
nel sistema del processo civile, Milano, 1971, p. 660; V. ANDRIOLI, Commento 
al Codice di Procedura Civile, voi. IV, Napoli, 1964, p. 879 s.; S. SATTA, 
Commentario del Codice di Procedura Civile, voi. IV, Milano, 1971, p. 335 s.; T. 
CARNACINI, Arbitrato rituale, in Noviss. dig. it., voi. I, Torino, 1958, p. 918). 
Non deroga a questi principi fondamentali la disciplina dell'arbitrato secondo 
equit�. Anche l'arbitrato d'equit� deve costituire infatti un giudizio secondo ragione, 
ed anche nell'arbitrato d'equit� occorre dare giustificazione logica e coerente 
delle determinazioni assunte. 

Ci� � provato in primo luogo dalla circostanza che anche il lodo pronunciato 
secondo equit� deve essere motivato, e che anche in questo caso la motivazione� 


PARl"B I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 353 

re 6.500.000) gi� lucrata dal Rosciano tramite il nuovo occupatore del 
fondo. 

Ora � pur ammessa, dn materia che coinvolga questioni tecniche, 
una motivazione che si richiami recettiziamente alle ragioni esposte dal 
consulente tecnico, quando esse siano condivise dal giudice, che resta 
anche in tal caso peritus peritorum; e ci� � affermato dalla costante 
giurisprudenza nella considerazione dell'evidente superfluit� di una riproduzione 
-in sentenza -del testo di una relazione che, proprio per 
essere �tecnica�, � difficilmente (e comunque inutilmente) riassumibile 

non pu� avere altra funzione che quella universale di consentire l'esame ed il 
controllo dell'iter logico seguito dal collegio giudicante. E' d'altronde evidente, 
sul piano ermeneutico, che anche il lodo secondo equit� pu� essere impugnato 
per i vizi in procedendo previsti dall'art. 829, primo comma, c.p.c., e quindi ai 
sensi del n. 5 del predetto comma, in riferimento all'art. 823, n. 3, c.p.c., nel 
senso indicato dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti. 

L'eccezione alla impugnabilit� del lodo secondo equit� riguarda soltanto gli 
errori di diritto -e quindi gli errores in judicando di cui al secondo comma 
dell'art. 829 c.p.c. -in considerazione della circostanza che gli arbitri secondo 
equit� sono dispensati dal pronunciare secondo le regole di esperienza codificate 
nelle norme di legge; ma gli arbitri non sono, n� potrebbero essere, dispensati 
dall'obbligo di pronunciare secondo ragione, in guisa che i vizi dell'iter logico 
da essi seguito potranno ben essere censurati e potranno ben portare all'annullamento 
della loro pronuncia. D'altra parte, non � questo l'unico caso di impugnazione 
di una decisione d'equit� per vizi di motivazione. La pronuncia d'equit�, 
infatti, � stata introdotta anche nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, ai sensi 
dell'art. 114 c.p.c.; e se � vero che in tal caso la decisione � inappellabile, per 
il disposto dell'art. 339, secondo comma, c.p.c., in quanto non sarebbe ammissibile 
un judicium novum che si sovrapponga alle libere e discrezionali determinazioni 
del giudice d'equit�, � altrettanto vero che nessuno dubita della proponibilit� 
del ricorso per Cassazione, quanto meno ai sensi dell'art. 360, primo 
comma, n. 5, c.p.c., e cio� � per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
�. 

Queste considerazioni trovano puntuale conferma sia in dottrina che in giurisprudenza. 
La dottrina afferma infatti che �l'obbligo della motivazione incombe 
agli arbitri, sia che decidano secondo diritto, sia che abbiano l'autorizzazione 
a decidere secondo equit�. La legge vuole, infatti, che gli arbitri dicano sempre, 
oltre i motivi di fatto che determinato la materia del giudizio, anche i motivi 
per i quali riconoscono il diritto dell'una piuttosto che dell'altra parte, motivazione 
da attingere, a seconda dei casi, dal diritto o dall'equit� ... 

� Il difetto di motivazione � invocabile cos� per la sentenza pronunciata 
dagli arbitri di diritto che per quella pronunciata dagli arbitri d'equit�, quand'anche 
le parti avessero convenuto la non impugnabilit� della sentenza. Il motivo 
di nullit� in discorso ricorre tutte le volte che la sentenza manchi totalmente 
di motivazione o quando quest'ultima sia cos� imprecisa e manchevole 
che non consenta di comprendere l'iter del pensiero degli arbitri e non indichi 
gli elementi tenuti presenti per giungere alla decisione� (G. SCHIZZEROTTO, 
op. cit., p. 535 ss. p. 630 s.). 

Similmente, anche nella giurisprudenza dei giudici di merito si � affermato 
che gli arbitri autorizzati a decidere secondo equit� sono tenuti a replicare 
agli argomenti giuridici delle parti e ad esporre sommariamente le ragioni di 
fatto e le considerazioni equitative poste a base della pronuncia (App. Genova, . 



354 RASSEGNA', DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

\ .. 
in termini diversi da quelli con cui il consulente si � gi� espresso. 
Ma un simile richiamo presuppone necessariamente che l'elaborato peri


I

tale contenga a sua volta gli elementi razionali che giustifichino le conclusioni 
recepite dal giudice. 

I 

Del tutto vana e senza speranza � invece la ricerca, nella relazione 
e nell'unico verbale di sopraluog� allegato del ' consulente di ufficio 
Prof. Dr. Pantaleo Bombini del 10 ottobre 1979, di dati oggettivi -e 
conseguentemente della loro elaborazione -relativi al fondo in questione, 
dai quali si possa desumere concretamente quali fossero le 

27 agosto 1948, in Foro it., Rep. 1949, voce Arbitramento, c. 126, n. 87 s.), e che 
il lodo di equit�, dovendo contenere gli elementi richiesti dall'art. 823 c.p.c. 
e non essere inficiato dalle nullit� previste dall'art. 829 c.p.c., � annullabile per 
errores in procedendo quando la motivazione manchi del tutto, o quando sia 
illogica, imprecisa, inadeguata o contraddittoria (App. Venezia 14 novembre 1956, 
in Giust. civ., R�p. 1957, voce Compromesso, p. 575, n. 105). Ed anche la Cassazione, 
infine, pur ribadendo l'ovvio principio che il giudice investito dell'azione 
di nullit� non pu� sindacare gli apprezzamenti di merito e le statuizioni degli 
arbitri amichevoli compositori, ha specificato che egli deve comunque accertare 
se il lodo sia (correttamente) motivato (cfr. Cass., 18 agosto 1949, n. 2351, in 
Foro it., Rep. 1949, voce Arbitramento, c. 127, n. 104; Cass., 5 dicembre 1960, 

n. 3181, ivi, Rep. 1960, voce Arbitrato, c. 172 s., n. 116 ss., nonch� Cass., 8 ottobre 
1958, n. 3154, in Foro pad., 1959, I p. 558 ss. secondo cui nel caso di annullamento 
del lodo pronunciato secondo equit�, il giudice dell'impugnazione sar� 
investito del judicium rescissorium, nel quale pronuncer� secondo diritto, salvo 
che le parti non lo autorizzino a pronunciare secondo equit�, ex art. 114 c.p.c.). 
Qualora queste ragioni dovessero essere disattese, dovremmo allora prendere 
atto della circostanza che nel nostro ordinamento giuridico, nonostante 
tutto, esiste ancora una � zona grigia� dove il potere decisionale si pu� legittimamente 
esercitare in modo assoluto ed incontrollato, nel segno del sic volo, 
sic iubeo, e dove la motivazione costituisce niente altro che che un insidacabile 
rivestimento delle pi� discrezionali ed, eventualmente, delle pi� illogiche determinazioni. 
Saremmo cio� in presenza di una � zona oscura �, all'interno della 
quale l' � equit� � costituisce un concetto arcano, che copre tutto e tutti. Dovremmo 
constatare in sintesi che tuttora persistono i residui di un sistema giuridico 
ancora primitivo, non ancora raggiunto dalla gi� richiamata tendenza alla 
� razionalizzazione del potere� e caratterizzato dalla soggezione del giudicabile 
alla giurisdizione non in base alla persuasivit� logica dal comando, ma in forza 
� dell'dntrinseco collegamento tra religione e giustizia e del diffuso convincimento 
della diretta provenienza della decisione dalla divinit� per il tramite del giudice, 
che mutuava dunque la sua autorit� da virt� soprannaturali, come tali 
non suscettibili dell'umano sindacato� (S. EVANGELISTA, op. loc. cit.); �con 
la differenza per� che al giorno d'oggi -se alla nostra ragione non fosse con� 
sentito sindacare -neppure al nostro sentimento riuscirebbe di confidare in un 
senso di Superiore giustizia. 

4. I vizi della motivazione nella casistica giurisprudenziale. 
Nell'auspicio che il Collegio condivida le considerazioni svolte circa l'ammissibilit� 
ed i limiti di estensione della presente azione, non resta che applicare 
al caso di specie i principi gi� enunciati in tema di motivazione, e verificare se 
nel lodo impugnato risulti fornita congrua ed adeguata ragione delle scelte adot� 
tate dagli arbitri. Per fare ci�, sar� utile riferirsi alla ricca casistica giurispru



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

355 

condizioni di fatto del podere prima dell'assegnazione e quali siano le 
opere di miglioramento recate dall'assegnatario, per effetto delle quali 
il fondo stesso avrebbe coI].seguito l'aumento di valore, dati la cui indicazione 
era ovviamente necessaria per verificare la sussistenza del fatto 
costitutivo del diritto azionato. Senza di che resta completamente aperta 
all'operatore della giustizia arbitrale, senza alcuna possibilit� di controllo, 
la strada per le conclusioni pi� infondate. A tale esigenza non 
sopperiscono certo le considerazioni -di cui la relazione in esame peraltro 
abbonda -sullo stato generale (non necessariamente particolare 
del fondo in questione) dell'antico latifondo del Tavoliere e dell'at


denziale derivata dai principi anzidetti, poich� essa costituisce una fonte inesauribile 
di indicazioni e di insegnamenti, che consentiranno di risolvere con facilit� 
ed immediatezza tutte le questioni attualmente in contestazione. N� avr� 
senso obiettare, una volta di pi�, che tale casistica si � originata in prevalenza 
in occasione di ricorsi per Cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., 
anzich� in sede di impugnazione di lodi arbitrali. E' evidente infatti, anche alla 
luce della giurisprudenza innanzi citata, che i principi che regolano l'obbligo 
di motivare sono i medesimi, sia nell'uno che nell'altro caso, e che i vizi della 
decisione possono ricorrere allo stesso modo in entrambe le ipotesi. In ogni 
caso, occorre ispirarsi alla stessa logica universale ed agli stessi postulati di 
ragione, che non differiscono qualora sia pronunciato un lodo arbitrale, anzicch� 
una sentenza del giudice ordinario! 

Sulla base degli insegnamenti giurisprudenziali maggiormente significativi e 
pi� emblematici, possiamo dunque affermare, in via generale, che l'obbligo di 
motivare risulta inadempiuto se la motivazione sia tale solo in apparenza, mancando 
del minimo indispensabile a dare ragione della decisione emessa (Cass., 
17 gennaio 1957, n. 109, in Foro it., Rep. 1957, voce Sentenza in materia civile, 

c. 2270, n. 39); se l'omessa esposi:zfone dei motivi di diritto determini l'assoluta 
impossibilit� di accertare le premesse logico-giuridice della decisione, riducendo 
questa ad espressione di puro arbitrio (Cass., 19 luglio 1965, n. 1637, in Foro it., 
Rep. 1965, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2681, n. 78); se 
la sentenza (o il lodo) si riduca ad enunciare le semplici conclusioni dell'indagine, 
omettendo ogni riferimento ad argomentazioni e giungendo ad affermazioni 
apodittiche (Cass., 22 gennaio 1958, n. 134, in Gi�st. civ., 1958, I, p. 662 ss.; 
Cass., 27 gennaio 1958, n. 202, in Foro it., Rep. 1958, voce Sentenza in materia 
civile c. 2363, n. 50; Cass., 7 agosto 1958, n. 2886, ivi, Rep. 1958, v. cit., c. 2363, 
n. 53; Cass., 25 giugno 1963, n. 1712, ivi Rep. 1963, voce Sentenza, ordinanza e decreto 
in materia civile, c. 2503, n. 66); se il giudice, completamente trascurando 
le risultanze degli atti e le prove, abbia ritenuto di poterne superare l'esame 
e la valutazione, procedendo, unicamente in base ad argomentazioni ipotetiche 
e congetturali, ad una ricostruzione dei fatti secondo uno schema preconcetto 
(Cass., 12 luglio 1965, n. 1440, in Foro it., Rep. 1965, voce Sentenza, ordinanza e 
decreto in materia civile, c. 2680, n. 63). � 
Al di l� di queste ipotesi di maggiore gravit�, che investono il complesso 
della decisione, si deve poi. considerare che la motivazione, per poter assolvere 
alla propria funzione, deve sussistere in riferimento a tutti i punti decisivi della 
controversia, intendendo per tali tutte Ie questioni essenziali ai fini della pronuncia 
(Cass., 13 agosto 1964, n. 2319, in Foro it., Rep. 1964, voce Cassazione in materia 
civile, c. 322, n. 116; Cass., 21 maggio 1965, n. 989, ivi, Rep. 1965, v. cit., c. 350, 

n. 140), nonch� tutti gli elementi di un fatto o di una situazione giuridica che 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

356 

tuale sua possibilit� di sfruttamento anche pollicolturale e comunque 
di maggiore produttivit�, risultato questo ben attribuibile in ipotesi anche 
ad opere generali di bonifica, di trasformazione, di irrigazione da 
parte dell'Ente prima o dopo l'assegnazione (che avveniva quando gi� il 
fondo era stato reso produttivo, come risulta anche dai cosi detti � modelli 
RST/1/0TFA �). Solo in un punto della relazione (prime righe 
della pagina 5) l'estensore � pare � accingersi ad una osservazione pi� 
ravvicinata del fondo in questione, quando accenna -di passaggio alla 
� continua e diuturna opera di valorizzazione dei terreni, eseguita 
in primo luogo con l'esecuzione di arature profonde e bilanciate conci-

hanno l'efficacia immediata o mediata di portare, se esaminati, ad una diversa 
soluzione della lite (cfr., da ultimo, Cass., 26 luglio 1971, n. 2527, in Foro it., 
Rep. 1971, voce Cassazione civile, c. 337 s., n. 169; Cass., 8 novembre 1974, n. 3429, 
ivi, Rep. 1974, v. cit., c .. 261, n. 146; Cass., 2 agosto 1975, n. 2964, ivi, Rep. 1975, 

v. cit. c. 307, n. 126), in quanto legati da un rapporto di causalit� logica con la 
soluzione data dal giudice alla controversia (Cass. 7 maggio 1973, n. 1217, in Foro 
it., Rep. 1973, voce Cassazione civile c. 321, n. 144; Cass., 14 marzo 1974, n. 714, 
ivi, Rep. 1974, v. cit., c. 261, n. 135; Cass., 19 aprile 1975, n. 1505, ivi, Rep. 1975, 
v. cit., c. 307, n. 118; Cass. 5 maggio 1975, n. 1719, ivi Rep. 1975, v. cit., c. 307, 
n. 120). Pertanto la decisione non sar� valida se il giudice avr� omesso di prendere 
in esame taluno di tali punti, ovvero taluna richiesta istruttoria che 
mirasse a provarlo, in quanto la motivazione, venendo meno in riferimento al 
punto medesimo, mancher� dei contenuti minimi per adempiere alla funzione 
cui � destinata. In particolare, la decisione sar� nulla quando sia omessa la giustificazione 
della mancata ammissione di mezzi di prova ritenuti decisivi 
(Cass., 16 luglio 1973, n. 2074, in Foro it., Rep. 1973, voce Prova civile in genere, 
c. 2042, n. 33 s.; Cass., 19 luglio 1975, n. 2867, ivi, Rep. 1975, voce Cassazione 
civile, c. 307, n. 125); quando abbia omesso di prendere in specifico conto una 
testimonianza che, se tenuta in conto, avrebbe potuto determinare una diVersa 
pronuncia (Cass., 7 febbraio 1958, n. 370, inGiur. it., 1958, I, l, p. 303 ss., con 
osservazioni adesive di G. DE BIASE; Cass. 27 ottobre 1965, n. 2273, in Foro it., 
Rep. 1965, voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2677 s., n. 33), 
o quando abbia omesso di esaminare documenti idonei a fornire la prova di 
un fatto che, se tenuto presente, avrebbe potuto determinare una diversa decisione 
(Cass., 12 maggio 1973, n.. 1298, in Foro it., Rep. 1973, voce Cassazione civile, 
c. 323, n. 164; Cass., 11 settembre 1974, n. 2480, ivi Rep. 1974, v. cit., c. 262, n. 153; 
Cass., 28 gennaio 1975, n. 350, ivi Rep. 1975 v. cit., c. 306, n. 111). 
Per quanto si � gi� detto, neppure basta tuttavia che il giudice abbia preso 
in esame tutti i punti decisivi della controversia. Occorre che la motivazione, 
in riferimento a ciascuno dei suoi elementi essenziali, sia ordinata, sufficiente e 
non contraddittoria. Occorre cio� che essa, in riferimento a ciascuno dei punti 
considerati, possieda i requisiti di logicit� che sono prescritti a pena di nullit� 
della decisione, ed in particolare il requisito della sufficienza, inteso sia come 
sufficienza dei dati che possano suffragare il convincimento espresso, sia oome 
sufficienza del processo di associazione delle idee che ha condotto al convincimento 
stesso. 

In giurisprudenza, pertanto, anche quando non sia stata ravvisata la completa 
omissione della motivazione in relazione a taluno dei punti decisivi della 
controversia, ne � stata tuttavia ritenuta l'insufficienza allorquando il giudice 
si sia limitato ad esprimere un'affermazione apodittica, senza alcuna convincente 
valutazione degli elementi probatori, in ordine ad un punto considerato deci



PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 357 

maziom minerali ed organiche�, ma l'aspettativa di una pi� concreta 
ricerca e disamina resta subito delusa dall'immediato sbocco del discorso 
nelle considerazioni � scientifiche � sui meccanismi chimico-biologici 
connessi ad operazioni di tal genere (praticamente l'aratura e le 
concimazioni), i cui effetti, peraltro, sono notoriamente destinati ad 
esaurirsi in breve arco di tempo, con beneficio per il solo percettore 
dei frutti e non assumibili perci� sotto la nozione di miglioramenti. 

N� sembra che, con le suesposte osservazioni, la Corte voglia sconfinare 
nel rilievo di un vitium in iudicando, perch� quel che si � detto 

sivo (Cass., 15 febbraio 1955, n. 431, in Foro it., Rep. 1955, voce Sentenza in materia 
civile, c. 2056, n. 73; Cass., 15 marzo 1957, n. 878, ivi Rep. 1957 vo�e Cassazione 
in materia civile, c. 326, n. 68; Cass., 7 giugno 1958, n. 1879, ivi, Rep. 1958, 
voce Sentenza in materia civile, c. 2362, n. 34; Cass., 18 gennaio 1961, n. 71, 
ivi, Rep. 1961, v. cit., c. 2303, n. 40; Cass., 26 novembre 1964 n. 2806, ivi, Rep. 1964, 
voce Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile, c. 2518 n. 70; Cass. 4 marzo 
1970, n. 512, ivi, Rep. 1970, voce Sentenza civile, c. 2192, n. 51; Cass., 18 ottobre 
1971, n. 2953, ivi, Rep. 1971, v. cit., c. 2710, n. 107). Parimenti, si � parlato cli motivazione 
insufficiente in riferimento alla sentenza che, dando credito alla tesi 
di una parte in base ad elementi del tutto indiziari, trascuri di prendere in 
esame ogni altra risultanza processuale e, in particolare,"' le prove fornite dalla 
parte soccombente a sostegno della tesi contraria, rendendo cos� impossibile il 
controllo sul processo logico che ha determinato questa decisione (Cass., 7 maggio 
1957, n. 1553, in Foro it., Rep. 1957, voce Cassazione in materia civile, c. 326, 

n. 64). Ed ancora, la Suprema Corte ha ritenuto che il vizio di insufficiente motivazione 
sussiste nell'ipotesi cli insufficienza sotto il profilo sostanziale, in quanto 
si riveli un'obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice del 
merito alfa formazione del proprio convincimento (Cass., 9 ottobre 1974, n. 2741, 
in Foro it., Rep. 1974, voce Cassazione civile, c. 261, n. 140), o in quanto il giudice 
del merito non offra l'indicazione delle ragioni che siano obiettivamente sufficienti, 
sul piano logico e su quello delle massime di esperienza, a suffragare il 
convincimento dello stesso giudice espresso sul punto (Cass., 17 maggio 1974, 
n. 1470, in Foro it., Rep. 1974, voce Cassazione civile, c. 261, n. 137). 
Con specifico riferimento alla valutazione della consulenza tecnica d'ufficio, 
con decisioni particolarmente significative per la soluzione del caso di specie, 
la Cassazione ha infine �insegnato che in linea cli massima � ammissibile che il 
giudice cli merito si uniformi alle conclusioni rese dal c.t.u., riconoscendole 
convincenti, senza necessit� cli esprimere particolari ragioni a riguardo; ma 
quando le critiche mosse dalle parti alle risultanze della consulenza siano precise, 
circostanziate, e tali che -se ritenute fondate -porterebbero a soluzioni 
opposte o diverse da quelle prospettate, non � possibile esimersi dal vagliare 
ex professo tali critiche (Cass., 3 marzo 1962, n. 396, in Giust. civ., 1962, I, p. 1496 
ss., e in Giur. it., 1963, I, 1, p. 356 ss.; Cass., 28 febbraio 1963, n. 507, in Temi nap., 
1963, I, p. 242 ss.; Cass., 24 marzo 1965, n. 482, in Foro it., Rep. 1965, voce Con� 
sulente tecnico, c. 664, n. 38; Cass. 16 luglio 1965, n. 1567, ivi, Rep. 1965, v. cit., 

c. 664, n. 35 s.). In tali casi, il giudice viene dunque meno al dovere cli motivare 
se, anzicch� dare una specifica risposta a tali critiche, si limita a generiche affermazioni 
cli adesione al parere del consulente (Cass., 22 giugno '1961, n. 1495, in 
Giust. civ., 1961, I, p. 1811 ss. e in Foro pad., 1962, I, p. 22 ss.; Cass., 2 febbraio 
1962, n. 213, in Foro it., Rep. 1962 voce Consulente tecnico c. 661 s., n. 39 s.; 
Cass., 16 marzo 1964, n. 586, ivi, Rep. 1964, v. cit., c. 635, n. 41; Cass., 23 aprile 
1966, n. 1046, ivi Rep. 1966, v. cit., c. 611, n. 56). 

358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trova la sua giustificazione esclusiva nella ricerca di una effettiva � motivazione
�, la quale nen pu� prescindere dal riferimento ai �fatti� 
corrispondenti alla previsione tipica, cui la legge annette le conseguenze 
del caso che il giudice poi attua concretamente con la sua pronuncia. 
� ovvio pertanto che il controllo sulla esistenza (non meramente formale) 
della motivazione implica necessariamente la ricerca sulla compiuta 
indagine di fatto. 

Come si � dunque viisto, n� il collegio arbitrale n� il consulente 
d'ufficio (tanto meno quello di parte ERSAP) si son fatti carico di accertare 
i concreti elementi di fatto che il contratto e la legge (art. 7, 
u.c., legge 379/67, art. 1150 e.e.) presuppongono per il diritto all'indennit� 
in questione, ed il risultato della valutazione attuale del fondo, cui 
si perviene (L. 51.166.500, aumentate dal collegio arbitrale di un ulteriore 
40 per cento per sopravvenuta svalutazione), non � che un puro 
giudizio di stima (a sua volta neppure motivato, nella sua apodittica 
enunciazione), svincolato completamente dai detti presupposti. 

In ci� consiste il difetto di motivazione della decisione impugnata, 
vizio che non pu� certo ritenersi escluso -� infine appena il caso di 
notarlo -per il rilievo contenuto nel lodo della minore stima (lire 
25.924.360) cui sarebbe pervenuto il consulente di parte ERSAP. Tale 
rilievo infatti -come si evince dalla lettura del passo in cui � contenuto 
-� servito al giudice arbitrale solo per trarne argomento di maggiore 
affidabilit� della stim� del consulente di ufficio, ma non colma 
certo la riscontrata mancanza di indagine e motivazione sul punto specifico 
di cui s'� detto. 

Dev'essere pertanto dichiarata la nullit� della sentenza arbitrale.. 

5. Considerazioni conclusive. 
Se dunque si ritiene -come noi, per amore di verit� e di giustizia, fermamente 
riteniamo -che i principi in tema di motivazione innanzi esposti trovano 
integrale applicazione anche a proposito del giudizio arbitrale di equit�; se cio� 
si ritiene -per elementari esigenze di logica giuridica -che il combinato 
disposto degli artt. 829, primo comma, n. 5, e 823, secondo comma, n. 3, c.p.c., 
interpretato alla luce dei principi costituzionali, di criteri storico-evolutivi e della 
dottrina e della giurisprudenza dominanti, consente l'impugnazione del lodo di 
equit� non solo nell'ipotesi di totale mancanza della motivazione, ma anche nella 
ipotesi di omissione, insufficienza e contraddizione della motivazione stessa su 
punti decisivi della controversia, si sar� allora individuata la strada per assicurare 
che il fenomeno arbitrale sia contenuto entro principi di legalit�, razionalit� 
e correttezza, contro possibili prassi che -dietro motivazioni apparenti, 
surrettizie, manchevoli, insufficienti o illogiche -nascondano, sotto ingannevoli 
forme giurisdizionali, scelte e comportamenti non conformi a diritto. 

Il caso di specie potr� essere tranquillamente risolto alla luce dei principi 

anzidetti, la cui applicazione condurr� all'annullamento del lodo impugnato ed 

alla rinnovazione del giudizio in sede rescissoria. 

ALESSANDRO DE STEFANO 

..........._._.,____________________ ---,. ---..--------------.... --.,.... . ;:. 



SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO -Ad. plen. ordinanza 8 ottobre 1982 n. 17 -Pres. 
Pescatore -Rel. Adobbadi -Pilosa (avv. Simio, Valentini) c. Ministero 
Pubblica Istruzione (v. Avv. Gen. Stato Gargiulo). 

Giustizia amministrativa -Sospensione provvedimento impugnato -Giudizio 
di non ammissione ad esami di maturit�. 

La tutela cautelare '[JU� esercitarsi in materia di ricorso contro il diniego 
di ammissione all'esame di maturit�, mediante l'ordinanza di sospensione 
del provvedimento, affinch� l'Amministrazione disponga l'ammissione 
dello studer.te all'esame con riserva. 

La sospensiva sul diniego di ammissione all'esame di maturit� 

Con la sentenza sopra massimata (che si pu� leggere per esteso in Foro it. 
1983, parte III, p. 41, con nota di Saporito) l'Aqunanza Plenaria ha autorevolmente 
confermato un orientamento gi� molto diffuso tra i giudici amministrativi, ritenendo 
possibile, a seguito di richiesta di sospensione del diniego di ammissione 
agli esami di maturit�, la pronuncia di un'ordinanza che disponga l'ammissione 
con riserva dello studente all'esame stesso. 

La decisione viene salutata con manifestazioni di consenso da parte di tutti 
gli operatori giuridici, i quali vi ravvisano l'apertura di nuove prospettive per 
il giudizio cautelare amministrativo. E' forse propria la generale condiscendenza 
per la soluzione gi� largamente praticata che ha impedito al Consiglio di Stato 
di valutare a fondo le implicazioni della decisione adottata: il Collegio infatti 
muove dalla considerazione che l'esclusione di ogni cautela in tema di non ammissione 
all'esame porterebbe ad un risultato non apprezzabile sul piano della 
giustizia sostanziale, e si richiama alla sentenza 8/82 della Corte Costituzionale 
nella quale si manifesta � la necessit� di un istituto, quale appunto il procedimento 
cautelare, che consenta di anticipare sia pure a titolo provvisorfo l'effetto 
tipico del provvedimento finale del giudice �; si riallaccia al proprio insegnamento 
circa l'inclusione nell'interesse del ricorrente dell'affidamento sulle attivit� 
che l'Amm.ne � tenuta o facultata a svolgere a seguito dell'annullamento 
dell'atto impugnato (Ad. Plen. 6/82), per dedurne poi automaticamente l'ammissibilit� 
(quasi doverosa) della sospensiva che si traduca nell'ammissione con 
riserva del candidato all'esame. 

Le considerazioni esposte sono tutte validissime in s� valutate, ma non 

sembrano sufficienti a giustificare la conclusione raggiunta. In particolare l'af


fermazione della Corte Costituzionale � limitata -correttamente -alla segna


lazione della nceessit� di un provvedimento cautelare, che costituisca un'antici


pazione degli effetti della decisione ma non giunge certo a pretendere che iI 

provvedimento d'urgenza realizzi una situazione addirittura potiore rispetto a 

quella prodotta dalla sentenza definitiva. 



360 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ed � questo proprio il punto delicato della decisione; l'Adunanza Plenaria 
sembra non aver considerato che con l'ammissione con riserva all'esame 
decretata in via d'urgenza lo studente ricorrente ottiene una tutela superiore a 
quella che avrebbe se il G.A. decidesse subito nel merito accogliendo il suo 
ricorso, o a quella che avr� eventualmente in seguito, sempre m caso di sentenza 
favorevole. 

Non che questa problematica sia sfuggita al Supremo Collegio Amministrativo, 
il quale anzi d� prova di rammentarla, quando afferma che a seguito 
dell'eventuale sentenza favorevole, l'eventuale giudizio di maturit� resterebbe 
� sospeso finch� il Consiglio di classe si prommci, ora per allora, in senso favorevole 
per l'ammissione dell'alunno all'esame �; � solo che non ne tiene conto 
nel corso del ragionamento che porta a concludere per l'ammissibilit� della 
sospensiva. 

Non si tratta cti un'omissione irrilevante, perch� idonea a falsare tuto l'iter 
logico della decisione; se infatti si riconosce che pure in caso di sentenza di 
accoglimento del ricorso l'unico effetto sar� quello di imporre al Consiglio di 
classe di deliberare nuovamente sull'ammissione all'esame, e di deliberare senza 
altro vincolo se non quello di non reiterare il viz;io che ha determmato l'annullamento 
della precedente decisione, come si pu� imporre un'ammissione con 
riserva� in via cautelare, che prescinde persino da un rinnovato esame da parte 
del Consiglio cli classe? 

E' evidente che la esigenza di realizzare uno strumento che sia operativo nei 
tempi brevissimi che intercorrono tra ii diniego di ammissione e l'esame, ha 
sollecitato il G.A. a dare in via preventiva pi� di quanto � abilitato a concedere 
in via definitiva. 

Logica avrebbe invece voluto che tutt'al pi� la sospensione fosse intesa come 
rimozione temporanea della prima delibera di non ammissione, con l'effetto di 
rendere immediatamente necessaria una seconda, che colmasse il vuoto provvisoriamente 
prodottosi; ma anche questa soluzione � stata scartata verosimilmente 
per la sua difficile praticabilit�. 

Questo dato di fatto per� nulla toglie alla grave violazione di principio intrinseca 
alla impostazione prescelta, la quale risulta maggiormente ancora se la 
si colloca nell'ambito della pi� generale tematica della sospensione dei provvedimenti 
negativi, gi� da lungo tempo all'esame della dottrina. 

Con riguardo infatti alla distinzione operata tra procedimenti discrezionali e 
non, si pu� osservare che se il provvedimento negativo del Consiglio di Classe 
non fosse discrezionale, ad esempio se in ipotesi i professori fossero tenuti 
solo a verificare, poniamo l'et� o il numero dei giorni di presen2:a dell'alunno, 
allora l'annullamento giurisdizionale del diniego, essendo fondato su una violazione 
di legge porterebbe l'Amm.ne ad adottare quasi necessariamente un provvedimento 
positivo. 

Ma quando si tratti di un provvedimento discrezionale come quello di 
non ammissione agli esami di maturit�, o per essere pi� precisi quando l'impu� 
gnazione si fondi sull'eccesso di potere per difetto o contraddittoriet� della 
motivazione l'effetto dell'eventuale annullamento sar� solo quello di imporre 
all'Amm.ne di pronunciare altro provvedimento che sia correttamente motivato, 
ma che non per questo dovr� essere di diverso contenuto dispositivo. 

In altre parole un collegio di docenti pu� avere mal motivato un diniego 
di ammissione, ma non per questo, annullato il primo, n� far� un secondo di 
ammissione (con ogni probabilit� anzi si limiter� a riformulare il giudizio negativo 
evitando i vizi evidenziati dal G.A.). 

In questa prospettiva l'ammissione con riserva decretata dal G.A. diviene 
ancora pi� grave, perch� non solo pone nel nulla provvisoriamente �n prow�


r

dimento gi� adottato, il che � legittimo, ma si sostituisce a quello che dovr� 

ili 

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lt 

~~ 


10 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

solo, diremmo, dal combinato disposto delle due poteva risultare un ponderato 
giudizio. 

Orbene la questione si ripropone nel caso in esame: come potrebbe la 
Commissione d'esame valutare la prova del candidato senza tenere conto del 
suo curriculum e del suo giudizio di ammissione? 

Su questo specifico punto, al di l� dei dubbi ulteriori che esso getta sulla 
soluzione accolta dall'Adunanza plenaria, pu� essere utile ricordare un'interessante 
ordinanza pronunciata dal TAR della Lombardia (28-6-78 n. 196 Pres. De 
Roberto, Rel. Buonvino) che, nell'ammettere con riserva il ricorrente all'esame 
df maturit�, cos� motivava: � considerato che il giudizio di non ammissione 
consta sostanzialmente di due momenti, uno valutativo, l'altro precettivo, che 
provvede circa l'ulteriore sviluppo della procedura (statuizione di non ammissione). 
Considerato che l'istanza di sospensione va favorevolmente definita solo 
su quanto attiene al momento precettivo, considerandosi operante la valutazione 
racchiusa in detto atto, P.Q.M. omissis�. 

L'ordinanza contiene una felicissima intuizione: si sospende la non ammissione 
ma si lascia operante la valutazione formulata a seguito dello scrutinio, 
in modo 'che la Commissione d'esame non si trovi ad essere privata di un 
elemento fondamentale di giudizio. 

Ma in fondo non si fa che ribadire l'intima contraddizione di questa giurisprudenza, 
poich� l'eventuale annullamento del giudizio del Consiglio di classe 
non potr� non riflettersi sulla legittimit� del giudizio della Commissione d'esame. 

Comunque la soluzione prospettata consente almeno di dare un'utile indicazione 
alle Commissioni d'esame, fermo restando che la loro valutazione dovr� 
essere globale, ed ancora pi�� attenta del consueto nell'esaminare il curriculum 
dello studente, con spirito di assoluta autonomia e persino con un'accentuazione 
critica rispetto al giudizio del Consiglio che rimane � come coloro che stan 
sospesi � in una posizione di estrema precariet�. 

Gian Paolo Polizzi 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 11 agosto 1982, n. 4521 -Pres. Tamburino
�-Est. Battimelli -P. M. Sgroi (conf.). Ranocchini c. Ministero 
delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti . Imposte doganali � Accertamento � Revisione � 
Termine di decadenza � Erronea applicauone della tariffa � Esclusione. 


(d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74 e 84). 
La correzione dell'accertamento per eliminare ur.a erronea applicazione 
della tariffa non � soggetta al termine semestrale di decadenza, 
il quale � operante soltanto per revisioni dell'accertamento che interessano 
la qualificazione, l'identificazione, la quantit� e il valore delle 
merci (1). 

(Omissis) Quanto al secondo motivo, col quale si solleva unicamente 
una questione di decadenza per decorso di termini, va anzitutto osser.vato 
che non rilevano le osservazioni fatte dal ricorrente circa la legge 
applicabile � ratione temporis � al caso di specie, riguardante un'importazione 
avvenuta nel 1972, dal momento che il testo dell'art. 74 del 

D.P.R. n. 43 del 23 gennaio� 1973 � pressocch� identico, tranne che per 
particolari che non attengono alle questioni qui dibattute, a quello dell'art. 
6 del D.P.R. n. 62 del 2 febbraio 1970, e cos� pure l'art. 84 del 
D.P.R. n. 43 del 1973 in nulla differisce dall'art. 27 della legge doganale 
del 1940 (prevedendo entrambe le norme la prescrizione quinquennale 
delle pretese dell'Amministrazione relative a diritti dovuti in conseguenza 
di errori di calcolo o di erronea applicazione delle tariffe), per 
cui � assolutamente inutile affrontare il problema se, nel caso di specie, 
dovesse applicarsi la normativa vigente al momento dell'importazione 
o quella vigente al momento dell'emissione dell'ingiunzione. 
Il problema, in sostanza, si riduce unicamente nell'accertare se sia 
fondata la tesi radicale del ricorrente, secondo cui ogni volta che si 
faccia questione di erronea applica?ione di tariffe debba ricorrersi alla 
procedura di revisione dell'accertamento, e, subordinatamente, la tesi 
subordinata, e quindi nell'accertare quale delle due ipotesi ricorre .nel 

(1) Giurisprudenza ormai pacifica: Cass. 26 febbraio 1980 n. 1333 in questa 
Rassegna, 1980, I, 83; 16 f~bbraio 1982, n. 957 ivi, 1082, I, 581. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

364 


caso di specie; e la risposta non pu� essere che contraria alle tesi sostenute 
nel ricorso. 

Come infatti � giurisprudenza consolidata; l'errore nell'applicazione 
delle tariffe � qualcosa di assolutamente diverso dalla revisione dell'accertamento, 
comportando la prima ipotesi unicamente l'applicazione di 
una diversa specifica voce di tariffa a merci di cui sia pacifica la qualificazione, 
l'identificazione, la quantit� e il valore e che pertanto, senza 
nessuna necessit� di nuovi accertamenti o senza alcuna contestazione 
oirca le loro caratteristiche, siano ritenute assoggettabili ad una voce di 
tariffa diversa da quella applicata al momento dell'importazione; e comportando 
invece la seconda ipotesi la necessit� di un nuovo esame delle 
merci al fine di qualificarle, oggettivamente, in modo diverso da come 
furono a suo tempo qualificate. Ne consegue che solo nella seconda ipo


tesi � applicabile la normativa sulla decadenza dell'amministrazione dalla 
facolt� di rettifica, mentre nella prima l'azione della finanza non � soggetta 
a decadenza, ma unicamente a prescrizione quinquennale (ved., in 
questi sensi, le sentenze di questa Corte n. 1330 del 26 febbraio 1980, 

n. 2836 del 29 aprile 1980 e n. 4825 del 25 luglio 1981). 
Resta pertanto da esaminare solo se nel caso di sp�ecie ricorra la 
prima ovvero la seconda ipotesi, e non vi � dubbio che la pretesa della 
finanza era diretta unicamente all'applicazione di una diversa voce di 
tariffa a merci perfettamente identificate nelle loro caratteristiche merceologiche; 
sul punto la Corte di Appello ha gi� chiarito che non vi fu 
alcuna procedura di revisione delle merci, e la difesa dell'Amministrazione, 
a sua volta, ha chiarito che l'ingiunzione era fondata sull'applicabilit� 
alla merce importata di una voce di tariffa specifica, al posto di 
quella generica erroneamente applicata al momento dell'importazione; 
n� il ricorrente ha contestato tale precisazione, cos� come non ha formulato 
alcuna censura in merito a quanto ritenuto, sul punto, nella sentenza 
impugnata. Si era in presenza, pertanto, di un tipico caso di errore 
di applicazione di voci di tariffa, per cui esattamente� la sentenza 
impugnata ha ritenuto tempestiva la pretesa dell'Amministrazione. 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 11 agosto 1982, n. 4522 -Pres. Miele Est. 
Batti;rnelli -P. M. Nicita {conf.). -Regolamento di competenza 
d'ufficio. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Foro dello Stato -Controversia 
in sede di esecuzione sulla spettanza di privilegi. 

(r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 78). 
Appartengono alla competenza del foro dello Stato le controversie 
di imposta attinenti alla spettanza di privilegi anche se insorte in sede 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 365 

di esecuzione ed anche se vertenti tra l'Amministrazione ed un terzo 
che intende paralizzare la realizzazione del credito di imposta (1). 

(Omissis). L'Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia Meridionale 
(ISVEIMER), creditore ipotecario di Achille Frasca e Donato Deluca, 
pignor�, in danno di costoro, una casa di abitazione in Silla Sassano; 
l'immobile fU venduto all'asta e il decreto di trasferimento fu 
registrato il 17 agosto 1977 in Sala Consilina. 

Successivamente, l'Ufficio del registro di Sala Consilina chiese al 
giudice dell'esecuzione del focale tribunale la sospensione della distribuzione 
della somma ricavata, essendo ancora creditore di imposta di consolidazione 
dell'usufrutto e dell'INVIM sul suddetto immobile, e successivamente 
intervenne formalmente nell'esecuzione con due distinti ricorsi, 
chiedendo, per la somma relativa all'INVIM, la prededuzione 
quale spesa del processo esecutivo. 

Avendo il giudice dell'esecuzione collocato il credito dell'INVIM 
in via chirografaria, e avendo l'Ufficio proposto opposizione al progetto 
di distribuzione, il giudice sospese la distribuzione del. ricavato limitatamente 
all'ammontare del credito per l'INVIM, assegnando il resto all'ISVEIMER 
e fissando l'udienza per la trattazione dell'opposizione. 

