ANNO XXXIV -N. 2 MARZO-APRI LE 1982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 ABBONAMENTI ANNO 1982 ANNO � � � . � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 25.600 UN NUMERO SEPARATO ��.� -.��..�.�. )) 4.700 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital:t Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (3219170) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara} � � � � � . � � � pag. 225 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara} � � � 257 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo} � � � � � � � � 274 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catrical�} � � 289 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'avv. Raffaele Tamiozzo} � � . � � � 308 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Baf�le} . � � � . � � � � . . � 333 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} � . � 402 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni} � � � 407 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI pag. 45 LEGISLAZIONE � I 07 INDICE BIBLIOGRAFICO � 122 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: .UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco Gu1cc1ARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANCUSO, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. NOTA REDAZIONALE Nel pubblicare le relazioni e gli interventi dell'incontro-dibattito su � L'istituzione del difensore civico nell'ordinamento statale italiano � (in questo fascicolo, Il, 45) sembra opportuno sottolineare le nuove prospettive aperte alla Rassegna dall'Avvocato Generale nella parte iniziale del suo saluto. Tutti i colleghi sono chiamati a partecipare a quello che ci si augura essere un dialogo fecondo di risultati tra l'Istituto e tutti gli altri interlocutori operanti nel mondo del diritto. Pi� in generale sembra opportuno auspicare una pi� intensa partecipazione sia dell'Istituto come tale che dei suoi componenti a tutte quelle manifestazioni -quali congressi, convegni, incontri che sono ad un tempo mezzo di arricchimento culturale e sintomo di vitalit�. Recentemente l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste ha organizzato un Convegno di Studi sulla riforma sanitaria che ha avuto un notevole successo: � una iniziativa che merita pieno plauso e che ci si augura non rester� un precedente isolato. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI N. BRUNI, Questioni in tema di reati valutari . . . . . . . . . . . . I, 407 I. F. CARAMAZZA, In tema di responsabilit� civile per fatto del giudice I, 297 F. FAVARA, Il doppio grado di giurisdizione di merito ed il processo tributario . . . . . . I, A. PALATIELLO, Immobile societario e fabbricato strumentale ai fini della tassazione in ILOR .... I, 367 A. PALATIELLO, I redditi da partecipazione di societ� di capitali in societ� personale . . . : . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 385 G. STIPO, Pretesa ammissibilit� nel giudizio amministrativo del provvedimento di urgenza . . . . . . . . . . . . . . . . I, 308 Atti dell'incontro di studio su � L'istituzione del difensore civico nell'ordinamento statale italiano�, tenutosi nella Sala Vanvitelli il 20 aprile 1982 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 45 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Competenza e giurisdizione -Tribunale superiore delle acque e tribunali regionali � Delimitazione alveo fluviale -Controversie -Giurisdizione � Tribunali regionali, 404. -Concessione � Riconoscimento di antica utenza � Impugnazione del provvedimento ricognitivo -Termini � Imposizione e misura del canone Operativit�, 402. -Giudizio e procedimento � Dichiarazione di incompetenza del tribunale regionale � Mezzo di impugnazione A. ppello al tribunale superiore Esclusione � Regolamento necessario di competenza, 403. ATTO AMMINISTRATIVO -Sospensione ad opera del giudice � Limite legale di durata della sospensione � Legittimit� costituzionale, con nota di F. FAVARA, 226. CACCIA -Provvedimento amministrativo � Divieto assoluto di caccia -Domanda di risarcimento danni -Difetto assoluto di giurisdizione, 280 -Provvedimento amministrativo -Vizi di legittimit� � Interesse legittimo . Giurisdizione amministrativa -Attivit� materiale � Danno a terzi � Diritto soggettivo � Giurisdizione ordinaria, 280. COMPETENZA CIVILE -Inammissibilit� dell'appello avverso sentenza sulla sola competenza -Sentenza dichiarativa -Regolamento di competenza � Inammissibilit�, 295. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Politica agricola comune � Poteri discrezionali delle istitu zioni comunitarie -Fissazione del prezzo d'entrata per il grano duro, 257. -Atti delle istituzioni comunitarie � Responsabilit� nei confronti dei singoli � Azioni risarcitorie -Condizioni, 257. -Atti normativi delle istituzioni comunitarie � Responsabilit� nei confronti dei singoli � Limiti, 257. -Unione doganale -Transito comunitario � Garante -Liberazione � Condizioni, 258. CONTABILIT� DELLO STATO -Obbligazioni pecuniarie . Inadempimento � Diritto soggettivo del privato � Esecuzione forzata -Ammissibilit� � Contabilit� dello Stato Obbligazioni pecuniarie -Mora � Danno personalizzato � Rivalutazione � Applicabilit�, 295. -Obbligazioni pecuniarie � Mora -Interessi � Natura � Ammissibilit�, 295. CORTE COSTITUZIONALE -Ricorso di una regione avverso decreto legge � Manca.ta conversione in legge � Inammissibilit� del ricorso � Successiva legge regolatrice dei rapporti conseguenti al decreto non convertito -Ininfluenza, 256. ESPROPRIAZIONE PER P.U. -Indennit� -Deposito integrativo -Ritardo -Mora -Accertamento -Precedente giudicato che ne dispone la integrazione -Indagine sulla mora Preclusione, 295. -Indennit� -Rivalutazione -Inammissibilit�, 289. -Occupazione -Ultrabiennale -Danno -Attribuzione degli interessi sul valore del bene (indennit� di esproprio) -Debiti di valore -Rivaluta VILI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione -Ammissibilit� -Criterio -Decorrenza -Riferimento al momento della liquidazione giudiziale -Ulteriori interessi compensativi -Ammissibilit�, 289. FONTI DEL DIRITTO -Legge -Legislazione di emergenza Misure insolite e temporanee -Legit� timit� costituzionale, 247. GIURISDIZIONE CIVILE -Gestione commissariale della Ferro� via Cancello-Benevento � Rapporto di impiego in corso successivamente a tale gestione -Natura pubblicistica -Controversie � Giunsdizione del giudice amministrative, 286. -Giurisdizione ordinaria ed ammim� strativa -Impiego pubblico -Ente zolfi italiani � Controversie d'impiego -Giurisdizione ordinaria, 280. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Universit� -l'recari -Trat� tamento economico -Controversie Giurisdizione ordinaria,� 274. -Impiego pubblico -Indennit� di buonuscita -Riliquidazione -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -Giudizi pendenti -Estinzione -Questione manifestamente infondata di costituzionalit�, 279. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Doppio grado di giurisdizione -t;: costituzionalmente garantito -Anche nel processo cautelare, con nota di F. FAVARA, 226. -Potere di sospendere l'efficacia dell'atto amministrativo -Potest� cautelari in genere -Non sono componenti essenziali della tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita, con nota di F. FAVARA, 227. -Provvedimenti cautelari adottati dal T.A.R. -Appellabilit� in genere -Mancata notifica alla Amministrazione resistente della richiesta del provvedimento cautelare -Inammissibilit� della richiesta, con nota di G. STIPO, 308. -Provvedimenti cautelari d'urgenza � Art. 700 cod. proc. civ. -Applicabilit� nei giudizi davanti i T.A.R., con nota di G. STIPO, 308. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Responsabilit� -Limitazione -Estensione alla pa. -Inammissibilit� -Fatto illecito dei funzionari -Conseguenze dannose -Imputabilit� alla p.a., con nota di I. F. CARAMAZZA, 297. PRESCRIZIONE E DECADENZA -Atti interruttivi -Effetti -Limitati al soggetto che li ha compiuti -Riferibilit� ad un soggetto diverso -Limiti -Applicazione alla concessione Atti interruttivi del concessionario Effetti verso il concedente, 292. PROCEDIMENTO CIVILE -Fallimento -Opposizione a stato passivo -Inappellabilit� delle sentenze attribuite alla competenza per materia del pretore -Controversie di lavoro -Illegittimit� costituzionale, con nota di F. FAVARA, 228. PROCEDIMENTO PENALE -Carcerazione preventiva -Prolungamento del termine massimo di durata -Applicabilit� anche ai procedimenti in corso -Legittimit� costituzionale, 247. -Doppio grado di giurisdizione nel merito -Non � costituzionalmente garantito, con nota di F. FAVARA, 225. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Istituto Poligrafico dello Stato Pubblico impiego -Natura -Ente pubblico non economico -Controversie -Giurisdizione del giudice amministrativo, 285. REATO -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. l, ottavo comma, d.l. 4 marzo 1976 n. 31 -Inapplicabilit�, con nota di N BRUNI, 407. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Disponibilit� all'estero superiori ai 15 milioni di lire Reato aggravato e non figura autonoma di reato, con nota di N. BRUNI, 407. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre �1976 � Determinazione del valore delle attivit� non dichiarate, al fine della irrogazione della pena pecuniaria, sul!it base del capitale sociale -Legittimit�, con nota di N. BRUNI, 407. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiarazione all'U .l.C. entro il 3 dicembre 1976 Sussistenza, con nota di N. BRUNI, 407. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Pegno a favore di terzi gravante sulle azioni -Omessa dichiarazione all'U.l.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza, con nota di N. BRUNI, 407. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono -Rimborso di ritenute di acconto -Esclusione, 360. -Imposta sulle societ� -Redditi da partecipazione di societ� di capitali in societ� di persone -Sono tassa: bili solo le somme effettivamente percepite a titolo di ripartizione, con nota di A. PALATIELLO, 384. -Ritenuta sugli utili distribuiti dalle societ� (cedolare) -Imputazione degli utili a riserva e contestuale distribuzione del fondo sovrapprezzo azioni -� soggetta alla ritenuta, 350. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Concordato con cessione di beni -Cessione di beni da parte di soggetti diversi dal debitore -Presuppone un accollo del debito tassabile come tale, 364. -Imposta di successione -Passivit� deducibili -Fideiussione -Certezza e liquidit� del debito -Esclusione, 356. TRIBUTI (IN GENERE) -Contenzioso tributario -Composizione commissioni di primo e secondo grado -Presidente e vice presidente -Legittimit�, 347. -Contenzioso tributario -Giudizio dinanzi alle commissioni tributarie e all'a.g.o. -Ha natura di giudizio sul rapporto ,con nota di F. FAVARA, 227. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estensione -Questione sulla natura agricola o edificatoria dei suoli, 365. � -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione centrale -Deposito presso la segreteria della Commissione centrale -Insufficienza -Ricevimento da parte della segreteria della commissione di secondo grado -Necessi t�, 341. -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione centrale -Deposito �Spedizione per posta -Rilevanza della data di ricezione da parte della segreteria, 341. -Contenzioso tributario -Ricorso contro il ruolo -Nullit� della notifica dell'accertamento � Impugnazione di merito . Necessit� -Esclusione, 353. -Contenzioso tributario � Ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale � Termine Art. 327 c.p.c. -Omessa comunicazione della data della adunanza -Partecipazione al giudizio -Irrilevanza, 335. X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale -Termine Notifica della decisione a cura della segreteria--Fa decorrere il termine di 60 giorni -Termine annuale -Applicabilit�, 334. -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale -Termine Notifica della decisione a cura della segreteria -Non fa decorrere il termine di 60 giorni -Termine annuale Applicabilit�, 334. -Repressione della violazione -Sanzioni � Societ� avente personalit� giuridica � Responsabilit� dell'amministratore � Esclusione, 352. TRIBUTI LOCALI -ILOR -Tassazione del reddito dei fabbricati destinati alla locazione degli Istituti Autonomi delle case popolari � Natura di reddito fondiario -Tassazione ILOR separata con il sistema dell'iscrizione catastale, con nota di A. PALATIELLO, 367. -Imposta locale sui redditi -Convenzione fra l'Italia e gli Stati Uniti di America per evitare la doppia imposizione � Non si estende, 333. -Imposta locale sui redditi -Redevances e royalties -Regime anteriore al d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 Redditi diversi -Tassabilit�, 333. j.. 1, !! 1::f' i: ~ ~.....J INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 15 aprile 1981, n. 62 . . 1� febbraio 1982, n. 8 . 1� febbraio 1982, n. 15 25 marzo 1982, n. 59 . 1� aprile 1982, n. 63 3 aprile 1982, n. 69 . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sez. II, 17 dicembre 1981, nelle cause riunite 197 � 200, 243, 245 e 247/80 Sez. II, 18 febbraio 1982, nella causa n. 277/80 . . . . . . . . � . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 25 maggio 1981, n. 3409 . Sez. Un., 10 giugno 1981, n. 3758 . Sez. I, 17 giugno 1981, n. 3931 . . Sez. I, 19 giugno 1981, n. 4017 .. Sez. Un., 24 giugno 1'981, n. 4108 . Sez. I, 7 luglio 1981, n. 4432 . . . Sez. Un., 13 luglio 1981, n. 4557 . Sez. I, 25 luglio 1981, n. 4826 . . Sez. I, 21 settembre 1981, n. 5161 . Sez. 1; 7 ottobre 1981, n. 5264 . . Sez. I, 21 ottobre 1981, n. 5508 . Sez. I, 22 ottobre 1981, n. 5529 . Sez. I, 26 ottobre 1981, n. 5583 . Sez. I, 29 ottobre 1981, n. 5696 . Sez. I, 9 novembre 1981, n. 5913 . Sez. I, 17 dicembre 1981, n. 6678 . Sez. I, 29 gennaio 1982, n. 571 . . Sez. I, 5 febbraio 1982, n. 651 . . Sez. I, 10 febbraio 1982, n. 813 . Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 993 . Sez. I, 18 febbraio 1982, n. 1016 . Sez. I, 27 febbraio 1982, n. 1270 . . pag. � � � � � pag. � pag. � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � 225 226 247 256 227 228 257 269 274 279 333 334 280 341 280 341 347 350 352 353 356 360 364 365 289 292 334 367 335 384 XIl RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I I ~ Sez. I. 5 marzo 1982. n. 1386 . . . pag. 295 Sez. Un., 9 marzo 1982, n. 1498 . . � 285 ~~~ ;_:: Sez. Un., 15 marzo 1982, n. 1668 . � 286 i~: Sez. I, 18 marzo 1982, n. 1759 . . � 295 ~~ Sez. III, 24 marzo 1982, n. 1879 . . � 297 ~-: r:: TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE I 23 marzo 1982, n. :11 . pag. 402 la 23 marzo 1982, n. 12 . � 403 26 marzo 1982, n. 14. � 404 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. VI -Ord. 16 luglio 1980, n. 83 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 308 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO DELLA CALABRIA Sezione staccata di Reggio Calabria -Ord. 21 aprile 1980, n. 62 . . . . pag. 308 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI APPELLO DI GENOVA Sezione II bis, 5 marzo 1981, n. 371 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 407 PARTE SECONDA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI QUESTIONI Atti dell'incontro di studio su � L'istituzione del difensore czvzco nell'ordinamento statale italiano�, tenutosi nella Sala Vanvitelli il 20 aprile 1982 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45 LEGISLAZIONE I. -Norme dichiarate incostituzionali II. -Questioni dichiarate non fondate . III. -Questioni proposte pag. � )) J.07 107 108 INDICE BIBLIOGRAFICO pag. 122 PARTE PRIMA ):: >;: !i 1' 1; GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA ' GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 15 aprile 1981, n. 62 -Pres. Amadei -Rel. Elia -Pinna (n.p.) e Presidente Consiglio dei� Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale -Doppio grado di giurisdizione nel merito -Non � costituzionalmente garantito. (Cast., artt. 3, 24, 25 e 111; cod. proc. pen., art. 435). La Costituzione non prevede la garanzia del doppio grado di giurisdizione nel merito; pertanto, l'art. 435 ultimo comma c.p.p. � costituzionalmente legittimo (1). (1 -2 -5 -6) Il doppio grado di giurisdizione di merito ed il processo tributario (*). La prima, la seconda e la quarta delle sentenze in rassegna precisano (con fermando quanto anticipato ndlia sentenza n. 1117 del 1973, in questa Rassegna, 1974, 22) l'orientamento delilia Corte costituzionale in ordine al doppio gmdo �di merito�. La pos$ibilit� di un 1giudizio dinaruii ail!1a Corte di cassazione � contro le sentenze� � costituzionalmente garantita entro i Nmiiti segnati dall'art. 111, secondo e terzo comma. Non v'� invece garanzia costituzionale di un secondo � grado di merito � dinanzi ad un .giudice � sovraordinato � a quelt1o di primo grado, sruvo che nei casi indicati da!lila Costituzione (cfr. sent. n. 8 del 1982); pera1tro, un �secondo grado di merito pu� essere imposto, in tailune situazioni da esigenze di razionalit� del sistema (cfr. sent. n. 69 del 1982). Non pare il caso di rammentare in questa sede quanto � stato scritto nei secofil sull'origine storica e sul �presupposto intimamente �gerarchico� de1l'isti. tuto del doppio grado �di merito� (� su taile presupposto che esso si basa, e non su una ipotetica � presunzione assoluta � di maggior giustizia della pronuncia del giudice sovraordinato), nonch� sulle varie ragioni empiriche di volta illl vo~ta addotte a sua giustil�icazionie e sui possibilli dlliversi connotati dell relativo giudizio (di gravame, impugnatorio, misto, ecc.). D'altro canto, ovvia e persino superflua appare l'osservazione che le sentenze in rassegna sosta:nzi.ailmente eso1udono ogni sospetto di .iJlegittimit� costi.itWJionale per molite delle disposizioni che prevedono un unico grado �di merito� (ad esemrpfo l'art. 339, commi secondo e terzo, cod. :proc. civ., e gli artt. 19 e 20, ult. comma, de1la legge 22 ottobre 1971, n. 865). Ancora, non molte parole � necessario spendere per sottolineare come La sentenza n. 8 del 1982 abbia definitivamente chiuso (*) Motivi di impaginazione hanno indotto a pubblicare l'articolo che segue in questa sede invece che nella parte II, che sarebbe stata la sua naturale. L'articolo stesso, infatti -cos� come pi� in particolare tutti gli scritti pubblicati nella parte Il della Rassegna -esprimesolo il pensiero del suo autore, come tale non riferibile a questa pubblicazione di servizio. 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 226 II CORTE COSTITUZIONALE, 1� febbraio 1982, n. 8 -Pres. Elia -Rel. Rochrssen -Comune di S. Severo (avv. Troccoli), Comune di Chiaravalle (avv. Boldrin), Nasi e Stoppani (avv. Stoppani), Savini Nicci (avv. Pallottino) e Presidente Consiglio dei Ministri (vioe avv. gen. Stato Azz;ariti). Giustizia amministrativa -Doppio grado di giurisdizione -:I!: costituzionalmente garantito -Anche nel processo cautelare. (Cost., art. 125; l. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5). Atto amministrativo -Sospensione ad opera del giudice -Limite legale di durata della sospensione -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 97, 103 e 113; l. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5). In linea di principio l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale; tuttavia, per il settore della giustizia ammi� nistrativa ordinaria, l'art. 125 comma secondo Cast. riconosce e garantisce detto istituto, ed anche nel processo incidentale cautelare (2). Il limite temporale (ncin superiore a sei mesi) di efficacia dell'ardi� nanza di sospensione di un atto amministrativo emesso nelle materie che formJ:no oggetto della legge n. 1 del 1978 appare congruo e ragionevole in relazione alla durata normale di un processo amministrativo, e quindi non contrastante con la Costituzione (3). un dibattito -che fu intenso all'epoca della elaborazione deWla legge istitutiva dei tribunali regionaili ammimstratiVli -oiroa la possibiMt� e la convenienza di sottrarre runa competenza di tali tribunali :fil. s~ndacato sui pi� dmpo11tanti atti ammimstrativi delle autorit� centrali deHo Stato. Detta sentenza, per altro verso, impone .di riconsiderare le (pervero pochissime) sd,tuazioni nclle quali v'� ancora una competenza del Cons:iigiliio dii Stato in un unico grado: ci� dicendo non ci si riferisce ai gdudizi sui 11icorsi dii.retti ad ottenere l'adempimento delYobbLigo dehl'autorit� amministrrutiva di conformrursi al giudicato formatosi sulla decisione del Consiiigldo di Stato o suiliLa sentenza di un tribuDJailie ammdnistmtivo regioru:cle, posto che la natura esecutiva di tail!i g:iufui esclude il sussi�stere di una antinomia tra l'art. 125 Cost. e ilia normativa dii cui all'art. 37, commi terzo e quarto, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ed alla relativa interpretazione giurisprudenziale. Interessa invece in questa sede sottolineare come �le sentenze in ras�segina abbiano confe!1IIlato la possibiLiit� dd pervenire ad una sempillifioazione e -quel che :pi� rl1eva -ad una accelerazione del processo tributario attraverso: -o ila riduzione dei gradi intermedi tra il primo e queihlo di cassazione, -o alcune limitazioni deLLa possiOOl�.t� di adire gld organi competenti per .gradi test� denominati intermedi; -o la previsione �di uno strumento che consenta di accedere per saltum alila Corte di cassazione. � opinione genemle che il processo tributario abbia rkevuto daLl!a �Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825 e daii decreti cLeLegati 26 ottobre 1972, n. 636 e 3 novembre 1981, n. 739 una disciplina ben lungi dall'essere soddisfacente. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 227 III CORTE COSTITUZIONALE, 1� aprile 1982, n. 63 -Pres. Elia -Rel. Saja - Perdon ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Giustizia amministrativa � Potere di sospendere l'efficacia dell'atto amministrativo � Potest� cautelari in genere � Non sono componenti essenziali della tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita. (Cost., artt. 3, 24 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 62; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39 e 54). Tributi in genere -Contenzioso tributarlo � Giudizio dinanzi alle commissioni tributarle e all'a.g.o. � Ha natura di giudizio sul rapporto. La potest� cautelare non costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dagli artt. 24 e 113 Cast., e la sua disciplina � demandata alla legge ordinaria; la potest� cautelare va pertanto riconosciuta ad un organo giurisdizionale soltanto nei casi previsti dalla legge. Al legislatore ordinario � consentito riservare ad autorit� amministrativa la facolt� di disporre la sospensione della riscossione di entrate tributarie, sul presupposto che tale autorit� pu� meglio valutare comparativamente la posizione del contribuente e l'interesse dello Stato alla riscossione dei tributi. Gli artt. 15, 39 e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e l'art. 62 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 non contrastano con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. (4). In esito al processo tributario � reso un giudizio sul rapporto (credito tributario e correlata obbligazione) e non sull'atto amministrativo di imposizione (5). Maill~ado almeno UDJa mezza dozzina di progetti di r.iforma del contenzioso tributario fossero stati elaborati nel corso degli anni '60, sommarie ed ambigue sono state le poche rodkaziionii date dal:1'art. 10, numeri 14 e J.5, della legge dclega menzionata, le quali non sono state precedute da un adeguato mbattito in sede par1amentare (ben pi� ampio ed approfondito fu iJJ: dibattito lin p,aruamento quando, tra il 1864 e 1i1 1867, si ~stituirono le commissioni tributarie). Quanto al decreto delegato n. 636, esso si � preoccupato sop['attutto d�. :Pervenire comunque ad una giurisdizional�.zzazione de11e commri:ssioni tributarie (e, corolilario illuminante, ad una gestione di taild coIIIIDiissioni da parte defila magistratura ordinaria); e ci� pur �in assenza di un mandato ad hoc dei! 1egisllatore delegante, il quaile -in presenza di un orientamento quale quehlo ailil.'epoca espresso dalile sentenze n. 6 e n. 10 dei1 1969 c1elfa Corte cost�.tuzionail: e -ben a1tre indioa.2lioni avrebbe dovuto dare, se veramente avesse voluto giurisdizionallizzare le comm&ssioni ed omogencizzar1e ai gri.udici ordinari (ed invece -come pi� volte osservato dn dottrina -ha parlato di � aziione giudiziaria � solo in relaziione ai1 giudizio dinanzi ai1la Corte d'aippehlo, ed a partire dal momento deMa sua instauvazione). Detta preoccupazione ha finito per mettel'e in secondo piano le esigenze sostanziati, d'ordline anche politico ed ammdn�. stratiivo, che ogni discipliina seria ed esauriente del contenzioso tributario deve soddisfare, o, quanto meno, tenere in attenta considerazione. 228 RASSEGJ:<A DEU.'AVVOCA'l'UAA DELLO S'l'ATO IV CORTE COSTITUZIONALE, 3 aprile 1982, n. 69 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Luciano (avv. Agostini), INPS ~avv. Romoli), Banca privata italiana (avv. Giorgianni) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Procedimento civile � Fallimento -Opposizione a stato passivo � Inappellabilit� delle sentenze attribuite alla competenza per materia del pretore � Controversie di lavoro � Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99}. In linea di principio l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale,�� tuttavia, � ammesso il sindacato sulla razionalit� delle disposizioni che escludono l'appellabilit�. Contrasta con l'articolo 3 Cost. l'art. 99 ultimo comma della legge fallimentare, nella parte in cui sancisce l'inappellabilit� delle sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie (6). I La Corte d'appello di Venezia, investita da gravame avverso sentenza del tribunale pronunziata per reato di falsa testimonianza, in :ipotesi commesso nel corso del dibattimento, sollevava, con ordinanza emessa il 16 settembre 1975, questione di costituzionalit� dell'art. 436, ultimo comma, del codice di prooedura penale (in realt� dell'art. 435, ultimo comma, cod. proc. pen.) per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 111 della Costituzione. La norma, infatti, senza giustificazione alcuna, ad avviso del giudice a quo, esclude il diritto ad un doppio grado di giurisdizione, la- L'operazione di giu11isdiziona:!Jizzazione � stata poi sanzionart:a, pi� che dalla sentenza dehlla Oorte costdtuz]on0ile n. 287 del 1974, dailil!'orienrtamento giurdisprudenz1aJ. e (che avrebbe dovuto essere contrastato e non lo � stato) con hl quale � stata esclusa in radice la giurisdizione de1lia A;G.O. neihle sedicenti �materne� di cui all'art. 1 dcl d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636: il �valore� costituzionale affermato daihl'art. 102, secondo comma, Cost. � stato avvertito (s'~ntende, non esplicitamente) come superfluo e perSI�no ingombrante, una vo1ta ottenute la gestione delle commissioni tributarie e la possibilit� di aggirare e vanificare attraverso di esse gli antiichi (ma ancore v'igenti) limiti 001~ giJUrisdizione: sulle questiond di �semplice estimazione�, e per ~a ilmpossillroll�lt� di �sostituire � gld atti de11'amministrazione. Tutto ci� � ormai storia del passato, anche se storia emblematica �di quanto i delica1Ji equi!Libri tra Esecutivo e Giudiziario possano uscire turbaiti da!Jl'eccessivo peso di alcune presenze e prospettazioni aH'apparenza � tecniche � nei momenti in cui si provvede all'eliaborazione dei testi normamvd. Tre l'altro, non si � voluto cog;Here la intrinseca incompatibHit� -sul piano poiliitico degld equilibri tra i poteri dehlo Stato -tra, da un Lato, una totale � presa di possesso� delle commissioni tributarie da parte del potere g;j,udiziario, e, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 229 sciando sussistere solo la possibilit� di esperire ricorso alla Suprema Corte di legittimit� (art. 111, Cost.) a favore dell'imputato di delitto di falsa testimonianza quando questi sia giudicato in primo grado da giudice del dibattimento superiore per competenza a quello che dovrebbe conoscere il reato secondo le norme generali; risulterebbero in conseguenza lesi il principio di eguaglianza, per non giustificata diversit� di disciplina di fattispecie analoghe, il diritto di difesa, il principio secondo cui nessuno pu� essere sottratto al giudice naturale precostituito per legge. (omissis) Nemmeno in questi termini la questione � fondata. Gi� nella sentenza n. 117 del 1973 -con un asserto non riducibile ad obiter dictum -questa Corte aveva escluso che il sistema costituzionale prevedesse la garanzia del doppio grado di giurisdizione (cognizione di merito). L'esclusione di tal garanzia, data per pacifica da dottrina largamente prevalente e dalla giurisprudenza della . Cassazione, si fonda innanzitutto sulla assenza nel testo costituzionale di una proposizione analoga a quella contenuta nel secondo comma dell'art. 111 per il ricorso in Cassazione. Del resfo i lavori preparatori dell'Assemblea Costituente chiariscono esaurientemente i motivi di tale assenza: a: parte le c.d. contravvenzioni oblazionabili, rimaneva dubbio se potesse concepirsi appello contro Je sentenze adottate dalle giurie e ad ogni modo la questione andava rimessa. alla legge, che avrebbe conformato l'istituto stesso della giuria � in un modo o nell'altro �. Sicch� il Presidente della Commissione per la Costituzione concludeva a favore di una formula poco impegnativa: si pu� ricorrere contro tutte le sentenze, salvo che la legge d'ailltro liato, la ribadita � esclusione in ogni caso delle questioni di sempiLiice estimazione � delda compete~ dehla Corte �di1 appeililo; non si riesce a vede~ fil senso 1logico del mantenimento di tale limite ai11a giurisdizione del: Giudice ordinario, mentre si ma.Soia oampo libero a commissioni tributarie eg6monizzate daJJITo stesso Giudice e i:ier� aventi una composizione che d�, specie ,ailJla parte pubblica, ben �Ill!�!nori .gavanzie. llll reailt�, fil limite defila � sempldoe estimazione�, lentamente rosicchiato daltla giiurisprudenza (cosa a:Ltro � stata, ad esempio, l'affe:ru:nazione dehl!a � presunzione idi verit� � dei OOLanci societari se llOill una opel'.'~one volta a questo fine?), � ormai divenuto un relitto preSiSoch� privo di significato politico e tecnico. Comunque, dovendosi rimetter mano a1la normatiiv�a swl processo tributario (,gi� a:lmeno tre diversi disegni di Jegg� sono in Parlamento), parrebbe doveroso partire da una accurata analisi �anche quantitatdva del fen�meno contenzioso tributario: anaLiisi -questa -che sarebbe bene comipdere mediante disaggregazioni dci dati statistici disponibihl non gi� su11a base di allassifioaziom per tributo o per vialol'.'e delll~ � materia controversa�, sebbene sUl1la base dei tipi di giudizio pi� frequentemente richiesti ai giudici tributari. In sostanza, appare preferibi!le -per iii momento a fini conoscitivi -riutilizzare qucllle. distinzioni tra ;le controversie tributarie a ,seconda delle � questioni � trattate che, non senza ragione, erano ail!Da base defila discipl!i!na del contenzfoso tributario vigente prima delili'ulitima � riforma �. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO disponga altrimenti. Comunque questa proposta non venne nemmeno formalizzata e fu invece respinto un emendamento all'art. 102 del progetto (attuale art. lll), secondo il quale ,era ammesso l'appello contro tutte le sentenze penali comportanti pene detentive, salvo le limitazioni poste dalla legge per i giudizi di lieve entit� (Ass. Cost., 27 novembre 1947, pag. 2593). N� diversa conclusione (a favore di una protezione costituzionale sia pure .indiretta dell'appe1lo) pu�, con una argomentazione a fortiori, trarsi dal disposto dell'art. 125, secondo comma, della Costituzione ( � Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di pdmo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica�). Inliatti questa norma disciplina innanzitutto una modalit� che deve assumere il sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi della Regione, modalit� che, del resto, va inquadrata in un sistema di giustizia amministrativa nel quale, in base all'art. lll, ultimo comma, della Costituzione, non si d� ricorso in Cassazione per violazione di legge. La garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione non pu� neppure farsi discendere dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione come proiezione diretta del diritto di difesa: in realt� questo precetto assicura la tutela di tale diritto in ogni stato e grado del procedimento, ma non garantisce la parte contro la soppressione di un grado del processo. N� iii diritto dell'imputato ad un riesame delle decisioni che non prosciolgono con formula piena pu� dirsi ga11antito indirettamente dalla nostra Costituzione, soltanto come mezzo per rendere effettivo l'esercizio In effetti, ta:le con~ioso presenta connotati e problematiche che lo differenziano nettamente da ogni ailtro, quaJ.ii: I) �'essere rivoLto nei confronti di una sol!a pubbldoa amministrazione, ~I cui operare quotidiano risulta conseguentemente oondiziolJllllto :in modo molto mtenso e :penetrante, al punto che -proprio in rclazi:one a questo fenomeno ~ con riguardo al�e necess:iit� di assicurare un mi~ior equi1ibI1io tra i poteri Jelilo Stato non 'Sarebbe inopportuno venisse esplicitaimente e srpregdud:icata� :nente dibattuto nelle sedi politiche se sia preferibille affidare parte del conten2' Jioso tributario ail .giudioe amministrativo (come in Francia) ovvero -almeno :per un grado d:i merito -ad un giudice ad hoc separato .dal � terzo potere �; II) l'essere un contenzioso � di massa '" caratterizzato cio� da un gran numero d:i controversie (molte deUe qu.01l!i peraltro �di serie�), al punto che, ancora, non sarebbe :inopportuno venisse dibattuto nelle sedi politiche se sia preferibile capovrugere w~atteggiamento di osti:liit� nei riguwdi dei rimedi ammirnstratiivi (ostd:Lit� emersa negli ultimi 15 anllli: in coincidenza con la crescita del ruoLo deJJle magistrature), e prevedere modalit� di def�DJizione in via ammimstrativa dclle controversiie (come negli Stati Uniti); III) il'essere, {Proprio :perch� costruito come contenzioso � di massa�, un contenzioso mediamente �povero�, che per� non pu� essere trattato in modo sommario ogni qualvolta -e frequentemente acmde -sono :in gduoco, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 231 dei diritti costitu2!ionali esercitabili nel processo (si vedano anche le sentenze nn. 110 del 1963 e 54 del 1968). In effetti, talune pronunzie che richiamano l'appello quale mezzo o modo generale del diritto di difesa tsentenze nn. 70 del 1975, 73 del 1978, 72 del 1979 e 53 del 1981) si fondano altres� sulla necessit� di ristabilire la par condicio tra imputato e pubblica accm~a (artt. 512, n. 2 e 3; 513, n. 2 e 3 cod. proc. pen.) e non contraddicono pertanto alla pi� generale conclusione che la non appellabilit� delle sentenze di proscioglimento per amnistia non contrasta di regola con gli artt. 3 e 24 della Costituzione (cos� sent. n. 72 del 1979, n. 2 del considerato in diritto). La situazione non pu� poi dirsi mutata per effetto dell'art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (legge 25 ottobre 1977, n. 881 e deposito dello strumento di ratifica da parte del Governo italiano comunicato in G. U. 23 novembrie 1978, n. 328). Oltre alle considerazioni di carattere generale contenute nella sentenza n. 188 del 1980 (n. 5 del considerato in diritto), soprattutto in relazione all'art. 2, paragrafo 2 -che prevede misure legislative degli Stati parti del Patto per dare efficacia ai diritti in esso enunziati -� da soggiungere come gi� ora non appare in contrasto con l'art. 14, paragrafo 5, un sistema che prevede un riesame nel merito di un giudizio di condanna per delitti, solamente nelle ipotesi di accoglimento di un ricorso (art. 111, secondo comma, Cost.) con il quale si denunzino veri e propri vizi nello svolgimento del processo e nella formazione del convincimento del giudice. Quanto alla violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione (o anche del combinato disposto degli artt. 3 e 24), � da dire che le pecu per sommatoria di numerosissime tlitd: di modesta consistenza, ingenti interessi cleiliLa finanza pubbliioa; IV) l'essere un contenzioso che deve necessariamente fare largo uso di materi�alii probatori indiziari, ~n quanto taiLi '.POCO rispondenti ailile esigenze di giudizi ad elevato grado di formalismo giuridico; V) l'essere un contenzioso che, per parte cospicua, concerne non situa: llioni soggetti'Ve ma � certazioni � (nelll'accezione data ait termine da M. S. GIAN� NINI) poste in essere dailla amministrazione, in rel:a:llione alre quaili � richiesta a1 giudicante una attivtlt� di sindacato su � stime � (ap:prezmmenti tecnici deterrnllniativi di � v>ailom � oommeroiiailii dti uno o ;pi� ilmmobiilli o aa:iende, o di �valori normaLi � di beni, tilltdJJi o serW:zil) o su �estimi� catastaili (apprezzamenti toonici determiniativi dei classamenti e dei redditi � oridinari � degli immobili), una attivit� dunque ontologicamente diversa da queW!a .tradizional� mente necessaria per wa tutela de1le situazioni soggettive; in considera:llione di ci� non pare condividib.i�e ~'affenmazione contenuta neilila sentenr.ia n. 63 de~ 1982 e riportata nelila massima n. 5, secondo cui iil giudizdo tributario sarebbe per sua natura un g1�.1Udizio sul .rapporto; quand'<alillChe sii acoaint<massero ~ pro. spettazioni -pervero fondatamente sospette di essere strumenta.l.ii a[ fine di una es�pansione de.lil'ambito di competenza del giudice amministnitirvo (ossia, in ultimo .grado, del Consi~o di Stato) -che costruiscono iJ: processo tribu1lari. o come giudizio sempre su11'aitto, rimarrebbe pur semjpre .indubbio che un RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 232 liarit� del contesto in cui si svolge il giudizio previisto da1l'art. 435 del codice di procedura penale (specie in ordine alla evidenza della prova), peculiarit� gi� sottolineate nella sentenzia n. 92 del 1967, escludono che si realizzi una illegittimit� costituzionale per disparit� di trattamento. Le affermazioni precedenti, peraltro, non t�lgono che l'intera disci~ plina processuale dei reati �commessi in udienza sia suscettibile di una opportuna riconsiderazione in sede legislativa, dal momento che non a caso si � parlato in dottrina, proprio con riguardo all'art. 435, ultimo comma, del codice di procedura penale, di grave dissonanza, di deviazione dal sistema, di mancato coordinamento con l'abrogazione del terzo comma dell'art. 34 del codice di procedura penale '(legge 18 giugno 1955, n. 517). Solo che il difetto di ragionevolezza cos� denunziato non � tale da confedr� consistenza ad una censura di costituzionalit�..(otniSsis) II (omissis) Le questioni sollevate. con le ordinanze predette sono le seguenti: a) illegittimit� costituzionale dell'art. S; ultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1 ( � accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali�) -il quale esclude la appellabilit� al Consiglio di Stato delle ordinanze dei tribunali amministrativi regionali che si pronunciano sulla domanda di sospen giudizio suW1'�atto si ha ogni qua1vo1ta il processo tributario si sostanzia in una verifica della rLegjttimit� di un atto di certazione; ed � sufficiente una !lettura anche �rapida delil'art. 16 del d.P .R. n. 636 del 11.97'2 {nel veochio e nel nuovo testo) per accorgersi che ivi sono elencati assieme, in un accostamento non arbitrario solo perch� empirdco, atti di accertamento e Uquid~one dei crediti 11:ributari ed atti di certazione, e quindi per accorgersi che il processo tributario non necessariamente ha ad oggetto il credito tributario e La ..correlata obbddgazione (n� in contrario appare risolutivo il nuovo testo dell'art. 21 del predetti:> d.PJR., che mira unicamente a privare di rilevanza determinante Ila pi� parte dei possibili � vizii formali � degli atti de!J1~ammiru:straxione). Sono, come evidente, connotati che impediscono il ricorso ai sfatemi tradizionalii (ad esempio, .il vailore delLa materda controversa) di selezione deihle controversie cui dedicare maggiori dsorse �e mig�iori professionalit�, e rendono complicata anche la via della specializzazione del giudice (vi1a in quailche misura seguita daWLa normabiva pre-riforma). In �onsiderazione di ci�, la riforma del 1971 ha finito per fare una scelta live1latrice e -a suo �vviso -1sempldfica� trice (un processo modehlato in modo eguaJ:e per tutte le controversde), scelta che per� si � rivelata poco efficiente, ha determinato sprechi ingenti �di risorse umane e materiali, e comunque ha dato �vita a p.rocessi fonti mediamente quasi quanto queLli pre-riforma (d�l semplice fatto che quattro siano � ora i gradi in astr.atto percorrib~li, invece dei tre o cinque o 1sei o sette gradii' che i i PARTE I, SEZ. I; GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 sione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 100, 103, 113 e 125 della Costituzione; b) illegittimit� costituzionale dell'art. 5, penultimo comma, della stessa legge n. 1 del 1978, nella parte in cui limita la efficacia della ordinanza con la quale il TAR sospende la esecuzione dell'atto amministrativo impugnato a sei mesi, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103 e 113 della Costituzione. La prima delle accennate questioni � fondata, con riferimento all'art. 125, secondo comma, della Costituzione. � invero, giurisprudenza costante di questa Corte che l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale (da ultimo sentenza n. 62/1981), ma nei casi che formano oggetto delle ordinanze di cui m epigrafe 1a giurisprudenza stessa non pu� essere applicata, m quanto si tratta di questioni attinenti alla giurisdizione amministrativa la quale trova nella stessa Carta costituzionale una disciplina differenziata. Infatti l'art. 125, secondo comma, esplicitamente stabilisce che i tribun;:ili amministrativi da istituire (e poi istituiti con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 �istituzione dei tribunali amministrativi regionali�) sono giudici di primo grado, soggetti pertanto al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato. Il che trova spiegazione-nei caratteri propri del1a giurisdizione amministrativa ordinaria, che verte particolarmente nella sfera del pubblico interesse e rende, quindi, opportuno il riesame delle 'pronunce dei tribu� potevano essere percorsi in precedenza, di per s� non � sufficiente a dimostrare il: contrario). Parrebbe dunque doverosa qualche corre7!ione di rotta, preceduta, come si � detto, da una individuazione ed analisi dei tipi di giudizio :Pi� frequent~ mente richiesti agli organi chi�amati a decidere suLle contrO'Versie tributarie; senza � dimenticare che i giudizi in materia sono di regola promossi dopo attivit� ed at�ti posti in essere dailila pubbliica amministrazione, e quindi riperOOI1I'Ono itii:nemri gi� da questa percorsi Sle!12la necessit� di accertare ex novo i fatti f�scaLmente rHevanti. Ora, i tipi di giudizio pi� frequentemente richiesti nehle controversie tdbutar&e sembrano riducibiild ai seguenti: A) lo jus dicere su questioni di diritto sostanziale (ad esempio, relative all'interpretazione �di norme tributarie), per stabilire lo an e/o il quantum dei crediti tributaJJ�, ovvero per sindacaTe la .legittimit� di atti autoritativi even� tuaLmente emanati daililla a:mmiinis�trazione; notoriamente ile controversie nehle quai1i � richiesto soltanto un giudizio siffatto sono molto numerose (grosso modo un quinto del tota.Le) e � di serie'" anche se spesso di modesto � valore ,, (sdngolarmente considerate); B) il .sindacato �dall'esterno� (1) sulle stime o suglJi es1iirrrui catastailii.; il vatliore economico e que1lo � normale � di un bene, i~ suo olassamento cata (1), Sul significato dell'espressione � dall'esterno� si rinvia allo scdtto La semplice esti� mazione ed il controllo giurisdizionale sull'atto amministrativo di accertamento tributario che sar� pubblicato nel n. 4/1982 di questa Rassegna. 234 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nali di primo grado da parte del Consiglio di Stato, che trovasi al vertice del complesso degli organi costituenti la giurisdizione stessa. Non v'ha, quindi, dubbio che nel settore in parola il principio del doppio grado di giurisdizione abbia rilevanza costituzionale. Il problema da risolvere, pertanto, � quello di accertare se questo principio copra il solo processo di merito ovvero anche il processo incidentale cautelare, consistente nel decidere se sussistano gmvi ragioni per sospendere la esecuzione dell'atto amministrativo impugnato dinanzi al TAR in attesa della pronuncia sul merito del gravame che acclara definitiV'amente la legittimit� o meno di tale atto. Ad avv:iso della Corte la risposta al quesito deve essere affermativa. La giurisprudenza di questa Corte medesima . (sentenze numeri 284 del 1974 e 227 del 1975), infatti, ha posto in luce il carattere essenziale del procedimento cautelare e la intima compenetrazione sua con il processo di merito nell'ambito della giustizia amministrativa, nella quale maggiormente si avverte la necessit� di un istituto, quale appunto U procedimento cautelare, che consenta di anticipave, sia pure a m.tolo provvisorio, l'effetto tipico del provvedimento finale del giudice, permettendo che questo intervenga re adhuc integra e possa consentire in concreto la soddisf~ione dell'interesse che risulti nel processo meritevole di tutela. g del resto noto che la pronunzia incidentale sulla domanda di sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato, quale che ne sia il contenuto, � suscettibile di incidere in maniera decisiva sulle conseguenze delle pronuncie di merito del giudice e, quindi, anche se indirettamente, sulla tutela sostanziale delle parti e sugli interessi che stale, :il suo reddito � ordIDario � non sono fatti, sono apprezzamenti tecrnci che poggiano anche su dati di fatto; le controversie suLle � stime � sono, come � noto, molto numerose ma si addensano -fino a quando non verr� introdotta una imposiz]one patrimoniaile -attorno ad un ristretto gruppo di tributi (di registro, sulile successionri, INVIM); C) l'accertamento diretto di uno o pi� fatti (di fatti, s'intende, diversi da quelli. di normogenesi) e, pi� frequentemente, i!l sindacato � dahl:'esterno � sui procedimenti Iogici seguiti oo!J1'amministrazione nella formazrlone di � presunzioni �; in questo tipo di giudici pos�sono essere ricomprese tutte ile controversie portate su quaestiones facti, compresa parte cospicua di quelrle tradi-� zional:mente quailrifioate come � relative a valutazione estimativa�; a questo proposito, � bene rammentare che, nel vigente orrunamento tributario, ben pi� ristretto � lo spazio per semprltici � stime � dei redditi [mpomibii1i, la normativa .sostanziale considerando imponibil!i i redditi � effetti'V'i � e non quehlii � o:ridmari � (con ~�eccezione, gi� esaminata, dei redditi fondiari); uno spazio per �stime � pu� ancora rinveniTsi in tema di plu.svarlenze, mentre le valutazioni operate in ,sede di redazione dei bilanci societari ed arltri documenti contabili sono rimesse -almeno in prima battuta -ai contribuenti; o:ria, altro � � stimare �, altro ricostruire i fatti (ad esempio, Ja percezione & un vorlume di ricavi o di redd1ti) attraverso � presunzioni � ossia risailendo, per wa di induzione logica, da fatti noti aventi significati indiziari a :fatti 235 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE entrano nel processo amministrativo, in modo particolare sul pubblico interesse: la pronuncia incidentale, invero, come pu� pregiudicare (se negativa) l'interesse del privato ricovrente, cos�, in non pochi casi (se positiva), pu� pregiudicare la soddisfazione del pubblico interesse, anche se di altissimo rilievo, che l'atto amministrativo impugnato aveva ritenuto �di realizzare in un determinato modo. Date queste pvemesse e considerando, quindi, la necessit� che le opposte posizioni del privato e della P.A. trovino 1a pi� piena e completa valutazione da parte del giudice amministrativo,.� da ritenere che il principio del doppio grado di giurisdizione, e quindi la possibilit� di un riesame del provvedimento decisorio del giudice di primo grado da parte del Consiglio di Stato, trovi applicazione �anche nei riguardi del processo cautelare. L'airt. 125 Cost., d'altro canto, non contiene limitazione alcuna dalla quale possa dedursi che esso si riferisca esclusivamente alle pronunce di merito. � vero, poi, che l'art. 28 della legge n. 1034 del 1971, nel trattare dell'appello menziona esplicitamente solo le sentenze dei Tribunali regionali amministrativi: ma, a parte la considerazione che esso si porrebbe in contrasto con la citata norma costituzionale ove fosse da interpretare restrittivamente, sta di fatto che la giurisprudenza amministrativa ravvisa tale disposizione come relativa a tutti i provvedimenti di carattere decisorio del giudice di pr.imo grado, fra i quali � dndubbiamente compresa la ordinanza che pone termine al procedimento cautelare. tenuti nascosti (e ci� vaJ1e anche per gH � eliementi presuntivi� vailorizzahi�i per iil ricorso .ail metodo sintetico); le controvensie nelle quali tale tipo di giucli71io � richiesto sono notoriamente numerosissime, soprattutto nel settore d~':iimrposizione diretta; D) il: 1sindacato �dall'esterno� sulla vawklit� dei criteri giuridici e dei procedimenti fogici seguiti daWL'ammini:strazione nel determinare, con valutazione assimilabile a quehla prevista da:1l"art. 133 cod. pen., �1a misura di una pena pecuniaria; illa legislazione delegata ha affiancato questo tipo dii giudizi a quelilii su1le questioni di fatto � reiliative a va.lutazione estimativa �; ma, a ben vedere, trattasi di un accostamento molto groS!Solano, posto che ben diversa � l'attivit� richiesta a cm � chiamato �a .giudicare. Ciascuno di questi quattro tipi di giudizio ha esigenze e oaratteri :propri, ben differenti dailile esigenze e dai connotati degli altri. Ovviamente, in moltissime controve11sie (forse la maggioranza, ma una indagine quanti�tativa in proposito non � mai stata fatta), sono richiesti al giudice due o pi� dei tipi di giudi7Jio d:iiamii &stinti; ci�, rtuttav.1a, ID!QIJ. pu� I�Ln!dU'rre ad acoantonaire la ricerca di un sistema prooessualie a11ncolato in coerenza con !l!a mo1teplicit� delilie esigenze a ciascuno di essi relative. Dcl resto, se si assume -ed � l'ipotes1 che dia~ si � assunta -come punto fermo il mantenimento di un primo grado unico e indifferenziato "per tutti �i tipi di .giudizio, e ~i operano le differenziazioni solo nei gradi successivi, 1gli inconvenienti cleriivanti dalfo congiunta richiesta di pi� giudizi :di tipo diverso appaiono fu"onteggiabhli e superabili, aittravel1SO il rafforzamento deWonere di precisa 1ndicazione e dcli� 236 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La acoertata illegittimit� costituzionale delllart. 5, ultimo comma, della legge n. 1 del 1978 esime dal prendere in considerazione glf altri profili di illegittimit� posti in luce dai giudici a quibus. Non � fondata, invece, la seconda delle riferite questioni. (omissis) Con il quarto comma dell'art. 5 il legislatore si � proposto anche il problema delle conseguenze connesse al prolungarsi degli "�ffetti di una pronuncia positiv:a di sospensione quando tardi eccessivamente la decisione sul merito del gravame, dato che in tal caso rimane ostacolata la realizzazione delle opere alle quali la .legge predetta si riferisce. A questo fine il legislatore ha adottato talune misure considerate idonee anche a sveltire i giudizi dinanzi ai giudici amministrativi di primo grado, quando venga chiesta la sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato. E perci� da un lato si � stabilito che la istanza di sospensione non pu� essere trattata se non sia stata presentata la domanda di fissaZJione di udienza, che costituisce condicio sine qua non per la discussione del gravame e la cui mancanza comporta la perenzione del ricorso nel termine non certo breve di due anni dalla data del suo deposito (art. 25 legge n. 1034 del 1971), evitando cos� che pronunce sulla sospensione possano essere emesse e produrre effetti per lungo tempo e senza collegamento con Ja possibilit� di una sollecita discussione del merito. Dall'altro, per accelerare il giudizio di merito, � stato fissato un termine, anche se meramente sollecitatorio, per la discussione del merito, per il caso che la domanda di sospensione sia stata accolta, e cio� quando possa risultare maggiormente compromesso il pubblico �nteresse. mitazione dei m�tivi di impugna2lione e con J"ausfilio -ove necessario -di quaiLche accorgimento d'ordine processUJail.e. Dunque, dopo un primo grado unico, Je controversie tributarie potrebbero essere �selezionate e discriminate sulla base delle differenziazioni dianzi evidenziate. Per 1e controversie neJJ.e quaJLi restiduano motivi di dog�Ji.anza concernenti solo una o pi� quaestiones juris {indicate con la lettera A), un see<mdo grado � di merito � � ~nutile e, per ci� stesso, dannoso; tra ill'aJrt:ro, i�l secondo grado impedisce iJ sohlecito formarsi di una giurisprudenza consolidata, cosa defila quaile v'� invece asso1uta necessit� tenuto anche conto dclla frequenza e diel J!i:velllo tecnico non dti 11ado ,scadente degi!Ji iinterve:nti ~egisllJaltiivi. Avverso la deoisione di prilmo grado, 1a pair1le socCOffilbente dovrebbe potere, a sua soe11la '~ entiro un unico termine, o rioorrere ddireutamente al1a Coo:rtie dti oaJSsazione ovvero ricorrere aJJ1a Comm~ssfone tributaria centraile (nell'una e nehl'ailitm via, solo per motdw di cui aN'art. 360, primo comma, cod. proc. civ.); per inciso, si osserva che una funzione della Commissione tributada centrale -quclla di operare (si perdoni l'immagine) come � scoJmatore � di convroversie che ahrimen1li <Soffocherebbero Jia Corte di cassazione -non pare agevrnmente sopprimibHe proprio per effetto del carattere � di massa � del contenzioso de quo. Perailitro, � ~"a;ocesso di!retto alla Corte di cassazione delle controversie verrenti solo su quaestiones juris dovrebbe essere per quanto possibile �favorito, per PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 237 In questo quadro si colloca anche la ulteriore misura cpnsistente nella fissazione di un dies .ad quem, decorso il quale la ordinanza che ha paralizzato la efficacia dell'atto impugnato perde essa stessa (!fficacia e l'atto impugnato pu� produrre i suoi normali effetti: si tratta di una disposizione la quale ha inteso evitare la possibilit� di danni g:mvi alla soddisfazione del pubblico interesse ed insieme maggiormente stimolare il giudice amministrativo di primo grado a risolvere rapidamente nel merito le controversie sottopostegli e, quindi, a consentire o negare in via definitiva la realiz:z;azione dell'opera. D'altro canto il termine di sei mesi (che decorre dalla data della ordinanza che dispone la sospensione) appare congruo e ragionevole dn relazione alla durata normale di un processo amministrativo, tenuto anche conto delle particolari ragioni di pubblico interesse che sono insite nelle materie che formano oggetto della disciplina d:i cui alla legge n. 1 del del 1978. Se cos� stanno le cose, la Corte non ravvisa ragioni di contrasto della norma in parola con la Carta costituzionale: non con l'art. 3 (punto sul qual� �l'ordinanza non svolge alcuna considerazione), perch� la materia delle opeve pubbliche e di pubblica utilit� ha sempre. formato oggetto di attenzione particolare da parte del legislatore soprattutto al fine di accelerarne le procedure e, quindi, il soddisfacimento degli interessi pubblici ad essa connessi; non con gli artt. 24, 103 e 113, cio� con il diritto di difesa, che non viene soppresso n� gravemente limitato (anzi con il riconoscimento della appeLlabilit� delle ordinanze trova una maggiore espansione); non infine, con l'art. 97, non potendosi riten�re che la limi� accelerare il corso di taili controversie; e ci�, ad esem1)fo, mediante l'automa� moa translatio a detta Corte dei ricorsi piropOS'ti aJilra Cornmiissiione rtini'butaria centrale ogni qualvolta vii siano pi� soccombenti ed uno di essi abbia ritenuto dd adire direttamente l'uLtimo Giudice. Per le controversie nellle qua!Ji motivi 'di dogldanza concernente quehla che in sostanza � una �opposizione� a stima o ad estimo (indicate dianzi con 1a lettera B), un secondo grado �di mer.ito � non sarebbe in astratto essenziale, considerato che aJ: giudiz~o si chiede non tanto di procedere ailfa ricostruzione di fatti, quanto e soltanto di verificare che taliuni dati-� certezza � in ordine a � v�alori �, a � classamenti �, a rendite catastali, siano stati correttamente prodottii; tuttavia, ove ~n concreto si reputi opportuno non riconoscere ailile attuald commissioni di primo grado un potere non sindacabile, un secondo grado � di merito� dovrebbe essere configurato in modo da preve[] ire fil. ricorso alla consulenza tecnica. Comunque, per 1Jailii. controv�ersie sembra inutilie quello che, attualmente, � il terw gll'ado (a cognmone 1imitata) di!Ilianii ailiLa Commilssionie tr~butaria oeintraie o. alliternatiivamente aWLa Corte di appelllo. COI11tro Le dedsionii di secondo grado dovrebbe rimanere percornbi11e solo 1a via del 11icorso per oaS!Sazione. Va aggiunto -ed � constatazione di notevole dmportanza per l'accelerazione dei processi -che aH'appelllabi.lit� de11e dedsioni �rese in primo grado su queste controversie (di tipo B) appare possibile ed op:portuno introdurre 238 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO tazione temporale della efficacia delle ordinanze in questione comprometta ~l buon andamento della P.A., essendo, al contrario, rivolta a conseguire una pi� rapida soddisfazione degli interessi pubblici. III (omissis) Passando all'esame del merito, osserva Ja Corte che esattamente i giudici a quibus hanno preso le mosse dal rilievo che nel nostro ordinamento positivo non � consentito al giudice tributario (e pu� aggiungersi che lo stesso divieto vale per il giudice ordinario innanzi al quale il giudizio eventualmente prosegua, a norma dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) disporre la sospensione del procedimento di riscossione coattiva dei tributi. Ci� � stato ritenuto costantemente dalla giurisprudenza ordinaria sia prima della riforma tributaria di cui alla legge 9 ottobre 1971 n. 825 sia dopo l'attuazione della medesima. La riscossione delle imposte dirette � regolata dal cit. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il cui art. 39, 1� comma, prevede la possibilit� di sospensione sia pure limitata nel tempo (cio� sino alla decisione della Commissione di primo grado); il relativo potere � per� attribuito non al giudice, bens� a11'intendente di finanza sul presupposto -ritenuto dal legislatore -che tale organo possa meglio di ogni altro v,alutare comparativamente la posizione del contribuente e l'interesse dello Stato alla riscossione dei tributi, nel quadro dell'andamento complessivo dell'attivit� dei Wfu:niti quantitativi: ad esempio, allorquando si comro'l.'erte su una stima, potrebbe essere esdlusa Ja ammissibHit� dei gravami � nel merito � ogni qualvolta fil � vailore � che l'amministrazione o iJl contribuente vuole far dichfa1rare si discosti per meno deI 20 % daJL � v�alore � ritenuto in primo .grado e comunque -in cifra assoluta -per meno di lire dieai milioni. Per �le controversie nehle quali residuano motivi di dogJJianza coooernenti una o pi� quaestiones facti (neilil'ampilissima accezione adottata a1la lettera C), un secondo grado �di merito � � utile, ma potrebbe essere devoluto ad un giudiice �togato� (ad esempio, 1a Corte d'appello, o una sezione specializzata di essa, o un tribunale tributario ad hoc, sempre a livello regionale o di distretto di Corte d'appeMo), con rimozione -in considerazione di quanto si � osservato dianzi -delil:'ormai aggirato e vanificato limite aill1a giur1sdizione suJle questioni � relative a va1utiazione estimativa � (saJvo quanto test� osservato in ordine �al!le vere e 'Prnprie �stime�). Le esigenre politiche ed empiriche che per olrtre un secolo hanno giustificato taJe Limite sarebbero ormai megMo soddisfatte mediante una equill:ibrata, consapevole e tecnicamente ben formUJLata normativa in ordine I) rula racco�ta e all'impiego del materiaJe indiziario da parte deHa amministrazione, e II) aillle modaJdt� del sindacato -che deve rimanere � daH'esterno � -consentito ail. giudice sulle � presunzioni � formate dall'amministrazione. Comunque, Ja necessit� di adeguare le modaJit� deLLa tute~a ~uri:sdizionaile aili1e specifiche esigenze del contenzioso tributario (peraltro presenti -:::::� . B.m ,0, ,� ,, ,,, ,, -:::::� . B.m ,0, ,� ,, ,,, ,, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 239 tributaria; intuitivamente, contro il provvedimento (discrezionale) dello intendente di finanza � ammesso il ricorso al giudice amministrativo a norma dell'art. 113 Cost. Per quanto concerne le imposte indirette, l'esclusione della sospensione ope iudicis discende dai provvedimenti legislativi che singolarmente le riguardano. I quali generalmente rinviano per l'esecuzione coattiva agli artt. da 5 a 29 e 31 del testo unico 14 aprile 1910, n. 639 sulla riscossione delle entr:ite patrimoniali dello Stato: sono cos� inapplicabili in subiecta materia gli artt. 3 e 4 dello stesso testo unico, che consentono per le dette entrate patrimoniali la sospensione da parte del giudice adito del procedimento di riscossione, e tale inapplicabilit� risulta ulteriormente ribadita dal cit. art. 31 (cfr., ad esempio, il gi� cit. art. 62, 2� comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per l'imposta sul valore aggiunto; l'art. 34, 40 comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, per l'imposta di registro; l'art. 45, 1� comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, per l'imposta sulle successioni e donazioni; gli artt. 18 e 22 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, per le imposte ipotecarie e catastali). Rispetto ad entrambe le categorie di imposte, peraltro, il divieto di sospensione giudiziale deve ritenersi altres� espresso in via generale dall'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il quale dispone che sono applicabili nel processo tributario le norme contenute nel libro primo del codice di procedura civ.ile, e, poich� detto libro non concerne la disciplina cautelare, non pu� non dedursi che essa non trova cittadinanza dn tale processo. Non � superfluo aggiungere per una visione completa del sistema che, pur in presenza del ricordato divieto di sospensione da parte del giu 1 anche dn aHri settori del contenzioso dehle amministrazioni), necessit� sussistente se non altro per rimuovere equivoci e zone d'ombra, non determina inevitabilmente anche Ila necessit� di attribuire detto contenzioso esclusivamente al giudioe ammin1strativo o ad un giudice srpeciaile: quaJisiasi giudice (rpure quehlo ordinario) pu� essere chiamato ad operare purch� nel quadro di una disciplina ad hoc. Ovviamente, la devoluzione dei gravami di quesito tipo ad un giudice � togato � -con i conseguenti oneri di spese legali -opererebbe nel senso di ridurre drasticamente H loro numero (stimabil.e, nel 1sistema vigente, in oirca 70.000 affari all'anno), con eliminazione 'di tutta quelia Htigiosit� �alimentata solo dal!IJa speranza di ottenere a \)oco prezzo � uno sconto � e dal�'intento di diJl.azionare di qualche anno fil pagamento dei tributi Una vo}ta eHminata questa hltigiosit� (per solito, di minuscoli imprenditori commerciali), che costituisce grosso modo lo 80 % dei gravami neLre contro� versie del tipo in esame, perverr.ebbero 1n secondo grado prevedibii1mente tr.a 15.000 e 20.000 affari, entit� -questa -fronteggiabile tenuto anche conto del minor impegno dci magistrati neLle commiis�sioni tributarie. Infine per le controversie nelle quaiH residuano motivi di doglianza concernenti 1}a misura dri pene pecuniarie (indicate dianzi con 1ia lettera D), un secondo grado � di merito � appare superfluo, oonsdderato che il giudrizio si 240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dice, la proposizione del ricorso alle Commissioni tributarie non rimane priva di effetti su11a riscossione del tributo. Inv,ero, per quanto concerne le imposte dirette, l'art. 15 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 dispone che i tribt~ti ancora non definitivamente accertati sono iscritti provvisoriamente in ruolo per un terzo del loro ammontare dopo la notificazione dell'atto di accertamento, per la met� dopo la decisioille della Commissione di primo grado, per due terzi dopo quella della Commissione di secondo grado e per l'intero dopo la pronuncia della Commissione �centrale ovvero della Corte d'appello. Inoltre, in base all'art. 40 del d.P.R. per ultimo citato, quando l'imposta !iscrivibile a ruolo a seguito della decisione della Commissione tributaria � inferiore a quella gi� iscritta a ruolo ai sensi dell'art. 15, il rimborso deve essere disposto dall'ufficio entro 60 giorni dal ricev.imento della decisione. Sostanzialmente all!alogo � il sistema stabilito dall'art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972 per llimposta sul valore aggiunto. Relativamente alle altre imposte indirette si ha invece un diverso regime: cos�, per l'imposta di registro l'art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 cit. prevede che le imposte suppletive �Sono riscosse dopo la decisione della Commissione centrale o della Corte d'appello, mentre la riscossione di quellecomplementari avviene per met� dopo la decisione di primo grado e per l'intera imposta dopo la decisione di secondo grado; le pene pecuniarie sono infine riscosse dopo che la decisione della controversia � divenuta definitiva. Perfettamente eguale � la disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni (art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637), triaduce in una valutazione complessiva per certi versi equitativa: si potrebbe :pertanto ripetere quanto ipotizzato �per i ca:si di cui allia 'Lettera A. Come si vede, proprio partendo da un esame delLa utilit� o meno di un :secondo gmdo �di merito�, si coglie lo spessore dehle diversit� esistenti .ail�'intemo del processo tributario e degld inconvenienti i111sitii ne111a scelta di un alveo processuale unico. Una prima deduzione potrebbe, a questo ptliilto, triarsi: le attuali commissioni di secondo grado sono prive di giJUstificazione :sostanziale e potrebbero essere soppresse, destinandosi uomini e mezzi in esse :impiegati ail potenziamento delle commissiioni tributarie dd primo grado. V'� indubbiamente wa necessit� di assicurare un secondo grado � di melI'ito � ahle controversie di tipo B, ctpportunamente ridotte nel numero mediante i filtri cui si � accennato. Ahl'uopo potrebbe provvedere, previa rimozione del limite di giurisdizione suhle questiond estimative, la stessa Commissione tributaria centrale, integrata per quanto necessario da componenti docenti universitari di estimo (per le valutazioni degli immobili) o di economia aziendale o ragioneria (per le valutaziond delle aczd:ende), ed eventualmente anche decentrata con non pi� di 4 o 5 �sezioni staccate� sedenti in aJ!itrettante 'localtit� del territorio nazionale. La Comm1ssione tributaria centrale verrebbe cos� ad assumere una seconda funzione (oltre aJaa prima -dii �scolmatore� -di �cui si � detto dianzi), una funzione -questa seconda -di giudice anche � nel merito � dehle rendite catastali e dei � valori ,, soprattutto degli immobili (.per La valutazione deHe aziende, e segnatamente degli avvia.menti commerciali - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 241 disciplina che gli artt. 18 e 22 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 estendono alle imposte ipotecarie e catastali. In conclusione pu� dirsi che il sistema accolto dal legislatore, se esclude la sospensione ape iudicis, prevede per�, nel caso di contesta� zione giudiziaria, un regime per cui la riscossione coattiva dei tributi avviene in maniera graduale in relazione all'andamento del procedimento tributario, sicch� l'esecutoriet� risulta ape legis graduata con riferimento a1la probabilit� di fondamento della pretesa tributaria, rilevabile in base alle decisioni che intervengono nei vari gradi del giudizio. Ci� posto, osserva la Corte che le ragioni in base alle quali i giudici a quibus dubitano della legittimit� costituzionale della normativa sopra indieata risultano in sostanzia coincidenti e possono sinteticamente cos� riassumersi: la pienezza ed effettivit� della tutela giurisdizionale, garantita dall'art. 24 Cost. fo via generale e daWart. 113 Cost. nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, impone che il giudice tributario abbia la potest� di sospendere la esecutoriet� degli atti dell'amministrazione finanziaria; diversamente, si afferma, detta tutela potrebbe risultare priva di reale contenuto. Inoltre, aggiungono i giudici a quibus, la giurisdizione tributaria costituisce una giurisdizione di annullamento, e, poch� questa esige per la sua stessa essenza il potere di sospensione, risulta arbitrar.ia e irrazionale J'eclusione disposta dal legislatore. Ma i rilievi addotti non possono essere condivisi. Per quanto concerne il primo di essi, va rilevato che l'art. 24 Cost., garantendo l'accesso alla giurisdizione, non predetermina alcuna forma di tutela, n� vincola il legislatore sul contenuto dei poteri da attribuire agli organi giurisdizionali. Come questa Corte ha costantemente ritenuto, dovrebbero ricercarsi, sul piano deli1a normativa sostanziale, soluzioni meno approssimative di queLle attualmente praticate) destinata ad arricchksi con l'introduzione di u1teriori imposizioni patrimoniali (ad esempio, sui terreni suscettibili di utiiliizzazione edificatoria). Rimane, come ovvio, il problema de1lia individuazione dehl'ol'gano cui affi. dare 1e impugnazioni � miste �, contenenti cio� motivi che richiedono pi� giudizd di diverso tipo. Trattasi per� dd problema 'risolubile con qualche accorgimento. Nulla quaestio per il caso in cui coesistano solo motivi ricOIIlducibHi al 1Ji)po A e motlivi rlconducibiffii al tipo D. Neppur dd:l�ficile � risolvere il; aaso in cui coesistano solb motivi riconducibHi al tipo A e motivi riconducibihi al tipo B: in tal caso, hl passaggio attraverso ila Commissione tributaria centrale dovrebbe essere necessario, con translatio alfindietro anche d'ufficio del ricorso per cassazione eventuaJ1mente proposto per sole quaestiones juris da ailtro soccombente. Nello stesso modo potrebbe essere risolto hl caso in cui coesistano solo motivi riconducibili ail tipo A e motivi riconducib!ili a:1 tipo C: Ja controversia nella sua unitar&et� dovrebbe "passare attraverso il giuddce dd secondo grado, a meno che .le parti non concordino dli far prelimi:niarmente deddere dahla; Corte di cassazione i!l ricorso eventuaLrnente proposto per saltum da uno dei soccombenti in primo grado. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 242 � consentito in materia processuale stabilire procedure differenziate, in quanto la tutela giurisdizionale ben pu� diversificarsi in relazione alle varie situazioni sostanziali dedotte in giudizio (cfr. da ultimo sent. n. 9 del 1982). In particolare, va osservato che la potest� cautelare non costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost., ma la sua disciplina � demandata alla legge ordinaria, alla quale spetta di regolare la materia. Da ci� consegue come nessun appunto sul piano della legittimit� costituzionale possa essere mosso al nostro sistema processuale, nel quale, ia differenza di quanto � dato riscont~are in qualche legislazione straniera, non sussiste un potere cautelare generale come espressione dell'esercizio della giurisdizione: tale potere va riconosciuto soltanto nei casi stabiliti dalla legge e trova attuazione secondo gli istituti in essa previsti. Il principio suddetto, salvo quanto � detto al numero seguente, vale anche per la sospensione dell'esecutoriet� degli atti della pubblica amministrazione, la quale, per communis opinio, ha natura cautelare. Ed appunto perci� risulta costituzionalmente legittima la preesistente regola sancita nell'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sul contenzioso amministrativo, la quale non consente al giudice ordinario, chiamato a giudicare sulla legittimit� dell'atto amministrativo, di annullarlo o modificarlo e quindi anche di sospenderne l'esecutoriet�, a meno che tale potere non gli sia nei singoli. casi conferito dalla legge. La mancanza di previsione della misura cautelare non importa, contrariamente a quanto ritengono i giudici a quibus, mancanza di effettivit� Pi� complesso � M caso (relativamente poco frequente) in cui avessero a coesistere motivi riconducibiild al tipo B e motivi riconducibili al tipo C: 1n tal caso i due gravami rimarrebbero separati (dovendo riconoscersi carattere funzionale alla oompeterraa deliJJa Commissione tributar.ila centmlie qU011.e giudice � di merito �), ed !�!l giudmo suillla swma o suJJ1'estiimo dowebbe assumere <hl rnolo di una pregiudiziale rospetto all'allitro giudooo. Tale soluzione potrebbe valere alil.che IIllelil.e iipotesi ill1 cui, Ol]tre ad motivi ricondudbhlti ai lf:illpi B e C, siano propostd ianche a~tci motivi. Il sistema -che rtduce ail minimo essenziale i gradi di giudizio -pu� sembrare com:plicato; in realt� non lo �. Esso dnfatti pu� essere ridotto ai seguenti tre canoni fondamentali: 1) avverso le decisioni rese dahle commissioni� tributarie di primo grado � ammesso (entro limiti di val'Ore) ricorso �anche nel merito� allLa Commissione tributaria centrale per i moti'Vi relativi aliJ.a legittdmit� di stime e di estimi, e gmvame aJiLa Corte di appehlo (o sezione speciaildzzata di essa o giudice tributario ad hoc) per gli altri motivi, eccettuati quelild relativi alla misura dehle pene pecuniarie; 2) peraltro, qualora Le decisioni di primo grado sono impugnate unicamente per taluno dei motivi indicati dall'art. 360, primo comma, numeri 1; 2 e 3, cod. proc. civ., � ammesso soltanto ricorso per cassazione o ailla Commissione PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 243 della tutela giurisdizionale. Questa, infatti, si realizza concretamente nella fattispecie con la pronuncia del giudice adito, alla quale l'amministrazione finanziaria, se soccombente, � tenuta a dare esecuzione mediante 'la pronta restituzione della somma riscossa e non dovuta, sulla quale spettano gli interessi nella misura stabilita dalla legge 26 gennaio 1961, n. 29. Efl.iettivit� della tutela giurisdizionale non significa che necessariamente deve essere consentito di anticipare le conseguenze di una prOnuncia (solo eventualmente) favorevole -come avviene con la sospensione della procedura esecutiva -, ma vuol dire che la pretesa fatta va~ lere in giudizio deve trovare, se fondata, la sua concreta soddisfazione, il che � assicurato, come si � gi� detto, mediante la reintegrazione su�cessiva. Deve pertanto escludersi che la tutela giurisdizionale prevista dagli artt. 24 e 113 Cost. includa necessariamente il suindicato potere di sospensione. Con la seconda argomentazione, premesso che il controllo giurisdizionale in mateda tributaria rientra nella giurisdizione di annullamento si deduoe che questo tipo di giurisdizione, secondo la giurisprudenia costituzionale, postula necessariamente il potere di sospensione cautelare. In proposito si rileva che effettivamente questa Corte ha conside� rato il potere di sospensione connaturale al potere di annullamento del� l'atto impugnato (sent. n. 284 del 1974 e 227 del 1975), ma nella specie il suindicato richiamo non si rivela pertinente, posto che la premessa dei giudici a quibus non pu� essere condivisa. tributaria centrale, con attrazione a:l!l!a Corte dd cassazione dei ricorsi eventuai1mente proposti a detta Commissione da altri soccombenti; 3) la decisione de.hla Commissione tributaria centrale suHa ilegittimit� di stime o dii esnimi � pregiudiziiaile rispetto alfa. ;pronuncia delil:a Corte d'a:ppehlo (o se:ifone specia1izzata di essa o giudice tributario ad hoc). NaturaJJmente, tutto questo discorso non si � soffermato sul tema del caccovdo tra processo tributario e processo penaile (ma tale tema, in questo momento -giugno 1982 -, presenta troppe incognite), parte da11a premes�sa di una sce1ta nel senso delila conservazione, per quanto possibile ed utile, dehl'esistente, e postula Jia possibi1it� di una seconda � revisione� nehl'ambito delila VI disposizione transitoria de!Jia Costituzione. Una scelta divel'Sa -e, ad avviso personale di chi scrive, pi� opportuna e pi� semplice -potrebbe essere que]la di reintrodurre un rimedio previo, non giurisdizionale ma pur sempre caratterizzato per composizione e per regoile procedimentali in mod6 da assicurare una piena � impar:i!tlalit� � (con riferimento ala"art. 97 Cost.); a taile funzione di giustizia non giudiziaria potrebbero essere a@bite le attuali commissioni di primo grado, riqua11fioate come organi non giurisdizionali e Hberate da quei condizionamenti (ad esempio, in punto di durata degH incadchi) che, poco coerenti con ]li �buon andamento�, sono loro derivati dalila vernice di giurisdizionalit� recentemente applicata. So1o dopo 1a decisione ,di un siffatto organo non giurisdizionailie o do'po l'inutid�e decorso dii un termine, ad esempio, di diciotto mesi (che non � ecces� RASSEGNA DELL'AWOCA'fURA DELLO STATO 244 Come esattamente � stato rilevato dalla Corte di Cassazione, l'obbligazione tributaria � un'obbligazione ex lege e l'atto di accertamento nonch� tutti gli altri atti che ineriscono al procedimento di riscossione coattiva non costituiscono la fonte di essa, ma hanno l'esclusiva funzione di condizionare l'esazione del tributo. Solo .formalmente il ricorso del contribuente si indirizza contro gli atti deWamministrazione finanziaria, ma, .in sostanza, esso investe hl presupposto su cui la detta amministrazione si fonda e cio� la sussistenza e l'entit� dell'obbligazione stabilita dalla legge. Trattasi, com'� stato rilevato anche in dottrina, di giudizio sul rapporto e non di impugnazione-annullamento: correlativamente, la pronuncia del giudice, che provvede sulla medesima, consiste fondamentalmente nell'accertamento della sussistenza dell'obbligazione tributaria e, in via conseguen2liale, nella pronuncia sulla legittimit� degli atti posti in essere dall'amministrazione finanziaria per provvedere alla riscossione coattiva dell'imposta. La cognizione del giudice tributario, ed egualmente quella della Corte d'appello ex art. 40 d.P.R. n. 636 del 1972, non rientra dunque nella giurisdizione di annullamento, s.icch� anche la seconda argomentazione, ora esaminata, si appalesa priva di giuridico fondamento. Una delle due ordinanze... ha indicato, tra le norme costituzionali di riferimento, anche l'art. 53 sul presupposto che la mancanza del potere di sospensione violerebbe il principio della capacit� contributiva. sivamente lungo, se si considera che fa durata media dei giudizi civi~.i di primo grado � di ci:l'Ca tre anni) sia 1e parti � private � sia la ammtl,nistrazione pubblica (quest'ultima, se soccombente) ,avrebbero la possibiildt� di instaurare un vero e proprio giudizio, articolato in un sol!Q .grado �di merito� (ad es�empio, dinanzi sezioni specia:Jlizzate de11a Corte dii appello o dinanzi ad un giudke tributario ad hoc} e in un grado dii legittimit�; peraltro, aillla parte (anche l'amministrazione) soccombente in sede di rimedio non giurisdizionale dovrebbe essere riconosciuta la facOILt� di adire -in via adternativa, oon una sorta di moorso � straordin01rio �, e sa11vo � opposizione � ili taluno deglii �alrt:ri soggetti ilegittimati a partecipare 3Jl giudiizio -La Commissione tributaria centrale, essa pure riquaJLificata organo non giurisdizionale. Dovrebbero comunque venire separate e devolute ad un giudice � fondiarfo � fortemente specializzato (anche per la presenza .in seno al collegio dii un magistrato, � togato � egili pure ma �tecnico� ncl senso di esperto ad ,esempio in estimo), Le :controversie suilfa iegiittimit� delJLe stime e degli estimi; in prospettiva, a questo giudice � fondiario � dovrebbero essere devolute anche� le controversie per ila determinazione dehle indennit� di espropriazione, tanto pi� che � 'possibt1e si venga a stabiiliire un legame molto stretto tra l'entit� di dette indennit� �ed il regime tributario dci terreni e in genere deglii immobiU. Questa seconda ipotesi di ,ristrutturazione dcl contenzioso tributario appare vicina a so1uzioni operanti in ai1tri Paesi, adeguata aJble esigenze detl�la finanza pubbi~oa, e -al tempo stesso -non llesiva dleli1e g1amnzie costituzionaJLi. FRANCO FAVARA PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il giudice a quo non precisa in realt� le specifiche ragioni che starebbero a base della denunciata violazione, limitandosi ad una mera indicazione del precetto costituzionale suddetto. Comunque, sembra indubbio che :il riferimento non � pertinente. Come questa Corte ha pi� volte precisato (cfr., tra le altre, sent. numero 144 del 1972; n. 201 del 1975; n. 62 del 1977), per capacit� contributiva deve intendersi la idoneit� del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la presta2lione risulta collegata; e tale presupposto consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza secondo valutazioni riservate al legislatore ordinario, salvo il controllo, sotto il profilo dell'arbitrariet� o irrazionalit�, da parte del giudice delle leggi. Trattasi, com'� evidente, di un principio che regola sul piano sostanziale la legittimit� della imposizione tributaria e non concerne affatto il quomodo della riscossione dei tributi, che � del tutto estraneo alla previsione del precetto costituzionale suddetto. Non � superfluo notare, :infine, come il risultato raggiunto trova precisa conferma nell'orientamento di questa Corte, la quale, anteriormente alla riforma tributar.ia -attuata, com'� noto, con varie leggi delegate emanate a seguito della cit. legge 9 ottobre 1971, n. 825, ed entrata in vigore il 1� gennaio 1974 -ha costantemente ritenuto costituzionalmente legittima la normativa allora vigente; che escludeva iI suddetto potere di sospensione (cfr. sent. 7 luglio 1962, nn. 86 e 87, 4 luglio 1963, n. 116 e 29 dicembre 1968, n. 138). Orbene, la riforma predetta ha modificato sotto vari profili il sistema del contenzioso tributario, ma, relativamente alla sospensione in esame, non ha :introdotto alcuna innovazione. Infatti, � rimasta inalterata la precedente disciplina, sia rispetto alle imposta dirette per effetto del cit. art. 39 d.P.R. n. 602 del 1973, che sostanzialmente ha sostituito gli artt. 208 e 209 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645; sia relativamente a quelle indirette, in quanto le disposizioni contenute nei vigenti provvedimenti, che singolarmente le rigua:ridano, rinviando, come sopra gi� rilevato, al t.u. n. 639 del 1910, con esclusione del potere di sospensione, ripetono il medesimo contenuto dei provvedimenti abrogati (cfr., ad esempio, art. 145 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 sulle leggi del registro; art. 93 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 sulle imposte di successione; art. 10 t.u. 25 giugno 1943, n. 540 della legge sulle imposte ipotecarie). Non essendo stata la preesistente disciplina modificata sul punto, la rico:ridata giurispruden2la di questa Corte, che i giudici a quibus hanno omesso di tenere presente, conserva la sua validit� anche rispetto aHa nuova l'ealt� normativa. Si deve pertanto concludere che le prospettate questioni non sono fondate. 246 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IV (omissis) Prima di assoggettare il merito dell'unica questione ad esan\. � mette conto di identificarne con precisione l'oggetto perch�, se � vero che nelle sette ordinanze viene investito l'art. 99 u.c. I. fall. in quanto non consentfrebbe l'appello avverso le sentenze in cause attribuite alla competenza per materia del pretore, non � meno vero che la lettura della motivazione delle ordinanze pone in chiara luce che non tutte le ipotesi di competenza per materia del pretore, adunate nell'art. 8 c.p.c. arricchito dalla successiva legislazione, sono assoggettate ad esame, ma soltanto Je specie delle controversie individuali di lavoro e di previdenza e �assistenza obbligatorie. (omissis) L'art. 99 u.c., interpretato nel senso fatto proprio dalla Cassazione, di �dire inappellabili -quale che sia l'ammontare dei crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie verso impresa fallita o in I.e.a. --'-. le sentenze rese dal competente tribunale non riesce indenne dalle censure di violazione dell'art. 3, che la Corte d'appello di Milano gli ha rivolto. Invero, non pu� non apparire irrazionale che delle caratteristiche che fanno speciale il rito costruito con la legge 533/1973 sia inserita nell'. art. 99 soltanto la sottrazione delle controversie, che ne formano oggetto, alla normale competenza del tribunale per valore (e Ja consecutiva competenza per materia del pretore) per inferirne l'inappellabilit� di se:p.tenze senza rispettare il limite di lire 750.000, e si continui -com'� pur diritto vivente -a dire disciplinato l'intero giudizio dalle norme del rit.o ordinario. La discrasia non potrebbe essere pi� tangibile. . Non meno irrazionale � il trattamento riservato in punto ai mezzi di impugnazione della sentenza di primo grado_ ai portatori di crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie 1a seconda che il datore sia in bonis ovvero fallito o in I.e.a., quando coincidono nel concreto re finalit� pratiche degli uni e degli altri (si vuol dire la legittimazione a partecipare alla distribuzione, nel rispetto deJle legittime cause di prelazione, del rioavo della liquidazione dei beni del debitore in bonis e no). (omissis) N� questa Corte facendo propria la motivazione del giudice a quo erige a principio di vigore costituzionale la garanzia del doppio grado di giurisdizione fuori dell'area segnata dall'art. 125, comma 2�, Cost. perch� la dichiarazione d'incostituzionalit� dell'art. 99 u.c., cos� come interpretato dalla Cassazione, basa non gi� sulla legittimit� dei Hmiti cui l'art. 99 u.c., inteso alla stregua del diritto vivente, assoggetta l'appello avverso sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, sibbene sulla constatata irrazionalit� dei criteri che hanno indotto alla ampliatio della inappellabilit�: o l'esclusione del secondo grado� � .s.ggerita da esigenze intrinseche alle procedure concorsuali e allora la inappellabilit�, cos� come strutturata nella giurisprudenza della Cassazione, l {: 8 �: t i t f ' f 1 - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 247 dovrebbe coinvolgere tutti i crediti quali che siano i rapporti da cui derivano; o la quasi totale esclusione del secondo grado nei termini segnati dalla Cassazione dipende dalla Il!atura dei crediti di lavoro, e allora dovrebbero esserne travolti anche gli artt. 413 e 440 (in s� e richiamati dall'articolo 442) e 444 c.p.c. Insomma: diritto vivente non equivale sempre a diritto conforme alla Costituzione. CORTE COSTITUZIONALE, 1 febbraio 1982, n. 15 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Naria, Gallimberti ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chlarotti). Fonti del diritto -Legislazione di emergenza -Misure insolite e tempora nee � Legittimit� costituzionale. (Cast., artt. 13 e 27; d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 10). Procedimento penale -Carcerazione preventiva -Prolungamento del ter mine massimo di durata -Applicabilit� anche ai procedimenti in corso -Legittimit� costituzionale. (Cast., artt. 3, 13, 25 e 27; d.!. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11). Di fronte ad una situazione di emergenza, Parlamento e Governo hanno non solo il potere ma anche il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere, adottando una legislazione di emergenza. L'emergenza,. che � condizione essenzialmente temporanea, legittima misure �nsolite che perdono legittimit� costituzionale se ingiustificatamente protratte nel tempo. Pur in regime di emergenza, non si giustificherebbe un eccessivo prolungamento dei termini di scadenza della carcerazione preventiva. (1) (1) La � emergenza � fa illgresso nel novero degtlii strumenti di dettura deMa Carta costitu:1lionale. U principio riportato nehla prima parte della prima massinla assume H ri�ievo di clausola generale, integit'ativa dell'ordinamento costituzionalmente �scritto� e, al tempo stesso, di sa!Jvaguardia dell'effettivit� di taile orddnamento: in sostanza si concede al1le principa:li �istituzioni� (PariJamento e Governo) il potel:'e-dovere di operare in regime extra-ordinario, e cio� anche con attenuazione dei limiti posti dail patto costituzionale, ahlorqua: nido si verifichi una situaziJone che esse stesse (e la Corte costitUZJionallie, quest'u1tima per� 'solo in un momento molto successivo) valutano di � emergenza �; in taLe situazione il fine defila salus reipublicae diviene [a prevalente unit� di misura dehl'attivit� (normativa e non) delle �istituzioni "� La � emergenza � dunque, come � stato dd necessit� � idoneo a legittimare atti e comportamenti che, in una situazione ordinaria, sarebbero di dubbia o soarsa ilegittimit� costituziona~e. Trattasi, come evidente, di un principio che introduce dementi di elasticit� nella nostra Costituzione. Alla � tlegllis1ooione de11'emel�genza � �, come noto, dedicata una colma edita da Giuffr�. 248 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel campo penale devono ritenersi irretroattive solo le norme sostanziali, non anche quelle processuali. La carcerazione preventiva persegue scopi essenzialmente connessi al processo; � pertanto costituzionalmente legittima la disposizione che applica anche ai procedimenti in corso il prolungamento del termine massimo di durata della carcerazione preventiva. (omissis) "'--La prima censura, formulata dalla Corte di assise di Torino, � rivolta all'art. 10 del menzionato decreto legge, nel testo risultante dalla legge di conversione, in quanto prolunga di un terzo, per i delitti ivi previsti, la durata mass�ima della detenzione ante judicium. Ma cosi questa -si osserva, nell'ordinanza -, potendosi protrarre, con riguardo al periodo intercorrente tra rinvio a giudizio e processo di primo grado, sino a due anni ed otto mesi -e, complessivamente addirittura sino a dieci al!lili. ed otto mesi -, travalica ogni ragionevole limite, nonostante che la convenzione europea dei diritti dell'uomo (legge 4 agosto 1955, n. 848) .proclami a!J'art. 5, pamgrafo 3, che i giudizi a carico di detenuti devono essere celebrati � entro un tennine ragionevole �. E tali non sono certo quelli sopra indicati, che, anzi, �specie per i reati pi� gravi � e per U � tempo morto � -quale appunto v�iene definito il peri.odo che solitamente viene fatto scorrere dopo la chiusura dell'istruttoria in attesa del dibattimento -�non adeguano, in modo rigoroso e coerente, la disciplina processuale della libert� personale dell'imputato ai principi costituzionali (artt. 13, primo, secondo e quinto comma, 27, secondo comma)�. La questione �riguarda, quindi, la ragionevolezza del termine di carcerazione preventiva nella fase tra il deposito dell'ordinanza di rinvio a giudizio e la sentenza di primo grado. Tale questione, bench� i dati posti ilil evidenza nella prospettazione suscitino immediato e profondo turbamento, non pu� non essere dichiarata infondata. Nell'ordinanza di rimessione, il dispositivo fa espresso riferimento agli artt. 13, primo, secondo e quinto comma, e 27, secondo comma, Cost., ma l'argomentazione non viene condotta sui princ�pi di cui i suddetti ar ticoli sono portatori, bens� imperniata esclusivamente suJ principio di ragionevolezza, rispetto al quale le denUJI1Ziate violazioni risultano confi gurate come conseguenziali, stante la carenza di qualsdasi autonomo motivo a loro riguardo. Ed il suddetto principio, a sua volta, non viene affermato con richiamo alla giurisprudenza, ormai costante, di questa Corte, la quale ne ha da tempo ravvisato l'esistenza nel nostro sistema costituzionale -statuendo esplicitamente che il legislatore � tenuto al �rispetto della ragionevolezza� (sentenza n. 7 del 1965), che esso trova un �limite nella ragionevolez:m � (sentenza n. 164 del 1971) -, bens� imrocando J!art. 5, paragrafo 3 della convenzione europea di salvaguar dia. All'uopo si rileva che, poich� i principi da questa dettati � sono stati recepiti dal nostro ordinamento�, nella specie va osservato que!Jo, I I II PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE enunciato appunto nel suddetto articolo, secondo cui � ogni persona arrestata o detenuta ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole �. Senonch�, la suddetta norma della convenzione di salvaguardia su oui il giudice a quo poggia H suo cragionamento, da un lato non si colloca di per se stesso a livello costituzionale, daJl'altro lato non propone alcun criterio concreto, in quanto si astiene dal fornire una qualsiasi specificazione. Ed una valutazione della ragionevolezza che non sia runcorata ad un criterio ooncreto, ma solo ad una enunciazione vaga ed e1asti....a, pu� riuscire opiinabile in difetto di un'analisi pi� articolata ed approfondita. Per operare il controllo sulla ragionevolezza dei termini massimi di carcerazione preventiva, quali risultano stabiliti con la norma impugnata, occorre previamente individuare e valutare la ratio che ha indotto il legislatore a disporre il prolungamento di quei termini. Al riguardo non � consentito nutrire alcun dubbio: tale prolungamento rientra fra le � misure urgenti� per 1a tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubb1ica �, come testualmente recita il titolo della legge, ed � causato dalle � obiettive difficolt� che esistono per gli accertamenti istruttori e dibattimentali concernenti i reati in questione�, come testualmente dichiara la relazione governativa che accompagna il disegno di legge di conversione. Dunque, come l'esigenza della tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica � l'occasio legis, cos� le obiettive difficolt� degli accertamenti ne sono la ratio. � in questo ambito, allora, ed in rapporto alle circostanze, che la questione va vaJut,ata. Nella specie, tali circostanze sono identificabili nella causa occasionale e nella ragione giustificatrice di cui sopra. In quanto alla causa occasionale, esplicitamente indicata dallo stesso legislatore nella necessit� di tutelare l'ordine democratico e la sicurezza pubblica contro il terrorismo ,e l'eversione, non pu� certo dubitarsi della esistenza e consistenza, della peculiarit� e gravit� del fenomeno che si intende combattere, e cui appunto si riferisce l'imputazione sulla quale deve giudicare la Corte di assise di Torino. Ed invero, si tratta di un fonomeno caratterizzato, non tanto, o non solo, dal disegno di abbattere le istituzioni democratiche come concezione, quanto claJJa effettiva pratica della violenza come metodo di lotta politica, dall'alto livello di tecnicismo delle operazioni compiute, dalla capacit� di reclutamento nei pi� dispa rati ambienti sociali. Di fronte ad una situazione d'emergenza, quale risulta quella in argomento, quando la questione venga collocata in un quadro pi� ampio di quello offerto dall'ordinanza che l'ha sollevata, Parlamento e Go \'erno hanno non solo il diritto e potere, ma ,anche il preciso ed indecli nabile dovere di provvedere, adottando una apposita legislazione di emergenza. 