ANNO XXXI N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1979 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di serv1z1o ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DEI.LO STATO ROMA 1979 ABBONAMENTI ANNO 1979 ANNO • • . . • • • • • • • . . . . . • . . • . • • • • • • . . . L. 20.000 UN NUMERO SEPARATO .••.••••..••••• » 3.500. Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -Roma cfc postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Docreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (1219066) Roma, 1980 -Istituto Poligrafi.co e Zecca dello Stato P.V. La Rassegna porge il suo caloroso saluto all'avv. Giuseppe Manzari di recente nominato Avvocato Generale dello Stato. L'avv. Manzari, che per oltre un decennio aveva già esercitato il ministero di avvocato dello Stato, torna nel nostro Istituto dopo una prestigiosa esperienza nella magistratura amministrativa e nel governo della cosa pubblica. La Rassegna, nel manifestare il vivo compiacimento per la nomina, esprime la certezza che Egli, con la Sua alta personalità di giurista e di profondo conoscitore dei problemi della giustizia e della pubblica amministrazione, possa efficacemente operare alla guida dell'Avvocatura dello Stato per la piena attuazione dei princìpi ispiratori della recente riforma e per rendere l'Istituto sempre più adeguato alla funzione di organo di legalità e di difesa dei pubblici interessi che esso è chiamato a svolgere nell'ordinamento democratico del Paese. La Redazione La Rassegna nel prossimo fascicolo pubblicherà il discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri ed il discorso di insediamento dell'Avvocato Generale. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Giuseppe Angelini-Rota e dell'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . . pag. 605 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA dell'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara) . . » 624 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SDIZIONE (a cura SU QUESTIONI DI GIURIdell'avv. Carlo Carbone) . . » 653 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura cato Adriano Rossi) . . . . . . . dell'avvo » 6 79 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA dell'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . (a cura » 71 o Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafìle) . . . . . . . . . . . » 719 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBliCI (a cura dell'avv. Paolo Vittoria) . . . . . . . . . . . . . . . . » 787 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura dell'avv. Paolo Di Tarsia Di Belmonte) . . . . . . . . . » 798 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBliOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZI~RIO LEGISLAZIONE pag.159 CONSULTAZIONI » 175 RASSEGNA DI DOTTRINA » 194 la pubblicazione è diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glam;o NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CoNTU, Cagliari; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco GUicCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo ScorTI, Trieste; Giancarlo MANDÒ, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI BAFILE, C., Anticipazione delle spese per il procedimento fallimentare, imposta di registro e relative controversie . I, 727 MARZANO, A., Infrazioni valutarie e successivo rientro di capitali I, 679 MARZANO, A., Spedizionieri doganali e diritto comunitario . I, 635 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE ED ELET11RICI TÀ -Canali demaniali -Amministra:done generale dei canali demaniali di irrigazione (canali Cavour) -Organo del ministero delle finanze -Suoi atti - Definitività : EscLusione, 794. -Giudizio e procedimento -Appello Termine -Decorrenza, 797. -Giudizio e procedimento -Tribunale superiore -Giurisdizione di, legittimità -Ricorso -Ammissibilità -Condizioni -Definitività dell'atto impugnato -Necessità, 794. APPAILTO -~AppaLto di opere pubbliche -Pretesa applicazione di un determinato prezzo contrattuale -Riserva -Onere Tempo dell'iscrizione -·Prima contabilizzazione della specie di lavoro con applicazione di prezzo divel'so, 789. -Appalto di opere pubbliche -Resdssione -Contestazione -Comunicazione della relazione particolareggiata Equ1poHenti -Ammissibild:tà, 787. CAMBIO E VALUTA -Infrazioni valutarie -Procedimento amministrativo di accertamento Vizi -lrrilevanza nel giudizio avanti il giudice ordinario, con nota di A. Marzano, 679. -Rientro dei capitali -Effettuazione da parte di trasgressore già scoperto -Sanzioni amministrative -ApplicabHità, con nota di A. MARZANO, 679. -Rientro dei capitali -lus superveniens -Cessazione della materia del contendere -Esdusione, con nota di A. MARZANO, 679. COMMERCIO -Regioni a statuto speciale -TrentinaAlto Adige -Potestà legislativa con corrente -Principi stabiliti da legge de1lo Stato, 6H. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -G1urisdizione ovdinaria ed amministrativa -Antilcilpato colLocamento a riposo per benefici combattentistici - Giudsdizione del giudice amministrativo, 664. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Autorizzazioni ,e concessioni -Ordine di demolizione di manufatto -Provenienza da p.a. diversa da quella concedente -!Mancanza di potere sul contenuto della concessione -Giurisdizione deWa.g.o., 653. -GiurisdiiJone ordinaria ed amministrativa -Corte dei conti -Richiesta di aspettativa obbligatoria del dipendente pubblico per mandato regionale ,ed illegittimo comulo di emolumenti -Giurisdizione del giudice amministrativo: non sussiste, 675. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Indennità di buonuscita spettante a dipendente dello Stato - Giurilsdizione del1'a,g.o., 664. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Procedimenti urgenti ex art. 700 c.p.c. in materia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo -Difetto di giurisdizione dell'a,g.o., 671. -Regolamento preventivo di giurisdizione -Corte dei conti -Proposizione dopo l'udienza di discussione e prima della pubblicazione della dedsione -Inammi1ssibil<ità, 669. -Sicilia -Opere di miglioramento fondiario -Mutuo agevolato -Concorso della regione siciliana nel pagamento degli interessi -Rifiuto dd visto su stato di avanzamento -Risarcimento del danno contro la p.a. - Irnpmponibilità, 658. INDICE ANALITICo-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA COMUNITÀ EUROPEE -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati -Zucchero -Quote di produzione -·Italia -Potere di modifica -Limiti, 624. -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati -Zucchero -Quote di produzione -Italia -Potere di modifica -Progetti di ristrutturazione del settore, 624. ·-Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati -Zucchero -Quote di produzione -I taHa -Potere di modifica -VaLidità, 624. -Libera circolazione delle merci -Sistema normativa italiano della dichiarazione in dogana -Spedizionieri doganali -Misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative alla importazione o all'esportazione -Insussistenza, con nota di A. MARZANO, 633. -Libertà di stabHimento -Spedizionieri doganali -Cittadinanza -Condizione di reciprocità -Contrasto, con nota di A. MARZANO, 633. - Regolamenti -Applicabilità diretta Disposizioni nazionali di attuazione, 624. CONTRATTI PUBBLICI -Selezione del contraente -Scelta di procedimenti -Interesse all'impugnazione immediata del criterio adottato dall'amministrazione -Non sussiste -Preclusione all'impugnazione, 7!14. -Sistema di aggiudicazione a trattativa privata plurima -Adozione delle cautele dell'appalto-concorso -Necessità ~ Legittimità conseguente del 'Oriterio di sce1ta -Sussiste, 7114. -Sistemi di aggiudicazione a trattativa privata plu:dma -Criteri di valutazione delle offerte -Espressione di potestà tecnico-discrezionale Conseguenze sulle modalità di aggiudicazione, 7i14. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Legittimazione attiva Per il potere esecutivo spetta al Presidente del Consiglio dei Mini-stri Delega a ministro -Possibilità -Previa conforme deliberazione del Consiglio dei ministri -Necessità -Termine per ricorrere -Insussistenza, 615. -Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione -Circolare ministeriale non chiara ed univoca -Inammissibilità, 615. - Disposizione di decreto ministeriale « confermata » da disposizioni di legge -Non sindacabile ad opera della Corte costituzionale, 610. EDILIZIA -Urbanistica -Licenza edilizia -Annullamento -Annullamento d'ufficio Motivazione -Violazione di pubblico interesse -Area destinata a godimento pubblico -Contrasto con prescrizioni di zona contenute nel piano regolatore -Motivazione sufficiente, 'illO. -Urbanistica -Licenza edilizia -Annullamento -Annullamento d'ufficio Motivazione -Violazione di pubblico interesse -Area destinata a verde pubblico -Uso residenziale privato -Motivazione sufficiente, 710. -Urbanistica -, Licenza ediHzia -Annullamento -Annullamento d'ufficio Regione -Decorrenza del termine iniziale -Formulazione delle conclusioni della Commissione tecnico-amministrativa -Riferibilità -Effetti, 7110. -Urbanistica -Licenza edilizia -Annullamento -Regioni -Competenza Parere del Consiglio di Stato -Necessità -Non sussi1ste, 710. -Urbanistica -Licenza edilizia -Annullamento -Regioni -Competenza ex d.P.R. n. 8 del 1972 -Natura -Autonomia rispetto al potere generale di annulLamento ex art. 6 t.u. n. 383/ 1934 -Effel!ti, 110. -Urbanistica -Licenza edilizia -Annullamento -Regioni -Competenza ex d.P.R. n. 8 de1 1972 -Sus,siste, 710. EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Alloggi FF.SS. -Cessione in proprietà -Congiunti dell'assegnatario -Condizioni, 704. x RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ESPROPRIAZIONE PER P.U. -Indennità di esproprio -Suscettibilità edificatoria dell'a!'ea -Assenza di piano regolatore -Esistenza di programmi di fabb!'icazione -Sufficienza • Concrete circostanze di efFettiva fabbrkazione, 656. · -Retrocessione -Totale e parziale Differenze -Posizione giuridica del privato espropriato · Diritto soggettivo e interesse legittimo, 706. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Procedimento giurisdizionale • Provvedill11ento di sospensione dell'atto impugnato • Ordinanza di sospensione del T.A.R. -Possibilità di apposizione di termini e condizioni . Sussiste · Imposizione di cauzioni • PrecLusione, 715. -Ricorso giurisdizionale -Giudicato Decisioni giurisdh.ionali amministrative di primo e secondo grado -Decisione non passata in giudicato Ricorso .per ottemperanza -Esperibilità · Preclusione, 713. -Ricorso giurisdizionale -Impugnazione · Dies a quo per la proposizione . dell'appello -Notificazione della sentenza di primo grado -Notificazione presso il procuratore costituito Irritua1ità · Effetti, 7110. -Ricorso giurisdizionale -Impugnazione · Errore scusabile -Riconoscibìlltà -Sus•siste, 710. -Ricorso giurisdizionale -Proposizione di motivi aggiunti -Termine -Decorrenza · Riferimento al giorno di deposito della documenta<.ione o a quello di ricevimento della comunicazione di segreteria ex art. 35 r.d. 17 agosto 1907, n. 642 -Fattispecie, iU3. IMPIEGO PUBBLICO -Promozioni -Scrutini per merito comparativo · Attitudini ad espletare funzioni superiori -Giudizi parziali sulle altre qualità dello scrutinando · Indipendenza -.Effetti, 716. -Promozioni -Scrutini per merito comparativo -Criteri -Presunzione di imparzialità di giudizio -Condizioni necessarie per superare la presunzione -Requisiti -Necessità, 7116. -Promozioni -Scrutini per merito comparativo -Discrezionalità della Commissione esaminatrice -Necessità di individuare i criteri di razionalità e di .imparzia:le pondemzione de~li interessi -Sussiste -Effetti P, attispecie, 7'17. -Promozioni -Scrutini per merito comparativo -Omessa indicazione di tutte le mansioni esercitate nel pregresso servizio e degli incarichi particolari -IUegittimità, 7117. -Promozioni -Scrutini per merito comparativo -Precedenza nella graduatoria 'di impiegati con minore anzianità -Eccesso di potere -Non sussiste, 716. -Promm:.ioni -Scrutini per merito comparativo -Requisiti attitudinali -Relazione con le altre qualità dello scrutinando -Difformità rispetto ai giudizi dei rapporti informativi -Necessità di idonea motivazione · Sussiste -Effetti, 7117. IMPOSTA COMPLEMENTARE SUL REDDITO -Metodo sintetico -Tenore di vita del contribuente -Inadeguatezza del metodo analitico -Metodo sinteti· co -Aipplkabilità, 769. IMPOSTA DI REGISTRO -Concordato fallimentare • ·Sentenza di omologazione -Imposta di titolo • Prenotazione a debito -Ingiunzione del canceLliere per H recupero dell'imposta prenotata · Illegittimità, con nota di C. BAFILE, 727. -Interpretazione dell'atto -Negozio indiretto e negozio collegato -lnterpreta<. ione unitaria di più atti -Le· gittimità, 757. LMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Altre imposte dirette -Agevolazione per il Mezzogiorno -Impresa edilizia · Esclusione, 757. -Esecuzione decennale -Presupposti . Novità dall'impresa -Decorrenza dell'esenzione -Funzionalità degli impianti -Prova · Atto della Camera di Commercio -Prova contraria ' Ammi!ssibiHtà, 779. -Plusvalenze -Avviamento -Conferi· mento di azienda in società di persona · Si realizza, 763. -Plrusva1enze -Enti con fine di lucro · Società cooperative -ìi. ta1e, 753. INDICE ANALITico-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA X[ -Spese e perdite -Rinuncia di un socio di società per azioni ad un suo credito -Indetraibilità dal reddito del socio, 749. IMPOSTA DI SUCCESSIONE -Denuncia di successione -Indicazione del domicilio -Successive variazioni -Obbligo di comunicarle all'ufficio -Esclusione -Necessità di procedere alla notifica dell'accertamento di maggior valore -Modalità della notifica -Applicabilità delle norme di proceduTa civiLe, 770. IMPOSTE E TASSE IN GENERE ....,. Condono -Vendita fra parenti -Controversia sulla presunzione di trasferimento gratuito -È controversia di diritto attinente ad imposta di donazione -Non condonabilità, 749. -Imposte dirette -Accertamento -Metodo induttivo -Soggetti tassibili in base a bilancio -Criteri di ammissibilità, 719. -Imposte dirette -Dichiarazione Esonero dall'obbligo -Redditi inferiori al minimo -Determinazione Redditi astrattamente considerati, 767. -Imposte ~ndirette -Condono -Istanza di una sola parte -Estenzione degli effetti ai condebitori -Si produce, 766. -Notificazioni -Consegna dell'atto a persona di famiglia non convivente Nullità -Dichiarazione di convivenza risultante dalla rela:i.ione -Prova contraria data ·COn certificato anagrafi, oo -Idoneità, 750. -Nuovo contenzioso tributario -Decisione della Commissione centrale di accoglimento con rinvio -lmpugnabhlità Ìlmmediata, 755. -Nuovo contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Estimazione compiessi va -Impiego ·del metodo induttivo di accertamento -Vi rientra, 7ì19. -Nuovo contenzioso tributario -Giudizio di terzo graCio -Questioni di fatto -Questioni di valutazione della prova sull'esistenza del presuppo· sto -Non deducibilità, 763. -Procedimento innanzi alle commissioni -Sottoscrh.ione del ricorso Requisito essenziale -Difetto -Nullità insanabile, 756. -Vioiazioni di leggi finanziarie e valutarie -Pena pecuniar.ia -Oblazione - Irretrattabilità -Riserva di ripeti· zione -Irrilevanza, 744. .LAVORO -Personale delle ferrovie tranvie e linee di navigazione in concessione Controversia con il datore di lavoro Previo reo1amo gerarrhico -Omis •sione · -Improponibilità dell'azione giudiziaria -Illegittimità costituzionaJle, 607. PROCEDIMENTO PENALE -Difesa dell'imputato -Difesa tecnicolegale -I.rrinunciabiUtà, 619. -Responsabilità civile -Atti preliminari nei procedimenti con istruzione sommaria -Citazione del responsabile civile -Inammissibilità -Illegittimità costituzionale, 613. -Testimoni -Giuramento -Assunzione di responsabilità dinanzi a Dio -Obbligo per i non credenti -Illegittimità costituzionale, 614. -Tribunale per i minorenni -Pronuncia di riabilitazione speciale -Competenza nel caso di minorenne trasferitosi all'estero, 609. REATO -Cospirazione· politica -Momento consumativo -Accordo per commettere alcuno dei delitti dall'art. 302 c.p. - Ineffkienza, 798. -Insurrezione armata -Reato di pericolo -Non coincide con il tentativo di reato, 798. REGIONE -Autonomia fin;mziaria -Spese prive di copertura -Illegittimità costituzionale, 605. -Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione -Commissariato per la liquidazione degli usi civici -Fum.ioni amministrative e funzioni giurisdizionali -Potere di nomina!'e il preposto alle funzioni amministrative Spetta ahla regione, 615. RESPONSABILITÀ CIVILE -Circolazione dei veicoli -Assicurazione obbligatoria -Esclusione per le macchine agricole Legittimità costituziona1e, 621. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 4 àug1io t979, n. 63 . pag. 605 26 JugLio t979, n. 93 . )) 607 26 luglio t979, n. 95 . )) 609 t• .agosto t979, n. tOt )) 6t0 t• agosto t979, n. t02 )) 611 6 agosto t979, n. 116 . )) 613 tO ottobre t979, n. 117 . )) 6t4 tO ottobre t979, n. t20 . )) 615 tO ottobre t979, n. t2t . )) 6t6 tO ottobre t979, n. t23 (ord.) . )) 6t6 tO ottobre t979, n. t25 . )) 619 2t novembre t979, n. 132 . )) 62t CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE 27 settembre 1979, nella causa 230/78 . pag. 624 25 ottobre t979, nella causa t59/78 . )) 633 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, t6 giugno t978, n. 2989 . pag. 679 Sez. I, t4 febbraio 1979, n. 972 . )) 787 Sez. I, tO aprile t979, n. 2046 . )) 719 Sez. I, t O aprile t979, n. 2049. )) 727 Sez. I, 24 aprile t979, n. 2319 . )) 744 Sez. I, 24 aprile 1979, n. 2332 . }) 749 Sez. I, 26 aprile 1979, n. 2411 . }) 749 Sez. I, 26 aprile t979, n. 24t6 . )) 750 Sez. I, 27 aprile t979, n. 2437 . }) 753 Sez. I, 28 aprile t979, n. 2469 . )) 755 Sez. I, 9 maggio t979, n. 2643 . }) 756 ·Se<.. I, 9 maggio t979, n. 2645. )) 757 Sez. I, 9. maggio t979, n. 2658 . }) 757 Sez. Un., t2 maggio t979, n. 2716 . » 653 Sez. I, t2 maggio t979, n. 2739 . }) 763 INDÌCE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA XIII Sez. I, 21 maggio 1979, n. 2899 . pag. 766 Sez. I, 21 maggio 1979, n. 2909 . . )) 789 Sez. I, 23 maggio 1979, n. 2989 . . )) 767 Sez. I, 25 maggio 1979, n. 3017 . )) 656 Sez. Un., 25 maggio 1979, n. 3018 . )) 658 Sez. I, 25 maggio 1979, n. 3030 . )) 704 Sez. Un., 6 giugno 1979, n. 3183 . )) 664 Sez. Un., 12 giugno 1979, n. 3308 . )) 706 Sez. I, 18 luglio 1979, n. 4261 . . ,. 769 Se:;.. I, 18 luglio 1979, n. 4297 . . )) 770 Sez. I, 7 settembre 1979, n. 4740 . )) 779 Sez. Un., 22 ottobre 1979, n. 5466 . )) 669 Sez. Un., 25 ottobre 1979, n. 5575 . )) 671 Sez. Un., 19 novembre 1979, n. 6009 . )) 675 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 19 febbraio 1979, n. 6 . pag. 794 29 marzo 1979, n. 11 . . )) 797 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Pl., 23 marzo 1979, n. 9 . pag. 710 Ad. Pl., 23 marzo 1979, n. 12 . )) 713 Sez. IV, 4 maggio 1979, n. 300 . )) 713 Sez. V, 9 marzo 1979, n. 55 (ordinanza sosp.) . )) 715 Sez. VI, 23 marzo 1979, n. 182 . . . . . . )) 716 GIURISDIZIONI PENALI CORTE D'ASSISE Roma, I, 14 luglio 1978 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 798 PARTE SECONDA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI APPALTO -Appalto -Maggiori oneri per scarsità di lavoratori -Equo indennizzo, 175. -Appalto di opera pubblica • Interessi su somme controverse -Enti pubblici, 175. -Appalto di opere pubbliche · Rinuncia pTeventiva alla declinabilità degli arbitri, 175. -Revisione dei prezzi nei contratti e trattative private -Rate, 175. BENEFICENZA E ASSISTENZA -Rapporti tra Stato e Regioni -Trasferimento di funzioni . Istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza -Consigli di amministrazione Ricostituzione, 175. CAMBI E VALUTE -Società straniere • Violazione di norme valutarie -Nullità dei nego:;.i soggetti alla normativa italiana, 176. CONTABILITÀ GENERALE DELLO STATO -Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignorabilità -Limiti Fonti normatiove in vigore, 176. -Retribuzione -Stirpendi, pensioni e assegni -Pignoramento -Concorso con sequestro e cessione -Limiti Fonti no.rmative in vigore, 176. -Retribuzione • Stipendi, pensioni e assegni -Pignoramento tredicesima mensilità -Assegno pensionabile Indennità integrativa speciale · Aggiunta di famiglia -Pignorabi!ità Limiti, 176. -Revisione dei prezzi nei contratti e trattative private -Rate, 176. CONTENZIOSO TRIBUTARIO -Condono tributario · Interessi e accessori -Istanza -Mancanza • Effetti, 177. -Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale -Prima del provved1mento di condono -Effetti, 177. -Condono tributario · Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale -Prima del provvedimento ·di condono -Effetti, 177. -Consulenti del lavoro -Abilitazione alla rappresentanza e difesa nei giudizi avanti alle commissioni tributarie -Esclusione, 177. -Consulenti del lavoro· -Rappresentanze innanzi agli uffici finam:.iari Limiti, 177. -Imposte dirette -Giudizio di impugnazione proposto nei confronti dell'amministrazioni:! ad opena di truluno soltanto dei coobbligati soHdali d'imposta -Effetti sul corso della prescrizione, 177. -Cooperative-ispezioni ordinade delle associazioni nazionali contributi- cooperative non aderenti ad associaizone nazionale debenzano, 178. -Cooperative • J,spezione ordinade delle associazioni nazionali • Contributi -Mancata ispezione · Obbligatorietà, 178. · -Cooperative Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Natura, 178. DIFESA DELLO STATO -Rapporti tra Stato e regioni · Funzioni delegate -Impugnativa di atto emesso dal delegato -Difesa in giudizio -Spettanza, 178. INDICE DELLE CONSULTAZIONI DIRITTO INTERNAZIONALE -Società straniere -Riconoscibilità in Italia -Limitazioni, 178. -Sodetà straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi soggetti alla normativa italiana, 179. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -I.V.A. -Ambito di applicru..ione -Assegnazioni di case di abitazione ai soci. di società cooperative edilizie Regime, 179. ESECUZIONE FISCALE -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -EspropriabiUtà dei crediti nei çonfronti degli enti mutua.l.istici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974, 179. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale ·-EspropriabiUtà dei criti nei confronti degli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974, 179. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -Pignorabilità delle disponibilità finanzia:de degli enti predetti derivanti da redditi propri o da entrate diverse o da avanzi di esercizi previsti, 179. ESECUZIONE FORZATA -Spese di precetto -RirpetibiHtà -Limiti, 180. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ -EspropriaL.ione per pubblica utilità Decreto di espropriazione -Trascrizione -Tardiva richiesta -Applicabilità delle sanzioni stabilite dalle leggi in materia di imposte ipotecarie, 180. -Espropriazione per pubblica utilità Indennità -Offerta tempestivamente accettata -Revocabilità in ipotesi di leggi sopravvenuta in pendenza del termine di accettazione·, 180. FERROVIE -Costruzioni ferroviarie -Osservazioni del Comune interessato sul progetto esecutivo -Termine, 180. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Rapporti tra Stato e regioni -Funzioni delegate -Impugnativa di atto emesso dal delegato -Difesa in giudizio -Spettanza, 181. IGIENE E SANITÀ -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -Aggredibilità delle somme e dei crediti spettanti agli enti predetti per stanl.ionamenti loro assegnati dalla regione, 181. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -Espropriabilità dei crediti nei confronti degli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974, 181. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -PignorabiHtà delle disponibilità finanziarie degli enti predetti derivanti da redditi propri o da entrate diverse o da avanzi di esercizi pregressi, 181. IMPIEGO PUBBLICO -Cessazione degli effetti civili del matrimonio -Obbligo di pagamento assegno di divorzio -Decorrenza, 181. -Retribuzione -Stipendi assegni e altre indennità -Personale militare Pignorabilità -Limiti, 182. -Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignorabilità -Limiti -Fonti normative in vigore, 182. -Retribuzione -Stipendio, pensioni ~ assegni· -Pignoramento -Concorso con sequestro e cessione -Limiti Fonti normative in vigore, 182. -Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignoramento tredicesima mepsilità -Assegno pensionabul'e Indennità integrativa speciale -Aggiunta di famig1lia -Pignorabilità Limiti, 182. XVI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Redditi' da capitale -Interessi -Indennità di espropria1..ione e di occupazione -Tassabilità, 182. IMPOSTA GENERALE SULLE ENTRATE -Condono tributario -Interessi e accessori -Istanza -!Mancanza -Effetti, 183. -Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo pdncipale -Dopo il provvedimento di condono -Eiìfetti, 183. - Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale -Prima del provvedimento di condono -Effetti, 183. IMPOSTA V A!LORE AGGIUNTO -Esenzioni e agevolazioni -Appalto Zone terremotate della Sicilia -Costruzione di ambulatori -Applica15ilità, 183. -I.V.A. -Ambito di appHcazione -Assegnazioni di case di abitazione ai soci di società cooperative edilizie Regime, 183. IMPOSTE DIRETTE -Redditi da capitale -Interessi -Indennità di espropriazione e di occupazione -Tassabilità, 184. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Atione esecutiva esattoriale -Aggredibilità delle ~somme e dei crediti .spettanti ag1i enti predetti per stanzionamenti loro assegnati dalla regione, 184. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -Espropriabilità dei .crediti nei confronti degli enti mutualistid per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974, 184. -Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale -Pi.gnorahilità delle di!sponibilità finanziarie degli enti predetti derivanti da redditi propri o da entrate diverse o da avanzi di esercizi pregressi, 184. IMPOSTE E T ASSE -Co.nsulenti del lavoro -Abilitazione alla rappresentanza e difesa nei giudizi avanti alle commissioni tributarie -Esclusione, 184. -Consulenti del lavoro -Rappresentanze innanzi agli uffici finan1..~ari Limiti, 185. -Imposte dirette -Giudizio di impugnazione proposto nei confronti dell'amministrazione ad opera di taluno soltanto dei coobbligati solidali di imposta -Effetti 'SUl .corso de1la prescrizione, 185. -Imposte dirette -Prescrizione e decadenza -Avviso di liquidazione delrl'imposta -Termine di decadenza, 185. -Violazione leggi finamiarie -Responsabilità del successore per atto tra vivi in un azienda commerciale ed industri: aile per pene pecuniarùe e sopratasse relative a violazioni anteriori atta successione -Limiti, 185. IMPOST,E IPOTECARIE -Espropriazione per pubblica utilità Decreto di espropriazione -Trascrizione -Tardiva richiesta -Applicabilità delle sanzioni stabilite dalle leggi in materia di imposte ipotecarie, 185. IMPOSTE V ARIE -Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi Cooperative non aderenti ad associazioni nazionali -Deben:;.;a, 186. -Cooperative -Ispezioni ordinarie del• le associazioni nazionali -Contributi ·' Mancata ispeòone -Obbligatorietà, 186. -Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Natura, 186. -Tasse automobil1istiche -Esenzione a concessionario servizio ;postale -CessaL. ione o sospensione del servizio, 186. ISTRUZIONE -Previdenza e assistenza -Compensi integrativ,i in favore del personale medico univei'sitario non utili ai fini presidenziali e assi!stenziali -Compatibilità nella base imponibile per il calcolo dei contributi, 186. INDICE DELLE CONSULTAZIONI MATRIMONIO -Cessazione degli effetti civifi del matrimonio -Obbligo di pagamento assegno di divorzio -Decorrenza, 187. MILITARI -Retribuzione -Stipendi, assegni e altre indennità -Personale militare - PignorabHità -Limiti, 187. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI. -Società straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi soggetti alla normativa italiana, 187. OPERE PUBBLICHE -Appalto -Maggiori oneri per scarsità di lavoratori -Equo indennizzo, 187. -Appalto di opera pubblica -Interessi su somme controverse -Enti pubblici, 187. -Appalto di opere pubbliche -Rinuncia preventiva alla declinabilità degli arbitri, 188. -Revisione dei prezzi· nei contratti e trattative private -Rate, 188. PIANI REGOLA TORI· -Costruzioni ferroviarie -Osservazioni del comune interessato sul progetto esecutivo -Termine, 188. · PIGNORAMENTO -Retribuzione -Stipendi assegni e altre indennità -Personale militare Pignorabilità -Limiti, 188. -Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignorabilità -Limiti -Fonti normative .in vigore, 188. -Retribuzione -Stipendio, pensioni e assegni -Pignoramento -<:oncorso .con sequestro e cessione Limiti Fonti normative in vigore, 189. -Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignoramento tredicesima mensilità -Assegno pensionabile Indennità integrativa· speciale __ Aggiunta di famiglia -Pignorabi:lità Limiti, 189. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Tasse automobilistiche -Esenzione a concessionario servizio postale Cessazione o sospensione del servizio, 189. PRESCRIZIONE -IÌnposte dirette -Prescrizione e decadenza -Avviso di liquidazione del· l'imposta -Termine di decadenza, 189. PREVIDENZA. E ASSISTENZA -Previdenza e assistenza -Compensi integrativi in favore del personale medico universitario non utili ai fini presidenziali ed assistenziali -Compatibilità nella base imponibile per il calcolo dei contributi, 189. PREZZI -Generi di largo consumo -Disciplina -Infraztoni ·-Ingiunzione -Agente con depositivo-vendita in nome proprio -Legittimazione passiva Sussiste, 190. -Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiun<-ione -. Erro. neo richiamo di norme -Irrilevanza, 190. PROCEDLMENTO CIVILE -Procedimento civile -Controversia di lavoro -Patrocinio delle ·parti non abbienti -Spese anticipate dallo Stato per consulenza ·tecnica -Ri-. petibilità nei confronti della parte abbiente soccombente, 190. -Procedimento civile -Controversie di lavoro -Patrocinio delle parti non abbienti -Spese ed onorari liquidati in sentenza -Anticipazione da parte deno Stato, 190; REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE -Costruzione -Territorio comunale . Licenza edilizia -Esclusione, 190. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO XVIII REGIONI -Rapporti tra Stato e regioni -Funzioni delegate -Impugnativa di atto omesso dail delegato -Difesa in giudizio -Spettanza, 191. -Rapporti tra Stato e regioni -Trasfer1mento di funzioni -Istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza -Consigli di amministrazione Ricostituzione, 191. RISCOSSIONE -Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -1\gente con deposito -Vendita lin nome proprio -Legittimazione passiva Sussiste, 191. ~ Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -lng,iunzione -Erroneo richiamo di norme -Irrilevanza, 191. SJ\NITARI -Previdenza e assistenza -Compensi integrativi in favore del personale medico universitario non utili ai fini previden:l'lia1i, ed assistenz1aM -Compatibilità nella base imponibile per il calcolo dei contributi, 191. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -Agente con deposito -Vendita in nome proprio -Legittirnazione passiva -Sussista, 192. -Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -Erroneo richiamo di norme -lrrilevanza, 192. -Violazione leggi finanziarie -Responsabilità del successore per atto tra vivi in un'azienda commerciale ed industriale per pene pecuniarie e sopratasse relative a violazioni anteriori alla successione -Limiti, 192. SOCIETÀ -Società straniere -Riconoscibilità in Italia -Limitazione, 192. -Società 'straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi sog- Italia -LimitazioiliÌ, 192. · SPESE GIUDIZM.LI -Bsecuzione fòrzata -Spese di precetto -RipetibiHtà -Limiti; 193. -Procedimento civile -Controversia di lavoro -Patrocinio delle parti non abbienti -'Spese anticipate dallo Stato per consulenza tecnica -RipetibiLità nei confronti della parte abbiente soccombente, 193. -Procedimento civile -Controversie di lavoro -Patrocinio delle parti non abbienti -'Spese ed onorari liquidati in sentenza -Anticipazione da parte dello Stato, 193. STRADE -Costruzione -Territorio comunale Licenza edilizia -Esclusione, 193. j INDICE DELLE CONSULTAZIONI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE; I -Norme dichiamte incostituzionali II -Questioni dichiarate non fondate . pag. » 159 160 III -Questioni proposte . . . . )) 161 RASSEGNA DI DOT11RINA CAIANELLO, V.: Lineamenti del processo amministrativo, II ed., U.T.E.T., 1979 (recensione a cura di C. Carbone) . . . . . . . . . . pag. 194 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE CQSTITUZIONALE, 4 luglio 1979, n. 63 -Pres. Amadei-Rel. Astu ti -Regione Umbria (avv. Piras) e ·Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Regione -Autonomia finanziaria -Spese prive di copertura -Illegittimità costituzionale. Premesso che l'autonomia finanziaria delle regioni è garantita << nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica », è costituzionalmente illegittima ima delibera di legge regionale prevedente spese a copertura delle quali sono indicati fondi non ancora assegnati dallo Stato (1). (Omissis). -Con ricorso indicato in epigrafe il Governo ha· promosso, in riferimento all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione, questione di legittimità della legge della Regione Umbria approvata il 10 aprile 1975 e riapprovata nel medesimo testo il 20 novembre 1975, recante «Contributi per l'anno 1975 alle spese di gestione e di investimento per il rinnovo, l'ammodernamento e il potenziamento del parco autobus delle imprese a prevalente partecipazione _pubblica, che esercitano professionalmente, in base a concessione regionale, autoservizi di linea ordinaria per il trasporto di persone». Viene denunziata, in particolare, la disposizione dell'art. 5 di detta legge, ove è detto che all'onere derivante alla Regione dalla sua attuazione, (imputato al capitolo n. 4491 del bilancio 1975, per la spesa complessiva di lire 2 miliardi e 500 milioni), «si farà fronte mediante prelievo di pari importo dallo stanziamento del capitolo n. 4680 del bilancio medesimo », (l) Sentenza esatta e di notevole importanza. Non del tutto scorrevoli sono. le relazioni tra finanza statale e finanza regionale derivata: la sentenza, mentre consente alle regioni di iscrivere in bilancio .-dalla parte delle entrate -previsioni di non ancora «certi>> (e non ancora esattamente quantificati) trasferì· menti di .fondi dallo Stato, inibisce ai Jegislatori regionali di· effettuare stan· ziamenti sulla base di previsioni non seguite da effettive assegnazioni, e quindi rimaste «mere poste contabili ». 606 ci_{AS~EGNA 'DELL'AVVOOAT~ DEq.O ST~TO Si osserva nel ricorso che nello stato di previsione dell'entrata del bilancio della Regionè Umbria per l'anno 1975 so~o elencati al capi tolo 4491 i nn. 760, 780, 840, per un importo complessivo di lire 7. mi liardi, costituito da tre distinti. -contributi statali, peraltro non previsti da alcuna legge vigente; e che, di conseg~enza, il capitolo . di spesa nu mero 4680 (reca~te al n. 1· il. contributo alle aziende di trasporto extra urbano) comprende stanziamenti eccedenti, privi di copertura, essendo « la corrispondente previsione di entrata meramènte ipotetica, irrealiz zabile in base alla normativa in vigore, e di fatto non realizzata». La Regione Umbria, costituitasi in giudizio, non ha contestato la mancanza dÌ. effettiva copertura della spesa prevista dalla legge impu gnata, ma ha tuttavia s0stenuto che il trasferimento di pubbliche fun zioni dallo Stato alle Regioni comporta per lo Stato l'obbligo di fornire ad esse mezzi finanziari adeguati all'esercizio delle funzioni medesime, e che pertanto una legge ·regionale emanata in base a previsioni di en trata legittime e ragionevoli, secondo criteri di corretta amministrazione, non potrebbe dirsi viziata da incostituzionalità per effetto della mancata assegnazione· del necessario finanziamento. In caso di inadempienza del lo Stato, non potrebbe farsi richiamo al principio sancito dall'art. 81 per invalidare leggi emanate ·dalle Regioni nelle materie di propria èompe tenza, senza lesione della loro autonomia finanziaria, garantita dall'arti colo 119 d,ella Costituzione, e della stessa loro autonomia politica. · _ La que'stione è-fondata. Effettivamente, nello stato di previsione del" l'entrata per l'esercizio 1975, approvato dalla Regione Umbria, il capi tolo 760 fa, riferimento ad un ipotetico contributo speciale di lire 4 mi liardi ai sensi degli artt. 119 Cost. e 12 legge 16 maggio 1970, n. 281, per il quale non v'è _stata alcuna assegnazione. da patte dello Stato; il capi tolo 78Q prevede un contributo statale per lo sviluppo della montagna di lire 800 milioni, in base alla legge 3 dicembre 1971, n. 1102, il cui finan-. ziamento era peraltro limitato al periodo 1972-1974 (art. 15); il capito lo 840, infine, indica un contributo statale p~r il finanziamento dell'atti vità dell'Ente di sviluppo nell'Umbria, di ·lire 2 miliardi e 200 milioni, senza corrispondente stanziamento nel bilancio dello Stato·. Di fronte a questa previsione di entrata, risulta completamente privo di copertura il capjtolo 4680 di previsione della spesa, nella parte -relativa al « trasfe rimento di fondi dallo Stato », ove è indicato al n. l, iz:t correlazibne al ricordato capitolo 760, il contributo alle aziende di trasporto extra urbano. Tale obbiettiva situazione era stata dal Governo tempestivamente se gnalata agli -organi regionali, rilevando che nel bilancio 1975 erano in- eluse entrate eccedenti le assegnazioni già note o prevedibili in base a fondi iscritti nel bilancio dello Stato, da ritenersi quindi « mere poste cmi.tabili », e avvertendo che, pur _consentendosi l'ulteriore corso della PARTE I, SEZ. T, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE legge di approvazione del bilancio regionale, per evitare una paralisi dell'attività legislativa e ammiJ;Iistrativa della Regione, questa avrebbe tuttavia dovuto, nella propria successiva nonnaziorie, « tener conto della reale consistenza delle entrate anche ai fine di ,evitare l'eventuale p redisposizione di provvedimenti mancanti della sostanziale copertura ». Conseguentemente, il Governo aveva rinviato a nuovo esame del Consiglio regionale, a' sensi dell'art. 127 Cost., la legge 10 aprile 1975, per difetto di copertura della spesa con essa prevista; ma ciononostante la legge era stata egualmente riapprovata il 20 novembre dello stesso anno, senza alcuna modificazione. Non occorre sottolineare l'inconsistenza dell'assupto della Regione Umbria, circa la pretesa inadempienza dello Stato per la mancata assegnazione . di fondi in misura ·corrispondente alle previsioni di entrate che essa aveva inserito nel.proprio bilancio, senza peraltro aver riguardo alle effettive disponibilità di provenienza statale.. Gli ·obblighi dello Stato in ordine al finanziamento delle Regioni sono stabiliti dalla legge per le Regioni a statuto ordinario, la legge 16 maggio 1970, n. 281 regolava nel 1975, come regola ~uttora, integrata dalle ulteriori disposizioni successivamente emanate, la formazione ed erogazione dei diversi fondi e contributi statali, di cui le Regioni debbono tener ·conto nella determinazione della misùra delle spese consentite, in correlazione con le entrate effettive del proprio bilancio. L'autonomia finanziaria è garantita alle Regioni dall'art. 119 Cost.. << nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica », nell'ambito del necessario coordinamento con la finanza dello Stato; e anche le Regioni sono tenute, al pari dello Stato, ad osservare· il disposto dell'articolo 81 Cost., per cui ogni legge che importi nuovi o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte, come questa Corte ha già più volte avuto occasione di dichiarare. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 93 · Pres. Amadei -Rel. Maccarone. Lavoro -Personale delle ferrovie tranvie e· linee di navigazione in concessione · Controversia con il datore di lavoro · Previo reclamo gerarchico -Omissione . Improponibilità dell'azione giudiziaria . Illegittimità costituzionale. (Cost., art. 3; r.d. 8 gennaio 1931, n. 148,, art. 10). Contrasta con l'art. 3 Cost., l'art. 10, secondo e terzo comma, r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, co_me modificato dalla legge n. 633 del 1957 (coordinamento delle norme sulla disciplina dei rappÒrti collettivi di lavoro RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tram vie e linee di navigazione interna in regime di concessione),. nella parte in cui dispone l'improponibilità e non la improcedibilità dell'azione giudiziaria in caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico, sia nelle controversie aventi ad oggetto ·il riconoscimento della qualifica, sia nelle controversie aventi ad oggetto l'accertamento di ogni altro diritto << non esclusivamente patrimoniale » inerente al rapporto di lavoro. (Omissis). -... il giudice a qua ... pone in rilievo che per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto in concessione -a differenza di quanto avviene per la generalità degli altri lavoratori subordinati nel settore del diritto privato (cui è applicabile la più favorevole disciplina derivante dall'art. 2103 c.c., così come modificato dall'art. 13 legge 20 maggio 1970, n. 300) -il diritto ad acquisire la qualifica corrispondente alle mansioni effettivamente esercitate è condizionato all'adempimento di precise formalità e sottoposto a rigidi termini di decadenza. E prospetta il dubbio che tale disparità di trattamento sia priva di ragionevole fondamento e sia conseguentemente lesiva del principio di uguaglianza. Va osservato su tale punto che esistono indubbiamente delle diffe renze tra il rapporto di lavoro ordinario di diritto privato e quello dei dipendenti da imprese esercenti pubblici servizi di trasporto in conces sione, la cui regolamentazione deve tener conto delle finalità di pubblico interesse, inerenti alla natura del servizio che riguarda la generalità dei consocjati. Ma c'è. da chiedersi se esse possano giustificare una così grave di scriminazione in danno di tale categoria di lavoratori. E la risposta al quesito deve essere negativa. Orbene, con la norma denunziata si è voluto dare ad imprese di pubblico interesse (quali sono, indubbiamente, quelle esercenti servizi di trasporto in concessione) la possibilità di esaminare preventivamente le doglianze dei dipendenti al fine di accertarne l'eventuale fondatezza, evitando -così lunghe e dispendiose procedure giudiziarie le quali potreb bero anche compromettere la funzionalità. del servizio (sentenza n. 57 del 1972). Ma è agevole ·osservare che il soddisfacimento di questa esigenza, certamente meritevole di tutela, non richiede una così sensibile. compres sione dei diritti del lavoratore. A tal fine è, infatti, sufficiente prevedere che il previo esperimento del ricorso costituisca una condizione di pro cedibilità, la quale non implica decadenza dal diritto, la cui carenza po trà essere rilevata in base alle regole del rito speciale del lavoro. ( Va, d'altra parte, considerato che i procedimenti preliminari mirano a realizzare la giustizia nell'ambito dell'amministrazione ma non ~i. :-::: ili = ~-~~~~==="·=~~,---~-__] llrlllir&ffrtl~tl~rr;lrifrliillrmr«irM;Irlr<i1rttiliffflsltttlrrll•r•tr•ftfllmrrru• PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 609 possono risolversi in attentati al diritto di proporre l'azione in giudizio. La soluzione adottata è pienamente rispondente alle linee di tendenza della disciplina dei rapporti tra ricorsi amministrativi <e rimedi giurisdizionali (v. artt. 443 c.p.c. e 148 disp. att. come costituiti con legge 11 agosto 1973, n. 533) e non trova ostacolo nella natura non <<esclusiv~ mente patrimoniale » del diritto (a conseguire la qualifica) che in questo caso viene in considerazione. Da tale carattere, infatti, non può certo farsi discendere tin minor rilievo dei diritti del lavoratore, che pur coinvolgono interessi egualmente meritevoli di adeguata tutela. Tale decisione non contrasta con altre pronunce di questa Corte: non con la recente sentenza n. 41 del 1979 (la quale ha ritenuto legittima la decorrenza della prescrizione durante il rapporto di lavoro, relativamente a pretese non aventi. carattere immediatamente retributivo, in quànto non può ovviamente estendersi alla decadenza la disciplina giuridica della prescrizione. Né è ravvisabile contrasto con la sent. 174 del 1972 (la quale; in analoga situazione, si è limitata a ritenere illegittima la decorrenza del termine di decadenza in costanza di rapporto di lavoro non assistito da garanzia di stabilità) in quanto in quell'occasione fu sottoposta all'esame della Corte solo la questione concernente la decorrenza del termine di decadenza durante il rapporto di lavoro e non pure il più ampio quesito concernente la legittimità della stessa previsione della decadenza. -(Omissis). CORTE. COSTITUZIONALE, 26 luglio 1979, n. 95 · Pres. Amadei -Rel. Rossano -Curzi ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Procedimento penale -Tribunale per i minorenni -Pronuncia di riabilitazione speciale -Competenza nel caso di minorenne trasferitosi all'estero. (Cost., art. 3; r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404,.art. 24). Contrasta con l'art. 3 Cast., l'art. 24, comma secondo, del r.d.l. ·20 luglio 1934, n. 1404 (istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni), convertito nella legge 27 maggio 1935, n. 835, e modificato con r.d.l. 15 novembre 1938, n. 1802, nella parte in cui non prevede -nel caso di minore residente all'estero -la competenza del tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore ha avuto la sua ultima dimora abituale prima di trasferirsi all'estero (1). (l) La Corte ha fornito 1n sostanza solo una interpretazione della disposizione sub judice; peraltro, come è ovvio, diversa è la efficacia della sentem:.a costituzionale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 610 (Omissis). -Nel caso in esame di trasferimento <fel giovane all'estero, la mancanza di specifica indicazione del tribunale per i minorenni competente comporta. l'impossibilità, per quel giovane, di promuovere la procedura di riabilitazione speciale o di iniziare questa procedura di ufficio. Sussiste una disparità di trattamento tra giovane residente all'estero e giovane residente in Italia, disparità che non trova giustificazione, perché entrambi i giovani si trovano nella stessa situazione giuridica soggettiva e non può assumere rilievo la semplice circostanza di fatto del trasferimento di uno di essi all'estero. Da questa rilevata disparità di trattamento, peraltro, non deriva· necessariamente l'affermaz!one della competenza sussidiaria del tribunale per i minorenni che ha pronunciato il provvedimento cui si riferisce la richiesta riabilitazione speciale, come propone il tribunale per i minorel). ni di Ancona nell'ordinanza di rimessione. Proprio per le ragioni giustificatriCi della speciale competenza del tribunale per i minorenni, sopra specificate, deve ritenersi competente il tribunale per i minorenni del luogo dell'ultima dimora abituale del giovane in ltàlia. Tale tribunale, come del resto è posto in risalto nelle ordinanze di rinvio, può raccogliere e valutare le informazioni, i pareri, gli atti e i precedepti necessari per il giudizio di ravvedimel).to anche fuori del luogo di residenza ed all'estero tramite l'autorità consolare italiana. -(Omissis). CORTE. COSTITUZIONALE, l" agosto 1979, n. 101 -Pres. Amadei -Rel. La Pergola -Ente nazionale cellulosa e carta (avv..Micheli e Sorrentino) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Corte costituzionale. -Disposizione di decreto. ministeriale << confermatà » da disposizione di legge -Non sindaca~ile ad opera della Corte costituzionale. La Corte Costituzionale non può _sindacare la legittimità costituzionale di una disposizione di decreto ministeriale « confermata >> da una disposizione di legge, a meno che_ questa ultima non abbia inteso confe" rire alla prima il valore proprio delle regole poste da atto avente forzà di legge. (Omissis). -La questione è inammissibile. Le disposizioni confliggenti con l'art. 24 della Costituzione sarebbero, secondo l'ordinanza di rinvio, l'art. 16 del d.m. del luglio 1940 e l'art. 23 del d.P.R. 23 settembre 1973, n. 602. Senonché, la prima delle eitate disposizioni non è. impugnabile avanti a questa Corte. Essa è infatti contenuta in un decreto ministeriale, che è atto amministrativo, sia pure a carattere generale, laddove -a norma degli artt. 134 Cost.; l legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. l; 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 -possono formare oggetto PARTE I, SEZ. l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del giudizio di legittimità costituzionale soltanto le disposizioni di legge, o di atti aventi forza di legge. il giudice a quo assume che la citata disposizione del d.m. sia stata successivamente <<confermata» dalla' legge 28 febbraio 1956, n. 168 <<Provvidenze per la stampa>>, la quale al settimo comma del suo articolo unico testualmente dispone: <<Nei confronti dei contribuenti che non abbiano versato i contributi, o li abbiano versati in misura inferiore, l'Ente (l'E.N.C.C.) provvederà alla riscossione dei contributi stessi con i mezzi indicatì nell'art. 16 del d_.m. 3 luglio 1940 >>. L'assunto del pretore di Abbiategrasso è tuttavia contraddetto dal palese intento della legge Il· 168 del 1956. Quest'ultima, occorre precisare, rego!a il contributo dovuto all'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta dalle aziende del settore, sottoponendolo al regime da essa stessa dettato sotto alcuni profili -quali, ad esempio, la misura del contributo, o del diritto di rivalsa esercitato dalle cartiere nazionaLi, dai loro consorzi o dai loro importatori -e sotto altro riguardo rinviando alle disposizioni contenute nei decreti ministeriali: ma ciò proprio al fine di consentire che gli organi .del potere esecutivo dispongano della materia non disciplinata direttamente dalla legge. Ne segue che, col fare espresso richiamo di quella specifica disposizione del decreto ministeriale, la quale sarebbe viziata da illegittimità costituzionale, la legge non ha inteso conferirle il valore proprio delle regole poste nella forma dell'atto legislativo, o degli altri atti aventi forza di legge: al contrario, essa ha evidentemente presupposto che il d.m. 3 luglio 1940 ha natura di atto amministrativo ed opera in conseguenza in altra sfera da quella riservata alla legge medesima. Il che spiega perché le modalità di applicazione e riscossione del contributo anzidetto siano state anche iri prosieguo disciplinate, non con il mezzo tecnico della legge formale, ma sempre con quello dd decreto ministeriale: precisamente, con il d.m. 26 giugno 1976 -<< Regolamento per le riscossioni e l'applicazione del contributo dovuto all'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta >> -il cui art. 18, peraltro, puntualmente riproduce il disposto dell'art. 16 del d.m. 3 luglio 1940, oggetto del presente giudizio. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, l" agosto 1979, n. 102 -Pres. Amadei -Rel. Volterra -Ruberti e altri (avv. Amorth) é Provincia di Trento (avv. Lorènzoni). Commercio -Regioni a statuto speciale · Treniino ·Alto Adige -Potestà legislativa concorrente · Princip} stabiliti da .legge dello Stato. (Statuto Trentino . Alto Adige, artt. 5 e 9; legge Trento 7 ottobre 1974, n. 27, art. 2). La disposizione di cui all'art. l, .lettera c, della legge statale 28 luglio 1971, n. 558, mentre alle regioni a statuto ordinario non attribuisce alcuna 612 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO potestà legislativa o regolamentare e neppure riconosce alcun margine di discrezionalità amministrativa, non pone un prinCipio limitativo della potestà legislativa concorrente delle regioni a statuto speciale (1). (Omissis). --,... Le ordinanze di remissione denunziano l'art. 2, secondo comma,· della legge della provincia di Trento 7 ottobre 1974, n. 27, assumendo che esso violi gli artt. 5 e 9, n. 3, dello statuto Trentino-Alto Adige, i quali nell'attribuire alla provincia potestà legislativa in materia di commercio, limitano tale potestà al rispetto dei prinicpi stabiliti nelle leggi dello Stato. Ora, poiché il legislatore provinciale ha disposto la chiusura in:frasettimanale .obbligatoria per due mezze giornate o per una giornata intera c;legli esercizi di vendita al dettaglio situati nel territorio Trentino, sarebbe stato leso, secondo i giudici a quibus, il principio contenuto nell'art. l, lett. c, della legge dello Stato 28 luglio 1971, n. 558, per cui la chiusura infrasettimanale è invece limitata ad una mezza giornata. Ne risulterebbe ancora la violazione dell'art. 41 della Cos~ituzione per il contrasto con i fini sociali di tutela del lavoro e del ~ortsumatore, contemperati dalla legge dello Stato attraverso il principio citato della chiusura per· mezza giornata. La. questione rÌon è fondata. La legge 28 luglio 1971, n. 558, nel delegare alle regioni a statuto ordinario attribuzioni amministrative in ordine alla determinazione dell'orario di apertura e di chiusura dei negozi; non contiene, all'art. l, lett. c, il supposto principio, limitativo della potestà legislativa concorrente delle regioni a statuto speciale, della chiusura infrasettimanale obbligatoria per mezza giornata. Si tratta infatti di un criterio di delegazione amministrativa che si traduce per le regioni a statuto ordinario in una prescrizione così puntuale da non far residuare alcuna potestà né legislativa, né regolamentare e neppure alcun margine di discrezionalità nello svolgimento dell'attività amministrativa. E tale essendo la natura del criterio esso non può essere inteso come principio limitativo dell'attività di enti che la Costituzione e gli Statuti vogliono invece provvisti di potestà legislativa concorrente. Tanto più che l'art. 12 della legge n. 558 fa espressamente salve le competenze in materia di commercio attribuite alle regioni a statuto speciale dai rispettivi statuti. (i) In tema di orario dei negozi, cfr. Corte Cost., 4 maggio 1972, n. 76, e 14 marzo 1975, n. 59. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Come questa Corte ha affermato, sin dalla sentenza n. 49 del 1958 (e ribadito nelle sentenze nn. 41/1966; 88/1973; 36/1977) i «principi stabiliti dalle leggi dello Stato » non sono ovviamente tutte le regole della legge statale, ma da tali regole va desunta la ratio ispiratrice da cui la regione o la provincia non debbono discontrarsi nel soddisfare le condizioni particolari e gli interessi propri al loro territorio. Nella specie è evidente la ratio della legge, la quale intende assicurare, con riguardo alla regola della concorrenza ed agli interessi dei consumatori, un periodo di riposo nei giorni non festivi agli addetti al ecommercio i cui diritti sono tutelati da apposite norme (e tra l'altro dal criterio di cui alla lett. b, che limita a 44 ore settimanali ·l'apertura dei negozi). Il principio che va quindi ricavato ,dal più volte citato art. l lett. c, è quello della chiusura infrasettimanale obbligatoria per gli esercizi di vendita, restando di competenza della regione o della provincia determinare il tempo di questa chiusura, nel rispetto delle norme costituzionali e degli altri principi fissati nelle leggi dello Stato. Ora la provincia di Trento, nella sua discrezionalità, ha ritenuto che, per il proprio territorio, l'equilibrio tra le esigenze degli addetti al commercio e quelle dei consumatori si raggiunga attraverso la chiusura infrasettimanale di due mezze giornate o di una giornata intera, con valutazione immune da irragionevolezza. Siffatta valutazione sfugge pertanto al sindacato di questa Corte, risultando in tal modo non fondata anche la questione proposta con riferimento all'art. 41. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 6 agosto 1979, n. 116 -Pres. Amadei -Rel. De Stefano -Chierichini. Procedimento .penale -Responsabilità civile -Atti preliminari nei procedimenti con istruZione sommaria -Citazione del responsabile civile - Inamnlissibilità · Illegittimità costituzionale. . (Cost., artt. 3 e 24; legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24). Contrasta con l'art. 24 Cast., l'art. 108, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente, durante la fase degli atti preliminari al giudizio nei procedimenti che siano stati condotti con l'istruzione sommaria, la citazione del responsabile civile, nei cui confronti si richieda l'assegnazione di una somma a titolo di provvisionale ai sensi dell'art. 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (assicurazione 614 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) (1). (2) La sentenza (pubblicata in Foro it., 1979, l, 2521) si colloca nella linea indicata dalla sentenza Corte cost., 22 gennaio 1976, n. 14, nella quale era stato osservato che l'impossibilità per il danneggiato di chiedere la provvisionale contro l'assicuratore durante il corso deLl'istruzione sommaria, oltre a concretare una di,sparità di trattamento dspetto aLl'ipotesi in cui si proceda con istruzione formale (durante la quale· la predetta richiesta è, invece, ammissibile), si risolve in una violazione· dell'art. 24 de1la Costituzìone, rimanendo, durante il corso dell'istruzione sommaria, privo di tutela il diritto del danneggiato ad ottenere la. pronuncia di cui ·all'art. 24 della citata legge del 1%9. CORTE COSTITUZIONALE,.10 ottobre 1979, n. Elia -Branca. 117 -Pres. Amadei -Rei. .Procedimento penale · Testimoni -Giuramento -Assunzione di responsa. bilità dinanzi a Dio -Obbligo per i non credenti · Illegittimità costi· tuzionale. - (Cost., art. 19;· c.p.c., art. 251;. c.p.p., artt. 142, 316, 329 e 449). La libertà di coscienza, riferita ·alla professione sia di fede religiosa sia di opinione in materia religiosa, è violata non solo quando venga imposto un atto di culto, ma anche quando sia i11'!posto il compimento di un atto con significato religioso. Sono pertanto incostifuzionali gli arti. coli 251 c.p.c. e 316, 329 e 449 c.p,p. nella parte in cui, dopo le parole «il giudice istruttore ammonisce il testimone sulla importanza religiosa ... » e dopo le parole « consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio ... » non è contenuto l'inciso « se credente », nonché l'art. 142 c.p.p. nella parte in cui, dopo le parole «del vincolo religioso che con esso contrae dinanzi a Dio ... >> non è contenuto l'inciso « se credente» (1). (l) La sentenza è pubblicata in Foro it., 1979, I, 2517. La Corte ha, con encomiabile rispetto per la libertà e dignità della persoria, superato l'orientamento espresso; in relazione all'art. 21 Cost., . nella sentenza Corte cost., 13 .Juglio· 1960, n. 58; cfr. anche le sentenze Corte cost., 29 marzo ·1961, n. 15, e 8 giugno 1963, n. 85. In ordine alla libertà di ateismo, cfr. FrNOCCHIARO, in Commentario della costituzione, diretto da BRANCA, 1977, sub art. 19, 258. La Corte ha precisato che « rimangono al di fuori del presente giudizio sia la formula del giuramento decisorio (ex art. 238, c.p;c.), evidentemente non ricollegabile al rifiuto di uffici legalmente dovuti, né le formule dei giura-• menti che, non costituendo atti da qualificare obbligatori, rappresentano piuttosto condiciones juris per l'assunzione di pubblici uffici ». (· .. fu[ ~:: ~ . :~: -=~ ~~ . . PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1979, n. 120 -Pres. Amadei -RelElia -Regione Lazio (avv. Lagonegro e Cervati) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione -Circolare ministeriale non chiara ed univoca -Inammissibilità. È inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto avverso una circolare non contenente una chiara ed univoca manifestazione di volontà dell'autorità emanante. II CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1979, n. 121 -Pres. Amadei -Rel. Elia -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti) e regione Campania (avv. D'Onofrio). Regione -Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione -Commissariato per la liquidazione degli usi civici . Funzioni amministrative e funzioni giurisdizionali • Potere di nominare il preposto alle funzioni amministrative • Spetta alla regione. Premesso che non è dato rinvenire disposizioni che impongano, sia pure in via transitoria, una unione reale nella titolarità dell'ufficio di commissario (funzioni giurisdizionali ed amministrative residue), rima-· sto allo Stato, ed in quella dell'ufficio amministrativo passato con le relative funzioni alla Regione, spetta alla regione Campania il potere di conferire Ì'incarico di dirigere l'ufficio amministrativo del commissariato per la liquidazione degli usi civici al coordinatore del servizio agricoltura, caccia e pesca. III CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 197~, n. 123 (ord.) -Pres. Amadei - Rel. Paladin -Ministro per la marina mercantile, Presidente consiglio de>i Ministri e Pretore di Genova. Corte costituzionale • Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato Legittimazione attiva -Per il potere esecutivo spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri -Delega a ministro · Possibilità • Previa conforme deliberazione del Consiglio dei ministri • Necessità -Termine per ricorrere · Insussistenza. Legittimato a proporre un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato è, per il potere esecutivo, il Governo della Repubblica 616 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale può all'uopo delegare un ministro; il ricorso, per la cui proposizione non è previsto alcun termine, deve però essere preceduto da una previa conforme deliberazione del Consiglio dei ministri. l (Omissis). -Con ricorso del 6 febbraio 1979 notificato il 9 dello stesso mese il Presidente del Consiglio dei ministri sollevava conflitto di attribuzione nei confronti della regione Campania in seguito a deli. bera n. 13531 del 13 ottobre 1978 con cui la giunta di questa regione con-· feriva al coordinatore del servizio agricoltura, caccia e pesca l'incarico di dirigere l'ufficio amministrativo del commissariato per la liquidazione degli usi civici. Riteneva il .Presidente del Consiglio che, stanti i poteri amministra tivi riservati con specifica disposizione alla competenza dello Stato dallo stesso d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (in materia, ad es., di legittimazione) e tenuto conto del collegamento insoindibile, in alcuni casi, tra }Jotere giurisdizionale ed amministrativo, ben evidenziato da circolare del mini stro dell'Agricoltura e Foreste in data 27 giugno 1978, all'esame peraltro della Corte perché impugnata dalla regione Lazio, non poteva essere pri vato l'ufficio statale di tutto l'apparato organizzativo di cui è dotato. Tale apparato sarebbe necessario anche per l'espletamento delle fun 2lioni giurisdizionali sicuramente riservate al commissario quale organo dello Stato. -(Omissis). II (Omissis).-Comunque, nel merito il ricorso non è fondato. In realtà la regione Campania non poteva sottrarre allo Stato quanto lo Stato stesso le aveva già trasferito. In altri termini, la regione non ha fatto altro che dare diretta ed immediata attuazione a norme statali che, · esse sì, operavano una separazione nel blocco di « funzioni amministrative e giudiziarie» che la legge n. 1766 del 1927 aveva attribuito ai commissari. Allo scopo di operare la scissione di cui si è detto, nel rispetto dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, trasferendo in atto alle regioni funzioni e ufficio amministrativo del Commissariato, è del tutto superflua una legge regionale dal momento che a ciò hanno provveduto i commi quinto e ses!o dell'art. 66 e la ta~lla A) del d.P.R. n. 616 del 1977: nonché, per la messa a disposiZJione del personale degli uffici trasferiti alla regione, l'art. 112 del citato decreto. Mentre l'art. 123, primo comma, dello stesso testo stabilisce che il personale posto a disposizione delle regioni troverà sistemazione definitiva nei ruoli regionali sulla base PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 617 di leggi della regione, il quarto comma di questo articolo prescrive che il personale posto a disposizione della regione << è utilizzato in via provvisoria secondo le determinazioni di questa presso gli uffici regionali » (essendo ovvio che le determinazioni consistono in provvedimenti di natura amministrativa), disposizione cui corrisponde, del resto, l'art. 20 della legge regione Campania 14 maggio 1975, n. 29. Che poi esistesse la «disponibilità» da parte della regione del personale dell'ufficio amministrativo del commissariato trasferito ex lege è comprovato dal decreto del ministro per l'Agricoltura e Foreste in data 30 dicembre 1977, con il quale veniva posto a disposizione della regione Campania il personale addetto alle funzioni dell'ufficio amministrativo. È quindi evidente che il trasferimento dell'ufficio amministrativo e la messa a disposizione del personale implicavano anche il potere qella regione di nominare un dirigente dell'uffiicio stesso. Né è dato rinvenire fonti normative, che impongano, sia pure in via transitoria, una unione reale nella titolarità dell'ufficio di commissario (funZJioni giurisdizionali ed ammnistrative residue), rimasto allo Stato, ed in quella dell'ufficio amministrativo passato con le relative funzioni alla regione. Una fattispecie di codipendenza funzionale necessaria in questo campo avrebbe dovuto essere prevista, seppure per un periodo transitorio, nel d.P.R. n. 616 del 1977 o in altro atto legislativo· dello Stato, mentre è ininfluente che essa sia affermata nella circolare 27 giugno 1978, n. 18042 del Ministero per l'Agricoltura e le Foreste, circolare richiamata dall'Avvocatura dello Stato. Né, infine, è necessario insistere sulla inesistenza di un obbligo (od anche di un onere) a carico delle regioni, di apprestare, per l'esercizio di competenze statali residue, strumenti organizzativi in sostituzione di quelli ad essa trasferiti dallo Stato. -(Omissis). III (Omissis). -·Ritenuto che il ministro per la marina mercantile, in proprio nonché per delega del Presidente del Consiglio dei ministri, mediante ricorso depositato il 13 aprile 1977, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del pretore di Genova, avverso l'ordinanza 25 fieb-., braio 1977, con la quale il pretore ha vietato la pesca e la commercializzazione del novellame di qualunque specie marina su tutto il territorio nazionale, a partire dalle ore 24 del 26 febbraio, ed ha disposto il sequestro del «prodotto eventualmente rinvenuto sul mercato»: assumendo che concorrerebbero in tal caso tutti i requisiti necessari affinché insorga un conflitto fra poteri dello Stato, sia perché il ministro ricorrente -da solo o per delega del Presidente del Consiglio dei ministri disporrebbe della competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere esecutivo, sia perché sarebbe indiscutibile la legittimazione 618 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO passiva di un giudice quale il pretore ài Genova, sia perché il pretore avrebbe in sostanza annullato il decreto ministeriale 18 gennaio 1977 (con il quale il ministro per la Marina mercantile auto11izzava la pesca del novellame di sarda in alcuni compartimenti marittimi, quanto al periodo lo febbraio-31 marzo 1977), in violazione delle norme costituzionali che conferirebbero ai giudici ordinari la sola «affermazione dell'ordinamento nel caso concreto, cioè nei confronti di uno o più soggetti determinati »; (Omissis). Considerato che la Corte è stata convocata, a norma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, per decidere in camera di consiglio se il ricorso sia ammissibile: vale a dire, se il conflitto sorga « tra organi competenti a dicliiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzion~ determinata per i vari poteri da norme costituzionali »; rimanendo impregiudicàta, ove la pronuncia sia di ammissibilità, la facoltà delle parti di proporre, nel corso ulteriore del giudizio, anche su questo punto, istanze ed eccezioni (secondo l'ordinanza n. 49 del 1977); che nel caso in esame «esiste la materia di un conflitto», dal momento che il ricorrente invoca gli artt. 101, 102 e 113 della Costituzione, affinché questa Corte dichiari che non spetta al potere giudiziario, bensì all'esecutivo, l'emanazione di atti che astrattamente autorizzino o vietino la pesca di determinate specie; che sul piano dei requisiti di ordine soggettivo la Corte ha riconosciuto più volte (ord. nn. 228 e 229 del 1975; sent. n. 231 del 1975; ord. n. 49 del 1977; ord. n. 87 del 1978) che «i singoli organi giurisdizionaN, esplicando le loro funzioni in situaZJione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati... ad essere parti in conflitti di attribuzione»; che infine, per quanto riguarda la legittimazione attiva a sollevare il presente conflitto, essa non spettf1 al ministro per la Marina mercantile: sia perché quello esecutivo non· è un potere « diffuso», ma si risolve a questi effetti nell'intero Governo, in nome dell'unità di indicizzo politico ed amministrativo proclamata dall'art. 95, primo comma, Cast., che altrimenti rischierebbe di venire compromessa; sia perché -di norma -non assumono rulievo costituzionale, nei rapporti con gli organi giurisdizionali e con la magistratura in genere, le specifiche funzioni amministrative dei singoli ministri, bensì le attribuzioni dell'esecutivo complessivamente inteso; che legittimato è invece il Presidente del Consiglio ded ministri, come questa Corte ha già dichiarato nella citata ordinanza n. 49 del 1977; che il ricorso in esame può essere per altro imputato al Presidente, dal momento che il ministro per la Marina mercantile lo ha proposto anche in virtù di una delega presidenziale; che, dove PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 619 non si tratti di att1.1ibuzioni proprie del solo Presidente, il ricorso di questi deve però essere fondato sopra una previa conforme deliberazione del Consiglio dei ministri, secondo le regole che la Corte ha fissato in tema di impugnazioni dirette nonché di rinvio delle leggi regionali, ai sensi dell'art. 127 Cost. (e con la sola eccezione espressamente stabilita dall'art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, quanto ai conflitti di attribuzione fra Stato e regioni); considerato che tale deliberazione è mancata nel caso !in esame, stando almeno al tenore testuale dell'atto lintroduttivo del presente giudizio; che, tuttavia, la proposizione dei ricorsi e i conseguenti giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato non sono sottoposti ad alcun termine, fino a quando la Corte non abbia dichiarato l'ammissibilità dei ricorsi medesimi; che il vizio può essere dunque sanato, in applicazione dell'art. 17 cpv. del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), richiamato dall'art. 22, primo ·comma, della legge n. 87 del 1953: purché la notificazione del ricorso del Presidente del Consiglio dci ministri al pretore di Genova, nel termine fissato dalla presente ordinanza, sia preceduta da una conforme deHberazione del Consiglio stesso. -(Omissis). COHTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1979, n. 125 -Pres. Amadei -Rel. Malagugini -Vulicevic (u.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Chiarotti). Procedimento penale -Difesa dell'imputato -Difesa tecnico-legale -Irrinunciabilità. (Cost., artt. 2 e 24;. c.p.p., artt. 125 e 128). L'imputato non può rinunciare ai diritti inviolabili di difesa di cui è titolare, né può disporre delle garanzie costituzionali (1). (Omissis). -Si deve affermare che speculare alla inviolabilità del dintt~ di difesa, è la irrinunciabilità di esso, quali che ne siano le concrete modalità di esercizlio. Il diritto di difesa, infatti, nel processo penale, è preordinato a tutelare beni e valori fondamentali dell'uomo, dei quali in quel procedimento si discute e decide, nonché' a maggiormente garantire, anche nell'interesse dell'imputato, l'osservanza di princìpi dell'ordinamento costituzionale, che attengono specificamente alla disciplina del processo penale medesimo. (l) La sentenza è pubblicata integralmente in Foro it., 1979, I, 2513, con indicazioni di dottrina. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 620 L'imputato non può rinunziare ai diritti inviolabili dei quali è titolare, né può disporre delle garanzie che gli derivano dalle norme costituzionali suaccennate (artt. 25, 26, 27, 101, 102, 103 ultimo comma, 109, 111, 112). Egli può, certamente, astenersi dal compiere· concrete e contingenti attività difensive intese a far valere quei dirit~i, senza che, peraltro, da questo suo atteggiamento possa dedursi una rinunzia ad essi, alla possibilità cioè di farli valere in un momento successivo del procedimento o, comunque, anche dopo la conclusione di esso, nei modi e salve le preclusioni che fossero stabilite dalla legge processuale in termini costituzionalmente corretti. Per fare gli esempi più elementari, non potrebbe certo negarsi all'imputato che abbia rifiutato di difendersi, personalmente e a mezzo del suo difensore, il diritto di impugnare la sentenza di condanna emessa nel giudizio di primo grado, ovvero di ricorrere per cassazione contro una sentenza ritenuta da lui ingiusta emessa a definizione del giudizio di appello. Ad uguale conclusione si dovrebbe pac~ficamente pervenire in punto di ammissibilità della domanda di revisione di una sentenza di condanna divenuta irrevocabile avanzata dal condannato che avesse rifiutato di difendersi e di essere difeso in quel giudi:z:io. Si deve dunque concludere che il diritto di difesa nel giudizio penale -per restare al thema decidendum -è non soltanto inviolabile, ma è altresì irrinunciabile, con la conseguenza che il rifiuto di compiere o di consentire al compimento di determinate attività difensive non può costituire di per sé preclusione assoluta allo svolgimento di altre ulteriori. Se così è, la obbligatoria presenza al dibattimento del difensore, perché presti la propria assistenza all'imputato, prevista a pena di nùllità dall'art. 125 c.p.p., non contrasta certamente con l'art. 24, secondo comma, Cost. Dal disposto della legge processuate penale, qui considerato, non discende infatti quell'obbligatorio esperimento di concrete attività difensive cui i giudici a quibus fanno generico riferimento per dedurne la esistenza di una contraddizione in termini rispetto al rifiuto di difendersi manifestato dall'imputato. Infatti, come già si è osservato, la difesa dell'imputato nel giudizio può essere esercitata attraverso l'attività dell'imputato stesso e/o del suo difensore. II codice di rito non disciplina rigidamente il rapporto tra questi due soggetti, e l'ampiezza del disposto dell'art. 443 c.p.p. non consente di individuare Hmitazione alcuna in ordine agli argomenti sui quali l'imputato ha facoltà di fare dichiarazioni, dopo aver conferito, se Io ritiene, con il proprio difensore. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l Del pari, il diritto dell'imputato e del suo difensore, ad avere per ultimi la parola, sottolinea ulteriormente la concorrenza dei loro apporti difensivJ nella fase del giudizio. Vero è che la prassi giudiziaria questi ruoli ha indubbiamente distinto, nel senso di affidare il peso prevalente della difesa al difensore tecnico, ma questa s!ituazJone di fatto non vale a modificare un impianto norìnativo improntato al massimo di elasticità che consente radicali spostamenti nell'equilibrio delle attività difensive consentite all'imputato e al suo difensore. Tanto basta ai fini della presente decisione, una volta accertato che il difensore deve presenziare il dibattimento per ivi << assistere » l'imputato e cioè per garantire la possibilità di un contraddittorio effettivo (e perciò equiLibrato) alla cui realizzazione, per il più sicuro adempimento delle funzioni giurisdizionali, è preordinata tutta una serie di disposizioni processuali (artt. 76, 441, 428, 438, 441, 442, 443, 447, 468 c.p.p.). La nomina del difensore di ufficio, disciplinata dall'articolo 128 c.p.p., conferisce concretezza all'obbligo della assistenza difensiva di cui all'articolo 125 c.p.p. e consente inoltre, o dovrebbe normalmente consentire, nei casi di assenza dell'imputato, uno ·svolgimento non monolog!ico del giudizio stesso. Nelle fattispecie, quali quelle prospettate dai giudici a quibus, di assenza volontaria dal dibattimento dell'imputato, motivata dal suo rifiuto di difendersi e di essere difeso, la presenza obbl!igatoria del difensore di ufficio, nei limiti desumibili dai soli artt. 125 e 128 c.p.p., assicura la regolarità del dibattimento stesso e la possibilità del concreto ed efficace esperimento attivo dell'irrinunciabile diritto di difesa, contemperando così l'esercizio di tale diritto e quello della funzione giurisdizionale, in modo da evitare che le facoltà connesse al primo possano essere usate in modo perverso per intralciare e paralizzare il secondo. Ai fini della dedsione è, dunque, sufiiidente ribadire che le norme denunziate, nelle quali non· si esprime una scelta legisLativa costituzionalmente obbligatoria, sono meramente strumentali a modi di esercizio del diritto di difesa, nel giudizio penale, immuni da censure sul piano costituzionale. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 21 novembre 1979, n. 132 -Pres. Amadei - Rel. De Stefano -S.p.A. FATA (avv. Pasanisi) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Responsabilità civile -Circolazione dei veicoli -Assicurazione obbligatoria -Esclusione per le macchine agricole · Legittimità costituzionale. (Cost., artt. 3 e 24; legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 5). L'art. 5 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nella parte in èui esclude le macchine agricole dall'obbligo dell'assicurazione della responsabilità RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 622 civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore non contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. (1). (Omissis). -Si afferma, nell'ordinanza emessa dal pretore di Francavilla Fontana, che la denunciata norma violerebbe il principio di eguaglianza per ingiustificata disparità di trattamento, non vedendosi motivo perché l'assicurazione, obbligatoria per tutti i veicoli che circolano su pubbliche strade, non lo debba essere anche per le macchine agricole che pure circolano sulle stesse. Ed una evidente dispai1ità di trattamento di \ situazioni sostanzialmente identiche prospetta, del pari, l'ordinanza del tribunale di Paola, ritenendo priva di giustificato e razionale motivo la esclusione delle macchine agricole dall'obbligo di assicurazione. Invero, secondo il giudice a qua, se l'obbligo assicurativo discende dalla <~ potenzialità al danneggiamento» insita nei veicoli a motore circolanti su aree pubbliche, le macchine agricole, per la loro potenza, mole, peso, difficoltà di manovra e di controllo, intrinseca capacità di velocità, si appalesano, allorché circolino su pubbliche vie, tra veicoli di potenziale maggior pericolo. Ritiene la Corte che le cennate considerazioni non valgano, a suffragare l'aiSserita lesione del principio di eguaglianza. Dai lavori parlamentari relativi alla legge n. 990 del 1969 chiaramente emerge che la esclusione delle macchine agricole dall'obbligo assicurativo non fu immotivata, ma fu, al contrario, oggetto di attenta valutazione, venendone in quella sede discussi i pro ed i contra. -(Omissis). Il diffuso richiamo ai lavori parlamentari comprova dunque che alla esclusione delle macchine agricole dall'obbligo assicurativo si pervenne non arbitrariamente né apoditticamente, ma sulla base delle ricordate valutazioni di una pluralità di profili che concorrevano a configurare la loro diversa, peculiare posizione rispetto agli altri veicoli, assoggettati invece all'obbligo. Valutazioni che, non apparendo alla Corte palesemente irrazionali, precludono l'indagine sul loro merito, rientrando certamente nella sfera della responsabile discrezionalità del legislatore. Né può ritenersi in contrasto con siffatte valutazioni il proponimento dallo stesso legislatore espresso, contemporaneamente all'approvazione della denunciata norma eccettuativa, di pervenire in prosieguo di tempo, sulla base di studi ed accertamenti ai quali impegnavasi il Governo, aUa estensione con apposita legge dell'assicurazione obbligatoria alle macchine agricole: dovendosi in ciò ravvisare una conferma di quel criterio di gradualità nella introduzione del nuovo regime di assicura (l) Merita segnalazione la rilevanza data ai lavori parlamentari per escludere la «irrazionalità» di un diverso trattamento. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 623 zione, cui hanno già fatto riferimento le sentenze di questa Corte n. 55 del 1975 e n. 264 del 1976 a proposito dell'odginaria esclusione dei terzi trasportati dall'obbligo di assicurazione, ad es,si suocessivamente esteso con d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito in legge 26 febbraio 1977, n. 39. Non sussiste dunque, alla stregua deHe considerazioni che precedono, queHa identità di situazioni diversamente disciplinate, nella quale si concreterebbe, secondo i·giudici a quibus, la denunciata violazione dell'art. 3 della Costituzione. -(Omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, 27 settembre 1979, nella causa 230/78-Pres. Kutscher-Avv. Gen. Wamer-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel ricorso Eridania S.p.A. ed altro (avv. A. Sorrentino, M. De André, F. So·nrentim.o) c. Ministeri agricoltura e industria e contrro Zuccherifici meridionali S.p.A. (avv. G. Guarino) - Interv.: Governo italiano (ag. Maresca, avv. Stato Braguglia), Consiglio Comunità europee (ag. V.ignes) e Commissione 'Comunità europee (ag. Maestripieri). Comunità europee -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati Zucchero • Quote di ,produzione -. Italia -Potere di modifica -Validità. (regolamento del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3331, art. 2, n. 2). Comunità europee -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati Zucchero -Quote di produzione -Italia -Potere di modifica -Progetti di ristrutturazione del settore. (regolamento del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3331, art. 2, n. 2; d.m. 7 dicembre 1977, in G. U. n. 341 del 15 dicembre 1977). Comunità europee -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati . Zucchero · Quote di produzione -Italia -Potere di modifica -Limiti. (regolamento del Consiglio 19 dicembri! 1974, n. 3331, art. 2, n. 2; d.m. 7 dicembre 1977, in G. U. n. 341 del 15 dicembre 1977). Comunità europee • Regolamenti · Applicabilità diretta · Disposizioni nazionali di attuazione. (trattato· C.E.E., art. 189). L'esame delle questioni sottoposte a questa Corte non ha messo hz luce alcun elemento atto ad inficiare la· validità del regolamento 11. 3331/74, e più particolarmente dell'art. 2, 11. 2, dello stesso (1). (l) Sulla natura regolamentare dell'art. 2, n. 2 (concernente l'Italia) e n. 3 (aggiunto dal regolamento del Consiglio 13 febbraio 1978, n. 298, concernente i dipartimenti francesi d'oltre mare) del regolamento n. 3331/74, cfr. sentenza PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 625 La nozione di progetto di ristrutturazione ai sensi dell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74 si definisce in base sia ai suoi scopi, che consistono nell'eliminare lo squilibrio fra varie regioni agricole e nell'adeguare il settore dello zucchero e della barbabietola in Italia alle esigenze dell'organizzazione comune dei mercati, sia ai suoi effetti, consistenti nel consentire alle autorità competenti di procedere alla ridistribuzione delle quote di base tra più imprese. Il potere di modificare le quote di base, contemplato nell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74, trova i suoi limiti" non solo nelle esigenze dei progetti di ristrutturazione, ma anche nelle finalità dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero, e specialmente nello scopo di tutelare gli interessi dei produttori di barbabietole e di canna da zucchero, nonché nei principi generali del diritto comunitario (2). Non vi è incompatibilità tra l'applicabilltà diretta di un regolamento comunitario e l'esercizio del potere, attribuito ad uno Stato membro, di adottare provvedimenti d'attuazione in base a tale regolamento. (Omissis). -l. -Con ordinanza 3 luglio 1978, pervenuta in cancelleria il 16 ottobre 1978, il Tribunàle amministrativo regionale del Lazio ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, talune questioni conceJ:lnenti la validità e l'interpretazione del regolamento del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3331, relativo all'assegnazione e alla modifica delle quote di base nel settore dello zucchero (G.U. n. L. 359, pag. 18). 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di un ricorso proposto dalla società Eridania Zuccherifici Nazionali per rannulla18 gennaio 1979 in cause riunite 103 e 109/78, S.TÉ USINES DE BEAUPORT ED ALTRI c. CONSIGLIO, Racc. 1979, 17. La validità del citato art. 2, n. 2, è stata esaminata -da parte della Corte -anche in riferimento alla pretesa violazione del diritto fondamentale alla libera iniiiativa economica. La Corte ha esattamente escluso .che sia ipotizzabile un diritto fondamentale delle imprese di produrre la quantità di zucchero corrispondente alla quota originariamente assegnata. Ed invero tale preteso diritto fondamentale, da un lato certamente non rientra tra quelli riconosciuti .e ·garantiti dalle Costituzioni dei singoli Stati membri; dall'altro esso si risolve in una protezione, in un vantaggio che nulla ha a che vedere con il diritto alla libera iniziativa economica. Sulla tutela dei diritti fondamentali da parte della Corte di giustizia e sui limiti di tale tutela, cfr., tra le altre, sentenza 14 maggio 1974 in causa 4/73, Now, Racc., 1974, 491. (2) Su altri aspetti del sistema delle quote nell'organizzazione .comune dei mercati deUo zucchero, cfr. sentem:.a 16 gennaio 1979 hi causa 151/78, SuKKERFABRIKEN NYKOBING, Racc., 1979, l. I. M. B. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 626 mento di un decreto emanato dal Ministro italiano dell'agricoltura e delle foreste di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e relativo alla modifica delle quote di base nel settore dello zucchero a norma dell'art. 2, n. 2, del menzionato regolamento n. 3331/74. 3. -Secondo l'Eridania, H suddetto decreto è illegittimo per vari motivi fra cui quello dell'illegittimità dell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74, che costituisce la base giuridica del decreto, e quello dell'erronea applicazione della stessa disposizione da parte dei Ministri italiani. 4. -H Tribunale amministrativo, ai fini della soluzione dei problemi di diritto comunitario dinanzi ad esso sollevati, ha sottoposto a questa Corte sette questioni. Quattro di esse concemono la va'lidità del regolamento n. 3331/74, e in particolare dell'art. 2, n. 2, di questo, mentre le altre riguardano l'interpretazione di tale disposizione. Quanto alla validità. Sulla prima questione (.consultazione del Parlamento Europeo). 5. -Con la prima questione, il Tribunale proponente chiede se nel procedimneto seguito per l'adozione dell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74 sia stata Hlegittimamente omessa la previa consultazione dell'Assemblea, prescritta daU'art. 43, n. 2, del Trattato. 