Iniziatosi innanzi al Tribunale di Sala Consilina il relativo giudizio, 
detto Tribunale, con sentenza del 5 aprile 1979, si dichiar� incompe� 
tente a decidere la controversia fra l'Amministrazione delle Finanze e 
l'ISVEIMER, affermando trattarsi di lite tributaria, in relazione alla 
quale ritenne competente il Tribunale di Napoli, quale giudice del luogo 
ove aveva sede l'Avvocatura dello Stato competente, a sensi degli 
artt. 8 e 9 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e degli artt. 9 e 25 c.p.c. 

Riassunto il giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, quest'ultimo, 
con ordinanza del 16 giugno 1981, rilev� che la controversia aveva unicamente 
ad oggetto la spettanza, al credito per INVIM, del privilegio 
di cui all'art. 1770 e.e. (e non gi� quello previsto dall'art. 28 del D.P.R. 

n. 643 del 1972), sostenendosi dall'amministrazione che il credito doveva 
essere qualificato come attinente a spese di giustizia, e negandosi tale 
natura privilegiata dall'ISVEIMER; che pertanto, in sede di distribuzione 
della somma ricavata, si faceva questione unicamente della sussistenza 
di un diritto di prelazione di carattere generale in relazione a 
spese che si sostenevano fatte per l'espropriazione dei beni immobili 
nell'interesse dei creditori; che la competenza a decidere spettava, per(
1) Principio pacifico (v. Relazione Avv. Stato 1971-75, Il, 610) del quale 
� fatta applicazione ad una fattispecie di attualit�. 

.366 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tanto, al giudice dell'esecuzione, ossia al Tribunale di Sala Consilina, 
sia per il disposto dell'art. 7 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, modificato 
dalla L. 25 marzo 1958, n. 260 (secondo cui le norme ordinarie 
sulla competenza rimangono ferme anche quando sia in causa un'amministrazione 
dello Stato per i giudizi relativi a procedimenti esecutivi), 
sia perch� la controversia, comunque, non aveva natura tributaria, dovendosi 
tale natura riconoscere solo alle controversie fra l'ente impositore 
e il debitore del tributo, aventi ad oggetto l'esistenza o la misura 
del tributo, l'eventuale esenzione, le forme, i termini e i privilegi per 
la sua riscossione, le modalit� di pagamento e in genere tutti i problemi 
che direttamente investono l'obbligazione fiscale dedotta in giudizio. 

Conseguentemente, il Tribunale, ritenendo la propria incompetenza 
e la competenza del Tribunale di Sala Consilina, sollev� di ufficio 
regolamento di competenza innanzi questa Corte. 

Il P.M. ha concluso per la dichiarazione di competenza del Tribunale 
di Napoli; l'Amministrazione delle Finanze ha presentato memoria, 
con le medesime conclusioni. 

Le conclusioni del P.M. vanno accolte. 

Nel caso di specie, invero, pur essendo la controversia insorta .in 
sede di esecuzione, trattandosi di esecuzione immobiliare e tenuto conto 
dell'ammontare della somma in contestazione, il conflitto negativo di 
competenza � insorto fra due tribunali, entrambi, in astratto, competenti 
per materia, a sensi dell'art. 9 c.p.c., per cui il conflitto vert�. unicamente 
sulla competenza per territorio, affermandosi, dal Tribunale 
di Sala Consilina, e negandosi dal Tribunale di Napoli la competenza 
di quest'ultimo quale giudice del foro erariale, in forza di una diversa 
interpretazione e applicazione dell'art. 25 c.p.c. e della normativa sulla 
difesa in giudizio dell'Amministrazione dello Stato. 

Ne consegue che, posto che la prima delle norme innanzi citate rinvia, 
quanto all'individuazione del foro erariale, alla normativa delle 
leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato, il conflitto va 
risolto in base alla disposizione del T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611, dispo� 
sizioni che non sono state bene interpretate dal Tribunale di Napoli che 
ha sollevato il conflitto di competenza. 

Secondo quanto affermato nella relativa ordinanza, invero il sud


detto Tribunale ha ritenuto sussistere la competenza del Tribunale di 

Sala Consilina, fra l'altro, in forza dell'affermazione secondo cui, in 

ogni caso, la natura finanziaria o meno della lite non avrebbe rilevanza, 

posto che tratterebbesi di una controversia di competenza del giudice 

dell'esecuzione, non solo a sensi dell'art. 512 c.p.c., ma altres� a sensi 

dell'art. 7 del suddetto T.U. 

In proposito va rilevato che, se � vero che quest'ultima norma sta


bilisce che le norme ordinarie di competenza rimangono ferme � per i 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari�, � altrettanto 
vero che tale disposizione attiene alla specifica competenza dei giudici 
dell'esecuzione e del fallimento per gli atti tipici della loro attivit�; ma 
il Tribunale di Napoli non ha considerato che il successivo art. 8 del 

T.U. stabilisce che, in materia di imposte e tasse, resta ferma la competenza 
del foro erariale, anche in relazione a controversie � insorte in 
sede di esecuzione�, come � appunto nel caso di specie. 
Il problema, pertanto, si riduce unicamente nell'accertare se la controversia 
fra l'ISVEIMER e l'Amministrazione delle Finanze possa o meno 
ritenersi� compresa fra quelle contemplate dal suddettq art. 8, e la 
risposta non pu� essere che positiva. 

A tale conclusione deve giungersi sia considerando l'ampiezza letterale 
della norma in esame, che attiene, senza distinzioni, a tutte le 
�controversie giudiziali riguardanti le tasse e le sovrattasse� (e non vi 
� dubbio che quella di specie riguardi un'imposta, sia pure ai fini dell'accertamento 
della natura privilegiata o meno del. relativo credito), sia 
in conformit� al costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte in 
materia. 

Da un lato, invero, questa Corte ha pi� volte affermato che la natura 
di controversia in materia tributaria � ravvisabile anche quando sia in 
discussione non gi� il rapporto di imposta come tale, ma si faccia que� 
stione soltanto dell'esistenza di un privilegio ai fini della realizzazione 
in concreto di un credito di imposta non contestato in s� e per s� 
(ved. sent. n. 274 del 5 febbraio 1971 e da ultimo sent. n. 660 del 28 gennaio 
1981); ed ha altres� ravvisato l'applicabilit� dell'art. 8 del T.U. anche 
nei casi in cui la controversia non verteva fra Fisco e contribuente, ma 
fra Fisco e un terzo che intendesse paralizzare, per ragioni proprie, la 
realizzazione, in sede di esecuzione, del credito di imposta (ved. sentt. 

n. 560/1981 e n. 5512 del 21 ottobre 1981). 
La giurisprudenza sul punto di questa Corte � costante, in definitiva, 
nel riconoscere l'applicabilit� dell'art. 8, ossia la natura finanziaria 
della lite, in ogni caso in cui si controverta sulla realizzazione, in concreto, 
di un credito di imposta, in funzione unicamente della natura 
oggettiva del credito in s� e per s�, indipendentemente dalle ragioni addotte 
per contrastare la pretesa del Fisco (ved., sul punto, la sentenza 

n. 2556/1954, citata dal P.M.). 
Nessun rilievo, pertanto, possono avere le osservazioni dell'ordinanza 
del Tribunale di Napoli in merito alla natura del privilegio vantato, il 
che attiene al merito della causa, alla possibilit� in concreto di realizzare, 
nel caso di specie, la pretesa tributaria con prelazione, ma non toglie 
che comunque la questione sia insorta in una controversia � rigufirdante 
� un'imposta. (Omissis). 


368 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

I

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 agosto 1982 n. 4524 -Pres. Miele 


t 

(

Est. Virgilio -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Mazzella) c. Piperno (avv. Pontecorvo). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Solidariet� -Parti contraenti 
-Soggetto che ha partecipato alla formazione dell'atto come 

I 

rappresentante � � tale. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93). 
I 

Sono solidalmente obbligate per il pagamento dell'imposta di registro, 
quali parti contraenti, quelle che hanno partecipato alla formazione 
dell'atto quali rappresentanti, e fra queste anche gli amministratori delle 
societ�, con Q senza personalit� giuridica (1). 

(Omissis) Con unico motivo la ricorrente censura la sentenza impu


i 

gnata per violazione dell'art. 93 del R.D; 30 dicembre 1923 n. 3269, e ! 
sostiene che la Corte di appello erroneamente ha escluso che la persona I 
intervenuta nell'atto quale amministratore e rappresentante di una sociei! 
t� dotata di person�lit� giuridica sia solidalmente responsabile insieme 1 
% 
con gli altri soggetti per il pagamento del tributo. ! 
La censura � fondata. I 

Secondo i princ�pi pi� volte affermati da questa Corte (v. sent. 6 ot


I

tobre 1972 n. 2856, 23 gennaio 1956 n. 202; 9 agosto 1973 n. 2278 e, da 

'i 

>

ultimo, 24 gennaio 1981 n. 544) l'obbligo della denunzia e del pagamento 

~ 

dell'imposta, ai sensi dell'art. 93 del citato RD. n. 3269 del 1923, grava i 

r.
anche sui rappresentanti o mandatari delle parti contraenti, in quanto ~� 

~ 

l'obbligo stesso riguarda non soltanto le persone tra le quali � intercorso 1

i

il rapporto giuridico che qualifica l'atto, ma anche tutti coloro che, 1 
essendo intervenuti con qualsiasi veste nella confezione, non siano rima!


f 
sti ad essa estranei. f 
Con Ja pi� recente delle indicate pronunce � stato posto in evidenza, ! 
in considerazione della natura di imposta d'atto che l'imposta di regii 
stro sicuramente ha, che la legittimazione al pagamento deriva non gi� ! 

I�

dalla legittimazione al rapporto giuridico regolamentato con l'atto, ma 

unicamente dalla partecipazione alla formazione dell'atto stesso. 

Intesa in tale accezione l'espressione �parti contraenti� (contenuta ! 
nell'art. 93 citato), � evidente che non � possibile distinguere dagli altri ! 
il caso del rappresentante di societ� dotata di personalit� giuridica, in 
quanto anche in tale situazione il soggetto � compreso tra quelli inter


I venuti nella formazione dell'atto e, quindi, obbligato al pagamento deli 
l'imposta di registro. (Omissis). !

i 

(1) Giurisprudenza costante sotto la abrogata legge di registro, di cui si fa 
specifica applicazione anche all'amministratore di societ� dotata di personalit� 
giuridica (Cass. 6 ottobre 1972, n. 2856, in questa Rassegna, 1973, I, 217; 9 agosto 
1973 n. 2278, ivi, 966; 24 gennaio 1981, n. 544, in Riv. leg. fisc. 1981, 1329). L'art. 55 
I 

della vigente legge di registro non sembra avere apportato variazioni. 

l 

I 
! 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 novembre 1982 n. 6035 -Pres. 
Marchetti -Est. Virgilio -P. M. Sgroi (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Angelini Rota) c. Ente Autonomo Acquedotto Pugliese 
(avv. Guarino). 

Tributi erariali diretti � Imposta sulle societ� � Esenzione dell'art. 151, 
lett. C), del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 � Consorzio � � limitata ai 
consorzi fra enti pubblici territoriali � Ente Autonomo Acquedotto 
Pugliese � Non � tale. 

(t.u. 
29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. C). 
L'esenzione dall'imposta sulle societ� prevista nell'art. 151 lett. c) 
del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 per regioni, province, comuni e relativi 
consorzi deve intendersi limitata ai consorzi fra enti pubblici territoriali 
e non estensibile a consorzi di diversa natura, quali l'Ente Autonomo Acquedotto 
Pugliese (1). 

(Omissis) La ricorrente deduce che erroneamente l'Ente Autonomo 
Acquedotto Pugliese � stato ritenuto riconducibile alla categoria dei soggetti 
indicati nell'art. 151, lett. c), del T.U. n. 645 del 1958, ai fini della 
esenzione dall'imposta sulle societ�, in quanto la norma -menzionando 
le regioni, le province, i comuni. e relativi consorzi -ha inteso riferirsi 
a questi ultimi (� consorzi �) non in senso ampio e generico, ma con 
esclusivo riguardo a quelli costituiti tra gli enti pubblici territoriali o 
con la partecipazione di tali enti, modellati secondo gli schemi e la disciplina 
risultanti dalla legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383. 

Aggiunge che l'E.A.A.P., a causa della sua originaria configurazione, 
gi� di carattere anomalo rispetto alle connotazioni tipiche dei consorzi, 
ma soprattutto in conseguenza della profonda trasformazione apportata 
alla struttura dell'ente con il R.D.L. 19 ottobre 1919 n. 2060, � 
sicuramente privo dei requisiti essenziali per essere annoverato nella 
categoria dei consorzi menzionati nella norma agevolativa. 

Va premesso che la question,e della natura dell'ente, agli effetti della 
sua esenzione dall'imposta sulle societ�, � stata decisa in senso difforme 
con due sentenze della prima sezione civile di questa Corte (n. 4295 del 
12 luglio 1979 e n. 5224 del 9 ottobre 1979) e perci� le Sezioni Unite sono 
ora chiamate a comporre il contrasto. 

Le indicate sentenze, dopo ampia disamina delle vicende legislative 
sull'istituzione, modificazione e sviluppo operativo dell'Ente Autonomo 
Acquedotto Pugliese, in correlazione alla normativa tributaria contenuta 

(1) Decisione da condividere che ha risolto un netto contrasto fra anteriori 
pronunzie della 
prima Sezione. 
!denti.che sono le altre sentenze in pari data nn. da 6036 a 6041. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

370 

nel T.U. n. 645 del 1958, hanno suffragato le rispettive opposte statuizioni 
con dovizia di argomentazioni, le quali -muovendo da prospettive 
divergenti -sembrano condurre a conclusioni egualmente coerenti 
rispetto alla diversa ottica in cui l'analisi dei due collegi giudicanti � 
stata condotta. 

Queste Sezioni Unite ritengono che il contrasto vada risolto in conformit� 
della sentenza n. 4295 del 12 luglio 1979, in base a una valutazione 
interpretativa pi� strettamente correlata alla natura dell'indagine 
che la controversia richiede, la quale s'incentra sulla definizione della 
sfera di applicabilit� di una norma di esenzione fiscale, suscettibile di 
interpretazione estensiva, ma non anche di quella analogica. 

Se si muove da questa premessa, la soluzione del problema non presenta 
difficolt�. 

Nell'indagine volta a stabilire il preciso significato, nel testo unico 
del 1958, della espressione � le regioni, le province, i comuni e relativi 
consorzi �, l'interprete non pu� prescindere dalla considerazione che nella 
terminologia giuridica, tanto in sede legislativa e dottrinaria quanto nel 
settore dell'attivit� giurisprudenziale, il fenomeno consortile � stato sempre 
caratterizzato da connotazioni tipiche che lo hanno nettamente differenziato 
da altre forme associative analoghe e, sotto il profilo dinamico, 
da una numerosa serie di attivit� pi� o meno affini. 

Nella complessa gamma di tale ben definita categoria, un rilievo 
particolare assumono i consorzi amministrativi, mentre, nell'ambito di 
essi, si evidenzia la peculiare figura dei consorzi tra enti pubblici territoriali. 


Di fronte a un panorama articolato e variegato dell'istituto consortile 
(risultante non solo dal contesto della legislazione, ma anche dalla dottrina 
e dalla giurisprudenza) l'interprete deve perci� ragionevolmente 
ritenere che il testo unico n. 645 del 1958, con l'espressione � regioni, 
province, comuni e relativi consorzi �, abbia inteso riferirsi specificamente 
alla categoria dei consorzi costituiti tra gli enti pubblici territoriali 
menzionati o, a tutto concedere, a quelli caratterizzati prevalentemente 
dalla partecipazione di tali enti. 

L'uso dell'aggettivo �relativi� immediatamente dopo l'indicazione 
dei tre enti pubblici territoriali esistenti nel nostro ordinamento � chiaramente 
indicativo della volont� del legislatore di porre una stretta 
correlazione, agli effetti della prevista agevolazione fiscale, tra gli enti 
ammessi al beneficio e i consorzi ai quali si intendeva estendere, ma anche 
circoscrivere, la concessione dello stesso beneficio. 

Appare dunque evidente che il significato proprio delle parole usate 
dal legislatore (che costituisce sempre il primo presidio di orientamento 
nell'attivit� ermeneutica) non consente di ritenere che la disposizione 
dell'art. 151 lett. e) possa comprendere anche categorie di consorzi non 
strettamente rientranti nella ben definita figura di cui si � detto. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Va inoltre considerato e sottolineato che all'epoca della emanazione 
del testo unico del 1958 sulle imposte dirette si era gi� vistosamente 
verificato, nel settore del perseguimento degli interessi pubblici, il fenomeno 
dell'intervento dello Stato attraverso molteplici nuove forme 
operative, soprattutto con la costituzione di enti pubblici svolgenti specifiche 
attivit� di ausilio o integrative di quella statale e della pubblica 
amministrazione in genere; sicch� all'interprete non pu� sfuggire il 
peculiare significato che, nell'indicato contesto, assunse nell'intenzione 
del legislatore il termine �consorzio�, il quale nel linguaggio tecnicogiuridico 
aveva e ha un preciso contenuto concettuale. 

Si vuole cio� evidenziare che, nonostante le sopravvenute forme di 
realizzazione dell'interesse pubblico mediante creazione di nuovi enti, 
con attribuzione anche di compiti tradizionalmente affidati �ai consorzi, 
il legislatore del 1958 ha mantenuto, agli effetti di cui si discute, la distinzione 
tra i nuovi organismi e i consorzi, conservando per questi ultimi 
una separata regolamentazione. 

Allo stesso criterio si � uniformato anche il D.P.R. 29 settembre 1973 

n. 598 (istitutivo dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche) perch� 
l'art. 2, nella elencazione dei soggetti passivi del tributo, sotto la 
lettera b) menziona espressamente i consorzi accanto agli altri enti pubblici 
e privati. 
Esiste dunque nella legislazione, anche recente, una costante differenziazione 
tra la categoria dei consorzi, in tutte le sue configurazioni, e 
quella degli enti pubblici in genere e di altre forme associative. 

Da questa constatazione � agevole dedurre che il legislatore ha sempre 
usato consapevolmente il termine �consorzio� nel suo significato 
tecnico-giuridico, e che la regolamentazione di tale istituto, anche sotto 
il profilo fiscale, presenta nella normazione un'autonoma rilevanza, la 
quale definisce e circoscrive la' detta categoria rispetto ad altre aventi 
connotati analoghi o simili. 

La conferma del criterio di precisione terminologica cui si � ispirato 
il legislatore nell'uso del sostantivo � consorzio � si ricava anche 
dall'art. 151 del T.U. del 1958, della cui interpretazione si discute, perch� 
nella norma si fece riferimento (lett. �a�) ai consorzi delle societ� 
agricole e di consumo, e inoltre (lett. �e�) ai consorzi di bonifica, miglioramento, 
irrigazione e per opere idrauliche, nonch� (lett. �e� e � d �) 
ai consorzi relativi agli enti pubblici territoriali, alle aziende dello Stato, 
delle regioni, delle province e dei comuni, a condizione -per questi 
ultimi -che gestissero di fatto in regime di monopolio servizi di interesse 
pubblico. 

Furono perci� previsti ed elencati particolari tipi di consorzi, mentre 
la menzione specifica e puntuale di essi sarebbe stata in gran parte 
superflua se il legislatore avesse inteso concedere l'agevolazione non 
gi� a ben individuate specie di consorzi, ma genericamente a tutti quelli 


372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rientranti nella categoria dei consorzi amministrativi, essendo evidente 
che in tal caso sarebbe stato sufficiente l'uso di una espressione letterale 
sintetica che avesse fatto riferimento alla detta categoria e all'attivit� 
di pubblico interesse esplicata dagli enti. 

Tutte le considerazioni che precedono hanno carattere decisivo per 
la soluzione del caso in esame. 

Ai fini che qui interessano non occorre tanto stabilire se l'Ente 
Autonomo Acquedotto Pugliese presentasse originariamente le caratteristiche 
proprie del consorzio costituito tra enti pubblici territoriali (su 
questo punto pu� condividersi l'argomentazione della sentenza n. 5224 
del 1979, che ha efficacemente sottolineato la natura di consorzio del-
l'ente all'atto della sua costituzione, sia nell'essenza oggettiva, sia perch� 
il legislatore lo qualific� appunto come consorzio), quanto di accertare 
se dopo la riforma attuata con il R.D.L. 19 ottobre 1919 n. 2060 l'ente 
abbia mantenuto sufficientemente inalterate le stesse caratteristiche, o 
se invece abbia assunto una diversa configurazione giuridica, atta a renderlo 
estraneo al fenomeno consortile. 

La risposta al quesito � certamente in quest'ultimo senso. 

Va innanzitutto considerato che non � possibile sminuire l'importanza 
delle espressioni usate dal legislatore nel R.D.L. 19 ottobre 1919 
n, 2060, contenente una completa nuova regolamentazione dell'ente di 
cui si discute. 

Gi� nella premessa del detto decreto significativamente si afferma 
� la necessit� di trasformare il consorzio in un ente autonomo � per la 
gestione tecnica e amministrativa di molteplici opere, anche al di l� 
di quelle di competenza dell'originario consorzio costituito con la legge 
26 giugno 1902 n. 245. 

Il provvedimento legislativo del 1919 mut� anche la denominazione 
dell'ente e dispose testualmente: �il consorzio assumer� il nome e 1a 
funzione di Ente autonomo per l'acquedotto pugliese�. 

E che non si tratt� di una semplice modificazione d'ordine formale � 
dimostrato dal notevole ampliamento della sfera di attivit� del nuovo 
organismo, nel quale -sul piano della struttura partecipativa -divenne 
preponderante l'ingerenza dello Stato; sicch� alla figura del consorzio 
in senso tecnico-giuridico (caratterizzata da pluralit� di soggetti, 
interesse comune, volont� di associarsi) subentr� e si sostitu� un pi� 
vasto organo di attivit� e di gestione. 

In sostanza tale organo, pur includendo e assorbendo in s� i compiti 
gi� di spettanza del consorzio, nei confronti di quest'ultimo assunse 
caratteristiche differenziali di non lieve importanza. 

Queste considerazioni sono gi� sufficienti per far escludere che l'ente 
possa essere annoverato, dopo le menzionate modificazioni strutturali e 
operative, nella categoria dei consorzi indicati nella disposizione di agevolazione 
fiscale. 


PARttl I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 PARttl I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 
Anche se tale categoria si ritenesse comprensiva non soltanto dei 
consorzi � tra � enti pubblici territoriali in senso stretto, ma altres� di 
quelli costituiti � con � la partecipazione prevalente dei detti enti, egualmente 
gli elementi di differenziazione avanti richiamati resterebbero di 
tale rilevanza, sotto il profilo della configurazione particolare attribuita 
all'ente con il provvedimento del 1919, da non consentire l'assimilazione 
tr� l'E.A.A.P. e la di;:lineata figura di consorzi. 

La convalida della esattezza di questa conclusione risulta peraltro 

Q.a un. argomento legislativo-testuale, valido di per s� a dimostrare la 
infondatezza della tesi accolta nella decisione impugnata. 
La legge 20 marzo 1975 n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli 
enti pubblici) ha infatti previsto nel secondo comma dell'art. 1 l'esclusione 
dall'ambito di applicazione delle nuove norme degli � enti locali 
e territoriali e loro consorzi�, e nel terzo comma, agli stessi fini, ha 
fatto .riferimento alla tabella allegata alla legge (contenente l'elenco di 
alcuni enti), nella quale, sotto il n. IV -Enti preposti a servizi di pubblico 
interesse -� menzionato anche l'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese. 


La deduzione � di evidente linearit�: se il legislatore, in un provvedimento 
di natura ricognitiva sul riordinamento degli enti pubblici, 
ha incluso l'E.A.A.P. in una categoria classificatoria con una propria 
connotazione, significa chiaramente che non Io ha qualificato e considerato 
come rientrante concettualmente nella canegoria dei consorzi tra 
enti locali e territoriali gi� prevista separatamente nel secondo comma 
dell'art. 1. 

In conclusione, per tutte le argomentazioni esposte il ricorso deve 
essere accolto. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� febbraio 1983 n. 864 -Pres. Miele Est. 
Battinelli -P. M. Nicita -Regolamento di competenza. 

Tributi erariali indiretti -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione 
� Canone di abbonamento alle radioaudizioni -Natura del 
tributo � Competenza del tribunale. 

(d.l. 21 febbraio 1938, n. 246, art. 1; d.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180}. 
Poich� il canone di abbonamento ha natura di tributo, le relative 
controversie sono di competenza del tribunale (1). 

{1) Giurisprudenza costante, opportunamente rinverdita ~Cass. 16 gennaio 
1975, n . .164, in questa Rassegna, 19.75, I, 416). 



374 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis) Salvatore Giuffrida, con atto di opposizione proposto a 
sensi dell'art. 3 del T.U. n. 639 del 1910, convenne innanzi al Pretore di 
Torino l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, chiedendo dichiararsi 
l'illegittimit� di una ingiunzione di pagamento emessa nei suoi confronti 
dall'Ufficio del Registro di Torino per omesso pagamento di canone 
di abbonamento alle radioaudizioni, sostenendo di non aver mai posseduto 
un apparecchio televisivo e di avere la residenza fuori del territorio 
dello Stato. 

L'Amministrazione resistette alla domanda, eccependo preliminarmente 
l'incompetenza per materia del Pretore, avendo la causa ad oggetto 
il pagamento del canone, di natura tributaria, per cui competente a 
conoscere dell'opposizione avrebbe dovuto essere il Tribunale di Torino, 
a sensi dell'art. 9, 2� comma, c.p.c. 

Il Pretore, con sentenza non definitiva del 6 marzo 1982, dichiar� la 
propria competenza, condannando l'Amministrazione alle spese e disponendo 
la prosecuzione del giudizio nel merito. 

Osserv� il Pretore che la parola � canone � sta ad indicare una prestazione 
periodica fissa, che nel caso di specie ha una causa non contrattuale, 
bens� di diritto pubblico da qualificarsi come un prezzo amministrativo, 
inteso e destinato, nella quasi totalit�, a sopperire ai costi 
dell'ente radiotelevisivo, e solo in piccola parte qualificabile come tassa 
riscossa dallo Stato (nella misura del 10%); che di conseguenza, per il 
principio dell'attrazione e dell'assorbimento, data la prevalenza, nella 
prestazione dell'utente, del �prezzo� rispetto alla �tassa�, nella fattispecie 
la competenza andava determinata secondo le norme generali 
della competenza per valore, con affermazione, quindi, della competenza 
del giudice adito. 

Contro questa sentenza l'Amministraizone delle Finanze dello Stato 
ha preposto ricorso �per regolamento di competenza fondato sui seguenti 
motivi: 

1� motivo: violazione dell'art. 9; 2� comma, c.p.c., nonch� degli 
artt. 1 e segg. del D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, convertito in legge 4 giugno 
1938, n. 880: 

Si sostiene, sulla base della sentenza della Corte Costituzionale 8 giugno 
1963, n. 81, che seppure l'obbligazione a carico dell'utente nacque 
con caratteri di natura convenzionale privatistica, allorch� l'art. 3 del 

R.D. 1� maggio 1924, n. 665, pose a carico dell'utente, oltre alla tassa 
di licenza, un diritto a favore del concessionario, si ebbe una modificazione 
successiva dell'orientamento legislativo, allorch� con l'art. 7 del 
R.D.L. 23 ottobre 1925, n. 1917, ifu prevista una licenza di abbonamento 
da rilasciarsi dall'ufficio postale, legittimato a ricevere tanto la tassa 
di licenza che il diritto del concessionario; che ulteriore evoluzione si 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 

ebbe allorch� con l'art. 2 del R.D.L 20 luglio 1934, n. 1203, si attribu� 
alla r.iscossione del canone di abbonamento la procedura (con gli annessi 
privilegi) prevista per la riscossione dei tributi statali, affidandosi la 
riscossione agli uffici del registro e prevedendosi che le quote rispettivamente 
spettanti allo Stato e all'Ente trasmettitore andavano determinate 
con decreti del ministro delle comunicazioni e del ministro delle 
finanze, s� che scomparve la distinzione fra tassa di licenza e canone 
di abbonamento, posto che entrambi venivano riscossi ed incamerati 
dallo Stato, e solo successdvamente il loro importo veniva ripartito fra 
Stato e concessionario per il finanziamento dell'attivit� di quest'ultimo; 
che la natura tributaria del canone dovuto dagli utenti � accentuata 
dal fatto che esso � dovuto per il solo fatto della detenzione di un 
apparecchio ricevente, giusta quanto disposto dall'art. 1 del D.L. 21 febbratio 
1938, n. 246, s� che il rapporto fra utente e produttore del servizio 
sfugge ad ogni natura negoziale, essendo svincolato dalla volont� negoziale 
dell'utente. 

Inoltre, si richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo. cui 
alla definizione come tributaria dell'obbligazione dell'utente si perviene 
considerando che la prestazdone del servizio radio-televisivo avviene per 
soddisfare non gi� gli int�ressi dei singoli utenti, ma un interesse prevalente 
della collettivit�; inoltre, � da tener presente che la qualificazione 
di tassa di abbonamento � espressamente attribuita al canone iin questione 
dall'art. 7 del D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180, ed � confermata dal 
fatto che il pagamento avviene all'Amministrazione delle Finanze, che lo 
gira a favore del concessionario, peraltro tenuto a corrispondere una 
quota dei proventi effettivi lordi; dal fatto che l'accertamento delle violazioni 
alla disciplina degli abbonamenti e l'applicazione delle penalit� 
sono regolamentati dalle norme della legge 7 gennaio 1929 n. 9, sulla 
repressione delle violazioni alle leggii finanziarie; dal fatto che il relativo 
credito � assistito dal privilegio speciale mobiliare previsto per i tributi 
indiretti, nonch� dal privilegio generale a favore dello Stato per i 
contributi indiretti; ed infine dalla� prevista comminatoria di una sopratassa, 
chiaramente di natura fiscale, per il ritardato pagamento del 
canone. 

2� Motivo: violazione, sotto diverso aspetto, dell'art. 9 e dell'art. 31 

c.p.c. 
Subordinatamente, si sostiene che, qualora non tutte le prestazioni 
pecuniarie dovute dall'utente avessero natura tributaria, ugualmente la 
controversia, avente comunque per oggetto, in parte, una controve:risia .tributaria, 
avrebbe dovuto essere portata alla cognizione del Tribunale, la 

cut 
comvetenza.tunz�onale doveva assorbire quella per valore del Pretore. 
Il Giuffrida non si � costituito. Il P.M. ha concluso per l'accoglimento 
del ricorso. 

:

,,..,,,.,.,,,,.,,.,,.,,.,,,._,,,,,l,11�1fll 



376 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il ricorso appare fondato, in relazione ad entrambi i motiv.i su cui 
si articola. 

Quanto al primo, infatti, � pacifico che quello delle radio-teletrasmissioni 
� un pubblico servizio, volto principalmente e prevalentemente 
alla soddisfazione di interessi della collettivit�, e non a quelli specifici 
dei singoli utenti, la cui volont� di contrarre l'abbonamento alle trasmissioni 
non � libera, essendo sufficiente presupposto dell'obbligo del 
pagamento del canone il semplice possesso di un apparecchio idoneo a 
ricevere le trasmissioni, indipendentemente dal suo effettivo godimento 
(ved. in questi sensi la sentenza di questa Corte. n. 164 del 1975). 

Dal che deriva che il canone in questione � espressamente definito 
�tassa di abbonamento� dall'art. 7 del D.P.R. n. 180 del 1952, e tale 
qualit� � confermata da tutta la serie di disposizioni che ne regolano il 
pagamento e la riscossione nonch� la successiva destinazione: cos� � 
per l'obbligo di pagamento del canone all'Amministrazione delle Finanze, 
che la gira al concessionario con l'obbligo, per quest'ultimo, di corri


~ 

spondere una quota dei proventi effettivi lordi (ved. artt. 3 e 25 R.D.L. 
21 febbraio 1938, n. 246, l'art. 21 del D.P.R. n. 180 del 1952 e il D.P.R. 

n. 1234 del 1969); per il rinvio alle norme della legge 7 gennaio 1929, 
I

n. 4 -norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finan~~


ziarie -; per tutto ci� che attiene all'accertamento delle evasioni; per 
l'attribuzione della competenza per tale accertamento agli ispettori e 

Ji 

procuratori delle tasse e imposte indirette sugli affari; per �l'attribuzione 

I r~ 

ai Ministri delle Comunicazioni e delle Finanze della competenza a deter


minare le quote degli introiti spettanti rispettivamente allo Stato e alla 

~

societ� concessionaria; per la concessione al credito per il canone di 

~~-.

<

abbonamento del privilegio speciale mobiliare previsto in genere a favore < 
dei crediti dello Stato per i tributi indiretti, nonch� del privilegio gene-� ~~ 
raie sui mobili previsto, per i suddetti crediti, a favore dello Stato; ID 

~j~

infine per la comminatoria, in caso di mancato o ritardato pagamento, 

I 
~ 

di una sovrattassa, di evidente natura fiscale e non civilistica. ~ 

Non pu� dubitarsi, pertanto, che una controversia avente ad oggetto 
il pagamento del canone di abbonamento rientri in pieno nell'ampia 
nozione di controversia finanziaria delineata da questa Corte, ai fini 
della individuazione del Tribunale, quale giudice competente per materia 
a sensi dell'art. 9 c.p.c., cos� come specificamente, in relazione proprio 
a casi analoghi, gi� questa Corte ha avuto occasione di pronunziarsi. 

La sentenza impugnata, inoltre, appare erronea anche per quanto 

I

denunciato nel secondo motivo di ricorso, dal momento che, avendo Io 

1i 

stesso Pretore riconosciuto natura tributaria ad una quota almeno del 

lli

canone di abbonamento in discussione, la competenza funzionale del 
Tribunale avrebbe dovuto attrarre a detto giudice anche la � parte � di 1: 
controversia rientrante nella competenza per valore del Pretore, a sensi f 
dell'art. 31 c.p.c. (Omissis). i:' 
(�'. 


~: 
~=:

i:: 

!'i

i,:

1:: 

--. --�


. 


377 

CORTltDl CASSAZIONE, Sez. Un., 17 febbraio 19$3, n. 1205 � .Pres. Greco 
� Est~ Virgilio � P. M. G. Sgroi (conf.). Collegio di San Clemente 
degli Spagnoli (avv. La Pergola e Guarino) c. Comune di Baricella 
(avv.. Gualan.di) e Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). 

���ᥥ!~~w~~9'f���fuiTifl:~~~~�iiiJie~~tig~~1eti~u:�gi~~�01&c~1~1: 

� dit&isctMo:tle ol'dfuarla��" Sussiste��..� 

(t;~. iii ~b~~ i~3~. 71. !175, ~. l�, n. S; t.u. 3 marzo 1934, n. 383, lirt. 93, n. 7). 

�.. �.�.�.�.� ... �.�.� .. �. 

,.~frj~r~1:i~~i'J!,2:~~-~'fr;#iir.&11&~;~; 


net.. ponfrof1ti.. delta ��.st~to...ch~ᥥdel����c9ntrib4eiite;��.afJ!�tUe1Je... di. cOtt!;eguenza 

������j1�l~MffJ~etf~l~i~f0a/iJ;;~~JbJ~i~~jJj~!1u~~=hJ~s~!t~~1~0rnun���diretta 

..:<:-::.:::.�:\:::/� .::::::>:-::::::\::/::::�>::::�::<::::<: :.�.-: 
.(0mi$$is)�:-,;:-�: �>�>-:>>:::::�:-:-:��ruasstlllte nei termitli indieati �.� .� . le . censure . contenute . ..�... . nelle

:-� <. �'-:://�-::: .�.. � ..� .�...�. �.� . �. . . . 

~.e .p.l).s11azjqtli, o��Qrre esaxrull,�:te in V':ia �pregiudiziale il primo motiY9 
gel t�cors() �llcide11ta1e, . con dl�quale si deduce il difetto assoluto di 
gi..t'isc:lizi()ne� .. 4el~fu:(f.:iceprc1inario a pronunciarsi sulla domanda del 
Comune. di. Baricella . 

.Jt .m,ot~v9.� ll9l:l ~ ~()ndato. 

. J,.'el.lte ter::r~t9riaje ha chiesto l'affermazione del suo diritto, nei confron# 
del �i()llegi.() San Clemente degli Spagnoli (Albornoz), all'applicazi9ne: 
accei:tamento. ed esazione delle sovraimposte comunali su terreni, 
fabbricati e ricchezza mobile, richiamando le fonti normative (artt. 10, 

n. 8, e 254 e seg.enti del T.U.F.L. 14 dicembre 1931 n. 1175; 93 n. 7 del 
1';(1�. 3 ):narzo. 1934 n. 383) attributive della relativa potest� impositiva, 
���s()st�ll~:tldo,inoltre, l'inesistenza nell'ordinamento giuridico italiano di 
un. vali# titolo di esenzione fiscale in favore del detto Collegio. 
�~a �nche chiesto, come mezzo al fine, la disapplicazione -all'occorreM4 
'."':".'.. s()tto il profilo della loro illegittimit�, degli atti con i quali � stafo dlsc�nosciuto il suo diritto d'imposizione. 

(1) Questione nuova. Se � vero che il potere di imposizione riconosciuto agli 
enti locali � qualificabile come diritto soggettivo pubblico, � anche vero che nel 
caso 'specifico il potere conferito � quello di sovrimporre non sui redditi dei 
fabbricati ma sulle contribuzioni dirette erariali; non pu� cio� esistere sovrimposta 
senza imposta ed � dubbio che l'ente locale abbia il potere di far affermare 
il dir~tto dello Stato all'imposta. 
11 

-


--~ .!.""''" 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'oggetto del giudizio riguarda dunque la tutela della posizione di 
diritto soggettivo (pubblico) dell'ente territoriale, riconosciuta e garantita 
da leggi dello Stato. 

Il potere impositivo, quale espressione della capacit� di diritto pubblico 
dell'ente, trova infatti fondamento nelle suindicate disposizioni legislative 
(ora abrogate), le quali attribuivano ai Comuni la facolt� di 
istituire sovrimposte alle contribuzioni dirette su terreni e fabbricati. 

Il meccanismo di collegamento esistente tra il rapporto tributario 
Comune-contribuente (per le sovrimposte) e l'altro rapporto Stato-contribuente 
(riguardante i tributi diretti), e il dedotto carattere di accessoriet� 
delle sovrimposte rispetto ai tributi erariali, non valgono a far 
ritenere che la tutela invocata dal Comune di Baricella non abbia la 
consistenza del diritto soggettivo. 

L'istanza di accertamento dell'inesistenza di una valida esenzione 
tributaria in favore del Collegio San Clemente, e la conseguente affermazione 
della piena operativit� del potere impositivo riconosciuto dall'ordinamento 
all'ente territoriale, conferiscono alla �domanda� la chiara 
connotazione di richiesta di tutela di un diritto soggettivo pubblico, 
senza che possano avere influenza sulla natura della posizione giuridica 
dedotta a sostegno dell'istanza stessa l'opinione e il comportamento degli 
organi dell'amministrazione finanziaria statale in ordine all'esistenza 
di norme di esenzione in favore del Collegio. 

Va aggiunto che l'esito dell'accertamento -positivo o negativo promosso 
dal Comune (nei confronti sia dell'amministrazione finanziaria 
statale, sia del Collegio di San Clemente degli Spagnoli) sulla esistenza 
delle disposizioni tributarie di favore invocate dal Collegio, non 
pu� non produrre effetti, a causa dei comuni presupposti di fatto e 
giuridici delle due potest� impositive e della foro inscindibilit�, anche 
nel diverso rapporto riguardante le imposte erariali; mentre non pu� 
ritenersi, come si � gi� detto, che il mero comportamento degli organi 
finanziari dello Stato, fondato sulla opinione dell'esistenza di una valida 
norma di esenzione fiscale, possa di per s� costituire ostacolo per la 
configurabilit� della posizione di diritto soggettivo del Comune, il quale 
pretende in sostanza di esercitare il potere impositivo attribuitogli dalla 
legge. 

Ritenuto pertanto che la controversia rientra nella sfera della giurisdizione 
ordinaria, pu� passarsi all'esame del ricorso principale. 
Il primo motivo � volto a far dichiarare che il Collegio di San Clemente 
degli Spagnoli ha diritto alla esenzione tributaria. 
Con la memoria del 18 novembre 1982 il Collegio ha invocato, a 
sostegno di tale diritto, lo ius superveniens costituito dalla legge 29 set



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tembre 1980 n. 663, intervenuta in epoca successiva alla proposizione 
del ricorso per cassazione, e sostiene che sulla base della identica situazione 
di fatto gi� considerata dalla Corte di appello il riconoscimento 
del suo diritto alla esenzione dal pagamento dei tributi pretesi 
dal Comune di Baricella � ora pienamente consacrato nella indicata 
legge . 

.La deduzione � fondata. 