250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Conseguentemente, non pu� non riconoscersi che i limiti massimi della carcerazione preventiva, derivanti dal prolungamento stabilito con l'art. 10 del decreto legge n. 625 del 1979, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 15 del 1980, valutati alla luce delle suesposte considerazioni, non possono considerarsi irragionevoli, risultando disposti in ragione delle � obiettive difficolt� che esistono per gli accert,amenti istruttori e dibattimentali � nei procedimenti che hanno ad oggetto �. i delitti commessi per finalit� di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico �. Altra ancora � la questione -sulla quale converr� pi� appresso tornare -dell'adeguamento dell'organizzazione giudiziariia alle accresciute esigenze, che sia parallelo alle altre misure urgenti adottate e favorisca cos� la definizione, davvero sollecita, dei processi. � comunque nella logica del discorso la constatazione che terrorismo ed eversione da un lato, prolungamento della custodia preventiva dall'altro, stanno tra loro in rapporto di causa ad effetto: ne sono prova documentale le riforme, in senso nettamente liberale, adottate progressivamente in materia a partire dal ripristino della vita democratica e fa inversione di tendenza a partire dal decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220, che venne adottato appunto in coincidenza con il dilagare della violenza. (omissis) A questo punto, per�, si impongono due distinte, ma a ben guardare, convergenti precisazioni. Se si deve ammettere che un ordinamento, nel quale il terrorismo semina morte -anche mediante lo spietato assassinio di �ostaggi � innocenti -e distruzioni, determinando insicurezza e, quindi, l'esigenza di affidare la salvezza della vita e dei beni a scorte armate ed a poJ.izia privata, versa in uno stato di emergenza, si deve, tuttavia, convenire che l'emergenza, nella sua accezione pi� propria, � una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima, si, misure insolite, ma che queste perdono legittimit�, se ingiustificatamente protratte nel tempo. Va poi osservato che, pur in regime di emergenza, non si giustificherebbe un troppo rilevante prolungamento dei termini di scadenza della carcerazione preventiva, tale da condurre verso una sostanziale vanificazione della garanzia. Della esigenza di rispettare criteri di congruit� si mostr� del resto ben consapevole lo stesso legislatore, quando nel corso dell'iter formativo della legge in esame volle limitare ad un terzo l'aumento dei termini, inizialmente proposto invece nella misura della met�. Merita altr.es� di essere preso in attenta considerazione il rilievo che nell'ordinanza viene conferito al �tempo morto�, cio� al periodo �in cui non si svolgono attivit� processuali>>, per essere stata chiusa l'istruttoria, e tuttavia � le oaate processuali rimangono giacenti in attesa di passare sui banchi del primo giudice dibattimentale'" Ebbene -osserva lftfllBlllllltriJr!IJ:1r1111rrrli1J.tfilj1111tfli1�~rr1:~~~11;llf'i*f11 l I i 1 ~=11=~ririf111r~r~tlf1~11=11rrtrrJilf1~111:r1r1~1I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE il giudice a quo -nel frattempo l'imputato, sia pure per i reati p1u gravi, rimane in stato di detenzione sino a due anni ed otto mesi. E non si possono certo invocare a giustificazione, n� le esigenze temporali della istruttoria, ch:e � gi� esaurita, n� una condanna in grado di appello, cui si attribuisce nell'ordinanza l'effetto di ridurre �l'area di presunzione di innocenza �. La sola giustificazione, peraltro inammissibile -prosegue la Corte di assise di Tormo -sarebbe la � crisi di efficienza dell'amministrazione della Giustizia �, cio� � l'affollamento dei ruoli di udienza per carenza di organici e la impossibilit� di addivenire a tempestive (" ragionevoli ") fissazioni dei processi per il dibattimento �. Non pu� negarsi la consistenza del rilievo, che tocca uno dei punti dolenti -il massimo, anzi -del nostro processo penale. E sembra non potersi negare neppure che si tratta di un rilievo in fatto, per il quale il legi�slatore non pu� essere chiamato direttamente in causa, giacch� la durata del � tempo morto�, indubbiamente deplorevole, che si registra in tante vicende giudiziarie, non deriva da alcuna precisa disposizione di legge. Tuttavia ci� non esime il legisJatore dal dovere di creare le condizioni che riducano al minimo il � tempo morto �. Una legislazione di emergenza non pu� non comprendere anche misure atte ad adeguare l'ordinamento giudiziario ai tempi... (omissis) La seconda censura ... � rivolta all'art. 11 del medesimo decreto legge, a norma del quale � la disposizione dell'articolo precedente si applica anche ai procedimenti in corso �. Tutti i suddetti giudici denunziano, con motivazioni pressoch� coincidenti, le violazioni degli artt. 3, primo comma, 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, e 27 secondo comma, Cost. Il testo costituzionale prevede l'istituto della carcerazione preventiva (art. 13, ultimo comma) e proclama, ad un tempo, il principio della presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma). Dalla constatazione, non irrilevante, anche se ovvia, della coesistenza delle due ricordate norme si deduce che, nel pensiero del costituente, esse sono pienamente compatibili: come la presunzione di non colpevolezza non impedisce .la carcevazione preventiva, cos� questa non pregiudica quella. Non la pregiudica -� appena il caso di sottolineare -sul piano giuridico, e neppure su quello pi� propriamente processuale, una volta che la carcerazione preventiva, n� acquista valore probatovio e, quindi, determinante ai fini dell'.affermazione della responsabilit�, n� influisce sulla misura dell'eventuale pena. Ed al riguardo nulla rilevano in contrario gli innegabili effetti negativi, sempre gravi e sovente irreparabili, che effettivamente vengono provocati dalla carcerazione preventiva, ma su piani diversi da quello giuridico. (omissis) La carcerazione preventiva non produce -beninteso, sul piano giuridico, sia sostanziale, sia processuale, nel senso pi� sopra illustrato maggiori o minori conseguenze, a seconda della sua maggiore o minore 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO durata, per cui questa, nei casi in cui risultasse non ragionevole, potrebbe essere dichiarata illegittima per tal motivo, non gi� per l'asserita sua incidenza giuridica sulla presunzione di non colpevolezza. Argomentare dalla durata per pervenire a conclusione opposta a quella di cui sopra significa confondere -e sta qui soprnttutto la fallacia del ragionamento -due piani che sono nettamente distinti, facendo valere nel campo giuridico gli effetti che si verificano nel campo sociale. (omissis) Analogamente si deve concludere quando il dubbio sulla legittimit� costituzionale della norma denunziata viene espresso in riferimento agli artt. 13, primo, secondo e quinto comma, e 25, secondo comma, Cost.. (omissis) Non � dubitabile che il principio (di cui all'art. 13 Cost.) della inviolabilit� della libert�� personale � la regola e che, conseguentemente, ogni limitazione ad esso si configura come eccezione. Da tale esatta premessa non dipende tuttavia la conseguenza che nelle ordinanze se ne trae, cio� che le carcerazioni preventive in corso siano al riparo da leggi posteriori che ne aumentino la durata. L'affermazione risulta apodittica, nel senso che � malamente puntellata con l'asserzione che non v'� differenza, di fronte a nuove norme contra libertatem, tra fatti-reato gi� avvenuti e situazioni detentive in corso. Ma questo potrebbe affermarsi, solo se fosse dimostrato incontrovertibilmente che l'irretroattivit� di cui all'articolo 25, secondo comma, si estende anche alle norme procedurali. Egualmente indubitabile � il diritto al riacquisto immediato della libert�, non appena scaduti i termini della detenzione preventiva. Ed invero, il riconoscimento di tale diritto � soluzione giuridicamente e logicamente obbligata, che si lascia esplicitare �.mmediatamente e facilmente dal principio dell'inviolabilit� della libert� personale, ma di cui nOIIl � sostenibile, perch� immotivata, l'evoluzione in diritto quesito, non potendosi ritenere motivazione appagante il semplice richiamo al suddetto principio dell'inviolabilit�. Nelle stesse ordinanze in esame, del resto, la custodia preventiva viene qualificata �interinale�, pur se, immediatamente dopo, tale aggettivo venga sostituito con la focuzione, piuttosto ambigua, di �situazione gi� costituita�. Dalla statuizione, poi, di cui al secondo comma (dell'art. 13 Cost.), a sensi del quale devono essere � previsti � i casi ed i modi in cui la restrizione della libert� personale � ammessa, si deduce l'esigen2la di una �previsione�, cio� di una regolamentazione preventiva di ogni aspetto della restrizione stessa, con la conseguenza che le regole di questa non possono essere mutate in danno della libert�. Senonch�, a tale conseguenza si perviene, non solo con un argomento meramente esegetico, ma anche con la trasposizione ed applicazione del risultato ottenuto in via esegetica da una ad altra norma, sia pure nell'ambito dello stesso articolo 13. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 253 Si pu� anche prescindere al riguardo dall'osservazione che, nel linguaggio giuridico, anche in quello :propriamente normativo, non sempre al verbo -� previsti � -, dal quale traggono argomento le ordinanze in esame, corrisponde il sostantivo �previsione�, essendo tutt'altro che infrequenti le occasioni, in cui allo stesso verbo corri.sponde, invece, il significato di �disposizione�. Sembra darne la prova lo stesso legislatore costituente: nell'art. 38, secondo e quarto comma, .infatti, i mezzi ivi �preveduti �, oltre che assicurati, ai lavoratori, ed i compiti conseguentemente � previsti � possono anche intendersi come mezzi e compiti � disposti � o � stabiliti�. Comunque, a parte quanto test� osservato solo incidentalmente, se nella specie deve ritenersi senz'altro corretta la dedotta sostantivazione, appare, viceversa, non egualmente corretta e congruente l'ulteriore inferenza. Che la Costituzione esiga, affinch� la restrizione della libert� personale sia legittima, la puntuale � previsione � legislativa dei � casi e modi � -oltre che, s'intende, l'atto motivato dell'autorit� giudiziaria non � menomamente disputabile, stante il dettato letterale. Ora, pu� essere opinabile cosa propriamente debba intendersi :in positivo per gli uni (�casi�) e per gli altri (�modi�), ma non fa negativo, essendo incontrovertibile che, n� nel lessico, n� in alcun testo normativo, n� nella dottrina giuridica, si rintraccia anche solo un appiglio per sostenere che � casi e modi � siano suscettibili di indicare un qualsiasi limite temporale. L'argomentazione trova, oltre tutto, una duplice smentita proprio nello stesso art. 13: gli aspetti temporali della restrizione della libert� personale, infatti, sono disciplinati nel terzo e ne1l'ultimo comma, sicch�, ove si facesse applicazione di un ben noto brocardo, l'inclusione di tali aspetti nei suddetti commi e l'esclusione, invece, dal secondo comma, confermerebbero chiaramente la non fondatezza della motivazione a sostegno del dubbio espresso nelle ordinanze; inoltre, poich� l'ultimo comma dice che la legge � stabilisce � -non che � prestabilisce � -i limiti massimi del1a carcerazione preventiva, basterebbe il ricorso a questo rilievo letterale per ottenere la prova dall'inestensibilit� della �previsione� dei � casi e modi � di cui al secondo comma alla durata della custodia preventiva di cui all'ultimo comma. A dimostraz;ione della fondatezza del1a censura rivolta al medesimo art. 11 del decreto legge n. 625 del 1979 in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., le ordinanze in epigrafe espongono una vasta gamma di motivi. L'irretroattivit� proclamata dalla predetta norma costituzionale -sostengono i giudici a quibus -deve essere interpretata nel senso che comprende, non solo il diritto penale sostantivo, ma anche quello pro cessuale. (omissis) 254 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � senza dubbio esatto che l'art. 25, secondo comma, Cost., stabilisce una gamnzia per l'iimputato, e non si ha difficolt� ad ammettere altres� che Ia v'era ratio, ravvisabile al fondo della norma, � un'esigenza di cer� tezza. Tale riconoscimento non giustifica tuttavia, la deduzione che, quindi, nel campo penale, devono ritenersi irretroattive, non solo le norme sostanziali, ma anche quelle processuali. L'argomento, a parte quanto si dir� in segwito sul valore di garanzia per l'imputato, prova troppo, dato che l'esigenza di certezza � alla base di ogni rapporto giu ridico e, meglio ancora, della-vita stessa del diritto. Quando poi si argomenta dalla natura del bene tutelato -la libert� personale -, dicendosi che, in caso dd detenzione, � ,gempre esso in gioco, e che perci� nulla rileva che quella 8ia sofferta prima del giudizio, an zich� in esecuzione di una condanna, si deve osservare che l'argomenta zione, per un verso � palesemente contraddittoria e, per altro verso, va oltre il segno. � pale8emente contraddittoria, perch�, pur premettendosi che l'equiparazione fra pena e cu8todia preventiva � �vietata proprio dal l'art. 27, secondo comma�, Cost., e che l'art. 25, secondo comma, non si estende alla custodia preventiva � in quanto forma di espiazione antici pata della sanzione detentiva�, si afferma poi che la carcerazione preven tiva �si risolve in una pena subita prima della definizione del processo�; tanto che �anche la legge, d'altra parte, la considera tale per certi effetti�, com'� appunto il caso della conversione della custodia preventiva in pena, ai sensi dell'art. 137 del codice penale. La contraddittoriet� non svanisce, solo perch� si precisa che il ragionamento viene condotto � dal punto di vista dell'imputato�, dato che la questione concerne appunto l'imputato. L'argomentazione va, poi, oltre il segno, in quanto il suo logico risultato sarebbe la cancellazione dalla Carta costituzionale dell'istituto della detenzione preventiva, perch� proprio essa -indipendentemente dalla sua , durata -� pur diversa, come s'� detto, dalla pena, si risolve per l'indi viduo in una restrizione totale della sua libert� �. Questa Corte ha costantemente affermato, tra l'altro, che la carcera� zione preventiva �ben pu� legittimamente essere disposta in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare e strettamente inerenti al processo� (sentenze nn. 64 e 96 del 1970, 74 e 147 del 1973, 146 del 1975, 88 del 1976); che Ǐ giustificata da esigenze eminentemente proces suali� (sentenza n. 68 del 1974); che �ha evidentemente, tra le sue fina lit�, quella di evitare che l'inquisito o l'imputato distorca i fatti o in quini le prove, cio�, in definitiva, cerchi di eludere l'applicazione della proporzionata sanzione punitiva � (sentenza n. 26 del 1972); che � si inserisce nel processo >>, giacch� � risponde a una sua ratio, vuole sod disfare concrete esigenze del processo� (sentenza n. 135 del 1972). Tale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE indirizzo giurisprudenziale, cui si � :ispirata altres� la sentenza n. 1 del 1980, e cui, a decorrere dal 1975, ha aderito anche la Corte di cassazione, induce a non accogliere la concezione, emergente dalle ordinanze, della natura di diritto sostantivo dell'istituto della carcerazione preventiva. N� contro questo consolidato orientamento vale richiamare la contraria opinione, espressa dal GuardasigiJ.li del 1931 ed invocata nelle ordinanze, secondo cui � le norme del codice di procedura penale che dispongono sulla libert� personale dell'imputato hanno carattere restrittivo, e per� debbono soggiacere ai criteri di diritto transitorio propri del diritto penale materiale e di ogni altra legge che restringa il libero esercizio di diritti, e non a quelli del diritto penale processuale �. E poich� inoltre nella specie si controverte pi� propriamente sul prolungamento di questa ultima, giova ricordare ancora una volta che essa risulta disposta al dichiarato fine di ovviare alle � obiettive difficolt� che esistono per gli accertamenti istruttori e dibattimentali concernenti i reati� di terrori smo e di eversione. Anche per quanto riguarda, infine, l'ulteriore affermazione -quella, secondo cui l'art. 25, secondo comma, Cost., dovrebbe interpretarsi nel senso della sua applioabi1it� alle norme processuali penali -si pu�, in aggiunta a quanto osservato in precedenza, far richiamo alla giurisprudenza, e precisamente alla sentenza della Corte di cassazione (Sez. V penale, n. 1159 del 1975), che riconosce la �natura meramente strumentale � della carcerazione preventiva e, quindi, l'applicazione del principio tempus regit actum. Il diverso avviso dei giudici a quibus viene fondato in definitiva su due argomenti: il confronto tra la formulazione dell'articolo 25, secondo comma, Cost., e quella dell'art. 1 c.p.; l'asserto che l'attivit� giurisdizionale, valutata nel concreto, ha fondamentalmente funzione di garanzia, da cui deriva la Jogica conseguenza dell'assimilazione delle norme processuali penali alle norme sostanziali, quando si risolvano in danno dell'imputato. (omissis) In ordine al secoodo argomento, baster� aggiungere che la natura strumentale dell'istituto in parola, esattamente individuata dalla Corte di cassazione, oltre che impedire l'assimilazione tra il � fatto � e lo � strumento � per accertarne l'esisten:lla e la conformit� al diritto, consente di cogliere nella sua completa prospettiva la funzione di garanzia della carcerazione preventiva, e del processo fil genere, nel senso che non � garanzia solo dell'imputato, ma anche -e, prima -dell'attuazione della legge, della ordinata convivenza, della salvezza delle istituzioni. Se questo �, l'argomento dell'applicabilit� dell'art. 25, secondo comma, Cost., anche alle norme processuali penati perde validit� nella sua stessa impostazione, la quale viene fatta poggiare su un criterio palesemente riduttivo della realt�. (omissis) 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 25 marzo 1982, n. 59 -Pres. Elia -Rel. AndrioH -Regione Sardegna (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (viice avv. gen. Stato Azzari1li). Corte costituzionale -Ricorso di una regione avverso decreto legge Mancata conversione in legge -Inammissibilit� del ricorso -Successiva legge regolatrice dei rapporti conseguenti al decreto non convertito -Ininfluenza. Il ricorso di una regione avverso un decreto legge non convertito in legge deve essere dichiarato inammissibile, ancorch� detto decreto legge abbia avuto esecuzione durante il periodo di vigenza; la legge regolatrice dei rapporti sorti sulla base del decreto non convertito non � idoneo equipollente della legge di conversione. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, II Sezione, 17 dicembre 1981, nelle cause riunite 197 -200, 243, 245 e 247/80 -Pres. Due -Avv. Gen. Verloren Van Themaat -Ludwigshafener Welzmilhle Erling KG ed altri (avv.ti Modest, Gilndisch e Lohman) c. Consiglio delle Comunit� europee (ag. Schlon e Brautigam) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Sack, avv. Stockburger), con intervento del Governo italiano (avv. Stato Fienga). Comunit� europee -Atti delle istituzioni comunitarie -Responsabilit� nei confronti dei singoli -Azioni risarcitorie -Condizioni. (Trattato CEE, artt. 178 e 215). Comunit� europee -Atti normativi delle istituzioni comunitarie -Respon� sabilit� nei confronti dei singoli � Limiti. (Trattato CEE, art. 215). Comunit� europee -Agricoltura -Politica agricola comune -Poteri discrezionali delle istituzioni comunitarie � Fissazione del prezzo d'entrata per il grano duro. (Trattato CEE, artt. 39 e 40; regolamenti CEE del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2727; del Consiglio 12 giugno 1978, n. 1255; della Commissione 26 giugno 1978, n. 1408; del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1548; della Commissione 26 luglio 1979, n. 1594}. Il ricorso per risarcimento danni di cui agli artt. 178 e 215, co. secondo, del Trattato si differenzia da quello di annullamento in quanto mira non alla soppressione di un determinato provvedimento, ma alla riparazione del danno causato dalle istituzioni nell'esercizio delle loro funzioni (1). La responsabilit� della Comunit� per atti normativi sussiste unicamente in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli (2). (1-2) Giurisprudenza costante. Cfr., oltre alle sentenze citate in motivazione (28 aprile .197.1, nella causa 4/79, Lt.iITICKE, in Racc. 1971, pag. 325; 2 dicembre 1971, nella causa 5/71, ZUCKERFABRIK SCHOPPENSTEDT, ibidem, pag. 975; 2 lug.Jio 1974, nella causa HoLTZ e WILLEMSEN, ibidem, 1974, pag. 675), fra le pi� recenti, le sentenze 5 dioembre 1979, nelle cause 116 e 124/77, AMYLUN N.V. ED ALTRI, e nella causa '143/77, KoNINKLIJKE, in Racc. !1979, pag. 3497 e 3583; e 4 ottobre 1979, nella cau<;a 64 e 113/76, 167 e 239/78, 27, 28 e 45/79, DUMORTIER E ALTRI, ibidem, 1979 3091. 4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 258 Nella determinazione della loro politica agricola le istituzioni comunitarie competenti godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda non solo la fissazione delle basi di fatto della loro azione, ma anche la definizione degli scopi perseguiti, nell'ambito delle previsioni del Trattato, e la scelta degli opportuni mezzi d'azione. Non costituisce superamento del margine di valutazione politica delle istituzioni la fissazione di uno scarto fra il prezza d'entrata del grano duro e quello del grano tenero superiore a quello riscontrabile nel mercato mondiale, in funzione di un obiettivo economico che tiene conto dello slato cronicamente eccedentario della produzione di grano tenero e della necessit� di stimolare la produzione comunitaria di grano duro, anche se questa scelta politica costituisca un mutamento di indirizzo rispetto al pas �sato (3). (omissis) 1. -Con atti depositati in cancelleria rispettivamente in data 7 ottobre, 30 ottobre, 5 novembre e 6 novembre 1980, le societ� Ludwigshafener Walzmilhle Erling KG, Park-Milhlen GmbH, Mlihle Rliningen AG, Pfiilzische Mlihlenwerke GmbH, Kurt Kamffmeyer Mlihlenvereinigung KG e Wilhelm Werhahn KG, titolavi di mulini a grano duro, nonch� la societ� Schwaben-Nudel-Werke B. Birkel Sohne GmbH & Co, fabbricante di paste alimentari, nella Repubblica federale di Germania, hanno proposto a questa Corte, in forza degli artt. 178 e 215, 2� comma, del Trattato CEE, dei ricorsi miranti all'assegnazione di determinate somme, in seguito precisate, come risarcimento del danno che il Consiglio e la Commissione avrebbero loro causato mediante la fissazione del prezzo d'entrata per il grano duro importato da paesi terzi nel corso dell'anno 1979.. tenuto conto del prezzo vigente per il grano tenero. 2. -Dal fascicolo risulta che gli atti dai quali, secondo le ricorrenti, deriva il danno da esse allegato, sono quattro regolamenti relativi alla fissazione del prezzo dei cereali per le campagne 1978-1979 e 1979-1980, cio�: il regolamento del Consiglio 12 giugno 1978, n. 1255 (G.U. n. L 156, pag. 2); il regolamento della Commissione 26 giugno 1978, n. 1408 (G.U. n. L 170, pag. 28); il regolamento del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1548 (G.U. n. L 188, pag. 2); il regolamento della Commissione 26 luglio 1979, n. 1594 (G.U. n. L 189, pag. 44). (3) Soluzione conforme a quella proposta anche dal Governo italiano. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Sulla ricevibilit� 3. -Il Consiglio e la Commissione, sostenuti dal Governo italiano, contestano la ricevibilit� dei ricorsi per vari motivi. In sostanza, essi eccepiscono uno sviamento di procedura per il fatto che le ricorrenti tentano di eludere, servendosi del ricorso per responsabilit�, le rigorose condizioni cui l'art. 173, 2� comma, del Trattato subordina l'azione dei s.ingoli in materia di controllo della legittimit� degli atti aventi natura di regola� mento, e sostengono che, portando la causa direttamente dinanzi alla Corte, esse hanno trascurato le possibilit�. di ricorso che erano loro aperte dinanzi ai giudici nazionali. Sull'eccezione basata sullo sviamento di procedura rispetto all'art. 173, 2� comma 4. -Per quanto riguarda questa eccezione, � sufficiente ricordare che la Corte, con una costante giurisprudenza, ha dichiarato che il ricorso per risarcimento di cui agli artt. 178 e 215, 2� comma, del Trattato � stato istituito come azione autonoma, avente una particolare funzione nell'ambito del sistema delle impugnaz;ioni e subordinata a condizioni di esercizio dettate in vista del suo scopo specifico. Tale ricorso si differenzia da quello per annullamento in quanto esso mira, non alla soppressione di un determinato provvedimento, bens� alla riparazione del danno causato dalle istituzioni nell'esercizio delle loro funzioilli; i presupposti del ricorso per responsabilit� sono definiti in base a questi obiettivi e, pertanto, distinti da quelli del ricorso per annullamento (cfr. sentenza 2 luglio 1974, causa 153/73, Holtz & Willemsen, Racc. pag. 675, punti 2-5 della motivazione). 5. -Ne deriva che chiunque intenda serviirsi del ricorso per risarcimento � tenuto, per avere soddisfazione, a provare che sussistono tutte le condizioni alle quali, in forza dell'art. 215, 2� comma, � subordinata la responsabilit� della Comunit�. La parziale coincidenza di queste condizioni con quelle vigenti per il ricorso d'annullamento non � pertanto una ragione sufficiente per definire viziata da sviamento di procedura l'azione promossa nell'ambito deg1i artt. 178 e 215, 2� comma. 6. -Questa eccezione deve quindi essere respinta. Sull'eccezione basata sul mancato esperimento delle impugnazioni disponibili in sede nazionale 7. -Le istituzioni convenute richiamano inoltre l'attenzione sul fatto che le ricorrenti avrebbero potuto difendersi contro il danno allegato, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO contestando dinanzi ai giudizi nazionali competenti i prelievi riscossi sul grano duro da esse importato nella Comunit�. � infatti dalla riscossione di questi prelievi, in funzione del prezzo d'entrata fissato dalla Comunit�, che sarebbe sorto l'onere economico qualificato dalle ricorrenti come danno. Una siffatta azione dinanzi ai giudici nazionali avrebbe potuto dar luogo ad un procedimento pregiudiziale ai sensi dell'art. 177, e consentire pertanto alla Corte di esaminare la validit� delle disposizioni contestate dalle �ricorrenti. 8. -Dall'istruttoria della causa risulta che le ricorrenti non disponevano di una siffatta azione dinanzi ai giudizi nazionali. Dalle non contestate dichiarazioni delle ricorrenti emerge infatti ohe nessuna di loro ha effettuato direttamente importazioilli. di grano duro: le societ� ricorrenti, titolari di mulini a grano duro, si sono servite del tramite di importatori, i quali hanno versato i prelievi; quanto aHa societ� Birkel, � pacifico che, nella sua qualit� di fabbricante di paste, essa ha acquistato la materia prima presso mulini. 9. -Stando cos� le cose, le ricorrenti non si sono trovate in una situazione che permettesse loro di portare dinanzi ai giudici nazionali la questione dei prelievi percepiti all'importazione del grano duro che loro era destinato. Conseguentemente, non si pu� basare un'eccezione di irricevibilit� sul fatto che esse non si sono servite in sede nazionale di un'impugnazione di cui non disponevano. 10. -Anche Ia seconda eccezione d'irricevibilit� deve essere dunque respinta. 11. -Il Consiglio basa un'ulteriore eccezione cli irricevibilit� sul fatto che le ricorrenti hanno fatto valere un danno solo per il 1979, dichiarando che le somme pretese costituiscono solo una parte del danno effettivamente subito. Tenuto conto della possibilit� che le ricorrenti si riserverebbero, in tal modo, di estendere ulteriormente le loro pretese, in particolare a periodi anteriori al 1979, ii.I Consig1io sostiene che i ricorsi sono irricevibili in quanto riguardano solo danni eventuali. 12. -Non sembra necessa:r:io esaminare questo argomento del Consiglio sulla ricevibilit� dei ricorsi. Le obiezioni del Consiglio riguardano, in realt�, una delle condizioni sostanziald cui � subordinata la responsabilit� della Comunit�, cio� l'esistenza di un danno. Esse saranno quindi valutate nell'ambito dell'esame del merito. (omissis) Nel merito 17. -Prima di esaminare i mezzi dedotti dalle ricorrenti, � opportuno ricordare i principi che, in base alla giurisprudenza della Corte, regolano la responsabilit� extracontrattuale della Comunti.t�. I l I I l PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 18. -Nella sentenza 28 aprile 1971, causa 4/69, Liltticke, Racc. pag. 325, in seguito ripetutamente confermata (cfr. in particolare sentenza 2 luglio 1974, Holtz & Willemsen, gi� citata, punto 7 della motivazione), la Corte ha precisato che in forza dell'art. 215, 2� comma, e dei principi generali cui detta norma fa rinvio, la responsabilit� della Comunit� presuppone che siano soddisfatte varie condizioni, relative ailla illiceit� del comportamento di cui si fa carico alle istituzioni, alla effettivit� del danno ed alla esistenza di un nesso di causalit� fra il comportamento stesso e il danno lamentato. 19. -Gli atti che, secondo le ricorrenti, sono all'origine del danno lamentato sono degli atti normativi. Nei confronti di tali atti, secondo una costante giurisprudenza deLla Corte, la responsabilit� della Comunit� sussiste unicamente in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli (sentenza 2 dicembre 1971, causa 5/71, Zuckerfabrik SchOppenstedt, Racc. pag. 975). 20. -� in base a questi criteri che devono essere valutati !� ricorsi. In questa prospettiva, � opportuno accertare separatamente, da un lato, se la fissazione, con atti del Consiglio e della Commissione, del prezzo d'entrata del grano duro per il periodo considerato �sia inficiata da un vJzio dii legittimit� corrispondente ai criteri sopra indicati; dall'altro, se le ricorrenti possano provare di aver subito un danno che si trovi in rapporto di causalit� con gli atti contestati. Sulle contestazioni relative alla fissazione del prezzo d'entrata del grano duro per il 1979 21. -Le riicorrenti espongono al riguardo una serie di considerazioni economiche e giuridiche destinate a dimostrare che il Consiglio e la Commissione, fissando all'epoca considerata, un determinato prezzo d'entrata del grano duro rispetto al prezzo del grano tenero, hanno violato, sotto vari aspetti, le norme del di11itto comUil!�tario. 22. -Esse ricordano che, in passato, il prezzo d'importazione del grano duro era stato vicino al prezzo del grano tenero fino al momento in cui, nel 1974, un forte rialzo dei prezzi sul mercato mondiale spingeva il ConsJglio ad aumentare notevolmente il prezzo d'entrata del grano duro (il rapporto tra il prezzo del grano tenero e quello del grano duro era allora di 100: 151,2). Nonostante il fatto che, da quel momento, i prezzi si fossero riavvicinati, sul mercato mondiale, in una proporzione che non superava, approssimativamente il rapporto di 100: 110, il Consiglio riduceva molto lentamente lo scarto tra i due prezzi, che venivano a trovarsi, nel periodo di cui trattasi, nella Comunit�, ad un livello di 100: 138,5. Tale discordanza dei prezzi avrebbe comportato, nella fabbricazione delle paste alimentari, una tendenza alla sostituzione del grano tenero al grano duro 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con una conseguente notevole riduzione del volume di produzione dei mulini a grano duro ed un deterioramento della qualit� delle paste alimentari, determinando un indebo1imento della posizione concorrenziale dei fabbricanti tedeschi sul mercato. Tale tendenza sarebbe stata tanto pi� accentuata in quanto i fabbricanti tedeschi avrebbero trovato, sul loro mercato, una sempre pi� viva concorrenza dei fabbricanti di paste di alt11i Stati membri, e specialmente dei fabbricanti italiani, i cui centri di produzione, vicini alle zone di coltivazione del grano duro nella Comunit�, avrebbero potuto approvvigionarsi a prezzi vicini al prezzo d'intervento, mentre i fabbricanti tedeschi si approvvigionerebbero esclusivamente di semola di grano duro di origine americana, importata al prezzo d'entrata. 23. -Dal punto di vista giuridico, le ricorrenti deducono quattro mezzi, basati sul disconoscimento della politica dei prez2Ji sancita dal regolamento di base del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2727, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali (G.U. n. L 281, pag. 1), sulla violazione del divieto di discriminazione di cui all'art. 40, n. 3, 2� comma, del Trattato, sulla mancata osservanza dei principi relativi alla fissazione dei prezzi agricoli quali risultano dall'art. 40, n. 3, 3� comma, e infine sulla violazione del � principio di proporzionalit� �. 24. -Innanzitutto, le ricorrenti richiamano l'attenzione sul fatto che, nel regolamento di base n. 2727/75, il Consiglio ha riconosciuto, nell'ottavo punto del preambolo, l'opportunit� di rispettare, per quanto possibile, nella Comunit�, il rapporto esistente normalmente sul mercato mondiale tra i prezzi del frumento duro e quelli del frumento tenero, a causa delle possibilit� di sostituzione di questi due prodotti. Tale politica sarebbe stata effettivamente seguita per un lungo periodo e soltanto a seguito dell'aumento congiunturale del 1974, nel frattempo riassorbito sul mercato mondiale, il Consiglio avr.ebbe seguito una nuova politica, consistente nel mantenere uno scarto anormale tra i due prezzi di cui trattasi, provocando cos� un effetto di sostituzione considerato anormale dal regolamento. Le ricorrenti sostengono che .il Consiglio aveva l'obbligo di fare tutto il possibile affinch� questo scarto anormale fosse riassorbito. 25. -Secondo le ricorrenti, la Corte ha ammesso la fondatezza di questo ragionamento nella sentenza 13 novembre 1973 (63-69/72, Werhahn e a., Racc. pag. 1229), in cui essa si � espressa in questi termini: � Vi � una relazione tra i costi di produzione del grano duro e del grano tenero, oio� in genere, il costo di produzione del primo � superiore di circa il 20% a quello del secondo; onde evitare che nel mercato di questi cereali si creino interferenze ~: non auspicabili, si deve tener conto di questa relazione allorch� si fissano �i i rispettivi prezzi d'entrata�. l I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 26. -In conformit� a queste affermazioni della Corte, nella presente causa si tratterebbe di definire il rapporto di prezzo �giusto� tra il grano duro e il grano tenero; in conformit� ai principi rtlconosciuti nel preambolo del regolamento di base n. 2727/75, tale rapporto dovrebbe situarsi, per quanto possibile, al livello del rapporto esistente sul mercato mondiale. 27. -In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che la fissazione del prezzo d'entrata per il grano duro ad un livello eccessivo implica una violazione dell'art. 40, n. 3, 2� comma, del Trattato, in base al qual! l'organizzazione comune di mercato deve escludere qualsiasi discriminazione tra produttori o consumatori della Comunit�. Ora, fissando il prezzo di entrata del grano duro ad un livello troppo elevato, il Consiglio avrebbe creato una siffatta discriminazione a carico dei muliti e dei pastifici situati negli Stati membri che non producono grano duro; questi produttori avrebbero dovuto importare la totalit� del loro fabbisogno di grano duro da paesi terzi, mentre i mulini di grano duro e i pastifici dei paesi produttori, Francia e Italia, potrebbero acquistare la loro materia prnna sul posto, ad un prezzo nettamente inferiore. 28. -In terzo luogo, le ricorrenti sostengono che la fissazione del prezzo d'entrata per il grano duro ad un livello troppo elevato non tiene conto dei principi che regolano la fissazione dei prezzi, cos� come sono stabiliti dall'art. 40, n. 3, 3� comma, del Trattato, in base al quale la politica comune dei prezzi � deve essere basata su c11iteri comuni e su metodi di calcolo uniformi �. Essi richiamano inoltre, in questo contesto, l'art. 39, n. 1, lett. e), il quale dispone che la politica agricola comune ha lo scopo, tra l'altro, � di stabilizzare i mercati �. Queste norme avrebbero obbligato il Consiglio a fissare i prezzi secondo �criteri razionali�, il che esclude che tale fissazione possa avvenire in modo arbitrario, in base a considerazioni puramente politiche, allo scopo di favorire taluni gruppi di produttori all'interno della Comunit� a danno di altri gruppi, come quello delle ricorrenti. 29. -Infine, le ricorrenti sostengono che il Consiglio ha violato il � principio di proporzionalit� �, nel senso che avrebbe potuto, invece di ricorrere ad una fissazione artificialmente elevata del prezzo d'entrata, raggiungere l'obiettivo da esso perseguito con altri mezzi meno svantaggiosi per le ricorrenti, come ad esempio la regionalizzazione dei prezzi d'entrata o, ancora, l'estensione degli aiuti ai produttori della Comunit�, per attenuare nei loro confronti l'effetto di un abbassamento del prezzo d'entrata. 30. -Il Consiglio e fa Commissione, sostenuti dal Governo italiano, sottolineano, in generale, l'ampio potere discrezionale di cui dispongono le istituzioni della Comunit� in materia di politica agricola e nell'adatta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento di questa politioa a seconda delle circostanze, tenuto conto dell'insieme degli orientamenti stabiliti dall'art. 39 del Trattato. 31. -Opponendosi al primo mezzo delle ricorrenti, le istituzioni convenute sottolineano che vi � una differenza fondamentale fra il mercato mondiale ed il mercato comunitario, nel senso che il mercato mondiale � retto dal libero gioco dell'offerta e della domanda, mentre il mercato comunitario � dotato di un'organizzazione comune, destinata a mantenere certi livelli di prezzo in f.unzione degli obiettivi politici determinati dalle istituzioni della ComUD!it� nell'ambito del Trattato. Nella fattispecie, s�rebbe opportuno tener conto del fatto che il mercato comunitario � cronioamente eccedentario quanto alla produzione di grano tenero e deficitario quanto a quella di grano duro. La politica perseguita dalle istituzioni consiste pertanto nel favorire, con una appropriata politica dei prezzi, lo sviluppo della produzione di grano duro, pur sostenendo, in proporzioni ragionevoli, la produzione del grano tenero. 32. -Per quanto riguarda le accuse di discriminazione e di violazione delle norme relative alla fissazione dei prezzi agricoli, ai sensi dell'art. 30, n. 3, 2<> e 3'0 comma, le istituzioni convenute richiamano l'attenzione sul fatto che la fissazione dei prezzi dei cereali interviene in un contesto di libera circolazione sia delle materie prime che dei prodotti derivati e che nulla impedisce pertanto, dal punto di vista del diritto comunitario, ai produttori tedeschi di approvvigionarsi negli altri Stati membri della Comunit�. Esse sottolineano la circostanza che n� il mercato francese n� il mercato italiano sono autosuffticienti e che anche i produttori di questi Stati devono far ricorso, in proporzione degna di rilievo, al grano duro importato da paesi terzi, il che avrebbe creato negli Stati produttori una tendenza dei prez:z;i della produzione locale ad avvicinarsi al prezzo d'entrata e non, come le ricorrenti hanno affermato, al prezzo d'intervento. 33. -Quanto alla pretesa violazione del � principio di proporzionalit� �, le istituzioni richiamano l'attenzione sul fatto che le soluzioni proposte dalle ricorrenti sarebbero in pratica impossibili: la regionalizzazione dei prezzi d'entrata sarebbe direttamente contraria all'unit� del mercato comune, mentre l'estensione del regime degli aiuti imporrebbe al bilancio comunitario degli oneri nuovi ed insostenibili. 34. -Infine, le istituzioni convenute sostengono che le norme giuridiche invocate dalle ricorrenti non possono in alcun caso essere definite �norme superiori intese a tutelare i singoli �, condizione posta dalla giurisprudenza della Corte nel caso di ricorsi per responsabilit� rivolti contro atti legislativi della Comunit�. 35. -Le federazioni francesi, intervenienti a sostegno del Consiglio e della Commissione, mettono specialmente in rilievo che le indicazioni t. R ~ I i PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE fornite dalle ricorrenti circa i rapporti di prezzo sul mercato mondiale non corrispondono agli effettivi dati di questo mercato, la cui evoluzione sarebbe influenzata da una molteplicit� di fattori diversi, di carattere strutturale e congiunturale. In particolare, esse fanno carico alle ricorrenti di aver scelto arbitrariamente il prezzo rappresentativo del grano tenero e del grano duro, al fine di giungere al rapporto di prezzo 100: 110 che esse qualificano � esatto �. 36. -La Corte ritiene che gli argomenti svolti dalle ricorrenti non sono di natura tale da mettere in discussione la legittimit� degli atti del Consiglio e della Commissione che sono all'origine dei ricorsi. 37. -� opportuno ricordare che, nella determinatlone della loro politica in materia, le istituzioni comunitarie competenti godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda non solo la fissazione delle basi di fatto della loro azione, ma anche .la definizione degli scopi perseguiti nell'ambito delle previsioni del Trattato, e la scelta degli opportuni strumenti d'azione. 38. -Quanto al primo mezzo delle ricorrenti, si deve osservare che le considerazioni relative alla situazione del mercato mondiale e del mercato comunitario non consentono di discernere un errore manifesto nella valutazione che la Commissione e il Consiglio hanno fatto dei dati esistenti sul mercato mondiale e delle condizioni di produzione che caratterizzano il mercato comunitario. In particolare, non si pu� considerare come un dato costante la constatazione fatta dalla Corte, nella sentenza 13 novembre 1973, relativamente ai rispettivi costi di produziont< del grano tenero e del grano duro all'epoca considerata. 39. -Quanto all'obiettivo economico perseguito dal Consiglio nella l�issazione dello scarto fra il prezzo d'entrata del grano duro e il prezzo del grano tenero, neppure sotto questo aspetto si pu� riconoscere, tenuto conto dello stato cronicamente eccedentario della produzione di grano tenero e della necessit� di stimolare la produzione comunitaria di grano duro, un superamento del margine di valutazione politica delle istituzioni nella determinazione della differenza fra i livelli di prezzo. Poich� la scelta effettuata dal Consiglio rientra nell'ambito del legittimo esercizio del suo potere discrezionale, le ripercussioni di questa decisione di carattere politico-economico devono essere accettate dai fabbricanti di prodotti derivati, cos� come devono esserlo da parte dei vari gruppi di _produttori interessati. 40. -Il fatto che, prima dei cambiamenti intervenuti nel 1974 nella situazione del mercato mondiale, il Consiglio abbia seguito per un lungo periodo una politica diversa non crea, per i produttori e le imprese di trasformazione interessate, un diritto al mantenimento dei vantaggi ch'essi hanno eventualmente tratto da tale politica; questo fatto non costituisce 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ., nemmeno, per la Commissione ed il Consiglio, una limitazione della li bert� di adattare la loro politica a seconda dell'evoluzione dei dati del mercato e degli obiettivi perseguiti. � sufficiente rinviare, al riguardo, alle sentenze 13 novembre 1973 (gi� citata, punto 12 della motivazione) e 2 giugno 1976 (cause 56-60/74, Kampffmeyer e a., Racc. pag. 711, punto 13 motivazione). In particolare, ,l'intenzione manifestata nell'ottavo punto del preambolo del regolamento n. 2727/75 non pu� essere considerata come espressione di una norma giuridica che le istituzioni fossero necessariamente tenute ad osservare in seguito. 41. -Quanto all'argomento basato sull'art. 39, n. 1, lett. e), del Trattato, va osservato in primo luogo che, in conformit� ad una conso�idata giurisprudenza della Corte, le istituzioni devono conciliare i vari obiettivi definiti dall'art. 39, senza ch'esse possano isolarne up.o, come fa stabilizzazione di certe posizioni acquisite, in modo da rendere impossibile la rea: lizzazione di altri scopi, quali, all'occorrenza, trattandosi di una derrata deficitaria come il grano duro, lo sviluppo razionale della produzione agricola e la sicurezza degli approvvigionamenti. 42. -Per quanto riguarda il secondo ed il terzo mezzo, basati sul di� vieto di discriminazione e sulle norme relative alla formazione dei prezzi agricoli, di cui all'art. 40, n. 3, i relativi argomenti non possono essere accolti nel contesto di un'organizza:zJione comune di mercato basata sulla libert� degli scambi nell'ambito di un regime comune dei prezzi alla pro� duzione. Questa organizzazione consente a tutti coloro che usano il grano� duro di approvvigionarsi a parit� di condizioni, sia che si tratti di materia prima, sia che si tratti di un prodotto derivato come la semola, con riser� va della preferenza comunitaria che si esprime nel divario tra il prezzo d'fatervento e il prezzo d'entrata. Quest'ultimo punto non � comunque in discussione nella presente causa. 43. -Col quarto mezzo, basato sulla violazione del principio detto di �proporzionalit��, le ricorrenti sostengono che, nel determinare gli strumenti per la disciplina del mercato, il Consiglio ha scelto un mezzo -la fissazione del prezzo del grano duro al livello indicato -che le avrebbe ingiustamente danneggiate. 44. -In proposito si deve osservare che, di per s�, il ricorso ad una differenziazione dei vari prezzi amministrati dalla Comunit� sembra un mezzo particolarmente adeguato al sistema generale dell'organizzazione di mercato ed all'obiettivo perseguito nella fattispecie, cio� lo sviluppo della coltivazione del grano duro onde giungere ad una mig1iore struttura complessiva della produzione comunitaria. A ragione le istituzioni convenute hanno sostenuto che le soluzioni preconizzate dalle ricorrenti sono inaccettabili, essendo l'una -cio� la differenziazione del prezzo d'entrata RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nel sud e nel nord della Comunit� -incompatibile con l'unit� del mercato, l'altra -cio� l'estensione degli aiuti alla coltivazione del grano duro -contraddittoria in un regime di economia di mercato e, inoltre, eccessivamente onerosa per la collettivit�. 45. -Si deve quindi concludere che, lungi dall'aver provato una � grave violazione di una norma superiore intesa a tutelare i singoli �, i ricorrenti non so~o riusciti a dimostrare alcun illecito commesso dal Consiglio o dalla Commissione. Sul danno e sul rapporto di causalit� 46. -Le ricorrenti pretendono dalla Comunit� le seguenti somme a titolo di risarcimento danni: D.M. 1.786.047,50 (causa 197/80); D.M. 1.087.692,80 (causa 198/80); D.M. 910.850,70 (causa 199/80); D.M. 1.020.524 (causa 200/80); D.M. 2.204.106,30 (causa 243/80); D.M. 260.172,78 (causa 245/80) e D.M. 967.750 (causa 247/80). 47. -Esse calcolano il danno lamentato moltiplicando i quantitativi di semola venduti ai fabbricanti di paste per la differenza tra quello che esse considerano come � il prezzo giusto � del grano duro e il prezzo di importazione risultante dall'applicazione dei regolamenti comunitari, previa detrazione dell'importo che dicono di aver ripercosso sui loro acquirenti. Esse sottolineano che questo calcolo non tiene conto del loro mancato guadagno, e neanche della riduzione della loro attivit�. 48. -La ricorrente Birkel elabora un analogo conteggio, richiamando inoltre l'attenzione sul fatto che essa non � stata in grado di ripercuotere sugli acquirenti dei suoi prodotti l'importo eccedente il � prezzo giusto �. 49. -Le istituzioni convenute considerano inammissibile questo sistema di calcolo, perch� basato su un dato -il � prezzo giusto� del grano duro -scelto arbitrariamente dalle ricorrenti. Inoltre, e questo punto � stato sviluppato pi� ampiamente dalle federazioni che sono intervenute a loro sostegno, esse contestano l'esistenza di un rapporto di causalit� tra il danno lamentato e la fissazione dei prezzi da parte del Consiglio e della Commissione. A loro avviso, la vera causa di eventuali perdite delle 11icorrenti � da ricercare nel fatto che, a differenza di altri Stati membri, ed in particolare della Francia e dell'Italia, la cui legislazione proibisce l'uso del grano tenero per la fabbricazione delle paste (cosiddetto obbligo di �purezza�), la Repubblica federale di Germania non conosce un tale divieto, cosicch� :i fabbricanti tedeschi sono liberi di PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 268 sostituire a volont� il grano tenero al grano duro nella fabbricazione delle paste alimentari. Poich� questa sostituzione ha l'effetto di deteriorare la qualit� delle paste alimentari, cos� come viene riconosciuto in uno studio prodotto dalle stesse ricorrenti, la mancanza di una legislazione di questo genere nella Repubblica federale di Germania porta ad un peggioramento della Sli.tuazione dell'industria tedesca nella concorrenza con le paste alimentari provenienti da paesi in cui vige l'obbligo �di purezza�. 50. -La Corte ritiene che le ricorrenti non hanno fornito alcun indizio relativo alla effettivit� del danno da esse assertiivamente subito. In proposit� � sufficiente osservare che il sistema di calcolo applicato dalle ricorrenti si basa su un dato -H �prezzo giusto� del grano duro -stabilito in base a considerazioni economiche puramente suggettive, facendo astrazione dal fatto che esse operano in un ambito economico� determinato da un'organizzazione comune di mercato e non nel contesto del mercato mondiale. Inoltre, nei calcoli effettuati a partire da questo dato iniziale intervengono fattori dipendenti, per ciascuna delle imprese interessate, dalla gestione individuale, e come tali incontrollabili. 51. -Quanto alla causalit�, le ricorrenti non sono riuscite a stabilire l'esistenza di un nesso tra gli atti del Consiglio e della Commissione che, a loro avviso, sono all'origine delle perdite da esse registrate e il danno che assumono di aver subito. Due osservazioni sono da fare al riguardo. 52. -Anzitutto, i dati forniti dalle ri~orrenti stesse onde provare la effettivit� del danno dimostrano che il risultato economico della loro attivit� � condizionato da una serie di fattori che dipendono dalla gestione industriale e commerciale di ciascuna impresa e che, in quanto tali, oltre ad essere incontrollabili, come � stato detto, non sono imputabili alla Comunit�. 53. -Inoltre, dalle spiegazioni fornite in risposta a quesiti posti dalla Corte � emerso che la causa effettiva delle difficolt� incontrate dalle ricorrenti consiste in primo -luogo nella mancanza, nella Repubblica federale di Germania, di una legislazione che prescriva l'uso esclusivo del grano duro per la fabbricazione delle paste alimentari. Va ricordato che una direttiva al riguardo era stata proposta dalla Commissione al Consiglio fin dal 1968, ma che questa proposta non ha avuto seguito (cfr. G.U. n. c 136, pag. 16). 54. -L'adozione di una normativa comune di questo genere, da parte di tutti gli Stati membri, �avrebbe avuto senza dubbio l'effetto di garantire a tutti i produttori di semola di grano duro uno sbocco pi� stabile per la loro merce. In mancanza di una siffatta normativa nella Repubblica federale di Germania ed in altri Stati membri, la sostituzione, nella fabbricazione di paste, di una certa proporzione di grano tenero al grano duro, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 269 con conseguente riduzione di attivit� per i mulini a grano duro, � una conseguenza ineluttabile della situazione legislativa esistente in questi Stati. La Comunit� non ha alcun obbligo, nel determinare la sua politica dei prezzi in materia di cereali, di fissare i prezzi del grano duro e del grano tenero in modo che il loro reciproco rapporto impedisca questa sostituzione l� dove essa � legalmente consentita. Solo l'armonizzazione delle legislazioni nazionali potrebbe porre rimedio alla difficolt� segnalata dalle ricorrenti. 55. -Da queste considerazioni risulta a sufficien2ia che le ricorrenti non sono riuscite a provare l'esistenza di un nesso di causa ad effetto tra la politica perseguita dalle istituzioni comunitarie in materia di fissazione dei prezzi del grano, sancita dai regolamenti contestati, e il deterioramento della loro posizione sul mercato del grano duro o delle paste alimentari. 56. -Da questa analisi si desume che le ricorrenti non hanno provato che sussista alcuno dei presupposti, sopra richiamati, ai quali � subordinata la responsabilit� della Comunit�. I ricorsi devono dunque essere respinti. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, II Sezione, 18 febbraio 1982, nella causa n. 277/80 -Pres. Due -Avv. Gen. Slynn Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano nella causa fra la Societ� italiana cauzioni -S.I.C. -e l'Amministrazione delle finanze dello Stato. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). Comunit� europee -Unione doganale -Transito comunitario -Garante Liberazione -Condizioni. (Regolamento CEE del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, mod. con reg. 25 maggio 1971, n. 1079, art. 35). L'art. 35 del regolamento del Consiglio 18 marza 1969, n. 542, relativo al transito comunitario, integrato dall'art. 1 del regolamento 25 maggio 1971, n. 1079, va interpretato nel senso che, in difetto di notifica dell'avviso di non appuramento al garante da parte dell'amministrazione doganale entro dodici mesi dalla data di allibramento della dichiarazione Tl, il garante, in assenza di comportamento fraudolento da parte sua, � in ogni caso liberato dai suoi obblighi (1). (1) La norma esaminata dalla Corte � riprodotta integralmente nell'art. )5 del regolamento CEE del Consiglio 13 dicembre 1976, n. 222/77, contenente la nuova disciplina del transito comunitario. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 270 (omissis) 1. -Con ordinanza 9 ottobre 1980, pervenuta alla Corte il 12 dicembre successivo, il Tribunale di Milano, Prima Sezione civile, ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione dell'art. 35 del regolamento del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, relativo al transito comunitario (G.U. n. L 77, pag. 1), integrato dal regolamento 25 maggio 1971, n. 1079 (G.U. n. L. 116, pag. 7). 2. -Il regolamento del Consiglio n. 542/69, cos� integrato, che si applica alla fattispecie controversa dinanzi al Tribunale di Milano, istituisce, al fine di facilitare il trasporto delle merci all'interno della Comunit� e, in particolare, di semplificare le formalit� da assolvere all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne, un regime di transito comunitario che, per le merci che non presentano i requisiti di cui agli artt. 9 e 10 del Trattato CEE, � quello del transito comunitario esterno, disciplinato dagli artt. 12-38 del suddetto regolamento. 3. -Ai sensi dell'art. 12, nn. 1 e 3, di tale regolamento, qualsiasi merce, per circolare in regime di transito comunitario esterno, deve costituire oggetto di una dichiarazione compilata su di un modello T1 conforme all'allegato A del regolamento e sottoscritta dalla persona che chiede di effettuare l'operazione di transito, cio� l' � obbligato principale � che, secondo la definizione datane all'art. 11, lett. a), dello stesso regolamento, �Si rende responsabile, nei confronti delle autorit� competenti, della regolare esecuzione di tale operazione �. 4. -L'operazione di transito comunitario esterno inizia, come dispone l'art. 17 del regolamento, con l'allibramento della dichiarazione Tl presso l'ufficio di partenza e si conclude, a norma dell'art. 26, con la spedizione La sentenza della Corte, strettamente aderente aJ testo iletterale delila norma, non elimina ille perplessit� che erano state soJi1evate da.'l Governo itailfono. Poich�, infatti, I'� appuramento � di cui aJJla norma, da un fato indica fopel'azione materi1ale di riscontro che l'ufficio di partenza compie f.ra 11a parte del documento rimasta in suo possesso e la parte che gli viene !'estituita daihl'ufficio di destinazione, e dahl'a:Ltro indica 1l'atto di accertamento deHa regoliarit� dell'operazione, la soluzione data dailila Corte, iITl![lonendo, per tener ferma Ia garanzia, la comunicazione di non appuramento a1 garante non oltre dodici mesi dalil'aililibramento in ogni caso, potrebbe indurre 1a indiscriminate comunicazioni in tal senso in tutti i casi di mero � a'ppuramento � !inteso come operazione di riscontro, in attesa dell'esito pi� o meno lungo deg;li accertamenti suUa regol.adt� dell'operazione, con pari pregiud!izio per le esigenze di certezza del diritto del garante. In precedenza la Corte, con sentenza 17 settembre 1981, neld1a causa n. 136/80, HUDIG ET PIETERS, in Racc., 1198,1, 2233, aveva precisato che la norma in questione si rirerisce solo al garante in soLido di cui al precedente a,rt. 27, n. 3, e non anche all'obbligato principale. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE all'ufficio di partenza, da parte dell'ufficio di destinazione, di un esem� plare della suddetta dichiarazione. 5. -L'art. 27, n. 1, del regolamento, d'altra parte, dispone che �al fine di assicurare la riscossione dei dazi e degli altri diritti e tributi che uno Stato membro sarebbe in diritto di esigere per le mer~i che attraverseranno il suo territorio durante il transito comunitario, l'obbligato principale � tenuto a prestare una garanzia, salvo disposizioni contrarie del presente regolamento �. Il n. 2 dello stesso articolo precisa che �la garanzia pu� essere prestata globalmente per diverse operazioni di tran� sito comunitario, o isolatamente per una sola operazione di transito comunitario �. Il n. 3 stabilisce inoltre che, � fatte salve le disposizioni dell'articolo 33, paragrafo 2, la garanzia consiste in un impegno mediante il quale una persona, fisica o giuridica, stabilita nello Stato membro nel quale la garanzia � prestata e da esso accettata, si costituisce garante in solido�. 6. -L'art. 35, primo comma, del regolamento dispone che: �il ga� rante � liberato dalle sue obbligazioni nei confronti degli Stati membri il cui territorio � stato toccato in occasione del transito comunitario, quando il documento Tl � appurato dall'ufficio di partenza�. A tale disposizione, l'art. 1 del regolamento del Consiglio 25 maggio 1971, n. 1079, ha aggiunto un secondo comma cos� formulato: �Il garante � del pari liberato dalle sue obbligazioni alla scadenza di un periodo di 12 mesi dalla data di allibramento della dichiarazione Tl qualora non sia stato avvisato dall'ufficio di partenza del non appuramento del documento Tl �. 7. -Risulta dall'ordinanza di rinvio che l'attrice nella� causa principale, la Societ� Italiana Cauzioni, Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. (in seguito S.I.C.) ha proposto opposizione avverso l'ingiunzione, notificatale dall'amministrazione doganale, di adempiere gli obblighi ad essa incombenti in quanto garante di tre operazioni di trasporto di carne congelata effettuate il 21 novembre e 21 dicembre 1975 e il 2 gennaio 1976 con bollette doganali modello T1 di cui, successivamente, la polizia tributaria di Milano ha scoperto il carattere fraudolento, essendo stata la terza parte del modello Tl falsificata allo scopo di far credere, contrariamente a quanto avvenuto, che la merce aveva lasciato il territorio italiano. 8. -La S.I.C. deduce la decadenza dell'amministrazione doganale dal diritto a pretendere nei suoi confronti, quale garante, il pagamento dei diritti doganali per le operazioni fraudolente. A suo avviso, essa deve considerarsi liberata dall'obbligo fidejussorio a seguito sia dell'appuramento del documento Tl, regolarmente comunicatole dall'ufficio doga RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 272 nale competente il 13 dicembre 1975, il 30 dicembre 1975 e il 21 gennaio 1976, sia della scadenza del termine di 12 mesi dalla data di allibramento della dichiarazione Tl, trascorso senza alcuna comunicazione, da .parte dell'ufficio di partenza, del mancato appuramento del documento TL 9. -Le autorit� italiane sostengono che l'atto di appuramento basato su documenti falsificati va considerato invalido ed inefficace e, conseguentemente, privo di effetto in ordine alla liberazione del garante ai sensi dell'art. 35, primo comma, del regolamento n. 542/69, che pu� derivare soltanto da un valido atto di accertamento positivo della rispondenza tra la copia del documento T1 dell'ufficio di partenza e quella dell'ufficio di destinazione. 10. -Per quanto concerne la liberazione del garante nell'ipotesi contemplata dall'art. 35, secondo comma, del regolamento n. 542/69, le autorit� italiane deducono che, qualora il documento Tl sia stato appurato in tempo utile, cio� prima della scadenza del termine di 12 mesi dalla data di allibramento della dichiarazione Tl, tramite l'operazione materiale di riscontro, i cui presupposti sostanziali tuttavia si rivelino successivamente insussistenti, l'amministrazione doganale non deve pi� incorrere nella decadenza comminata da tale disposizione. 11. -A parere delle autorit� italiane, a meno di obbligare l'amministrazione doganale a svolgere lunghe indagini e operazioni di controllo e di costringerle ad avvisare sistematicamente il garante del non appuramento del documento Tl, e ci� in contrasto con la finalit� perseguita con l'adozione del regolamento n. 1079/71, l'atto di appuramento risultato succ~ sivamente invalido deve essere privo di efficacia liberatoria nei confronti del garante, ed il secondo comma dell'art. 35 del regolamento n. 542/69 �, in tal caso, inapplicabile. 12. -Al fine di risolvere tale problema il Tribunale di Milano ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Se con riguardo all'art. 35 del regolamento CEE n. 542/69 del 18 marzo 1969, cos� come integrato dall'art. 1 del regolamento CEE n. 1079/71 del 25 maggio 1971, l'Amministrazione finanziaria, al fine di cconservare la garanzia contemplata nella norma medesima, abbia in ogni caso l'onere di avvisare, entro 12 mesi dalla data di allibramento della dichiarazione Tl, circa il non appuramento di quest'ultimo documento �. 13. -Si deve constatare che l'art. 35 del regolamento del Consiglio n. 542/69, integrato dal regolamento del Consiglio n. 1079/71, mira ad assi �Curare la certezza del diritto alle persone che si rendono garanti delle operazioni di transito ai sensi del regolamento di cui trattasi, disponendo in particolare la loro liberazione allo scadere del periodo di 12 mesi dalla PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE data di allibramento della dichiarazione di transito comunitario qualora esse non abbiano ricevuto l'avviso di non appuramento del documento Tl da parte dell'ufficio di partenza. Tale efficacia liberatoria, connessa con la scadenza del termine suddetto, analogamente all'efficacia liberatoria dell'avviso di appuramento, non � subordinata ad alcuna altra condizione. 14. -Risulta d'altronde dal testo dell'art. 35. del regolamento n. 542/69, integrato dal regolamento del Consiglio n. 1079/71, che, nel contesto della funzione attribuitale nel sistema istituito dall'art. 35 del regolamento n. 542/69, la notifica dell'avviso di appuramento non pu� n� ostare alla liberazione del garante, n� tener luogo di un avviso di non appuramento del documento Tl e produrre, cos�, un effetto opposto a quello espressamente collegato a tale formalit� dalla norma di cui trattasi. 15. -Ne consegue, quindi, salve restando le conseguenze che un comportamento fraudolento del garante stesso avrebbe comportato in ordine alla liberazione dagli obblighi .incombentigli -ipotesi estranea alla questione sottoposta alla Corte -che il garante � automaticamente liberato per effetto del semplice fatto della scadenza del termine di 12 mesi, intervenuta senza che sia stato notificato l'avviso di non appuramento. 16. -La questione sollevata dal Tribunale di Milano dev'essere quindi risolta come segue: l'art. 35 del regolamento del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, relativo al transito comunitario, integrato dall'art. 1 del regolamento 25 maggio 1971, n. 1079, va interpretato nel senso che, in difetto di notifica dell'avviso di non appuramento al garante da parte dell'amministrazione doganale entro dodici mesi dalla data di allibramento della dichiarazione Tl, il garante, in assenza di comportamento fraudolento da parte sua, � in ogni caso liberato dai suoi obblighi. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 maggio 1981, n. 3409 -Pres. Rossi - Rel. Panzarani -P. M. Berri (concl. cont.) -Vargas (avv. Boldrini) c. Ministero Pubblica IstrtlZJione (Avv. Stato Mari). Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Univer sit� -Precari -Trattamento economico -Controversie -Giurisdizione ordinaria. (cod. civ., artt. 2041, 2042, 2126; legge 26 gennaio 1962, n. 16, art. 5; d.!. 23 dicem bre 1978, 11� 817; legge 19 febbraio 1979, n. 54). In relazione al personale precario delle Universit�, l'art. unico del d.l. 23 dicembre 1978, n. 817 conv., con modificazioni, nella legge 19 febbraio 1979, n. 54 prevede la nullit� e l'improduttivit� di qualunque effetto d~lle assunzioni e dell'affidamento dei compiti istituzionali in violazione della vigente legislazione universitaria e comporta che, per le prestazioni di insegnamento universitario che siano state effettuate senza incarico od in base ad incarico viziato per contrasto con la suddetta legislazione, si configuri un'attivit� di mero fatto non ricollegabile ad un rapporto di lavoro subordinato (n� pubblico, n� privato); in relazione a tale rapporto � data tutela all'interessato mediante l'azione generale di arricchimento devoluta alla giurisdizione dell'A.G.O. (1). Con l'unico motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 409 cod. proc. civ. Censurando la declaratoria del Pretore e le argomentazioni poste a base cli essa; la ricorrente medesima, premesso che gli incarichi d'insegnamento che la riguardano sono stati svolti sotto forma di lavoro subordinato in virt� di titoli invalidi e inefficaci ovvero mancanti, osserva che tale rapporto, se non appartiene alla giurisdizione amministnativa, necessariamente rientra nella competenza per materia del giudice del lavoro a norma dell'art. 2126 cod. civ. e 409, n. 5 cod. proc. civ., posto che tale competenza sussiste ogni qual volta vi sia svolgimento di attivit� lavorativa e venga chiesta la retribuzione in base all'art. 36 della Costituzione. Tanto premesso, si osserva che la questione relativa alla giurisdizione a conoscere la presente causa risolta dal Pretore di Camerino nel senso della sua appartenenza all'autorit� giudiziaria ordinaria (ma con esclu (1) La sentenza delle SS.UU. si pone nelforientamento giurisprudenziale conforme della cassazione per il quale cfr. Cass. '16 marzo 1981, n. 1484 iin Giust. civ. 1981, I, 1630 (nota di Vallebona). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU . QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sione delJa competenza del giudice del lavoro) -necessariamente si ripropone in questa sede e la sua soluzione -dati anche [ termini della controversia stessa e le ecceziond svolte dal Ministero della Pubblica Istruzione e dall'Universdt� -costituisce indefettibile punto pregiudiziale a1 fini di ogni eventuale statuizione sulla competenza. I) Si rileva in proposito come sia incontroverso che la Vargas ebbe a svolgere presso l'Universit� di Camerino attivit� lavorativa avente ad oggetto l'insegnamento della lingua spagnola e ci� durante tre anni accademici, dal 1975 al 1978, lllon percependo una regolare retribuzione ma soltanto Ia compleSJsiva somma di L. 2.290.000 (non avendo in questa sede rilievo ogni altra questione circa l'effettiva entit� e frequenza delle suddette prestazioni). Emerge peraltro che i conferimenti dei relativi incarichi annuali sono stati effettuati, per gli anni 1975-76 e 1976-77, in base ad atti per i quali � mancata l'apposizione del visto da parte della competente Jelegazione regionale della Corte dei conti, che per di pi� la deliberazione concernente l'anno accademico 1976-77 � stata altres� annullata con decisione del 19 maggio 1976 del Tribunale amministrativo regionale delle Marche, e che quella viguavdante l'anno accademico 1977-78 non � stata addirittura neppure seguita dal provvedimento rettorale. Al riguardo deve innanzi tutto notarsi che il controllo preventivo della Corte dei conti -che si sostanzia neff.applicazione del visto e nella conseguente registrazione dell'atto (artt. 17 ss. del r.d. 2 luglio 1934, n. 1214) -avendo la funzione delJ'accertamento della .legalit� dei provvedimenti amministrativi per i quali sia nichiesto, pur rimanendo estrinseco., al relativo procedimento di formazione, tuttavia ne condiziona completamente l'efficacia e l'esecutivit�. Peraltro, il rifiuto del visto da parte del suddetto organo comporta la necessit� di un'apposita deliberazione del Governo ai fini del visto �con riserva� (art. 1 n. 11 del R.D. 14 novembre 1901, n. 466 e art. 25 commi 1 e 2, del R.D. n. 1214 del 1934 cit.), il che ulteriormente conferma che l'atto amministrativo per il quale il visto sia ricusato non pu� di per s� stesso avere alcuna efficacia, laddove non va dimenticato che, in particolare per i provvedimenti di nomina e promozione di pubblici impiegati comportanti illegittime spese perch� adottati oltre i limiti degli organici, il �rifiuto de11a registrazione ha carattere assoluto e di annullamento (art. 25, comma 3, lett. b, dello stesso R.D. n. 1214). D'altra parte, con riguardo alla fattispecie, la mancata apposizione del visto della Corte dei conti ha specifica rilevanza, al postutto, solo per il decreto rettorale relativo all'anno accademico 1975-76 (sul controllo preventivo in ordine agli atti di conferimento degli incarichi di inse gnamento universitario, cfr., l'art._ 5, comma 5, della legge 26 gennaio 1962, n. 16); ed infatti la legittimit� dell'analogo provvedimento concernente iI successivo anno accademico � venuta meno in conseguenza dell'annullamento della relativa delibemzione del Consiglio di facolt� da parte del Tribunale amministrativo, mentre per il terzo anno, come si � ancora ri 276 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cordato, � del tutto mancato siffatto provvedimento talch� non si � neppu, r perfezionato il procedimento amministrativo previsto dal suddetto art. 5 della legge :n. 16 del 1962. II) La situazione della ricorrente �, pertanto, quella di un soggetto che, nei riguardi di un .ente pubblico non economico qual'� l'Universit� (cfr. al riguardo, ancora recentemente, p. es. la sentenza di queste Sezioni Unite 19 marzo 1979, n. 1585; sulla natura delle Univernit� statali e degli altri tistituti statali d'~struzione superiore quali organi dello Stato muniti di personalit� giuridica, cfr. poi la sentenza 28 giugno 1975, n. 2546), abbia svolto attivit� Javorativ�a nell'assenza di un idoneo atto di nomina ovvero di atti equipollenti ad esso. Si potrebbe in proposito discutere -e se ne discute fra Je parti se il rapporto .intercorso tra 1a Vargas e l'Universit� di Camerino, il quale -com'� ormai chiaro -non trova riscontro in provvedimenti va lidi ed efficaci e si � svolto in via di mero fatto, possa tuttavfa compor tare pur sempre il cosiddetto inserimento del soggetto nell'organizzazione universitaria e sia perci� ugualmente configurabile come rapporto di pub blico impiego; e se invece, nell'!impossibilit� di dare una risposta afferma tiva ail predetto quesito, debba ritenersi configurabile la fiattispecie pre vista daJl'art. 2126 cod. civ. e se quindi le ragioni dedotte in giudizio dalla stessa Vargas possano trovare tutela in base a questa norma. Ma l'esigenm di dare una risposta a tali questioni risulta superata, e pertanto la relativa indagine � ormai irnilevante e superflua, 1al1a stregua delle recenti disposizioni in materia di 1inca11ichi al pernonale precario delle universit�. III) In proposito si osserVJa invero che l'art. unico dal d'1. 23 dicem bre 1978, n. 817 -contenente norme transitorie per il personaJe preca rio -ha sanzionato, al comma 12, (ribadendo un principio che era stato introdotto nel comma 12 dell'art. 12 del d.l. 21 ottobre 197.S, n. 642 la cui efficacia era venuta meno per mancata conversione in legge nel termine di cui all'art. 77 Costituz.) La nullit� di diritto dell'assunzione di personale o dell'affidamento di compiti istituzionali effettuati in viola zione del1a vigente legislazione un!iversitacia nonch� dello stesso decreto e l'esclusione della produzione di alcun effetto a carico dell'amministrazio ne salva, al riguardo, la responsabilit� personale e solidale, per le somme conseguentemente erogate, dei docenti, de!i funzionavi, e degli organi delle � singole amministrazioni universitarie. In sede di conversione dn legge avvenuta con l'art. unico della legge 19 febbraio 1979, n. 54 -tale dispo sizione � stata sostituita nel senso che � restano ferme le nullit� di diritto e l'assoluta improduttivit� di qualunque effetto e conseguenza nei con fronti dell'amministrazione dell'assunzione di personale e dell'affidamento di compiti istituzionali effettuati in violazione della gi� vigente legisla zione universitaria ovvero di quanto previsto nel (...) decreto, salve le PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 277 responsabilit� disciplina11i, amministrative e penali dei docenti e deg1i altri funzionari responsabili delle violazioni� (disposizione questa riprodotta poi nell'art. 123, comma 2, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 sul :riordinamento de11a docenza unJversitaria emanato in baise alla legge delega 21 febbraio 1980, n. 28). Da tali norme emerge pertainto l'intento del legislatore, nel dare un nuovo assetto .ai rapporti del personale precario delle Universit�, di escludere del tutto, nei confronti della Pubblica Ammirnistrazione, l'ipotizzabilit� degli effetti giuridici normalmente ricollegabili a rapporti d'impiego ancorch�� soltanto de facto qualora tale situazione abbia tratto origine da incarichi conferii.ti attraverso procedimenti non conformi a legge. E che la surriportata disposizione della legge n. 54 del 1979 sia operativa anche per illcarichi pregressi si evince chiaramente, tra l'altro, dal riferimento (,a differenza che nci decreti legge n. 642 eri. 817 del 1978 cit.) anche alla precedente legislazione universitaria. Una tale efficacia retroattiva � stata peraltro affermata da parte di queste Sezioni Unite nelle recentissime decisioni dal n. 1484 al n. 1501 del 16 marzo 1981 nelle quali si � ancora rilevato che lo scopo della disposizione stessa (che, per un verso, ha adottato provvedimenti generali di sistemazione del personale precario) � stato quello di troncare in modo definitivo le controversie relative al passato, osservandosi ancora come argomento contrario non possa essere tratto dalla normativa di cui alla surricordata successiva legge delega ~art. 12 lett. d) demandante al Governo fabrogazione di ogni altra disposizione che consenta di assumere od utilizzare, a qualsiasi titolo, personale non previsto nella legge stessa, trattandosi di norma di portata pi� ampia; riguardante le situazioni future ed avente una funzione di copertura di eventuali casi sfuggiti alla precedente disciplina. La conseguenza dJ tutto ci� non pu� essere, quindi, che l'inammissi� bilit� dell'azione diretta a far valere diritti comunque fondati sul presupposto deLl'esffistenz.a di un rapporto di lavoro subordinato rispetto a coloro che siano stati irregolarmente immessi nelle Universit�, vale a dire o con atti non conformi a legge ovvero addirittura nella mancanza di essi: la suddetta norma del 1979 ha reso pertanto non proponibile la azione giudiziar1a da parte di tale personale, anche nell'ipotesi in cui essa si ricolleghi alle disposizioru di cui all'art. 2126 cod. civ. e venga dedotto l'espletamento di attivit� lavorativa ill via meramente di fatto, situazione questa uJtima che nella fattispecie ricorre nei confronti della Vargas dato che -per quanto si � sopra detto -gli 1incarichi non sono stati a lei conferiti nell'osservanza di tutte le disposizioni di cui all'art. 5 della legge 26 gennaio 1962, n. 16. �. IV) L'operativit� della suddetta norma di �sbarramento� della legge n. 54 del 1979 e la conseguente inammissibilit� di azioni che -compresa quella ex art. 2126 cod. civ. -presuppongano il prodursi degli effetti tipici del rapporto di lavoro subordinato, non consentono tuttavia di concludere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che l'attivit� lavorativa della ricorrente costituisca un fatto giuridicamente irrilevante giacch� la relativa tutela pu� pur sempre essere realizzata attraverso La sussidial'ia azione generiale di ar.ricchimento senza causa, di cui agli artt. 2041-2042 cod. civ., che come � noto, la dottrina amministrativistica e la consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema pienamente ammettono, nell'applicazione dei canoni di diritto comune, anche nei confronti della Pubblioa Amministrazione che abbia comunque utilizzato l'opera o l'�attivit� del terzo e ne abbia in tal modo riconosciuto. -anche implicitamente -r1a utilit� (sull'argomento, cfr. p. es. le sentenze 12 luglio 1974, n. 2090, 7 giugno 1974, n. 1688, 17 novembre 1975, n. 3852, 17 gennaio 1976, n. 523 e 28 giugno 1976, n. 2446). In tal senso si sono pronunciate, del resto, queste Sezioni Unite nelle gi� ricordate sentenze nn. 1484-1501 del 1981 che, proprio nella applicazione di tale dstituto giuridico, hanno riavvisato il criterio per escludere possibili dubbi circa la oostituzionaJ.it� del1a suddetta norma del 1979 in relazione ai principi di cui agli artt. 3 e 36 della Costitu2lione. Si � peraltro in ta1i decision.i rilevato, in particolare, il riferimento espresso nella suddetta norma alle (sole) ipotesi dell'assunzione illegittima di personale e dell'affidamento di mansioni lavorative, il che lascia salva la suddetta azione di arricchimento Ja cui portata generale e sussidiaria depone in fovore della sua esclusione dalla sanzione di inefficacia comminata dalla norma di � sbarramento �, dovendosi inoltre vitenere che il carattere di tale azione � tale che non pu� ipotizzarsi una sua improponibilit� ove la legge non lo disponga espressamente. Colui peroi� che abbia prestato in favore di un'Universit� attivit� lavorativa in rdip�ndenza della quale non gli spetti iJ trattamento economico proprio del pubblico impiego, ha pur sempre diritto alla tutela in parola, in relazione all'ar~icchimento che l'ente abbia lucrato a suo danno, non potendosi dubitare dell'esistenza di esso ove sia stata la stessa Universit� a sollecitare quelle determinate p11estazioni attraverso i suoi organi e ove il soggetto sia stato di fatto utilizzato in sostituzion~ di altro personale, di� ruolo o mancante ovvero impiegato altrimenti. N� va dimenticato -si � affermato nelle richiamate decisioni -che tra le varie possibili interpretazioni di una norma, � doveroso preferire c:iuella conforme alla lettera ed allo spirito della Costituzione. Il principio di tutela di lavoro, in tutte le sue forme ed applicazioni, sancito dall'art. 35, comma l, della Costituzione stessa, non consente invero che l'attivit� lavorativa, da chiunque svolta nei confronti di un soggetto consenziente, non sia da questi compensata e non possa quindi essere dedotta quale causa petendi di domanda giudiziale, �almeno nena residuale forma deLla suddetta azione generale di arricchimento, salva poi ovviamente la valutazione della sua fondatezza da parte del competente giudice ordinario, trattandosi invero di controv�ers.ie aventi per oggetto posizioni di diritto soggettivo (cfr. anche su tale punto, le richia PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 279 mate sentenze nn. 1484-1501 del 1981). Va ancora osservato che Jo stesso giudice, nel determinare l'ammontare dell'indennizzo, dovr� tener conto, ai fini della comparazione fra il vantaggio ricevuto dalla Pubblica amministrazione e la diminuzione patrimoniale subita dal lavoratore (e ci� per l'adozione del criterio di cui al primo comma dell'art. 2041, cod. civ.), dell'intrinseco valore quantitativo e qualitativo della suddetta attivit� onde stabilire quale sia stato per il lavoratore stesso il relativo costo in termini economici e quindi, secondo la terminologia usata in subiecta materia, l'effettiv? depauperamento da lui risentito. In tali termini e per talli ragioni -diverse da quelle enunciate dal Pretore -dovendosi ammettere l'esperibilit� dell'azione generale di arricchimento, in ordine alla presente controversia va dichiarata fa giurisdizione del giudice ordinario e la competenza, non gi� del giudice del lavoro non essendo la controversia stessa riconducibile -nella manoata produzione degli effetti tipici di un rapporto di lavoro -alle previsioni di cui all'art. 409, cod. proc. civ., sub art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533, bens� del Tribunale di Ancona; ci� tenuto conto del valore della controversia medesima e della sede dell'Avvocatura distrettuale dello Stato (art. 6 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 10 giugno 1981, n. 3758 -Pres. G. Rossi -Rel. Bile -P. M. Fabi (conci. cont.) -ENPAS (Avv. Stato Laporta) c. Naccarati (Avv. De Luca Tamajo). Giurisdizione civile -Impiego pubblico -Indennit� di buonuscita -Riliquidazione -Giurisdizione escluska del giudice amministrativo � Giudizi pendenti -Estinzione -Questione manifestamente infondata di costituzionalit�. (Cost., artt. 3, 24, 25, 104, 113; cod. proc. civ., art. 5; I. 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). � manifestamente infondata la questione di costituzionalit� dell'articolo 6 legge n. 75/1980, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla �giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di indennit� di buonuscita e di cessazione relative al personale statale e l'estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa (1). (1) La sentenza � pubblicata con nota di C. M. BARONE, d.n Foro it., 1981, Il, 2158. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 24 giugno 1981, n. 4108 -Pres. La Farina - Rel. Fanelli -P. M. Saja (concl. cont.) -Ministero Tesoro (Avv. Stato Freni) c. La Porta e Rizzo. Giurisdizione civile -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Impiego pubblico -Ente zolfi italiani -Controversie d'impiego -Giurisdizione ordinaria. (cod. proc. civ., art. 409; legge 2 aprile 1940, n. 278). Appartiene alla giurisdizione dell'A.G.O. la controversia relativa al rapporto di impiego fra l'Ente zalfi italiani ed un suo dipendente (il Ministero del Tesoro agisce in giudizio quale liquidatore dell'Ente) (1). (1) Per un riferimento, in motivazione, cfr. Cass. 26 marzo 1965, n. 513 in Foro it. 1966, I, 366 con osservazioni di A. LENER. SuHa clistmione fra ente pubblico non economico ed economico cfr. in particolare Cass. 5 agosto 11977, n. 3'520 dn Foro it. 1978, I, 694 e 14 ottobre 1980, n. 5503 ivi 1980, I, 2947. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 luglio 1981, n. 4557 -Pres. Rossi - Rel. Schermi -P. M. Fabi (diff.) -Sacc� ed altri (avv. De Luca) c. Assessorato Reg. per l'Agricoltura e Foreste della Reg. Siciliana (avv. Stato Carbone). Caccia -Provvedimento amministrativo -Divieto assoluto di caccia Domanda di risarcimento danni -Difetto assoluto di giurisdizione. Caccia � Provvedimento amministrativo � Vizi di legittimit� � Interesse legittimo -Giurisdizione amministrativa -Attivit� materiale � Danno a terzi � Diritto soggettivo � Giurisdizione ordinaria. Emanato un provvedimento amministrativo di divieto generale ed assoluto di caccia, l'ordinamento giuridico non appresta alcuna protezione n� immediata e diretta n� riflessa all'interesse del proprietario di un terreno sito in una zona popolata da selvaggina particolarmente nociva per l'agricoltura, a conseguire, attraverso il libero esercizio dell'attivit� venatoria, la distruzione o la riduzione della selvaggina stessa, con la conseguente totale o parziale eliminazione del danno relativo. (1) Soltanto l'esistenza di vizi di legittimit� inficianti il provvedimento amministrativo configurerebbe, in favore del proprietario del fondo, un interesse legittimo, collegato al diritto di propriet�, legittimante il ricorso (1-2) Decistlone da condividere solo parzialmente. In precedenza l'impro'. ponibilii.t� assoluta della domanda di risarcimento ne1fipotesi in questione era stata ritenuta da Cass. Sez. Un. 19 ottobre 1956, n. 3764. Comunque, preci� sato che nehla specie era ,stato .istituito un �divieto di caccia� ai sensi del- I !i PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 281 in sede giurisdizionale amministrativa al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento medesimo. Quando per�, nell'esecuzione del provvedimento, vengano usati anche mezzi non strettamente necessari al fine di far rispettare il divieto e tali che, impedendo o rendendo pi� difficoltoso al proprietario del fondo l'apprestamento dei mezzi diversi dall'esercizio della caccia; siano idonei a difendere le colture in atto dagli animali nocivi, l'uso di tali mezzi si traduce in una mera attivit� materiale che, essendo al di fuori dell'ambito dell'esercizio del potere discrezionale per l'attuazione di interessi pubblici, se causativa di danni ai proprietari dei fondi va qualificata come illecita, in applicazione del principio del neminem laedere, e corrisponde quindi ad una posizione di diritto soggettivo, per cui la controversia tra il privato e la pubblica amministra� zione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (2). Va esaminata e risolta anzitutto, prima di passare all'esame (eventuale) dei motivi di ricorso, la questione pregiudiziale circa la sussistenza o meno della giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda proposta dal Sacc�, dal Lupo e dall'Emanuele contro l'Assessorato per l'Agricoltura e Je Foreste della Regione Siciliana ed il Comitato della caccia di Catania; diretta, tale domanda, ad ottenere la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento del danno consistente nella distruzione deH.e colture nei fondi degli attori ad opera dei conigli selvatici, 11apportato eziologicamente all'esecuzione del decreto assessorile 23 agosto 1966, che gli attori, odierni ricorrenti, hanno interpretato, ed interpretano anche in questa sede, come costitutivo di una �zona di ripopolamento e cattura � di selvaggina con conseguente divieto di caccia, mentre i giudici di primo e di secondo grado non hanno preso posizione sul problema interpretativo se con quel provvedimento amministrativo fosse stata costituita una � zona di ripopolamento e cattura �, a norma degli artt. 52, 53 e 54 del t.u. 5 giugno 1939, n. 1016, oppure fosse stato imposto un �divieto generale ed assoluto di caccia�, a norma dell'art. 23 dello stesso t.u. Giurisdizione del giudice ordinario, in relazione a tale domanda, che � stata esclusa dal Tribunale di Catania, con dichiarazione di improponibilit� della domanda; la cui decisione � stata confermata dalla Corte di Catania (con diversa motivazione). Poich� si tratta di questione di giurisdizione, che in questa sede va esaminata e risolta di ufficio, il Collegio ha il potere di compiere, a tale fine, indagini di fatto, sulla base degli atti acquisiti in causa. Indagini di l:'art. 23 del t.u. n. 1016 de~ 1939, norma di azione attributiva alfa P.A. di un potere per il raggiung.fu:nento di uno scopo dri pubbHco generale interesse, sembra doversi riitenere che, di fronte a tale potere, i proprietari dei fondi fossero tito1ari di un iinteresse '}egittimo, per la cui tute1a dovevano essere aditi gli organi de11a g;iurisdizione amministrativa e per ~a cui 'lesione non � ammissibile -iJ risarcimento del danno. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO fatto che, nella specie, consistono nell'interpretazione del suddetto decreto assessoriale, al fine di determinarne il contenuto, nelle alternative ipotizzabili (ed in effetti ipotizzate in causa) di costituzione di una �zona di ripopolamento e cattura � o di imposizione di un � divieto generale ed assoluto di caccia �. Il decreto assessoriale di che trattasi fu preceduto -come si � visto nella precedente narrativa -dal decreto 28 luglio 1966, emesso dall'Assessore per l'Agricoltura e le Foreste della Regione Siciliana su proposta dei Comitati della caccia de11a Sicilia; con il quale furono date le disposizioni costituenti H calendario venatorio 1966/67 e si stabil� a:II'art. 13: � La caccia e l'uccellagione sono vietate in modo generale ed assoluto, ai sensi dell'art. 23 del t.u. sulla caccia, nelle localit� appresso specificate provincia per provincia�; determinandosi per la provincia di Catania due zone. Decreto �assessoriale che, per�, non fu pubblicato nehla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana; come sarebbe stato necessario a norma dell'art. 13 dello stesso t.u.; onde ,1a �sua non obbligatoriet� per i destinatari. Il successivo decreto assessoriale 23 agosto 1966 (emesso su richiesta del Comitato della cacoia di Catania), intitolato: �Modifica al calendanio venatorio 1966/67 per la provincia di Catania�, dopo aver richiamato varie disposizioni di legge, tra cui il t.u. 5 giugno 1939, n. 1016, nonch� il decreto assessoriale 28 luglio 1966, cos� disponev:a all'art. 1: �Nella provincia di Catania, alle " Zone 23 " precisate nel Calendario venatorio 1966/67, emanato con D.A. n. 66 del 28 luglio 1966, v.iene inclusa una nuova "Zona 23 ", la terza, in agro dei Comuni di Motta S. Anastasia e Misterbianco�, indicando poi Je contrade comprese nella zona e la delimitazione di questa. Il quale decreto fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana (pubb1icazione disposta dal successivo art. 2; mentre l'art. 3 incaricava H Comitato della caccia di Catania dell'esecuzione del medesimo decreto). Gli attori in causa, odierni ricorrenti, dedussero nel g.iudizio di merito, e sostengono anche in questa sede di Jegittimit�, la .inefficacia e non obbligatoriet� del decreto assessoriale 23 agosto 1966 (nella cui terza �Zona 23 � erano compresi i fondi di loro propriet�) perch� richiamava e si inseriva nel precedente decreto assessoriale 28 luglio 1966, inefficace e non obbligatorio essendone mancata la pubblicazione. Pi� precisamente -secondo il loro assunto, rettamente interpretato -la disposizione dell'articolo 1 del secondo decreto assessoriale non aveva una propria formulazione autonoma, poich� faceva riferimento, per il suo contenuto, aJ precedente decreto assessor.iale, ed in particolare al provvedimento contenuto nell'art. 13: si trattava, perci�, di un provvedimento, emesso per la zona in esso determinata, il cui contenuto era indicato per relationem, dovendo essere identico a quello di cui all'art. 13 del precedente decreto; onde il difetto di contenuto, mancando l'elemento cui faceva riferimento, ( f, f .............J. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE poich� non era stato pubblicato, e perci� non era conosciuto e non era obbligatorio, il precedente decreto. Assunto, questo, che � destituito di fondamento. L'art. 1 del decreto assessoriale 23 agosto 1966 si limitava, bens�, a disporre, per la provincia di Catania, l'inclusione di una terza � Zona 23 � in aggiunta a quelle precisate nel calendario venatorio 1966/67 emanato con il precedente decreto assessoriale 28 luglio 1966; ma quel decreto deve essere interpretato, al fine di determinarne il contenuto, cio� la portata precettiva, tenendo conto dell'intero suo testo, ove � richiamato, tra le altre disposizioni legislative, il t.u. 5 giugno 1939, n. 1016. Questo richiamo legislativo indica chiaramente che il decreto assessoriale contiene all'art. 1, uno di quei provvedimenti sulla cacaia che la Pubblica amministrazione aveva il potere 'di emanare in base al citato t.u.; e la dizione �Zona 23 �, che non pu� non essere riferita a quel testo legislativo, va interpretata come parte del territorio della provincia dii Catania, delimitata nei suoi confini e con indicazione delle contrade che vi sono comprese, in riferimento alla quale era emanato iJ provvedimento di cui all'art. 23 del richiamato t.u. n. 1016 del 1939, il quale attribuiva al competente organo della pubblica amministrazione (nella Regione Siciliana, l'Assessore per l'Agricoltura e le Foreste), � nell'iinteresse del1a protezione di una o pi� specie di selvaggina�, il potere di �restringere il periodo di caccia o di uccellagione o vietare le medesime, sia in modo generale e assoluto, sia per �talune forme di caccia o specie di selvaggina e per determinate localit� �. Provvedimento ex art. 23 del citato t.u., quello contenuto nell'art. 1 del decreto assessoriale 23 agosto 1966, la cui portata va intesa come divieto generale ed assoluto di caccia nella zona indicata, in mancanza di determinazJione di limW a tale divieto. Emanato un provvedimento amministrativo, perfetto nella �sua struttura ed efficace, 'di divieto generale ed assoluto di caccia a norma dell'articolo 23 del t.u. 5 giugno 1939, n. 1016, l'ordinamento giuridico non appresta alcuna protezione, n� immediata e diretta n� in via di riflesso attraverso la protezione di un interesse generale, all'interesse del proprietario di un terreno sito in una zona popolata da selvaggina particolarmente nociva per l'agricoltura a conseguire, attraverso il libero esercizio dell'attivit� venatoria, la diistruzione o comunque la dduzione della selvaggina stessa, con la conseguente totale o parziale eliminazione del danno relativo (in tal senso si sono gi� espresse le Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 19 ottobre 1956, n. 3764); per cui, trattandosi di mero interesse di fatto, non sussiste la giurisdizione �di alcun giudice, n� ordinario n� amministrativo. Soltanto l'esistenza di vizi di legittimit� inficianti quel provvedimento amministrativo configurerebbe, in favore del proprietario del fondo, un inte!'esse legittimo, collegato al diritto di propriet� sul fondo (non toccato direttamente dal provvedimen 284 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO to), legittimamente il ricorso in sede giurisdizionale amministrativa al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento medesimo: posizione soggettiva di interesse legittimo, quel1a del proprietario del fondo, escludente la giurisdizione del giudice ol'dinario. Diversa � la posizione soggettiva del proprietario del fondo, riguardo _all'apprestamento di tutela dall'ordinamento giuridico, in ipotesi di attiv. it� esecutiva esorbitante rispetto alla portata del provvedimento ammi: nistrativo di divieto generale ed assoluto di caccia: quando, cio�, nello esecuzione del provvedimento, vengano usati anche mezzi non strettamente necessari al fine di far rispettare il divieto e tali che, impedendo o rendendo pi� difficoltoso al propr.itario del fondo l'apprestamento dei mezzi, diversi dall'esercizio della caccia, idonei a difendere le colture lin atto dagli a111imali nocivi, si pongano in rapporto eziologico con il danno consistente nella distruzione, totale o parniale, delle colture ad opera di quegli animali. Metro di valutazione di siffatta attivit� degli organi esecutivi della pubblica amministrazione � il principio del neminem laedere, norma generale di relazione alla cui osservanza � tenuta anche la pubblica amministrazione nello svolgimento, in particolare, dell'attivit� esecutiva di suoi provvedimenti. Il divieto generale ed assoluto di caccia comporta, nella fase esecutiva, l'uso dei mezzi indispensabili, e soltanto di essi, per impedire l'esercizio della caccia nelle zone indicate, ed esattamente delimitate, nel provvedimento amministrativo. Ogni ulter~ore mezzo, trascendente il criterio della indispensabilit�, non trova titolo legittimo nel provvedimento amministrativo di divieto. E l'uso di tali mezzi ulteriori si traduce, perci�, in una mera attivit� materiale che, essendo al di fuori dell'ambito dell'esercizio del potere amministrativo per l'attuazione di interessi pubblici, -ricade sotto la disciplina normativa di relazione, se incide su posizioni soggettive di terzi tutelate dall'ordinamento giuridico nella consistenza di diritti soggettivi. Nell'ambito di tale disciplina, quell'attivit� materiale, se causativa di danni ai proprietari dei fondi per la natura dei mezzi usati nel suo svolgimento,_ va qualificata come illecita, in applicazione, appunto, del principio generale del neminem laedere: si tratta, invero, di atto colposo (per l'inosservanza del Hmite all'esecuzione del provvedimento amministrativo di divieto generale ed assoluto di caccia) causativo di un danno ingiusto ai proprietari dei fondi compresi nella zona ove � imposto il divieto di caccia, mquanto, impedendo o rendendo pi� difficoltoso a costoro l'apprestamento dei mezzi, diversi dalla caccia, idonei alla custodia dei loro fondi ed alla difesa delle colture in atto nei fondi stessi, s� da provocare la distruzione totale o parziale di queste, � lesiva del diritto di quei terzi all'integrit� del loro patrimonio. La posizione soggettiva dei propriet,ari dei fondi, fatta valere in giudizio da co ' :~ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE storo per ottenerne la tutela nei confronti della pubblica ammini:srtrazion�, �, quindi, di diritto soggeUivo; per cui la controversia, tra il privato e la pubblica amministrazione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Per le considerazioni svolte, deve escludersi, nella specie, la giurisdizione del giudice 011dinario per quanto attiene, nelle deduzioni degli attori, all'emanazione ed all'esecuzione, avvenuta con l'uso dei mezzi strettamente necessari (sorveglianza della zona per far rispettare dai cacciatori il divieto imposto), del decreto assessoriale 23 agosto 1966 che impose il divieto generale ed 1assoluto di caccia nella zona in esso indicata, nonch� a \Cizi di Jegittimit� dnficianti quel provvedimento amministrativo: nella prima deduzione, la posizione soggettiva fatta valere si configura come interesse di fatto, non tutelato dall'o11dinamento giuridico, con il conseguente difetto di g.iurisdizione idi qualsiasi giudice, ordinario od amministrativo; nella seconda deduzione, viene fatta valere una posizione soggettiva configurabile come interesse legittimo, in relazione al quale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. Sussiste, invece, la giurisdizione del gudice ordinario per quanto attiene, ne1le deduzioni degli attori, all'attivit�, svolta dagli agenti del Comitato della caccia di Catania, con- sistente nell'uso di mezzi non strettamente necessari (in particolare, spargimento di bocconi avvelenati per i cani) od estmnei (come potrebbe essere l'immissione di conigli selvatici nella zona) al fine di far rispettare il divieto di caccia, che sarebbe stata causativa di un danno ingiusto agli attori. P.ertanto, in accoglimento del ricorso, deve essere dichiarata, in taH limiti, 1a giurisdizione del giudice ordinario. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 marzo 1982, n. 1498 -Pres. Mirabelli - Rel. Vela -P.M. Fabi -Gavin (avv. Muggia) c. Istituto Poligrafico dello Stato (avv. Stato Cerocchi). Pubblica amministrazione -Istituto Poligrafico dello Stato � Pubblico impiego -Natura -Ente pubblico non economico -Controversie � Giurisdizione del giudice amministrativo. L'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, in seguito alla legge 13 luglio 1966, n. 559, ha acquisito in modo accentuato i caratteri di ente pubblico non economico, svolgendo in prevalenza, sulle attivit� imprenditoriali che tuttora gli competono, i servizi, attraverso rapporti sottratti alla disciplina del diritto privato, nell'esclusivo interesse delle amministrazioni 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO statali, per cui i rapporti di lavoro del personale dell'ente stesso, non risolti prima della riforma, vanno considerati rapporti di impiego pubblico, sul quale ha la giurisd�zione esclusiva il giudice amministrativo. (1) (1) In tal senso la Corte di Cassazione conferma la sua giurisprudenza sulla natura del Poligrafico deHo Stato, come ente non economico, cohlegandosi alle preceden1li pronunde 5 ,agosto 1977, n. 3518; 3 giugno 1978, n. 2771 e, in particolare, alla sentenza 5 luglio 1979, n. 3826 v. anche Cass. 25 maggio 1981, n. 3408, in questa Rassegna, 1981, I, 534. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 15 marzo 1982, n. 1668 -Pres. T1amburrino -Rel. Parisi -P. M. Fabi -Gestione commissariale governativa della Ferrovia Cancello-Benevento -(avv. Stato Cerocchi) c. Crisci (n.c.). Gimisdizione civile -Gestione commissariale della Ferrovia Cancello� Benevento � Rapporto di impiego in �corso successivamente a tale gestione � Natura pubblicistica � Controversie -Gimisdizione del giudice amministrativo. Spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda di un dipendente della ferrovia Cancello-Benevento, la quale si riferisca a prestazioni effettuate anche dopo che l'esercizio di detta ferrovia sia stato assunto dalla gestione governativa, a seguito del provvedimento ministeriale di decadenza della societ� concessionaria, e dopo che la sospensione di tale provvedimento, disposta dal Consiglio di Stato in sede d'impugnazione medesima sia stata caducata per effetto del rigetto dell'impugnazione medesima; la decadenza della concessionaria, con .il relativo affidamento del servizio alla gestione governativa, implica, infatti, la trasformazione del rapporto privatistico, tuttora in corso, del dipendente della ferrovia in rapporto di pubblico impiego, perch� riferibile direttamente allo stato, e non ad impresa distinta dalla sua organizzazione pubblicistica (l). Con il p11imo mezzo si denuncia il difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria oroinaria a conoscere della controversia, tenuto conto che, in applicazione degli artt. 29 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, 184 e 195 del .t.u. 9 maggio 1912, n. 1447, 2 del (1) La giurisprudenza in tali sensi, � ormai costante: cfr. la sentenza di pari data n. 1665, n . .1666, n. 1667, ed anche Cass. lO marzo 1979, n. 2663. La Cassazione ha anche ritenuto (Cass. 10 maggio 1979, n. 2660, Giuris/it. 1980, I, 1, 105) che la trasformazione, in rapporto di pubblico impiego, dcl rapporto di 1lavoro priV1atistico con un dipendente dehle ferrovie Cance1lo-Benevento, a seguito del provvedimento ministerial:e di decadenza deHa societ� concessio-l ! i � l I I PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 287 r.d. 4 giugno 1976, n. 1136 e 10 del r.d. 8 genna.>io 1931, n. 148, dopo la decadenza �dalla concessione pronunciata a carico della Ferrovia CancelloBenevento con d.m. 29 gennaio 1972, tutte le controversie relative ai rapporti di impiego del personale gi� dipendente dalla societ� decaduta rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice �amministrativo. Il mezzo � fondato. Come queste Sezioni Unite hanno gi� avuto occasione di ritenere la Gestione governativa della Ferrovia Cancello-Benevento, concessa alla Societ� Italiana Strade Ferrate Sovvenzionate, dopo la pronnncia di decadenza della societ� concessionaria -che nella specie venne dichiarata con d.m. 29 gennaio i972 ai sensi dell'art. 184 del t.u. 9 maggio 1912, numero 1447 (modificato con il r.d.l. 4 giugno 1936, n. 1336) -non potendo pi� intendersi svolta in danno e quindi in via sostitutiva e per conto della societ� concessionaria, deve essere riferita all'amministrazione statale, in vista de1la finalit�, di natum pubblicistica, �di assicurare, sia pure in via interinale e conservativa, la continuativ.it� del servizio in attesa del, e sino al suo assetto definitivo che -secondo la �espressa prevfaione dell'art. 195 del citato T.U. -pu� concretarsi o in un nuovo conferimento del servizio in concessione o in una sua stabile assunzione , in gestione diretta, in base alla discrezionaile determinazione della P .A. Inoltre queste Sezioni Unite hanno anche avuto occasione di rilevare che al fine di poter ritenere di natura privata 11 rapporto di impiego con un ente pubblico non economico -e tanto pi� con lo Stato -non � sufficiente che il contenuto del rapporto sia regolato in via sussidiaria ed eventuale, per la mancanza di specifiche disposizioni di legge o di regolamento, da norme dettate per il lavoro privato ai sensi dell'art. 2129, cod. civ., ma � necessario o che la privata natura del rapporto sia espressamente riconosciuta dalla legge (ipotesi non ricorrente in caso concreto) o che il rapporto stesso sia riferibile ad uri'impresa gestita dall'ente pubblico (art. 2093 cod. oiv.): eventualit� che non pu� ritenersi avverata se non r.isulta che l'attivit� produttiva sia improntata a criteri di economicit� -e c10e diretta al procacciamento di entrate che siano remunerative dei futtori naria per irregolMit� d~ servlZlo (d,m. 29 gennaio 1972, emesso ai sensi dell'art. 184 r1dl. 9 maggio 1912, n. 1447), nonch� di affidamento del servizio stesso alla gestione governativa, che non � configurabile come impresa gestita dallo Stato con 011gandzzazione distinta da quelfa pubblidstica, resta preclusa per effetto delila sospensione di quel provvedimento, disposta dal giudice am!llllinistrativo a seguito di impugnazione, fino a quando tale sospensione non resti caducata per iL r�igetto dehla impugnazione stessa; ne consegue che il!a pretesa del dipendente di detta ferrovia (nella s'peoie: ii1 pagamento d'indennit� di buonuscita), che si ricoil!leghi a prestazioni lavorative cessate prima deM'�indicata caducazione de11a sospensione del provvedimento di decadenza, � inerente ad un rapporto di mtura privatistica, perch� ancora imputabile ahla societ� concessionaria, e, quindi, � devoluta alfa cognizione del giudice ordinario. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO produttivi e non soltanto preoroinata al perseguimento di fini sociali, indipendentemente da tale remunerativit�, in guisa da risultare destinata alla produzione di ricchezza e ailla realizzazione di lucri -e sia svolta quindi mediante una organizzazione distinta da quella pubblicistica dell'ente, provvista di autonomia decisionale (con semplificazione di forme e attenuazione di controlli) nonch� di autonomia contabile (per il riscontro, attraverso bilanci separati, della economicit� della gestione) e di una, quantomeno tendenziale, autosufficienza finanziaria (v. sent. 3 novembre 1973, nn. 2853 e 2854; 10 maggio 1979, n. 2660, 2662, 2663). E poich� dopo la decadenza del concessionario, la gestione governativa non pu�, almeno in via generale e finch� non risulti il contrario, ritenersi senz'altro improntata a criteri di economicit� nel senso test� precisato, giacch� essa presenta di regola soltanto quella autonomia organizzativa e contabile che sono connaturali 'alle suaccennate particolari finalit� di natura pubblicistica a cui essa gestione � preordinata, ne cOiilsegue che i rapporti di lavoro del personale addetto alle ferrovie gi� concesse, per le quali sia stata pronunciata 1a decadenza del concessionario, devono, dopo tale decadenza, considerarsi di pubblico impiego e ritenersi come tali soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a partire dal medesimo momento a cui vanno riferiti e si producono gli effetti del provvedimento di decadenza. Tale deve ritenersi il rapporto di cui trattasi tenuto conto che il fatto costitutivo del diritto, di cui era stata denunciata la violazione, avrebbe dovuto ravvisarsi nell'accordo aziendale del 14 aprile 1976 che aveva esteso, a decorrere dal 1� gennaio 1976, alla categoria delle �guarda-barriere� in servizio presso Ja Ferrovia Cancello-Benevento la indennit� di cui trattasi, gi� prevista in linea generale dal contratto nazionale per gli autoferrotramvieri del 17 giugno 1975 -ed era quindi intervenuto in epoca successiva, sia alla data del d.m. 29 gennaio 1972 con cui era stata dichiarata la decadenza della Societ� concessiOiilaria, che alla data del 26 settembre 1975 in cui il Consiglio di Stato aveva iiigettato i due ricorsi proposti dalla Societ� Italiana per le Strade Ferrate Sovvenzionate e si era quindi verificata la caducazione delle eventuali sospensive concernenti i provvedimenti con cui era stata rispettivamente disposta la Gestione Commissariale della Ferrovia Benevento-Cancello e dichiarata la decadenza della predetta societ� dalla relativa concessione . . Deve pertanto dichiararsi iii. difetto di giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. i i i: [ SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1982, n. 571 -Pres. Sandulli � Rel. Virgilio -P. M. Minetti -Cutelli (avv. Ferrara) c. Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Favara). Espropriazione per p.u. � Occupazione � Ultrabiennale � Danno -Attribuzione degli interessi sul valore del bene (indennit� di esproprio) � Debiti di valore � Rivalutazione � Ammissibilit� � Criterio � Decorrenza � Riferimento al momento della liquidazione giudiziale � Ulteriori interessi compensativi � Ammissibilit�. Espropriazione per p.u. � Indennit� � Rivalutazione � Inammissibilit�. Il risarcimento del danno per occupazione abusiva di un bene integra una ipotesi di debito di valore, in quanto il patrimonio del titolare del bene illegittimamente occupato deve essere reintegrato in modo tale .da ripristinare nella sfera giuridica lesa la situazione preesistente, assicurando alla stessa il valore reale e attuale del bene e l'ammontare del danno deve, quindi, essere rapportato ai valori monetari correnti al momento della liquidazione e nel caso in cui, per la determinazione del danno, sia stato adottato il sistema della attribuzione. degli interessi sul valore del bene (individuato ai fini della liquidazione dell'indennit� di esproprio), l'ammontare delle singole annualit� degli int�ressi deve essere rivalutato con riguardo -quale parametro di riferimento -al valore del bene espropriato al momento della liquidazione (e cio� all'epoca della pronuncia giudiziaria, e non alla data dell'espropriazione) e, poich� rappresenta un debito di capitale, la somma � produttiva anche di interessi compensativi (per il mancato godimento del capitale tardivamente corrisposto) con decorrenza dal momento in cui si � verificato l'evento dannoso (1). Non � ammissibile la rivalutazione delle somme liquidate per indennit� di esproprio, poich� la sopravvenienza del decreto di esproprio, come atto autoritativo che dispone il trasferimento della propriet� del bene in favore dell'espropriante, determina la cessazione dell'occupazione abusiva, sicch� dal momento della emissione del decreto non pu� configu (1-2) In termini, cfr. Cass. 4 giugno 1981, n. 3603; Cass., 8 gennaio 1981, n. 118, Giur. it. 1980, I, 1, 1201 la quaile precisa che la rivailutazione pu� essere disposta 'anche di ufficio. Stilla prescrizione del diritto al risarcimento nel caso di occupazione ~Hegiittima, cfr. Cass. 15 dicembre 1980, n. 6485, Giur. It. 1981, I, 1, 1612, con nota. 6 290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO " �: rarsi pi� il diritto dell'espropriato al risarcimento del danno, ma ogni pretesa -sempre da quel momento -deve riguardare la congruit� della indennit�, tanto che l'azione eventualmente gi� in corso per ottenere. il danno si converte in azione di opposizione alla stima (2). Con il primo motivo si deduce che la somma attribuita al proprietario del bene espropriato a titolo di risarcimento del danno per occupazione temporanea ultrabiennale avrebbe dovuto essere rivalutata, anche se l'ammontare del danno era stato calcolato secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi del cinque per cento sulla somma costituente l'indennit� di espropriazione. La censura � fondata. Secondo il principio pi� volte affermato da questa Corte (recentemente confermato con la sentenza 4 giugno 1981, n. 3603), il risarcimento del danno per occupazione abusiva di un bene integra una ipotesi di debito di valore (e non una obbligazione pecuniaria) in quanto il patrimonio del titolare del bene illegittimamente occupato deve essere reintegrato in modo tale da ripristinare nella sfera giuridica lesa la situazione patrimoniale preesistente, assicurando alla stessa il valore reale e attuale del bene. L'ammontare del danno deve, quindi, essere rapportato ai valori monetari correnti al momento della liquidazione, affinch� risulti atto a consentire al danneggiato (risarcito) l'acquisto, al momento della pronuncia giudiziale, dello stesso bene di cui era rimasto privato. Nel caso in cui il giudice abbia adottato, per la determinazione in concreto del danno, il sistema dell'attribuzione degli interessi sul valore del bene determinato ai fini della liquidazione della indennit� di espropriazione, l'ammontare delle singole annualit� dei detti interessi deve essere rivalutato con riguardo -quale parametro di riferimento -al valore del bene espropriato al momento della liquidazione, cio� all'epoca della pronuncia giudiziale di liquidazione, e non gi� alla data della espropriazione. La ragione addotta dalla Corte di appello per negare la rivalutazione, nei sensi indicati, del danno derivante dalla occupazione abusiva non � conferente perch� trattasi, come si � detto, di debito di valore e non di valuta, per cui il principio nominalistico non � operante. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata sotto il profilo della negata rivalutazione delle somme liquidate a titolo di indennit� di espropriazione. Si sostiene al riguardo che i decreti di espropriazione, tardivamente intervenuti, non ebbero l'effetto di far cessare la illegittimit� della occupazione, e che le somme attribuite a titolo di indennit� di espropriazione avrebbero dovuto costituire -data la persistenza della occupazione abu PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Z91 siva anche dopo l'emanazione dei decreti di espropriazione risarc�- mento del danno e quindi debito cli valore e non di valuta. La Censura non � fondata. La sopravvenienza del decreto di espropriazione, quale atto autorita� tivo che dispone il trasferimento della propriet� del bene in favore dello espropriante, determina la cessazione dell'occupazione abusiva, cio� di quella protrattasi oltre il biennio di occupazione legittima, sicch� dal momento della emissione del decreto stesso non pu� configurarsi pi� il diritto dell'espropriato al risarcimento del danno, ma ogni pretesa -sempre da quel momento -deve riguardare la congruit� della indennit� di espropriazione, tanto che l'azione eventualmente gi� in corso per ottenere il danno si converte in azione di opposizione alla stima. Nella memoria il ricorrente ha anche dedotto che la Corte di appello avrebbe dovuto in ogni caso rivalutare l'indennit� di espropriazione, in quanto la qualit� di imprenditore commerciale e di operatore economico (del Cutelli) ponevano una presunzione di ulteriore danno per il ritardo nel pagamento della somma corrispondente alla indennit� di espropriazione. La deduzione non pu� essere presa in esame perch� � nuova rispetto alle censure prospettate con il ricorso. Con il secondo motivo, infatti, la tesi della rivalutabilit� della detta indennit� fu fondata soltanto sulla asserita persistenza della occupazione abusiva anche dopo la sopravvenienza del decreto di espropriazione, mentre con la memoria si prospetta un nuovo e autonomo profilo riguardante la rivalutazione del debito di valuta per maggior danno ai sensi dell'art. 1224 e.e. Su questo punto il ricorrente non ha proposto impugnazione con il ricorso, per cui esiste preclusione di ogni ulteriore deduzione. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza .impugnata sul punto della decorrenza degli interessi, sia sulla indennit� per occupazione legittima, sia per la somma corrispondente al risarcimento del danno per occupazione abusiva, sia, a quanto sembra, per l'indennit� di espropria zione. Sostiene in particolare che su tutte le somme corrispondenti alle sud dette voci la Corte avrebbe dovuto liquidare gli interessi con decorrenza dall'inizio di ciascun evento e non gi� dalla fine del primo anno dopo l'evento stesso. La censura � fondata, nei limiti e con le precisazioni che seguono. Poich� l'indennit� di occupazione legittima � stata liquidata con il sistema dell'attribuzione degli interessi del 5 % sulla somma costituente l'in dennit� di espropriazione (ossia sul valore dell'immobile alla data di emis sione dei decreti di espropriazione), i detti interessi vanno calcolati con decorrenza dall'inizio del primo anno di occupazione, in quanto l'ammi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 292 nistrazione espropriante ha l'obbligo di liquidare immediatamente allo espropriando, cio� subito dopo il verificarsi della privazione del possesso del bene, la indennit� per il periodo di occupazione legittima (art. 72 della legge 25 giugno 1865, n. 2359). Non pu�, pertanto, farsi gravare sull'espropriando -sotto il profilo della decorrenza degli interessi dalla fine del primo anno di occupazione il ritardo con il quale viene determinata e corrisposta la relativa indennit�. Per quanto attiene al danno liquidato a titolo di occupazione abusiva (dalla scadenza del biennio di occupazione legittima alla data della espropriazione), la somma attribuita al proprietario, determinata con il sistema degli interessi del 5 % sul valore del fondo (accertato, come si � detto, al momento della liquidazione e non della espropriazione), rappresenta un debito di capitale, in quanto l'ammontare degli interessi costituisce il risultato ottenuto attraverso un mero parametro valutativo, e non toglie perci� che l'ammontare stesso rappresenti la somma capitale spettante al proprietario per il ristoro del danno causato dalla occupazione abusiva. Per tale ragione la indicata somma capitale � produttiva anche di interessi compensativi per il mancato godimento del capitale tardivamente corrisposto, e tali interessi compensativi vanno calcolati con decorrenza dal momento in cui si � verificato l'evento dannoso (v. sent. 3603/81 citata). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1982, n. 651, Pres. Sandulli - Rel. Cantillo -P.M. Leo -Ferrovie dello Stato (avv. Stato De Francisci) c. Comune di Genova (avv. Romanelli). Prescrizione e decadenza -Atti interruttivi -Effetti -Limitati al soggetto che li ha compiuti � Riferibilit� ad un soggetto diverso -Limiti Applicazione alla concessione -Atti interruttivi del concessionario � Effetti verso il concedente. Gli effetti interruttivi della prescrizione si verificano solo a favare del soggetto che ha compiuto l'atto di interruzione, mentre sono riferibili ad un soggetto diverso soltanto se il primo abbia agito nell'interesse di quest'ultimo, nella dichiarata qualit� di suo legittimo rappresentante o mandatario. Pertanto, la concessione di un pubblico servizio non implica l'attribuzione al concessionario del potere di agire in giudizio verso i terzi quale rappresentante della amministrazione concedente, tranne se diversamente risulti dalla legge o dall'atto di concessione, con la conseguenza che gli atti interruttivi (ad es., atto di citazione) compiuti dal concessionario non producono effetti favorevoli al concedente (1). (1) Giurisprudenza pacifica: cf:r. Cass. 19 novembre 1979, n. 6043, Arch. e Circ. 1980, 20; e, specificamente, 16 novembre 1973, n. 3067, Foro it., Rep. voce Prescrizione e decadenza, n. 46. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Con unico e complesso motivo di ricorso, l'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato critica la sentenza impugnata per avere ritenuto applicabile il termine di prescrizione quinquennale vig�nte in tema di danno aquiliano e per avere escluso che la prescrizione medesima fosse stata interrotta in conseguenza della citazione introduttiva del giudizio promosso dalla Soc. Alpi nei confronti dello stesso Comune di Genova: sotto il primo profilo, denunziando la violazione degli artt. 2041, 2943, 2946 e 2947 cod. civ., sostiene che i giudici di merito siano incorsi in errore nella qualificazione giuridica della domanda, senza tenere conto che questa era stata implicitamente formulata anche con riferimento all'indebito arricchimento conseguito dal Comune, sicch� il termine di prescrizione era quello ordinario; sotto il secondo profilo, denunziando la violazione di regole sull'ermeneutica dei contratti e motivazione insufficiente, rimprovera alla Corte di appello di non avere dato adeguato conto del proprio convincimento e di non avere esaminato le clausole dell'atto di concessione nel loro complesso, ponendosi cos� nella condizione di non potere intendere che con esse veniva demandato alla concessionaria, oltre al compito di regolarizzare la posizione degli utenti abusivi del servizio pubblicitario, quello di agire per il recupero di tutto quanto dovuto dagli stessi, in conformit� ai principi disciplinanti le concessioni traslative, sicch� l'azione proposta dalla concessionaria Soc. Alpi doveva intendersi sperimentata anche per conto di essa concedente e aveva operato, dunque, come fatto interruttivo della prescrizione del suo diritto. Le censure non meritano accoglimento. La prima in parte � infondata, in parte inammissibile. La sentenza impugnata ha osservato che, nell'atto introduttivo del giudizio e negli scritti difensivi di primo grado, l'Azienda ferroviaria aveva specificamente individuato la causa petendi della domanda nel fatto illecito del Comune, per avere abusivamente esercitato la pubblicit� in spazi ad essa appartenenti, e il petitum nel risarcimento dei danni subiti ,in conseguenza di tale illecito. E in base a questa analisi, qui non sottoposta a critica, ha correttamente qualificato la domanda come azione aquiliana, respingendo la tesi allora sostenuta dell'attuale ricorrente, volta ad attribuire alla domanda medesima fondamento contrattuale sull'assunto che, di fatto, si fosse costituito con il Comune un distinto rapporto di concessione. Inoltre, nelle fasi di merito l'Azienda non aveva mai dedotto ,!'indebito arricchimento del Comune, argomentando l'applicabilit� della ordinaria prescrizione decennale solo in base alla tesi sopra accennata, sicch� con tale diversa causa petendi viene ora prospettata una questione del tutto nuova, manifestamente improponibile in sede di legittimit�. In ordine alla seconda censura, occorre premettere che gli effetti interruttivi della prescrizione si verificano esclusivamente a favore del RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 294 soggetto che ha compiuto l'atto di interruzione (cfr., tra le altre, sentenze n. 6043 del 1979; n. 3733 del 1971) e che perci� essi sono riferibili ad un soggetto diverso soltanto se il primo abbia agito nell'interesse di quest'ultimo, nella dichiarata qualit� di suo legittimo rappresentante o mandatario, in forza di un rapporto specificamente o generalmente abilitante (v. sent. n. 3067 del 1973). Pertanto, nella specie, la possibilit� di riconoscere alla precedente citazione, notificata dalla Soc. Alpi al Comune di Genova, il valore di atto di costituzione in mora da parte dell'Amministrazione ferroviaria, idoneo ad interrompere la prescrizione dell'autonomo diritto al risarcimento poi azionato dalla stessa, ea correlata al duplice presupposto che l'atto fosse imputabile alla medesima azienda in forza di un potere rappresentativo conferito alla concessionaria e che, in concreto, questa avesse agito pure nella qualit�, non solo domandando l'integrale risarcimento del danno, compreso quello di pertinenza della concedente, ma altres� spendendo il suo nome. Ora, a respingere la censura, concernente l'esclusione di entrambi i �� detti elementi, � sufficiente considerare che rispetto al secondo di essi la ricorrente ha formulato solo rilievi generici, chiaramente inidonei a scalfire l'indagine compiuta in sentenza e basata sull'interpretazione del detto atto di citazione e della pronuncia resa in quel giudizio dal Tribunale di Genova, passata in giudicato, che aveva negato alla Soc. Alpi tanto il diritto di conseguire il risarcimento per la quota di spettanza dell'Azienda ferroviaria, quanto la legittimazione ad agire per conto della medesima: la Corte � pervenuta alla conclusione che la societ� non ag� �per incarico e interesse della concedente � e questo accertamento di fatto, cos� congruamente e logicamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimit�. Ma anche i rilievi attinenti al primo presupposto non hanno consistenza, essendo agevole obiettare, sul piano dei princ�pi, che la conces� sione di pubblico servizio (come ogni altra concessione amministrativa) non implica affatto l'attribuzione al concessionario del potere-dovere di agire in giudizio verso i terzi quale rappresentante dell'amministrazione concedente, tranne che diversamente risulti dalla legge o dal titolo della concessione; e, sul piano dell'interpretazione del concreto atto di concessione, che la Corte di appello, lungi dal motivare in modo insufficiente o contrastante con le regole di ermeneutica, ha esaminato specificamente tutte le clausole negoziali invocate dalla ricorrente e, valutandole singolarmente e nelle loro reciproche implicazioni, � giunta ad affermare che esse non conferivano � alla concessionaria l'incarico o il mandato di provvedere, anche in via alternativa, alla tutela aquiliana dei diritti spettanti unicamente alla concedente �, ci� non potendosi desumere dal potere -espressamente attribuito alla medesima societ� concessionaria PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 295 di agire nei confronti dei terzi a tutela dell'esercizio esclusivo del servizio pubblicitario. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 marzo 1982, n. 1386 -Pres. Granata -Rel. Santosuosso -P. M. Cantegalli -Ministero dell'Interno (avv. Stato Linda) c. ACNIL (avv. Corbi). Competenza civile -Inammissibilit� dell'appello avverso sentenza sulla sola competenza -Sentenza dichiarativa -Regolamento di competenza Inammissibilit�. La sentenza del giudice d'appello, emessa in sede di impugnazione avverso una decisione di primo grado limitata ad una questione di competenza, � impugnabile con ricorso ordinario per cassazione e non con regolamento necessario di competenza, tanto se il giudice di appello abbia dichiarato inammissibile il gravame, quanto nel caso inverso in cui lo stesso giudice, decidendo esplicitamente od implicitamente in senso positivo la questione di ammissibilit� dell'impugnazione, abbia pronunciato sulla competenza' del primo giudice, perch� in entrambi i casi il giudice di appello statuisce non gi� sulla propria competenza funzionale o per grado, ma su una questione pregiudiziale di rito, preliminare a qualunque altra, attinente all'individuazione del mezzo di impugnazione (1). (1) In 1senso conforme, Cass. 30 marzo 1973, n. 881, in Foro it. 1973, 1366 con nota. Suhla convertibi.l~t� ,del regolamento di competenza in ricorso ordina: nio, se ne ricorrono i presupposti, cfr. Cass. 3 marzo 1971, n. 556, Foro it. Rep. 19711, voce Competenza civile, n. 305 e 329. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 marzo 1982, n. 1759 -Pres. Marchetti . Est. Maltese -P. M. Grimaldi -Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Caramazza) c. Leone (avv. Allotta). Espropriazione per p.u. -Indennit� -Deposito integrativo -Ritardo Mora -Accertamento -Precedente giudicato che ne dispone la integrazione -Indagine sulla mora -Preclusione. Contabilit� dello Stato -Obbligazioni pecuniarie -Mora -Interessi -Natura -Ammissibilit�. Contabilit� dello Stato -Obbligazioni pecuniarie -Inadempimento -Diritto soggettivo del privato -Esecuzione forzata -Ammissibilit� Contabilit� dello Stato -Obbligarloni pecuniarie -Mora -Danno personalizzato -Rivalutazione -Applica~ilit�. Accertata, con sentenza passata in giudicato, la responsabilit� della pubblica Amministrazione espropriante, per il periodo compreso tra l'in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 296 sufficiente deposito delle indennit� di esproprio e la sentenza del Tribu� nale che ne dispone la integrazione, la mora persiste anche nel successivo periodo (che � continuazione del primo), compreso tra la sentenza stessa e l'effettivo versamento, rimanendo preclusa, per effetto del giudicato, la possibilit� di rimettere in discussione l'� an debeatur � (1). A seguito di condanna pronunciata dal giudice ordinario o dal giudice amministrativo, il versamento della somma integra un atto dovuto, rispetto al quale l'Amministrazione debitrice manca di potere discrezionale rispetto agli interessi pubblici da essa perseguiti e il creditore ha un diritto soggettivo, azionabile dinanzi al giudice ordinario con l'esecuzione forzata per espropriazione secondo le norme del codice di rito (2). Il principio della produttivit� di interessi del debito (a suo tempo contratto dall'Amministrazione statale) in seguito ad emissione del mandato di pagamento (art. 270 r.d. 23 maggio 1924, n. 827) � limitata al solo ambito degli interessi corrispettivi, mentre gli interessi moratori sono dovuti indipendentemente dall'emissione di un titolo di spesa, e la p.a. � soggetta al potere giurisdizionale di condanna al pagamento di debiti scaduti o determinati, ancorch� non esigibili secondo le norme della contabilit� di Stato (3). In base al criterio presuntivo proprio del �danno personalizzato�, il giudice di merito legittimamente procede per il periodo compreso tra la sentenza che ordina la integrazione del deposito delle indennit� e l' eff et.tivo versamento alla rivalutazione della somma, gi� liquidata per il maggior danno di mora, contenendola entro limiti che pienamente soddisfano i principi affermati dalla recente giurisprudenza della Cassazione (4). (1-4) SW!a prima massima non risultano precedenti, trattandosi d:i una questione di specie, nella quale la p.a. aveva atteso vari anni prima di prov" 6dere alJ1a integrazione del deposito deHa indennit� di esproprio. Sulla seconda massima cfr. Sez. Un. 13 luglio 1979, n. 4071 e Cass. 29 mag gio 1978, n. 2708, in questa Rassegna 1979, I, 13, con nota critica di A. Rossr Sulla terza massima cfr. Sez. Un. 29 marzo 1980, n. 2065 che � conforme alla sentenza Cass. 2 giugno 1978, n. 2762, ivi, 1979, I, 14; Cass. 5 giugno 1980, n. 3832; Contra Cass., sez. Lav. 3 marzo 1979, n. <13'47, ivi, 1979, I, 271, con nota di richiami. La questione sulla legittimit� degli artt. 49 e 72 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e 270 r.d. 23 aggio 1924, n. 827 (nella parte in cui prevedono che i debiti pecuniari della pJa. divengono 1Iiquidi ed esigibili, e quindi produttivi di interessi (moratori e corrispettivi) solo �ali1a data di emissione de1 relativo mandato dri. pagamento) � stata rimessa, con ordinanza 7 giugno .1977 dal TribunaJ.e di Tonino e con ordinanza 23 luglio 1976 dal Tribunale di Catania, aJiJ.a, Corte Costituzionale, fa quaJLe l'ha ritenuta inammissibile con sentenza 26 maggio 1981, n. 71, in questa Rassegna 1981, I, 267, con nota. Su.Ha quarta massima cfr. Sez. Un. 4 Jugilfo 1979, n. 3776, ivi 1979, I, 286, con nota. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 297 CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 24 marzo 1982, n. 1879 � Pres. Caleca � Rel. Sebastio � P. M. Dettori � Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Sta� to Caramazza) �c. Papale (n. c.). Ordinamento giudiziario � Responsabilit� -Lin�tazione -Estensione alla p.a. � Inammissibilit� -Fatto illecito dei funzionari -Conseguenze dannose � Imputabilit� alla p.a. La limitazione di responsabilit� del Magistrato al� dolo e alla colpa grave di cui agli artt. 55 e 74 cod. proc. civ. non si estende alla pubblica Amministraz.ione che deve rispondere verso il danneggiato per ogni fatto ontologicamente illecito dei suoi funzionari in quanto un principio almeno deontologicamente sottinteso nell'attivit� dello Stato esige che il pregiudizio patrimoniale subito da un singolo per esigenze e utilit� di carattere generale ricada sull'intera collettivit� � non sul solO danneggiato (1). Col primo mezzo di ricorso, denunziandosi la violazione degli art. 28 Cost., 2043 e.e., 55 e 74 c.p.c.', 314 e 317 c.p.p. (art. 360, n. 3, c.p.c.) si sostiene (1) In tema di responsabilit� civile dello Stato per fatto del giudice. 'l. -La sentenza �in rassegna appare meritevole di un dttf)Wice ordine di cr.itiche, sUJ1 piano metodologico e su que1lo del merito. Dal punto di vista metodologico sembra doversi rimproverare, da un iliato, una inversione logica di argomenti che ha portato fa Corte ad �obiter dicere � per tutta la prima parte deli1a motivazione, dall'altro fil pi� totale silenzio sul precedente consolidato orientamento giurisprudenziale che, nel momento in cui viene radicai1mente capovolto, semrbra avere dkitto a menzione. Nel merito, poi, �hl principio di diritto enunciato, suscita le pi� gravi perpless�it�. 2. -Nelfa sentenza di merito impugnata, fa res�ponsabilit� aquiliana del� rAmministrazione era stata affermata sulla base di un presupposto impilidtamente -ma non perci� meno chiaramente -affermato. Quello della ritenuta assunzione, da parte del magistrato penale nehl'esercizio di attivit� istruttoria, dcl1a figura di organo di ammini.strazione attiva cui compete ~'organizzazione deilJ1e operazioni materiali strumenta1mente necessaDie per Fesp1etamento dei mezzi istruttori stessi, con relativa attribuzione dei necessari poteri gerarchki nei confronti dei partecipanti alle operazioni e con conseguente inapplicabilit� aHa specie dei limdti di responsabi!lit� di cui agli artt. 55 e 74 c.'p.c. Il relativo mezzo di censura, intitolato al;la �Violazione e fa1sa arppJicazione degli artt. 28 Costituzione, 2043 e.e., 55 e 74 c.p.c., 3114 e 317 c.p.c. cos� come sostitUJito dall'art. 5 del:la L. 18 marzo 1971, n. 62, 366 c.p. >>, si art>icolava nei due seguenti momenti logici in rapporto dii subordinazione: a) � errato sostenere J'inapplicab:iiltlt� aihla specie degli artt. 55 e 74 c.p.c. ([a cui applicazione avrebbe comportato per pacifica giuris'.prudenza un diniego di responsabilit� cos� del magistrato come della P.A.); b) comunque, quand'anche fosse esatta la quailiificazione giuridica �di attivit� di �amministrazione attiva� con riferimento ahl'operato del �giudice in sede di perizia, avrebbe errato hl giudice di merito nehl'inferirne una responsabilit� all'Ammrinistrazione nel caso in esame, in cui doveva invece scorgersi una autoresrponsabildt� del perito. Si osservava sul punto che se � vero che il giudice si pone in una posizione sovraordinata rispetto al perito, vero � anche che .tale sovraordinazione RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 298 che erroneamente il giudice di appello abbia affermato la responsabilit� della Pubblica Amministrazione sulla base dell'assunzione della figura di organo di amministrazione attiva del magistrato penale nell'espletamento di attivit� istruttoria. Al contrario la Corte del merito avrebbe dovuto considerare che il perito, chiamato dal magistrato a prestare la propria opera di consulenza, � libero nella organizzazione dei mezzi per l'espletamento del suo ufficio: in tale organizzazione egli ha facolt� di scegliere i mezzi pi� idonei per rispondere ai quesiti postigli dal giudice, che al perito non impartisce ordini ma solo direttive, non sussistendo alcun rapporto gerarchico fra il consulente e il magistrato istruttore. Se pertanto il perito subisce danno nell'espletamento della perizia le conseguenze devono ricadere su di lui per il principio della autoresponsa si esprime, da un J,ato, esclusivamente nd � momento di coilll.egamento con il processo� (1) e do� esollusivamente sul piaino teoretico d�hla individuazione del compito commesso al perito e neJ,J'esercizio, quindi, della fumione giurisdiizionaile; si risolve, dalJ'a�tro, non gi� in un potere di su'premazfa ge!'archica (che sarebbe incongruente con ~l tipo di collaborazione con la funzione giudiziale che l'ordinamento commette ailJ perito) ma ju un potere dli ddrezione. Il giudice impartisce, quindi, al perito non gi� �ordini� ma �direttive�, vohe ad indhniduare i � risultati log;ici � che servono per 1a costruzione del siili1ogisma giudriziaJe ed a cui M giudice non pu� da solo pervenire per carenza di cognizioni tecniche specifiche. 111 perito �, dunque, vincolato nel � risul'tato � da fornire, ma � libero nell'organizzazione dei mezzi per l'esp1etamento deL suo uffioio, mezzi che egli appronta discrezionalmente per ri,spondere, aJ. meglio, secondo scienza, ai quesiti postigli (2). � Se quanto sopi;a � esatto -osservava ancora nel ricorso J!Ammd,nist,ra � zione -~e '.pacifiche dsultanre di fatto emergenti dadi1"istruttoria nehla causa � in esame sono state vailutate dai giudici di merito ailda stregua di categorie � giuridiche del tutto incongrue. � L'obbliigo -penalmente sanzionato -del perito di prestare il proprio � ufficio e di adempiere a1le funzioni commessegli non determina, infatti, � come ritenuto da:i giudici messinesi, una sottopos,izione gerarchica del perito � ail magistrato: l'inoari'co conferito al dr. Papale dal Pretore di Taormina, �consistente neLI'effettuazione di una perizia necroscopica, fu, infatti, accoro � pagnato (non daihl'ordine ma) dalJ.a direttiva che detta perizia V'enisse ese � guita immediatamente, in quanto 1a risposta tecnica immediata (delitto o �incidente) era essem�a1e per dil buon funzionamento dehla giurisdwione � penai1e �. � Il dott. Papa1e, a tal punto, non che essere posto dinanzi ahl'alternativa �fra eseguire ordini "imprudenti,, o esserie incriiminato per rifiuto cli perizia, � fu, invece, investito di un obbliigo di rJsultato, restando, peraltro, libero cli (I) Cass. pen. sez. IV, 15 marzo 1971, rie. Biadene. (2) Cfr. Cass. pen. V, 5 giugno 1972, rie. Brencich; Cass. pen. I, 10 marzo 1971, rie. Chilli. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 299 bilit�: con la esclusione della possibilit� di configurare una situazione aquiliana passiva in capo a soggetti diversi e ancor meno a carico della P.A. Il ricorso non pu� essere accolto. Il potere che il codice di procedura penale attribuisce al magistrato inquirente di dirigere le operazioni peritali rispetta indubbiamente la pi� ampia libert� di giudizio nel responso del consulente, che pu� predisporre nella sua autonomia funzionale i mezzi pi� opportuni per eseguire gli accertamenti necessari: ma non esclude che dal punto di vista praticoorganizzativo ,il magistrato possa dare le disposizioni necessarie riguardo ai tempi, ai modi e agli strumenti necessari per effettuare gli accertamenti richiesti. Infatti ai sensi dell'art. 317 c.p.p. il giudice �dirige la perizia e se lo ritiene opportuno vi assiste; in ogni caso provvede con le disposizioni che � scegliere e di organizzare i mezZJi per il �suo perseguimento, essendo egli capo � del suo ufficio, in nessun modo condizionato dalla organizzazione dell'ufficio �del giudice di cui non era parte e rispetto al quale il suo uff�icio era sottoor � dinato ma non gerarchicamente dipendente. � Se, per comodit�, il dott. Papale prefer� organiz7.arsi accompagnandosi �con il magistmto, ci� fece per sua scelta e se dtenne che �1'itinerario pre � sce1to dal magistrato per recarsi su1 posto fosse idoneo e che i mezzi appron � tati per :Percorrerlo in condizioni di sicurezza fossero adeguati, ci� avvenne � per sua autonoma "l.'alutazione e conseguente adozione dell'organizzazione di � altrui uffioio per l'esercizio del proprio. � La Lamentata conseguenza dainnosa per (pretesa) insufficienza della orga � nizzazione dell'ufficio del maigistrato da parte del Papale, non pu�, quindi, � collegarsi a responsabilit� altrui ma solo ad una autoresponsabilit�, con con" seguente eso1usione del.la possibiillit� di configurare una situazione aquiiltiana � paissiva �in capo a .soggetti d1versi e meno che mai in capo alla p.A. �, Il Procuratore Generale concludeva per l'accoglimento delia prima parte del 'primo mezzo di censura (insussistenza di responsabilit� per carenza dei presupposti di cui agl!i artt. 95 e 74 c.p.c., appilicabiili a.hl.a specie) con conse-� guente assorbimento di ogni citeriore profilo. La Corte, invece, invertendo l'ovdine logico degli argomenti affrontava prima quello sopra rubricato sub (b), disattendendolo, e passava, poi, all'esame di quello sub �(a) modificando nomofilatticamente i motivi della statuizion� dei giudici di merito. M magistrato si applicaino g1i artt. 55 e 74 c.p.c. 1anche quando dirige operazioni peritali -ha affermato la Corte -tuttavia la limitazione dehla co1pa ivi stabiHta non si estende a1la p.A. Tale essendo il prindpio di diritto affermato, tutta 1a precedente argomentazione volta a confutare una tesi 1l!ogfoaimente preclusa risuJta inutilmente scritta: in contra:sto, quindi con i principi che reggono lo ius dicere. 3. -Il secondo errore metodologico che sembra potersi imputare ailla sentenza � que11o di avere omesso quailsiasi richiamo alilia precedente g.iurisprudenza, cos� dehla sezione come de1'1e Sezioni Unite, come � noto pacificamente consoHdata nel senso opposto di considerare wa �colpa qual.ificata,, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 300 reputa convenienti, a rendere possibili le indagini del perito e quando occorre si accerta che le opera7ioni procedano speditamente �. Se quindi nell'esercizio di tale potere-dovere il magistrato impartisce direttive errate o insufficienti, di tal che derivi danno a terzi, sorge il problema della risarcibilit� o meno del pregiudizio causato e del soggetto che debba subirne la responsabilit� patrimoniale. Non pu� quindi essere condivisa la tesi dell'avvocatura dello Stato secondo cui, avendo il perito una ampia autonomia nell'organizzare le operazioni peritali, dovrebbe imputare a se stesso il pregiudizio subito nell'espletamento dell'incarico. Il principio della autonomia e quindi dell'autoresponsabilit� pu� valere infatti solo nei limiti entro i quali il consulente non debba ottemperare alle direttive del magistrato: poich� questi ai sensi del citato art. 317 di cui agli artt. 55 e 74 c.p.c. elemento individuatore dell'illecito, e quindi presupposto per Yaffermazione deLla responsabilit� cos� del magistrato come dehl!a p.A. (3). Orbene, sembra che, alla luce de1le funzioni attribuite alilia Suprema Corte -in particolare quella di assicurare l'uniforme interpretazione della legge e l'un�t� del diritto oggettivo nazional'e -non sia Jre..:ito opera�re un � revire� ment � di taLe importanza senza dare contezza del precedente orientamento e dei motivi s;:iecifici che inducono a diJscosta<rsene. 4. -Nel merito, infine, giover� osservare come ['affermazione del principio contenuto nella sentenza in rassegna appafo veramente innovatrice non solo iin re1azione ahlo specifico oggetto defila causa, ma in relazione alo pi� ampio problema de1La responsabiltlt� ddla p.A. .per fatto dei suoi dipendenti. Ne1La sentenza si legge, infatti, una piana statuiziione genemlizzata del princiipio di una responsabilit� oggettiva da �rischio�, derivante, per �di pi�, non gi� da una norma �rinvenibile nel sistema (secondo 1'insegnamento dehla Corte Costituzionale (4), ma da un principio � deontologicamente sottinteso nehl'attivit� dello Stato�. L'interpretazione letterale della statuizione ci pmterebbe, quindi, addir�ittura a dover equiparare sul pfano normatiivo ii! dover essere (e su quale parametro, poi, va1utato?) ahl'essere, con una conseguente apertura ad una � Hbera interpretazione del diritto � di ampiezza finora sconosciuta. Sembra ragionevole rpensare, per�, che l'avverbio �deontologicamente � sia stato frutto di un lapsus calami o sia stato usato !in una accezione diversa da quella comunemente accettata, e che �La Corte abbia solo voluto affermare che nell'ordinamento italiano � rinvenibile un principio secondo cui la p.A. ris'ponde delle disfunzioni verificatesi nelle attivit� svolte per esigenze ed uthliit� di carattere generale, quale J'Amnrlnistrazione delila g�iustizi�a. La sentenza si muove, indubbiamente, -pur compiendo una preoccupante fuga in avanti -nella direzione dei tempi. L'istituto delJ>a responsab:iiltlt� civhle, infatti, � da un '1ato, soggetto nel:la societ� industriaile e postindustriale ad una profonda rev1sione, che vede evolversi progressh,amente, accanto aiH'an (3) Cfr. per tutte Cass. 3 aprile 1979, n. 1916 e 6 novembre 1975, n. 3719. (4) Corte Cost. 14 marzo 1968, n. 3. . . I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 301 c.p.p. pu� impartire disposizioni per l'esecuzione della perizia, il principio della autoresponsabilit� pu� ritenersi vigente solo compatibilmente con il carattere vincolante delle direttive del giudice. Entro tali limiti, se il perito ottempera alle prescrizioni del magistrato e dalla esecuzione di esse gli deriva un danno, ha �l diritto di esserne risarcito. E poich� il magistrato, pur nella sua indipendenza e autonomia, � pur sempre da considerare organo dello Stato, questo � soggetto alla responsabilit� patrimoniale che ne consegue: la quale ha carattere diretto e si ricollega al rapporto organico che intercorre fra il funzionario e lo Stato. :�. ben vero che la responsabilit� del magistrato � circoscritta entro limiti precisi e tassativi sia per la funzione giudicante (art. 55 c.p.c.) che per quella requirente (art. 74 c.p.c.): tuttavia la corte ritiene che non vi tico fondamento dehl:a co]Jpa, un processo di oggettivizzazione teso aililia meta �1tima di un generalizzato principio di rischio (5). La responsabi1it� dell'Amministrazione per le disfunzioni giudiziarie, dall'altro ilato, {come Lai responsabii1it� personale del giudice) � da tempo presente all'attenzione degli operatori del diritto, attesa la insufficienza dell'attuale disci'.p1ina. Sicuramente andr� ampliato in sede penale illistituto deRa riparazione dei danni da errore g.iudiziario, estendendolo anche ail~'ingiusta detenzione (in questo senso �, d'altronde, l'ultima leg.ge delega per lia riforma del codice di procedura peniale (6): sicuramente ili prob1ema merita una rimed~tazione anche in sede civii1e e probabilmente andr� rivisto anche ~ 1imite deLla I'esponsab~ ldt� persona~e del magistrato, magari suLl:a foilsatlga deilil'ordinaimOOJto francese che la limita a1lia co1pa grave (7). Ma tutto ci� rientra nei compiti del 1egis1atore, sembrando impossibile in sede di interpretazione dehl:'attuale normativa capovolgere 11 sistema, passando da un diniego quasi totale di responsabilit� all'opposto princi'pio di una responsabiilit� estesa addirittura fino al Hmite oggettivo del rischio. Comunque, a prescindere daUe considerazioni giuridiche che possono opporni e su cui mi riservo di soffennarmi pi� avanti, penso si debba rilevare che vi sono a1meno due ovddnd di oonsiderazioni che i giudici deLl:a Suprema Corte hanno omesso di fare ne11a circostanza. LI primo attiene a:lfa entit� de~1'iaggravio che deriverebbe alle pubbliche finanze da:1l'acco1lo dei costi conseguenti a qua1siasi disfunzione dehl'apparato giudiziario (ritardi -e perch� no? -compresi) e oo1l'appamto pubblico in genere; la �prospettiva � semplicemente agghiacciante, anche solo in termini di prevedibile proliferazione del contenzioso. N secondo riguarda le azioni di responsabilit� che dovrebbero essere iniziate dinanzi a~La Corte dei Conti nei confronti dei magi:srtrati implicati in ogni singolo affare che avesse dato !Luogo a condanna del Ministero di (5) Cfr. per tutti: MADDALENA, La responsabilit� degli amministratori e dipendenti pubblici, in Foro it., 1979, V, 61; ALPA, Responsabilit�� dell'impresa e tutela del consumatore, Milano 1975; RoDOT�, Il problema della responsabilit� civile, Milano, 1964; TRIMARCHI, Rischio e responsabilit� oggettiva, Milano, 1961. (6) CARAMAZZA: La riparazione dei danni da errore giudiziario e da ingiusta detenzione, in Vita Notarile, 1979, 506. (7) Art. 505 c.p.c. francese. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 302 sia coincidenza, riguardo ai limiti, fra Je responsabilit� del funzionario e quella dello Stato per il quale egli agisce. Per quanto concerne il magistrato la Jimitazione di responsabilit� � infatti giustificata dalla natura discrezionale della posizione, dal tecnicismo professionale, dalla possibilit� dell'errore inerente alle attivit� conoscitive e deduttive, dalla possibile interferenza di influenza decettive delle parti o di deficienze strutturali e organizzative; e, per quanto concerne il P. M. dalla funzione direttiva di Polizia Giudiziaria, dall'urgenza degli accertamenti e dalla rapidit� decisionale: ma nessuna di tali ragioni giustificherebbe una limitazione di responsabilit� dello Stato quando l'attivit� del magistrato sia ad esso riferibile. Al contrario, un principio almeno deontologicamente sottinteso nella attivit� dello Stato, esige che il pregiudizio patrimoniale subito da un singolo per esigenze e utilit� di carattere generale ricada sull'intera collettivit� e non sul solo danneggiato. Grazia e Giustizia (8): non credo che la fiducia nel potere riduttdvo concesso al giudice contabiJ.e sarebbe sufficiente per restHuire ai magistrati una serenit� che dovrebbe considerarsi irrimediabHmente perduta di fronte aJ:lo spettro del giudizio di responsabilit�. Fuor di disgressione e tornando al tema specifico sembra, in via preliminare, potersi osservare come se � pacifico che Ja rcsponsabildt� oggettiva per rischdo d'1mpresa (con specifico riferimento al rischio del produttore) ha ormai conquistato un suo diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento (9), altrettanto pacifico appare che sarebbe del tutto incongruente una sua trasposiziione sic et simpliciter alla attiV1it� della pubblica Amini:strazione in cui, a tacer d'altro, non sussiste, da un lato, fa ricerca del profitto; non esiste, daJ:l'�altro, 1a fornitura di un prodotto diverno dahl'assolvimento di pubbliche funzioni, s� che .U rischio si risolverebbe in una forma totalizzante di sicurezza sociale che forse -e senza forse -� un lusso che �e finanze itail>iane non possono :Permettersi. Jt1 commento dehl!a sentenza in rassegna rappresenta, d'altronde, forse l'occasione per tentare �1a rimeditazione di una materia in cui sembra ta'.volta che mezze v.erit� a 1ungo ripetute abbiano acquistato spessore di verit� intere. 5. -In presenza di norme che postulino, per configurare la responsabildt� deMa persona fiska, una �colpevolezza qualificata� (colpa grave, colpa professionabe, dolo, ecc.) .la dottrina e 1a giurisprudenza di merito prevalente usano distinguere i casi in cui fa qualificazione de11a coJrpa, attesa la particolare (8) Per un sintomatico esempio del rigoroso criterio con cui il giudice contabile valuta la colpa dei suoi giudicabili vedasi Corte dei Conti, sez. giur. per la Sicilia, ordinanza 2 luglio 1981 in G. U. n. 150 del 2 giugno 1982. (9) La giurisprudenza sembra peraltro sempre ancorare la responsabilit� oggettiva del produttore alla � propagazione � di un illecito colposo di uno dei suoi dipendenti, anche se rimasto non individuato, e con presunzione della colpa dedotta dalla stessa difettosit� del prodotto: cfr. MARTORANO, Sulla responsabilit� del fabbricante per la messa in commercio di prodotti dannosi (a proposito di una sentenza della Cassazione) in Foro it., 1966, V, 13. Restano salve, naturalmente, le ipotesi in cui una responsabilit� oggettiva sia prevista al di l� di ogni � propagazione � di colpe altrui, come ad es. nella legge 31 dicembre 1962, n. 1860. Nessuna norma di tal genere � dato peraltro rinvenire nella materia in esame. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 303 La dizione letterale dell'art. 28 della Costituzione, secondo cui quando il funzionario risponde della lesione di un diritto la responsabilit� �si estende� all'ente pubblico, non � di ostacolo a riconoscere la responsabilit� di questo anche nel caso in cui sia limitata quella del funzionario del cui operato esso � chiamato a rispondere. La formulazione letterale della norma non implica infatti, ad avviso della Corte, che le responsabilit� dell'ente e quella del funzionario simul stabunt aut simul cadunt: la portata effettiva dell'art. 28 non consiste infatti nell'affermare una responsabilit� dello Stato, della quale non si poteva dubitare neppure in precedenza data la immedesimazione organica dell'ente con le persone che ne 'tealizzano o eseguiscono la volont�, quanto di sancire su di un piano normativo primario la responsabilit� personale anche del funzionario che violi i diritti del cittadino. natura dell'attivit� in questione, � elemento di individuazione dell'i1lecito (10), cos� come avviene, ad esempio, tradizionalmente nei casi :previst.i dahl'art. 2236 e.e., dai casi in cui la qualificazione della colpa individuaile � finalizzata ad una posizione di favore del pubblrico dripendente quailie �restrizione della responsabrnt� driretta deH'impiegato verso il danneggia�to � (U), cos� come avverrebbe nei casi previsti dagli artt. 22 e 23 del t.u. 10 gennaio �1957, n. 3. Nella prima ipotesi e non neUa seconda fa ravvisabii1it� delila colpa qualiificaita in carpo �ahla persona fisica del funzionario condizionerebbe il sorgere dehla responsabilit� deHa persona giuridica pubblica. Tale costruzione, gcneriailmente data per paoifioa, sembra per� alquanto illogica e sembra invece pi� coerente ritenere ohe tutte le forme di cotpevolezza quailificata di pubblici dipendenti (saJ.vo naturailmente espressa deroga) e prima fria tutte quella di cui al t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 costituiscano elemento di individuazione dell'illecito e non .gi� normativa di favore di limritata appltlcabiLit� alJJe persone fisiche. TaiLe conclusione (12) sembra confortata dai! dato Jettera1e, dail dato sistematico e da:l dato logico. Per l'esame del dato lietteraile non pu� non partirsi dall'art. 28 delilia Costituzione, che testualmente parla di � estensione � della responsabilit� del dip�endente .ailfa p.A. con chiaro riferimento ad un criterio di �propagazione � forse non pi� � � la page � da un punto di vista scientifico, ma perfettamente congruente s1a con ila teoria deUa res'pons.abilit� diretta per immedesimazrione organica seguita dalla giurisprudenza, sia con queMa della responsabi�:it� indiretta seguita da parte de11a dottrina. Passando, poi, all'esame del combinato disposto degli artt. 23., .lo comma, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 e 2043 e.e., deve leggel'si che in tanto� � configurabile una responsabiJl1it� aquiliana in capo a~1a p.A. in quanto vi sia stato dolo o colpa grave del funzionario, in difetto di che non � ravvisabci.l1e il necessanio presupposto del � danno ingiusto �. La qualificazione del�a colpa, in altre paro�e, e (10) Cfr. per tutti: SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1978, 787-788; App. Milano, 21 settembre 1976, n. 182 in Monit. Trib., 1976, 632 (11) App. Milano, cit. (12) Non contrastante con il dettato costituzionale: cfr. Corte Cost. 14 marzo 1968, n. 2. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 304 Ma una volta ammessa la riferibilit� diretta dell'atto lesivo all'ente pubblico, il limite di responsabilit� previsto nei confronti del funzionario non si applica anche nei confronti di esso; �si estende� infatti la responsabilit� ma ci� non implica necessariamente che si estendano anche i limiti di essa. La Corte Costituzionale nella sentenza 14 marzo 1968, n. 3, ha <ritenuto che non pu� ritenersi in contrasto con la costituzione una disciplina della responsabilit� personale fra le varie categorie di funzionari, come da es. quella prevista dall'art. 55 c.p.c. per i magistrati, quella dei funzionari statali ex artt. 22 e 23 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, quella dei conservatori dei registri immobiliari, dei cancellieri ecc. Se una differenziazione pu� dunque essere legittimamente sancita fra la responsabilit� dei dipendenti dello Stato, come presupposto della unica responsabilit� dell'ente pubblico, ne consegue che quella della p.a. per usare 1a terminologia di una nota dottrina, refluisce sulla natura del pregiudizio, rendendolo rihlevante ai11a stregua del priinc~pio di solidariet� (13). L'affermazione, forse di dubbia persp�cuit� sul piano scientifico, appare per� di indubbia conformit� a1la lettera ed alfa volont� dehla legge, essendo stato espressamente statuito che � � danno ing�iusto... quelfo commesso per dolo o coLpa grave �. Il dato sistematico, poi, induce a raffrontare gli artt. 18, 119 e 22, secondo comma, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, con l'art. 1 legge 31 dicembre 1962, n. 1833, nonch� con l'art. 28, 2<> comma del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (stato giuridico del personaLe delle Unit� sanitarie locali). Dal combinato relativo disposto si evince che per la condotta dd gUJi.da di mezzi mecca�lldoi ~n genere da parte di impiegati, operai e militari, � espressamente prevista una limitazione di responsabilit� delle persone fisiche che non si estende alla p.A. con espresso �divieto, pera!Ltro, dri un'azione di rivaiLsa da :parte dii quest'ultima. Vazione di rivalsa � invece esercitabile negld altri casi. Il secondo comma del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 presuppone, inoltre, nonostante il richiamo contenuto nel primo comma del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, l'ipotizzabilit� di una responsabilit� per colpa lieve dei dipendenti dell'U.S.L. Altrimenti non avrebbe senso l'astratta 1potizzabilit� �di rivalsa dell'assicuratore deLla U.S.L. nei loro confronti fuori dei casi di dolo o colpa grave, la cud concreta espressa esclusione sarebbe del tutto superflua (14). Dal filstema della legge sembra, dunque, potersi evincere che La limitazione dii responsabi<lit� al dolo ed alfa colpa grave non riguarda le attivit� materiali o meramente esecutive (per una delle quali -la guida dei mezzi meccanid iJL tLe~1J.atore ha ritenuto di dover d:ettare la diversa disciplina del divieto di rivailsa nonostante la responsab:ii!it� diretta dcl dipendente verso il terzo) ma solo queH� che im'pLichino la soluzione di p1roblemi tecnici di una qualche compLessit� e che presentino, quindi, il carattere dehla professionalit�. In relazione a taLe tipo di situazioni, ~a limitazione di responsabhl!i.t� alla soglia di una colpa qua1ificata risponde, d'altronde, ad una dupLice ratio; quehla di affrancare chi svoliga atti'l.'it� che sono ad un tempo sodaJmente (13) RoDOT�, Il problema della responsabilit� civile, cit., 112. (14) MoR-PALEOLOGo-SPERANZA: Il personale delle unit� sanitarie locali, Milano, ' 1981, 182. ! I I ! I I I I I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 305 non � necessariamente legata alle modalit� di quella del singolo fun. zionario. Con riferimento ai funzionari dello Stato questa Corte ha gi� del resto ritenuto che la responsabilit� per fatto illecito della p.a. pu� sussistere anche indipendentemente dalla responsabilit� del funzionario, in quanto l'art. 23 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, contenente lo statuto degli impiegati civili dello Stato, stabilendo che l'impiegato risponde verso i terzi danneggiati solo se abbia agito con dolo o colpa grave, non esclude che fuori di tali ipotesi il danneggiato possa rivolgersi per il risarcimento contro la p.a. e solo contro di essa (Cass. S.U. 6 maggio 1971, n. 1282). Non vi � motivo di non applicare il medesimo principio allorquando la legge ordinaria prevede come presupposto della responsabilit� personale il dolo e non anche la colpa grave, come nel caso dei magistrati l'art. 55 c.p.c. La stessa sentenza succitata della Corte Costituzionale ha d'altronde esplicitamente ammesso che non sarebbe in contrasto con il citato art. 28 una interpretazione delle norme ordinarie che riconoscesse una responsabilit� dello Stato anche oltre i limiti in cui � ammissibile quella personale del magistrato, cos� come per gli altri funzionari dello Stato era stata ammessa dalla giurisprudenza nell'applicazione degli art. 22 e 23 della legge 10 gennaio 1957, n. 3. � ben vero che la citata sentenza riteneva ammissibile tale estensione di responsabilit� a condizione della esistenza di norme ordinarie che la ut1hl e oarntterizzate da una pecu1iacre delicactezza e potenzialit� di incisione su1l'altrui sfera giiuridica dail paralizzante timore dehlti responsabi:Iit� e que~la corre1ata di ripartire, in base ad un criterio insindacabiJJmente prescelto dal ~egislatore, fra utente ed esercente !l'attivit� socialmente utile, H rischio deille disfunzioni. L'attivit� del magistrato e queHa deil medico sono un chiarissimo esempio in materia, sia pure su diversa scala, e sulla stessa linea deve porsi -mutatis mutandis -l'attivit� dell'impiegato pubblico. Indubbiamente, l!imdtare alle so.gilie del doJo Ia � col�pa professionale � del magistrato, pur considerando }a peculiarit� e la delicatezza delle funziioni svol'!:e, pu� apparire oggi eccessivo, anche se hl principio � ancorato ad una solida tradizione storica (15): proba� bilmente il limite della � colpa grave � intesa come colpa professionale sarebbe criterio perfettamente congruente per individuare il 1imdte deli'illecito risarcibiile oausaito dailJ'�esercizio deUa funzione giurisdizionale (16). Iil vero �, dunque, che nelle ipotesi in esame una pi� benigna consideraZlione dehl'elemento psicologico, parametrata alfa difficoilt� deil compito, appare momento individuatore dehl'iillecito nei suoi e}ementi costituti,vi, essendo ca� (15) DE VITA, La responsabilit� civile del giudice e dello Stato come problema del diritto francese, Foro it., 1979, V, 181. (16) Cos� avviene nell'ordinamento francese dove tanto la responsabilit� personale del giudice quanto quella della Amministrazione della giustizia per difettoso funzionamento hanno per presupposto la � faute lourde professionnelle � (art. 505 codice di procedura civile come novellato nel 1933 e loi 72.626 del 5 luglio 1972, art. 11). 7 306 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sancissero: ma tale condizione si risolve nella individuazione delle norme che regolano la imputazione allo Stato della responsabilit� per i fatti illeciti dei suoi dipendenti. In proposito questa Corte ritiene che il riferimento alle norme ordi� narie come condizione per l'affermazione della responsabilit� dello Stato sia da intendere non in correlazione alle disposizioni che sanciscono i limiti di responsabilit� del magistrato o del funzionario, ma con riguardo al complesso delle norme le quali, disciplinando l'attivit� degli enti pubblici, consentano di identificare l'attivit� di questi con quella delle persone che ne esprimono e ne realizzano la volont�. Un rapporto di immedesimazione organica non sussisterebbe infatti se, come accade in altri ordinamenti, l'organo fosse munito di una autonoma soggettivit� giuridica; e anche nell'attuale struttura l'imputazione degli effetti dannosi del fatto illecito potrebbe in casi particolari essere specificamente esclusa, come ad esempio � generalmente ritenuto per ta� lune persone investite di funzioni pubbliche onorarie. rente, in difetto, quel m1mmo di riprovevolezza che deve assistere la condotta umana perch� possa essere valutata come causativa di iUeoHo risarcibile, anche in sede di imputazione ad a:~tro soggetto. Se cos� �, la �colpa grave � di cui al t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 ed alle numerose altre disposizioni di legge che usano la stessa focuzione, altro non sarebbe che 1a professionale di cui all'art. 2236 e.e. (17) e consentirebbe al giudice di graduare in rela2lione ad ogni singo~a mansione non esclusivamente esecutiva iJl grado di dhltigenza da valutare a' sensi di quehlo che � un pmncipio generale dell'ordinamento e di cui Je varie norme in materia non sono che applrioazioni. Ta!le conolusione appare avvalorata anche da una considerazione sullo stato ddla giu11isprudenza della Cassazione, in proposito non di rado arba.trar, iJamente citata. Suole infatti affermarsi come dato di fatto scontato che la Suprema Corte �pacificamente� nega che fa limitazione di cui agli artt. 22 e 23 t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 sia applicabile alla p.A. e la stessa sentenza in rassegna fa la 1dentica affermazione. Di tutte le sentenze richiamate in proposito {18), una soltanto, a quanto consta, e cio� la pi� recente fra quelle citate in nota, contiene -in sede di obiter dictum -la rdativa immotivata enunziazione. Pi� di recente, per�, abbondano sentenze di segno op'posto in cui -ed in sede di ratio decidendi -si legge la affermazione del p,rincipio che �la pubb1ica amm1nistrazione � responsabile solo nel caso in cui lJO sono i suoi agenti� (19). (17) Vedasi il gi� citato art. 505 del codice di procedura francese che, nella lezione novellata nel 1933, parla significativamente di � faute lourde professionnelle � a proposito dei magistrati. (18) In genere vengono richiamate le sentenze 28 novembre 1961, n. 2749, 20 aprile 1962, n. 792, 29 gennaio 1964, n. 233 e 6 maggio 1971, n. 1282. Cfr. CAVAI.LERI, Spunti costituzionalistici in tema di responsabilit� civile deilo Stato per l'attivit� dei magistrati in Giur. it, 1977, I, 1, 1589. (19) Per tutte Cass. 3 aprile 1979, n. 1916; Cass. 6 novembre 1975, n. 3719. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 307 Ma una volta ritenuto riferibile alla responsabilit� patrimoniale dello Stato, per le no11me che regolano la struttura di questo, il fatto ontologicamente illecito del funzionario, l'ente pubblico deve risponderne verso il danneggiato �anche se sia stabilito un limite, sotto il profilo soggettivo, di dolo o colpa grave, per affermare la responsabilit� personale del funzionario. lil pacifico orientamento della Cassa?J�one sin qui seguito � dunque di segno opposto a queMo tral.atiziamente ...:. ed erroneamente -richiamato. In definitiva e per cono1udere, sembra che JJa ricostruzione teorica prcr posta in tema di responsabi1it� della pubblica Amministrazione per fatto dei suoi dipendenti conduca ad un dsultato armonico ed equil�brato, consentendo aililia giurisprudenza, attraverso il regoilo lesbio deHa graduazione deli1a colipa in rel1azione aihla difficolt� ed alla de1icatezza delile singoLe attivi�t� in esame, di ,realizzare il Illf!SSimo della protezione degli interessi del singolo compatibile con l'ol'dinamento vigente. Diverse e 'pi� conces�sive ipotesi sembrerebbero comportare necessariamente aperture di brecce destinate ad aldargarsi ed a stravolgere irrimediabilmente iJ. sistema. Un sistema certo non immutabile che potr� ed anzi dovr� essere a.ggiornato, ma dal �Legislatore e nel quadro di un organico riesame di settore che tenga conto di tutte le compatibHit� giuridiche ed economiche. IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA TRIBUNALE AMMINISTRATIVO DELLA CALABRIA, Sezione staccata di Reggio Calabria -Ord. 21 aprile 1980, n. 62 -Pres. Vaccaro -Est. D'Agostino -Violi (avv. Pastorino) c. Azienda F.S. Giustizia amministrativa -Provvedimenti cautelari d'urgenza -Art. 700 cod. proc. civ. -Applicabilit� nei giudizi davanti i T.A.R. Ai sensi del combinato disposto dell'art. 4 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e dell'art. 700 cod. proc. civ. ,il T.A.R. pu� in determinate fattispecie adottare in via cautelare una misura che si esprima non solo in precari effetti inibitori (sospensione dell'atto impugnato) ma anche in altrettanto precarie disposizioni ordinatorie (1). CONSIGLIO DI STATO -Sez. VI -Ord. 16 luglio 1980, n. 83 -Pres. Laschena Est. Vacirca -Azienda F.S. (avv. Stato Stipo) c. Violi (avv. Pastorino). Giustizia amministrativa -Provvedimenti cautelari adottati dal T.A.R. Appellabilit� in genere -Mancata notifica alla Amministrazione resistente della richiesta del provvedimento cautelare -Inammissibilit� della richiesta. Tutti i provvedimenti cautelari adottati nel giudizio amministrativo sono appellabili ad eccezione di quelli contemplati nell'art. 5 della legge 3 gennaio 1978, n. 1. � illegittima l'ordinanza del T.A.R. che adotta un provvedimento di urgenza senza che la relativa istanza sia stata notificata all'Amministrazione resistente (2). (1-2) L'ordinanza del T.A.R. della Calacbria in rassegna � stata annullata dai! Consiglio di Stato con la su riportata ordinanza per motivi inerenti alla procedura, per cui � rimasto assorbito il probtiema deMa ammissib:hldt� nel giudizio amrrn.vo del1lia misura cauteLare prevista dall'art. 700 cod. proc. civ. IU!teniamo pertanto opportuno riportare H contenuto del gravame proposto avverso 1'011dinanza del giudice di primo grado. PRETESA AMMISSIBILIT� NEL GIUDIZIO AMMINISTRATIVO DEL PROVVEDIMENTO DI URGENZA (omissis) 1. -Il T.A.R. della Calab11ia ha emesso, nella� forma dell'ordinanza, un provvedimento, ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., secondo cui � chi ha fondato motivo di temere che durante i1l tempo occorrente per far PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 309 (omissis) La difesa del Violi ha perci� scelto una diversa forma di tutela, invocando l'applioazione dell'.art. 700 e.pie. in virt� dell'art. 4 legge 1034 del 1971. Recita questa ultima norma: �Nelle materie indicate negli artt. 2 e 3 la competenza spetta ai Tribunali amministrativi regionali per i ricorsi aventi ad oggetto diritti ed interessi di persone fisiche o giuridiche la cui tutela non sia attribuita all'autorit� giudiziaria ordinaria, o ad altri organi di giu11isdizione �. La formulazione del test� riportato articolo 4 non ha sollecitato i plausi della maggior parte degli interpreti, i quali hanno reagito alla portata innovativa della norma con argomentazioni che spesso sono lo schermo di un comprensibile rifiuto a livello istintivo per un idolo che si crede infranto. Il primo argomento (ma vorremmo dire esorcismo) praticato nei confronti della norma � stato quello di vanificarne il contenuto utilizzando con insolita ampiez:m i lavori preparatori. Il testo originario, si insegna, sub� diverse manipolazioni: secondo il disegno di legge, infatti, la formula contenuta attualmente nell'art. 4 era di ben distinta fattura e sostanzialmente riproduceva il disposto dell'art. 26 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, cos� disponendo: �I �ricorsi di cui alle lettel'e a) e b) sono ammessi avverso gli atti ed i provvedimenti che abbiano ad oggetto un interesse .di persone fisiche e giuridiche quando la materia non sia attribuita all'auto11it� giudiziaria ordinaria o ad altri organi di giurisdizione �. Il comitato ristretto della 1a Commissione della Camem adott� altra espressione: � ricorsi aventi ad oggetto questioni di persone fisiche o giuridiche �. A seguito di un emendamento fatto proprio dal senatore relatore si pervenne infine .alla formula attuale. Quel che � prassi costante della attivit� legislativa ordinaria, cio� di recepire non supinamente le proposte contenute in un disegno idi legge, per affermare di contro fa volont� va~ere iJ: suo diritto in via ordinaria, questo sfa minacciato da un pregd.udizio imminente e irreparabiJe, pu� chiedere con 11iJcorso ail .giudice i provvedimenti d'urgenza, che �a!ppaiono, secondo le circostanze, pi� idonei ad assicurare provvisomamente gli effetti dclla decisione sul merito �. La dottrina � unanime ne1J.'escludere J'applicabilit� dell'art. 700 c.p.c. al processo amministrativo (v. per tutti CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, ed 1976, pag. 338). Anche '.La giurisprudenza � dii questo avviso. VaJe rii.portare la motiva:ziione al riguardo deHe Sezioni Unite della Cassazione: � Nessuna rilevanza !�n contmrio, con rigua11do alla fattispeoie in esaJme, pu� attribuirsi a1Ha constata:zi1one che in sede di giurisdizione amministrativa non sono ammessi i .provvedimenti ex art. 700 c.'p.c.; costituendo ci� una naturaJe conseguenza dehle pecuLiari caratteristiche dehlia �giurisdizione amministrativa rispetto a que1la oivile, e realizzando ciascuna deJ.le due nel modo voluto dal legislatore wa tute~a dei rapporti giuridici ad essa devoluti. N� va~e obiettare -come fanno i controricorrenti -che, cos� interpretata, la nonma deihl'art. 700 c.p.c. verrebbe a contrastare con gJi artt. 3., 24 e 36 Cost., RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sov11ana del Parlamento, viene presentato, per quel che concerne il caso di specie, siccome evento inspiegabile e J'emendamento -approvato dal Senato e trasfuso in una legge della Repubblica -quasi come un colpo di mano o un fraintendimento surrettizio. Ma le vicende legislative, prima della promulgazione, possono essere le pi� varie senm che per questo debba indursene 1a dipendenza del testo, cos� come divenuto provvedimento legislativo, da quelle. La volont� del mitico legislatore diverrebbe a questo punto uno strumento per riscrivere le ~eggi a seconda delle proprie pur onestissime convinzioni: una prassi questa che non pu� condividersi anche perch� neppure di volont� del legislatore pu� parla11si bens� di opinioni, altamente qualificate (:non Jo si mette in dubbio), ma non assunte ad atto autonomo e rilevante per l'ordinamento generale. Non sembra quindi corretta, alla stregua delle suaccennate considerazioni, la posizione della dottrina (invero non 11isulta giurisprudenza in proposito) che facendo leva su testi privi di efficacia normativa sottende una lettura che nulla ha i:n comune con l'unico dato seriamente r.iilevante: cio� la norma cos� come inserita in una legge della RepubbLica. L'operazione, oltre che antis�torica, come meglio si vedr� in prosieguo, urta contro il preciso disposto delfart. 12 delle disposizioni sulla legge in generale a sensi del quale �nell'applicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che queJ.lo fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse... �. Chi ricerca in ipotesi non realizzatesi la tranquillante certezza che nulla � mutato nell'apparente semplicit� del criterio del riparto di giurisdizione dovr� certo acquetarsi nella consapevolezza dell'illusorio. Ma delle obiezioni rivolte alla lettura integrale dell'art. 4 succitato, quella poggiante sul preteso equivoco tra testo congedato dal Comitato per cui andrebbe so!JLevata ahlora Ja relativa questione di Jegd<ttimit� costituziona�e. � La diversa natura del rapporto d'impiego pubblico, infatti, rispetto al rappo!'to di lavoro pdvato, cos� come spiega H deferimento de!JLe relative controversie ailiha giurjsdizione esclusiva del giudice amministrativo, (con i conseguenti particola.i;i benefilci che ne conseguono), spiega 1anche, e gdustif.ica a 1ivelilo costituzionale, JJa non estendibilit� alila tutela nelila sede dehl:a giurisdizione amministrativa, di particolari strumenti :Propri dehla giurisdizione del processo �civile; senza quindi che si possa ritenere violato �!n alcun modo il principio di eguaglianza o H diritto dell'impiegato pubblico a�fa difesa giurisdizionaile e, tanto meno, queli1o alfa retribuzione garantita dailil'art. 36 Cost. � (Cass. SS.UU. 25 ottobre 1979, n. 5575, Azienda F.S. e/ Galloni ed �altro, in questa Rassegna, 1979, I, 611). 2. -lil TA.R. d� atto che nel vigente ordinamento processuale della giusti: ma amministrntiva non sono previste mi.sure cauteiliari. al di fuori delila sospensione dell'atto impugnato (art. 21 Legge n. 1034/197'1) e si pone il problema � afferente aillla concreta superabilit� deltla lacuna legismthna su esposta ! ! l I I I I PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 311 ristretto suindicato e testo legislativo (l'antitesi tra H sein ed il sollen dei filosofi tedeschi) � certo .la meno grave in quanto si confuta da se medesima. Di altre bisogna per� farsi cariro. Un ostacolo pi� serio � infatti frapposto dall'art. 103 1� comma Cost. (Oaianiello, Nigro), il quale impedisce un trasferimento �in via generale della competenza giudiziaria ,su diritti soggettivi al giudice amministrativo. Posto in questi termini H rilievo ha certo effetti paralizzanti in quanto non appartiene alla nostra tradizione giuridica -con �11isUJ1.tati forse deludenti ~il principio del contentieux de pleine jurisdiction. D'altronde sarebbe certo strana una norma sul riparto di giurisdizione che segnasse la linea di demarcazione con criteri da patto leonino. Ed � forse questa giusta preoccupazione ad aver indotto una resistenza cos� dura nel concedere alla norma in esame un pur minimo con.tenuto innovativo. Invero non sembra che si possa accedere al suesposto rilievo se non sulla base di una lettura eccessivamente ampia dell'articolo in questione, che potrebbe, essere, allora, cos� riscritto: �tutte le volte che un atto amministvativo Jeda un diritto soggettivo, la giurisdizione spetta al TAR ove non sia attribuita �all'AGO o ad altro giudice�. Il che ~quhiarrebbe ad ipotizzare una norma (o un romplesso di norme) che specificamente attribuiscano a1l'AGO la cognizione di diritti soggettivi in ipotesi particolari (con fa conseguenza che la giurisdizione ordinaria nei confronti della P.A. diverrebbe un episodio del tutto marginale o quanto meno residuale). Il contrasto con l'art. 103 Cost. sarebbe cos� di palmare evidenza. Ritiene questa Sezione che non sia per� queHa la lettura corretta della norma che qui interessa. Non � infatti necessario ipotizzare uno stravolgimento def dettato costituzionale per assegnare una concreta rilevanza al dato tin esame. Minor peso hanno altre osservazioni: la prima � in quanto sia colmabHe all'interno dell'ordinamento stesso senza la necessit� d~ so1lievare un conflitto circa �lia ritenuta carenza di tutela� (pag. 42 ordinanza). Detto probl~ma :hl T.A.R. lo supera affermativamente, ritenendo che l'ope razione di integrazione di un testo 1egi.sJiativo con un a1tro non configura un procedimento di interpretazione analogica n� tanto meno applicazione dei pri.ncipi gene11a:li deH'ordinamento giuridico, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, e oi� perch� �l'ordinamento, in quanto generale, non tol�era soluzioni di con� tinuit� nella funzione giurisdizionale. Ragionando cos� si dovrebbe ritenere appfilcabile nel procedimento di giustizia amministrativa anche Jia prova �testimoniale pe11Ch�, stante l'unicit� dello ol'dina.mento g�iuridico, � oonsentito {secondo l'origi:n:aile tesi espressa dal T.A.R.) applicare le norme prooessuaili da un sistema (civi[e) ad ail:tro (aimrrn!in!�!stratlvo). Ma facendo cos� si <incorre proprio nell'analogia, che � quel sistema attra verso hl quale il .giudice sopperisoe ad una !insufficiente previsione Jegislati:va facendo 11icorso aHa dg,sclpd!ina giurddica dettata in materia analoga. Oi� non � possibille nel campo processuale, essendo di stretta interpre tazione !le norme <relative, per cui mai � staita affacdata �l'ipotesi che le norme 312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quella della revoca di ogni significato alla tassativa oasistica degli articoli 5 e 7 legge 1034 del 1971 (Caianie1lo), ove si acceda all'interpretazione estensiva dell'art. 4 surriportata. Tale rilievo non ha per� una vern e propriia autonomia, ma � isolo una conseguenza di quanto gi� sopra considerato. Un'altra opinione ha individuato un profilo determinante al1a negazione di un significato �profondamente riformatore� negli artt. 17, terzo comma (quale che sia il valore di questo precetto), 8, 26, 37 (con la conservazione del meccanismo di rapporti fra 1a pronuncia del giudice ordinario e successivo annullamento amministrativo posto dall'art. 4 della legge del 1865 e dall'art. 27, n. 4 del testo unico)� che testimonierebbero �complessivamente e decisivamente � la permanenza del precedente sistema (tra virgolette sono alcuni passi. di uno studio del Nigro � Problemi veri e falsi della giusitizia amministrativa dopo la legge sui tribunali regionali � in Riv. trim. dir. pubbl. 1972, pag. 1823). Il dato da cui parte la succitata contestazione � in verit� esatto se '1o si rapporta 1all'opinione -contro cui muove -nella prima enunciazione che di essa � stata fatta (precisamente alla suggestiva interpretazione del Cannada Bartoli in un breve saggio in Foro Amm. 1972, parte III, pagg. 9-12): essa si oppone in buona sostanza alla non fortunata teoria del diritto fatto valere come interesse (di Vittorio Scialoja). In realt� 1e argomentazioni surriferite provano troppo in quanto presuppongono -come meglio si vedr� in seguito - un'assoluta tipicit� di ca:s1i in cui l'appariato pubblico stabilisca un contatto particolare con il privato cittadino. Il che non � come dimostra con ampiezza iJ caso di specie. D'altro canto, a prescindere dall'art. 8 legge 1034 del 1971, che � norma a �ontenuto essenzialmente strumentale, volta com'� a non disperdere i p!'esupposti obiettivi della pronuncia, l'art. 26 non presenta certo le preclusioni che si vogliono far discendere alla stregua della semplice constatazione che esso non esaurisce le potenzialit� di prooessua1i dettate per una giurisdfaione possano vakre nel campo dii a:1t:ra giurisdi:ziione. Basta al riguardo considerare che tutte le garanzie previste a tutela del conv�enuto nel giudizio penale (imputato) non possono applicarsi al convenuto nel giudizio civhle. In particolare le misurie cautelari nel procedimento amministrativo sono contemplate nehl!'art. 21 ult. co. deMa Legge n. '1034/.1971, ove � disposto che �se i1 ricorrente, a11egando danni gravi e irreparabili dedvantii dall'esecuzione de11'atto, ne chiede 'lia sospensione, sull'istanza iJ Tribunale mnministratiivo regfonaile pronunda con ordinanza �. E ci� in quanto, come � stato esattamente osservato, � l'esdgenza di conformare iil provvedimento cautelare a1 processo principale, restringe La tipo1ogia del promo alla so1a sospensione dehl'atto amministrativo impugnato� (CAIANIELLO, op. cit., pag. 338). Non si tratta perci� di una lacuna 1legisJativa, bens� di una situazione logica e coerente con 1a struttura del procedimento giurisdizionale amministriativo, che (tranne casi eccezionali) � giudizio di Legittimit�, per oui, ove iJ ricorso sia accruto, sfocia in una pronuncia di annuililamento ovvero di accer~ ., I 1 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 313 giudicato in tutti i casi di giurisdizione esclusiva. Non si potr� certo negare al TAR 1a facolt� di emettere sentenze dichiarative ad esempio ,in vertenze di pubblico impiego: diversamente opinando, la giurisdizione esclusiva sarebbe men che un ordito per mantenern le prerogative autoritarie della p.a. in materia. N� maggior pregio ha invero il richiamo all'art. 37 legge 1034 del 1971: la consecutio temporum tra giudicato dell'AGO ed ottemperanza in via giurisdizionale, in previsione dell'annullamento amministrativo � ipotesi paradigmatica ma non esclusiva, come testimonia la procedimentaJ.izzazione della spesa pubblica ad opera del giudice amministriativo. La critica avrebbe senso (e lo aveva al momento in cui fu esposta, ,essendo praticamente coeva all'indirizzo giurisprudenziale riformatore del Consiglio di Giustizia per la regione siciliana siccome fatto proprio dall'Ad.PL del Consiglio di Stato 9 marzo 1973, n. l, di poco �successiva al noto saggio), ove l'esecuzione del giudicato potesse risolversi sempre e solo ne1la demolizione giu11idica di un atto amministrativo. La esperienza 1insegna per� il contrario. Le osservazioni sin qui svolte, pur nella loro asistematicit�, portano tuttavia ad una conclusione provvisoria, ma importante: non essere cio� sempre e assolutamente riducibile ad una pronuncia di annullamento una questione, di competenza del TAR, coinvolgente diritti soggettivi. Se ci� � vero per l'opinione gravemente riduttiva de1la portata della norma, altrettrunto si pu� predicare in linea di massima per l'opposta tendenza dottrinale (Cannada Bartoli), che dapprima anim� la disputa fornendo un'interpretazione dell'art. 4 a dir poco estensiva e coincidente, nonostante il sottile �distinguo�, con le sfo11tunate proposte di V. Scialoja. In un secondo momento la teoria � stata incentriata sulla semplif,icazione del riparto di giu11isdizione. Il pi� consapevole seguace di questo indirizzo cos� si esprime per evidenziare il succennato criterio (F. SATTA, Principi di Giustizia Amministrativa, Capo I, par. 10): �La soluzione di tamento ovvero ancora nella condanna al pagamento di somme (art. 26 Legge n. 1934/1971). Orbene, essendo 11a misura cautelare diretta ad as�sricurare, in via provvisoria, che 'La futura pronuncia del giudice non resti pregiudicata dal tempo necessario ad attua:ri1a, sono incompatib1li nel giudizio amministrativo quei provvedimenti cautelari che non siano in rapporto strumentale con dJ! contenuto deHa emananda pronuncia. Non � quindi ammissib:hle l'adozione d:i una mfaura caute1are che imponga aill'Ammrinistrazione il rilla:scio del provvedimento auspicato, perch� ci� si pot11ebbe ottenere, a seguito di intervenuto giudicato, attmverso il .giudizio di ottempe!'anza. 3. -Acppar�e poi d1Hogica la motivazione, a sostegno del provvedimento adottato, l� dove � detto: � Non si pu� pertanto esdudere che in determinate fattis:pede la misura debba esprimersd non in precari effetti inibitori ma in altrettanto precarie disposizioni ordinatorie. 111 ,campo in cui deve sicuramerute applicarsi quest'ul~ 314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO rendere ii TAR giudici di diritti ed :interesse, Ja cui tutela non sia affidata all'AGO o ad altri organi di giurisdi:llione, esprime una scelta precisa: una soluzione idi compromesso cio� tra chi non vole\'a mutare niente... e chi voleva mutare tutto...; soluzione di -compromesso cui va dato quindi un ben preciso valore. Questo valore non pu� essere trovato altro che nelle oaratteristiche di questo giudice, reso competente in materia di diritti e di interessi, per l'annullamento di atti, rispetto a quella del giudice ordinario, -cui pu� anche essere affidata la tuteJa degili stessi diritti ed interessi... essere cio� il giudice, amministrativo competente per l'annullamento, ogni volta in cui si tratti di tutela mediante ail[lullamento, nei confronti �di amministrazioni che abbiano agito con atti amministrativi; essere competente quello ordinario, negli stessi casi, e quando l'amministrazione abbia agito alJ'dnfuori di un atto amministrativo, e si chieda H risarcimento del danno �. Quel che non convince dell'opinione suesposta � proprio la coincidenza di casi in cui potrebbero operare Ja giurisdizione ovdinaria e quella ammdnistrntiva, con il discrimine della sussistenza o meno dell'atto amministrativo. Questo modo di vedere porterebbe a conseguenze abbastanza singolari: la prima � che l'amministrazione � resa arbitra del tipo di giurisdizione da scegliere nel oaso concreto, essendo sufficiente che la stessa adotti o meno il.a forma provvedimentale per riversiare �dispute di diritti avanti tiI TAR anzich� avanti il giudice ordinario. E viceversa. Ma, senza arrivare a tali estremi, va confermato che �a concorrenza di due giurisdizioni nelJa stessa materia, oltre ad apparire come una vera e propria rivoluzione, peccherebbe forse di incostituzionalit�. L'art. 103 Cost. al primo comma limita 1a cognizione dei diritti a particolari materie indicate dal1a legge. Come riconosce l'illustre autore pochi righi prima del brano sopra riportato, il.e materie previste dall'art. 4 legge 1034 del 1971, giusta il collegamento con i precedenti arti- timo princ1p10 � qurulo dei giudizi di accertamento Qaddove n0tn sia implicato un atto autoritativo deM'AmministTazione ... Orbene, il provvedimento �di urgenm ex art. 700 c.'p.c. ha da funzione di anticipare �gi1i effettii deLla sentenza, ma non quclla di realizzare effetti estranei a:!~a sentenza futura, ragion per cui non pu� chiedersi in via d'urgenza pi� di quando si possa chiedere nehle forme ordinarie. Se questo � :lo sc�po de1 rimedio di uvgenza � contraddittorio afferma!l:'e la legittimit� di � precaTie disposizioni ordinatorie� in � giudizi di accertamento �; invero se tal~ giudizi si condudono con sentenza di accertamento i provvedimenti caute1ari non possono che essere di accertamento o Inibitori, solamente se il giudice pu� emettere una sentenza cos.titutiva da misura cautelare pu� avere ad oggetto un ordine a carattere positivo. Inoltre, se, come d� atto il T.A.R., il ricorrente �ha sposrtato indubbfa mente i termini de1La contToversia da :lite su!W'atto a causa sul rapporto con la conseguente immissione nel thema decidendum del diritto del ricorrente ad essere considerato pubblico dipendente � e � nel caso di specie peraltro manca quanto meno all'origine della controversia il possesso pleno iure di quello PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 315 coli 2 e 3 sono tutte quelle in cui possa essere interessata una situazione soggettiva nei confronti di una p.a. La � particolarit�� pure richiesta dall'art. 103 Cost. sarebbe a qruesto punto risolta nella sussistema di un atto, il quale implicherebbe addirittm:;a una qualificazione della materia dedotta in giudizio. Il risUJl.tato sarebbe convincente ove fosse costituzionalmente legittimo. Seppure con una notevole raffinatezza intellettuale, il criterio deJ. riparto succitato null'altro nasconde che il vecchio strumento del petitum. AJJ'adesione a questo r�virement su basi che toccano direttamente l'assetto delle situazioni giuridiche fondamentali secondo l'affascinante ricostruzione del dir&tto soggettivo come presupposto dell'interesse legittimo, urta, come si � detto, 11 dato costituzionale. Ne consegue tra l'altro che la critica mossa all'art. 4 secondo l'esposta interpretazione (Caianiello) � esatta ma non in. termini in quanto ben diversa � 1a lettura che va fatta della norma in esame. Per quanto sopra si � osservato, consegue che ent11ambe le interpretazioni peccano, l'UJna per difetto, l'altra per eccesso; ma, nonostante le apparenze, le due tesi sono abbastanza vicine per quanto concerne l'univocit� del presupposto da cui promanano: essere cio� la giurisdizione amministrativa ad esclusivo fine di annullamento. Il che, in materia di diritti soggettivi non � integralmente esatto e neppure esauriente. � quindi il momento di valutare la portata innovativa dell'art. 4 legge 1034 del 1971, posto che un senso ad essa va dato, nel massimo grado di compatibilit� con il testo legislativo. Si pu� subito premettere che l'a11t. 4, ha, ad avviso della Sezione una chiara funzione di norma di chiusura di un sistema qual � sostanzialmente quello disciplinato anteriormente dal t,u. 26 giugno 1924, n. 1054. Si deve aggiungere anzi che il sistema nelle sue linee essenziali status su cui pure verte La lite>>, l'affermazione pi� sopra riportata � inapplicabile nella specie, perch� risulta implioato un atto autoritativo. Infatti l'atto di nomina a pubblico dipendente (che <L'Amministrazione non ha emesso e di cui il ricorrente si duole) non � atto paritetico, ma atto autoritativo. Diritti paritetici sono que1Li esaminati dai Pretori a proposito dei precari universitari e a cui l'ordinanza accenna e le misure cautelari consistevano nell'ordine di pagamento di una somma di danaro, ma giammai nella costituzione di un mpporto di pubblico impiego. 4. -Da quanto finora esposto dstl!lta che il contenuto de1l'ordii.nanza impugnata non � consentito. Ma oltretutto n� il giudice ordinario n� il giudice amministcrativo avrebbero nehla specie potuto accogliere 11a domanda mirante �ad. ottenere un provvedimento di urgeil2la ai sensi dehl'art. 700 c.p.c. Quando v,iene chiesta una misura d'urgenza ~l gfodice deve, infatti, stahiHre se in capo �ail richiedente sussista la titolar~t� del diritto che si pretende leso, sia pure sotto la parvenza del fumus. 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � stato perfezionato, coprendosi una brevissima zona grigia nel .riparto tra Je due giurisdizioni. Punto essenziale della disamina � non gi� la locuzione �diritti ed interessi�, bens� l'obiettiva delimitazione contenuta nella norma a proposito di tutela �non attribuita all'AGO, o ad altri organi di giurisdizione�. Nehla previgente legislazione, basata srull'esdusivo riferimento agli interessi � di individui o di enti moraJi giuridici �, l'esplicita previsione a mo' di limite di �quando i ricorsi medesimi non siano di competenza della autorit� giudiziaria� (art. 26 TUCS) connotava un complesso di situazioni soggettive sostanzialmente omogenee di cui veniva riconosciuta la conoscibilit� daJ giudice speciale, salve le eccezioni a favore dell'AGO. Il rapporto implicito nella disposizione era perci� queJlo di regola-eccezione, predicabile sul presupposto dianzi citato di situazioni omogenee (nella speoie interessi). Le opinioni suesaminate hanno entrambe .il torto di aver inserito in un contesto normativo diverso per la sostanziale non omogeneit� delle situazioni in esso previste, il canone ermeneutico che sovraintendeva alla lettura dell'art. 26 TUCS. In realt� la Jocu21ione � diritti ed interessi � con la successiva delimitazione crea, in buona sostanza, due fattispecie di cui una soltanto � conforme al succitato disposto dell'art. 26 TUCS, come sarebbe ove si obliterassero le parole � diritti ed �. In questa prima ipotesi � chiaro il fenomeno .ripetitivo rispetto al previgente art. 26; ma lo stesso non pu� affermarsi nella seconda fattispecie in cui si rapportano elementi tutt'altro che omogenei. Posto come caposaldo l'art. 103, 1�, Cost., sarebbe infatti assurdo ritenere che il rapporto regola-eccezione :in relazione a diritti soggettivi ponga come destinatario della regola il TAR e deJl'ecoezione l'AGO. � vero caso mai il contrario. Atteso che l'AGO � idealmente investita �di tutta la giurisdizione s� da far considerare come eccezione a tale principio l'attribu21ione di competenza al TAR per quanto Ora l'o!'dinanza impugnata drice: -� H '!'