6. -L'attribuzione alle imprese delle quote di base per le stagioni saccarifere 1975/1976-1979/1980 è disciplinata dall'art. 24 del regolamento del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero (G.U. n. L. 359, pag. 1). A norma di tale articolo, gli Stati membri procedono a . detta attribuzione nell'ambito di una << quantità di base », fissata per ciascuno Stato, e secondo determ1nati criteri, fondati in particolare sulla «produzione di riferimento >> delle imprese, cioè suHa produzione annua media durante le stagioni saccarifere 1968/1969-1972/1973, 'cui viene arpplicato un determinato coefficiente. Sono tuttavia contemplate talune ipotesi nelle quali vanno applicati altri criteri. L'art. 24 dispone inoltre, al n. 3, che « il Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, stabilisce le norme generali per l'applicazione del presente articolo e le eventuali deroghe alle sue disposizioni». Va rilevato che l'Assemblea si è pronunziata suHa proposta relativa a tali disposizioni nel corso del procedimento di elaborazione del :regolamento di base n. 3330/74. 7. -Il regolamento n. 3331/74 è stato emanato in forza dell'art. 24, n. 3, del regolamento di base e secondo il rprocedimento ivi contem PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 627 plato; tale procedimento è diverso da quello prescritto dall'art. 43 del Trattato. Tuttavia, come questa Corte ha già affermato nella .sentenza 1.7 dicembre 1970 (causa 25/70, KosTER, Racc., pag. 1161), non si può pretendere che tutti i particolari dei regolamenti relativi alla politica agricola comune vengano fissati dal Consiglio mediante il procedimento di cui all'art. 43. Questo articolo si deve. ritenere osservato quando [ punti essenziali dell'emananda disciplina siano stati stabiliti in modo çonforme al procedimento da esso ·COntemplato. Le disposizioni d'attuazione dei •regolamenti di base possono invece essere adottate dal Consiglio secondo un procedimento diverso da quello di cui all'art. 43. 8. -Di conseguenza, il Consiglio poteva validamente adottare un regolamento di attuazione mediante il procedimento contemplato dall'art. 24, n. 3, del regolamento n. 3330/74, che costituisce il regolamento di base nel settore dello zucchero. Tale conclusione non è infirmata dal sempl1ce fatto che .l'art. 24, n. 3, autorizza il Consiglio non solo ad adottare provvedimenti di attuazione, ma anche a stabilire «deroghe>> alle disposizioni del regolamento di base. Si deve infatti ·ritenere che tale termine, nel contesto in cui figura, si riferisce necessariamente a deroghe che si inseriscono nel sistema generale dell'attribuzione delle quote contemplato dal regolamento di base e non incidono sugli elementi essenziali di tale disciplina. 9. -La prima questione del giudice nazionale consiste pertanto nello stabilire se nella fattispecie le disposizioni del regolamento n. 3331, e in particolare l'art. 2, n. 2, adottate .in base al predetto art. 24, n. 3, non esulino da1l'ambito dell'attuazione dei principi stabiliti dal regolamento di base. 10. -I dubbi espressi m proposito dal Tribunale Amministrativo sono originati in particolare dalle deroghe stabilite all'art. 2 del regolamento, n. 3331/74. A norma del n. l di tale articolo, gli Stati membri possono ridurre, nella misura massima del 5 %, le quote di base fissate conformemente all'art. 24 del regolamento n. 3330/74. In base al n. 2, la Repubblica itaHana può «modificare» le ,stes•se quote «tenendo conto di progetti di ristrutturazione del settore bieticolo e del settore saccarifero, nella misura necessaria a consentire la loro realizzazione». 11. -Sebbene il potere della Repubblica italiana di modificare dette quote in forza dell'art. 2, n. 2, non sia assoggettato a limiti quantitativi precisi; il suo esercizio è però subordinato all'esistenza di progetti di ristrutturazione -i quali, come precisa l'ultima frase della disposizione, devono essere sottoposti al parere della Commissione entro il lo luglio 1978 -e non può andare aldilà di quanto è necessario alla realizza 628 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione di tali progetti. L'ese!'cizio di tale potere è pertanto soggetto a limiti ben determinati. 12. -A questo proposito, è opportuno osservare che il conferimento del potere di cui trattasi trae origine da ùn'esigenza menzionata già nel regolamento di base. Questo autorizza la Repubblica italiana a concedere, in via temporanea, aiuti di adattamento ai produttori di barbabietole e di zucchero, e dichiara, nel preambolo, che tale regime eccezionale viene ammesso in considerazione deila situazione particolare esistente in Italia, dove la produzione dei suddetti prodotti si trova svantaggiata per ragioni climatiche e, più particolarmente per quanto concerne la bieticultura, per .le difficoltà inerenti all'applicazione dei moderni metodi di produzione. 13. -Il potere conferito dall'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74 si colloca quindi nell'ambito di un obiettivo contemplato dal regolamento di base: esso trova i propri limiti ne1le esigenze che tale obiettivo comporta, quali saranno prospettate dalla Repubblica italiana nei progetti di ristrutturazione sottoposti alla Commissione. Così stando Ie cose, il potere di cui trattasi non esorbita. dall'ambito dell'attuazione dei principi stabiliti dal regolamento di base. Sulla seconda questione (mancanza di motivazione). 14. -Con la seconda questione, H Tribunale amministrativo chiede a questa Corte se il Consiglio, nell'emanare il regolamento n. 3331/74, abbia -osservato l'obbligo della motivazione sancito dall'art. 190 del Trattato e, in particolare, se la motivazione di tale atto sia sufficiente. 15. -Nei preambolo del regolamento n. 3331/74 il Consiglio si è Jimitato a menzionare la facoltà, concessa alla Rep~bblica italiana, di modificare le quote di base nell'ambito di progetti di ristrutturazione, «tenuto conto della sua situazione particolare in tale settore ». In cosa consista la peculiarità di tale situazione non è precisato nella motivazione dello stesso regolamento, ma in quella sopra citata -del regolamento di base. 16. -Considerato lo stretto legame esistente fra il regolamento di base ed. il regolamento emanato per la 'sua attuazione, siffatto modo di motivare le particolari modalità valide per l'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero in Italia dev'essere ammesso. Tale motivazione indica in maniera sufficientemente precisa alle autorità competenti ed alle imprese interessate ,le ragioni che hanno indotto il Consiglio a stabilire dette modalità e gli scopi da perseguire con i progetti di ristrutturazione. Sulla terza questione (discriminazione). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 629 17. -La terza questione trae origine dalla constatazione che solo i produttori italiani sono esposti -oltre che alla riduzione del 5 % delle quote di base, contemplata nei riguardi delle imprese di tutti gli Stati membri -al rischio di un'ulteriore limitazione della loro attività in conseguenza dell'applicazione dell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74. I.1 Tribunale amministrativo chiede se il fatto di esporre la sola industria italiana al rischio di tale limitazione non violi il divieto di discriminazione tra produttori della Comunità, sancito dall'art. 40, n. 3, del Trattato. 18. -Una discriminazione ai sensi dell'art. 40 del Trattato non può verificarsi quando Ia disparità di trattamento delle .imprese corrisponda alla diversità delle situazioni in cui queste si trovano. Ora, è assodato che in Italia la situazione dei settori bieticolo e saccarifero è notevolmente diversa da quella esistente negli .altri Stati membri. La particolare situazione esistente in Italia, di cui si fa menzione nel-preambolo dei regolamenti nn. 3330/74 e 3331/74, ha dato luogo a provvedimenti speciali miranti a migliorare la struttura dell'economia dei •settori bieticolo e saccarifero, nel loro .insieme, in Italia. Rispetto alle imprese degli altri Stati membri, quelle italiane fruiscono, sotto certi aspetti, di un regime favorevole, ad esempio per quanto concerne il regime degli aiuti; sotto altri aspetti, talune di esse subiscono gli svantaggi della peculiare situazione esistente in Italia, come accade per quanto riguarda la riduzione delle quote di base di alcune imprese, cui fa riscontro l'aumento di tali quote per altre imprese in base ai progetti di ristrutturazione. 19. -Siffatte disparità di trattamento sono pertanto giustificate dalle differenze obiettive derivanti dalle diverse situazioni economiche e non possono essere considerate discriminazioni. Sulla quarta questione (diritti fondamentali). 20. -La quarta questione è fondata sul presupposto che lo svolgimento dell'attività economica debba essere garantito perché rientra nel novero dei diritti fondamentali alla cui tutela si ispira anche il diritto comunitario. Questa garanzia si estenderebbe anche al diritto delle imprese di produrre i quatitativi di zucchero corrispondenti alle loro quote di base, poiché esso sarebbe inerente all'esercizio dell'attività economica. In base a tali considerazioni, il Tribunale Amministrativo solleva ii problema del se il potere di modificare le quote di base così contemplato dall'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74 comprometta l'esplicazione dell'attività economica delle imprese interessate e quindi leda un loro diritto fondamentale. 630 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 21. -Per risolvere tale questione occorre tener conto della natura delle quote di base istituite dalla normativa -comunitaria. Le quote designano i quantitativi di zucchero per i quali le imprese fruiscono delle garanzie di prezzo e di smercio attribuite ai produttori nell'ambito dell'organizzazione comune di mercato. Esse non Hmitano l'attività economica delle imprese !interessate, ma fissano i quantitativi di produzione il -cui smercio fruisce del regime particolare che l'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zuochero ha creato per proteggere e favorire la produzione di zucchero nella Comunità. Tale organizzazione comune è sostanzialmente variabile in funzione dei fattori economici che influis-cono sull'andamento dei mercati, nonché dell'orientamento generale della politica agricola comune. 22. -Ne deriva -che un'impresa non può pretendere di avere un diritto quesito alla conservazione di una vantaggio ad essa risultante dall'istituzione dell'organizzazione -comune dei mercati e del quale ha fruito in un determinato momento. Pertanto, la riduzione di un vantaggio siffatto non può essere -considerata lesione di un diritto fondamentale. 23. -Per quanto concerne Ie prime quattro questioni, si deve quindi condudere che .il loro esame non ha messo in luce alcun elemento atto ad inficiare la validità del regolamento n. 3331/74, e più particolarmente dell'art. 2, n. 2, dello stesso. Quanto all'interpretazione. Sulla quinta questione (progetti di ristrutturazione). 24. -Con la .quinta questione, H Tribunale amministrativo chiede se il regolamento n. 3331/74, o in generale il diritto comunitario, contengano criteri particolari in base ai quali debba valutarsi la nozione di « progetti di ristrutturazione ». 25. -Va innanzitutto osservato che i progetti di ristrutturazione fanno parte dell'organizzazione comune del mercato dello zucchero e si inquadrano quindi nel complesso della politica agricola -comune, i cui scopi sono enundati all'art. 39, n. l, del Trattato. Il n. 2· dello stesso articolo pre-cisa che, nell'.elaborazione della politica agricola comune e dei provvedimenti speciali ch'essa implica, si dovrà tener conto della natura particolare dell'attività agricola, che deriva dalla struttura sociale dell'agricoltura e dalle di:sparità strutturali e naturali fra le diverse regioni agricole, nonché della necessità di operare gradualmente gli opportuni adattamenti. DaHa prassi seguita dalle istituzioni comunitarie, per quanto concerne, ad esempio, l'applicazione degli artt. 92 e 93 del Trattato, risulta che i progetti di ristrutturazione costituiscono un metodo abituale ed adeguato per la realizzazione di siffatti adattamenti graduali. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 631 Data la notoria esistenza di notevoli disparità fra le varie regioni agricole in Italia, è alla luce di tali considerazioni che ·va esaminata la nozione di «progetti di ristrutturazione » figurante nel regolamento n. 3331/74. 26. -Inoltre, dal complesso delle disposizioni dei regolamenti numeri 3330174 e 3331/74 concernenti il sistema delle quote risulta :innanzitutto, che i progetti di ristrutturazione hanno lo scopo di adeguare il settore dello zucchero e della barbabietola in Italia alle esigenze dell'organizzazione comune dei mercati ,in modo da non rendere più necessari, in futùro, provvedimenti speciali per tale settore in Italia. Dalle stesse disposizioni risulta poi che i progetti di ristrutturazione devono essere tali da consentire alle competenti autorità italiane, nonché alla Commissione, di giudiCare quali modifiche delle quote di base degli zuccherifici siano necessarie in vista di detto scopo. 27. -L'insieme di tali dati consente di constatare che la nozione di « progetti di ristrutturazione » si può applicare sia ad un piano d'adeguamento ·globale concernente il settore saccarifero nel suo complesso sia ad ùn piano d'adattamento a livello puramente regionale, anche se questo, in vista del graduale adattarnento della produzione bieticola in una determinata regione, interessi .inizialmente una sola impresa saccarifera. 28. -La quinta questione va pertanto risolta nel senso che la nozione di progetto di ristrutturazione ai sensi dell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74 si definisce in base sia ai .suoi scopi, che consistono nell'eliminare Io squilibrio fra var.ie regioni agricole e nell'adeguare il settore deHo zuccherò e della bàrbabietola in Italia alle esigenze dell'organizzazione comune dei mercati, sia ai suoi effetti, àmsfstenti nel consentire alle autorità competenti di procedere alla ridistribuzione dei.le quote di base tra più imprese. Sulla sesta questione (potere discrezionale). 29.-Con la sesta questione, ii Tribunale amministrativo chiede se i limiti del potere di modificare le quote di base delle imprese siano soltanto quelli scatq.renti dalla necessità di attuare i progetti di ristrutturazione oppure •se ne esistano altri. 30. · In proposito, occorre innan:z;itutto considerare che il regime delle quote costituisce parte integrante dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero la quale, ·Com'è dichiarato nel rego-. lamento di base, mira ad assicurare ai produttori comunitari di barbabietole e di canna da zucchero il mantenimento delle garanzie necessarie per quanto concerne l'occupazione e il tenore di vita. Varie disposizioni del regolamento n. 3331/74, come l'art. 3 e l'art. 4, n. 2, sono del 632 RA&SEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pari ispirate alla volontà di tutelare gli interessi dei suddetti produttori. Nel preambolo di questo regolamento si 'sottolinea la necessità d'impedire che le modifiche delle quote di base siano fatte a detrimento di tali interessi. 31. -Il rispetto dei principi generali del diritto comunitario, che si impone a qualsiasi autorità che debba applicare regolamenti comunitari, implica che le autorità competenti a modifkare 'le quote di base sono obbligate a conciliare la tutela degli interessi dei produttori di barbabietole e di canna da zuchero ,con aUr.i interessi legittimi che potrebbero venir lesi. Infatti, Iart. 39 del T~rattato, 'che fissa gli scopi della politica agricola comune, esprime la volontà non solo di garantire un equo tenore di vita agli agricoltori, ma anche di incrementare la produttività dell'agricoltura, di stabilizzare i mercati, di garanti;re la sicurezza dègli approvvigionamenti e .di assicurare prezzi ragionevoli al consumo. 32. -La sesta questione si deve pertanto risolvere nel senso che il potere di modificare le quote di base, ccmtemplato dall'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3331/74, trova i suoi limiti non solo nelle esigenze. dei progetti di ~ris1Jrutturazione, ma anche nelle finalità dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero, e specialmente nello scopo di tutelare gli interessi dei produttori di barbabietole e di canna da zucchero, nonché dei principi generali del diritto comunitario. Sull'a settima questione (applicabilità diretta). 33. -'Con la settima questione, i1l giudice nazionale solleva il problema del se la ~diretta applicabilità del regolamento n. 3331/74 nell'ordinamento giuddico italiano, in forza dell'art. 189 del Trattato, sia compatibHe wn disposizioni emanate dalle autorità italiane per disdplinare l'attuazione del regolamento stesso. 34. -L'applicabilità diretta di un regolamento non osta a che lo stesso regolamento conferisce ad una istituzione comunitaria o ad uno Stato membro il potere di emanare provvedimenti di attuazione. Nel secondo . caso le modalità dell'esercizio di tale potere sono disciplinate dal diritto pubblico dello Stato membro interessato. Tuttavia, l'applicabilità diretta dell'atto che autorizza Io Stato membro ad adottare i provvedimenti nazionali di cui trattasi avrà l'effetto di consentire al giudice nazionale di controllare la conformità di tali provvedimenti al contenuto del regolamento comunitario~ 35. -La sett<ima questione va pertanto risoltl:l nel senso che non vi è incompatibilità tra l'applicabilità diretta di un regolamento comunitario e l'esercizio del potere, attribuito ad uno Stato membro, di adottare provvedimenti d'attuazione in base a tale regolamento. -(Omissis). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 633 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, 25 ottobre 1979, nella causa 159/78 -Pres. Kutscher-Avv. Gen. Warner-Commissione delle comunità europee (ag. Prozzillo) c. Repubblica italiana (ag. Maresca, avv. Stato Marzano). Comunità europee -Libera circolazione delle merci -Sistema normativo italiano della dichiarazione in dogana -Spedizionieri doganali -Mi sura di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione o all'esportazione -Insussistenza. (trattato C.E.E., artt. 30, 34; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 40, 43, 44, 47, 56, 57). Comunità europee -Libertà di stabilimento · Spedizionieri doganali Cittadinanza -Condizione di reciprocità · Contrasto. (trattato C.E.E., art. 52; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 48; legge 22 dicembre 1960, n. 1612). Il sistema normativa italiano della dichiarazione in dogana -consentendo al proprietario della merce, che non effettui personalmente la dichiarazione, di ricorrere ad uno spedizioniere professionista o ad uno spedizioniere dipendente, ma anche di conferire a qualsiasi persona, e quindi, fra l'altro, al trasportatore e al depositario della merce, l'incarico di provvedere a tale dichiarazione, purché detta persona presenti la merce in dogana o la detenga al momento. della sua entrata o della sua uscita dal territorio doganale e risponda in proprio della dichiarazione doganale -offre al proprietario stesso una scelta effettiva e ragionevole che gli permette di evitare, se lo ritenga conveniente, la necessità di ricorrere ad uno spedizioniere professionista: la normativa, pertanto, non costituisce un ostacolo pèr gli scambi intracomunitari, quale misura dì effetto equivalente ad una restrizione quantitatiya alle importazioni o alle esportç.zioni, in contrasto con gli artt. 30 e 34 del trattato C.E.E. (1). !,/art. 48, lett. a, del testo unico doganale italiano -secondo cui il rilascio della patente di spedizioniere doganale è subordinato, fra l'altro, alla condizione che il richiedente sia cittadino italiano o cittadino di uno Stato estero che riservi un identico trattamento ai cittadini italiani -è incompatibile con l'art. 52 del trattato C.E.E. -relativo alla libertà di stabilimento -, nella parte in cui non stabilisce alcuna deroga, per quanto riguarda la condizione di reciprocità, a favore dei cittadini degli altri Stati membri (2). (1-2) In tema di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione o all'esportazione, cfr. la giurisprudenza della Corte richiamata ed esaminata in FIUMARA, Corte di Giustizia delle Comunità europee e libera circolazione delle merci, iin questa Rassegna, 1978, II, 6, nonché le più recenti sentenze della Corte 30 novembre 1977, nella causa 52/77, IR.IVOIRA, Racc., 2261; 16 novembre 1977, nella causa 13/77, SOC.G.B. lN,No-B.M., Racc., 2115; 634 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -l. -Con .ricorso 17 -luglio 1978 la Commissione ha adito questa Corte, in forza dell'art. 169 del Trattato C.E.E., per far dichiarare che la Repubblica italiana, «-non consentendo che il proprietario della merce possa essere rappresentato in dogana da quaJl.siasi persona a cui egli abbia dato procura affinché agisca in suo nome e per •suo conto, ma solo da uno spedizioniere :doganale; -regolamentando i requisiti per ottenere· il rilascio della patente di spediZJioniere doganale ·in modo discriminatorio sulla base della nazionalità », è venuta meno agli obblighi incombentile in .forza degli artt. 30, 34 e 52 del Trattato C.E.E. 2. -Sia dalla lettera inviata H 16 dicembre 1976 dalla Commissione al Governo italiano, sia dal parere motivato emesso il 25 gennaiÌo 1978, risulta che le censure formulate dalla Commissione riguardano gli articoli 40, 43, 44, 47 e 48, lett. a, del testo unico delle disposizioni leg·~slative in materia doganale (in prosieguo «'testo unico>>), approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (supplémento ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 80 del 28 marzo 1973). Secondo la Commissione, gli artt. 40, 43, 44 e 47 dei testo unico, riguardanti la rappresentanza ai fini della dichiarazione in dogana, impedirebbero al proprietario delle merci importate o esportate di scegliere 24 gennaio 1978, nella causa 82/77, VAN TIGGELE, Racc., 25; U ottobre 1978, nella causa 13/78, EGGERS, Racc., 1935; 29 novembre 1978, nella causa 87/78, REDMOND, Racc., 2347; 20 febbraio 1979, neHa causa 120/78, REWE-ZENTRAL, Racc., 649; 13 marzo ·1979, nella causa 119/78, DISTILLERIES PEUREux,· 16 maggio 1979, nelJa causa 2/78, COMMISSIONE c. BELGIO; 26 giugno 1979, nella causa 177/78, Mc CARREN; 12 luglio 1979, nella causa 153/78, COMMISSIONE c. GERMANIA; 18 ottobre 1979, nella causa 5/79, DENKAVIT. Nel caso esaminato nella sentenza annotata la Corte ha risolto il problema centrale della controversia (prima massima) nel senso proposto dal Governo italiano (le cui difese scritte, per l'interesse delle questioni trattate, si riport! ino appresso, limitatamente ai punti ·essenziali). La Corte ha accolto, invece, il ricorso della Commissione sulla questione di cui alla seconda massima, ma si trattava di un problema di r~lievo del tutto marginale: in effetti il Governo italiano aveva già avvertito, neLle difese scritte, che la condiziçme di reciprocità prevista dall'art. 48, 1ett. a), del t.u. doganale ·andava riferita solo ai cittadini dei Paesi ter:t.i e ~on certo a quelli degli altri Stati membri, e che si era in attesa di una chiarificazione legislativa interna, peraltro neanche indispensabiJe, perché si doveva già ritenere prevalente, sulla norma generale interna, la norma speciale comunitaria (direttamente aJIÌ!P•licabi1e) sulla libertà di stabilimento, « a meno di non voler ipotizzare un corrispondente obbligo di tutti gli Stati membri di rivedere e rettificare, nonostante appunto ·la diretta ·efficacia ed applicabilità della normativa· comunitaria sulla libera prestazione dei servizi, tutte le numerosissime disposizioni nazionali nelle quali si èontémpli 11 requisito della cittadinanza, quando invece è pacifico che l'assimi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 635 liberamente un rappresentante che effettui le operazioni doganali in suo nome e per suo conto e l'obbligherebbero a chiedere l'intervento di uno spedi:zJioniere doganale, con conseguenti spese che renderebbero più costose le importazioni e le esportazioni, di guisa cl}.e tali norme costi tuirebbero direttamente o indirettamente, di fatto o in potenza, un os.ta colo per gH scambi intracomunitari e, pertanto, una misura d'effetto equivalente ad una .restrizione quantitativa, in contrasto con gli artt. 30 e 34 del Trattato C.E.E. Quanto all'art. 48, lett. a, del testo unico, secondo cui il rilascio delia patente di spedizioniere doganale è subordinato, fra l'altro, alla condizion~ che il richiedente sia cittadino italiano o .cittadino di uno Sta-· to estero che riservi un identico trattamento ai cittadini italiani, la Commissione sostiene che tale norma, in quanto si applichi a cittadini d~gli altri Stati membri, è incompatibile con l'art. 52 del Trattato, ·re lativo alla libertà di stabilimento. 3: -Secondo il Governo della Repubblica itaHana, le suddette censure derivano da. una comprensione inesatta, da parte della Commissione, dei testi di cui trattasi, quali sono interpretati ed applicati dalle autorità italiane. La Commissione avrebbe omesso, in particolare, di valutare nel suo complesso il sistema italiano della dichiarazione in dogana e la sua critica non terrebbe conto di altre disposizioni, come fra l'altro gli artt. 56 e 57 del testo unico, che completano le disposizioni contestate e che con queste formano un tutto unico. Da un esame sistematico della normativa in questione risulta che le censure dirette ~ontro il sistema italiano della dichiarazione in dogana sono infondate. !azione dèi cittadini comunitari a quelli nazionali è già in argomento imposta· dal diritto comunitario». La Corte ha peraltro ritenuto di confermare la soluzione di principio già in analoga occasione adottata con la sentenza 4 àprile 1974, resa nella causa 167/73, COMMISSIONE c. REPUBBLICA FRANCESE (Racc., 359, e in questa Rassegna, 1974, I, 856). Tale solm.ione è ispirata, evidentemente, alla opportunità di evi, tare che la formula letterale di di·sposizioni di. diritto interno possa determi. nare dubbi sulla loro portata, ma :resta suscettibile dei rilievi di principio già segnalati a commento· deila precedente analoga decisione (in questa Rassegna, loc. cit., in .nota), e riproposti nell'ultima parte del controricorso di seguito trascritto. (O.F.) Spedizionieri doganali e diritto comunitario. (Omissis). -3. -Ad avviso della Commissione C.E.E. la normativa italiana obbligherebbe il proprietario delle merci a farsi rappresentare in dogana da uno spedizioniere doganale, ostacolerebbe gli scambio intracomunitari (per l'aggravio di spese conseguente all'intervento dello spedizioniere doganale), e 636 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A) Illustrazione del sistema italiano della dichiarazione in dogana. 4. -Tenuto conto dei suddetti argomenti, è opportuno procedere, prima di statuire sulle •censure formulate dalla Commissione, ad un'analisi della normativa vigente in Italia nel settore cons1derato. S. -Le d1sposizioni da prendere in esame fanno parte del Titolo II del' testo unico, titolo costituito da tre capi: il primo riguarda << l'obbligazione tributaria dogana1è »; il secondo, di cui fanno parte le disposizioni in questione, « la rappresentanza dei proprietari delle merci » ai fini dell'adempimento degli obblighi doganali, mentre H terzo è intitolato «procedura di accertamento» e compr.ende, fra l'altro, gli artt. 56 e 57. La disposizione di base è l'art. 56, primo comma, secOIIldo cui «ogni operazione doganale deve essere preceduta da una dichiarazione da farsi dal proprietario della me:rce, nelle forme indicate nell'art. 57 ». Le altre disposizioni contestate riguardano ,la questione del soggetto che può ef~ fettuare tale dichiarazione, quando ad essa non provveda personalmente il proprietario. In proposito, vanno prese ill1 considerazione due categorie di norme: da una parte, gli artt. 40, 43, 44 e 47 del testo unico e, dall'altra, l'art. 56, secondo comma, dello stesso. costituirebbe quindi una misura di .effetto equivalente ad una restdzione quantitativa, vietata dagli artt. 30 e 34 del Trattato C.E.E. Tale assunto viene dedotto ricordandosi alla Corte « che in sette Stati membri· non esistono restrizioni alla rappresentanza in dogana e che l'ottavo Stato si accinge a modificare in taJ senso la propria normativa ». 4. • Salvo quanto. di seguito osservato sulla inesattezza di tale assunto, va peraltro contestata, anzitutto, la possibilità stessa di discutere di misure di effetto equivaiente a .restrizioni quantitative relativamente aHe operazioni doganali ed alle forme ·e modaLità per taJi operazioni richieste. Già in via di principio, invero, la no:done stessa di restrizione quantitativa e di misura di effetto equivalente, rilevante quando' si tratti di verificare la ricorrenza di trattamenti discrimim.atori o differenziati tra merci nazionali e merci importate o esportate, deve ritenersi del tutto estranea al tema dei controlli e deLle operazioni doganali, che sono necessariamente riferiti alle sole merci importate o esportate, e che si dovrebbero altrimenti considerare essi stessi vietati dagli artt. 30 e 34 del trattato C.E.E. La validità di tale preliminare ed assorbente considerazione è del resto confermata dalla stessa direttiva della Commissione 22 dicembre 1969, n. 50/70, adottata a norma dell'art. 33, n. 7, del trattato C.E.E. (e diretta quindi proprio all'abolizione delle restrizioni quantitative), e nella quale risulta espressamente riconosciuto «che le formalità al cui espletamento è subordinata l'importazione, non comportano, di regola, effetti equivalenti a quelli delle restrizioni quan-. titative e che, pertanto, non formano oggetto della presente direttiva>> (terzo considerando; v. pure art. 2, lettera r, relativa ai controlli « diversi da quelli inerenti alle procedure di sdoganamento »), E-pure sintomatico, in argomento, che 1a Commissione C.E.E., affermando che la esigenza di regoLamentare la rappresentanza in dogana in modo da evitare restdzioni «che non siano strettamente necessarie al raggiungimento PA.RTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 637 A norma dell'art. 40, primo e secondo comma: << Ogniqualvolta le di· sposizioni in materia dogana-le prescrivono al proprietario della merce di fare una dichiarazione o di compiere determinati atti o di osservare speciali obblighi e norme ovvero gli consenton!J di esercitare determinati diritti, il proprietario stesso può agire a mezzo di un rappresentante. La rappresentanza per H compimento deHe operazioni doganali può essere conferita esclusivamente ad uno spedizioniere doganale isc·ritto nell'albo professionale istituito con la legge 22 dicembre 1960, n. 1612, salvo quanto previsto neH'art. 43 ». Secondo l'art. 43, primo comma: << 1a rappresentanza del proprietario della merce per il compimento delle operazioni doganali può essere conferita anche ad uno spedizioniere doganale non iscritto nehl;albo professionale, purché si tratti di un dipèndfmte del proprietario stesso ». Secondo l'art. 44, questi spedizionieri-dìpendenti, a differenza degli spedizionieri in!fipendenti di cui al secondo comma dell'art. 40, devono essere iscritti in un apposito elenco formato dal consiglio compartimentale degli spedizionieri doganali e possono operare in dogana soltanto sulla base e nei limiti della procura riJasciata .dal propriétario della merce e sotto la responsabilità di quest'ultimo. dell'obbiettivo ricercato», utilizzi in effetti uno del criteri considerati, all'art. 3 della citata direttiva, per attribuire la qualifica di misure restrittive a mi· sure « applicabili indistintamente ai prodotti nazionali ed ai prodotti importati », e cioè a misure che non potrebbero essere invece, come tali, di effetto equivalente a restrizioni quantitative: criterio la cui applicabilità risulta peraltro espressamente limitata alle « misure relative alla commercializzazione dei prodotti e riguardanti, in particolare, la forma, le dimensioni, il _peso, la composizione, la presentazione, il condizionamento» (e che non può quindi essere arbitrariamente riferito ad altre ipotesi). La difficoltà del tentativo di ricondm::re le norme sulla rappresentanza in dogana nell'ambito di applicazione degli artt. 30 e 34 del trattato CEE è denunciata, infine, dalla parte del ricorso in cui la Commissione C.E.E., contestando che Io spedizioniere doganale possa essere tenuto a risiedere .in un comune compreso nella circoscrizione per la quale risulta 'abilitato, assume che l'impo· sizione di tale rappresentante sarebbe stata espressamente qualificata come misura di effetto equivalente ad nna restrizione quantitativa dall'art. 2, n. 3, lettera g, della direttiva 22 dicembre 1969, n. 50/70: assunto originato invero da un equivoco, (quanto rilevante ai fini in esame è agevole intuire), considerato che l'indicata disposizione si riferisce invece, come risulta chiaramente evidenziato anche nei lavori preparatori, aJle misure con le quali si imponesse all'esportatore di avere 1:1n rappresentante sul territorio dello Stato membro importatore, e non certo alla ipotesi del rappresentante in dogana del soggetto importatore. In definitiva, il tema dei controlli e delle operazioni doganali deve ritenersi estraneo all'ambito di applicazione degli artt. 30 e 34 del Trattato C.E.E. (con i quali tali controlli .e tali operazioni doganali risulterebbero altrimenti in· necessado contrasto e quindi, come tali, di per sè vietati); e tale conclusione si impone anche per quanto concerne la rappresentanza in dogana, che attiene RA:SSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 638 A norma dell'art. 47, la qualifica di spedizioniere doganale è subordi . nata al rHascio di una patente da parte del Ministero delle Finanze. Gli spedizionieri sono abilitati al compimento di operazioni doganali esclusivamente presso gli uffici di una determinata d:rcoscri:zJione doganale indicata nella patente e devono, salvo eccezioni consentite per giustificati motivi, avere la propria residenza in un comune compreso nella drcoscrizione per la quale risultano abilitati. L'art. 56, secondo comma, dispone: « È considerato proprietario della merce 'colui che la presenta in dogana ovvero che la detiene al momento dell'entrata nel territorio doganale o delJI'uscita dal territorio stesso. Rimane sa:lvo, in ogni caso, il diritto della dogana di accertare, ad ogni effetto del presente testo unico, chi abbia la proprietà della merce oggetto delle operazioni doganali >>. L'art. 57 precisa poi le indicazioni che devono essere contenute nella dichiarazipne in doganà, e cioè, fra l'altro, « iJ nome, il cognome e il domicilio del dichiarante, nonché del proprietario delle merci che fosse da lui rappresentato >>. Infine, l'art. 48, lett. a, colpito dalla censura di violazione dell'art. 52 del Tratta:to, dispone che « Ia patente di spedizioniere doganale è rilascia- appunto. alle forme ed alle modalità con le quali a tali opreazioni deve essere provveduto. 5. • Deve essere contestata inoltre, sempre in via preliminare, la rilevanza stessa, ai fini della decisione, del fatto « che in sette· Stati membri non . esistono restrizioni alla rappresentanza in dogana e che J'ottavo Stato si accinge a modificare in tal senso la propl'ia normativa ». Nel presumere di far attribuire rilievo a tale segnalazione, invero, la Commissione C.E.E., oltre a non tener presente che mancano in argomento direttive di armonizzazione (pure espressamente sollecitate proprio dalle autorità italiane, ed anche nella .fase ·pre-conten:l)iosa del presente procedimento), non ha evidentemente considerato che soltanto nell'ordinamento italiano è stato riconosciuto ai rappresentanti in dogana qualificazione professionale, e che soltanto in ragione di tale carattere professionale (estraneo agli ordinamenti degli altri Stati membri) può venire in rilievo, ovviamente, la esigenza di limitare iJ potere di conferire la rappresentanza in dogana a teui e non qualificati soggetti. Nell'ordinamento .italiano, infatti, l'attività ctegli spedizionieri doganali è disciplinata «quale professione qualificata avente per oggetto le materie: fiscale, merceologica, valutaria, e quant'altro si riferisce al campo doganale » (art. l della. legge 22 dicembre 1960, n. 1612, relativa al «riconoscimento giuridico della professione di pediziòniere doganale ed istituzione degli albi e dei fondo. previdenziale a favore deg1i spedizionieri çloganali »). Per esercitare fattività di spedizioniere doganale occorre quindi « la nomina a spedizioniere doganale>>, con <<rilascio di apposita patente>>, che può essere conseguita soltanto da persone munite di predeterni.inati requisiti (tra .i quali l'aver consequito « il diploma di istruzione secondaria di secondo grado >> e che « siano meritevoli della fiducia dell'amministrazione per il loro comportamento in rapporto alle leggi finanziarie ed a: quelle relative alla disciplina economica e valutaria>>) e che abbiano superato un esame consistente « in una PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 639 ta aUe persone fisiche in possesso dei seguenti requisiti: a) siano di cittadinanza italiana, ovvero siano cittadi111i di uno Stato estero che accorda in materia uguale trattamento ai cittadini italiani». B) Sulla censura relativa alla violazione del divieto di misure d'effe,tto equivalente a restrizioni quantitative (artt: 30 e 34 ~el Trattato). 6. -Benché ciò non sia detto espressamente nel parere motivato e nel ricorso, dal tenore di questi atti ·e dai rinvio agli artL30 e 34 del Trattato risulta ·che le censure formulate dalla Commissione riguardano le modalità di espletamento delle formalità doganali negli scambi intracomunitari. Le formalità doganali alle frontiere esterne della Comunità, relative alle merci provenienti da paesi terzi o destinate a questi ultimi, non sono oggetto di contestazione. 7. -Per quanto riguarda gli, scambi intracomunitari, si deve sottolineare che, da~ momooto che tutti i dazi doganali all'importazione e all'esportazione e tutte· le tasse d'effetto equivalente, nonché tutte le restrizioni quantitative al:l'importazione e all'esportazione e le misure d'effetto equi- prova scritta, in una ·prova pratica ed in tin colloquio>> (cfr.: artt. 47-54 del testo unico approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; v. pure legge 22 dicembre 1960, n. '1612 e d.m. 10 marzo -1964, G. U. 24 aprile 1964, n. 102, supplemento). Gli spedizionieri doganali sono inoltre iscritti in albi professionali, soggetti a provvedin:ienti disciplinari, sottoposti al controllo ed alla vigilanza delle autorità finanziarie (che possono disporre la sospensionè daLle operazioni doganali e la revoca della nomina), e tenuti alla osserv·anza di dov:eri professionali. Va pure sottolineato, in particolare, che gli spedizionieri doganali sono obbligati ad applicare per le Joro prestazioni una tariffa professionale (con divieto di chiedere compensi inferiori o superiori a quelli contemplati nella tariffa), e sono in ogni caso responsabili; in via sussidiaria, per il pagamento dei maggiori diritti doganali dovuti a seguito di rettifica dell'accertamento o· di revisione· della liquidazione. La qualificazione professionale degli operatori doganali, avuto anche riguardo alla complessità della normativa doganale ed aLla competenza richiesta in materia valutaria e merceologica, rappresenta del resto, evidentemente, una garanzia per I'amministra:;.ione dello Stato (e quindi· per le stesse Comunità europee) e per gli stessi funzionari doganali (che possono essere chiamati a ri!;pondere in proprio dei diritti non riscossi); consente la instaurazione di rapporti èli collaborazione e di fiducia con gli operatori doganali; agevola lo snellimento delle procedure di sdogapamento (riducendo in particolare i tempi tecnici occorrenti); e si riflette in definitiva a tutto vantaggio delle relazioni commerciali e degli scambi intracomunitàri (e ·con i Paesi terzi), .in aderenza agli obiettivi dell'unione doganale; ed il semplice esame degli atti preparatori· ·delle norme relative aLl'attività degli ,gpedizionieri doganali consente infatti di rilevare, con particolare immediatezza, che la «professionalità>> della categoria è stata· voluta proprio in considerazione dell'aumentato volume dei traffici e 640 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO valente dovevano esser stati aboliti, in forza delle disposizioni del Titolo I del Trattato, al più tardi alla fine del periodo transitorio, i controlli doganali veri e propri hanno in pratica perduto, relativamente a detti scambi, la loro ragion d'essere. I controlli alla frontiera restano giustificati soltanto nella misura necessaria all'attuazione delle deroghe alla libera drcolazione contemplate dall'art. 36 ciel Trattato, o aUa riscossione dei tributi interni ai sensi dell'art. 95 del Trattato, qualora l'attraversamento della frontiera possa essere assimilato alla situazione che, per quanto riguarda le merci nazionali, dà luogo alla riscossione di un tTibuto, ovvero al controllo delle operazioni di transito o, infine, qualora.risultino indispensabili per acquisire informazioni ragionevolmente esaurienti ed attendibili sui movimenti intracomunitari di merci. Questi controlli residui devono tuttavia essere ridotti ai minimo, rin modo che gli scambi di merci fra gli Stati membri avvengano a condi21ioni il più possibile simili a quelle vigenti su un mercato interno. 8. -Le censure formulate daUa Commis,sione vanno esaminate alla luce dei principi sopra esposti, che presiedono aLla libera circolazione delle merci in quanto fondamento del mercato comune, tenuto conto, tuttavia, della competenza degli Stati membri in materia doganale, neHa della eigenza di agevolare e snellire, con Ie necessarie garanzie, le operazioni doganali. A tale prospettiva ed a tale soluzione di principio. non può assumersi di ostacolo, d'altra parte, il riconoscimento al propt:ietario delle merci, al detentore, ed a chiunque agisca per conto del proprietario della facoltà di provvedere in proprio all'espletamento delle operazioni doganali (anche se tale riconoscimento comporta ovviamente particolare impegno dei funzionari doganali, maggiore severità nei controlli e nelle verifiche, e conseguente inevitabile ral-· Ientamento delle procedure); e ciò sia per lo stesso carattere tradizionale ed acquisito di tale riconoscimento (che risale evidentemente a tempi in cui il volume degli scambi e le competenze richieste in materia doganale, merceologica, e valutaria non erano certo quelLi atutalmente. rilevanti), sia in quanto, comunque, il qualificato contenuto professionale di determinate attività, anche i:n altri settori professionali, non è sempre e necessariamente preclusivo della possibilità per il singolo di provvedere in proprio a determinati adempimenti o iniziative: possibilità che rimane peraltro del tutto coerente con l'obbligo dell'interessato, qualora non intenda provvedere in proprio, di avvalersi di qualifica ti professionisti. Tanto premesso, è ora evidente ed innegabile che non può ammettersi la compeetnza degli Stati membri a disciplinare la rappresentanza in dogana (espressamente riconosciuta dalla Commissione C.E.E.) e pretendersi al tempo stesso che tale potere normativa sia esercitato in modo che risulti in concreto privo di effettivo contenùto. È pure evidente ed innegabile, peraltro, che nel momento stesso in cui si consentisse a chiunque di esercitare· attività di rappresentanza in dogana, indipendentemente da una specifica qualificazione professionale, e senza · i dovéri, gli oneri e le responsabildtà imposti alla categoria degli spedizionieri doganali, la stessa previsione normativa di tale categoria (espressione di un potere le PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 641 misura in çui le normative nazionali non siano state armonizzate o so· stituite da disposi:z:ioni comunitarie, come pure delle differenze dovute alle peculiarità di ta:li normative, purché queste ultime non creino inutili ostacoli per la libera circolazione delle merci imponendo obblighi non necessari alla realizzazione dello tscopo perseguito, che consiste, nella fattispecie, nella corretta esecuzione di tali controlli od atti ancora ammessi. 