Con la legge n. 663 del 1980 -intitolata �Ratifica ed esecuzione 
della convenzione tra l'Italia e la Spagna per evitare le doppie imposizioni 
in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fi. 
scali, con protocollo aggiuntivo, firmato a Roma 1'8 settembre 1977 � � 
stato ratificato, come risulta dalla riportata intestazione, anche il 
Protocollo aggiuntivo, il quale, tra l'altro, cos� dispone: � lett. a) per 
quanto concerne l'art. 6 della presente Convenzione, J.e disposizioni previste 
nel processo verbale della seconda sessione (Roma dal 29 maggio 
al 3 giugno 1957) della Commissione Mista italo-spagnola, che hanno 
formato oggetto dello scambio di note tra l'Italia e la Spagna del 28 
marzo 1958 e che costituiscono allegati all'accordo culturale italo-spagnolo 
dell'll agosto 1955, sono confermate ad ogni effetto. 

In particolare le esenzioni fiscali contenute nei predetti accordi, 
ivi comprese quelle che sono previste a favore del patrimonio del Collegio 
S. Clemente (Albomoz) in Bologna, producono tutti i lori effetti 
dalle date ivi indicate �. 

La chiara portata della trascritta norma del Protocollo aggiuntivo 
(egualmente ratificato e dichiarato esecutivo con la menzionata legge 

n. 663 del 1980) toglie ormai consistenza a tutte le argomentazioni addotte 
dalla sentenza impugnata per dimostrare la inoperativit�, nell'ordinamento 
italiano, delle norme agevolative in favore del Collegio San 
C.lemente, in quanto conferma espressamente tali norme e ne fissa la 
decorrenza dalle date 29 maggio-3 giugno 1957 (indicative del periodo 
di riunione della Commissione mista che stabil� la esenzione tributaria) 
e del 28 marzo 1958, quando avvenne lo scambio di note tra l'Italia 
e la Spagna, costituenti allegati all'accordo culturale dell'll agosto 1955. 
L'arco di tempo in ordine al quale il Comune di Baricella ha chiesto 
l'accertamento della fondatezza della pretesa tributaria (il periodo controverso 
riguarda l'anno 1960) � interamente coperto daJ.la normativa 
di esenzione, per cui ogni ulteriore discussione diventa superflua e restano, 
conseguentemente, assorbiti sia il secondo motivo (subordinato) 
del ricorso principale, sia gli altri motivi (2� e 3�) del ricorso incidentale. 

In conclusione, in applicazione dello ius superveniens, la controversia 
va nuovamente rimessa in fase di appello perch� sia esaminata 
alla stregua della indicata legge n. 663 del 1980. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

380 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 25 marzo 1983 n. 2091 -Pres. Granata Est. 
Ruggiero -P. M. Pandolfelli (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Mari) c. Iaccarino (avv. Manfredonia). 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Fabbricato in compropriet� Destinazione 
ad attivit� commerciale esercitata da alcuni soltanto dei 
comproprietari -Assoggettamento all'imposta fondiaria p.er l'intero Esclusione. 


(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 70 e 72). 
Poich� l'imposta colpisce il reddito e non la costruzione � ben possibile, 
nel caso che il fabbricato in compropriet� sia destinato ad attivit� 

commerciali esercitate da alcuni soltanto dei condomini, che le quote di 
pertinenza dei condomini che esercitano attivit� commerciale entrino a 
comporre il reddito di impresa e solo le altre siano assoggettate all'imposta 
sui fabbricati (1). 
(Omissis) La ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione 
dell'art. 72 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645 in relazione all'art. 360 n. 3 
cod. proc. civ., sostiene che nel sistema dell'imposta sui redditi dei fabbricati 
il presupposto oggettivo dell'imposta � costituito dal possesso di 
una � costruzione � o di una � porzione di costruzione � capace di produrre 
un reddito autonomo, con chiaro riferimento, cio�, ad entit� materialmente 
e strutturalmente individuate e circoscritte, ed in tale sistema 
sarebbe del tutto incompatibile la possibilit�, ritenuta dalla corte di appello, 
di sottoporre a tributo �Solo una quota ideale dell'i~mobile, di 
per s� insuscettibile di produrre un reddito oggettivamente autonomo, per 
cui ogni costruzione o porzione materiale di costruzione sarebbe necessariamente 
per l'intero soggetta al tributo, immobiliare, ovvero per intero 
esclusa da tale tributo nel caso, previsto dall'art. 72 del T.U. n. 645/1958, 
di immobile destinato a servizio di impresa commerciale, gestita dallo 
stesso proprietario; da ci� la necessit�, ai fini dell'esenzione, della piena 
identit� tra titolarit� del possesso e titolarit� dell'impresa e, nel caso che 
(1) Questione nuova .. Sulla soluzione adottata � lecita qualche riserva giacch� 
la compropriet� nei riguardi dell'imposta reale d� luogo piuttosto ad una 
indivisibilit� che ad una ordinaria solidariet�; lo rivelano in particolare le 
modalit� del procedimento (dichiarazione da parte di detto collettivo non tassabile 
in base a bilancio, accertamento nei confronti di questa, iscrizione a ruolo 
unitaria in base alle risultanze catastali). Ed anche a seguito della riforma, 
e particolarmente prima della emanazione del d.P R. 24 dicembre 1976 n. 920, 
la solidariet� stabilita per l'ILOR dall'art. 33 del d.P,R. 29 settembre 1973, n. 602 
sembra impedire che lo stesso immobile possa dar luogo a quote con diverso 
regime tributario. 

PARTE. r, snz, VI,. GitlRISPRUDJ;!NZA TRlBUTAIUA 

tale coincidenza non ricorra, l'assoggettamento del fabbricato al tributo 
immobiliare anche per le quote di pertinenza dei comproprietari gestori 
dell'impresa. 

Il ricorso non � fondato. 

I.a .tesi ed il ragionamento della difesa dell'Amministrazione sono 
viziati' au'ongiri.e da tti1 eh:'�re fondamentale d'h@ostazione, che cio� 
()ggett<:f lf~U'@@#a ~<:>biliare sia l� costruzione o la porzione di 
cci$ttt1Zfoiie suscettibile di� reddito autonomo, mentre � fuori discussione 
eh.e; it:tvece, >oggetto del tributo � non gi� l'�nmobile, bens� il reddito 
che c,{~U'immobile s� ritrae. :e vero �che la stessa �legge potrebbe indurre 
. . . m eqp.i\rocc:>allorch�, PWPrio all'art. 72;.del testo unico,.�per gli immobili 
d~stmati.aU'esetcwo ~i attivit� commerciali� (come al precedente art.�� 71, 
per gli immobili destinati all'esercizio di impresa agricola), parla di <1 costru.
zioni o ~ 11orzi0m di �.costruzioni � non soggette all'im,posta; ma � 
cw.ax-o <;he,; poich� l'�nposta in. questione � . strutturata non .. come una 
�nposta .s.L patrbnomo ma� coll.1e un'�nl,)�sta suJ. reddito, le suddette 
espressioni costituiscono delle espressioni ellittiche, o sono il frutto 
cli una mera �npreeisione tennlnol�gica; ed �, comunque, fuor di dubbio 
che esse vanno itltese nel . senso che, ricorrendo} le condizioni indicate 
nei citati articoli, sono i redditi delle costruzioni, e non certamente le 
cQstruz�oni in ae. stesse, ad eS'sere esclusi dall'�nposizione. 

l?atta questa essenziale ed indispensabile precisazione, viene a cadere 
la principale e pi� �s.ggestiva argomentazione svolta dalla ricorrente per 
confl.tt;ilre il prjn��pi() a<::cy>lto dalla corte d'appello, vale a dire quella 
secondo la quale, l'Ofoh� presupposto dell'imposta � il possesso a titolo 
.di propriet�, usufrutto o altro diritto reale di una � costruzione o porzione 
<li costruzione... suscettibile di reddito autonomo�, tale unit� immobiliare 
non potrebbe essere assoggettata o esclusa dall'imposta cl).e per 
intero, per cui, nell'ipotesi di un immobile in compropriet� destinato ad 
l.lll'attivitfi commerciale che vi sia, per�, svolta solo da alcuni e non da 
~ll.tti. i cotriproprietari, non sarebbe possibile escludere dall'imposta immobjlia;
r-e e<l applicare quella mobiliare alla quota dei comproprietari 
che eserc:itano l'attivit� commerciale, non essendo logicamente concepibile 
che solo una quota ideale dell:immobile sia destinata a servizio dell'azi�ll~
� ��.rn,merciale o sia suscettibile di produrre un reddito autonomo. 

1'1{~ l'argomentazione e l'illazione della difesa della ricorrente si rivelano 
prive di base, quando si consideri che assoggettata all'imposta non 
� l'unit� immobiliare, ma il reddito da essa prodotto, ed il reddito, in 
caso di pi� titolari pro quota della propriet� o di altro diritto reale di 
godimento sull'immobile, � sempre tra di essi perfettamente divisibile 
in parti o porzioni materiali ben determinate, proporzionali (ma non 
necessariamente: si pensi, ad esempio, al caso di separate locazfoni da 
parte dei singoli quotisti) alla quota a ciascuno spettante sull'immobile. 
Di conseguenza, qualora si tratti di un'unit� immobiliare specificata



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 

mente destinata ed utilizzata per l'esercizio di un'attivit� commerciale, 
l'intero immobile, nella sua materialit�, viene a trovarsi al servizio dell'impresa, 
ma poich�, per la qualificazione commerciale del reddito riveniente 
dall'immobile medesimo, occorre, oltre la destinazione oggettiva 
di quest'ultimo, che l'impresa vi sia esercitata direttamente dal possessore, 
ben � possibile che, in caso di compropriet�, il reddito percepito 
da ciascuno dei contitolari del bene possa essere qualificato commerciale 

o fondiario a seconda che il singolo percettore eserciti o meno direttamente 
sull'immobile l'attivit� cui esso � destinato, senza che ci� determini 
alcuna incongruenza logico-giuridica. 
Dalla struttura dell'imposta non pu� quindi derivare alcun ostacolo 
concettuale a che essa possa applicarsi separatamente alla parte di 
reddito spettante a ciascun contitolare dell'unit� immobiliare, e conseguentemente 
a che ciascuno di essi possa essere o non soggetto al tributo 
immobiliare a seconda� dell'attivit� (di puro godimento o d'impresa) 
a mezzo della quale ritrae la sua porzione di reddito, e si tratta 
soltanto di verificare se, e in quali limiti, ci� sia effettivamente consentito 
dalla concreta disciplina positiva del tributo. 

Tale verifica porta alla conferma del principio accolto dalla corte 
d'appello. 

L'art. 72 del testo unico n. 645 del 1958, stabilisce che le costruzioni 
(rectius: i redditi delle costruzioni) destinate specificatamente all'esercizio 
di attivit� commerciali e non suscettibili di altra destinazione senza 
radicale trasformazione, non sono soggetti all'imposta se il possessore 
esercita direttamente l'attivit� cui la costruzione � destinata. 

Va subito precisato che, come � stato gi� chiarito da questa Corte 
(cfr. Cass. n. 5182 del 1977, n. 941 del 1979), la predetta norma non 
costituisce propriamente una norma di esenzione, ma, sia pur nei limiti 
ed alle condizioni fissate nella stessa norma (sulla cui sussistenza nella 
specie non vi � discussione), � espressione del principio generale secondo 
il quale il reddito fondiario (e pi� in genere il reddito di godimento) non 
rileva pi� come tale quando esso � componente del reddito d'impresa, ed 
� diretta ad evitare una duplice imposizione, che cio� il reddito della 
costruzione, allorch� contribuisca alla produzione di un reddito commerciale, 
come tale assoggettato nella sua totalit�, all'imposta di ricchezza 
mobile, sia inoltre autonomamente colpito, senza che a tale imposizione 
corrisponda, un'autonoma entrata del contribuente. E non vi � 
ragione per ritenere che tale principio, e la norma che ne � espressione, 
non possano essere applicati per il reddito conseguito da un singolo 
comproprietario, o contitolare di altro diritto reale di godimento su un 
immobile, mediante l'attivit� commerciale su di esso direttamente esercitata, 
anche s� all'impresa non partecipino gli altri comproprietari o 
contitolari del diritto. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

In contrario, .per sostenere che, ai fini dell'applicazione dell'art. 72 

testo unico n. 645/1958, debba esservi piena ed assol�ta coincidenza tra 

titolarit� del diritto sull'immobile e titolarit� dell'impresa, non pu� 

farsi riferimento, come pure argomenta la ricorrente, al termine � pos


sessore � della costruzione, adoperato dalla norma in questione. Tale 

termine � usato in conseguenza della disposizione contenuta nell'art. 69 

dello stesso. testo unico del 1958, che, fissando, il presupposto per l'appli


cazione del tributo, stabilisce che d� luogo ad imposizione sul reddito dei 

fabbricati � il possesso a titolo di propriet�, usufrutto o altro diritto 

reale � di costruzioni o porzioni di costruzioni; di conseguenza, quando 

nell'art. 72 si parla di possessore, altro non pu� intendersi che la norma 

si riferisce al soggetto passivo del tributo, cos� come individuabile ai 

sensi del precedente art. 69, stando a significare che colui il quale sarebbe 

soggetto all'imposta sul reddito dei fabbricati non � tenuto al pagamen


to dell'imposta allorch�, ricorrendo le particolari condizioni fissate nella 

stessa norma, eserciti direttamente sull'immobile un'attivit� commerciale. 

Ora, ritenere che, in caso di pluralit� di titolari del diritto sull'im


mobile, il termine � possessore � di cui all'art. 72 del testo unico li ricom


prende tutti unitariamente ed inscindibilmente, sarebbe consentito sol


tanto se l'obbligazione tributaria relativa al reddito dei fabbricati fosse 

configurata dalla legge come oggettivamente indivisibile, ovvero, sotto 

diverso aspetto, che il soggetto passivo del tributo per ogni unit� immo


biliare fosse considerato sempre unico, e quindi, nell'ipotesi di immobile 

appartenente a pi� �possessori�, fosse da identificarsi nell'intero gruppo 

indistinto degli stessi. 

Ma nulla di tutto ci� � dato di rilevare nella disciplina dell'imposta. 
L'art. 70 del testo unico del 1938, dopo avere precisato nel primo 
comma che soggetti dell'imposta (sul reddito dei fabbricati) sono i titolari 
dei diritti reali indicati nell'art. 69, stabilisce al secondo comma che 
� quando la titolarit� del diritto spetta a pi� soggetti, ciascuno di essi 
� tenuto in solido al pagamento dell'imposta�, dove, da un lato, si fa 
chiaramente riferimento a ciascun contitolare come distinto soggetto 
passivo dell'imposta, dall'altro si stabilisce espressamente tra di essi un 
vincolo di solidariet�; ed il concetto di solidariet�, � ben distinto da quello 
di indivisibilit� dell'obbligazione, e non solo non � incompatibile con 
la divisibilit� di questa, ma generalmente, anzi, la presuppone, trattandosi 
di un vincolo meramente soggettivo, esterno al rapporto obbliga\
torio, imposto dalla legge verso pi� soggetti che sarebbero altrimenti 
distintamente ed autonomamente obbligati verso un unico creditore. 
Nella fattispecie in esame, quindi, la solidariet� tra i � compossessori � 
per il pagamento dell'imposta nofi esclude di per s� che una parte del 
reddito dell'immobile, quella cio� spettante ai contitolari che vi eserci


tano direttamente un'attivit� commerciale, sia esclusa dall'imposizione 

immobiliare per essere attratta nell'area dell'imposizione mobiliare, ed 


384 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il vincolo .solidale rimarr� �tra tutti per l'imposta dovuta sulla resi


I

dua parte di reddito di spettanza degli altri contitolari non partecipi 

~ 

all'impresa. i 

Una ulteriore conferma delle esposte conclusioni, come non ha man~ 
1: 
cato di rilevare anche la corte d'appello, viene dallo stesso testo dell'articolo 
70 del testo unico del 1958, il quale, al terzo comma stabilisce 
che quando sull'unit� immobiliare coesistono diversi diritti reali attri


I butivi del possesso (ad esempio, piena propriet� ed usufrutto pro quota), 
anche il vincolo di solidariet� � escluso, e ciascun titolare� � tenuto al 
pagamento della quota d'imposta sulla parte del reddito corrispondente 

I al suo diritto, prevedendosi in tal modo esplicitamente la possibilit� di 
un frazionamento del reddito della costruzione e dell'imposta relativa. 

Non va trascurato, infine, il rilievo che nella nuova disciplina dell'imposizione 
sui redditi fondiari introdotta con la riforma tributaria 
del 1973, il frazionamento del reddito dell'unit� immobiliare e della 
relativa 5.mposta � divenuto addirittura la regola, anche per i contitolari 
dello stesso diritto reale, e non solo per i titolari di divevsi diritti reali 
sul medesimo immobile (art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 sull'IRPEF, 
applicabile anche ai fini dell'ILOR in virt� del richiamo contenuto 
nell'art. 4 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599); e ci�, pur essendo 
rimasto identico il presupposto dell'imposizione, vale a dire il � possesso 
a titolo di propriet�, usufrutto o altro diritto reale, di costruzioni o porzioni 
di costruzioni... suscettibili di reddito autonomo� (art. 32 del d.P.R. 

I 

n. 597 del 1973). (Omissis). 
I 

!

!

1

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2092 -Pres. Sandulli 
-Est. Ruggiero -P. M. Zema (conf.). -Ministero delle Finanze I (avv. Stato Dipace) c. Nesi. r:

I 

~ 

Tributi in genere .� Accertamento -Circolari -Natura -Difformit� -Irri


! 

levanza. 

1' 

Poich� le circolari sono atti interni che non possono spiegare nessun f 

f

2

effetto nei confronti di soggetti estranei all'Amministrazione n� acqui'
t 
stare efficacia vincolante per essa, nemmeno come mezzo di interpreta~ 
zione di norme giuridiche; � infondata l'impugnazione di un accertamento ! 
basato soltanto sulla difformit� da circolari (1). ! >

! 

l 

(1) Decisione esattissima e conforme a costante giurisprudenza (v. Relazione 
Avv. Stato, 1971-75, Il, 518), ma che opportunamente rammenta l'irrilevanza delle 
circolari alle quali sempre pi� si tenta di dare valore vincolante di rilevanza 
esterna. 
I 

~ 

I 

f 

I ~ 

i 

................................................................ �������������� ................... "' .�.�.............,.....................................,J 



PARTll I, SEZ. VI, GIURISPRUQnNZA TRIBUTARIA 

(Omissis) Con il primo motivo del ricorso, l'amministrazione finan� 
ziatia, denunciando la violazione degli artt. 1 delle preleggi, 2, 8, 17, 31, 

81 .del testo unko 29 gennaio 1958 n. 645, deduce che erroneamente la 
commissiqtje tJ'ibutaria centrale. avrebbe ritenuto illegittimo l'accertamento 
Perch� effettuato in c�ntrasto con le disposizioni contenute in 
\Ula cfrc�lare, .sef!za considerare che la circolare .� un atto interno alla 
�. ��� ����.� p\i,l)l;,li�;:i i.;t).mlMstr~ione, priva di qualunque efficacia .giuridica nei con


..�.� ffoi�ti d'efsdj~�ttl �strah�f~tla stessa p.a. .��.�. 
� 
�� ta: ~ensf.ira l fonda.fa.. 


1.a df!cisl�ne della commissione centrale � fondata sull'esclusivo rilieyg 
cheJ'~cc.~rtam,e11t9 ill;ip~~ii,to n?~Poteva... rite~rsi tegol;;\re, face);ldosi 
in �ss9 ~spli.citc> riferimento� alle riSultam:e �dei registri ��tenuti �agli effetti 
delrixnposfi:i... s\ll valore aggiunto, in contrasto con la circolare richiamata 
4'.at c9nt#\'.>l.lente, che espressamente disponeva � la temporanea inappli�
eablllta. dell.'futetscl:ll::llbio di dati o notizie relativi all'attivit� dei contri... 
~l.l;a tief varl seftorf iJ:llpositivi, tenut� conto della difformit� dei crit�;
d di ac�eitatneI1to e di determinazione della base imponibile dei nuovi 
tributi dspetto a quelli delle vecchie imposte tuttora vigenti �. 

Ma la circostanza che un atto o un procedimento amministrativo 
sili\ cqnforme Q difforme rispetto alle disposizioni di una circolare �, di 
p~r�s� s<:>la, priva di ogni rilevanza come indice di valutazione della sua 
legltthnit� o illegittimit�, questa potendo verificarsi solo mediante il confronto 
e.on le norme di legge o di r.egolamento che disciplinano quell'atto 
() q.,et prQ�edimento. Le circolari amministrative, infatti, come questa 
Suere:tJla Corte ha pi� volte avuto modo di chiarire, sono atti conteri~
riti istruzioni, ordini di servizio, direttive, impartite dalle autorit� amministrative 
centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici 
o subordinati, aventi la funzione di indirizzare in modo uniforme 
l'�ttivit� di tali enti o organi inferiori; esse, cio�, sono atti meramente 
interni della pubblica amministrazione, che esauriscono la loro portata 
ecl. effic~cia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi �cd i loro 
funzionari, e non possono, quindi, spiegare alcun effetto giuridico nei 
confronti di soggetti estranei all'amministrazione n� acquistare efficacia 
vmcolante per questa ultima, neppure come mezzo d'interpreta#
�n,e di norme giuridiche, non costituendo perci� fonte di diritti a favore 
clf tmi, n� di obblighi a carico dell'amministrazione, specialmente in una 
J:llateria, come quella tributaria, regolata esclusivamente dalla legge, 
con esclusione di qualunque potere o facolt� discrezionale da parte dell'amministrazione 
finanziaria (cfr. Cass. n. 3699 del 1974, n. 54 e 1457 
del 1973, e altre). 

t:!. evidente, pertanto, l'erroneit� della decisione della comm1ss1one, 
che ha ritenuto illegittimo l'accertamento dell'ufficio perch� effettuato 
clilformemente dalle disposizioni della circolare, tale controllo potendo 
eseguirsi soltanto in base alle norme di legge che regolano i poteri di 


~86 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO "s-otto tale aspetto-' '":::-:�:_ 

rettifica e di accertamento degli uffici impositori. N�, . 
pu� ritenersi giuridicamente esatto nemmeno il richiamo della decisione ,_, 
all'argomentazione contenuta nella circolare circa la difformit� dei cri-

I 1-1 

teri di accertamento o di determinazione della base imponibile di tri-~:: 
buti diversi, poich�, se � vero che l'accertamento relativo ad un tributo 
non pu� direttamente ed automaticamente valere per un altro tributo, 
non vi � alcuna ragione per ritenere che elementi e dati di fatto registrati 
e rilevati ai fini di un'imposta non possano esser.e utilizzati per la 
determinazione della base imponibile di un'imposta diversa, trattandosi 
solo di verificare in concreto se tale utilizzazione sia s�tata razionalmente 
e logicamente corretta e producente. (Omissis). 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1983 n. 2130 -Pres. Miele Est. 
Zappulli -P. M. Ferraiolo (diff.). -Salvo (avv. Giuffrida) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Salimei). 

Tributi erariali diretti -Dichiarazione � Redditi non compresi nella di� 
chiarazione presentata � Omissione di dichiarazione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 32). 
Sono da considerare � nor. dichiarati � i redditi non compresi nella 
dichiarazione presentata per altri distinti redditi (ipotesi di plusvalenza 
non dichiarata sebbene nel bilancio vi fosse menzione della vendita) (1). 

(Omissis) Il ricorrente denuncia violazione dell'art. 32 T.U. 1958 n. 645 
e difetto di motivazione. Dopo aver contestato che il reddito di R.M. 
da plusvalenza fosse il suo reddito principale, e dopo aver precisato che 

(1) Decisione di .evidente esattezza. La presentazione di una dichiarazione 
quale che sia non assolve al dovere di dichiarare tutti i distinti redditi; i cespiti 
totalmente omessi nella dichiarazione creano omissione non dissimile dal totale 
difetto di dichiarazione. Nella legge vigente non si parla pi� di redditi non 
dichiarati ma di omessa presentazione della dichiarazione (art. 411 e 43 d.PJR. 
29 settembre 1973, n. 600), mentre solo ai firui delle sanziOll1i (art. 46) si d� rilevanza 
alla dichiarazione in cui non siano compresi tutti i singoli redditi. Tuttavia 
l'omissione di dichiarazione non pu�, anche secondo la vigente normativa, 
essere riguardata in modo generico e complessivo, bens� sempre con riferimento 
a singoli cespiti di reddito; lo si ricava dall'art. 1 del citato d.P.R. che considera 
non dichiarati, ai fini dell'accertamento e delle sanzioni, i redditi per i quali 
manca l'indicazione degli elementi necessari. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

questo era inesistente e comunque non era stato ancora definito nella 
sua eventuale quantit�, deduce che, con riferimento all'anno di cui si 
discute, era stata presentata una analitica dichiarazione, in presenza della 
quale l'asserita omissione del reddito mobiliare dava luogo ad un'ipotesi 
di incompletezza e non di mancanza di denuncia. Sostiene pertanto che 
l'ufficio era decaduto dal potere di effettuare l'accertamento di valore, 
essendo decorso il termine di cui al primo comma del citato art. 32. 

Il ricorso non � fondato. 
L'art. 32 del T.U. 1958 n. 645 fissava i termini entro i quali l'Amministrazione 
finanziaria doveva procedere all'accertamento, disponendo che 
essa dovesse procedere entro il terzo anno (successivo a quello in cui 
cadeva la presentazione della denuncia o l'obbligo di presentazione) alla 
rettifica dei redditi dichiarati o dr quelli precedentemente accertati, od 
entro il quarto anno all'accertamento dei redditi non dichiarati, che non 
avessero formato oggetto di dichiarazione o accertamento per il precedente 
periodo di imposta. 
Nell'interpretazione di tale norma questa Corte ha gi� affermato che 
il pi� ampio termine previsto dal secondo comma trova applicazione 
sulla base della sola circostanza della mancata enunciazione dei redditi 
in quanto tali; e pertanto, nel caso in cui i redditi derivino da plusvalenze 
realizzate con vendite immobiliari, opera anche quando il contribuente, 
pur menzionando le� vendite nel prospetto � varia.Zioni di capitali 
fissi�, abbia omesso di indicare il conseguimento di un reddito 

(v. Cass. 14 ottobre 1980 n. 5509). Tale orientamento va ribadito, essendo 
presidiato da valide ragioni, di ordine letterale e logico. Con riferimento 
alle distinte ipotesi previste rispettivamente nel primo e nel secondo 
comma dell'art. 32, il legislatore parla di � rettifica dei redditi compresi 
nelle dichiarazioni presentate tempestivamente� (primo comma), e di 
�accertamento d'ufficio dei redditi non dichiarati� (secondo comma). 
Gli stessi termini letterali della contrapposizione rendono chiaro che il 
secondo comma trova applicazione, pur quando la dichiarazione sia stata 
presentata, alla sola condizione che si tratti di �redditi non dichiarati�: 
trova cio� applicazione ai redditi di cui il contribuente non abbia fatto 
menzione. 
Ci� del resto � coerente con la ratio legis: se l'esigenza di un termine 
pi� ampio si giustifica col fatto che l'ufficio deve accertare non 
solo l'entit� di un reddito che gli sia gi� noto (come � nell'ipotesi prevista 
dal primo comma), ma la stessa esistenza del reddito, taciuto dal 
contribuente, � evidente che questa esigenza ricorr.e sia nel caso di omessa 
presentazione della dichiarazione, sia nel caso in cui la dichiarazione 
presentata non contenga menzione del reddito cui l'accertamento si riferisce 
(come appunto � avvenuto nella specie). (Omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

388 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1983, n. 2135 -Pres. Miele Est. 
Gualtieri -P. M. Morozzo della Rocca (diff.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Onufrio) c. Soc. Esso Italiana (avv. Uckmar). 

Trbuti locali -ILOR -Tassazione del reddito dei fabbricati di societ� dati 

in locazione -Natura di reddito fondiario -Tassazione ILOR separata 

con il sistema dell'esazione catastale. 

(art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; artt. 2 e 5 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; 

artt. 4 e 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599). 

Il sistema tributario vigente non prevede una generale esenzione dall'ILOR 
per i redditi prodotti da cespiti per ci� solo che siano appartenenti 
ad una societ� commerciale n�, al contrario, dispone che quei redditi, 
in quanto societari, siano sempre e comunque assoggettati all'ILOR 
(1). 

Il reddito prodotto dai fabbricati � colpito in ILOR separata, e cio� 
con autonomia rispetto al reddito di impresa, quando � autonomo; non � 
autonomo il reddito del fabbricato strumentale, che � quello utilizzato 
di fatto ed in concreto dall'imprenditore per l'esercizio dell'attivit�, s� 
da costituire strumento di questa (2). 

L'immobile societario dato in locazione a terzi non � mai strumentale, 
perch�, attraverso la locazione, si realizza un reddito autonomo e 
cio� un reddito prodotto senza bisogno di una particolare attivit� nell'immobile 
o sull'immobile esplicata {3). 

(Omissis) Con unico motivo, denunziando violazione e falsa applicazione 
degli artt. 4 e 6 d.P .R. 27 settembre 1973, n. 599, in relazione agli 
artt. 2, 3 e 4 legge 9 ottobre 1971, n. 825, agli artt. 6, 40 e 52 d.P.R. 
27 settembre 1973, n. 597, agli artt. 2, 3 e 5 d.P.R. 27 settembre 1973, 

n. 598, nonch� all'art. 360 n. 3 c.p.c., l'Amministrazione ricorrente censura 
la decisione impugnata per avere la Commissione Tributaria Centrale 
ritenuto che l'art. 40 d.P.R. n. 597 del 1973 conterrebbe una prescrizione 
assoluta, comportante che i redditi degli immobili posseduti dalle 1societ� 
di persone non sono considerati fondiari e non sono quindi assoggettati 
ad imposta ILOR separata diversamente da quanto si verifica per gli 
immobili posseduti dalle persone fisiche titolari di imprese commerciali, 
cui redditi sono considerati fondiari e come tali soggetti ad ILOR 

(1-3) La sentenza � conforme all'orientamento pi� recente. Si veda, per r.ife� 
rimento anche all'orientamento primitivo, Cass. 17 febbraio 1982, n. 993, in questa 
Rassegna 1982, I, 367, con nota di PALATIELLO, Immobile societario e fabbricato 
strumentale ai fini della tassazione in ILOR. Va segnalato che la questione pende 
attualmente davanti alle Sezioni Unite. La tesi della nozione di �strumentalit��, 
da costruire con riguardo alla nozione di � reddito del fabbricato � e non con 
riguardo al fine ultimo del � procacciamento dell'enti;ata �, sembra senz'altro pi� 
corretta, perch� confortata dal dato positivo, e in particolare dagli artt. 32 e 52 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. 

PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

-salvo che gli immobili costituiscano beni strumentali per l'esercizio 
dell'impresa commerciale -in quanto concorrono a formare il reddito 
di impresa delle societ� di persone. 

�E poich�, ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 598/1973 le disposizioni dell'art. 
40 d.P.R. 697/1973 relative alle societ� di persone si applicano 
anche ai fini dell'imposizione IRPEG delle societ� di capitale, dovrebbe 
ritenersi che i redditi degli immobili delle societ� commerciali, in quanto 
concorrono alla formazione del reddito d'impresa soggetto ad IRPEG, 
non sono redditi fondiari, .e non sono, pertanto, soggetti ad imposizione 
separata IL9R. 

Al riguardo, non sarebbe determinante la previsione dell'art. 6, comma 
5, d.P.R. 599/1973, a norma della quale non si procede all'iscrizione a 
ruolo dei redditi nel caso in cui ricorrono le condizioni, di cui all'art. 40 
pi� volte citato. 

Secondo la ricorrente, dovrebbe ritenersi, al contrario, che i redditi 
degli immobili posseduti dalle societ� -personali o di capitale -sono 
sempre soggetti ad imposizione separata ILOR quali redditi fondiari, 
bench� ai fini dell'imposizione IRPEF (qualora si tratti di societ� di 
persone, disciplinate dall'art. 40 d.P.R. 597/1973) ovvero ai fini dell'imposizione 
IRPEG (qualora si tratti di societ� di capitale, cui la norma 
del citato� art. 40 torna applicabile per effetto dell'art. 5 d.P.R. 598/1973) 
siano sempre considerati redditi di impresa. 

La ricorrente deduce, al riguardo, che l'art. 4, n. 2 della legge delega 
9 ottobre 1971, n. 825, dispone che relativamente a tutte le persone giuridiche 
ed ai soggetti a queste assimilate dall'art. 3, n. 8 della stessa 
legge, l'ILOR va bens� applicata sul reddito netto complessivo determinato 
ai fini dell'IRPEG, ma che, comunque, dal reddito complessivo sono 
esclusi i redditi dei terreni, dei fabbricati ed agrari, per i quali l'imposta 
� applicata separatamente secondo i criteri previsti dal n. 15 dell'art. 
2 (cio� secondo gli estremi catastali) sicch� la norma di delega 
evidenzia chiaramente che in ogni caso i redditi derivanti da terreni 
e fabbricati vanno tassati separatamente, quale che sia la loro concreta 
utilizzazione, �per consentire che ogni ente locale consegua l'imposta afferente 
al reddito degli immobili siti nel proprio ambito territoriale. 

Peraltro, la ricorrente sostiene, in via subordinata, la tesi secondo 
cui, in base al combinato disposto delle norme dei d.P.R. 597/1973 e 
598/1973 in materia di imposizione personale dei redditi fondiari e della 
norma dell'art. 4 d.P.R. 599/1973 non sono soggetti ad imposizione ILOR 
separata solo i redditi di quegli immobili che, in quanto costituiscono 
�beni strumentali per l'esercizio di imprese commerciali� non danno 
luogo ad alcun reddito autonomo, e, quindi, neppure ad imposizione autonoma 
secondo i criteri previsti per i redditi fondiari ai fini dell'imposizione 
IRPEF ed IRPEG, mentre sono soggetti ad imposizione ILOR 
separata i redditi di quegli immobili che, pur non essendo considerati 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fondiari, e concorrendo a formare il reddito complessivo come componenti 
del reddito d'impresa ai fini dell'imposizione IRPEF ed IRPEG 
non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa e vengono, 
quindi, tassati ai fini del calcolo del reddito di impresa, secondo le di~posizioni 
relative alla determinazione dei redditi fondiari. 

Quanto sopra premesso, questa Corte ritiene di non poter aderire alla 
tesi sostenuta dalla Commissione Tributaria Centrale nonch� dalla controricorrente, 
e neppure alla tesi formulata in via principale dall'Amministrazione 
finanziaria, tesi, entrambe, estreme in quanto diametralmente 
opposte, le quali non trovano un sicuro fondamento nella legislazione 
vigente in tema di ILOR. 

Merita, invece, adesione la tesi subordinata della Finanza. 

Quanto alla prima tesi, con cui si sostiene la non tassabilit� autonoma 
del reddito in questione in funzione della natura soggettiva della 
ricorrente (societ� di capitali), devesi osservare che la tesi stessa � fondata 
sull'affermazione dell'applicabilit� al caso di specie, della normativa 
del secondo inciso dell'art. 40 d.P.R. 597/1973, secondo cui non sono soggetti 
a tassazione autonoma i redditi prodotti da immobili appartenenti 
a societ� in nome collettivo e in accomandita semplice, in quanto la normativa 
dell'art. 40 � dichiarata applicabile ai fini della tassazione IRPEG, 
ai sensi dell'art. 5, comma secondo, d.P.R. 598/1973, anche alle societ� 
di tipo diverso da quelle suddette, soggette alle imposte delle persone 
giuridiche, ossia a quelle indicate alla lett. a) dell'art. 2 del medesimo 
decreto, fra le quali rientrano le societ� per azioni, qual � la controricorrente 
societ� Esso. 

Inoltre, in forza di un nuovo rinvio, detta normativa sarebbe applicabile 
ai fini della tassazione ILOR in virt� �del disposto dell'art. 4, quinto 
comma, d.P.R. n. 598/1973, secondo cui, nei confronti dei soggetti indicati 
alla lettera a), b), e) del d.P.R. n. 598/1973, l'imposta si applica sull'ammontare 
del reddito complessivo determinato ai fini dell'imposta 
sul reddito delle persone giuridiche, il che comporterebbe un rinvio completo 
al sistema di tassazione dell'IRPEG. 

Orbene, l'insussistenza di un rinvio cos� omnicomprensivo balza 
evidente ove si consideri che lo stesso art. 4 d.P.R. n. 599, contiene, al 
quinto comma, una disposizione (� Per i redditi fondiari l'imposta � 
applicata separatamente per anno solare anche nei confronti dei soggetti 
indicati nel secondo e terzo comma�), la quale, collegata ad altra 
contenuta nel quinto comma dell'art. 6 dello stesso d.P.R., indica chiaramente 
che solo il primo inciso, e non anche il secondo, dell'art. 40 

d.P.R. n. 597/1973, � applicabile ai fini della tassazione ILOR. 
Infatti, ai sensi dell'art. 4, quinto comma, d.P.R. 599/1973, per i redditi 
fondiari l'imposta � applicabile separatamente per anno solare anche 
nei confronti dei soggetti indicati nel secondo e terzo comma, cio� anche 
nei confronti delle societ� di capitali. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

A sua volta, il quinto comma dell'art. 6 dispone che soltanto nel 
caso, in cui ricorrano le condizioni previste dal citato aJ0:. 40 d.P.R. 

n. 597/1973, non si procede ad iscrizione a ruolo dei redditi catastali 
degli immobili contemplati in detto articolo. 
Pertanto, se il richiamo all'art. 40, pi� volte citato, fosse stato completo 
e avesse di conseguenza compreso tutta la normativa ivi contenuta, 
in particolare quello che prevede una esenzione soggettiva dall'autonoma 
imposizione fondiaria per gli immobili appartenenti a determinati soggetti, 
gli immobili appartenenti alle societ� di capitale sarebbero stati, 
in ogni caso, esenti, I.li fini dell'ILOR, dall'imposizione in questione, con 
la conseguenza che le due richiamate disposizioni del quinto comma dell'art. 
4 e del quinto comma dell'art. 6 del decreto istitutivo dell'ILOR 
resterebbero inspiegabili e prive di qualsiasi pratica possibilit� di applicazione, 
per cui dovrebbero considerarsi inutiliter datae. 

N� � accettabile la tesi della soc. Esso, secondo cui le due disposizioni 
in esame sarebbero applicabili solo nei confronti della societ� non 
esplicante attivit� commerciale o industriale, sia perch� una simile distinzione 
non � contenuta nella legge, sia perch� per le societ� di capitali 
l'attivit� commerciale � legislativamente presunta, atteso che per 
esse, senza distinzione, l'art. 220 e.e. sancisce l'obbligo dell'iscrizione nel 
registro delle imprese. 

L'interpretazione qui data dell'art. 4 del d.P.R. 599/1973 non pu� ritenersi 
affetta da vizio di incostituzionalit� (come ha accennato la difesa 
della controricorrente nel corso della discussione orale) n� sotto il profilo 
dell'art. 76, n� sotto quello dell'art. 53 della Costituzione. 

Infatti, non � possibile alcun eccesso di delega, posto che l'art. 3, 
primo comma, nn. 5 e 6 della legge di delega n. 825 del 1971 espressamente 
prevede per l'IRPEG (e, quindi, anche per l'ILOR) l'accertamento 
catastale per i redditi immobiliari. 

Inoltre, non pu� dirsi violato il principio della tassazione in relazione 
alla capacit� contributiva, laddove, nella discrezionalit� del legislatore 
ed in armonia� con tutto il sistema di tassazione in precedenza 
vigente, venga utilizzato un particolare parametro come indice di capacit� 
contributiva, specie in funzione della particolare natura dell'imposta 
in questione, istituita per sopperire alle esigenze degli enti locali, e, 
come tale, non successivamente destinata a colpire l'intera capacit� contributiva. 


In conclusione, devesi ritenere che il rinvio alla normativa IRPEG, 
ai fini della tassazione per l'ILOR, � stato limitato dal legislatore, per 
quanto attiene alla tassazione dei redditi fondiari, ai soli casi di esenzione 
oggettiva da detta autonoma tas�sazione previsti dall'art. 40 del decreto 
597/1973 e non anche a quelli di esenzione soggettiva. 

Tale esenzione oggettiva, stabilita in detto articolo, introduce il 
discorso sulla � strumentalit� � degli immobili quale elemento necessa



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rio per l'esclusione della tassazione separata dei redditi di fabbricati, in 
relazione all'esercizio di imprese commerciali da parte del loro possessore 
o da parte di soggetti i cui redditi sono imputabili al possessore 
a norma dell'art. 4 del citato d.P.R., nonch� dei redditi sugli immobili 
da societ� di persone o di capitali. 

Tenuto conto che l'art. 40 va interpretato in armonia col complesso 
di norme in cui esso si inserisce, va anzitutto ricordato che, per l'articolo 
32 del d.P.R. n. 597/1973, il reddito dei fabbricati autonomamente 
determinabile secondo i criteri stabiliti dagli artt. 34 e segg., � quello 
derivante dalla disponibilit� di costruzioni suscettibili di reddito autonomo 
ossia tali da produrre di per s�, senza bisogno di una particolare 
attivit� in essi o sui di essi applicata, un reddito per effetto della loro 
concessione in godimento a terzi, dietro corrispettivo. 

Per l'art. 52, poi, nella determinazione del reddito di impresa, tassabile 
come tale con criteri suoi propri, non si tiene conto dei proventi 
e dei costi relativi ad immobili che non costituiscono beni strumentali 
per l'esercizio dell'impresa. 

Pertanto, in entrambe le disposizioni si evidenzia il carattere di 
autonomia del reddito e quello della strumentalit� degli immobili, 
caratteri entrambi di cui si deve tener conto nell'interpretazione dell'art. 
40, dovendosi ritenere che non possono costituire oggetto della normativa 
di detto articolo quei beni che, anche se appartenenti all'imprenditore, 
continuino a produrre reddito autonomo di locazione per l'utilizzazione 
economica che � loro connaturale. 