�Corrente e!'a stato utii1izzato senza una formaJ1e convenzione, bens� di fatto�; -� a fondamento dell'azione vi � l'ipotesi di una trasformazione del rapporto intercouente tra il Violri e �l'Aziendai F.S. in virt� del suocdtato disposto degli artt. 29 e 33 legge 42/1979 a sensi del quale si �sarebbe r�adicata nel !'icorrnnte ben pi� che una as'pettiativa (anzi meglio il diritto aJ. posto), giusita 11a p!'evisrione dii un inquadramento degli incaricati di ta�uni servizi o quanto meno di un'organica revtlsione, economica e normativa, dello status di assuntori ed equiparati �; -� lo status di pubb1ico dipendente e la conseguente ripresa -anche se in precario -del rapporto non sono elementi presupposti nell'a2Jione esercitata bens� lo obietto finalistico del gravame �. Quindi non esriste un diritto acquisito di pubblko dipendente (in base al quai1e aziona!'e 1e pretese), ma .solo una aspettativa ad inquaJdrato ne11a Pubblka Amministrazione. essere in futuro I : I I ' I I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 317 concerne diritti soggettivi, ne consegue inequivocabilmente una lettura assai diversa da quella apparentemente proposta. l1l presupposto � non gi� una norma (o un complesso di norme) che autorizzino la cognizione del giudice ordin�rio, bens� una disposizione che in qualche modo la escluda. Il che non porta necessariamente a qualificare subito come giurisdi� zione esclusiva il residuo di tale operazione Jogico-giuridica. Il caso di spede ne � un esempio evidente: impugnando l'atto di recesso il Violi ha sostenuto che lo stesso era illegittimo in quanto inseritosi in un rapporto ormai da qualificare come d'impiego pubblico e implicitamente ha esperito una richiesta di declaratoria inerente il rapporto. La deduzione di tale accertamento ha spostato indubbiamente i termini della controversia da lite sull'atto a causa sul rapporto con la conseguente immis� sione nel thema decidendum del diritto del ricorrente ad 'essere considerato pubblico dipendente; ma ci� inevitabilmente comporta la scis� sione del giudizio in due momenti: la prospettazione per cos� dire del diritto e la successiva ricognizione della sussistenza del rapporto con la logica attrazione giurisdizionale ex art. 7 legge 1034 del 1971. Questi due momenti, seppure impliciti in ogni vicenda processuale, presentano il massimo interesse per la dimostrazione che si sta qui esponendo poich� distinguono e scandiscono quasi le fasi di una tutela che si assume, in quanto esclusiva, pressoch� totalizzante (ad eccezione delle questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali, secondo l'esplicita previsione de1l'art. 7 succitato). Nel caso di specie, peraltro manca quanto meno all'origine della controversia il possesso pleno iure di quello status su cui pure verte la lite. Da questa constatazione � possibile per� far discendere una feconda applicazione. La sussistenza del diritto, che � poi oggetto della giurisdizione esclusiva, � proclamata in via di prospettazione sicch� il giudice amministrativo si trova -rispetto a quella -ne1l.a stessa situa- E questa aspettativa trova fondamento in una nonna progriammatica (e non precettiva), quella cio� dell'art. 29 legge 6 febbraio 1979, n. 42, che cos� dice: � Entro dodici mesi dahla data di entrata in vigore delilia presente legge, iJi Ministro dei Trasporti, sentite le Organizzazfoni sindaca1:i maggiormente rappresentative su base nazionai1e, predisporr� un disegno di legge per La disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro degli incaricati. dei servizi del1a Azienda autonoma de1'1e Ferrovie delfo Stato e dei ~oro coadiutori familiari e sostituti. � Entro tre mes�i da1la data di entrata in vigore delfa presente legge con apposita 1egge saranno disciphlnate le modalit� per l'inquadramento di inca� ricati nei ruoli del personai1e F.S. per particolari servizi indicati nella legl?)e stessa�, Mentre H primo comma cont�iene una riserva di legge sul trattamento economico degiti incarioati, 11 secondo comma invece contiene una riserva di Legge per inquadrare nei ruo~i organici coloro che svo�lgono mansioni di inca� J1icati � per particolari servizi indicati nella legge stessa �. lflff,.,mflllllfllflllllllllllllllfllllrlllllllllllllllllllll 318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione del giudice ordinario allorquando avanti a quest'ultimo sia radicata una lite in cui si faccia questione di un diritto. Con l'importante diversit� che !'A.GO ha una competenza tendenzialmente organica in materia, mentre � vero l'inverso per il TAR. Il magistrato ordinario ha poi a propria disposizione una serie di strumenti volti a non vanificare i risultati concreti della sua eventuale pronuncia: e si badi bene che tali mezzi sono adottati sulla base dclla prospettazione in ragione del periculum in mora che pu� derivare al diritto affermato. Tali sono in genere le misure cautelari, itipi�he ed atipiche. In situazioni quali quella dedotta in giudizio ed altre eventualmente ipotizzabili (si pensi allo status assai incerto dei cosiddetti precari delle universit� ed in genere quanti intrattengono con l'Amministrazione un rapporto per molti versi anomalo) la qualifica di pubblico dipendente non � un prius ma ~�esito del processo. � in tali casi che opera l'art. 4 legge 1034 del 1971, il cui senso pu� essere a questo punto assai meglio compreso. Si evince perci� che tale norma copre, come autorizzazione alla tutela, tutte quelle situazioni anomale, in cui si faccia questione di un diritto, allorquando una norma neghi o impedisca la cognizione da parte del magistrato cwdirnario, per devolverla al giudice amministrativo. Il che non vuol dire che si versi in paradigma di doppia tutela m ausilio di un'obiettiva situazione d'incertezza (ci� purtroppo � un evento tutt'altro che inverosimile per 1a sostanziale difficolt� che trovano spesso i. cittadini a �decifrare� l'esatta direzione di una loro azione giudiziacia nella mortificante aspettativ�a di veder risolta la vicenda dopo talora tre gradi del giudizio dalla fatidica pronuncia sul difetto di giurisdizione). LI principio della doppia tutela presuppone la coesistenza di due si" tuazioni giuridiche ben distinte; nell'ipotesi considerata tale concorr. enza invero non sussiste, giacch�, la situazione di cui si chiede tutela (seppure intrecciata all'interesse legittimo) � identica nell'ambito delle Perci� fino a quando non interverr� .la programmata futura legge, che dtca a1tres� qua:lii siano i serv�izi degli incaricati atti a dare titolo all'inquadramento, non sussiste attualmente a!Jouna aspettativa di diritto, bens� una mera speranza che i1l servizio in concreto svolto dal Vio1i possa rientrare tra quelli che ii1 Legislatore indicher� come titolo alil'assunzione. Pertanto '1'Amministrazione (venuta a mancare fa necessit� di mantenere fili passaggio a JiveN.o, gi� sorto con carattere di provvisoriet� per ile esigenze di uno stahlltlmento privato) non poteva trattenere in servizio i.I Violi, n� ~anto meno inquadrarlo nei ruo!Ji in mancanza dti una norma che Lo consenta. Un ricorso giurisdizionale, con il quale si lamenta 1a vio1azione di una norma programmatica, non pu� condurre ad una sentenza di accertamento di un diritto che non esfate. E skcome non esiste il diritto, iil giudice non pu� emettere provvedimenti cautelari a tute1a di una aspettativa di mero fa1lto. 5. -L'Adunanza Plenaria, alla nota decisione 20 gennaio 1978, n. 1, ha posto in 1luce che 1l rito camerale, previsto per decidere su domande di carat PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 319 due possibili giurisdizioni. L'art. 409, quinto comma, c.p.c. (e si deve ritenere che tale fattispecie sia l'unica o quanto meno una delle poche cui fa riferimento l'art. 4 legge 103 del 1971) prevede la devoluzione ail magistrato ordinario -bench� la formwa precisi solo l'adozione del rito, fa connessione � di tutta evidenza -dei � rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, semprech� non siano devoluti dalla legge ad altro giudice�. � quest'ultima Hmitazione che autorizza a ritenere l'astratta coesistenza di �due giudici competenti e pone come elemento rilevante della distinzione 1a previsione di una norma di legge. Ora tale norma, nel nostro caso, potrebbe essere l'art. 7 legge 1034 del 1971; ma essa costituisce l'obiettivo della fattispecie, il probabhle dato qualificativo del rapporto. L'unico elemento certo � che il rapporto in questione pu� non essere attribuito alla cognizione del giudice ordinario. Ed � proprio questo che l'art. 4 intende dire: se il momento della giurisdizione non pu� disgiungersi dall'atto decisionaile, non valendo in ipotesj la c,d, teoria della prosp�ttazione, � pur vero che all'atto di soegliere una giurisdizione iJ cittadino, sul ragionevole presupposto di una norma che lo autorizza a ritenere 1a devoluzione legislativa a favore del giudice speciale e non dell'AGO, non pu� vedersi sbarrato il passo ad ogni forma di tutela dalla sussistenza del dubbio che l'autorit� adita sia incompetente. Ben diverso sarebbe il discorso ove le situazioni deducibili non fossero identiche, come � il caso del �diritto fatto valere come interesse�: per quanto interessa la presente decisione, fattore discriminante della tutela � la possibile qualificazione & pubblico impiego ('con attrazione di competenza al TAR) in materia sicuramente di diritti soggettivi. In verit�, pur ammettendo il dilemma, i corni dello stesso riguardano solo la forma della tutela e non gi� l'oggetto della medesima. Si tratta, come si era premesso, di una zona grigia tra le due giurisdizioni, di un concetto -se si vuole -meramente residuale, posto che tere caute1are, � presenta, tuttavia, garanzie di contraddittorio sostanzialmente analoghe a quelle del rito ordinario �. Orbene ne11a spede tali garanzie di contraddittorio non sono state ris:pettate. Ir:fatti H Violtl, nel suo ricorso, formulava istanza di sospens,ione deli1'ilnpugnato provvedimento di Hcenmamento. Il T.A.R. ha respinto l'istanza di sospensione, cos� motivando: � Seppure questa Sezione ritenesse 1a sussistenza del danno grave ed irreparabhle e disponesse per l'effetto }a sospensione dehl'impugnato recesso, non ne discenderebbe automaticamente l'immediata riammissione in servizio del Violi, essendo necessario per '.]:'Amministrazione un nuovo titolo in forza del quale far riprendere 1e prestazioni di custodia e presenziamento del passaggio a livehlo posto al km. 447 + 521 de1la Linea suindicata. �Ci� per la semplice ragione che lo status di pubblico dipendente e la conseguente ripresa -anche se fa precario -del rapporto non sono presupposti nell'azione esercitata bens� l'obietto finalistico del gravame�. 320 RASSEGNA DELL'AWOCATUR<\ DELLO STATO i dubbi dovrebbero comunque sciogliersi in virt� della statuizione giurisdizionale. Basta tuttavia por mente all'art. 362 c.p.c., secondo comma, sub 1) per rendersi conto che la sussistenza di un conflitto � ipotizzabile non solo al momento della scelta della via giurisdizionale in via di mera difficolt� interpretativa, bens� dopo una decisione, con gravi inconvenienti per chi invoca giustizia. Occorre ovviamente aggiungel'e che il pi� volte citato articolo 4 non ha certo la pretesa di definire il riparto di giurisdizioni, ma solo quella pi� modesta di garantire comunque la tutela, ove l'oggetto della stessa non rientra, quanto meno sulla base di un ragionevole dubbio derivante da una qualche disposizione legislativa relativa al riparto (ad es. art. 409 sub 5 c.p.c.), nella cognizione del magistrato ordinario. :E naturale perci� che non di una tutela piena pu� trattarsi, coincidendo la stessa con la risoluzione positiva del conflitto a favore del giudice adito e nel senso richiesto dalla parte, bens� limitata e coerente con lo sviluppo processuale ipotizzato. Il principio della prospettazione acquista qui il massimo rilievo se, in presenza degli altri requisiti di volta in volta specificamente richiesti dalla legge, si esperisca un procedimento cautelare. In analogia, la lettura dell'art. 671 c.p.c. pu� fornire una cospicua prova dell'assU[lto: in questa norma il � creditore � � tale solo in virt� di un titolo sottoposto alla deliberazione dell'autorizzante cos� come il � debitore � � individuato dalla stessa ragione; ma nulla toglie che nella :fase di merito e contestuale convalida siano accertate vicende risolutrici di quel diritto ab origine. Nella fase cautelare, infatti, il presidio offerto � in funzione di una probabile corrispondenza tra l"affermato e il deciso (fumus boni iuris) per cui la situazione soggettiva abbia assicurata un'effettiva congruenza .della futura soddisfazione. �La difesa del Violi� prosegue l'ordinanza �ha perci� scelto una diversa forma di tutela, invocando l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. in virt� dell'art. 4 .legge 1034/1971 �. E tale richiesta � stata �avanzata in camera di consiglio dailll'Avv. Postorino �, difensore del ricorrente in assenza del difensore dell'Amministrazione resistente. Quest'ultima era, invero, edotta de1la richiesta di sospensiva, per cui solamente su tale richiesta si �era �instaurato 11 contraddittorio. Non essendo stata portata a conoscenza de11'Amministrazione resistente fulteriore richiesta ex art. 700 c:p.c., il T.A.R. non poteva decidere senza violare il principio del contraddittorio. N� � esatto quanto affermato nell'ordinanza, dove � detto che � l'istanza .inibitoria � stata presentata con ricorso cui � seguita in camera di consiglio una emendatio libelli. Tale vicenda non � pur tuttavia preclusiva, posto che la formulazione della domanda volta ad ottenere una tutela cautelare � stata .espressamente proposta con ricorso (cos� come richiede l'art. 700 c.p.c.) �. i I I l I I I I I - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 321 Ma se l'art. 4 legge 1034 del 1971 affida alla competenza dei TAR la tutela di quei diritti che nel riparto di giurisdizione appaiano devoluti a11a sua cognizione esclusiva in un momento antecedente quello decisorio, logica vuole che gli effetti limitati di ,tale tutela debbano avere per oggetto le misure cautelari da adottare per assicurare la piena soddisfazione del diritto dedotto in giudizio. Si tratta beninteso cli. una serie di fattispecie iresiduali in cui conta sop:mttutto la necessit� che sia effettivamente realizzato il diritto fon� <lamentale della difesa (art. 24 Cost. 1� comma). Per meglio esprimere questo concetto ci si affida alle perspicue osservazioni contenute nella ordinanza 8 aprile 1978 del Pretore di Firenze (F. I. parte 1 col. 1830), le cui conclusioni sul tema debbono peraltro ritenersi superate in relazione a quanto si sta qui esponendo: �Orbene si tratta di rispondere al seguente quesito: se i cli.ritti ,soggettivi azionabili di fronte al giudice speciale (nella specie il TAR) godano del1a stessa, identica tutela cautelare, articolata... in misure tipiche ed atipiche in rapporto di spede a genus, degli altri diritti soggettivi azionabili di fronte all'AGO. Sul piano costi� tuzionale la risposta appare piuttosto agevole a darsi. Dail combinato disposto degli artt. 4, 24, 1� comma e 113 si desume la ratio del tutto univoca: se � vero che la tutela cautelare � essenziale all'attuazione della tutela giurisdizionale (art. 24, 1� Cost.) non possono coesistere due tutele giurisdizionali di diritti soggettivi diverse per intensit� l'una dall'altra. la prima con tutela cautelare e l'altra senza (contra: art. 3 e 113 Cost.) �, Sulla base di queste ed altre pregevoli osservazioni i Pretori officiati Ma se con iJ ricorso � stata chiesta la sospensiva (provvedimento inibi� torio) non si pu� certo sostenere ,che il ricorso contenesse anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio. Pi� che di emendatio libelli ne!Wa specie si tratta di mutatio libelli, ma in un caso e nell'altro � principio comune di dhitto processuale che il giudice non '.Possa deddere senza che l'emendatio (e a maggior 'ragione) la mutatio libelli sia portata a conoscenza defila parte avversa. Pertanto anche sotto tale aspetto l'o~dinanza impugnata risulta illeg,ittima. 6. -n T.A.R. dioe che suHa vichiesta di provvedimento di urgenza "competente funzionalmente alla decisione deve ritenersi il Collegio in Camera di Consiglio, che conosce dehllincidente secondo modi e forme deli tutto coincidenti con quanto previsto per fa concessione de1La sospensiva (art. 21 ult. comma legge 1934/1971) �, Dopo tale premessa per� si aggiunge che il provvedimento � inappellabile. La contraddizione tra le due affermazioni � evidente, perch� se si ritiene appLicabHe la '.Procedura di cui a1l'art. 21 citata, vale quanto detto dall'Adunanza Pilenaria nella nota decisione n. 1/1978, nel senso che i provvedimenti emessi dal T .A.R. ai sensi dell'art. 21 in argomento sono appeMabHi davanti il Consigiliio di Stato, il quale 'giiudica � in base al rito deHa Camera di consiglio e in forma di ovdinanza �. GIUSEPPE STIPO 8 322 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO su ricorsi di docenti precari di varie universit� disposero provvedimenti ex art. 700 c.p.c. a favore di quei ricorrenti. Quella vicenda giudiziaria � forse l'unico precedente degno di rilievo ne11a questione in esame e va dato atto che essa costituisce un momento importante circa la chiarifi� cazione del problema sottoposto a questa Sezione. Considerata nella logica del pi� volte citato art. 4, La risoluzione presa da quei Pretori non pu� essere condivisa poich�, riconoscendosi dagli stessi fa competenza del TAR, in prntica ha svincolato da ogni contesto il momento cautelare, at tribuendogli un'autonomia che esso :in verit� non possiede, radicato com'� al merito della lite. In particolare l'art. 700 c.p.c. prevede il fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria e tale aspetto collega con gli effetti della decisione sUil merito: la relazione tra il pericolo della lesione e 1a pronuncia (cio� tra diritto gravemente minacciato e sua affermazione giudiziale anche in funzione satisfattiva) � resa in modo da implicare una successione seriale di atti omogenei nelle forme e risalenti ad un potere sostanzialmente unitario, pur con i possibili squilibri di competenze funzionali ri� conducibili a rapporti tra lite gi� radicata e causa pendente per il merito (art. 701 c.p.c.). Accanto all'argomento formale v'� ovviamente il divieto operante ex artt. 4 e 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. E. Riservando al prosieguo ulteriori osservazioni sul punto, conta qui sottolineare l'asso-, Iuta pregnanza del precetto costituzionale sancito nei primi due commi dell'art. 24 e la perfetta aderenza a quel dettato dell'art. 4 legge 1034 del 1971, che ha inteso 'assicurare, nei casi e nei Hmiti predetti, una piena tutela a situazioni soggettive che potrebbero formare oggetto di giuri� sdizione esclusiva. Svolte queste brevi considerazioni sulla portata innovativa dell'art. 4, vale la pena di aggiungere che la grande importanza della norma � indubbiamente da collegare all'azionalit� dei diritti in carenza di un atto dell'Amministrazione, o quanto meno di un atto classificabile come am� ministrativo. Ci�, d'altro canto, � normale nella fattispecie in cui si tratti di accertare la qualificazione di un rapporto che l'Amministrazione presumendone la portata privatistica, regola formalmente con atti di autonomia negoziale e comunque senza collegare tale sua attivit� a norme implicanti l'esercizio di un potere di rilevanza pubblica. Pu� addirittura immaginarsi, ma naturalmente � un'ipotesi di stile, ,un contegno materiale dell'Amminist:r~azione. Conta, infatti, che, versandosi in questione di diritti, un diritto ,sia invocato e che questo, rientrando lato sensu nel complesso delle materie affidate all'Amministrazione (testualmente: �nelle materie indicate negli artt. 2 e 3 �) possa ragionevolmente ritenersi non affidato alla cognizione dell'AGO. La regola cos� evidenziata � armonicamente composta con il terzo comma dell'art. 7, che disciplina l'assorbi� mento di cognizione di tutte le questioni relative a diritti nelle materie I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA deferite alla giurisdizione esclusiva del TAR. La differenza rilevante tra l'art. 4 e l'art. 7 � che il primo tende ad anticipare, seppure con effetti limitati, la tutela defila situazione presidiata dal secondo. Alla luce delle osservazioni che precedono e tenuto conto della fose meramente illlcidentale del presente procedimento, questa Sezione � perci� in grado ID.on gi� di affermare definitivamente la propria giurisdizione (potendo questa decisione intervenire nell'ambito della sentenza, come si argomenta dal secondo comma dell'art. 30, legge 1934 del 1971); bens� solo di ritenersi autorizzata a conoscere della vertenza ai limitati fini cautelari nel senso della richiesta avanzata in camera di consiglio dall'avv. A. Pastorino. Questo modo di procedere � inoltre del tutto conforme al sistema secondo l'espressa previsione dell'art. 30 terzo comma, seconda parte legge 1034 del 1971: se la proposizione della domanda a sensi dell'art. 41 c.p.c. non preclude l'esame dell'istanza inibitoria, � segno che il sistema fa premio alle esigenze immediate del danno grave e irreparabile, che la parte pu� patire, rispetto all'astratta rivendicabilit� della cognizione della lite all'uno o all'altro ordine di giudicanti. Questa constatazione � sicuramente aderente a quanto sopra esposto circa la esperibilit� immediata di misure cautelari anche quando la sussistenza della giurisdizione sia supposta sugli elementi della prospettazione: anzi, a ben vedere, � pi� agevole da accettare quest'ovdine di idee di quel lo che presupponga una carenz;a assoluta di giurisdizione. Chiarita la portata innovativa della norma suesaminata, occorre aggiungere che all'accoglimento delle richieste del ricorrente sembrano frapporsi come ostacoli insormontabili alcuni problemi di cui conviene farsi carico. Essi sono cos� elencabili: a) il principio secondo cui la sospensione del provvedimento sarebbe l'unica misura cautelare nel processo amministrativo; b) l'utilizzazione dell'art. 700 c.p.c. in un contesto processuale diverso dal rito civile e la sua compatibilit� sia col principio del riparto di giurisdizioni, sia con il sistema della giustizia amministrativa. Superati questi scogli, si tratter� di vedere quale sia in concreto la procedura da adottare e se in particolare possano considerarsi soddisfatti gli oneri formali nel caso di specie. Il tema circoscritto sub a) � pacificamente risolto a favore della tesi negativa sul rilievo, considerato paralizzante, della sussistenza di un atto ammiJll.istrativo come scaturigino del processo avanti il TAR. Sopra tuttavia si � osservato come, in materia di diritti soggettivi, una pro� nuncia di annuJ.lamento non possa considerarsi sempre esaustiva, specie quando la p.a. in apparenza iure privatorum utitur (e ben si sa come in rapporti di pubblico impiego la sussistenza di un atto formale di nomina non sia richiesta dalla pi� consapevole giurisprudenza amministrativa). In verit� l'istanza di sospensione investe non tutti gli effetti svantaggiosi di un provvedimento, ma solo quelli concernenti �un attivit� po RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sitiva dell'amministrazione e quindi mira ad imporre all'Amministrazione stessa un obbligo di non f acere, di non intraprendere e di non proseguire una determinata attivit� � (VIRGA: La tutela giurisdizionale nei confronti della p.a., pag. 356): il che basta a dimostrare come il mezzo seppure generale non appresti tuttavia una copertura totale di fattispecie lesive. Inoltre occorre esattamente puntualizzare, quanto alla sua operativit�, il provvedimento in esame. Esso viene giustificato dal pericolo di un danno grave ed irreparabile, ma lascia necessariamente in ombra l'obiettivo della minaccia. Il primo punto da chiarire � se l'espressione usata dalla legge sia atecnica, cio� puramente descrittiva, ovvero se sia lecito ricercarvi spunti ricostruttivi. Se infatti si accoglie l'accezione tecnica della formula, � inequivocabile desumere una portata per certi aspetti ignorata, potendosi rinvenire una certa diversit� fra il momento deliberativo della fase cautelare e quello decisorio afferente in merito. Un esempio pu� meglio evidenziare il concetto: l'impugnativa di un provvedimento di occupazione di urgenza sar� considerata nel momento decisorio in relazione al corretto esercizio del potere conferito all'autorit�, ma nel procedimento incidentale di sospensiv:a si discuter� e si far� questione del diritto di propriet� minacciato di ablazione temporanea o del diritto a continuare l'esercizio di un'impresa (ove si tratti di immobile con particolare destinazione), cio� di beni della vita Jmplicati drammaticamente dalla potest� in concreto esercitata, ma non riducibili al corretto uso della stessa, di talch�, :in ipotesi di annullamento successivo all'esecuzione del prov~edimento (per negata sospensione) l'irreparabilit� del danno si tramuter� .fu:l risarcibilit� del diritto leso. Se pure non si pu� accedere alJa conclusione -forse eccessiva che in sede di sospensiva si faccia immediata questiooe di diritti soggettivi, non si pu� certo revocare in dubbio la consistenza di queste situazioni all'atto della ..:elibazione, quanto meno in via mediata, come pratico riflesso dell'attuazione delta funzione pubblica. Del resto, la stessa lettera della Jegge, opportunamente mutata rispetto all'art. 39 TUCS autorizza siffatta interpretazione. Se dalle gravi ragioni, locuzione molto adeguata a un contenzioso del pi� elevato livello quale fu in origine ritenuto il procedimento av.anti il Consiglio di Stato, si � passati all'espressione attuale che ricalca moduli formali del codice di rito, vuol significare che il contenuto e la prospettiva della misura cautelare nel processo aromi� nistrativo hanno acquisito una particolare pregnanza nella valutazione, implicita a tutta la legge, che di processo di parti si tratti, con una netta riduzione dell'antitesi tra interesse pubblico e privato. D'altra parte lo stesso concetto di danno irreparabile urta non poco con quello di interesse legittimo, che per definizione non � idoneo a provocare, ove leso, risarcimenti di sorta e pu� essere soddisfatto generalmente con la sentenza di annullamento, salva l'ipotesi di statuizioni I !i I ' 1 I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA in ottemperanza, che per� non riguardano casi di refusione al di fuori della sentenza del giudice civile passata in giudicato. Se da un lato il procedimento incidentale di sospensiva ha per oggetto seppure mediato la lesione di eventuali diritti (e per conseguenza un giudizio comparativo anche nell'interesse dell'Amministrazione, se determinati effetti debbano portarsi a compimento o meno); dall'altro il procedimento -si insegna -ha sempre bisogno di un atto siccome elemento necessario della statuizione tipica. L'affermazione � indubbiamente vera se presa in considerazione nella sua relativit� e non gi� ,in assoluto, specie se si faccia questione immediata di diritti. Esistono infatti sufficienti motivi di ordine costituzionale per considerare inadeguata la consueta risposta di dottrina e giurisprudenza: precisamente il combinato disposto degli articoli 24 primo e secondo comma e 113 della Costituzione. La Carta Fondamentale riconosce la pienezza e l'inviolabilit� del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento ed esclude inoltre che nei confronti della p.a. tale diritto possa essere limitato o attenuato in particolari ipotesi o per categorie di provvedimenti. Emergono perci� con sicurezza importanti corollari: attuando la tutela cautelare una fase rilevante del procedimento (la Costituzione prevede onnicomprensivamente �ogni stato�) il diritto di difesa � presidiato costituzionalmente e non pu� ritenersi limitato a particolari categorie di fatti. Ci� dovrebbe importare la sospendibilit� non solo degli atti dianzi individuati, bens� di tutti, ed in particolare dei provvedimenti c.d. negativi. Per quest'ultima categoria osta per� un inconveniente pratico di notevole rilevanza: cio� l'inidoneit� per il solito della misura cautelare a realizzare quel presidio avverso danni gravi ed irreparabili, che la rende funzionale al sistema. La dottrina � tuttavia assai ferma nel precludere l'adottabilit�, in ipotesi, di� misure positive nei confronti della p.a. da parte del magistrato amministrativo. Alla luce del canone costituzionale succitato la risposta non � per� soddisfacente in quanto preclusiva della stessa astratta azionabilit� della misura cautelare. Al fondo dell'opposta tendenza v'� anche inconfessatamente un complesso di norme interpretate fuori della loro storicit� (vale a dire della loro relativit�): si allude agli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. E, da cui si ricava implicitamente il divieto anche per il giudice amministrativo di commistione delle proprie attivit� con quelle della p.a.: si tratta di un'opposizione del tutto sotterranea che mira ad equiparare due realt� assai diverse. Se gli articoli 4 e 5 legge 2248/1865 ali. E hanno un preciso senso nei confronti del magistrato ordinario, chiamato a conoscere solo degli effetti lesivi dell'atto, non altrettanto si pu� predicare rispetto ad un 326 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giudice che al tempo di quella legge non esisteva nemmeno ed � peraltro deputato ad operare innovativamente nell'ambito deHa funzione pubblica giusta il potere di annullamento (art. 113 terzo Cost.). Va segnalato che la giurisprudenza, sensibile alla peculiarit� di talune esigenze, tende all'ammissibilit� dell'istanza di sospensione avverso un provvedimento negativo (nella specie: diniego di dispensa per cittadino chiamato alfa leva). A ben vedere tuttavia la J:Oncessa sospensiva di un provvedimento negativo non � di per s� idonea ad ottenere gli effetti vantaggiosi medio tempore 1invocati, ma solo a costituire un presupposto per un contegno della p.a., che si armonizzi con il senso della concessa misura cautelare. Non si pu� pertanto escludere che in determinate fattispecie la misura debba esprimersi non in precari .effetti inibitori da in altrettanto precarie disposizioni ordinatorie. Il campo in cui deve sicuramente applicarsi quest'ultimo principio � quello dei giudizi di accertamento iladdove non sia impHcato un atto autoritativo dell'Amministrazione. Il profilo in esame � stato accuratamente messo in rilievo da un illustre studioso del procedimento cautelare: � Se invece la sospensiva fosse ammessa anche in campo di giudizi d'accertamento, non potrebbe tradursi, in tale ambito, che in qualcosa di profondamente diverso, e cio� in un ordine rivolto �all'Amministrazione, di tenere per la durata del processo, un comportamento non meramente omissivo, e per ora circoscrivibile solo attraverso il dato finalistico della sua idoneit� a ridurre od eliminare il pregiudizio che dovrebbe in definitiva riconoscersi sentito dal ricorrente, nella ipotesi d'esito per lui favorevole del ricorso. L'istituto della sospensiva diverrebbe cio�, al di fuori di qualsiasi previsione esplicita del legislatore, fonte d'attribuzione al giudice amministrativo del potere di adottare, a fini cautelari e per la durata del processo, provvedimenti d'urgenza, i quaU del resto non potrebbero dirsi -nei casi in esame -neppure formalmente sospensivi, non producendo alcun effetto automaticamente paralizzante, ma dando luogo a situazioni obbligatorie od ordinatorie, secondo modalit� che dovrebbero essere di volta in volta specificate dal giudice stesso (PALEOLOGO, Il giudizio oautelare amministrativo, pag. 33). Alle fattispecie individuate in ipotesi (� se invece la sospensiva fosse ammessa anche in campo di giudizi d'accertamento�) bisogna infatti rispondere, pur con le dovute precisazioni, in modo positivo, non isolando cio� il dato normativo dal contesto costituzionale. Come gi� i Pretori sullodati hanno specificato, la misura cautelare non � un elemento avulso dal diritto di difesa n� � possibile configurare una situazione soggettiva che, al momento in cui viene sottoposta a tutela giurisdizionale, al contempo non possa essere salvaguardata da una misura cautelare. Se, come sopra si � visto sussistono diritti affidati alla cogni-l l ; I l I I j lllllfl/11/llllllll�lllllllllllllllrllfl[lllllllllllllllll/�lllllj PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA zione del giudice amministrativo in funzione dell'assunta giurisdizione esclusiva dello stesso, non entra certo in gioco l'adottabilit� della sospensiva, ma semplicemente di una misura cautelare. Quest'ultima, poi, per il succitato disposto degli articoli 4 e 5 L. 2248/1865, All. E non pu� essere affidata al giudice ordinario, inabilitato p, pronuncie del genere. Residua quindi, secondo l'esposta modalit� di esclusione, la cognizione del magistrato amministrativo. � bene infatti discernere tra mezzi tipici e tutela dovuta: uno strumento quale 1a sospensiva non pu� essere gestito fuori dei casi in cui possa offrire una qualche efficacia operativa, secondo il canone dell'adeguatezza tra mezzo e fine che � poi una risultante del principio di propriet� degli atti giuridici. Ci� non poT'ta a concludere necessariamente che laddove dl mezzo tipico non sia in concreto esperibile, venga perci� meno la tutela, essendo obbligo dell'interprete di rintracciare nel sistema positivo -ove possibiile -una misura ~donea .allo scopo. Ammessa, in pi� semplici parole, la giurisdizione, da questa deve evincersi altres� l'effettivit� completa della stessa. Tanto vale a dare per dimostrata, nel pT'eciso richiamo a norme costituzionali, dell'inadeguatezza della sospensiva siccome unica misura cautelare del processo amministrativo. Questa Sezione non si nasconde la circostanza che � il Senato il giorno 17 novembre 1871 approv� iJ terzo comma di quello che costituiva allora l'art. 21 sopprimendo Je parole " esso pu� anche disporre provvedimenti cautelari ai sensi del codice di procedura civ.ile " ritenendo che si rtrattasse di materia da ;riservare alla competenza esclusiva del giudice ordinario � (SEPE PEs, Le nuove leggi di giustizia amministrativa, pag. 314). Ma il fatto � tutt'altro che conclusivo: esso testimonia solamente che il legislatore si pos1e il problema e che lo risolse, senza per� trasfondere tale sua opinione l!lel testo 1legislativo, per una prospettazione non certo bene airticolata dei motivi di diritto. Molto probabilmente le ragioni furono soppesate con grande saggezza; certo � che l'affermazione di voler ritenere di competenza esclusiva di un giudice determinate misure � poco pi� che una petizione di principio, se valutata sotto un profilo giuridico, ed � un mezzo non certo sottile di voler mantenere le prerogative dell'Amministrazione, ove si voglia esporre una maliziosa tendenza. Non 1Si tenne comunque conto :in quel frangente che, attribuendosi ad un giudice la giuri.sdizione esclusiva, non pu� per contro attribuirsene un residuo ad un altro soprattutto quando la materia riservata al giudice OJ."ldinarfo non si conclude o si esaurisce in se stessa, ma costituisce il presupposto :di un'ulteriore fase processuale (di convalida e/o di merito). Come gi� detto, il procedimento cautelare, se pure pu� considemrsi autonomo come fase (nel senso che per esso valgono regole speciali o comunque difformi da altri procedimenti) non RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 328 � certamente momento estraneo al processo ptincipaJ.e in cui si fonde attraverso lo strumento dell'assorbimento della decisione cautelare nella sentenza che definisce H giudizio (assorbimento che non implica unione dei capi della sentenza, ma semplicemente armonizzazione tra gli stessi, attesa la strumentaiUt� derivante dalla fase cautelare rispetto al processo di merito): d'altro canto l'emanazione deLla prima non avrebbe senso se non fosse teleologicamente diretta a far salvi gli effetti della seconda. La divaricazione tra l� due fasi, supposta nei citati favol'i parlamentari, non corrisponde a 'realt� non solo per le ragioni sinteticamente suesposte, ma anche per il. decisivo rilievo che nei confronti della p.a. non possono valere disposizioni a contenuto ordinatorio deLl'AGO al di fuori delle ipotesi specificamente previste, stante il divieto del combinato disposto degli artt. 4 e 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. Il fatto che una soluzione positiva del problema che viene dibattuto sia stata esclusa nell'ambito dei lavori parlamentari non � di per se ~ndice sufficiente per considerare risolta in modo negativo la questione stessa, ove sussistano tre condizioni: la prima � che sussista nell'ordinamento una fonte di particolare qualifica rispetto .aJ.le aHre e tale da consentire sia la posizione del problema in astratto. sia la soluzione dello stesso almeno a livello della fonte di cui si discorre (e non v'� dubbio che gli artt. 24 1� e 2� e 113 deLla Costituzione abbiano assoluta preminenza e siano nel loro complesso conclusivi circa 1a dimostrazione sopra svolta); la seconda, ampiamente correlata alla precedente � se il contesto normativo di cui si suppone la vigenza sia compatibile con H sistema costituzionale succitato; la terza � afferente alla concreta superabilit� della lacuna legislativa suesposta in quanto sia colmabile aJ.l'interno dell'ordinamento stesso senza la necessit� di sollevare un conflitto circa la ritenuta carenza 'di tutela. Il Collegio si lus.inga di aver dato esauriente dimostrazione circa i primi due punti suesaminati, dovendosi misurare alla stregua degli articoli 4 e 7 l'elevato grado di conformit� della legge generale della giustizia amministrativa a11e pi� volte citate disposizioni costituzionali (art. 24, primo e secondo, nonch� art. 113 Cost.). Resta quindi da acquisire il terzo elemento posto in rilievo. Dal punto di vista metodologico, innanzi tunto, l'operazione deve ritenersi legittima, come testimonia, tra l'a.iltro, una recentissima pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 1/1978), a propos,ito dell'appellabilit� delle ordinanze di sospensiva prese dai TAR: rilevato il canone costituzionale del doppio grado di giurisdizione ed acquisito un concetto lato di autonomia del procedimento cautelare (non condivisibile invero alla stregua de1le osservazioni che precedono) se ne � desunta una ricorribilit� speciale, con regole ampiamente ricostruite, del provvedimento incidentale suindicato. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 329' Quel che conta, in questa sede, non � gi� il contenuto di quella decisfone, bens� il metodo, che, anche per �l'autorevolezza di chi lo ha sostenuto, merita la pi� completa adesione. D'altronde � la portata stessa della norma costituzionale che autorizza un simile procedimento ermeneutico, dovendosi esperire ogni tentativo che permetta di completare l'ordinamento nei sensi mdicati dalla norma di maggior valore prima di predicare l'incoerenza di un certo assetto di disposizioni. N� si tratta, a ben vedere, �di procedere secondo i dettami della interpretazione analogica ovvero di appJfoare �i principi genemli dell'ordinamento� ex wt. 12 delle preleggi. L'operazione � pi� ,semplice e consiste nella mera integrazione di un testo legislativo con un altro sul presupposto che l'orrunamento, in quanto generale, non possa tollerare soluzioni di continuit� nella funzione giurisdizionale. L'esito di questa verifica �, se si vuole, ancor meno traumatico di quello conseguente la sullodata decisione del Consiglio di Stato, volto com'� alJa ricerca di una sutura tra due gruppi di norme vigenti. Per ottenere questo sembra opportuno spostare l'attenzione sull'invocato art. 700 c.p.c. valutandone l'ampiezza di contenuti innanzi tutto nell'amb~to che gli � proprio (cio� il rito civile) e desumendone, ove occorra, gli estremi di denotazione che possano utilmente essere trasfusi nella fattispecie in esame. Come � noto, l'art. 700 c.p.c. prima destinato alla tutela cautelare di una serie limitata di casi (originariamente si pens� che potesse essere utilizzato solo per un'interinale ,salvaguardia di effetti relativi a pronuncie su diritti assoluti) � poi divenuto uno strumento di larghissima appli cazione grazie all'intervento salutare di una giurisprudenza conscia della sostanziale inanit� di una pronuncia dopo l'esperimento dei non brevi tempi tecnici per ottenerla, tutte le volte che il pregiudizio imminente ed irreparabile sia in re ipsa. Nella pratica di rendere giustizia determinante dovrebbe essere il tempo come misura dell'agire umano: ma !',esperienza ha fornito una ben �diversa �lezione. In ogni caso non pu� dubitarsi che, quando vengano rispettate le non istantanee formalit� del rito, il soggetto interessato all'adozione di provvedimenti che incidano su beni determinanti de11a vita di assoluta importanza o sulla stessa normale sopravvivenza, ha diritto a non vedere sfumare in un'ipotetica giustizia futura le sue buone mgioni. Nel caso di specie, poi, l'obiettiva necessit� di una pronuncia ad effetti interinali � desumibile da un sempre attuale brocardo: venter non patitur dilationem. Ed � su un complesso di analoghi argomenti che la magistratura del lavoro ha provveduto, talora forse con una certa automaticit�, ad applicare i provvedimenti d'urgenza a favore del prestatore d'opera licenziato. Nell'ambito del Capo III del Titolo I del Libro IV del codice di procedura, la sezione quarta sembra avere una funzione di chiusura, essendo diretta a disciplinare tutti i casi non altrimenti regolati dalle RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 330 precedenti sezioni, attraverso misure non specificamente individuate e tese soltanto ad � assicurare gli effetti della decisione di merito �. Il raggiungimento dehlo scopo � perci� caratteristica essenziale dei provvedimenti innominati durgenza e costituisce un paradigma universale ogniqualvolta un diritto sia minacciato, ne1le more del giudizio, da un pregiudizio imminente ed irreparabile (esist� una notevole analogia tra l'espressione usata dall'art. 700 c.p.c. e la locuzione contenuta nell'art. 21 ult. �comma 1. 1034/1971). Le altre misure cautelari sono invece assai specifiche e presuppongono fattispecie dai contorni molto ben definiti sia per la struttura sia per Ja destinazione: cos� il sequestro giudiziario che copre controversie sulla propriet� o iil possesso di beni ovvero sulla salvaguardia di certa documentazione, cos� il sequestro conservativo che riguarda controversie sui crediti (e sulla pe:ridita di eventuali garanzie); mentre di quanto previsto da1le 1altre sezioni del capo (denuncia di nuova opera e danno temuto nonch� l'istruzione preventiva) � lecito dubitare della natura cautelare in senso proprio dei relativi procedimenti. Ci� porta a significare che l'art. 700 c.p.c. � norma di estrema latitudine; la sua assoluta atipicit� anche J:ispetto ahle disposizioni <:he precedono porta a concludere che la norma abbia, oggi, fondamento diretto nell'art. 24, 1� e 2� Cost. Essa � cio� uno strumento che, per 1l'ampia gamma di possibilit�, non � riconducibile a una qualche tipologia processuale, ma in tutte -salvo i casi limitati di provvedimenti cautelari tipici -� compresente e sovrasta per l'essenzialit� della funzione impressagli. In altre parole la disposizione succitata, pur essendo strumento nel processo, non � mezzo naturale di una specie di processo �e affonda perci� le proprie radici ;non nel contesto normativo in oui � collocato, ma addirittura nella Costituzione. Ci� � perfettamente 1in Jinea con la struttura del codice di rito il quale contiene una serie di disposizioni applicabili fuori dell'ambito che gli � proprio, giusta i richiami di volta in volta contenuti in altre leggi o, in mancanza, sulla base di un'accurata esegesi. L'interpretazione � corroborata dall'eccezionale generalit� della for� mula legislativa e dal mancato collegamento, in quell'ambito, ad uno specifico magistrato, trattandosi della competenza nel rito civile e del relativo procedimento nei successivi 701 e 702 c.p.c. Tali considerazioni consentono di misurare alla stregua deM'organizzazione dell'intera fun. zione giurisdizionale '1a portata veramente riequilibratrice dell'art. 700 c.p.c. � bene aggiungere che siffatta lettura della norma � frutto di una sovrapposizione di leggi (iil codice di procedura civile, la Costituzione, la Legge TAR nel loro ordine cronologico) e dalla necessit� -influente in ogni ordinamento -di una riconsiderazione sistematica del- l'intera materia. N� vale obiettare che iil giudice amministrativo deve I I I ~ ~ t ( ri f: 'i I f I 1 l - PARTE �I, SEZ. V, GIURiSPRUDENZA AMMINISTRATIVA ritenersi vincolato a1la procedura propr.i:a del particolare tipo di processo (utilizzando vincolativamente il reg. 17 agosto 1907, n. 642, .il T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 e la L. 1034/1971): occorre infatti ribadire che gli strumenti non hanno una funzione in s� e per s� ma solo in quanto idonei ad operare delle trasformazioni degne di rilievo nel mondo giuridico. Orbene gli strumenti di cui si discorre, di cui due precedenti l'innovazione dell'art. 700 c.p.c. hanno una loro funzionalit�, ma non tale da considerare coperta ogni situazione lesiva: ed � questa insufficiemia ad escluderne l'esclusivit�. Acquisito come elemento di sutura J'art. 24 de11a Costituzione e verificata la coinciden2ia di situazioni tutelabili (come sopra si � dimostrato, nel caso di specie � prevista la tutela di diritti, che � poi fondamento specifico per i provvedimenti cautelari ii.nnominati), non �resta che constatare la perfetta compatibilit� del mezzo lin esame sia con il principio del riparto di giurisdizione �sia con il sistema della giustizia amministrativa. Per quanto riguarda il primo non sussistono grossi problemi giusta quanto si � osservato sopra oiirca J'affidamento .in via interinale, ai fini dell.'eventuale accertamento �di un rapporto rientrante nella giurisdizione esclusiva, di una questione di diritti al magistrato amministrativo: l'art. 4 1. 1034/1971 � norma autorizzativa �di una cognizione non certo riducibifo a1la delibazione d'ammissibilit�. L'uso del provvedimento d'urgenza da parte del TAR avvalom poi .e non certo si oppone al riparto di giurisdizione, non essendo vincolato questo magistrato alle preclusioni sancite per l'AGO dagli articoli 4 e 5 della fogge .sull'abolizione del contenzioso amministrativo. Per quanto riguarda l'armoniz2iazione con il sistema .di giustizia in oui il TAR opera, richiamate le brevi deduzioni in ordine alla �strumentalit� delle norl!le di procedura, ci si affida per il resto alle parole del Paleologo, che, seppure inserite tin via di mera ipotesi e al precipuo fine di escludere l'esperibilit� di tale mezzo, acquistano il massimo significato dopo le �suesposte consi:derazioni: � Ci� che conta, infatti, � che l'art. 700 c.p.c. non � mai utiliZ2iabile ove sia esperibile il rimedio della sospensione giudiziale del provvedimento � (op. cit. pag. 119). Ma qualora ci� non sia possibile, ne consegue con certezza la piena tutelabilit� de1le situazioni soggettive in una diversa prospettiva cautelare. Le osservazioni che precedono debbono considerarsi, ai fini della disamina, del tutto esaustive. Restano a questo punto da stabilire le modalit� procedimentali del rimedio. Per quel che concerne il. caso di specie si osserva che l'istanza inibitoria � stata presentata con ricorso oui � seguita in camera di consiglio una emendatio libelli. Tale vicenda no1;1 � purtuttavia preclusiva, posto che la formulazione della domanda volta ad ottenere una tutela cautelare � stata esattamente proposta con ricorso ~cos� come richiede l'art. 700 c.p.c.). 332 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Competente funzionalmente alla decisione deve ritenersi il Collegio in Camera di Consiglio, che conosce de11'.incidente secondo modi e forme del tutto coi!llcidenti con quanto previsto per la concessione della sospensiva (art. 21 ult. comma L. 1034/1971), anche per fa sostanziale unicit� del procedimento incidentale cautelare. Nel oaso di concessione del provvedimento cautelare atipico, � opportuno tenere presente 1'.inappel1abilit� dello stesso: pertanto in armonia con �hl. principio �secondo cui va fissato un termine perentorio per ~'inizio del giudizio .di merito, sembra opportuno a questa Sezione rimettere l'affare al Presidente per l'urgente fissazione della decisione di merito. Quanto alla richiesta del Violi, essa � ampiamente fondata nella prospettazione del danno imminente, grave ed irreparabiJe per il ricorrente in esito all'ointimato recesso della p.a., per cui conviene disporne la riassunzione. Si appalesa il'opportunit� di acquisire al processo l'iintera documentazione afferente la presente vertenza. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 giugno 1981, n. 3931 -Pres. Granata � Est. Lipari -P. M. Berri (conf.). Soc. Koch Engineering (avv. Cogliati Dezza e Capaccioli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). Tributi locali -Imposta locale sui redditi -Redevances e royalties -�Regime anteriore al d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 � Redditi diversi � Tassabilit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 19, 49 e 77; d.P.R. 29 se~tembre 1973, n. 598, art. 22; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1 e 3; d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897, art. 31). Tributi locali -Imposta locale sui redditi � Convenzione fra l'Italia e gli Stati Uniti di America per evitare la doppia imposizione � Non si estende. (Convenzione 30 marzo 1955 resa esecutiva con I. 19 giugno 1956, n. 943; scambio di note 13 dicembre 1974, approvato con 1. 6 aprile 1977, n. 233). Prima che, con la modifica introdotta con l'art. 31 del d.P.R. 30 dicembre 1980, n. 897 divenissero tassabili a titolo autonomo, le redevances o royalties corrisposte ad imprese non residenti, che non potevano essere ricomprese n� fra i redditi di lavoro autonomo (perch� percepite da persona giuridica) n� fra i redditi di impresa (perch� non derivanti da attivit� prodotte con stabile organizzazione in Italia) dovevano essere qualificale come redditi diversi, quali corrispettivi per la cessione di beni mobili, e come tali tassabili ai fini IWR (1). La convenzione tra l'Italia e gli Stati Uniti d'America sulle doppie imposizioni 30 marzo 1955 resa esecutiva con Legge 19 giugno 1956, n. 943, non si estende all'imposta locale sui redditi, come risulta dallo scambio di note 13 dicembre 1974, approvato con legge 6 aprile 1977 n. 233 (2). (:l-2) La sentenza, wa cui estesissima motivazione � pubblicata in Div. e �[Jrat. trib. 1982, I, 17, esamina una questione (prima massima) ormaii risolta .IegiSJ1ativ�amente, offrendo una massa di riflessioil!i che possono essere utili a molti aihri fin~. Importante ed esaittiss1ma � l1a seconda massima che affronta una que� :stione nuova. 334 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 giugno 1981, n. 4017 -Pres. Vigorita Est. Cantillo -P. M. Caristo (conf.). Soc. Simplex c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale -Termine -Notifica della decisione a cura della segreteria -Fa decorrere il termine di 60 giorni � Termine annuale -Applicabilit�. (d.P.R..26 ottobre 1972, n. 636, art. 38; c.p.c., artt. 325 e 327). Il termine per ricorrere in cassazione contro le decisioni della Commissione centrale decorre dalla notificazione al contribuente e dalla comunicazione all'ufficio previste dall'art. 38 del d.P.R. n. 636/1972, semprech� la decisione non sia stata notificata anteriormente ad istanza di parte; � inoltre applicabile il termine annuale dell'art. 327 c.p.c. (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 febbraio 1982, n. 813 -Pres. Mazza. cane -Est. Ruggiero -P. M. Dettori (conf.) -Soc. ICVEGI (avv. Ferretti) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mari). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale -Termine -Notifica della decisione e cura della segreteria -Non fa decorrere il termine di 60 giorni -Termine annuale -Applicabilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 38; c.p.c., artt. 325 e 327). La notifica al contribuente e la comunicazione all'ufficio del solo dispositivo della decisione della Commissione centrale per iniziativa della segreteria, non sono mezzi idonei a far decorrere il termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso per cassazione; mancando una valida notificazione opera il termine annuale dell'art. 327 c.p.c. (2). (1 -3) Mentre � ormai consolidata l'appllicabildt� del termine annuaile dehl'art. 327 c.p.c., continua ad essere incerta la rilevanza deLla consegna del dispositivo della dedsione (denominata a volte notifica a volte comunicazione) per iniziativa dehla segreteria (v. Cass. 24 gennaio 1981 n. 542 e 27 gennaiio 1981, n. 624 in questa Rassegna, 1981, I, 589 e 590); e non contribuisce a chiarire le idee La modifica deLI'art. 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 operata con la IloveL!oa del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (v. nota a Cass. 11 lu~o 1981 n. 4508, ivi, 1982, I, 160). Il principio de11a seconda massima, conforme a queJJa dehl'aJitra sentenza 12 novembre 1981, n. 5994 di cui si omette la pubblicazione, � comunque diret PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 335 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 febbraio 1982, n. 1016 -Pres. Mar chetti -Est. Sensale -P. M. Gazzara (conf. -De Murtas (avv. Roma nelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi (in' genere) -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale -Termine -Art. 327 c.p.c. -Omessa comunicazione della data della adunanza -Partecipazione al giudmo -Irrilevanza. Ai fini del decorso del termine annuale per il ricorso per cassazione contro decisione della Commissione centrale, perch� possa escludersi l'operativit� del termine a norma dell'art. 327, secondo comma c.p.c., � necessario che la parte non abbia partecipato al giudizio e che la mancata conoscenza di esso sia dipesa dalla nullit� della notificazione dell'atto introduttivo; � di conseguenza irrilevante l'omessa o irregolare comunicazione della data della adunanza della Commissione, ove la parte abbia ricevuto la notificazione del ricorso o abbia esercitato le sue difese (3). I (omissis) Deve essere esaminata in via pregiudiziale, ed � fondata, l'eccezione di inammissibilit� del ricorso, formulata in udienza dal Procuratore Generale sul rilievo che, alla data della notifica del ricorso medesimo, effettuata il 22 gennaio 1979, era da tempo decorso -pur tenendo conto della sospensione di quarantasei giorni di cui alla legge 7 ottobre 1969 n. 742 -il termine di un anno dalla pubblicazione della decisione impugnata, avvenuta il 19 novembre 1977. Questa Corte ha gi� altre volte chiarito che al ricorso per cassazione contro le decisioni della Commissione tributaria centrale si applica il termine annuale di decadenza stabilito dall'art. 327 c.p.c., in armonia con il tamente applicato alla statuzione, mentre quello della prima � piuttosto obiter dictum, seppure con ampia motivazione. Potrebbe preferirsi la prevalenza dehl'orientamento dehla seconda massima, anche se resta difficile spiegare come La stessa norma, di portata generale, de1l'art. 38 del d.P .R. n. 636/1972 abbia un significato se riferita alle impugnaziond nehl'ambito del processo tributario, ed una portata diversa se riferita al ricorso per cassazione; e come la stessa operazione compiuta dalia segreteria sia una regolare notificazione ai fini del ricorso in secondo e terzo grado, compresa l'impugnazione ailfa corte di appello e compreso anche il ricorso per revocazione contro decisione della Commissione centra1e, e diventi una comunicazione rispetto al ricorso �per cassazione. L'ultima massima (conforme ad altra della sent. 12 dicembre 1981, n. 6563) sembra di un rigore che desta perp1essit�. Il capoverso deli'art. 327 c.p.c. era RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 336 .consolidato indirizzo secondo il quale la regola racchiusa nella norma ha una portata generale ed � destinata ad operare in via diretta anche nei ricorsi per cassazione avverso le pronunzie di giudici speciali, in mancanza -nelle singole leggi -di un deroga espressa o tacita ovvero di un .diverso sistema di pubblicazione delle decisioni, tali da precludere allo :~ interessato la tempestiva conoscibilit� del documento nella sua interezza, richiesta per l'applicabilit� della disposizione (v. sent. n. 5286 del 1979). E ci� non si verifica nel nuovo ordinamento del contenzioso tributario, giacch� il d.P.R. n. 636 del 26 ottobre 1972, oltre a prevedere la pubblicazione del solo dispositivo (art. 28 secondo comma) -non sufficiente a far decorrere il termine per l'impugnazione, che postula la conoscibilit� delle ragioni della pronunzia -prevede, come atto processuale successivo e distinto, la pubblicazione dell'intero documento della decisione mediante deposito in segreteria (art. 38, 1� comma), la quale formalit�, conforme a quella prevista dall'art. 133 primo comma, realizza appieno il presupposto cui l'art. 327 ricollega H termine in questione. A questo orientamento si � tuttavia obiettato che il processo tributario non prevede la comunicazione del deposito della sentenza allo scopo di darne notizia alle parti, come stabilisce, invece, il secondo comma del citato art. 133 c.p.c., giacch�, pur disponendo l'art. 38 terzo comma che, entro dieci giorni dalla pubblicazione della decisione, il dispositivo deve essere, a cura della segreteria, notificato al contribuente e comunicato alla Amministrazione, questi adempimenti hanno la diversa funzione di far .decorrere, dalla data in cui vengono compiuti, il termine per impugnare la decisione medesima, ove essa sia stata precedentemente notificata a cura di una delle parti (art. 38 ult. comma); questa diversa disciplina, oltre a giustificare l'assenza, nel processo innanzi alle commissioni tributarie, di una disposizione analoga all'art. 327 c.p.c., renderebbe inapplicabile la .norma anche al ricorso per cassazione, ancorando in ogni caso il dies .a quo del termine di impugnazione agli atti suddetti. La tesi non pu� essere condivisa. ;gi� stato invocato per attenuare 1a asprezza della decadenza in caso di irre� golare comun~oazione dell'adunanza de1la commissione (Cass. 4 maggio 1981, .n. 2704, in questa Rassegna, 1982, I, 133). Ora si limita la portata della ecce. zione ailla condizione deLla mancata partecipazione ai! g.iudizio a causa deli1a null4t� de1la notMica del ricorso, negandosi rilevanza all'omes�sa notifica dehl!a �comunicazione deHa data dell'adunanza; � questa invero la portata, nel processo civile, dell'art. 327, secondo comma, ma non si considera che l'omissione delil!a -comunicazione deMa data deH'adunanza, � causa deHa nll!1lit� deilila decisione e che questa comunicazione, come hanno pure evidenziato alcune pronunzie, ~ l'unico riferimento cronologico che pu� offrire a11a parte una indicazione, .sia pure approssimativa, del tempo della '.Pronunzia. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 337 � esatto che l'art. 38, inserito nella sezione IV del d.P.R. n. 636 del 1972, relativo alle �disposizioni generali e comuni al procedimento davanti alle commissioni �, si applica anche alle decisioni della Commissione tributaria centrale; e, sebbene la decorrenza del termine dalla notifica o dalla comunicazione suddetta sia espressamente stabilita per il gravame avverso le decisioni della commissione di primo grado (art. 22) e per le impugnazioni avverso le decisioni della commissione di secondo grado, tanto innanzi alla Commissione Centrale (art. 25) quanto innanzi alla Corte di Appello (art. 40), ma non per il ricorso per cassazione (del quale la legge sul contenzioso tributario non si occupa), la medesima disciplina deve ritenersi applicabile in quest'ultima ipotesi, ci� risultando dall'esegesi sistematica dell'ultimo comma dell'art. 38, dall'analogia con l'impugnazione innanzi alla Corte di appello e per implicito, ma in modo non equivoco, dall'art. 29, cio� la sola norma in cui si fa riferimento al ricorso per cassazione. La disposizione, infatti, dopo avere previsto, nei primi due commi, le ipotesi in cui la Commissione Centrale, accogliendo il gravame, deve disporre il rinvio del processo alla commissione di secondo grado (o, nei casi indicati dall'art. 24, di primo grado), stabilisce che il fascicolo deve essere trasm~sso a quest'ultima entro ottanta giorni dalla notificazione della pronuncia, tranne che nel frattempo sia � stata richiesta la trasmissione del fascicolo medesimo alla Corte di Cassazione� per essere stato proposto ricorso innanzi ad essa; da ci� si desume, da un lato, che il termine di sessanta giorni per tale rimedio decorre appunto dalla � notificazione � della decisione della Commissione e, dall'altro, che con questa espressione sintetica la norma fa riferimento alle notificazioni e comunicazioni di cui � onerata la segreteria ex art. 38 cit., giacch� in caso contrario, potendo mancare una notifica ad .istanza di parte, il termine di ottanta giorni risulterebbe ,ancorato ad un evento incertus an et quando, laddove il processo innanzi il giudice di rinvio deve proseguire ex officio in ogni caso. Si deve, pertanto ritenere che il termine per ricorrere in Cassazione contro le decisioni della Commissione tributaria centrale decorre dalla notificazione al contribuente e dalla comunicazione all'Amministrazione previste dall'art. 38 cit., tranne che le parti si siano avvalse della facolt� di provvedere direttamente alla notificazione della decisione, nel qual caso il termine decorre da tale notificazione, se precedente alle attivit� suddette (v. sent. n. 3242 del 1977 e 2553 del 1979). Senonch� questa disciplina riguarda, manifestamente, il termine bre� ve �i sessanta giorni previsto dall'art. 325 c.p.c., non quello stabilito dal successivo art. 327, il quale, com'� noto, � correlato esclusivamente alla pubblicazione della decisione, sicch� la decadenza dell'impugnazione per il compimento dell'anno prescinde dalla notificazione (e si verifica indi 9 338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pendentemente da questa, cio� anche se nel corso dell'anno si sia provveduto alla noliifica e alla scadenza dell'anno non sia ancora decorso il termine breve: cfr. fra altre, sent. n. 2918 del 1974). -~ .< I La particolare normativa esposta, quindi, non interferisce in alcun modo con l'art. 327, che, per quanto sopra detto, risulta pienamente ap Il plicabile; e tanto meno pu� essere invocata, in senso contrario, la circo I stanza che per le decisioni in questione non sia prevista una comunicazione a scopo informativo analoga a quella di cui all'art. 133 secondo I comma c.p.c., la quale anche nell'ordinario sistema processuale � irrilevante ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione, di modo che la sua mancanza non impedisce -come pure ha gi� pi� volte affermato I questa Corte (cfr. sent. 625 del 1972) -il decorso del termine annuale di decadenza. -~ L'indirizzo suddetto deve essere perci� confermato. (omissis) .�~ II (omissis) Infondata, anzitutto, � l'eccezione di inammissibilit� del ricorso, proposta in via preliminare dalla resistente amministrazione finanziaria, la quale, peraltro, non vi ha pi� insistito in sede di discussione. L'eccezione si basa sulla circostanza che nella nota del 10 luglio 1979 di trasmissione degli atti alla conservatoria dei registri immobiliari di Livorno, la segreteria della commissione tributaria centrale ebbe a comunicare che la decisione ora impugnata era stata � notificata al contribuente con raccomandate 3464 e 3465 del 2 marzo 1979 �, con ci� facendo evidentemente riferimento alla � notificazione � del dispositivo della decisione, da effettuarsi dalla segreteria della commissione al contribuente a norma dell'art. 38, comma 3, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636. Orbene, � evidente in primo luogo che, non essendo state esibite n� le ricevute delle raccomandate cui si fa cenno nella nota anzidetta, n� gli avvisi di ricevimento delle stesse, dalla dichiarazione contenuta nella nota non pu� trarsi alcuna prova che le raccomandate che si affermano spedite il 2 marzo 1979 siano state effettivamente ricevute, ed in quale data, dai destinatari. In ogni caso, pur se una siffatta comunicazione, nell'indicata forma, si fosse realmente perfezionata, essa non sarebbe stata idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per �il ricorso per cassazione contro la decisione. Infatti, come questa Suprema Corte ha ripetutamente precisato (cfr. per l'ipotesi che qui interessa, Cass. n. 624 del 1981, n. 698 del 1980, n. 4133 del 1979), poich� il d.P.R. n. 636 del 1972 non contiene una normativa specifica del ricorso per cassazione contro I ! I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA � la decisione della commissione tributaria centrale, questo, proponibile ai sensi dell'art. 111 cost., deve intendersi disciplinato, quanto alle forme, alle modalit� ed ai termini, dalle ordinarie norme del codice di rito, con la conseguenza che il termine di ses&anta giorni per la sua proposizione decorre, ai sensi dell'art. 326 cod. proc. civ., dalla notificazione dell'intera decisione, prevista come facoltativa dall'art. 38, ultimo comma, del d.P.R. 636/1972, non essendo a tal fine sufficiente la notificazione del solo dispositivo, prescritta dal comma 3 dello stesso art. 38, e tanto meno la mera comunicazione di esso per mezzo della posta, come nella specie si afferma essere avvenuto. In mancanza della notificazione in senso proprio della decisione, si applica, ai sensi dell'art. 327 cod. proc. civ., il termine di un anno dalla pubblicazione della decisione, e poich� la decisione impugnata risulta essere stata pubblicata mediante deposito il 29 settembre 1978, il ricorso proposto con atto notificato il 27 settembre 1979 � ammissibile. (omissis) III (omissis) Con le deduzioni scritte depositate dopo le conclusioni del Procuratore generale, il ricorrente invoca la decisione n. 2704 del 1981, ~econdo la quale la esperibilit� del ricorso non sarebbe preclusa dal decorso del termine annuale fissato dall'art. 327 c.p.c. ove risultasse che la parte non abbia avuto conoscenza del processo e non vi abbia spiegato attivit� difensiva; e prospetta con riguardo all'art. 24 Cost. un dubbio di legittimit� costituzionale dell'art. 327, secondo comma, c.p;c. �in relazione, soltanto, all'applicazione del medesimo nei confronti del procedimento tributario, in particolare alle decisioni della Commissione centrale, mancando quegli elementi di concreta conoscibilit� da parte dell'interessato del1a decisione emessa, elementi che caratterizzano invece l'ipotesi prevista dall'art. 327 c.p.c. �. I prospettati rilievi non hanno fondamento. La richiamata decisione di questa Corte ha statuito che l'esperibilit� del ricorso contro la pronunzia della Commissione centrale non � preclusa dal decorso del termine annuale fissato dal primo comma dell'art. 327 c.p.c. ove la parte dimostri di non avere avuto conoscenza del ptocesso, ma ha richiesto la duplice condizione �he la parte medesima non abbia partecipato al giudizio e che la mancata conoscenza sia dipesa dalla nullit� della citazione o della notificazione (nel caso, all'interessato non era stato dato avviso della data fissata per la decisione, ai sensi dell'art. 27, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e l'interessato non aveva spiegato attivit� difensiva). 340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO Nel caso concreto, non solo non � stata fornita dal contribuente la prova di non avere avuto conoscenza del processo per nullit� della citazione o della notificazione e di non avere, per ci�, partecipato al g~udizio; ma, anzi, risulta dalla decisione impugnata che egli �resistette al ricorso dell'Amministrazione; che, cio�, fu messo in condizione di partecipare al giudizio e di spiegarvi la propria attivit� difensiva. La questione di costituzionalit� del secondo comma dell'art. 327 c.p.c. (che esclude la decadenza della impugnazione per il decorso del termine annuale quando la parte contumace dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullit� della citazione o della notificazione) non ha, quindi, ragione di porsi, perch�, ammessa l'applicabilit� dell'art. 327 c.p.c. al processo tributario allo stesso modo che al processo ordinario secondo quanto ritenuto con la sentenza 2704/81, � certo che nel caso non ricorrono i presupposti di mancata conoscenza del processo per l'applicazione del secondo comma del citato articolo. N� un analogo problema di costituzionalit� potrebbe sollevarsi con riguardo alla conoscibilit� della decisione in s�. Ha gi� osservato questa Corte (v. sent. 4516/81 e 4871/81) che la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 38 del decreto 636/72 per contrasto con gli artt. 24 e 3 Cost., sotto il profilo del pregiudizio del diritto di difesa per il decorso del termine di decadenza a prescindere dalla notizia dell'avvenuta pubblicazione della decisione, nonch� della disparit� di trattamento in danno del contribuente, il quale, ricevendo la notificazione del dispositivo a mezzo di ufficiale giudiziario, non avrebbe garanzia di tempestiva conoscenza analoga a quelle dell'Ufficio (cui il dispositivo stesso � comunicato a cura diretta della segreteria della Commissione), � manifestamente infondata, in ordine al primo degli indicati profili, in quanto la parte, ricevuta la preventiva comunicazione della data fissata per la decisione (art. 27, terzo comma) � al corrente della successiva pubblicazione di questa ultima con ampio margine di tempo per acquisirne concreta conoscenza; ed � irrilevante, in ordine al secondo degli indicati profili, in quanto il termine annuale di decadenza opera per il solo fatto della pubblicazione della sentenza, indipendentemente dai menzionati adempimenti circa la comunicazione del dispositivo. Quest'ultima considerazione consente, poi, di escludere che la parte soccombente nel processo tributario, cui la sentenza non sia stata notificata in modo da far decorrere il termine breve d'impugnazione, versi in una situazione di svantaggio rispetto alla parte nel processo ordinario. Infatti, ad entrambe il dispositivo della sentenza viene portato a conoscenza (art. 38, terzo comma, del decreto 636/72 e art. 133, secondo comma, c.p.c.) entro termini di analoga durata, ma per entrambe il termine annuale di decadenza opera per ii solo fatto della pubblicazione della sentenza. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 341 I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 luglio 1981, n. 4432 � Pres. Vigorita � Est. Zappulli � P. M. Grimaldi (conf.). Soc. San Barnaba (avv. Monzini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) � Contenzioso tributario � Ricorso alla Commissione centrale � Deposito . Spedizione per posta � Rilevanza della data di ricezione da parte della segreteria. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 17, 22 e 25). Al ricorso alla Commissione Centrale non si applica la regola dell'art. 17 del d.P.R. n. 636/1972 relativa alla spedizione per posta; di conseguenza il .ricorso deve essere depositato presso la segreteria della commissione che ha emesso la decisione impugnata e, nel caso di spedizione per posta, pervenire entro il termine di decadenza alla segreteria medesima (1). IJ CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 luglio 1981, n. 4826 � Pres. La Farina� Est. Zappulli � P. M. Leo (conf.). Soc. AIACA (avv. Barone) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Ricorso alla Commissione centrale � Deposito presso la segreteria della Commissione centrale � Insufficienza -Ricevimento da parte della segreteria della commissione di secondo grado � Necessit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). Il ricorso alla Commissione centrale deve in ogni caso pervenire nel termine di decadenza presso la segreteria della commissione di secondo grado che ha emesso la decisione impugnata; � di conseguenza inammissibile il ricorso depositato presso la segreteria della Commissione centrale ove non sia entro il termine rimesso alla segreteria della commissione territoriale (2). (1-2)' Si pu� ormai considerarre def�nitwo li/indirizzo che esclude ogni possib�! hit� di considerare amrnissiMle il ricorso che non sia pervenuto nel termine ailla segreteria deLla commissione �di secondo grado che ha emesso il provvedimento impugnato: ne1 caso defila spedizione resta a rischio del ricorrente il ritardo del recapito (Cass. 26 settembre .1978, n. 43119 e 26 giugno 1981 n. 4128. in questa Rassegna, 1979, I, 200 e 1982, I, 150); il deposito presso la segreteria dehla Commissione centrale � irrituale e pu� essere salivato solo se il! ricorso venga trasmesso aJla segreteria competente e vi giunga nel termine (Oass. 9 marzo 1981 n. 1312, in Riv. leg. fisc., 1981, 1456); fo stesso � a dirsi per il rkorso presentato presso l'ufficio (Cass. 4 febbraio 1981, n. 754, in questa Rassegna, 19&1, I, 595). 342 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO .-) I (omissis) La societ� ricorrente, con il primo motivo del ricorso, ha lamentato la violazione della decisione impugnata dell'art. 25 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 per essere stata ritenuta la tempestivit� del ricorso alla Commissione Tributaria Centrale da parte dell'Ufficio Finanziario sebbene pervenuto per posta alla segreteria della Commissione di Secondo Grado il 4 marzo 1975, e cio� nel sessantunesimo giorno dalla notifica della decisione. L'Amministrazione Finanziaria, a sua volta, ha eccepito l'applicabilit� della proroga dei termini prevista dal d.l. 19 giugno 1974 n. 237 e la tempestivit�, in ogni caso, della presentazione di quel ricorso per avere gli art. 17 e 22 del citato D.P. n. 636 del 1972 stabilito che nel caso di sua spedizione a mezzo di raccomandata (come nella specie) �si considera come data di presentazione quella di spedizione >>, avvenuta il 27 febbraio 1975. Il ricorso va accolto per essere infondate entrambe le eccezioni della Amministrazione ricorrente, risultando la dedotta tardivit� per essere riconosciuta dalle parti la ricezione del ricorso nel sessantunesimo giorno dalla notifica della decisione. Invero, circa la dedotta proroga del termine previsto dal d.l. 19 giugno 1974 n. 237 con riferimento alle disposizioni contenute nel precedente d.1. 18 dicembre 1972 n. 788 convertito nella L. 15 febbraio 1973 n. 9, � facile osservare che il citato d.l. n. 788 del 1972, nel titolo e nel suo art. 1, disponeva la proroga suddetta esclusivamente � in materia di tasse e imposte indirette sugli affari � senza che nessuna norma l'avesse estesa alle imposte dirette, tra le quali era quella in questione. Per quanto concerne la presentazione del ricorso va posto in rilievo che la sopra riportata norma contenuta nella parte final� del primo comma del citato art. 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 vale per il ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado, al quale si riferisce espressamente lo stesso art. 17 insieme alle altre norme comprese nella medesima sezione prima, avente come titolo il � procedimento di primo grado >>, e per quello alla Commissione di secondo grado, per il quale l'art. 22, compreso nella sezione successiva relativa al procedimento d'appello, dispone espressamente che per esso si applicano le disposizioni dell'art. 17 primo e secondo comma. Invece, per il ricorso alla Commissione Tributaria Centrale, previsto e regolato dalla sezione terza, l'art. 25 dispone nel primo comma che � si applica il secondo comma dell'art. 15 � e nel successivo sesto comma che, in caso di mancanza delle copie previste per il ricorso, si applica il secondo comma dell'art. 17, senza che alcuna sua disposizione rinvii alle altre norme sul procedimento innanzi le Commissioni di primo grado n�, ancor meno, al citato primo comma del suddetto art. 17. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Nella rilevata assenza di una norma che consenta quella diversa valutazione della data di spedizione non pu� non tenersi presente il principio generale in virt� del quale la scelta di un mezzo di notificazione, quale quello per il tramite del servizio postale, -che presenti il notorio inconveniente de'lla diversit�, quantitativamente incerta, tra il giorno in cui il notificante provveda ai propri adempimenti e quello della effettiva recezione dell'atto da parte del destinatario della notifica -, importa che il notificante stesso deve adeguare la propria condotta a tale difformit� senza che la scelta del mezzo giustifichi una situazione di incertezza, sia pure temporanea, per la controparte. Questa Suprema Corte, proprio m tal materia, ha affermato, sulla base della disposizione espressa contenuta negli artt. 17 e 22, insuscettibile di applicazione analogica, che nel caso di spedizione alla Commissione Tributaria Centrale deve farsi riferimento alla data di arrivo del ricorso (Cass. 26 settembre 1978 n. 4319), spiegandosi la diversit� della relativa regolamentazione sia nel diverso contenuto della impugnazione innanzi la suddetta Commissione Centrale sia nella alternativit� dell'impugnazione stessa rispetto a quella che, secondo l'art. 40, pu� essere proposta alla Corte di Appello e che � soggetta alle forme pi� rigorose dell'ordinario rito civile. Conseguentemente, accogliendosi quel motivo e rimanendo assorbiti gli altri, va dichiarata la inammissibilit� del ricorso dell'Ufficio Finanziario alla Commissione Tributaria Centrale, e deve cassarsi la decisione di quest'ultima senza rinvio. (omissis) II (omissis) L'associazione ricorrente ha lamentato, con il primo motivo del ricorso, la violazione degli artt. 22 e 23 del D.P. 26 ottobre 1972 n. 636, 156, 325 c.p.c. e omessa e contraddittoria motivazione della decisione impugnata, per avere la Commissione Tributaria Centraie dichiarato irricevibile il ricorso a causa della sua presentazione diretta alla segreteria di essa stessa senza considerare che il citato art. 25 stabilisce distintamente nel primo comma il termine per la proposizione del ricorso avverso le decisioni della commissione centrale medesima e nel terzo le modalit� della presentazione, per la quale non pu� non avere valore la regola dell'art. 156 c.p.c. sulla irrilevanza della nullit� dell'atto processuale se quest'ultimo abbia raggiunto lo scopo cui era destinato. Secondo la ricorrente ci� si era verificato nelle specie per essere il ricorso pervenuto nel termine di legge alla commissione centrale alla quale era diretto. Con il secondo motivo, parzialmente connesso al primo in quanto relativo alla determinazione del termine per la presentazione del ricorso, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 344 � stata lamentata la violazione degli artt. 17 e 22 del D.P. del 1972, n. 636. in relazione agli artt. 2 e 9 del D.P. 24 novembre 1971 n. 1199, 24 del D.P. 26 ottobre 1972 n. 659 e 3 della I. 7 febbraio 1979 n. 59 e omessa o insufficiente motivazione della decisione per essere stato ritenuto che il ricorso non era stato presentato alla commissione centrale entro il 24 settembre, e cio� entro sessanta giorni dalla notifica della decisione impugnata, bens� il successivo 26 dello stesso mese, e cio� nel sessantunesimo giorno dalla stessa, mentre era stato spedito per raccomandata i[ 23 settembre 1977 ed era comunque, pervenuto il 24, essendo, in ogni caso, decisiva la suddetta data di spedizione. I due motivi non possono essere accolti, pur se va riconosciuta, in linea generale, l'applicabilit�, anche nella materia delle impugnazioni nella sede tributaria, del citato comma dell'art. 156 c,p.c. Ma in difformit� da quanto dedotto dal ricorrente, non pu� ritenersi che la mera recezione del ricorso dalla segreteria della commissione centrale, entro ed oltre il termine posto dal ripetuto art. 25 del decreto del 1972, sia tale, da assicurare il raggiungimento dello scopo al quale il ricorso stesso era destinato, pur se legittimamente indirizzato alla commissione suddetta nella sua intestazione. Va precisato, al riguardo, che scopo del citato art. 25, nelle considerate disposizioni relative aHe modalit� e al termine del ricorso, non � solo quello di far pervenire alla segreteria della destinataria formale, e cio� della commissione centrale, il ricorso nel menzionato termine di legge. Al contrario, l'ultimo comma del suddetto art. 25, non pone alcun termine per la trasmissione ulteriore del fascicolo del procedimento, con i vari atti indicati dalla segreteria dell'organo di giurisdizione tributaria territoriale a quo alla menzionata commissione centrale, per il quale adempimento non possono avere valore se non i generali principi di ordinato e sollecito andamento dei pubblici uffici. Invece, la norma citata �, nel suo insieme, diretta a soddisfare quelle esigenze di tempestivit�, certezza e immutabilit� che sono proprie di qualsiasi ordinamento giurisdizionale, ordinario o speciale, e per le quali sono posti i termini e gli specifici oneri formali e sostanziali per le varie forme di impugnazione. Rimanendo nella materia tributaria in esame, � evidente che la segre teria della commissione che ha emesso fa decisione impugnata, alla quale deve essere presentato il relativo ricorso ai sensi del terzo comma dello stesso art. 35, non ha per legge il mero incarico di riceverlo e trasmet terlo alla commissione centrale e cio�, secondo il linguaggio comune, di un semplice � passacarte�, ma deve provvedere ai particolari e non irrilevanti adempimenti previsti dai comma successivi, quali la notifi cazione a:lle altre parti, la recezione di eventuali ricorsi incidentali, il rilascio, ove richiesto, di copie delle rispettive deduzioni e la messa a I I I� ! i !! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA disposizione .Per visione del fascicolo cos� formato, per le parti entro il termine indicato nella citata norma. Solo dopo tali adempimenti e la scadenza dei termini il fascicolo stesso deve essere inviato alla commissione centrale. Ma, soprattutto, nel diverso caso di assenza di impugnazioni, � la stessa segreteria che pu� e deve, in loco, accertare e certificare, ai sensi dell'art. 40 dello stesso D.P. n. 636 del 1972, subito dopo la scadenza del termine, la suddetta assenza di ricorsi alla commissione superiore nel termine stesso, il che non sarebbe possibile ove il ricorso potesse essere presentato anche alla segreteria della Commissione Centrale. Viceversa, la presentazione diretta del ricorso a quest'ultimo altera gravemente l'ordine e la giusta durata dei suddetti adempimenti, generando anche situazioni di incertezza contrarie ai princ�pi del diritto e alle menzionate esigenze di celerit�. Infatti, solo dopo il rinvio del ricorso dalla commissione centrale a quella di secondo grado, per il quale, come gi� posto in rilievo, non � stabilito un termine specifico, la segreteria della commissione territoriale; e attraverso essa, le controparti sono in grado di avere conoscenza della sua presentazione e della conseguente pendenza del relativo gravame. Appena dopo di ci�, possono effettuarsi gli adempimenti previsti dal citato art. 25 e decorrono i termini relativi, onde � evidente che, ove il ricorso non sia pervenuto in un qualsiasi modo alla segreteria della commissione di secondo grado nel termine di legge decorrente dalla notifica della decisione, sono indubbiamente violate le esigenze di certezza e di sollecitudine del procedimento. Basta osservare che, secondo l'art. 40 dello stesso D.P. del 1972, appena �decorso inutilmente per tutte le parti il termine per ricorrere alla commissione centrale �, pu� proporsi come gi� accennato, l'impugnazione alla Corte d'Appello, prevista e regolata da quella norma, previo rilascio del certificato sulla assenza di ricorso nel termine di legge. perci� anche un lievissimo ritardo nel rinvio del medesimo dalla segreteria della commissione centrale, tale da farlo giungere alla commissione locale dopo quella scadenza, produrrebbe una situazione di grave incertezza e la eventuale concorrenza di due gravami alternativi, esclusa dal legislatore chiaramente e vigorosamente senza che alla parte che ha adito il giudice ordinario possa attribuirsi alcuna intempestivit� o irregolarit� della propria impugnazione, promossa sulla base di un certificato regolarmente emesso anche al sessantunesimo giorno in conformit� alle risultanze dell'ufficio che lo ha rilasciato. N� � fuor luogo ricordare che la segreteria della commissione centrale non ha un obbligo preciso di rinvio immediato e entro un termine perentorio e che restano a carico del ricorrente quei ritardi e indugi dipendenti da questa irregolare presentazione e dagli inconvenienti connessi. 346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Infine, va pure osservato che la presentabilit� del ricorso al menzio nato ufficio territoriale, in difformit� dal sistema seguito per le impu gnazioni nel giudizio civile ordinario, � manifestamente diretta anche a semplificare l'accesso al medesimo delle parti private e la pi� solle cita attivit� degli uffici finanziari, attraverso l'utilizzazione di quelle segreterie delle commissioni locali, pi� accessibili e vicine. Perci�, indi pendentemente dal menzionato obbligo di certificazione delle stesse sulla assenza dei ricorsi, sarebbe ugualmente in contrasto con tali esigenze e con i generali princ�pi di diritto che quella indubbia facilitazione, concessa a tutte le. parti pubbliche e private e per un pi� sollecito funzionamento della giurisdizione tributaria, fosse aggravata e rnllentata, e resa vieppi� incerta, per una ingiustificata inosservanza di chiare e precise disposi zioni, con rischi e aggravi per la parte diversa da quella che ha presentato il ricorso in modo difforme da quanto stabilito per legge. Conseguentemente, non pu� affatto ritenersi che l'invio del ricorso direttamente alla �commissione centrale, quale sua destinata definitiva, . sia tale da assicurare il raggiungimento dello scopo dell'atto, essendo, anzi, tale da ostacolare la certificazione tempestiva sulla assenza di impugnative in sede tributaria necessaria per l'impugnazione innanzi il giudice ordinario, e l'osservanza dei termini processuali, come tali inderogabili. Pu� solo riconoscersi, come ripetutamente precisato dalla Commis sione Tributaria Centrale e fuori dal caso attuale, che la presentazione diretta del ricorso alla stessa, anche se avvenuta a mezzo del servizio postale, non � di ostacolo alfa sua ammissibilit� quando il ricorso stesso sia stato rinviato alla segreteria della commissione di secondo grado e vi sia pervenuto ancora anteriormente alla scadenza del termine di sessanta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione della decisione con esso impugnata (Ses. V 18 luglio 1978 n. 7540; Sez. III 13 luglio 1978 n. 11220; Sez. VI 13 ottobre 1977 n. 12250). Ma in questi casi l'aleatoriet� del sistema seguito dal ricorrente, quale sia la data di spedizione, importa che il ritardo dovuto alla difformit� del sistema previsto dalla legge deve essere posta a suo carico come conseguenza della scelta stessa. Pertanto, anche per quanto riguarda il secondo motivo, esattamente � stata affermata l'irrilevanza della data in cui il ricorso � pervenuto alla segreteria della commissione centrale, da identificarsi nel 24 (ante riore alla scadenza) o nel 26 settembre (posteriore alla stessa), in quanto, in ogni caso, il ricorso risulta essere pervenuto alla segreteria deha com missione di secondo grado appena il successivo 12 ottobre 1977. Ugualmente irrilevante, a causa della citata scelta del sistema diverso da quello previsto dal legislatore, � la questione sulla efficacia della data di spedizione per posta (23 settembre) e della applicabilit� o meno a i questa speciale materia di giustizia tributaria della disposizione intro i I ! I ' I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 dotta dall'art. 3 della L. 7 febbraio 1979 n. 59 specificamente ed eccezio� nalmente per il ricorso per cassazione circa la prevalenza della suddetta data di spedizione. Conseguentemente, per la rilevata necessit� del suddetto tempestivo passaggio obbligato del ricorso alla commissione centrale attraverso la segreteria della commissione che ha emesso la decisione impugnata, l'attuale ricorso rper cassazione va respinto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 settembre 1981 n. 5161; Pres. Mar� chetti -Est. Battimelli -P. M. Zema (diff.). Malagoli c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi (in genere) Contenzioso tributario -Composizione commissioni di primo e secondo grado -Presidente e vice presidente -Legittimit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 7). Il Collegio della commissione di primo e secondo grado, mentre deve sempre essere 'composto con la presenza del presidente o del vice presidente s� che non pu� essere presieduto da un componente diverso, pu� essere legittimamente composto con la contemporanea presenza del presidente e del vice presidente (1). (omissis) Il ricorso, pertanto, non pu� essere accolto sul punto, e occorre passare all'esame del secondo motivo, con cui si denunzia falsa ed erronea applicazione dell'art. 7, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in velazione all'art. 12 delle preleggi e all'art. 10 del suddetto decreto n. 636, sostenendosi che erroneamente la decisione di secondo grado e quella della Commissione Tributaria Centrale, qui impugnata, hanno ritenuto che unica funzione del vice-presidente delle commissioni di merito sia quella vicaria di sostituzione del presidente impedito, e non anche quella di comporre il collegio in presenza del presidente: soluzione, questa, che il ricorrente afferma errata, in quanto tutti i membri delle commissioni hanno la medesima identica funzione di giudici con parit� di diritti e doveri e la norma dell'art. 7 del decreto n. 636 sta solo ad impedire che il collegio giudicante possa essere costituito senza il presidente o il vice-presidente, ossia possa essere presieduto da un membro diverso da costoro, come tale avente una minore professionalit� (11) Questione nuova sullila qual!e 1a S.C. prende posizione in contrasto con la Commissione .centrale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 348 ed esperienza di materie giuridiche, espressamente richieste per la funzione di presidente. La doglianza � fondata. Stabilisce l'art. 7 del d.P.R. n. 636 del 1972 che nelle commissioni di primo e secondo grado il collegio giudicante decide con l'intervento del presidente o del vice presidente e di due membri; la norma, a prima lettura, pu� far ritenere giustificata l'interpretazione che ne ha dato la decisione qui impugnata, nel senso che unica funzione del vice-presi� dente sia quella di sostituire il presidente nella sua assenza, non anche quella di comporre comunque il collegio. Peraltro, meglio esaminando tutta la normativa in materia, deve concludersi che la chiave di lettura della disposizione � un'altra, e che, in realt�, essa vuol semplicemente significare che, in ogni caso, il collegio giudicante deve essere presieduto dal presidente o dal vice-presidente, e che non pu� mai essere presieduto da un componente diverso da costoro. Anzitutto va osservato che la parola � membri � contenuta neHa frase in esame non sta ad indicare necessariamente componenti del collegio diversi dal presidente o dal vice-presidente; la normativa tutta del decreto, invero, usa indifferentemente tale termine e l'altro di � componente �, come si evince dal fatto che l'art. 9, disciplinante la formazione della Commisisone Tributaria Centrale, denomina espressamente � membri � i componenti di quest'ultima (per la quale, come si vedr�, non � ipotizzabile alcuna distinzione fra il presidente e gli altri componenti), qualificando cos� anche il presidente come � membro�; viceversa, l'art. 4 adopera la parola � componente � per tutti coloro che fanno parte delle commissioni di primo e di secondo grado, prevedendo, fra l'altro, come r~quisito comune, alla lettera e), il possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado, requisito che, peraltro, � solo dei componenti diversi dal presidente e dal vice-presidente, per i quali, invece, gli artt. 2 e 3 richiedono una ben diversa qualificazione tecnico-professionale. Nessun argomento interpretativo valido, quindi, pu� trarsi dalla letterale dizione della norma in esame, la quale va perci� interpretata coP riguardo alla � ratio � che la ha informata: e la ragion d'essere della norma � appunto quella di far svolgere le funzioni di presidente solo a soggetti particolarmente qualificati, quali appunto il presidente e il vicepresidente, che, per il disposto degli artt. 2, 3� comma, e 3, 3� comma, sono scelti solo fra i magistrati ordinari o amministrativi, fra gli intendenti o vice-intendenti di finanza (per le commissioni di secondo grado), nonch�, solo per le commissioni di primo grado, fra laureati in giurisprudenza o in economia e commercio. La ragione d'essere di tali particolari requisiti � evidente, in quanto le commissioni di merito sono chiamate a risolvere, oltre a questioni di fatto o di estimazione, questioni di diritto PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 349 sostanziale e processuale, ed � quindi necessario che almeno uno dei componenti del collegio sia in possesso di particolare preparazione tecnico-giuridica, che non si richiede per gli altri componenti. Una conferma di ci� pu� trarsi dal fatto che, al contrario, per quanto attiene alla Commissione Tributaria Centrale, i cui componenti, giusta quanto disposto dall'art. 9, sono scelti tutti fra persone particolarmente qualificate per approfondito e consolidato esercizio professionale nel campo tecnico giuridico, non � prevista alcuna preclusione all'attivit� di presidente nei confronti di nessuno dei componenti, ciascuno dei quali, in base al solo criterio dell'anzianit�, pu� presiedere in assenza del presidente titolare, col quale � perfettamente fungibile. N� pu� ritenersi che, per le commissioni di merito, il legislatore delegato abbia voluto assicurare in ogni collegio la maggioranza di persone qualificate non per preparazione tecnico-giuridica, ma per altri requisiti di pi� diretta immedesimazione con ii cosidetto � buon senso comune�, s� da far prevalere, nel giudizio, valori di detto tipo sui valori pi� rigidamente tecnico-giuridici. Una simile interpretazione � infatti contraddetta, anzitutto, dal fatto che, per il disposto del 6� e 7� comma dell'art. 2 e dell'8� e 9� comma dell'art. 3, la nomina dei componenti diversi dal presidente o dal vice-presidente pu� cadere anche su persone munite di particolari conoscenze e capacit� tecnico-giuridiche; �inoltre, come giustamente evidenzia il ricorrente, l'art. 10, primo comma, impedisce qualsiasi distinzione fra i componenti, qualsiasi ipotizzabilit� di rappre� sentanza di determinate categorie o di particolari interessi e qualsiasi diversit� di parametri di giudizio allorch� sancisce che �i componenti delle commissioni tributarie hanno tutti identica funzione, indirizzata unicamente all'applicazione della legge in base all'obbiettivo apprezzamento degli elementi di giudizio, esclusa ogni considerazione di interessi territoriali, di categ01ia o di parte � (il che significa, oltretutto, che, quanto all'attivit� di �giudicare�, il presidente o il vice-presidente in nulla si diversificano dagli altri, s� che l'unica distinzione possibile � quella che attiene alla loro particolare attitudine di direzione del dibattimento e della camera di consiglio). Infine, nessun argomento in contrario pu� trarsi dalla legge di delega (L. 9 ottobre 1971 n. 825), la quale, all'art. 10, n. 15), nel fissare i criteri generali per la composizione delle commissioni, prevede la designazione, da parte degli enti locali, di una congrua rappresentanza, non superiore, in ogni caso, alla met� dei componenti, nelle commissioni tributarie di 1� e 2� grado; il che esclude che il legislatore abbia inteso assicurare, nelle commissioni di merito, sempre la maggioranza dei componenti � non tecnici �. 350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In conclusione, non esiste akuna valida ragione per cui possa dirsi impedito al vice-presidente di comporre il collegio giudicante accanto al presidente e ad un terzo componente, non avendo senso l'esclusione dalla attivit� di decisione di un componente che, al pari degli altri, e in base al principio desumibile dal citato art. 10, ha pari funzione e pari diritti e doveri di giudice. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 ottobre 1981 n. 5264, Pres. Mazzacane Est. Sgroi -P. M. Cantagalli (conf.). Soc. Secondo Mona c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -Ritenuta sugli utili distribuiti dalle societ� (cedolare) -Imputazione degli utili a riserva e contestuale distribuzione del fondo sovrapprezzo azioni -� soggetta alla ritenuta. (I. 29 dicembre 1962, n. 1445, art. I). L'imputazione degli utili a riserva, oltre i limiti d'obbligo, e la contestuale distribuzione del fondo sovrapprezzo azioni concreta una operazione di distribuzione di utili soggetta all'imposta cedolare dell'art. 1 della Legge 29 dicembre 1962, n. 1445 (1). (omissis) Col primo motivo, la soc. Mona deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 legge 29 dicembre 1962 n. 1445 e delle norm� vigenti per gli anni 1962, 1963 e 1964 in tema di ritenute d'acconto relativamente agli utili distribuiti dalle societ� e all'erogazione di fondi sopraprezzi azioni, anche in relazione all'art. 2430 C.C., ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. quanto meno, l'omessa o insufficiente motivazione sul punto decisivo se si possa ritenere provata in concreto (a titolo di presunzione) una distribuzione di utili mascherata attraverso la erogazione di somme prelevate dal fondo sopraprezzo azioni, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. La ricorrente �sserva che l'operazione in esame rappresenta -come ha affermato la Commissione Centrale -in un senso generico un passaggio di ricchezza dall'economia della societ� a quella dei soci, ma che non ogni passaggio di ricchezza dalla societ� ai soci � tassabile, bens� lo � solo quel passaggio che si inquadra specificamente nell'ambito della distribuzione vera e propria di utili. Nel caso in esame lo strumento (1) Decisione esatta che dafferma un :Principio ormai costante: cfr. Cass. 5 maggio 1978, n. 2115, ~n questa Rassegna, 1978, I, 610. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA adoperato era diverso, nella forma e nella sostanza, dalla distribuzione di utili, perch� restavano distinti i prelievi dal fondo sopraprezzo azioni. L'esclusione di ogni distribuzione di utili ai soci e la concomitanza della destinazione a riserva degli utili di esercizio non autorizzava a presumere che vi fosse stata una mascherata distribuzione di utili. Quanto meno, la decisione in esame omette la motivazione (o contiene una motivazione insufficiente) sul punto se si possa ritenere provata (a titolo di presunzione � hominis �) una mascherata distribuzione di utili. Il motivo � infondato, in entrambe le diverse censure proposte. Quanto alla prima, attinente alla violazione di legge, non � stata portata alcuna argomentazione che possa indurre a modificare il costante orientamento di questa Corte Suprema, secondo cui la ripartizione fra gli azionisti della riserva costituita dal fondo sopraprezzo azioni, quando sia collegata con la mancata distribuzione di utili di esercizio ed al passaggio a riserva dei medesimi, in misura eccedente la riserva legale. pu� essere assoggettata a ritenuta d'acconto, quando maschera una distribuzione di utili di esercizio ai soci (Cass. 5 maggio 1978 n. 2115; Cass. 3 luglio 1979 n. 3735). Anche la dottrina che si � occupata deH'argomento non ha contestato l'esattezza del principio di diritto suddetto, posto che costituisce dividendo anche l'utile prelevato dalla riserva disponibile e distribuito ai soci; e sottolinea soltanto che occorre una prova di tale mascherata distribuzione di utili, non essendo sufficiente la mera concomitanza della destinazione degli utili a riserva facoltativa e della distribuzione del fondo soprapprezzo azioni (che di per s�. � un conferimento e non un utile di esercizio). Al problema della prova, in concreto, dell'avvenuta distribuzione di utili � diretta la seconda censura del motivo, la quale peraltro si risolve in poco pi� della mera enunciazione della censura stessa, e come tale � infondata. �, infatti, evidente che la prova contraria alla contabilit� sociale pu� risultare da presunzioni semplici, alla stregua delle quali pu� emergere la effettiva finalit� delle operazioni concomitanti, tramite la loro correlazione. In proposito, la Commissione Centrale ha .svolto un apprezzamento di fatto, neppure censurato direttamente in questa sede, perch� ha affermato che non era giustificato l'aumento della riserva facoltativa, in quanto a tale riserva non risultava data una particolare destinazione, concludendo che l'accantonamento era da definire abnorme, non avendo alcuno scopo dichiarato, per cui quella distribuzione di utili che era apparentemente esclusa da tale destinazione a riserva era realizzata tramite la distribuzione del fondo soprapprezzo azioni. Si tratta di valutazioni di merito, logicamente e congruamente motivate, che, come tali, sfuggono ad ogni censura in questa sede. (omissis) 352 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 ottobre 1981, n. 5508, Pres. Mozzacane -Est. Bologna -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo) c. Pittoni. Tributi (in genere) -Repressione della violazione -Sanzioni -Societ� avente personalit� giuridica -Responsabilit� dell'amministratore Esclusione. � (I. 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 9, 10 e 12). Quando il tributo � posto a� carico di societ� avente personalit� giu� ridica, a questa soltanto � riferibile l'infrazione, si che della sanzione non deve rispondere personalmente l'amministratore (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso (violazione degli artt. 1-12 legge 7 gennaio 1929 n. 4 e delle leggi in materia di I.G.E., dell'art. 2472 e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.) si censura la statuizione dei giudici di appello per avere ritenuto che in relazione al pagamento delle pene pecuniarie, conseguenti a violazione delle leggi finanziarie (nella specie, I.G.E.) inflitte ad enti dotati di personalit� giuridica quali autori della violazione, non sussiste una responsabilit� solidale del rappresentante legale dello stesso ente, e per non avere rilevato che dal sistema delle norme richiamate emerge il principio secondo cui, ogni qualvolta si verifichi lo sdoppi.amento tra soggetto debitore del tributo e soggetto che agisce nell'interesse di quello, la sanzione fiscale per l'illecito tributarie grava su entrambi. Con il secondo motivo si deduce che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che per le infrazioni alle norme sull'I.G.E. sarebbe tenuto al pagamento soltanto il soggetto al quale l'infrazione sia imputabile. (1) La sentenza riconferma un indirfazo ormai costante (Cass. 22 Jugil:io 1976 n. 2903 e 15 gennaio 1979, n. 289, in questa Rassegna, 1977, I, 147 e 1979, I, 3>16 con note cdtiche). Una nuova impostazione del problema si profila oggi lin forza deLl'art. 6 della Legge 24 novembre 1981, n. 689 (mooofiche aJ sistema penale) che in modo chiarissimo enuncia �la responsabilit� principale del rappresentante o dipendente di una persona giuddica e fa responsabilit� sussidiaria delilia persona giuridica e la stessa identica� regola prevede per gli enti privi di responsabilit� .giuridica. Questa norma, che rifacendosi :manifesta� mente agilii aJrtt. 9, .io e 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 enuncia un principio generale, sembrerebbe di natura interpretativa :Per quanto concerne Je sanzioni fiscali. tl. comunque riconfermato che � sempre �responsabiiJ.e deLla sanzione (e pi� che mai deLla sanzione originariamente penale) ['autore materiale che agisca ne11i'� esercizio delle proprie funzioni o incombenze�, mentre rispon� dono indirettamente allo stesso modo l'ente, con o senza personalit� giuridica, a cui fa C3!IJO J'attivit�, 1� impresa, H proprietario della cosa e ila .persona rivestita di autorit� direzione o vig.i;1anza. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 Le censure, che sono strettamente connesse e che debbono essere esaminate congiuntamente, non possono trovare accoglimento. Sulla questione questa Corte di legittimit� si � gi� pronunciata pi� volte nel senso che gli artt. 9, 10, e 12 della legge n. 4 del 7 gennaio 1929, contenente norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, riguardano la responsabilit� indiretta delle persone fisiche e delle persone giuridiche private per le violazioni tributarie commesse rispettivamente dai soggetti sottoposti alla loro vigilanza, direzione ed autorit�, ovvero dai rappresentanti delle persone giuridiche private, e non prevedono il caso (inverso) in cui il tributo e l'infrazione siano a carico dell'ente fornito di personalit� giuridica, con la conseguenza che non sus� siste per il pagamento della pena pecuniaria inflitta all'ente quale autore della violazione della legge finanziaria, la responsabilit� solidale del suo rappresentante legale (Cass. 1979 n. 4266, 1979 n. 289, 1976 n. 2903). N� le censure in esame, formulano nuove ragioni e convincenti rilievi per modificare l'orientamento consolidato di questa Corte che trae il suo fondamento dall'interpretazione dell'art. 12 legge n. 4 del 7 gennaio 1929. La norma de qua prevede espressamente che, nei casi disciplinati della prima parte degli artt. 9 e 10 della medesima legge (riguardanti sia la obbligazione cumulativa dell'autore della violazione contravvenzionale che sia soggetto all'altrui autorit�, direzione o vigilanza, e della persona rivestita dell'autorit� o incaricata della direzione o vigilanza, sia la obbli gazione cumulativa delle persone giuridiche per il pagamento di somma pari all'ammenda inflitta con condanna dei loro rappresentanti legali e dipendenti) e nelle ipotesi in cui sia stabilita la sopratassa o la pena pecuniaria, la persona rivestita dell'autorit� od incaricata della direzione e vigilanza e la persona giuridica privata (nelle rispettive situazioni) siano obbligate in solido al pagamento della pena pecuniaria o della sopratassa insieme con l'autore della violazione finanziaria. Pertanto la norma stessa non considera il caso in cui il tributo o l'infrazione siano a carico di ente fornito di personalit� giuridica. (Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 ottobre 1981 n. 5529 -Pres. Sandulli � Est. Corda -P. M. Antoci (conf.) Marucci c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (m genere) -Contenzioso tributario -Ricorso contro il ruolo Nullit� della notifica dell'accertamento -Impugnazione di merito Necessit� -Ecslusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). Quando viene proposto ricorso contro il ruolo assumendosi la nullit� della notifica dell'accertamento, � solo una facolt� del ricorrente 10 354 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO� proporre anche impugnazione di merito sul se o sul quanto del debito, ben potendo l'impugnazione riguardare il vizio formale del ruolo in quanto non preceduto dall'accertamento (1). (omissis) � invece, fondato il primo motivo del ricorso principale, posto che la regola enunciata dalla Commissione Tributaria Centrale (secondo cui sarebbe inutile proporre ricorso contro il ruolo per denunciare, unicamente, che lo stesso non sarebbe stato preceduto dalla notifica dell'avviso di accertamento) non trova solida base nel dettato legislativo. L'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (che, anche in concreto, � legge regolatrice della materia, poich� era gi� entrato in vigore allorch� fu proposto il primo ricorso del contribuente) dispone, nel secondo comma, che �il ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo � ammesso soltanto se tali atti non sono stati preceduti dalla notificazione dell'avviso di accertamertto o dal provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie ovvero per vizi suoi propri �, Ora, da tale sintetica dizione, che ha avuto di mira, principalmente, l'eliminazione della �casistica� dell'art. 188 del T.U. del 1958, si possono ricavare le seguenti regole: 1) in via generale, contro il ruolo (o contro l'ingiunzione) si pu� ricorrere solo per denunciare vizi propri dell'atto (restando, quindi, preclusa ogni questione di merito, sull'an e/o sul quantum del debito d'imposta); 2) in via di eccezione, tale ricorso di merito � ammesso qualora la notificazione del ruolo (intendendosi per tale la notificazione della cartella esattoriale) non sia stata preceduta dalla notifica dell'avviso di accertamento o dall'atto di irrogazione delle sanzioni (ossia, in tal caso, il ricorso, che pure trae spunto dal ruolo o dall'ingiunzione, non incontra limiti di contenuto, poich� oltre i vizi propri (1) Sul complesso problema la senten2Ja in rassegna svolge solo ailcune brevi considerazioni. L'art. 16 del d.P1R. n. 636/1972, con :l'ammettere il ricorso di merito contro il ruolo non preceduto da accertamento, non enuncia soltanto l'improponibilit� del ricorso di merito contro il. ruolo preceduto daiLl'accertamento, ma stabilisce anche che il ruolo � esso atto di accertamento (o comunicazione di atto di aocertarrnento) o comunque di esso dene Juogo quando mainchi un anteriore atto; ed :infatti ~'impugnazione dii merito deve essere proposta in questo momento e non pu� essere differita o riservata ad un tempo successivo. :�. ovvio che iill soggetto passivo pu� proporre soltanto l'impugnazione per vizi propri del molo; non � obMigato a proporre J:'impugnazione di merito, ma solo nel senso che pu� a questa rinunziare. Riguardo per� all'iimpugnazione per vizi propri, � errato l'assioma che sia nuihlo H n1olo non preceduto da accertamento; nessuna norma stabilisce questa nuilllit� mentre !'.art. :16 non esclude, come si � visto, che il ruolo sia considerato un accertamento (per :il quale non occorrono forme particol�ari e meno PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 del ruolo, quale atto di riscossione, possono essere dedotti anche quelli relativi a:ll'an e/o al quantum del debito d'imposta). Nell'intento di conferire un supporto logico alla tesi esposta dalla Commissione Tributaria Centrale, la resistente Amministrazione Finan� ziaria ha dedotto che, �in mancanza di precedente notifica dell'avviso di accertamento, con il ricorso contro il ruolo, potr� dedursi ogni questione attinente alla esistenza del debito d'imposta �, Ma proprio in questa enunciazione, di per s� esatta, pu� individuarsi il punctum minoris resistentiae della decisione censurata dal ricorrente principale, laddove si precisa che � ...potr� dedursi ogni questione... �: � chiaro, infatti, che appariva abnorme, alla stessa resistente, asserire che con quel ricorso dovranno (per rendere utile il gravame) dedursi anche questioni attinenti al merito della controversia, ossia questioni attinenti all'an e/o al quantum dell'imposta. a stato, peraltro, acutamente osservato in dottrina che se anche la legge distingue tra il vizio della notificazione dell'avviso o i vizi propri del ruolo (o dell'ingiunzione), tuttavia il primo pu� rifluire in uno dei secondi allorch� il ruolo debba essere preceduto dall'avviso; in tal caso il vizio � quello (riflesso) di violazione di legge per difetto dei presupposti. Di modo che, in caso di mancanza o irregolarit� della notifica dell'avviso di accertamento, il contribuente che ricorre contro il ruolo ha due possibilit�: o introdurre la lite di merito (an e/o quantum), ovvero introdurre il (solo) motivo della illegittimit� formale dell'atto (non restando, peraltro, esclusa la possibilit� di cumulare i due tipi di doglianza nel medesimo ricorso). Ora, una tale impostazione non pu� non essere condivisa, non essendo dato di scorgere la ragione per cui al contribuente sarebbe precluso di denunciare il solo vizio della �mancanza di presupposto� del titolo di riscossione (ruolo), tanto pi� che, non essendogli stato notificato l'avviso di accertamento, generalmente egli non � in grado di dedurre (anche) che mari denominazioni vincol<anti). Non baster� a!Jlora aiffernnare che :�JlJ ruolo non � stato preceduto dall'accertamento (o che 1a notifica � nulla) per dedurre un vfaiio del ruolo; si dovr� dedurre, volta a volta, che non � stato osservato :hl termine di decadenza per eseguire �!!'accertamento, o che il ruolo non pu� valere come accertamento per dUetto di motivazione, ecc.; ma se il ruolo risulta essere notificato nel termine deWart. 43 del d,P.R. n. 606/1973 e si basa su una rettifica che non richiede una particolme motivazione, oltre quehla stabilita per i requisiti del ruolo da�lil'art. 12 del d,P.R. n.. 602/1973, :il ruolo pu� rimpiazzare l'accertamento, e, se non impugnato per ragioni di merito, ben pu� resistere alila impugnazione per vfaiio di forma. Connesso con quello esaminato � il problema della sanatoria della nullit� de�lla notifica dehl'aooertamento, sllll quale Je idee sono molto discordi (v. anno tai;ione Oass. 26 gennaio 1981 n. 572, in questa Rassegna, 1981, I, 807), aggra vato dahla recente modifica dell'art. 21 del d.P.R. n. 636/1972, nove1lato con il d:P.R. 3 novembre .19s1 n. 739. ��: RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 356 motivi attinenti aH'an o al quantum dell'imposta. Non si vede, cio�, perch� debbasiJritenere precluso di domandare, attraverso la denuncia di quel vizio, una pura e semplice dichiarazione di nullit� del ruolo, ossia del titolo di riscossione formato dall'Amministrazione in difetto del necessario presupposto. Come rilevato dalla dottrina, infatti, tale vizio finisce per rifluire in uno di quelli che la legge indica esso � vizi propri � dal ruolo, cio� vizi formali di esso, in relazione ai quali � sempre ammessa la .possibilit� del ricorso; e se la norma distingue tra tali vizi, genericamente indicati, e quello derivante dalla mancanza di notificazione dell'avviso di accertamento, ci�, evidentemente, fa non gi� in virt� di una ontologica differenza fra gli stessi (in realt� inesistente), ma solo per chiarire che, in sede di ricorso contro il ruolo, i motivi di merito (sull'an e/o sul quantum) dell'imposta potranno -sempre che il contribuente lo ritenga e ne abbia la possibilit� -essere dedotti unicamente nel caso in cui difetti o sia irregolare la notifica dell'avviso di accertamento. Se, infatti, l'iscrizione a ruolo � stata preceduta dalla notifica predetta, l'impossibilit� della deduzione di tali motivi di merito deriva dal fatto che le relative doglianze avrebbero dovuto essere proposte nei confronti dell'atto di accertamento; ed � proprio con riferimento a tale ipotesi che la legge limita la possibilit� del ricorso alla deduzione dei �soli vizi formali di esso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 ottobre 1981, n. 5583 -Pres. Granata Est. Cochet1li -P. M. Valente (conf.). -Ministero delJe Finanze (avv. Stato Baccari) c. Testasecca (avv. Lombardo Indelicato). Tributi erariali iildiretti -Imposta di successione -Passivit� deducibili Fideiussione -Certezza e liquidit� del debito -Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 45; e.e., artt. 1944, 1949, 1950). La fidejussfone prestata dall'autore della successione costituisce una passivit� dell'asse ereditario soltanto quando la insolvibilit� del debitore garantito o l'impossibilit� di esercitare utilmente il regresso sussistono al momento dell'apertura della successione; diversamente il debito, n� certo n� liquido, � indeducibile dall'attivo ereditario (1). (1) Con la sentenza 29 luglio 1980, n. 4867, (in questa Rassegna, 1981, I, 401) era stata esclusa la deducibilit� deH'avallo �sulla considerazione che il debito dehl'avaLlante � neutm1izzato dal credito verso l'avallato. Ora si precisa ancor meglio che 1a fideiussione, anche' se crea .una obbligazione soHdale (con o senza beneficio di escussione) e non sohanto una responsabhlit� per obbligo alhrui, d� luogo tuttavia ad un debito che non � n� certo n� liquido (nemmeno neH'an) e quindi comunque 'indeducibile. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) Con l'unico complesso motJvo, che denuncia violazdone degli artt. 1936, 1944, 1946, 1325, n. 2, 1362, 1363, 1272, 1273, cod. civ., in relazione aLl';art. 45 del r.d.il. 30 dicembre 1923, n. 3270, contraddittoriet� ed msufficienza di motiV'amo:i;ie, omesso es�ame di punti decisivi, la ricorrente lamenta che i1a decisione li.mpugnata, pur pa1I11:endo dall'esatta premessa che l'obbJigazione assunta dai Combes-Testasecca con ti. rogiti. del 1956 e del 1958 e con la sorittma privata del 1959 non fos�se inseribhle nel rapporto di mutuo, interco:riso soltanto fra hl Banco dii Sicilia e la Compagnia Generale Zolfi (<nella specie si trattava, infatti, di mutuo di scopo che non poteva essere concesso a soggetti estranei all'attivit� mineraria) abbia poi escluso il cairattere fideiuss0111io de1l'obb1igaz;ione in questione -pur riconoscendo che essa riaffqrzava i rappovti nascenti dai muttll� -sul irilievo che i coobhligati solidali erano esposti al pericolo di essere compulsati rper iJ pagamento dell'dntero debito senza 1a possibilit� di agire utilmente lin regresso contro gl..i altri coobbligati se si fossero resi insolventi. Tale criterio negativo -osserva fa ricorirente -contrasta con la diisciplina. della fideiussione, dato che il fideiussore � obbligato in solido e che il beneficio della preventiva escussione � soltanto eventuale e dipende da 1apposita conven2Jione . La ricorrente censura, inoltre, la sentenza impugnata per avere individuato la fonte dell'obbligazione assunta dai Combes-Testasecca con i tre contratti in una forma � anomala di espressione o di accollo �, sia sotto il profilo di una insufficiente ed erronea motivazione poc dl riferimento ad una � anomalia � in rapporto a fattispecie legali tipiche e per l'hnpossibiilit� di cons.ideraire come contemporaneamente ricorrenti fattispecie diverse, sia sotto �il profilo di un'erronea applicazione delle nOll'IIle che regolano i predetti istituti, oa:ratterizzati drula preesdstenza del debito a11'aoco1Jo, per modo che sarebbe errato il riscontro di dette forme 111egozi: aili, l� dove ['insorgenza dell'obbliga21ione � contestuale ovvero, a motivo della natura reale del connesso contratto d:i mutuo -determinante uno spostamento di effetto dell'insorgenza deH'obbligamone pmnoipaile aJ. momento dell'effettiva consegna del danaro -l'obbl[gazione sostituente vevrebbe a preesistere rispetto alJl'obbligazione sostituita. Lamenta, iinolt,re, ila l'icorrente che ila Corte d'appeLlo 1sarebbe inCOII'sa in un"ulteriore V'iolazione dell'art. 45 del 11".d. n. 3270 del 1923 per avere vitenuto che la mera constatamone di una posi2lione debitoria defila Combes -e non del.La diversa condi2lione di 1responsabilit� senza debito sarebbe stata sufficiente per ammettere la detraibii[it� del debito dal passivo ereditario, quand'anche �iJ rapporto fra la defunta ed :il Banco di Sicil:ia fosse stato qualdficato come obbLigazione accessoria di gairan21ia. Il ricorso � fondato e va accolto. 11 problema centrale della causa era quello di �indiV'iiduaire J'esatta natura dell'obbligazione che era stata assunta dalJla Combes interve 358 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nendo IIl.ei tre citati COIIJ.tratt� di mutuo, perch� ove detta obbil.ig~one fosse aippairsa lt'iconducibiJe ad un nego:ziio :i:l cui �scopo obiettivo corri �spondeva non ad una funzione sostitutiva dell'obbligazione primaria, ma oo una funzione tipica di garanzia, 'Si sarebbe dovruta escludere la detraibilit� del debito dall'asse ereditario, ai sensi dell'art. 45 della vecchia legge tributaria ,sUJl:le successioni (r,d. 30 dicembre 1923, IIJ.. 3270, ap~icab: hle al caso di specie perch� il :rarppovto 1tI1ibutario dn esame era sOlt'to prima dehl'emooa:ziione del d.P.R. n. 637 del 1972) iiJ. quale esige che iJ debito del de cuius per essere portato dn deduzione 1Sli.a certo e liquido. Poich� le dmposte di :successione colpiscono .l'arrdcchimento che si verifica in capo all'erede o al legatario per effetto della trasmissii.one mortis causa, ii debiti e glii 1altvi oneri che gravano �sul patrimonio trasmesso in tanto sono deduoibii.M dall'attivo in qruainto costituiscono una effettiva depauperazione dell'asse ereditario, laddove l'accennato carattere di �certezza�, nel senso richiesto dalla citata norma tributaria, e perci� di definitiviit� non � ravvisabile nell'esposizione debitorfa del fildeiussore, dato che questi pu� sperimentare, nei caSli. previsti daM'a:rt. 1953 cod. civ., l'azJione di J'ilievo prima del pagameJ;J.to e, ove astretto aJ.l'adempiimento, \!':azione di regresso con surrogazione di tutti ii diritti del creditore ovigrl;narrio nei confronti del debitore pnincipale (art. 1949, 1950, cod. civ.) sul quale viene a gravare, �1n definitiva, l'adempimento del fideiussore. Pertanto, ai11'1infuori del oaso .in cui l'insolvibilit� del debitore garantito e il.'impossibili.t� di esevcitare utilmente fil regresso :suss!�sita {e sia comprovata) al momento delil.'apertura delJ.a suocess<ione, l'accemnata posiliione creditoria del fideius�sore, simmetrica 1a quella debitoria, neutralfaza .:ruest'.ultima ai fini della determinazione delil.'asse ewdi:tario e della base 1mponibiil.e del tributo successorio (cfr. sent. n. 4867/80). L'accennata tlndagine rientrava nei compiti dei giudici dii melt'ito, ai quali � istituzionalmente demandato 1l'aocertamento della vol01I1t� nego.. dale dei contraenti, 1I1� vi � dubbio che l'espletamento di �1la1e compito costituiva un apprezzamento di �fotto insindaoabiJe in sede di legittimit� a condi:zJione, tuttavia, che finterpretazione fosse condotta con l'osserv. anza delle regole di ermeneutica dettate dalil.a Jegge e :fosse s0I1retta da una motivazione Jog1camente adeguata e giurtldicamente corcretta. A �Uale esigenza non assolve ila mothnazione de11a senten2la impugnata, la quale, mentre ha ritenuto condivisibile la1 tesi dehl'amminiistraz!�one finanmaria secondo oui d contratti di mutuo minerario agevolati e vincolati 1ai)ilo scopo della destinazione �all'attivit� estratth11a configurav:ano come debitrtlce principale Ja societ� C.G.Z., diretta destinataria del mutuo, non essendo concepibile la conoessione di siffotti prestiti agevolati a soggetti privati estranei all'attivit� di sfrnttamento della miniera, ha affermato PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA che tale configuriazione g�.uridica [!On valeva a degriadare a mera obbii� gazione fideiussoria l'obbligazione che, solidalmente e indivisibilmente, la Combes e i di lei figli avevano assunto, unitamente alla societ� C.G.Z., nei confronti del Banco di Sicilia, giacch� tale obbligazione poneva la de cuius sullo stesso piano di responsabilit� della societ� concessionaria ed esponeva ciascuno dei coobbligati solidali al �rischio di essere escussi per l'intero credito, senza la possibilit� di esercitare utilmente il regresso contro gli altri coobbligati eh~ si fossero resi insolventi. Siff'atta motivazione si appa!lesava manchevole e contraddittoria. Sussiste, mfattd, un evidente diifetto di coerenza logiioa .fira fa premessa che l'obbligazione dei Combes-Testasecca era solidale, indivisri!bifo e �dire!l:ta e la C01I1olusiione che detta obbligazione non fosse qualificabile come fideiussione, ove si ponga mente che l'obbligazione del fideiussore �, di norma, solidale ~art. 1944 e.e.), estesa ahla total!it� del debito principale (art. 1941 e.e.) e diretta, essendo solo eventuale Ja sus.sidiariet� ~egata ail C0t11cordato beneficio di escussione. Nessun argomento decisivo poteva trarsi, pertanto, per escludere <il carattere fideiussorio de1le obbligazioni tin ques.tione dagli indioatii elementi che non cont!raddicendo con Ja tipioa obbligazione fideiuss011ia, sono stati erroneamente richiamatd dahla Corte d'appello. La sentenza impugnata rivela, d'altronde, una ulteriore iJlogioit�, ben a 1.ragione denunciata dalla ricorirente, fa dove ha positivamente qualificato come � forma anoma~a di espromiss1one o di �accollo � i rapporiti lin questione. Codesta �ndifforemiiazione defila qualificazione, oltre a costiituire per se stessa indizio di concetti non chiari presuppostd dalla Corte di Catanfa, non pu� non .riilevarsi inappagante ed apodittica non avendo la Corte dli merito spiegato le .ragioni dehla 111itenuta vico:rrenza delle suddette forme negozii:ali e non avendo, iin particolare, considerato che �tanto l'espromissione, quanto l'accollo, sono caratterizzati dalla preesistenza del debito ahl'acoo1lo (v. �sent. 4109/74 e 2267/65), mentre nel caso in esame l'obbli� gazione de1la de cuius era stata assunta cont~stuaJmente a que1la dehla societ� mutuatariia. Ma Ja decisiione impugnata si appalesa erronea amebe per aver rite nuto che poich� 1l'obbligaziooe assunta d>al1a Combes non era il1�condu cibile ad una �situazione idi insussistenza del debito, visto che iiJ. Testaseoca a �seguito del JialHmento della societ� C.G.Z. si era conoretamente trovato espos.to verso il creditore Banco di Sicilia, non si sarebbe potuta esclu dere la deducibilit� del debito dall'attivo della successione, a norma del l'ant. 45 della :legge tributaria �sulle successioni, quand'anche fui irapporto fra i Combes-Testasecca ed il Banco di Sicilia fosse stato iI'icondotto ad un'obb1igazione accessoria di gariamiia. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Se deve amm~tterisi che a carico del fideiussore vi � un debito, oltire che una .responsabiHt�, come � confermato da un punto di vista -testuale dai frequenti richiami contenuti 1IJ.e11a .disciplina de1l'listituto ad una � obbligazione � del fideiussore (art. 1936, 1944, 1946, 1947, 1948, 1957, cod. civ.) e dalla circostanza che sono naturalmente solidali il dovere di presta:cione del debitore e que1lo del fideiussore (perch� fa solidariet� � un legame �f�ra pi� obhligaziioni >in senso tecnico), �la mera constatazione della sussistenza di una posizione debitoria (e non della diversa situazione di responsabilit� non corrispondente ad un debito) non poteva considerarsi sufficiente, aHa stregua idi quanto ~nnan2li rilevato, a far ritenere sussistenti ~e condliziorui di deducibilit� prescritte dahl'art. 45 de1i'abrogata legge �sull"inlposta di successione, essendo necessall'.1io a tail fine non solo che fil debito esista ma che detto deb:irto sia � certo � e liquido al momento de1l'aperturia deHa successione. La concorrenza del debito del gairante e del debito del garantito. e l'esercitahllit� del regresso Call'.1a1Jteri. zzain.o, invece, come non definitiva (e perci� come � nOlll certa�) l'esposizione debitoria del fideiussore. N� poteva assumere l"ilevanza il fatto che H debito nei confronti del Banco dli Siciilia fosse stato interamente pagato dal Testasecca (anche per la quota della Combes) e che J'erede del fideiussore non potesse utilmente esercitare :ir1 regres�so per il'mtervenuto fallimento della societ� C.G.Z., perch� tali eventi, intervenuti successivamente all'apertUJra della successione, non potevano essere assunti a dimostrazione de11a certezza (nel senso richiesto dal citato art. 45) a quel momento del debito defila de cuius. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 ottobre 1981, n. 5696 -Pres. SandulH, Est. Finocchiaro -P.M. Aintoci (conf.) -Napo1itano (avv. Buffoni) c. Ministero delle F1inanze (Avv. Stato Anrgelini Rota). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono -Rimborso di ritenute di acconto � Esclusione. (d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 3; t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 177). Il rimborso di ritenute di acconto eccedenti rispetto all'ammontare dell'imposta dovuta, a norma dell'art. 177 del t.u. delle imposte dirette, presuppone un rapporto diretto, verificabile soltanto attraverso un accertamento analitico, fra le somme eh.e .hanno concorso a formare il reddito e le ritenute operate s�Ue somme stesse; tale rimborso � quindi incom PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 361 patibile con un sistema sintetico di determinazione del reddito quale quello previsto dall'art. 3 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 (1). (omissis) Con iiil primo motivo si deduce falsa aippJ.ioazii.one di norme di di1riitto per avere la Commissione 'fiributar.ia Centrale negato all'ing. Napoliita! Ilo il diritto al rimborso del.le imposte pagate in eccedenza, irisrpetto ahl'�nponibile automaticamente accevtato, in �rirerimento ag.ld. artt. 128 e 177 it.u. n. 645 del 1958, sostenendosi che la ritenuta d'acconto non � una [mpos:ta ma 1soltanto un metodo �per riscuotere fin anticipo tlll1a ;parte del carico fiscaile, con 11a conseguenza che 1a oi!ricostalnza che il ~egislatore non si sia dato peso nello stabilire �che la stessa � ripairtibile, congua� gliabile e cumulabile, non esclude la possibilit� di ottenere il r�nborso ove ~a �somma corrisposita a titillo di 1ritenuta d'acconto 1sia maggiore di quella dovuta a titolo di imponibile determinato srulilia base defile norme del c.d. condono. La questione sottoposta per la pmma volta all'esame di questa Corte � queli1a relativa aHa ripetibi1it� o meno deHe 1ritenute alla fonte coocernenti il debito d'imposta per da ricchezza mobHe categoria C/1 e complementare risultante dall'iimponibHe definito in applicazii.one delle norme agevolative portate dal d.L 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con mod[f�cazioni, nella Jegge 19 dicembre 1973, n. 823, mentre non � controversa la conguagli.abilit� -nei limiti dell'imponibile accertato nei modi anzidetti -delle ritenUJte d'acconto corrisposte. Il problema si sostmzia, q'll!indi, nelfo stabHire se, nel silenzio del citato d,L n. 660 del 1973 e della successiva legge dii conversione -sia o meno applicabide agli �imponibili accertati. sulla base dell'anzidetta nOII'mativa, l'art. 177 d.P.R. 26 gennaio 1958, n. 645, il quale sancisce it1 rimborso deMe ritenute effettuate .in eccedenza .dispetto alil'imposta dovuita. Va, iinnanzitutto, disattesa l.'ecceZJione sollev1ata daH'Amministrazii.one contrortlcorrente la .quale ha invocato; peir sostenere l'irrirpetibiliit� delle r.itenute d'acconto cm.risposte in eccedenza 1I1ispetto aill'impOIIl!ibHe, la giUJI1isprudenza di questa Corte (Cass. 20 gennaio 1981, n. 470; Cass. 29 luglio 1980, n. 4873; Cass. 2 luglio 1980, n. 4188; Cass. 25 febbraio 1980, n. 1308 ed altre precedentii conformi), in quanto tale principio � enunciato in relazione alle �imposte indirette per le quali � espressamente stabilito (.1) Decisione esatta di rilevante interesse. LI princtp10 che il rimborso delle ritenute � consentito solo quando i redditi sui quaiki sono state :praticate siano analiiticamente dichiarati o accerU1-ti � oggi espresso in modo chiarissimo ne11'>1Tt. 39 del d.P .R. 29 settembre 1973, n. 602. Sembra inoltre che, anche per le imposte dirette, valga iJl principio che in aippliicazione del condono non possa mai forsi luogo a rimborso. 362 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che I�ll contribuente � ammesso a fruire della definizione agevolata � me� ddante tiJ. pagamento� di una aliquota di imposta (cfr. Cass. 16 ottobre 1976, n. 3515, in motivazione). In materfa di imposte diTette, iinvece, il problema 'sorge piroprlo per la manoanzia di una espressa disposizione atl. riguaroo per quanto COIIl� ceme le fo.ttispeoie previste ne1l'art. 3 del provvedimento agevolamivo e datl.la :natura deHe ritenute medesime le quali, concretandosi tin veri e propiri aoconti del futuro ed effettivo debito d'impos.ta, non sono !imposte e sono soggette a conguaglio. A questo �s�i �ggiunge -a sostegno delle 1nipetibilit� -che aitteso il carattere eocezionaJ.e delle disposi2'liO!lli contenute nel c.d. provvedii� mento di condono fiscale e consdderato che tali disposizioni modiificano irl sistema di accer.tamento delJ'imponibiJe, ma non anche Je altre dtispo� siziond contenute nel t.u. del 1958, n. 645, si deve �riitenere la pernistente applicabir1it� delil'art. 177 del predetto �t.ru. Ritdene questa Corte che l'inaipplicab11it� deH'arrt. 177 citato dirscende da una incompabilit� fm il si.sterna in cui � drnsemta ,tale norma e quello di accertamento dehl'imponibile compiuto ai sensi dell'a'l'."t. 3 dJ. n. 660 del 1973. L'art. 177 presuppone, per la sua operativit�, un rapporto diretto fra somme che hanno concorso a formaire l'rimponibile e �dtenUJte d'acconto operate sulle rsomme rstesse, tanto vero che dil secondo comma deHa citaita di~posizione espressamente stabilisce che �dall'ammontare delle imposte sui redditi di ricchezza mobile del:le -oategorie B e C/1 e complementare, riscrivibile a .ruolo... � dedotto un ammontare para alle ritenute d'acconto operate... sulle somme che hanno concorso a formaTe l'imponibile �. Poich� sulla base del D.L. n. 660 del 1973 il"imponibile viene dete'l"minato non gi� �sUilla base dehle somme effettivamente percette ma su urna percentuale di maggiora:zJione variiamente fissata �iin irelazione ad timponibili accertam o .dichiarati per un periodo di imposta precedente (art. 3 D.L. 5 novembre 1973 n. 660), il contribuente non pu� chiedere J.ra. restituzione di quanto assume rdti <avere pagato tirn pi�, con Je rI1itenute d'acconto, rispetto all'imponibile in siffatto modo stabilito in quanto difetta ogni rapporto fra Jmpontibile e ritenute d'acconto. In ailtre parole, ,J',art. 177 opera in un si!stema di accertamento ianalitiico dei iredditi che concor;rono a formare l'imponibi!le, ma non anche quando tale accertamento, per libera scelta del contdbuente, !D.Oill pu� operare. La circostanza, qutndi, che nel D.L. n. 660 del 1973 non sia contenuta espressa deroga ral disposto del citato art. 177 non esclude la rsua dnappliicabiMt� �es.sendo diversi i piresuppostii per l'raccertamento de1l'rimrponibile nelle due fattispeaie. i i I I II I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA N� appare 1nfine fondata l:a tesi per 1a quale, negandosi 1a r�1petibilit� delle l1�te.IJJute di acconto verisate tl>retesamente) �in eccedenza rispetto. aJ.lo imponibile accertato con il sistema automatico si verificherebbe un indebito versamento o comunque un aumento indebito di aliquota. Seppure n0fl1 rpu� esdudersi che :il contribuente possa ricevere concretamente un danno qualora -per una erironea valutazione della sua siitua2lione reddituale -domandi ~iirrevocabilmente: 8il1t. 10 DL n. 660 del 1973) l'accertamento delfimponiibile �sulla base delle disrpo$1�7l�oili� contenute nel citato provvedimento pur in presenza di un reddito effettivamente realizzato inferiiore a quello 1sul1a cui base sar� oalcolato J'iimponibHe e dI:t ordine al quale gli sono �state effettuate ritenute d'acconto superiori a quella che sar� l'�.mposta dovuta, questo non �, per�, sufficiente per ritenere che sussistano gli estremi �di un indebito oggettivo it'ipetibi[e, H quale si pu� realizzare soltanto nell'ipotesi in cui -fatta valere l'annullabilit� della propria dichiarazione con fa quale ha chiesto l'appJicazione delle disposizioni contenute nel predetto provvedimento legislativo (nei limiti in ooi tale �annuJlabilit� � ammessa: ofir. Cass. 18 [uglio 1979 n. 4267) il conwibuente, 'dimostri, sottoponendosi aill'accertamento anai1itico delJa composizione del proprio reddito imponibile, o che lo stesso � inferiore a queLlo che :risulta dalla appliicazione del c.d. condono fiscale o che fo somme cowisposte a ,tJitoJo di ritenute d'acconto superino quelle effettiv, amente dovute a titolo d'imposta. In .difetto di tale accertamento che presuppone la comparazione �.mpos �sibiile filnch� � valida la domanda del contribuente di accertamento delfimponibile suJla base del D.L. n. 660 del 1973 lira i risultati dei due sistemi di accertamento dell'imponibile {quello analitico di cui al T.U. del 1958 n. 645 e quello sintetico e automatico di cui 1al D.L. del 1973 n. 660), noo � concettualmente raVViisabile alcun indebito versamento. La facolt� idi scelta attribuita al contribuente fra ii due 1sistemi d� ac certamento dell'dmponibile e ila possibilit� allo stesso riconosoitllta di fao: ven1re meno -ncl concorso dehle cil'.1costanze previste dal codice oivti:le -Lia propria dichiairazione unilaterale negoziale con oci rtale scelta � stata effettuata, 1al fine di accertare un eventuale �indebito pagamento, con vincono altres� della infondateza della tesi per la quale fa negazione della ripetibilit� delle somme pretesamente trattenute in eccedenza, sulla base de1l'interpretazione ora acco1ta, comporterebbe rnla dncostituzionalit� del.fa nonna li.n riferimento all'art. 53 Cost. Nella �specie, H cicorirente non ha mai fatto valere .alcWta annulilabiliit� della rpropria dichiarazione ldmitandosi, isolo in primo grado, a ll:1ichiedere il calcolo dell'imponibile con <il metodo ordinario anzich� con quello del D.L. n. 660 del 1973 e, pertanto, pu� conclusivamente rMenersii che J'oot. 177 d.P.R. n. 645 del 1958, Il quale sancisce fil <lhiitto del contribuente al rimborso delle 1ritenute el�fettuate in eccedenza rispetto 1all'�imposta dovuta 364 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO non � applicabile qualora l'imponibile, aii fini. dell'iimposta dii irdcchezza mobhle e complementare, sia stato definito lin appHcamone delle norme agevolative di cui al D.L. n. 660 del 1973, convertito, con modificazioni, nella legge n. 823 del 1973. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 novembre 1981 n. 5913 -Pres. V!igortlta Est. Corda -P. M. Vailente (diff.). Ministero dehle Finanze (1avv. Stato Ange1ini-Rota) c. Fallimento Soc. Medioli (avv. Bairone). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Concordato con cessione di beni � Cessione di beni da parte di soggetti diversi dal debitore � Presuppone un accollo del debito tassabile come tale. (e.e., artt. 1273 e 1977; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, art. 28). Nel concordato con cessione dei beni, la cessione che sia stipulata da soggetti diversi dal debitore (nella specie soci di societ�) presuppone un accollo del debito, tassabile come tale con l'imposta proporzionale (1). (omissis) Col secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dello a:rit. 360 n. 3 cod. proc. civ., � violazrlone e fulsa appl�.cazione deJJ'art. 8, rp:riimo comma, del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3268 e dell'art. 28 della relativa tamiffa a:11. A in relazione agli articoli 1977 e seguenti e 1273 cod. civile�. Critica la sentenza impugnata nel punto in cui ha qualificato, puramente e semplif�icamente, come � cessione dci booi ai aredito:rii � hl negozio di cessione (dei propri beni) futta da un terzo non debitore. Sostiene che la cess1ione predetta, secondo lo 1schema legale -per ci� che rileva ai fini dell'imposta di registro -pu� essere fatta unicamente dal �debitore �; di modo che se � un terzo coluii che la attua, potir� par� iau~si cli � cessione � solo se, prima, hl terzo si Slia accollato i~ debito. Anche tale censura � fondata. La concreta rifovanza della ques1Jione solJevata � data dal fatto che, in base alla legge organiica di registro soptra citata, ~a cessione dei beni aii credito11i � soggetta a tassa fissa, mentrre l'acco1lo � soggetto aili'imposta propormonale. Ncl caso concreto, infatti, l'Ufficio dcl 'registro aveva riitenuto appli cabile quel1a doppia e diversa ~mposizione; ma Ja pretesa � stata rite nuta infondata dalla .sentenza impugnata, la quale ha �ritenuto insussiistente (1) Certamente esatta � la pronunzia che coglie J.a differenza tra la cessione dei berui eseguita dal debitore e quella eseguita dal terzo; forse � discutibiJJe se '1a cessione da pai:rte del terzo non sia tassabile piuttosto che come atto implicito di accolilo del debito (art. 28 tariffa), come convenzione accessoria di concordato (art. 32). PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA l'accollo del debito, suil presupposto che fa oessione dei beni ad oredJ..totl (come disciplinata dagli articoli 1977 e seguenti cod. civ1le e come richiamata daLla legge organica di iregis.tro del 1923) rpossa essere, tipicamente, attuata anche dal tJerzo. T1ale. -tesi, per�, urta chiaramente contro dl dii.sposto delil.'art. 1977 codice civiile, Jil quale definisce ila cessione dei beni ai oredi.tori come hl contratto col quale iil debitore incarica d. 1suoi oreditooi o alcuni di es1si di liquidare 1tutte o aloune sue attivit� e di ripartirne 1lI1a loro iiJ. rioavato in soddisfacimento dei loro crediti. E la dottrina, nell'interpretare l'espressione �debitore�, se ha da un 1ato 111itenuto che la cessione possa essere fatta non solo dail debitore (vero e proprio), ma 181D.che dia!!. condebitore, daihl'obbl:igato con altri, dal civilmente responsabile, dal fildeiussore e dall" avalilante, non � stata neppure sf�iovata dall'ddea che [a cessione predetta possa essere fatta anche da un terzo, avendo, anzi, precisato che la stessa pu� essere fatta da � un soggetto gravato da vincolo personale obbligatooio �. E', peraltro, vero che dn pratica ,anche rtlil1 terzo pu� attuare quella 1 cessione; ma � chiaro che questa ultima presuppone, in tal caso, l'accollo del debito, rnl qua.ile, ai fini del1'1imposta di regi1strn, assume parti.col.aire importanza -allorch� venga presentato alla registrazione (da scontarsi a itassa fissa) J'atto di cessione -.in quanto soggetto a una iimposta diiver� sa da quella prevista per l'atto di cessione predetto. Questa conclusione, peraltro, non resta esclusa dal rilievo mosso dia!lla sentenza 1impugnata, secondo oui non vi sarebbe stato accollo, perch� se la liquidazione dci beni fosse ,l'isuiltaita insufficiente a sodddsfiaire ii credi� tori, i debiti sarebbero rimasti parziailmente insoddisfatti. Lo aoco11o in questione, infatti, non doveva (per potersi pervenire alla conclusione predetta) essere necessariamente �liberatorio�: era, del resto, pensabile che le parti avessero voluto porre in essere un accollo semplicemente � cumulativo �, il quale, per�, era sempre tassabile con l'imposta proporzionale, ai sensi dell'art. 28 della tariffa allegato A, pi� sopra citato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 dicembre 1981, n. 6678 � Pres. Miele � Est. Cochetti -P. M. Ferraiolo (diff.). FogHa c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Ange1ini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado � Estensione -Questione sulla natura agricola o edificatoria dei suoli. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 26 e 40). La questione sulla natura agricola o edifioatoria di un terreno (al fine della valutazione c.d. automatica) � deducibile innanzi al giudice di terzo 366 llASSEGN:A DELL'AVVOCATURA DELLO STATO grado soltanto quando implica l'esame sull'esistenza o la validit� di vincoli giuridici all'edificabilit�, ma resta riservata alla competenza delle commissioni di primo e di secondo grado quando � fondata sulla rilevazione delle caratteristiche obiettive del bene (1). (omissis) Ai sensi ,dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972 la Commissfone Cenitmale ha competenza piena, in fatto e irn diritto, su ,tutte J:e ques'1J�OIIli ad eccezione di queHe di mero fatto relative aiHa vaJ.uta2lione esllimativa ed a).la misura della pena pecuniaria, s1icch� il mcorso alla predetta Commissione si confii'gura come mezzo di gmvame iillimitato della decisione di secondo grado, iproponib1le per violazione di Jegge ed errata <risoluzione di qruestiioni di f�atto, eccettuate le statuizioni attJinenitJi a valutazione estimativa, che possono essere impugnate soltanto per violazione di leggi processuaJii o sostanziali (v. sent. 5086/77; 4168 e 4154/78; 1636 e 1835/79, 137 e 1821/81). Questa Corte ha, d'aJ.tra parte, affermato con gi,oosprudenza costante, che l'indagine diretta a stabilire la natura ,agricola o edificatoria di un te11reno ai fini deE.a valutazione di esso con il ,sistema automatico :tabellare previisto dall'art. 1 della legge 20 ottobre 1956, n. 1044 e 3 della ilegge 27 maggio 1959, n. 355; o con il normale criterio di stllIJ:a, essendo fondat� $1Uilla 111Heva7Jione delle obiettive caratteristiche del bene da valutare, si dsOilve, salvo che la ind1v1duazione della predetta :natura non presupponga o non implichi la riisoluzione di questiioni attinenti aLl':in>tJerpretazione di norme Jegislatiive, rego1amentru:� o negoziali che possono !incidere, con l'imposizione di vincoli,~JiimitaziOD!� o servit�� sulla concreta utl�lliZzazione del bene (v. sent. n. 137/81; n. 3070/75; n. 572/75; n. 4345/74; n. 2971/74). Nel caso mesame l'accertamento dell'Ufficio era stato contesitato dai contrnbuenni per l'esistenza di vincoli giu11idici che v,ietavano o limitavano l'edificabilit� dell'area compravenduta, per cui il compito del giudice tributario non era soltanto quello di stabilire l'appartenenza del fondo ad una zona la cci destinaziione agricola fosse o non fosse prescritta dal piano regolatore comunale, ma I�!Ilvece, di interipretare lii piano stesso e dedurne d'entit� dei vincoli ,in relazione alla 1superfiioie compravenduta, essendo ques.ta assoggettata -come avevano accertato le Commissioni di merito -dn parte a verde pubb1ico; espressione, questa, ~a cci esatta poritata doveva p:reviwnente essere definita per poter procedere aHa determinazione del vaJore del fondo. (1) La sentenza, a conferma dell'ailitra 8 gennaio 1981, n. 137 (in questa Rassegna, 1982, I, 121), si discosta da quella 25 febbraio 1980, n. 1307, ivi, ,1981, I, :109, che aveva inaspettatamente concepito in .limiti assai estesi !il giudizio di terzo grado. I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 La questione non em, pertanto, di es1Jima1lione semplice, ma compilessa, e :la sentenza impugnata che ha erroneamente ritenuto tra1Jta[1si di questione di mero .fatto re1ativa alfa materna imponibile sottratta aJ:l:a competenza della Commissione Centrale deve essere, perci�, cassata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 993 -Pres. Miele Est. Battimelli -P. M. Gazzarra (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. IACP Ravenna (avv. Nunziante). Tributi locali -ILOR -Tassazione del reddito dei fabbricati destinati alla loca:done degli Istituti Autonomi delle case popolari -Natura di reddito fondiario -Tassazione ILOR separata con H sistema dell'iscrizione catastale. (art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; artt. 2 e 5 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; artt. 4 e 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599). Il reddito dei fabbricati � quello derivante dalla disponibilit� di costruzioni suscettibili di reddito autonomo, ossia tali da produrre di per s� un reddito per effetto della concessione a terzi del loro utilizzo. Il fabbricato strumentale, il cui reddito compone quello di impresa sia ai fini dell'IRPF e dell'IRPG, sia ai fini dell'ILOR � quello che l'imprenditore utilizzi di fatto e in concreto per l'esercizio dell'attivit� s� da costituire strumento per l'attivit� e non per il procacciamento dei mezzi finanziari che detta attivit� rendono possibile. Immobile societario e fabbricato strumentale ai fini della tassazione in ILOR 1. -La decisione in argomento sottopone ad approfondito riesame la preoedente giurisprudenza della Corte che con le sentenze del 2 iluglio 1981, nn. 4288 e 4289 e 15 dkembre 1981, n. 6613, aveva definito strumentali gli immobiLi degli Istituti Autonomi deHe case p()'polari concessi in locazione, suliLa scorta di una nozione di strumentalit� approssimativa ed emipirica: aveva osservato la Corte, con le sentenze del 2 luglio 198:1, che 11.'immobile locato a terzi costituisce strumento delil'attivdt� quando J'Ente abbia per statuto il compito di locare immobili: infatti in tail caso l'Ente in tanto pu� reaiLizzare i suoi scopi in quanto possegga immobhld e li conceda, appunto, in locazione; d'a}tra parte, aggiungevano quelle sentenze, iii reddito cos� 11ica� vato va a formare .J:e entrate delfimrpresa e, quindi, a comporne i mezzi finanzia: rii. dehl'attrl.vit�. �Riproposto iii problema, si � ottenuta la re melius perpensa �di cui alla dedsione in esame, (coeva ad alrtre delilo stesso contenuto) che non pu� non meritare piena adesione. (1) (1) Giova ricordare che il problema della tassazione in ILOR dei redditi ritratti da immobili dati in locazione da enti diversi dalle societ� commerciali si pone solo con la entrata in vigore del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, il cui art. 2 estese agli �enti pubblici o privati aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attivit� commerciali � la normativa di cui all'art. 40 d.P.R. n. 597/1973, sia ai fini dell'IRPG che dell'ILOR: sul punto, Cass. 10 febbraio 1982, n. 882, e 17 febbraio 1982, n. 992. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 368 L'immobile dato in locazione a terzi non � mai strumentale all'esercizio dell'impresa sia perch� esso � suscettibile di produrre (e di fatto produce) un reddito autonomo, sia perch� la locazione non � un servizio ma un contratto; pertanto gli immobili dati in locazione dagli Istituti Autonomi delle Case Popolari producono un reddito di natura fondiaria che, come tale, � soggetto all'imposta locale secondo il sistema proprio dei redditi fondiari. Iscritti a ruolo ai fini dell'rnmposizione per I.L.O.R. til reddito :ricavato da�J.'IsHtuto Autonomo delle Case Popolari deHa Provincia di Ravenna dalle loca2lioni dii immobili siti in vwi comuni, :relativamente ailil'eseroi2lio 1975, l'fatituto ricorse a1la Commissione Tributaria di I grado, negando la Jegittimit� de11a separata tassazione di tale reddito, 1che invece avrebbe dovuto essere tassato , quaile reddito complessivo di impresia, a sensi dell'art. 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. Id giudi2lio innanzi alle Commissioni fu definiito con la decisione della Commissione Tl'ibutaria CentiiaJe n. 3338/79 del 29 maggio 1979, con J:a quale, riuniti i vari ricovsi, fu ddchiarata fondata la itesi del contriibuente. A tale conclusione la Commi1sslione giunse affermando che ~'art. 40 del d.P.R. n. 697 del 1973, applicabhle alla fattispecie, e secondo il quale non sono considerati 1redditi fondia11i i redditi degli immobili che costituiscono beni strpmentali per l'esercizio di imprese commerciali da parte del loro possessore, compvendeva, nella sua 1vego1amentazione, anche l'1ipotesi della 2. -n complesso quadro normativo � il seguente: L'art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, istitutivo deLl'imposta sul reddito del~e persone fisiche, dispone che � i redditi degili immobi:li che costituiscono beni strumentali per ~�esercizio di imprese commero1aH da parte del foro possessore ..... e queLld deg;lii immobi:li posseduti da societ� in nome collettivo e in accomandita semplice, non sono considerati redditi fondiari e concorrono a formare il redddto complessivo come componenti del reddito di impresa �. L'art. 5 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, istitutdvo delfimposta sul reddito deUe persone giuridiche, come modificato dahl'art. 2 d.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, dispone che la aitata norma dehl'art. 40 re~ati-va � ahle societ� in nome coHettivo e in accomandita sempldce � vale � anche per le societ� di altro tipo soggette aH'imposta sw reddito de11e �persone giuridiche e per glii enti .pubblici o privati aventi per og;getto esclus�ivo o principaile l'esercizio di attivit� commerciald �. L'art. 4, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, istitutivo deH'imposta locale sui redditi, dispone che nei confronti delle societ� e degli enti equiparati !'�imposta locale � si applica sulil'ammontare del reddito complessivo determinato ai fini dehl'imposta sul reddito delle persone giuddiche �; aggiunge 11 sesto comma che �per i redditi fondiari l'imposta � applicata separatamente anche nei confronti dei soggetti indicati ..... nel terzo comma �. Dispone infine l'art. 6, quinto comma, d.P,R. n. 599 che � ne1 caso in cui ricorrano le condizioni :previste dagli artt. 39 e 40 del decreto indicato nel I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 locazione, da parte degH Istituti autonomi case popolari, de1le abdtazioni di doro propriiet�. Non ,poteva dubitarsi, [nfatti, della !Ilatura commeroiaile dcll'I.A.iC.P. della Provincia di Ravenna, che, per statuto, aveva lo scopo di provvedere alle classi meno abbienti; si trattava, pertanto, di un ente pubb1ico, per il fine di pubblica utrlJ.irt� ad uso assegnato, che gestiva un'impresa com merioiale, mediante l'acqu:isto di terreni e la vendita degli stessi, se superf�lui per i suoi bisogni, mediante fa costru2Jione ,di case di abitazdone con i relativi iaccessovi, ed 1infine mediante l'amministrazione d~ immobili: aHiwt� che, svolte abitualmente e professionalmente, caratterizzavano l'eseroi2Jio di runa imp,resa commerciale. Ne conseguiva che al ireddito degli immob:il1i dati in foca2Jione, destinato per .statuto ,aJ1'aoquisto e 1aHa costru2Jione di nuove case e costiitueinte i1l rprevalente vicavo de1l'atniviiit� dell'ente, non costituiva UJil 1reddli.to autonomo, tassabile come reddito fondiario, bens� .fil vero e propvio reddito cli impresa, il prodotto finale di beni aventi una natura strumentale nell'ambito dell'<attivit� svolta dall'ente. Contro questa deciSli.one ricorre per cassa2Jione il'Ammiimstrazione deHe Finanze de1lo Stato, �con l'.'ioorso sostenuto da un Ulllico motivo, nel qua1e si denuncia violazione e fiaJ:sia applicazione de!?Jlii 1artt. 4 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 degli aritt. 2 e 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.. 598, e degli artt. 21, 40 e 52 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. precedente comma (decreto IRPF) non si procede ahla iscrizione a ruolo dei reddid catastali delllie unit� immobHiari ivi indicate�. 3. -In s11ntesi: ,gli immobili delle societ� e degli enti equiparati producono un reddito di impresa ai fini deH'IRPF e deWIRPG; la base :i:mq:>0nibile ai fini del�'ILOR � la stessa dehle altre due imposte, ma, per d redditi fondiari, l'ILOR si applica separatamente con <Dl sistema de!Je iscrizioni catastald, a meno che non ricorrano le condizioni di -cui al!l'art. 40 d.P.R. n. 597. Poich� l'art. 40 cit. prevede due fattispecie (quella del�'immobi~e strumentale a�l'eserci2lio del�'mpresa, e quehla .deH'immob11e societario) i1l problema de11a tassazione in ILOR del reddito deM'�nmobhle societario si artkQla nei seguenti quesiti: a) se l'immobille societario produca, per ci� solo, un reddito di impresa, come taJJe considerato, i:n ILOR, componente delil'unioo reddito di imp.resa determinato ai fini de11'1RPG; o�ppure b) se l'immobile societario, alla pard dd quello posseduto dall'imprenditore 1ndividua1e, sia considerato produttivo di un reddito di impresa scio quando sia strumentale, dovendosi, in caso contrario, considemre fondiario e perci� sottoposto ail;la tassazione in ILOR separata, propria dei redditi fondiari: in tal caso, e) quale s1a, ai fini che interessano, la nozione di imrnob1le strumentale aH'esercizio dell'impresa commerciale. li RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 370 La.11ico:rirente 'sostiene che, 1n forza dell'art. 4, terzo comma, del d.P.R. n. 599/1973, la base 1irnpcmihHe � costitUJita, nei confronti dei soggetti indicati nelle lettere a), b) e e) dell'art. 2 del d.P.R. 111. 598/1973, daill'ammontare del 1reddito complessivo determinato ad fini dell'IRPEG; che, in forza del quinto comma del med~simo art. 4, per i redditi fondiari l',imposta � applicata sepaiiatamente anche nei confrontii. degli entJi suddetti, per anno solare; che, per l'art. 6 del medesimo d.P.R. n. 599, non si prooede ad iscdzione a ruolo delle ['endite fondiarie, 1I1ei oasri. dn cui rkormno le condiziioni dell'art. 40 del d.P.R. n. 597/1973; che, nel oaso di speoie, quest'ul1Jima ddsposri.ziione non trova applicaziri.one perch� fa normatiiva dell'art. 40 � applicabile solo nel caso che gH immobiii cosHtuiscano beni destdna1Ji iailil'esercizio dell':attdvit� commwoiale, non anche quando essii producono un reddito che conco:rire a formare ,fil redddto di imp:riesa globale; che di conseguenza � 1irrileva:nte !iil fatto che gran parte dei redditi derivanti dalle locazioni sia utilizzato per l'acquisto o la costruzione di nuove case. V:a infine tenuto pir�esente che l'art. 40 contempla espressamente giri immobili � adib1ti � ad attivit� commerciali e che l'art. 52 dello stesso decreto n. 597 esclude da1la determinazione del rnddito 111etto di dmprosa gli immobiH che non cos1'ituiscono beni strumentali per l'eseroi:zJio dell'impresa, e che dettii redditi concorrono a form,aire il reddito di !impresa secondo quanto previsto per la tassazione dei redditi fondiari. La diversa interpa.ieta:zJione de1le �norme in esame, come effettuata nelila decisione impugnata, porta alla conclusione che non sairebbe mai 4. -Cos� impostato, il problema non solo appare di stretto diritto tributa: rfo (2), ma trova wa via de1la soluzione proprio nella lettera delJa Legge. Da un Iato, infatti, .non pu� ignorarsi che Ia nozione cli �reddito di fabbricati� � data dalla norma tl'ibutal'ia, dall'altro non pu� trascurarsi che la negativa statuizione de11'art. 40 d.P.R. 597 � gi� un modo di definizione de1 bene strumentale (3). 5. -La nozione dii �reddito dei fabbricati� � fornita dall'art. 32 D.P.R. n. 597 che, secondo una tradizione �legislativa remota e costaJ!lte, definisce tale reddito come qufillo � derivante dal posses,so ... di costruzioni ... di qua1siasi s'pecie e. destinazione ... suscettibHi di reddito autonoqio �. Coerentemente �non costituiscono redditi di fabbricati i redditi attribuibi1i alle costruzioni ... rurali ... � nei casi previsti dailil!'art. 39 D.P.iR. n. 597 perch� tai'ii costruzioni non sono suscettibi1i di reddito autonomo; n� si considerano fondiari i redditi deg1i immobili strumental!i per l'esercizio di imprese commerciaH (art. 40 d.P,R. n. 597) perch� anche detti immobili non sono (2) Non sempre la dottrina ha avvertito la necessit� del riferimento alla norma tributaria, quanto meno in via principale, per la soluzione del problema della natura dei redditi in discorso e per quello parallelo della definizione dell'immobile strumentale: si veda ad esempio MrsCALI, brevi considerazioni intorno alla strumentalit� di beni immobili possedutida societ� immobiliari, in Dir. Prat. Trib. 1981, I, pag. 873 segg. che adopera ampiamente la c.d. accezione civilistica del bene strumentale (che coincide con quella del bene inconsumabile). (3) Sul punto, MOSCHETTI, La tassazione degli immobili strumentali per l'esercizio di imprese commerciali ai fini delle imposte sui redditi, in Rass. Trib., I, pag. 49. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA T&IBUTARIA applicabile, nei confronti dei soggetti di oui alle lettere a), b) e e) dell'art. 2 del d.P.R. n. 599/73, la disposizione dell'art. 4 dello stesso decreto, che prevede la tassazione dei redditi fondiari, perch�, in base a detta interpretazione, tutti i redditi, in quanto concorrenti a formare il reddito di impresa, sarebbero esclusi da tassazione in base aWart. 40; l'esenzione della tassazione separata, invece sussiste solo per i beni strumentali ed adibiti direttamente all'esercizio dell'attivit� commerciale, il che � da escludersi nel caso di specie, tenuto altres� conto che l'attivit� commerciale degli I.A.C.P. si esaurisce nella provvista di case, mentre non pu� considerarsi commerciale la successiva attivit� di gestione del patrimonio mediante contratti di locazione. I'Istlituto Autonomo Case �Popolari di Rtavenna ;resiiste con oontrorkorso. Motivi della decisione Le questioni soLleviate col mi.corso V'anno a:iisolte anzitutto precisando i limiti del vichiamo dell'art. 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, effettuato dalila normativa dell'ILOR, e poi passando all'iinterpretazione della norma in questione. Sul pI1imo punto, va chifil'1to che l'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 588, Jstitutivo de11'impos1ta J.ocale sui redditi, 1stabifilsce, al �terr-zo comma, che nei confironti dei soggettd indicatd alle !lettere a), b) e e) deH'art. 2 del d.P.R. n. 598 del 1973, istitutivo dell'dmposta sui redditi. dclii.e persone giuridiche, l'ILOR si applica sull'ammontare complessivo dei suscettibili di reddito autonomo, essendo completamente coinvolti ed assor biti nel ciclo produttivo deHa impresa. Mentre l'esclusione deg1i <limmobL!i strumentailii e dehle costruzioni rurali dail novero dei cespiti idonei a produrre reddito fondiario non � nuova nel sistema -legislativo (in partico1are, per i beni strumentali, cfr. R.D. 30 novem bre 1923, n. 3069; �rt. 28 de1~a legge 8 giugno 1936, n. 11231; art. 72 dei! T.U. 29 g;ennafo 1958, n. 645), costituisce novit� la considerazione dei! reddito pro dotto dagli immobi1i societari quali ,componenti del reddito di impresa. Poich� Fart. 40 d.P.R. n. 597 � richiamaito daWart. 5 d.P.R. n. 598, e poich� � pacifico che gli Istituti Autonomi per le Case Popolari sono enti che eserci tano attivit� commerdaile e quindi �rientrano tra d soggetti IRPG di cui alfa lett. b dell'art. 2 d.P.R. n. 598, appare certo che ai fini IRPG gli immobili di detti Istituti producano sempre un redddto considerato di impresa. 6. -11 problema che ila Corte �di cassal!lione ha risolto con La sentenza in esame � quelilo �di stabHire se ai fini del diverso tributo ILOR il redddto prodotto dai l'ipetuti immobiJ1i continui ad essere con~derato di ~mpresa, oppure torni ad essere fonddario, come tale colpito separatamente, a norma del quinto comma dieH'art. 4 d.P.R. n. 599, che testualmente si appl!ica anche nei confronti delle societ� e de@lii enti equiparati. Come accennato, la questione si risolve in quest'ailtra: quale sia i1a natura dei redditi degli immobili posseduti dalwe societ� e dagili enti equiparati, cio� RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 372 r,edditi determinato ai finii dell'IRPEG, con ci� operando, quanto aHa individua: llione deilila base imponibile, un :rinvi� :alfa norimativa �sUJll'IRPEG; a sua volta, l'1art. 5, secondo comma, del d,P.R. n. 598, contiene un rinvio alla norma1liva sulqRPEF, stabilendo che le dispos!i.zioni contenute in vari arf!ico1i del d.P.R. n. 597/1973, lira curi, per quanto qui !interessa, llart. 40, relative alle 'societ� ,in nome co11ettivo e in 1accomand!i.ta semp1ice, valgono anche per le societ� di a.Jtro tipo soggette all'imposta sul reddito delle persone giulI'idiche, e per gli enti pubb1ici e priivati aventi per oggetto esclusivo o prinoipaile l'eserci:llio di attivit� commerciali. Quest'uitimo mciso � stato aggiunto 1aJI testo oriiginwio dcl. deoreto in forza delllart. 2 del d.P.R. n. 60 del 28 marzo 1975, e ci� rende appilicab!i.Je al ,caso di specie sla normativa dell'art. 40 deH'IRPEF, in quanto '.La controversia riguarida IJ'edditi prodot1li nell'anno 1975 da un ente, quale fis1lituto Autonomo Oase Popolari, che entrambe le parti 1Pkonoscono pacificamente come esercente un'iattiVlit� prevaJentemente commeroiale e quindi classificabile fra quelli contemplati nella lettera b) delil'art. 2 del d.PiR. Il. 598. Ci� non sigmfioa, peraltro, che tiJ. 1Pichiamo cos� mediamente operato all'art. 40 del d.P.R. n. 597 comporti l'integrale applicazione, ai fini dell'imposizione ILOR, di tutta ila normativa del suddetto :art!i.colo. Quest'ultimo, invero, dispone che i redditi degli immobili costituenti beni strumentali per J'esercizio di dmprese commePCia1i da parte del foro possessore, o da parte del soggetto cui sono imputabili ,i redditi del possessore o da parte di ,soggetti ,i cui redditi sono !imputabili ,al possessore a norma dell'ar,t. 4, se quei redditi siano fondiari (soltanto �considerati� di impresa ai finii IRPF e IRPG) oppure se siano, secondo la definizione� legislativa, redditii per foro natura di rmpresa (4). 7. -La differenza tra i beni strumentali per l'esercizio deLLa impresa e beni societari esiste ed � evidente: i primi rappresentando lo strumento per L'esercizio de11'attivit� non sono idonei a produrre reddito autonomo, giusta la definizione fornita da:!Jl'art. 32 d.P.R. n. 597; J secondi sono immobili indi' viduati soltanto in base al dato fenomenico e accidentale deH'appartenenza a:!Jla societ�; i beni strumenta1i sono caratterizzati dal tratto obiettivo de1fa destinazione aill'esercizio d!eWimpresa, a prescindere da1ila qualit� del loro titolare, i beni societari sono oaratterizzati dar trntto soggettivo delil'appartenenza all'ente, sioch�, mentre i primi restano strumentali a prescindere dal titot!Jare deH'atHv,1t� o dehla azienda, i secondi si trovano coinvOl!ti 1n un ciclo produttivo so1o acddentalmente ,e cio� solo in quanto l'ente che li possiede sia una societ� o soggetto equi'parato. Mutando 1ia titolarit� soggettiva del (4) La questione si pone particolarmente per le c.d. societ� immobiliari, pi� o meno � di comodo �: � diffuso il fenomeno della societ� di capitali che abbia quale unica attivit� quella di gestire immobili attraverso contratti di locazione, n� � inconsueto il caso della societ� che abbia un solo immobiltJ locato a terzi o ad uno dei suoi soci. :!!. inutile ignorare che quelle societ� servono a � mascherare le comunioni, precisamente come accade con gliAnstalten a proposito delle partecipazioni a societ� commerciali � (COTTINO, Diritto commer� ciale, I, Padova 1976, pag. 331), con chiara � degenerazione dell'istituto � societario (FERRARA, Gli imprenditori e le societ�, Milano 1971, pag. 203). Sul tema si vedano gli ampi riferimenti in Miscali, cit. pag. 876 segg. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 373 nonch� i redditi degli immobili posseduti da societ� tin nome co1letttivo e in acoomandita semplice, non sono considerati �redditti fondtiam e concor rono a formare iil reddito complessivo come componenti del reddito di impresa. La norma, pertanto, pone una duplice specie di esenzione di determtinati beni dalla tassa~ione come �produttivi dri reddtito fondiairio, una di natura oggettiva (in virt� dell'uso e della destinazione dei beni), l'altra d!i [})atura soggettiva, in funzione del particolare �tipo di soggetto cui appartengono, ossia societ� in nome collettivo e in accomandita semplice; tmlasdando per til momento la prima �di dette previsioni, e passando ad esaminare tla seconda, potrebbe �riitenersJ. -posto che il'1airt. 5, �secondo comma, decreto istitutivo dell'IRPEG estende alle societ� di capitaile e agli enti esplicanti un'attivit� commerciale la normativa dell'art. 40 riguairdante le soo1et� di persone -�che rainche ai fini del.l'ILOR, per il riichiamo contenuto nell'art. 4 del d.P.R. n. 599 alla normativa suill'IRPEG, il -reddito prodotto da benti �immobiJi appartenenti ai det.H �soggettil non siano iin ognti caso �tassabhli come redditi fondi.avi. �autonomi, con iol che Jia questione dibattuta i�I'a ile parti sarebbe risolta in mdice. Peraltro, un .richiamo cos� onnicomprens1ivo non .sussiste, in quanto lo stesso art. 4 del d.P,R. :n. 599, che :riim.via 1ahla norma1Jiva suhl'IRPEG e mediamente quindi anche a quetl.1a sull'IRPEF, contiene al qutinto comma una disposizione che lindica chiaramente, .collegata con �alrtJra COl!ltenuta nel quinto comma dell'1art. 6 dcllo stesso decreto, come solo �~l p!I'imo inciso, e non anche tutto il testo, dell'art. 40 del d.P.R. n. 597 sia applioabile ai fini de1fimposizione ILOR. bene, quehlo strumentai1e (sinch� non esce daJ dolo produttivo) rimane taile; quello societario, ewdentemente, pu� non essere pii� tale. Dunque, ove si consideri ila definizione legislativa del reddito del fabbricato, appare evidente che -~l bene strumentaile non � idoneo a produrre reddito di tale natura; esso dunque �produce reddito sempre e solo di impresa; vkieversa fil reddito del fabbdcato societario, almeno ove esso non sia strumentale, � di per s� fondiario, �solo che viene �considerato � di impresa nei rigorosi e inestensibili :Limiti della previsione legislativa (cio� solo ai fini IRPF e IRPG). 8. -Questa premessa spiega le due norme del d.PiR. n. 599 contenute rispettivamente nel quinto comma dell'art. 4 e nel quinto comma dclllart. 6: aimbedue ile norme contengono fa espressa traduzione degli effetti ILOR deri� vanti dalla natura del reddito di cui si parila: il reddito fondiario, e cio� quello pI'odotto da un fabbricato idoneo a produrre reddito autonomo, � co]Jpito in ILOR nei confronti di qualunque :possessore, anche se questi sia una societ� o un ente equiparato; 1a natura di quel reddito � infatti fondiaria e quindi non v'� ragione di escluderlo dail!la tassazione ILOR propda dei redditi fondiari, anche se ad diversi fini IRPF e JiRPG esso � � considerato� componente del reddito di impresa; invece il reddito prodotto dal fabbricato strumentale, non avendo natura di reddito fondiario perch� inautonomo, non pu� essere assoggettato all'ILOR separata, appunto perch� quel reddito non esiste 374 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Dispone infatti iJ. quinto comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 599 che per i :riedditi:i fondia:rii rnmposta � applicata �separatamente per ainno solare �anche nei confronti dei soggetti melicati nel secondo e nel terzo comma�, e cio� anche nei confironti delle societ� di capitale e degli enti espiLicanti attiviit� �commerciale, che sono appunto contemplati nel terzo comma delJ.o stesso �articolo, a �sua volta iii quinto �Comma de11'a:rit. 6 dispone che sono nel caso in cui J'.'icorrano �le �conddzi011J� �indicate nelil'ar't. 40 del decreto sull'IRPEF non si procede ad <i.sori:zJione a ruolo dei reddit<i catastald deg1i JmmobiH contemplati I�iD. detto articolo. Pertanto, se il rJchiamo alil'ar.t. 40 del decreto sufil.'IRPEF fosse stato completo, e avesse di conseguenza compreso tutta la normativa ivi contenuta, e in particolare quella stabilente una esenzione soggettiva dai redditi fondriari per gli immobild appartenenti �a determina1Ji. soggetti, posto che, come dimostrato innanzi, detta normativa si estende, ai fini dell'IRPEG, anche alla societ� �dri oapitale e agli enti con attivit� commerciale, g1i immobiiH loro appartenenti sa['ebbero stati iin ogni caso esenti, ai finii deM'ILOR, dalrnmposizione come produttivi dri reddriti fondiari, e quindi le due disposizioni contenute nel quinto 1comma dell'art. 4 e nel quinto comma dell'iart. 6 del decreto suJJJ.'ILOR reste:riebbero iinspiegabi1i e senza possibilit� di app1ioaZJione, poich� mai potrebbe i:ipotizzarsi per esse un ambito di �applicazione nei confronti dei contrabuenti di cui �ailla Jettera a) e b) dell'art. 2 del d.P.R. 598, ai quali, invece, il quinto comma dell'art. 4 del decreto 599 fo espresso 11ife:riimento, e, conseguentemente, non sa.riebbe mai ipotiizzabhle un'eccezione, stabilita �ad hoc� dal quinto come fondiario; ed allora, quantunque l'immobile sia iscritto dn catasto ed abbia una teorica rendita catastale, esso non viene tassato con il sistema dell'iscrizione a ruolo del reddito catastale, appunto pe:rich� quel reddito fondiario in realt� non esiste. 9. -Posto dunque che iii. mero dato del possesso deM'immobile in capo ad una societ� non � idoneo a trasformare la natura del reddito prodotto da fondiario a reddito di impresa, e conseguentemente ritenuto che '1'equipaPazione del reddito fondiario :prodo~to al reddito di imipresa non vale oltre i casi espressamente prev�isti, occorre chiedersi quando iii. bene societario sia strumentale: � �infatti evidente che in tal caso quel bene non produce reddito fondiario, non in quanto � societario �, ma [n quanto � strumentale �. 10. -� ovvio che non ogni bene societario � per ci� solo strumentale: il principio � chiaramente enunciato nell'art. 52 d.P.R.. n. 597, .pichiamato daJ.. l'art. 5 d.P.R. n. 598 e confermato drula successiva legisLazione (cfr. a:d es. art. 4 Iegge 24 apriJe 1980, n. �146 che pure per tl!e societ� distingue tra immobi1i strumentailii e .immobili semplicemente posseduti); � altres� ovvio che i�l J.'1ichiamo aJ11'art. 40 d.P.R. n. 597 operato dal quiinto comma dell'art. 6 d.P.R. n. 599 non pu� estendersi ai beni di qualunque tipo (strumentali e non) posseduti daill1e societ�, sia pePch� in tal caso .11"' norma avrebbe una portata uguale e contraria a que1'la di cui al quinto comma deli1'art. 4 d.P.tR. n. 599 (dove si dice che anche le l>ociet� scontano l'ILOR separata sui reddito dei PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 comma del:l'iart. 6, alla regola fondamentale del:la tasisamone come reddito fondiario, posto che I�l3Jle 1tassaiJione non sarebbe comunque maii effettuabile. Si deve concludere, pertanto, che il rinvio 1aila normativa IRPEG, ad f�nri del:la tassazione per ILOR, non � completo, e che iJ 11.egislatore ha inteso limitarlo, per quanto attiene alla tassazione delle rendite fondiarie, ai �Soli casi di esenmone oggettiva da detta autonoma <tassazione previsti nell'art. 40 del decreto su1l'IRPEF, non anche a quelli di esenzione soggettiva per l'appartenenza a determinati soggetti essendo ci� tassativamente da escludersi in forza del disposto del quinto comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 599. Ci� chiarito, resta da risolvere il problema relativo all'interpretazione da darsi all'art. 40 del decreto n. 597, interpretaZJione che, m relazione al oaso di specie, s�econdo Jia decisiione impugnata, e secondo anche U!lla recente pronunzia dli questa �stessa Corte, dovrebbe effettuarsi nel senso che per benri �strumentali� per l'esericfaio dell'impresa debbano inten dersi -dato per pacifico che gli I.A.C.P. esercitano un'attivit� prevalentemente commerciale, e quindi un'impresa -tutti ~ beni attreverso i quaili si raggiunga ,iJ. fine proprio del soggetto imprenditore e si eserciti l'attivit� istituzionale, costituendo essi il mezzo diretto per l'esercizio dell'attivit� imprenditoriale; in particolare, posto che il fine degli Istituti in questione � quello �di fomire oase �per i meno abbienti, le case suddette, date in locaz;ione, costituiiirebbero direttamente iJ. mezzo per l'esercizio deJ.�'iimpresa, consistente, questa, f�ra 1l'ailtro proprio nel porire a dispo fabb11icatd) sia perch� detta interpretazione fornirebbe una lettura delJle norme incostituzionale '.per eccesso di delega (dr. art. 4 n. 2, art. 3 n. 8, art. 2 n. 15 delila 1e!?Jge 9 ottobre 1971, n. 825: l'ILOR si appH�a anche nei confronti deUe societ� su� reddito determinato ai fini del!l'IRPG, ma per i redditi fondiari l'imp�.sta si a<pp1ica separatamente). il. -S1 tratta dunque di stabilire quando ~l bene societario sfa strumentale a1l'esel1Cizio dell'impresa commercia�e. �. evidente, per quanto finora osservato, che il nesso di strumentaJit� non pu� essere costruito con riguardo al reddito prodotto, considerato di impresa ai fini dehl'IRPG e dell'IRPF perch� in tail modo si tornerebbe ad affermare la impossibile tesi derl.Wa strumentaillit� di qualsiasi immobile posseduto daHe societ� e dagli enti equiparati. I beni in tanto possono �essere strumentali all'esercizio di imprese commerciali in quanto vi sia l'impresa commerciale che fart. 5,1 dJ>.R. n. 597 qualifioa come � esercizio per 'professione abituale ancorch� non ' esclusiva delllie attivit� commerdailii di cui aU'art. 2195 cod. civ. anche se non organizzate in forma di .impresa �; aggiunge la no11ma che � le attivit� di prestazione di servizi a terzi che non rientrano nell'art. 2195 del. codice civiJe, si considerano commercia�i Be organiz2late in forma di impresa �. Per quanto ora interessa, � da sottolineare che non ogni prestazione di servizio rappresenta attivJt� commercia~e; perch� i[ servizio ai terzi costituisca RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO srn10ne case locabil� nonch� il mezzo specificamente destinato a provvedere i fondi per l'esercizio di tale attivit�. A tale conclusione, peraltro, questa Corte non .ritiene di poter pervenire, n�, conseguentemente, di conformarsi alla propria precedente pronuncia, a seguito di un pi� completo esame di tutti gli aspetti della questione, e alla luce delle approfondite considerazioni sottoposte al suo esame da parte della difesa dell'Amministrazione, che, in occasione del precedente giudizio, non aveva completamente sviluppato la propria tesi. Va anzitutto precisato che non sembra potersi condividere quanto affermato, ai fini della qualificazione come � strumentali all'esercizio dell'impresa � delle case date in locazione dagli I.A.C.P., circa la loro qualificazione come mezzo specificamente destinato a provvedere i fondi per l'esercizio dell'attivit� propria dell'Ente; una tale destina:oione, infatti, sussiste per tutti i beni appartenenti ad un soggetto di imposta con personalit� giuridica, perch� comunque il prodotto (o reddito) dei beni di appartenenza dell'ente � destinato al conseguimento dell'oggetto sociale o del fine istituzionale, il che pu� non avvenire per gli imprenditori persone fisiche, liberi di destinare il profitto conseguito come meglio loro aggrada e non vincolati ad investirlo nel proseguimento dell'attivit� !imprenditoriale, pu� anche non avvenire per le societ� di capitale, ove i ! loro statuti prevedano una diversa destinazione degli utili (per la parte in cui essi non vengono distribuiti ai soci), ma deve necessariamente avvenire per gli enti istituiti non a fini di lucro, ma esclusivamente per l'esple attivit� commerciale occorre l'impresa caratterizzata, come � noto, dal com� plesso di elementi unificati in senso funzionale dalWa volont� del titillare con riguardo alla loro destinazione al fine de1la intrapresa attivit�. La norma tributaria, nel considerare l'organizzazione in forma di impresa, sicuramente richiede che i singoli atti compiuti dall'imprenditore siano unificati da un elemento ulteriore rispetto a quehlo che sorregge i singoli atti dispositivi operati da chi imprenditore non �: appare in 'proposito evidente, con riguardo alla locazione di immobHi, che i contratti stipulati con i terzi conduttori e l'utilit� che quei terzi ricevono dal godimento del bene non fanno di per s� acquistare la quaillit� di imprenditore commerciale perch� qualunque proprietario � ben Legittimato a disporre dei suoi beni mediante locazione; n� il godimento fornito al conduttore pu� definirsi di per s� � servizio � posto che quel godimento si risolve tutto e solo nello schema contrattuale di diritto comune. 12. -Dunque la locazione, di per s�, non � un serv1z10; e mvece un con� tratto di diritto comune dal quale ambedue le parti traggono utilit� economica. Il rilievo serve ad evidenziare che non qualsiasi attivit� societaria avente ad oggetto beni immobili si risolve in un servizio: � ben nota, ad esempio, la problematica de1le c;d. societ� immobiliari, hl cui scopo � quello di ammi nistrare e gestire il pro'prio patrimonio, per le quali si della ammissibilit� della forma societaria (5); per queste (5) Si veda CorrrNo, Diritto commerciale, cit., 121. dubit� addirittura si pu� parlare di � I I I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 377 tamento dii una determinata ,attivit�. La contraria soluzione da un lato sembra porre 1l'�aocento non tanto su:l:la � s1trumentalit� � del bene d.n s� e per s�, ma �sulla �strumentalit�� del reddito, il che non appare consentito da:l modo 'come 1a norma �1n esame appaire formulata -come si vedr�, il reddito viene distinto, ai fulii che qui interessano, unicamente in r�eddito autonomo e non autonomo, in forza, cio�, della sua prop11ia natura, indipendentemente dal suo co1legamen1o con i fini istirtuzionali -dall'altro, porterebbe alla conclusione dell'inapplicabilit� in ogni caso della �tas,sazione separata dei ,redditi fondiari nei confu'onti dei soggetti indicati ne11a 1lettera b) dell' 1art. 2 d.P.R. n. 598, 1e, di conseguenza, potrebbe in proposito osservarsi quanto gi� osservato 1in rprecedenza circa J'ib:mnilit� delta statuizione contenuta nel quinto comma dell'art. 4 ,del decreto n. 599, non comprendendosi a quale 'scopo detta norma abbia considem1o, .fua l'1al1lro oome suoi dest�lnatari 'i soggetti in questione che, in base aill'mterpreta2lione che qUJi non 'Sii condivide dell'art. 40, sarebbero iin Ol!Jlli caso esolusi da una tassazione autonoma. Il problema va quindi risolto unicamente in funzione della � strumentailM� � dei beni per l'�esieroizio delrimpresa, e 1l'iinterpretazione de11a norma ~a fatva da un lato :tenendo presente non solo i1l disposto dehl'airticolo 40, ma tut1a 1a normamva del d.P.R. n. 597 ad esso collegata, da11'.aJltro cercando di capire 1a ragione d'essere, ai fini trubutari, di detta normativa, alla luce anche di precedenti storici dell'ultima riforma. Non va dimenticato, infatti, che un regime di esclusione di determinati beni :immobili daill'autonoma tassa2lione fondiaria esisteva gi� prima della utilizzazione indiretta della struttura organizzativa societaria (si pensi, oltre aJJle immobiliari, aiUe fiduciarie, a quelle di investimento mobii~dare, a quelle spordve, a quebte culturali o religiose) (6). In tale prospettiva l'immobile strumentale non � quello oggetto dell'atto di gestione (ailtrimenti qualunque bene sarebbe strumentale, perch� qualunque bene � in qualche modo gestito dal suo propri.erario) ma quello che viene utrl.lizzato tutto e solo nell'attivit� di gestione, sia questa rivolta alla produzione di beni, oppure destmata all'erogazione di servizi. 11 bene strumenta�e si indi1Vidua dunque 'attraverso il 1suo inserimento nel ciclo produttivo dell'impresa, in maniera tanto penetrante da renderlo inidoneo a:Ua produzione di un reddito autonomo: questo non � H caso deg\l.i immobi�i dati in locazione, perch� essi da un Iato sono ben ddonei a produrre un reddito autonomo (tant'� che dall'unit� immobiliare <locata si ritrae un canone), dalJ', altro fa sttpula de~la Jocazione non � un servizio n� in senso oggettivo (trattandosi di godimento di una cosa contro :il! p�rezzo) n� �in senso 'Sogigettivo (eS1sendo :l'attivit� de1 �locatore limitata aH'esecuzione degili obblighi con� trattuali). 13. -In questo contesto 1'immobHe non � mai lo strumento de~L'attivit� di ,locazione, ma dii presupposto che que11l'attivit� rende possibdJe; ed � altres� l'oggietto del contratto. (6) Per un'ampia disamina si veda CASANOVA, Impresa e azienda, in Tratt. dir. civ. it., Torino 1974, pag. 293 segg. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 378 entrata im. vigore dcll'art. 40 iin esame, e, da ultimo, era stato consacrato nell'art. 72 del t.u. n. 645 del 1958; e cos� in detta norma, come in quelle iad esse precedenti, la 1preV1isione legislatiiva era tale da inon permettere equivooi ciJ:ioa dl risuretto ambito di iarppldca2!ione dell:a particolare normativa, :hl che, peraltro, rispondeva a cMari criteri di politica tributaria. In base all'espresso disposto defila precedente normati.va, dinvero (a part~ aloune difformit� J)ra fo varie norme .succedutesi nel tempo, ,attinenti comunque a caratteristiche oggettive degLi immobili sllll cui ll'eddito si provvedeva) era comunque dato comune rule v:a11ie norme succedutesi che il reddito di determinati immobili potesse sfuggire alila particolare itassazione per ,essi 'espressamente prevista. In funzione della foro natura dii immobillii ,produttivi di reddito N'imposta sui f,abbricati) .solo nel caso che essi appartenessero ad imprenditori e fossero dagli stessi adibiti non a11a produZJione del reddi1o autonomo che essi erano capaci di pll'.'Odunre (e cio� reddito assoggettabile aLrnmposta fobbr�cati) se datii in locazione o comunque se utilizzabili a tale scopo, bens� all'esercizio dell'attiVlit� imprendi,to11iale, fossero do� inse11iti nel complesso a2liendale come componenVi di fotto, per '1a Joro utilizzazione dketta da parte dell'!hnprenditore, dell'insieme dei beni necessami alla �rea1Hzzazione del ciclo produttivo (non ,importa se industriale o commerciale) e in tal modo venissero a costituire una componente dell'intero complesso aziendale produttivo di un reddito fodustriale o commerciale . E ,1a .ragion d'essere �ffiscale di una simile normativa � facilmente intuibile, �posto che un imprendMore ,che avesse a .sua disposiZJione un immobile utilizzab1le direttamente o ,inclirettamente (in quest'ultimo �a_so La differenza che corre tra il fenomeno delil'ente che sia pure per statuto loca immobili e quehlo deM'ente che eroga un servizio � evidente: il proprietario de11'autorimessa, ad esempio, o del cinematografo o de!Jo stahi,limento balneare o del ristorante o dela''albergo svo1ge un'attil'l'i.t� che fornisce ut~ht� ailJIJ'utente nelila combinazione dei vari atti negozia!~ o meno che la compongono (7); invece iJ 1locatore fornisce l'utildt� sperata tutta e sola con l'esecuzione del contratto; ail'1ora -l'autorimessa, il cinematografo etc., sono strumentaH alil'att�hdt� di erogazione del servizio perch�, loro tramite, iil: servizio si svolge; invece 'l'appartamento 'locato non � strumentaJe all servizio di focazione, perch�, di per s�, Ja locazione non � un serv1z10; e mvece un contratto idoneo a soddisfare un bisogno con la sua semplke esecuzione, senza necessit� di altra attiv,it�. 14. -Si legg1e ne1la relazione ministeriale che l'art. 40 d.P.R. n. 597 ha introdotto un concetto di strumentaiHt� �pi� da:Stico � rispetto a queihlo di cui a1l'art. 72 T.U. n. 645/1958: questo � vero, :perch� � stato taig1fato quel legame con la �specifica destinazione� ogg.ettiva aWesercizio commerciale che aveva spesso reso impossibile considerare beni strumentali dell'azienda costruzioni che indubbiamente avevano tutte le caratteristiche per essere co:r:tsiderate tali (si pensi, per esempio, all'autorimessa che pur senza radicale trasforma( 7) CoRCIVERA e MERLINO, L'imposta sul reddito delle persone giuridiche, Milano 1975, pag. 166. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 379 dandolo in locazione, come bene produtuivo, :senia eserci2lio di alcuna altra attiVlit� da pairte del proprietamo, di un ireddiito fondiario autonomo) potleva, a srua ,scelta, darlo in JocaZ!ione o tinsemdo nel ciclo produttivo utilizzandolo direttamente come componentle del complesso aziendale; in mancanza dii runa +aipposita normativa, irn �entmmbi I� casi sarebbe stata applicata, sUJll'immobile, l'autonoma tassazione fondiiar+ia con fa conseguenm che, ove l'ii:mprenditore avesse rutl�Liz7!ato �hl ibene inserendolo nella impresa, avrebbe avuto ~l diritto di .porre in detrazione ~l car�co di imposta, come passivit� afferente all'espletamento dell'attivit� produttiva del reddito �dii R,M.; ove, :irnvece, +l'avesse looato, e +dii c<mseguenza fosse stato costretto a locare a sua voita un +immobhle per esercitarvi :ta propria attivit�, �avrebbe potuto dedurre ila relativa spesa u~mente come passi~ it�, con :la cons+eguenza che 1in ent:riambi ii cas�i riJ. tutto sti S0Tebbe ridotto ad ,uin'inutile pairtlita di giro nei confronti del Fisco, che in ogni caso avrebbe visto vanificato il risultato dell'imposizione autonoma. Conseguentemenre, :apparve molto pi� 1ogico �e furn.Z!ionale, nel caso di un �mmobile appartenente alil'imprenditove, �ed insem�to nel ciclo ;produttiivo cli un reddiito tassabile per R.M., eliminare ila tassazione autonoma fondiaria delil'immobile e tassare ti.I reddito di impresa, ai fIDi de1l'iimposta di R.M. senza tener conto deld'1immobile, neppure 1ai fini del calcolo del:le passivit� detraibili, conseguendosi cos� fo stesso risultato fiscale finale senza inutili aggravi di attivit� per una tassazione che non avrebbe comportato nessun risultato positivo. Ci� compovta, 'll'aturalmente, che l'iimmobile veniva considerato non come produttJivo ,dJi un reddito autonomo, ossia del reddito che gli potesse zione possa essere adibita a deposito cli mobili (8). QueLlo che non � assolutamente mutato � +il conoetto di strumen1Ja1Qt�, ora non pi� postulata da certi tratti oggettivi o materiaili del bene, ma sempre caratterizzata dall'inserimento del bene nel ciclo produttivo tale da rendere il cespi,te irn1doneo alla produ� 11ione di un reddito autonomo; La contrapposizione tra beni non strumt>ntaH e beni strumentail<i � 5empre data, come nel vecchio sistema, da:l!la idoneit� o meno +del �cespite a '.Produrre un reddito autonomo tale essendo quehlo che conserva �la sua individuabil1it� pur ,in presenza del reddito ricavato daJ1l'eser� cizio dell~impresa. Ed � evidente che nell'ipotesi della locazione l'immob1le, oggetto e presupposto del contratto, non solo � idoneo a produrre reddito autonomo, ma di fatto lo produce. N� pu� essere identificata la nozione di strumentaiHt� ex art. 40 d.P.R n. 597 con quel�a di diretta utilizzazione per :li'attivi+t� imprenditoria:le, sicch� sarebbero strumentali quei beni che " non rientrano in una ,gestione meramente incidentail!e ma formano il mezzo diretto per ,l'attivit� imprenditoria- 1.e � (9); mentre � vero che ii1: bene strumentale � semp!'e direttamente �1tilizzato per l'attivit� imprenditoriale, non � vero l'inverso, e cio� non � vero che ogni bene direttamente utiJizzato per la ripetuta attivit� sia strumentate. � neli1a fogica deHe cose, infatti, che in tanto 'pu� esservi un rappor,to di stru( 8) CROCIVERA e MERLINO, cit. pag. 164. (9) Cass. 2 luglio 1981, n. 4288 e 4289. 380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essere connaturale come fonte di rendita fondiaria, bens� come uno degLi elementi dell'aZJienda, e oio� come bene produttJivo (111on ms�, ma in qua111to inseri.to ,in un complesso aziiendaJ.e comprendente anche al1tlli beni tuttli unificati dalla comune destlinazione) dd un reddito di !Ilatura e tdpo �diverso� dai! reddito fundiamio, ossia di iUJil reddito tassabile ai fini dehl'1imposta di R.M.; il che significa che un 'simile s!�s:tema, nelJe sue linee essenziali, bene � ipotizzabile anche nel regime attuale di tassazione mediante un'unica imposta diretta (IRPEG o IRPEF) essendo questa comunque articolata dn varie componenti dd reddito (fra oui appunto iil reddito dei f�abbrica1i� e :i!l <reddito di impresa), ognuno accertato mediante determinati parametri cos� ai fini de1la determinazione deLl'attivo che del passivo 1per oui il problema �si ripropone nelle stesse i.dentiiche linee anche nel sistema di tassazione attuale, e l'elemento caratterizzante i fabbnioat� non sottoponi!bilii aill';iimposizione loro COimatur.aJ.e, oss~a d'elemento de1l'ut11izzaZJione diretta da pwte dell'1imprenditoire ai fini de1la produzione di !llfil reddito di cui qrue:Ho del fabbriicaito sia solo una componente (oss.ia !llfil reddito diverso da que1lo autonomo e proprio deil. fobbrioato), ben pu� essere 'identiico, anche nella nuova normativ,a, a meno che la formUJlazione attuale de:Il'art. 40 non porti necessan:iamerr1te ad una soluzione del tu1'to diversa, quale quella adottata nella decisione qui 1impugnata. E, passando a quest'ultima i!Ildagine, non pu� dirsi che Jl Jegislatore della riforma abbia inteso ,discostarsi, per il caso ,di specie, dahl'mdirizzo e dal criterio di tassazione in precedenza vigentd, ch� anzi un argomentio presuntivo � a contrario � pu� desumersi dal disposto del n. 16 dell'ar:t. 2 mentalit� tra un bene ed un'attivit� in quanto l'aittivit� non abbia aid oggetto esclusivo quel bene: altrimenti oggetto e strumento delil'attivit� f�niTebbero con il coincidere, e, come � stato acutamente osservato, in dottrina � l'immobile sarebbe strumentaile a �se stesso� (10). Invero 1'.immobhle strumentale ex artt. 40 e 52 � un bene che non ha una sua autonomia funzionaile rispetto aid una fonte produttiva di natura diversa (11): dunque, affinch� si possa parlare di immobi[e strumentailie � necessario che accanto a11a � fonte produttiva-immobi!le � esista una fonte produttiva diversa. Orbene, dn tutti i casi in cui l'immobile � dato in locazione �esso non � il mezzo per un'attivi� produttiva diversa; � invece J'oggetto deM'attiv.it� de1l'ilmpresa. Se ci� � partiool<armente evidente per quelle societ� che hanno quale unica attivit� 'La gestione del patrimonio d�mmobiiliare medfante locazione, non meno evidente risulta per quailsia:si a1tra societ� commerciale (o ente equiparato) che conceda in 1ocazione gli immobiJi di cui dispone nel quadro di una attivit� non esclusivamente .rivolta in tail! senso: il reddito prodotto per effetto delle focazioni � sicuramente un reddito di dmpresa �ai fini IRPG, ma quegli immobi'li sono 'l'oggetto deM'aHivit�, non il mezzo per una attiV'it� ulteriore. (10) MOSCHETTI, cit. (11) MOSCHETTI, cit.; od anche EINAUDI, Il sistema tributario italiano, Torino 1954, pag. 119. . I 11 -I i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381 della legge di delega (1. 9 ottobre 1971, n. 825), secondo cui la disciplina dell'IRPEF (e per quanto attiene alla fottiispecie lin esame, anche queil1a dell'IRPEG, giusta ffil richiamo contenuto nel n. 5 dehl',airt. 3 ail disposto dei nn. 15 �e 16 dell'art. 2) doveva essere linfol1ffiata, fra J'ialtiro, aJ. criiterio della determinazione dei redc:hlti deriivanti daU'eserci:ziio di imprese commeroial! i secondo 011.teru di �:adeguamento del reddito imponibhle a quelfo caicolato secondo p11incipi di competenza economica�, tenuto conto deilile esigenze di � ieffiaienza, rafforzamento e razionaliizzazione deH'aippa11ato produttivo�: criteri, questi, ai quaJi sembra pi� conforme ,il �sistema di tassa:ziione qui <inrnanzi delineato an:ziich� quel[o ipotrl.zzato nella decis!i.one impugnata. Comunque, posto che, .come in pI'ecedenza detto, l'aif't. 40 va iinte:rp; retato non solo in s� e per s�, ma in armonia col complesso di norme in �Cui esso �si inserisce, va anzitutto eviden:ziiato che, secondo l'art. 32 del decreto n. 597 �iil '.I'eddllito dei fabbricati (autonomamente detenn!i.nabile, ai fini dell'imposizione, secondo i oriterii stabiliti negli artiicoli 34 e seguenti) � quello derivante dalla disponibilit� di costruzioni suscettibili di 1I1edc:hlto � autonomo �, ossia taLi da prodllI're, di per 1s� e senza bisogno di pariticolarie attivit� in essi o su di essa esplicata, un ;reddito, per effetto della concesS!i:one della loro uthlizza:ziione, dietro corrispettivo, a terzi (~ocazione); per I'a:rt. 52, dnfine, r�e1la deteriminazione del reddito di impresa, come taile tassabile secondo parametri suoi propri, non 1si tiene conto dei proventi e deii costii relativi �ad immobili che non costitciscono beni stirumentalii per l'�esernizio dell'impresa. In entrambe le disposizioni, pertanto, si eviden:ziia ill carn1ltere di autonomda del :reddito e queLlo dehla 15. -N� sembra che il bene strumentale possa essere identificato in queMo il cui reddito serve a finanziare <l'attivit� del.Ji'hrrpresa (12), per La semplice considerazione che qualunque immobiJe (anche quehlo certamente non strumentaile) produce un reddito che via a formare [e entrate dell'impresa e quindi a comporne i mezzi f�nan:zfari dell'attivit�. In proposito si deve ricordare che l'art. 52 d.P.R. !Il. 5<J7 espressamente chiarisce che fa determinazione catastale degli iirnmobili non strumentali ;l� luogo ad una � variazione � del.Le risultanze cli bifanoio: dunque anche i beni non strumentali trovano espressione nelle poste .di bilancio e come tail1 sorio immobili � relativi aLl'wpresa � dal cui reddito essa rkava i mezzi finanziari per .l'attivit� ( 13). 16. -Va dunque ritenuto, con specifico rigua11do al caso di cui al.Ja sentenza in rassegna, che gli �immobiLi deH'I.A.C.P. concessi �in ~ocazione non possano essere ritenuti strumentaili ai �sensi e per gli effetti de1la tassazione ILOR perch�: a) sono idonei a produrre un reddito autonomo, e di tatto lo producono �ritraendosi dai medesimi un canone di Jocazione, ~l quale ai diversi effetti IRPG si considem componente del reddito di iimpresa; b) sono l'oggetto immediato e diretto del<l'atthdt� deJllJ.A,C,P., e non fo strumento (12) Cosi invece Cass. n. 4288 e 4289 del 1981 cit. (13) MOSCHETTI, cit. 382 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strumentalit� degH immobi1i, caratteri di cui ,ffi deve tener conto ne11a iinteripretazione de11',~wt. 40, dovendosi ritenere che non possano 11ientTaire ne1l'oggetto del1a normativa di detto ar1Ji.colo quei beni che, anche se appartenen1Ji. a11'impre:nd!itore, continuino :a produrire �reddito 1aiutonomo, osStia reddito di loca:zJione, rper fa loro uitihlizza2lione economica nel modo che ad essi � genericamente connaturale; i1l che appunto si verifica per glJi immobili locati dagli l.A.C.P., immobili che gi�, per ci� solo, devono ritenersi esclusi dal1a normatiiva dell'art. 40. Inoltre, occorre tener presente che J'eseroi2lio idi impresa commerciale � definito, nell'art. 51 del decreto in esame ,come quello delle attiviit� di cui all'art. 2195 cod. civ.; e, per quanto attiene al tipo di attivit� espletata dagli I.A,C.P., questa .non pu� che dassiificarSti fra quelle !ipotizzate nel n. 1) di detto arHcolo, ossia q1Uale attiVlit� �industr.iale diretta a:li1a produzione di beni o di servizi, o tnel n. 2), quale :a1JtiVlit� mtermediaria nella circolazione dei beni, o nel n. 5), quale attivit� ausiliaria; e in nessuna di dette categorie pu� age\11Qilmente collocarsii, con 1a definizione di attivit� -commerdale, fa rposiziione degli Is1iitutii quaJi loootori di case di abita:zJione, costituendo ques1te, p1uttosto l'�oggetto � di detta attivit� che non lo � strumento � per esercitar�a e potendosi ritenere ila loca7lione ~che non comporta nessuna p:artiioolwe at1Ji.vit� di �servizio� da parte del locatore) piuttostio iH � prodotto� dell'attivit� che non I l'� eserci:zJio di un'.attivi�t� di produ2lione di beni o di fornitura di servizi �. Lnfine, passando a1l'indagine diretta dell'art. 40, va ricordato che I l'impresa -cos� come � definita da11'.art. 2082 cod. oiv., comporta neces.sariamente fa componente del lavoro, ossia dell'attivit� lavorativa deH'im- Iper ilio svolgimento di una ulteriore e diversa attivit� commerciale; c) non � r :possibile far coincidere l'oggetto de1l'attivit� con '1o strumento per llesercizio deH'attivit�, almeno ai fini che interessano, perch� si arriverebbe ,a:LI'assurjo J di dover considerare il bene, oggetto deLFattivit�, strumentaJe a se stesso, i ovvero ad ampliare tanto 1� nozione di strumentalit� da farvi rientrare ogni bene re1ativo ai1l'impresa del qua;le questa si avvale per procacciarsi i mezzi ! dcl1a azion�. 