9. -In proposito è opportuno osservare che, al fine di realizzare tale scopo, la Commissione ha presentato al Consiglio, il 19 gennaio 1979, una proposta di regolamento « in oui si definiscono Je condizioni alle quali una persona è ammessa a effettuare una dichiarazione in dogana» (G.U. n. C29, pag. 3), regolamento destinato ad entrare in vigore il l" gennaio 1980 ed il cui art. 3 è inteso ad imporre agli Stati membri, per quanto riguarda la dichiarazione in dogana, il sistema che la Commissione' fa carico al Governo italiano di :non aver accolto nell'ordinamento nazionale. 10. -La Commissione formula tre .censure: a) Essa sostiene anzitutto che la nonnativa di cui trattasi obbliga inutilmente gli operatori economici a ric~rrere, per l'espletamento delle gislativo proprio ed esclusivo dello Stato membro) risulterebbe del tutto priva di senso e di effettiva portata: considerazione la cui validità risulta subito evidente, invero, quando si consideri che se dovesse ritenersi sufficiente, per essere rappresentante in dogana, e senza alcuna responsabilità per gli adempimenti compiuti e per il pagamento dei diritti doganali, la semplice procura del singolo interessato, nessuno si sottoporrebbe .più, ovviamente, agli esami, alle condizioni, ai limiti, agli obblighi, agli oneri, ed alle responsabilità imposti dalla legge a carico della categoria << professionale» degli spedizionieri doganali. Quel che più sorprende, in definitiva, nella pretesa della Commissione C.E.E., è in effetti il contrasto sostanziale e la incompatibilità della sua domanda con il noto e consolidato -orientamento delle Istituzioni comunitarie volto alla sempre maggio:m qualificazione professionale delle arti; mestieri e professioni, e quindi con quello stesso orientamento al quale è ispirata, evidentemente, la istituzione nell'ordinamento italiano della categnria professionale degli spedizionieri doganali. 6. -Nel merito, comunque, va anzitutto contestato che le norme previste nell'ordinamento italilino in materia di rappresentanza in dogana possano essere considerate misure idonee ad ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari. A parte il fatto che tale normativa è rivolta invece, come si è già sopra evidenziato, proprio a garantire con maggiore efficacia la libera circolazione delle merci (e nori può quindi avere, al tempo stesso, l'effetto contrario), è invero evidente che la << idoneità» e la « potenzialità» stessa dedotte dalla Commissione dovrebbero poter essere in qualche modo verificate ·in concreto; e la possibilità di una tale verifica risulta invece esclusa dal continuo e costante incremento degli scambi tra l'Italia e gli altri Stati membri, e dal fatto stesso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 642 formalità doganali, a spedizionieri doganali iscritti nell'apposito registro e muniti di patente, mentre, a suo avviso, dette formalità dovrebbero poter essere compiute da qualsiasi persona designata dal proprietario -e agente in nome e per conto di questi. Tale obbligo sarebbe fonte di spese supplementari e inutili, che costituirebbero un ostacolo per gli scambi. b) In secondo luogo essa fa valere che, anche qualota l'art. 56, secondo ,comma, del testo unico andasse interpretato nel senso che esso permetta ai proprietario della· merce di farsi sostituire, ai fini della dichiarazione, da persone diverse dagli spedizionieri professionisti o . dipendenti, questi intermediari non potrebbt}ro agire in nome e per conto del proprietario, bensì unicamente in proprio nome e_ sotto la propria responsabilità, il che renderebbe poco agevole H sistema italiano. c) Infine essa sostiene che, imponendo a:llo spedizioniere doganale l'obbligo di avere la propria residenza in un comune compreso nella circoscrizione per la quale risulta abilitato,. l'art. 47, quarto comma, dà allo spedizioniere doganale stesso la figura di un responsabile o di un rappresentante nel territorio dello ~tato membro importatore, mentre l'imposizione di tale figura è stata espressamente qualificata, dall'ar!. 2, n. 3, lett. g, della direttiva 22 dicembre 1969, n. 70/50/C.E.E. (G.U. 1970, che analogo continuo e costante· incremento è dato di riscontrar~ anche nelle relazioni commerciali con i Paesi terzi: incremento del tutto analogo a quello rilevante per gli altri Stati membri, e che dovrebbe invece risultare ridotto e minore, con deviazioni di traffico a favore degli altri Stati membri, se la nor- mativa italiana in tema di rappresentanza Ln dogana fosse effettivamente idonea, anche soltanto in potenza, ad ostacolare gli scambi. Secqndo la Commissione C.E.E., del resto, l'« ostacolo» agli scambi intra comunitari sarebbe da individuare nelle maggiori spese che l'intervento dello' spedizioniere doganale comporterebbe, e che renderebbero le importazioni e le esportazioni piÒ. costose. In tale assunto non appare considerato, peraltro, che l'onere in discus sione (oltretutto evitabile dall'interessato che non intenda avvalersi di rappre sentanti) non sarebbe certo--evitato ammettendosi qualsiasi soggetto ad eser citare l'attività di rappresentante in dogana, essendo ovvio che tale attività, anche se esercitata da (( dipendenti)) (ai quali non compete, nell'ambito del rap porto . di lavoro subordinato, di rappresentare l'imprenditore), avrebbe in ogni caso un «costo» la cui congruità anzi, garantita per le prestazioni degli spe dizionieri doganali dalla tariffa professionale, dipenderebbe in altri casi da incontrollabili e contingenti fattori); e se tale <<costo>> preoccupa la Commis. sione C.E.E., allore sarebbe la stessa rappresentanza doganale a doversi ritenere vietata dagli arit. 30 e 34 del Trattato C.E.E., e non la competente individuazione dei soggetti professionalmente qualificati ad esercitarla. -La Commissione C.E.E. inoltre, nell'assumere che· l'« ostacolo >> agli scambi cònsisterebbe nelle maggiori spese rese necessarie dall'intervento dello spedi(': zioniere doganale, sembra non tener presente che in tale « spesa >> non è pos sibile ravvisare gli estremi della misura di ef-fetto equivalente alle restrizioni quantitative, dato che in tali misure sono appunto espressamente comprese, per PARTE I, SEZ. ,II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 643 n. L 13, pag. '29), come misura d'effetto equivalente a una retrizione quantitativa. 11. -Dall'esame della normativa in materia di dichiarazione in dogana, quale risulta dal complesso delle disposizioni contenute negli articoli 40, 43, 44, 47 e 56 del testo unico, emerge che. è esatta la costatazione della Commissione seccmdo ·oui dette disposizioni non consentono al proprietario della merce di « essere rappresentato in dogana. da qualsiasi persona a cui egli abbia dato procura affinché agisca in suo nom~ e per suo conto», ma che, per contro, .J'affer.mazione secondo cui detto proprietario può essere rappresentato solo da uno spedizioniere doganale non tiene pienamente conto della vera. portata delle di~posizi~ni di -cui trattasi, se l'espressione « essere rappresentato... solo » viene intesa nel senso che il proprietario della merce, qualora non faccia egli stesso la dichiarazione in dogana, posa farsi sostituire soltanto da uno spedizioniere doganale per l'espletamento di questa formalità. 12. -L'art. 56 dispone infatti, al secondo .co~ma, che ai fini della dichiarazione « è considerato proprietario della merce colui che Ia presenta in dogana ovvero che la detiene al momento dell'entrata nel terriquanto disposto con l'art. 2, n. 3, lettera d, della direttiva della Commissione 22 dicembre .1969, n. 50/70, quelle che «rendono impossibile un'eventuale ma~giorazione di prezzo del prodotto importato corrispondente alle spese ed agli oneri aggiuntivi all'importazione >>. 7. -Non può mm essere rilevato, del resto, che la iniziale .contestazione si fondava sul presupposto << obbligo » del proprietario delle merci di ricorrere alle prestazioni dello spedizioniere doganale. . E stato chiarito alla Commissione C.E.E. che la normativa italiana prevede 1a facoltà, e non l'obbligo, di avvalersi di un rappresentante qualificato per 1'espletamento delle operazioni doganali, e che tale facoltà va esercitata, secondo i princìpi che regolano l'autonomia nego:dale, secondo libere scelte e discre zionali valutazioni. È stato pure chiarito che non il solo proprietario delle merci, ma chiunque le detenga può provvedere alle operazioni di sdoganamento, 'e che qualsiasi persona può essere incaricata dal proprietario delle merci di provvedere, in suo nome e per cont0 del proprietario (e quindi assumendo la responsabilità delle proprie dichiarazioni), allo sdoganamento dei prodotti, precisandosi anche che la effettiva appartenenza delle merci e l'accertamento· del titolo in base .al quale esse sono detenute restano di norma indifferenti all'amministrazione doganale. . · Sono state anche ·commentate le particolari disposizioni di favore che -consentono all'operatore interessato di avvalersi, ·per l'espletamento delle ope razioni doganali, dei propri «qualificati» dipendenti (per i quali l'esercizio -dell'attività di rappresentanza in dogana non· è subordinata all'iscrizione negli · albi. professionali); e quanta rilevanzà viene attribuita alla specifica qualifica ·:t.ione professionale non può non essere avvertita, invero, quando si consideri che gli stessi funzionari dell'amministrazione doganale, nonostante la facoltà in argomento prevista dalla legge (art. 49 del testo unico approvato con d.P.R. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 644 torio doganale o dell'uscita dal territorio stesso... >>. Il Governo italiano, sia nel corso del procedimento amministrativo, sia nelle. fasi scritta e orale dei presente procedimento, ha dichiarato formalmente che questa disposizione doveva essere interpretata, ed era effettivamente applicata -quest'ultimo punto non è stato contestato dalla Commissione da parte delle competenti amministrazioni italiane nel senso che il proprietario deUa merce il quale non effettui personalmente la dichiarazione può non solo ricorrere ad uno spedizioniere professionista o ad uno spedizioniere-dipendente, ma anche conferire a qualsiasi persona, e quindi, fra l'altro, al trasportatore e al depositario della merce, l'incarico di provvedere a taie dichiarazione, purché detta persona presenti la merce in dogana o la idetenga al momento della sua entrata o della sua uscita dal territorio doganale. Esso ha inoltre precisato che l'ultima frase dell'art. 56, secondo cui <<·rimane salvo, in ogni caso, il diritto della dogana di accertare, ad ogni effetto del presente testo unico, chi abbia la proprietà della merce oggetto delle operazioni doganali», non ·significa che 23 gennaio 1973, n. 43), non sono di no•rma esonerati dagli esami richiesti per il conseguimento della nomina di spedizioniere doganale (e devono comunque ·risultare in possesso di tutti gli altri requisiti prescritti). Nonostante tali chiarimenti e tali precisazioni, peraltro, la Commissione C.E.E., senza tentare alcuna replica in merito a quanto dedotto', in particolare, nella risposta al parere motivato (nemmeno allegato al ricorso), ha ritenuto di dare ulteriore seguito alla iniziale contestazione, rettificandola soltanto nel senso di ravvisare una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitatJVe anche nel solo fatto che non sia consentito a chiunque di provvedere, « in nome >> e << per conto >> di altri, e quindi senza assumere alcuna r·esponsabilità, all'espletamento delle operazioni doganali. Certamente, tale insistenza non può non sorprendere, considerato che la iniziale preoccupa<.ione della Commissione C.E.E. era originata dalla convinzione che l'importatore o l'esportatore che non volesse o potesse provvedere in proprio alle operazioni doganali fosse obbligato a rivolgersi allo spedlzwniere doganale, e tenuto presente che in tale presupposto <<obbligo>> veniva ravvisata (oltretutto erroneamente) una misura di effetto equivalente ad una restrizio~e quantitativa; ed era logico presumere, cinvero, che la Commissione, avendo accertato che l'interessato può utilizzare qualsiasi persona per provvedere, per suo conto e nel suo interesse, allo sdoganamento delle merci (e quindi evitare anche, ove trovi chi lo rappresenti gratuitamente, le spese richieste per l'intervento dello spedizioniere doganale), avrebbe desistito dalla sua contestazione: previsione tanto più fondata, in effetti, in quanto la dedotta incompatibilità con la normativa comunitaria era stata ravvisata in ragione delle maggiori spese << imposte >> al proprietario delle merçi per l'intervento dello spedizioniere doganale (ritenuto obbligatorio), e non per il costo che può essere eventua'wente sostenuto per incaricare a1tre persone delle operazioni di sdoganamento. l . 8. -Una volta accertato che ·l'importatore o l'esportatore non sono obbligati ad avvalersi degli spedizionieri doganali e possono incarkare qualsiasi persona ài provvedere aU'espletamento delle operazioni doganali, nessun interesse o legittimazione può essere riconosciuta alla Commissione C.E.E., comunque, a pretendere che tale attività sia esercitata non solo «per conto» ma anche « in PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 645 l'amministrazione possa rifiutare di ricevere la dichiarazione da chi, pur non essendo proprietario, detenga la merce o la presenti in dogana, ma ha lo scopo di permettere all'amministrazione stessa di rendere il proprietario solidalmente responsabfle col dichia!"ante per i diritti doganali e Ie eventuali ammende, com'è precisato nell'art. 38 de'l testo unico. 13.. Il Governo italiano ha tenuto.-altresì a precisare che la prassi amministrativa è tuttavia orientata nel senso di un esame più-r,ninuzioso della dichiarazione, allorché questa viene fatta dal proprietario o dai soggetti assimilati che non nel caso in cui vi provvedano spedizionieri professionisti -indipendenti o dipendenti -in ragione della qualificazione che questi devono possedere. 14. -Prendendo atto di tali dichiarazioni, la Corte costata che l'interpretazione delle norme in questione è -conforme al testo delle stesse. Ne consegue che il proprietario della merce ha varie possibilità qualora intenda far effettuare da un terzo la dichiarazione in dogana, senza do- nome» del proprietario interessato, nè. alcun sèguito può essere dato a tale supposta pretesa, in ogni caso, senza alterare e snaturare la portata della iniziale diversa contestazione. Senza che occorra sottolineare, in questa sede, la distinzione tra mandato e rappresentanza, è infatti da rilevare, anzitutto, che la disciplina normativa del contratto di mandato e dell'istituto della rappresentanza è di competenza del legislatore nazionale, al quale non può essere imposto, specialmente in difetto di provvedimenti di armonizL.azione a livello comunitario, di disciplinare la materia in maniera non aderente ai princìpi dell'ordinamento giuridico nazionale; così come non può pretendersi che si prescinda, nella regolamentazione delle operazioni e formalità doganali, dalla rilevanza attribuita alla dichiarazione doganale nella normativa civile, tributaria, e penale. Non è agevole ammettere, del resto, che la Commissione C.E.E. voglia effettivamente che il soggetto incaricato di provvedere alle operazioni doganali non assuma alcuna responsabilità delle dichiarazioni presentate (che con l'espediente della <<rappresentanza», cioè, ogni quisque de populo possa provvedere, restando del tutto irresponsabile, alle operazioni di sdoganamento); così come non è agevole comprendere come tale pratica potrebbe conciliarsi con la esigenza di assicurare e garantire, alle amministrazioni naL.ionali come alle Comunità europee, il corretto e sollecito svolgimento de11e operazioni doganali, la rapida ed esatta Liquidazione delle somme dovute, la mancata evasione dei diritti di confine, la effettiva riscossione delle somme di cui sia consentito il pa,gamento differito, ed il recupero dei maggiori diritti che risultassero. di seguito dovuti per l'importazione o per l'esportazione. Proprio sotto questo profilo, invero, viene in evidenza un ulteriore vizio di prospettiva del ricorso proposto dalla Commissione-C.E.E., nella parte in cui si assume che la regolamentazione nazionale italiana· comporterebbe restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento dell'obiettivo ricercato. Tale obiettivo non è costituito infatti dal solo << sdoganamento corretto delle merci », come ritiene la Commissione C.E.E., ma consiste anche nella esigenza di garantire lo Stato ed i suoi funzionari (e quindi le stesse Comunità europee) dell'effettivo adempimento di tutte le obbligaL.ioni connesse alle operazioni di RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO. 646 vere, come sostiene la Commissione, ricorrere necessariamente· ad uno spedizioniere doganale. La circostanza che la sostituzione possa avvenire attraverso una finzione· legale, come quella cui si riferisce l'art. 56·, secondo comma, del testo unico (per la quale è assimilato al proprietario colui che presenta la merce in dogana o che fa la dichiarazione in qua-_ lità di detentore), ovvero ~mila base della nozione giuridica di « rappresentanza indiretta>> (per cui il dichiarante agisce per conto del proprietario, ma in nome proprio, ed è solidalmente responsabile col proprietario) invece che in base ad una procura 'conferita dal proprietario a questa stessa persona, non può essere considerata come un valido indizio del fatto che 1e formalità di cui trattasi abbiano il carattere di misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa. La circostanza che il proprietario non possa farsi sostituire da un procuratore che non sia dete11tore della merce, né in grado di presentarla in dogana, e che debba in tale ipotesi ricorrere ai servizi di uno spedizioniere indipendente o dipendente, non può neppur essa determinare importazione e di esportazione, di agevolare la prevenzione dei reati doganali e della evasione tributaria, di rendere il dichiarante responsabile delle sue dichiarazioni, e di assicurare ·in ogni caso e con certezza la individuazione di un soggetto tenuto a rispondere nei confronti dell'amministrazione doganale: finalità tanto più rilevanti in quanto è proprio e soltanto nei" limiti in cui se ne può garantire il conseguimento che può prescindersi, con favorevoli riflessi per le relazioni comm~rciali e per la libera circolazione delle merci, dall'accertare di volta in volta la effettiva proprietà e titolarità delle merci. importate ed esportate. 9 -La infondatezza e la stessa speciosità della ·domanda attrice possono essere· del resto avvertite, con particolare immediate:t.za, quando siano considerate le conseguenze che si determinerebbero se fosse consentito a chiunque di provvedere, <<in nome» e «per conto>> di altri, ·e senza alcuna .r·esponsabiLità né obbligo, alle operazioni doganali, e sia verificato quanto tali conseguenze risulterebpero compatibili con la libera circolazione delle merci, e se tale sistema sarebbe o no di maggiore ostacolo agli scambi dntracomunitari. Considerato che il sistema proposto implicitamente nel ricorso della Commissione potrebbe rendersi in ipotesi necessario soltanto relativamente agli scambi intracomunita:ri (ai quali soltanto sono riferìbiÙ gli artt. 30 e 34 del Trattato C.E.E.), potrebbe anzitutto determinarsi, nell'eventualità in esame, l'applicazione di differenti criteri di rappresentanza in dogana a seconda che le merci da dichiarare siano provenienti o destinàte ad altri Stati membri o a Paesi terzi; ed ulteriore discriminazione di fatto verrebbe a determinarsi, in ogni caso, a seconda delle dimensioni e del volume di affari di ciascuna impresa, considerato che i piccoli imprenditori (e sono la prevalente parte) difficilmente potrebbero disporre di personale da adibire alle operazioni doganali. Accanto agli spedizionieri doganali professionisti, che dispongono di norma di una propria ed -efficiente organizzazione aziendale, che godono della fiducia dell'amministrazione proprio in ragione della loro qualificata competenza, e che sono per legge destinatari di qualsiasi atto, provvedimento o decisione dell'amministrazione concernenti l'esportatore o l'importatore (art. 40, térzo comma, del tèsto unico approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), sorgerebbero inoltre, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 647 una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa, rpoiché le altre modalità di dichiarazione offrono al proprietario ·stesso una scelta effettiva e ragionevole che gli consente di evitare, se lo ritenga conveniente, la necessità di ricorrere ad uno spedizioniere professionista. 15. -La Commissione fa tuttavia valere, in secondo luogo, che determina una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa anche la circostanza per cui i dichiaranti diversi da~ proprietario stesso, quando non siano spedizionieri, possono effettuare la dichiarazione soltanto in nome proprio, non già come mandatari del proprietario della merce, e rispondono di conseguenza personalmente -e, se del caso, in solido col proprietario stesso -rdei diritti e delle ammende, mentre, da una parte, la responsabilità personale degli spedizionieri indipendenti è solo sussidiaria e limitata al pagamento dei maggiori diritti dovuti (art. 41 del testo unico) e, dall'altra, gli spedizionieri-dipendenti agiscono sotto la responsabilità del proprietario della-merce da essi rappresentato. La Com- ovviamente, altrettanti «rappresentanti » non qualificati e non responsabili, che oltre a rendere priva di senso, come si è già sopra osservato, la categoria dei professionisti qualificati, costituirebbero utile strumento per evasioni doganali, false dichiara<.ioni, ed ulteriori speculative iniziative di operatori disonesti, senza alcuna garanzia per l'amministrazione doganale. Per l'attività c;li rappresentanza sarebbe comunque necessaria una formale procura, :in regola con le norme sull'imposta di bollo e quantomeno con sottoscrizione ·autenticata, e che potr-ebbe risultare necessaria, per molteplici motivi, per ciascuna operazione di importazione o di esportazione; e dovr-ebbe di conseguenza imporsi all'amministrazione doganale ed ai suoi funzionari, non solo di verificare la legalità, il contenuto, l'effettiva portata, e la persistente validità ed efficacia della procura conferita all'irresponsabile rappresentante, ma anche di accertare l'effettiva titolarità delle merci cui la procura si riferisce (e che nei soli limiti della procura potrebbero costituire oggetto delle dichiarazioni del <<rappresentante»). II difetto di qualificazione professional·e dei « rappresentanti » comporterebbe infine, evidentemente, la necessità di più approfonditi controlli e di maggiori verifiche da parte dei tun..ionari doganali (che possono essere obbligati a rispondere in proprio dei diritti doganali non riscossi), con inevitabile rallentamento delle operazioni doganali, maggiori possibilità di intralci burocratici, ed ovvie complicazioni di vario genere negli adempimenti relativi allo sdoganamento delle merci. Anche a prescindere da ogni ulteriore possibile considerazione, appare comunque singolare la ipotesi di un «rappresentante >> non responsabile o non qualificato, specialmente quando si consideri che tale responsabilità grava invece per legge, e nonostante .Ja loro qualifica professionale e le garanzie offerte, anche a ca11ico degli spedizionieri doganali: responsabilità che è potuta divenire «sussidiaria», da «solidale» che er-a secondo la previgente normativa, proprio e soltanto a seguito dell'intervenuto riconoscimneto della « professionalità » degli spedizionieri doganali. ,lQ, -In definitiva, e con riguardo a quanto già segnalato nella lettera del 1o marzo 1977 e nella risposta al parere motivato, ed alle ulteriori considerazioni 5 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA .PELLO STATO 648 missione sembra voler sostenere che i terzi cui iil proprietario della merce fa ricorso per l'espletamento delle formalità doganali dovrebbero poter agire in suo nome e per suo conto, e senza alcuna responsabilità propria nei confronti deH'ammini~trazione, purch si mantengano entro i limiti del mandato. Qualsiasi obbligo supplementare costituirebbe un ostacolo eccessivo per la libera circolazione delle merci. 16. -A prescindere dalla circostanza che questo aspetto della normativa italiana non è stato preso in esame, o quanto meno non è stato espressamente considerato, nel pa!:ere motivato o nel ricorso, non si può ritenere che la differenza stabilita sul piano nazionale tra il regime della responsabilità vigente per coloro che esercitano un'attività sottoposta ad una disciplina profession~le e a determinate esigenze di qualificazione professionale e que1lo applicato nel caso di dichiaranti che non rispondano a tali requisiti vada oltre i limiti di ciò che le autorità governative possono cons~derare giustificato dalla preoccupazione di garantire il corretto adempimento degli obblighi in materia di dichiarazione sopra commentate, il seguito dato in sede contenziosa alla iniziale contestazione consente e legittima quantomeno perplessità, dato che una indiscriminata possibilità di una (irresponsabile) rappresentanza in dogana (da disciplinare necessariamente in coerenza con la normativa doganale e valutarsi di diritto interno) rischierebbe di compromettere effettivamente la libera circolazione delle merci, e non essendo quindi agevole comprendere, sulla base della impostazione dedotta nel ricorso, quali finalità la Commissione CEE intenda perseguire e quali interessi si proponga di tutelare con la sua iniziativa. 11. -Un ulteriore iniziale profilo di contestaziçme era riferito all'obbligo per lo spedizioniere doganale di « avere la propria residenza ~n un comune compreso nella circoscrizione per la quale risulta abilitato» (art. 47, quarto comma, del testo unico approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43): obbligo che la commissione assumeva incompatibile con quanto disposto dall'art. 2, n. 3, lettera g, della direttiva 22 dicembre 1969, n. 50/70. La domanda relativa a tale contestazione, ricordata nella parte espositiva del ricorso, non risulta peraltro riproposta nella parte motiva del ricorso né tanto meno nelle conclusioni; e manca quindi, in argomento, una domanda suila quale debba la Corte pronunciarsi o in ordine alla quale si debba in questa sede contraddire. Soltanto per completezza di trattazione, pertanto, va rilevato, secondo quanto già sopra osservato, che il riferimento all'art. 2, n. 3, lettera g, della - direttiva 22 dicembre 1969, n. 50/70 è dovuto in effetti ad una inesatta interpretaL. ione della norma (che si riferisce all'ipotesi in cui si imponga all'esportatore estero un rappresentante che risieda nello Stato membro importatore,. e non al rappresentante in dogana dell'importatore o dell'esportatore); così come può essere aggiunto, ad integrazione di quanto già segnalato nella risposta al parere motivato (e che già ha del resto indotto la Commissione C.E.E. a desistere dalla specifica contestazione), che il requisito della residenza nell'ambito di una determinata circoscrizione può risultare giustificata, e compatibile, in particolare, anche con gli artt. 59 e 60 del Trattato C.E.E., proprio in ragione del carattere professionale dell'attività esercitata dagli spedizionieri PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COJ\1U111ITARIA E INTERNAZIONALE 649 in dogana. D'altra parte, la Commissione non precisa neppure in qual modo tale differenza possa costituire, almeno in potenza, un ostacolo per la Hbera circolazione delle merci. 17. -La Commissione sostiene infine che l'obbligo, imposto in via di principio dall'art. 47, quarto comma, del testo unico, di avere la residenza in un comune compreso nella « circoscrizione per la quale risulta abilitato >> dà allo spedizioniere doganale « Ja figura di un responsabile o di un rappresentante sul territorio dello Stato membro importatore », mentre ~'imposizione di un siffatto rappresentante è ~stata espressamente qualificata dall'art. 2, n. 3, lett. g), della direttiva 22 dicembre 1969, n. 70/50/CEE G. U. 1970, n. L 13, pag. 29) come misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa. 18. -Questa tesi non può essere accolta. Senza che sia necessario interpretare 'la richiamata norma della direttiva n. 70/50 e chiarire la questione del se essa riguardi effettivamente J'obbligo di residenza imdoganali (cfr., per utili spunti, Corte di giustizia, 3 dicembre 1974, nella causa 33/74, VAN BINSBERGEN, Racc., 1299, e Rass. Avv. Stato, 1974, I, 67). 12. -Quanto all'ultimo profilo di contestazione, relativo alla formula dell'art. 48, primo comma, lettera a, del testo unico approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, si è già osservato sin dalla lettera del l<> marzo 1977 che la condizione della reciprocità prevista dalla norma si riferisce e può riferirsi, ovviamente, soltanto ai cittadini dei Paesi terzi, e non certo a quelli degli altri Stati membri, precisandosi pure, nella risposta al parere motivato, che sarà comunque provveduto ad una precisazione legislativa in tal senso; e la stessa Commissione C.E.E. ha già espressamente riconosciuto, del resto, che <<l'applicazione fatta dalle autorità italiane dell'articolo 48, lett. a, è conforme al Trattato ». 13. -In questa sede, peraltro, avendo la Commissione ritenuto di sollecitare specifica declaratoria di inadempimento, non può non essere rilevato che anche tale domanda è priva di fondamento, e che con la disponibilità ,manifestata per una precisa..ione legislativa non si è certamente inteso condividere l'assunto secondo cui la lettera della norma in questione sarebbe contraria al l;rattato. Secondo elementari principi di ermeneutica giuridica, invero, la norma << speciale » prevale sempre, e senza che sia necessario specificar lo in ciascuna occasione, sulla disposizione di carattere generale; e nessun dubbio interpretativo può quindi ammettersi relativamente al fatto che la condizione di reciprocità contemplata nella norma in discussione si riferisca e possa riferirsi soltanto ai cittadini dei Paesi terzi; né alcun dubbio o p~rplessità è infatti mai sorto, né in sede amministrativa né ;in sede giudiziaria, sulla pacifica possibilità per tutti i cittadini degli altri Stati membri di ottenere, senza condizione di reciprocità, e con la ricorrenza dei soli e stessi requisiti pre· scritti per i cittadini italiani, il rilascio della patente di spedizioniere doganale; così come non si comprende quale << condizione di reciprocità » possa attualmente ipotizzarsi, relativamente alla presta..ione dei servizi, nei rapporti tra gli Stati membri delle Comunità europee. 650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO posto dalla normativa nazionale ai fini dell'espletamento, da parte di professionisti, per conto terzi, delle formalità doganali, è sufficiente ritenere che questo aspetto dovrebbe essere eventualmente preso in considerazione soltanto qualora fosse provato che gli importatori o gli esportatori non abbiano, com'è stato sostenuto dalla Commissione, altra scelta che il -ricorso ad uno spedizioniere professionista. Dall'esame delle contestate disposizioni del testo unico risulta tuttavia che, pur non disponendo di una libertà assoluta nella scelta del terzo dal quale intendono farsi rappresentare al fine di provvedere alla dichiarazione in dogana, detti operatori dispongono di una ragionevole libertà rdi scelta, sufficiente a far ritenere infondata la censura relativa all'esistenza di una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa. 19. · Dalle precedenti considerazioni risulta che le censure formulate dalla Commissione con rifedmento agli artt. 30 e 34 del Trattato C.E.E. non possono ritenersi fondate. C) Sulla violazione dell'art. 52 del Trattato. 20. -La Commissione sostiene ·che il summenzionato art. 48, .Jett. a), del testo unico viola l'art. 52 del Trattato, ai sensi del quale la libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività indipendenti e il [oro esercizio alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. 21. -Il Governo italiano contesta questo punto di vista e fa valere che la condizione di reciprocità ·contemplata dal suddetto art. 48 si riferisce 14. • Una differente impostazione di principio, quale quella necessariamente presupposta nella domanda della Commissione C.E.E., dovrebbe condurre, del resto, ad ipotizzare l'« obbligo» di tutti gli Stati membri di rivedere e rettificare, nonostante la diretta efficacia ed applicabilità della normativa comunitaria sulla libera prestazione dei servizi, tutte le numerosissime disposizioni nazionali nelle quali si contempli il requisito della cittadinanza (o quantomeno di emanare una specifica legge nella quale sia precisato che in tema di lavoratori e servizi, e salve le eccezioni previste dallo stesso trattato C.E.E., la cittadinaru:.a degli altri Stati membri è assimilata a quella nazionale), quando è invece già pacifico che l'assimilazione dei cittadini comunitari a quelli nazionali è già 1n argomento imposta dal diritto comunitario. La ravvisabilità di tale « obbligo », inoltre, dovrebbe essere conciliata (il che non è invece possibile) con la diretta efficacia delle norme del Trattato C.E.E. dn tema di prestazione dei servizi; cosi come rimarrebbe da spiegare, nell'ambito di analoga prospettiva, come possa la Commissione C.E.E. aver .ritenuto necessario ritirare, a seguito della sentenza 21 giugno 1974 resa dalla Corte di giustizia nella causa 2/74, tutte le proposte di direttiva intese a sopp: dmere le restrizioni in materia di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (divenute superflue per l'attuazione della norma del trattamento nazionale). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 651 necessariamente soltanto ai cittadini dei paesi terzi, non certo a quelli degli altri Stati membri. Il principio giuridico secondo cui la lex specialis -nella fattispecie, art. 52 del Trattato -prevale sulla norma di carattere generale -nella fattispecie, art. 48 del testo unico -escluderebbe qualsiasi dubbio in proposito. Sarebbe evidente che, attualmente, non si può ipotizzare alcuna condizione di reciprocità, relativamente alla prestazione di servizi, nei rapporti fra gli Stati membri, né al riguardo sussisterebbe alcuna incertezza presso gli operatori economici interessati. La Commissione avrebbe del resto riconosciuto che l'applicazione data in Italia all'art. 48, •lett. a), del testo unico è conforme al Trattato. Il Governo italiano aggiunge di aver inoltre indicato, nella risposta al parere motivato, che << sarà comunque provveduto ad una precisazione legislativa ». 22. -La tesi del Governo italiano non può essere accolta. Va tenuto conto del fatto che, benché in materia la situazione obiettiva sia chiara, nel senso che l'art. 52 del Trattato ha efficacia diretta nell'ordinamento giuridico italiano, ciò non toglie che -come è stato ritenuto da questa Corte nella sentenza 4 aprile 1974 (causa 167/73, COMMISSIONE c. REPUBBLICA FRANCESE, Racc., 1974, pag. 359) -la permanenza, nella legislazione di uno Stato membro, di un testo incompatibile col Trattato determina, con H mantenere uno stato di incertezza drca la possibilità di fare appello al diritto comunitario, una situazione di fatto ambigua per gli interessati. Il fatto che la disposizione di cui trattasi sia stata mantenuta in vigore senza alcuna modifica costituisce quindi un ostacolo per la libertà di stabilimento. Il Governo italiano, del resto, ha ammesso la necessità di porre fine a tale ambiguità, assicurando, nella lettera 24 aprile 1978, con la quale rispondeva al parere motivato, che sarebbe stato ben presto provveduto <<a promuovere l'emanazione di un provvedimento 15. -In altri term1ni, una violazione degli obblighi imposti dal Trattato C.E.E. potrebbe essere ravvisata, in argomento, soltanto se la « precisa.,ione » legislativa sollecitata dalla Commissione C.E.E. potesse riconoscersi « necessaria », soltanto se potesse ritenersi, cioè, che l'attuale formulazione della norma nazionale impedisce ai cittadini degli altri Stati membri di ottenere il rilascio della patente di spedizioniere doganale; e poiché tale « necessità » deve invece ovviamente escludersi, sia P~Yr la rilevanza ed efficacia diretta dell'art. 52 del Trattato C.E.E., sia perché nessun dubbio è ipotizzabile, né è mai sorto, sulla interpretazione da dare alla norma nazionale in discussione, deve necessariamente escludersi, di conseguenza, la possibilità di ravvisare nella specie una violazione degli obblighi imposti dal Trattato. Certamente, può talora risultare opportuna, tanto nell'ambito delle legislazioni nazionali quanto rispetto alla normativa comunitaria, una « precisa<.ione >> del legislatore, priva di autonomo contenuto normativo e tuttavia utile ai fini di una migliore formulazione letterale di una norma; e anche nella specie in esame, del resto, è stato già espressamente segnalato alla Commissione C.E.E. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 652 legislativo» per le necessarie precisazioni, anche se finora non ha dato seguito a tale impegno. 23. -Considerato quanto precede, è d'uopo dichiarare che, mantenendo invariato l'art. 48, lett. a), del testo unico, senza stabilire alcuna deroga, per quanto rigua11da la condizione di reciprocità, a favore dei cittadini degli altri Stati membri, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 52 del Trattato C.E.E.; per il resto, il ricorso va respinto. -(Omissis). che sarà provveduto quanto prima alla auspicata e sollecitata <<precisazione» legislativa. Ma non è certo con riguardo o in ragione di tale « opportunità >>, evidentemente," che può discutersi di inadempimento o di violazione degli obblighi imposti dal Trattato C.E.E. -(Omissis). ARTURO MARZANO SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. tm., 12 maggio 1979, n. 2716 -Pres. Rossi - Rel. Scribano -P. M. Gambogi (conci. conf.) -Bischeri Giorgio (avv. ti Menghini, Tortorella) ·c. Ministero Marina Mercantile (avv. Stato Carbone). Competenza e ·giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Autorizzazioni e concessioni -Ordine di demolizione di manufatto · Provenienza ·da p.a.· diversa da quella concedente -Mancanza di potere sul contenuto ·della concessione -Giurisdizione dell'a.g.o. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, a!L E, artt. 2 e 4; l. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5). Rientra nella giurisdizione dell'a.g.o. la domanda di un privato che, deducendo la qualità di concessionario di un terreno di un ente pubblico, insorga c.ontro il provvedimento di demolizione di una costruzione da lui realizzata su tale .terreno. §!om,esso da una p.a. diversa da quella ,concedente, e neghi a quest'ultima la facoltà di incidere sul rapporto di concessione al quale è estranea (1). (Omissis). -Con l'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione il ricorrente pone il problema dell'individuazione del giudice giurisdizionaJmente competente nel giudizio da esso promosso contro il Ministero della Marina mercantile in relazione al provvedimento di demolizione, da (l) Nel caso di specie il privato concessionario aveva impugnato un provvedimento di demolizione emesso dalla Capitaneria di porto di Livorno assumendo che tale p.a. non aveva facoltà di intervenire sul contenuto della concessione fattagli dall'Ente' Maremma; pertanto non è dubbio che egli avesse investito il giudice di un'azione diretta obbiettivamente a tutelare il diritto derivante dalla concessione. Ed infatti la Capitaneria, .essendo estranea al rapporto di concessione, non possedeva il potere di degradare le posizioni giuridiche soggettive che trovano il loro fondamento e la loro connotazione nell'atto concessivo e che solo l'ente concedente avrebbe potuto affievolire esercitando il proprio potere di revoca. È dunque certo che il « petitum sostanziale» della domanda non rifletteva i termini del rapporto di concessione (con la conseguenza di. escludere la giu 654 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO questo emesso, di un bungalow costruito dal ricorrente stesso su terreno concessogli, a suo dire, dall'Ente Maremma. Va osservato in proposito che, ai fini dell'attribuzione di una controversia alla cognizione del giudice ordinario piuttosto che a quella del giudice amministrativo, occorre indagare se, alla stregua delle norme che regolano la relativa materia, Ja posizione giuridica vantata dal privato sia di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo, onde stabilire se l'ordinamento giuridico gli attribuisca o no la tutela propria dei diritti soggettivi. Pertanto, l'indagine sulla giurisdizione si risolve nell'applicazÌòne del criterio, ormai costruite nella ~iurisprudenza di queste sezioni unite, desunto dall'esistenza o inesistenZa del potere della pubblica amministrazione di incidere sulla sfera giuridica del cittadino. Precisamente se la legge attribuisce all'amministrazione il potere di operare sulla posi-· zione soggettiva del privato, sacrificandola all'interesse pubbJico, la posizione giuridica del soggetto ·colpito non è di diritto soggettivo e può trovare tutela solo davanti al giudice degli interessi legittimi; se, per contro, la pubblica amministrazione non ha il potere di incidere sulla posizione giuridica soggettiva con l'atto che si denuncia come illecito, la posizione giuridica del cittadino conserva nella sua integrità, anche di .fronte alla pubblica amministrazione, quella tutela immediata e diretta che l'ordinamento, con le sue norme di relazione, accorda ai diritti soggettivi. Ora, la situazione giuridica nascente dalla concessione amministrativa di un bene si configura, anche nei confronti della pubblica amministrazione, come diritto soggettivo, assimilabile ai diritti reali di godimento su cosa altrui, sia pure con le peculiarità derivanti daLl'interesse pubblico che ne disciplina le modalità di esercizio e limita l'autonomia del concessionario, diritto che si affievolisce soltanto di fronte al potere di revoca, esercitato dall'amministrazione concedente. risdizione del T.A.R. prevista dall'art. 5 della legge n. 1034/1971), ma riguardava s_<;Jlt~to~!a ppsi:z.i<;Jne di dirJ~to s?g~ettixo ~el .,~W1c"'s~ioii:ario a~~~rso un provvedut; ento d1 una p.a. terza nei èonfrònh P-ella quiJJ,e M li~_surrie\'fa non lo scorrÌ:ifto esercizio di un p,otere esistente, ma l'L!lesiste:pza. stessa di ,tale potere_ Esclusa inoltre la rilevanza, a fini di disèriminazione giurisdizionale, di una rinnovazione tacita della concessione (v. Cass., sez. un., '28 giugno 1975, n. 2545, in Foro Amm., 1976, l, 1799) e della richiesta di annullamento del provvedimento di demolizione (perché il divieto di annullamento dell'atto· amministrativo imposto all'a.g.o. comporta soltanto che questo si astenga dall'emettere il provvedimento costitutivo; v. Cass., sez. un., 4 agosto 1977, n. 3454, Foro it., 1977, l, 2394) esattamente 1e Sezioni Unite hanno indicato l'a.g.o. quale giudice fornito di giurisdh.ione. Tale indicazione risulta configurata con limpida esattezza ed in completa assonanza con i principi consolidati: pertanto non può condividersi il rilievo -:.: ,(-:-: (v. BARONE, in Foro it., 1979, l, 1371) secondo il quale la decisione conterrebbe aspetti di incertezza derivanti da una risoluzione contingente. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 655 Nella specie il Bischeri, con l'affermare l'esistenza di una concessione fattagli sul bene de quo dell'Ente Maremma, persona giuridica pubblica, e con il wntestare il provvedimento, di demolizione della costruzione edificata su tale bene, emesso dalla Capitaneria di porto di Livorno, amministrazione diversa da quella concedente, ha da un lato dedotto una propria posizione di diritto soggettivo nascente dalla concessione fattagli dall'Ente predetto, dall'altro negato l'esistenza del potere dell'altra amministrazione di invadere la propria sfera attinente al diritto dedotto, assumendo all'uopo che il terreno de quo non rientra nel demanio marittimo. Sostanzià1mente, dunque, la controversia non riflette il rapporto di concessione (siocome ·conferma il rilievo che essa non verte tra il Bischeri e l'Ente Maremma), cosicché esula sotto questo aspetto la giurisdizione esclusiva del Tribunale amministrativo regionale, fissata in materia di concessioni dall'art. 5, legge 6 dicembre 1971, n. 1034; ma concerne una posizione di diritto soggettivo, nascente da una concessione. vantata dal privatò su un bene qualificato non demaniale e riguardo al quale viene contestato il potere di incidere di una pubblica amministrazione diversa da quella concedente: ciò che, alla stregua della regola innanzi ricordata, vale a determinare :la giurisdizione del giudice ordinario. Non rileva, poi, sotto il profilo della giurisdizione che esso abbia riconosciuto ·che la concessione era da tempo cessata e ne abbia implicitamente sostenuto la rinnovazione tacita, perché lo stabilire se la rinnovazione di una concessione può avvenire tacitamente, se, pertanto perduri il diritto soggettivo da essa nascente, costituisce, (cfr. Cass.• sez. un., 28 giugno 1975, n. 2545), questione di merito concernente la concreta esistenza del diritto, la quale non incide sulla giurisdizione. Nemmeno incidere sulla questione di giurisdizione la domanda di annullamento del provvedimento di demolizione, in quanto la giurisdizione del giudice ordinario, ove sussista ·in relazione alla posizione di diritto soggettivo fatta valere dal privato, non può essere esclusa, (cfr. Cass. sez. un., 4 agosto 1977, n. 3457; Cass., sez. un., 21 aprile 1977, n. 1465; Cass., sez. un., 8 febbraio 1977, n. 530), per il solo fatto che sia stata proposta domanda di annullamento di un atto amministrativo, poiché in tale ipotesi il divieto di annullamento, imposto dal giudice ordinario. comporta solamente l'obbligo del giudice medesimo di astenersi dall'emettere una pronuncia esorbitante dai suoi poteri, ma non anche il suo difetto di giurisdizione sulla domanda, esplicita o implicita, di accertamento. Alla stregua dei criteri e dei princìpi richiamati non può dunque dubitarsi della giurisdizione sulla controversia del giudice ordinario, che deve perciò essere dichiarata. -(Omissis). i l ll .. l 656 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 maggio 1979, n. 3017 -Pres. D'Orsi - Rel. Sgroi -P. M. Antoci -Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Cevaro) c. Villagarut (avv. Aliotta). Espropriazione per p.u. -Indennità di esproprio -Suscettibilità edificatoria dell'area -Assenza ,di piano regolatore -Esistenza di programmi di fabbricazione -Sufficienza -Concrete circostanze di effettiva fabbricazione. Anche in assenza di un piano regolatore, in forza del generale potere di regolamentazione dell'attività edilizia riconosciuta dalla legge ai comuni (legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 33), questi enti possono indicare i limiti di zona e le prescrizioni dei tipi edilizi propri di ciascuna zona in base al programma di fabbricazione, predeterminando così l'uso degli spazi e il vincolo a utilizzarli in aderenza alle caratteristiche precisate in relazione ai diversi usi (1). (Omissis). -Col primo motivo di ricorso l'amministrazione dei LL.PP. deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul punto della pretesa suscettibilità edificatoria dell'area espropriata, nonché violazione dei criteri in base ai quali tale suscettibilità va determinata (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.). La Corte di Palermo ha affermato la natura edificatoria dell'area per il solo fatto che essa era compresa nella zona di espansione del comune di Salemi, fin dal 31 dicembre 1955, giusta delibera consiliare di pari data, in tal modo incorrendo in errore giuridico, perché la zona di espansione non è un piano regolatore comunale (inesistente a Salemi) e da una semplice delibera comunale in cui era prevista ,una certa zona di espansione non è desumibile l'edificabilità diretta, che può affermarsi solo quando l'area è compresa in un piano regolatore. A conferma della edificabilità diretta, 1a sentenza ha elencato una serie di dati nei quali ha ravvisato .gli indici di edificabilità elaborati dalla giurisprudenza (il rilascio di licenze edilizie, la presenza di infrastrutture necessarie; il facile accesso tramite 'la statale n. 188 e la vicinale Giannuzzello; la contiguità del terreno ad altro, di proprietà dello Stato, su cui già esistevano varie costruzioni). Su tùtti i suddetti punti, peraltro, secondo l'amministrazione ricorrente, la motivazione è stata insufficiente e contraddittoria. (l) La giurisprudenza ha ritenuto, a prescindere dalle previsioni del piano regolatore, sufficienti indici di edificabilità quelli che si possono desumere da concrete circostanze di effettiva fabbricazione (rilascio di licenze edilizie, presen<-a di infrastrutture necessarie, facile accessibilità dalla strada, adiacenza a terreni già edificati): Cass., 30 maggio 1978, n. 2733. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 657 Il suddetto motivo è infondato. Sotto il profilo della violazione delle norme di diritto, come del resto ammesso dalla Ticorrente, si possono considerare solo le norme giuridiche che regolano l'attività edificatoria, ivi comprese quelle secondarie, e cioè la prescrizioni urbanistiche locali; infatti, gli altri indici, attinenti alla c.d. edificabilità indiretta, non sono dettati da alcuna norma giuridica, ma dalla logica che deve presiedere all'indagine di fatto sulla concreta edificabilità. Sotto il profilo di diritto è errato che solo dall'esistenza di un piano regolatore possa desumersi la destinazione edificatoria di un'area del territorio comunale, come zona destiriata nel piano all'espansione dell'aggregato urbano, a norma dell'art. 7 n. 2 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Anche in assenza di un piano regolatore, in forza del generale potere di regolamentazione dell'attività edilizia riconosciuto dalla legge ai Comuni (art. 33 legge citata), questi enti possono indicare i limiti di zona e le prescrizioni dei tipi edilizi propri di ciascuna zona; in base al programma di fabbricazione, che nella specie esisteva. Si tratta di una predeterminazione dell'uso degli spazi e di un vincolo a non utilizzarli se non in aderenza alle ·caratteristiche determinate, in relazione ai diversi usi prestabiliti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 1966, n. 792; Cons. Stato, sez. V, 13 maggio 1966, n. 754). Ci si riferisce alla legislazione vigente a gennaio 1968, che è l'unica Tilevante in causa, e non a quella avente effetto successivamente (legge n. 765 del 1967 e successive modifiche). Pertanto, esattamente la Corte di merito ha tenuto presente una delibera del cons,iglio comunale di Salemi che comprendeva il terreno in questione nell.a .zona di espansione a carattere residenziale popolare, ai fini dell'edificabilità. Per quanto riguarda il profilo della sufficienza di motivazione, la Corte di merito non è incorsa nel vizio denunciato, peTché ha tratto il suo convincimento dall'esame di un complesso di circostanze (il rilascio di licenze edilizie nella zona, nell'arco di 12 anni; la presenza delle infrastrutture necess!'l.rie, la facile accessibilità dalla strada, l'adiacenza a terreni già edificati) che la giurisprudenza ha costantemente ritenuto come indici di fabbricabilità concreta (Cass., 22 gennaio 1974, n. 172; Cass., 30 maggio 1978, J1. 2733, da ultimo). Ci:r,costanze che la ricorrente non riesce ad eliminare, ma solo a svalutare (per esempio, quando affermo che le licenze edilizie venivano utilizzate in concreto per un'attività edificatoria minore di quella autorizzava, il che non esclude l'edificabilità, ma dà una misura di essa, influente sul valore; o quando· non nega che nel terreno adiacente vi sia una stazione ferroviaria, e cioè una infrastruttura essenziale ai fìni dell'aggregazione urbana). In particolare, il giudice di merito non aveva :il dovere di prendere in esame argomentazioni basate su un evidente errore di calcolo (dividendo in mq. 31.736 per 200 non si hanno 15 lotti, ma 158, il che toglie RASSEGNA DElL'AVVOCATURA DELLO STATO 658 ogni efficacia all'argomento dell'amministrazione basata sull'eccesso di spesa per l'acquisizione del terreno, ai fini della costruzione); o sulla caratteristica delle strade di accesso, che per essere «statali o vicinali »,. non per questo perdevano il carattere di vie di comunicazione; o sulla mancanza di valore sintomatico della esistenza nelle adiacenze di costruzioni, quando queste erano concesse in locazione ed abitate, come ha accertato ,la Corte d'appello, o sulla mancanza di infrastrutture, invece, accertate dalla C.T.U. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 25 maggio 1979, n. 3018 -Pres. Ferrati -Rel. Corasaniti -P. M. (eone. conf.) -Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana (avv. Stato Ferri) c. Soc. «La Primavera » in n.e. (avv.ti Borrometi, Salemi). Competenza e giurisdizione · Sicilia -Opere di miglioramento fondiario • Mutuo agevolato • Concorso della regione siciliana nel pagamento degli interessi -Rifiuto del visto su stato di avanzamento Risarcimento del danno contro la p.a. · Improponibilità. (1. 5 luglio 1928, n. 1760; l. 27 ottobre 1966, n. 910). Rilasciato il nulla-osta ad un privato per il concorso nel pagamento degli interessi di mutuo agevolato per opere di miglioramento fondiario, nell'ipotesi in cui la Regione rifiuti di apporre il visto su uno stato di avanzamento di tale opere, non è configurabile un diritto soggettivo del privato ad ottenere dall'a.g.o. una pronuncia di illegittimità del rifiuto ed il conseguente risarcimento del danno (1). (Omissis). -La sentenza impugnata rilevò che il danno di cui la società « La primavera » aveva chiesto il risarcimento nei confronti dell'assessorato non era quello che sarebbe derivato, in ipotesi, dalla mancata emissione del provvedimento concessorio avente per oggetto il contributo al pagamento degli interessi previsto dalla legge n. 910 del 1966, provvedimento pur costituente il fine ultimo del procedimento amministrativo promosso dalla società all'assessorato e nel corso del quale era (l) Non risultano precedenti in termini. Correttamente la Corte di cassazione ha stabilito che il rifiuto del visto da parte della Regione -indipendentemente dagli effetti riflessi sull'autonomo rapporto di mutuo -deve essere riferito al procedimento amministrativo diretto al controllo dei presupposti per l'intervento finanziario e costituisce manifestazione di una attività funzionale della p.a.: pertanto in relazione a tale azione esistono soltanto posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 659 stato rHasdato il nulla osta. Se avesse avuto tale oggetto, la domanda -afferma la sentenza impugnata -non sarebbe stata proponibile davanti al giudice ordinario non potendosi disconoscere che pur dopo il rilascio del nulla osta, del resto rilasciato con l'espressa avvertenza che esso non importava impegno ai fini della concessione del contributo, ,altra situazione non era configurabile in capo all'istante che un interesse legittimo alla regolarità del procedimento concessorio, così come è per .qualsiasi ipotesi di concessione. Il danno di .cui era chiesto il risarcimento, era invece quello derivante dal rifiuto di apposizione del visto sugli stati di avanzamento, apposizione cui era subordinata, secondo il contratto di mutuo, la riscossione delle ulteriori rate dal mutuo. Individuato in tal modo l'oggetto della domanda e osservato che il rifiuto del visto, in quanto impediva, in relazione al meccanismo sopra ,cennato, l'erogazione delle ulteriori rate della somma mutuata, vale a ,dire l'attuazione del finanziamento da parte dell'istituto di credito, era idoneo a produrre danno indipendentemente dal fatto che esso comprometteva anche la concessione del contributo regionale al pagamento degli interessi, vale a dire la concessione del finanziamento pubblico in senso 'stretto (il mutuo, afferma la sentenza impugnata, era dato indipendentemente da tale contributo, tanto che Ie parti avevano previsto .l'eventualità che esso mancasse o fosse ridotto ed avevano regolato an, che in vista di tale eventualità i propri rapporti), la Corte del merito si pose il quesito se il detto rifiuto fosse lesivo di una situazione giuridica <li diritto soggettivo. E a tale quesito diede risposta affermativa in base alle seguenti <:onsiderazioni: a) che la normativa sul credito agrario (espressamente richiamata <!alle leggi sulle provvidenze per Io sviluppo dell'agricoltura in base alle .quali era stata richiesta la concessione del mutuo agevolato e cioè delle legge 27 ottobre 1966, n. 910 e 2 giugno 1961, n. 454), ed in particolare l'art. 15 del d.m. 23 gennaio 1928 (con cui fu approvato il regolamento ·di esecuzione del r.d.l. 29" Iuglio 1927, n. 1509 convertito nella legge 5 luglio 1928, n. 1760), prevede, per il caso di mutui somministrati rateaimente secondo un piano tecnico e finanziario, quale condizione per la somministrazione delle rate ulteriori, un «accertamento>> della regolare ,esecuzione delle parti del piano corrispondenti alle somministrazioni già fatte; b) che il <<visto>> dell'assessorato sugli <<stati di avanzamento>> si identifica nel detto accertamento ed ha pertanto natura tecnica e vinco lata, in quanto l'<< ente ed organo di controllo >>, cui esso è demandato, ,deve limitarsi a riscontrare se le opere eseguite siano quelle previste dal piano approvato (nella specie dal piano approvato col rilascio del nulla osta) senza operare alcuna valutazione ed in particolare quella, di 660 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO screzionale, se le opere rispondano all'interesse pubblico affidato alle cure dell'amministrazione stessa, o no: valutazione (che l'amministrazione compirà allorquando, in un momento ulteriore e finale, si determinerà se concedere o no le agevolazioni previste dalla legge (nella specie il concorso nel pagamento degli interessi); c) -che secondo la disciplina legale del procedimento per la con cessione prevista dalla legge il nulla-osta, rilasciato sulla base del piano approvato, si inserisce nel rapporto di mutuo stipulato fra l'istituto di credito e il privato istante, -cosicché l'attività vincolata che l'amministrazione spiega in sede di riscontro degli stati di avanzamento viene a toccare i diritti e gli obblighi nascenti dal mutuo. Ora il ricorrente assessorato della regione sostiene che le esposte considerazioni della Corte del merito ,sono erronee, così come erronea è l'intera interpretazione delle norme sul credito agrario e sulle provvidenze per lo sviluppo dell'agricoltura che esse sottendono e pertanto er,ronea l'affermazione, cui la Corte del merito pervenne circa l'idoneità del rifiuto di visto a ledere diritti soggettivi e circa la giurisdizione del giudice ordinario. Gli argomenti addotti dal ricorrente a sostegno della censura possono così riassumersi: a) l'accertamento della regolare esecuzione delle prime opere (cioè dell'esecuzione delle parti del piano tecnico finanziario cui sono commisurate le somministrazioni già erogate), cui si riferisce l'art. 15 del d.m. 23 gennaio 1928 per subordinare al risultato positivo di esso l'erogazione delle rate di mutuo successive in caso di mutuo rateale, è un accertamento che -compete all'istituto mutuante, e che questo, secondo il procedimento ivi stabilito per i mutui a somministrazione rateale (obbligatoria quando la natura delle opere o dei lavori comporti un impiego graduale delle somme mutuate) deve compiere per mezzo di ovgani propri o la cui attività sia ad esso riferibile; b) diversi sono gli atti e gli incombenti propri della pubblica amministrazione rin ordine alle provvidenze da essa erogate (prescritti: dagli artt. 52, 53 e 54 d.m. 23 gennaio 1958 per il contributo al pagamento degli interessi dei mutui agevolati previsto dall'art. 22 della Jegge n. 1760 del 1928; dagli artt. 34 e 35 deLla legge n. 454 del 1961 per il maggior contributo e per gli altri benefici prevtisti dagli artt. 9, 16, 19 e 27 della stessa legge; dall'art. 42 e dall'art. 53 della legge n. 910 del 1966 -il primo dei quali richiama gli artt. 34 e 35 della legge n. 454 del 1961, ed il secondo dei quali prevede la competenza della amministrazione regionale in luogo di quella dello Stato -per H maggior contributo e per gli altri benefici previsti appunto dall'art. 16 della stessa legge n. 910 del 1966); .··: PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIOIXI DI GIURISDIZIONE 661 c) tali atti ed incombenti si inquadrano nel procedimento amministrativo, preordinato alla concessione delle provvidenze e dei benefici sopra indicati, procedimento che è del tutto autonomo rispetto al rapporto contrattuale di mutuo anche se :si svolge in parallelo con esso, con la conseguenza che il soggetto istante peT l'ottenimento delle provvidenze e dei benefici sopra andicati non può vantare, rispetto al procedimento in parola, che interessi legittimi al pari di ogni soggetto aspirante ad una concessione, e che -l'amministrazione rimane estranea al rapporto contrattuale di mutuo; d) nel detto procedimento -che mette capo alla determinazione finale di concessione o di diniego di essa -si inquadrano, al pali degli altri atti ed incombenti specificamente previsti, sia il nulla-osta iniziale, con cui l'amminist·razione valuta l'ammissibilità al benefico delle opere o lavori in via preLiminare ed astratta, cioè sulla base della semplice programmazione (piano), sia il controllo diretto con cui l'amministrazione ai sensi dell'art. 54 u.p., del d.m. 23 gennaio 1928, può valutare in concreto la detta ammissibilità ad opere o lavori totaLmente compiuti (atto assimi•labile ad un collaudo finale), sia il cosiddetto visto sugli stati di avanzamento (atto assimilabile ad un collaudo parziale) col quale la amminristrazione pone in essere una mera anticipazione del cennato eventuale controllo diretto, valutando in concreto l'ammissibilità delle opere o lavori eseguiti fino ad un dato momento; e) in relazione al visto o al diniego di esso, dunque, non sono configurabili che interessi legittimi, trattandosi di atto teso al perseguimento dell'interesse pubblico la cui cura è affidata all'Amministrazione, e non rilevando in contrario la sua natura di accertamento tecnico, né il fatto che i contraenti abbiano suborctinato al risultato di tale accertamento posto in essere dall'amministrazione, estranea al contratto ed al rapporto contrattuale, esclusivamente per i propri fini di pubblico interesse -Ja somministrazione delle rate successive. La censura è fondata. In realtà, come è stato osservato, la sentenza !impugnata 11itenne che il diniego del visto fosse idoneo a ledere diritti soggettivi sulla società di due argomenti: l'uno desunto dalla natura di accertamento tecnico del visto, l'altro desunto dal supposto inserimento del visto, o meglio del l'attiwtà che in esso si esprime, nel contratto fra istituto mutuamente e mutuatario. Va osservato anzitutto che le due prospettive non sono obbiettivamente convergenti: Ja prima, infatti, concerne il procedimento pubblicistico concessorio; la seconda, invece, concerne il rapporto priva ti:stico contrattuale di mutuo fra H privato istante e l'istituto bancario autorizzato ad eserdtare il credito agrario..E •che altro sia l'iter del pro cedimento concessorio, altro lo svolgimento del rapporto contrattuale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 662 anche se essi corrano, in un certo qual modo paralleli, ed i rispettivi momenti vers~no in reciproca implicazione di fatto per la ragione che sia il concorso dello Stato nel pagamento degli interessi previsto dalla normativa sul credito agrario, sia quello, previsto dalle leggi n. 454 del 1961 e 910 del 1966, sono •concessi in relazione a mutui conclusi nelle forme prescritte per l'esercizio del credito agrario -è dimostrato dalle considerazioni del ricorrente come sopra esposte, le quali sono tutte da condividere. Ed in particolare è dimostrato non soltanto dalla distinta individualità e dalla diversa collocaz,ione topografica, nell'ambito del d.m. 23 gennaio 1928, delle norme riguardanti il mutuo e di quelle riguardanti il concorso, ma altresì dalla considerazione che, mentre questo è eventuale, le norme sulla conclusione e sull'esecuzione dei mutui agrari sono da osservare per se stesse come attinenti alle modalità ed agli strumenti mediante i quali deve essere esercitato il credito agrario, sottoposto a particolare disciplina da parte della legge (artt. 22, 32, 34 del r.d.l. 27 luglio 1927, n. 1509, conv. nella legge n. 1760 del 1928). La qual cosa, se è vera per la normativa riguardante il credito agrario (intesa prevalentemente a finalità inerenti alla regolamentazione e al governo del settore del risparmio e del credito e che considera il concorso nel pagamento degli interessi piuttosto come un beneficio per l'istituto mutuante che per il mutuatario: cfr. art. 52 d.m. 23 gennaio 1928) non è meno vera ed anzi è più evidente per la normativa concernente l'attuazione degli interventi pubblici per lo sviluppo dell'agricoltura (intesa specifioamente a finalità di incentivazione dell'attività produttiva nel ·Settore dell'agricoltura e che considera il concorso nel pagamento degli interessi nel quadro di provV'idenze concesse per la promozione della detta attività), normativa la quale presuppone la disciplina del credito agrario e rico1lega H beneficio ad operazioni di mutuo a tasso non SUiperiore a quello autoritativamente determinato (cfr. a·rt. 34 legge 2 giugno 1961, n. 454). Con l'ulteriore conseguenza che realmente la Corte del merito errò nell'identificare nell'accertamento, che l'istituto mutuante deve operare, deH'effettivo impiego delle somme anticipate per la realizzazione del piano delJ.e opere o dei lavori finanziati mediante il mutuo rateale quale •Condizione per la erogazione delle ·somme ulteriori, un'attività dell'amministrazione, quale quella che si esprime nel visto, da ricondurre invece al sistema dei controlli e delle verifiche che l'amministrazione ha il potere di compiere ai fini della regolarità di un'operazione di intervento pubblico. Del resto la stessa sentenza impugnata avverte la necessità di distinguere fra i due piani. Infatti da un lato essa ricollega la configurabHità di diritti soggettivi rispetto ·al << V'isto » (e pertanto la possibilità della lesione di tali diritti nell'ipotesi di rifiuto del medesimo) alla natura di accertamento tecnico, obbiettivo, propria del visto stesso, considerato dunque come atti d'autorità suscettivo di incidere ab extra sulla posi PARTE I, SEZ. Ili, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 663 zione della società « La Primavera », analizzato nella sua struttura, e ritenuto· idoneo, per la sua struttura, ad operare tale incidenza, con im· plicito richiamo alla nozione della responsabilità extra-contrattuale. Per altro verso la sentenza riferisce la Iesività del diniego del visto al sùo strt!tto collegamento col contratto di mutuo, attribuendo così al visto stesso e all'attività che in esso si esprime una funzione nell'ambito cfél rapporto contrattuale o dell'esecuzione del contratto, e ravvisando la le sività nel mancàto· adempimento a tale funzione con implkito richiamo, dunque, alla nozione della responsabiHtà contrattuale. Ma, anche a considerare separatamente le due ipotesi costruttive, la seconda, e cioè quella concernente un supporto inserimento del « visto )) nel rapporto contrattuale o nell'esecuzione del contratto (secondo l'an~ golazione della responsabilità contrattuale), è da respingere -per ~e ragioni già esposte, se formulata, come è formulata dalla sentenza impu· gnata, sulla base di un asserito inserimento è lege, e precisamente ex art. 15 d.l. 23 gennaio 1958. Ne d'altra parte essa potrebbe trovare accoglimento, atteso il carattere pubblicistico dell'attività che si esprime nel visto quale attività amministrativa di 'controllo e di verifica dei presupposti richiesti per la concessione dei benefici, se formulata sulla base di un asserito inserimento negoziale sotto forma di partecipazione del~ l'amministrazione al contratto di mutuo. E del pari, sempre per la stessa ragione, non .potrebbero essere utilmente delineate ipotesi di responsabilità contrattuale _fondate sull'affidamento dell'amministrazione di un incarico di verifica tecniCa da parte e nell'interesse .dell'istituto mutuante . (ipotesi, questa, non prospettata dall~attrice la quale altrimenti avrebbe convenuto ·in giudizio l'istituto mutuante), ovvero ~iùramdamen~o all'amministrazione di un incarico . di verifica teè.nica da parte e nell'in te· resse sia dell'istituto mutuante che del mutuatario (ipotesi, questa, di ,, perizia contrattuale» che neppure sembra prospettata). Quanto alla prima ipotesi, di asserita idoneità del (diniego di), visto, ancorché atto d'autorità, a ledere diritti soggettivi in considerazione della sua natura di accertamento tecnico (secondo l'angolazione della respon sabilità extra-contrattuale), è sufficiente ribadire che il visto (o il diniego di esso) è riferibile ad un'attività fu:n7lionale della p.a. volta a verificare che le opere o lavori giudicati in astratto ammissibili al concorso della regione nel pagamento degli interessi, si svolgano gradualmente in concreto in modo tale da presentare il requisito di ammissibilità e ·da costituire quindi valido presupposto del beneficio. Si tratta; cioè, di una forma di .controllo (recte: accertamento) interno al procedimento con cessorio e avente per oggetto la ricorrenza dei presupposti della conces sione, accertamento rispetto al q1;1ale sono configurabili, in chiunque ri vesta una posizione rientrante nell'area .del potere concessorio e sia pertanto esposto a subire gli effetti propri dell'esercizio del medesimo, 6 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 664 soltanto interessi legittimi. Né varrebbe opporre che la spoietà « La Primavera » oltre ad una siffatta posizione quale aspirante al beneficio, ne rivestiva . un'altra quale mutuataria in virtù di un contratto .contenente la dausola sopra considerata, sicché gli effetti dell'attività di rilascio o diniego del visto. erano suscettivi di incidere sui suoi diritti contrattuali verso l'istituto ~utuante. È agevole_ replicare che la paventata e denunciata incidenza risale in tal 'Caso non agli effetti propri dell'attività in parola, bensì al contratto che ricoHegava conseguenze nell'ambito di esso al risultato dell'attività stessa considerato come fatto obbiettivo. Dimodocché ·una responsabilità extra contrattuale dell'amministrazione sotto il profilo della lesione del credito sarebbe stata configurabile (attesa la più volte ribadita estraneità reciproca fra rapporto contrattuale e procedimento amministrativo e :la ascrivibilità al solo contratto di una influenza nel rapporto contrattuale del risultato dell'attività amministrativa) non già in relazione alla mera invalidità o illegittimità del diniego di visto sotto qualsiasi profilo (i vi compresi. quelli della non aderenza dell'accertamento a fatti obbiettivamente verificabi1i e del connesso difetto di motivazione), ma, eventualmente, in relazione ad un uso distorto della funzione, fatto al solo fine di indurre il mutuante all'inadempimento e di danneggiare <in tal modo il mutuatario. In accoglimento del ricorso va dunque negata Ja giurisdizione del giudice ordinario, cassandosi l'impugnata sentenza senza rinvio. (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 6 giugno 1979, n. 3183 · Pres. Novelli - Rel. Fabi -P. M. Ber11i éconcl. diff.) -Ministero della Pubblica Istruzione ed E.N.P.A.S. (avv. Stato Ferri) c. Cursi (avv.ti Cri!santi •. Mancini). Competenza . e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Indennità di buonuscita spettante a dipendente dello Stato -Giurisdizione dell'a.g.o. Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ovdinaria ed amministrativa Anticipato collocamento a riposo per benefici combattentistici . Giurisdizione del giudice amministrativo . . Spetta alla giurisdizione de~ giudice ordinario conoscere della domanda del dipendente statale diretta ad ottenere dall'E.N.P.A.S. l'indennità di buonuscita (1). (l) Giurisprudenza costante nel senso della massima. Vedasi per tutte, le sentenze citate in motivazione, Cass., 24 ottobre 1977, n. 4554, e 15 settembre 1977, n. 3971, mGiust. civ. Mass., 1977, ,1817 e 1612. .' PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 665 Spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo conoscere delle controversie concernenti l'anticipato collocamento a riposo in applicazione delle leggi sui benefici ai combattenti (2). (Omissis). -.Il prof. Giovanni Cursi conveniva in giudizio dinanzi al pretore di Bologna, quale giudice del lavoro,-il Ministero della Pubblica istruzione e l'E.N.P.A.S. Esponeva l'attore di essere insegnante di ruolo presso l'Istituto tecnico mercantile statale « G. Marconi » di Bologna, e di aver presentato in detta qualità domanda di collocamento a riposo invocando i benefici di cui alle leggi 24 maggio 1970, n. 336 e n. 824 del 1971 senza peraltro ottenere la emanazione del richiesto provvedimento e la conseguente liquidazione del trattamento di quiescenza. Chiedeva pertanto: a) in via preliminare, accertata la regolarità dell'istanza, darsi atto del diritto quesito a:l regime giuridico corrispondente all'immediato collocamento in pensione anticipata; b) .nel merito, affermata la competenza del giudice adito, dichiararsi tenuto e condannarsi I'E.N.P.A.S. a corrispondere all'istante la somma dovutagli per indennità di fine rapporto, con gli interessi di legge· a decorrere dal lo settembre 1974, nonché, a titolo di danno, i maggiori interessi correnti sul mercato bancario, nella mi sura da precisarsi in corso di giudizio e non inferiore all'8%; c) in subordine, previo controllo dell'attività amministrativa svolta dall'Ispettorato riscatto e pensioni del Ministero della PubbUca istruzione, in Roma, e del Provveditore agli studi di Bologna, nella ipotesi di omissioni o remore nell'applicazione della legge invocata dall'istante, dichiararsi tenuto e condannarsi l'ufficio o il funzionario in proprio, ai sensi e rper gli effetti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in relazione all'art~ 28 della Costituzione, al risarcimento del danno recato; d) in via istruttoria, previa nomina ed audizione dell'Istituto di assistenza sociale legalmente riconosciuto, e che sarebbe stato indicato, nominarsi consulente tecnico per la qualificazione definitiva del dovuto, sia ai fini liquidatori ·che pensionistici. Il tutto, con rifusione totale delle spese, dei diritti ed onorari. Nel corso del giudizio così instaurato ril Ministero e l'E.N.P.A.S., dopo avet eccepito, dinanzi al pretore adito, il difetto di giurisdizione del giu- In senso contrario la Corte dei conti ritiene che le appartenga la giurisdizione esclusiva in materia di indennità di buonuscita che, come la pensione, ha natura giuridica di retribuzione differita, v. Corte dei conti, se~. III, 16 febbraio 1977, n. 38J17, in NuOvo dir., 1977, 368, con nota di S. SPRECOLA. (2) Per i precedenti, v. Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 1976, n. 832, in Consiglio di Stato, 1976, I, 946, e Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 1976, n. 204, ivi, 1976, I, 539. In dottrina, cfr. VIRGA, Il pubblico impiego, Milano, 1973, 677. 666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dice ordinario a conoscere della controversia, hanno· proposto dinanzi a queste sezioni unite ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione. Resiste, mediante controricorso, il Cursi. ~OTIVI DELLA DECISIONE :{»ertanto l'assunto dei ricorrenti la pretesa fatta valere in giudizio (anticipato collocamento a riposo con i benefici concessi dalla legge n. 336 del 1970 e ,trattamento di quiescenza con riferimento alla pensione e alla indennità di fine rapporto esulerebbe dalla giurisçlizione del giuilice ordinario, anche nella veste di giudice del .lavoro e delle controversie in materia di previdenza e-ass!i.stenza obbligatorie. Sotto un primo pr<?filo, si soggiunge, perché il collocamento a riposo, cui l'impiegato ha diritto, consegua i suoi effetti giuridici, è necessario un provvedimento formale ·che ne accerti i presupposti. Orbene, mancando il provvedimento,· la domanda intesa ad ottenere una pronuncia· giudiziaìe in una sostituzione relativamente al collocamento a riposo è al riconoscil;nento dei diritti pensionistici.spetta, a norma dell'art. 62 del r.d. 12 luglio 1934 (t.u. delle leggi· sull'ordinamento della Corte dei conti), a!lla competenza giurisdizionale della Corte dei conti medesima.· Per ciò che concerne invece l'indennità di fine rapporto, cui è tenuto l'E.N.P.A.S. -traendo il relativo diritto titolo diretto e immediato dal rapporto di pubblico impiego -tale pretesa viene attratta neWàmbito della giurisdizione esclusiva amministrativa. Peraltro il giudice ordinario, pur nella ipotesi della natura previdenziale della controversia, non potrebbe verificare, neppure in via incidentale, la legittimità. della situazione consistente nel difetto di collocamento a riposo, traducendosi in tal .caso la ·pronuncia in una ingerenza diretta nel rapporto rj.servata specificamente, come si è detto, in via sostitutiva ad altra giurisdizione, e 11on essendo il;nmaginabile neppure un conco11rente esereizio di due giurisdizioni diverse per l'imprescindibile nesso genetico fra rapporto di pubblico impiego e rapporto previdenziale: il quale fa si che l'indennità di buonuscita non possa essere attribuita a favore del dipendente che, per difetto del collocamento a riposo, risulti tuttora in ·servizio. La deduzione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario ·è fondata soltanto in parte, mentre è inesatta la invocata. determinazione dell'autorità giurisdizionale cui· spetta, per lo stesso oggetto, la cognizione· della· controversia. E' opportuno precisare preliminarmente, nell'ambito di una impostazione logica che consenta di semplificare il problema giurisdizionale sfrondandolo degli aspetti di più agevole soluzione, come, secondo la PARTE I, SEZ: III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 667 più recente e. costante giurisdizione del giudice ordinario conoscere della domanda del dipendente _statale intesa ad ottenere dall'E.N.P.A.S. l'indennità di buonuscita dovutagli (cfr. fra le ahre, se:~;. nn., 24 ottobre 1Q77, n. 4554 e 15 settembre 1977, n. 3971). A fondamento di siffatto principio sono stati posti in rilievo ril carattere intrinsecamente previdenziale della indenn~tà medesima, l'aspetto soggettivo del rapporto (fra dipendente e E.N.P.A.S., e non fra dipendente e l'amministrazione cui esso appartiene), nonché l'autonomia del diritto, rispetto al quale il rapporto di pubblico impiego funge non già da momento genetico, ma da semplice parametro nell'amqito di un colle gamento estrinseco, e l'attività dell'amministrazione statale è semplicemente preparatoria. Può dunque affermarsi, quanto aHa doman:da del Cursi averita ad oggetto l'indennità, che essa appartiene alla giurisdizione del giudice or-. dinario, salvi i problemi di carattere meramente processuale che possano dipendere dalla necessità di accert;;trne incidentalmente i presupposti sostanziali (sent. cit. n. 3971 del 1977), o dalla pendenza di autonoma controversia al riguardo nella sede opportuna. La questione di giurisdizione si restringe così alle domande sub a) concèrnenti l'anticipato collocamento a riposo in applicazione delle leggi sui benefici ai combattenti, cui è condizionato il regime pensioni:stico conseguente .. E, a questo proposito, deve essere esaminato l'art. 62 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (t.u. delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti) secondo il quale: « contro. i provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione a carico totale o parziale dello Stato è ammesso il ricorso alle competente sezione. della Corte, la quale giudica con le norme di cui agli articoli seguenti. nonché le istanze dirette ad ottenere la sentenza che tenga lungo del Alla medesima sezione sono .d~voluti anche tutti gli altri ricorsi in materia di epnsione, che leggi speciali attribuiscono dalla Corte dei conti, decreto di collocamento a riposo o in riforma e dichiari essersi verificate nell'irppiegato de~lo Stato o nel militare •le condizioni dalle quali, secondo le leggi vigenti, sorge il diritto a pensione assegno o indennità (omissis) ». Questa norma va interpretata alla stregua del precedente art. 13, comma 13, çomma 12, e dell'art. 17 t.u. 21 gennaio 1965, n. 70, che ricollegano il diritto a pensione al decreto di collocamento a riposo, nonché con riferimento aH'art. 63 deNo-stesso r.d. n. 1214 del 1934, che fissa i termini .per l'istanza intesa ad ottenere la sentenza sostitutiva con decorrenza dal rifiuto del Ministero a emettere il decreto di collocamento a riposo dipenda a sua volta dalla applicazione delle leggi in favore degli ex combattenti, si potrebbe concedere che la ·giurisdizione spetti ancora 668 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla Corte dei conti ove Ia soluzione di quella questione (come il computo ad es., di un maggior periodo di servizio utile) influisca semplicemente sul ·calcolo della pensione e non sul rapporto di impiego e -sullo stato deH'impiegato (Cons. Stato, sec. IV, 29 marzo 1977, n. 278). Per converso, quando l'applicazione delle ·leggi medesime incidà invece su1lo status del dipendente, e sulla stessa durata del rapporto di impiego, in relazione alia cessazione del servizio •che si voglia anticipata, e quindi, in definitiva, sui modi e sui tempi dello svolgimento del rapporto, in tal caso -analogo alla specie -data la intrinseca e assoluta connessione fra i problemi predetti (applicazione delle leggi a favore degli ex combattenti -collocamento a riposo anticipato), e la loro diretta incidenza sul rapporto di pubblico impiego (che non renderebbe concepibile una pronuncia rmeramente incidentale al riguardo-fanno sì che la controversia sul diritto all'anticipato colilocamento a riposo di cui si è detto non possa essere sottratta alla giurisdizione amministrativa esclusiva, trattandosi di dipendente statale (Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 1976, n. 832), o al giudice ordinario, in caso di dipendenti da enti pubblici economici (sez. un., 14 ottobre 1971, n. 2896 e· 24 giugno 1976, n. 2352). Ciò, quanto al presupposto del riconoscimento del diritto a pensione genericamente invocato dallo istante. Per ~a indennità di buonuscita, poi, la cui domanda, in sé, spetta, come si è detto, aUa cognizione del giudice ordinario, la questione dell'anticipato ·collocamento a riposo da parte della p.a. rientra a maggior ragione nell'ambito della giurisdizione esclusiva, e non in queUa della Corte dei conti, posto che, data la natura previdenziale deUa indennità, esula comunque dalla controversia ogni problema di carattere :pensionistico. Questa Corte non è tenuta a pronuiJici:arsi sotto il profilo deHa giurisdizione in ordine alla domanda di risarcimento danni per responsabilità della pubbUca amministrazione o dei suoi dipendenti, trattandosi di istanza formulata su presupposto formulato in via del tutto eventuale; né in ordine a1He richieste istruttorie per la quantificazione del dovuto, dato l'assorbimento della pronuncia nella operata determinazione della giurisdizione. In conclusione, deve dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere della domanda di collocamento a riposo in applicazione delle leggi sui combattenti nonché la giurisdizione del giudice ordinario su quella intesa al conseguimento della indennità di buonuscita. -(Omissis). l··· PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 669 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 22 ottobre 1979, n. 5466 -Pres. Rossi -Rel. Seribano -P.M. Saja (Conci. conf.) Merli Nino (avv. CannadaBartoli) c. Procura Generale della Corte dei Conti e Ministero .,,del Tesoro (avv. Stato Carbone). Competenza e giurisdizione -Regolamento preventivo di giurisdizione Corte dei conti -Proposizione dopo l'udienza di discussione e prima della pubblicazione della decisione • Inammissibilità. E inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione proposto prima delia. pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti, ma dopo l'udienza di discussione sul relativo giudizio (1). (Omissis). -Con citazione del 20 agosto 1977 il Procuratore gene· rale deHa Corte dei conti ,conveiifl.e davanti alla medesima Corte il prof. Nino Merli, preside di scuola media statale della-provincia di L'Aquila, esponendo çhe lo stesso, eletto consigliere della Regione Abruzzo, aveva tardivamente richiesto il collocamento in .aspettativa, in violazione della prescrizione posta dall'art. l, legge 12 dicembre 1966, n. 1078, ed aveva continuato a ricevere per intero gli emolumenti a carico dell'ammiDi· strazione statale nel periodo dal 7 giugno 1970 al 31 ottobre 1971, percependo cosi illegittimamente [a complessiva somma di Hre 4.725.362; chie· se perciò che lo stesso fosse condannato al pagamento di tale somma in favore dell'erario. Costituitosi nel giudizio H Merli eccepì pregiudizialmente il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, contestò nel merito la fondatezza della domanda e ne çhiese il rigetto. Con sentenza del 6 febbraio 1978 la Corte dei conti dichiarò la propria giurisdizione e con separata ordinanza provvide sull'ulteriore corso del giudizio. Prima della pubblicazione di tale sentenza il Merli aveva proposto con ricorso del 7 gennaio 1978 istanza di regolamento preventivo cl,i giurisdizione. (l) Non risultano precedenti in termini per quanto riguarda H giudizio dinanzi alla Corte dei conti. Per il giudizio dinanzi al Consiglio di Stato -ma con motivazione generale e, perciò, applicabile comunque nei casi di momenti diversi. fra discussione della causa e pubblicazione della decisione -v. Cass., 3 giugno 1978, n. 2773, in Giust. Civ., 1978, I, 988, e, in dottrina, CAIANELLO, Lineamenti del processo amministrativo, Vtet, Torino, 1979, pag. 189, e ANDRIOLI, in nota a Cass., 20 dicembre 1972, n. 3632, in Foro it., 1973, III, 35. 670 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Resiste con controricorso il procuratore generale della Corte dei conti. )I ricorrente ha presentato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE In accoglimento deLla richiesta del procuratore generale di questa Corte Suprema va dichiarata·. l'inammissibilità· del ricorso per regolamento pre-yentivo di giurisdizione, avanzato dal Merli, perché proposto nella fase del giudice di primo grado compresa tra l'udienza di assegnazione della causa in decisione e la pubblicazione della sentenza. Mutando il proprio precedente indirizzo qùeste sezioni unite, hanno, infatti, recente'mente affermato, (sent. 3 giugno 1978, n. 2773), il'inammissjbHità del ricorso proposto in tale fase. A _questa conclusione le sezioni unite sono pervenute considerando essenzialmente che nel quadro del :problema non rileva che la sentenza, p~ima della pubblicaziòne, non esiste nella . sua configurazione tipica e non può spiegare gli effetti suoi propri, tanto più che la norma dell'art. l c.p.c., nel fissare il momento ultimo per J.