Orbene, con l'espressione �beni strumentali per l'esercizio di imprese 
commerciali � il legislatore ha inteso riferirsi a quegli immobili occorrenti, 
per la loro particolare diretta utilizzazione in conseguenza del loro 
inserimento nel complesso aziendale e nell'apparato produttivo, alla produzione 
del reddito d'impresa in quanto strumenti per l'esercizio della 
attivit� lavorativa dell'imprenditore e dei suoi dipendenti. 

Quanto all'espressione (riferita ai �beni strumentali per l'esercizio 
dell'impresa�) �da parte del loro possessore o da parte del soggetto 
cui sono imputabili i redditi del possessore�, essa sta a significare, non 
gi� che gli immobili debbano far parte di un'impresa esercitata dal loro 
possessore, ma � volta a precisare che l'esercizio dell'impresa deve 
essere compiuto mediante utilizzazione degli immobili in modo diretto 
ed immediato da parte dell'imprenditore, che ne abbia, comunque, la 
disponibilit� in base ad uno dei titoli ipotizzati dall'art. 32 d.P.R. 

n. 597/73 (ove l'espressione �possesso� va intesa in senso non tecnico) 
per esercitarvi l'attivit� imprenditoriale. 
In base alle suesposte considerazioni si rivelano prive di fondamento 
non solo la tesi sostenuta dalla C.T.C. e dalla controricorrente Esso, ma 
anche quella esposta in via principale dalla Finanza, mentre devesi rite



PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 393 

nere fondata la tesi formulata dalla stessa in via subordinata (cfr. sent. 
di questa Corte 6 maggio 1982 n. 2836; 6 maggio 1982 n. 2839). 
Consegue che il ricorso dev'essere accolto per quanto di ragione. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1983 n. 2138 � Pres. Miele � 
Est. Borruso -P. M. Gazzara (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Paolucci. 

Tributi erariali diretti � Imposta di ricchezza mobile e complementare � 
Rapporti. tributari in corso al momento dell'entrata in vigore della 
riforma tributaria � Diritto al premio maturato anteriormente � Appli� 
cabilit� della normativa antiriforma � Percezione successiva � Irrilevanza. 


(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 83) . 
. Poich� nel. vigore del t.u. delle imposte dirette ai fini dell'imputazione 
dei redditi per l'imposta di ricchezza mobile e complementare valeva 
il principio della competenza, sono soggetti al regime antiriforma, 
secondo quanto dispone l'art. 83 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, i 
redditi dovuti per premi (nella specie su reperti archeologici) il cui 
diritto sia maturato anteriormente alla riforma, anche se percepiti successivamente 
(1). 

(Omissis) Con l'unico motivo di ricorso la Finanza sostiene che la 
Cominissione Centrale, con l'impugnata decisione avrebbe violato gli 
artt. 41 lett. g) 42 e 83 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, 30 del d.P.R. 
29 settembre 1973 n. 600, 2, 3, 81, 126 e 130 del T.U. sulle imposte dirette 
29 gennaio 1958 n. 645, non avendo considerato che, anche secondo le 
vecchie norme tributarie in vigore prima della riforma, i premi dei quali 
qui trattasi avrebbero dovuto essere imputati non al 1973, bens� al 
1974, in quanto solo in tale anno erano stati percepiti. Conseguentemente 
la Cominissione Centrale avrebbe errato nel ritenere applicabile 
nella specie la disposizione transitoria di cui all'art. 83 della legge istitutiva 
dell'IRPEF, in quanto, in base ad essa, i vecchi tributi possono 
s� essere applicati anche a redditi percepiti dopo il 31 dicembre 1973, 
ma semprech� -come la norma espressamente stabilisce -� secondo 
le disposizioni in vigore a tale data, siano imputabili al periodo d'imposta 
in cui � sorto il diritto alla percezione�, cio� ad una data anteriore 
al 1� gennaio 1974: condizione ques.ta estranea alla fattispecie, avendo i 
contribuenti percepito il premio de quo solo nel corso del '74. 

Il ricorso � infondato. 

(1) Decisione esatta, basata sulla premessa pacifica che il principio di competenza 
avesse portata generale per le imposte di ricchezza mobile e complementare. 
12 



394 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Giova, innanzitutto, riportare il testo del citato art. 83 che cos� 
recita: 


�I tributi .indicati nell'art. 82 (-cio� i tributi aboliti con la riforma 
tributaria, tra i quali anche la R.M. e l'imposta complementare sul reddito 
complessivo -) continuano ad applicarsi in relazione ai presuppof
�: 
sti di imposizioni verificatisi anteriormente al 1� gennaio 1974. 

La disposizione del comma precedente si applica anche per i redditi 
percepiti dopo il 31 dicembre 1973, che secondo le disposizioni in vigore 
a tale data, sono imputabili al periodo di imposta in cui � sorto il diritto 
alla percezione, ancorch� secondo le disposizioni del presente decreto 
siano imputabili al periodo di imposta in cui sono effettivamente percepiti
�. 

In virt� di tale disposizione transitoria, che prevede l'ultrattivit� 
della previgente normativa per i redditi percepiti dopo il 31 dicembre 
1973 ma maturati precedentemente quanto al diritto di percepirli, nella 
specie risulta decisivo accertare se, in base alla disciplina dei tributi 
aboliti con la riforma tributaria, il premio de quo fosse imputabile ai 
redditi concernenti il 1973 ovvero a quelli concernenti il 1974. 

E non v'� dubbio che sia da considerarsi vera la prima ipotesi in 
quanto, come pi� volte affermato da questa Corte (cfr. sentenze nn. 2140 
dell'82, 6164 dell'80, 2874 del '74), in materia di imposta di R.M. e di 
quella complementare ad essa conseguente il presupposto dell'imposizione 
si realizzava nel momento in cui sorgeva il diritto a percepire il 
reddito (secondo il criterio c.d. della �competenza�) e non gi� nel momento 
in cui esso veniva materialmente percepito (non gi� quindi, secondo 
l'opposto criterio c.d. di �cassa�) come, invece, stabilito ai diversi 
fini dell'IRPEF introdotta successivamente. 

Ci� comportava che, per i crediti, fosse decisivo il momento in cui 
essi divenivano certi e liquidi, essendo irrilevanti, invece quello in cui 
avveniva la loro materiale riscossione. 

� ben vero che, in base all'art. 126 del T.U. delle imposte dirette 
approvato col d.P.R. n. 645 del 1958, sui premi pagati dallo Stato la 
imposta si applicava mediante ritenuta diretta, operata dallo Stato stesso 
� all'atto del pagamento � ma tale disposizione chiaramente riguarda 
solo modalit� e tempi di riscossione dell'imposta, non gi� l'anno in cui 
si � prodotto il suo presupposto e al quale, pertanto, va giuridicamente 
imputato. 

Pertanto, poich� nella specie � pacifico che il credito de quo -anche 
se materialmente riscosso nel '74 -sia divenuto certo attraverso il 
compimento di tutte le operazioni amministrative richieste per la sua 
liquidazione, entro il 1973, non resta che concludere che, a norma della 
disposizione transitoria di cui all'art. 83 il credito di cui trattasi non 
poteva essere assoggettato ai nuovi tributi -tra i quali l'IRPEF istituiti 
con la riforma. (Omissis). 


PARTE I, SEZ. VI, Git!RISPRUi>ENZA TRIBUTARIA 395 

CORte DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983 n. 2i26 -Pres. Brancaccio 
-Est. Corda -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Mihistero 
delle Finanze (avv. Stato Dipace) c. Soc. Coop. Augustus (avv. Procaccini). 


Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso � Appalto risoluto prima dell'esecuzione Decadenza. 


(l. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). 
L'agevolazione dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 per il �ontratto 
di appalto presuppone che la costruzione sia stata realizzata, nei 
modi e nei tempi prescritti, con il concorso di quel cotttratto; conseguentemente 
si verifica de�adent.a dall'agevolazione qualora il' contratto 
venga risoluto prima che abbia avuto esecuzione almeno parziale, anche 
se l'opera sia stata successivamente compiuta con altre iniziative (1). 

(Omissis) Con l'unico motivo di censura (deducendo �violazione e 
falsa applicazione degli articoli 13, 14 e 20 della legge 2 luglio 1949, 

n. 408; in correlazione agli articoli 1 e 8 del R..D. 30 dicembre 1923 
n. 3269 �), l'Amministrazione Finanziaria sostiene che fa agevolazione 
tributaria di cui alla citata legge del 1949 non compete -secondo il 
pi� recente indirizzo giurisprudenziale -ai contratti di appalto (pur 
aventi ad oggetto la costruzione di �case di abitazione non di lusso�) 
se gli stessi vengono risolti, come nel caso concreto, prima dell'inizio 
della costruzione. Asserisce che dalla sentenza si ricaverebbe che il contratto 
sarebbe stato risolto prima che fosse dato inizio alla costruzione. 
Replica il resistente che dalla sentenza si ricaverebbe esattamente 
il contrario, e cio� che il contratto in questione sarebbe stato risolto 
dopo che l'opera era stata gi� iniziata; di modo che, anche aderendo 
all'impostazione giurisprudenziale invocata dalla ricorrente, gi� dovrebbe 
ritenersi sussistente il presupposto di fatto necessario, per tenere 
fermo il beneficio provvisoriamente applicato. 

Il ricorso � fondato. 
Dopo alcune oscillazioni, la giurisprudenza di questa Corte sembra 
essersi ormai definitivamente orientata a ritenere che un contratto di 

(1) Dopo il contrasto manifestatosi con le sent. 26 luglio 1978, n. 3747, e 6 novembre 
1978 n. 5020 (in questa Rassegna, 1979, I, 173) � ormai affermata la soluzione 
seguita dalla sentenza ora intervenuta (18 giugno 1979, n. 3417, ivi, 1980, I, 
170; 3 maggio 1982, n. 2727, ivi, 1982, 959). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

appalto, perch� possa fruire dei benefici previsti dall'art. 14 della legge 
2 luglio 1949, n. 408, deve non solo avere ad oggetto la costruzione rientrante 
nella previsione della legge, ma deve avere contribuito alla realizzazione 
della costruzione predetta, nei modi e nei tempi prescritti. Di 
modo che, nel caso di �risoluzione del contratto stesso, e di attuazione 
dell'opera nel termine di legge a mezzo di altri rapporti giuridici, gli 
indicati benefici sono applicabili esclusivamente nell'ipotesi in cui la 
risoluzione sia avvenuta dopo l'inizio della costruzione, e non anche in 
epoca anteriore, atteso che, solo nel primo caso, il contratto pu� ritenersi 
occorrente alla realizzazione dell'opera e, quindi, all'attuazione del 
fine giustificativo della norma agevolatrice. Questo principio � stato affermato 
con due gruppi di sentenze: le prime, in data 6 novembre 1978 
(numeri da 5024 a 5036); le successive in data 3 marzo 1982 (numeri 
2727 e 2728). A tale principio intende conformarsi il Collegio, nella precipua 
considerazione che la sentenza impugnata, informata al principio 
opposto, non ha svolto argomenti idonei a inficiarne la validit�. 

Neppure la resistente, del resto, ha saputo contrastare la validit� 
degli argomenti predetti, tanto che ha incentrato il proprio sforzo nel 
rilievo di una circostanza di fatto che renderebbe inutile la cassazione 
della sentenza impugnata. Ha, infatti, sostenuto che il giudice di appello 
aveva gi� accertato come la risoluzione del contratto in parola 
sarebbe successiva all'inizio della costruzione (di modo che il contratto 
stesso fruirebbe legittimamente dei benefici tributari, per avere concorso 
alla realizzazione dell'opera). In contrario, per�, fa notare la ricorrente 
che la sentenza avrebbe, invece, dato atto che il contratto era 
rimasto � del tutto ineseguito �. 

La verit� �, come pare incontestabile, che i giudici di appello non si 
sono affatto posti il problema del parziale concorso del contratto alla 
realizzazione dell'opera, di modo che non hanno, affatto, svolto alcuna 
indagine di fatto al riguardo. Essi, invero, si sono solo preoccupati di 
accertare che il contratto era stato risolto prima dell'ultimazione dell'opera 
e che quest'ultima era stata, tuttavia, eseguita anche se con il 
concorso di un altro contratto di appalto, prima dello scadere dei termini 
di legge. Nella parte espositiva della sentenza pronunciata in 
grado di appello, infatti, si rinviene l'affermazione che il contratto era 
rimasto �del tutto ineseguito�; in quella motiva, invece, si rinviene 
l'affermazione che il contratto predetto � non pu� essere considerato 
ineseguito�: e ci� conferma -se ancora occorresse -che una precisa 
indagine di fatto non � stata svolta, come invece sarebbe stato necessario. 

Cassandosi quindi l'impugnata sentenza, al giudice di rinvio (che si 
designa in un'altra sezione della stessa Corte di appello di Napoli) � in 
primo luogo .affidato H compito di accertare in fatto, sulla base degli atti, 
se il contratto di appalto in questione era stato risolto prima o dopo 
l'inizio della costruzione: all'esito di tale accertamento, poi, applicher� 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 397 

il principio del diritto che � stato pi� sopra enunciato, il quale tiene 
conto del reale contributo che il contratto stesso possa avere dato alla 
realizzazione dell'opera agevolata. (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2289 -Pres. Brancaccio 
-Est. Falcone -P. M. Morozzo della Rocca (diff.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Marigo. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Appalto -Variazioni in 
corso d'opera d'importo superiore al sesto quinto -Nuovo autonomo 
contratto. 

(1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 344; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 13 e 14)� 
Nel caso di variazioni, non puramente quantitative, che fanno aumentare 
l'importo dell'appalto oltre il sesto quinto, non opera pi� il vincolo 
contrattuale originario e si crea un nuovo autonomo contratto, 
soggetto alla r.ormativa vigente al momento (1). 

(Omissis) L'Amministrazione ricorrente sostiene che la Corte del merito 
� pervenuta alla decisione che l'atto di sottomissione sottoscritto 
dall'appaltatore per l'esecuzione di lavori di variante di importo eccedente 
il sesto quinto di quello dell'appalto, dia luogo a contratto distinto 
da quello originario, come tale tassabile con l'imposta di registro secondo 
l'aliquota vigente al momento della sua sottoposizione al tributo, muovendo 
da una premessa inesatta: che, cio�, nel contratto di appalto di 
opere pubbliche, quando si presenti la necessit� di variazioni dei lavori, 
il cui importo superi il quinto di quello complessivo dell'opera, si ricade 

(1) La sentenza � molto istruttiva anche ai fini non tributari. In verit� si 
fa una �erta confusione tra variazioni ai lavori (che possono non importare 
aumento) e aumento dei lavori (che pu� essere anche soltanto quantitativo). 
Il problema si pone soltanto per l'aumento (la variazione senza aumento pu� 
sempre essere ordinata, a meno che per la eterogeneit� non si presenti come 
un ,lavoro extra contrattuale); ed in tal caso quel che � rilevante � la sola 
misura dell'aumento perch� se � superato il quinto d'obbligo (tranne che per 
i lavori di fondazioni), lo appaltante non ha il diritto di imporre l'esecuzione 
di maggiori lavori e l'appaltatore non ha il dovere di accettarli; non sembra rilevante 
il distinguere se i maggiori lavori siano o meno omogenei rispetto ai 
principali (l'eventuale necessit� di concordare nuovi.prezzi riguarda un elemento 
soltanto di un contratto esistente). 
Ridotta la questione in questi termini elementari � certamente rilevante 
l'argomenta:Mone ricavata dal quinto comma dell'art. 14 del Cap. Gen., che 
riguarda indubbiamente l'aumento, o l'aumento con variazioni, dei lavori e 
non le sole variazioni senza aumento che possono essere unilateralmente ordinate 
e per le quali non si pone minimamente il problema di un nuovo consenso. 
E' cio� ammissibile che un nuovo autonomo contratto sorga per effetto 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

398 


nel campo dei � veri e propri lavori extra contrattuali, riguardo ai quali 
non sussiste, da parte dell'appaltatore, n� il diritto n� l'obbligo c;l.i 
eseguirli e, correlativamente, non vi �, per l'amministrazione, altra alternativa 
se non quella di affidarli ad altra impresa, ovvero di addivenire 
con lo stesso appaltatore ad un nuovo accordo �. 

Questa conclusione -secondo la critica svolta nel motivo -si presenta 
come risultato di due errori: di avere, con motivazione insufficiente 
e con violazione di legge (art. 344 legge 20 marzo 1865 all. F ed 
art. 14 d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063), qualificato le opere comprese nell'atto 
assoggettato all'imposizione di cui si discute come extra-contrattuali, 
senza considerare che tale qualificazione consegue non gi� dalla 
eccedenza del prezzo convenuto per le nuove opere rispetto a quello 
originariamente previsto in contratto, oltre la percentuale gi� ricordata, 
bens� dalla diversa natura di tali opere, in quanto ricadenti -tecnicamente 
-in campo diverso da quello cui appartengono le opere appaltate; 
di non avere, poi, considerato che, in ogni caso, quando si tratti di 
variazioni delle opere appaltate, l'appaltatore richiesto dell'esecuzione di 
esse per un importo superiore al limite del sesto quinto di quello dell'appalto, 
ove non receda nel termine di dieci giorni, � tenuto ad eseguirle 
in forza dell'originario contratto secondo la norma dettata dall'art. 
14 del d.P.R. � 1063 del 1962 cit., e che, d'altra parte, se per mancato 
recesso a seguito di comunicazione dell'avvenuto raggiungimento 
dei sei quinti la prosecuzione del rapporto fosse l'effetto di un nuovo 
contratto tacitamente stipulato, si verrebbe ad ammettere che il capitolato 
generale (norma regolamentare) abbia configurato un mezzo di 
ricerca del contraente privato e di stipulazione dei contratti della pubblica 
amministrazione del tutto estraneo ai normali sistemi . consentiti 
dalle leggi di contabilit� generale dello Stato. 

di un mero comportamento dell'appaltatore e che la P.A. possa in questo :rpodo, 
evidentemente contrario alle regole, concludere un contratto vincolante? O non 
si deve ritenere che questo effetto pu� verificarsi solo a causa dell'unicit� del 
rapporto negoziale che ricomprende sia il contratto base sia i suoi aumenti? 
Ma in questa ultima ipotesi sarebbe legittima una pattuizione tanto aperta da 
essere moltiplicabile nella quantit�? 

Forse per cercare una soluzione accettabile occorre dare la giusta rilevanza 
al quinto comma dell'art. 14. Questa norma riguarda soltanto l'appaltatore che 
abbia consapevolmente proseguito i lavori eccedenti il sesto quinto e che per 
le quantit� eseguite ha diritto soltanto ai corrispettivi stabiliti nel contratto 
principale. La norma non stabilisce, nemmeno per l'appaltatore, che dal suo 
comportamento nasce un vincolo contrattuale futuro per un oggetto determinato 
(i lavori di un progetto aggiuntivo o di una perizia), limitandosi ad 
affermare che l'appaltatore solo per i lavori gi� eseguiti non pu� pretendere 
nuove condizioni, ma � sempre libero di arrestare la sua attivit� in qualunque 
momento dopo il superamento del quinto. Ma soprattutto la norma non riguarda 
affatto l'Amministrazione e meno che mai prevede che questa assuma 
impegni negoziali in cotal modo. E' evidente che al raggiungimento dell'importo 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 399 

ll rico:rso non me:rita, accoglimento, anche se deve essere condiviso 
U riHevo mosso alla sentemEa impugnata, di non avere esattamente individuato 
il discrimine -non individuabile nel superamento del limite 
del rapporto tra i rispettivi costi pi� volte ricordato -tra varianti e 
lavori extracontrattuali in materia di ipubblici appalti. 

La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di precisare 
l'ambito denot&tivo della locuzione �lavori extracontrattuali�, predsando 
che possono esservi ricomprese, oltre che, co@'� ad�irittura ovvio, 
l'opera del tutto diversa da quella appaltata per configurazione materiale 

o per funzione e scopo nonch� l'opera avente caratteristiche di autonomia 
tale da renderla estranea al piano organico considerato tanto obiettivamente 
quanto in relazione al contratto intercorso tra le parti (Cass. 28 
ottobre 1965 n. 2290), soltanto quelle opere ulteriori che, pur avendo 
qualche connessione o relazione con l'opera originaria, non risultino 
necessarie n� per eseguirla n� per conseguire un completamento o miglioramento 
o un pi� conveniente sviluppo di essa, e che, pertanto, si 
configurano come opere a s� stanti (Cass. 19 maggio 1972 n. 1531; 26 ottobre 
1970 n. 2162). 
Ma la sentenza impugnata, pur con espressioni che possono dar luogo 
a qualche perplessit� circa la loro portata, non � pervenuta alla decisione 
adottata, come emerge dal complesso delle considerazioni svolte, 
desumendole quale conseguenza della premessa che i lavori oggetto del 
contratto di cui trattasi debbano qualificarsi come lavori extra contrattuali, 
con una sostanziale preterizione dei criteri d'individuazione sopra 
ricordati e, quindi, anche con l'affermata mancanza di adeguata motivazione 
in proposito. 

Essa, pur facendo capo ad una distinzione non esattamente delineata 
e che in questa sede � sufficiente correggere nel senso anzidetto, ha inve


contrattuale l'Amministrazione deve nelle debite forme deliberare l'aumento dei 
bwori impegnando la relativa spesa e solo su questa base potr� interpellare 
l'appaltatore per la prosecuzione e, a maggior ragione, stabilire nuove condizioni 
(nuove condizioni che possano essere pretese a cagione della libera volont� 
dell'appaltatore, indipendentemente dalla variazione delle opere). Ed in effetti, 
almeno nei casi di aumento con variazioni, si instaura un nuovo procedimento 
del tutto simile a quello del contratto principale: approvazione di perizia suppletiva 
(= progetto) e stipulazione dell'atto aggiuntivo (= contratto) che � poi 
l'atto della cui registrazione si discute. In sostanza il quinto comma dell'art. 14 
sembra piuttosto dettare una disciplina extracontrattuale per l'ipotesi che le 
opere siano state eseguite senza una esplicita pattuizione aggiuntiva o prima 
della risoluzione, come del resto � gi� previsto nell'art. 344 della Legge sui 
LL.Pl:'. 

Ci� chiarito, l'autonomia del negozio con il quale le due parti stabiliscono 
di eseguire opere non previste, nella quantit�, nel contratto principale con libera 
determinazione e perfino con possibilit� di stabilire nuove condizioni, sembra 
evidente. Il principio dovrebbe per� trovare applicazione a tutti gli effetti ed 
anche nei rapporti sostanziali fra le parti. 



RASSEGNA� DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

400 

ro �inteso affermare soltanto che quando i lavori di variante richiesti 
dalla stazione appaltante superino, per il loro importo, il sesto-quinto di 
quello stabilito in contratto, e quindi siano tali che non ne possa essere 
pretesa l'esecuzione, debbono essere parificati ai lavori extracontrattuali, 

nel senso che, al pari di questi (ai quali peraltro, � appena il caso di 
ricordarlo, il principio si applica qualunque sia la loro importanza ed 
anche se restino contenuti nei limiti del quinto) non possono non formare 
oggetto di un nuovo e distinto contratto. 

Affidata a questa ragione del decidere, la sentenza impugnata risulta 
immune da errori di diritto. 

L'obbligo nascente dal contratto a carico dell'appaltatore, secondo 
la norma dettata dall'art. 13 del d.P.R. n. 1063 del 1962, � quello di eseguire 
entro i limiti stabiliti dal successivo art. 14 -e cio� fino alla concorrenza 
di un quinto in pi� o in meno dell'importo del contratto stesso tutte 
le variazioni ritenute opportune dall'amministrazione appaltante 
e che questa gli abbia ordinato (purch� non mutino essenzialmente la 
natura delle opere comprese nell'appalto). 

Quando nell'esercizio del potere spettante all'amministrazione di 
introdurre tutte le variazioni dell'opera originaria che essa, a suo insindacabile 
giudizio, ritenga di apportare durante l'esecuzione dell'appalto 
-e, pertanto, non solo quando siano imposte da una vera e propria 
necessit� tecnica, sopravvenuta nel corso dell'esecuzione dei lavori oppure 
preesistente, ma sempre che esse risultino opportune per la realizzazione 
di un'opera il pi� possibile rispondente alla soddisfazione delle esigenze 
cui � finalizzata (v. Cass. 31 luglio 1978 n. 3623) -il limite consentito 
viene superato, come l'appaltatore non ha l'obbligo di eseguire le variazioni 
richieste, cos�, correlativamente, l'Amministrazione non ha il diritto 
di pretenderne l'esecuzione. In questa situazione l'assetto dei nuovi, rispettivi 
interessi che ne scaturiscono (nuove categorie di lavori, in sostituzione 
o in aggiunta a quelli previsti nel progetto gi� appaltato che 
viene modificato, eventuale impiego di materiali per i quali non sia 
stato fissato il prezzo contrattuale, determinazione dei nuovi prezzi e 
dei termini per il compimento dell'opera etc....) non pu� che formare 
oggetto di un nuovo e diverso autoregolamento negoziale attraverso una 
nuova e diversa manifestazione di autonomia delle parti. 

Queste conclusioni, con riferimento alle norme degli artt. 17 e 19 
del Capitolato generale approvato con D.M. 28 maggio 1895, che dettavano 
sulla questione che ne occupa una disciplina sostanzialmente conforme 
a quella posta dagli artt. 13 e 14 del vigente capitolato approvato con 

d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, risultano gi� accolte dalla giurisprudenza 
di questa Corte, con l'affermazione che la disciplina delle variazioni che 
l'amministrazione ha la facolt� di ordinare durante l'esecuzione in appalto 
di opere pubbliche non � applicabile quando le variazioni superino il 
quinto dell'importo complessivo dell'opera appaltata, ovvero, pur non 
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f, 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

eccedendo il quinto, siano, in realt�, estranee alla categoria di lavori 
contrattuali previsti e tali da mutare esssenzialmente Ia natura delle 
opere comprese nell'appalto (Cass. 28 ottobre 1965 n. 2290). 

Giova ricordare che le variazioni che rimangono nei limiti del quinto 
dell'importo dell'appalto sono oggetto di un ordine scritto del direttore 
dei lavori, il quale pu� imporne l'esecuzione anche immediata all'appaltatore, 
obbligato ad eseguirle (art. 13, d.P.R. n. 1063, primo e secondo 
comma, cit.) e, quando non possono essere valutate ai prezzi di contratto, 
perch� esigono categorie di lavori non prevedute o l'impiego di materiali 
per i quali non risulti fissato il prezzo contrattuale, non sono subordinate 
all'accettazione da parte dell'appaltatore dei relativi prezzi, perch� 
questi sono formati a norma dell'art. 21 del regolamento a<pprovato con 

R.D. 25 maggio 1895 n. 350, e l'amministrazione ha sempre il diritto di 
ingiungere l'esecuzione dei lavori o la somministrazione dei materiali 
sulla base di detti prezzi (salvo tempestivo reclamo dell'appaltatore) 
(art. 22). � agevole, in questa vicenda, riconoscere l'inserzione dell'eventuale 
accordo sull'esecuzione delle varianti e sui prezzi nell'originario 
contratto, come patto aggiunto che viene a far parte dell'unico fatto 
genetico ed affermare, quindi, la permanente unitariet� del rapporto gi� 
instaurato. 
Ma altrettanto non pu� dirsi quando l'accordo sull'esecuzione dei 
lavori di variante non � riconducibile, per il superamento del limite del 
loro costo pi� volte ricordato rispetto al prezzo dell'appalto, n� al potere 
della pubblica amministrazione d'imporre l'esecuzione di tali lavori n�, 
correlativamente, all'obbligo dell'appaltatore di accettarli con la determinazione 
dei prezzi secondo la ricordata disciplina, sicch� deve concludersi 
che esso non pu� trovare il suo fondamento se non in una nuova 
e diversa manifestazione di regolamento contrattuale dei rispettivi interessi. 


N� pu� sostenersi che l'unicit� del fatto genetico dei rapporti tra le 
parti discende dalla normativa dettata dall'art. 14, quinto comma, del 
capitolato approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, secondo cui ove l'appaltatore, 
dopo aver ricevuto la comunicazione dall'amministrazione che 
sono stati raggiunti i sei quinti dell'importo contrattuale (comunicazione 
che la stessa amministrazione non ha mai affermato di aver compiuto) 
prosegua i lavori senza chiedere n� il �recesso n� nuove condizioni, le 
maggiori opere si intendono da lui assunte alle stesse condizioni del 
contratto. Detta normativa, infatti, posta nell'art. 14 sotto la rubrica 
�aumento e diminuzione dei lavori�, riguarda, appunto, ,l'ipotesi dello 
aumento o della diminuzione delle opere e risulta congruente con tale 
situazione, che � quella di maggiori lavori della stessa natura di quelli 
previsti per l'opera appaltata, la quale subisce quindi un aumento soltanto 
quantitativo (si pensi a lavori di sbancamento, di movimento di 
terra, di scavo di fossi o canali e ad altri che possono essere aumen



402 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STl\TO 


tati o diminuiti soltanto nella quantit� restando gli stessi previsti in 

contratto sotto ogni altro aspetto). 

Essa non � applicabile quando si tratti di lavori diversi da ql,lelli considerati 
in contratto, derivanti dalla esigenza d'introdurre variazioni qualitative 
e non soltanto quantitative all'opera appaltata; non � applicabile, 
cio�, all'ipotesi di �variazioni ai lavori>>, disciplinata nel precedente 
articolo 13 del capitolato, il quale, richiamando espressamente la disposizione 
del sl,lccessivo art. 14 solo quanto ai limiti entro cui l'appaltatore 
ha l'obbligo di eseg1.1ire i lavori di variante, rende estranea a tale 
l'area di comune disciplina delle due fattispecie (variazioni ai lavori, 
aumento e diminuzione dei lavori), e perci� inapplicabile, ogni altra 
norma non richiamata. 

L'estraneit� alla disciplina applicabile nella specie delle norme non 
richiamate dell'art. 14 del capitolato generale, rende superfluo l'esame 
dell'ultima parte della censura svolta con riferimento ad esse, ed � 
appena il caso di rilevare, per completezzza, che il problema della necessit� 
o meno dell'adozione del procedimento di formazione dei contratti 
ad evidenza pubblica quando sia stipulata l'esecuzione di lavori di varianti 
dell'opera appaltata per un importo superiore al sesto quinto dell'importo 
dell'appalto e delle conseguenze dell'inosservanza di esso ove riconosciuto 
necessario, che potrebbe ritenersi implicitamente sollevato, non 
viene in rilievo in questa sede in cui si discute della (legge determinativa 
dell'aliquota applicabile alla) registrazione del contratto stipulato, per 
i ben noti principi vigenti in materia di registrazione di contratti nulli 
ed annullabili (artt. 11 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269; 36 del vigente 

d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 634). 
In conclusione, muovendo dall'esatto principio che quando risulti 
superato il limite del quinto in aumento per nuovi e diversi lavori dipendenti 
da varianti dell'opera pubblica appaltata pretesi dalla p.a. la nuova 
contrattazione non possa essere ricondotta, secondo la disciplina della 
materia, nell'ambito del vincolo negoziale costituito con �il contratto 
principale, i giudici del merito, con un accertamento non sindacabile in 
questa sede (ed in realt� non censurato, poich� la critica svolta dall'amministrazione 
ricorrente � diretta a negare in via di principio la configurabilit� 
di un secondo autonomo contratto con lo stesso appaltatore 
avente ad oggetto i lavori dipendenti da variazioni, ancorch� per un importo 
superiore al quinto del prezzo dell'appalto), sono pervenuti alla 
conclusione che, con il c.d. atto di sottomissione, si addivenne tra le 
parti ad un secondo autonomo contratto modificativo del precedente 
appalto, che prevedeva l'esecuzione di lavori di variante ed aggiuntivi 
per un corrispettivo d'importo superiore a quello dell'originario appalto, 
ed hanno, quindi, correttamente affermato la tassabilit� dell'atto con 
l'aliquota stabilita dalla legge vigente al tempo della sua registrazione. 

(Omissis). 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 febbraio 1983 n. 1366 -Pres. Mirabelli 
-Est. Sensale -P.M. Corasaniti (diff.) -Comune di S. Giovanni 
in Persiceto (avv. Paolucci e Musso) c. Soc. Impr. Donati 
(avv. Albanese e Faldella). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi � Situazione 
soggettiva de)l'appaltatore . Contratto anteriore alla legge 22 feb� 
braio 1973, n. 37 � Clausola di rivedibilit� del prezzo -Diritto alla 
revisione � Condizioni. 

(d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Situazione 
soggettiva dell'appaltatore -Trasformazione da interesse legittimo in 
diritto soggettivo -Liquidazione di acconti -Effetti. 

(d.1.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, artt. 1, 3 e 4; I. 21 giugno 1964, n 463, art. 2). 
La pretesa del privato, diretta ad ottenere dalla p.a. il procedimento 
di revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche, ha natura 
di interesse legittimo se resta correlata alla facolt� di disporla 
attribuita all'amministrazione in previsione della cura di interessi ed 
esigenze pubbliche secondo una valutazione discrezionale. Assume ir.vece 
consistenza di diritto soggettivo quando, in sede contrattuale, sia espressamente 
convenuto che, verificandosi date condizioni, si dovr� procedere 
alla revisione dei prezzi. A tal fine � per� necessaria una clausola contrattuale 
esplicita, di cor.tenuto univoco, che consenta all'appaltatore di 
pretendere la revisione dei prezzi in presenza di condizioni predeterminate 
e che esamini, quindi, le condizioni stesse quali presupposti della 
pretesa relativa. Non � invece sufficiente una clausola che abbia semplice 
portata ricognitiva del regime legale (1). 

La pretesa del privato alla revisione del prezzo acquista consistenza 
di diritto soggettivo una volta che l'amministraziorie abbia deliberato di 

(1-3) La Cassazione riconferma che la facolt� di procedere alla revisione 
dei prezzi � da considerare attribuita ed esercitata dall'amministrazione in funzione 
della cura di un interesse pubblico, sicch� la pretesa dell'appaltatore 
pu� solo qualificarsi come interesse legittimo e trovare realizzazione nel procedimento: 
la meno recente delle due sentenze in rassegna riprende e sviluppa 



404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

accordarla e percw appartengono alla giurisdizione ordinaria le controversie 
relative all'individuazione dei parametri in base ai quali il compenso 
revisionale va liquidato. Il pagamento di acconti, se non ne sia 
dimostrata l'esclusiva riferibilit� a determinate partite di lavori, deve 
ritenersi eseguito con riguardo all'intera opera appaltata e costituire 
parziale liquidazione dell'intero importo revisionale, in adempimento di 
un presupposto atto di liquidazione implicante il riconoscimento dell'an 
debeatur. Spetta perci� al giudice ordinario conoscere della domanda 
rivolta all'integrale pagamento della revisione (2). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1982 n. 4288 -Pres. Perri Est. 
Maiella -P. M. Sgroi V. {diff.) -Impresa ing. Di Maggio Franco 
(avv. Pallottino) c. Comune di S. Marzano (avv. Franco). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi -Situazione 
soggettiva dell'appaltatore � Interess,e legittimo. 

(d.1.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1; 1. 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2; 1. 21 dicembre 
1974, n. 700; 1. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17). 
In presenza delle condizioni e dei presupposti oggettivamente previsti 
dalla legge, la p.a. � tenuta a procedere alla revisione dei prezzi di appalto 
perch� ci� corrisponde all'interesse pubblico di assicurare una 
adeguata remunerativit� all'appaltatore. L'iniziativa e il potere della 

p.a. vengono nondimeno esercitati in veste autoritativa, senza che il privato, 
in mancanza di una norma che tuteli in via diretta e immediata 
la sua posizior.e sostanziale, possa vantare un diritto soggettivo. Ne deriva 
che, qualora la p.a. ometta illegittimamente di procedere alla revisione 
dei prezzi ovvero respinga illegittimamente la richiesta di revisione 
avanzata dal privato, quest'ultimo pu� rivolgersi soltanto al giudice amministrativo 
(3). 
le considerazioni della precedente giurisprudenza, tenendo anche conto dello 
spunto che nella stessa direzione proviene dall'art. 17 della I. 10 dicembre 1981 

n. 741. 
Quanto invece agli effetti del provvedimento dell'amministrazione che accordi 
la revisione, ma determini l'importo in somma minore di quella pretesa 
dall'appaltatore, le Sezioni Unite riprendono nella sostanza l'impostazione gi� 
accolta nella sentenza 8 febbraio 1979 n. 857 (in Foro it. 1979, I, 1489) e che era 
stata invece criticata nella successiva decisione 1 ottobre 1980, n. 5333 (in Foro 
it. 1980, I, 3013). 

Nel caso deciso da Cass. 8 febbraio 1979 n. 857, il consiglio di amministrazione 
di un i.a.c.p. aveva deciso di �approvare in complessive lire 14.605.277 
il compenso revisionale spettante all'appaltatore stesso, autorizzando la liquidazione 
relativa�, dopo aver accertato che sussisteva il diritto della ditta ad 
ottenere la revisione dei prezzi. In quell'occasione la Corte osservava che 
l'esservi controversia tra le parti circa l'ammontare del compenso dovuto non 
significava che si fosse in presenza di un provvedimento che accordava solo 

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f.: 

I~ 


I. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 405 

I 

Motivi della decisione. -(Omissis). Secondo la costante giurisprudenza 
di queste sezioni unite, se non pu� contestarsi la natura di interesse 
legittimo, tutelabile davanti al giudice amministrativo, della pretesa 
del privato diretta ad ottenere dalla p.a. il procedimento di revisione 
dei prezzi degli appalti di opere pubbliche (in quanto la revisione si 
configura come facolt� attribuita all'amministrazione pubblica, il cui 
esercizio � in funzione della cura di interessi ed esigenze pubbliche, secondo 
una valutazione discrezionale ad essa affidata), tale pretesa assume 
la consistenza di diritto soggettivo, azionabile davanti al giudice ordinario, 
quando, in sede contrattuale, sia stato espressamente convenuto 
-con patto contrario (tale intendendosi non solo quello che 
esclude la possibilit� della revisione, ma anche quello che obbliga l'amministrazione 
ad operarla) stipulato secondo l'espressa previsione contenuta 
nell'art. 1 d.l. 6 dicembre 1947 n. 1501 -che, verificandosi determinate 
condizioni, si dovr� procedere alla revisione dei prezzi (cons., in 
arg., le sentenze 933/68; 2817/74; 631/76; 888/78; 857/79; 3662/80; 5333/80; 
4288/82 e 5122/82). 

Tale principio va precisato nel senso che, per potersi ritenere pattuito 
il diritto alla revisione, � necessaria una clausola contrattuale esplicita. 
di contenuto univoco, che consenta all'appaltatore di pretendere la 
revisione dei prezzi in presenza di condizioni predeterminate e che 
enunci, quindi, le condizioni stesse quali presupposti della pretesa relativa. 


Peraltro, alla stregua della diretta interpretazione della volont� negoziale 
(cui queste sezioni unite hanno il potere-dovere di procedere, quali 
giudici anche del fatto, al fine della soluzione della questione di giurisdizione), 
� da escludere -come esattamente rileva il ricorrente -che 

parzialmente la revISione, cio� di provvedimento implicante mancata realizzazione 
dell'interesse alla revisione e tale da dover essere impugnato a norma 
dell'art. 4 comma 1 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501. La concessione parziale 
prevista dall'art. 4 -osservava la Corte -� riguarda il caso di un riconoscimento 
(dei presupposti della revisione) limitato a talune delle componenti del 
costo globale dell'opera, e non il caso di un riconoscimento che investa inscindibilmente 
tutte le componenti stesse e che pervenga ad una determinazione 
del compenso revisionale difforme da quella pretesa dall'appaltatore, in conseguenza 
di differenti valutazioni compiute nella posizione di contraente ed attinenti 
al computo di fattori incidenti o alla rilevanza di circostanze particolari 
relative allo svolgimento dei lavori: ci� che � materia controvertibile sul piano 
privatistico �. 

La sentenza in rassegna, se argomenta dal pagamento di un acconto la 
trasformazione della pretesa al procedimento in diritto alla corresponsione del� 
l'0intero compenso revisionale, lo fa dn base alla constatata esistenza di wi. prov 
vedimento di liquidazione non limitato all'acconto, ma implicante il riconosci




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

406 

nel contratto stipulato il 18 aprile 1972 fra l'I.s.e.s. e la societ� Donati 
possa rinvenirsi una clausola avente il contenuto sopra precisato. 

Invero, l'art. 5 del contratto stabiliva che i prezzi sarebbero rimasti 
fissi ed invariabili, salvo quanto previsto in materia di revisione dei 
prezzi dall'art. �37 del capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche 
e dalle vigenti disposizioni di legge sulla materia. E per l'art. 37 
del capitolato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, i prezzi s'intendono 
fissi e invariabili, ma ne � ammessa la revisione a norma delle 
disposizioni vigenti. 