17. -Per concludere, � strumentale a1I'esercizio deHa impresa non I'im mob.iile per oi� so1o che produca reddito considerato di impresa ai fini IRPG; n� quello che sia oggetto dehl'attivit�; n� quel.Io che permetta, con il proprio generico inserimento nel ciclo produttivo, all'impresa di rea!Qzzare il finanziamento dellia propria attivit�; bens� solo quehlo che � cos� inserito in quei dolo produttivo, da risultare inidoneo a produrre un reddito autonomo: in una parola, 'l'immobile strumentale � quehlo che, ndl'irnpresa, � utilizzato come mezzo :per il'esercizio deihl'attivit� quando questa non consista ne1l'uti Hzzazione sul mercato del bene stesso (nel qual caso �strumento� e �oggetto" de1fattivit� ooiP.ciderebbero e quindi il bene finirebbe con l'essere strumento della propria utD1izzazione) e che, per effetto deil!l'inserimento nel ciclo produttivo, non sia idoneo a produrre reddito autonomo. ANTONIO PALATIELLO PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA J83 prenditore e dei suoi dipendenti e compoota anche, seppure non s,empre, l"eSlistenza di una azienda, ossd:a di un complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa; e senza dubbio ,l'art. 40, laddov,e disoipli:na la tassazione di iimmobiilii, iipo1lizza un'attivM� imprenditoriale esp1icata mediante <l'illltilizzazione di un complesso di beIJJi., di cui g1i immobili fiaooiano parte. Ci� agevola ila comprensione di quel che il '1egi!slatore abbia !inteso dire allorch� ha disciplinato la .tassazione dei ,redditi di �immobili che cos1Jituiscono beni �Strumentail!i. per l'esercizti.o di imprese commerciali�, non potendosi dubitare che abbia inteso riferirsi a quegli 1immobili concor1ienti, per la foro particolare utfil:izzaziione lin cons,eguen:m del loro inserimento nel comp1esso aziiendale e nell'apparato produt1Jivo, �a produrre H reddito di impresa; naturalmente, per quanto gi� 'innanzi si � chiarito, non in modo autonomo (intesa tale aocezi()![le non sotto il profilo dehla finaifilzza21ione del �oro Teddito, bens� ,sotto quello natura1is1Jico; di fotto, della foro immedfata utilizzaziione secondo la loro normaile oapaoit� a rprodmr� di per s� un reddito), ma in quanto � strumen1Ji � per l'esocoi21io de1l'attivit� lavora1liv�a deilil'imprenditore o dei suoi dipendenti. E oi� si desume :iin modo non equivoco daiilla �stessa letterale formulazione della norma, che aggiunge, dopo l'accezione � beni strumentali per l'esercizio dell'impresa � ile parole � da parte del lO!ro possessore o da parte del soggetto cui sono imputabili !i reddi1Ji del possessore�; dette parole non stanno certamente a significare che gli immobili debbano far parte di un'impresa esercitata dal loro possessore (nel quale caso l'espvessione sarebbe meramente lapahlssiana �ed inutiliter data, non potendosi ipotizzare che fosse in questione J'utillizzazione degli ii.mmobHri da parte di terze persone), ma vuol preois,are che l'esevoizio dell'impresa deve essere compiuto mediante utilizzazione degli immobili in modo diretto ed immediato da parte de1l'1imprenditore che ne abbia comunque la disponibilit� in base ad lJ[lO dei titoli irpo1lizZJatii dall'art. 32 del deCTeto n. 597 (l'espriessione possessore deve intendersi adoperata non :in senso tecnico) per esercitarvi I'>attivit� 1imprendiitoniale. Cos� 1interpretato, 1l'a:rt. 40 non differ,isoe sostanziaJlmente, ndla sua ess�enza, dalla normativa dell'art. 72 del d.P.R. n. 645 del 1958, l'unica differenza consistendo nella necessaria strutturazione prevista nella normativa precedente 'e. non pi� ;in quella attuale, de1J'.immobiile in modo tale da impedirne un'utilizzazione diversa, ma �essendo comunque comune alle due normative l'accentuazione sulla destiJnaZJione fun:ZJionale dell'I�.mmobile, che � rimasta �immutata; e :1a conseguenza di ci� non pu� essere che� l'esolus,ione delle abitazioni date in :locazione daglii I.A.C.P. dal1a 'regolamentazione dell'art. 40 in esame, rposto che �in detti !immobili l'Istituto .imprenditore non esoccita a1oum.a particolare attivdt� (non potendosi ritenere 384 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tale -e soprattutto non potendosi ritenere esercitata � nell'immobile� la semplice .riscossione dei oanoIJJi di locazione) e non essendo dette abinaziioni occupate e uHLizzate dall"imprenditore, bens� dai conduttori., terzii nisipetJto alll'impresa. In .altre parole, fa difforenza foa la normativa precedente e quella attuale sta nel fatto che, per poter essere sottoposto ail particolare regime di tassa2lione m esame, non � neoesisario che d'�mmobl�le sia strutJturato d:n una determ�IIlata maniera, ben essendo apiphlcabhle tale regime di .tassazione 0!nche, ad es. ad una casa �di abitazione appartenente ad un impvenditore ed utilizzata da questi rper installarvi li rpropI'I� uffici commeroiahl, oppure ad un �tooreno non strutturato �IIl maniera. .p,a;mioolaJre, ma comunque u1'11izzato �dal �suo � possessore � per esercizio di negozio, ecc., essendo caratterdzzainte di .tali situazioni d'elemento, ad esse rtutte comune, dell'ut�Jizzazione del bene non gi� come produttivo di una rendita parassitaria di posizione, quale � quella, in genere, propria dei fabbricati utilizzabili economicamente per la produzione di un reddito di locazione, bens� come strumento di utilizzazione di fatto per d'espdetamento dell'attJiv1t� Javorativa tipica de1l'eserci2lio de111impresa industriaile o commerciale, e il .oui reddito, di conseguenza, sia tassabile in quanto componente, attraverso d'utilizza2lione g>ratuita del bene da parte dell'.impren&tore, del reddito conseguente allo svolgimento deld'atmwt� in tutto o iin paJrrte espHoota utilizzando direttamente fimmobHe. Poich�, come gi� detto, taM caratteri non sono ravvisabHi neg.Li immobiiLi dehla cui tassa2liane sd discute, � da esdudersi, nel oaso di specie, l'appLicabiHt� del:l'arit. 40 dcl d.P.R. n. 597 del 1973, e, �canseguentemenrte, l la decisione Jmpugnata va cassata, con rinvdo ahla stessa Commd:ssione Centrale, che deoider� t�IIl conformit� ai principi qUJi enll!l1aiati. (omissis) i i CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 febbraio 1982, n. 1270 -Pres. Miele Est. BattJimelli -P. M. La Valva (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Laporta) c. S.p.A. SABIB (avv. Coghlati Dezza). Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ� -Redditi da partecipazione di societ� di capitali in societ� di persone -Sono tassabili solo le somme effettivamente percepite a titolo di ripartizione. (art. 148 lett. d) e 135 lett. e) T.U. 29 gennaio 1958, n. 645). Nei riguardi della societ� di capitali, socia in societ� personale, concorrono a formare la base imponibile dell'imposta sulle societ� le somme effettivamente percepite a titolo di ripartizione d-egli utili, e non anche gli utili che per una qualsiasi ragione non siano stati distribuiti. Pertanto, �� �� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 385 quando l'utile corrispondente alla quota di partecipazione sia superiore alla somma effettivamente percepita � solo questa. seconda che entra a ~~~porre .la base lmpontbile dell'imposta .. L'Uffioio imposte dirette dii Biella aCOOI11:�, nei confronti della Societ� p:a �Societ� A:ziionaria Beni IinmobiM Biella� (S.A.B.I.B.), per gi1i esercizi dal 1957 al 1959, '1'impos:tla sulle societ� nella misure idell'85 % del reddito a�certato, (ai fini dell'imposta cli R.M., c�t. B), nei confronti deHa Societ� a.s. � Figli di Domenico F.rocale �, di cui la S.A.B.I.B. era sooia accomandante ne1la misura de11'85 % del capitale sociale. La S.A.B.I.B. �ricorse alla Commissione Distrettuale, sostenendo di aver ricavato, per ciascuno dei due esercizi, utili nella misura di L. 68.000 in forza dei patti �SOai;ali del1a societ� in �accomandita, secondo cui H SO % degli utili spettava ai soci accomandatari, il� residuo; in misura non superiore 1ahl'8 % ai soci accomandanti in rapporto ahle rJspet<tive cairatuire; e JJ resto andava destinato a niserva; tale tesi ru accoLta dalla Commissione e confermata, su impugnazione dell'Ufficio; dalla Commissione di secondo grado. ' I Redditi da partecipazione di societ� di capitali in societ� personale. �l. -Gi� con sentenza del 30 luglio 1980, n. 4889, fa Corte di Cassazione ave.va risolto il problema nei termini in cui . a1la �massima. Con la sentenza .in r:assegna, coeva a varie a1tre, Iia Corte .ha confermato ilia precedente giurisprudenza. Vinsegnamento, che on;nai va ritenuto definitivo, non Lascia soddisfatti. L'art. 148 t.u. n. 645/1958 dispone che H reddito coropilessivo ai fini dell'imposta su1lie societ� � costituito, tra l'a1Mro, daihle �somme percepite a titolo di 1istribu2lione o ripartizione deglii utild di societ� eq. associazioni di ogni tipo �; l'�irt. 135, a proposito del!l'1mposta complementare sul reddito deI:le persone fisiche., distingue a seconda che Ja 'partecipazione. avvenga in societ� di capitali o in societ� di persone: nel primo caso vengono tassati gli utrnii � percepiti �,. nel secondo quelli � derivanti�. � evidente che il problema della tassazione degli . uti!Ji da partecipazione e de~le societ� di capitali n.elle soci~t� di persone si risolve . in quest'�ltro: q.ando il !?Ocio delila societ� persona!~ poss;oi dirsi percettore di somme a titolo di ripartizione degli utili. 2. -La norma tributaria non pu� prescindere dalla . considerazione dvi� listica, � del fenomeno sooietario personale. � indiscwtib1Le che, ' n�Jl vigente �rdinamento, Je societ� personali sono priivie di Pet'SOnalit� giuridka; sono invece dotate di quella. ((autonomia patri� moniai}e hrrperfetta � .di cui � ampio cenno nella. Relazione ministeriale . al vigente Codice Civilie, che permette all'organizzarione sociale di essere considerata, e di operare, unitariamente; nei rapporti interni, l'autonomia patrimonia1e determina l'indisponibdilit� dei beni conferiti da: parte dei soci, cd iJl �correlativo divieto dehl'uso dei beni stessi, a fini individualri (artt. 2282 e 2256 �cod. civ.); nei rapporti esterni, cagiona la configuriabi!i.t� delforganismo quale :centro di imputazione, dotato anche di una propria capacit� processua.Ie . .. �Ponendo mente al fenomeno delil!a propri�t� dei beni ' sociali, l'interprete ha doyuto domandarsi se, ed eventualmente in che �.limiti, l'inesistenza della 'personalit� giuridica, e perci� 1a mancanza di un soggetto diverso dai singoli 12 386 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I redditi da partecipazione di societ� di capitali in societ� personale. L'Ufficio ricorse alla Commissione Tributaria Centrale denunciando viola7Jione degli airtt. 135 e 148 del .t.u. n. 645 del 1958, ma il .r�.0011so fu respinto con la decisione n. 5818/78, qui impugnata. La Commri:s�sione disattese �l'affermazione del <ricorrente, secondo cui, per il disposto dell'art. 135, Jettera c) e dehl'a11t. 148, Jettera d) del t.u. del 1958 il �reddito di una societ� di persone deve consideral'si interamente distribuito fira i sooi in funzione dehla quota dii pairtecipazione e l'eventuale mancata percezione di fatto realizza un'operazione di reinvestimento, per cui il diritto di partecipazione agli utili si trasforma in run diriitto di credito del reddito prodotto; ritenne iinvece dii aoco~iere la tesi del contribuente, secondo cui occ0I1I1eva distinguere fra la normativ; a dell'art. 135, che disciplina separatamente i �redditi prodotti da societ� di persone da quelH ricavati da una societ� di capitale e queilla dell'art. 148, che non fa distinzioni, disciplinando nella stessa maniera gli utili comunque percepiti per fa partecipazione a qualsiasi tipo di societ�. Sul punto, afferm� che, in forza di quest'ultima norma, la base imponibile dell'imposta 1su1le societ� � costituita solo dalle somme effettiv; amente percepite e che, ove gfil utili della 1societ� di cui si partecipa soci, fosse preclusiva alta configurazione di un rapporto di dominio da parte de�Ja societ� sui beni, diverso dat rapporto che intercorre tra questi beni e i soci. E' noto che al problema � stata fornita una risposta affermativa unanime, doppiata da una lunga teoria di alternative: Ia risposta affermativ� discende da1l'indubbia 1nesistenza di un soggetto giuridico e quindi da1la mau: anza del termine soggettivo essenzia1e nel rapporto di dominio, le alternative proposte per Ja descrizfone giuridica del fenomeno di una appartenenza d1 beni a chi soggetto non � sono state motte: da queilil.ia della � compropriet� dci beni sociali �in favore dei soci, con vincolo di destinazio:p.e � seguita da Cass. 27 maggio 1960, n. 1371, a quella dell'universitas iuris delineata da oerta giurisprudenza 0di merito (C.A. Firenze, 11 luglio .�950 in Giur. Tosc. ;1950, pag. 393), a quetla del �patrimonio separato� descritta da Cass. 25 giugno 1971, n. 2011, o del �centro �di imputazione � di cui � tracda in Cass. 19 gennao 1973, n. 196, o de11'� ordinamento .giuridico minore� (tesi questa, originaile e seducente, proposta da certa dottr.ina: Schemi, in Giust. Civ. 1959, I, 1363). Le varie proposizioni hanno in comune due cose: la prima � l'esigenza di individuare iJ titolare deHa propriet� dei beni sociali, con tutte 1e conseguenze che ne derivcano; 1a seconda � il continuo riferimento della titolarit� alle persone dei soci i quail:i in definitiva vengono sempre indicati come gil!i unici pro prietari di quei beni (con varie aggettivazioni che, secondo le varie opinioni, 0 indkano i poteri e i doveri connessi con quella propriet�: dominio in comunione; collettivo; limitato quoad exercitium, etc. etc.). 3. -A ben vedere, la descr.izione del ritenuto dominio in capo ad soci m termini variamente .limitativi non � a1tro che 1a trasposizione, nell'ambito dei ra'pporto reale, degli effetti dci rapporti personaili che trovano fonte nel contratto societario; si tratta, cio�, de11e conseguenze detl'�autonomia patr.irnoni. aJle nei rapporti interni tra i soci � sUJlla Joro posizione reale in ordine ai beni del gruppo: cos� :hl singolo, certan1ente comproprietario delle cose nei I I RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 387 eccedano del:le somme, ai fimJi de1l'impostlzione si deve tener conto solo di queste ultime; ci� perch� nulla vieta ai soci di predeterminare una distribuzione degli� utili a finalit� diverse dalla distribuzione, accantonamido1i nehl',amb1to di una fiscalit� differita nel tempo�; ci� non esclude perailtro, nei confronti di societ� tassabHi in base a bilanoio, che l'ufficio possa procedere ad UiO. accertamento induttivo, ma � a suo carico 11.'onere della prova di una distribuzione degli utili diversa da quella app3!rente, prova che, nel caso di �speoie, non era stata fornita. Contro questa deoiSJione ri.co11re per cassazione l'Ammdnis1trazione delle Fmanze dello Stato, denunciando vfolazione e falsa appHcaZJione dell'articoil. o 148, lettera d), del -t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relrazione ai1I'art. 300, n. 3, cod. proc. civ., Jn base alle seguenti considerazioni: Ai fini rllributa1"i, le societ� .c);i persone sono considerate come comumoni di beni, di cui i soci sono contitolari, s� che, essendo essi titolari di un diritto �immediato e diretto sui beni socfaM, :il reddito sooietaocio si considera da �loro acquisito nel momento stesso in cui si forma. Un'appliicazione di detto prtlnoipio si ricava dalla legge di registro del 1923, per quanto attiiene a11a tassazione del trasferimento. ,di quote di rprurtecipazione e societ� di pe!'Sone (tassato come trasferimento di quota di beni socia1i), limiti della quota di partecipazione, non pu� disporre del bene n� pu� usarle ai fini pe:risonali perch� c'� hl contratto che glielo impedisce; e per contratto egli ha assunto una serie di diritti ed obb11ghi nei riguardi degJi altri; dunque ill socio non pu� disporre dei beni del grup'po non perch� non sia comproprietario degli stessi, ma perch� l'ordine dei rapporti contrattua1i refluisce ed incide su quella sua compropriet�, cos� come incide sulla propriet� indiiv1duale del bene conferito. Se ili socio � contitoLare del patrimonio comune nei limiti della quota di partecipazione, egli � anche contitolare, nelia medesima quota, di quanto a quel patrimonio comune sopravviene; l'esercizio coilllettivo del!l'impresa, e cio� la serie dd atti compiuti dalla societ� ne11a sua patrimoniale autonomia, direttamente incide sui contenuti sostanziali del rapporto di com:i>ropriet�: in concreto, i1 socio vedr� diminuire o aumentare i ridetti beni in compropriet� ~ seconda del�e varie fortune del � centro di imputazione � o dell'� ordinamento � coUettivo del quale egli fa parte. Come tutti sanno, iil patrimonio � composto di beni materiali, di diritti e di obblighi; 11a contitolarit� del patrimonio ,sociale comporta dunque che il socio, a seconda dei risultati dell'azione sociale, �acquister� o perder� il condominio del bene ovvero acquister� o perder� diritti di credito (o assumer� debiti, dei quald risponder� in varia maniera, a seconda del grado deltla c.d. autonomia �patr.imoniaile o della sua partecipazione aitl'azione collettiva). ALla fine .de1l'esercizio, che la legge vuole di regola annuaJle, si � tireranno le somme� cos� che iJJ socio sapr� esattamente quaLe sia il valore e �l'esatta misura dei suoi diritti sul fondo comune; se ila gestione si sar� chlusa in attivo, si sar� formato un utile del quaile, appunto, hl socio � contitolare. L'utile pu� consistere in un bene o in un credito; se si tratta di un bene, il socio :pu� dire di aver percepito queLl'utile, perch� con ila chiusura deHa gestione cessa d'avere effetto quell'impegno contrattuale ,preclusivo ahla pdena disponibiJit� del bene 388 PAR'l'B I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA a differenza di quanto pg:ev,isto per il tresfenimooto di quote di �s�ciet� a :responsabilit� limitata; e cos� pure fa liqUJi!dazione 1dii quota del socio recedente da societ� di persone � conside:riata come scioglimento ,dJi comunione e 1soggetto all'imposta graduale �dii .divisione, mentire J'assegnaz.ione dii beni sooia!li agli azionisti di societ� per azioni � soggetta all'imposta di �tlrasferimento. L'applicazione pi� significativa di tale principio si rinviene, poi, nel disposto dell'art. 135, lettera e), del t.u. I.D. del 1958; per detta norma, ai fini dell'imposta complementare sul reddito, � considerato componente del reddito complessivo quello derivante dalla partecipazione a societ� di persone, in misura pari alla quota di partecipazione del contribuente a tale reddito, per il solo fatto che esso sia stato prodotto, mentre, per la partecipazione a societ� di capitale, ai sensi della lettera d), dello stesso articolo, costituisce reddito tassabile solo quello percepito. La dii.versa normativa 11Jrova il �suo fondamento nel fatto che per il diritto civiile le societ� di persone sono p:riive di personailit� giuridioa, con conseguente �rapporto di contitolarit� fra i singoli soci ed .il patrimonio sociale, s� che esso si sostanzia in una sorta di propriet� in mano co che fino a quel momento ha avuto v:igore: ora egili pu� disporre, nei limiti della quota, del bene rappresentativo dell'utille, come qualunque comunista pu� disporre della cosa comune nei limiti delila quota. Tra le cose materiali c'� H denaro: � evidente che lia compropriet� di una somma di denaro costituisce una vicenda del tutto diversa da que�lla della compropriet� di una cosa individua: infatti, avere ~a met� di tot lire significa in realt� es�sere esclus,ivo proprietario della somma di cui si tratta. E allora, quando Futile � rappresentato da una somma di denaro, i:l socio ne acquista la piena ed esclusiva pvopriet� man mano che l'utile si forma, salva appunto, 1a disponibilit� (per quei ripetuti patti contenuti nel. contratto) a:l momento della chiusura del11'eseroizio, quando, peraltro, eseguiti i. conti, si avr� esatta e definitiva nozione dell'ammontare della somma, J1a cui unica, esclusiva ed ormai incondizionata propriet� d� titolo a11a materiale apprensiop.e. Considerando infatti il fenomeno societario nel. momento dell'attivit�, ci si avvede che Ia vita sociale � scandita da un ritmo di periodicit� annuaJe: ogni esercizio rappresenta, per cos� dire, un �pezzo di storia� deilil'organizzazione. Sia fa le~ge civile che quella tributaria chiaramente indicano la rilevanza del~ �esel'cizio, d1 regola annua1e, quale momento autonomo. � Con riguardo, dunque, ahl'esercizio sociaJe a.nuale l'utile conseguito a'ppaire come il �frutto � o il � risultato � dell'azione: appare cio� come quel � lucro oggettivo � ailla cui produzione tutta l'attivit� �. finalizzata. QuelJ'utile, che emerge in tutta 1a 'sua ,consistenza ail termine dell'esercizio, acquista, appunto qu\j1lie prodotto dell'attivit�, una sua specifica . individualit�: esso invero fuortesce p�er cos� dire, dal ritmo produttivo .ed as�sume le sorti sue proprie, even� tua1mente s,egnate dail contra,tto. Dunque mentre, dQrante ,J'esercizio, si hanno soltanto delJe entqtte e delle uscite, al termine dell'esercizio s.i ha l;uti:le (o la perdita);,. il l'isult;:tto� economtco dell'attivit�, cos� cristallizzato, esce da:I ciclo produttivo perch� inizia un nuovo eserci:l'ii.0;. ,ossia un altr,o e diverso .�periodo di attivit�� che avr� le PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 389 mune ed 11 ireddito delia societ� si cOIIlstdera reddito dei sooi percepito da loro, in funzione della loro quota di partecipazione, nel momento stesso tl:n cui viene prodotto; al c01I1trario, per le societ� �dii capitale, forl11�te di.persona1it� giumdica, il patrimOD!io si appairt�.ene a11a societ� ed il reddito pu� es.sere ,ffis,tmibuito :l�ra i soci solo a seguito �di de1ibera dii ripartizione degli utili. Il :problema della tassahirlit� nel caso di specie sorge iin fo["za�� :deHa formulazione dell'art. 148, lettera d), dello stesso T.U., disciplinante l'imposta .sulle societ�, ed in forza del quale costi11Ulisoono ireddito iimponibhle le somme percepite a titolo di distriibuziOIIle o riipantiziOIIle degli ut>ili di sooiet� di qualsiasi tipo; l'dnterpretazione di detta norma deve fa,risi tenendo presenti le ragioni della istituzione �de�l'Li.mposta sulle societ�, introdotta con fa legge 6 agosto 1954, n. �603, poi tirasfe:nita nel T.U. del 1958; La nuov1a imposta fu introdotta, infatti, peir eliminaire la sperequazione esist1ente, in materia di irilposta complemenmre, :l�ra Li. soci delle soc~et� di ;persone, assoggettati ad imposta per fintero II'eddito <prodotto, e quellii. delle societ� di capitale, assoggettati solo per la parte .di reddito distribuiita; �e cos� si volle tassare ile societ� tassab~H in base a bilanoio, sta- sue entrate e '1e sue uscite che a foro volta, al termine, si faranno utili o perdite. Riconosciuta all'utHe l'indi:vidual1t� che gili � propria� quale risuJ.tato deilla gestione annuale non pu� non ap'parire evidente che qualunque sia la sorte dell'utile esso non rappresenta di per �s� un bene societario, ma viceversa � il frutt� delil'esercizio al cui perseguimento � rivolta ~�azione sociale. Il vincolo di indisponib11it� che caratterizza lia propriet� individuaJe sui beni sociali durante l'esercizio quale aspetto dell'autonomia patrimoniale viene meno con riguardo all'ut11e perch� questo ,essendo H risult~to dell'esercizio collet� tivo dell'impresa e cio� il frutto dell'organizzazione vista nd suo momento dinamico, non � pi� coinvolto nel cido produttivo, del quale, appunto, costituisce il risultato. Poich� l'utile si esprime (di regolia, e comunque :per quanto ora interessa) in una somma di denaro, la preesistente propriet� dei soci su quella somma si fa piena ed esclusiva appunto .perch� suJ. risu1tato dell'attivit� comune non opera pi� fil vincolo di indisponibilit� sociale che finalizza i beni al risultato. 4. -Il legislatore tributario non poteva ignorare il descritto fenomeno della partecipaz;ione -alfa societ� di persone e dei corredativi diritti del socio: e infatti tenendo conto di detta reaLt�, ha adattato iLa norma di individuazione e di commisurazione d~ reddito conseguito da tale partecipazione alla realt� del fenomeno: e lo ha fatto tenendo ben 'Presente ilia differen:m che corre tra la par.tecipazione ad una societ� di ca'Pitalii (fa cui l'utHe, man mano che si produce, non � del socio ma della societ�, ddventand� del socio solo con la delibera. di distribuzione) e fa partecipazione alla societ� di persone, in modo espresso ne1l'art. 135 iLett. c e -lett. d del D.P.R. n. 6415/1958 per ~�~mposta complementare, ed in modo hnplicito nell'art. 148 ,lett. d per l'imposta suble societ�: la prima norma tmduce con parole espresse �1a conseguenza tributaria degli effetti della partecipazione societaria e quindi dice che quando la partecipazione � in societ� personale i� reddito che deriva, e che � tassab.hle, � :i>ar�i a!l reddito netto 390 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO OOlendosi che il Teddito tassabile era cosHtuiito, fra i'1ailtm, dagil!�. utili derivant� da partecipazioni. Ne consegue che non � dubbio �che il legislatore con l'ampia formwla deH"a1Ilt. 148, lette.ria d), abbia dnteso far irifedmento allle somme comunque spettanti, e che ila parola �.percepite � debba mte:ripretarsi, in :relazione agli utili derivanti da societ� di persone, nello stesso modo in cui � formulata la disposizione de11',art. 135, tenendo conto dell'awtomaitica attribuzione degli utili ai soci di societ� di persone, per la loro partecipazione diretta ed tlmmeooa1Ja ia tali utili, <senza che possa intendeirS!i. come relativa al solo oredd!�ito mate11ialmente app!'eso (111 che non pu� neanche sositen.eirsi per glJi utfili d~ societ� �di �oapitaH, per i quali bas.1Ja che vii sia la deliberia dii d1istribuzione). Non vi � �ragione, in ll'."eailt�, di ntenere che ii:I principio generale, derivante dall'art. 135, debba essere sovvertito quando socio di una societ� di persone sia una societ� di capitalii, e prop11io in.relaziione ad 'Ima im posta che fu .istituita per isottoporre �le societ� di capitale ad un imposihione corrispondente 1a quella gravante sulle persone :filsiche. N� ha im' POI'tanza il fatto che nel bi1an010 defila societ� di capitale non vii sia deHa societ� in proporzione a11a quota di partecipazione agili utHi, mentre quando �la partecipazione � in societ� di capitali il reddito che deriva � pari all'ammontare degli utili percepiti; nella seconda norma manca siffatta traduzione espressa, quantunque i due fenomeni (deli1a partecipazione a societ� persoru�e e dehla partecipazione a societ� di capitati) siano indicati da.file parole � distribuzione � e � ripartizione �. 5. -L'art. 148, dunque, non contiene aLcuna norma definitoria neHa materia che .interessa; adQ'pera invece delle espressioni il cui signifilcato tecnicogiuridico va rice11cato altrove ( � somme percepite �; � distribuzione �; � ripartizione �; � util<i �). Le alternative possibili sono due: quelle nozioni infatti o vanno ricercate nella legge civiJle, oppure vanno ricercate nei princ�pi generali dehl'imposizione diretta. Per la legge civile, il socio di societ� di persone acquisisce l'utile, costituito da una somma di denaro, nel momento stesso in cui l'uthle si forma, e pu� completamente disporne alla chiusura dehl'esercizio annuaJle; dunque la percezione deltle somme e cio� l'acquisizione di esse :�!n piiena e libera propriet� avviene al termine dehl'esercizio sociale (essendo evidentemente irniilevante il fatto de11a materfa1e apprensione, posto che :percepire una somma non vuol �dire averla in mano). Per i princ�pi generali delil'imposizione diretta il deltlneato concetto pu� essere espresso con altre parole, ma con Ia stessa conseguenza pratica: lia somma dehla quale si acquisti fa piena, 1ibera ed esclusiva propriet�, cosmtuisce entrata per l'acquirente, che peroi� assume la veste di �percettore di reddito"� E poich� nelle societ� di persone quelle somme sono gi� in propriet� del socio, la � r�partizione � avviene automaticamente ai1 termine de1l:'esercizio, quando detta .disponibi!lit� si determina: quindi, esattamente la norma tributaria collega aHa ripartizione 1a nascita del reddito; ma, appunto, � ripartizione� non � <l'atto di passaggio de!La propriet� dal soggetto sociale (che non esiste) al so� cio bens� solo il momento in cui ciascun socio, gi� proprietario della somma, pu� in piena libert� disporre di quanto � gi� suo, e cio� di quanto, per il con� I I I lll'l4'JfllllllrlJllJIJllrJlllfJlllllllllPJlllll8111111111� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 391 traccia della percezione degli utili, poich�, anche se non dichiarati in bilancio, non 1si pu� dubitaire che gli utiili della societ� d� persone, al momento stesso della loro produzione, siano acquisiti ipso iure ai soci; e non si comprende .quale prova in contrario possa �dare, in un oaso del genere, l'Uff�ioio impositore, se non �quella derivante dail solo fatto dehla pro�uzJi.one deg1i utili. La Societ� S.A.B.I.B. resiste 1con oontiroricovso. La questione dibatwta fra ile pairti �. s�tata gi� risolta, �in senso contrar. io aJil:a tesi dell'Ammiinis1JI1aZione I'�COI'rente, da questa COI1te con due precedenti pronuncie daille quali, nonostante I'approfondimento che del problema ha fatto 11a difesa delil'amministmzione, non V'i � lI"agione di discosrtroisi. Ed invero n� quanto osservato dahla rricmreinte dn merito :alla posizione dd soci. di una societ� idi ipersone, 111ispetto ai beni sociali, n� i richiami fatti alla oriiginaria m.ormativa di cui aUa degge 6 agosto 1954, n. 603, tratto sociale, corrisponde alla sua quota di partecipazione: e infatti, poich� iil reddito rappresentato da una somma di denaro pu� dirsi entrato nel patrimonio del titolare, e cio� formato, quando il suo titolare acquista della somma la piena e libera propriet�, appare evidente che con la chiusura dell'esercizio ciascun socio, uti singulus, � percettore del reddito perch� in quel momento le predette condi:itloni (della piena e libera propriet� del denaro) si verificano tutte. 6. -111 testo de1l'art. 148 pi� volte citato � dunque tale da imporre necessariamente '.hl richiamo della disciplina sostanziale contenuta nelle altre norme indicate (cio� ne1le norme del codice civile e neHo stesso art. 1135 T.U. �1958 quale espressione del significato che :hl diritto tributario 1assegna a11a terminologia civ�listica nei i;iguardi dclle partecipazioni societarie). Quel richiamo � d'aJ... tra parte coonestato dali1a storia �legislativa dell'imposizione suri redditi da par� teci:pazione societaria. Questi redditi appaiono considerati, per la prima vo1ta, netll'art. 3 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3062, dove si dispose (senza distinzione alcuna rispetto ai vari tipi di societ� partecipata) che essi fossero colpiti nei confronti dei � percipienti �. Quando la Jegge civile oper� la distinzione tra societ� munite di personalit� giuridd.ca e societ� prive di tale personalit�, il legislatore tribu� tarlo dov� rivedere J:'originaria sua posizione, adottata in un momento in cui tutte le societ� erano persone giuTidiche: e cos� dapprima nell'art. 15, 1� comma, D.L.Lg. 19 ottobre 1944, n. 384 si considerano le societ� :Per a:itloni, i cui � frutti � erano � distribuiti agli azion1sti '" in tal modo distinguendolii dai frutti percepiti dahle societ� personalii; e poi, soprattutto, neUa redazione del T.U. 1958, come si legge nella Retlazione ministeriale, si osserv� che il problema (per l'imposta complementare: ma le osservazioni hanno una portata ben pi� ampia) dehlla individuazione del � momento in cui :i:l reddito confluisce nella capacit� contributiva � andava risolto �a seconda del tipo di societ� partecipata �. Osserv� ,j,~ Re1atore: �La persona1it� dehle societ� di capitali consente di sottrarre effettivamente .gli utili passati a riserva ahla disponibilit� dei soci: 392 -RASSEGNA QHI.L'AVNOCATl:JRA DELLO STATO_ n� i r11ievi di carattere costituzionale sollevata a proposHo del .mff:routo fra detta J;1.0r!T1:ativa e quella del T.U. n. 645 del 1958, oonvdncono questa Corte ad :aderire alla .tesi defila �ricorrente, secondo cui, anche dn materia di ii;np,9sta sulle societ�, varrebbe il principio della automatica imputa zione allesociet� partecipanti, quale imponibile, degli utili della societ� di persone partecipata, cos� come previsto, peir l'limposta compJem~, dail l'ar.t. 135, Jett. e) dcl suddetto. r.u. Questa Corte ha g>i� chioo:iito, infatti, come piroprio ~a diversit� di, for muiazione dehl'aTt. 135, lettere e) e d) del T.U., rispetto alla fonirl.uJazione dell'art 148; 1etteria d), sta a siignri.fioaire, non potendosi attribuire a man canza dj coordinamento fra le due norme, fa precisa -intenzione deil legi slatore di diifferen~iare a;presupposti per Ja detenninazione deHa basie im ci� che invece non :pu� accadere per le societ� di persone �; ed aggiunge,. che � tutta Ja normativa -riguardante le societ� personaili contenuta nel _testo in esa�ne-costituisce una riaff�rmazione de] principio defila personalit� dell'imposta a fronte de1foggettivdt� del reddito�. 7. -La �legge 6 agosto 1954, n. 603 fu dunque approvata :in un contesto storico nel qua;le era pienalll'ente avvertita l'esigenza di tenere ben chiara, ai fini della detemninazione de1 momento dehla nascita del :reddito da partecipazione e dehla sua stessa commisurazione, la distinzione tra societ� (partecipate) di persone e sOciet� (partecipate) di capitali: appariva infatti che in quehle, mancando d!a personailit� giuridica, il socio era contitolare del patrimonio; in que� sie, iJ �reddito del -socio si 'produceva solo con la deilibera di disttibu.zione (prima �deHa quale si vedeva � una meta aspettait1va, che una autorevole, ma isolata dott:r�na delil'epoca si sbizzarr� a def,inire � inter.esse legittimo di diritto privato �): e cos� id legislatOTe del 1954, nel suo art. 5 fott. d, distinse, qualii componenti del _reddito per l'imposta sulle societ�, i dividendi � dagli � utili derivanti da pairtecipa2lione >>, con terminologia evidentemente tratta� dahla .disciplina c~vilistica delle � ,societ� di capitaJ!i >>, e iiieL!e � societ� di persone �. 8. --La tel)cdenza Jegislativa a distinguere i due fenomeni partecipativi si consolida con il T.U. ,1958, come si � :ricordato a proposito de1I'art. 135; dunque, se si considera tale tendenza 1egis1ativa, la sua indubbia coerenza con il r:iuovo codice dvii~ del 1942 e 1a funzione deH'imposta deHe societ� quale risulta da1la discipliina sua propria e so�prattutto dahla logica che la sorregge quaile emerge anche dai lavori preparatori (sul punto � da ricordare una memorabi'le Syntenza de!Je Sezioni Unite che definisce ['imposta come una � complementare del�a societ� � e non _disdegna la pittoresca sua configurazione di <f testatico�: S.U. 1� marzo l97.1, n. 514, in Rass. Avv. Stato 1971, I, 443 segg.) non pu� .non apparire evidente come una lettura delil'art. 148 ~ett. d che si fermi ail dato letterrule � sbagliata per le seguenti ragioni: a) perch� inconcludente: l'art. 148-lett. d adopera termini lessicali il cui -significato tecnicogiuridico Vl:!, tratto daMa norma civile e dai principi generali dell'imposizione diretta; b) perch� antistorica, ossia aVUJlsa dalla realt� nella quale la norma e:ria destinata ad operare, realt� che i conditores legis pur dichiaravano necessario tener� presente; c) perch� contraddittoria con Ja nozione tributaria di -re�ldito, che � vicchezza nuova prodotta nel momento in cui se ne abbia la disponibilit�; d) perch� contrar�a alla ratio legis, che fu quella d:i doppiare 1a � Complementaire � con tributo anailogo per le societ�. I I ~ I f. ~ f f I ~ I ~ 'f := l .. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 393 poruibfile delle due divevse 1imposte, per le ragioni che di seguito si diranno, il che proprio impedisce che il principio di cui alla lettera e) deH'ar�t. 135 possa ass�UJI'gere a pnincipio generaile o, quanto, meno, a criterio di -interpretazione dell'art. 148, lettera d); che' anzi deve �ritenersi. che la di:fferent:e forrnUJlazione delle due norme sfa stata voluta per .ragioni di po111lica tnibutaria, e che oi� non viola .i Hmiti defila delega legislativa tper contrasto con la p;reesistente noPIDativa, coorddnata nel T.U. Sta di fritto, invero, che '1'.art. 5, 1ett. d), dehla legge 6 �agos1to 1954, n. 603, � istdtutiva dell'imposta srul:le societ�, 1adopemva, a piroposito dehla � questione qui dibattuta, l'espressione �utili derivanti da partecipazioni �, di evidente portata generaile .e non chiiairamente definita; e che, al contrario, l"�rt. 3 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3069 (istitutivo dell'imposta 9 . ..,... U reddito dato da somme percepite a titolo di ripartizione degli uoi1i �di sodet� .di persone si forma, in tutti i suoi tratti che fo fanno presupposto, d�l tributo (titolarit�; dispOnibHit�), nel momento in cui l'esercizio s.i chiude, perch� in. quel momento fa gi�. esistente prO:priet�, unica ed esclusiva, dellLa somma si fa disponibile essendo la ripa;rtizione de1l'utHe, ne1le � societ� di persone, non aJ.tro che hl momento in cui viene meno i1 vincolo di indisponibi1it� delle propriet� indiviiduali. �In questa prospettiva iil patto sociale con �!l quale si disponga dell'utile che ~�attivit� produrr� non � altro che un atto di disposizione di una ricc chezza entrata nel patrimonio dei singoli, di per s� frutto dcll'azione collettiva e quindi non pi� r.iguaJ1data daUe norme dehl'azione sociale; l'atto di di:sposizi:one .perci� riguarda vicende successive alla produzione individuale del reddito. Infatti, quando 1a societ� di '.persone ha prodotto illl suo frutto, esso non � pi� riguardato dahle regole proprie dell'� autonomia patrimoniale �, sicch� in ordine a quel risultato il socio non assume pi� la veste di compartecipe ad un'organizzazione ma ri1eva .uti singulus: un singolo, appunto, proprietario de1l'utile che di tale propriet� � ben legiUimato a disporre senza pi� i vinco;li che derivano da1l'autonomia patrimoniale ddla societ� o dalla finalizzazione de1 patrimonio sodale allo scopo (lucro) ormai raggiunto. L'atto di disposizione pu� seguire }a realizzazione de1l'utile: ed � evidente che in tal caso nessuno :potrebbe seriamente dubitare dell'avvenuta percezione del reddito da parte di chi ne disponga liberamente (� ovvio che hl sooio pu� fare della sua parte di ut11e qudlo che crede: infatti .in ordine a11'utile egli non trova nessuno dei vincoli che invece lo Jimitano durante l'azione sociaJe, appunto perch� l'uti1e � il �risultato finito� dell'attivit�). Ma un atto di disposiziohe precedente alla emersione de1l'utile non � meno negoziale e lii.bero dell'atto sucoessivo: ihl patto con iil quale ci si impegna a lasciare in comune una parte deli'uthle in realt� costituisce dispos.izione di quanto � entrato nel patrimonio, e cio� di quanto si � percepito: infatti se ]a form�azione dell'utite determina l'uscita dei relativi vailori dai ritmi produttivi, quali risultato del- 1'attiv1t�, i!l patto ton ii1 quale ci S�i impegna a lasciare in comune una parte dehl'uthle in realt�: ricrea H vincolo di indis:ponibiiliit� e fa tornare nel gioco ooLlettivo quanto .vi era uscito come risultato: n� importa evidentemente accertare se quel.l'utile, cos� �lasciato�, dia luogo ad un finanziamento, o ad un nuovo conferimento o ad una riserva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 394 complementare), stabiliva, al secondo comma, che �i redditi che le persone fisiche percepiscono dal1a societ� in qualit� di soci, azionisti, portatori di obbHgaz;ioni ,e per qualsiasi altro titolo, \natnno teinuti a calcolo nei confrontJi dei percipient1i per essere colpitJi di imposta al nome del.fa persona che ne ha ila disponibilit��, con un'espressione che non consenNva dubbi ciroa .fil requisdto della � pe:rx:ezione � e della � dlispondbihlt� � del reddito quali presupposti della tassazione. Sicch�, posto che l'espressione � deriv,anti � di oui 1alla fogge del 1954 non ha un sd:gnifiicato preciso, stando essa unicamente ad indicare la �fonte� del reddito, non anche necessaviamente 1a materiale dispondbiilit� o, al contrario, fa pura sipettanz; a (ossia .n 111iHevo da darsi piuttosto ad una �situazione di �cassa� che ad una di � competenm �, o viceversa), deve convenllirsii che ~�espres- Dunque il momento delila percezione de1l'uthle da parte del socio di societ� personali � dato, relativamente ail<le somme di denaro, sempre daMa chiusura deM'eseroizio annuale perch� � questo :il momento in cui l'utile (le cui com� ponenti sono gi� in propr.iet� del socio, con il vincolo di indisponibiJ.it�) acquista Ja sua esistenza autonoma da:H'azione sociale quale risultato della stessa e quindi rappresenta per H socio, gi� proprietario, un reddito, inteso questo c=e ricchezza in piena disponibilit�, suscettibile di essere fatta oggetto di un atto di disposizione da parte del percettore nella sua veste individuaJe (e non sociale), atto ohe 'pu�, secondo i noti principi, seguire o precedere Ja stessa formazione de1l'utile. 10. -A1le stesse conclusfoni si perviene ove si consideri il problema non solo in un'impostazione che adoperi i1 � dato civiiistico � per chiarire il significato del pi� volte citato art. 148, ma anche in una prospettiva che abbia riguardo soJtanto al � dato tributa11io � quale risulta daJ sistema del:l'im:posizione diretta ,di cui al T.U. del 1958. In proposito � da ricordare che l'accertamento deM'imposta di R.M. spiega automatica efficacia per <l'imposta sulle societ�, come del resto � stabiilito testualmente da1l'art. 150 D.P.R. 645/58 (cfr. ad esempio Cass. 21 marzo 1980 n. 1908, Leg. fisc. 1980, 2005). Del pari., l'automatismo � previsto per ,l'imposta co:mlPlementare rispetto all'imposta di R.M. (art. 135 T.U., Jett. b). Le norme successive, contenute neU'art. 135 e nell'art. 148, sono norme di completamento; esse servono ailfindividuazione di quegli altri redditi del soggetto che non sono compresi in accertamenti a Jui direttamente riferibiJ.i. Cos�, per la complementare, i redditi .da partecipazione, che pure sono soggetti ai11'imposta di R,M., vengono accertati, anche se si tratta di societ� di persone, nei confronti dell'organismo sociale e non nei confronti del soggetto del tributo complementare. Mlo stesso modo, i redditi da partedpazione, per i soggetti tassabili in base a bilancio, che sono soggetti a11"imposita sUJl!le ,societ�, sono accertati nei confronti dei soggetti parteci'pati. In entrambi i casi, per�, il concetto di automatismo, nel senso che l'accertamento per fimposta di R.M. ha immedi1ato effetto per ii<l tributo sul reddito complessivo, non pu� non restare fermo, giacch� il criterio impositivo � quello del coacervo dei redditi, accertati nei confronti dello stesso soggetto, direttamente o per il tramite dell'organismo sociale. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 395 sione pone una categoria generale, in cui possono 1inaludersi cos� .i redd�ti materialmente peroetti .come queH� meramente sipettant�, e che di conseguenza costJituisce una petizione �dii pl1iindpio l'affermazione secondo cui J'art. 148, lett. d), �del T.U. del 1958, se intevpretato oos� come J'ha interpretato [a decision~ impugnata, risuherebbe 1affetto da iillegiittimit� costituzionale per contrasto con l'art. 70 della Cos�tituzione, per avere ecceduto il olegi1sfatore delegato da1 limiti assegnatigli con la [egge di delega, modificando 1iirhitm0riamente la norma, che sarebbe stata �trasfusa nel T.U. in una formulazione �contrastante �con quella originaria. Ch� anzi, a povtave l'esame deHa questione sotto Ja visuale del rispetto dei princ�pi costiituzionaili (ai qua:lii comunque, nei cas[ dubbi, l'in- Per i redditi da partecipazione in societ� con personailit� giuridica, la distinta soggettivit� non consente l'automatismo, avendo il socio soltanto diri.tto ahle somme che gli sono attribuite con la de.liberaz~one sociale di distribuzione del divtdendo; ~n tal caso non pu� ritenersi operante nemmeno t'automatismo indiretto, che trova goiustif�cazione nel gi� iilil:ustrato criterio di identificazione del socio con �la societ�. In altri termini, se � vero (e non pare di:scutoibile) che anohe per I'1imposta sulle societ� l'imponibi1e si identifica con il coacervo di tutti i redditi, tanto che non manca, nell'elenco contenuto nell'art. 148, una formula di chiusura ("ogni a�rtro reddito non compreso ne1le lettere precedenti�), deve anche dirsi che, per ciascuna componente reddituale, non possono non valere le regole proprie dei rispettivi modi di accertamento ai fini dell'imposta rea.le a cui quei redruti sono .soggetti. In tale prospettiva, come per i redditi il cui accertamento avviene direttan1ente nei confronti della sodet� contribuente, occorre adottare, per la regola dell'automatismo, i risultati accertativi del tmbuto mobioliiare, cos� per i redditi che, invece, si accertano diversamente, occorre distinguere: a) se si tratta di redditi accertati nei confronti di un soggetto distinto, che non possono ritenersi di diretta spettanza de11a societ� partecipante (ed � il caso dei dividendi ripartiti da societ� di capi1:a!le). occorrer� che H diritto sia stato riconosciuto; b) se si tratta, invece, di redditi accerta1li nei confronti di una societ� di persone, i redditi st~ssi si cons~derano redditi dei partecipanti, e per tare ragione, e non pe!'ch� ne sia avvenuta o meno la materiale :percezione, devono essere considerati, automaticamente, nel reddito complessivo di quei soggetti partecipanti. Si ottiene, da ci�, ulteriore conferma di quanto prima osservato: l'art. 135, quando drus�tingue, nelle 1lettere c) e d), tra redditi da partecipazi:one in societ� di persone e redditi da partecipazione in societ� di capitali, non pone una regola speciale, in mancanza della quaile i!1 ststema �impositivo, per i redditi in questione, si sarebbe dovuto ritenere diverso, ma si Limita ad esplicitare quanto sarebbe stato da ritenere pur in mancanza di norma espressa: infatti, anche �se le disposizioni de]le .Lettere c) e d) deil'art. BS fossero state di altro tenore, ed avessero soltanto sancito, ad esempio, il computo, nel coacervo, dei redditi da partecipazione in societ� di ogni specie, l'interprete non avrebbe potuto trarne una conclusione diversa da queLJa innanzi vista. --~ 396 "RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO terprete deve richiamarsi), deve riconoscersi che un dubbio di costi tu� zionaJ.it�, anzitutto, potrebbe sussistere proprio in merito alla focmulazione detl'art. 135, Jett. e) (ossia proprio �n relazione alla norma che, secondo 1a .tesi dell'ammintsrtwa:zfone dovrebbe costMuiire il cavdine interpretativo per una giusta comprensione del significato deiH'a!rt. 148, lettera d), posto rche �s,sa, sembra contrastare con il pireciso ,testo dcli.a normaHva dell'imposta complementare, anteriore aJ. T.U, (come �nnanzi chiarito nel ripoi:it'are il testo dell'art. 3 del r;d. n. 3062 del 1923), pe!r cui potrebbe semmai in !relazione ad esso, piuttosto che in :relazione all'art. 148, solleva'l'.'si il problema della suss�stenza di una violazione dell'art. 76 del.ila Costituzione (il che perailtro non avrebbe -rilevanza ai f�ini della decisione 11. -Sempre con riguardo al sistema de1l'imposizione diretta di cui al T.V. del i958 va sottolineato che la formula adoperata nelJ'art. 148 lett. d) � identica a quella fornita dall'art. 83 lett. a) dehlo stesso Testo Vni:co, �dove appunto si dispone che non sono soggette aihl.'imposta di ricchezza mobile ((le somme percepite a titolo di distribuzione o ripartizione degii utili di societ� ed associazioni di ogni tipo �. L'art. 83, lett. a) (che trova .il suo precedente n~ll'art. 8 n. 2 T.V. 24 agosto 18n, n. 4021) � chiaramente inteso ad evitare 1a �doppia im:posizione � e quindi ad esplicitare hl generale divieto di cui aM'art. 7: esplicitazione ritenuta opportuna dato che in materia di redditi da partecipazione, per le caratteristiche �proprie di essi, potevano sorgere dubbi interpretativi circa l'effettiva applicabhlit� del divieto predetto (si pensi, in particolare, al caso dclla partecipazione in societ� di ca:pitali). L'art. 83 lett. a non raggiungerebbe il suo scopo di ev,itare la dclppia imposizione deWuti;le (una volta presso la societ� partecipata, ed una volta presso hl socio partecipante) se la formula adoperata fosse letta nel suo apparente significato lettencle: in altre parole, ove �somme percepite� stesse per �somme effettivamente percepite� o'ppure � materiailmente apprese>>, l'imposizione in �ricchezza mobi1e dcll'utHe presso il socio non� s'i ev�iterebb�, perch� il presupposto del tributo non � dato da quella effettiva percezione, n� da queHa materiale apprensione: � invece dato dal provento derivante daihl'impiego del capit�lre {rper il reddito <li categoria A: art. 86) o derivante daH'impiego del Capitale e del lavoro {per il reddito di categoria B: art. 85 e 91 segg.); H presupposto del tributo � dato quindi da un fatto precedente l'eventuale effettiva percezione de1le somme di cui si tratta (in proposito � appena H caso di ri!Levare che, quando si � voluta tassare Feffetti:va percezione Jo fil � detto espressamente: cfr. art. 87 per i redcUti da lavoro subordiJnato). Dunque, in tanto !l'art. 83 ev1ta 1a doppia imposizione in quanto � so:rrurne percepite � significhi � somme derivanti � e cio� � utile conseguito � dalla partecipazione societaria, per tale intendendosi quello che, in difetto de1la norma di esenzione, sarebbe stato colpito in ricchezza mobile: il provento, cio�, derivante da11a partedpazione, neL1a misura risultante dal titolo (delribera di di!stribuzione) per la partecipazione in societ� dri capitali, ovvero daUa quota di propriet� disponibile derivante dall'esercizio dell'impresa per la partecipazione in societ� di persone. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 397 d:eL presente giudizio); e posto che, soprattutto, :iil principio costituzionale che pi� dirnttamen1le potrebbe apparire violato � quello del rispetto, n~1hnposi:zlione, delil:a effe1l1Jiva oapaoit~ contributiva, sancito dall'art. 53 della Costituzione, 1I1on potendosi dubitwe che �.n base alla norma costituzi01I1ail: e l'imposizione diretta deve g:mv1aire su di una capacit� contributiva e su di un reddito effettivamente esistenti e goduti, e non semp1keroente presunti. Ll che, ii.n conclusione, porta a 1ritenere che l'art. 148, lett. d), vada proprio interpretato valorizzando, come ha fatto la decisione impugnata, il letterale signifioato dell'espressione � somme percepite� in �sso adoperata. N� una simile ililterpretazione pu� ritenersii er;rata pe!I." le 01Tgoroentaziolli sviluppate dal1a dii.fesa dell'amministrazione 1oirna ~a diversa posi- Se si considera che l'art. 148 lett. d) riproduce esattamente la formula adoperata dall'art. 83 lett. a) e se si riconosce che quest'ultima sicuramente non sta ad escludere dall':iimposta di ricchezza mobile hl fatto dell'� effettiva percezione� (che a:i fini della ricchezza mobile � irrilevante, dato che il presupposto del tributo si verifica 'prima ed a prescindere daihl'effet!Jiva percezione) ma il reddito da partecipazione, risulta evidente che iii dato testuale risultante dall'art. 148 Lett. d) � quanto meno ambiguo e, a tutto concedere, di assai incerto riiferimento: non solo, infatti, a parit� di formule adoperate ne11o stesso contesto normativo si deve presumere identit� di significato (ed � sicuro che nell'art. 83 � somme percepite � non sta per � somme effettivamente percepite�) ma la stessa natura del reddito del quale si vuole evitare la doppia imposi:ziione in ricchezza mobHe sta chiaramente ad indicaire che l'utile da partecipazione, attratto nel coacervo dell'imposta societaria, non pu� essere che la somma acquisita a titolo di reddito dal soggetto par�teci' pante, e perci� la somma che ad esso proviene dal soggetto partecipato (quando esso esista) ovvero daLl'esercizio deH'attiv-it� (quando jJI soggetto partecipato altro non sia se non l'aggregazione di persone e cose rivolta aiH'esercizio deLL'aittivit�); e dunque, per l'individuazione del momento in cui il provento si real,izza, non pu� non aversi riguardo al tipo di societ� pal'.tecipata; quando essa � di capitali, J'utile � �percepito� con la deliibera di distribuzione; quando �, personale, l'utiile � conseguito 1ail termine dell'esercizio. 12. -' Occorre quindi ritenere di nessun significato, ai fini che interessano, la diversit� lessicale della fornmlazione dehl'art. 148 ris1petto alJ'art. 135: le due norme infatti .. non si trovano in rapporto di specialit�, ma ambedue concorrono, aNa disciplina de1lo stesso fenomeno della partecipazione in societ� di 1ca:pitaili e in societ� di persone, che � identico, nehla struttura, nel significato economico, nehle conseguemie pratiche, sia che partecipante � la persona fisica, sia che partecipante � la persona giuridica: e ci� tanto pi� che l'art. 83 lett, a), il qua1e sicuramente si riferisce anche a1le persone fisiche, sta a provare che la fa:p;lOSa formuila � somme percepite etc. � non � imposta daUe peculiari esigenze defila societ�"'Jlersona giuridica. 13. -Questa identit� giuridica ed economica delil!e situazioni in cui partecipante sia la persona fisica o la persona giuridica dimostra, sotto altro profilo, la necessit� di adottare la soluzione so'pra indicata: infatti una lettura delle norme che a parit� di situaiioni consentisse disparit� di disciplina d�rebbe luogo a fondato sospetto di iLlegittimit� costituzionale delle norme 398 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione dei soci di 'societ� dJ persone rispetto a quella dei soci dii societ� dii capitale e circa Ja �diretta attribuzione ad 1p11imii, e non anche ai secondi, della ttlto1airit� deii di!I'it1Ji sui beni sociwi, per mancanza di una distinta personail:it� giit~Pidica della societ�, a differenza di ci� che avviene per Je societ� di capitali. A parte, infatti, che tali argomentazioni prescindono daili1a considerazione che, 1in ogni caso, anche 1a proposito di societ� di persone, � sempre ipottlzzabiile un patrimonio sepamto, che ben rpu� g�iustiifiicare una diversit� di regolamentazione fiscale rispetto alla regolam, entazione del diPitto comune, va osservato che tutto quanto sViluppato in proposito negli scriitlti difensionali dell'amministrazione � senz'altro da condividersi dal punto di vista del diritto civihle vero e proprio, ma che stesse: e come tutti sanno, la legge va interpretata magis ut vivat quam pereat. Infatti non pu� sfuggire che iin base alla privilegiata interpretazione meramente letterale degli articoli 135 e 148 si avrebbe, data una societ� di persone A costituita da due soci, B e C, hl secondo dei quali rappresentato da una societ� di capitali e supposta fa chiusura in attivo di un esercizio di A, il socio B sarebbe per ci� solo obblbigato (ex art. .135 lett. c) T.U. 1958) a corrispondere l'imposta complementare sul reddito derivantegili dal diritto a '.partecipare agili uti!li d'eseroizio, mentre 1l socio C -vale a dire la societ� di capitallii -non sarebbe tenuto a corrispondere lia imposta swhle societ� se non a condizione di aver effettivamente riscosso gilii utHi ,in questione (art. �148 lett. d) T.U. oit.). E sembra lecito -allora -negare la validit� di una interpretazione fondata sulla sola lettera de1la 1legge, che non solo contrasta, in definitiva, con argomenti storici, te1eologtlci e sistematici univocamente con� correnti a suffragare una diversa soluzione de1 problema, ma che addiri<ttura porta a ritenere fa norma in contrasto con ili'art. 3 Cost.; � noto d'a1tronde che � non � necessario procedere ad interpretazione logica deUa norma soltanto ne1 caso in cui dai! senso letterale della disposizione Sii ricava in modo evidente la volont� legislativa: in claris non fit interpretatio. Ma perch� ci� avvenga non � sufficiente 1'esistenza di una chiara formulazione grammat<i�a1e, essendo pure richiesto che 1r senso, reso pailese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, non possa trovarsi in contrasto con argomentazioni logiche, e con g1i stessi principi di diritto� (Cass. 5 aprile :1978, n. 11549). 14. -Concludendo, il sistema deLla leg.ge civHe e queLlo della legge tributaria de!Jl'imposizione diretta concovdemente indicano che i� reddito da partecipazione in societ� di persone � pari all'uti<le conseguito da!hl'organismo collett< ivo, e cio� in definitiva dai .singoli componenti di esso, per quota di Joro partecipazione. N� pu� tacersi che, guavdando alla. sostanza del fenomeno sul quale le novme in esame sono chiamate ad incidere, ove 'si richiedesse la mater.iale percezione ai fini de!Jla inclusione de11'uti!le tra le componenti reddituali del coacervo tassato in ;imposta societaria, que11a partecipazione non sarebbe mai colpita oltre i ilimiti della dichiarazione, perch� non � possibiile che, accertato il reddito della �societ� per Ia parte non formalmente resa disponibile per i soci, da un Jato g;ld amm~nistratori O'perino una retroattiva distribuzione di denaro (revocando ad esempio la destinazione a riserva o a .nn ~ ! I ! I l i I I ! ! I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 399 non va dimenticato, come pare abbia diimenticato Ja difesa del Fisco, che il diritto tvibutario risponde a criteri ed esigenze diverse di natura pubblicistica, da quelle che 1e norme civilistiche �tendono a (['egolamootare, e che 1il dii11itto comune non � af:t�atto cogente r.ispetto ad illiil dirotto speciale, quale quello tributario, che ben pu� discostarsi da esiso, siia purn prendendo, a substrato del proprio operato, come oggetto del proprio intervento, i:l fenomeno costituito dalla realt� rego1amentata dail diritto comune. Con ci� vuotl ilirisi che l'interpretazione dell'airt. 148, lettera d), c11itioata dahla ricorrente, non va, 111� pu�, iiintendersi come affetta da violazione di norme cogenti di diritto civile e che essa non contrasta affatto con i prino1pi civ:ihlstici in materi1a di partecipazione a sooiet� di persone, cui si richiama fa (11icorrente; ail contrario, essa ne 11Jiene conto, ma nei limiti imposti dall'ordinamento tributario, e in modo non del tutJto dinoonoiliabhle con ila normativa civiiilistJica. 1111 altre parole, affermare che gli utili di .sooi:et� dii persone in tanto sono tassabili ad fin[ dehl'tim� posta sulle societ� din quanto sono peroopi.1Ji .dahle societ� partecipanti non significa affatto violare il principio di spettanza ai soci dell'attivo sociale, ma U!Ilicamente 1riconoscere che dl legislatore tributario, nell'ambito de:Ll.a sua diiscrezionailit�, giustificata dalle particolari finailit� da conseguri:re (e non censurabile in questa sede se non sotto il profilo di una illegittimit� costituzionale che si � gi� chiarito non potersi riconoscere sussistente), ha distinto, :tenendo ben presente 1a normativa oiviil:istica, fra il momento della � competen:m � e dil momento della �oassa �, quaLi componentii del trapasso degli utili dalla disponibdilit� del1a societ� a11a d.isponib] 1it� dei soci, ed ha vailorizzato piuttosto tiil secondo che non dl primo. Ci�, oltretutito, chiaramente si evince dal :l�atto che ila norma non si limita a dichiarare tassabili le �somme percepite�, ma precisa (distinguendo chiammente fira gli utili delle sooiet� di oapitaile e gH utili delle societ� di persone) che ~a peroe:zrione � in fun:zrione del �titolo di �distri nanziarnento) e dahl'al>tro i soci correggano la presentata dichiarazione: siarriverebbe cos� ad affermare che quel reddito maggiore, accertato presso Ja sooiet� di persone partecipata, per la quota di spettanza del socio persona giuridica, non � di nessuno: non del socio persona giuridica, perch� questo non l'avrebbe materialmente percepito, n� del socio persona fisica perch� queUa quota non gli sarebbe stata messa a disposizione. N� sembra pertinente �H richiamo aL}a presunzione di veridicit� del bilancio, contenuto neLla sentenza in rassegna, perch� nei casi come quello in esame non si tratta di stabiiLire se .1a societ� 'Partecipante abbia scritto il vero. ma invece Le si ilimputa di non aver tratto .la debita conseguenza dall'acoerta� mento del suo reddito presso ila societ� partecipata. ANTONIO PALATIELLO RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 400 buzione o 1ripartizione >� con ci� ,dimostrando di non dgnorrure dJ. processo di passaggio degli utili dalle societ� ai soci, evidenziando il � titolo �; ossia lo istrumento e Ja causa g1tlil11dica (de1ibera di distribuZlione o . approvazione del rendiconto) mediante il quaile i soci fanno ddTettamente proprio (ossia .ne acquistano la disponibilit� -1come gi� testualmeilite 1si esprimeva, a� pr0posito dell'imposta complementare, l'art. 3 del r.d. n. 3062 del 1923) un 1reddito che f�imo a quel momento, seppure in certii casi potesse considerarsi gi� di loro spettanza, non si era comunque trasferito nella loro diretta possibilit� di godimento, E in questi sensi, invero, devono �nterpretarsi gli artt. 130 e 145 del t.u. del 1958, allorch� ipotizzano, come presupposto delle due imposte, complementare e sulle societ�, il � possesso� di un reddito, dovendosi escludere che l'espressione siia 1adoperata nel suo senso tecnico nel,J'ambito dei dirit'1li !I'eal!�, e dovendosi ritenere che essa stia ad indicare la � concreta disponibilit� � dehle somme costituenti iii ,reddito; 1s� che del.tutto dnconferente potrebbe essere, in p:r�posit-0, ogni considerazione sul possesso eserci1JabRe in modo diirertto o a mezw di detentore, trattandosi di distinzione che non ha senso in materia economdco-finanzriaria; D'altronde, come gi� questa Corte ha avuto .pi� volte occasione di ricordare, non solo a proposito del tema qui specificamente affrontato (ved. sentt. n. 3889/80 e n. 5785/80), ma anche. 'in vi!a generail~ (ved. seilitrt. n. 2953/77, n. 1877/78 e n. 2324/79), in materia di imposta .sulle societ� ~l reddito 1imponibile, giusta quanto disposto daJ,l'art. 150 del t.u., � qu�llo determinato sulla base delle :risultanze del bHanoio, per cUJi non .pu� p!I'etendersi di tassare somme che non risultino ncll'attiivo del hi:lap.oio delle societ� partecipanti, come percepite per effetto della partecipazione, a meno che U bilancio non venga impugnato con la procedura esprns,samente prevista, H che non dsu1ta essere avvenuta nel caso dd specie. Infine, per confutan; definitivamente 11a tesi secondo cui la tassazione in questione dovrebbe effettuarsi in conformit� del principio generale contenuto nell'art. 135, lettera e), del t.u., va considerato che detta norma, piuttosto che indicatrice di un criterio generale di t,ag,sazione, ha natura del ,tutto pecul�iare, dovuta 'a .ragioni di politica 'tributar~a; va cons~derato, cio�, che il legislatore delegato, nell'eseri::izio degl� ampi poteri di �petfezionamento e raziiona1izzazione dell'attivit� dcll'Amministrazione neiltl'i:�p: plicaziorte . dei tributi e �.nell'accertamento dei redditi, conferitigili dai nn. 1)e 2) deWart. 63 legge n. 1 del 1958, ha tenuto presente fa neces,s:it� di colpire comunque oc�n impqsta complementare, o con imposta sulle societ�, tutti. i redddti compilcessivi dei v01ri possdbili soggett� di imposta; e pu� perci� r1teners,i che abbiia formulato fa particolare nOII'IDaHva delJ.' il:trt. 135, 1lettera e), per :hl fatto che 1'1imposta sul1e societ� colpiiva soltanto le persone giuridiche e quella complementare 1soltanto l�e .persone fisiche, s� �cne, tiJn definitiva, sarebbero rimasti esenti da iimpos~ione com- I I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 401 plessiva i 111eddi1li di societ� di persone; e pel'tanto ha t1nteso colpire queste ultime indi1rettamenrte, attraverso ~a diretta 1lassa7Jione dei soci, 1 colpendo il Teddito delile societ� appena formatosi, t1ndipendentemente daihla sua distrubuZJione, reahlzZJando un'imposizione fondata su presunzione nei confronti dei soci persone fisiche, gli unici assoggettabili all'imposta 'complementare; e nei confronti dei quaili la rperoeZJione del rnddito sarebbe stata pi� difficilmente accertabhle che non nei confu"onrt� di soggetti tassiani in base a bii1arnoio ~hl. che � stato puntualmoote ll'ipetuto, cnn 11 perseguimooto dello stesso risultiato, dal nuovo �sfatema di tassaZJione unica del ,reddito, come realizzato dm materia di IRPEF ne11'art. 5 del D.P.R. n. 597 del 1973): ragioni, queste, di politica tributaria, che non sus1sistevano ,affatto nei confmntli ,dd soggetti gi� direttamente tassati di per s�, ossia delle ;persone giuridiche assoggettate all'imposta sulle societ�. (omissis). 13 SEZIONE SETTIMA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI GIURISPRUDENZA IN MATERIA TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 23 marzo 1982 n. 11 -Pres. Tambur� rino -Rel. Bile -Ministeri delle finanze e dei lavori pubblici (Avv. Stato Fiumara) c. Consorzio dei Cavi Litta ed Uniti � (avv. G. Coronas e Morzillo). Acque -Concessione -Riconoscimento di antica utenza -Impugnazione del provvedimento ricognitivo -Termini -Imposizione e misura del canone -Operativit�. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 3, ultimo comma). Il termine di sessanta giorni dalla notifica, assegnato per il ricorso ai tribunali delle acque contro i provvedimenti in materia di riconosci� mento di antica utenza, riguarda anche le contestazioni sull'imposizione e la misura del canone, che, scaduto il termine, non possono perci� farsi valere attraverso una domanda di restituzione (1). (Omissis) 1 -Con il primo motivo di appello le Amministrazioni insistono sull'eccezione di inammissibilit� della domanda proposta dal Consorzio, ai sensi dell'art. 3, ultimo comma, r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775. I La censura � fondata. La norma citata dispone che il ricorso ai Tribunali delle acque pubbliche contro i provvedimenti di riconoscimento di antiche utenze deve essere proposto nel termine di decadenza di sessanta giorni dalla I notificazione del provvedimento stesso. Nella specie il termine era ampiamente decorso, poich� il riconoscimento dell'utenza rimonta al 1938 mentre il Tribunale � stato adito nel 1964. La sentenza impugnata ha superato l'eccezione di decadenza ritenendo che la norma si applichi soltanto ai ricorsi concernenti l'accertamento del diritto, e non anche a quelli relativi all'imposizione ed alla misura del canone. La tesi non pu� essere condivisa, in quanto il testo della norma non consente di distinguere fra un contenuto �necessario� (riconoscimento (1) Non consta dell!'esistenza di precedenti in termini; per applicazioqe dell'art. 3 uLt. comma del T.U. del 1933 cfr. Trib. 1 April.e 1965 n. 7 in Cons. Stato 1965, II, 169. un caso di Sup. Acque ~ I i l ! I I I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE FD APPALTI PUBBLICI 403 dell'antica utenza) e un contenuto �accessorio� (imposizione del canone), per cui la previsione del 'termine di decadenza di cui all'art. 3, ultimo comma; citato si riferirebbe soltanto al primo e non anche al secondo aspetto del provvedimento. Ed inoltre nel caso in esame il provvedimento del 1938 conteneva anche la determinazione del canone in L. 9.267 annue: orbene il Consorzio si � rivolto nel 1964 al Tribunale regionale per chiedere la dichiarazione di illegittimit� di questa determinazione, e solo sul presupposto di una tale dichiarazione sarebbe stato del resto possibile proporre una domanda di restituzione della somma che si assumeva pagata in pi� del dovuto. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di appello, si deve ritenere inammissibile per intervenuta decadenza il ricorso introduttivo proposto dal Consorzio al Tribunale regionale delle acque. (Omissis) TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 23 marzo 1982 n. 12 -Pres. Tamburrino -Rel. Bile -Ambrogio (avv. Picotti e Morandini) c. Consorzio irriguo della Roggia Bassana (avv. Peroni e Pennella), Consorzio idrico del fiume Mella (avv. E. Romanelli e G. Coronas) e Ufficio del Genio civile di Brescia (Avv. Stato Carbone). Acque -Giudizio e procedimento -Dichiarazione di incompetenza del tribunale regionale -Mezzo di impugnazione . Appello al tribunale superiore � Esclusione � Regolamento necessario di competenza. (cod. proc. civ., art. 42). La sentenza con cui un tribunale regionale delle acque pubbliche declina la propria competenza non � impugnabile con appello al Tribunale superiore, ma con ricorso alla Cassazione p�r regolamento necessario di competenza (1). (Omissis) La sentenza del Tribunale regionale (che ha deciso sulla giurisdizione e sulla competenza) � stata impugnata dall'appellante soltanto per quanto riguarda la dichiarazione di incompetenza, come risulta con assoluta chiarezza dalla lettura dell'atto di appello. (1) Nello stesso senso, Cass. 20 settembre 197'1 n. 2620, in Giust. civ. Mass. 1971, 1437 e Trib. Sup. Acque 21 lugldo 1972 n. 31, in Giust. civ. 1972, I, 14S2 e Cons. Stato 1972, II, 856. In argomento cfr. altres�, P. VIITORIA, Statuizione sulla competenza e prosecuzione del giudizio, in questa Rassegna 1974, I, 737 e, in generale, swMa questione della applicabilit�, al giudizio davanti ai tribunaili delle acque, degli isdtuti processuali configurati dal codice di rito del 1942, Cass. 14 dicembre 1981 n. 6591 e 29 ottobre 1981 n. 5693, in questa Rassegna 19&1, I, 547. 404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Si pone quindi la questione -sulla quale 1'appellato insiste nelle proprie difese -del mezzo di impugnazione esperibile per ottenere il riesame delle statuizioni rese in tema di competenza dai tribunali delle acque. La tesi secondo cui in casi del genere la decisione del tribunale regionale � soggetta (non all'appello del Tribunale superiore, ma) al ricorso alla Corte di cassazione per ottenere il regolamento necessario di competenza � stata accolta da questo Tribunale superiore (con sentenza n. 31 del 1972). Essa � fondata sul rilievo che le norme attributive alla Corte di cassazione del potere di regolare la competenza -per il loro carattere generale e per l'evidente esigenza della loro uniforme applicazione -devono essere osservate anohe nel procedimento dinanzi i tribunali delle acque, pur se il codice di procedura civile del 1865 (richiamato dal testo unico approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775) non conosceva l'istituto del regolamento di competenza: in questo senso si sono gi� pronunziate le Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cfr. sentenza n. 2620 del 1971). Si deve quindi concludere che la decisione del Tribunale regionale delle acque di Milano, dichiarativa della propria incompetenza sulla domanda proposta dall'Ambrogio contro i due Consorzi, avrebbe dovuto essere impugnata, per quanto attiene a tale dichiarazione di incompetenza, con ricorso alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 42 c.p.c. e non con appello al Tribunale superiore. (Omissis) TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 26 marzo 1982 n. 14 � Pres. Cortesani � Rel. Cortese � Soc.r.l. Industrie Tessili SO.IN.TE. (avv. Salmaro e Lorenzoni) c. Magistrato del Po e altri (Avv. Stato Fiumara). Acque -Competenza e giurisdizione -Tribunale superiore delle acque e tribunali regionali -Delimitazione alveo fluviale -Controversie -Giurisdizione -Tribunali regionali. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 140, -lett. b e 143). In presenza di un atto di delimitazione dell'alveo di un fiume non pu� configurarsi un interesse alla sua legittimit� indipendente da una controversia sui risultati della delimitazione, controversia che rientra per� nella giurisdizione dei tribunali regionali delle acque quali giudici ordinari e non in quella del Tribunale superiore giacch� investe la titolarit� di diritti soggettivi (1). (1) Sulla competenza dei tribunali dehle acque in materia di controversie <:oncernenti ~a ricomprensione o meno di zone di terreno nell'alveo, cfr. Trib. Sup. Acque 6 maggio 1980 n. l3 in questa Rassegna 1980, I, 862; Cass. 4 gennaio 1978 n. 13, in questa Rassegna 1978, I, 130. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 405 (Omissis) Occorre innanzitutto vagliare l'eccezione cli inammissibilit� del ricorso per difetto di giurisdizione, formulata dalla difesa delle Amministrazioni resistenti. Essa � fondata e va quindi accolta. Nella specie la SO.IN.TE pur dichiarando di aver proposto ricorso non al fine di tutelare il suo diritto dominicale sulla golena che il Magistrato del Po ha incluso, con l'impugnato atto di delimitazione, nell'alveo del fiume, in effetti ha dedotto in giudizio una situazione giuridica che non pu� non esser qualificata come un diritto soggettivo perfetto. � ben noto che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale al fine della discriminazione della giurisdizione del giudice ordinario da quella del giudice amministrativo, non vale il criterio della prospettazione, rimessa alla volont� del1a parte, bens� quello attinente ,ana intrinseca natura della posizione soggettiva fatta valere ossia il principio detto del � petitum � sostanziale. A tal fine � irrilevante la circostanza che sia stato emanato un atto cli delimitazione della zona demaniale, giacch�, trattandosi cli demanio naturale, la demanialit� dell'alveo trae origine dalla legge che la collega ad una situazione oggettiva della resistente. Sicch� l'atto formale amministrativo non costituisce esplicazione cli un potere discrezionale autoritativo, e non � idoneo a degradare, per motivi di pubblico interesse, il diritto ad interesse: esso ha effetti dichiarativi e non costitutivi. Pertanto quando anche la P.A. avesse illegittimamente nel demanio idrico compreso beni cli propriet� privata, essa avrebbe agito in carenza assoluta cli potere, senza affievolire i diritti della SO.IN.TE. Del resto l'art. 140 lett. B) t.u. 1775 del 1933 include nella competenza del giudice ordinario specializzato (Tribunale Regionale delle Acque) le controversie sulla consistenza dell'alveo nonch� quelle concernenti la qualificazione come alveo cli una determinata zona cli terreno, ovunque essa si trovi, e indipendentemente da qualsiasi atto o provvedimento amministrativo (Cass. II, 23 maggio 1962 n. 1178; Cass. II, 24 giugno 1959 n. 1996; 4 gennaio 1978 n. 13; T.S.A.P. n. 13 del 1966; n. 17 del 1965; n. 13 del 1980). N� pu� ipotizzarsi, in contrasto con il comune orientamento della Cassazione e del Consiglio di Stato, la giuridica possibilit� cli far valere i diritti come interessi, giacch�, quando non si produce affievolimento, il giudice competente nei confronti di un atto amministrativo � sempre quello ordinario, ove pure l'atto sia in ipotesi nel contempo lesivo di norme dirette alla tutela del pubblico interesse. Resta infine da rilevare come non esista, in diritto positivo, per lo meno in casi come quello in esame, un diritto alla legittimit� dell'azione amministrativa in capo al ricorrente. Ipotesi configurata da qualche studioso del passato che non ha trovato credito presso la dottrina recente n� in giurisprudenza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 406 Nei confronti dell'atto impugnato la Societ� SO.IN.TE. vanta soltanto, per poter agire in giudizio, la sua qualit� di proprietaria dei terreni, che il Magistrato del Po ha accertato soggiacere alla piena ordinaria del fiume. Non � titolare quindi di altra situazione giuridica soggettiva qualificata che sia tutelabile innanzi a questo giudice, il quale deve pertanto dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione. Neppure sussiste, innanzi al Tribunale Regionale delle Acque, il difetto di tutela famentato dal ricorrente: ovvero tale giudice, nelle materie di sua competenza, ha gli stessi poteri dell'autorit� giudiziaria ordinaria, sicch�, a norma d�gli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 ali. E, oltre a conoscere della legittimit� o meno degli atti amministrativi e ad accertare la lesione eventuale dei diritti vantati, ben pu� emettere condanna ai danni quando ne ricorrano i presupposti (cfr. Sez. Un. 17 ottobre 1959 n. 2920). (Omissis) !� f f ip I l l i, 1 I I I I I I SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI APPELLO DI GENOVA -Sezione za bis, 5 marzo 1981 n. 371 - Pres. Gregorini -Rel. Olivieri -App. Pongiglione Alberto ed altri Parte civile Ministero del Tesoro (avv. dello Stato Guicciardi). Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza. Reato -Reato valutario �previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Pegno a favore di terzi gravante sulle azioni -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Sussistenza. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive mocliiiche -Disponibilit� all'estero superiori ai 15 milioni �di lire -Reato aggravato e non figura autonoma di reato. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni cli societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere -Omessa dichiarazione all'U.I.C. entro il 3 dicembre 1976 -Determinazione del valore delle attivit� non dichiarate, al fine della irrogazione della pena pecuniaria, sulla base del capitale sociale -Legittimit�. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 1, ottavo comma, d.l. 4 marzo� 1976 n. 31 -Inapplicabilit�. Sussiste il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche nell'ipotesi di propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere, non dichiarate all'Ufficio Italiano Cambi entro il 3 dicembre 1976 (1). (1-5) Questioni in tema di reati valutari. La complessa vicenda sotto'posta a;l suo esame ha offerto alfa Corte di Appello di Genova illa possib1Mt� di 1affrontare vari 1nteressanti e delicati problemi in materia pena:1e valutaria, su alcuni dei qua1i non risultano prece 408 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nell'ipotesi di propriet� da parte di residente di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere, l'obbligo della dichiarazione all'Ufficio Jtalian'o Cambi entro il 3 dicembre 1976, previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche, sussiste anche se le azioni siano gravate di pegno a favore di terzi (2). Il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche, nell'ipotesi di attivit� possedute all'estero per un valore superiore ai quindici milioni di lire, costituisce reato aggravato e non figura autonoma di reato (3). [,a determinazione del valore delle attivit� possedute all'estero, e non dichiarate entro il 3 dicembre 1976, nella ipotesi di azioni al portatore di societ� estere e attraverso queste di azioni, di societ� italiane circolanti all'estero ed intestate alle societ� estere, va effettuata, al fine della quantificazione della pena pecuniaria da irrogare, in base al capitale sociale (4). Nell'ipotesi di condanna per il reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche, non � applicabile la confisca prevista dall'art. 1, ottavo comma, del D.L. 4 marza 1976 n. 31 (5). (Omissis) In via preliminare si deve accennare, per completezza di tratt:azione, ad una questione, sorta e risolta gi� nel giudizio di I grado: quella concernente la legittimit� del giudizio direttissimo previsto dall'art. 1 d.l. 4 marzo 1976 n. 31 in ordine ai reati, come quello oggetto del presente giudizio, di omessa dichiarazione di disponibilit� all'estero ai sensi dell'art. 2 legge n. 159 del 1976 e successive modifiche. Come gi� detto in narrativa, il Pubblico Ministero ha adottato il rito direttissimo per il .giudizio di I grado del presente .procedimento. La eccezione sollevata a suo tempo dalla difesa degli imputati � stata respinta dal Tribunale con ordinanza avverso la quale � stata fatta riserva di impugnazione. Non ignora la Corte il contrasto giurisprudenziale, da parte anche del Supremo Collegio, sul problema. In alcune decisioni � stato ritenuto denti g;iurisprudenzia1H: �ammissibiilit� del rito direttissimo nel caso di contestazione del reato prewsto daLl'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e successive modifiche; legittimit� costituzionale delle norme valutarie penali in :r'elazione al Trattato C.E.E.; determinazione del valore dehle azioni esterovestite ai fini dehla irrogazione de1}a pena pecuniaria; sussistenza di figura autonoma di reato o di reato aggravato nell'ipotesi di possesso all'estero �di disponibilit� valutarie o di attivit� di valore superiore ai quindioi milioni; app1foabi1it� della con~isca prevista dall'ottavo comma dell'�art. 1 del D.L. 4 marzo 1976, n. 31, quailora sia stato contestato e ritenuto sussistente i~ reato '.previ�sto dall'art. 2 legge 30 aprHe 1976 n. 159 e successive modifiche. Quanto a.I problema deUa applicab1lit� del 11ito direttissimo nella ipotesi in cui sia contestato H reato previsto dall'art. 2 legge 30 aprhle 1976 n. 159 e PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 409 che il giudizio direttissimo non sia applicabile ai reati previsti dall'art. 2 della citata Legge del 1976 n. 159 e successive modifiche, ostandovi la sistematica delle norme. Invero l'art. 2 legge 159 del 1976, e pi� ancora l'art. 2 della citata le~ge 689 del 1976, prevedono ipotesi di reato nuove rispetto a quelle introdotte da d.1. n. 31 del 4 marzo 1976 e sistematicamente inserite al di fuori di esse, con sanzioni e senza far richiamo espresso alla forma di giudizio previsto dal primo. d.l. In altre sentenze -pi� numerose e pi� recenti -per la verit� � stato sostenuto che la norma processuale introdotta dall'art. 1 d.l. n. 31 del 1976 si estende a tutti i casi di violazione della legge valutaria configurati anche con .successive disposizioni legislative, dovendosi ritenere che tutte le leggi valutarie formino un corpo unico. Grazie a questa teoria -chiamata dall'accorpamento -le norme ritenute di carattere generale previste dal I provvedimento legislativo, vengono estese a tutta la materia. Tuttavia, per il presente procedimento la Corte ritiene di non dover pronunciare sulla questione. Infatti manca da parte degli appellanti uno specifico e sostanziale motivo di doglianza sul punto. Soltanto la Difesa di Alberto Pongiglione e manca Salvi ha introdotto, nei suoi motivi di gravame, una generica doglianza in ordine al rito adottato nel giudizio di I grado. Ta:le accennata lamentela non appare rivolta a provocare la dichiarazione di nullit� del primo giudizio bens� sembra diretta �al di sopra delle dispute di carattere teorico � a censurare asserite manchevolezze della istruttoria dibattimentale ed a sostenere la richiesta -avanzata da tutti gli appellanti -di rinnovazione del dibattimento in questa fase di appello allo scopo di consentire le acquisizioni probatorie ritenute necessarie. La Corte ha acceduto alla istanza di rinnovazione del dibattimento e la questione appare pertanto superata. Ed invero tale superamento � successive modifiche, 1a Corte di Appe1lo di Genova non prende posizione, avendo ritenuto superata la questione a seguito della rinnovazione del dibat1Jimento per consentire le acquisizioni probatorie richieste dalla difesa al fine di co1mare manchevo1ezze de1'1a .istruzione dibattimentale svoltasi in primo grado. Prima, per�, di pervenire a ta1e conolrusione, la Corte di Appelilo accenna agili orientamenti non uniformi espressi daJ SU!premo Collegio. Invero, con pronunzia del 26 settembre 1978 (Cass. sez. pen., imp. Calta� girone in Foro it. 1980, II, 46), la Suprema Corte si � espressa nel senso dehla inappillicabii1it� del rito diI'ettissimo al reato di omesso r.ientro di capitali posseduti l!J1l'.estero, mentre, riesaminando approfonditamente il problema, con successiva pronunzia del 13 dicembre 1978 della I seZJione, est. Bertoni, imp. 410 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO risultato anche nella discussione finale, nella quale nessuna delle difese ha trattato l'argomento della regolarit�, nel caso, del giudizio direttissimo adottato in prime cure. * * ..�: In sede di discussione finale la difesa di Bianca Salvi ed Alberto Pongiglione ha eccepito la illegittimit� costituzionale delle norme penali valutarie emanate nell"anno 1976 per asserito contrasto con !'.articolo 10 della Costituzione che impone al legislatore di confermarsi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Secondo il difensore le norme internazionali violate, sono queHe del trattato cosiddetto di Roma, istitutivo della Comunit� Economica Europea e contenente l'obbligo per i contraenti di non emanare disposizioni limitatrici della libera circolazione dei capitali all'interno della Comunit�. La Corte ritiene che 1a sollevata questione sia priva di valido fond<j.mento e che, conseguentemente, vada respinta. Ci� per molteplici motivi. Soprattutto la violazione costituzionale si ha soltanto quando manca la conformit� a norme internazionali generalmente riconosciute e non gi� a qualsiasi norma di carattere internazionale. Non pare che il Trattato di Roma, intervenuto tra alcuni Stati Europei, possa qualificarsi portatore di norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Inoltre si deve osservare che le norme valutarie penali di cui sopra non pongono nuovi limiti alla circolazione dei capitali fra l'Italia e gli Stati esteri, bens� soltanto rafforzano, attraverso la sanzione penale, la preesistente regolamentazione amministrativa. Infine la questione, qualunque sia la portata delle norme regolatrici della CEE, � ininfluente ai fini della decisione del presente procedimento. Infatti, nel caso nostro, le disponibilit� finanziarie che, secondo l'Accusa, dovevano essere dichiarate entro il termine previsto dalla legge, Biso (ibidem), confermata da Cass. sez. I, ;H maggio 1979 imp. Zara (in Rass. Cass. pen. 1979, 515), ha ritenuto 1'applicabi11t� del rito diTettissimo a tutti i l'eati valutari (cosiddetta teoria dell'accorpamento), riJevando tra J'aLtro che i sei 'provvedimenti '1egi1sJativi emanati, con travagiliata gestazione, nel 197'6 m materia valutaria penale, �essendo tra Joro collegati non solo sostanzialmente, per l'identit� de!Ja materia discip�l�inata, hanno finito con ll'accorparsi, anche sul piano formale, in un unico testo normativo, sviluppatosi intorno ail nucleo originario cost.Huito dailil!e drsposiizioni del decreto legge n. 31. Ques�te dispos>izioni perci� e quelle dei provvedimenti successivi non possono .essere tenute distinte ai :6ini della loro interpretazione, come se costituissero separati col'pi normativi, sia pul'e re1ativi alla stessa materia, ma vanno invece ~ette, in successione llogica e non meramente temporale, come se facessero parte PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 411 erano disponibilit� esistenti nella confederazione elvetica e nel Principato del Liechtenstein, cio� in Paesi che non fanno parte della Comunit� Europea. Responsabilit� degli imputati Alberto Pongiglione, Bianca Salvi e Vincenza Pongiglione. � il punto focale del processo. Si tratta di stabilire se detti imputati fossero, alla data del 19 novembre 1976, proprietari deHe azioni al portatore della societ� di Vaduz elencate nei capi di imputazione, e attraverso di queste, delle azioni delle societ� italiane circolanti all'estero ed intestate a quella di Vaduz. Se la risposta al quesito � positiva, si deve conseguentemente ritenere che i Pongiglione avessero l'obbligo di compiere la dichiarazione prevista, appunto per le disponibilit� finanziarie all'estero, dalle leggi 159 e 689 del 1976. Al detto quesito la Corte ritiene debba darsi, con sicurezza, risposta affermativa. Dagli atti del processo emerge con chiarezza che i Pongiglione erano i proprietari delle azioni delle societ� del Liechtenstein. Tanto risulta aUa Corte in modo assai pi� chiaro di quanto non sia risultato al Tribunale, e ci� per una diversa valutazione dei documenti acquisiti agli atti e per le risultanze della compiuta rinnovazione del dibattimento in sede di appello. -Elemento base per la decisione � la famosa scrittura del 2 febbraio 1976. (Omissis) � stato provato che le azioni delle Societ� di Vaduz erano costituite in pegno presso la societ� FINAC a garanzia dei prestiti da questa accordati a Pongiglione Alberto. Tanto � emerso dalla scrittura del 2 febbraio 1976, dalle deposizioni dei testi escussi, proprio al riguardo, in sede di rinnovato dibattimento anche formalmente, di un medesimo testo. Lo stesso legislatore, con le connessioni �e d collegamenti che si sono prima :iililustrati, ha dimostrato come la sua volont� fosse proprio quella di creare, attraverso modifiche aggiunte e successive stratificazioni un corpo normativo unitario, inteso nel suo complesso (come fu �Sottolineato dal Governo durante uno dei dibattiti parlamentari) per � impedire ['esportazione di capitali all'estero, effettuare una ricognizione del patrimonio dei citta:dini italiani ivi costituitosi, fadl:itare d1 rientro di cap~tai1i, rinaZJionailizzare beni siti in Italia fittiziamente 1ntestati a nom1nativ:i esteri �. SU!Ha questione, essendo stata riproposta dagli imputati nel ricorso avverso fa sentenza annotata, Ja Suprema Corte dovr� nuovamente pronunziarsi. Comunque, ne1 frattempo, a seguito dd ordinanza del giudice ~struttore del Tribunale di Prato del 10 marzo 1981, � stata investita del probJJema !La RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO 412 in appello, dalla documentazione bancaria e contabile prodotta dagli imputati Walser e Zullig ed infine dalla perizia, �effettuata per conto della FINAC, dai commercialisti Pozzo e Tedeschi e versata negli atti del processo, nella quale, sulla base dell'esame dalla contabilit� della Societ�, � stata documentata la realt� del credito di queste ultime. La legge sopra dichiarata recita testualmente: �chiunque... possiede all'estero, direttamente od indirettamente, disponibilit� valutarie od attivit� di qualsiasi genere costituite anteriormente al 6 marzo 1976... � tenuto... a farne dichiarazione... �. Si pone il problema se i Pongiglione � possedessero � le disponibilit� od attiv:it� che avevano costituito in pegno e se, quindi fossero o meno tenuti alla dichiarazione. Infatti, la difesa dei Pongiglione ha sostenuto che il possesso delle attivit� era della FINAC che le aveva in pegno. La Corte ritiene invece che il possesso, nel senso inteso dalla legge valutaria, fosse, nonostante fa sussistenza del pegno, in capo ai Pongiglione e che quindi, questi avessero l'obbligo di fare la dichiarazione entro il termine stabilito dall'art. 2 della legge sopra dichiarata. E noto, infatti, che il concetto di possesso, proprio della dottrina civilistica, assume nel Diritto Penale un significato ed un contenuto tutto particolare in relazione alle speciali esigenze di questo ramo di diritto. Inoltre nel caso della Legislazione valutaria il termine � possesso � deve essere riguardato in un senso ancor pi� particolare, attese le speciali finalit� di essa. La legge 689 del 1976, all'art. 2, prevede il possesso, sia diretto sia indiretto, delle disponibilit� ed attivit�, ed un caso di possesso indiretto � appunto quello del titolare che possiede attraverso il creditore pignoratizio, il possesso del quale ultimo risulta affievolito. Nella stessa disposizione viene previsto il possesso di attivit� trasferibile -e per converso di attivit� intrasferibili -prevedendo per le Corte Cos,tituziionale, avendo detto giudice ritenuto l'obbligatoriet� del giudizio direttffis,simo soltanto per i deILtti di esportazione il1ecita di valuta e di costituzione iihledta di disponib�llit� valutaria ahl'estero, e ravvisato, nella diversa disci'p]ina prooes.suale, una disparit� di trattamento tra queste ipotes~ delittuose e que11e di omessa dichiarazione e reimportazione di disponibilit� possedute all'estero, �rispetto ai principi generali del processo� e �in termini di lesione del principio di 11azionalit� e di uguagli:anza pi� che in termini di lesione del diritto di difesa >>, stante l'identit� della materia e della obiettivit� giuridica dei reati penali valutari. Quanto aHa asserita iillegittimit� costituzionale della normativ;a penaJe valutaria, per contrasto con i~ T�rattato di Roma dstitutivo deHa e.E.E., la Corte di Genova ha ritenuto inammissibiJe la questione sollevata per difetto l i ! ' i l I I i l ! �tfit. - PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 413 prime tutta una serie di adempimenti per provocare il loro rientro in Italia. Nel primo comma dell'art. 2 � stabi:lito l'obbligo della dichiarazione per il caso di possesso, diretto od indiretto, di attivit� e nei commi successivi viene disdplinato il rientro delle attivit� trasferibili possedute. Si deve pertanto concludere che il possesso del primo comma pu� riguardare tanto attivit� trasferibili quanto attivit� non trasferibili. La intrasferibilit� � stata collegata, in talune circolari amministrative, esclusivamente a vincoli pubblicistici quali ad esempio divieti imposti dalla legislazione estera, provvedimenti giudiziari e ogni altro vincolo che possa essere ricondotto al � factum principis �, Ma tale limitazione, non �, ad avviso della Corte fondata, perch� tra i vincctli che rendono intrasferibile in Italia l'attivit� all'estero, ben possono rientrare anche quelli di Diritto Privato dipendenti dalla volont� delle parti come appunto la costituzione del pegno. La difesa della parte civile ha insistito sulla natura integrativa delle circolari" ministeriali (nella specie la circolare A345 emessa dall'Ufficio Italiano dei Cambi in data 11 novembre 1976) rispetto alla norma di legge. Tale assunto non pu� essere condiviso dalla Corte: infatti il potere delle circolari ministeriali di dntegrare le norme legislative deve essere limitato ai r�chiami che di tali circolari fa la legge, e la legge nel caso in esame, rimanda alle disposizioni dell'Ufficio dei Cambi soltanto per la determinazione delle modalit� con cui dovranno essere adempiuti gli obblighi da essa imposti. In sostanza l'Ufficio dei Cambi pu� soltanto stabilire le modalit� di carattere esecutivo necessarie per il compimento delle procedure indicate dalla legge e non � assolutamente pensabile che di fronte ad una norma incriminatrice di una determinata condotta, provvedimenti di natura meramente amministrativa possano creare ambiti di punibilit� o non punibilit�. d� rilevanza, atteso che J.e disponibilit� finanziarie che dovevano essere dichiarate all'U.IiC. nel termine della legge previsto, erano disponibilit� esistenti nel Liechtenstein do� in paese che non fa parte del.!la Comunit� Economica Europea. Comunque, a seguito dehl.a pronuncia 11 11Jovembre 1981 de11a Corte di Giustizia de11e Comunit� Europee (in Foro it. 1982, col. 73, parte relativa a:lla giurisprudenza comunitaria e straniera) la compatibilit� della normativa valutaria penaile con il Trattato e.E.E. non sembra possa essere revocata in dubbio. Ritiene inoltre la Corte di Appel[o di Genova che, qualora iii valore delle disponibilit� vailutaTie o delle attivit� costituite all'estero e non clichiarnte all1Jfficio Italiano dei Cambi nel termine previsto, superi i quindicimiJ.ion1 di 111re, si � in presenza di una circostanza aggravante (con la conseguente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 414 Chiarita in tal senso la portata della nonna di cui all'art. 2 della legge 689 dci 1976 nel senso cio�, che il possesso, del quale � obbligatorio fare denuncia, pu� riguardare anche attivit� intrasferibili per la sussistenza 1di vincoli privatistici, ne deriva che i Pongiglione dovevano provvedere alla dichiarazione entro il 3 dicembre 1976 della loro propriet� delle azioni delle societ� di Vaduz ancorch� depositate in pegno presso la FINAC. Infatti la legge valutaria non mira soltanto a far rientrare in Italia le disponibilit� che i cittadini italiani hanno all'estero, ma vuole anche, come chiaramente risulta dai lavori preparatori, censire queste dispo nibilit�. Non � pensabile che ogni qualvolta sussista, su tali disponibilit�, un vincolo, che potrebbe anche essere di natura privatistica e volontaria, il titolare della disponibilit� possa omettere la dichiarazione. E ci� anche al fine di evitare pattuizioni simulate e miranti ad elu dere il comando legislativo. La sussistenza del vincolo pu� rendere intrasferibile la disponibilit�, ma non esime daH'obbligo .della dichiarazione che � previsto dal primo comma dell'art. 2 della Legge 689/76 e che riguarda, ripetesi, il possesso sia di attivit� trasferibili sia di attivit� intrasferibili. l L'art. 2 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 nello stabilire le sanzioni per i casi di inosservanza, prevede la multa fino a Lire 500.000, ovvero � ��� se la violazione si riferisce ad attivit� o disponibilit� di valore superiore a 15 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa fino al quadruplo del predetto valore �. Sorge, quindi il problema di stabilire se, allorquando il valore della I disponibilit� od attivit� non dichiarate superi i 15 milioni di lire, si sia in presenza di un reato aggravato oppure di una figura autonoma di reato. La Corte ritiene che si tratti di una ipotesi aggravata. Infatti in ambedue i casi -inferiorit� o superiorit� all'importo di lire 15 milioni l'�nica differenza � di mera quantit�. possibilit� del giudizio di comparazione tra 1a aggravante ed eventuaili aittenuanti) e non di una figura autonoma di reato. Non sembra che rassunto possa essere condiviso. Come � stato rilevato in una sentenza che sar� pubb1icata in un prossimo numero l'inteJ:'.pret32ione delila legge deve essere effettuata sulla base , dei due canoni previsti dai1l'art. 12 de11e disposizioni sulla legge in generale: fil significato proprio de11e parolie secondo la connessione di esse e l'intenzione del legislatore. Costituisce pertanto inaccettabiJ.e petizione ,di principio il ritenere in ogni caso elemento aggravante e non specializzante l'entit� del valore dei beni prescindendo daLl'applic~one dei canoni obbligatori nell'interpretazione delJa PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 415 Tutti gli elementi dell'una ipotesi sono presenti nell'altra con la sola variante quantitativa. In altre. parole l'elemento specializzante della fattispecie non comporta alcuna variazione dei dati essenziali della sua tipica conformazione, tutti presenti nell'ipotesi pi� rigorosamente punita, ma soltanto una variazione quantitativa della lesione del bene protetto in ragione della concreta entit� del pregiudizio, che, dal fatto, potrebbe derivare alla economia nazionale. La previsione di una pena autonoma per il caso del superamento del valore di 15 milioni non � certo di ostacolo per ritenere l'ipotesi di un reato aggravato. Nel Diritto Penale non sono pochi i casi in cui la figura aggravata di reato comporta una sanzione autonoma del tutto svincolata, sia sotto il profilo dell'entit� . e talvolta anche della qualit�, da quella prevista per il reato semplice. � sufficiente pensare al caso della rissa nel cpv., dell'art. 588 C.P., nel quale vi � addirittura variazione del bene protetto; alle varie aggra vanti del furto previsto nell'ag:t 625 cip., soltanto per citare i casi pi� noti e pi� semplici. Ne pu� seguirsi, ad avviso della Corte, la argomentazione -svolta dalla difesa delle costituite parti civili -che la formulazione della legge non consente di stabilire, se nel caso pi� gravemente punito si tratti di una aggravante rispetto al reato base o se invece nell'ipotesi pi� lieve. mente punita si abbia una forma attenuata del reato base. Basta la lettura del testo di legge per potere identificare con chia rezza il reato base e la sua figura aggravata nel caso del supemmento del valore di 15 milioni. Per concludere, si osserva ancora che il testo dell'art. 2 della Legge 869 del 1976 � simile a quello della primitiva formulazione dell'art. 1 d.l. 4 marzo 1976 comma 4� nel quale si � sempre ravvisata, nell'ipotesi pi� gravemente punita, la ricorrenza di una circostanza aggravante. Fu proprio per evitare le conseguenze di tale considerazione che il legislatore, nella successiva legislazione penale valutaria, ha modificato legge. Tale rilievo assume particolare riilevanza in relazione al testo legislativo in esame. Invero, con �riguardo al significato proprio delle parole, �ovvero,. � con giunzione che serve ad opporre al discorso !