à proposizione dell regolamento si riferisce, più che alla sentenza, alla decisione, la quale costituisce atto deliberativo sicuramente distinto dalla senrtenza stessa; che il punto centrale della questione consiste piuttosto nel riconoscere o negare alla parte ,Ja facoltà di incidere sul procedimento fino al punto di eliminare, per sua discrezionale iniziativa, dalla sfera del giuridicamente rilevante la. decisione già deliberata ancorché non anèora pubblicata; e che sotto tale profilo non può non tenersi presente che il vigente sistema processuale, pur avendo tra i prOpri cardini il principio dispositivo, ne circoscrive l'operatività entro invalicabili limiti: tra questi va annoverata la regola che impedisce di dare rillevanza a vicende discrezionalmente poste in essere dalla pa[lte (e non assoggettate. ad alcuna remora o controllo) al fine di spogliare della potestas decidendi il giudice che abbia trattenuto la causa per la decisione in quanto già tenuta la relativa udienza di discussione, al di là della quale ~a partè non può; per regola g~neralissima, minimamente influire su quella potestà. In aderenza àlle considerazioni esposte ed alla conclusione su.di esse fondate -pienamente meritevoli le une e l'aJltra di essere ·condivise deve quindi ritenersi che da quella udienza in poi sia interdetta alla parte la facoltà di proporre il regolamento: conseguentemente va dichiarata la inammissibilità del ricorso per regolamento preventivo di giurisdi zione proposto dal Merli prima della pubblicazione del[a sentenza della Cortè dei conti ma dopo/ l'udienza di discussione nel relativo giudi zio. (Omissis). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 671 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 25 ottobre 1979, n. 5575. • Pres. Sbrocca -Rel. Ruperto -P.M. Gambogi (cond. conf.) • Azienda Au:tonoma F.S. (avv. Stato De Francisci) -c. Gallori Eziò e Pazzelli Giannetto (avv. Proto Pisani e Manfredini). Competenza e giurisdizione • Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Procedimenti urgenti ex art. 700 c.p;c. in materia appartenente alla giurisdizione del gi~dice amministrativo • Difetto di giurisdizione dell'a.g.o. (art. 700 c.p.c.; l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, -art. 4). Il pretore non ha giurisdizione ad emettere provvedimenti urgenti ex. art. 700 c.p.c. nelle .materie riservate alla _giurisdizione del giudice ammniistrativo (l). (Omissis). -Con ricorso depositato il 7 aprile 1976 Ez1o Gallori e Giannetta Pazzelli, dipendenti dell'Azienda autonoma F.S. nel ruolo del personale di macchina, esponeva al pretore di Firenze, in funzione di giudice del Lavoro, che il periodo di tempo in cui detto personale viene lasciato << disponibile » a casa, per averne utilizzazione in servizio, non 1 viene dall'amministrazione ferroviaria 'considerato come .orario di lavoro e quindi retribuito. Sostenevano che venivano così violate, sia le norme della legge 13 agosto 1969; n. 591, sull'orario di 'lavoro del personale dell'Azienda autonoma F.S., sia la norma dell'art. 2087 c.c. sulla tutela delle condizioni di lavoro, sia le norme costituzionali sul diritto ad ·una retribuzione adeguata. Chiedevano, quindi, che venisse dichia (l) Non constano precedenti in termini. Già in precedenza Ja· Corte Suprema (cfr. Cass., 24 febbraio 1975, n. 693, in Giust. civ. Mass., 1975, -317) aveva affermato che la giurisdizione spettante ad ·un determinato g~udice in ordine alla· domanda principale, si estende necessariamente alla domanda di procedimento cautelare proposta nello stesso processo, ·sempre che fra le domande stesse esista un preciso vincolo strumentale consistente nell'identificazione della tutela provvisoria e cautelativa con quella perseguita in via definitiva. Peraltro va osservato che il tema qui deciso è di assai più ampio respiro rispetto a quello precedente perché diretto a risolvere un attuale e grave problema: quello, cioè, di un'eventuale giurisdiLione generale del giudice civile l adito ex art. 700 c.p.c. ad emettere provvedimenti d'urgénza (specie anticipatori l della decisione di merito) in materie appartenenti alla giurisdizione di altri giudici. l La presente decisione, in quanto correttamente ed autorevolmente risolve l in senso negativo·. tale quesito, è destinata a mettere fine ad un diverso indirizzo giurisprudenziale di alcuni pretori i quali -specie in vertenze attinenti al pubblico impiego -avevano tentato di sovvertire ogni ordine giurisdizio l nale mediante l'applicazione del citato art. 700 c.p.c. anche a controversie appartenenti alla giurisdizione del giudice amministrativo. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 672 · rata l'illegittimità di una siffatta regolamentazione, prevista solo da circolari, nonché la nullità dei provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti a motivo della condotta assunta al riguavdo, e che venisse ordinato all'amministrazione di astenersi in futuro dal non constderare lavorato il periodo di disponib1lità, con eventuale rimessione degli atti al p.m. in caso di riscontrata esistenza di reato per violazione dei limiti dell'inderogabilità sull'orario di lavoro. Il pretore fissava l'udienza di discussione, in 'cui compariva l'Azienda autonoma delle F.S., la quale eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione, chiedeva la sospensione del provvedimento dichiarando d'aver proposto ricorso per regolamento della giurisdizione,· e comunque impugnava nel merito la domanda. Che tale ricorso, regolarmente not1ficato e depositato, l'azienda chiedeva infatti che le sezioni unite dkhiarassero il difetto di giurisdizione dell'A1g.o., spettando la cognizione della controversia al giudice amministrativo. Intanto Galloni e Pazzelli, con altro riiCorso depositato 'Ìil 26 aprile 1976, chiedevano allo stesso giudice del lavoro, ai sensi degli artt. 700 e 701 c.p.c., l'adozione dei provvedimenti·d'urgenza e cautelari idonei ad assicurare gli effetti della decisione di merito, attraverso l'ordine delle F.S. di àstenersi, sotto comminatoria della sanzione penale di cui all'art. 388, secondo comma, c.p., dal considerare come nolll lavorato il tempo di c.d. disponibilità e la 'Conseguente ingiunzione di rimuovere gli effetti deile illegittime sanzioni disciplinari inflitte ai ricorrenti. L'Azienda autonoma presentava allora nuovo ricorso per regolamento di giurisdizione con riguardo all'ulteriore provvedimento instaurato da Gallori e Pazzelli, procedimento che perciò veniva sospeso dal pretore ai sensi dell'art. 367 c.p.c. A·quest'ultimo ricorso resistevano con controricorso Gallori e Pazzelli, eccependone preliminarmente l'inammissibilità e chiedendo poi in via ·gradata; a) la declaratoria d'illegittimità de1la sospensione disposta dal pretore; b) la declaratoria della sussistenza della giurisdizione del. giudice ovdinario; c) la rimessione degli atti alla Corte costituzionale perché si pronunci sulla 'Costituzionalità degli artt. 41, 367 e 700 c.p.c. illl quanto irtterpretabili in senso contrao:io a tali richieste. ~OTIVI DELLA DECISIONE Vann0 anzitutto riuniti i distinti procedimenti instaurati a seguito della presentazione delle due istanze di regolamento da parte dell'Azienda autonoma della F.S.; istanza che, peraltro debbano essere prese in separato esame, come appresso. Orbene,-con la prima, la ricorrente Azienda autonoma ha chiesto la declaratoria del difetto di giurisdizione deU'a.g.o. a pronunciare sulle do PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 673 mande proposte àa Gallori e Pazzelli col ricorso al pretore del 7 aprile 1976. A tale istanza non hanno resistito in questa sede gli stessi Gallori e Pazzelli, .che, come precisato in narrativa, hanno controricorso solamente avverso la seconda istanza di regolamento. Essa è pienamente fondata, alla stregua dell'ormai consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, secOIIdo cui Ja giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende a tutte le controversie derivanti dal rapporto d'impiego pubblico, ogni qualvolta la pre.tesa dedotta in giudizio trovi comunque il suo titolo nel rapporto stesso, nel senso che questo funzioni da momento genetivo ed immediato deUe situazioni soggettive che si assumono lese dall'ente. E non è minimamente dubitabile che nella specie le domande degli attori attengono a situazioni nascenti in modo diretto ed immediato da un rapporto di pubblico impiego. Il che basta, dunque, anche a prescindere da ogni aUra possibile considerazione, per dichiarare la giurisdiziOIIe esclusiva del giudice· amministrativo a conoscere delle domande stesse. Con la seconda istanza di regolamento, poi, l'Azienda autonoma ha chiesto che i·l difetto di giurisd~zione venga dichiarato pure relativamente alla domanda proposta ex art. 700 c.p.c. davanti allo stesso pretore da Gallori e Pazzelli. Questi ultimi hanno pregiudizialmente eccepito ~'inammissibilità di tale istanza, sostenendo che l'istituto del regolamento di giurisdizione non è applicabile ai procedimenti d'u1.1genza. Ma l'eccezione va disattesa, in conformità al costante orientamento di queste Sezioni Unite, per il quale la normativa sul regolamento preventivo di giurisdizione non è affatto incompatibile con quello sui procedimenti cautelari. Le ragioni addotte in contrasto dagli eccipienti, tanto meno valgono nella Stpecie, in quanto i provvedimenti urgenti sono stati richiesti da Gallori e Pazzelli nel ·corso di un giudizio di merito già da loro instaurato, per cui nessun pregio ha il richiamo da loro fatto alla formula dell'art. 41 c.p.c., che -come essi hanno tenuto a sottolineare -« paria solo di causa di merito in primo grado ». Né una volta disattesa detta ecceziOIIe pregiudiziale, può esser presa in considerazione la subordinata richiesta dei controricorrenti di « di chiarare l'illegittimità della sospensione ex art. 367 del procedimento d'urgenza ». Il problema della sospensione, infatti, riguarda esclusiva mente H giudice che l'ha disposta, cioè il pretore, non involgendo una questione di giurisdizione, come queste sezioni unite hanno già altre volte precisato. Quindi, si deve senz'altro passare. all'esame dell'istanza di regolamen to e stabilire se il pretore abbia giurisdizione ad emettere provvedimenti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 674 d'urgenza ex art. 700 c.p.c. anche nelle materie riservate a\lla giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo, come sostengono i controri correnti in via ancora più subordinata, ovvero ne sia carente, come in vece sostiene l'Aziendà autonoma. Ebbene, a stregua dei princìpi generali più volte enunciati da queste . sezioni unite, la sol!llZione da accogliere è· la seconda. · Quando, infatti, come nella specie, la tutela giuridica perseguita in· via provvisoria e cautelare &i identifichi con queLla perseguita in via definitiva attraverso il giudizio di merito, è chiesto che il richiesto prov vedimento giudiziale d'urgenza viene a tradursi inevitab~lmente nella revoca,. sia pure di carattere temporaneo, d'un atto amministrativo e nella imposizione d'un ·facere alla p,a.: conseguenze, queste, che ovvia~ .mente infrangerebbero il divieto sancito dall'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Ragion per .cui è stato già ritenuto che, ove sussista il suddetto nesso tra la domanda d'un ;provvedimento cautelare e la domanda principale di merito, la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla seconda si estende necessariamente· aLla prima (sez. un., 24 febbraio 1975, n. 693), escludendo quella del giudice ordinario. Nessuna rilevanza in contrario, con riguardo aHa fattispecie in esa me, può attribuirsi alla constatazione che in sede di giurisdizione am ministrativa non. sono ammessi i provvedimenti ex art. 700 c.p.c.; costi tuendo ciò una nart:urale conseguenza delle peculiari caratteristiche della giurisdizione amministrativa rispetto a quella civile, e realizzando cia scuna delle due nel modo voluto dal legislatore la tutela dei rapporti giuridici ad essa devoluti. Né vale obiettare -come fanno i controri correnti -che,· così interpretata, la norma dell'art~ 700 c.p.c. verrebbe a contrastare con g;li artt. 3, 24 e 36 Cost., per cùi andrebbe sollevata allora la relativa questiont; di Jegitt1mità còstituzionale. La diversa natura del rapporto d'impiego pubblico, infatti, rispetto al rapporto di lavoro privato, così come spiega il deferimento delle re lative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministra tivo, (con i conseguenti pa<rticolari benèfid che ne conseguono), spiega anche, e giustiH.ca a liveLlo costituzionale, la non estendibilità aHa tu tela nella sede della giurisdizione amministrativa, di particolari strumen ti propri della giurisdizione del prO'Cesso civile; senza quindi che si possa ritenere violato in alcun modo il principio di· eguaglianza o H diritto dell'impiegato pubblico alla difesa giurisdizionale e, tanto meno, quello alla retribuzione .garantita dall'art. 36 Cost. Anche la seconda istanza dell'Azienda autonoma è dunque fondata, e va perciò dichiarato il difetto di giurisdizione dei giudice ordinario a conoscere deHa domanda proposta col ricorso del 26 aprile 1976 da Galloni e Pazze1li. -(Omissis). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 675 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 novembre 1979, n. 6009-Pres. Rossi -Rel. Scribarno -P. M. Saja (conci. diff.) -Bolino GiuseP-Pe (aw. Cannada -BartoJi) c. Corte dei Conti (arvv. Stato Carafa). Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Corte dei conti -Richiesta di aspettativa obbligatorià del dipendente pubblico per mandato regionale ed illegittimo cumulo di emolumenti Giurisdizione del giudice aministrativo: non sùssiste. (r.d, 18 novembre 1923, n.· 2440, art. ~3; r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 52). A determinare la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità per danni si richiede il concorso dei tre .seguenti elementi: · che il danno sia lamentato dallo Stato, da un ente territoriale rf!inore o .da un altro ente pubblico non economico; che sia chiamato a rtspon. derne un soggetto legato all'ente da un rapporto d'impiego o di servizio; .che il danno sia stato arrecato nell'esercizio di un'attività, commissiva -od omissiva, connessa a "tale rapporto. Per quanto riguarda quest'ultimo elemento, l'attività commissiva od -omissiva, connessa al rapporto d'impiego o di servizio e dedotta quale causa del danno, va intesa nell'ampio e generico sifinificato di attività funzionalmente connessa al relativo rapporto, comprensivo quindi sia .delle attività che costituiscono diretta esplicazione della funzione propria del rapporto d'impiego o di servizio, che _di quelle le quali rivestono . . caratte;re strutturale, quale è la percezione della retribuzione spettante in relazione alle funzioni (1). (Omissis). -Con citazione del 12 dicembre 1977 il procuratore· generale della Corte dei conti convenne davanti alla medesima Corte il yrof. Giuseppe Bolino, preside di scuola statale di istruzione secondaria -della provincia di L'Aquila, esponendo che lo stesso, ·eletto consigliere della regiqne Abruzzo, aveva tardivamente richiesto il collocamento in aspettativa, in violazione della prescrizione posta dall'art. 1 Jegge 12 di ·cembre 1966, n. 1078, ed aveva continuato a ricevere per intero gli emolumenti a carico dell'amministrazione .statale nel periodo dal 7 giugno 1970 al 30 settembre 1973, peocependo così il:legittimamente la comples- siva somma di L. 13.147.209; ·chiese perciò che lo stesso fosse condannato .al pagamento di tale somma in favore dell'erario. (l) Non risultano precedenti in termini: per riferimenti cfr._ Cass., sez. llll., 8 ottobre 1979, n. 5184. · Il caso di specie si presentava particolarmentè incerto trattandosi di valutare se dalÌa mancata richiesta di· cui una aspettativa obbligatoria, potesse derivare per il pubblico dipendente la responsabilità per danni nei .confronti -dello Stato datore di lavoro e non la normale· azione di ripetizione delle somme erroneamente corrisposte dalla p.a. · RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 676 Costituitosi nel giudizio il Bolino contestò la fondatezza della domanda e ne chiese il rigetto. Nel corso del relatirvo procedimento lo stesso ha proposto istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, illustrata con memoria. Resiste con controricorso il procuratore generale della Corte dei conti. ~OTIVI DELLA DECISIONE Con J'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione il Bolino contestava la competenza giurisdizionale della Corte dei conti, rilevando che al giudizio promosso nei propri confronti ha come petitum la restituzione di stipendi ed indennità connesse, e•come causa petendi l'asserita natura obbligatoria dell'aspettativa in considerazione della non cumulabilità della carica .di consigliere regionale con la situazione giuridica di dipendente statale in servizio, ed assumendo che pertanto la controversia attiene al suo stato di pubblico impiegato in relazione alla carica di consigliere regionale; cosicché è devoluta al giudice amministrativo, cui •COmpe_te decidere drca la ripetizione di somme che l'autorità amministrativa ritenga illegittimamente 'corrisposte e percepite dai suoi dipendenti. L'assunto è infondato. In materia di responsabilità p€r_danni dei pubblici impiegati verso lo Stato, la giurisdizione della Corte dei conti trova il suo fondamento nella norma dell'art. 83, primo comma, r;d. 18 novembre 1923, n. 2440 (norme sull'amministrazione del patrimonio e sulla ·contabilità delJo Stato); la quale dispone appunto che sono assoggettati a tale giurisdizione gli impiegati che per azione o omissione, anche solo colposa, nell'e§ercizio delJe loro fun;doni abbiano cagionato danno allo Stato; ed è riaffermata daJla disposizione dell'art. 52, r.d. 12 luglio 1934, n. 1274 (ordinamento della Corte dei conti), in cui si stabilisce la sottoposizione alla giurisdizione della Corte dei conti dei funzionari, impiegati ed agenti, civili e militari, che nell'ese:rdzione delle loro ,funzioni, per azioni od omissioni imputabili anche a sola colpa o negligenza, cagionino danno allo Stato. Tale giurisdizione è stata ribadita dalla norma delll'art. 103, secondo comma, Cost., la quale -come queste sezioni unirt:e hanno osservato con la sentenza 20 luglio 1968, n. 2616, e con la sentenza 5 febbraio 1969, n. 363 -non ha voluto soltanto garantire' la Corte dalla revisione prevista da1la sesta disposizione transitoria riguardo agli organi speciali di giurisdizione, Ì:na anche innovato rispetto alla legis~azione anteriore, riconoscendole una competenza. generale nelle materie di contabilità pubblica, intesa tale nozione come comprensiva di tutti i rapporti relativi al pubblico denaro, «inclusi quelli di responsabilità per danni nel rap PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 677 porto interno di impiego o. di semplice servizio, connessi a!lla gestione finanziaria o patrù.moniale svolta dall'amministraziorie dello Stato o di qualsiasi ente pubblico ». Ulteriormente precisando la regola enunciata da!lle decisioni citate e dalla sentenza 18 luglio 1979, n. 4244, queste sezioni unite barino affermato, cori la recentissima pronuncia 8 ottobre 1979, n. 5184, che a determinare la giu:nisdizione deHa Corte dei conti in materia di responsabilità per danni si richiede dunque il rconcorso di tre elementi: vale a dire che il danno sia lamentatg_ d<l!llo Stato, da un ente territoriale minore o da un altro ente pubblico non economico; che sia chiamato a l'isponderne un soggetto legato all'ente da un rapporto d'impiego o soggetto legato all'ente da un rapporto d'impiego o anche di semplice servizio, e che il danno sia stato arrecato· nell'esercizio di un'attività, commissiva od omissiva, connessa a tale rapporto. Nessun dubbio sulla sussistenza nella specie dei due p'I1imi requisiti; esige invece al·cune precisazioni, particolarmente in rapporto all'assunto del ricorrente, 'l'ultimo elemento. Innanzi tUtto conviene osservare ·che l'attività, commissiva Od omissiva, connessa al rapporto d'dmpiego o di servizio e. dedotta quale causa del danno, va intesa (come queste sezioni unite hanno rilevato èon decisione 6 •luglio 1979, n. 3976), i:n aderenza all'efficacia espansiva, innanzi ricordata, conferita dalla norma costituzionale alla discipld.na persistente, nell'ampio e generico significato di attività funzionalmente connessa al rapporto d'impiego o di servizio, comprensivo quindi sia delle attività che costituiscono diretta esplicazione della funzione propria del rap. Porto d'impiego o di. servizio, che di quelle le quali rivestono carattere strumentale per l'esercizio della funzione stessa, ovvero -conviene ora aggiungere -carattere strutturale, quale è la percezione della retribuzione spettante in relazione aMe funzioni. Deve rpoi precisarsi che la .natura stessa dell'azione di responsabilità postula la deduzione a suo fondamento di un'attività illecita del sogget to, cui viene addebitata la violazione di norme giuridiche e l'inosser vanza di doveri inerenti alla funzione. Proprio J'esistenza di una siffatta attività costituisce l'estremo che vale a qualificare l'azione attribuita alla competenza della Corte dei conti ed a diversificarla, qruando ne sia og getto la !Testituzione di somme assunte come indebitamente percepite dal pubblico dipendente, da quella devoluta invece alla cognizione del giudice amministrativo. Non contrasta quindi, con la soluzione adottata la costante affermazione, da parte del Consiglio di Stato deUa giurisdi zione dei tribunali amministratrivi regionali e di quella propria sulla controversia aventi come oggetto il recupero di somme indebitamente corrisposte dallo Stato ai suoi dipendenti .per effetto del rapporto di pubblko impiego. 678 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Va infuie ri·levato che indubbiamente l'accertamento della responsabilità del ·Bolino impone un'indagine suòhla posizione dell'impiegato statale elet.to consigliere regionale al ·fine di stabilire se il Bolina stesso avesse O no l'obbligo di chiedere il collocamento in ~;tspettativa, e pertanto se, avendo omesso di farlo, violò o no i doveri. inerenti al suo stato: esige; cioè, un accertamento su un punto che concerne lo status dell'impiegato pubblico e che attiene . quindi al rapporto di pubbJico impiego. Ciò non comporta, però, l'esclusione sulla controversia della competenza giurisdizionale della Corte dei conti per essere la materia del rapporto di pubblico impiego attdbuita alla giurisdizione esclusiva del giudice ammiriistrativo. Di vero la predetta indagine concretizza una questione pregiudiziale, costituendo la sua soluzione antecedente logico necessario per 'la decisione della controversia, che potrà essere risoluta dalla Corte dei conti nella forma dell'accertamento incidentale previsto dall'art. 34 c.p.c., {il quale lo disciplina solo per particolari aspetti), poiché tale istituto riveste nelJ'ordinamento processuale carattere generale ed è quindi utilizzabi!le pure nei g1udizi innanzi ai giudici speciali, (come questo Supremo Collegio, ha ripetutamente precisato: sent. 10 gennaio 1970, n. 62; s.ent. 15 maggio 1952, n. 1403; sent. sez. un., 28 marzo 1949, n. 689), e particolarmente nei procedimenti. contenziosi davanti alla Corte dei conti, anche in forza del generko rinvio,· espresso dall'art. 26, r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, (regolamento per la: procedura nei giudizi innanzi a:lla Corte dei conti), aiJle norme della procedura civile. Conseguentementè deve rigettarsi il ricorso ed affermarsi la giurisdizione della Corte dei conti. -(Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1978, n. 2989-Pres. Carne vale -Est. Lipari -P. M. Caristo (conci. conf.) -Barilla (avv. G. Gua rino, Casella) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Marzano). Cambio e valuta -Rientro dei capitali -« lus superveniens » -Cessazione della materia del contendere -Esclusione. Cambio e valuta -Infrazioni valutarie -Procedimento amministrativo di accertamento -Vizi -Irrilevanza nel giudizio avanti n giudice ordinario. Cambio e valuta -Rientro dei capitali -Effettuazione da parte di trasgressore già scoperto -Sanzioni amministrative -Applicabilità. Lo ius superveniens, costituito dalla normativa sul rientro dei capitali, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio relativo alla legittimità delle sanzioni irrogate per infrazioni valutarie, presupponendo che il giudice accerti la sussistenza della fattispecie e la incidenza su di essa della sopraggiunta normativa (1). Gli eventuali vizi del procedimento amministrativo di irrogazione delle sanzioni per infrazioni valutarie sono irrilevanti nel successivo giudizio di impugnazione avanti il giudice ordinario (2). L'inapplicabilità delle sanzioni amministrative prevista a favore di chi abba effettuato il rientro dei capitali illecitamente esportati non opera nei confronti dei trasgressori cui siano già state contestate le infrazioni valutarie, indipendentemente dall'avvenuta emissione o meno del decerto ministeriale di irrogazione delle sanzioni (3). (Omissis). -2. -La Corte d'appello di Bologna, con l'impugnata sentenza, in accoglimento del gravame dell'amministrazione, ha condannato (1-3) Sull'importante principio, in senso contrario, App. Torino, 31 marw 1978, in Foro it., 1978, I, 1022, con nota di richiami. V. anche MALINVERNI, Reati valutari, 1978; PECORELLA, I reati valutari, 1978. Si riporta qui la memoria depositata nell'interesse del Ministero. Infrazioni valutarie e successivo rientro di capitali. l. -La inammissibilità o la infondatezza dei motivi di ricorso con i quali si è ex adverso tentato di invalidare la decisione di secondo grado sono state già denunciate in sede di controricorso, anche con richiamo a quanto già 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 680 Pietro Barilla al pagamento de1la pena pecuniaria di lire 3.350.000.000 inflittagli dal ministro del tesoro per accertare infrazioni valutarie. Arvverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il trasgressore, precisando di avere provveduto, nelle more dei termini di impugnazione, ed al fine di determinaTe l'inapplicabilità della sanzione amministrativa, agli adempimenti di cui altl'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 (nel testo modificato dalla legge 8 ottobre 1976, n. 689); ed ha depositato in udienza i relativi documenti probatori. L'Avvocart:ura dello Stato eccepisce preliminarmente la carenza di interesse del Bal1i1la a censurare la sentenza d'<l!Ppello per il fatto stesso· di aver dedotto la sopravvenuta cessazione della materia del contendere; ma tale eccezione non ha giuridico fondamento. La cessazione della materia del contendere opera sul piano dell'interesse ad agire, di oui costituisce una proiezione l'interesse a ricorrere che Pispetto ad una situazione di soccombenza non può escludersi, anche di fronrte ad eventuali fatti di· cessazione da far necessariamente con· stare nel processo per evitare che si formi il giudicato sulla sentenza sfavorevole. Non può quindi condividersi ·l'assunto dell'Avvocart:ura (ohe del resto non vi ha insistito nella memoria e neHa discussione orale) secondo cui il ricorrente che fa precedere il ricorso dalla deduzione di una ipotesi di •cessazione della materia del contendere, allegando H documento probatorio del fatto medesimo, per dò stesso dimostri per tabulas di nòn avere interesse a censurare la sentenza di appello sfavorevole, dato che dedotto nelle difese del giudizio di merito, ed in particolare nella comparsa conclusionale di appello; e sia del controricorso sia di tale comparsa conclu sionale può essere quindi opportuno fornire copia anche agli altri componenti del collegio, evitandosi di commentare nuovamente la speciosa impostazione difensiva ab initio adottata dal ricorrente. Considerato che il giudizio dinanzi al giudice ordinario è volto appunto ad accertare o ad escludere la sussistenza del fatto per il quale è stata com minata .la pena pecuniaria, è quanto meno singolare, del resto, che il ricor rente, pur deducendo ·egli stesso di aver provveduto a far rientrare in Italia i capitali per la cui accertata disponibilità all'estero è stata applicata la san zione amministrativa in discussione, pretenda al tempo stesso di persistere nella contestazione della pretesa vantata dall'amministrazione, quasi che la sua « confessione , potesse assumersi rilevante soltanto se ne possa derivare, come sostiene il ricorrente, la inapplicabilità della comminata sanzione, e non invece per l'accertamento delle trasgressioni contestate: riLievo che consente invero di :dtenere superata ogni possibile contestru..ione sulla .sussistenza dei fatti addebitati al ricorrente (e quindi sulla legittimità del provvedimento mi nisteriale con il quale è stata comminata la pena pecuniaria in discussione) e consente quindi anche di prescindere da ogni ulteriore confutazione dei motivi di ricorso ex adverso dedotti nel merito. 2. -Brevi considerazioni possono risultare inveée opportune, iin questa sede, relativamente alla nuova ed ulteriore questione alla quale il ricorrente ha in PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CI\i ILE 681 solo impedita da!J'impugnazione la formazione del giudicato potrà operare nel giudizio di cassazione l'asserito evento di cessazione. 3. -Ma non pare al collegio che una impostazione in termini di cessazione della materia del contendere sia esatta. La cessazione della materia del contendere compo11ta la radicale eliminazione del dovere del giudice di pronunciare sulla fondatezza o sulla infondatezza ancora prima ohe del ricorso della stessa domanda, stante il venir meno dell'interesse del ricorrente ad una decisione sul contenuto del ricorso; e si verifica quando nel corso del processo viene ad estinguersi la situazione giuffdica posta a base della domanda, e quindi la domanda stessa. In questo caso la funzione del giudice non è più necessaria perché oggettivamente si è elisa la materia rispetto alla quale si contendeva, si è svuotato di contenuto il tema della lite, determinando la chiusura del procedimento senza decisione di merito. Ma nel caso di specie il merito della causa arttiene alla verifica della legittimità dell'irrogazione della sanzione pecuniaria per infrazioni valutarie. Secondo il -ricorrente .n comportamento conforme alla norma sopravvenuta, rendendo inapplicabile detta sanzione, svuoterebbe di contenuto il relativo giudizio in termini preliminari ed assorbenti rispetto alla stessa valutazione dei mortivi di ricorso. Vero è, all'opposto, che solo quando risulti accertato definitivamente l'illecito valutario, viene in evidenza il profi,lo dell'inapplicabilità della sanzione ed il problema della individuazione della portata soggettiva ed oggettiva della norma che la prevede. effetti affidato ogni residuo tentativo di eludere il pagamento della pena pecuniaria a suo carico inflitta, alla questione, cioè, sulla portata da attribuire all'art. 2, quinto comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159 (nel testo sostituito con l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689): questione che sarebbe rilevante ai fini della decisione, secondo il ricorrente, in quanto il rientro dei capitali al quale sarebbe stato ex adverso provveduto avrebbe reso « inapplicabile», sempre secondo il riconente, la pena pecuniaria a suo tempo comminata, sì che sarebbe venuta a cessare la materia del contendere. La rilevanza stessa della questione, 1n effetti, appare invero da escludere, nella specie, quandi si consideri che la documentazione acquisita in questa sede agli atti del processo nessuna possibilità offre, né all'amministrazione né al giudke, di verificare che i capitali ai quali la documentazione si riferisce siano quelli stessi per i quali sono state accertate le infrazioni valutarie sanzionate con la pena pecuniaria in discussione; e già tale rilievo costituisce, oltretutto, autonomo e sufficiente motivo per escludere l'ammissibilità della interpretazione ex adverso sostenuta, per la possibilità che ne deriverebbe, evidentemente, di eludere le sanzioni penali previste ora in tema di infrazioni valutarie. È in ogni caso da escludere, comunque, che l'art. 2, secondo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159 (divenuto quinto comma nel testo sostituito con l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689) possa essere interpretato nel senso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 682 E non varrebbe obiettare che è irrilevante l'accertamento dell'infrazione cui non potrebbe conseguire in nessun caso la soggezione alla sanzione del trasgressore dato che dell'awlicabilità di una norma si può di•scutere esc'lusivamente con riguardo alle situazioni da essa astrattamente di•sdplinate. Se l'infrazione non sussiste (ovvero se non è stata ritualmente accertata) non sorge alcun problema di applicazione o disapplicazione di sanzioni ma si verte in una situazione di fatto non confrontabile con J'ipotesi di 'legge, perché radicalmente ad essa estranea. Ciò posto appare evidente da un lato .che lo ius superveniens non fa venir meno il potere del giudice di verificare se H decreto del ministro di irrogazione deLla pena sia legittimo e non leda quindi i!l diritto soggettivo del presunto trasgressore e dall'altro che in tanto si potrà passare ad esaminare l'incidenza di detto ius superveniens nel processo in corso in quanto risulti .confermata la sussistenza dei presupposti deHa sanzione che la nuova disciplina non rpiù consente di tener ferma. La materia del contendere· non viene quindi elisa, ma dislocata, trattandosi di stabilire principaliter se sussistono gli es•tremi fattuali dell'infrazione (attraverso l'acquisizione di validi strumenti probatori) per passare poi all'esame dello ius superveniens che neutralizzerebbe, in tesi, detto accertamento, introducendo una causa di esdusione della i11iceità. ex adverso sostenuto, essendo tale valuta<;ione imposta da molteplici considerazioni, ciascuna di autonoma rilevanza risolutiva. 3. · Con il d.l. 4 marzo 1976, n. 31, è stata disposta, com'è noto, la « penalizzazione » delle infrazioni valutarie (prima perseguite soltanto con la sanzione amministrativa della pena pecuniaria), prevedendosi severe sanzioni penali per la illecita esportazione di capitali e per la costituzione all'estero, non autoriz1- ata, di disponibildtà valutarie. In sede di conversione del decreto-legge è stato inoltre previsto, al fine di assicurare anche il c.d. rientro dei capitali (oltre alla loro mancata illecita esportazione), l'obbligo di dichiarare entro prestabilito termine le disponibilità valutarie all'estero e di far rientrare in Italia i relativi capitali; e l'inadempimento di tale obbligo è stato previsto come reato, punito inizialmente con le stesse sanzioni penali previste per l'illecita esportazione di capitali ed in seguito, con le modifiche dntrodotte con l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, «con la multa fino a lire 500 mila ovvero, se la violazione si riferisce a disponibilità o attività di valore superiore a 15 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa fino al quadruplo del predetto valore». In tale prospettiva sarebbero rimaste applicabili, naturalmente, le san· zioni amministrative già previste dalla previgente normativa, sì che l'osservanza del nuovo precetto, penaLmente rilevante, avrebbe automaticamente comportato l'applicazione della pena pecuniaria dovuta per la pregressa abusiva esportazione di capitali. Nell'intento di agevolare il rientro dei capitali, si è voluto evitare, tuttavia, che il proposito di sottrarsi al pagamento della pena pecuniaria (ed alle sanzioni previste dalla normativa tributaria) potesse indurre gli interessati ad PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 683 Ricondotto il discorso processuale, così come esattamente lo imposta il ricorrente, in termini di ius superveniens e non di cessazione della materia del contendere, deve precisarsi che l'esibizione dei documenti da cui si pretende di trarre la prova degli adempimenti necessari per giovarsi della nuova disciplina giuridica non può essere ammessa, a prescindere da una valutazione in via di prognosi del suo contenuto. Basterebbe infatti l'invocazione della situazione normativa sopravvenuta e il giudizio positivo sulla astratta idoneità del nuovo diritto, alla stregua di una data interpretazione, condivisa dal collegio, ad incidere sulla decisione della lite per confortare la cassazione della sentenza onde consentire, eccezionalmente, in sede di rinvio, la esibizione della documentazione volta a dimostrare la ricorrenza della dedotta causa di esclusione. Non sarebbe invece_ conciliabile con gli schemi logici della cessazione della materia del contendere un rinvio diretto ad operare l'accertamento della cessazione medesima, tanto più che proprio per il carattere sui generis dell'istituto questo Supremo collegio ammette l'esibizione in Cassazione dei documenti atti a provare il fatto di cessazione. (Omissis). 6. -AH'esame della questione interpretativa deH'art. 2, quinto comm, legge n. 159 del 1976 -di .cui il collegio è investito con il settimo mezzo -è opportuno premettere qualche cenno sul sistema normativa vigente in materia valutaria. In Italia, come è noto, esiste il monopolio statale dei cambi (cfr. il d.l. 6 giugno 1956, n. 476, convertito nella legge 25 luglio 1956, n. 786, e omettere la denuncia delle disponibilità valutarie o attività costituite all'estero anteriormente al 6 marzo ·1976, si è voluto evitare, cioè, che per non commettere reato gli interessati fossero costretti • a subire il pregiudizio economico della pena pecuniaria dovuta per le infra:;.ioni valutarie in precedenza effettuate (e che sarebbero emerse dalla stessa dichiarazione imposta, con sanzione penale, dalla nuova normativa); e si è quindi stabilito, con l'art. 2, quinto comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159 (nel testo sostituito con l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689), che « l'osservanza· delle prescrizioni di cui ai precedenti commi (relative agli adempimenti imposti per il rientro dei capitali) rende inapplicabili le sanzioni amministrative previste dalle norme valutarie e fiscali vigenti al momento del 'fatto». Secondo il ricorrente, tale disposizione comporterebbe, nel caso di osservanza delle prescrizioni relative al rientro dei capitali, l'esonero dal pagamento della pena pecuniaria g.ià applicata, quando il giudizio promosso dal debitore dinanzi ai giudice ordinario sia ancora pendente (e non sia quindi ancora definitivamente accertato I'obbligo del trasgressore di .pagare la pena pecuniaria). La controricorrente amministrazione ritiene, invece, che la <<inapplicabilità>> delle sanzioni amministrative previste dal d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 (e richiamate dall'art. 16 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476) assuma rilievo soltanto relativamente alle trasgressioni che non siano state già in preceden:;.a accer RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 684 per le norme sanzionatorie il r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739), che si manifesta attraverso una serie di divieti ed obblighi la cui inosservanza, dall'ent·rata in vigore della legge 18 ottobre 1949, n. 769, a quella del dJ. n. 31 del 1976, convertito nella legge n. 159 in esame, costHuiva soltanto illecito amministrativo. .M ripristino della disciplina che· prevede per determinate infrazioni valutarie sanzioni anohe penali si è provveduto con il citato decreto legge del 1976 il quale, peraltro, non ha fatto venir meno il sistema precedente, sicché, mentre per il periodo 1949-1976 è fuor di dubbio -nei limiti della prescrizione -la persistente vigenza delle norme sanzionatriei amministrative, anche per ìl periodo successivo la repressione avviene a due Jivelli: per •le infrazioni di minore entità sono comminate solo pene amministrative, per quelle più gravi si infliggono pene vere e proprie, relative a fattispecie di delitti dolosi, cui si accompagnano le sanzioni amministrative (cfr. l'art. 8 legge n. 156). Questa legislazione si innesta in una ben nota situazione di fuga di capitali all'estero che ha rappresentato negli ultimi anni un fenomeno di rilevantissime proporzioni che non si riusciva · ad impedire con gli ordinari strumenti preventivi e repressivi. Da ciò la duplice direttiva perseguita di introdurre una legislazione penalistica particolarmente severa (l'iter formativo e modificativo della legge è ·significativo in tal senso) volta a reprimere le violazioni più gravi, tate (e che risultino quindi proprio dalla dichiarazione prescritta dall'art. 2, primo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159), o quantomeno nel solo caso in cui non sia già intervenuto il provvedimento amministrativo di irrogazione della pena pecuniaria. 