L'art. 5 � congegnato in modo che la seconda disposizione (cio� quella 
che fa �salvo quanto previsto in materia di revisione dei prezzi dall'art. 
37 del capitolato generale e dalle vigenti disposizioni di legge sulla 
materia) non ha altra portata se non quella di limitare l'efficacia del 
principio della invariabilit� dei prezzi, enunciato nella prima parte. Essa 
quindi, lungi dal contenere una deroga convenzionale al regime legale 
(secondo il quale l'amministrazione ha il potere discrezionale di concedere 
la revisione e il privato ha un corrispondente interesse legittimo), 
costituisce semplice ricognizione di tale regime, indicato come il solo 
strumento utilizzabile per derogare alla invariabilit� dei prezzi. E con 
tale clausola contrattuale -che per il suo chiaro tenore non consente 
altra interpretazione -va coordinato l'art. 6 del progetto generale, che, 
dopo avere ribadito che i prezzi � s'intendono fissi e invariabili in modo 
assoluto e indipendenti da qualsiasi eventualit� o sfavorevole circostanza
�, fa salva la revisione che �verr� eseguita ai sensi della legge 
21 giugno 1964 n. 463 �, e, che, in coerenza con l'art. 5 del contratto, deve 
intendersi nel senso di un integrale richiamo della disciplina legale, sia 
quanto alla determinazione delle condizioni che devono ricorrere perch� 
possa farsi luogo alla revisione, sia quanto alla valutazione discrezionale 
da parte dell'amministrazione dell'interesse pubblico al fine di stabilire 
se accordare, oppur no, la revisione. 

L'impossibilit� di rinvenire nel contratto d'appalto in esame un 
patto �contrario�, configurabile come atto di esercizio preventivo del 

mento dell'an debeatur e perci� l'attribuzione del diritto alla revisione con 
riguardo all'intera opera appaltata. 

Se si considera che, con l'entrata in vigore della I. 21 dicembre 1974 n. 700, 
gli acconti per revisione prezzi vanno corrisposti unitamente ai pagamenti in 
conto per lavori eseguiti e sono dunque riferiti alle opere, la cui contabilizzazione 
ha dato luogo alla emissione del relativo certificato di pagamento del 
prezzo, la pi� recente decisione delle Sezioni Unite non sembra condurre al 
risultato che il pagamento dell'acconto sposti nell'atea del diritto soggettivo 
la pretesa alla revisione del prezzo anche per tutti i lavori ancora da eseguire; 
sembra invece implicare la conseguenza che le controversie relative alla misura 
dell'acconto siano da considerare vertenti su diritti soggettivi. 

Per altri precedenti sul punto cfr., in questa Rassegna 1978, I, 505 l'anno


tazione a Cass. 23 febbraio 1978 n. 888 e ivi 1980, I, 999 la sentenza 29 giugno 1979 

n. 552 del Trib. Potenza. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURI&. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 407 

potere pubblico di accordare la revisione, non esaurisce la questione 
di giurisdizione nel senso preteso dell'amministrazione ricorrente, ove 
si ritenga che nel corso del rapporto sia sopravvenuto un successivo atto 
di esercizio del potere. 

Si �, infatti, ritenuto che l'appaltatore acquista una posizione di diritto 
soggettivo, azionabile davanti al giudice ordinario, una volta che 
l'amministrazione abbia positivamente esercitato il potere discrezionale 
di accordare la revisione, ad esempio, attraverso un riconoscimento 
unilaterale o un accertamento bilaterale ovvero attraverso l'offerta e il 
deposito della somma dovuta a tale titolo, atti che presuppongono la 
esistenza dell'obbligazione e, quindi, il perfezionamento della sua fattispecie 
costitutiva. E si � ulteriormente precisato che non pu� attribuirsi 
rilevanza riduttiva dell'effetto costitutivo, ricollegantesi all'atto autoritativo 
presupposto dall'offerta e dal deposito, alla limitazione della somma 
offerta e depositata, questa trovando titolo non sul piano pubblicistico 
(dell'esercizio) del potere e cio� nella sua esplicazione limitatamente 
alla minor somma riconosciuta, ma sul piano affatto privatistico del 
modo di essere del rapporto obbligatorio venuto ad esistenza per effetto 
di quell'esercizio (v. sent. n. 631/76). 

Si tratta, quindi, di stabilire se, nel caso in esame, il potere sia stato 
esercitato in corso di rapporto e, in particolare, se tale esercizio possa 
essere avvenuto attraverso il pagamento di un acconto di lire 10.000.000, 
indicato come �primo acconto revisione prezzi ... � nell'avviso del 21 
marzo 1977 e nell'ordinativo di pagamento del 1� aprile 1977. 

Le sezioni unite, nella individuazione del momento in cui il potere 
discrezionale dell'amministrazione debba ritenersi esaurito e il rapporto 
debba considerarsi trasmigrato dall'area del diritto pubblico (contraddistinta 
dalla preminenza del suddetto potere) in quella del diritto privato, 
nella quale la posizione reciproca delle parti si configura in termini di 
diritto ed obbligo, hanno precisato che quel momento si realizza quando 
non solo l'an, ma anche il quantum del corrispettivo dovuto a titolo di 
revisione dei prezzi abbia fortnato oggetto del riconoscimento dell'amministrazione. 
Ci� implica che gli atti d� liquidazione costituiscano provvedimenti 
�mministrativi, che la p.a., nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela, 
pu� successivamente revoc�re o annullare, con la conseguenza 
che, se l'appaltatore abbia gi� agito davanti al giudice ordinario per ottenere 
il pagamento delle somme liquidate, ma non corrisposte in tutto o 
in parte dalla p.a., potrebbe vedere indefinitamente arrestata la sua 
azione dalla revoca dell'atto di liquidazione e non avrebbe altra via che 
rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere la rimozione del provvedimento 
di revoca. 

Quello che si � descritto, pi� che un inconveniente del sistema, ne 
costituisce una distorsione, non necessaria rispetto ai principi cui il sistema 
stesso risulta improntato; e per ci� queste sezioni unite sono 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

408 

indotte a rimeditare sul principio gi� accolto e a chiedersi se non sia 
da correggere l'opinione, secondo la quale la fase autoritativa nei rapporti 
tra amministrazione committente e appaltatore non si esaurisce 
con il provvedimento che accorda la revisione. 

Nell'attribuire la revisione al potere discrezionale della p.a., la legge 
ha ritenuto di dare preminenza agli interessi di cui � portatrice la p.a. 
alla cui unilaterale valutazione la richiesta del privato � rimessa, nel 
quadro degli interessi pubblici che vengono coinvolti, e pu� essere 
respinta quando risulti contraria a tali interessi. 

Se questa � la sostanza del fenomeno, appare conforme alla sua 
struttura dedurne che la p.a., una volta operata la scelta nel senso di 
provvedere alla revisione dei prezzi (fase dell'an), abbia con ci� esaurito 
il potere conferitole, avendo valutato la situazione e adottato le deter� 
minazioni ritenute corrispondenti al pubblico interesse e, secondo la 
legge, considerate sufficienti alla sua salvaguardia. 

La successiva valutazione, consistente nella individuazione dei para� 
metri per la monetizzazione delle differenze di prezzo dovute in ciascun 
caso concreto e nei relativi calcoli, �, invece, un'operazione che, non 
comportando una scelta fra interessi pubblici concorrenti (cfr. la sent. 

n. 4288 del 1982, per la configurazione come interesse pubblico della 
esigenza che il corrispettivo spettante all'appaltatore venga adeguato 
alle mutate condizioni del mercato), non lascia spazio, per sua natura, 
alla discrezionalit� ed �, quindi, al di fuori dell'esercizio del potere, 
concernendo il modo d'essere del rapporto obbligatorio venuto ad esistenza 
per effetto di quell'esercizio. 
In conseguenza, una volta che l'amministrazione, con l'accordare la 
revisione, abbia consumato il suo potere discrezionale, la posizione soggettiva 
del privato, compressa nella fase autoritativa del rapporto, s~ 
riespande acquistando la consistenza di diritto soggettivo; e le controversie 
relative al quantum ricadono sotto la giurisdizione del giudice 
ordinario, il quale � il pi� idoneo alla soluzione delle controversie di 
liquidazione, disponendo di pi� efficaci strumenti processuali per provvedervi, 
l� dove il giudice amministrativo dovrebbe limitarsi a dichiarare, 
eventualmente, l'illegittimit� della liquidazione predisposta dalla 
amministrazione. E questa conclusione appare in armonia con il 2� comma 
dell'art. 30 r.d. 24 giugno 1924 n. 1054, che, anche per le materie 
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riserva 
all'a.g.o. le questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali. 

La parte resistente, al fine di dimostrare che il comune aveva positivamente 
esercitato il potere di accordare la revisione dei prezzi, richiama 
un progetto di revisione definitiva dei prezzi contrattuali contenuto 
in una relazione redatta secondo le osservazioni contenute in un 
voto del comitato tecnico amministrativo del provveditorato delle opere 
pubbliche, che nella copia, priva di autenticit�, prodotta dalla stessa parte 



.PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI �CQUB ED APPALTI PUBBLICI 

non � riferita ad alcun organo del comune e che, anche ammessone la 
conformit� ad un atto originale, potrebbe avere in mancanza di altri 
elementi, il valore di un atto interno meramente preparatorio finalizzato 
ad un (futuro) riconoscimento che si ignora se sia poi sopravvenuto e 
se sia stato formalizzato. 

Neppure forniscono utili elementi in proposito il carteggio intercorso 
tra l'appaltatore e l'I.s.e.s. e tra questo e il comune e H provvedimento 
del provveditorato alle opere pubbliche del 16 settembre 1974 prot. 

n. 9648/1, che maggiore significato potranno, eventualmente, avere al 
fine della individuazione del titolare passivo del rapporto. 
Decisivo rilievo assume, invece, il pagamento di un acconto da parte 
del comune, espressamente indicato come � primo acconto � ed esclusivamente 
riferito alla revisione dei prezzi. 

La conclusione, secondo la quale il potere dell'amministrazione deve 
ritenersi esaurito quando essa abbia operato la scelta nel senso di provvedere 
alla revisione (fase dell'an), spiana la via alla soluzione del problema 
se, quando sia mancata una determinazione dell'intero importo 
revisionale, la corresponsione di acconti sia sufficiente a far ritenere 
consumato il potere dell'amministrazione di accordare, oppur no, la revisione. 
E' evidente, infatti, che nel quadro dell'impostazione accolta la 
liquidazione degli acconti, quando denoti l'avvenuto esercizio del potere 
in ordine all'an della revisione, senza limitarla ad una determinata partita 
di lavori, non ricade nella previsione dell'art. 4 d.l. n. 1501 del 1947, 
che prescrive il ricorso amministrativo sia contro il diniego sia contro 
la concessione parziale della revisione. 

Invero -se pu� convenirsi che il riconoscimento pu� essere � parziale 
� anche solo quanto al tempo rispetto al quale stabilire le variazioni 
cui va raccordata la liquidazione del corrispettivo per revisione dei 
prezzi, poich� anche l'apprezzamento del profilo cronologico rientra nella 
area del potere pubblico di accordare o negare la revisione, questa essendo 
concessa, in principio, per determinati lavori compiuti in determinati 
periodi di tempo, proprio in base a certe variazioni di costo intervenute 
per � quel � tipo di lavori durante � quel � periodo di tempo 
(v., in arg., le sent. n. 5249/79, e 5333/80, cit.) -deve ritenersi che quando 
manchi il riferimento all'elemento temporale, che costituisce un dato 
tecnico-giuridico il cui rilievo rimane nella fase dell' an e non trasmigra in 
quella, successiva, della liquidazione, il riconoscimento non pu� definirsi 
parziale se non quando si riferisca ad una individuata partita di lavori, 
nel cui ambito lo stabilire se l'importo della revisione debba comprendere 
tutte o alcune soltanto delle componenti del costo dell'opera trasferisce 
la controversia sul piano della quantificazione dell'importo .revisionale, 
quando l'amministrazione abbia gi� esercitato positivamente il potere di 
accordare la revisione. Il riferimento, al fine considerato, a parti dell'opera 
appaltata o a partite di lavori eseguiti �, del resto, coerente con :la materia 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

410 

degli appalti pubblici, nella quale, quando non sia convenuto a corpo, il 
prezzo delle opere appaltate a misura � riferito alla quantit� effettiva 
delle� opere eseguite (art. 326, terzo comma, 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. F) 
e viene contabilizzato in base a ciascuno stato di avanzamento. 

Nel caso concreto, poich� il comune di S. Giovanni in Persiceto non 
ha dedotto e non ha provato, com'era suo onere, che l'acconto si r;iferisce 
a determinate partite di lavori, deve escludersi che la revisione sia stata 
accordata parzialmente e deve ritenersi che l'acconto sia stato liquidato 
con riferimento all'intero importo revisionale, riferito all'intera opera'. 
appaltata, in adempimento di un presupposto atto di liquidazione implicante 
il riconoscimento dell'an debeatur e l'attribuzi~ne all'appaltatore 
di un diritto soggettivo alla revisione, la cui controversa quantificazione 
ricade sotto la giurisdizione del giudice ordinario. E della esistenza di un 
atto, presupposto, di concessione della revisione si ha indiretta conferma 
nella deliberazione della giunta comunale del 17 luglio 1978 di autorizzazione 
a resistere alla causa promossa dalla impresa contro il comune, 
nella quale si fa riferimento alla illegittimit� della pretesa di imputazione 
ad interessi dell'importo dell'acconto, ma non vi � un'espressa contestazione 
della pretesa dell'appaltatore alla revisione dei prezzi per ulteriori 
somme. 

Pertanto, sulla causa proposta dalla s.p.a. impresa Donati contro il 
comune di S. Giovanni in Persiceto dinanzi al Tribunale di Bologna, deve 
affermarsi la giuri~dizione del giudice ordinario. (omissis) 

II 

(omissis). Con i primi due mezzi del ricorso -che devono essere 
esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione -il Di Maggio 
sostiene che, pur essendo il contratto de quo sottoposto alla disciplina 
del Capitolato Generale di Appalto per le Opere di competenza del 
Ministero dei Lavori Pubblici, nulla impediva alle parti di configurare, 
mediante apposita clausola, il diritto . soggettivo dell'appaltatore di ottenere 
la revisione dei prezzi. 

Il ricorrente osserva che l'art. 37 del Capitolato Generale fa rife


rimento alle norme vigenti, tra le quali � da annoverarsi l'art. 1 del 

d.l. del C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501 -ratificato con la legge n. 329 
del 9 maggio 1950 e mantenuto in vigore dalle successive leggi n. 1481 
del 1963, n. 163 del 1964 e n. 93 del 1968 -il quale ammett~va la possibilit� 
di patti in deroga al regime revisionale legale, a differenza di 
quanto stabilito dalla legge n. 37 del 22 febbraio 1973, non applicabile 
al caso di specie perch� posteriore alla stipulazione del contratto. 
Il Di Maggio deduce, quindi, che con l'art. 79 del Capitolato Speciale, 
richiamato nel contratto, le parti avevano esplicitamente previsto 
la revisione dei prezzi, per cui sussistono le condizioni per affermare 
la giurisdizione del giudice ordinario. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Osserva la Corte che l'impostazione difensiva del ricorrente, pur 
muovendo da una premessa giuridica esatta, � cretamente erronea� nella 
conclusione a cui perviene, giacch� essa contrasta con la valutazione 
degli elementi probatori compiuta dai giudici del merito. 

Se � vero, infatti, che prima dell'entrata in vigore della legge� 

n. 37 del 22 febbraio 1973 -che ha introdotto il divieto di qualsiasi 
pattuizione preventiva, che renda obbligatoria per la p.a. la rev1s1one ben 
poteva verificarsi che, in base ad una clausola esplicita, di contenuto 
univoco, fosse previsto in favore dell'appaltatore, fin dal momento 
della stipulazione del contratto, il diritto alla revisione, non pu� contestarsi 
che, nel caso di specie, la Corte di appello di Lecce, con una 
indagine minuziosa ed attenta, ha escluso che il Comune di S. Marzano 
si sia avvalso, in concreto, della facolt� di derogare, mediante 
apposito patto, alla disciplina legale della revisione dei prezzi. 
In particolare, la Corte di appello, facendosi carico della interpretazione 
della clausola n. 6 del contratto di appalto -in virt� della quale 
le parti avevano attuato un rinvio recettizio sia al Capitolato Generale 
che al Capitolato Speciale -ha correttamente affermato che l'art. 79 
del Capitolato Speciale si riferiva soltanto ai criteri per la determina-" 
zione degli importi revisionali, per cui, non sussistendo un obbligo 
contrattuale del Comune di S. Marzano di procedere alla revisione, risultavano 
applicabili le norme e i principi del D.L. del C.P.S. n. 1501 del 
1947, non modificati dalle leggi successive e che, di conseguenza, di 
fronte alla facolt� discrezionale della p.a., il Di Maggio non poteva vantare 
la titolarit� di un diritto soggettivo. 

Con il terzo mezzo del ricorso, il Di Maggio assume che, anche 

nel caso di applicabilit� del regime legale della revisione dei prezzi, 

alla posizione dell'appaltatore deve essere riconosciuta la consistenza 

del diritto soggettivo perch� si tratta di :i;apporti contrattuali di diritto 

privato, in cui non trovano collocazione in favore del contraente pub


blico poteri di supremazia amministrativa; perch� la facolt� della p.a. 

di procedere alla revisione non equivale ad insindacabile giudizio, co


stituendo invece un atto dovuto; perch� con l'abolizione dei patti in 

deroga al regime legale, operata dalla legge n. 37 del 1973, la revisione 

� divenuta un elemento insopprimibile del rapporto di appalto di opera 

pubblica; perch� la legge n. 700 del 21 dicembre 1974 ha introdotto la 

pretesa del contraente di percepire gli acconti revisionali, nonch� il 

diritto agli interessi di mora, i quali costituiscono aspetti tipici ed 

esclusivi del rapporto di natura contrattuale. 

Ad avviso della Corte il motivo non ha fondamento. 

Come � stato recentemente ribadito da queste Sezioni Unite (cfr. 
sentenza n. 5333 del 1980) in tema di appalto di opere pubbliche, il principio 
secondo cui la revisione del prezzo, per variazioni complessive del 
costo dei lavori, deriva dall'esercizio di un potere discrezionale della 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

412 

Amministrazione appaltante, a fronte del quale l'appaltatore � titolare 
di meri interessi legittimi tutelabili davanti al giudice amministrativo, 
opera anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 700 del 1974 e non � 
derogabile, nel senso dell'attribuzione all'appaltatore medesimo di una 
posizione di diritto soggettivo azionabile dinanzi al giudice ordinario, n� 
in forza di pattuizione preventiva inserita nel contratto, atteso il divieto 
di cui all'art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37, n� in forza di. riconoscimento 
da parte dell'Amministrazione del corrispettivo a titolo di 
revisione, quando il riconoscimento stesso, anzicch� essere totale e 
riferito sia all'ar. che al quantum, abbia carattere parziale, sia pure 
solo con riferimento ai tempi rispetto ai quali stabilire le variazioni. 
L'indicata deroga, pertanto, non � ravvisabile per effetto della liquidazione 
da parte dell'appaltante di acconti per revisione del prezzo, negli 
stati di avanzamento, riguardo a partite di lavoro successive a quelle 
computate nel singolo stato di avanzamento. 

Tale indirizzo giurisprudenziale merita di essere nuovamente confermato. 


Devesi notare che il contratto di appalto di opera pubblica, pur non 
discostandosi dalla corrispondente figura del codice civile, soggiace alle 
regole generali dettate per i contratti della p.a. per quanto riguarda il 
processo formativo della volont� della parte committente e la scelta 
dell'altro contraente. 

E non pu� dubitarsi che tutta la fase che precede il momento 
perfezionativo del contratto � chiaramente dominata dal potere di supremazia 
della p.a., di fronte al quale le posizioni soggettive dell'appaltatore 
non possono mai assurgere al rango di diritti soggettivi. 

Questo aspetto pubblicistico del rapporto, dopo la conclusione del 
negozio, cede il passo alla disciplina sostanzialmente privatistica, a condizione 
per� che non si verifichi alcun fatto straordinario, capace di 
turbare l'originario equilibrio contrattuale. 

Ora, allorquando il notevole aumento del costo delle materie prime 
e della manodopera e degli altri oneri dell'appaltatore espone questo 
ultimo al rischio di perdite che superano l'alea normale del contratto, 
ecco che si verifica un evento che la p.a. non pu� certamente ignorare 
perch� l'interesse pubblico esige che il corrispettivo spettante all'appaltatore 
venga adeguato alle mutate condizioni di mercato, nel caso 
in cui siano travalicati determinati limiti di tollerabilit�. 

Ma, nel momento stesso in cui sorge il dovere giuridico della p.a. 
di prendere in esame � la qu~stione � della revisione dei prezzi, ritorna 
in gioco l'aspetto pubblicistico del rapporto, contrassegnato dal potere 
autoritativo della parte committente. 

E' questa la ragione fondamentale della configurabilit� del problema 
della revisione dei prezzi secondo il binomio potere-interesse legittimo. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

La p.a. deve tendere, come � stato autorevolmente affermato, alla 
massimizzazione dell'interesse pubblico nel perseguimento dei suoi fini, 
per cui non pu� sottrarsi al suo compito istituzionale di esaminare se 
sussistono le condizioni e i presupposti previsti dalla legge per far luogo 
alla revisione dei prezzi. 

Anzi, questo compito pu� essere assolto anche indipendentemente 
dalla istanza del privato. 

Sarebbe, per�, del tutto arbitrario ritenere che la p.a. ha l'obbligo 
giuridico di procedere alla revisione e che, correlativamente, il privato 
ha il diritto soggettivo di chiedere e di ottenere la revisione. 

Allo 'stato attuale della legislazione, non � dato rinvenire una norma 
che disciplini il rapporto inerente alla revisione in termini di contrapposizione 
obbligo giuridico-diritto soggettivo. 

La posizione sostanziale del privato non � tutelata in via diretta ed 
immediata; essa potr� essere appagata soltanto quando si accerti che la 

p.a. si sia illegittimamente astenuta dal pronunciarsi sulla richiesta di 
revisione o abbia illegittimamente respinto la domanda di revisione. 
E tale illegittimit� dell'operato del soggetto pubblico deve essere 
necessariamente dedotta davanti al giudice amministrativo. 
Diversa � invece l'ipotesi in cui la p.a. abbia gi� proceduto all'accertamento 
positivo delle condizioni e dei presupposti della revisione. 
In tal caso, infatti, essendosi ormai esaurito il momento autoritativo 
con l'avvenuto esercizio del potere discrezionale, il rapporto presenta 
connotazioni esclusivamente privatistiche, per cui la eventuale 
controversia tra la p.a. e l'appaltatore rientra nella cognitione del giudice 
ordinario, in quanto ha per oggetto la mera determinazione dello 
ammontare del compenso revisionale (cfr. sentenza S.U. n. 857 del 1979 
e la gi� citata sentenza S.U. n. 5333 del 1980). 

Non � esatto, poi, che il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 37 
del 22 febbraio 1973 abbia conferito alla revisione la natura di elemento 
essenziale, o quanto meno naturale, del rapporto di appalto di opera 
pubblica. 

Invero, detta norma, nel sancire la inefficacia di � qualsiasi patto 
in contrario e in deroga�, ha addirittura inibito alle parti di attuare, 
nel momento perfezionativo del contratto, un regolamento diverso da 
quello previsto dalla normativa vigente. 

La qual cosa, lungi dal rendere azionabile la pretesa del privato 
davanti al giudice ordinario, ha ulteriormente accentuato la posizione 
autoritativa della p.a. per quanto riguarda il potere di procedere alla 
revisione. 

N� pu� trarsi argomento a favore della ipotizzabHit� di un diritto 
soggettivo del privato dalla legge 21 giugno 1964 n. 463. 
Infatti, tale normativa, introducendo una regolamentazione pi� precisa 
di quella precedente, ha individuato il sistema di calcolo del compenso 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

revisionale, ma non ha minimamente intaccato, a monte, il potere 
discrezionale della p.a. di procedere alla revisione nel quadro di una 
puntuale realizzazione dell'interesse pubblico. 

D'altra parte, la posizione soggettiva del privato rimane quella di 
interesse legittimo anche alla stregua della disciplina contenuta nella 
legge 21 dicembre 1974 n. 700, perch� le norme relative agli acconti revisionali 
e agli interessi moratori sono pienamente compatibili con il riconoscimento, 
alla p.a. di un potere, il cui esercizio pu� dirsi vincolato 
soltanto sotto l'aspetto pubblicistico, non anche nei confronti del pri� 
vato (cfr. sentenza S.U. n. 888 del 23 febbraio 1978). 

Infine, non pu� sottacersi che la recentissima legge n. 741 del 10 di� 
cembre 1981 contiene una norma -quella dell'ultimo inciso dell'art. 17 
-la quale conferma esplicitamente la giurisdizione del giudice ammi~ 
nistrativo in materia di revisione dei prezzi di appalto delle opere pubbliche. 


In conclusione, anche se � vero che, in presenza delle condizioni 
e dei presupposti oggettivamente previsti dalla legge, la p.a. � tenuta 
a procedere alla revisione dei prezzi di appalto perch� ci� corrisponde 
all'interesse pubblico di assicurare una adeguata remunerativit� all'appaltatore 
-onde evitare che le gare vadano deserte o che si rendano aggiudicatarie 
dei lavori imprese di poco scrupolo e di scarso affidamento nondimeno 
l'iniziativa e il potere della p.a. vengono esercitati in veste 
autoritativa, senza che il privato, in mancanza di una norma che tuteli in 
via diretta ed immediata la sua posizione sostanziale, possa vantare un 
diritto soggettivo. Consegue che, qualora la p.a. ometta illegittimamente 
di procedere alla revisione d�i prezzi ovvero respinga illegittimamente 
la richiesta di revisione avanzata dal privato, quest'ultimo pu� rivolgersi 
soltanto al giudice amministrativo. 

In aderenza alle considerazioni di cui sopra, il ricorso del Di 

Maggio deve essere rigettato. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 febbraio 1983 n. 1370 -Pres. Mirabelli 
� Est. Carotenuto -P. M. Corasaniti (conf.). � Amministrazione 
della Difesa .(avv. Stato Corti) c. Boatti Petroli S.p.A. (avv. Guarino). 

Contabilit� pubblica -Contratti della pubblica amministrazione � Forni� 
ture -Revisione dei prezzi � Previsione in contratto � Diritto sogget� 
tivo alla revisione -Clausola compromissoria -Validit� � Onere di 
ricorso amministrativo � Non sussiste. 

(r.d.J. 13 giugno 1940, n. 901, artt. 1, 2, 3 e 4). 
La revisione dei prezzi nei �ontratti di pubbliche forniture trova 
completa ed autonoma disciplina nel r.d.l. 13 gi_ugno 1940, n. 901. La 
clausola contrattuale, che preveda la revisione in connessione con dt;!ter


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PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 415, 

minate variazioni delle condizioni di mercato, d� luogo ad un rapporto 
sinallagmatico, con correlative posizioni di diritto di credito e di obbligazione, 
ed esclude che la revisione sia oggetto di facolt� dell'amministrazione 
rispetto alla quale sia configurabile una posizione di interesse legittimo.. 
Conseguentemente, la controversia che sorga a seguito del provvedimento 
di rigetto dell'istanza di revisione �rientra nella giurisdizione 
del giudice ordinario e pu� essere devoluta alla cognizione di arbitri,� 
non d� luogo a decadenza la mancata tempestiva impugnazione del provvedimento 
di rigetto con il ricorso al ministro preveduto dagli artt. 2 e 3 
del r.d.l. 901 del 1940, giacch� esso riguarda solo il caso in cui la revisione 
� oggetto di facolt� della P.A. (1). 

(Omissis). Con i primi due motivi del ricorso principale (nei quali 
si denuncia violazione degli art. 103, primo comma, Cost.; 2 legge 20 marbo 
1865 n. 2248 all. E; 2 e 4, r.dl. 13 giugno 1940 n. 901) vengono sottoposte 
all'esame di questa Corte quattro eccezioni, tra loro connesse, 
gi� sollevate e disattese in sede di merito. 

Con la prima viene dedotto il difetto di giurisdizione del collegio 
arbitrale in quanto il r.d.l. n. 901 del 1940, che disciplina la revisione dei 
prezzi nei contratti di pubbliche forniture, configura la posizione soggettiva 
del fornitore come interesse legittimo, da far valere -rispetto ai 
provvedimenti dell'Amministrazione di rigetto o di accoglimento parziale 
dell'istanza di revisione -davanti al giudice amministrativo. La diversa 
configurazione di diritto soggettivo non pu� essere desunta dall'esistenza, 
nel caso di specie, di una espressa clausola contrattuale che prevede 
la revisione, dal momento che per i contratti di pubbliche forniture 
l'art. 4 del predetto d.l. n. 901 subordina la revisione all'esistenza di una 
apposita previsione, e la corte di merito non ha spiegato perch� la clau


(1) Cass. 14 dicembre 1981 n. 6593, in Giust. civ. Mass. 1981, 2349 -richiamata 
nella motivazione della decisione in rassegna -era gi� pervenuta ad 
identiche conclusioni su tutti gli aspetti cui ha riguardo la massima. 
Com'� noto, l'art. 4 del r.d.I. 901 del 1940 dispone che �nei contratti di 
fornitura stipulati dopo l'entrata in vigore d�lla presente legge e nei quali sia 
prevista la revisione dei prezzi, le controversie relative alla revisione stessa 
saranno definite ai sensi dei precedenti articoli 2 e 3 salvo che non sia diversamente 
stabilito dal contratto �. Se ne desume che il contratto deve prevedere 
la rivedibilit� del prezzo perch� a questa possa farsi luogo. Di qui il problema 
della qualificazione della situazione soggettiva del contraente privato in presenza 
di tali clausole, apparendo che esse, costituendo necessario presupposto 
per l'esercizio della facolt� di revisione da parte dell'Amministrazione, non possano 
valere a costituire un diritto del privato alla revisione. 

Secondo quanto si desume dalla sentenza in rassegna e dalle decisioni 14 dicembre 
1981 n. 6593 cit. e 8 gennaio 1968 n. 35, in Giust. civ. Mass. 1968, 18 la 
giUrisprudenza �ttribuisce alla clausola natura ed effetti contrattuali, tutte le 
volte che le condizioni di rivedibilit� del prezzo sono stabilite in modo diverso 
da quello legale, quale previsto dall'art. 1 del r.d.l. 901. 



416� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sola contrattuale in esame, anzich� essere diretta soltanto a rendere 
possibile la revisione secondo la disciplina legale, sarebbe attributiva di 
un diritto soggettivo. 

La seconda, la terza e la quarta eccezione, proposte in via gradata, 
hanno rispettivamente ad oggetto: a) il difetto �temporaneo� di giurisdizione 
del collegio arbitrale, in quanto la soc. Boatti non ha preventivamente 
proposto ricorso in sede amministrativa, secondo la previsione 
degli artt. 2 e 3 del citato r.d.l. n. 901; b) l'incompetenza del collegio arbitrale, 
in quanto la clausola compromissoria in esame -con la quale vengono 
devolute alla cognizione degli arbitri le controversie concernenti 
l'esecuzione dei contratti -per la sua genericit� non pu� essere interpretata 
nel senso di includere anche le controversie relative alla revisione 
dei prezzi; e) la decadenza dall'azione per non essere stato tempestivamente 
impugnato il provvedimento dell'Amministrazione che ha 
rigettato l'istanza di revisione. 

I motivi sono infondati. 

1. � da premettere che la rev1s10ne dei prezzi nei contratti di pubbliche 
forniture � disciplinata dal R.D.L. 13 giugno 1940 n. 901, tuttora 
in vigore, in modo completamente autonomo dalla revisione prevista per 
i contratti di appalto di opere pubbliche. Di conseguenza � escluso che 
per la soluzione del problema di giurisdizione in esame possa farsi riferimento 
alla copiosa normativa dettata per l'appalto di opere pubbliche, 
culminata nell'art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37 che, con riguardo 
alla generale configurazione della posizione soggettiva dell'appaltatore 
come di interesse legittimo rispetto alla facolt� della P.A. di revisione dei 
prezzi, vieta patti contrari che possano attribuire all'appaltatore un vero 
diritto soggettivo alla revisione (cfr. Sez. un., 1� ottobre 1980 n. 5333). 
Fin dalle prime decisioni di questa Corte nelle quali � stato affrontato 
il problema dell'interpretazione del citato D.L. n. 901 (cfr. Sez. Un. 
16 maggio 1945 n. 345) � stato osservato che l'espressa pattuizione circa 
la revisione dei prezzi delle pubbliche forniture, in connessione con determinate 
variazioni delle condizioni di mercato, d� luogo a un rapporto 
sinallagmatico, con correlative posizioni di diritto di credito e di obbligazione, 
tali da escludere che la revisione sia oggetto di una semplice facolt� 
dell'Amministrazione, rispetto alla quale sia configurabile una posizione 
di interesse legittimo. Questa conclusione, riaffermata da varie decisioni 
successive (cfr. sent. 28 febbraio 1948 n. 326, 12 ottobre 1960 n. 2685, 
8 gennaio 1968 n. 35), � stata ribadita con una recente pronuncia (Sez. 
Un. 14 dicembre 1981 n. 6593), la quale, in relazione ad argomenti simili a 
quelli prospettati con i motivi di ricorso in esame, ha posto in rilievo 
che l'art. 4 del D.L. n. 901 del 1940, in quanto prevede espressamente la 
possibilit�, non solo, che la revisione, anzich� formare oggetto di una 
facolt� discrezionale della P.A., sia contrattualmente dovuta, ma altres� 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

che la definizione delle controversie ad essa relative venga contrattualmente 
regolata in modo. diverso da quello previsto dalla legge in via 
generale (ricorso al Ministro contro il provvedimento che rigetta o accoglie 
parzialmente l'istanza di revisione), fa riferimento alla possibilit� 
di deferire ad arbitri la cognizione delle controversie medesime, proprio 
in connessione con il carattere di diritto soggettivo della pretesa 
del fornitore. 

Ci� posto � sufficiente osservare, quanto al caso di specie, che nei 
contratti di fornitura: a) la revisione dei prezzi fu specificamente prevista 
dalle parti con riguardo al dato obiettivo della variazione dei prezzi 
stabiliti dal CIP; b) furono devolute alla cognizione arbitrale tutte le 
controversie nascenti dall'esecuzione del contratto, con la conseguenza 
che la tesi sostenuta dalla ricorrente -secondo cui, nel caso in esame, 
la revisione dei prezzi formava oggetto di una semplice facolt� discrezionale 
dell'Amministrazione -� del tutto infondata. 

2. Ritenuta la configurazione della posizione del fornitore come diritto 
soggettivo, con conseguente esclusione della giurisdizione del giudice 
amministrativo, � altres� infondata anche la tesi (subordinata) del 
difetto temporaneo di giurisdizione per effetto del mancato esperimento 
dei rimedi in sede amministrativa (ricorso al Ministro contro il provvedimento 
di rigetto dell'istanza di revisione). 
Tali rimedi, per espressa disposizione dell'art. 4 del D.L. n. 901, sono 
previsti come alternativi rispetto alla diversa regolamentazione contrattuale 
e si riferiscono, in via generale, all'ipotesi in cui la revisione, non 
disciplinata dal contratto, sia rimessa alla discrezionalit� della P~A. (cfr. 
la citata sentenza n. 6593 del 1981). 

3. La questione di competenza del collegio arbitrale, sollevata in relazione 
al riconoscimento che si controverta in materia di diritti soggettivi, 
� connessa all'interpretazione della clausola compromissoria; interpretazione 
che, in materia di competenza (come di giurisdizione), deve 
essere compiuta direttamente da questa Corte (cfr. sent. 12 gennaio 
1979 n. 225). 
Considerando che la cognizione arbitrale riguarda (art. 12 dei singoli 
contratti) �le controversie concernenti l'esecuzione del presente contratto
�, ritiene la Corte che in essa rientrino anche le controversie circa la 
revisione del prezzo, la quale � istituto collegato al momento esecutivo 
del contratto, e non certo a quello genetico, riguardando la determinazione 
del corrispettivo delle prestazioni eseguite in base al contratto. 

4. Esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo � incongruo 
dedurre la decadenza dell'azione in conseguenza della mancata, tempestiva 
impugnazione, in sede amministrativa, del provvedimento di rigetto 
dell'istanza di revisione. Il ricorso al Ministro, ai sensi degli artt. 2 e 3 

ili 

418 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del DL. n. 901 del 1940, ha come presupposto che la revisione sia oggetto 
di una mera facolt� della P.A. (cfr. la citata sentenza n. 6593 del 1981). 

(Omissis). 

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Il 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, Sez. III, 
28 maggio 1983 n. 440 -Pres. Felici -Est. Ravalli -I.A.C.P. di Roma 
(avv. Bertuccelli) c. Ministero dei lavori pubblici (n.c.) e Impresa 

S.I.I. Societ� Imprese Industriali (avv. Caporale). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Costo della 
manodopera -Oneri derivanti da contratti aziendali di lavoro -Computabilit� 
-Esclusione. 

(d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1; 1. 21 giugno 1964, n. 463, art. 1; I. 17 feb� 
braio 1968, n. 93, art. 1). 
Costituiscono prezzi correnti per la manodopera ai fini della revisione 
dei prezzi solo quelli che incidono in eguale misura su tutte le imprese 
agenti in un determinato territorio, cio� quei prezzi che pongono 
le imprese concorrenti in una stessa posizione di eguaglianza sia al momento 
dell'offerta che a quello in cui dovessero verificarsi variazioni in 
aumento in corso d'opera. Vanno pertanto esclusi dalla revisione dei 
prezzi i maggiori oneri di manodopera derivanti da accordi aziendali (1). 

(Omissis) 1. -Il ricorso pone la questione se, in sede di revisione dei 
prezzi d'appalto di opere pubbliche, nella valutazione del maggior costo 
della manodopera debbano o meno computarsi gli oneri derivanti dall'applicazione 
dei contratti aziendali di lavoro. 

Per l'esclusione degli accordi aziendali � la tesi del ricorrente IACP 

della provincia di Roma; sostengono, invece, l'inclusione la convenuta Im


(1) La decisione in rassegna, la prima che per quanto consti ha affrontato 
l'argomento, ha correttamente risolto il problema se, per determinare le variazioni 
dei prezzi correnti intervenute successivamente alla presentazione dell'offerta 
(art. 1 comma �1 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501) ed in particolare 
le variazioni di costo della manodopera (art. 1 comma 6 1. 21 giugno 1964 
n. 463 sub art. 1 I. 17 febbraio 1968 n. 93), tra gli elementi della retribuzione 
posti a carico dell'imprenditore � dagli accordi e contratti collettivi di lavoro � 
(art. 1 comma 6 I. 463/1964) vadano ricompresi anche quelli risultanti dai contratti 
collettivi aziendali. 
Con riferimento al periodo successivo alla stipulazione del contratto collettivo 
nazionale di lavoro per l'edilizia definito con l'accordo del 6 ottobre 1976, 
il Ministero dei lavori pubblici, con la circolare 15 novembre 1978 n. 7595 (in 
Arch. giur. op. pubbl. 1978, 2, IV, 246) ha affermato che alla contrattazione 
aziendale sia da negare rilevanza. 


Il caso esaminato dal Tribunale aveva riguardo a lavori eseguiti in un 
periodo anteriore al 6 ottobre 1976. Che il contratto aziendale costituisse prima 




:PARl'B I, SBZ. VII;� GlURIS. IN MA'l'BIUA DI ACQUB BD APPALTI PUBBLICI 419 

presa S.I.I. ed il Ministero dei lavori pubblici, il cui decreto n. 2991 del 
13 maggio 1977, risolutivo del ricorso amministrativo ex art. 4 D.L.C.P.S. 
6 dicembre 1947 n. 1501, � stato impugnato. 

2. � i! appena il caso di accennare alla questione -non posta dalle 
p(lrti ipa sollevabile d'Ufficio -se rientrino o meno nella giurisdizione 
del � giU.dfoe . amministrativo le controversie in materia di revisione prezzi. 
� ~I) ptop<)Sito, per l!lffertnare la giurisdizione amministrativa, non resta 
che richiamare, le arg9mentazioni svolte dalla giurisprudenza� della Corte 
di Cassazione, condivisa in prevalenza dal giudice amministrativo, sec�ndQ. 
le quali, anche� a seguito delle pi� recenti innovazioni legislative 
inJl)ateria di reviS�()JJ,e dei Prezzi d'~ppalto di opere pubbliche (L. 22 febbraio 
1973 n. 37 e t. 21 dicembre i974 n, 700), la posizione del privato 
appaltatore nei. confronti . de�liente appaltante per la corresponsione. del 
C()DJ.:Pe11so r~visionale, si atteggia alla stregua di interesse legittimo, ancol'c})
� particolarme:tlte � qualjficato dalla previsione di attivit� . prevalentem.
ente vincolate e dovute .dell'Amministrazione (cfr. Cass. SS.UU. 23 febbraio 
1978 n. 888 e 10 ottobre 1919 n. 5249; T.A.R. Calabria, Catanzaro 
22 maegio 1981 n. 231; T.A.R. Lombardia, Brescia 16 dicembre 1980 n. 386 
e Milano 4 dicembre 1981 n. 1517; T.A.R. Piemonte 29 ottobre 1980 

n. 929, nonch� T.A.:R. Toscana 22 dicembre 1980 n. 1064). 
N�, nel caso, pu� condur.re a diversa soluzione la circostanza che lo 
specifico contratto d'appalto reca una clausola (art. 12) in materia di 
revisione prezzi; infatti, alla stessa -anche in forza di un principio d� 
conservazione -non . pu�� riconoscersi che carattere meramente riproduttivo 
delle disposizioni di legge ovvero, a tutto concedere, meramente 
interpretative delle stesse. Per cui, nella fattispecie, non sono applicab�li 
gli orientamenti.� espressi dalla Cassazione (Cass. SS.UU. 8 febbraio 1979 

n. 857 e 17 maggio 1979 n. 2807) allorch� le parti abbiano regolato la 
materia mediante clausole contrattuali. 
l. -Non ha fondamento l'eccezione di inammissibilit� del ri�orso proposto 
dall'Impresa ai sensi dell'art. 4 D.L.C.P.S. n. 1501/1947 avverso la 
comunicazione dell'Istituto di diniego della computabilit� ai fini della 
di questa data strumento di rilevazione delle variazioni dei costi correnti della 

m~odopera .era stato ritenuto sia dallo stesso Ministero dei lavori pubblici con 

la circolare 1� agosto 1977 n. 5242 in Arch, giur. op. pubbl, 1977, 2, IV, 186 sia 

dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. II, 23 aprile 1980 n. 281/80 in Cons. 