>recedente ed � sinonimo di � o al contrario '" �o invece �. La norma in esame pu� e deve pertanto essere 1letta in questa formulazione:. �Chi non osserva le prescrizioni stesse � punito con la multa fino a 1Ure 500 mila o al contrario, se '1a violazione �si riferisce a dispo nibilit� o attivit� di vailore superiore a 115 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni e con 1a multa fino al quadruplo del predetto valore �. Appare quindi evidente che il maggior valore, superiore ai 15 miilioni,. si .pone come elemento in opposizione a quello �inferiore ai 15 milioni e pertanto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 416 la norma dell'art. 1 d.l. citato, nel senso di prevedere, capovolgendo i termini della questione, una figura base di reato ed una forma attenuata dello stesso, punita con pena .indipendente pi� lieve. Pertanto, la Corte ritiene che i Pongiglione debbano rispondere di una forma aggravata di reato. * * * (omissis) Come s1 e g1a detto, la posizione individuale di ognuno dei singoli imputati, deve essere differenziata ai sensi dell'art. 133 -c.p., relativamente. alla entit� della sanzione. A tale scopo � necessario stabilire il valore deHe attivit� non dichiarate perch� sulla base di tale valore deve essere graduata la pena. Il Tribunale ha, soltanto in parte, individuato esattamente il criterio per giungere alla valutazione delle disponibilit� non dichiarate e cio� ha visto giusto quando ha affermato ehe i capita.ii delle societ� italiane, eccezion fatta, naturalmente, per un caso della societ� proprietaria della cosiddetta Badia di San Giuliano in Genova intestata alla societ� Halwil, la quale � sempre stata esterovestita. Per altro, nell'ulteriore modo di procedere, il Tribunale non pu� essere seguito dalla Corte. I primi giudici, infatti -respinta la tesi pi� rigoristica del Pubblico Ministero che voleva si tenesse conto, nella valutazione, solamente delle poste attive senza considerare quelle passive -hanno valutato le societ�, depurando l'attivo dal passivo, basandosi su alcune perizie extra giudiziali effettuate ad iniziativa delle Banche finanziatrici, e sempre considerando a parte il caso dell'Abbadia di San Giufiano acquistata per Lire 230 milioni, e della Societ� ILVA il cui sequestro � stato convertito in quello della somma di Lire 5 milioni. Contro tale modo di procedere, hanno reagito tutti gli imputati nei loro motivi di gravame lamentando la inattendibilit� delle perizie private, effettuate per finalit� diverse e fra loro anche discordanti e quindi sospette di sopravalutare o sottovalutare i singoli fattori. di piena mlevanza ai fini di una specifica caraitterizzazione della fattispecie criminosa. D'aiJitra '.Parte l'enorme divario di pena esistente tra la prima ipotesi -multa fino a 500 mila Lire -e la seconda -reclusione da uno a sei anni e multa fino al quadruplo del valore dei beni -costituisce elemento univocamente sdntomatico della volont� del legislatore di una diversa punizione tra fattispecie criminose essenziadmente diversificate tra loro proprio in relazione alla diversa entit� della lesione cagionata all'economia nazionale. Sw1a effettiva intenzione del legislatore depone anche un altro ordine di considerazioni: l'art. 2 deLla �legge n. 863/1976 ha modificato la discipHna dellle sanzioni quale prevista nel precedente art. 1 d.l. n. 31/1976 per i reati di iiNedta esportazione ed dllecita costituzione di attivit� �all'estero; per �Il reato PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 417 Gli imputati hanno anche ravvisato, nel modo di procedere del Tribunale, la lesione dei diritti della difesa, per avere fatto ricorso, su un punto cos� importante, come quello della valutazione della societ�, che costituisce la base per l'ammontare della sanzione pecuniaria da irrogare, ad atti non assunti nel processo, ma acquisiti dall'esterno come meri fatti storici da valutarsi liberamente, ed hanno chiesto a questa Corte di espletare, in sede di rinnovazione di dibattimento, i necessari accertamenti peritali per giungere alla esatta valutazione delle Societ�. La Corte non ha acceduto, sul punto, alla richiesta rinnovazione del dibattimento, e ritiene di adottare, ai fini in esame, un criterio che rende superfluo l'accertamento peritale richiesto dalla difesa degli imputati. La Corte ritiene, infatti, che, contrariamente all'assunto del Tribunale, per la determinazione sicura del valore della societ�, debba farsi riferimento al loro capitale sociale. Questo appare come elemento sicuro di valutazione perch� riflette il valore minimo da attribuirsi con sicurezza alle societ�. Con tale criterio che � evidentemente il pi� favorevole agli imputati, si superano tutti i possibili dubbi circa la rispondenza alla realt� di accertamenti demandati a periti, i quali risentono in ogni caso di elementi di carattere soggettivo. Infatti anche le perizie stragiudiziali acquisite dal Tribunale non sono fra loro concordanti e differiscono l'una dall'altra in misura assai notevole. Tanto premesso, la Corte osserva che il capitale sociale esterovestito presente nella societ� San Gallo che ha incorporato quasi tutte le altre, ammonta a Lire 871 milioni (Lire 475 milioni intestati alla SHIL di Vaduz e Lire 396 milioni alla ILMAR di Vaduz). La Badia di San Giuliano, interamente intestata alla Societ� HALWJL di Vaduz, � stata pagata Lire 230 milioni e tale pu� essere ritenuto il valore della societ� proprietaria che, a quanto risulta, possiede soltanto questo bene. � base � � in ogni ooso prevista la pena della reclusione da 1 a 6 anni e della roulita dal doppio al quadruplo dei beni; se fil vail:ore dei beni non supera i 5 miMoni la pena � deHa multa dalla met� al triplo. La dottrina e la giurisprudenza (v. sentenza della Cass. sez. III 7-XI-1979 d:n Giust. pen. 1980, II, 333) concordano nel ritenere che, in virt� di tale modifica ~egis'1ativa, il valore dei beni abbia pel.'duto hl ruolo di elemento circostanziante ed assunto quello di base per ,Ja determinazione della multa congiunta dn ogni caso al:la reclusdone. Quello che importa rilevare in questa 1sede � l'opinione comune, sia in dottrina che in giurisprudenza, che fil legislatore sia stato indotto a quella modifica proprio per opporsi all'orientamento giurisprudenziale, affermatosi nel vigore della precedente normativa, che consentiva il giudizio di compa 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 418 La Societ� ILVA � stata valutata, in sede di trasformazione del suo sequestro, in Lire 5 milioni, e tale valore pu� essere accettato. Per la Immobiliare Ettore Vernazza, H capitale sociale esterovestito -intestato alla PRIVEST A.G. di Vaduz -� di Lire 80 milioni (vedasi foglio n. 13 del rapporto principale della Guardia di Finanza). Il totale quindi dei capitali esterovestiti e non dichiarati riconducibile ai Pongiglione � di Lire 1 miliardo e 186 milioni (1.186.000.000). Secondo i dati processuali acquisiti e in precedenza illustrati, tale capitale esterovestito va scritto ai singoli imputati nella ben nota proporzione e cio�: per il 45 % ad Alberto Pongiglione per il 45 % a Bianca Salvi in Pongiglione e per il 10 % a Vincenzo Pongiglione. (omissis) * * * ti quello della confisca uno degli argomenti pi� dibattuti del presente procedimento e sul quale si sono cimentate in modo particolare le difese degli imputati. Particolare importanza assume questo problema nel presente processo, per la grande massa di beni che dovrebbero cadere sotto H provvedimento di confisca o rimanerne fuori. L'impugnata sentenza ha disposto: � ��.la confisca delle azioni delle Societ� San Gallo, Ettore Vernazza e Immobiliare Corte possedute dalle Societ� SIHL, ILMAR, PRIVEST, FOTEMA e ANSTALT SPONSOR, disponendo l'annotazione di tale provvedimento sul libro dei soci delle predette societ� nonch� �lra confisca dei beni -immobili iin sequestro penale e della somma di Lire 5 milioni in cui � stato convertito il sequestro effettuato nei confronti della Societ� ILVA �. Sono stati quindi confiscati tutti i beni costituenti il patrimonio delle societ�. Come si � gi� detto, la reazione avverso tale pronuncia del Tribunale � stata unanime e vivace da parte della difesa di tutti gli imputati. Il Tribunale ha ritenuto la legittimit� della confisca argomentando che ai reati previsti daH'art. 2 della legge 159/76, modificato poi dal- razione tra le attenuanti e l'aggravante del valore superiore ai cinque miJiioni; il che sostanziailmente equivale a riconoscere che, anche in precedenza, l'intenzione del legislatore era quehla di considerare fil reato � pi� grave � come fattispecie a se stante. La considerazione assume tanto maggior rilievo se si Hen presente che la norma che stiamo esaminando ( � Chi non osserva... ovvero... �) � stata emanata in una data (ottobre) di poco anteriore a quella (dicembre) de11a norma ritenuta innovatrice. Da condividevsi � invece quanto osserva la sentenza che si annota in 011dine al1a sussistenza .del reato ~reV11sto dall'art. 2 della :legge 30.4.1976 n. 159, sostituito da1'1'art. 3 delWa legge 8 ottobre 1976 n. 689 e integrato dall'art. 3 della legge 23 dicembre 1976 n. 863, anche nella itmtesi in cui i~ possesso, del qua:le � obbligatol'io fare denuncia, riguardi attivit� intrasferibili per Ja sussi� PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 419 l'art. 2 della legge n. 689/76, vada estesa la disposizione, sul punto, del� l'art. 1 d.l. 4 marzo 1976 n. 31. Il Tribunale ha cos� accolto la teoria dell'accorpamento delle leggi valutarie emanate nel 1976, che costituirebbero un tutto unico e porterebbe ad applicare le disposizioni di carattere generale e contenute nel primo provvedimento a tutti i casi di illecito valutario anche se, successivamente introdotto con separata disposizione. I primi giudici hanno anche ritenuto che la norma sulla confisca prevista dalla norma sopra citata deroghi interamente alle disposizioni generali previste dall'art. 240 c.p. sia nella parte in cui questo rende la confisca facoltativa sia nella parte che contempla la salvaguardia dei diritti dei terzi. Hanno poi ritenuto, con una serie di argomentazioni, che non � il caso qui di riportare, di superare il problema rappresentato dalla personalit� giuridica, distinta da quella degli imputati, delle societ� proprietarie dei beni nonch� i richiami gi� contenuti in una pronuncia della suprema Corte di Cassazione che ha deciso un incidente di esecuzione sollevato in ordine al sequestro dei beni poi confiscati e nella quale erano contenuti chiari richiami ai limiti della confisca prevista dalla legge valutaria ed ai rapporti con la norma prevista dall'art. 240 c.p. (Sent. Cass. n. 4452 del 13 aprile 1979). Il Tribunale ha poi anche ritenuto, ma in via subordinata, che la disposta confisca possa discendere dall'art. 240 c.p. Nella sentenza 'impugnata infatti si legge che in ordine alla confisca: � ��� potrebbe pur sempre farsi ricorso all'applicazione dell'art. 240 c.p.: infatti le societ� servirono" per la commissione del reato e non certo a loro insaputa, perch� la volont� e l'operato della persona giuridica sono costituite in concreto dalla volont� e dall'operato delle persone che concretamente decidono per essa �, E pi� oltre: � le varie societ�... furono costituite allo scopo... di porre in essere, una grossa operazione di evasione fiscale con il cui ricavato era intendimento degli imputati di rea stenza di vincoli privatistici, e ci� soprattutto in relazione aJJla ratio della normativa vailutaria che ha inteso non solo fare rientrare in Itailia le disponibii1it� che i cittadini italiani avevano ai11'estero, ma anche censire dette disponibilit�, come � fatto palese dai lavori parlamentari (v. il brano sopra riportato deL1a pronunzia 13 ottobre 1978 della Suprema Corte; Di Amato, La disciplina penale delle infrazioni vailutarie, in Giust. pen. 1977, 1, 289; Malinverni, Reati vailutari, Giuffr� 1978, pag. 8; Di Stefano, Lineamenti del sistema vailutario dtaHano, Giuffr� 1980, pagg. 455 e segg.). La Corte di Appello di Genova, infine, andando in contrario avviso del T1ribunale, ha escluso la possibilit� della confisca dehle azioni delle societ� itailiane possedute da1le societ� estere (c.d. esterovestizione), sia sotto iJ. profilo dehla obb1igatoriet� (art. .l comma VIII d.I. 4 marzo 1976 n. 31 cos� come 420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lizzare a basso costo ed elevato profitto le costruzioni di Via Madre di Dio�. Secondo il Tribunale questa illiceit� di causa renderebbe applicabile l'art. 240 primo comma c.p. sia in relazione alle azioni delle societ� sia in relazione al patrimonio delle stesse, dato il carattere rappresentativo msito nell'azione e il nesso � strumentale � tra le societ�, il loro capitale e patrimonio e la commissione del reato. Le societ� sono state considerate � terze non estranee � alla commissione del reato anche se non punibili per difetto di imputabilit�. In. ogni caso, infine, sempre secondo il Tribunale, le societ� sarebbero assoggettate a confisca anche se costituite prima dell'entrata in vigore delle leggi valutarie e per finalit� non penalmente sanzionate, perch� le societ� stesse erano state costituite per compiere atti vietati da disposizioni amministrative e continuarono a perseguire i loro scopi anche quando questi diventarono penalmente rilevanti. La Corte ritiene che la costruzione fatta del Tribunale, sommariamente ora richiamata, in ordine alla confisca, non possa essere condivisa. La Corte infatti, ritiene che la �confisca prevista dall'art. 1 d.1. 4 marzo 1976 n. 31 non sia applicabile alla ipotesi di omessa dichiarazione di attivit� o disponibilit� aU'estero ai sensi dell'art. 2 legge 159/1976. Questa converte in legge, con modifiche nel suo art. 1, tutto il corpo del d.1. n. 31; poi nel suo art. 2 e, quindi, fuori del d.1. n. 31, contestato, prevede l'obbligo della dichiarazione per le disponibilit� od attivit� costituite all'estero e per l'inosservanza rimanda alla pena stabilita dall'art. 1 d.l. n. 31, senza peraltro fare alcuna menzione della confisca che pena non � bens� misura di sicurezza. Tale distinzione concettuale � di decisiva .importanza perch� una cosa sono le pene ed altra sono le misure di sicurezza, anche se da taluno si � voluto vedere nella confisca prevista dalla legge valutaria una caratteristica quasi di sanzione supplettiva. Se la legge 159 del 1976 ha fatto, nel punto che qui interessa, un rinvio in ordine alla pena alle disposizioni precedenti e non ha men- sostituito dall'art. 2 defila J. 23 dicembre 1976, n. 863), non potendo a suo avviso tale disposizione essere estesa ali. reati prev.isti dall'art. 2 de11a Jegge 30 apriJe 1976 n. 159, sostituito dailil'art. 3 del1a legge 8 ottobre 1976 n. 689 e integrato daLfart. 3 dehla legge 23 dicembre 1976 n. 863, sia sotto. quello dei11a facoltativit� di cui al primo comma deM'art. 240 C.P. L'assunto de1la Corte di Genova non appare condivisibHe. Come correttamente rilevato dailila Procura Generale presso fa Corte di Appello �di Genova nei motivi di ricorso avverso Ja sentenza che si annota, oggetto del reato di omes�sa dichdarazione di beni od attivit� esterovestite non � ila dichiarazione. Attraverso una interpretazione logico-sistematica della nomnativa penale valutaria non pu� non inferirsi che, come nell'.ipotesi di esportazione di valuta l'oggetto del reato � fa valuta, nehla ipotes.i di omessa :::::--� ;:::: x� .� . �. , . .)f.~ ,, , :::::--� ;:::: x� .� . �. , . .)f.~ ,, , PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 421 zionato la confisca, significa che ha voluto solo la pena e non anche la confisca. Tanto � vero che nell'ultima parte del citato art. 2 la legge 159 rinvia agli artt. 2-4-5 del d.l. n. 31. Ci� significa che allorquando la legge n. 159 ha voluto fare riferimento alle disposizioni del d.l. n. 31 lo ha fatto, espressamente ed in limiti ben precisati. Tanto basterebbe gi� a togliere pregio alla teoria dell'accorpamento che vuole trasferire automaticamente la disciplina del d.l. n. 31 del 1976 a tutte le altre ipotesi di reato valutario successivamente previste. Ed in materia di pene e misure di sicurezza � necessaria la espressa previsione di legge senza possibilit� di discussione od equivoco o di ricorsi ad anteriori procedimenti analogici. Ma vi � di pi�. La legge 8 ottobre 1976, n. 689, dopo aver apportato ulteriori modifiche al d.l. n. 31 del 1976, ha rielaborato, nel suo art. 3, e sostituito l'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159. Nella nuova formulazione della fattispecie crii;ninosa, � stata stabilita la pena fissandola in modo del tutto autonomo senza alcun rinvio o richiamo a disposizioni preesistenti e quando si � voluto, in un solo punto, fare rinvio al d.l. n. 31 pi� volte citato, lo si � fatto espressamente stabilendo nel penultimo comma: � resta salva in ogni caso l'applicazione dell'ultimo comma dell'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, convertito, con modificazioni, nella legge 30 aprile 1976 n. 59 �. Se ne deduce quindi che, per quanto concerne i delitti previsti dall'art. 2 della legge citata, non � stabilita, in alcun modo, la confisca prevista dal d.l. 4 marzo 1976 n. 31. N� pare difficile, al di l� delle argomentazioni letterali e sistematiche basate sul meccanismo della successione delle leggi, vedere la ragione logica del perch� non sia applicabile la confisca nel caso di condanna per i delitti omissivi previsti dall'art. 2 della leggge 159/1976 cos� come modificato dalla legge 689/1976. dichiarazione di beni od 1attivit� esterovestite, oggetto del reato sono tali beni, tali attivit�, per cui non potrebbe non ap:J?ldcarsi quanto meno la norma di cui ahla piiima parte de~l'art. 240 c.p. (confisca facoltativa). Ma sussistono validi elementi che inducono a considerare senz'altro appli. cabiJie, nell'ipotesi criminosa indicata, la confisca obbligatoria di cui a11'ottavo comma deH'art. 1 del D.L. 4 marzo 1976 n. 31. Invero, le norme relative ail giudizio direttissimo ed alla confisca obbli� gatoria sono da ritenersi �di genemle applicazione e non riferibili soltanto ai!Jla ipotesi di reato di cui all'art. 1 deHa 1Legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modificazioni, � po1ich� H carattere punitivo della confisca valutaria e J:'esigenza de11a esemplarit� e deLla celerit� dei giudizi non sembrano potersi giustificare attraverso una interpretazione riduttiva dehle norme v�ailutarie, sol che si ammetta che il i1egis1atore abbia inteso, a parte ila previsione di 'pene diverse per ipotesi diverse di reato, sanzionare in modo particolarmente r.igoroso le 422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per: i delitti di esportazione illecita di valuta, di costituzione illecita di attivit� all'estero, di omessa cessione di valuta straniera all'ufficio dei cambi si ha una disponibilit� o una detenzione di beni che si qualifica come penalmente illecita essendo essa stessa l'oggetto materiale del reato. Nel caso di omessa dichiarazione ed omessa nazionalizzazione dei beni che si trovano nella situazione di fatto descritta nell'art. 2 pi� volte citato, la disponibilit� o detenzione non si qualificano come penalmente illecite essendo soltanto il risultato di una infrazione amministrativa. E per quanto attiene alla esterovestizione dei beni -ipotizzabile soltanto dopo .il 15 gennaio 1977 per effetto della legge 863/1976 -si tratta di una mera simulazione. In sostanza i beni di cui all'art. 2 del testo unificato dalle leggi penali valutarie, non possono essere �oggetto� o �compendio� di reato. Questo consiste nella omessa dichiarazione -ed il suo oggetto � la dichiarazione ed � un reato formale che non pu� trasformare in penalmente illecita una disponibilit� ed una detenzione che sono sorte come illeciti amministrativi. Se si volesse affermare il contrario si urterebbe contro H principio costituzionale della irretroattivit� della legge penale. Resta ora da esaminare se la confisca possa derivare dal disposto della norma generale dell'art. 240 c.p. il quale stabilisce la confisca obbligatoria: 1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, e quella facoltativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. Secondo ii Tribunale, il capitale ed il patrimonio delle Societ� italiane e straniere di cui � causa, sarebbe il prodotto ed il profitto di un infrazioni penaili valuta!l"ie, assicurando allo Stato, comunque, l'acquisizione deMe attivtl.t� o de1le disponibilit� ilLlegittiimamente possedute ovvem non dichiarate nei termini previsti dailla legge�. Anche nel caso di omessa dichiarazione ne!J termme previsto di disponibiJiit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere direttamente o indirettamente possedute a1l'estero, non viene meno il coLlegam.ento fra �La condotta omissiva, penailmente sanzionata, e ila cosa (neHa specie 1e azioni esterovestite). Invero, ~'accertamento de1la violazione di contenuto omdssivo verrebbe sicuramente vanificato e si �disconoscerebbe wa ratio dell'intero sistema normativo valutario (amministrativo e penale) se risultasse intangibhle ed immodificabile la situazione antigiuridica (nella specie esaminata dalla Corte di Genova, il permanere della esterovestizione) che costituisce per certo un effetto ant1giuridico del reato omi:ssivo e come tale, secondo Jo spirito della legge, da eHminare, �aip:punto attraverso ~'aicquisizione da .parte defilo Stato di quanto doveva formare oggetto della dichiarazione. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 423 reato e le societ�, nonch� terzi estranei, sarebbero addirittura gli strumenti per la realizzazione di questo profitto penalmente illecito. Sarebbe quindi, applicabile la confisca facoltativa ex art. 240 primo comma c.p. La Corte ritiene che le societ� italiane proprietarie degli immobili e le societ� straniere portatrici delle azioni della San Gallo, della Immobiliare Corte, Ettore Vernazza non possono che considerarsi �persone� estranee al reato che �, nel presente processo, quello, ripetesi, omissivo dell'art. 2, e che alla commissione di tale reato non abbiano concorso n� con dolo n� con difetto di vigilanza, gli organi rappresentativi delle societ� che non avevano alcun obbligo n� potere di imporre ai PONGIGLIONE l'adempimento delle dichiarazioni a questi imposti dalla legge. Gli immobili e le azioni non sono n� oggetto, n� compendio di alcun reato. La .intestazione fittizia delle azioni pu� soltanto costituire illecito di carattere amministrativo e preesisteva al reato omissivo costituendone anzi il presupposto ossia l'antitesi del prodotto e del profitto. In conclusione, quindi, nel caso in esame non � applicabile, per le ragioni dette, la confisca di cui afl'art. 240 1� comma c.p. Meno ancora � applicabile la confisca prevista dal 2� comma dello stesso art. 240 c.p. Infatti le azioni e gli immobili delle societ� non possono in alcun caso ritenersi �prezzo� del reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 2 legge 683/1976. Le azioni delle societ� e il patrimonio delle stesse non possono certo considerarsi nella loro fisica materialit� come intrinsecamente pericolose e delle quali, pertanto, la fabbricazione, l'uso, il porto o la detenzione costituisce reato. A proposito della detenzione, ripetesi che l'esterovestizione di beni � prevista come -reato, solamente se costituita a partire dal 15 gennaio 1977 in forza della legge 863 del 1976. Grazie all'omissione della prescritta dichial.'azione, persiste l'esterovestizione contro i1 divieto della legge. E lo Stato, sailvo reprimere u1terior.i fatti di esterovestizione commessi dopo il 15 gennaio 1977. (art. 2 legge 23 dicembl:' e 1976, n. 863) non potrebbe 1acquetarsi e consentire che Je azioni ed i beni esterovestiti rimangano tali e nelilia titolarit� dei responsabili del reato previsto dall'art. 2 della wegge 3-0 apr~le 1976 n. 159, sostituito dall'art. 3 dehla legge ,8 ottobre 1976 n. 689 e integrato dall'art. 3 della legge 23 dicembre 1976 n. 863. Tale prospettiva sarebbe assurda e contr~aria ail!lo spkito e ahla volont� della legge. In buona sostanza, tLa normativa valutaria, nel suo compwsso, intende colpire 1'esterovestizione, l'omessa dichiarazione di attivit� esterovestite e le conseguenze di tali comportamenti. NICOLA BRUNI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 424 Quindi nessuna forma di confisca � adottabile per il capitale ed il patrimonio delle societ� italiane ed estere prese in considerazione nel presente procedimento. La confisca disposta dal Tribunale deve essere revocata in ogni sua parte, e di necessit�, quindi, il sequestro penale. La Corte ritiene di poter esimersi dal trattare la questione, ormai superflua, della applicabHit� in ogni caso, della confisca di cose sottoposte a vincolo pignoratizio, in favore di terzi. Solamente od � abundantiam � si osserva che i pegni gravanti sulle azioni delle Societ� e sul patrimonio delle stesse (pegni in favore della FINAC e delle Banche finanziatrici) sarebbero ostacoli insormontabili all'esecuzione dell'ordine di confisca, e ci� sia per quella ordinaria dell'art. 240 c.p. sia per quella speciale, ove per ipotesi fosse applicabile, prevista dalla legge valutaria. (Omissis) PARTE SECONDA QUESTIONI* Associazione Italiana Giuristi per la Difesa della Libert� e dei diritti fondamentali dell'uomo aderente all'lnternational Commission of Jurists di Ginevra. ATTI DELL'INCONTRO DI STUDIO in memoria del Prof. Arturo Carlo Jemolo su: �L'ISTITUZIONE DEL DIFENSORE CIVICO NELL'ORDINAMENTO STATALE ITALIANO�. Roma, 20 aprile 1982 Sala Vanvitelli -Avvocatura Generale dello Stato (*) La Rassegna � lieta di pubblicare gli atti dell'incontro di studio sulla istituzione del difensore civico nell'ordinamento statale italiano. Questa seconda parte della rivista -istituzionalmente destinata alla pubblicazione di art.icoli che esprimono solo il pensiero dei loro autori, come tale non riferibile alla pubblicazione di servizio -� aperta al graditissimo contributo di colleghi dell'Avvocatura o del libero foro, di docenti, di magistrati e di ogni altro operatore del diritto. Ogni volta che ci� risulter� utile e possibile si provveder� anche a mettere a confronto diverse opinioni ed a segnalare quella dell'Istituto con nota di commento o con la pubblicazione di scritti difensivi che enuncino le tesi sostenute in giudizio. INDICE GIUSEPPE MANZARI: Introduzione pag. 49 PIETRO GISMONDI: Ricordo di Arturo Carlo Jemolo. � 53 ALESSANDRO PACE: Problemi costituzionali nella configurazione del difensore civico . . . . . . . . . . . . . . . � 57 RICCARDO CHIEPPA: Il ruolo del difensore civico nella riforma della pubblica amministrazione . . . . . . . . . � 62 ACHILLE CHIAPPETTI: Il difensore civico nelle regioni � 71 FRANCO FAVARA: Significato politico e limiti costituzionali dell'istituto del difensore civico . . . . . . . . . . . . . . . � 83 LEONARDO SANroRo: Il difensore civico nella sua natura e funzione . ....................... . � 93 EMILIO ZECCA: Qualche riflessione nell'esperienza maturata . . � 95 APPENDICE Relazione allo schema del disegno di legge concernente l'istituzione del difensore civico . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 99 I I I Giuseppe Manzari (*) INTRODUZIONE Desidero innanzitutto rivolgere il mio benvenuto ed il mio ringra� ziamento, anche a nome dei colleghi dell'Avvocatura, a tutti i presenti ed in particolare sia agli amici dell'Associazione italiana giuristi per la difesa della libert� e dei diritti fondamentali dell'Uomo, a cui siamo debitori di questa iniziativa, sia agli illustri relatori, che si apprestano a dar vita a questo ~ncontro-dibattito, non a caso, come vedremo, dedicato al ricordo -assai caro ali'Istituto che ho l'onore di rappresentare -di Arturo Carlo J emolo. Mi � gradito informare che la Rassegna dell'Avvocatura � a disposizione, ove occorra, per la stampa delle relazioni e delle comunicazioni scritte e colgo l'occasione per manifestare il proposito di aprire nella nostra Rivista di servizio, con carattere di continuit�, un dibattito sui temi di pi� rilevante attualit� giuridica tra cattedratici, magistrati, avvocati e avvocati dello Stato. Un confronto di idee che sia quasi la continuazione del quotidiano incontro dialettico, che sperimentiamo in tutte le sedi giudiziarie. L'argomento che oggi tratteremo -il difensore civico -� particolarmente vicino agli interessi ed alla sensibilit� dell'Istituto che ha il privilegio di ospitare questo incontro di studio: gi� in precedente occasione ebbi a ricordare come le radici storiche dell'Avvocatura dello Stato affondino in una matrice etico-religiosa comune a queHa dell'ombudsman scandinavo. Ma non voglio cedere alla tentazione di interloquire sul tema del dibattito: siamo tutti impazienti di ascoltare il contributo di pensiero di cosi qualificati relatori, n� voglio sottrarre spazio ad altri interventi, anche di colleghi dell'Avvocatura, che potranno dare l'ulteriore apporto di personali riflessioni, intuizioni ed esperienze. Desidero aggiungere a questo saluto solo qualche parola per associarmi all'omaggio che oggi rendiamo al ricordo di Arturo Carlo Jemolo. Vorr� consentirmelo l'amico Gismondi, che si accinge a commemorarlo da par suo; vorr.ete voi tutti, spero di buon grado, consentirmelo, per esprimere la reverente devozione all'Uomo ed al Maestro, sia a nome personale che dell'Istituto, perch� tra l'Avvocatura dello Stato ed il grande giurista scomparso vi era un particolare rapporto di stima e di affetto. Egli me ne diede recenti testimonianze. Io conservo tra i pi� preziosi documenti della mia vita una sua ultima lettera nella quale, all'indomani del mio discorso di insediamento (*) Avvocato Generale dello Stato. JO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO nella carica che ho l'onore di ricoprire, rammaricandosi di non aver potuto partecipare alla cerimonia e di aver dovuto affidarsi ad altri per la lettura del testo, ancora una volta manifestava il suo vivo interesse per l'avvenire dell'Avvocatura e, pur con la sua naturale modestia, mi offriva il dono di illuminanti pensieri e suggerimenti. Ed un pi� antico ricordo affiora _alla mia memoria: una lezione di stile e di vita da lui ricevuta, che ritengo assai significativa perch� rivela come alla grandezza del suo spirito -che fu quanto altri mai libero e critico -si associasse un profondo rispetto per il valore delle istituzioni e dell'altrui pensiero. Fu al termine della discussione orale della tesi assegnatami ne� concorso ad avvocato dello Stato: egli pur. elogiando la mia dissertazione ed approvandone gli spunti critici, mi invit�, con indimenticabili accenti, ad accostarmi con pi� compresa riverenza ed umilt� alle pronunzie del Magistrato, che deve trarre dalla tensione dialettica del contraddittorio Ja sofferta ed ardua sintesi del giudizio, nell'esercizio di un'altissima funzione. Cos� per moltissimi anni egli fu, quale membro delle Commissioni giudicatrici dei concorsi in Avvocatura, il giudice prestigoso di moltissimi di noi, che associava alla severit� del giudizio del grande giurista la serenit� e l'ammirevole umilt� della sua altissima coscienza ed il suo tratto squisito di gentiluomo, lasciando impresso un segno non cancellabile di guida e di ispirazione di condotta. Devo aggiungere, senza falsa modestia, che egli ricambiava la devozione e l'ammirazione di noi tutti con una stima per l'Istituto, che rappresenta per questo un alto titolo di vanto. Sono sue queste parole che dobbiamo custodire come Ulil patrimonio prezioso del nostro Istituto: � Quante volte -egli scriveva .,.... sento affermare che lo Stato � sempre servito peggio dei privati, mi sorge spontanea l'obbiezione: Per� c'� l'Avvocatura dello Stato. In questo crederei arduo dimostrare che vi sia grande impresa che dal lato dell'assistenza legale ottenga un servizio migliore di quello che presta l'Avvocatura�. Sono parole che tornano alla mente con trepidazione nei momenti difficili che viviamo per l'accresciuta mole di lavoro e per le diffico�t�, dovute a tante cause, di congruamente integrare gli organici, ma che ci spronano -in attesa che nelle sedi responsabili siano affrontati i gravi problemi dell'Istituto -a dare il meglio di noi stessi per mantenerci -e sono certo che ci riusciremo all'altezza del lusinghiero giudizio. Arturo Carlo J emolo non � pi� tra noi, e questa � una delle occasioni in cui diviene pi� acuto il rimpianto, perch� il dibattito sui temi giuridici, che spesso attengono, come oggi accade, ai problemi di fondo di una �Cultura e di una civilt�, trovava sempre in lui un attento osservatore ed interprete, s� che lo spegnersi della sua viva voce ha lasciato un vuoto incolmabile. ~ ! f. PARTE II, QUESTIONI Ma il suo insegnamento ancora ci guida, ed ancora dal suo ricordo e dai suoi scritti riceviamo stimoli ed illuminazioni che possono arricchire il nostro impegno ed indirizzare il nostro pensiero. Egli che, sposando la modestia ad una punta di elegante ironia, diceva di guardare ile questioni � con gli occhiali del giurista �, ha dimostrato quanto lontano giungesse il suo sguardo in una visione del mondo alimentata, oltre che dall'impareggiabile ingegno, da una altissima cultura e da uno studio severo e profondo dei problemi della vita. La sua figura resta tra le pi� ammirevoli della nostra epoca per la vastit� del sapere e per la ricchezza della dottrina che con poliedrica genialit� ha profuso non solo nel campo del diritto ma anche della storia, di cui fu illustre cultore, ed ancora della saggistica e della pubblicistica, in cui vers� l'impegno civile e morale della sua adamantina coscienza. Ed un altro grandissimo pregio vorrei ricordare: la sua umanit�, il suo sentirsi ed essere vicino al prossimo, quel suo vivere modesto, quella sua altissima capacit� professionale esercitata con distacco da ogni interesse economico con l'atteggiamento e l'animo di una povert� francescana. Fu tutto questo Arturo Carlo Jemolo e fu molto di pi�: quello che ho voluto dire � stato dettato solo dal bisogno di riconoscere in lui un maestro, per tutti noi, di vita e di pensiero e di tributargli, come tale, un devoto, commosso ed ammirato ricordo. Vorrei concludere esprimendo la mia convinzione che il difensore civico, pi� e prima che un'istituzione, � un modello ideale di vita ed uno specchio di coscienza. Lo fu in modo eminente -ed a ragione a lui si intitola questo convegno -Arturo Carlo Jemolo, che senza albagia e spoglio di poteri seppe -al pari d'altre nobili e illuminate menti levare la sua autorevole voce educatrice ed ammonitrice. Pu� in qualche modo esserl9 (e deve esserlo) ciascuno di noi se nell'esercizio del proprio compito e del proprio ruolo sapr� attingere all'insegnamento di chi nella sua condotta di vita ha incarnato questo ideale. Potr� esserlo efficacemente solo la persona o l'istituzione che, nell'esercizio di specifici compiti (non amerei parlare di poteri) istituzionali che gli venissero attribuiti, sappia adeguarsi a quella figura ideale che trova un modello esemplare nell'immagine dell'uomo al quale oggi rendiamo onore. Pietro Gismondi (*) ,RICORDO DI ARTURO CARLO JEMOLO Ricordare Arturo Carlo J emolo, in occasione di un convegno sul difensore vicivo, non � possibile senza ricordare l'eccezionale personalit� del Maestro, del testimone operoso della storia tormentata di questo nostro secolo. Ho avuto gi� occasione di scrivere che egli � stato testimone al mutevole divenire sociale e politico, sensibile alle tragedie nazionali, impegnato con entusiasmo nello sforzo di ricostruzione morale del Paese, � testimone ma anche protagonista della vita culturale e giuridica italiana �. L'Universit� di Roma lo ebbe docente nella Facolt� di Giurisprudenza dal 1933 al 1966 ed io ho avuto l'onore e la gioia di laurearmi con lui nel 1935 e di seguirlo come assistente fino al 1947. Allievo di Francesco Ruffini, Jemolo fu il successore di Francesco Scaduto. Alla cattedra romana Jemolo ha formato varie generazioni di giuristi tutti al rigore di una analisi del dato normativo limpida ma mai caricata di virtuosismi concettuali. Sempre un senso di concretezza, il riconoscimento del presupposto politico delle norme, la storicit� e la mutevolezza del loro contenuto, mai l'interpretazione strumentale e partigiana. La scelta tra soluzioni opinabili non era appoggiata, per Jemolo, sulle inclinazioni personali ma sulla saldezza delle argomentazioni. I contributi scientifici di Jemolo toccano ogni aspetto storico e dogmatico del diritto ecclesiastico, inteso come disciplina intimamente collegata COI). il diritto canonico. Dalla tesi di laurea, di recente ripubb1icata, sulla questione della propriet� ecclesiastica (1848-1888), allo studio monografico sulla amministrazione ecclesiastica (1916) ai volumi sul matrimonio canonico e civile, al classico �Stato e Chiesa in Italia negli ultimi cento anni�, alle riflessioni sui �Problemi pratici della libert��, alle celebri �Lezioni di diritto ecclesiastico � nelle numerose e sempre nuove edizioni, che mostrano come egli non fosse mai pago dei risultati da lui raggiunti, fino all'ultima del 1979. Queste sono alcune delle opere pi� note di un Autore fecondissimo dalla vastissima produzione scientifica elaborata con continuit� nell'arco operoso di oltre 70 anni. Innumerevoli gli scritti di minore mole ma non di minore importanza. Molti di diritto privato e di diritto amministrativo e 'costituzionale testimoniano la vastit� dei suoi interessi e la sua penetrante capacit� di analisi. (*) Rettore dehla II Universit� degli Studi di Roma. J4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Come non ricordare le osservazioni sempre acute ed originali pubblicate nella Rivista del diritto civile �Gli occhiali del giurista�? Il metodo di Jemolo, peculiare ed inimitabile, emerge tanto nei lavori organici quanto nelle brevissime noterelle e c'� sempre un � ritornare a controllare le nostre costruzioni, scovando sotto gli istituti giuridici per raggiungere il terreno del pregiuridico... quanto a dire tornando a dare il loro posto alla storia ed alla politica�. Ma (e l'affermazione � sempre netta) � non confondiamo storia, politica e diritto �. Egli era particolarmente attento alla realt� ma molto lontano dal � sociologismo � pasticcione e pressapochista. In Arturo Carlo Jemolo si avverte sempre la formazione l'impostazione del � giurista �. In tutto '1o spessore di attitudini e di valori che questa espressione designa, per il riferimento costante al diritto e, con esso, alla giustizia. Non intesa questa come generica aspirazione ideale, ma come concreto atteggiamento nella valutazione dei fatti e nella ricostruzione delle norme, le quali non sono destinate a costituire la pura architettura di un astratto sistema, ma nascono dalla vita e per esigenze di vita. Il tema del difensore civico � stato espressamente affrontato da Jemolo in un dibattito del gennaio 1965, organizzato dalla Associazione Italiana Giuristi, in cui egli manifest� il suo interesse per questo istituto ed incisivamente osserv� � chi come me sente fortemente lo Stato � avverte che � la perdita di fiducia negli organi statali, il perenne senso di essere vittima di torti, sta logorando pilastri fondamentali, pi� assai che non farebbero iniziative apertament~ rivoluzionarie �. Dal punto di vista costituzionale, Jemolo vedeva la possibilit� di istituire il Commissario parlamentare ai sensi dell'art. 82 Cost., che, com'� noto, d� a ciascuna Camera il potere di nominare commissioni d'inchiesta su materie di pubblico interesse. E continuava � se la man� canza di garanzia � un male, l'abuso di garanzie finisce di paralizzare la macchina dello Stato, quella stessa della giustizia �. � Un'opera di educa zione, a parere di Jemolo, consisterebbe nell'insegnare a sopportare i pi� piccoli torti, condizione necessaria per avere poi adeguata difesa di fronte a grossi torti �. Ma la personalit� e la coerenza morale di Jemolo appaiono chiara mente nelle seguenti osservazioni: � sar� facile trovare l'uomo capace � e � cos� equilibrato da non scambiare, ci� che � tanto facile, il proprio modo di sentire per quello della coscienza collettiva?� Ed egli ha mante nuto fede in tutta la sua vita a questo principio di coerenza: avvertire sopra a tutto gli interessi della coscienza collettiva. Merita, infine, di essere rico~data la chiusa del suo intervento � se anche il solo effetto di questo progetto fosse di eccitare una discussione che allontanasse molti dal pensare ai problemi della res publica o in termini di qualun� PARTE II, QUESTIONI J5 quismo, o con atteggiamenti vanamente anarcoidi, e dell'abituarsi a collaborare alla creazione di una legge, questo sarebbe gi� un risultato utile raggiunto �. Una profonda esigenza etica � alla base non solo e non .tanto del diritto, quanto del lavoro quotidiano e costante del giurista: chiamato, nella molteplicit� dei ruoli che per formazione e funzione professionale egli � destinato ad assolvere, ad essere strumento e protagonista di giustizia. Il giurista � dunque, se tale, necessariamente un � garante �. Garante della obiettivit� che, pur nella dialettica delle diverse posizioni, deve risultare nella esperienza giuridica. Garante delle libert� e dei diritti della persona. Al di l� dunque della istituzionalizzazione di funzioni di garanzia ad opera di apposite magistrature pubbliche, occorre riscoprire e valorizzare la funzione ontologicamente di � garanzia � propria del giurista. Il primo itinerario della istituzionalizzmone delle � magistrature di garanzia � sembra oggi preferito, cos� come � dato rilevare da segnali molteplici. Dalla istituzione di speciali Commissioni destinate ad assicurare leggibilit� e trasparenza nella attivit� di settori di Amministrazione e della vita economica (basi ricordare fa CONSOB), alle figure individuali del � garante � in settori particolarmente delicati della vita sociale, quale quello della informazione: si ricordi in proposito la istituzione del � garante � previsto dalla legge sulla editoria. La istituzionalizzazione degli uffici di garanzia, pur sempre apprezzabile, comporta tuttavia il rischio della � ossificazione � delle strutture. Il rischio della � burocratizzazione � e del controllo solo formale o � formalistico �. Appare dunque necessario che all'itinerario delle garanzie accentrate e costituite in �uffici�, si aggiunga lo sviluppo della garanzia �diffusa�, affidata alla responsabilit� del �giurista� attraverso l'affinamento della sua coscienza e la valorizzazione di quella che, con espressione oggi di moda, si direbbe la sua vera � professionalit� �. Questo difficile ruolo di educazione all'esercizio del controllo critico della esperienza in funzione di gar�nzia, soprattutto delle libert� e di tutte le libert� in ogni implicazione, � stato svolto da Jemolo con l'auto revolezza della sua singolare statura scientifica e morale da tutti ricono sciuta. Senza indulgere ad alcun conformismo, neanche a quello dell'anti conformismo superficiale e di maniera. Con la capacit� -tutta propria di Jemolo -di cogliere i segni pur deboli di degenerazioni, nei comportamenti della giurisprudenza ed anche delle norme, talune delle quali con alta potenzialit� di lesione dei principi, spesso approvate � tra la disattenzione generale �. " �� ,,,,.--.,,,-�,-,-�,-,-,-,.,-�..,-�r� �-� ����.�.�.�.�.�.-.�.�.�r.�.-:.-.�.�.�.�.�.�.�.-.�::.�.�:.�.-::.�.�r.-.�:.�.�,�.�.�.�.�.�,�:.�,�,�.�.�.�.�.�,�.�.�.�,�.�,'."J.�.�.�,�,�.�.�.�,�,�:�.�,�;�.�;�.�.�. ALESSANDRO PACE (*) PROBLEMI COSTITUZIONALI NELLA CONFIGURAZIONE DEL DIFENSORE CIVICO 1. -Un punto � indiscutibile nell'esame della legislazione comparata concernente l'Ombudsman (cui il Difensore civico storicamente si ricollega): la istituzione di esso ha lo scopo di concorrere ad assicur.are il buon andamento e l'imparzialit� della pubblica amministrazione, e a verificare l'efficienza dell'azione amministrativa. Tale essendo ~a premessa -una premessa che si ricollega all'art. 97 Cost. e, quindi, alle convergenti riflessioni che a tal riguardo sono state fatte dagli autorevoli studiosi che del problema si sono occupati (e qui, per brevH�, mi limito a ricordare oltre allo Jemolo, il Mortati e il La Pergola) -...tale essendo la premessa, dicevo, non mi sembra (n� � sembrato alla maggioranza dei membri della Commissione ministeriale che ha redatto lo schema di d.d.l. che qui si intende illustrare) che la derivazione parlamc;ntare del difensore civico ne costituisca un requisito essenziale. � bens� vero che l'Ombudsman �, per lo stesso significato della parola che lo individua, il � rappresentante � del Parlamento. Pu� tuttavia ammettersi senza alcuna difficolt� che i problemi posti da un ordinamento con una struttura costituzionale fortemente monarchi.ca (come quella dei paesi scandinavi del primo ottocento) sono ben diversi dai problemi posti da un ordinamento democratico come il nostro. Se agli albori del 1800 era politicamente imprenscindibile la derivazione parlamentare .di un organo che si poneva a controllore della pubblica 'amministrazione (e, quindi, in definitiva, dell'esecutivo monarchico), analoga esigenza non sussiste nel nostro ordinamento, i cui organi costituzionali possiedono tutti, quanto meno indirettamente, la medesima investitura democratica. Il problema attuale -in un'ottica di buon andamento, di imparzia� lit� e di efficienza amministrativa -� quindi un altro: � il problema di assicurare la massima indipendenza, oltre che autorevolezza, all'organo che si intende istituire. A ben vedere, la derivazione parlamentare non � d'altronde nemmeno necessaria per garantire al Difensore civico (o Controllore dell'amministrazione, o comunque lo si intenda denominarlo...) una notevole gamma di poteri di incidenza sulle situa:tloni giuridiche soggettive. In primo luogo � da dubitare che al Difensore civico (il quale non deve porsi come alternativa ai rimedi giurisdizionali e amministrativi esistenti) servano dei (*) Ordinario di. diritto pubblico deWeconomia nell'Universit� degli Studi di Roma. f8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO poteri coattivi �esterni�, esso dovendosi piuttosto configurare, all'esterno, in accordo con i precedenti storici, come una magistratura di persuasione; e come un superiore gerarchico, all'interno dell'amministrazione inquisita. In secondo luogo, quand'anche si propendesse per la soluzione affermativa, sarebbe comunque da obiettare che, per il Difensore civico even� tualmente eletto dalle due Camere, l'analogia con l'ipotesi delle commissioni parlamentari d'inchiesta � tutt'altro che calzante. Pur con il massimo di rispetto e di devozione per l'autorevole studioso (il Mortati) che per primo sugger� di utilizzare lo schema dell'art. 82 Cost. (il Difensore civico sarebbe I'� esperto � di una ipotetica commissione parlamentare permanente d'inchiesta al quale la Commissione stessa delegherebbe l'esercizio dei poteri coattivi esterni), deve obiettarsi: a) che i poteri coattivi esterni spettano alla Commissione e non ai singoli parlamentari che compongono la commissione; tanto meno tali poteri coattivi esterni spettano all'esperto che, non essendo parlamentare, non fa parte integrante della commissione e non ha voto deliberante; b) che l'esercizio dei poteri coattivi esterni � legittimo se e in quanto a disporne � la Commissione, composta proporzionalmente alla consistenza dei vari gruppi parlamentari. Tale regola, che si � da tempo ritenuto di desumere daH'art. 82 Cost., tende ad attenuare le conseguenze negative connesse al fatto che poteri incidenti sulle situazioni soggettive -poteri normalmente attribuiti all'�autorit� giudiziaria, come tale indipendente e imparziale -vengono esercitati, per scopi politici (e quindi di parte), da una Commissione parlamentare. La presenza di almeno un rappresentante di tutti i gruppi nel momento in cui la Commissione decide se disporre o meno una perquisizione, un'ispezione, un'intercettazione telefonica o un sequestro ecc. ecc. ha perci� la funzione di attenuare i rischi connessi all'uso, da parte di un organo parziale, di poteri di indagine e di esame solitamente riserv11ti al magistrato (artt. 13, 14, 15, 21 Cost.). Deve infatti essere obiettato al Mortati che gli articoli 13, 14, 15 e 21 prevedono una riserva in esclusiva all'autorit� giudiziaria di determinati poteri. Tale riserva, se pu� essere derogata per le commissioni parlamentari d'inchiesta perch� l'art. 82 Cost. esplicitamente prevede l'estensione, a tali commissioni, di siiffatti poteri, non pu� essere derogata in favore di organi diversi, per giunta monocratici come .il Difensore civico. Di qui il dissenso con la proposta di legge Bozzi e altri (VIII leg., n. 695) che all'art. 2 prevede: �Il difensore civico svolge la sua attivit� in piena libert� ed indipendenza e con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorit� giudiziaria, purch� compatibili con le sue funzioni e la indagine da espletare �. Una legge non pu� infatti derogare alle riserve di competenza esplicitamente affermate dalla Costituzione. 2. -Ma se tutto ci� � vero, il raccordo del Difensore civico con le assemblee legislative, mentre non serve sotto il profilo dell'efficienza del PARTE II, QUESTIONI J9 l'organo, pu� invece ostacolarlo sotto quello dell'indipendenza, dato che come ha bene rilevato il Mazziotti -una scelta parlamentare o rischia di fame un difensore di parte (se il quorum � la semplice maggioranza) oppure rischia di premiare candidati senza una forte personalit� (se il pi� elevato quorum implica delle mediazioni ben pi� difficoltose). Di qui la soluzione, accolta nello schema, di rimettere la nomina del Difensore civico al Presidente della Repubblica, in virt� dei poteri ad esso riconosciuti dall'art. 87 comma 7 Cost. (Il Presidente... � nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato�); ma, nel contempo, derivano proprio dal tipo di soluzione adottata, le cautele atte a far s� che la nomina presidenziale non immetta il Governo, con ruolo determinante, nel circuito decisionale ai sensi dell'art. 89 Cost. Questa obiezione (formulata da Giuseppino Treves e di recente ripresa da Gustavo Zagrebelsky) � stata attentamente valutata: ai rischi che essa denuncia si � tentato di ovviare riconoscendo bens� al Presidente del Consiglio il potere di controfirma, individuando tuttavia tre distinte fasi del procedimento di nomina: una fase di proposta di una tema di nomi rimessa ad un Collegio di autorevolissimi giuvisti (il Primo Presidente della S.C. di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Pl'esidente della Corte dei Conti, il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e l'Avvocato generale dello Stato); una fase di controllo rimessa al Presidente del Consiglio che correda la tema delle sue eventuali osservazioni; infine la fase della vera e propria scelta rimessa alla discrezionalit� di organi politicamente sensibili, e nel contempo definibili, in certo qual senso, come super partes (i Presidenti del Senato e della Camera). La nomina resta comunque formalmente nell'ambito delle competenze del Presidente della Repubblica e ci� anche per un'altra ragione. Nonostante la legge ben possa consentire a qualsiasi organo dello Stato di superare il segreto d'ufficio (sempre che tale superamento non incida nel contempo su interessi privati costituzionalmente rilevanti) si � ritenuto che tale superamento possa in definitiva risultare meno traumatico se concretamente richiesto da un organo che abbia una derivazione formale non estranea agli organi tradizionalmente riconducibili alfa pubblica amministrazione. 3. -Un'ultima considerazione deve essere fatta con riferimento alla composizione dell'organo (monocratico) e alla ampiezza della sua sfera di intervento (tutta la pubblica amministrazione statale con eccezione della Difesa; il difensore civico non pu� inoltre indagare su atti coperti da segreto di Stato o che si riconnettano ahl'esercizio della funzione giurisdizionale). La ragione della soluzione monocratica � funzionale alfindipendenza del Difensore civico e, nel contempo, coerente alla tradizione dell'Ombudsman. g funzionale all'indipendenza del Difensore civico perch� la composizione collegiale dell'organo potrebbe offrire l'occasione per pat 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO teggiamenti e spartizioni; � d'altro canto coerente a tradizione, che nella personalizzazione della carica scorge il primo essenziale passo perch� l'isti� tuto abbia un'immediata presa sulla pubblica opinione e sulla coscienza dei cittadini. Ci� avendo presente, � facile osservare come la personalizzazione della carica giochi anche in altro senso. Nel senso, cio�, che di Difensori civici, a livello nazionale, non possa che essercene uno solo avente competenza estesa a tutta la pubblica amministrazione. Obiettare, come gi� � stato fatto, che ci� rischia di creare una struttura � che facilmente pu� accavallarsi a quelle gi� esistenti e nel contempo non si caratterizza adeguatamente � non sembra obiezione pertinente, sol che si rifletta sulla circostanza che la peculiarit� del Difensore civico � -o almeno dovrebbe essere -quella di operare d'ufficio, senza perci� che ci sia alcun obbligo da narte sua di dar corso a certe indagini pi� che ad altre: scegliendo, perci�, con la massima discrezionalit� tempi e modi d'intervento. Come diceva il Maestro che oggi intendiamo onorare � ... io lo vedo bene operare come l'ispettore delle ferrovie, che ogni mattina sale su un diverso treno, oggi si ferma ad una stazione e controlla la gestione merci, domani ad un'altra ed ispeziona la biglietteria, il terzo giorno dedica la sua attenzione al personale viaggiante. Lo vedo andare oggi in un ministero, mettiamo in quello del commercio estero, e farsi dare una pratica di permesso di esportazione; domani a quello dell'agricoltura ed esaminare la vicenda di un consorzio di bonifica; dopodomani al ministero dell'istruzione e seguire le sorti di un concorso magistrale con relative a~tribuzioni di sedi �. D'altro canto, non si vede perch� mai l'istituzione di pi� Difensori civici nazionali, ciascuno per diversi settori dell'amministrazione, potrebbe ovviare al temuto accavallamento di competenze. Se il rischio di accavallamento sussiste (ma non � vero) per un Difensore avente competenza su tutta la pubblica amministrazione, a maggior ragione tale ipotetico rischio diverrebbe probabile qualora ci fossero tanti Difensori civici per quanti sono i settori della pubblica amministrazione statrue. A ci� si aggi�nga che, oltre al rischio -questo, s�, chiaramente percepibile -di conflitti di competenza tra i vari Difensori civici, vi sarebbe anche la possibilit� di prese di posizioni discordanti su problemi analoghi (anche se concernenti differenti settori) con effetto negativo immediato sull'autorevolezza dell'organo. N� deve dimenticarsi quanto sopra gi� ricordato: e cio� che la proliferazione di Difensori civici rende oggettivamente pi� difficile la scelta dei titolari dell'organo, attenuandosi per un verso l'importanza dell'istituto, aumentando nel contempo le ineluttabili pretese spartitorie dei partiti politici che non tarderebbero ad individuare nel Difensore civico di ciascun settore dell'amministrazione un possibile contraltare del Mini ~inca~ ~ I ~ PARTE II, QUESTIONI 4. Unicit� dell'organo, discrezionalit� dell'intervento, poteri coattivi solo all'interno della pubblica amministrazione (potere di pretendere l'esibi� zione dei documenti, potere di sostituirsi al Capo dell'amministrazione cui l'ufficio appartiene, potere sostitutivo di promuovimento di procedimenti disciplinari): queste le caratteristiche del Difensore civico quale raffigurato nello schema di d.1.1. che si illustra. Ma quale � -dobbiamo chiederci -la � filosofia � sottesa alla proposta istituzione di questo nuovo controllore della pubblica amministra� zione? � Chi come me sente fortemente lo Stato e non vede venire avanti alcuna nuova struttura che possa sostituirlo � -sono ancora parole di Arturo Carlo Jemolo -Ǐ veramente preoccupato dello stato di agita� zione, di continuo malcontento (...) in cui annega ogni idea di riverenza e devozione verso lo Stato; chi ancora considera questo la casa comune, non pu� non essere angosciato vedendo che per troppi � il nemico �. Ec concludeva: � La perdita di fiducia negli organi statali, 11 perenne senso di essere vittima di torti, sta logorando pilastri fondamentali, pi� assai che non farebbero iniziative apertamente rivoluzionarie �. Ebbene, la proposta di istituire un Difensore civico nazionale, non soltanto presuppone quella medesima fede che il professore Jemolo nutriva fortemente per lo Sta_to, ma -proprio in questa linea -, nel con� correre ad assicurare H buon andamento, l'imparzial.it� e l'efficienza della pubblica amministrazione, costituisce (o vorrebbe costituire) un rimedio, interno alle strutture tradizionali, contro quella fuga dell'amministrazione, contro quell'istituzione di amministrazioni parallele che la sfiducia per la pubblica amministrazione tradizionale fa suggerire, sempre pi� spesso, a parlamentari e a uomini politici, Riccardo Chieppa (*) IL RUOLO DEL DIFENSORE CIVICO NELLA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (**) Per parlare del ruolo del difensore civico, in un convegno che vuole essere soprattutto in memoria di Arturo Carlo J emolo, � necessario partire (*) Presidente della II Sezione del T.A.R. del Lazio. (**) Sul Difensore civico v. il volume L'Ombudsman (il difensore civico) a cura di CoSTANTINO MORTATI, con la collaborazione di DE VERGOTTINI, DI GIO� VINE, PIZZETTI, SERGI, TREVES, ZAGREBELSKY, Torino, Utet, 1974; DE VERGOTTINI, Un ombudsman per le regioni, in Mulino, 1972, p. 424; PERNA, Istituzione del difensore civico, in Comuni Italia .1971, p. 59; MANITTO, La tutela dei diritti del cittadino nell'esercizio dei poteri dello Stato, in Nuova rass. 197.1, :tJ� .1065; RoEHRSSEN, Spunti sullo statuto della regione Lazio, �in Dir. pubbl. reg. 197:1, I, p. 48; TEREsI, Brevi osservazioni sull'ombudsman delle regioni, Foglio inf. 1971, p. 327 e in Pratica amm. ;1972, p. 10; BORSELLI, Il difensore civico nel contesto delle contrastanti opinioni, in Nuova rass. .1972, p. 31; CANNATA, L'om� budsman per le amministrazioni statali e regionali nel quadro delle recenti modificazioni di contesto, ivi p. 33; CASETTA, La partecipazione democratica nell'ordinamento regionale, in Foro amm. 1972, Ili, p. 875; SPARANO, Il difensore civico in Toscana, in No:rid sud, 1974, p. 54; GATTI, Si diffonde il difensore civico, in Lav. it. 30, nov. 1976; DE VITO, Il difensore civico, in Amm. .it. 1.975, p. 213; iROTELLI, I rapporti cittadino-democrazia, difensore civico, ma per fare che?, in Giorno, 4 febbraio 1980, p. 2; VILLANI, L'esperienza positiva di Toscana e Liguria: il difensore civico, una spina nel fianco del potere burocratico, in Corr. seva 6 .giugno �1980, p. 111; CAIOLI, Il difensore civico ridimensionato, in Stato reg. 1976, p. 40; FRUMENTO, Il difensore regionale, in Sole 17 febbraio '1977, 'P� 3; BINI, Il difensore civico in Toscana: metamorfosi di un istituto?, m Regioni 1977, p. 977; SoLIMENE, L'ombudsman: chi � costui?, in Nuova rass. 1978, p . .167; SASSO, Funzionalit� e correttezza della pubblica amministrazione controllo penale e alternative, atti convegno, in Giustizia e costituzione, 11977, p. 122; MAscAMBRUNO, Il difensore civico alla luce delle norme regionali, in. 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Certamente in questo periodo di crisi in cui i valori o i sommi principi -come diceva Iemolo (2) -tendono ad essere posti in discussione e ad essere sentiti sempre meno nel diritto positivo e nella stessa giurisprudenza -il cittadino mostra ancora fiducia, o almeno cerca disperatamente di averla, nella certezza del diritto intesa in senso moderno e conforme a Costituzione, come garanzia concreta ed obiettiva del singolo in difesa della sostanziale libert�, dignit� ed eguaglianza della persona, anche come amm�nistrato nei confronti degli amminist:mtori. Certezza del diritto � anche protezione del pi� debole, del meno dotato, del non organizzato. Se libert�-giustizia e democrazia sono aspetti inseparabili di un'unica realt� ed aspirazione dell'individuo singolo ed associato, il giorno in cui il cittadino cesser� di chiedere giustizia, attraverso le innumerevoli forme, nei confronti della pubblica amministrazione, dal ricorso straordinario al ricorso gerarchico, dall'esposto diretto all'autorit� politico-amministrativa alla petizione, o infine mediante tutela giurisdizionale vuol dire che anche gli altri aspetti della stessa realt� (libert� e democrazia) son scomparsi o destinati a scomparire per mancanza di fede del cittadino. Il cittadino crede ancora a regole di correttezza, alle esigenze di imparzialit�, al buon andamento e soprattutto vuole il buon costume nell'amministrazione, non come bisogno egoistico ma come partecipe della collettivit� che sente l'esigenza di una buona gestione dell'apparato pubblico. Di fronte a questa esigenza ed ansia, cosa ha fatto il legislatore nelle riforme dell'ordinamento ed in particolare della giustizia amministrativa? Ha aumentato da un lato, in modo sempre pi� crescente, 1978, in Foro amm. .1979, II, p. 236; ZECCA, Il difensore c1v1co, l'ombudsman svedese e la sua recente diffusione nel mondo, !in Foro amm. 1979, II, p. 4-06; CARACCIOLO LA GROTI'ERIA, Note critiche sulla figura del difensore civico, in Foro amm. 1979, II, p. 478; UCCELLA, Cenni sulla problematica del difensore civico, in Stato reg., .1979, p. 111 e in Giur. it: 1979, IV, p. 168; BERARDI, Il difensore civico, in Stato reg., 1978, p. 79; SACCHETII, L'organizzazione della partecipazione civica: il difensore civico regionale, in Riv. trim. soienm amm. 1980, p. 91; UcCEI.LA, Spunti preliminari alla istituzione del difensore civico dei minori, in Giud. civ. 1980, II, p. 301. I disegni di legge presentati nella VIII legislatura in ordine alla Istituzione del difensore civdco sono quelli degli on. Bozzi, Biondi ed ai1tri aLlia Camera n. 695 e Malagodi e Faissino al Senato n. 398 (1dentici); degJ.i on. Mastel1a ed a.Itri alLa Camera n. 2458; degli on. Tatareli1a ed a.Itri alila Camera n. 330. (1) Jemolo, La crisi deLlo stato moderno, estratto dal volume La cr1si del diritto, a cura de11a Facolt� di Giurisprudenza dell'Universit� di Padova, Padova, 1952. (2) Jemolo, La crisi cit., p. 46. 64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO le funzioni della pubblica amministrazione, ha. cercato di rafforzare i controlli del Parlamento (spesso diluendoli nell'aumento degli interventi), i controlli giuridici attraverso tutte le forme (dalla registrazione della Corte dei Conti! alle approvazioni) e soprattutto ha cercato di venire incontro al cittad�no consentendogli l'azionabilit� immediata avanti al giudice amministrativo. Ma ci� non ha soddisfatto n� poteva soddisfare il bisogno del cittadino, perch� questa operazione si � semplicemente risolta in una sostanziale abolizione (o progressivo inaridimento) dei ricorsi gerarchici e dei rimedi all'interno dell'amministrazione, e, in un trasferimento dagli archivi della pubblica amministrazione agli archivi dei diversi organi della giurisdizione amministrativa ed in particolare dei Tribunali amministrativi regionali. A ci� si � aggiunta una disfunzione dell'azione amministrativa ed un abuso di talune forme di garanzia giurisdizionale, che rischia di paralizzare l'amministrazione pubblica e -questo � l'aspetto pi� peri� coloso -di far crescere la crisi del diritto, la crisi di fiducia nello Stato e nei suoi apparati perch� il cittadino si sente ulteriormente deluso nel non ottenere un intervento dopo molti anni di attesa nella giustizia. Ed allora si cercano rimedi succedanei ailla pronuncia definitiva del giudice che tarda. Da un canto vi � una ansia spasmodica per la sospensiva da parte del giudice amministrativo, dell'atto amministrativo impugnato, dall'altro, vi � il ricorso a stimolare gli interventi del giudice penale, anche con misure cautelari prima .di tutte il sequestro pe~ nale (v. gli esempi in materia edilizia). Il rapporto di contrasto tra cittadino e pubblica amministrazione rischia di trasformarsi nella maggior parte dei casi in lotta in forma anomala, perch� tende a paralizzare l'azione amministrativa con la sospensiva o a far intervenire con effetto immediato il giudice penale, il cui intervento � quasi sempre patologico e anomalo rispetto all'azione amministrativa. Il vero profilo preoccupante della disfunzione della pubblica amministrazione non � tanto il cattivo uso del potere della pubblica amministrazione o il comportamento non conforme alle norme, ma quello della inerzia o del ritardo deH'azione amministrativa, sempre crescente anche per le occasioni maggiori di sospensive o di interventi incriminativi penali e per gli effetti riflessi di tali interventi. In realt� contro la inerzia o il ritardo dell'azione amministrativa i vecchi rimedi del silenzio- rifiuto non servono o servono molto poco, per la lentezza o il difetto degli apparati e degli strumenti, per cui spesso anche le piccole cose, che potrebbero essere facilmente fatte, non lo sono. Ritornando all'insegnamento di Jemolo, al suo pensiero e al ricordo delle sue lezioni del 1945 (uno dei primi corsi all'Universit� di Roma I I f. I ' [ ~ ~ _,~~ 65 PARTE II, QUESTIONI dopo la liberazione), vale la pena di sottolineare come spesso ammoniva di guardare i problemi, compreso quello della crisi dello Stato, con una visuale pi� ampia, del tecnico del diritto, con un senso di civetteria, che era soprattutto un senso di umilt�, in quanto Egli si sentiva; molte volte, pi� storico che giurista, parlando, con profonda umilt�, da una cattedra di diritto. In una visione di insieme della evoluzione del senso dello Stato si assiste ad aumento di vuoti con disapplicazioni delle norme vtigenti, rispetto alle quali disapplicazioni il cittadino sente ancora il senso di disvalore di carattere morale. Gli organti amministrativi e politici quante volte non sono intervenuti di fronte alle forme di disapplicazione tollerandole o riconoscendole ex post, con criteri spesso discriminatori tra i cittadini a secondo della loro collocazione. Assistiamo, come diceva Jemolo, al fenomeno dell'allargarsi dei! margine dei �tollerati� (3), per i quali l'autorit� amministrativa non sar� mai padre, anche se padre che corregge il figlio traviato. E quindi riaffiora il problema del costume politico -tante volte ricordato da Jemolo -del venir meno del sentire comune intorno allo Stato, per cui aumentano coloro che sono pi� devoti al partito che allo Stato (4). Con lo scadere del senso di dovere verso lo Stato -con amarezza annotava Jemolo -spesso si � particolarmente rigidi nella difesa del partito (e nella difesa del prestigio e della posizione del partito, possiamo aggiungere) e lassisti nell'attivit� della pubblica amministrazione, per cui 'i peccati compiuti contro la pubblica amministrazione sono spesso considerati peccati trascurabili. E qui talvolta � il rapporto tra violenza e meccanismi, che tendono a scardinare i poteri dello Stato e la fiducia nello Stato, che sono pi� pericolosi delle azioni rivoluzionarie, in quanto -secondo Jemolo nel suo senso dello Stato -egli considerava essenziale la fiducia del citta� dino verso il diritto, lo Stato e l'apparato pubblico. Assistiamo al feno meno della Pubblica amministrazione che vive, opera e provvede giorno per giorno e cos�, con il mutamento della classe politica e del venir meno del posto del d~ritto, governo, parlamento e partiti sono costretti a provvedere giorno per giorno, spesso senza ideali, facendo venir meno i principi e la fede in yerit� (5). Ed ecco il ruolo che pu� avere il difensore civico: creare un nuovo rapporto del cittadino con lo Stato, non solo come mezzo di sfogo del cittadino che si sente -come ricordava il prof. Gismondi -vittima di torti e di ingiustizie. (3) Jemo~o, La crisi cit. p. 13. (4) Jemolo, La cri:si cit. p. 17 segg. (5) Jemolo, La crisi, cit. p. 46. 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il reclamo al difensore civico non deve essere il sostitutivo della lettera ai giornali, dei ricorsi e dei mezzi di tutela, pu� invece essere lo strumento che il cittadino pu� utilizzare per segnalare disfunzioni e inazione della Pubblica amministra:cione. L'intervento del difensore civico concepito come organo con poteri soprattutto ispettivi e di stimolo pu� concorrere al buon andamento dell'attivit� della pubblica amministrazione, verificandone l'efficienza e la coeremia. Il Difensore civico � soprattutto l'organo di difesa del cittadino .comune, del singolo, del non organizzato, del cittadino indifeso che potr� esporre e richiamare all'attenzione dell'Amministrazione problemi specifici, ricostruendo un rapporto di fiducia tra cittadino ed istituzioni .contro abusi e ritardi dell'azione amministrativa. Quali possono essere ad esempio i temi dell'1attiwt� del difensore civiro? Si parla tanto di anno dell'anziano e qui soccorre il problema del ritardo nel riconoscimento e nella erogazione della pensione: basterebbe avvia.re a soluzione o almeno a identificare i punti critici, suggerendo rimedi, dall'interno dell'amministrazione, per questo solo problema, per giustificare la istituzione del nuovo organo. L'esame che parte dal oaso singolo sulla base di un esposto o redamo, collegato ad altri esposti, pu� costituire solo l'occasione di rilevare un indice sintomatico di una disfunzione: se vi sono 10, 100 o 1000 cittadini che reclamano su medesime situazioni (pensioni o altro) vuol dire che vi � qualcosa ohe non va. H difensore civico pu� mettere in moto un meccanismo di verifica e stimolo per i correttivi sul piano meramente amministrativo o per le eventuali iniziative normative. L'impulso del cittadino deve essere inteso come semplice occasione per individuare le disfunzioni e per superare, con una visione pi� ampia e di insieme della azione amministrativa, il metodo di condotta giorno per giorno, e oi� deve avvenire dall'interno della stessa amministrazione, di cui il Difensore civico deve essere considerato parte integrante nell'attivit� operativa, mentre il collegamento con il Parlamento � solo nella fase genetica e di garanzia della nomina. L'intervento del Difensore civico non deve essere concepito -come ha sottolineato il Prof. Pace -come controllo necessario di fronte a qualsiasi istanza o denuncia che venga a lui proposta, ma come inda gine su determinati problemi discrezionalmente scelti e ritenuti di mag giore interesse pubblico con una valutazione dello stesso Difensore civico,� in modo da esaminare settorialmente (con una scelta periodica) disfunzioni e rimedi dall'interno della stessa amministrazione. Potrebbe essere dato un contributo per superare il fenomeno at tuale della rottura dei contatti tra apparato politico, pubblica ammi nistrazione e quindi opinione pubblica. Potrebbe essere anche uno stru .......-........-.�.-.-.....-.-... .-.-.-.-.�.-.-.�.-' ' 67 PARTE li, QUESTIONI mento per riportare al pratico e alla realt� cio� sui fatti sentiti dall'opinione pubblica (6) e sulle concrete esigenze dei cittadini e quindi sul piano della legalit�, sia i politici sia l'intervento della pubblica amministrazione dal suo inten10 costringendola ad una verifica. Quali poteri dovrebbe avere il Difensore civico? Questo � uno dei punti pi� qualificanti dello schema formulato, che concepisce il Difensore civico, come magistratura di influenza, con amplissimi poteri ispettivi e di stimolo, allo scopo di contribuire ad attuare e realizzare i fini che l'art. 97 Cost. indica come connaturali e come intrinseca caratteristica dell'azione pubblica. Sono poteri ampi per quanto riguarda la richiesta di informazione, la richiesta di dati e di documenti, cui corrisponde un dovere per l'amministrazione di fornirli e, in caso di inosservanza, una possibilit� da parte del Difens~re civico di avvalersi degli stessi poteri -ovviamente di carattere istruttorio cio� per quanto attiene aHe informazioni ed acquisizioni di dati e di atti -spettanti al capo dell'amministrazione cui �ppartiene l'ufficio cui � stata rivolta la richiesta. Naturalmente restano esclusii dal potere di indagine sia la materia militare, sia gli atti e comportamenti coperti da segreto cii stato, sia tutto ci� che riguarda lo svolgimento delle �funzioni giurisdizionali. Non si prevede il ricorso, come da alcuni proposto, a poteri simili a quelli dell'autorit� giudiziaria o a poteri di sequestro, ma invece il Difensore civico utilizza gli stessi poteri amministrativi e istruttori del ministro o del capo della amministrazione per quanto attiene all'acquisizione della documentazione e delle informazioni. Ulteriore elemento caratteristico � quello degli strumenti con cui il Difensore civico porta i risultati a conoscenza o della Camera, del Governo o della pubblica amministrazione o dei singoli organi competenti per un determinato affare. Vi � anzitutto una previsione di una relazione annuale del Difensore civico al Presidente delle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri sulle indagini portate a conclusione, le cui risultanze egli ha altres� facolt� di rendere pubbliche: quindi non un obbligo, ma una valutazione discrezionale rimessa alla particolare natura dell'oggetto delle indagini e alla rilevanza generale anche dal punto di viista della pubblica opinione. Per singoli problemi il Difensore civico pu� informare l'organo interessato alle indagini delle conclusioni raggiunte, dandone sempre contemporanea informazione al Presidente del Consiglio e agli altri organi preposti al controllo. (6) V. Jemolo in Il Commissario parlamentare, :hl controllo della pubblica amministrazione e :La tute1a del cittadino, ASIS. italiana giuristi, Roma 1965, p. 27. 16 68 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Inoltre, l'aspetto nuovo rispetto ad altre iniziative e alle attuazioni avute iin alcune regioni, � che rispetto a singoli problemi il Difensore civico, con una scelta discrezionale, pu� rendere noti i disservizi riscontrati, le iniziative adottate o proposte e il loro esito. L'adozione deve essere intesa come suggerimento e invito proveniente da una magistratura di prestigio, che con le sue indicazioni pu� indurre la pubblica amministrazione a eliminare dal suo interno determinate disfunzioni. Nello stesso tempo � previsto che il difensore civico ha il dovere di denuncia agli organi competenti, per l'accettazione delle eventuia.J..i responsabilit� patrimoniali e disciplinari. Se poi le autorit� che sono preposte all'azione disciplinare o all'azione di accertamento di responsabilit� rimangono inerti dopo la trasmissione della denuncia, e ulteriore invito formale, il Difensore civico ha poteri �sostitutiivi di iniziare o di promuovere questa azione di responsabilit�. Come punto fermo, rimane che tutte le segnalazioni, esposti e richieste non costituiscono mai condizione o obbligo per l'azione del difensore civico, ma se egli ritenga di non dare seguito con proprie indagini, sono trasmesse all'autorit� competente, nella maggior parte dei casi l'autorit� amministrativa. Tengo a sottolineare che l'azione del difensore civico non � mai sostitutiva della tutela deHe posizioni dei singoli soggetti, che rimangono invariate quindi impregiudicate. Gli unici rapporti che vi possono essere tra la funzione giurisdizionale e l'attivit� del difensore civico sono relativi all'azione del giudice penale e questi sono stati risolti nel progetto nel senso che, se l'azione penale � stata promossa, il difensore civico non pu� iniziare indagini e ci� per evitare forme di sovrapposizione: tutte le volte, invece, che per un determinato fatto, anche se pu� presentare insieme a profili amministrativi aspetti penalisticamente rilevanti, non � iniziata l'azione penale il Difensore civico pu� iniziare e condurre avanti le sue indagini e ha il potere di ottenere anche copia deg1i atti eventualmente nel frattempo sequestrati e dei documenti della pubblica amministrazione (naturalmente con l'autorizzazione del giudice) se questi atti e documenti sono necessari alla prosecuzione dell'indagine. Naturalmente il Difensore civko � soggetto al generale obbligo di comunicare in presenza di elementi di reato all'autorit� giudiziaria penale le risultanze delle indagini. Come considerazione di carattere finale il Difensore civico pu� costituire uno strumento per ricondurre l'opinione pubblica al senso della legalit�, per ricondurla ai valori di quei principi che debbono essere affermati e che Jemolo ha tante volte difeso, come unici strumenti per ritornare a un senso dello Stato e ad una fiducia nell'apparato dello Stato. Naturalmente come tutte le innovazioni il Difensore civico pu� trovare consensi o dei dissensi, ma pu� certamente essere uno dei mezzi ~: IJ 69 PARTE II, QUESTIONI per dare all'azione della pubblica amministrazione non un ulteriore controllo ma uno stimolo per operare, per operare conforme a legge e nell'interesse dei cittadini. Concludo con il sentimento di .fiducia che Jemolo aveva nell'uomo, fiducia nella libert� e fiducia in tutti gli strumenti per riconoscere il valore all'uomo. Il senso dello Stato pu� ritornare per il cittadino se egli ha fede, fede nei suoi simili e fede religiosa nei valori morali, che come ha affermato Jemolo (7), spirito laico e insieme profondamente e sinceramente credente, sono i valori dell'uomo e i valori di Dio. Ed allora, nonostante tutto e le prospettive buie, vi saranno possibilit� di rinascita, .finch� vi sar� una forte fede nelle verit� eterne e nelle regole morali, cos� come ammoniva Jemolo con un messaggio quanto mai attuale. (7) Jemolo, La crisi, cit. p. 46, 47. I ' i l I I - Achille Chiappetti (*) IL DIFENSORE CIVICO NELLE REGIONI 1. -Lo studio dell'istituto del difensore civico nelle Regioni non pu� che partire da un dato di fatto, a mio avviso, estremamente rilevante. Oggi, all'inizio del 1982, � ancora in corso di discussione il problema dell'introduzione del difensore civico a livello nazionale, mentre gi� da dieci anni sono entrate in vigore disposJzioni statutarie (di Regioni a statuto ordinario) che sanciscono la creazione del difensore civico, e, oggi, ben sette regioni hanno gi� il lor�> difensore civico. Altrettanto rilevante � l'ordine cronologico che scan&sce la nascita di ognuno di essi: 1974, Toscana e Liguria; 1978, Campania; 1979, Umbria; 1980, Lombardia e Lazio; 1981, la prima Regione a ~tatuto speciale, il Friuli-Venezia Giuhla. Una collana di date, particolarmente indicativa, in quanto dimostra che al primo momento di sperimentazione (1974) ha fatto seguito, dopo un intervallo di valutazione e ripensamento, la diffusione a macchia d'olio, presso le altre Regioni. Questi due aspetti, quello quantitativo e quello cronologico, sono di per s� indicativi della circostanza che stiamo di fronte ad un fenomeno estremamente vivo, tanto da fare insorgere alcuni interrogativi tra i quali, il primo, ovviamente, � quello, perch� le Regioni, che ill fondo sono arrivate per ultime sulla scena della vita �amministrativa italiana, siano state invece, '1e prime a porre in essere l'istituto del &fensore civico la cui introduzione nel nostro ordinamento � tentata da almeno�venti anni, come � noto, inutilmente. Le risposte, � ovvio, potrebbero essere tantissime. In posizione critica, anzi, causticamente, come hanno fatto alcuni, si potrebbe affermare che il difensore civico � stato previsto negli statuti delle Regioni a statuto ordinario, perch� era, quella, Ia sede ideale per dare attuazione ad un esercizio accademico gi� svolto in altre se& tecniche o congressuali; che l'istituto veniva inserito nelle "carte costituzionali� regionali come una piuma decorativa sul cappello ddla struttura amministrativa che si andava a creare. Una risposta pi� ponderata ma ancora, a mio avviso, non perfettamente calzante sebbene vera per certi suoi versi, � quella che pone in evidenza la circostanza che le Regioni hanno pi� facilit� ad Jpotizzare l'introduzione di istituti di partecipazione tra i quali in senso lato pu� enumerarsi pure il difensore civico. Si tratta, infatti, di amministrazioni pi� giovani, in via di sviluppo e meno sclerotizzate nonostante la mancata (") Ordinario di diritto amministrativo nell'Universit� degli Abruzzi. 72 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attuazione del disegno costruttivo indicato nell'art. 118 della Costituzione, che ha previsto un'amministrazione regionale estremamente ridotta e agile, specie perch� decongestionata dall'ampia utilizzazione dell'istituto delle deleghe agli enti locali. Si tratta, comunque di amministrazioni che appaiono in grado di recepire facilmente tentativi normativi di �apertura� anche a causa, ovviamente, della maggiore vicinanza dell'ente Regione alle popolazioni governate, la quale determina una pi� forte sensibilit� alle istanze delle stesse. Possono essere indicati, ormai, numerosi esempi di soluzioni legislative regionali che hanno anticipato lo Stato; basti pensare all'ipotesi del decentramento comprensoriale: tentativo pregevole, affossato dall'inerzia del legislatore statale, di individuazione di un nuovo ente o livello intermedio che risolvesse in modo pi� consono alle attuali esigenze della societ� i problemi della programmazione e della gestione nel territorio infra. regionale. Altro caso � la applicazione in sede regionale dell'istituto del referendum agli atti amministrativi, e ora, in aggiunta, il difensore civico. Tuttavia, come ho gi� detto, questa risposta non sembra di per s� sufficiente perch� l'istituto, lo abbiamo visto, � stato poi attuato ed, inoltre, si � sviluppato ben al di fa di quelle che erano le disposizioni degli statuti stessi: regioni che non lo avevano previsto, lo hanno cionondimeno introdotto. � evidente, quindi, che c'� qualcos'altro sullo sfondo, qualcosa che occorre individuare se si vuole dare esauriente risposta. A mio avviso, a questo scopo occorre ripensare un momento a che cos'� il difensore civico. Infatti il difensore civico � un istituto molto complesso con molte sfaccettature e che pu� assumere molte forme. Gi� quando noi parliamo di difensore civico e non pi� di commissarfo parlamentare, facciamo implicito riferimento ad un istituto notevolmente diverso dall'ombudsman, un organo, questo, del quale sia il difensore civico, sia il commissario parlamentare, sono dichiaratamente derivazioni. L'ombudsman nasce in Svezia, nella monarchia costituzionale e, come. � noto, si presenta con due ruoli strettamente distinti; il primo � quello di costituire il tramite che consente al Parlamento il controllo sull'esecutivo. In sostanza questa prima attribuzione configura l'organo come uno strumento che si affianca agli organismi di vigilanza che hl monarca gi� possiede per suo conto sulla propria amministrazione; l'ombudsman � per� �di provenienza parlamentare. L'altro ruolo � quello che si aggiunge successivamente a quello ora detto, e che consiste nella difesa degli .interessi dei privati che si trovano in conflitto con l'amministrazione. Come � evidente s.i tratta di due ordini di attribuzioni notevolmente diverse che si incentrano in un unico organo per ragioni che non sono immediatamente determinabili e che, purtuttavia, sono degne di essere ricercate; verifica, questa, che invece non � mai avvenuta, almeno nel corso del dibattito che si � avuto per lunghi anni in Italia. I I i: ........................�.�.-.f:'. PARTE II, QUESTIONI Al contrario l'indagine meriterebbe di essere effettuata, non foss'altro perch� essa consentirebbe di individuare, alla radice, l'effettivo ruolo assunto nel governo parlamentare dall'ombudsman e i collegamenti che intercorrono necessariamente tra riscontro parlamentare della legalit� dell'azione amministrativa e tutela del privato. Non � per� questa la sede per l'esame della questione. Ci� tuttavia non toglie che la �naturale� tendenza del cumulo dei due ruoli nell'organo non venga ad incidere e condizionare fortemente l'istituto trapiantato in altri ordinamenti, come in effetti avviene -e lo vedremo fra poco nell'esperienza regionale italiana. Un altro aspetto di rilievo molto importante � che in Svezia, il primo dei due ruoli dell'ombudsman viene mutando in corrispondenza con il passaggio sempre pi� marcato del sistema di monarchia costituzionale verso un regime di tipo parlamentare, dato che in questa forma di governo � consentita la possibilit� di un controllo del Parlamento ben pi� diretto, attrnverso il condizionamento politico dell'esecutivo nell'am.bito del rapporto di fiducia. In questa nuova situazione l'ombudsman si vede affiancare da1 controllo politico parlamentare sull'esecutivo. Non per questo risulta superato, dato che esso si differenzia in ragione dei suoi poteri precipui di intervento diretto sull'operato dell'amministrazione che si svolgono su di un piano e con modi �diversi da quelli del controllo politico parlamentare sul governo e sui singoli ministri.. La sua vitalit� costituisce la ragione per la quale si diffonde sempre pi� tra gli stati, la tendenza ad introdurre, trapiantandolo, l'istituto scandinavo. Anche l'Italia � stata contagiata da questa sorta di moda. ~ per� avvenuto che sono state prese in considerazione separatamente ambedue le facce dell'istituto: da una parte stanno, infatti, i progetti per la creazione di un vero e proprio commissario parlamentare, dall'altro canto si pongono i progetti per la introduzione di un difensore civico, ohe rispondono appunto, in modo estremamente semplificato all.e due facce di questo Giano bifronte che � l'ombudsman. Ora, a mio avviso, se si cercano le ragioni che hanno determinato il blocco delle iniziative per la creazione dell'ombudsman in Italia, esse vanno ricercate proprio nella circostanza che la figura stessa sia stata ripartita nelle due distinte iniziative ed, inoltre, nel fatto che la prima venuta alla luce sia stata quella sul commissario parlamentare. In effetti, a differenza del difensore civico, la figura del commissario parlamentare pone dei problemi di rilievo istituzionale e di compatibilit� con l'effettivo sistema istituzionale. La domanda che oggi pare ovvio porsi (come invece non era circa vent'anni fa) � se sia possibile oggi, in un 74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO regime come quello italiano, istituire semplicemente e in modo indolore un commissario parlamentare. In proposito non rileva la circostanza che in altri stati, a noi pi� vicini quali la Gran Bretagna, la Francia e la Repubblica Federale Tedesca, che sono gli esempi tra gli stati di maggiore rilevanza, sia stata accolta, nello stesso periodo di tempo, la figura dell'Ombudsman. Infatti si tratta di ordinamenti le cui forme di governo, seppure parlamentari, sono caratterizzate da rapporti tra organi costituzionali e strutture partitiche nettamente distinti da quelli che esistono oggi ill1 Italia e che rendono problematica l'azione del Parlamento e Governo. Negli stati ora menzionati, il cui regime ben conosciamo (in primis l'Inghilterra, nella quale come � noto l'esecutivo ha una totale o, comunque, una forte possibilit� di sopravvivenza per l'intera durata della legislatura ma, pure, la Repubblica Federale e la Francia, le cui riforme costituzionali della V Repubblica hanno determinato la stabilit� governativa) si ha una situazione nettamente distinta da quella italiana e dal suo regime, di gabinetti di coalizione, che la caratterizzano per la congenita debolezza dell'esecutivo che ne consegue. N� va dimenticato che in alcune ipotesi, quali quella del Commissario alle Forze Armate tedesche, l'introduzione dell'istituto � dovuta a motivazioni particolari (nel caso, di soddisfare le esigenze di controllo, fortemente sentite dal Parlamento di Bonn). Tn Italia abbiamo una situazione affatto diversa, di un regime parlamentare con un pluripartitismo esacerbato che conduce alla necessit� di gab,inetti di coalizione ed a rapporti tra Parlamento e Governo, tra maggioranza e minoranza e tra componenti della maggioranza stessa, sottoposti ad equilibri estremamente precari. L'intervento di un organo, che potrebbe intromettersi nei rapporti sui quali si fondano questi equilibri, anche se in posizione neutra, rischia di determinare nel sistema reazioni imprevedibili e forse destabilizzanti. Basta che noi pensiamo a quello che � successo dal momento dell'introduzione del referendum in Italia; ai problemi che anche la pi� inoffensiva (da un punto di vista del rilievo politico) tra le richieste di referendum 'ha posto sulla continuit� governativa e sulla �stabilit� dei rapporti Parla mento-Governo. Le Regioni hanno operato ben pi� rapidamente perch�, questo problema esse lo hanno superato a pi� pari, essendosi indirizzate sulla scelta delli:i figura, meno problematica, del difensore civico. Questa, di fatti, � proprio la logica sulla base della quale operano le norme statutarie delle tre Regioni che hanno previsto il nuovo istituto: la Toscana, la Liguria ed il Lazio. Lo stattcto toscano ha inserito la disposi� zione sul difensore civico tra quelle concernenti l'organizzazione an1mini strativa, cio�, ha � visto � il difensore civico come una struttura operante meramente all'interno dell'attivit� amministrativa. N� molto diverse . ~ I: PARTE II, QUESTIONI appaiono le scelte del Lazio e della Liguria che hanno inserito il difensore civico tra gli istituti di partecipazione -seppure indiretta -che consentono una forma di riscontro sull'attivit� amministrativa da parte dei privati. 2. -Gli statuti, dunque, hanno omesso di considerare il difensore civico come momento di collegamento con il Parlamento regionale (con il Consiglio Regionale) ed � stata, questa, una scelta opportuna, proprio perch� ha fugato sin dall'origine i dubbi, i timori di una complicazione, diciamo, del sistema; dubbi, intendiamoci, che potrebbero pure essere infondati o eccessivi, i quali per� sussistevano, creavano difficolt� e ponevano le premesse per un rinvio se non per un rigetto della proposta come era avvenuto in campo nazionale. E per questo corre l'obbligo di ricordare quanto ha detto il prof. Pace, a proposito dei nostri lavori in Commissione, dove pur riconoscendo la necessit� di un collegamento tra Parlamento e difensore civico, si � tentato di configurarlo in maniera tale da non renderlo momento qualificante della vita del nuovo organo. La scelta compiuta dagli statuti ha comportato una serie di leggi, ed in primo momento, ovviamente, la legge toscana e la legge ligure, ambedue del 1974, che rispecchiano in pieno la logica che si � detta: il difensore civico � un organo che interviene a difesa degli interessi di quei privati, che ad esso ricorrono perch� si sentono lesi da atti o comportamenti della pubblica amministrazione, con la quale sono per qualsivoglia motivo in rapporto e che di norma si attiva per facilitare la risposta della amministrazione nei confronti delle pretese del privato. Viene quindi prevista normalmente l'iniziativa o richiesta del cittadino, il successivo intervento del difensore civico con riferimento al procedimento amministrativo denunciato dal cittadino, mediante l'esercizio di poteri abbastanza interessanti, quali la preventiva individuazione del funzionario responsabile, l'esame congiunto con questo della pratica oggetto della denuncia, la imposizione di un termine per il completamento della pratica, fa eventuale denuncia di responsabilit�. Si pu� prescindere, a mio avviso, dall'analisi della incidenza di questo ruolo cl! difesa degli interessi privati, che � indubbiamente rilevante e adeguatamente articolato. La considerazione di maggiore interesse � quella secondo fa quale, nel primo gruppo di leggi regionali che ha attuato gli statuti, la figura del difensore civico rimane chiusa, in un disegno di mera partecipazione e affiancamento del cittadino nel procedimento amministrativo. In altre parole, � evidente come il difensore civico nasca come organo neutro, come un organo cio� che si � voluto privare di qualsivoglia possibilit� di inserimento o inframmettenza nei rapporti politici intercorrenti tra l'assemblea elettiva-legislativa e l'esecutivo, (in particolare vedi Giunta). Ci� sebbene, almeno al momento della nascita, non si sia potuto evitare un collegamento formale tra difensore civico ed assemblea, perch� sia la 76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Toscana che la Liguria hanno stabilito il principIO (seguito peraltro da tutte le altre regioni) secondo cui il difensore civico debba essere eletto dal Consiglio Regionale. Tuttavia tale elezione, avvenendo con una maggioranza qualificata, ne consente il distacco dalla maggioranza di governo e attribuisce all'eletto maggiori garanzie di indipendenza nei confronti e della maggioranza governativa stessa e dell'esecutivo. Insomma il rapporto genetico che intercorre tra difensore CIVICO e assemblea elettiva non ha che una funzione di cordone ombelicale, proprio nel senso che ha in natura questa parte del corpo dei mammiferi, perch� deve essere reciso al momento della nascita del nuovo organismo che dal momento stesso diviene un'entit� totalmente staccata. N� hanno rilievo in senso contrario le disposizioni che prevedono il potere di revoca� da parte del consiglio regionale: potere che deve essere inteso in un significato ristretto, come � nella natura degli atti amministrativi e non politici. Non quindi un ritiro della fiducia, fondata su scelte di indirizzo politico, bens� probabilmente, una revoca motivata dalla sopravvenuta carenza di requisiti, anche non previsti dalla legge, richiesti per la nomina. Cos� avviene nella prassi, nella quale il difensore civico, dopo l'elezione o la designazione da parte dell'assemblea, opera liberamente e ha rari contatti istituzionalizzati con essa, rimanendo quasi totalmente rivolto al ruolo �affidatogli all'interno dei rapporti tra privati e autorit� amministrative. In questo quadro l'isolamento formale del nuovo organismo � garanzia per tutte le componenti del circuito politico (per la maggioranza assembleare e per l'esecutivo) dal momento che esso non viene a costituire un elemento di commistione o di confusione. Sicch�, in conclusione, sembra corrersi effettivamente il pericolo denunciato da una parte della dottrina e cio� che sarebbe stato creato un istituto di scarso rilievo con un nome celebre e roboante, collocato con tanto di cerimonie e fanfare, come istituto-simbolo di civilt� istituzionale e democrazia, e poi, in realt� abbandonato a s� stesso, sterile � ufficio reclami � o � telefono amico � e cos� via. Questa, per�, � un'accusa eccessiva e perci� stesso infondata. Innanzitutto, gi� nell'ottica del suo apparentemente limitato ruolo di pungolo della corretta azione amministrativa, l'istituto ha, a mio avviso, un'importanza notevole, almeno per due aspetti. In primo luogo, perch�, finalmente, con esso � stato introdotto in Italia un meccanismo che si pone in stridente contrasto con la concezione tradizionale del rapporto non paritetico tra burocrazia autoritativa, operante per mezzo di � provvedimenti � (mi richiamo alle nozioni che ben conosciamo) e cittadino. Ed, invero, il difensore civico � un organo in cui si formalizza, nel diritto pubblico, la esigenza di difesa del cittadino nell'ambito della amministrazione e senza la contrapposizione che caratterizza gli attuali strumenti �esterni� di tutela degli interessi e dei diritti " ....,.......