Stato 1981, I, 973). 

Per completare l'informazione sul tema possono ancora consultarsi la circolare 
11 marzo 1978 n. 1952 del Ministero dei lavori pubblici (in Arch. giur. op. pubbl. 
1977, 2, IV, 188) e il parere 24 luglio 1980 n. 585/80 della Sezione II del Consiglio di 
Stato (Cons. Stato 1981, I, 975), che hanno preso in considerazione il caso di 
compensi revisionali licillidati calcolando il maggior onere per manodopera deriv�nte 
�da contratti aziendali, per lavori eseguiti dopo il 6 ottobre 1976 e sino 
all'emanazione della circolare 1� agosto 1977 n. 5242.. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

revisione prezzi del maggior onere per manodopera derivante dall'applicazione 
di un contratto aziendale, nella considerazione che la comunicazione 
stessa, non sottoscritta dal Presidente, non poteva considerarsi 
un atto definitivo ovvero un provvedimento in senso proprio. 

. Va, infatti, osservato che, a prescindere dalle modalit� con le quali 
l'Ente abbia esternato le proprie determinazioni, deve considerarsi provvedimento 
lesivo, e come tale direttamente impugnabile, ogni atto� diretto 
a manifestare� la volont� dell'Amministrazione ogni qual volta fa stessa 
abbia tenuto, anche successivamente, un comportamento non contrastante, 
ma anzi di avallo di quanto comunicato, atteso anche che� ogni 
eventuale asserita irregolarit� dell'esternaziorie non si riflette sull'efficacia 
dell'atto fin tanto che esso non venga eliminato mediante revoca 

o ritiro o con un provvedimento che disponga diversamente. 
4. -Il contratto collettivo d'impresa, o contratto collettivo aziendale, 
costituisce il livello minimo di contrattazione collettiva, inteso com'� a 
regolare i contrapposti interessi esistenti nell'ambito dell'unit� produttiva 
aziendale. 
Il contratto aziendale indubbiamente fa parte del sistema della contrattazione 
collettiva, che ha il suo massimo schema normativo nel contratto 
nazionale e si articola in contratti integrativi provinciali o comunali. 


Il contratto aziendale, che intende conseguire la maggior aderenza 
normativa ed economica alle condizioni ed alle possibilit� particolari 
delle singole imprese, � fenomeno diffuso in ogni societ� industriale e 
comune o consuetudinario in quelle pi� avanzate (cfr. gli shop bargains 
nord-americani). Esso, tuttavia, � suscettibile all'interno di ulteriori distinzioni, 
a seconda, cio�, che :trattasi di contrattazione cui esplicitamente 
fa rinvio quella ad ambito pi� esteso per la disciplina di punti particolari, 
ovvero, in mancanza di rinvio, di contrattazione aziendale autonoma, 
che pone in diretto rapporto la direzione dell'impresa ed il personale, 
sia che esistano o meno forme di intervento di rappresentanze sindacali 
ultra-aziendali o di uffici pubblici in funzione conciliativa. 

Certo � che nei contratti aziendali � il datore di lavoro che stipula 
in proprio, connotazione che non � sfuggita alla Corte di Cassazione, la 
quale ha definito il contratto de quo quale atto generale di autonomia 
negoziale (cfr. Cass. 8 maggio 1968 n. 1410). 

5. -Accennato in tale modo al fenomeno della contrattazione aziendale, 
giova richiamare la normativa in materia di revisione prezzi in 
base alla quale dovr� essere definita la controversia. 
t:. noto come l'art. 1 D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, innovando 
sul sistema precedente secondo il quale l'esercizio della revisione prezzi 
dipendeva dall'esistenza di apposita clausola contrattuale, ha stabilito, 


PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 421 

salvo patti in contrario, per l'Amministrazione la facolt� di procedere 
alla revisione dei prezzi pattuiti, quando essa riconosca che il costo com� 
plessivo dell'opera sia aumentato o diminuito in misura superiore al 10 % 
(poi ridotta al 6% dalla L. 23 ottobre 1963 n. 1481) �per effetto di varia� 
zione dei prezzi correnti intervenute successivamente alla presentazione 
dell'offerta�. 

La L. 21 giugno 1964 n. 463, modificata dalla L. 17 febbraio 1968 

n. 93, � rilevante -quanto all'aspetto che interessa ai fini del decidere 
-per l'aver dettato criteri per la determinazione delle quote percen� 
tuali d'incidenza sul costo complessivo dell'opera degli elementi sogget� 
ti a variazione ed individuati nel costo di manodopera, materiali, trasporti 
o noli. 
Da ultimo, la L. 22 febbraio 1973 n. 37, che ha escluso ogni patto 
contrario od in deroga alla revisione prezzi, e la L. 21 dicembre 1974 

n. 700, che ha fissato la spettanza di acconti sui compensi revisionali, 
sono rilevanti per le argomentazioni che si sono tratte in tema di giu� 
risdizione, la prima dal venir mneo di ogni discrezionalt�, la seconda 
dal collegamento di tali acconti con quelli sui prezzi da corrispondere 
all'appaltatore. 
Alla concreta rilevazione dei prezzi �di mercato provvedono, poi, appo. 
site Commissioni, che elaborano i dati su scala provinciale, costituite 
con circolari del Ministero dei lavori pubblici, che ne ha fissato anche 
la composizione, salvo per talune Regioni, ove si provvede secondo leggi 
regionali alla compilazione di appositi elenchi prezzi o prezziari. 

6. -Il problema dell'inclusione o meno dei maggior costi di mano. 
dopera derivanti dalla contrattazione aziendale � stato regolato dal Ministero 
dei lavori pubblici con varie circolari, fra le quali quelle del 1� agosto 
1977 n. 5242 e 11 marzo 1978 n. 1952, che ammettevano la rilevanza 
dei contratti aziendali e del 29 novembre 1978 n. 7595, che la negavano. 
In proposito si � anche pronunciato, in sede consultiva, il Consiglio 
di Stato -Sez. II con pareri 23 ,aprile 1980 n. 281/80 e 24 luglio 1980 

n. 585/80. 
Tali precedenti traggono argomenti dalla considerazione unitaria del 
sistema della contrattazione collettiva e distinguono fra appalti stipulati 
prima o dopo l'entrata in vigore del contratto collettivo nazionale 6 ottobre 
1976, .che non consentiva pi� integrazioni degli accordi a livello 
aziendale; da ci� le conclusioni che davano rilevanza alla contrattazione 
aziendale intervenuta prima del citato contratto nazionale, e la negavano 
per la successiva. 

Peraltro, non pare che possa meditatamente condividersi l'orientamento 
�richiamato per la preminente ragione che, pur in mancanza di 
ogni norma di rinvio dell'ordinamento statale alla contrattazione collettiva 
na2lionale, si viene in buona sostanza a far risolvere un problema 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

generale che resta d'interpretazione della normativa statale da una fonte 
che non si pone come vincolante se non per i contraenti. D'altra parte, 
appare contraddittorio rilevare l'inerenza degli accordi aziendali al sistema 
dei contratti collettivi e poi dare o negare rilevanza non gi� sulla 
scorta della loro effettiva stipulazione, bens� sulla scorta della legittimazione 
che ad essi proviene da altre fonti contrattuali. 

7. -La Sezione ritiene che la rilevanza o meno ai fini della fissazione 
dei prezzi revisionali degli oneri di manodopera derivante dalla contrattazione. 
aziendale sia questione che va correttamente posta come problema 
interpretativo della normativa statale di settore. A tal fine -come 
si � rilevato -soccorre unicamente l'art. 1 D.L.C.P.S. n. 1501 del 1947 
laddove collega il problema della revisione prezzi negli appalti di opere 
pubbliche al fenomeno della � variazione dei prezzi correnti �. La questione, 
quindi, si definisce in relazione al significato da dare all'espressione 
� prezzi correnti �. 
A tal fine, appaiono senz'altro ininfluenti talune tesi che fanno risalire 
l'obbligo diretto della revisione prezzi a quei fenomeni di maggior 
costo che non siano riferibili alle capacit� imprenditoriali dell'appaltatore, 
per negare ingresso a quegli aumenti che sono riconducibili ad imprevidenza, 
imperizia, negligenza o colpa dell'appaltatore. A negare validit� 
a tale tesi 1sembra sufficiente richiamare il fatto che consolidati e 
certi andamenti inflattivi non sono di ostacolo alla valutazione dei maggiori 
costi. D'altra parte, proprio il riferimento alle finalit� d'interesse 
pubblico sottolineate ai fini di stabilire che si verte in materia di interessi 
legittimi (es., interesse alla tempestiva realizzazione dei programmi 
di opere pubbliche, ad un adeguato concorso nelle gare d'appalto), 
danno ragione che non possono trasporsi nell'appalto pubblico i principi 
che regolano i rapporti fra privati di cui all'art. 1664 e.e. 

Negli appalti pubblici alla revisione prezzi si provvede senz'altro in 
relazione all'obiettivo andamento dei prezzi di mercato, per cui il concetto 
di prezzi correnti va individuato in relazione a tale connotato di 
obiettivit�, do� deve trattarsi di prezzi riconoscibili come tali per 
ambedue i contraenti, in una situazione di indifferenza rispetto ai costi 
aziendali. 

Sembra, pertanto, ragionevole ritenere prezzi correnti solo quelli 
che incidono in uguale misura�su tutte le imprese agenti in un determinato 
territorio, cio� quei prezzi che pongono le imprese concorrenti in 
una stessa posizione di eguaglianza sia al momento dell'offerta che a 
quello in cui dovessero verificarsi variazioni in aumento in corso d'opera. 

Diversamente opinando verrebbe a determinarsi per l'ente appaltante 
un maggior onere per revisione prezzi connesso con le condizioni 
dell'azienda e non pi� indifferenziato rispetto al momento . dell'aggiudicazione. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 423 

Vanno, pertanto, esclusi dalla revisione prezzi i maggiori oneri di 
manodopera derivanti da accordi aziendali, sia perch� sono variazioni 
individualmente sopportate da ciascuna impresa, sia perch� sono aggravi 
connessi alle situazioni interne di ciascuna impresa e, comunque ed 
in varia misura, dovuti alle decisioni, pi� o meno necessitate, dall'appaltatore. 


N� pu� portare ad escludere la qualificazione di costi propri aziendali 
degli oneri de quibus, la considerazione che i contratti aziendali 
abbiano finito per costituire una realt� obiettiva e generale per la provincia 
in cui operano le aziende, in quanto la loro generalizzazione non 
costituisce comunque una realt� comune quanto ai contenuti ed ai livelli 
dei maggiori oneri retributivi diretti od indiretti, cosa che, invece, si 
verifica solo per i contratti collettivi nazionali e provinciali. 

8. -N�, inoltre, ha valore sottolineare -come fa la societ� appellata 
-che anche nella stipulazione degli accordi aziendali, alla stessa 
stregua di quelli nazionali o provinciali, possono intervenire rappresentanze 
sindacali non aziendali ovvero anche organismi governativi in funzione 
di conciliazione, in quanto procedure consimili non sono estranee 
neppure .in sede di conclusione di contratti di lavoro riguardanti singoli 
lavoratori. 
Quanto poi all'avvertenza contenuta nella rilevazione prezzi da parte 
dell'apposita Commissione per il periodo ottobre-dicembre 1974 (depositata 
agli atti dalla societ� appellata), circa l'esistenza di � trattamenti 
extracontrattuali�, deve osservarsi che ci� non sembra tanto rivolto a 
riconoscere ex se nella revisione tali trattamenti, quanto piuttosto ad 
indicare una eventuale necessit� di verifica �caso per caso�; il che, 
a tutto concedere, non potrebbe condurre ad altro che all'obbligo di una 
specifica motivazione, ove l'Autorit� ministeriale intendesse fare rientrare 
tali trattamenti extracontrattuali nel concetto di �prezzi correnti�, 
determinandone necessariamente in tal caso l'entit� e la decorrenza in 
base a ragioni obiettivamente e singolarmente verificabili. 

8. -In quanto precede risiedono le ragioni della fondatezza del secondo 
motivo di ricorso, mentre il terzo ed il quarto restano assorbiti 
dalla considerazione che l'art. 12 del capitolato speciale -come accennato 
-costituisce mera clausola ripetitiva od interpretativa della legge 
Il ricorso va, quindi, accolto e ci� comporta l'irrilevanza della questione 
di incostituzionalit�, dedotta in via subordinata nell'ultimo motivo 
di censura. (Omissis). 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 3 dicembre 1982 -Pres. De Martino -
Rel. Fraioli -P.G. Amoroso -Rie. Bambara Salvatore e altri -parte 
civile: Amministrazione della Marina Mercantile (avv. dello Stato 
Nicola Bruni). 

Reato -Occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo -Condanna 
dell'imputato al rilascio e alla riduzione in pristino � Inammissibilit�. 

Nel procedimento penale per occupazione di suolo demaniale marittimo 
il giudice non pu� emettere a carico dell'imputato condanna al rilascio 
e alla riduzione in pristino del suolo abusivamente occupato, essendo 
l'adozione di siffatte misure devoluta all'autorit� amministrativa (1). 

Il Tribunale di Messina, con sentenza del 18 gennaio 1980, in parziale 
riforma della sentenza pronunciata il 25 gennaio 1980 dal Pretore 
di Taormipa ed appellata da Bambara Salvatore, Bambara Vincenzo 
nonch� dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato costituita parte civile, 
condannava i predetti Bambara al risarcimento del danno in forma 
specifica, confermando la sentenza nel resto. Il Pretore aveva tratto a 
giudizio i Bambara per il reato di occupazione abusiva di un arenile in 
quel di Taormina mediante installazione di sedie a sdraio ed ombrelloni 
e per la costruzione di un manufatto su una superficie pi� ampia di 
quella avuta in concessione ed aveva affermato la responsabilit� di 
entrambi condannandoli alla pena di L. 150 mila di amm,enda nonch� 
al risarcimento del danno da liquidarsi davanti al giudice competente. 

(1) La decisione non pu� essere condivisa. 
La Suprema Corte, invero, ha erroneamente applicato, in tema di occupa� 
zione abusiva di suolo demaniale marittimo, principi affermati dalle Sezioni 
Unite, risolvendo contrasti giurisprudenziali, in tema di legittimazione del Comune 
a costituirsi parte civile nei procedimenti per reati urbanistici, con le 
pronunzie 21 aiprile 1979 rie. Pelosi e Armenini, e 21 aprile 1979 rie. Guglielmdni (in 
Giust. Pen. 1979, III, 530 e seg.) richiamate dal ricorrente nei motivi depositati a 
sostegno del ricorso avverso la sentenza emessa in grado di appello dal Tribunale 
di Messina il 18 novembre 1980. 

Le Sezioni Unite hanno s� affermato che nel processo penale avente ad 
oggetto reati urbanistici il Comune � legittimato a costituirsi parte civile solo 
per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ad esso 
derivato anche nella veste di ente rappresentativo degli interessi collettivi della 
comunit� locale, e che il giudice non pu� disporre come misura risarcitoria 
in forma specifica la demolizione del manufatto abusivo essendo l'adozione di 

I ! 

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PAR'l'B I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 425 

Avverso la sentenza del Tribunale di Messina propongono ricorso i 
Bambara deducendo violazioni di legge specie in relazione alle statuizioni 
in favore della parte civile . 

.:t! giurisprudenza costante anche di questa Sezione del Supremo 
Collegio .che la sentenza di primo grado, anche non definitiva, interrom-� 
pe il reato permanente onde il dovere del .giudice di delibare sulle eventuali 
cause estintive del reato qualora siano efficienti alla data della 
pronunzia. Nel caso di specie la sentenza del Pretore di Taormina � del 
25 aprile 1980 ed � evidente, allora, l'estinzione del reato contestato agli 
imputati in virt� dell'amnistia ex d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, amnistia 
che copre i reati contemplati purch� commessi fino al 31 agosto 1981. 

Tanto premesso non pu� il Collegio esimersi dal decidere sulla questione 
relativa alle statuizioni in favore della Amministrazione Finanziaria 
dello Stato nella sua veste di parte civile, statuizioni che, come si 
� avuto occasione di precisare nella breve narrativa, riflettono la condanna 
dei Bambara al risarcimento del danno in forma specifica mediante 
la demolizione delle opere sul terreno demaniale non consentite. 
Siffatta decisione � di dovere giusta l'art. 12 della legge 3 agosto 1978 

n. 405 per il quale, quando nei confronti dell'imputato � stata pronunziata 
condanna, anche generica, alle restituzioni ed al risarcimento di 
danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello 
e la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia, 
decidono egualmente sulla impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni 
e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. 
Affrontando i temi che affiorano nella questione oggetto della disamina, 
il Tribunale di Messina, premesso che � la condanna degli imputati 
al risarcimento del danno � una logica conseguenza dell'accertamento 
operato con la sentenza �, e che � il Pretore aveva omesso di accogliere 
la specifica istanza della parte lesa che richied_eva l'ordine di riduzione 
in pristino �, precisava che � non poteva essere contestato il diritto della 

siffatta misura devoluta esclusivamente al Sindaco, ma hanno chiaramente evi


denziato, come emerge da un'attenta e completa lettura delle pronunzie indicate, 

che il discorso non � estensibile ai beni demaniali per i quali vige la doppia 

tutela prevista dall'art. 823 e.e. 

Si legge infatti, tra l'altro, nella decisione 21 aprile 1979 rie. Guglielmini. 

� .. ., sembra evidente che prima che mal risolta, � mal posta la questione, 

profilata in dottrina e giurisprudenza, circa la compatibilit� della cosiddetta 

autotutela amministrativa dell'integrit� dell'assetto urbanistico del territorio 

comunale -e del correlativo interesse pubblico -con la tutela giudiziaria 

del medesimo e la opzione tra l'una e l'altra forma di tutela che sarebbe riser


vata al Comune in analogia a quanto � dalla legge espressamente previsto per 

la tutela di beni che fanno parte del demanio pubblico (art. 823 e.e.). 

Ed invero, come si � posto sopra in rilievo, la tutela amministrativa della 

conformazione del territorio comunale agli strumenti urbanistici che la rego


lano si svolge, anche quando la sanzione abbia effetti reali, sul piano della 

14 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

426 

Amministrazione cui spettava la tutela dei beni che fanno parte del demanio 
pubblico a chiedere, come ogni altro soggetto, il risarcimento 
del danno in forma specifica, non costituendo un limite a tale facolt� 
la possibilit� per la stessa amministrazione di poter agire in via amministrativa 
�. Tali deduzioni sono state criticate sia dalla difesa che dal 
Brocuratore Generale nel corso dei loro interventi e non pu� il Collegio 
non condividere le loro conclusioni. 

La pubblica amministrazione, infatti, � un soggetto del tutto particolare 
ed i suoi �diritti e la loro azionabilit� assumono colorazioni ed 
aspetti che sovente sono sottratti alle procedure previste per la tutela 
dei diritti spettanti agli altri soggetti dell'ordinamento giuridico. La pubblica 
amministrazione, oltre che soggetto di diritti, � potest� di imperio 
in relazione agli interessi pubblici che deve tutelare e le relative esplicazioni 
in tale particolare angolazione non possono giammai ricondursi 
nei profili e negli ambiti dei diritti soggettivi -di cui la stessa pubblica 
amministrazione ben pu� essere titolare -ed ai quali � accordata la 
tutela giurisdizionale mediante l'azione civile, azione trasferibile nel 
processo penale con la relativa istanza di costituzione. Dal momento, 
poi, che ogni richiesta di giurisdizionale tutela dei diritti presuppone 
una lesione da parte di un soggetto, dei diritti altrui, non � chi non 
veda, stando negli schemi del sistema che regola l'attivit� della pubblica 
amministrazione ed il suo esplicarsi nei settori degli interessi pubblici, 
che, allorch� la lesione del privato aUinge la sovranit� dell'Amministrazione 
stessa e J'atteggiarsi della medesima nella cura e nella disponibilit� 
del proprio patrimonio e delle proprie attivit� sempre riferite 
ad interessi pubblicl e collettivi, travalica essa lesione gli aspetti ed i 
confini degli illeciti civili e penali ed assurge ad illecito amministrativo con 
le inevitabili implicazioni di natura sostanziale e processuale. Discende da 
quanto sopra l'impossibilit� di poter condividere le affermazioni del rappresentante 
della pubblica amministrazione volte a sostenere il diritto della 
stessa ad una duplice tutela giudiziaria ed amministrativa. Poich�, infatti, 

repressione dei comportamenti difformi, che � oggetto immediato di una specifica 
funzione attribuita al sindaco, sicch� il rapporto tra funzione e giurisdizione 
non pu� essere di fungibilit� o di alternativit� o di supplenza ma di 
controllo successivo del giudice rispetto all'atto di esercizio della funzione. Tale 
atto non pu� essere surrogato dall'atto giurisdizionale, anche se ugualmente 

o maggiormente garantito sul piano della legittimit�, data la diversit� di natura 
e di titolo della misura rispettivamente disposta amministrativamente e giudizialmente, 
pur quando in ipotesi il risultato pratico sia uguale, la prima conseguendo 
alla responsabilit� amministrativa del soggetto autore dell'illecito, la 
seconda conseguendo (se ipotizzabile), alla responsabilit� civile del medesimo, 
posto che l'abuso sia rilevante anche come illecito di tale natura. 
La tutela del bene demaniale non incide sul piano del potere e della fun� 
zione pubbl!ica, ma inerisce ad un diritto reale ed al bene concreto (res) che 
ne costituisce l'oggetto ancorch� si tratti di un diritto presidiato da una disciplina 
privilegiata. Ed � questa la ratio che presiede alla norma la quale am




PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 427 

l'illecito amministrativo investe la sovranit� dell'amministrazione nella 
tutela degli interessi pubblici e collettivi -e nel caso di specie non possono 
sorgere dubbi nel collocare l'azione addebitata ai Bambara nell'ambito 
di reati, con riflessi di natura eminentemente amministrativa, non 
potendosi negare nella tutela del demanio marittimo il preminente interesse 
d�lla collettivit� -avviene che il suo evolversi, mentre sul piano 
delle relazioni dirette tra l'autore dell'illecito e la pubbica amministrazione, 
si inquadra negli schemi delle valutazioni discrezionali di cui 
quest'ultima � esclusiva titolare, immesso nell'alveo della contestazione 
giurisdizionale non pu� <trovare altra garanzia se non negli organi davanti 
ai quali � demandata la pronunzia sulle contestazioni stes,se, organi che 
rientrano nell'ambito della cos� detta Giustizia Amministrativa la cui 
competenza non pu� mai essere sostituita e travalicata dal gwdice 
ordinario. 

Quanto sopra, a giudizio del Collegio, � decisivo per la soluzione dei 
problemi posti dai ricorrenti in quanto, risultando il sistema repressivo 
dell'illecito amministrativo racchiuso in norme specifiche le quali stabiliscono 
quali siano gli organi della Pubblica Amministrazione che su 
di esso debbano decidere, quali i poteri degli stessi, quali le valutazioni 
ed i criteri di saggia amministrazione per eliminarne o tollerarne gli 
effetti, � indubbio che le espressioni concrete di siffatte attivit� debbano 
rimanere patrimonio esclusivo della stessa pubblica amministrazione 
senza possibilit� alcuna di poter essere utilmente e giuridicamente rese 
dall'autorit� giudiziaria ordinaria, priva essa come � degli strumenti atti 
a farle valere e ad attuarle. Nel caso di specie l'ordine di demolizione e, 
quindi, dell'adempimento in forma specifica, � attribuito all'autorit� 
amministrativa come manifes,tazione della sua potest� di imperio e, 
quindi, non poteva in alcun modo scaturire da una pronunzia del giudice 
ordinario penale. 

mette, in aggiunta e in alternativa ai modi di diritto pubblico, assistiti da 
esecutoriet�, il modo comune privatistico di difesa giudiziaria della propriet� 
e del possesso del bene. 

La norma non si presta, pertanto, all'affermazione di un princ1p10 generale, 
del quale sarebbe espressione, di istituzionale concorso tra autotutela 
amministrativa e tutela giudiziaria di qualsiasi interesse pubblico, anche se 
correlato ad un potere e non inerente ad un diritto dominicale sia pure privilegiato 
della pubblica amministrazione rispetto ad una cosa determinata. 

La espressa previsione in questa fattispecie della possibilit� della tutela 
giudiziaria potrebbe offrire semmai, come � stato osservato, un argomento 
a contrario per disattendere la tesi di cui si discute, senza dire che in materia 
di conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme edilizie 
l'art. 872 primo comma e.e. con norma di principio statuisce che esse sono 
stabilite da leggi speciali, dal che sembra derivare un ulteriore ostacolo alla 
estensibilit� analogica del regime di doppia tutela, pubblicistica e privatistica, 
sancito per i beni del demanio pubblico dalla citata norma dell'art. 823 e.e, ... �. 

NICOLA BRUNI 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

428 

Prima CORTE DI ASSISE DI ROMA -Ordinanza 7 marzo 1983 -Pres. 


Santiapichi -Giudice a latere Abate -Imp. Toni Negri + 70 -Parti 
civili: Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell'Interno 
(Avvocati dello Stato Oscar Fiumara e Nicola Bruni). 

Reato -Reati contro la personalit� dello Stato -Associazione sovversiva, 
banda armata, insurrezione armata contro i poteri dello Stato -Costituzione 
di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ammissibilit�. 


Reato -Reati di eversione -Erogazione da parte del Ministero dell'Interno 
della speciale elargizione prevista dalla legge 13 agosto 1980, n. 466, e 
successive modificazioni -Costituzione di parte civile del Ministero del� 
l'interno al fine del rimborso della somma erogata -Ammissibilit�. 

Nei procedimenti penali per reati di associazione sovversiva, banda 
armata ed insurrezione armata contro i poteri dello Stato � ammissibile 
la costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri 
per la condanna degli imputati al risarcimento dei danni patrimoniali 
ed extrapatrimoniali (1). 

Nell'ipotesi di erogazione da parte del Ministero dell'Interno, a seguito 
dei fatti di terrorismo, della speciale elargizione prevista dalla legge 
13 agosto 1980 n. 466 e successive modifiche, � ammissibile la costituzione 
di parte civile di detta Amministrazione dello Stato finalizzata 
ad ottenere la condanna degli imputati al rimborso della somma erogata 
(2). 

(1-2) Quanto affermato dalla 1a Corte di Assise di Roma trova puntuale 
e preciso riscontro nella giurisprudenza del Supremo Collegio. 
In relazione alla prima massima si richiama Cass. 26 maggio 1981, sez. 1a, rie. 
Agnellini ed altri, in Giust. pen. 1982, II, 615, in cui tra l'altro viene affermato: 

� ... Detti ricorrenti appuntano le censure sull'assunto che la personalit� 
dello Stato, parte lesa nei delitti di eversione, sarebbe stata reintegrata con la 
sottoposizione a giudizio penale dei responsabili, e quindi la Presidenza del 
Consiglio non avrebbe legittimazione a costituirsi parte civile. 

Ma la tesi non pu� essere seguita. 

Come � stato puntualizzato nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 
del 21 aprile 1979, in base al combinato disposto degli artt. 185 C.p. e 22, 
23 e 91 C.p.p.; la legittimazione attiva della persona alla quale il reato ha 
recato danno ad esercitare la relativa azione civile nel processo penale mediante 
la costituzione di parte civile, deriva dalla sussistenza a carico dell'autore 
del reato delle obbligazioni ex delicto alla restituzione e al risarcimento del 
danno. La causa del danno e, quindi, la fonte della relativa obbligazione restitutoria 
o risarcitoria, deve essere costituita dal reato. 

Ne segue che l'art. 185 C.p. lungi dal rafforzare la tesi� del carattere meramente 
sanzionatorio del diritto penale costituisce il fondamento delle obbligazioni 
ex delicto delineandone la natura autonoma ed originale siccome correlata 
eziologicamente alla commissione di un fatto costituente reato. 

Data tale correlazione � stato altres� puntualizzato che persona offesa dal 
reato � il titolare dell'interesse specifico direttamente protetto dalla norma 



429

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

LA CORTE 

Osserva: 

i difensori degli imputati hanno proposto opposizione alla costituzione 
di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri; del Ministero 
degli Interni, del Ministero di Grazia e Giustizia e del Ministero 
del Tesoro; 

-nell'assunto degli opponenti, questi organi non hanno subito, dalla 
commissione dei reati contestati� agli imputati, alcun danno diretto e, 
quindi, risarcibile, sia perch� si tratta di reati cosidetti associativi 

o di reati per i quali allo Stato deriva soltanto qu,ello che tradizionalmente 
� definito come danno criminale. 
Ai fini della presente decisione, � bene tener presente il liinite di 
intervento sulla questione collegato all'ammissibilit� sic et simpliciter 

penale e la cui lesione o espos1z1one al pericolo costituisce l'essenza del reato. 
Vi sono interessi che solo eventualmente sono pregiudicati dalla condotta antigiuridica, 
ma v'� uno che deve essere offeso perch� il reato sussista, ed � quello 
che costituisce il bene giuridico protetto dalla norma penale. 

Orbene, se � vero che lo Stato � soggetto passivo generale di tutti i reati, 
esso nei delitti preveduti nel libro secondo, capo secondo del C.p. � il soggetto 
passivo particolare, � la persona offesa, nel ' senso suddetto, dei reati test� 
citati, essendo il titolare dei beni giuridici specifici direttamente protetti da 
tali norme e che sono costituiti dagli interessi fondamentali della personalit� 
dello Stato, attinendo essi alla inviolabilit� del presente ordinamento politico, 
alla esigenza, alla incolumit� e al decoro dei supremi organi dello Stato e al 
decoro della Nazione italiana. 

Pertanto, poich� alla base della legittimazione attiva dell'esercizio dell'azione 
civile nel processo penale, vi � la natura plurioffensiva dell'illecito penale, il 
danno criminale subito dallo Stato-collettivit� trova la sua sanzione nella pena, 
mentre il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale direttamente causato 
dalla condotta criminosa, ossia il danno civile, viene ripartito mediante la restituzione 
o il risarcimento. 

Tanto premesso e considerato che il titolare particolare del bene giuridico 
posto in pericolo dal reato di cui all'art. 305 C.p., � lo Stato, non pu� revocarsi 
in dubbio che chi lo rappresenta e, cio�, il Presidente del Consiglio dei Ministri, 
abbia il potere di agire per. ottenere la riparazione non solo dei danni patrimoniali, 
ma anche di quelli non patrimoniali, posto che questi ultimi sono 
rappresentati, oltre che da sofferenze fisiche o psichiche, da turbamenti morali 
pregiudizievoli all'attivit� degli Enti pubblici, in genere, e dello Stato, in particolare. 


Pertanto correttamente � stata ammessa dai Giudici di merito la costitu


zione della Presidenza del Consiglio, ed emessa la condanna al risarcimento 

dei danni non patrimoniali.... �. 

In relazione alla seconda massima si richiama Cass. 14 maggio 1980, sez. 1a, rie. 

Picchiura, in Foro it. 1982, II, 331. 

NICOLA BRUNI 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

430 

della costituzione di parte civile senza alcuna indagine diretta sulla 
effettiva concreta consistenza dell'eventuale danno; 

orbene, � da rilevare che le contestazioni mosse agli imputati comprendono 
ipotesi previste nel libro secondo del codice penale nelle quali 
lo Stato non solo � soggetto passivo generale com� in tutti i reati ma 
� anche titolare dell'interesse particolare prot�tto attraverso l'incriminazione; 


con la conseguente individuazione della causa petendi nella proiezione 
in campo civilistico dei fatti contestati nei capi di imputazione. 

In or�line alle contestazioni relative alla morte dell'lhg. Saronio, 
basti rilevare che lo Stato, attraverso il Ministero competente, ha proceduto 
alla erogazione della indennit� prevista dalla legge senza che 
qui possa procedersi ad alcuna delibazione sulla legittimit� di questo 
pagamento; 

in linea generale, tra l'altro, non va sottaciuto che la natura e la 
molteplicit� dei reati, le finalit� perseguite, le conseguenze che ne sono 
derivate con incidenza particolarmente accentuata sulla stessa organizzazione 
delle articolazioni istituzionali dello Stato, sono tali da determinare 
un pregiudizio diretto ed immediato che legittima all'azione 
risarc�toria. 



-


PARTE SECONDA 



i: 
. I ! 



--
QUESTIONI 


BANCHE DEI DATI E PRIVACY DEL CITTADINO: 
IL SISTEMA SVEDESE (*) 


SOMMARIO: Il � Data Aot � svedese del 1973 novellato nel 1982. Sue 
linee ispiratrici: la limitazione dei dati automatizzabili e dell'uso dei 
dati automatizzati a tutela del diritto alla riservatezza. Conseguenze civili, 
penali ed amministrative della violazione delle norme dell'Act e di 
quelle dettate dall'autorit� amministrativa preposta alla sua applicazione 
(il �Data Inspection Board �). Le decisioni di tale autorit� nel sistema 
svedese di giustizia amministrativa. Il ricorso al Governo e le funzioni 
del Cancelliere di Giustizia. 

1) Introduzione. 

La normativa svedese sulla specifica tutela del diritto alla riserva� 
tezza spettante ad ogni essere umano, fornita a fronte dell'elaborazione 
elettronica dei dati e risalente al 1973 (1), � stata ampiamente innovata 
nel 1982 con una novella entrata in vigore in tutte le sue parti soltanto 
il primo gennaio 1983 (2). 

Si tratta, dunque, di una regolamentazione assolutamente recente 
sulle cui linee ispiratrici � sembrato opportuno soffermare l'attenzione, 
attesa anche la delicatezza del tema e le tradizioni della civilt� che le 
ha �espresse (3). D'altronde ih un mondo reso sempre pi� piccolo dalla 
tecnologia, in cui le economie � di scala � scavalcano ogni barriera 
nazionale (4) ed in cui comuni valori di civilt� e comuni problemi postulano 
normazioni coordinate, il prestare attenzfone al diritto straniero, 
anche al di fuori di specifiche �ttiche comparatistiche, non sembra 
inopportuno. 

(*) Relazione presentata al III Congresso internazionale sul tema � L'informatica 
giuridica e le comunit� naz,ionali ed .internazionali � tenutosi a Roma nei 
giorni 9-14 maggio 1983. 

(1) Datalagen 1973: 289. 
(2) � Transitional provisions � del testo inglese novellato 'dell'Act. 
�(3) Cfr. V. Frosini: Informatics and the Protection of the lndividual, in 
Italian Report to the XI International Congress of Comparative Law, Caracas 
1982. llr{ilario, 1982, 609. 

� (4) F. Grande Stev�n5 �Esperienza professionale� in Cinquanta anni �di 
esperienza giuridica in Italia, Mil�no, 1982, 1289 ss. 



14 RASSEGNA DELL'AV\'OCATT%1. DELLO STATO 

2) Il � Data Act �: generalit�. 

La specifica normativa svedese in materia disciplina qualunque gestione 
automatizzata di informazioni relative ad esseri umani, con la 
unica. eccezione degli archivi destinati ad uso esclusivo e strettamente 
personale di una persona fisica e da essa posti in opera (5). 

Una speciale Agenzia ad hoc istituita -il Data Inspection Board ha 
il compito di rilasciare ai richiedenti la licenza necessaria per procedere 
all'impianto ed alla gestione di una banca dati gestita elettronicamente, 
di concedere singole specifiche autorizzazioni o assentire concessioni 
per specifiche procedure, di dettare specifiche prescrizioni regolamentari, 
di vigilare sull'osservanza della legge e di intervenire, ove 
del caso, in via repressiva. 

Il bene che il legislatore svedese mira a proteggere � il diritto di 
ciascuno alla riservatezza: riservatezza che non deve subire, ad opera 
dell'elaborazione elettronica dei dati, �indebite interferenze�. 

Tale finalit� viene perseguita attraverso una serie sinergica di linee 
normative strumentalmente tese ai seguenti risultati: 

a) limitazione dei dati automatizzabili in funzione della natura e 
dei fini del soggetto utilizzatore; 

b) limitazione dei dati autom~tizzabili -tranne casi particolari a 
quelli � estrinseci � o � apparenti � della persona registrata, con particolare 
protezione, quindi, di tutta una serie di informazioni relative a 
stato di salute, precedenti giudiziari, opinioni politiche, confessioni religiose 
professate, ecc.; 

c) generale divieto di interconnessione fra archivi automatizzati. 

Il rispetto della normazione � garantito da una serie di pesanti 
sanzioni penali ed amministrative e da gravi ipotesi di responsabilit� 
civile correlate alla inosservanza dei precetti ed alla violazione della 
privacy nonch� dall'affidamento dell'interesse del cittadino (e pubblico) 
alla tutela del Cancelliere di Giustizia. 

3) Licenza generica e permesso specifico. 

Come gi� accennato, l'installazione e l'esercizio di ogni banca dati 
automatizzata � subordinata al rilascio di una licenza, da cui sono esenti 
solo gli archivi istituiti per � decisione del Governo o del Parlamento �. 

(5) Il � Data Act � citato va completato con i pi� o meno coevi � Act on 
Credit Information � (1973:1173, novellato nel 1981) e � Act on Collection of 
Debts � (l974:82, novellato nel 1981), volti a disciplinare l'elaborazione e la diffusione 
dei dati negli specifici settori di intitolazione. La unicit� dei principi 
informatori nella materia ed il carattere di generalit� che ha il � Data Act � 
consentono di far riferimento in questa sede unicamente ad esso. 
�: 

J=t:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::.::::.:::::::::::::::::: ::::::::: n:::::::.:...:::::::::::::: ...'::::::::::::::::::::::::::::. ::::: 

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PARTE II, QUESTIONI tJ 

Tale licenza non pu� essere rilasciata dal Board se non quando 
esso ritenga che la gestione dell'archivio non presenti alcun rischio di 
indebite interferenze nella � privacy � dei soggetti registrati. Il relativo 
convincimento deve fondarsi sulla :ponderazione dei seguenti elementi: 
natura e� quantit� dei dati da registrare, natura dei soggetti incaricati 
della rilevazione, modalit� della: rilevazione, atteggiamento psicologico 
(noto o presumibile) dei soggetti registrandi, rischio di allargamento oggettivo 
o soggettivo -della � schedatura � rispetto alla funzionalit� 
dell'archivio con i suoi scopi. 

Oltre alla licenza � previsto, poi, uno speciale � permesso � del 
Board, (che per gli archivi istituiti per �decisione del Governo o del 
Parlamento� assume la forma di parere obbligatorio) per la memorizzazione 
di dati relativi a precedenti penali e di polizia degli stranieri, 
precedenti psichiatrci, precedenti sanitari e di informazioni relative a: 
vita sessuale, interventi di soccorso dei servizi sociali, razza, opinioni politiche, 
credo religioso, convinzioni morali. 

Tale permesso (o parere favorevole) non potr� essere accordato se 
non in presenza di � particolari ragioni � che, per quanto riguarda le 
notizie relative ai precedenti giudiziari, di polizia degli stranieri e psichiatrici, 
devono essere anche �particolarmente cogenti�. 

A tale rigorosa normativa sfuggono soltanto, in virt� del criterio 
di funzionalit� -e rientrano nella generale normativa della licenza solo 
gli organismi pubblici o privati ai cui fini istituzionali quelle peculiari 
notizie siano collegate. Cos�, ad esempio, il Casellario giudiziale con 
riguardo ai precedenti giudiziari, il servizio sanitario nazionale o una 
clinica o un medico con riferimento ai precedenti morbosi dei pazienti, 
le Associazioni religiose con riferimento alla professione di fede dei 
loro membri, ecc. 

Un trattamento ancora pi� rigoroso � previsto per le informazioni 
risolventesi in giudizi o apprezzamenti sulle persone e per le informazioni 
relative a persone non legate con l'utilizzatore dell'archivio da rapporti 
di associazione o dipendenza o clientela o simili (con conseguente 
eccedenza rispetto al criterio di funzionalit�) nonch� per le informazioni 
tratte da altre banche dati (violazione del principio di interconnessione). 


La . loro acqulSlz1one �, infatti, in ogni caso subordinata -senza 
alcuna eccezione -ad uno specifico provvedimento concessorio (o parere 
obbligatorio per gli archivi istituiti per decisione del Governo o 
del Parlamento). 

4) Prescrizioni regolamentari e sanzioni amministrative. 

la. licenza ed il permesso rilasciati dal Board sono accompagnati 
da una serie di prescrizioni volte a prevenire il rischio di indebite 


16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

interferenze con la privacy dei soggetti schedati, e regolanti minutamente 
(e restrittivamente): le procedure di raccolta dei dati di automazione 
e di utilizzazione, sia nel loro momento logico che in quello 
del supporto tecnico (minimo livello tecnologico richiesto); i dati auto


Imatizzabili; i limiti della loro accessibilit� ed utilizzabilit�; le comunicazioni 
da fare alle persone � registrate �; le misure di controllo e di 
sicurezza da adottare. 

L'utilizzatore della banca rimane, cos�, sottoposto a corrispondenti 
obblighi ed � assoggettato ad un penetrante potere di controllo del 
Board, i cui funzionari hanno libero accesso ai locali in cui sono collocate 
le apparecchiature elettroniche e la relativa documentazione. In 
relazione a ci� l'utilizzatore ha il dovere di fornire tutte le informazioni 
richieste ed ogni altra possibile forma di collaborazione con il Board 
che ha, in difetto, il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie. 
Quando la garanzia del rispetto della privacy non pu� essere 
ottenuta con altro mezzo, il Board pu� revocare la licenza o il permesso. 

5) Responsabilit� penale e civile. 

La violazione dolosa o colposa dei doveri imposti dal � Data Act � 
� penalmente repressa con sanzioni pecuniarie e detentive fino ad un 
massimo di due anni, salve le ulteriori responsabilit� penali ove il fatto 
commesso costituisca pi� grave reato. 

In tema di responsabilit� civile, la normativa ordinaria � integrata 
-m perfetta linea con il trend evolutivo in materia aquiliana (6) dalla 
previsione di una particolare forma di responsabilit� oggettiva per 
i danni subiti da una persona registrata a causa di informazioni inesatte 
contenute nella banca dati. 

In tal caso, a� prescindere dall� colpa dell'utilizzatore, il danneggiato 
ha diritto ad un risarcimento comprensivo anche dei danni morali. 

6) Le decisioni del Data lnspection Board nel sistema svedese di giustizia 
amministrativa. 

Contro le decisioni del Board � ammesso ricorso al Governo secondo 
uno schema che, nella nostra terminologia, dovrebbe qualificarsi come 
ricorso gerarchico improprio, mentre nessun rimedio sembra esperibile 

(6) P. Maddalena, La responsabilit� degli amministratori e dipendenti pubblici, 
in Foro it., 1979, V, 61; G. Alpa, Responsabilit� dell'impresa e tutela del 
consumatore, Milano 1975; S. Rodot�, Il problema della responsabilit� civlle, 
Milano, 1964; P. Trimarchi, Rischio e responsabilit� oggettiva, Milano, 1961; 
I. F. Caramazza, In tema di responsabilit� civile dello Stato per fatto del giudice, 
in Rassegna dell'Avvocatura dello Stato� 1982, I, 297 e Decriminalizzazione 
e depenalizzazione �nel diritto comparato, ivi 1982, Il, 127. 

PARm II, QUESTIONI 17 

contro le decisioni del Governo: non dinanzi al giudice ordinario, in 
quanto la questione in esame � ad esso sottratta perch� � di diritto 
pubblico �, non dinanzi alla Corte Suprema Amministrativa stante il 
principio della sottrazione al suo sindacato dei provvedimenti governativi 
(7). 

Tale �constatazione non deve peraltro far pensare ad un insufficiente 
garantismo in subiecta materia del sistema svedese: la trasposizione 
comparatistica di istituti da uno ad altro ordinamento comporta, infatti, 
una lunga doverosa serie di � distinguo �. 

Va rilevato, quindi, innanzitutto che il ricorso amministrativo in 
Svezia offre �all'amministrato garanzie molto maggiori che non nel nostro 
sistema, attesa l'alta tradizione di competenza giuridica e di indipendenza 
(equiparabile a quella dei magistrati) dei pubblici funzionari 
e le garanzie di tipo paragiurisdizionale offerte dalla relativa procedura 
(8). 

Va osservato, in secondo luogo, che in Svezia il controllo sulla 
legalit� dell'operato amministrativo avviene non solo attraverso lo strumento 
giudiziario, ma anche attraverso l'ombudsman. Tale istituto, che 
sovverte ogni dogma classificatorio, si colloca orizzontalmente fra i tre 
poteri tradizionali: esso si legittima e si radica, invero -come � commissario 
parlamentare � -nel legislativo e sindaca, con atti amministrativi, 
cos� l'esecutivo come il giudiziario, con risultati effettualmente 
equiparabili a quelli della sentenza (9). 

La sua efficacia nel garantire la legalit� dell'azione amministrativa 
� indubbiamente notevolissima e non a caso l'istituto (oltre che nelle 
pi� congeniali Finlandia, Norvegia e Danimarca) � stato di � recente 
adottato in Inghilterra, Germania Federale, Israele, Spagna, Nuova Zelanda, 
Francia, Portogallo (10), dando vita ad un � rayonnement � comparabile 
a quello che � vanto del Consiglio di Stato francese (11) e 
che ~embra rispondere ad una domanda di giustizia sostanziale montante 
nei corpi sociali di tutti i Paesi (12). 

In terzo ed ultimo luogo va sottolineata una ulteriore garanzia di 
legalit� offerta in materia di elaborazione dei dati dal sistema sve


(7) N. Herlitz, Il controllo giurisdizionale della pubblica Amministrazione 
in Scandinavia, in � Il controllo giurisdizionale della pubblica Amministrazione�, 
Studi di diritto comparato a cura di A. Piras, Torino, 1971, 360. 
(8) N. Nerlitz, op. cit., 346. 
(9) C. Debbasch, Science administrative, Parigi, 1980, 753. 
(10) G. de' Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, 1981, 344. 
(11) G. Treves, La Giustizia Amministrativa Italiana nel Contesto Europeo, 
in � Il controllo � cit., 3. 
(12) Atti dell'Incontro di studio in memoria del Prof. Arturo Carlo Jemolo 
su �L'istituzione del difensore civico nell'ordinamento italiano�, Rassegna dell'Avvocatura 
dello Stato, 1982, II, 49 ss. 

18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dese: l'affidamento al Cancelliere di Giustizia del potere-dovere di proporre 
ricorso al Governo avverso le decisioni del Board a salvaguardia 
del pubblico interesse in generale e degli interessi dei registrati o registrandi 
in particolare. 

Il Cancelliere di Giustizia svedese -generalmente indicato con la 

sigla JK, Justitienkanslern -� in reerto qual modo 1l'omologo de1l'Avvocatura 
dello Stato italiana (13), in quanto fra i suoi compiti vi � quello 
di sovraintendere alla difesa delle autorit� amministrative che stanno 
in giudizio con propri funzionari ed avvocati, con avocazione diretta 
della trattazione delle questioni di maggiore rilevanza, e di rendere 
pareri al Governo ed ai singoli ministri. 

L'istituto assume, peraltro, connotazioni tipicamente giustiziali, intersecandosi 
le sue funzioni con quelle dell'Ombudsman, in quanto il JK 
esercita anche un controllo sull'operato dei pubblici funzionari, svolge 
in via esclusiva funzioni di P.M. in materie di particolare delicatezza 
(quali libert� di stampa, responsabilit� per trasmissioni radio e televisive, 
materia disciplinare forense) ed esercita, infine, funzioni paragiurisdizionali 
in un particolare procedimento precontenzioso preordinato 
a diminuire le cause di responsabilit� civile fra Stato e cittadino 
(14). 

In tale quadro, l'affidamento al JK del compito di vigilanza dell'esatta 
applicazione del Data Act da parte dell'Amministrazione assume 
quindi il significato di una ulteriore specifica garanzia di giustizia a 
tutela del diritto alla riservatezza. 

IGNAZIO F. CARAMAZZA 

(13) Atti del Convegno Giuridico Internazionale delle Istituzioni di Assistenza 
e Difesa legale delle Amministrazioni dello Stato, tenuto a Roma il 
10-14 maggio 1976, Roma, 1978, 50-51. 
(14) Atti del Convegno ult. cit., loc. cit. 

LE PLUSVALENZE REALIZZATE MEDIANTE CESSIONI 

DI PARTECIPAZIONI SOCIETARIE (CAPITAL GAINS) 

SOMMARIO: 1. Gli utili non distribuiti -2. I � capital gains � 


3. L'art. 19 n. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973 -4. Esegesi della disposizione 
-5. Non necessit� dell'intento speculativo -6. Superabilit� di 
ostacoli interpretativi -7. L'accertamento dei � capital gains �. 
1. -Notoriamente, tra le societ� (di capitali e di persone) che conseguono 
risultati economici positivi, relativamente poche -se si esclude 
il comparto delle societ� quotate nelle Borse Valori -sono quelle che 
scelgono di distribuire formalmente utili ai soci (e, di queste, la maggioranza 
distribuisce solo una parte degli utili conseguiti). E' frequente 
-anzi, quando i soci sono persone fisiche -persino normale, che gli 
utili siano contabilmente � riportati a nuovo �, cio� sostanzialmente destinati 
all'auto-finanziamento. 
Tale fenomeno si ricollega, tra l'altro, alla presenza tra le societ� 
(anche di capitali) di un elevato numero di societ� �a ristretta base� 
costituite tra persone fisiche legate da rapporti familiari o comunque 
extra economici. 

Mentre per le societ� di persone la scelta anzidetta ha riflessi fiscali 
ridotti (non per� inesistenti) per l'operare del cosidetto principio della 
trasparenza (cfr. le parole �indipendentemente dalla effettiva percezione
� contenute nell'art. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973), per le societ� 
di capitali la scelta medesima -scelta � privata � fatta ad libitum e 
senza neppure onere di evidenziarla nella dichiarazione dei redditi e/o 
nel bilancio che ad essa deve essere allegato -ha espliciti riflessi tributari 
(e, in tal modo, si ripercuote sulla collettivit�), posto che gli 
utili societari sono sottoposti ad IRPEG � indipendentemente dalla loro 
destinazione� (art. 11 del d.P.R. n. 598 del 1973) ma concorrono a formare 
i redditi IRPEF dei soci solo se e quando si ha l'effettivo ingresso 
della � ricchezza � in cui essi {utili) si concretano nella sfera patrimoniale 
propria dei soci. 

Ora il nostro ordinamento tributario, pur usando all'art. 41 lett. c) 
del d.P.R. n. 597 del 1973 l'espressione molto lata �redditi derivanti dalla 
partecipazione in societ��, ha in pratica disciplinato in modo accurato 
solo la imposizione IRPEF sui dividendi, lasciando in ombra (salvo quanto 
si dir� per i � ricavi � conseguiti da soggetti di cui all'art. 53 comma secondo 
del d.P.R. n. 597 del 1973) le altre meno evidenti modalit� di acquisizione 
di � ricchezza � conseguente � dalla partecipazione in societ� �. 
A focalizzare l'attenzione sui dividendi ha contribuito poi l'adozione del 


20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sistema detto � dell'imputazione � (in pratica il meccanismo del � credito 
di imposta� introdotto dalla legge n. 904 del 1977), in forza del 
quale l'imposizione proporzionale IRPEG a carico della societ� di capitale 
� riguardata come una sorta di anticipazione della imposizione successivamente 
ed in ultima istanza da applicarsi sui soggetti IRPEF (previa 
sottrazione del credito di imposta); e ci� per evitare che un medesimo 
flusso di � ricchezza � sia colpito una prima volta in capo alla 
societ� ed una seconda volta in capo al socio. 

Com'� noto, con l'adozione del sistema dell'imputazione si � sostanzialmente 
recepito quanto previsto in una proposta di direttiva CEE 
per l'armonizzazione dei sistemi di imposta sulle societ�, presentata 
dalla Commissione al Consiglio il 1� agosto 1975 (in G.U.C.E. 5 novembre 
1975, n. C 253/2, e con commento di DEL GIUDICE, in Tributi, luglio 
1976) e, almeno finora, non pervenuta ad una delibera da parte del 
Consiglio. In tale proposta di direttiva i dividendi sono definiti � gli 
utili che qualsiasi societ� di uno Stato membro, che non sia una societ� 
in liquidazione, distribuisce a seguito di una regolare delibera 
degli organi competenti e che essa ripartisce tra i suoi soci in proporzione 
ai loro diritti sociali; le distribuzioni di azioni gratuite non 
sono considerate dividendi ai sensi della presente direttiva �. I dividendi 
sono definiti -ma in termini diversi da quelli usati nella men


Izionata proposta di direttiva -anche in talune norme pattizie di diritto 
internazionale tributario; ad esempio, nell'art. 10 punto 3 della Convenzione 
italo-svizzera resa esecutiva in Italia con legge 23 dicembre 1978 

n. 943 si legge che � il termine dividendi designa i redditi derivanti da 
I

azioni, da azioni o diritti di godimento, da quote minerarie, da quote 

I fil

di fondatore o da altre quote di partecipazione agli utili, ad eccezione 
dei crediti, nonch� i redditi di altre quote sociali assoggettati al medesimo 
regime fiscale dei redditi delle azioni secondo la legislazione fi~ ~ 
scale dello Stato in cui � residente la societ� distributrice �, 


I ~ 

i: 
Di per s�, comunque, l'adozione del sistema della imputazione 
operi esso al 100% o per una percentuale inferiore -non implica affatto 
la non imponibilit� dei � redditi derivanti dalle partecipazioni in 
societ�� diversi dai dividendi (sull'argomento, la citata proposta di direttiva 
CEE nulla dice), anche se accentua la sensazione di separatezza 
fiscale tra soggetto societ� di capitale e soggetto socio (unici collegamenti 
rimarrebbero i dividendi, e le remote assegnazioni in sede di liquidazione), 
separatezza al riparo dalla quale pu� aversi accumulazione, 
in capo alla societ�, di � ricchezza � non transitata attraverso la 
imposizione IRPEF. 

2. -Rimanendo nell'ambito delle societ� di capitali, la distribuzione 
di dividendi (pi� o meno formalmente) deliberati non esaurisce -come 
si � accennato -il novero dei fatti in esito ai quali si ha acquisizione 

.

-

21

PARTE II, QUESTIONI 

da parte dei soci di � redditi derivanti dalla partecipazione in societ� �. 
Tali fatti possono essere classificati in due categorie: 
a) fatti che producono regolarmente (dividendi) od occultamente 
spostamenti di ricchezza dalla societ� ai soci; 
.b) fatti che fanno pervenire ai soci da soggetti terzi (ossia diversi 
dalla societ�) � redditi derivanti dalla partecipazione in societ� �. 

Sugli spostamenti di ricchezza dalla societ� ai soci diversi dai. dividendi. 
formalmente deliberati molto � stato scritto, specie fuori dal nostro 
Paese (e soprattutto in U.S.A., ove l'art. 302 dell'Internal Revenue 
Cod~ sottopone ad imposizione personale tutte le svariate operazioni costituenti 
� distribution essentialy equivalent to a divident �). Si sono cos� 
individuate fattispecie quali, ad esempio, lo � stock redemption �, ossia 
l'acquisto da parte della societ� di azioni proprie ad un prezzo pi� 
elevato di quello di mercato, o il � transfer pricing �, ossia il praticare 
in occ~sione di transazioni commerciali tra societ� e socio (o eventualmerite 
tra societ� di uno stesso gruppo) prezzi �anormali� tali da produrre 
un occulto spostamento di ricchezza. Nel nostro Paese il problema 
della distribuzione occulta di utili � stato affrontato sovente, ma preva1.
en~e,mente in occasione della imposizione personale sui soci di societ� � a 
ristretta base azionaria�, pervenendosi� a soluzioni per solito piuttosto 
pragmatiche; sul piano normativo, comunque, sia l'art. 27 del d.P.R. 

n. 600 del 1973 sia l'art. 1 de.a legge n. 904 del 1977 parlano di �utili 
in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione distribuiti �. 
Qui interessano per� i fatti della seconqa delle due predette categorie, 
mediante i quali si ha realizzo, da parte di soci, dei cosidetti 
�capitai gains �. E' frequente la raffigurazione (di comodo) dei �capita! 
gains � alla stregua di plusvalenze �speculative�, plusvalenze quindi 
otten.t_e .nel breve periodo attraverso l'assunzione di particolari rischi. 
In realt�, sovente, anzi normalmente, i � capitai gains � sono consegue~ 
di fatti non � speculativi � ma intimamente connaturati allo strumento 
societario. 

Tra questi, di primaria importanza, l'autofinanziamento (palese nel 
caso di accantonamento di utili non distribuiti ma sottoposti ad IRPEG, 
occulto in molte altre situazioni non poche delle quali prodotte 
da. fatti di evasione fiscale del soggetto societario). L'autofinanziamento 
palese � opportunamente favorito dalle leggi tributarie, in vista per� 
di una permanenza della ricchezza non distribuita sulla dotazione di 
risorse posta a disposizione del soggetto societario per la sua attivit� 
econoinica, e non di certo in vista di un successivo � realizzo � di detta 
ricchezza da parte dei singoli soci in occasione di operazioni di loro (non 
della societ�) totale o parziale disinvestimento (ad esempio, per cessazioni 
di azioni o di quote sociali), e quindi con modalit� diverse dalla distribuzione 
di dividendi o in genere di utili. Pur non esistendo dati stati



22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stici sull'entit� dei flussi di ricchezza �aggiuntiva� (rispetto agli investimenti) 
che pervengono ai soci per via di disinvestimento, pu� ragionevolmente 
ritenersi -tenuto conto del descritto comportamento della 
grande maggioranz~ delle societ� (eccettuate quelle quotate in borsa, 
le quali seguono logiche economico-finanziarie differenti) -che tali 
flussi siano in realt� di entit� superiore a quelli determinati dalla formale 
distribuzione di dividendi: ed in effetti, specie nelle societ� a 
�ristretta base�, il socio persona fisica guarda piuttosto ai �capitai 
gains � da lui monetizzabili mediante disinvestimenti (ancorch� attuati 
nelle pieghe di �operazioni su capitali�) che ai dividendi ufficiali giustamente 
considerati modalit� alquanto � ingenua � di far transitare nel 
proprio personale patrimonio le risorse prodotte da (o accumulate 
presso) il soggetto societario. Sicch�, sottoporre ad IRPEF solo gli utili 
distribuiti, equivarrebbe a consentire, senza giustificazione produttiva 
alcuna un � vuoto � di imposizione di cospicua importanza economica. 

Va aggiunto che i �capitai gains � possono formarsi non in pari 
misura per ciascun socio, ma con un accumulo sulle partecipazioni del 
socio (o dei soci) di maggioranza o comunque detenenti il controllo 
della societ� (si parla, a questo proposito, di �premio di controllo�, 
esplicitamente previsto da alcune legislazioni estere). Solo formailmente 
tutti i soci (ordinari) sono in posizione di parit� (salva -s'intende la 
diversa entit� delle rispettive partecipazioni). Ad esempio, nel momento 
della effettuazione di conferimenti per la sottoscrizione di nuove 
azioni ordinarie a pagamento in occasione di un aumento di capitale di 
una societ� in buone condizioni economiche, eguale � l'importo da versare 
per ciascuna azione o quota; senonch�, un istante dopo il pagamento 
del:le somme versate per sottoscrivere le nuove azioni. runa parte 
del � valore � di queste si sposta dai piccoli azi~nisti agli azionisti di 
maggioranza, le cui azioni vecchie e nuove possono essere (e in pratica 
sono) scambiate a prezzi superiori -non di rado superiori al doppio di 
quelli ottenibili per la cessione delle azioni dei piccoli azionisti. Vi 
sono dunque � capitai gains � originati -�a favore dei titolari dei pacchetti 
di maggioranza -dal cosiddetto � collocamento � delle azioni 
presso piccoli azionisti. 

Com'� noto, la formazione di plusvalenze su azioni o quote sociali 
(o su individuati �pacchetti� di azioni o quote) pu� essere determinata 
da cause diverse da quelle test� descritte. Pu� trattarsi di cause produttive 
di plusvalenze reali (che possono formarsi sulle azioni o quote 
sociali ovvero sui beni patrimoniali delle societ�, ad esempio, per rendita 
edilizia) o di cause produttive di plusvalenze solo nominali per 
variazione del metro monetario, la quale per� incide contemporaneamente 
anche sulle passivit� delle societ�, al punto che � stato recentemente 
calcolato che gran parte dei bilanci societari formalmente in passivo 
per l'incidenza di cospicui oneri finanziari sarebbero in attivo se 



PARIB II, QUESTIONI 23 

solo si computassero tali oneri al netto delle variazioni del metro monetario 
(escludendo cio� il passaggio attraverso il conto economico di quote 
di sostanziale rimborso dei prestiti rappresentate come interessi passivi). 
La molteplicit� delle cause di formazione delle plusvalenze, comunque, 
non rileva per la imponibilit� di queste, se non nei casi e nei limiti consentiti 
da particolari leggi fiscali. 

E' dunque palese l'esigenza -avvertita anche in altri Paesi -di 
una imposizione dei �capita! gains � quanto meno nel momento (differito) 
in cui essi vengono realizzati, mediante cessione delle azioni o 
delle quote .sociali o mediante cessione onerosa dei diritti di opzione 

o mediante altre modalit�: ad esempio, in societ� � a ristretta base 
azionaria� (e, a fortiori, in societ� con unico azionista) i soci possono 
occultare l'alienazione di un pacchetto anche maggioritario sotto l'esclusione 
del .diritto di opzione -ex art. 2441, commi �quinto e successivi 
cod. civ. -e la riserva, ovviamente contrattata con atto parasociale e 
comunque fuori dalle sedi societarie, delle nuove azioni, a favore di un 
nuovo socio. 
Tra l'altro, una imposizione sui � capita! gains � vale anche ad evitare 
che gli imprenditori veri, quelli che operano per la produzione e/o 
distribuzione di beni e servizi, vengano ad essere trattati in modo deteriore 
rispetto agli operatori che � fanno affari � trafficando in pacchetti 
azionari e in genere mediante operazioni cosiddette �finanziarie�; essa 
quindi pu� contribuire a stabilire -anche all'.interno delle �strutture� 
del sistema economico -un pi� corretto equilibrio tra impresa produttiva 
e attivit� lato sensu speculative. 

Com'� noto, il problema della imposizione diretta sui �capita! gains � 
�, almeno a livello di previsione normativa (e salvo interventi legislativi 
di sostanziale alleggerimento del potenziale carico fiscale sulle plusvalenze 
accumulatesi), risolto quando la veste di socio � assunta da un 
soggetto sottoposto ad IRPEG o da una societ� in nome collettivo o 
in accomandita semplice (ma per le societ� di persone la realt� si 
discosta non di poco dalla previsione normativa) o da una persona fisica 
titolare di impresa ricompresa nella previsione di cui all'art. 53 comma 
secondo del d.P.R. n. 597 del 1973; gli artt. 53 e 54 di detto d.P.R. e l'articolo 
5 comma secondo del d.P.R. n. 598 del 1973 dispongono che i 
� capital gains � costituiscono, per tali soggetti, � ricavi � e non � plusvalenze
�. I corrispettivi delle cessioni d'azioni e quote sociali (o diritti 
di opzione) sono dunque per essi equiparati ai corrispettivi delle cessoni 
di beni � alla cui produzione o al cui scambio � diretta l'attivit� 
dell'impresa� (e la societ� �, per presunzione assoluta, impresa). Il 
problema dell'imposizione nei confronti dei soci (anche societ� e imprese) 
�non residenti� sembra ora compiutamente risolto (come tra 
breve si dir�) dalla �integrazione� apportata all'art. 19 del d.P.R. n. 597 
del 1973. 



.<-:� .<-:� 
24 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Diverso � il discorso per le persone fisiche con la sola eccezione 

delle persone fisiche titolari di impresa individuale per cosi dire � fi. 
nanziaria �). Per i �capitai gains � conseguiti da tali soggetti non v'era 
nei decreti delegati del 1973 una specifica disciplina (il che -va subito 
precisato -non equivale a dire che non vi fosse alcuna disciplina): 
ci� � alquanto singolare se si considera che all'epoca l'argomento era 
gi� esplicitamente trattato nell'art. 13 del modello di convenzione per 
evitare le doppie imposizioni predisposto dalla OCDE, ora OCSE (articolo 
che si trova trasposto in norme di diritto internazionale tributario, 
quale ad esempio l'art. 13 della menzionata convenzione italo-svizzera). 
Si riporta quasi la sensazione che il nostro ordinamento tributario 
sia arretrato rispetto agli ordinamenti di altri Paesi almeno per 
quanto attiene allo specifico problema qui trattato. 

Nella assenza di una specifica disciplina si � diffuso -ad avviso 
dello scrivente, a torto -il convincimento che i �capitai gains � realizzati 
da persone fisiche (con l'eccezione anzidetta) siano imponibili con 
IRPEF solo entro i limiti stabiliti dall'art. 76 del d.P.R. n. 597 del 1973, 
e cio� solo alla stregua di � plusvalenze � e quando conseguiti � mediante 
operazioni poste in essere con fini speculativi� (con i relativi 
notoriamente ardui oneri rdi prova). In pratica si � diffuso -ripetesi, a 
torto -il convincimento di una esenzione di fatto dalla IRPEF dei � capital 
gains � in questione. 

N� adeguato rilievo � stato dato all'art. 77 del d.P .R. n. 597 del 1973, 
ove si qualificano imponibili i redditi �derivanti da attivit� (oggettivamente) 
commerciali � anche quando non v'� organizzazione imprenditoriale 
o comunque � professione abituale � di imprenditore. Si � ritenuto 
esauriente far capo alla rozza qualificazione della categoria dei � redditi 
diversi� come categoria �residuale�, senza rilevare che tale categoria 
in realt� non esiste come entit� concettuale unitaria, e senza evidenziare 
che l'art. 77 citato � conseguenza della creazione della nozione 
di � reddito di impresa � (nozione a sua volta originata anche dall'intendimento 
di enfatizzare la rilevanza fiscale alle scritture contabili 
dell'impresa). Ed in effetti l'art. 85 del T.U. delle leggi sulle imposte 
dirette del 1958 comprendeva i redditi di cui all'odierno art. 77 nella 
categoria B. 

Sicch�, l'art. 76, commi primo e secondo, del d.P.R. n. 597 del 1973 per 
di pi� interpretato in modo restrittivo e non aderente alla logica 
ed alla realt� del � mondo degli affari � -ha potuto operare per cos� 
dire da schermo contro l'applicazione del successivo art. 77, da schermo 
al riparo del quale si tende a collocare anche i � capitai gains � dei 
quali si tratta. Ci� vale anche nei riguardi del successivo art. 80, disposizione 
-questa -fa cui genericit� va a scapito della sua effettivit� ed 
incisivit� (cfr. MERLINO, L'art. 80 etc., in Boll. trib., 1982, 352). 


PARTE II, QUESTIONI 2J 

V'� di p1u. L'ultimo comma del menzionato art. 76 contiene una 
disposizione relativa al realizzo delle plusvalenze � attraverso l'acquisizione 
e la successiva vendita di quote o azioni non quotate in borsa�; 
disposizione che, pur avendo uno specifico scopo antielusivo (che i contribuenti 
tendono a svuotare facendo circolare '1e azioni o quote di una 
altra societ� con ruolo di societ�-madre rispetto a quella cui gli immobili 
appartengono), potrebbe -seppur non a ragione -essere invocata 
come limitativa la imponibilit� delle plusvalenze realizzate mediante 
cessioni di azfoni o quote sociali (sul punto si torner� tra breve). 

3. -In questo contesto normativo � calato, con efficacia dal primo 
gennaio 1981, il d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, il quale ha �integrato � 
l'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973 disponendo che �si considerano prodotti 
del territorio dello Stato, ai fini dell'applicazione dell'imposta nei 
confronti dei non residenti... 10) le plusvalenze realizzate mediante cessioni 
di quote di societ� a responsabilit� limitata o di azioni non quotate 
in borsa, ovvero di azioni quotate in borsa attraverso le quali il cedente 
esercita o poteva esercitare l'influenza dominante di cui all'articolo 
2359, primo comma, 2), del codice civile�. 
In relazione al contenuto di questa disposizione integrativa appare 
doveroso esaminare le seguenti questioni: 

1) se le plusvalenze in questione debbano essere classificate tra i 
redditi di capitale (cat. B) �derivanti da partecipazioni in societ�� e 
previsti dall'art. 41 lett. c del d.P.R. n. 597 del 1973, salvo -s'intende il 
loro confluire nei redditi d'impresa (cat. D) nell'ipotesi prevista dal 
successivo art. 44, o se invece le plusvalenze medesime debbano accedere 
� residualmente � ai redditi diversi (cat. E); 

2) pi� in generale, come la disposizione riportata vada coordinata 
con le altre (e, per solito, anteriori) disposizioni del d.P.R. n. 597 del 
1973 (segnatamente con gli artt. 12, 41, 53, 54, 76, 77 e 80 di detto decreto) 
e del d.P.R. n. 598 del 1973 (segnatamente con gli artt. 5, 11, 12, 22 e 23 
di tale decreto) nonch� le disposizioni contenute in convenzioni �per 
evitare le doppie imposizioni�; 

3) se la disposizione integrativa riportata, oltre alla evidente portata 
di norma di diritto internazionale tributario, contenga anche implicita 
conferma di una preesistente norma di generale applicazione, operante 
cio� nei confronti di tutti i soggetti (residenti e non residenti). 

In ordine a tali quesiti -l'ultimo dei quali maggiormente interessa, 
anche per l'esame in corso di posizioni concrete -non pare si sia 
finora avuta una specifica presa di posizione ufficiale del Ministero 
delle finanze. 

Va subito osservato che l'importanza di principio della riportata 
disposizione � integrativa � -la quale pu� e deve interagire con il 


26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sistema delle norme colmando (non gi� una vera e propria � lacuna � 
ma) uno spazio non specificatamente disciplinato -� stata prontamente 
avvertita dai tributaristi privati. E ci� pu� spiegare come i commenti 
ostili alla riportata novella del 1980 (cfr. il quotidiano Il sole-24 ore del 
6 e del 16 gennaio 1981) si siano smorzati dopo che -sia pure con un 
intervento non ufficiale (cfr. TREMONTI, Il sole-24 ore del 7 gennaio 1981) 
-si � lasciato intendere che la nuova disposizione potrebbe essere 
ricondotta entro gli stretti limiti dell'art. 76 citato (�essendo altres� 
necessario a questo effetto, id est per l'imposizione, il concorso di ulteriori 
elementi quali ad esempio l'intento speculativo�). 

4. -Prima di affrontare il nucleo centrale delle questioni prospettate 
(e cio� la classificazione dei redditi da �capitai gains �), appare utile 
eliminare alcune minori questioni concernenti la sopra riportata disposizione 
aggiunta dal d.P.R. n. 897 del 1980. Tale disposizione non concerne
� le cessioni di quote di societ� di persone, ancorch� plusvalenze 
possano nella pratica manifestarsi anche in occasione di dette cessioni; 
la limitazione della portata della disposizione de qua alle sole azioni e 
quote di s.r.l. appare in effetti coerente con le, dinanzi tratteggiate, 
linee generali del sistema. 
La disposizione in esame considera uno specifico soggetto -il � cedente
� (e quindi il reddito da costui aoquisito e posseduto�) -ed 
uno specifico tipo di atti -le cessioni di azioni o quote sociali -; essa, 
in quanto aggiunta all'art. 19 del d.P.R. n. 597 del 1973, ha presente 
in via immediata -il cedente �non residente �. � stata sollevata la 
questione se la nuova disposizione concerna solo le azioni o quote di 
societ� � che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o amministrativa 
o l'oggetto principale dell'attivit��, o invece concerna anche le 
azioni o quote di societ� � non residenti � (ad esempio, di diritto svizzero)'.
� La questione pu� essere per il momento accantonata in quanto 
marginale e non influente rispetto al discorso che qui si va svolgendo; 
ed in effetti, quand'anche si aderisse alla tesi pi� restrittiva (e pi� 
cauta) e cio� si ritenesse che la nuova disposizione concerne solo quote 
e azioni di societ� italiane, rimarrebbero sostanzialmente non sminuite 
le implicazioni da essa desumibili. Comunque la questione, di tutt'altro 
che facile soluzione, non pare possa essere risolta che sulla base del 
criterio fissato dagli artt. 2 n. 21 e 3 n. 9 della legge delega n. 825 del 
1971 (luogo di produzione del reddito), criterio che deve essere rispettato 
dai decreti delegati �integrativi e correttivi�. 

Artificiosamente creata da tributaristi privati (allo scopo inespresso 
di rinchiudere la .nuova disposizione entro lo schema della disciplina degli 
utili distribuiti dalla societ� ai soci) � la questione se le plusvalenze 
de quibtfs debbano essere soggette a ritenuta: � agevole osservare che 
si � del tutto. al di fuori dall'ambito della normativa. sulla ritenuta e 

~ 

i

i 

! 


PARTE II, QUESTIONI 

sul credito . d'imposta, dal momento che la disposizione in esame 
concerne fatti che producono. spostamenti di ricchezza (non dalla societ� 
ma) da un terzo -il cessionario -al socio cedente. 

Di agevole solUZione parrebbe anche la questione se la nuova disposizione 
.de qua,. allorquando parla di �cedente�, alluda solo a soggetti 
so<~e1tar1, <::> anche alle p�rsone f�sic:he (imprendit<::>ri e n<::>n) e agli altri 
soi~gettl~ Ed in effetti varie considerazioni induc<::>no a ritenere che � ce


� possa essere qualsiv<::>glia sc::>ggetto. Il richiamo all'art. 2359 cod. 

civ. non sembra c<::>ntraddire tale assunto: appare infatti consentlto (ed 
anche ra:l!!i<::>nale) che la norma fiscale recepisca ed util:i.i uno stru. 
;concetJtuale <(la :n<::>zi<::>ne di � controllo � emersa nell'ambito della 
civilistica .� deUe �societ�) anche in ambito �diverso� da quello 
(conforme CARBQ:NETTi, P:lusvalenze re.alizzate da non residenti, 
in D�r, prat .. trib. 1981,; I, 400); del resto, la formula usata dalla norma 
~sc:a1ein esame non coincide. con .quella usata .dal legislatore .civile, se 
non ~tiro per l'i:nci~o � o P<::>teva esercitare �. La nozione di � controllo � 
�~ in effetti, necessariamente collegata. con l'istituto societ� solamente 
i. q:i:tanto sono le s0ciet� ad >essere protagonisti passivi del controllo, 
mentre �nulla esclude che questo possa essere esercitato da soggetti 
�liversi da .�quelli . societari. Inoltre, sul . piano testuale, un argomento potrebbe. 
essere tratt<::>< dalla mancata menzione del cosiddetto controllo 
indir.etto (art. 2359, I comma, n. 3, cod,. civ.). 

Non pare il caso di soffermarsi sul punto che la nuova disposizione 
richiama il n. 2 (cosiddetto controllo di fatto) e non anche il n. 1 (cosid� 
detto controllo di diritto) del primo comma dell'art. 2359 cod. civ. t:. stato 
osservato che in pratica il soggetto il quale disponga della maggioranza 
nelle assemblee ordinarie� esercita o pu� esercitare influenza dominante. 

5. � Sgomberato il campo dalle questioni non influenti o marginali, 
pu� affrontarsi il punto se la nuova disposizione vada a collocarsi collle 
�da taluno sostenuto .._ per cosl dire all'interno della fattispecie 
prevista dall'art. 76, priino e secondo comma, del. d.P.R. n. 597 del 1973. 
Considerazioni d'ordine testuale e di ordine sistematico inducono a propender� 
per una risposta negativa. 
L'art. 76 citato parla di << lJlUsvalenze conseguite mediante operazwni 
poste �in e.ssere con �finl speculativi�; la nuova disposizione de qua 
parfa invt:Jce di � plusvit�l1z� realizzate mediante cessioni di q~te... o di 
azi~i�, .senza aggiungere cP,e tali cessioni devono anche essere � poste 
in . essere . con fini speculativi �. Il che chiaramente sta a specificare 
che. il carattere speculativo delle cessioni (e degli acquisti che le hanno 
precedute) � presunto juris et de jure, o -pi� esattamente -che il 
�fine ~peculativo � o meno delle cessioni (e delle anteriori acquisizioni) 
non costituisce elemento della fattispecie prevista dalla nuova� disposi



28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

zione, fattispecie che .dunque � diversa da quella prevista dall'art. 76 
menzionato e non pu� in alcun modo essere in essa ricompresa. 

D'altro canto, la opposta interpretazione (riducente la fattispecie prevista 
dalla nuova disposizione a species del genus descritto dall'art. 76) 
finirebbe per modificare riduttivamente l'art. 41 lett. c del d.P.R. n. 597 
del 1973, escludendo essa dai � redditi derivanti dalla partecipazione 
in societ� � quelli fluenti ai soci da soggetti diversi dalle societ� cui 
partecipano. 

Un ulteriore elemento testuale in tale s.enso � offerto dalla stessa 
collocazione (in un apposito nuovo punto 10) della disposizione del 
1980; si � dunque non gi� �integrato� il preesistente punto 6 dell'art. 19 
del d.P.R. n. 597 del 1973, ma creata una fattispecie separata e distinta 
delle plusvalenze speculative e in genere dei � redditi diversi �. Del 
resto, la nuova disposizione si rileverebbe persino parzialmente controproducente 
-se si considerano le quote di s.r.l. (che non possono circolare 
all'estero) e le azioni le quali si trovino in Italia -rispetto al 
dichiarato fine di realizzare la � riduzione delle aree di evasione e di 
erosione fiscale �, se fosse interpretata come livellante al basso -al livello 
cio� delle condizioni richieste per l'imposizione sulle plusvalenze_ conseguite 
� m.-:idiante operazioni poste in essere con fini speculativi � il 
trattamento in precedenza differenziato dei � ricavi � e delle � plusvalenze 
� realizzate da � non residenti � mediante cessioni di azioni o 
quote (in proposito, cfr. CORSARO, Le plusvalenze realizzate da non residente, 
in Boll. trib. 1981, 597, e ris. min. n. 9/360 del 2 maggio 1979, 
in Boli. trib., 1979, 1408). 

Senza dubbio, rimane aperto un problema di coordinamento tra 
l'art. 19 e l'art. 6 comma primo di detto d.P.R. In proposito, una volta 
escluso che le plusvalenze de quibus siano classificate tra i � redditi 
diversi � di cui al citato art. 76, appare razionale -tenuto conto di 
quanto dianzi osservato -una loro classificazione tra i � redditi di 
capitale� ex art. 41 lett. c del d.P.R. n. 597 del 1973, salvo confluenza 
tra i � ricavi � di impresa nelle ipotesi previste dal successivo art. 44 
(e dall'art. 5 del d.P.R. n. 598 del 1973). 

Potrebbe, per vero, ipotizzarsi anche una classificazione delle plusvalenze 
de quibus tra i �redditi diversi� di cui all'art. 77 del d.P.R. 

n. 597 del 1973: una siffatta classificazione per� appare rispecchiare 
meno fedelmente la loro effettiva natura economica, posto che i � capitai 
gains � -come si � detto -normalmente sono non il frutto di una 
particolare � attivit� � del socio ma il risulitato (non di rado meccanico) 
cli processi di accumulazione e di processi di concentrazione dei � valori 
� all'interno del soggetto societ�. Sicch� appare pi� corretto ritenere 
che siano proprio i � capitali � conferiti a provocare la formazione 
dei � capital gains �. Va aggiunto che, ove questi fossero portati nella 
categoria (o pseudo-categoria) dei � redditi diversi �, pi� difficile po

PARTE II, QUESTIONI 

trebbe risultare mettere fuori giuoco il disposto dell'art. 76 pi� volte 
citato (e cio� in pratica evitare l'onere di fornire la prova �diabolica,, 
dell'intento speculativo). 

Sicch�, ad una classificazione dei �capitai gains � tra i � redditi 
diversi � di cui all'art. 77 citato si potrebbe accedere solo in via logicamente 
subordinata, solo cio� dopo aver escluso :-ed � esclusione in 
linea di principio grave (anche per possibili riflessi in termini di trattamento 
fiscale) -che tra i �redditi derivanti dalla partecipazione in 
societ� � siano da comprendersi pure quelli provenienti da soggetti diversi 
dalla societ�. 

Comunque, ove si arretrasse sulla linea della fattispecie descritta 
dall'art. 77 del d.P.R. n. 597 del 1973, potrebbe sostenersi che la presunzione 
assoluta di imprenditorialit� delle attivit� delle societ� di capitali 
(art. 5 comma primo d.P.R. n. 598 del 1973, e art. 4 comma secondo 
lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972) comporta ed implica, di riflesso, che 
anche l'attivit� di acquisire e cedere partecipazioni in dette societ� 
debba essere qualificata -pur senza pervenirsi a tramutare sempre le 
� plusvalenze � in � ricavi � -alla stregua di una attivit� oggettivamente 
commerciale, con la sola esclusione -opportunamente rammentata 
dalla nuova disposizione in esame -delle partecipazioni minoritarie 
e comunque non �dominanti� (e, a fortiori, di quelle �di risparmio
�) nelle societ� quotate in Borsa. 

La collocazione delle plusvalenze previste dalla novella del 1980 non 
gi� tra le � plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere 
con fini speculativi � ma tra i redditi di capitale conferma -sul piano 
di una interpretazione sistematica -l'insussistenza del � vuoto � di 
imposizione cui si � in precedenza accennato ( � vuoto � che oltretutto 
contrasterebbe con la previsione di cui all'art. 12 lett. a del d.P.R. n. 597 
del 1973), e quindi restituisce organicit� all'ordinamento tributario. 