~ 77 PARTE II, QUESTIONI soggettivi dei privati, di natura giurisdizionale, o agli strumenti � interni � alla stessa amministrazione (come i ricorsi amministrativi). N� va dimenticata un'altra conseguenza di grande significato: la circostanza, cio�, che l'intervento del difensore civico opera su attivit� e cpmportamenti dell'amministrazione e non come l'usuale controllo o tutela su atti e su provvedimenti (e qui, appunto, pensiamo a quanto ci ha appena ricordato il Presidente Chieppa). Non � in effetti notevole che attraverso il nuovo organo si possa riuscire (nei limiti in cui si vuol riuscire, ovviamente) a saltare a piedi pari, l'intera problematica della difesa del privato nei confronti dell'inerzia amministrativa, che invece il Consiglio di Stato � riuscito a risolvere e in modo ancora insoddisfacente (per forza di cose, non certo per sua colpa) in una lenta, annosa evoluzione? Il fatto � che non � neppure facile riuscire a prevedere quali potranno essere le conseguenze sulla tradizional� concezione di rapporti cittadinoburocrazia e burocrazia-amministrazione, intesa nel suo modo di operare come amministrazione e non come esecutivo, che fino ad oggi hanno distinto l'ordinamento italiano da ogni altro. 3. -Senonch�, le considerazioni appena svolte appaiono di rilievo perfino secondario a fronte di ci� che si � andato verificando nella prassi, successiva alla istituzione del difensore civico nelle regioni. Ovviamente, quando accenno a:lla prassi, mi riferisco a!lla attivit� dei primi difensori civici, perch� le leggi del 1979, 1980 e 1981, ancora non hanno dato risultati probanti o comunque analizzabili. Il primo elemento ,di rilievo che emerge dall'analisi delle vicende storiche � la evidenza di un massiccio ricorso al difensore civico e ci� � avvenuto nonostante la difficolt� iniziale, che ben si pu� comprendere, di diffondere la conoscenza della esistenza di un difensore civico. Sono state fatte delle analisi molto interessanti sulle relazioni dei difensori civici e da esse � emerso, per esempio, che un numero rilevante di reclami sono presentati da funzionari o dipendenti pubblici, trattandosi di categorie che pi� facilmente vengono a conoscenza dell'esistenza del difensore civico. Inoltre risulta altresl evidente che l'istituto � stato ampiamente utilizzato da quelle parti sociali, da quei cittadini che avevano la minore forza (economica) per una difesa giurisdizionale; e tutto ci� � un fatto in qualche modo positivo, anche se ci fa supporre che, chi aveva altre abitudini o modi, non sempre accettabili, di come trattare con l'amministrazione, ha continuato, � probabile, a farlo. Infine � risultato che un grandissimo numero di richieste sia stato presentato al di fuori delle competenze legislativamente previste (� noto che nell'ambito regionale le attribuzioni interessate a dette competenze sono quelle delle Regioni, e anche degli enti locali, ma solo quelle delegate dalle Regioni stesse). Molte volte si � ricorso al difensore civico per 78 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELl..O STATO chiedergli qualcosa che non poteva fare, riguardo per esempio, ad attivit� proprie degli enti locali. Quale, in tal caso la risposta del difensore civico? Un'obiettiva difficolt� si oppone, per molteplici ragioni, a rispondere: �non � mia competenza, non posso fare niente� ed, infatti, di norma, l'organo si � attivato lo stesso, con la c,arica o la forza della sua dignit�, della sua funzione neutra. A ben vedere il difensore civico non ha quasi mai risposto negativamente e ha fornito repliche molteplici e diversamente articolate che � un peccato non potere esaminare in questa sede. Per esempio, al di fuori delle proprie competenze il difensore civico toscano ha deciso di non rispondere mai negativamente quando siano in gioco problemi di interesse generale, preferendo intervenire comunque, anche se esercitando poteri minori. Il dato pi� interessante che emerge dall'analisi della prassi � appunto questo: che i limiti formali delle attribuzioni del difensore civico sono stati sentiti come una camicia di forza che blocca in modo eccessivo le potenzialit� dell'organo. E quindi questo si � andato trovando altri meccanismi di intervento che, tra l'altro, erano stati gi� evidenziati nell'esperienza francese, per esempio sotto forma di consulenza informale agli organi costituzionali, oppure attraverso la proposta di piccole riforme (mediateur). 4. -� indubitabile che questa circostanza sia da prendere in attenta considerazione; invero il fatto che l'appena istituito organismo abbia esorbitato da quello che era il disegno inizialmente per lui tracciato dagli statuti e dalle leggi delle prime regioni che .l'hanno introdotto e si sia allargato su altri versanti, ponendosi quale protagonista di un colloquio diretto con le pubbliche amministrazioni, non solo su iniziativa dei privati e non soltanto con riferimento a casi specifici, bens� su temi e questioni di portata pi� generale, appare di grande interesse ai nostri fini. Ma la figura che stiamo esaminando non si � evoluta unicamente in questo suo modo di operare. Rivolgendosi ad un approccio a tematiche di maggiore ampiezza, essa si � posta in evidenza nei confronti degli organi � costituzionali � della regione i quali, per l'interesse istituzionale da essi portato alle stesse tematiche, hanno ritenuto di potere usufruire dei risultati della sua attivit�. Ne sono scaturite alcune interessanti innovazioni legislative. Direi che � emblematica in questo senso, la modifica alla legge toscana sul difensore civico, introdotta nel 1977, che amplia e formalizza i rapporti tra difensore civico e Consiglio Regionale, prevedendo una pi� precisa regolamentazione delle relazioni periodiche sull'attivit� dell'organo stesso e dell'utilizzazione di queste relazioni da parte del Consiglio Regionale. Si tratta di una modifica che ha un rilevante significato sostanziale e che inserisce il difensore civico in un circuito politico al quale esso era prima estraneo. PARTE II, QUESTIONI Questo processo evolutivo, inoltre, non si verifica soltanto nell'ambito delle regioni che hanno per prime previsto il difensore civico, ma, a mio avviso, si riproduce con effetti notevoli anche sul contenuto deHe leggi delle regioni che hanno successivamente introdotto l'istituto. Il che, per inciso, conduce a respingere un'altra accusa non esatta che � stata ripetutamente rivolta alla legislazione regionale afferente al tema, e cio� che le leggi regionali sul difensore civico. siano state scritte in maniera ripetitiva, quasi con tampone. Non � assolutamente vero, anche se si potrebbe osservare che sarebbe pure errato il contrario, cio�, pretendere una totale diseguaglianza tra fogge e legge. In realt� si riscontrano differenze, e differenze significative, come sono appunto, quelle -contenute nelle pi� recenti normative -che riconducono fil difensore civioo in una posizione di rilievo nell'ambito del circuito costituzionale (ovviamente regionale) dei rapporti tra legislativo ed esecutivo. Si ha dunque uno scatto di qualit�, anche se l'organo resta politicamente neutro (anche nelle nuove leggi, il difenso: i:-e civico � eletto dal Consiglio Regionale con la maggiomnza qualificata). Ora, se poniamo mente a questa evoluzione, ed in particolare modo al fatto che viene formalizzato il momento in cui il �parlamento� regionale acquisisce le informazioni che il difensore civico ha attinto dall'Amministrazione, si ha quasi l'impressione di essere di fronte ad un fenomeno di � dej� vu �. Ed, infatti, a ben pensare, pu� sembrare (con la dovuta cautela che tali raffronti richiedono) di assistere alla ricucitura, attorno alla figura creata dalle regioni, delle due attribuzioni originarie dell'ombudsman svedese. Vista in tali termini interpretativi la vicenda dei difensori civici regionali consente di svolgere due ordini di considerazioni alquanto interessanti. 1) La conferma della stretta correlazione �naturale� intercorrente tra le due attribuzioni dell'ombudsman che �rende probabilmente precario o inutile .,il tentativo di dare vita ad un ombudsman dimezzato, con i soli compiti di difensore civico. 2) La ineluttabile necessit� di un ulteriore ~mpiego delle � utilit�� di cui diviene automaticamente portatore tale organo � dimezzato � con l'acquisizione da parte di altri organi, degli elementi conoscitivi concernenti l'and�mento dell'amministrazione. Tale impiego pu� (anzi dovrebbe) svolgersi sia mediante la introduzione di poteri _che consentano una maggiore incidenza dell'organo stesso sull'azione amministrativa (sempre per� nel rispetto della natura politicamente neutra dello stesso) sia mediante una continua utilizzazione a fin� conoscitivi e forse anche ispettivi dell'attivit� amministrativa da parte del potere legislativo. 80 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAID La rapida evoluzione, anzi, il progresso segnato dalla pi� recente legislazione regionale si sono appunto realizzati percorrendo ambedue le vie. Gli esempi della prima si rinvengono in tutte le leggi degli anni 1980-1981. Cos�, l'art. 2 della legge lombarda (1980) stabilisce che: �Il difensore civico, qualora nell'esercizio dei propri compiti istituzionali rilevi o abbia notizia che nell'operato di altre amministrazioni si ve!'if�.chino disfunzioni ed anomalie comunque incidenti sulla qualit� e regolarit� dell'attivit~ amministrativa regionale diretta o delegata, ne riferisce al Consiglio regionale a termini del successivo art. 5 �. Sullo stesso piano operano le leggi del Friuli-Venezia Giulia, e dell'Umbria che prevedono la possibilit� di interventi d'ufficio dovunque si riscontrino irregolarit�. Pure gli esempi della seconda forma di �utilizzazione� dell'attivit� del difensore civico sono rilevanti, dimostrando l'interesse progressivamente sentito dal legislatore regionale verso il rafforzamento dei collegamenti (al liveHo di impiego dei dati acquisiti) tra tale organo e il Consiglio. La normativa pi� approfondita e curata � per il vero quella Lombarda (art. 5) la quale stabilisce che, oltre alla relazione sull'attivit� svolta nell'anno precedente, segnalando i casi in cui si sono verificati i ritardi e le irregolarit�, hl difensore civico pu� anche inviare al Consiglio Regionale in ogni momento, relazioni su questioni specifiche, in casi di particolare importanza o comunque meritevoli di urgente considerazione. Senonch� ancora pi� interessante appare la successiva disposizione secondo cui �Il Consiglio Regionale, esaminate le relazioni, tenuto conto delle osservazioni e dei suggerimenti in esse formulati, adotta le determinazioni di propria competenza che ritenga opportuno, ed invita i competenti organi statutari della regione ad adottare le ulteriori misure necessarie, con particolare iI1iguardo: A) alla modifica della struttura del servizio d'ufficio; B) alla revoca degli incarichi dei dirigenti di servizio, ove ricorrano gli estremi ecc...; C) alla promozione di eventuali provvedimenti disciplinari; D) alla sostituzione nell'espletamento di singoli atti dei funzionari... �. Come � facile vedere, l'arricchimento progressivo della figura e dei poteri del difensore civico regionale � veramente notevole, riavvicinandolo, anche se molto alla lontana, a quella del commissario parlamentare. Questa evoluzione � l'indice pi� evidente della grande vitalit� dell'istituto; la dimostrazione, cio�, che un esperimento che, forse all'inizio, poteva apparire ad alcuni eccessivamente parziale e mutilato e perci� demagogico, in realt� ha risposto ad esigenze effettive, ha colmato vere carenze della nostra struttura di governo, inteso in senso lato. Esigenze e carenze tuttavia, che era arduo tentare di affrontare in via diretta, proprio per la difficolt� di ideare e di introdurre lo strumento che sarebbe stato necessario a tal fine. PARTE II, QUESTIONI L'esperienza dei difensori civici regionali ha dimostrato per� che la strada � percorribile con la dovuta prudenza e, ovviamente, senza attendersi risultati miracolosi anche nell'ambito statale. Tanto pi� che l'Amministrazione statale e i rapporti tra essa e il parlamento hanno delle peculiarit�, delle ragioni del disfunzionamento amministrativo talmente radicate e diffuse che l'intervento del difensore civico non potr� certamente neppure tentare di risolvere. (Basti pensare ai � disservizi pubblici � nazionali, -postali -ferroviari ecc... che non possono essere neppure intaccati dal modesto contributo dell'organo di importazione svedese). Ci� per�. non toglie, e questa mi sembra la conclusione pi� rilevante ai nostri fini, che emergano da quanto si � visto dell'esperienza regionale, segnali molto incoraggianti che spingono a realizzare al pi� presto il difensore civico nazionale. ACHILLE CHIAPPETTI Franco Favara (*) SIGNIFICATO POLITICO E LIMITI COSTITUZIONALI DELL'ISTITUTO DEL DIFENSORE CIVICO SOMMARIO: 1. Ragioni di cautela -2. La lotta contro l'inerzia degli apparati -3. La lotta contro le disfunzioni dei pubblici servizi -4. La provvista dei difensori civici. t. -Debbo confessare di essermi avvicinato al tema di questo incontro di studio con un po' di diffidenza nei confronti dell'istituto del difensore civico. Ed invero non mancano -a mio personale avviso -.ragioni che suggeriscono un approccio cauto. Ne indico esemplificativamente tre. La prima. Il nostro Paese si trova nel bel mezzo di una crisi economica non solo congiunturale, che ha reso intollerabile il sovraccarico della spesa pubblica, in larga misura determinato dall'eccessivo peso delle sovrastrutture istituzionali sulle strutture produttive. L'esigenza oggi pi� avvertita � piuttosto quella di smobilitare gli apparati che rendono alla collettivit� meno di quanto costano, e non gi� quella di creare nuove sovrastrutture per infittire oltre le garanzie. La seconda. I nostri apparati pubblici -ed alludo non solo a quelli amministrativi ma anche a quelli giurisdizionali -sono afflitti da vaste aree di inefficenza. L'obiettivo da ipevseguire dovrebbe essere quello di un recupero di efficenza di detti apparati, non quello di creare apparati paralleli aventi il compito di ingerirsi � da fuori � o � daH'alto � nel lavoro altrui, con conseguente aumento del volume dei flussi cartacei che gi� soffocano gli uffici. Certamente, recuperare l'efficenza degli apparati esistenti � obiettivo molto difficile, per raggiungere il quale � necessario percorrere strade faticose: ricostruire un tessuto di funzionari -e mi riferisco soprattutto ai dirigenti di uffici -personalmente responsabili nei confronti della collettivit� per il funzionamento degli uffici loro affidati, formati nell'orgoglio per la funzione pubblica e selezionati per dil'ittura morale e dimostrate capacit� professionali; applicare senza eccezioni il principio costituzionale per cui nei pubblici uffici si accede per concorso e si fa carriera per merito; rompere la rete delle reciproche tolleranze all'interno degli uffici; rifiutare gli eccessi di egualitarismo che generano cachistocrazie tanto arroganti quanto prive di legittimazione sostanziale: tutto ci� richiede un impegno morale prima che politico di lungo periodo. poco redditizio in termini di consensi immediati. Comprensibile � quindi la tentazione di ricercare scorciatoie. Ma vere scorciatoie non esistono; (*) Avvocato deHo Stato. 17 84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sicch� il ricercarle pu� essere dannoso, se vale a creare illusioni, ad intro durre ulteriori deformazioni. a ritardare i temoi di pi� faticosi recuperi. Bisogna, tra l'altro, prendere consapevolezza del fatto che una amministrazione seria ed efficiente � requisito indispensabile non solamente per la funzionalit� ma anche per la democraticit� delle istituzioni. La man. canza di un ceto quaHficato e motivato di amministratori pubblici deter mina dei �vuoti� che altri ceti pi� dotati di uomini qualificati sono portati a riempire, con conseguente alterazione degli equilibri costituzionali. Il personale politico dovrebbe considerare maggiormente quanto preferibile sia, per esso,. avere per interlocutori immediati amministratori pubblici capaci ma pur sempre subalterni, anzich� venire a diretto contatto con corpi in grado di contrapporsi. La terza. Il nostro ordinamento gi� conosce una molteplicit� di con trolli: operati dalle gerarchie interne di ciascun apparato, dalle ragionerie, dalla Corte di Conti, dalle giurisdizioni amministrativa civile e penale, dlol organi straordinari (ad esempio i cosidetti �super-ispettori� tributari). Sulla carta. non si pu� dire che vi sia scarsezza di controllori. Anzi, v'� piuttosto una pletora di controllori, spesso per� male impiegati, e -a loro volta -non di rado tanto poco efficienti da provocare rallentamenti intollerabili nel corso dei procedimenti; al punto che recentemente il legislatore -ad esempio con la legge n. 1 del 1978 -si � preoccupato di eliminare taluni controlli ed ingerenze. V'� di pi�: controlli ed ingerenze, quando sono oltre misura, producono effetti disincentivanti il cui costo, ancorch� difficilmente quantificabile, pu� risultare pesante, specie se il controllore -'--operando al coperto da responsabilit� e beneficiando di uno status privilegiato -non incontra remore neppur psicologiche nell'assumere iniziative volte ad attivare pro cedimenti repressivi, ed � portato a ritenere i funzionari controllati alla stregua di suoi subalterni. In una societ� �di massa� il perfezionismo � un lusso insostenibile, e controlli eccessivi si traducono inevitabilmente in cali di produttivit�. 2. � Come vedete, vi sono motivi per un approccio, pi� che disincantato, scettico alla proposta di introduzione del difensore civico nel nostro ordinamento statale. Tuttavia, chi si fermasse a questo punto verrebbe meno al dovi::re di mettere a fuoco e valutare anche quanto di positivo vi pu� essere -e vi � -nella proposta. Ed in effetti vi sono almeno due ambiti ben delimitabili nei quali il difensore civico pu� rendere utili servigi alla collettivit�. Il primo ambito � -come gi� egregiamente rilevato dal presidente Chieppa -della lotta contro l'inerzia degli apparati. I controlli esistenti, e le garanzie giurisdizionali offerte dalla Costituzione, sono strumenti sufficienti ad assicurare La conformit� alla legge degli atti posti in essere, ma PARTE II, QUESTIONI -come noto -non valgono ad assicurare una effettiva salvaguardia contro i comportamenti inerti, contro il � non fatto � degli apparati. Il legislatore si � visto costretto a dare -in alcuni casi -all'inerzia, al silenzio dell'amministrazione, significati per cos� dire sostanziali: dapprima di �rigetto�, nel campo dei ricorsi amministrativi, e, in epoca pi� recente, di �assenso� o �accoglimento� di talune istanze presentate dai cittadini. Il che implica un trasferimento ai � privati � di alcune fette di potere amministrativo, ed esprime una notevole sfiducia negli apparati chiamati ad agire per il bene pubblico. Ovviamente, silenzio-rigetto e silenzio- assenso non possono che rimanere espedienti �eccezionali, e non possono essere utilizzati nei casi di inerzia di un giudice. V'� dunque un ampio spazio di azione per un organo cui sia affidato il compito di stimolare l'iniziativa d'ufficio degli apparati, di �sollecitare l'ulteriore corso di procedimenti e processi pendenti, di rimuovere le sacche di resistenza passiva e di semplice inerzia. E ci� -a mio avviso, parzialmente divergente da quello poc'anzi espresso dal presidente Chieppa nell'interesse della collettivit� prima che nell'interesse del �cittadino qualunque �. Ed infatti il pi� incisivo dei poteri attribuiti ai difensori civici dalle leggi regionali gi� approvate in materia sembra -per l'appunto -il potere di fissare, di volta in volta, secondo le esigenze del caso concreto, un termine al compimento di atti dell'amministrazione regionale (qualcosa di simile a quanto previsto dall'art. 1183 codice civile). L'infruttuoso decorso del termine cos� fissato costituisce di per s� fatto illecito, suscettibile di sanzione quanto meno disciplinare. Peraltro, le norme regionali test� richiamate fanno sorgere la necessit� di raccordare l'efficacia dei termini ope defensoris cui si � accennato con la disciplina a fini processuali della formazione del �silenzio-rifiuto�, disciplina che la giurisdizione amministrativa -concordando con quanto proposto nella Relazione dell'Avvocatura generale per gli anni 1971-1975 ha desunto dall'art. 25 del d.P.R. 19 gennaio 1957 n. 3, con implicita estensione della portata delle disposizioni in esso contenute anche al di fuori dell'ambito � statale �. D'altro canto, proprio l'esperienza formatasi in relazione alle applicazioni del citato art. 25 sta a dimostrare che tale disposizione, se pu� utilmente operare per la constatazione formale del � silenzio-rifiuto � a fini processuali, non � sufficiente a produrre un effettivo superamento della inerzia mancando la previsione della possibilit� di un intervento attivo, �costruttivo�, sulla persona o sull'apparato che rimanga inerte. In altre parole l'art. 25 sta operando pi� come disposizione pre-processuale che come normativa -sia pur incompleta -regolatrice del procedimento amministrativo. 86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per una efficace lotta contro l'inerzia appare dunque giustificata l'enucleazione di una funzione pubblica ad hoc: il che non equivale a dire l'istituzione di un funzionario o, peggio, di un apparato ad hoc. Ed in effetti, per l'art. 13 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, l'Avvocatura dello Stato gi� sarebbe investita della funzione di consigliare e dirigere le amministrazioni patrocinate �quando si tratti di... abbandonare giudizi�: il che le consentirebbe, appunto di dover promuovere il compimento delle attivit� omesse ogniqualvolta sia pendente ricorso avverso un �silenziorifiuto �. In pratica, una siffatta sollecitazione viene raramente posta in essere, anche per una sorta di self-restraint, di ritrosia a dare indicazioni che potrebbero incontrare la resistenza passiva dell'amministrazione patrocinata. La riflessioni suscitate da questo incontro di studio potrebbero condurre ad irrobustire lo strumento offerto dal ricordato art. 13; e potrebbe forse essere utile rendere �detto strumento pi� maneggevole mediante una norma sul procedimento da seguirsi. Va comunque considerato che l'attribuzione della funzione de qua ad un difensore civico ad hoc renderebbe possibili divergenze di opinioni e conflitti tra tale funzionario e l'Avvocatura dello Stato in ordine alla conduzione degli affari contenziosi aventi ad oggetto un �silenzio-rifiuto� (1). Non � comunque pensabile che alla determinazione dei tempi della azione amministrativa e dei processi giurisdizionali possa efficacemente provvedere direttamente ed in astratto il legislatore. Termini fissati ex lege, quand'anche non vanificati da ragioni di oggettiva impossibilit�, sono destinati a rimanere �ordinatori� ogni qualvolta -ed � la regola -non pu� (1) Per superare incertez:re che, i:n ordine al11a formazione del � si1enziorifiuto � (e conseguenti riflessi sul processo amministrativo, che -come noto � � materia ,, .di esolusi:va competenza statale) e, �al tempo stesso, per cercare di ovviare a taluni degli inconvenienti determinati dalila inadeguatezza degili strumenti di lotta .contro �finerzi:a nell'ambito deMe pubbliche amministrazioni, potrebbe :pensarsi ad inseril'e, in un �eventuale d.dJ., l'articolato che segue. * * * Articolo A �Gli art<koli 25 e 26, ed iJ primo comma dehl'art. 27, del decreto del Presidente deillla RepubbLka 110 gennaio 1957 n. 3 contengono disposizioni sul procedimento amministrativo aventi valo!'e di disposizioni fonda:mentalti di principio ag1i effetti dell'articolo 117 de1la Costituzione e deg1i statuti speciali di cui a11'artko1o 116 della Costituzione, e si applicano nei confronti dJ tutte le amministrazioni pubbliche e dei .!oro dipendenti; nelil!'ultimo comma del predetto articolo 25 fa paro1a "t!'enta" � sostituita con la paro1a "sessanta"�. Arti-colo B � Quando � stato ritualmente proposto o possa essere proposto ricorso a tribunale regionale amministrativo avverso fa omissione, constatata nei modi ! I I PARTE II, QUESTIONI 87 sistematicamente programmarsi il venir meno d~lla pubblica potest� non esercitata. Per quanto in particolare concerne i procedimenti amministrativi, � un fatto che la scienza giusaministrativistioa, se ha dedicato molta attenzione al provvedimento, oggetto e protagonista dei giudizi amministrativi, ha lasciato per cos� dire in secondo piano altri momenti di procedimento; e mi riferisco soprattutto all'iniziativa e all'istruttoria. Nei processi giurisdizionali l'iniziativa � rimessa a soggetti diversi dal decidente; e l'istruttoria costituisce di regola fase a s� stante, ben distinta dalla decisione. Nei procedimenti amministrativi, l'iniziativa -se d'ufficio -e l'istruttoria non hanno -almeno sulla carta -uno svolgimento dialettico e dignit� di autonoma disciplina; il che ingenera confusione di ruoii, e lascia il corso del procedimento nella �disponibilit�� dell'organo decidente. Non v'� quindi da stupirsi se di tale � disponibilit� � l'autorit� decidente fa uso e non di rado abuso, fino al punto di ricorrere al silenzio come modalit� persino normale di espressione della volont� amministrativa. Senza dubbio, rafforzare i rimedi gi� esistenti contro l'inerzia deHe amministrazioni � pi� agevole -pi� agevole, s'intende, sul piano giuridico- formale, non nella realt� delle cose -ed anche pi� urgente. Quailcosa per� bisognerebbe fare anche per consentire il suiperamento delle pi�. dannose strozzature dei processi giurisdizionali: � persino mortificante leggere pronunce della Corte dei diritti dell'uomo, di riprovazione del nostro Paese per troppo ritardata giustizia. Adeguate risposte a tale esigenza non possono -per evidenti ragioni d'ordine costituzionale -essere trovate in uno strumento tutto considerato grossolano, quale appare il difensore civico. Esse potrebbero essere trovate, pur mantenendo inalterato il quadro costituzionale, in altri stru previsti daLl'articolo 25 del decreto del Presidente dema Repubblica '10 gennaio 1957 n. 3, di un 'atto od operazione dovuto da un organo di una ammi� nistrazione o azienda dello Stato, anche autonoma, e fino a quando si � formato H giudicato, l'Avvocato generale dello Stato pu�, previa comunicazione agli uffici competenti ed acquisite le necessarie informazioni, stabilire modalit� procedimentali per &l. compimento deLle prescritte attivit� amministrative ed eventualmente attivare i previsti poteri sostitutivd. L'obbligo di attenersi alle modalit� cos� stabilite pu� essere esteso a procedimenti connessi per identit� di oggetto o di questioni, anche se concernenti soggetti dive11si dal ric011rente. La funzi.one di cui al comma precedente pu� essere delegata, in tutto o i:n parte ed anche oon provvedi.mento generale, ad un vioe avvocato generale deLlo Stato, e, per gli affari concernenti gli organi indicati ndl'artkOll.o 2 lettera b) della legge 6 dioembre 19711 n. 1034, all'avvocato d]strettuale dello Stato competente per territorio. L'Avvocato generale dello Stato riferisce ogni tre anni !in merito all'atti� vit� rsvolta ai sensi del presente artkolo al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale trasmette la relazione ai Presidenti delLe Camere�. 88 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO menti, quali una meno indeterminata collocazione della funzione inquirente, la configurazione di poteri di mero impulso in capo al Ministro di grazia e giustizia, un parziale recupero dell'originario ruolo antagonista della Corte di cassazione (del resto esplicitamente segnalato dalla Costituzione), o il ricorso a nuove forme di partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia. 3. -Un secondo ambito nel quale H difensore civico pu� utilmente operare � quello della lotta contro le disfunzioni dei servizi pubblici e in genere delle attivit� amministrative non provvedimentali. Anche in questo ambito -come nel primo -'-si � in presenza di comportamenti, manca un provvedimento suscettibile di controllo sull'atto o di impugnazione. Il r.attivo funzionamento delle attivit� amministrative di prestazione di serizi e non provvedimentali � -come ovvio -maggiormente avvertito laddove i cittadini sono costretti a vivere sotto speciale disciplina amministrativa ed a stretto contatto tra loro e con l'autorit�: si pensi agli ospedali, alle caserme, alle carceri. Non a caso si � avuta una spontanea nascita di �tribunali del malato�, e si � avvertita l'esigenza di assicurare modalit� di espressione democratica all'interno delle forze armate e della polizia. Peraltro, la misadministration � avvertita, seppure in modo meno drammatico, anche dai cittadini che pi� o meno liberamente si avvalgono di servizi pubblici. In questo secondo ambito non � detto che l'istituzione di un difensore civico (o di una pluralit� di difensori civici settoriali) costituisca l'unica o la migliore risposta possibile. Il difensore civico � un funzionario, in posizione di relativa autonomia dal potere politico ossia dalla maggioranza che governa e che lo nomina, ma pur sempre solo un funzionario. Ed � necessario che rimanga tale, e non divenga n� un politico n� un giudice (non previsto dalla Costituzione). L'istituzione del �difensor.e civico � dunque una risposta di tipo burocratico, che si pone in alternativa a possibili risposte di tipo partecipativo. Ad esempio, istituire uno o ~i� difensori civici per l'assistenza sanitaria conduce in pratica a rendere meno viva l'esigenza di organizzare e gestire un controllo diretto da parte delle comunit� utenti sulla gestione delle strutture sanitarie e ospedaliere; un controllo -questo -che potrebbe rivoltarsi anche contro gli amministratori provenienti dal ceto politico. 'Come funzionario, il difensore civico � in �grado di controllare altri funzionari, ma pu� risultare poco incisivo nei confronti dei rappresentanti eletti e in genere del personale politico. Ora -mi consenta il prof. Chiappetti -specialmente nelle regioni malgrado le leggi regionali assegnino sulla carta al difensore civico il compito di individuare il � funzionario responsabile � di un servizio e di un disservizio, esiguo � lo spazio decisionale in realt� lasciato ai funzionari. Sicch�, di riflesso, le possibilit� di intervento del difensore civico ~ f f ~ t i: i'. i; ! PARTE II, QUESTIONI possono risultare molto pi� circoscritte di quelle che potenzialmente sarebbero le po~sibilit� di confronto attivate da organismi di diretta partecipazione popolare. Il difensore civico potrebbe, addirittura, pi� o meno inavvertitamente, rivelarsi uno strumento di protezione del � potere costituito '" un modo di incanalare e dirottare l'eventuale malcontento popolare verso impiegati esecutivi o poco pi� che esecutivi. Cionondimeno, in molte situazioni il difensore civico pu� rivelarsi risposta pi� opportuna di soluzioni di tipo partecipativo. Un rapporto diretto, non � mediato �, non � filtrato �, tra utenti e addetti alla prestazione di servizi pubblici pu� risultare, alternativamente, o troppo conflittuale, al punto da risultare d'intralcio al funzionamento dei servizi, o troppo coinvolgente, al punto da risolversi nel � tutto va bene �. D'altro canto, le formule partecipative finora sperimentate hanno-dimostrato quanto limitata sia Ia possibilit� di organizzare e gestire organismi realmente autonomi dalle principali forze politiche e sociali, e quanto costosa sia, in termini di tempo e di danaro, la attivazione di una qualsiasi forma di partecipazione popolare. Sicch�, pu� risultare conveniente affidare ad uffici ad hoc, ciascuno al limite composto da un uomo solitario titolare di un munus personale, �na parte di quei compiti di controllo democratico che altrimenti occorrerebbe affidare ad una miriade di � parlamentini �, eventualmente poco governabili e portati a:lle radicalizzazioni ed alle strumentalizzazioni. Ho usato la parola �uffici�, e al plurale, perch� non mi pare possibile n� auspicabile che una sola persona possa caricare su di s� -come ipotizzato dal prof. Pace -compiti .estesi a tutti i settori di possibile intervento ed a tutto il territorio nazionale. Va comunque tenuto presente che la prestazione di molti servizi rientra: ormai nelle competenze regionali (ad esempio, nel settore dell'assistenza sanitaria e ospedaliera, qualche Regione gi� sta affidando al proprio difensore civico compiti di controllo democratico), che per il mondo della scuola e delle universit� gi� esistono strumenti di partecipazione, che adeguate risposte sono state date dall'ordinamento alle esigenze delle carceri e delle convivenze militari e di polizia, e che per talune amministrazioni (ad esempio, affari esteri, bilancio, finanze, partecipazioni statali) non sussistono significativi spazi per l'azione di un difensore civico. Una volta esclusa l'ipotesi del difensore civico unico per tutto l'appavato statale, viene a cadere anche ogni ragione per una sua collocazione presso. la Presidenza del Consiglio dei Ministri. � -questo della collocazione del o dei difensori civici nel sistema delle istituzioni statali -un problema che non mi pare sia stato ancora affrontato: escluderei che il o i difensori civici possano rimanere per cos� dire �a mezz'aria�, senza un punto di riferimento costituzionale. Il difensore civico, come si � detto, non pu� essere un � magistrato speciale �, se non altro perch� la Costi 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tuzione non lo prevede, anzi lo vieta. E se � un funzionario vi ,deve essere per H suo operato una responsabilit� politica governativa o ministeriale. A questo proposito, pu� essere interessante osservare che il d.d.l. sulla Presidenza del Consiglio dei Ministri, recentemente presentato dal Governo. al Parlamento, attribuisce al Presidente del Consiglio il potere di adottare � le direttive necessarie per assicurare il buon andamento della p.a. e per la verifica costante dell'efficienza degli apparati pubblici�, ed attribuisce a ciascun Ministro il compito di vigilare � affinch� siano assicurati il buon andamento e l'imparzialit� dell'amministrazione (affidatagli). esercitando le opportune verifiche ed i necessari controlli �. 4. -Prima di concludere vorrei dire poche parole in ordine alla � provvista � delle persone cui affidare la funzione di difensore civico. Due requisiti mi paiono essenziali. Il primo concerne l'et�. Il chiamato alla funzione di difensore civico deve essere persona non pi� giovane, che abbia gi� interamente percorso una vita professionale con esperienze qualificanti, che non nutra ulteriori ambizioni e non possa pi� ritornare all'attivit� di provenienza. Un giovane, pur onesto e valoroso, sarebbe esposto alla tentazione di strumentalizzare il ruolo di difensore civico per accumulare consensi o per acquisire altri incarichi; e a quel punto non sarebbe pi� autonomo. La vera indipendenza di un addetto a pubblica funzione non � fatta solo di orgoglioso rifiuto delle ingerenze altrui; � fatta anche di chiusura rigida alle lusinghe, ai vantaggi che altri sono in grado di offrire. Il secondo requisito � la estraneit� all'apparato su cui deve operare. L'estraneit� ha un costo, in termini di minor conoscenza degli uomini e delle cose, ma presenta vantaggi irrinunciabili, quali l'assenza di quei legami e di quelle aspettative che qualsiasi ambiente di lavoro finisce per produrre. Devo per� essere molto esplicito su un punto, nella speranza che le mie parole non suonino scortesi: l'estraneit� rispetto agli apparati amministrativi non deve divenire veicolo di un disegno che, attraverso il programmato affidamento della funzione di difensore civico a persone che hanno accumulato sensibilit� ed esperienze di tipo prevalentemente giudiziario, possa portare a far operare l'istituto del quale ci si occupa nei fatti -come una sorta di � avamposto � della giurisdizione (uso il termine nell'accezione pi� lata) all'interno degli apparati del potere esecutivo. Un disegno siffatto sarebbe oggettivamente contrario ai principi costituzionali, oltre che vistosamente diverso dalla proposta originaria di un �commissario parlamentare�, caldeggiata dal Maestro -il prof. Jemolo -che oggi e qui commemoriamo. E sarebbe non poco significativo (e forse anche preocc4pante) se tale diversit� stesse ad indicare implicitamente che si. considera gi� avvenuto un sostanziale mutamento negli equilibri costituzionali. Invero, l'autonomia dell'esecutivo � un valore fon. damentale cos� come l'indipendenza delle magistrature. I I i ! t ~ PARTE Il, QUESTIONI Alternativa .che non pare sia stata finora prospettata, ma che forse meriterebbe un esame, potrebbe essere quella di affidare i compiti di difensore civico ad una istituzione gi� esistente, non dotata di poteri propri (che rimarrebbero esenti da controllo e si cumulerebbero con quelli da riconoscersi al difensore civico), ed operante a contatto con tutte le amministrazioni, statali e non. � -questa -una alternativa che potrebbe presentare i vantaggi di una spersonalizzazione del munus di difensore civico e di una pi� rapida attivazione delle relative funzioni. Un discorso in proposito impegnerebbe parecchio tempo: mi limito pertanto a sollevare il problema riservandomi di formulare in altra occasione qualche proposta concreta. Concludo, ringraziando l'uditorio per la cortese attenzione. I I I I I I l l I I "."."."."N.�.�.�.".".".�."."."."."."."."-"�"-"-"-"-"-"�"-�.�.".�."."-"�"��"-"�"-"�".".".�.�.-.�.-.�."H.�.�.".�.�.�."."-"-"�"�"-""-""-"-"'-"�"-"-"�"-"�"-"-"-"'-"-"-"�"�"-"-"�"�"�"�"�"-"�"-"-"-"�"�"-"�"-"�"�"-"�"�"�"�"-"�"�"�"�"�"������-�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.w.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� ��������.-�����c���uc����r.���m�r�cw�ccuua�r���c� �.,_. �.._._..,J Leonardo Santoro (*) IL DIFENSORE CIVICO NELLA SUA NATURA E FUNZIONE Nato nel mondo costituzionale scandinavo, il difensore civico prende il nome di �ombudsman� gi� nell'ordinamento della maggiore parte dei paesi europei e trova spazio in Italia nelle regioni del Lazio, della Toscana e della Liguria. Le quali, in forza delle esperienze fatte, potrebbero essere indicative a determinare meglio la natura e la funzione dell'istituto in parola, nonostante le vivaci discussioni. Sentra entrare nel merito, l' � ombudsman � richiede ,una premessa di definizione, almeno delle ragioni ideali di fondo, che lo inducono e l'hanno indotto finora nella portata. Si tratta di affiancare, in termini d'indipendenza e di collaborazione, gli operatori del diritto nell'esercizio applicativo delle norme giuridiche emanate, civili, penali ed amministrative, con lo scopo di evitare che si cada, per un � summus jus �, in una � summa iniuria >>., che non � salvezza di giustizia. Ma l'attivit� del difensore civico �, nel concreto, di controllo, effettivo e reale, a tutela degli interessi legittimi dell'uomo e del cittadino, una volta presi in esame, con i loro vari e numerosi casi, che spesso danno luogo a contrasti inevitabili nelle rispettive competenze ed interpretazioni tra gli organi preposti, in quanto, non solo, al merito ed al diritto. Il problema � d'importanza rilevante, perch�, al di l� del principio, si viene a creare di fatto un procedimento da magistratura parallela, che influisce, di per s�, su un diverso ordine categoriale di giudizio, modificandone la sostanza ed il fine. Di certo, si avvertono dei pregiudizi, che, se non elimin~ti, sarebbero d'impedimento per .una messa a fuoco, e linea corretta di condotta, del 1'� ombudsman� e degli altri istituti giuridici concorrenti nella fase preliminare, di andamento e conclusiva. Il difensore civico � un organo da ritenersi esente da interferenze settoriali o di parte. Esso � un istituto giuridico diretto, unicamente e solamente, a seguire e considerare il comportamento e gli atteggiamenti delle persone, relativamente ai provvedimenti adottati ed alle sentenze emanate, senza prevalere su queste o su quelle, il cui iter � autonomo, oltre che libero. Nella sostanza, l'� ombudsman� � nella caratteristica propria del critico, dal punto di vista dell'opinione pubblica, del promotore di giustizia (*) Docente di materie giuridiche in Potenza. 94 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e del controllore, l� dove sussiste un potere d'imperio, o di discrezionalit�, se pure prescritto dalle leggi. Le quali, permettendo un formalismo di moda, tolgono al singolo quello che d'imparziale gli spetta, come contenuto. Il che si verifica in tutti i campi del diritto, dal civile al penale ed all'amministrativo, al punto da non assicurare, con la salv,ez:m degli interessi, l'intrinseca certezza del diritto, in direzione di giustizia, almeno corrispondente al vero. L'istituto del difensore civico � nuovo all'ordinamento giuridico italiano, ma vale se reso funzionante nella sua natura, che � anche di stimolo al rinnovamento di una mentalit�, operativa del pensiero e del fare, nell'ottica, logica e dialettica, esistenziale, quale specchio deHa vita in continuo movimento. Francesco Calasso, in effetti, ha lasciato scritto, e non a torto, che lo scopo � di offrire ai giuristi � il canone ideale del giusto e dell'ingiusto, non pi� come diritto storicamente :legato a un mondo ed a un'epoca, ma come il diritto, destinato a propagarsi, non per imposizione di governanti, ma per la sua forza intrinseca di umanit� e di giustizia�. I I f .~' �f E f I Emilio Zecca (*) QUALCHE RIFLESSIONE SULL'ESPERIENZA MATURATA Desidero limitarmi ad alcune brevi riflessioni, che mi sono state suggerite dall'ascolto delle interessantissime relazioni. Chiedo scusa anticipatamente del carattere un p� disordinato di queste osservazioni. Non avevo pensato di prendere la parola: � stata, per cos� dire, una tentazione improvvisa e non ho avuto tempo quindi di' riordinare le idee. La prima osservazione � questa. I difensori civici che operano gi� da qualche anno in alcune regioni italiane, scrivono delle periodiche relazioni sulla loro attivit� ed � quindi possibile ormai cominciare a spostare l'attenzione sui risultati conseguiti e nelle connotazioni concrete che l'istituto va assumendo, suHe sue tendenze evolutive. Una delle prime cose che salta all'occhio nell'esame di queste relazioni � che l'intervento del difensore civico non � mai stato richiesto per una pratica di grande valore economico; diciamo, per una grossa lottizzazione, per l'installazione di un ipermercato, per un appalto importante. L'avventore abituale � l'uomo medio, l'impiegato, il piccolo commerciante, qualche associazione cittadina che tutela interessi diffusi: non � mai accaduto, ch'io sappia, che l'intervento sia stato invece richiesto da una grande concentrazione finanziaria o da una grossa impresa. Tutto ci� � assai significativo. Vuol dire sostanzialmente che, quando si d� vita ad un organismo destinato a seguire, su richiesta degli interessati, le pratiche amministrative, affinch� siano evase con speditezza ed a controllare che non ristagnino negli uffici, si scopre che ve ne era in realt� bisogno solo per affari di modesto livello e per cittadini appartenenti .alla fascia medio-bassa dei redditi. Giocano qui fattori difficili da rimuovere, che attengono ai costumi ormai invalsi nei rapporti con la pubblica amministrazione ed alla preferenza accordata in quest'ambito, almeno nelle pratiche di un certo rilievo, ai contatti personali e all'intermediazione politica rispetto ai canali istituzionali di comunicazione e di tutela. Qualcuno, nel manifestare perplessit� sull'efficacia dell'istituto, ha detto che il miglior difensore civico � pur sempre il Consiglio di Stato; altri potrebbe maliziosamente aggiungere che il deputato del proprio coHegio elettorale, un assessore regionale, un sottosegretario o un capocor� rente sembrano essere ancora gli strumenti pi� impiegati e pi� efficaci. Io devo confessare che trovo alquanto strano che non ci si preoccupi, nel momento in cui si pensa di attivare un nuovo canale istituzionale di comunicazione tra cittadino e potere pubblico, di conferirgli anche in (*) Avvocato dello Stato. 96 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO qualche modo una sorta di � diritto di esclusiva � per l'esercizio deHe funzioni ad esso demandate e di chiudere quindi ogni altro canale extraistituzionale di pressione e di intermediazione. Fino a che non esiste una pubblica autorit� a cui rivolgersi perch� sia garantito il corretto e solerte disbrigo degli affari amministrativi; fino a che manca un sistema codificato di relazioni pubbliche con i cittadini, pu� considerarsi fatale -se non certo giustificabile -che si sviluppino esi diffondano deteriori pratiche di intermediazione, ad opera dei tanti faccendieri che fioriscono tra le pieghe delle nostre istituzioni. Ma quando ci si accinge a dar vita ad un organo deputato appunto a rendere traspare11te verso i g�vernati la trattazione degli affari da parte degli apparati burocratici, quando ci si propone di introdurre un vero e proprio � sistema ,, di relazioni pubbliche tra cittadini e potere, non si pu� fare a meno, a mio avviso, di accreditarlo come un sistema esclusivo, come l'unico canale cio� attraverso il quale sia possibile conoscere l'andamento dell'affare e influire su di esso. Sembra a me che sia questa una condizione elementare di credibilit� per un organo destinato ad essere designato dalle massime cariche dello Stato e ad essere presentato in societ� con attributi di cos�. elevato prestigio. Altrimenti sar� difficile evitare l'impressione che esso sia uno strumento riservato agli sprovveduti, mentre permangono mezzi di accelerazione e di influenza ben altrimenti efficaci per gli � ottimati "� Una seconda osservazione riguarda quella che � stata chiamata la competenza �eterodossa� del difensore civico. Dalle relazioni pubblicate emerge che solo una parte delle richieste ricevute investivano l'amministrazione regionale e rientravano nella competenza propria del difensore civico. U~a grande mole di richieste di intervento riguarda invece pratiche trattate da uffici di altri enti pubblici (Stato, enti locali, enti previdenziali e persino istituzioni straniere) nei cui confronti il difensore civico � sfornito anche di quei modesti poteri che le leggi istitutive gli attribuiscono. Come � stato qui ricordato, di fronte a tali richieste si � scelto prevalentemente di tentare comunque una intermediazione ufficiosa presso l'autorit� competente, confidando che il prestigio �dell'organo, se non un suo puntuale potere, avrebbe in ogni caso avuto influenza e portato a risultati in qualche modo utili aH'interessato. Vi sono state cos� garbate corrispondenze, che hanno quasi sempre fornito all'interessato� opportw1i elementi di conoscenza e di orientamento. Quello che preoccupa per� � che, per poter riconoscere utilit� a questa funzione, occorre muovere dal presupposto che chiunque avesse chiesto le stesse notizie con il proprio nome e cognome, senza l'intermediazione epistolare di un � difensore civico >>, non avrebbe invece ricevuto risposte i I i altrettanto garbate e precise. . I PARTE II, QUESTIONI A me pare evidente che l'esercizio di una tale funzione etorodossa da parte del � difensore civico � rischi di degradarne l'immagine ad wm sorta di �telefono amico�, di �segretario ga:lante � della vita burocratica (a Napoli un tempo, nei rapporti con gli uffici pubblici, ci si rivolgeva a un personaggio chiamato �o' parlatore�) ed a far perdere le caratteristiche sue proprie di organo deputato al controllo dell'attivit� amministrativa in quegli aspetti non coperti da tutela giurisdizionale o da sindacato formale di altri organi. Ora, se si guarda bene, si scopre che l'esercizio di queste funzioni � eterodosse.� nasce perch� nei rapporti tra Stato e cittadini vi � uno spazio non coperto, perch� manca in buona sostanza un sistema generalizzato di relazioni pubbliche che, dai luoghi ove si esercita il potere, si proietti sul versante dei governati e consenta a questi di attingere notizie e spiegazioni in ordine agli affari che li riguardano. Io appunto vorrei invitare a coltivare e dissodare questo terreno, che mi pare abbia molta attinenza con quello dell'istituto di cui stiamo discutendo. Forse, prima che di un �difensore civico�, cio� di un organo inteso ad intervenire nei casi di manifestazione patologica della vita amministrativa, noi abbiamo bisogno di un sistema ramificato e capillare di uffici capaci di orientare il cittadino nello svolgimento fisiologico dei suoi rapporti con il potere pubblico. E ci� mi conduce alla terza ed ultima riflessione. Ogni volta che si � proceduto alla istituzione di un nuovo �difensore civico� si � sentita ripetere l'accusa, a mio avviso non del tutto infondata, che si stava ingannando la opinione pubblica, con il presentare ad essa uno � Zorro dalla spada di legno e dal giustacuore di cartone�. Le denominazioni non sono prive di importanza: una cosa � dire alla gente che si � provveduto a dotare le amministrazioni di un sistema di � uffici reclami � o di �uffici pubbliche relazioni� e altra cosa � dire che vi � un raddrizzatore di torti. SP. si vogliono usare denominazioni impegnative occorre che ad essa corrisponda un adeguato strumento di poteri reali ed effettivi. Il nostro Presidente si � chiesto se non ci saranno delle interferenze tra i � difensori civici � regionali che gi� esistono e quello statale di cui si progetta l'avvento. Il problema sarebbe invero ancora pi� complesso perch�, fino a tanto che si resta nell'ambito del modulo che sembra aver attecchito in Italia, possono esserci anche �difensori civici� comunali (alcuni sono in via di istituzione) ed in realt� ogni articolazione organiz zativa ha titolo per istituirne uno, visto che non si tratta di alterare la distribuzione dei poteri, ma solo di offrire ai cittadini un luogo di orienta mento e di notizie nei loro rapporti con quella specifica struttura ammi nistrativa. 98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Probabilmente non � nemmeno da temere l'insorgere di conflitti di competenza, perch� questi presuppongono la contemporanea pretesa di esercitare ii.dentici poteri o il contemporaneo rifiuto di farlo, mentre qui mi pare che manchi anche la materia prima -e cio� il potere -sul quale un conflitto possa innestarsi. In ogni caso ciascun � difensore civico � sar� evidentemente legittimato ad intervenire nei procedimenti. propri della struttura organizzativa di cui � emanazione. Il problema � semmai un altro, ed � appunto quello di vedere se esista spazio per una � funzione di difesa civica �, che si collochi a mezza strada tra il pi� modesto livello di un tradizionale � ufficio pubbliche relazioni � e quello pi� elevato della giustizia amministrativa. E, se non esiste, cercare semmai di ritornare alle origini dell'istituto, alla sua vera tradizione storica di strumento inteso a rendere effettivo il potere di controllo delle assemblee elettive su quelle zone dell'esecutivo in cui non esiste, o comunque non funziona, il principio di responsabilit� ministeriale. Si tratta cio� forse non tanto di arricchire ancora le possibilit� di accesso del singolo cittadino a mezzi diretti di tutela della sua posizione soggettiva (rafforzando su questo terreno le tutele giurisdizionali e sviluppando un efficace sistema di relazioni pubbliche di ogni singola amministrazione), quanto piuttosto di irrobustire gli strumenti e migliorare la qualit� del controllo esercitato, per il tramite delle a1lsemblee elettive, dalla collettivit� tutta intera su ogni manifestazione dell'esercizio del pubblico potere. � in questa chiave di funzionamento forse che l'istituto pu� sprigionare tutte le sue potenzialit� e divenire anche un luogo d'accesso del cittadino ed una sua forma di garanzia. Grazie. ! APPENDICE RELAZIONE ALLO SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE CONCERNENTE L'ISTITUZIONE DEL DIFENSORE CIVICO ELABORATA DALLA COMMISSIONE ISTITUITA , CON DECRETO DEL MINISTRO PER LA FUNZIONE PUBBLICA DEL 12 GENNAIO 1981 (1) .. (.1) La Commissione � stata composta dal Pres. Riccardo Chieppa, dail1' Avv. Vito B�l1ini, Prof. Elio Califano, Prof. Achille Chiappetti, Prof. Giovanni De Cesare, Dott. Elsa De Pessy, Prof. Pierfrancesco Grossi, Prof. Giuseppe La Creta, Dr. Gian Carlo Lo Bianco, Prof. Alessandro Piace, Prof. Franco Placidi, Prof. Onorato Sepe. 18 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il fine che la Commissione ha inteso realizzare nel delineare la figura del c.d. � Difensore civico� � stato quello di ricostruire nell'interno della amministrazione statale un apposito organo cui fosse attribuito il compito di concorrere ad assicurare, attraverso poteri ispettivi e di stimolo, il buon andamento e l'imparzialit� della Pubblica Amministrazione verificandone l'efficienza e la coerenza. Un organo cio� capace di contribuire ad attuare e a realizzare i fini che l'art. 97 Cost. indica come connaturarli e come intrinseca caratteristica dell'azione pubblica. In questo senso analoghe esperienze, seppur tra loro diverse, di altri paesi costituiscono un valido punto di riferimento e confermano la validit� di una scelta tesa a garantire innanzitutto i:1 cittadino altrimenti privo di difese nei confronti di un apparato statale di dimensioni sempre maggiori e proprio perci� difficile a controllare. Con tali premesse l'intenzione della Commissione non � stata quella di. ricostruire un organo tale da sostituire gli ordinari strumenti di tutela individuale n� gli strumenti istituzionali di controllo dell'attivit� amministrativa pubblica, ma di creare un organo che si ponesse accanto ad essi e disponesse di strumenti di azione pi� agHi ma non concorrenti rispetto ai precedenti, tali da consentirgli quell'azione di stimolo a cui si � accennato. � connaturato a tale situazione che il Difensore civico svolga la sua attivit� avendo per oggetto la sola pubblica amministrazione statale e parastatale. Rimangono pertanto fuori dalla portata degli interventi diretti di .esso tanto le situazioni soggettive dei privati, che quelle degli enti dotati di particolare garanzia costituzionale di indipendenza. Il Difensore civico inoltre pu� agire nei confronti delle amministrazioni locali solo per il tramite delle strutture competenti in sede locale e previo coordinamento con esse. Resta comunque fatto salvo come in parte gi� avvenuto, il potere per le Regioni di istituire appositi organi con analoghe funzioni per Il livello locale avendo peraltro come necessario riferimento, i principi stabiliti per il Difensore civico preposto alla pubblica amministrazione statale. � sembrato inoltre necessario esplicitamente escludere dalla sfera di interventi del nuovo organo l'attivit� militare giurisdizionale e le attivit� ricadenti nella speciale disciplina del segreto di Stato. Quanto alle modalit� di nomina, la Commissione suggerisce di afferm:= tre l'intervento parlamentare, nella persona dei Presidenti delle due Camere, peraltro limitandolo alla scelta nell'ambito di una terna di nomi previamente designati da un collegio composto dai Presidenti della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; terna di nomi che PARTE II, QUESTIONI dovr� pervenire ai Presidenti delle Camere con le eventuali osservazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri il quale, successivamente, controfirmer� il Decreto di nomina emanato dal Presidente della Repubblica. La collocazione del Difensore civico nell'apparato amministrativo consente di superare le eventuali difficolt� altrimenti connesse all'opposi� zione del segreto d'ufficio. Quanto alla durata, la Commissione ritiene opportuna la previsione di un quinquennio non collegato alla vita delle legislature parlamentari, e non immediatamente rinnovabile. Ovvie ragioni di funzionalit� consigliano un'et� non superiore a 6.'i anni all'atto della nomina. Per quanto riguarda i poteri ad esso attribuiti, oltre a quelli connaturati alla istituzionale funzione conoscitiva sui procedimenti amministrativi in corso o gi� definiti, il Difensore civico deve poter sia sollecitare che richiamare gli organi della pubblica amministrazione ad un corretto ed efficiente svolgimento delle competenze nonch� stimolare le eventuali modifiche atte ad eliminare lacune ed inconvenienti. Il Difensore civico � tenuto annualmente a riferire ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri, con apposita relazione, ed � autorizzato a darne pubblicit�. In maniera pi� incisiva deve essere tenuto a denunciare agli organi �competenti le eventuali responsabilit� patrimoniali e disciplinari accertate, qualora queste comportino eventuali sanzioni per i trasgressori. � inoltre tenuto, per evitare che il cittadino che a lui si sia fiduciosamente rivolto rimanga privo di tutela a trasmettere alle autorit� eventualmente competenti tutte le richieste e gli esposti pervenutigli, per i quali non ritenga necessario dover aprire indagini. Inoltre � facoltizzato, rela� tivamente a singoli problemi, a rendere noti i disservizi riscontrati, le iniziative adottate e il loro esito. Resta ulteriormente salva la facolt� di promuovere autonomamente l'azione di responsabilit�, nell'accertata inerzia degli organi competenti in via ordinaria ad accertare le eventuali responsabilit� patrimoniali e disciplinari. Il difensore civico inoltre, non deve essere costretto ad interrompere la propria attivit� di indagine qualora successivamente all'inizio di essa venga aperta, per i medesimi fatti o per fatti connessi, l'istruttoria penale. Diversamente, qualora, invece, l'istruttoria penale sia gi� iniziata, il difensore civico non potrebbe iniziare proprie indagini. Particolare attenzione � stata infine dedicata alla struttura organizzativa degli uffici e del personale. Si � preferito porre alle dipendenze del difensore civico, personale delle pubbliche amministrazioni in posizione di fuori ruolo non solo per consentire strutture agili ma anche per ottenere di volta in volta_ personale proveniente dalle singole amministrazioni nei 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cui confronti, pi� diretto e immediato � l'interesse dell'ufficio personale; che in virt� delle proprie specifiche conoscenze rendono pi� rapide e maggiormente produttive le indagini. � parso peraltro necessario rinviare ad ulteriore regolamento, le altre norme riguardanti il funzionamento e l'organizzazione deglii uffici sempre con H fine di consentire la pi� piena adattabilit� della nuova struttura alle singole e concrete esigenze. SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE CONCERNENTE L'ISTITUZIONE DEL DIFENSORE CIVICO Art. 1: Il difensore civico ha il compito di concorrere ad assicurare il buon andamento e l'imparzialit� della pubblica arr,1.ministrazione dello Stato e degli Enti pubblici ultraregionali e a verificare l'efficienza della azione amministrativa. Art. 2: Ai fini dell'art. 1 il Difensore civico pu�, anche d'ufficio, svolgere indagini di qualsiasi natura, senza che ad esso possa essere opposto il segreto d'ufficio. Le indagini non possono riferirsi a materia militare, ad atti e comportamenti coperti da segreto di Stato, n� possono riguardare lo svolgimento della funzione giurisdizionale. Art. 3: Nell'ambito della competenza prevista dall'art. 1 il Difensore civico p4� ottenere informazioni anche da part� delle regioni e degli enti territori.ali minori, solo previo coordinamento e per H tramite delle strutture competenti in sede locale. Art. 4: Gli uffici della pubblica amministrazione e i funzionari ad essi preposti sono tenuti a fornire al Difensore civico le informazioni, nonch�. la copia degli atti e dei documenti di cui questa faccia richiesta, nell'ambito della competenza di cui all'art. 1. In caso di ,inottemperanza, il Difensore civico, con salvezza delle sanzioni penali e disciplinari a carico del dipendente che non abbia tempestivamente adempiuto alla richiesta, pu� esercitare tutti i poteri spettanti al Capo dell'amministrazione cui l'uffi�io appartiene. Art. 5: Il Difensore civico � nominato con Decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in base alla scelta effettuata dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. La scelta, da parte dei presidenti delle Camere, avviene nell'ambito di una terna di nomi previamente designati da un collegio composto dal PARTE II, QUESTIONI Presidente della Corte di Cassazione, dal Presidente del Consiglio di Stato, dal Presidente della Corte dei Conti, dal Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e dall'Avvocato generale dello Stato. La terna dovr� pervenire ai Presidenti delle Camere tramite il Presidente del Consiglio dei Ministri, corredata dalle sue eventuali osservazioni, entro trenta giorni dalla scadenza del periodo di durata del Difensore civico. In sede di prima applicazione, la terna dovr� essere comunicata, con la procedura del comma precedente, ai Presidenti delle Camere entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge. Art. 6: Il Difensore civico deve possedere i requisiti per l'elezione a Senatore e non deve aver superato il sessantacinquesimo anno di et�. all'atto della nomina. Non pu� essere nominato Difensore civico chi sia membro del Parlamento del Governo. Il Difensore civico deve essere scelto tra persone di particolare integrit� morale e indipendenza e che possiedano una provata esperienza nel campo del diritto o dell'amministrazione. Art. 7: L'Ufficio di Difensore civico � incompatibile con l'esercizio di qualsiasi altro impiego pubblico o privato, libera professione, attivit� commer�iale, industriale e con qualsiasi carica in societ� o ente pubblico. � in facolt� del Difensore civico di continuare nell'insegnamento. Art. 8: Il Difensore civico dura in carica cinque anni e non � imme� diatamente rinnovabile. Art. 9: Il Difensore civico riceve lo stesso trattamento economico spettante ai giudici della Corte Costituzionale. Art. 10: L'impiegato dello .Stato o di a:Itra pubblica Amministrazione, nominato Difensore civico, � collocato fuori ruolo per tutta la durata della carica e fino a quando non raggiunga i limiti di et� per essere collocato a riposo. Si applicano le norme dei commi terzo, quarto e quinto dell'art. 88 del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, modifica. to dall'art. 4 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261. Le disposizioni dei precedenti commi si applicano ai professori universitari solo a domanda degli interessati. Art. 11: Decade automaticamente dalla carica il Difensore CIVICO che si venga a trovare in una delle cause di incompatibilit� di cui all'�rt. 6. 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il Difensore civico pu� essere rimosso dalla carica, per sopravvenuta incapacit� fisica o per gravi ragioni attinenti ai requisiti di indipendenza e integrit� morale, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa conforme dei Presidenti del Senato e della Camera. Art. 12: Il Difensore civico non pu� svolgere attivit� inerenti ad un'associazione o partito politico. Art. 13: Alle dipendenze del Difensore civico � posto un ufficio di segreteria composto di personale delle pubbliche amministrazioni collocato fuori ruolo, il cui contingente � determinato, su proposta del Difensore civico, con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tes�ro. Le spese di funzionamento dell'ufficio del Difensore civico sono poste a �arieo di un fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto con unico capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro. Il rendiconto della gestione finanziaria � soggetto a controllo della Corte dei conti. Le ulteriori norme concernenti l'organizzazione e il funzionamento dell'ufficio del Difensore civico, nonch� la gestione delle spese, sono adottate con regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, sentito lo stesso Difensore civico, previo parere del Consiglio di Stato. Nei casi in cui lo ritenga opportuno, il Difensore civico pu� avvalersi dell'opera di consulenti. Il personale addetto alla segreteria del difensore civico non pu� conseguire promozioni se non per anzianit� per la durata dell'incarico, con applicazi�ne delle norille richiamate dal comma secondo del precedente art. 10. Art. 14: Il Difensore civico: a) riferisce annualmente ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri con apposita relazione sulle indagini portate a conclusione, le cui risultanze egli ha altres� facolt� di rendere pubbliche; b) pu�, relativamente a singoli problemi, informare l'organo interessato all'indagine delle conclusioni raggiunte, dandone nel contempo comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e all'autorit� preposta al controllo; e) pu�, relativamente a singoli problemi, rendere, noti i disservizi riscontrati, le iriiziative adottate e il loro esito, salvo comunque il dovere d1 denuncia agli organi competenti per l'accertamento delle eventuali responsabilit� patrimoniali e disciplinari; PARTE II, QUESTIONI 105 d) trasmette alle autorit� eventualmente competenti le richieste e gli esposti per i quali abbia comunque ritenuto di non dover aprire indagini; e) pu� promuovere il procedimento disciplinare e l'azione di responsabilit�, in deroga alle disposizioni dei singoli ordinamenti, qualora l'organo competente, cui sia stata trasmessa la denuncia di cui alla lettera e), non vi provveda entro sessanta giorni da un invito formale inviato dallo stesso Difensore civico decorsi trenta giorni dall'anzidetta denuncia. Art. 15: Il Difensore civico pu� proseguire nelle indagini gi� iniziate nonostante l'eventuale promovimento dell'azione penale sugli stessi fatti o su fatti connessi. In caso di sequestro di atti o documenti della pubblica amministrazione, il Difensore civico ha il potere di ottenerne copia, se necessaria alla prosecuzione delle indagini. Il Difensore civico non pu� iniziare indagini nei casi in cui, sugli stessi fatti, sia stata promossa l'azione penale. Art. 16: Per l'anno 1982 e seguenti � istituito un apposito capitolo nel bilancio dello Stato -Ministero del Tesoro �Spese di funzionamento dell'ufficio del Difensore civico�, per un importo pari a L. da rivalutare negli esercizi successivi secondo le motivate proposte del Difensore civico. LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, ultimo comma, nella parte in cui sancisce l'inappellabilit� delle sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assi� stenza obbligatorie, contemplati negli artt. 409 e 442 codice di� procedura civile. Sentenza 3 aprile 1982, n. 69, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge 19 maggio 1975, n. 151, art. 229, nella parte in cui non prevede che l'azione di disconoscimento di paternit� sia proponibile dal padre entro sei mesi dal1a data di entrata in vigore della legge stessa, nell'ipotesi che nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita la moglie abbia commesso adulterio. Sentenza 1� aprile 1982, n. 64, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 244 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 1� aprile 1982, n. 64, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203, art. 65 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1982, n. 51, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge regione Sicilia 1� ottobre 1956, n. 54, art. 52, secondo comma (artt. 42 e 117 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1982, n. 50, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, tredicesimo, quindicesimo e sedicesimo comma [nel testo sostituito dalla legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1982, n. 54, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 83, quinto comma, 87, quinto comma, e 94 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1982, �:l. 54, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 25 gennaio 1962, n. 20, art. 15 (artt. 3, 25, primo comma, 96, 101, 102 e 104 della Costituzione). , Sentenza 16 aprile 1982, n. 70, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. 19 108 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 12, 13, 14, 16 e 17 (artt. 3 e 36 della Costitu� zione). Sentenza 3 marzo 1982, n. 52, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 7 ottobre 1969, n. 742, artt. 1 e 2, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 3 marzo 1982, n. 53, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60 (rectius: 62) (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Sentenza 1� aprile 1982, n. 63, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1982, n. 57, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, secondo comma (art. 53, primo comma, della Costituzione). Sentenza 16 aprile 1982, n. 72, G. U. 21 aprile 1982, n . .109. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39 e 54 (artt. 3, 24 e 53 della Costi� tuzione). Sentenza 1� aprile 1982, n. 63, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge consiglio regionale Friuli-Venezia Giulia approvata il 5 agosto 1976 e riapprovata il 28 settembre 1976 (artt. 5 della Costituzione e 4 dello statuto speciale regionale). Sentenza 1� aprile 1982, n. 65, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge approvata il 23 aprile 1980 dal consiglio regionale della Campania, riapprovata il 30 dicembre 1980 (art. 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 16 aprile 1982, n. 71, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 2947, terzo comma, seconda parte (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 15 ottobre 1981, n. 784, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. codice di procedura civile, artt. 51 e 52 (artt. 21 e 101 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 7 ottobre 1981, n. 8/82, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. codice di procedura civile, art. 313, secondo comma (art. 24 della Costi� tuzione). Pretore di Tolmezzo, ordinanza 2 luglio 1981, n. 730, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. Pretore di Tolmezzo, ordinanza 2 luglio 1981, n. 734, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. I l I I ! I PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura civile, art. 612 (artt. 2, 3 e 13 della Costituzione). Pretore di Fondo, ordinanza 13 ottobre 1981, n. 780, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. codice di procedura civile, art. 648, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione).. Pretore di Fermo, ordinanza 6 novembre 1981, n. 846, G. U. 21 aprile 1982, Il. 109. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 novembre 1981, n. 826, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. Tribunale di Roma, ordinanza 20 ottobre 1981, n. 827, G. U. 24 marzo 1982, Il. 82. codice penale, art. 168, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, .ordinanza 19 giugno 1981, n. 27/82, G. U. 28 aprile 1982, Il. 116. codice penale, artt. 204, 215, n. 3, e 222 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Bari, ordinanza 14 ottobre 1981, n. 835, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. codice penale, artt. 314, 357 e 358 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribtmale di Asti, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 825, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. codice penale art. 512 (art. 39 della Costituzione). Tribunale di Rovereto, ordinanza 18 giugno 1981, n. 834, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. codlce penale, art. 677 (artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 30 ottobre 1981, n. 41/82, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. codice di procedura penale, art. 512, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 30 giugno 1981, n. 806, G. U. 31 marzo 1982, Il. 89. codice di procedura penale, art. 517 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Bassano del Gr�ppa, ordinanza 9 luglio 1981, n. 758, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, ultima ipotesi (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Verona, ordinanza 30 settembre 1981, n. 738, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. 110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, prima ipotesi (art. 3 della Costituzione). Tribtmale militare territoriale di Torino, ordinanza 29 settembre 1981, n. 726. G. U. 10 marzo 1982, n. 68. Tribunale militare di Verona, ordinanza 23 settembre 1981, n. 737, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, artt. �2 e 25 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Asti, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 825, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge 17 agosto 1942 n. 1150, artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40 (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 26 maggio 1981, n. 797, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. .legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 novembre 1981, n. 826, G. U. 24 marzo 1982, Il. 82. Tribunale di Roma, ordinanza 20 ottobre 1981, n. 827, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 6 luglio 11981, n. 743, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo, ordinanza 30 giugno 1981, n. 7/82, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. � d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 126 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 8 luglio 1981, n. 824, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.P.R. 311 marzo 1957, n. 361, art. 119 [richiamato dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, art. 50] (artt. 2, 3, 51 e 53 della Costituzione). Pretore di Pontedera, ordinanza 16 novembre 1981, Il. 802, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. Pretore di Pontedera, ordinanza 16 novembre 1981, n. 803, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 13 (artt. 3, 38, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 7 ottobre 1981, n. 804, G. U. 31 marzo 1982, Il. 89. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 13 agosto 1981, n. 750, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. I """""'""""""""""""���������������������������������������� l PARTE II, LEGISLAZIONE legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. ?i'l (artt. 3, 104 e 107 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 24/82, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. Corte di cassazione, ordinanza 1� ottobre 1981, n. 25/82, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. Corte di cassazione, ordinanza 10 dicembre 1981, n. 192/82, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. Corte di cassazione, ordinanza 12 novembre 1981, n. 201/82, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. d.P.R. 27 maggio 1959, n. 130, artt. 60, lett. a), e 135 (art. 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 10 marzo 1981, n. 6/82, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, settimo comma (artt. 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Domodossola, ordinanza 5 ottobre 1981, n. 777, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Pontedecimo, ordinanze (undici) 2 e 9 ottobre 1981, nn. da 759 a 769, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. .Pretore di Pontedecimo, ordinanza 9 ottobre 1981, n. 783, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo e quarto comma [come modificato dalla legge 5 maggio 1976, n. 313) (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bergamo, ordinanza 12 ottobre 1981, n. 776, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 146, secondo comma [nel. testo precedente a quello introdotto dalla legge 12 luglio 1975, n. 322, art. 7] (artt. 3, 36 e 110 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 18 luglio 1981, n. 752, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. legge 10 maggio 1964, n. 336, art. 6 (art._ 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 10 marzo 1981, n. 6/82, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 12 ottobre 1981, n. 809, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. Corte d'appello di Torino, ordinanza 9 novembre 1981, n. 832, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte d'appello di Torino, ordinanza 1.1 novembre 1981, n. 833, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. Tribunale di Ravenna, ordinanza 9 ottobre 1981, n. 828, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 9 ottobre 1981, n. 828, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, quinto comma, seconda parte (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 15 ottobre 1981, n. 784, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 1� aprile 1981, n. 845, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 213, primo comma (artt. 3 e 38 della Costi� tuzione). Tribunale di Lanusei, ordinanza 15 luglio 1981, n. 4/82, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, tabella ali. 5, voce n. 21 (artt. 3 e 38 della Costi� tuzione) Pretore di Ancona, ordinanza 29 ottobre 1981, n. 793, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 3 maggio 1967, n 317, art. 9, quarto, quinto, settimo e ottavo comma (artt. 24, primo e secondo comma, 103 e 113 della Costituzione). Pretore di Gragnano, ordinanza 4 settembre 1981, n. 810, G. U. 31 marzo 1982, Il. 89. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 3 marzo 1981, n. 754, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, lett. c) (artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione). Pretore di Grosseto, ordinanza 15 dicembre 1981, n. 17/82, G. U. 28 aprile 1982, Il. 116. legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 12, 13, 14, 16 e 17 (artt. 3 e 36 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 3 marzo 1981, n. 753, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. I I ........... .. . . .�.-..�.-.�..�..� ..... -... ����.�.�.....-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.ᥥ """.".".".".".�.".".".�.".�.".�.".".".�.".".".".".".".�.".�.-.�.�.-.�.�.�.�.�.:�����:-:�'.�'.�:-:�:-:�:����� ���. .�.�.�.�.�.�.w.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.".�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.J 1 llilrlifllliltr111ri~111;f111111;1r'.i~~r1~1;11rr!:r~:1:1r11~=::1t~�1�::=;11:;=:1;1'.t:1::::rnrr1r1::r1fi11::i11~;ftrfl~:rttt~i11:1:i;r~m1i~rn1111:1;11~rflill1~111r111 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 15, 16, primo, quarto ed ultimo comma (artt. 3, secondo comma, 4, primo comma, 38, terzo e quarto comma, 41, secondo e 'terzo comma, della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 12 novembre 1981, n. 819, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11, primo comma (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). Pretore di Avellino, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 732, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 19, primo comma, secondo periodo (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 25 settembre 1981, n. 779, G. U. 17 marzo 1982, Il. 75. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione)'. Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 16 gennaio 1981, n. 795, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, primo comma, lettera c) e secondo comma (seconda ipotesi) (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 13 giugno 1981, n. 823, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bisceglie, ordinanza 14 ottobre 1981, n. 775, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 20, primo comma, e 23, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 771, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. Pretore di Brescia, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 772, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 1 e 2 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 23 ottobre 1981, n. 5/82, G. U. 21 aprile 1982, Il. 109. legge 9 ottobre 1971, n. 825, artt. 10, secondo comma, n. 14 e 15 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Torino, ordinanza 30 giugno 1980, n. 801/81, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 27 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (tre) 10 giugno 1981, nn. 798, 799 e 800, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. 114 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, tabella XIII quadro B (artt. 3, 35, 36, 76 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale de~la Calabria, ordinanza 20 gennaio 1981, n. 831, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 46, primo comma (artt. 23 e 113 della Costituzione). � Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 20 marzo 1980, n. 843/81, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24, secondo comma, e 27 dell� Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 3 novembre 1981, n. 830, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 829, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 luglio 11981, n. 811, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di plimo grado di Torino, ordinanza 30 giugno 1980, n. 801/81, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Padova, ordinanza 2 febbraio 1981, n. 728, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 24 luglio 1973, n. 427, art. 10 (artt. 24, primo e secondo comma, 103 e 113 della Costituzione). Pretore di Gragnano, ordinanza 4 settembre 1981, n. 810, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 24 e 30 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Lucera, ordinanza 15 dicembre 1980, n. 816/81, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Trapani, ordinanze. (due) 3 marzo 1981, nn. 735 e 736, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 2, primo comma, lettera a) (artt. 24 e 113 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 829, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 8, quarto comma, 42 e 61 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 829, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46, 47 e 55 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Lamezia Terme, ordinanza 30 ottobre 1981, n. 837, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 56, sesto comma, 42 e 61 (artt. 24, secondo comma, e 27 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 3 novembre 1981, n. 830, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, sesto comma (artt. 24 e 113 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 829, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 100 e 104 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 5 maggio 1981, n. 748, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Pescia, ordinanza 25 giugno 1981, n. 774, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. Pretore di Pistoia, ordinanze (sette) 30 luglio 1981, n. da 785 a 791, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. Pretore di Pistoia, ordinanze (quattro) 16 settembre e 30 luglio 1981, n. da 18 a 21/82, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 42, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 8 luglio 1981, n. 824, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. d.l. 8 luglio 1974, n. 255 [convertito in legge 10 agosto 1974, n. 352] (artt. 3, 10, primo comma, e 11 della Costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanza 25 giugno 1980, n. 742/81, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 17 agosto 1974, n. 386, art. 7, terzo comma (artt. 70, 76, 77, 97 e 113 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 luglio 1980, n. 1/82, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 luglio 1980, n. 46/82, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14, primo comma (art. 117 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanze (due) 23 ottobre 1981, n. 10 e 11/82, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (art. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 25 settembre 1981, n. 779, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge reg. Calabria 10 novembre 1975, n. 31, art. 27 (art. 97 della Costitu� zione). Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 817/81, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 19 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 5 luglio 1981, n. 13/82, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 71 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 2 novembre 1981, n. 807, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 29 maggio 1976, n. 336, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Tolmezzo, ordinanza 30 settembre 1981, n. 808, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, artt. 9 e 46 (artt. 3, 4, 35, 36, 70, 76, 77, 87 e 97 della Costituzione e artt. 89, 100, 107 e 108 dello statuto prov. di Bolzano). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 778, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bari, ordinanza 22 maggio 1981, n. 796, G. U. 24 marzo ,1982, n. 82. d.I. 1� febbraio 1977, n. 12, artt. 2, primo comma, e 4 [convertito in legge 31 marzo 1977, n. 91] (art. 39, ultimo comma, della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 luglio 1981, n. 818, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge reg. Calabria 28 febbraio 1977, n. 9, art. 4 (art. 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 817/81, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. PARTE Il, LEGISLAZIONE legge 4 agosto 1977, n. 524, art. 2, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Sulmona, ordinanza 11 no.vembre 1981, n. 820, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 27 febbraio 1978, n. 41, art. 1 [conversione del d.I. 27 dicembre 1977, n. 942) (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 27 luglio 11981, n. 794, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 21 aprile 1981, n. 741, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, secondo e terzo comma (artt. 3, 4, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 1� luglio 1981, n. 733, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12 (art. 3 della Costituzione). Giudice tutelare di Torino, ordinanza 3 marzo 1980, n. 186, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. Giudice tutelare di Torino, ordinanza 29 luglio 1980, n. 676, G. U. 24 marzo 1982, Il. 82. Giudice tutelare di Torino, ordinanza 9 gennaio 1981, n. 96, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, secondo comma, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ciri�, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 805, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Gorizia, ordinanze (tre) 30 settembre 1981, n. 755, 756 e 757, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 31 e 46 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 13 novembre 1981, n. 3/82, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69 e 73 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Patern�, ordinanza 12 ottobre 1981, n. 773, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2, primo comma (artt. 97, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 28 agosto 1981, n. 792, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 21 dicembre 1978, n. 843, artt. 16 e 19 (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 27 luglio 1981, n. 794, G. U. � 31 marzo -1982, n. 89. legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Grosseto, ordinanza 15 dicembre 1981, n. 17/82, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. legge 2 aprile 1979, n. 97, art. 15, primo e secondo comma (artt. 3, 36 e 53 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 30 ottobre 1981, n. 812, G. U. 7 aprile 1982, n. 96. d.l. 12 novembre 1979, n. 571 [convertito con modif. nella legge 12 gennaio 1980, n. 2] (artt. 3, 23, 47 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Palermo, ordinanza 16 marzo 1981, n. 12/82, G. U. 14 aprile 1982, n. 102. legge 23 novembre 1979, n. 595 (artt. 3, 4, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 1� luglio 1981, n. 733, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. legge 23 novembre 1979, n. 595 (arti. 3, 42 e 44 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 21 aprile 1981, n. 741, G. U. 10 marzo 1982, Il. 68. legge 23 novembre 1979, ii. 595 (artt. 3, 42, secondo comma, 44, primo comma, e 136 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 27 ottobre 1981, n. 2/82, G. U. 21 aprile 1982, n. 109. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1, primo, secondo e quarto comma (artt. 42 e 136 della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 9 ottobre 1981, n. 781, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. Corte d'appello di Firenze, ordinanza 9 ottobre 1981, n. 782, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. l,. r ~ . . . . l]]l w - PARTE II, LEGISLAZIONE legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 10 e 22 (artt. 3, 31, 33, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 23 settembre 1981, n. 751, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 26, quinto comma (art. 3 della Costi tuzione). Pretore di Brescia, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 770, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. legge 16 dicembre 1980, n. 858, artt. 1 e 3, primo comma (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Pescia, ordinanza 25 giugno 1981, n. 774, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. Pretore di Pistoia, ordinanze (sette) 30 luglio 1981, nn. da 785 a 791, G. U. 17 marzo 1982, n. 75. Pretore di Pistoia, ordinanze (quattro), 16 settembre e 30 luglio 1981, nn. da 18 a 21/82, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. legge 16 dicembre 1980, n. 858, art. 3 (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Castiglione del Lago, ordinanza 6 novembre 1981, n. 821, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. Pretore di Castiglione del Lago, ordinanza 6 novembre 1981, n. 822, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. d.l. 26 novembre 1981, n. 677, artt. 2, 4 e 5 [come convertito dalla legge 26 gennaio 1982, n. 11, art. 1] (artt. 70, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione). Presidente regione Emilia-Romagna, ricorso 6 marzo 1982, n. 21, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. d.l. 26 novembre 1981, n. 678, art. 1 [come convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 1] (artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione). Presidente regione Emilia-Romagna, ricorso 6 marzo 1982, n. 22, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 22 dicembre l981, n. 797, art. 25 (artt. 89 e 100 dello. Statuto Trentino Alto Adige e art. 3 della Costituzione). Ricorso Presidente giunta provinciale di Bolzano 10 febbraio 1982, n. 12, G. U. 3 marzo 1982, n. 61. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 77, 97, 117 e 119 della Costituzione). Presidente giunta regionale Emilia-Romagna, ricorso 2 marzo 1982, n. 16, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. 120 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO d.I. 23 gennaio 1982, n. 9,� artt. 6, 7, 8 e 9 (art. 3, lett. f) dello statuto speciale regione Sardegna). Presidente regione Sardegna, ricorso 4 marzo 1982, n. 18, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 26 gennaio 1982, n. 11, art. 1 (artt. 70, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione). Presidente regione Emilia-Romagna, ricorso 6 marzo 1982, n. 21, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 26 gennaio 1982, n. 11, artt. 1 e 2 [conversione d.l. 26 novembre 1981, n. 677] (artt. 19, 36 e 38 statuto regione siciliana). Presidente regione siciliana, ricorso 4 marzo 1982, 11. 17, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 26 gennaio 1982, n. 11, art. 2, primo comma, prima parte (artt. 70, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione). Presidente regione Emilia-Romagna, ricorso 6 marzo 1982, n. 21, G. U. 31 marzo 1982, 11. 89. legge 26 gennaio 1982, n. 12 [conversione d.l. 26 novembre 1981, n. 678] (artt. 115 della Costituzione e 14 lettera o), 17 e 43 statuto regione siciliana). Presidente regione siciliana, ricorso 27 febbraio 1982, n. 14, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 1 (artt. 8, n. 1, 9, n. 10, e 16 dello statuto speciale regione Trentino-Alto Adige). Presidente provincia autonoma di Bolzano, ricorso 5 marzo 1982, n. 20, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 1 (artt. 9, n. 10, e 16 dello statuto speciale regione Trentino-Alto Adige). Presidente provincia autonoma di Trento, ricorso 5 marzo 1982, n. 19, G. U. 31 marzo ,1982, n. 89. legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 1 (artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione). Presidente regione Emilia-Romagna, ricorso 6 marzo 1982, n. 22, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 2 (artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione). Presidente regione Emilia-Romagna, ricorso 6 marzo 1982, n. 22, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. PARTE II, LEGISLAZIONE legge riapprovata dal consiglio regionale Friuli-Venezia Giulia il 1� febbraio 1982 (artt. 117 della Costituzione e 4 dello statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia). Presidente del Consiglio. ricorso 25 febbraio 1982, n. 13, G. U. 10 marzo 1982, n. 68. legge riapprovata dal consiglio regionale del Molise il 2 febbraio 1982 (artt. 3, 36, 97 e 117 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 1� marzo 1982, n. 15, G. U. 24 marzo 1982, n. 82. legge riapprovata dal consiglio regionale Emilia-Romagna il 24 febbraio 1982 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 22 marzo 1982, n. 23, G. U. 31 marzo 1982, n. 89. legge 26 febbraio 1982, n. 51 (artt. 100, 103, 130 della Costituzione). Presidente regione siciliana, ricorso 7 aprile 1982, n. 24, G. U. 28 aprile 1982, n. 116. INDICE BIBLIOGRAFICO Domenico CACOPARDO -Carlo COSCIONI Annuario legislativo delle opere pubbliche, vol. 1, 1980 Editrice: Rassegna dei lavori pubblici Il lavoro in rassegna rappresenta un utile e necessario strumento di consul. tazione in materia di legislazione sulle opere pubbliche, che negli ultimi tempi � stata al centro dell'attivit� degli organi legislativi, statali e regionali. Gli autori si sono richiamati alla formula dell'annuario legislativo, che per mette una rapida individuazione della normativa che interessa; suddividendolo in tre parti: la legislazione statale del 1980, la legislazione regionale del 1980 e l'appendice in cui vengono riportate tutte le pi� importanti leggi dello Stat� concernenti le opere pubbliche. In tal modo si ha un quadro completo di tutta la legislazione di pi� usuale applicazione in materia di difesa del suolo, di urbanistica, di opere di edilizia, di tutela delle acque dall'inquinamento, nonch� in materia di provvedimenti di locazione degli immobili. L'opera realizza la sentita esigenza di un chiaro coordinamento tra la nor� mativa statale, anche precedente al 1980, e quella regionale che negli ultimi tempi � stata di gran lunga preponderante, anche mediante una cadenza annuale di sistematica raccolta legislativa in materia. La sua utilit� � ancor pi� avvalorata da due indici: l'uno cronologico e l'altro sistematieo, quanto mai completi che la rendono di facile consultazione. M. DIPACE i I