Per i redditi in questione pare infatti possibile applicare i criteribase 
della imposizione sui redditi di capitale (che, a ben vedere, � 
essa pure categoria per certi versi residuale): tassazione al lordo e per 
cassa (non per competenza), e confluenza -verificandosene le condizioni 
-nel reddito di impresa. Va precisato. che la plusvalenza � gi�, 
per sua natura, il risultato di una sottrazione, e quindi consente essa 
pure una imposizione formalmente � al lordo �. 

D'altro canto, v'� una continuit� economica tra dividendi e plusvalenze 
che r.on pare il caso di spezzare in sede di classificazione dei redditi 
(anche se diversificato pu� rimanere il regime delle ritenute e del 
credito d'imposta). Una disciplina per l'imposizione sui �capitai gains,, 
collocata nell'ambito dei redditi diversi, ridurrebbe nell'art. 41 (redditi 
di capitale) la parola � redditi � ai soli � utili distribuiti �, ed aprirebbe 
un problema di classificazione e -quel che pi� � grave -di effettiva 
sottoposizione ad imposizione per i redditi che sono, per cos� 


30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dire, a met� strada (si pensi alla assegnazione di quote gratuite da parte 
di fondi di investimento esteri). 

A ben vedere, la nuova disposizione del 1980, distinguendo tra plusvalenze 
realizzate mediante cessione di quote o di azioni e plusvalenze 
� speculative�, illumina -con forza di interpretazione autentica -il 
significato profondo dell'art. 53 comma secondo del d.P.R. n. 597 del 
1973, e -per quanto lo richiama -dell'art. 5 del d.P.R. n. 598 del 1973: 
tali disposizioni altro non sono se non applicazioni del principio posto 
dall'art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973, ed assolvono un compito di esplicitazione 
di conseguenze che, anche in loro assenza, avrebbero potuto 
essere tratte direttamente da detto art. 44. 

Letta nel modo prospettato, la novella del 1980 non M limita a dare 
una risposta a problemi interpretativi sorti in ordine alla sottoposizione 
(o meno) ad imposizione in Italia dei �ricavi� e delle �plusvalenze� 
conseguite da � non residenti � mediante cessioni di azioni o quote sociali, 
ma fornisce dati normativi utili ad una organica � ricostruzione � 
del sistema. Non pu� tacersi che in tal modo la nuova disposizione si 
trova ad essere caricata di compiti e di significati senz'altro eccessivi 
rispetto alla sua oggettiva natura e portata (ed alla molto limitata ampiezza 
del dibattito tecnico e politico che ha preceduto la sua formu, 
lazione); tuttavia, neppure pu� tacersi che il problema della imposizione 
diretta sui redditi da operazioni finanziarie e in genere .su pacchetti 
di azioni o quote sociali richiede una soluzione. 

Le considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere risolta anche 
la questione -che forma oggetto del terzo dei quesiti prospettati all'inizio 
di questa nota -se la eliminazione del descritto � vuoto � non 
tanto d'imposizione quanto di specifica previsione normativa si abbia 

. 

solo nei confronti dei � non residenti � o .invece anche nei confronti . 
dei � residenti �. In proposito, sembra corretto ritenere -mutuando le 

. 
parole usate da CORSARO (op. cit.) -che �il legislatore della riforma... 
.

con l'art. 19 del d.P.R. n. 597 ai fini Irpef, richiamato dall'art. 22 del 

d.P.R. n. 598 ai fini Irpeg, ha fornito una elencazione delle varie cateII


gorie di reddito, con lo scopo precipuo non di dettare criteri di determinazione 
della materia imponibile diversi da quelli adottati nei riguardi 
dei soggetti residenti, bens� di fissare vari presupposti della 
imposizione, che per ciascuna categoria di reddito trovano un manifesto 
comune elemento: quello del collocamento con il territorio dello Stato�. 
In altre parole, le norme di diritto internazionale tributario -spe


Icie quando sono chiamate ad operare anche nell'ambito territoriale 
della .CEE (cfr. l'art. 21 della sopra menzionata proposta di direttiva) -
~: 

~ 

non pare possono essere lette e interpretate in modo da produrre 
discriminazioni sostanziali ai danni dei� �non residenti� (diversit� di ~ trattamento sono invece razionali e persino normali per quanto attiene i= 
alla riscossione, e cos�, ad esempio, in tema di ritenute): sottostante alla !: 

1 

~ 

i: 
~: 

i: 
?: 


PARTE II, QUESTIONI 

norma di diritto tributario sostanziale da applicarsi ai � non residenti � 
sembra doveroso ritenere sussistente una norma di portata almeno pari, 
operante nei confronti dei � residenti �. Del resto, numerose sono le 
norme pattizie di diritto internazionale tributario che enunciano il principio 
di cui � i nazionali di uno Stato contraente, siano essi residenti 

o non di uno degli Stati contraenti, non sono assoggettati nell'altro Stato 
contraente ad alcuna imposizione o obbligo ad essa relativo, diversi o 
pi� onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali 
di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione� (cos�, tra le 
molte;. :l'art. 25 della menzionata convenzione italo-svizzera). 
6. �-Rimangono da risolvere alcune questioni tutt'altro che trascurabili, 
ma � di contorno �. La prima concerne il particolare trattamento 
riservato -in via derogatoria -alle cessioni di azioni di societ� quotate 
in borsa non facente parte dei pacchetti di controllo. La ratio 
della deroga � palese ed ovviamente vale anche nei riguardi dei � residenti 
�. La platea dei piccoli azionisti e in genere degli azionisti non in 
grado di esercitare �influenza dominante�, pu� conseguire plusvalenze 
(se le consegue) ridotte rispetto a quelle realizzabili dai soci �dominanti,, 
(cfr. in tal senso CARBONETTI, op. cit., 403). E comunque per 
i piccoli azionisti il semplice possesso delle azioni quotate non pu� 
essere ritenuto attivit� oggettivamente commerciale; sicch� le relative 
eventuali plusvalenze rimangono imponibili solo in presenza di comprovato 
intento speculativo di cessioni (e anteriori acquisti). 
Una seconda questione � detenninata dalla presenza dell'ultimo comma 
dell'art. 76 del d.P.R. 597 del 1973. Detto articolo dedica molta attenzione 
alle plusvalenze immobiliari (ed a quelle formatesi sugli oggetti 
d'arte e di antiquariato), ma trascura il fenomeno delle plusvalenze su 
azioni o quote di societ�; fenomeno -questo -che considera all'ultimo 
comma solo in quanto � veicolo � del realizzo di plusvalenze immobiliari. 

Non pare comunque che la presenza della citata disposizione -oltretutto 
anteriore alla novella del 1980 -valga ad inibire l'interpretazione 
dianzi prospettata: nel dettar.e l'ultimo comma dell'art. 76 -che, si 
noti, � strettamente collegato con la presunzione assoluta di cui al precedente 
terzo comma e quindi opera solo � al servizio � di essa -il legislatore 
delegato ha inteso non gi� regolare in via generale la materia 
della imposizione sulle plusvalenze realizzate mediante � vendita di quote 

o di azi�ni �, ma solo porre in essere uno strumento � aritielusione � 
aggiuntivo rispetto al sistema. 
Un� terza questione concerne la compatibilit� della interpretazione 
sopra �prospettata con il principio sottostante al sistema della imputazione 
1 (sistema che peraltro nel nostro ordinamento � solo parzialmente 
operante~� per i soci persone fisiche): una imposizione IRPEF sui redditi 
da p�rtecipazione in societ� diversi dagli utili distribuiti non pu� bene



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fidare de jure condito del meccanismo del credito di imposta e quindi 
finisce per risultare pi� onerosa e per duplicare l'imposizione IR.f.EG 
sugli utili non distribuiti (s'intende, se e per quanto questa si sia effetr 
tivamente avuta); d'altro canto, neppure si avrebbe una applicazione 
dell'IRPEF con tassazione separata (come in caso di cessione d'azienda). 
Indubbiamente, questo � un argomento da non sottovalutare: potrebbe 
sostenersi (ed � stato da taluno sostenuto) essere non sperequato ed illogico 
che U mancato (totale o parziale) recupero -attraverso il credito 
d'imposta -della IRPEG sugli Ull:ili non distribuiti operi. alla stregua di 
una imposizione nella sostanza sostitutiva dell'imposta personale progressiva. 
Pu� per� osservarsi che una ancor pi� irrazionale sperequazione 
emerge proprio dalla assenza di progressivit� nel carico fiscale sulle 
plusvalenze in questione, sovente di cospicuo jmporto; che l'incqnveniente 
in questione, rimane per cos� dire � a valle � rispetto alla classifi�azione 
delle plusvalenze stesse come redditi di capitale; che comunque la societ� 
esprime una capacit� contributiva propria, autonoma rispetto a quella 
dei soci; e che non pare tecnicamente impossibile una normativa che 
operi qualche correttivo in considerazione dell'onere IRPEG event�almente 
sopportato in relazione alla parte di � ricchezza � pervenuta ai 
soci con modalit� diverse dalla distribuzione di utili. 

Del pari, non parrebbe sussistano ostacoli a che, per le azioni e 
quote di che trattasi possedute da � normali � persone fisiche, venga disposta 
una estensione di criteri di rivalutazione dei cespiti di impresa 
per quanto le variazioni del metro monetario non abbiano inciso anche 
sui debiti delle societ� cui azioni o quote si riferiscono. Del resto, il 
problema cui si accenna condiziona anche l'effettivo operare del pi� 
volte citato art. 76. 

7. -Un'ultima questione concerne la procedura di accertamento delle 
plusvalenze realizzate mediante cessioni di azioni o di quote sociali. Non 
pare che le difficolt� tecnico-fiscali di accertamento di tali plu8valenze 
siano maggiori delle difficolt� di accertamento di altri redditi; anzi, la 
analisi sui movimenti finanziari � -per la presenza di numerosi atti 
giuridici formalizzati ed anche senza tener conto del disposto degli 
artt. 35 e segg. del R.D. 29 marzo 1942 n. 239 -notevolmente pi� agevole 
del controllo sulle entit� di ricavi e costi o sulle quantit� di beni 
e servizi prodotti o commerciati, ceduti o immagazzinati. Ovviamente 
sarebbe opportuno dotare l'amministrazione finanziaria di ulteriori strumenti 
(e normativi e organizzativi) atti a consentire istruttorie sui flussi 
di ricchezza di cui si � detto. Un ausilio potrebbe venire dai documenti 
societari ufficiali, quali ad esempio la stima ex art. 2441 cod. c;iv., da 
rendere sempre doverosa (la prassi la ritiene non indispensabile quando 
vi sia accordo unanime dei soci). Comunque, il modus procedendi po

PARTE II, QUESTIONI H 

trebbe r.imanere quello normale, della dichiarazione del reddito ad op�ra 
del contribuente e del successivo controllo (anche sulla base dell'art. 64 
del d.P.R. n. 597 del 1973) da parte dell'ufficio; modus del resto gi� seguito 
ad esempio per l'applicazione dell'art. 76 ultimo comma citato. 

Si �� dianzi accennato al R.D. 29 marzo 1942 n. 239. Tale decreto prescrive, 
tra l'altro, all'art. 37 comma secondo, che entro il 31 gennaio 
ed il 31 luglio di ciascun anno � debbono essere fatte le comunicazioni 
(allo Schedario nazionale dei titoli azionari) relative alla einissione 
di azioni da parte di societ� di nuova costituzione nonch� quelle relative 
al movimento delle azioni dipendente da variazioni di capitale �. 
� notorio che, in accoglimento di richieste avanzate dalla Assonime, il 
Ministero delle finanze nel 1964 ritenne consentito leggere nell'art. l, 
comma terzo, della legge 29 dicembre 1962 n. 1745 (malgrado il contenuto 
dell'art. 20 della stessa legge) una disposizione di implicita parziale 
abrogazione del citato art. 37: le comunicazioni allo Schedario 
furono liinitate alla sola emissione di azioni da parte della societ� di 
nuova costituzione, con esclusione cio� dei movimenti dipendenti da 
aumenti di capitale. 

In realt�, la legge n. 1745 del 1962 non contiene affatto la disposizione 
abrogante che in essa si � voluto leggere: essa ha aggiunto nuovi 
obblighi di comunicazione allo Schedario, non ha sostituito le nuove 
comunicazioni a quelle in precedenza prescritte. Significativo il quarto 
c�mma dell'art. 7 ove si impone alle � societ� che nell'anno solare 
precedente non abbiano deliberato la distribuzione di utili � l'obbligo 
di comunicare allo Schedario � nome cognome paternit� e domicilio � 
dei titolari dei titoli azionari depositati ai fini dell'intervento dell'assemblea 
ordinaria; un obbligo -questo -che, saldandosi con l'obbligo 
di comunicare i nominativi dei percettori di utili distribuiti, nella 
sostanza conferma gli artt. 32, 36 e 37 del R.D. 29 marzo 1942 n. 239 e 
d� concreto seguito alla nominativit� obbligatoria ,dei titoli azionari 

(R.D.L. 25 ottobre 1941 n. 1148, e R.D. 24 luglio 1942 n. 861). Nei fatti, 
comunque, lo Schedario � stato in gran parte disattivato; si impone 
ora la necessit� di riattivarlo, per quanto occorrente all'accertamento dei 
�capitai gains � (e alla determinazione sintetica del reddito complessivo 
di persone fisiche). 
FRANCO FAVARA 

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LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

legge 11 aprile 1950, n. 130, art. 4, quinto comma, � Miglioramenti economici 
ai dipendenti statali � come modificato dall'art. 8 della legge 8 aprile 1952, 

n. 
212 � Revisione del trattamento economico dei dipendenti statali �. 
Sentenza 7 aprile 1983, n. 83, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
legge reg. Emilia-Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, secondo comma, 
limitatamente alle parole � o a singoli componenti la giunta stessa �. 

Sentenza 10 marzo 1983, n. 48, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 

legge reg. Umbria 10 aprile 1975, riapprovata il 23 gennaio 1976. 
Sentenza 16 marzo 1983, n. 54, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 


legge reg. <;ampania 17 dicembre 1975, riapprovata il 26 febbraio 1976. 
Sentenza 16 marzo 1983, n. 54, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, nelle parti concernenti le attribuzioni delle 
regioni, in cui, relativamente all'ambito territoriale del Trentino-Alto Adige, non 
statuisce che dette attribuzioni spettano alle province di Trento e Bolzano. 

Sentenza 22 febbraio 1983, n. 31, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. 

legge reg. Valle d'Aosta 28 gennaio 1977, riapprovata il 31 marzo 1977. 
Sentenza 16 marzo 1983, n. 54, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

codice civile, art. 154 [come modificato dall'art. 35 della legge 19 maggio 
1975, n. 151] (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Sentenza 21 aprile 1983, n. 104, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. 

codice di procedura civile, art. 246 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 7 aprile 1983, n. 85, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 

r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 62, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1983, n. 106, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 252 (artt. 3, 5, 24, 28, 97 e 128 della Costituzione). 
Sentenza 23 marzo 1983, n. 72, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 8 marzo 1938, n. 141, art. 98 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 
Sentenza 23 marzo 1983, n. 73, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 


d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 87, settimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 28 febbraio 1983, n. 39, G.U. 9 marzo 1983, Il. 67. 
Sentenza 28 febbraio 1983, Il. 40, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. 


legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma, lettera c) (artt. 3 e 36 
della Costituzione). 

Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 4 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 


legge 18 marzo 1968, n. 249, art. 11, quarto comma [cos� come modificato 
dall'art. 9 della legge 28 ottobre 1970, n. 775] (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Sentenza 7 aprile 1983, n. $1, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 29 marzo 1983, n. 77, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 


d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, artt. 16, primo, secondo e nono comma, 
e 150 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 7 aprile 1983, n. 81, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 35 della 
Costituzione). 

Sentenza 7 aprile 1983, n. 82, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 

legge 25 novembre 1971, n. 1042, art. 2, primo comma (artt. 3, 24, 25, 28, 
42, 54, 97, 101, 103 e 113 della Costituzione). 

Sentenza 23 marzo 1983, n. 70, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 13, terzo e quarto comma (art. 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1983, n. 103, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. 


J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 18 maggio 1974, n. 217 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 21 aprile 1983, n. 105, G.U. Zl aprile 1983, n. 114. 

legge reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1 (artt. 39, 76 e 117 della 
Costituzione). 

Sentenza 23 marzo 1983, n. 69, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 1, 2, 3, 4, 8, 10, 13, 15, 27, 29, 
32, 36, 39, 84, 90, 91, 92, 94, 103 e 107 (artt. 8, n. 25, 9, n. 10, e 16 dello 
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 22 febbraio 1983, n. 31, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. 

legge 24 dicembre 1975, n. 706, art. 16 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 16 marzo 1983, n. 55, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 

legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 7 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 10 marzo 1983, n. 46, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 3 e 6 (artt. 3, 29, 31 e 53 della 
della Costituzione). 

Sentenza 24 m,arzo 1983, n. 76, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 17 novembre 1976, n. 751, artt. 3 e 6 (artt. 3, 29, 31 e 53 della 
Costituzione). 

Sentenza 24 marzo .1983, n. 76, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, artt. 19 e 20 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della 
Costituzione). 

Sentenza 24 marzo 1983, n. 76, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 19 marzo 1983, n. 68, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, art. 162, terzo comma [nel testo vigente prima dell'entrata 
in vigore della legge 10 aprile 1981, n. 142] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 29 maggio 1981, n. 758/82, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 74. 
codice civile, art. 564, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 1982, n. 652, G.U. 2 marzo 1983, , 


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PARTE II, LEGISLAZIONE 
J7 

codice civile, art. 2752, secondo comma [come modificato dalla legge 29 lu� 
glio 1975, n. 4261 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Tribunale di Monza, ordinanza lO giugno 1982, n. 808, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 
108. 
�. .� c.odice . civile, art. 2758, secondo comma [nella modif. derivante dalla legge 
29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). 
� 
Tribtmale di Milano, ordinanza 20 maggio 1982, n. 672, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 
60. 
ce>dice di procedura civile, art. 409, n. 3 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Racconigi, ordinanza 29 luglio 1982, n. 737, G.U. 23 marzo 1983, 

n. 
Sl. 
codice di procedura civile, art. 538, secondo comma 
Costituzi�ne). 

Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, 
zo 19831 . n.� 81. 
Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, 
zo� 19831 n.-81. 
Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, 
zo 1983, n: 81. 
Pretore di Nizza Monferrato, ordinanza 4 agosto 1982, 

zo 
1983, n. 88. 

c.od�ce penale, art. 57 (art. 3 della 

Tribunale di Monza, ordinanza 24 

n. 
60. 
Tribunale di Monza, ordinanza 29 
n. 
81. 
Costituzione). 
marzo 1982, n. 667, 

aprile 1982, n. 738, 

codice� penale, art. 200, primo comma (artt. 3 e 25 
Pretore di Biella, ordinanza 25 giugno 1982, n. 649, 

n. 
60. 
(artt. 3 e 42 della 

n. 749, G.U. 
n. 750, G.U. 
n. 751, G.U. 
n. 757, G.U. 
23 mar23 
mar� 
23 mar� 
30 mar� 

G.U. 2 marzo 1983, 
G.U. 23 marzo 1983, 
della Costituzione). 
G.U. 2 marzo 1983, 
codice ,penale, artt. 204 cpv. e 219, primo .comma (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'assise d'appello di Cagliari, ordinanza 15 ottobre 1982, n. 859, G.U. 
20 aprile 1983, n. 108. 

co<J.'1c!o' penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 
Pretore di Lecce, ordinanza 12 marzo 1982, n. 769, G.U. 30 marzo 1983, 


n. 
88. 
codice di procedura penale, artt. 151, terzo comma, e 192, secondo comma 
(art. 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Roma, ordinanza 13 luglio 1982, n. 718, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 

38 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, art. 263-ter (artt. 3, 24, 25 e 31 della Costituzione). 


Tribunale di Catanzaro, ordinanza 25 settembre 1982, n. 795, G.U. 27 aprile 
1983, n . .114. 

codice di procedura penale, art. 579, primo comma (art. 24 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 22 marzo 1982, n. 734, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 
74. 
codice penale militare di pace, art. 191, prima ipotesi (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale militare di Padova, ordinanza 22 luglio 1982, n. 752, G.U. 30 marzo 
1983, n. 88. 

legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 11, all. T) all'art. 39 (art. 3 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1982, n. 824, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 
94. 
Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1982, n. 823, G.U. 20 aprile 1983, 
n. 
108. 
Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1982, n. 826, G.U. 20 aprile 1983, 
n. 
108. 
legge 13 giugno 1912, n. 555, artt. 1, n. 2, 2 e 20 delle disposizioni sulia 
legge in generale (artt. 3, 29 e 30 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 28 giugno 1982, n. 684, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
r.d. 12 luglio 1934, n. '1214, artt. 3, primo comma, ultima parte, e 67 (artt. 3, 
111 e 125 della Costituzione). 
Corte dei Conti, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 85/83, G.U. 21 aprii.e 1983, 

n. 
114. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 24 della Costitu~ 
zione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 9 luglio 1982, n. 685, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
d.l.vo C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 18 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 24 ottobre 1980, 

n. 
777/82, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 
legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. I, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Monza, ordinanza 24 marzo 1982, n. 667, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 
60. 
Tribunale di Monza, ordinanza 29 aprile 1982, n. 738, G.U. 23 marzo 1983. 
n. 
81. 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rieti,� ordinanza 11 maggio 1982, n. 838, G.U. 20 aprile 1983, 


n. 108. 
legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Sondrio, ordinanza 22 luglio 1982, n. 651, G.U. 2 marzo 1983, 


n. 60. 
legge reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 10, ultimo comma (art. 51 della 
Costituzione). 

Tribunale di Palermo, ordinanza 12 novembre 1982, n. 925, G.U. 2 marzo� 1983, 

n. 6(). 
d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, art. 22 (art. 76 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 2 febbraio 1982, n. 661, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. 

legge 21 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 22 luglio 1982, n. 710, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 74. 
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (art. 3 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 24 novembre 1981, n. 725/82, 

G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 
t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 92 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 5 giugno 1980, 

n. 767/82, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (artt. 3, 36 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Poggibonsi, ordinanza 16 settembre 1982, n. 760, G.U. 30 mar� 
zo 1983, n. 88. 

d.l'.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89 e 140 (artt. 3, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 mag� 
gio 1982, n. 793, G.U. 13 aprile _ 1983, n. 101. 

d.P.R. 2'I gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89 e 140, ultimo comma (artt. 3, 38, 
53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanza 5 giugno 1982, 

n. 930, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 

40 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma 
(artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 

n. 
791, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 
n. 
792, � G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
legge 5 marzo 1961, n. 90, art. 41 (art. 3 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 24 novembre 1981, n. 725/82, 

G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 
legge 6 gennaio 1963, n. 13, art. 10 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 6 marzo 1981, n. 801/82, G.U. 27 aprile 1983, 

n. 
114. 
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna, ordinanza 26 ottobre 1982, n. 848, G.U. 20 aprile 
1983, n. 108. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Corte d'appello di Lecce, ordinanza 17 settembre 1982, n. 748, G.U. 16 marzo 
1983, n. 74. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 
della Costituzione). 
Tribunale di Vercelli, ordinanza 4 giugno 1982, n. 743, G.U. 30 marzo 1983, 

n. 
88. 
Tribunale di Vercelli, ordinanza 4 giugno 1982, n. 744, G.U. 23 marzo 1983, 
n. 
81. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1"4 [modificato dalla legge 27 dicembre 
1975, n. 780, art. 2] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 27 luglio 1982, n. 670, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 
60. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, tabella all. n. 8 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 27 luglio 1982, n. 670, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 
60. 
legge 13 luglio 1966, n. 615, artt. 1 e 20 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Chivasso, ordinanza 23 luglio 1982, n. 675, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 24 settembre 1981, n. 679/82, G.U. 
9 marzo 1983, n. 67. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 41 

,..��� 

....�:��� legge 8 marzo 196~, n; 152, art. 2, lett. c) (artt. 3 e 36 della Costituzione) . 

Tribunale amministrativo regionale per la SardegTia, ordinanza 24 novembre 
1981, n. 779/82, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma, lett. c) (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 maggio 
1982, n. 708, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (artt. 1, 3, 4 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 27 settembre 1982, n. 847, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 108. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 16, quarto comma (artt. 3 e 4 della Costituzione). 


Tribunale di Frosinone, ord4J.anza 23 giugno 1982, n. 746, G.U. 16 marzo .1983, 

n. 74. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 16, quarto comma (artt. 3, 4, 38 e 97 della 
Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 30 marzo 1982, n. 694, G.U. 16 marzo �1983, 

n. 74. 
legge 25 ottobre 1968, n. 1089, art. 18 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 830, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 94. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, artt. 20 e 22 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 21 maggio 1982, n. 681, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 67. 
legge reg. Friuli-Venezia Giulia 11 luglio 1969, n. 13, artt. 1, 3 e 10 (artt. 4, 
ll;.. 12, �58 e 60 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia e artt. 3, 18 e 97 della 
Costituzione). 

Pretore di Tolmezzo, ordinanza 7 luglio 1982, n. 646, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 60. 
legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della CostitllZ��ne). 

Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, ordinanza 2 giugno 1982. 

n. 780, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 
legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 28 e 37 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 


Pretore di Roma, ordinanza 26 settembre 1982, n. 785, G.U. 13 aprile 1983, 

n. 101. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 24 maggi.o 1970, n. 336, artt. 1, 2, 3, primo, secondo e terzo comma, e 4 
(art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 14 maggio 1982, n. 729, G.U. 23 marzo 1983, 

n. 
81. 
legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 3, secondo comma, e 4 (art. 81 della 
Costituzione). 

Tribunale di Palermo, ordinanza 3 giugno 1982, n. 691, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
d.P.R. 15 aprile 1971, n. 322, art. 11, parte terza (art. 25 della Costituzione). 
Pretore di Chivasso, ordinanza 23 luglio 1982, n. 675, G.U. 9 marzo 1983, 
Il. 67. 

legge 4 agosto 1971, n. 589, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 830, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 
94. 
I ~ 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 12 luglio 1982, n. 723, G.U. 23 marzo 1983, 

n. 
81. 
Pretore di Bologna, ordinanza 23 settembre 1982, n. 773, G.U. 30 marzo 1983, 
n. 
88. 
Tribunale di Brescia, ordinanza 22 aprile 1982, n. 774, G.U. 30 marzo 1983, 
n. 
88. J 
Pretore di Bologna, ordinanza 22 settembre 1982, n. 781, G.U. 6 aprile 1983, I' 
n. 
94. 
Pretore di Bologna, ordinanza 22 settembre 1982, Il. 782, G.U. 6 aprile 1983, 
n. 
94. 
I

Pretore di Bologna, ordinanza 23 settembre 1982, n. 783, G.U. 6 aprile 1983, 
�: 

n. 
94. 
Pretore di Bologna, ordinanza 23 settembre 1982, n. 797, G.U. 6 aprile 1983, 
n. 
94. 
Pretore di Bologna, ordinanza 23 settembre 1982, n. 798, G.U. 13 aprile 1983, 
Il. 
101. 
Pretore di Bologna, ordinanza 23 settembre 1982, n. 813, G.U. 13 aprile 1983, 

n. 
101. 
Pretore di Bologna, ordinanza 7 ottobre 1982, Il. 816, G.U. 13 aprile 1983, 
Il, 
101. 
Pretore di Bologna, ordinanza 5 ottobre 1982, Il. 818, G.U. 13 aprile 1983, 

n. 
101. 
Pretore di Bologna, ordinanza 28 settembre 1982, n. 814, G.U. 20 aprile 1983, 
n. 
108. 
Pretore di Bologna, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 817, G.U. 20 aprile 1983, 
n. 
108. 
!: 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, secondo comma (art. 81, quarto comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanz~ 6 luglio 1982, n. 677, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 4 (artt. 3 e 52 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 9 novembre 
1979, n. 742/82, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

legge 11 agosto 1972, n. 485, art. 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore d� Torino, ordinanza 21 maggio 1982, n. 681, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 5 ottobre 1982, n. 821, G.U. 20 apri� 
le 1983, n. 108. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Trapani, ordinanza 22 giu� 
gno 1982, n. 754, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (artt. 3, 42 e 53 della Costi� 
tuzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 4 giugno 
1981, n. 819/82, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 4 giugno 
1981, n. 820/82, G.U. 20 aprile 1983, n. 108. 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 1981, 

n. 
855/82, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 
legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto 
comma [come modificato dalla legge prov. di Trento 23 ottobre 1974, n. 33] 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 6 luglio 1982, n. 766, G.U. 30 marw 
1983, n. 88. 

t.u. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 37 [quale interpretato dalla legge 22 dicembre 
1980, n. 891, art. 22-ter] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Catania, ordinanza 2 aprile 1982, n. 761, G.U. 23 marzo 1983, 

n. 
81. 
Tribunale di Catania, ordinanza 2 aprile 1982, n. 762, G.U. 23 marzo 1983 
n. 
81. 

44 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 22 febbraio 1982, n. 662, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
legge 2 febbraio 1973, n. 12, art. 20, ultimo comma, n. 3 (artt. 3 e 38 della 
Costittizione). 

Pretore di Milano, ordinanza 8 giugno 1982, n. 703, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 

n. 
790, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 12 maggio 1982, 
n. 
787, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 . maggio 1982, 
n. 
788, G.U. 13 .aprile 1983, n. 101. � 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 
n. 
789, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggfo 1982, 
n. 
791, G.U. 13 aprile 1983, n. 101 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggfo 1982, 
n. 
792, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. � 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 31 marzo: 1982, 
n. 786, G.U. 20 aprile 1983, n. 108. 
d.P.R. 29 settembre 1973, .n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo��c.omma 
(artt. 3, 38,. 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanza 5 giugno 1982, 

n. 
930, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Montepulciano, ordinanza 26 maggio 
1982, n. 733, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 

n. 
790, G.U. 6 aprile 1983, n. 94. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 12 maggio 1982, 
n. 
787, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggfo 1982, 
n. 
788, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. ,, 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 
n. 
789, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 
n. 
791, G.U. 13 aprile 1983, n. 101. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 19 maggio 1982, 

n. 
792, G.U . .13 aprile 1983, n. 101. 
Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 31 marzo 1982, 
n. 
786, G.U. 20 aprile 1983, n. 108. 
dJ. 
1 ottobre 1973, n. 580, art. 5, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 29 aprile 1982, 

n. 687, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 giugno 
1982, n. 709, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. 

legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 26 maggio 1982, n. 721, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 
74. 
Corte di cassazione, ordinanza 14 maggio 1982, n. 906, G.U. 27 aprile 1983, 
n. 114. 
legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 29 settembre 1982, n. 775, G.U. 30 marzo 
1983, n. 88. 

legge reg, Veneto 17 aprile 1975, n. 36, artt. 1, 5, ultimo comma, 16 e 18 
(artt. 42 e 117 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 13 luglio 1979, 

n. 759/82, G.U. 30 marzo 1983, n. 88. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 24 e 25 della Costituzione). 


Tribunale di Velletri, ordinanza 13 luglio 1982, n. 763, G.U. 30 marzo 1983, 

n. 
88. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2 terzo comma (artt. 25 e 101 della 
Costituzione). 

Tribunale di Caltagirone, ordinanza 1 giugno 1982, n. 764, G.U. 30 marzo 1983, 

n. 88. 
Tribunale di Caltagirone, ordinanza 9�settembre 1982, n. 765, G.U. 30 mar; 
zo 1983, n. 88. 
Tribunale di Caltagirone, ordinanza 7 luglio 1982, n. 806, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 
108. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Rimini, ordinanza 29 maggio 1982, r. 753, G.U. 30 marzo 1983, 

n. 
88. 

46 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza '21 maggio 1982, n. 681, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Sezione di sorveglianza presso la Corte d'appello di Roma, ordinanza 23 luglio 
1982, n. 688, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. 

legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Commissione tributaria di secondo grado di Cagliari, ordinanza 20 luglio 1982, 

n. 
726, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 
Commissione tributaria di secondo grado di Cagliari, ordinanza 20 luglio 1982, 
n. 
727, G.U. 23 marzo 1983, n. 81. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 45 (artt. 3, 24 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Riesi, ordinanza 7 aprile 1982, n. 796, G.U. 27 aprile 1983, 

n. 
114. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 71 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 9 agosto 1982, n. 724, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 74. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 72 e 80 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Rovereto, ordinanza 2 luglio 1982, n. 720, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 
74. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 82 (art. 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 3 novembre 1981, n. 846/82, G.U. 
20 aprile 1983, n. 108. 

legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2, quinto comma, seconda parte [cos� 
come modificato dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689) (art. 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 15 giugno 1982, n. 799, G.U. 13 aprile 1983, 

n. 
101. 
legge 5 maggio 1976, n. 313, artt. 5 e 6 (artt. 3, 24, 27 e 102 della 
Costituzione). 

Pretore di Fermo, ordinanza 22 luglio 1981, n. 715/82, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 
94. 
legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 6, primo comma, lett. a); 9, terzo comma; 
15, sesto e settimo comma (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Vigevano, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 810, G.U. 27 aprile 1983, 

n. 
114. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Velletri, ordinanza 22 luglio 1982, n. 669, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 60. 
legge� 4 aprile 1977, n. 135, art. 22, primo comma (artt. 3, 4 e 41 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 19 giugno 1980, 

n. 680/82, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. 
legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Rieti, ordinanza 28 maggio 1982, 

n. 717, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 
legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 4 giugno .1981, 
Il; 820/82, G.U. 20 aprile 1983, n. 108. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31, 41 e 42 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Menaggio, ordinanza 18 ottobre 1982, n. 841, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 108. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Ancona, ordinanza 18 ottobre 1982, n. 822, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 108. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 10, 30, 31, 32, 41 e 42 
della Costituzione e art. 25 della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo 
dell'O.N.U.). 

Pretore di Milano, ordinanza 4 giugno 1982, n. 794, G.U. 13 aprile 1983, 

n. 101. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Carrara, ordinanza 30 giugno 1982, n. 832, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 94. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 34, ultimo comma, 69, penultimo comma, 
e 73 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Rimini, ordinanza 24 giugno 1982, n. 722, G.U. 16 marzo 1983. 

n. 74. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Ferrara, ordinanza 15 giugno 1982, n. 755, G.U. 30 mar� 
zo 1983, n. 88. 


48 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 48 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 67, 73, 29, lett. b), e 27 (artt. 3 e 35 
della Costituzione). 

Pretore di Ispica, ordinanza 21 luglio 1982, n. 678, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69 e 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Sant'Antioco, ordinanza 7 giugno 1982, n. 800, G.U. 
20 aprile 1983, n. 108. 

legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2, primo comma (artt. 42 e 97 
della Costituzione). 

Pretore di Caltanissetta, ordinanza 30 luglio 1982, n. 707, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 67. 
legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2, primo comma (art. 116 della 
Costituzione e artt. 24 e 30 dello statuto reg. Sicilia). 

Pretore di Caltanissetta, ordinanza 30 luglio 1982, n. 707, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 67. 
legge reg. Toscana 15 dicembre 1978, n. 79, art. 1 (d.P.R. 15 gennaio 1972, 

n. 11, art. 11 e d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 71, lett. g). 
Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 24 gennaio 1980, 

n. 674/82, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. 
legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3 e 38 della Costit1.!Zione). 

Pretore di Torino, ordinanza 21 maggio 1982, n. 681, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 67. 
legge 11 gennaio 1979, n. 12, art. 40 (artt. 3, 4 e 35 della Cos.tituzione). 

Tribunale di Perugia, ordinanza 25 giugno 1982, n. 745, G.U. 23 marzo 1983, 

n. 81. 
legge reg. Lazio 28 settembre 1979, n. 79, art. 4 (art. 119 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 19 marzo 1982, n. 747, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 74. 
legge reg. Lazio 2 maggio 1980, n. 30, art. 1 (art. 119 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 19 marzo 1982, n. 747, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 74. 
legge 11 luglio 1980, n. 312, artt. 51, primo, secondo e quinto comma, e 152 
(art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 2 dicembre 
1981, n. 713/82, G.U. 9 marzo 1983, n. 67. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 
,49 

legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1, primo, secondo e quarto comma (artt. 42 
e 136 della Costituzione). 

Corte d'appello di Firenze, ordinanza 5 marzo 1982, n. 803, G.U. 20 aprile 1983. 

n. 
108. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, sesto comma, e 10, terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 812, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 
108. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, ottavo comma, e 10 terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 27 maggio 1982, n. 731, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 
74. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, primo comma (artt. 3, 4, 18 e 38 
della' Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 2 luglio 1982, n. 671, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
legge 22 dicembre 1980, n. 879, art. 6, primo comma (artt. 3 e 25 della 
Costituzione). 

Tribunale di Pisa, ordinanza 17 settembre 1982, n. 756, G.U . .16 marzo 1983, 

n. 74. 
legge reg. Lombardia 23 gennaio 1981, n. 9, artt. 1 e 2 (artt. 117 e 118 
della Costituzione). 

Pretore di Monza, ordinanza 29 aprile 1982, n. 648, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 60. 
legge reg. Marche 19 ottobre 1981, n. 30, artt. 16, secondo e quarto comma, 
e 17, primo comma (artt. 3 e 117 della Costituzione). 

Pretore di Urbino, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 809, G.U. 27 aprile 1983, 

n. 
114. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e 
secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Palmi, ordinanza 24 giugno 1982, n. 732, G.U. 9 marzo 1983, 

n. 
67. 
Pretore di Ginosa, ordinanza 2 luglio 1982, n. 706, G.U. 16 marzo 1983, 
n. 74. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77, primo e secondo comma, e 53 
(art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Moncalieri, ordinanza 17 giugno 1982, n. 869, G.U. 27 aprile 1983, 

n. 
114. 

JO 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, 77, primo e secondo 
comma, e 81 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Livorno, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 863, G.U. 20 aprile 1983, 

n. 
108. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Perugia, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 784, G.U. 13 aprile 1983, 

n. 
101. 
d.}".R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Siena, ordinanza 9 luglio 1982, n. 668, G.U. 2 marzo 1983, n. 60. 

dJ. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis, primo comma [convertito con modif. 
nella legge 25 marzo 1982, n. 94) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 14 giugno 1982, n. 712, G.U. 16 marzo 1983, 

n. 
74. 
d.L 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [nel testo sostituito con la legge 29 aprile 
1982, n. 187) (art. 113 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 8 giugno 1982, 

n. 714, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 
egge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 24 settembre 1982, n. 778, G.U. 30 marzo 1983, 

n. 
88. 
Pretore di Roma, ordinanza 20 luglio 1982, n. 802, G.U. 13 aprile 1983, 
n. 
101. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, combinato disposto artt. 8, 9, 10, 13 e 45 
(artt. 3, 24, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Arezzo, ordinanza 25 giugno 1982, n. 653, G.U. 2 marzo 1983, 

n. 60. 
d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Grosseto, ordinanza 22 settembre 1982, n. 768, G.U. 23 marzo 
1983, n. 81. 

legge 12 agosto 1982, n. 532 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Licata, ordinanza 23 settembre 1982, n. 839, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 94. 
d.L 30 settembre 1982, n. 688, art. 9, sesto comma (artt. 25 e 101 della 
Costituzione). 
Pretore di Menaggio, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 842, G.U. 6 aprile 1983, 

n. 94. 

51

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge approvata dal consiglio regionale della Lombardia il 14 ottobre 1982 
e riapprovata il 24 febbraio 1983 (artt. 97 e 117 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 22 marzo 1983, n. 6, G.U. 30 marzo 
1983, n. 88. 

legge approvata dal consiglio regionale della Lombardia il 25 novembre 1982 
e riapprovata il 24 febbraio 1983 (artt. 117 e 119 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 22 marzo 1983, n. 7, G.U. 
30 marzo 1983, n. 88. 

legge approvata dal consiglio regionale della Lombardia il 16 dicembre 1982 
e riapprovata il 24 febbraio 1983 (artt. 81 e 117 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 26 marzo 1983, n. 8, G.U. 
6 aprile 1983, n. 94. 

legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 1, 25 e 31 (artt. 4, nn. 3, 10 e 12, e 5, 

n. 16, dello statuto speciale reg. Friuli-Venezia Giulia). 
Presidente giunta regionale Friuli-Venezia Giulia, ricorso 24 febbraio 1983, 

n. 4, G.U. 16 marzo 1983, n. 74. 
legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 25, 26, 27, 28 e 31 (art. 117 della 
Costituzione). 

Presidente giunta regionale Liguria, ricorso 24 febbraio 1983, n. 5, G.U. 
16 marzo 1983, n. 74. 

d;P.R. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 9, 11, 16, 28 e 31 (artt. 117 e 119 
della Costituzione). 

Regione Liguria, ricorso 8 aprile 1983, n. 9, G.U. 27 aprile 1983, n. 114. 

dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 9, primo, quarto e sesto comma, 27, quarto 
comma, 29, terzo, quarto e quinto comma, 31 e 37 (artt. 5, 117, 118, 119, nonch� 
77 e 81 della Costituzione). 

Regione Emilia-Romagna, ricorso 9 aprile 1983, n. 11, G.U. 27 aprile 1983, 

n. 114. 
dJ. 28 febbraio 1983 n. 55, artt. 9, primo, quarto, sesto, nono e decimo 
comma, 11, terzo comma, 27, quarto' comma, 29, terzo, quarto e quinto comma, 
31, primo comma, e 37 (artt. 5, 117, 1.18, 119, nonch� 77 e 81 della Costituzione). 


Regione Lombardia, ricorso 9 aprile 1983, n. 10, G.U. 27 aprile 1983, n. 114.