4. -Nell'indagine da svolgere per accertare· quale delle due indkate interpretazioni sia da ritenere esatta, e coerente con la ratio e con le finalità della norma, va tenuto presente, anzitutto, che la normativa introdo-tta con il d.l. 4 marzo 1976, n. 31, con la legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, con il d.l. 10 agosto 1976, n. 543, con la relativa legge di conversione 8 ottobre 1976, n. 689, e con il d.l. 19 novembre 1976, n. 759, convertito con la legge 23 dicembre 1976, n. 863, non ha compromesso l'appLicabilità, per le infrazioni valutarie commesse prima del 6 marzo 1976, della previgente disciplina. Con la nuova normativa, peraltro, il possesso all'estero di disponibilità· valutarie o di attività, prima considerato come illecito amministrativo, è stato previsto e punito come delitto; così come delitto viene considerata la omessa dichiarazione (con successivo «rientro» dei capitali), nel termine prescritto dall'art. 2, primo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159 (prorogato al 19 novembre 1976 con il d.l. 10 agosto 1976, n. 544, ed al 3 dicembre 1976 con il d.l. 19 novembre 1976, n. 759), delle disponibilità ed attività costituite all'estero prima del 6 marzo 1976: previsione che si risolve in effetti, con norma transitoria di favore, nel consentire di presentare, senza sanzioni, quelle dichiarazioni cui sarebbe stato necessario provvedere in preceden.:.a. La persistente applicabilità della previgente normativa è imposta, del resto, dall'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in base al quale le disposizioni PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 685 ·e di predisporre un congegno agevolativo per indurre a dichiarare le consistenze valutarie all'estero facendo rientrare i capitali illegittimamente esportati giusta Ie prescrizioni penali all'uopo dettate. Era perciò indispensabile realizzare un 'Coordinamento fra il sistema esclusivamente amministrativo previgente e queiJo misto (penale ed amministrativo) che si· andava ad introdurre, che fosse idoneo a realizzare lo scopo di rendere effettivo tale rientro. Perciò da un lato l'art. l della legge n. 159 (nel testo definitivo risultante dall'art. 2 della legge n. 863) configura per le infrazioni più gravi un sistema di reati valutari {ovviamente proiettati verso comportamenti futuri, stante ii principio della non retroattività della legge penale incriminatrice), dall'altro l'art. 2 della medesima legge (nel testo risultante .dall'art. 3 d. l. n. 543 dei 1976, -convertito nella legge n. 689 del 1976) impone a chiunque a~la data del 3 dicembre di quell'anno (rtermine finale a seguito di suocessive proroghe introdotte con d. l. n. 543 e quindi >eon d.l. n. 759, convertito nella legge n. 863 del 1976) possedesse disponibilità valutarie o attività di qualsiasi genere, istituite anteriormente al 6 marzo 1976 (data di entrata in vigore del d. l. n. 31) in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del fatto, determinanti adempimenti che iniziano con l'obbligo della dichiarazione di tale disponibilità e culminano nelle operazioni di rientro da effettuare secondo le modalità stabilite dalla legge. Viene così configurata come delitto romessa dichiarazione di ~' chiuil:que » ed il correlativo mancato « rientro » dei capitali. prima previste 1n tema di infrazioni valutarie, per il richiamo di cui all'art. 3 .del d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928, « si applicano ai fatti commes~;i quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate <> modificate al tempo della loro applicazione ». Nell'indasine ~ t~dverso. proposta va tenuto presente, inoltre, che «è fondamentale canone di. ermeneutica,' sancito dall'art. 12. dellé .preleggi, che la norma 'giuridica : deve ' essere interpretata, innanzi tutt~ e princi~a~tnente, dal punto di vista letterale, non potendosi al testo attribuire altro senso se non .quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione .di esse; di poi, sempre che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al .criterio logico; ciò al fine di individuare, attraverso una congrua valutazione del fondamento della norma, la precisa intenzione del legislatore, avendo cura, però, di individuarla quale risulta dal singolo testo che è l'oggetto di specifico esame e non già, o semmai in via subordinata e complementare, quale può genericamente desumersi dalle finalità ispiratrici di un più amplio complesso normativo in cui quel testo, insieme con altri, ma distintamente da essi, è inserito; infine, ma solo se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materia analoghe>> (Cass., 16 ottobre 1975, n. 3359). In considera:done delle sopra segnalate premesse, ed in applicazione dd richiamato criterio ermeneutico deve essere quindi accertato, nella specie, se 686 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'inosservanza del relativo precetto è punita con la multa fino a a lire 500.000, ovvero, se la violazione si riferisce a disponibilità o attirvità di ·valore superiore ai 15 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa fino al quadruplo del predetto valore. Tuttavia il legislatore ha tenuto .conto della connessione fra obbligo· penalmente imposto e riconoscimento della infrazione commessa ed ha compreso che sarebbe stata scarsamente efficace la minaocia di pena per indurre alla perseguita reimportazione coloro che erano riusciti, senza faì:'si scoprire; ad operare la fuga di capitali, gravandoli -come ineluttabHe conseguenza dell'ottemperanza al precetto penale -anche della sanzione amministrativa dovuta per l'infrazione, evidenziata per effetto della dichiarazione, ed ha stabilito perciò che non si dovesse tener conto di ta:le illecito. Ritiene, invero, il collegio che la ratio adeguata deLla norma sulla inapplicabilità delle sanzioni amministraHve a coloro che provvedono, sia pure sotto comminatoria di sanzioni penali a far rientrare i capitali non vada ra·vvisata nella semplice correlazione con la reimportazione da <<chiunque», ma sia quella di escludere l'illiceità del fatto commesso dall'esportatore rimasto occulto, che sarebbe stato estremamente difficile, se non impossibile, accertare qualora non vi fosse stata la dichiarazione. l'art. 2, quinto comma, della legge 30 aprile 1976, n. 159, secondo cui l'osservanza delle prescrizioni relative al rientro dei capitali << rende "inapplicabili " >> le sanzioni amministrative previste dalle norme valutarie e fiscali vigenti al momento del fatto», possa essere inteso, come sostiene H ricorrente, nel senso di escludere anche l'obbligo di pagare la pena pecuniaria già stabilita nel provvedimento ministeriale, e della quale si discuta nel giudizio promosso dinanzi al giudice ordinario dal trasgressore. 5. · Evidentemente, nessun dubbio può sorgere, in argomento, con riferimento alla lettera della disposizione da interpretare, in quanto soltanto al Ministro compete di <<applicare», come risulta evidente dagLi artt. 2 e seguenti del dJ. 5·dicembre 1938, n. 1928, la sanzione della pena pecuniaria, nell'esercizio di un potere che non è invece riconosciuto al giudice. È noto, invero, che il diritto di credito relativo alla pena pecuniaria, già sorto al .momento dell'infrazione valqtaria, si perfceziona definitiva~ente con il provvedimento ministeriale di irrogazione della sanzione, che costituisce titolo esecutivo; così com'è noto che il successivo giudh.io eventualmente promosso dal trasgressore ha per oggetto soltanto l'accertamento della sussistenza dei presupposti di fatto dell'infrazione valutaria, oltretutto senza che alcuna rilevanza possa essere in tale fase contenziosa attribuita ad eventuali vizi del procedimento amministrativo (Cass., 7 aprile 1976, n. 1223; 17 ottobre 1974, n. 2886; sez. un., 11 ottobre 1971, n. 2824), e comunque senza alcuna possibilità. per il giudice di << applicare » o di modificare la pena pecuniaria << inflitta » con H provvedimento ministeriale; ed è significativo, a taie proposito, che· la domanda riconvenzionale cautelativamente proposta, anche nella specie in esame, non sia certo rivolta ad ottenere dal giudice un provvedimento di applicazione PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 687 Il legislatore non ha voluto, cioè, che potesse rappresentare una remora per i1l rientro dei .capita!li il ri-conoscimento ,che la esistente (ma sconosciuta) disponibilità all'estero era stata costituita in violazione della legislazione valutaria, ponendo i trasgressori rimasti oc-culti nell'alternativa di non osservare il precetto sul rientro, .con effimero rischio di essere perseguiti penalmente ovvero di ubbidire alla legge penale andando incontro aLla quasi certezza di soggiacere anche alle pene pecuniarie correlate all'illecito valutario commesso, essendosi a ragione convinto che cittadini già proclivi a violare 1a legge a tutela dei loro interessi patrimoniali non avrebbero esitato a restare nell'anonimato se non fossero stati sollecitati dalla promessa di impunità per l'illecito valutario commesso. La struttura della disposizione che detta le prescrizioni per il rientro, ·ricollegandovi da un lato le sanzioni penali per il caso di inosservanza e dall'altro la causa di esclusione dell'illecito amministrativo strumentalmente collegato alla previa esportazione, proprio per la sua singolarità, orienta verso una interpretazione riduttiva che la rende operante neHa area rigorosamente individuata dallo scopo perseguito. E non è dubbio che per indurre il trasgressore già noto a rispettare la legge sul rientro non vi era ragione di offrire l'impunità daH'illecito valutario, perché tale qualità di trasgressore, sia pure in via di accertamento, e nella misura di probabilità dell'esito definitivo del relativo procedimento; rendeva quanto mai rischiosa la violazione del precetto, eliminando l'opportunità della della pena pecuniaria, ma soltanto la condanna del debito·re al pagamento della pena pecuniaria ,, già inflittagli » con il provvedimento ministeriale (cfr. conclusioni del primo e del secondo grado di giudizio, riprodotte anche nelle due sentenze di merito). Escluso a priori un potere del giudice di << applicare >> la pena pecuniaria (il cui eserch:.io possa assumersi precluso dall'osservanza delle prescrizioni sul rientro dei capitali), è in definitiva evidente, quindi, che l'espressione << rende inapplicabili » non può riferirsi che alle ipotesi in cui la pena pecuniaria non sia stata <<ancora» applicata, e quindi alle sole ipotesi di mfrazioni valutarie per le quali non sia già intervenuto il provvedimento ministeriale di irrogazione della sanzione amministrativa; e la validità di tale conclusione risulta a maggior ragione evidente, invero, quando si consideri che un possibile dubbio di interpretazione si sarebbe potuto ipotizzare, nella specie (e con possibilità di pervenire alla stessa conclusione, peraltro, sulla base di altri canoni ermeneutici), soltanto se la norma avesse reso <<inapplicabili» le previgenti <<norme» valutarie (e non le <<sanzioni»), e si fosse potuto di conseguenza discutere della possibilità, per il giudice, di decidere la causa con applicazione della previgente normativa: ipotesi che risulta ai fini in esame detenminante, a contrario, proprio peoché l'applicabilità delle «norme>> del d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 (considerate ai fini della decisione) non è invece in discussione, avendo la norma in questione previsto soltanto la possibile inapplicabilità delle << sanzioni» (che il giudice non avrebbe potuto comunque <<applicare»). 688 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO COntrospinta psicologica di CUI e espressione la norma del quinto comma dell'art. 2, dettata nella consapevolezza della inettitudine del sistema previgente ad assicurare, nel settore della disciplina valutaria, quella media osservanza di precetti in cui si sostanzia la sua effettività dell'ordinamento, per porre riparo alla crisi economica assicurando il rientro dei capitali, anche se poi questo fine non è stato raggiunto, stando almeno ai dati richiamati dall'amministrazione del tesoro. 7. -Di questa interpretazione riduttiva deUa disposizione aUa stregua della ratio legis occorre verificare l'esattezza esaminando le diffuse argomentazioni svolte dalle contrapposte difese in memoria e nella discussione orale. La norma in esame testualmente recita (art. 2, quinto comma): << la osservanza delle prescrizioni di cui ai precedenti comma (e cioè dell'obbligo di dichiarazione o di ·rientro sanzionato penalmente) rende inapplicabiH le sanzioni amministrative previste dalle norme valutarie e fi. scali vigenti al momento del fatto (il testo della .legge n. 159, prima della modificazione, parlava di << sanzioni valutarie e fiscali » e la modifica venne introdotta per eliminare il dubbio che la precedente dizione poneva circa 'la contestata possibilità di affermare in legge speciale .la non punibHità di illeciti penali, rientranti nella lata formulazione adoperata, senza ricorrere alla procedura prevista per i provvedimenti d'amnistia dalì'articolo 79 Cost.). Si sostiene, da parte della difesa del BariHa, che, finché resta aperto il giudizio sull'obbligo del trasgressore di pagare la pena, si verte in tema di applicazione della sanzione medesima, sicché l'osservanza delle prescri 6. · L'interpretazione imposta dalla lettera stessa della norma ex adverso invocata escluderebbe evidentemente, secondo i canoni ermeneutici sopra richiamati, la necessità stessa di ricorrer·e ad altre regole di interpretazione (sussidiarie rispetto a quella relativa al << significato proprio delle parole secondo la connessione di esse»), proprio perché ii significato dell'espressione <<rende inapplicabili» è <<già tanto .chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpreta-.ione »; né akun dubbio può ipotizzarsi sulla chiarezza ed univocità del termine adoperato dal legislatore, quando si consideri che «applicare» è appunto sÌI!lonimo di «infliggere» (cfr., per tutti: Dizionario Enciclopedico Treccani, vol. l, pag. 553}, e quindi sinonimo di quello stesso termine con il quale l'art. 2 del d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928, definisce il potere del Ministro per il tesoro (e non certo del giudice) di applicare le sanzioni previste dalla normativa in tema di infrazioni valutarie: chiarezza ed univocità che risultano ancora più evidenti, del resto, dagli artt. 3 e 5 del d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 (relativi appunto all'« applicazione delle pene pecuniarie») e dall'art. 8 del d.l. 12 maggio ·1938, n. 794 (secondo cui il Ministro per il tesoro «determina le sanzioni da applicare per le infrazioni accertate»). Non può non essere rilevato, peraltro, che la interpretazione 'imposta dalla chiara lettera della norma è oltretutto confortata, e non certo .compromessa, dagli altri possibili canoni ermeneutici, ed in particolare da quello fondato sulla ratio e sulle finalità perseguite con la norma in questione. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 689 zioni relative al rientro dei capitali comporterebbe l'esonero dal pagamento della pena pecuniaria i:rrogata dal ministro con decreto già impugnato in sede giurisdizionale. Salvo il limite della definitività dell'accertamento hl rientro dei capitali avrebbe sempre come effetto l'esclusione della sanzione amministrativa (inflitta o ancora da infliggere). Afferma, all'opposto, l'amministrazione del tesoro che l'inapplicabilità delle sanzioni amministrative prevista dal d. L 5 dicembre 1938, n. 1928, assume rilievo soltanto rispetto alle trasgressioni non ancora accertate (recte: contestate) e che risultino per la prima volta proprio dalla dichiarazione prescritta dall'art. 2, primo 'comma, Jegge n. 159 (ed è l'assunto che il collegio giudica corretto) o quantomeno nel solo caso in cui non sia ancora intervenuto il provvedimento amministrativo di irrogazione. NeJlo sviluppo delle proprie argomentazioni l'Avvocatura dello Stato ha però insistito fondamentalmente sulla tesi più restrittiva. L'art. 2 legge n. 159 concerne l'inapplkabilità della sanzione, ma nel caso di specie la sanzione era già stata « applicata» dalla competente autorità amministrativa, e non importava che l'obbligo di pagamento fosse ancora in discussione davanti al giudice ordinario dato che questo non ha alcun potere di applicazione delle pene pecuniarie (il cui esercizio possa assumersi precluso dal predetto art. 2), limitandosi a controllare se l'applicazione sia stata corretta. 7. -È invero agevole rilevare, anzitutto, che all'intento del legislatore, rivolto ad agevolare il « rientro dei capitali », è del tutto . estraneo qualsiasi proposito di << graL.ia » o di « demenza », risultando anzi più volte sottolineata, nel corso dei lavori parlamentari relativi alle leggi di conversione, la esigenza di evitare che la norma in questione potesse risolversi in un <<premio» per gli esportatori clandestini di valuta. Va tenuto presente, ililoltre, che la norma in questione contempla la rinunzia dello Stato all'esercizio del potere di irrogazione delle sanzioni valutarie (e fi~cali) vigenti alla data delle infrazioni valutarie, e non la rinunzia al diritto di credito già perfezionatosi con la emanazione del provvedimento ministeriale di irrogazione della pena pecuniaria, sì -che I'operatività della norma è limitata, necessariamente, alla fase in cui il potere di irrogazione della pena pecuniaria non sia stato ancora esercitato (e può assumere rilievo, quindi, la rinum.ia ad esercitarlo), ed è preclusa, invece, quando il diritto di credito si sia già perfezianato con la determinazione, in concreto, della pena pecuniaria dovuta dal trasgi'essore. Non può non essei'e considerato, infine, che il legislatore, qualora avesse inteso la norma in discussione nel senso ex adverso sostenuto, non avrebbe omesso di pi'evedere specifiche disposizioni relativamente ai procedimenti pendenti dinanzi al giudice ordinario; .ed è sintomatico, invece, che nessuna disposizione risulta prevista, nemmeno nella legge 8 ottobre 1976, n. 689, che possa in qualche modo avallare la interpretazione ex adverso sostenuta: considerazione la cui rilevanza non può invero negarsi, ai fini in esame, quando si consideri che la questione ora in discussione era già venuta in evidenza subito dopo l'entrata in vigore della legge 30 aprile 1976, n. 159, e che fin dal 690 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La tesi, che si può riassumere nella equivalenza << inflizione-applicazione » della pena, non è persuasiva. A parte il rischio di fare affidamento all'uso in senso tecnico di espressioni che in realtà presentano ampio margine di polivalenza, anche se riguardate con riferimento all'ordinamento di settore, appare ingiustificatamente limitato H riferimento al fenomeno dell'applicazione della pena •con riguardo solo al momento del.la concreta determinazione della sanzione da infliggere, sottraendo all'area della medesima (o, il che è lo stesso, della norma sanzionatrice) le fasi ulteriori di verifica del procedimento applicativo che attengono non solo e non tanto alla quantificaziol1e rispetto al fatto accertato, ma aiJ'aocertamento del fatto e delle sue essenziali connotazioni, quale momento prodromico di tale applicazione. Il procedimento in tema di infrazioni valutarie si differenzia da quello penale per la scissione del momento dell'inflizione da quello della verifica del.la esistenza delle componenti della fattispecie, restando il primo riservato all'autorità amministrativa, e svolgendosi il secondo davanti all'autorità giudiziaria che applica vaiutativamente la sanzione anche quando verifica se I'applicazione-inflizione da altri effettuata sia stata corretta. Dal punto di vista lessicale la locuzione « rende inapplicabile » ha un chiaro riferimento all'applicabilità in astratto e non già all'applicazione in concreto; e la forma passiva impiegata sta a significare una sopravvenuta inettitudine della norma sanzionatrke e a porsi come regola del decidere, a costituire il supporto di un provvedimento, o pronuncia, di condanna. luglio del 1976 il Ministero del tesoro aveva già manifestato il proprio motivato orientamento sulla portata da attribuire all'art. 2 della legge 30 aprile .1976, n. 159 (oltretutto effettivamente modificato, sotto profili estranei al tema in discussione, con l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689). 8. -Con riguardo a tali considerazioni, ed a quanto già sopra osservato sulla ratio deLla norma, risulta evidente, in definitiva, che la possibile << inappldicabildtà deHe sanzioni "• anche sotto H pmfi•1o logico ed in ragione deLla ratio e delle finaJità deUa norma, non può essere riferita aLle trasgressioni va11utarie per le quaH fosse già intervenuto il provvedimento aJP!Plicativo deHa pena pecuniaria. La <<dichiarazione» (o equipollente «cessione») cui risulta collegata la << inapplicabilità » della pena pecuniaria costituisce, invero, atto a carattere ricognitivo e confessorio di infra~ioni in precedenza commesse, ed in tanto può assumere rilievo, sotto il prof.ilo in esame, in quanto si riferisca ad infrazioni valutarie che non siano state già formalmente accertate e sanzionate, non potendosi certo negare che la ricognizione di un fatto già ammesso dall'autore dell'infrazione, o comunque già legalmente noto ed accertato risulterebbe, nella sostanza, del tutto superflua (così come superflua sarebbe stata, ad esempio, una .dichiarazione a norma dell'art. 5, secondo comma, del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, che fosse intervenuta dopo l'accertamento della .infrazione valutaria); ed è ovvio, del resto, che lo scopo perseguito con la recente nor PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 691 Il momento della concreta s,oggezione di un dato soggetto ad una -data sanzione amministrativa, nella giurisprudenza di questa Suprema corte viene sempre espresso mediante i termini sostanzialmente equivalenti << irrogare », <<infliggere», «comminare», <<applicare»: (Cass. 1223/ 76, id., Rep. 1976, voce Cambio, n. 29; 2259/75, id., Rep. 1975, voce cit., n. 17; 3261/74, id., Rep. 1974, voce cit., n. 5; 2824/71, id., 1972, I, 1334; 101!70, id., Rep. 1970, voce cit., n. 15; 2256 e 34/68, id., Rep. 1968, voce cit., n. 7 e voce Tasse in genere, n. 523; 1264/63, id., Rep. 1964, voce cit., n. 334; 1028/62, id., Rep. 1962, voce Cambio, n. 4). Analogamente il riscontro normativo in materia di disciplina valutaria (art. 15 d. l. n. 476 del 1956, art. l ss. r.dJ. n. 1928 del 1938) porta a ,constatare che il termine << applicare » è riferito a1la verifica oggettiva dei presupposti voluti dalla legge, ovvero (od anche) all'attività diretta a far valere l'obbligazione civile del trasgressore, laddove il potere di determinare in concreto la sanzione è espresso con il termine « inflizione ». Né la 'contrapposizione fra applicabilità delle sanzioni ed applicabilità delle norme appare determinante in senso contrario posto che il fenomeno applicativo, nel ricondurre dall'astratto al concreto, si risolve nel confronto fra una norma ed una fattispecie concreta, e la sanzione in tanto viene applicata in quanto trova fondamento nella norma che la prevede; in altre parole nell'applicazione di sanzioni è sempre sottesa la norma disciplinatrice. E nemmeno potrebbe richiamarsi la concretezza mativa è stato appunto quello di accertare e recuperare le disponibilità ed attività clandestine (e non agevolmente ,accertabili), e non certo quello di assicurare il rientro dei capitali per la disponibilità dei quali era stata già applicata la pena pecuniaria (ed il cui mancato recupero avrebbe comunque esposto il trasgressore ,a severe sanzioni penali): rilievo cui si aggiunge il fatto che di rientro dei capitali, per coloro nei cui confronti sia stata aocertata e sanzionata l'infrazione valutaria, costituisce attività ili ottemperanza al provvedimento autoritativo (essendo il rientro dei capitali già disposto nel provvedimento ministeriale di irrogazione della pena pecuniaria), e quindi attività che se pur noo può essere ottenuta in executivis è comunque attività (già) «dovuta». Per coloro ,che avessero disponibilità o attività all'estero, fraudolentemente e clandestinamente costituite prima del 6 mano 1976, si spiega e si giustifica, comunque, ed in coerenza con le finalità perseguite, l'<< incentivo» costituito dalla possibilità di sottrarsi, con l'osservanza delle prescriziooi relative al rientro dei capitali, alla sa!plione amministrativa della pena pecuniaria; e si spiega e si giusti1ìica quindi, in tal caso, ed in vista delle preminenti finalità di interesse pubblico da perseguire, la <<rinunzia» dello Stato all'esercizio del potere di << applicare » la pena pecuniaria. La stessa <<incentivazione», invece, risulterebbe priva di qualsiasi giustifica nei casi di infrazioni valutarie già accertate e per le quali sia stata già comminata la pena pecuniaria, essendo ovv,io che in tali casi l'osservanza delle prescrizioni relative al rientro dei capitali è già garantita, e con maggiore efficacia, dall'interesse del trasgressore ad evitare la condanna penale cui non 692 RASSEGNA DEU..'AWOCATURA DELLO STATO della singola determinazione sanzionatrice in un contesto Ja cui accentuazione nel senso dell'astrattezza è già stata sottolineata. Non è sostenibile che l'applicabilità della sanzione valutaria sia fenomeno riferibile solo all'autorità amministrativa, çui spetta in via esclusiva l'irrogazione della medesima. Sul singolo provvedimento di inflizione si può innestare un giudizio valutativo concernente l'accertamento dei presupposti per la responsabilità dell'asserito trasgressore, e solo la conclusione positiva del relativo giudizio esaurisce la fase de1la verifica dell'applicabilità nel caso considerato della sanzione astrattamente prevista, nel che si attua e definisce il processo di applicazione. Anche ad ammettere che il ministro applichi le pene, il ricorso al giudice ordinario risulta diretto al controllo della correttezza di tale applicazione per escluderla perché non sussistono gli estremi corrispondenti alla previsione normativa, perché, cioè, il procedimento seguito nell'applicare risulta scorretto non già per vizi formali ma per inidoneità degli elementi accertati a realizzare un comportamento del tipo considerato dalla norma, concretando il presupposto oggettivo della infrazione. L'autorità giudiziaria conosce della questione con g.li stessi poteri e con gli stessi limiti che incontra in qualsiasi aHra controversia civile, solo che al posto della pretesa formulata dalla parte attrice sta qui il potrebbe sottrarsi, evidentemente, nel momento in cui l'infrazione valutaria (e quindi il <<possesso , di disponibilità valutarie e di attività all'estero) venisse definitivamente accertata: condanna con multa fino al quadruplo del valore delle disponibilità possedute all'estero e con reclusione da uno a sei anni, ed il cui solo rischio già costituisce, ovviamente, sufficiente garanzia per l'osservani:.a delle prescrizioni relative al rientro dei capitali, senza alcuna necessità di un «incentivo» che può giustificarsi soltanto per coloro le cui infrazioni non siano state già accertate e punite, e quindi soltanto in .ragione di un'alternativa tra il :dschio (molto) remoto di una futura condanna penale (con il persistente godimento, pemltro, di capitali fraudolentemente esportati) e la possibilità di rientrare tra [ binari della legalità, evitando oltretutto il pagamento di pene pecuniarie. La sostanziale validità di tale assunto (e della interpretazione, quindi, sostenuta dalla controricorrente Amministrazione) va del resto confermata proprio con riguardo alla fattispecie in esame, quando si consideri, cioè, che la controparte, pur dopo l'entrata in vigore della legge 30 aprile 1976, n. 159, ha dato ulteriore seguito al giudizio pendente in grado di appello, prowedendo alle iniziative richieste dalla legge (sempre che ta!.i iniziative possano assumersi desumibili dalla documentazione in questa sede prodotta, e sempre che i capitali di cui sarebbe stato assicurato il rientro possano identificarsi con quelli per i quali è stata applicata la pena pecuniaria in discussione) soltanto dopo la pubblicazione della sentenza di secondo grado: comportamento che è consentito di presumere diverso, secondo ·argomentazione anch'essa rilevante ai fini in esame, da quello che sarebbe stato forse adottato qualora i giudici PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 693 decreto ministeriale che tale pretesa concretizza e rappresenta il limite della domanda la cui fondatezza deve essere verificata in sé e per sé. L'applicabilità de1la sanzione è quindi concetto quantomeno neutrale sul piano della riferibilità vuoi all'autorità amministrativa, vuoi a quella giurisdizionale. Al ministro spetta, con carattere di esclusività, il potere di infliggere la sanzione (art. 2 r.d. n. 1928 del 1938); tale inflizione può farsi rientrare nel concetto più alto di applicazione, mentre per quanto riguarda la materia valutaria non è vera la reciproca che cioè il giudice possa infliggere la pena come momento intrinseco al concetto di applicazione in senso lato. La legge,. rendendo inapplicabile la sanzione, abbraccia i poteri sia del ministro .che del giudice; l'inapplicabi·lità, riguardando le situazioni contemplate indipendentemente dallo stato del procedimento, impedisce al ministro di irrogare ·la sanzione così come al giudice di pronunciare una sentenza che riguardi l'obbligazione di pagamento derivante da quella sanzione. 8. -Resta così escluso che il problema interpretativo si risolva semplicisticamente attraverso la esegesi letterale dell'espressione << rende inapplicabile » e che di applicabilità non si possa più parlare quando la pena sia già stata irrogata con provvedimento ministeriale. Si contrappongono perdò due residuali ed alternative letture della norma: a) l'inapplicabilità riguarda tutti i casi in cui gli adempimenti siano stati compiuti e l'applicazione della sanzione non sia ancora dive- di appello avessero ritenuto di escludere la sussistenza delle infrm.ioni valutarie sanzionate con la pena pecuniaria. 9. -La inammissibilità della interpretazione ex adverso sostenuta, già denunciata dalla lettera delLa norma e confermata dalla ratio stessa ·e dalle finalità della disposizione, va evidenziata, mfine, anche sotto un ulteriore profilo, con riguardo, cioè, alle assurde conseguenze che deriverebbero dalla interpretazione proposta dalla controparte, ed m particolare alle ingiustificate discriminazioni che tale interpretazione comporteDebbe. A tale proposito è opportuno premettere, peraltro, che nessuna ingiustificata discriminazione comporta la interpretazione sostenuta dalla controricorr. ente Amministrazione, dovendosi esclude!'e a priori, per quanto già sopra osservato, l'assimilabilità di coloro nei cui confronti risulti già applicata la pena pecuniaria (e rispetto ai quali l'osservaru.a delle prescrizioni sul rientro dei captali è già garatntita dal loro <<attuale» interesse ad evitare una severa condanna penale) con quelli le cui pregresse infrazioni valutarie sono mvece rimaste ignote (e per i quali assume rilievo soltanto la remota possibilità· di una futura ed eventuale condanna m sede penale). Quanto alla interpretazione ex adverso sostenuta, è agevole invece rilevare (a parte la difficoltà di ipotizzare una cessazione della materia del contendere che dipenderebbe in concreto, proprio in quanto anche la inosservanza d.i uno solo degli adempimenti p!'escritti costituisce reato, dal definitivo accertamento in sede penale sulla insussistenza di fatti ora penalmente sanzionati), RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 694 nuta definitiva; b) l'inapplicabilità riguarda solo la dichiarazione e gli ulteriori ademipmenti che mettono in evidenza infrazioni valutarie precedentemente rimaste occulte, di cui cioè non sia in corso il procedimento di accertamento. La soluzione sub a) è più aderente al criterio letterale. Ma quella sub b), adombrata-senza essere stata però adeguatamente sviluppatadall'Avvocatura dello Stato, ad avviso del collegio risulta la sola coerente con la ratio legis e deve perciò essere accolta. La tesi, secondo -cui l'inapplicabilità resta circoscritta ai soli trasgressori occulti, resiste alle possibili obiezioni. Deve negarsi, ad avviso del collegio, che dettando il quinto comma dell'art. 2 il legislatore abbia voluto cancellare radicalmente dall'ordinamento i precetti e divieti della legislazione valutaria (e cioè la norma primaria) rendendo irrilevanti per il diritto i comportamenti tenuti nel costituire la disponibilità all'estero, sostituiti dall'obbligo di dichiarazione, cosicché una volta ottemperato a quell'obbligo, sarebbe esclusa la qualificabilità dei comportamenti medesimi come violazione di norme valutarie, restando eliminata addirittura la fattispecie dell'illecito amministrativo, venendo meno la possibilità di ricollegarvi una sanzione. La norma del quinto comma, si sostiene, è addirittura superflua perché nella stessa posizione dello'bbligo di dichiarare viene eliso il preesistente precetto, il divieto cioè di costituire capitali o disponibilità all'estero. che la possibilità di sottrarsi al pagamento della pena pecuruana si risolverebbe, per coloro nei cui confronti tale sanzione fosse stata già applicata, in un possibile strumento di elusione della vigente normativa, in quanto consentirebbe ad essi, quali che fossero le infrazioni già sanzionate tra le eventuali molteplici altre in precedenza commesse, di far rientrare in Italia, seru.a sanzioni, i capitali il cui fraudolento possesso all'estero risultasse più agevole da scoprire (e di conservare invece all'estero, anche se costituite mediante le ·infrazioni già accertate e sanzionate, capitali ed attività che possano più facilmente rimanere nella clandestinità). lngiustificate discriminazioni verrebbero comunque ad assumere rilievo, nella sostanza, con la stessa equiparazione di coloro nei cui confronti fosse stata già applicata la pena pecuniaria, indipendentemente, cioè, dai motivi per i quali fosse stata promossa una contestazione in sede giudiziale (variabili invero, secondo differenziate situazioni, dal diniego di aver commesso l'infrazione contestata alla semp1ice irregolarità dell'ingiun):.ione di pagamento); ed una uniformità di trattamento risulterebbe ancor meno giustificata nei casi, ad esempio, in cui si discutesse soltanto della prescrizione del credito relativo alla pena pecuniaria o del1a preclusiva definitività del provvedimento ministeriale (per inammissibilità di gravami, ricorso al giudice amministrativo, tardività di impugnazioni, et similia). Considerato che condizionante presupposto di applicazione della norma è il possesso all'estero, alla data del 6 marzo 1976, di disponibilità valutarie ed attività (in mancanza de11e qua1i la norma non potrebbe evidentemente essere invocata), è agevole rilevare, inoltre, che una inammissibile ed ingiustificata PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 695 Questa sorta di novazione del precetto amministrativo in precetto penale giustamente è apparsa al procuratore generale (che pure ha concluso per l'accoglimento del ricorso) inficiata da una petizione di principio nella sua apparente impeccabi.Iità concettuale. Ed in verità non sembra condividibHe il punto di partenza postulante la intercambiabilità logico-giuridka fra i precetti considerati; la fattispecie costitutiva dell'illecito valutario, istantaneamente consumatosi a seguito della esportazione di capitali o della costituzione di disponibilità valutarie all'estero, appare ben diversa di quella integrante il reato ex art. 2 riguardante l'obbligo di dichiarare, reimportare o comunque trasferire nel territorio dello Stato tali disponibilità. La non coincidenza delle situazioni diversamente considerate dal diritto, rappresenta un primo ostacolo ad operare sul piano del precetto che quando venne violato, consumandosi l'Hlecito, spiegava i suoi effetti obbligatori e non è certo venuto meno retroattivamente nella sua oggettiva latitudine, poiché anche oggi è punito quell'illecito, quantomeno nei confronti di coloro che non hanno osservato il precetto dell'art. 2 legge n. 159. Ma, anche se le cose stessero come si dice, se il legislatore avesse sostituito fattispecie a fattispecie negando ogni rilevanza giuridica ai comportamenti tenuti ;prima della dichiarazione reintegratrice, resterebbe aperto sia nella prospettiva della causa di esclusione delle illiceità seguita dal collegio, sia in quella della sostituzione della norma primaria, il problema della individuazione dei destinatari della norma medesima, nella contrapposizione fra trasgressori occulti che si vengono a palesare e trasgressori già palesatisi. E della esattezza della tesi omnicomprensiva sul piano soggettivo -che è punto di arrivo e non di partenza dell'esegesi sembra pos discriminazione verrebbe ad ammettersi, secondo la interpretazione. ex adverso sostenuta, tra coloro che avessero già in precedenza provveduto a far rientrare in Italia i capitali (e che rimarrebbero obbligati al pagamento delle pene pecuniarie ad essi comminate) e quelli che invece avessero conservato all'estero disponibilità valutarie ed attività clandestinamente costituite (e che potrebbero quindi sottrarsi, secondo la controparte, e proprio in ragione della loro persistente illegale condotta, al pagamento delle pene pecuniarie): singolare disparità di trattamento che risulterebbe oltretutto particolarmente iniqua, evidentemente, nei casi in .cui al rientro dei. capitali fosse stato provveduto proprio in ottemperanza ed in esecuzione del provvedimento ministeriale di applica:t.ione della. pena pecuniaria. Ulteriore ed altrettanto grave ed ingiustificata disparità di trattamento si verificherebbe infine, sempre secondo la interpretazione sostenuta dal ricorrente, per coloro .ai quali la pena pecuniaria fosse stata applicata per tentativo di infrazione valutaria o per cooperazione:; con il trasgressore (cfr. art. 2, secondo comma, deÌ d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928; artt. 2 e 3 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476; e ora art. l, terz'ultimo comma, del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, nel testo di cui alle leggi 30 aprile 1976, n. 159, e 8 ottobre 1976, n. 689), per coloro, cioè, che non· avendo disponibilità da «dichiarare», e non potendo invocare 8 696 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sibile dubitare non trovando la letteralità della norma adeguata giustificazione della finalità, chiaramente perseguita di incentivare il rientro dei capitali di cui si ignorava il previo trasferimento o formazione aLl'estero. Le osservazioni che si sono venute facendo a proposito della coesistenza di sanzioni penali ed amministrative portano a ritenere che la volontà del legislatore non è stata quella di far venir meno per il passato fattispecie destinate in principio ad operare anche per il futuro, di cancellare il precetto, ma di rendere inapplicabile la sanzione rispetto a precetti che, in linea di principio, continuavano a considerarsi vincolanti per il passato. Il precetto, a tutto concedere, non viene meno in sé e per sé, nei confronti di << chiunque », ma solo nei confronti di coloro che tengono un determinato comportamento, sicché appare rilevante l'indagine sullo scopo perseguito nell'imporlo, onde determinare i destinatari della « inapplicabilità della sanzione »; formula normativa che, nella sua dizione, fa riferimento ad un precetto violato, e non già ad ·un precetto non più vincolante. L'illegittimità del fatto viene esclusa non già perché rispetto alla generalità dei sottoposti è venuto meno, ora per allora, il precetto, ma perché a <eerte condizioni e per certi soggetti la sanzione che a quel precetto si ricollega non è più operante. La soluzione radicale, che porta a cons!qerare mal posto il problema interpretativo del quinto comma, intende la disposizione dell'art. 2 come sostitutiva e riassuntiva della globalità dei comportamenti contra ius dipendenti dall'avere goduto di disponibilità all'estero, deve dunque essere accantonata. quindi l'applicazione dell'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, rimarrebbero in ogni caso obbligati al pagamento della pena pecuniaria (mentre sarebbero esonerati da tale pagamento, linvece, gli effettivi trasgressori). 10. -La chiara ed univoca lettera della norma in questione, la sua stessa ratio, le sue finalità e la sua interpretazione sistematica, e le assurde conseguenze che verrebbero altrimenti a determinarsi concorrono ad escludere, in definitiva, l'ammissibilità della interpretazione ex adverso proposta. È stato anche . sostenuto, .invero, che l'osservanza delle prescrizioni sul rientro dei capitali comporterebbe addirittura l'obbligo dello Stato di restituire le somme già riscosse per pene pecuniarie. (circolare Assonime, 3 novembre 1976, n. 235); ed anche in tale assunto va dehunCiato: il 'tentativo di alterare del tutto la portata della norma, rendendola strumento di speculazione per gli esportatori clandestini già scoperti e puniti: supposh.ione la cui fondatezza non può invero essere negata, se già nel corso dei lavori relativi alla legge 8 ottobre 1976, n. 689, dovette essere rilevato che soltanto 1.000 erano rientrati, dei 40.000 miliardi abusivamente esportati, e di cui si era auspicato il rientro. ARTURO MARZANO PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 697 La situazione normativa dei precetti e dei divieti è e resta quella che si è venuta delineando. La lettura proposta, instaurando un parallelismo fra osservanza attuale del precetto, penalmente sanzionato, e violazione passata delle disposizioni amministrative valutarie, opera al livello strutturale oggettivo della disposizione da interpretare, senza approfondire la ratio, ovvero ipotizzando implicitamente (ed immotivatamente) che tale ratio postuli l'identificazione soggettiva di tutti i dichiaranti con tutti i vecchi trasgressori. Vero è, invece, ·che la disponibilità all'estero costituiva la fattispecie dell'i_llecito amministrativo sulla quale si innesta un illecito penale autonomo, che consiste nel non averne dichiarato la sussistenza in un dato momento. H nuovo precetto, di dichiarare e far rientrare, si aggiunge al vecchio precetto senza eliminarlo, ora per allora, ma facendo venir meno l'illiceità del fatto commesso per una determinata cerchia di soggetti che si comportino in un determinato modo. Ne risulta il profilo eminentemente soggettivo della introdotta causa di esclusione della illiceità; non si cancella il precetto sanzionato amministrativamente nella sua oggettività, ma si esclude che la sua violazione spieghi efficacia ai fini dell'applicazione della sanzione in un certo ambito soggettivo, riferibile, in prima letterale approssimazione, a << chiunque », quale apparente destinatario del precetto penale, ma in effetti più limitato alla stregua della ratio legis; e così come il <<chiunque» destinatario del precetto penale secondo il primo comma dell'art. 2 risulta essere (almeno nella maggior parte dei casi) solo il «residente», del pari l'osservanza, •che rende inapplicabile la sanzione secondo il quinto comma, non riguarda qualsiasi destinatario del precetto di denunciare e far rientrare, ma solo i trasgressori occulti che si sono palesati per adeguarsi al precetto penale. 9. -A favore della interpretazione aderente al testo della legge, da intendere nel senso che l'adempimento dei precetti contenuti negli artt. 2 e 2 ter legge n. 159 comporterebbe comunque l'inesigibilità della sanzione amministrativa irrogata, facendo venir meno il potere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti di diritto e di fatto per cui era stata comminata la sanzione (e paralizzando altresì il potere del ministero di portare avanti il procedimento di irrogazione della sanzione per la infrazione scoperta ma non ancora accertata amministrativamente) non giova dedurre che, opinando diversamente, e tenendo ferma la sanzione irrogata (ovvero la possibilità di irrogarla) nei confronti di chi abbia osservato la prescrizione sul rientro dei capitali, lo si costringerebbe a pagare due volte la sanzione collegata al fatto dell'espatrio. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 698 L'argomentazione muove da una lettura del sistema normativo vigente in materia di infrazioni valutarie che non può essere condivisa. Mentre l'art. 2, quinto comma, esaurisce i profili dell'illecito valutario, esdudendo la sanzionabilità delle infrazioni commesse evidenziate dalla denunzia, l'art. 2 ter tocca il diverso problema dell'evasione fiscale (che si accompagna a tale illecito relativamente all'omessa denuncia dei redditi prodotti dai capitali esportati) e stabilisce che il reimportatore di capitale deve pagare, ora per allora, le imposte sul reddito dovute per i periodi di cui i capitali si trovavano all'estero. Al reimportatore è offerta la possibilità di mettersi in regola col fisco mediante un versamento forfettario pari al 15 % dell'ammontare delle disponibilità o del valore delle attività indicate nella prevista dichiarazione (ovvero versate ai sensi dell'art. 2, secondo comma); e in tal caso egli non paga le soprattasse e pene pecuniarie per la omessa dichiarazione dei redditi, restando precluso al fisco ogni accertamento dipendente dalla sopravvenuta conoscenza delle suddette disponibilità. Ne consegue che il trasgressore occulto, per il fatto della reimportazione che evidenzia il precedente illecito sfuggito alla cognizione delle competenti autorità, avente una duplice dimensione valutaria e tributaria, non subisce alcun carico sanzionatorio rispetto all'infrazione valutaria, mentre può (e non-« deve ») avvalersi delle facilitazioni offertegli sul piano tributario, corrispondendo in misura forfettaria l'imposta evasa. La circostanza, che, secondo l'interpretazione che il collegio accoglie, la sanzione valutaria debba essere ,corrisposta dal trasgressore noto, mentre tale pagamento non sarà dovuto dal trasgressore rimasto ignoto e palesatosi come tale solo per effetto della dichiarazione, non comporta una duplicazione di sanzioni, ma l'esclusione dei primo dall'area della non sanzionabilità dando luogo ad una diversità di trattamento, peraltro giustificata e -ragionevole, tra chi è stato colto a commettere la trasgressione e chi tale trasgressione rivela per la prima volta nel compiere il dovere, penalmente sanzionato, di denunciare la disponibilità all'estero e confessa l'infrazione valutaria; costui non paga nulla a titolo di sanzione valutaria, ,}'altro paga, ma paga una volta sola a quel titolo. Il riéntro dei capitali non si presenta, alla stregua del sistema giu· ridico valutario vigente, come una scelta fra possibili alternative di comportamenti conformi al diritto, ma è impòsto dalla legge penale. La scarsa effettività di tale precetto, la estrema difficoltà di co1pire fesportatore clandestino che non ritenga di uscire allo scoperto sono circostanze che il collegio reputa determinanti per drcoscrivere l'ambito soggettivo della norma, ai soli trasgressori occulti. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 699 Né il far leva sulla qualità di trasgressore occulto, o palese, introduce un criterio di differenziazione delle situazioni incompatibili con il principio di eguaglianza. È circostanza casuale se un determinato trasgressore viene scoperto; ma è circostanza obiettivamente rilevante per un trattamento differenziato l'aver a che fare con trasgressori ignoti o noti ai fini della realizzazione del rientro dei capitali attraverso il congegno della pena minacciata a chi non denuncia e non fa rientrare con salvezza della sanzione amministrativa per la strumentale esportazione clandestina, giaoché la minaccia si presenta con ben maggiore immediatezza nei confronti di coloro che sono già stati riconosciuti o stanno per esserlo, pendendo accertamento al riguardo, come trasgressori. Se può dubitarsi della legittimità di una discriminazione che si radkhi sulla progressione del procedimento amministrativo di irrogazione, facendo perno suH'emanazione o meno del decreto ministeriale (ma di questo avviso non è stata in casi analoghi la Corte costituzionale che ad esempio nella sentenza n. 32 del 1976, id., Rep. 1976, voce Amnistia, n. 4, ha escluso che contrastasse con l'art. 3 Cost. l'amnistia per reati finanziari del 1973 subordinata alla definizione delle pendenze secondo le disposizioni del d.l. n. 660 del 1975, e cioè all'esito di UI1 procedimento amministrativo) la discriminazione fra trasgressori ooculti e palesi è pienamente coerente con la perseguita finalità. Non si tratta di valutare la pericolosità degli uni o degli altri, ma la concreta possibilità di perseguire la violazione del ·precetto sul rientro, estremamente aleatoria rispetto ai trasgressori occulti, adeguando la disciplina a tale oggettiva diversità di situazione dei soggetti destinatari della norma. Né ·la confessione richiesta anche al trasgressore palese che contesta la effettività della infrazione si risolve in una menomazione del suo diritto di difesa, impedendogli di sostenere fino in fondo la propria tesi, perché la confessione in tanto è dovuta in quanto la trasgressione vi sia stata, e colui che assume di non avere trasgredito le norme valutarie ovviamente non ha alcuna confessione da rendere; mentre, se la trasgressione è stata rilevata, solo formalmente può parlarsi di confessione, essendo il riconoscimento superfluo di fronte ad una acquisizione probatoria già in atti. Hanno manifestato quindi una certa misura di civismo di ritorno quei pochi trasgressori occulti (che a suo tempo, spregiando il precetto di solidarietà sociale che la Costituzione pone all'art. 2 fra i « principì fondamentali», avevano contribuito a spogliare il paese di essenziali strumenti di ripresa economica) indottisi ad attuare il rientro dei capitali (sia pure resi certi che non avrebbero subito conseguenze sanzionatrici per l'illecito commesso, ed avrebbero ricevuto un trattamento tributario agevolato). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 700 E si comprende che per costoro -e solo per essi sia stata dettata la norma sulla inapplicabilità della sanzione amministrativa per la precedente infrazione, dato che altrimenti l'effettività dei sistema repressivo e la finalità del rientro sarebbero stati quasi certamente eluse. Invece l'incentivo di non far scattare la sanzione amministrativa per l'infrazione valutaria nei confronti dei trasgressori noti per sollecitarli al rispetto del precetto penale, non aveva ragion d'essere perché costoro, incappati nelle maglie della vigilanza, così diventando trasgressori noti, suscettibili di essere definitivamente qualificati come tali a coronamento del relativo procedimento amministrativo e giurisdizionale, non potevano conseguentemente -contare su apprezzabili margini di eludibilità del precetto penale, in quanto, a seguito della notizia ormai acquisita delle disponibilità valutarie all'estero al momento della trasgressione se non avessero compilato la denuncia e provveduto al rientro, sarebbero incorsi, e per non breve tempo, nella perdita della libertà personale con margini di probabilità corrispondenti alla effettività o meno della infrazione contestata ed alla persistenza della disponibilità al momento di riferimento. L'adottata interpretazione non aggrava la posizione dei trasgressori noti i quali avrebbero dovuto comunque sottostare alla sanzione amministrativa, essendo stati scoperti, ed operare il rientro dei capitali per sottrarsi alla sanzione penale la cui irrogazione discendeva dall'accertamento della precedente disponibilità valutaria all'estero, salva l'improbabile dimostrazione, a loro carico, che tale disponibilità era venuta successivamente meno. Ma se non ci fosse stata la norma age~olatrice i trasgressori occulti avrebbero avuto una duplice remora a mettersi in regola rischiando una improbabile, per quanto severa, condanna penale, contro la certezza di una pesante sanzione valutaria e di un altrettanto gravoso onere per la correlata evasione tributaria, venuta in evidenza a seguito della loro denuncia. La dimensione soggettiva dell'agevolazione è quindi nella logica della disposizione che mira a favorire il rientro dei capitali dei trasgressori ignoti, dato che per i trasgressori palesi non vi è ragione di provvedere, per eliminare l'inconveniente di un precetto penale il quale, per essere osservato, impone di palesare una trasgressione valutaria. Proprio per evitare tale autodenuncia la norma è stata dettata, .ed è perciò in tali limiti che ne deve essere circoscritta la portata. 10. -Per affermare che in ogni caso, sia per i trasgressori occulti sia per i trasgressori palesi, salvo il caso di definitività, sarebbe esclusa la applicabilità della sanzione come conseguenza dell'operato rientro, :s-i deduce ancora che una volta reimportati i capitali l'irrogazione della sanzione risulterebbe priva di causa perché il danno costituito dall'espor PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 701 tazione del capitale sarebbe neutralizzato per effetto del rientro che ne comporta il reinserimento nel circuito economico nazionale. Ma non è esatto che la sanzione viene irrogata perché si è verificato un certo danno per l'economia al ,cui venir meno consegue l'impossibilità dell'applicazione; la sanzione discende puramente e semplicemente dalla consumazione del fatto illecito, ed il post factum non ha rilievo se non nei limiti previsti dalla legge che sono quelli ricavabili dalla interpretazione dell'art. 2, quinto comma, in questione. L'argomento si risolve, pertanto, in un inammissibile apriorismo interpretativo, come quello che vorrebbe ravvisare negli adempimenti di cui all'art. 2 una sorta di autorizzazione a posteriori. E neppure giova instaurare un parallelismo fra trasgressioni valutarie e fiscali, fra art. 2, quinto comma, ed art. 2 ter legge n. 159, per dedurre che come gli adempimenti fiscali escludono sempre l'applicabilità delle relative sanzioni a car-ico dell'evas9re,. così gli adel'Ilpimenti valutari di cui all'art. 2 escluderebbero, per i trasgressori che Ii abbiano QSservati, la· soggezione allè sanzioni previste per le infrazioni commesse. Una volta posto in ·chiaro che nell'un caso vengono in considerazione le sanzioni valutarie e nell'altro quelle tributarie e che rispetto all'art. 2 è imposto un obbligo sanzionato penalmente, mentre l'art. 2 ter contempla una facoltà agevolatrice, i presupposti del parallelismo restano esclusi sia per quanto attiene allo stadio del procedimento di irrogazione e verifica della sanzione, sia per quanto attiene al profilo soggettivo, che è quello residualmente più rilevante, dal momento che, mentre nessun problema sorge circa la individuazione dei soggetti legittimati ad avvalersi dello strumento agevolativo di cui all'art. 2 ter (che sono coloro che avendo adempiuto agli obblighi di cui all'art. 2 scelgono sul piano tributario la soluzione del versamento forfettario), relativamente all'art. 2, ,quinto comma, si pone il dubbio interpretativo se l'esclusione della illiceità riguardi tutti i vecchi trasgressori inosservanti, ovvero solo .quelli fra essi ancora clandestini. Sempre per escludere globalmente l'assoggettabilità a sanzione valutaria di chi abbia ottempe:rato al disposto dell'art. 2 legge n. 159 si ,,_ '-r."-.. JI' ''..:. . -·'• • . sostiene dte l'espdrtaziorte illeCita di capitali può ledere in astratto due distinti interessi dello Stato: quello valutario e quello fiscale. L'esportazione sottrae valuta all'economia nazionale ed impedisce, per il futuro, l'accertamento dei redditi prodotti dai capitali esportati, le sanzioni amministrative tendevano a controbilanciare il duplice danno sopportato dalla collettività; ma le prescrizioni della legge n. 159 eliminano entrambi i 'profili di danno, con il rientro ex art. 2 si elide il danno valutario, con il pagamento ex art. 2 ter, quello tributario; se dunque non vi è più .danno per lo Stato non si vede a qual titolo dovrebbe essere corrisposta la sanzione amministrativa. 702 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Si fa leva, evidentemente, sul carattere risarcitorio della sanzione, ma si dimentica che la sanzione viene irrogata non già perché si è verificato un danno, ma perché è stato violato un precetto e che il rientro è imposto da una norma penale senza sensibilità alternative, sicché non è il rientro a neutralizzare il precedente illecito amministrativo in ogni caso, ma è la neutralizzazione dell'illecito (strumentale al rientro) a porsi come condizione di effettività di funzionamento dei sistema recuperatorio sanzionato penalmente che si è voluto introdurre. I diffusi richiami alle interpretazioni che vennero date alla legge in senso onnicomprensivo non sono condividibili nella misura in cui attribuiscono alle norme un ambito soggettivo più ampio di quello corrispondente alla effettuata puntualizzazione della ratio legis. E una interpretazione riduttiva dei destinatari della norma è certamente legittima, proprio rispetto all'apparente paradosso della legge (per mutuare l'espressione alla difesa del ricorrente) la quale, mentre commina pene severissime per le trasgressioni future, istituisce per i trasgressori del passato un autonomo obbligo di reimportare (anche esso sanzionato penalmente) correlando all'osservanza di detto obbligo la non operatività delle sanzioni, per le consumate trasgressioni (amministrative). Una normativa siffatta trova la sola spiegazione appagante nell'intento finalistico che )a anima di ottenere il rimpatrio dei capitali senza pretendete che i trasgressori occulti, per ottemperare all'obbligo, denuncino strumentalmente l'illecito amministrativo a suo tempo commesso e si assoggettino al pagamento della relativa sanzione. L'avvenuta irrogazione delle·· sanzioni in sede amministrativa non è, quindi, circostanza decisiva per escludere l'applicabilità della relativa normativa. Più radicalmente rovesciando l'impostazione originaria dell'Avvocatura, che ragionava in termini di applicabilità-inflizione e dandorilievo decisivo sul piano della ratio legis al profilo soggettivo, l'inapplicabilità, deve essere circoscritta ai soli trasgressori occulti, con la conseguenza che non solo la norma dell'art. 5-, secondo comma, non inibisce al giudice di conoscere della fondatezza -della pretesa dell'amministrazione del tesoro, ma questa potrà proseguire i· procedimenti in corso su parere della commissione consultiva, i cui poteri andranno esercitati anche rispetto ai verbali a carico dei trasgressori che abbiano provveduto ad operare il ri<;.!l.tro. L'opinione implicita emergente dall'orientamento di tale commissione la quale, secondo quanto riferisce la difesa Barilla, a seguito della emanazione della legge n. 159 avrebbe deciso di sospendere le decisioni, contrastando con l'avviso interpretativo espresso da questo Supremo collegio, resta evidentemente superata. Del resto, sul piano dell'affidamento che opinioni siffatte, per quanto diffuse, potevano dare, il ricorrente non ha nulla da recriminare poiché PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 703 salvo l'esito favorevole del presente ricorso, non gli restava altra scelta che ottemperare al precetto dal momento che effettivamente disponeva di capitali all'estero, poiché se non Ii avesse fatti rientrare (o non avesse dimostrato che la precedente disponibilità era comunque venuta a cessare) gli sarebbe stato impossibile sottrarsi alle sanzioni penali. Nell'ottica della finalità di rientro perseguita l'indiscriminata esclusione della illiceità della previa trasgressione delle disposizioni valutarie sarebbe stata esorbitante. E ciò non tanto perché la dichiarazione imposta dall'art. 2 rispetto ai trasgressori aventi in corso un procedimento di accertamento si sarebbe rilevata superflua venendo a dipendere il rientro dei capitali, anziché da quel precetto di legge, élall'adempimento di una imposizione già espressamente contenuta nel decreto ministeriale emesso, o che sarebbe stato a suo tempo emesso (potendosi consentire che la normativa in atto non mira a provocare una confessione dell'illecito come tale ma a conseguire il rientro dei capitai{ in Italia con la sicurezza della impunità per la commessa violazione valutaria confermata e che l'invito al rientro è -in quanto tale -incoercibile), ma per la fondamentale forza di pressione dell'accertata (o accertanda) infrazione che avrebbe reso estremamente difficile sfuggire alla grave sanzione penale detentiva, la cui minaccia prendeva ben altra consistenza per i trasgressori occulti rispetto a quelli palesi ç:he non vi era ragione di spingere all'osservanza del precetto. 11. -In conclusione l'interpretazione che il collegio ritiene di accogliere porta à ritenere che i trasgressori non clandestini, il cui illecito valutario era precognito rispetto alla dichiarazione ed ai conseguenziali adempimenti volti al rientro dei capitali, nonostante l'osservanza delle disposizioni dei primi quattro comma dell'art. 2 legge n. 56 del 1976, non possano fruire della inapplicabilità della sanzione relativa, indipendentemente dallo stadio di progressione del procedimento di accertamento ·della infrazione amministrativa e di verifica giurisdizionale. Ne segue che al Barilla non giova lo ius superveniens rappresentato dall'art. 2, quinto comma, legge n. 159 essendo egli un trasgressore che, al momento di effettuazione di quegli adempimenti, già era noto all'amministrazione, e non gli gioverebbe nemmeno, stante tale qualità di trasgressore cui già _era stata contestata l'infrazione, nemmeno se il procedimento amministrativo non si fosse ancora concluso. La preclusione nasce, cioè, non già dall'essere stata irrogata la sanzione, ma dall'essere stata contestata l'infrazione. In linea di principio, pertanto, deve ritenersi che nonostante l'operato rientro l'amministrazione può continuare ad applicare le sanzioni amministrative nei confronti di quei trasgressori rispetto ai quali pendevano procedimenti di accertamento. -(Omissis). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 704 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 maggio 1979, n. 3030-Pres. MirabelliEst. Zappulli -P.M. Cammarata -Azienda ferroviaria dello Stato (avv. Stato De Francisci) c. Colonnello Anna Maria ed altri (n.e.). Edilizia popolare ed economica -Alloggi FF.SS. -Cessione in proprietà Congiunti dell'assegnatario • Condizioni. Per tutte le tre categorie di congiunti dell'assegnatario defunto, e non solo per quelle degli ascendenti, secondo l'art. 25 d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2, la cessione dell'alloggio in proprietà può aver luogo soltanto quando sussistano le condizioni tutte indicate sul citato articolo (1). (Omissis). -L'amministrazione ricorrente, con l'unico motivo del ricorso, ha censurato ,la senter;tza impugnata per violazione degli artt. 4 e 25, lett. a), del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 e degli artt. 3 e 7 della legge 27 aprile 1962, n. 231, nonché per omessa e insufficiente motivazione, deducendo che ha errato la corte di merito nel ritenere che le tre condizioni indicate nel citato art. 25, lett. a), per il subentro sulla cessione in proprietà «convivenza con l'assegnatario poi deceduto, godimento dell'alloggio e mancanza di autonomia economka >> siano richieste soltanto per l'ultima delle categorie ivi indicate di congiunti dell'assegnatario stesso, e cioè per quella degli ascendenti, sulla base di un elemento letterale quale la dedotta assenza di una virgola tra la indicazione di questa ultima e la spedficazione delle suddette condizioni e di una pretesa finalità perseguita dalla legge in esame, mentre era così posto in essere un contrasto tra le condizioni per l'assegnazione dello alloggio in locazione e quella della cessione in proprietà, tanto più che l'art. 7 della successiva legge del 1962 aveva attribuito il diritto alla assegnazione dell'alloggio con uguale formulazione delle condizioni per le varie categorie familiari indicate. Il motivo è fondato e deve essere accolto. Invero, come già posto in rilievo in una precedente sentenza di questa Suprema Corte (Cass., 10 gennaio 1975, n. 82), con la quale è stata ritenuta l'identità dei requisiti per le tre categorie di congiunti, l'elemento letterale della assenza della virgola separatrice tra l'indicazione dell'ultima categoria (quella degli ascendenti) e la elencazione delle condizioni richieste per il loro subentro all'assegnatario originario («purché fossero... »), è equivoco, in quanto, sotto l'aspetto grammaticale, la necessità della presenza di quella virgola alla fine di una elencazione ai cui elementi siano comuni le condizioni successivamente indicate è incerta e contrastata. (l) Sulla stessa questione, cfr. Cass., 10 gennaio 1975, n. 82. PARTE l, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 705 In tale dubbio va_ considerato, così come nella citata sentenza, che la finalità di quella legge, come in genere di tutte le norme in tal materia, è quella di assicurare condizioni di favore per l'attribuzione degli alloggi, in locazione o in proprietà, a coloro i quali per particolari ragioni si trovino effettivamente in stato di bisogno e non possano usufruire di altro ricetto. Pertanto, in relazione a tale fine legislativo, sotto l'aspetto logico-giuridico, non può esservi motivo per una distinzione tra le mensionate categorie di congiunti con una posizione di sfavore per gli ascendenti, come se fossero fuori del nucleo familiare, mentre le condizioni connesse all'età fanno presumerne maggiori bisogni. Va, poi, osservato che il comma secondo della legge 21 marzo 1958, n. 447, contenente la delega legislativa al governo «per la disciplina della cessione in proprietà a favore degli assegnatari degli alloggi di tipo popolare ed economico costruiti a totale carico dello Stato ovvero con il stio conc~~so e contbbuto » (in virtù del quale .. è stato emesso il d.P.R. n. 2 del 1959), statuisce espressamente che «le norme di cui al comma precedente devono essere informate ai seguenti criteri l) nella cessione in proprietà deve essere preferito l'assegnatario dell'alloggio o, in mancanza, il coniuge superstite o gli ascendenti o i discendenti conviventi non aventi autonomia economica » con unica disposizione priva di distinzioni o limitazioni a diverso ordine di elencazione. Non può pertanto non sussistere una valida presunzione di conformità della norma delegata a quella delegante, che, sul piano letterale, la citata mera assenza della virgola separatrice non è sufficiente .ad escludere. D'altra parte gli artt. 12 e 16 dello stesso d.P.R. rendono manifesto che il legislatore ha voluto favorire coloro che effettivamente già godono direttamente dell'alloggio da cedere in proprietà e l'art. 10, come modificato dal citato art. 7 della legge 27 aprile 1962, n. 231, statuisce espressamente che per variè categorie di alloggi, compresi quelli «dell'amministrazione delle ferrpvie dello Stato» (come nell'attuale controversia), il diritto alla conservazione dell'allogio in locazione, in assenza di domanda di riscatto, è esteso «in caso di morte all'assegnatario, al coniuge superstite, ai discendenti entro il terzo grado e agli ascendenti, purché conviventi con l'assegnatario all'atto della morte e purché non godano della autonomia prevista alla lett. a) dell'art. 25 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 ». È ovvio che le due distinte norme, relative l'una all'assegnazione in locazione l'altra alla cessione in proprietà, contenute nella stessa legge, per l'unità dei fini perseguiti e delle rispettive esigenze delle categorie favorite, non possono essere assoggettate a diverse interpretazioni, onde, non sussistendo dubbi sulla identità delle condizioni per le tre categorie secondo la disposizione più recente, è confermato che pur in quella precedente la richiesta delle particolari condizioni espres RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 706 samente previste aveva valore per tutte le tre categorie indicate, e non solo per l'ultima di esse. Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della stessa Corte di appello, la quale dovrà attenersi al principio secondo il quale per tutte le tre categorie di congiunti dell'assegnatario defunto, e non solo quella degli ascendenti, secondo l'art. 25 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, la cessione dell'alloggio in proprietà può aver luogo soltanto quando sussistano le condizioni tutte indicate nel medesimo articolo. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 12 giugno 1979, n. 3308 -Pres. Sbrocca -Rel. Carnevale -P. M. Saja -Ministero dei Trasporti (avv. Stato De Francisci) c. Malatesta Giorgio (avv. Scove). Espropriazione per p.u. · Retrocessione · Totale e parziale · Differenze Posizione giuridica del privato espropriato · Diritto soggettivo e interesse legittimo. Nel caso in cui per la realizzazione dell'opera di pubblica utilità -sia essa complessa o meno -siano stati espropriati più immobili appartenenti a proprietari diversi, al fine di stabilire se la mancata utilizzazione totale di alcuno degli stessi immobili configuri un'ipotesi di retrocessione totale o un'ipotesi di retrocessione parziale, deve aversi riguardo all'opera programmata con la dichiarazione di pubblica utilità, nel senso che -ave la mancata utilizzazione dipenda dalla ·mancata realizzazione della stessa opera (o dalla realizzazione di un'opera che sia qualitativamente, nel senso già precisato, diversa da quella programmata) nei termini stabiliti nella dichiarazione di pubblica utilità -si ha un'ipotesi di retrocessione totale, mentre -ave la mancata utilizzazione, totale o parziale, del bene espropriato derivi dalla sua inservibilità per la esecuzione dell'opera programmata, sia stata questa realizzata in tutto o anche solo in parte -si ha invece un'ipotesi di retrocessione parziale. Ora, nell'ipotesi di retrocessione totale, il diritto soggettivo alla retrocessione del bene espropriato rimasto inutilizzato sorge automaticamente dalla mancata realizzazione, nei termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità, dell'opera programmata con la stessa dichiarazione ed è quindi immediatamente tutelabile davanti al giudice ordinario, mentre nell'ipotesi di retrocessione parziale, il diritto alla retrocessione del bene espropriato rimasto in tutto o in parte inutilizzato sorge solo dopo che l'espropriato o, in sua sostituzione, il prefetto abbiano dichiarato -con una pronuncia che non ammette equipollenti né può essere sostituita da un accertamento del giudice ordinario -che i beni residui non PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 707 servono più per l'opera pubblica per la cui realizzazione erano stati espropriati. Anteriormente a tale dichiarazione -di fronte al potere discrezionale attribuito dall'ordinamento alla p.a. in ordine alla valutazione .della ricorrenza o meno di un rapporto di utilità, anche in funzione di un semplice nesso di accessorietà o di pertinenza, tra il relitto e l'opera .di pubblica utilità -non è configurabile, in favore dell'espropriato, se non una posizione di interesse legittimo, tutelabile, in sede giurisdizionale, esclusivamente davanti al giudice amministrativo e non anche davanti al giudice ordinario (1). (Omissis). -Con l'unico motivo del suo ricorso l'amministrazione delle ferrovie dello Stato -denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12 delle preleggi e 60, 61 e 63 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e la conseguente violazione dell'art. 2 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, in relazione all'art. 360, n. l e 5, c.p.c. -si duole che la Corte del merito non abbia considerato che -essendo incontestato che l'opera pubblica (impianto di una nuova squadra rialzo e di un nuovo cantiere I.E.S. per la stazione ferroviaria di Napoli Centrale), per la realizzazione della quale era stato espropriato, unitamente ad altri appartenenti a diversi soggetti, l'immobile di proprietà del Malatesta, era stata costruita, anche se il detto immobile era rimasto inutilizzato nella specie si verteva in un'ipotesi di retrocessione parziale e non di retrocessione totale; e che, conseguentemente, la posizione soggettiva vantata dall'attore non poteva configurarsi come diritto soggettivo, suscettibile -come tale -di essere tutelata davanti al giudice ordinario. La censura è pienamente fondata. n criterio differenziale tra l'ipotesi della retrocessione totale del bene espropriato per ragioni di pubblica utilità, di cui all'art. 63 della legge .25 giugno 1865, n. 2359, e l'ipotesi della retrocessione parziale, discipli~ nata dagli artt. 60 e 61 della stessa legge, è dato dalla diversa causa che ha determinato l'inutilizzazione, in tutto o in parte, del bene espropriato per la realizzazione dell'opera di pubblica utilità in relazione alla quale è stato pronunciato il provvedimento ablatorio. Tale causa è costituita -nella prima ipotesi -dalla mancata esecuzione dell'opera programmata con la dichiarazione di pubblica utilità -o dall'esecuzione di un'opera qualitativamente diversa (nel senso della sua idoneità a rea~ lizzare una finalità di-interesse pubblico qiversa da quella per la qua~e è stata pronunciata la dichiarazione di pubblica utilità) -nei termini previsti dall'art. 13 della citata legge n. 2359 del 1865 (situazioni che determinano entrambe la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la conseguente impossibilità giuridica per l'espropriante di utiliz (l) Giurisprudenza costante. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 708 zare il bene espropriato); e -nella seconda ipotesi -dalla constatazione, successiva all'esecuzione, anche parziale, dell'opera, che alcuno· degli immobili espropriati, o una parte di esso o di essi, non siano più necessari per la realizzazione dell'opera stessa, sia che questa sia stata eseguita con le stesse caratteristiche quantitative risultanti dalla dichiarazione di pubblica utilità, sia che, nel corso della sua esecuzione, pur restando inalterata la corrispondenza di essa alla specifica finalità di pubblica utilità giustificativa dell'espropriazione, l'opera sia stata realizzata solo parzialmente. Alla stregua del criterio enunciato, soprattutto nel caso in cui per la realizzazione dell'opera di pubblica utilità -sia essa complessa o meno -siano stati espropriati più immobili appartenenti a proprietari diversi, al fine di stabilire se la mancata utilizzazione totale di alcuno degli stessi immobili configuri un'ipotesi di retrocessione totale o un'ipotesi di retrocessione parziale, deve aversi riguardo all'opera programmata con la dichiarazione di pubblica utilità, nel senso che ove la detta mancata utilizzazione dipenda dalla mancata realizzazione della stessa opera (o dalla realizzazione di un'qpera ·che sia qualitativamente, nel senso già precisato, diversa da quella programmata) nei termi~i stabiliti nella dichiarazione di pubblica utilità -si' ha un'ipotesi di retrocessione totale, mentre -ove la mancata utilizzazione, totale o parziale, del bene espropriato derivi dalla sua inservibilità per la esecuzione dell'opera programmata sia stata questa realizzata in tutto o anche solo in parte -si ha invece un'ipotesi di retrocessione parziale. Nel caso in esame, poiché era incontestato che la squadra rialzo e l'impianto elettrico, programmati con la dichiarazione di pubblica utilità in virtù della quale era stata pronunciata l'espropriazione -insieme ad altre appartenenti a diversi proprietari -dell'area di proprietà del Malatesta, erano stati realizzati, anche se soltanto sulle altre aree espropriate, la mancata utilizzazione dell'area espropriata al medesimo Malatesta (anche se non fosse stata determinata, come sostiene l'amministrazione ricorrente, dalla mancata costruzione di alcune opere accessorie programmate con la dichiarazione di pubblica utilità) non può non integrare quindi un'ipotesi di retrocessione parziale. Ora, mentre, nell'ipotesi di retrocessione totale, il diritto soggettivo alla retrocessione del bene espropriato rimasto inutilizzato sorge automaticamente dalla mancata realizzazione, nei termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità, dell'opera programmata con la stessa dichiarazione ed è quindi immediatamente tutelabile davanti al giudice ordinario, nell'ipotesi di retrocessione parziale, il diritto alla retrocessione del bene espropriato rimasto in tutto o in parte inutilizzato sorge ,:(: solo dopo che l'espropriato o, in sua sostituzione, il prefetto abbiano dichiarato -con una pronuncia che non ammette equipollenti né può ,:... PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE essere sostituita da un accertamento del giudice ordinario -che i beni residui non servono più per l'opera pubblica per la cui realizzazione erano stati espropriati. Anteriormente a tale dichiarazione -di fronte al potere discrezionale attribuito dall'ordinamento alla p.a. in ordine alla valutazione della ricorrenza o meno di un rapporto di utilità, anche in funzione di un semplice nesso di accessorietà o di pertinenza, tra il relitto e l'opera di pubblica utilità -non è configurabile, in favore dell'espropriato, se non una posizione di interesse legittimo, tutelabile, in sede giurisdizionale, esclusivamente davanti al giudice amministrativo e non anche davanti al giudice ordinario. -(Omissis). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Pl., 23 marzo 1979, n. 9 -Pres. Uccellatore -Est. Riccio -Regione Toscana (avv. Cheli) c. Dondini ed altri (avv.ti Santoro e Dallari) e Comune di Firenze (n.e.) -Appello T.A.R. Toscana, 30 agosto 1977, n. 358. Giustizia amministrativa · Ricorso giurisdizionale · Impugnazione · << Dies a quo >> per la proposizione dell'appello · Notificazione della sentenza di primo grado · Notificazione presso il procuratore costituito · Irritualità · Effetti. Giustizia amministrativa • Ricorso giurisdizionale • Impugnazione Errore scusabile · Riconoscibilità . Sussiste. Edilima · Urbanistica · Licenza edilizia · Annullamento • Annullamento d'ufficio · Motivazione • Violazione di pubblico interesse • Area destinata a verde pubblico · Uso residenziale privato · Motivazione sufficiente. Edilima · Urbanistica · Licenza edilizia · Annullamento · Annullamento d'ufficio . Motivazione · Violazione di pubblico interesse · Area destinata a godimento pubblico · Contrasto con prescrizioni di zona contenute nel piano regolatore · Motivazione sufficiente. Edilizia · Urbanistica · Licenza edilizia · Annullamento · Annullamento d'ufficio · Regione -Decorrenza del termine iniziale -Formulazione delle conclusioni della Commissione tecnico-amministrativa · Riferibilità · Effetti. Edilizia -Urbanistica -Licenza edilizia · Annullamento -Regioni -Competenza ex d.P.R. n. 8 del 1972 · Sussiste. Edilizia . Urbanistica · Licenza edilizia • Annullamento -Regioni · Competenza ex d.P.R. n. 8 del 1972 · Natura • Autonomia rispetto al potere generale di annullamento ex art. 6 t.u. n. 383/1934 · Effetti. Edilizia -Urbanistica · Licenza edilizia · Annullamento -Regioni -Competenza . Parere del Consiglio di Stato · Necessità -Non sussiste. Ai fini della decorrenza del termine di 60 giorni per la proposizione dell'appello innanzi al Consiglio di Stato ex art. 28, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il momento iniziale, in conseguenza della lacuna normativa esistente, va ricollegato alla notificazione della sentenza di to grado direttamente presso l'Autorità che ha emesso il provvedimento PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 711 impugnato, nel suo domicilio effettivo, non già presso il suo procuratore costituito (1). Poiché l'art. 19 della legge n. 1034/1971 richiama espressamente le norme di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ivi compreso quindi l'art. 36, secondo comma, t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, deve ritenersi ammissibile il riconoscimento dell'errore scusabile non solo in sede di ricorso introduttivo del giudizio di primo grado {come previsto dall'art. 34 della citata legge n. 1034/1971), ma anche in sede di ricorso in appello innanzi al Consiglio di Stato (2). Costituisce congrua e sufficiente motivazione di un provvedimento di annullamento d'ufficio di una licenza di costruzione l'indicazione che la utilizzazione per finalità di residenza privata di un'area destinata a verde pubblico e quindi a godimento della collettività si pone in violazione dèl puliblico interesse (3). Deve ritenersi sufficientemente motivato, con richiamo al contrastò fra la progettata costruzione di un edificio privato e ·le prescrizioni di zona contenute in un piano regolatore, un provvedimento di annullamento d'ufficio di una licenza edilizia, e ciò indipendentemente daila effettiva verifica della permanenza attuale dell'interesse della collettività in relazione alla destinazione nel piano dell'area a godimento pubblico (4). Il termine utile·fissato dal terzo comma dell'art. 27 legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'art. 7 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (18 mesi dall'accertamento delle violazioni) ai fini dell'annullamento d'ufficio della licenza edilizia inizia a decorrere dal momento in cui risulta effettivamente compiuta la valutazione degli elementi acquisiti dall'Autorità amministrativa, essendo a tal. fine irrilevanti le fasi dell'at- tività istruttoria volta alla raccolta degli elementi di valutazione delle violazioni commesse; in particolare detto momento in sede di. annullamento regionale può coincidere anche con la presentazione -per. la prt~ ma volta -delle conclusioni da_parte della Commissione regionale tecnico- amministrativa (5). (1-8) Nella prima massima viene recepita dalla Adunanza. Plenaria la ,soluzione che era stata gi~ .accolta dalla Sez. V nella decisione 27 maggio 1977; n. 502 (in Il C:onsiglio di Stato, 1977, I, 831), chè aveva stabHito che, nel silen~ zio della legge .n. 1034/1971 circa il destinatario della notifica della sentenza,, dovev·ano osservarsi i principi .iSIPiratori delJla procedura innanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, a norma dei quali per individuare rorgano dell'amministrazio.t;te nei confronti del quale si deve instaurare e svolgere il giudi:ùo, occorre far sempre· riferimento all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato. Nel senso, invece, di sanare detta lacuna facendo riferimento alla corrispondente norma del codice di procedura civile, con notifica da effettuarsi presso il procurato!'e costituito, oiò in !'elazi~ne al rinvio fatto dall'art. 285 c.p.c. al precedente art. 170, primo e terzo comma c.p.c. cfr. Sez. VI, 22 aprile 1977, n. 383, ivi, 1977, I, 639, Sez. VI, 13 maggio 1977, n. 417, ivi, 1977, I, 855. 9 712 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO In considerazione del carattere meramente esemplificativo della eli:mcazione contenuta nell'art. l, lettere a)-n), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, e della disposizione di chiusura contenuta nella successiva lett. o) (la quale prevede l'attrtbuzione alle regioni di ogni altra funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato in campo urbanistico), non può non ritenersi compreso nelle attribuzioni trasferite alle regioni anche il potere di annullamento delle licenze edilizie (6). Benché l'art. 27 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, contenga un espresso richiamo all'art. 6 d,ella legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, per l'annullamento delle licenze edilizie, va peraltro ritenuto che detto potere di annullamento, riconducibile all'iniziativa del Ministro dei lavori pubblici di concerto con il Ministro dell'interno, sia autonomo e separato rispetto al generale potere di annullamento del Governo considerato nel suo complesso; in forza della indicata peculiarità di detto potere di annullamento, trova giustificazione il suo trasferimento alle regioni nell'ambito del più generale trasferimento di tutte le funzioni in materia urbanistica ai sensi dell'art. l, lett. o), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, fermo restando al Governo il potere di annullamento esercitabile in ogni tempo ai sensi del citato art. 6 t.u. n. 383/1934 (7). Posto che, a differenza di quanto dispone l'art. 6 del t.u. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, l'art. 27 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, in materia di annullamento delle licenze edilizie non prescrive il parere preventivo del Consiglio di Stato il quale non può rite~ nersi organo ausiliario anche della regione (con l'ulteriore conseguenza che a quest'ultima è preclusa la possibilità di richiedere direttamente pàieri preventivi), in sede di annullamento regionale di una licenza edilizia ex art. l, lett. o), d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, non può essere addotto alcun vizio procedurale del relativo procedimento per mancata, preventiva acquisizione del parere del Consiglio di Stato (8). In relazione al disposto di cui all'art. 10, terzo comma, legge n. 103/1979 il problema ovviamente non si pone quando trattisi di Amministrazione statale a patrocinio obbligatorio (o facoltativo con effettiva, concreta assum:ione del relativo patrocinio) della Avvocatura dello Stato, esclusiva, diretta destinataria della notifica anche delle sentenze dei T .A.R. ai fini della decorrenza del termine di 60 giorni per la eventuale proposizione deH'appello. Sul trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative m materia urbanistica •ivi compreso il potere di annullamento delle liceru.e edilizie cfr. Ad. rp1., 3 l<Uglio 1973, n. 7, ivi, 1973, I, 869, che ritiene compreso nel trasferimento,. in particolare, con il potere di annullamento delle licenze edilizie illegittime anche la .connessa potestà cautelare di sospensione ex art. 27 Jegge 17 agosto '1942, n. ,]'150, non sussistendo alcuna identità tra detta potestà di annullamento e la generale potestà del Governo di annullare in ogni temrpo, ai sensi dell'art. 6 t.u. 3 marzo 1934, n. 383, gli atti illegittimi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 713 CONSIGLIO DI STATO, Ad. Pl., 23 marzo 1979, n. 12 -Pres. Uccellatore -Est. Pranzetti -Leone ed altri (avv. Piscione) c. Comune dj Roma (avv.ti Rago e Carnovale). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Giudicato -Decisioni giurisdizionali amministrative di primo e secondo grado -Decisione non passata in giudicato -Ricorso ,per ottemperanza · Esperibilità Preclusione. In considerazione della ratio della disciplina contenuta nell'art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (che deve essere interpretata nel senso di condizionare l'azione di ottemperanza delle sentenze sia dei T.A.R. che del Consiglio di Stato al loro passaggio in giudicato e cioè alla decorrenza del termine o all'esaurimento dei rimedi del ricorso per cassazione o per revocazione ex art. 395, nn. 4 e 5 c.p.c.), va esclusa ogni coincidenza fra l'ambito della esecutività propria delle decisioni giurisdizionali amministrative di 1° e 2° grado e quello del giudizio di ottemperanza, il quale ultimo, essendo volto ad inserire direttamente nell'azione amministrativa la determinazione dell'organo giurisdizionale amministrativo, richiede per la sua esperibilità il massimo grado di certezza che non può essere offerto da una decisione (di T.A.R. o del Consiglio di. Stato) non ancora passata in cosa giudicata formale ex art. 324 c.p.c., in ordine alla quale, (pertanto, il ricorso per ottemperanza deve riterzersi inammissibile (1). (l) Sul giudizio di ottemperanza e sui poted del giudice cfr. Ad. pl., 14 luglio 1978, n. 23, in La Settimana Giuridica, 1978, l, 457. La decisione massimata è di particolare importanza in quanto conferma che anche il Consiglio di Stato condiv,ide la consolidata giurisprudenza delle seziorii unite della Cassazione, motivata in relazione agli inconvenienti che potrebbero derivare da un anticipato esperimento del rimedio ex art. 27 n. 4 del t.u. n. 1054/1924 e 37 della legge 1034/1971 per l'ottemperanza da parte dell'amministrazione di decisioni non ancora passate in giudicato; conseguentemente, mentre il legislatore del 1971 aveva r,itenuto di concfu.ionare esplicitamente l'azione di ottemperanza al passaggio m giudicato delle sole sentenze dei TAR., I'Aid. pl. ha ritenuto, in via di intenpretazione 'logica e sistematica, che lo stesso principio debba applicarsi anche alle decisioni del Consiglio di Stato. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 maggi9 1979, n. 300 -Pres. Mezzanotte -Est. Giovannini -Soc. C.A.M.S.T. (avv.ti Casali e Dallari) c. Ministero trasporti ed altro (avv. Stato Sernicola) e Soc. C.I.G.A.R. (avv. Guarino). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Proposizione di motivi aggiunti -Termine • Decorrenza -Riferimento al giorno di deposito della documentazione o a quello di ricevimento della comunicazic: me di segreteria ex art. 35 r.d. 17 agosto 1907, n. 642 · Fattispecie. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 714 Contratti pubblici · Selezione del contraente -Scelta di procedimenti Interesse all'impugnazione immediata del criterio adottato dall'amministrazione -Non sussiste -Preclusione all'impugnazione. Contratti pubblici · Sistema di aggiudicazione a trattativa privata plurima -Adozione delle cautele dell'appalto-concorso -Necessità · Legittimità conseguente del criterio di scelta -Sussiste. Contratti pubblici -Sistema .di aggiudicazione a trattativa privata plu rima -Criteri di valutazione delle offerte -Espressione di potestà tecnico-discrezionale · Conseguenze sulle modalità di aggiudicazione. Solo qualora il deposito della documentazione avvenga in camera di consiglio o in udienza, oppure sia stato effettuato entro il termine per la presentazione del controricorso, oppure entro quello diverso fissato con decisione istruttoria, devesi far riferimento, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dei motivi aggiunti, al giorno in cui detto deposito è avvenuto; nelle altre ipotesi il termine de quo decorre dal giorno di ricevimento della comunicazione della segreteria ex art. 35 r.d. -17 agosto 1907, n. 642, o dalla data in cui i1 ricorrente ha avuto effettiva conoscenza dell'eseguito deposito, data quest'ultima in ordine alla cui prova l'onere incombe sulla parte che sollevi eccezione di tardività (1). Non insorge automaticamente una situazione soggettiva di interesse legittimo nel momento in cui l'amministrazione si determina a scegliere uno, anziché un altro, tipo di procedimento per la selezione del contraente in un contratto pubblico, posto che in detto momento non esistono ancora soggetti titolari di posizioni giuridiche particolari e differenziate, posizioni che insorgono solo in correlazione al fatto specifico della partecipazione al procedimento di scelta del contraente, in riferimento alle operazioni e determinazioni amministrative in cui il procedimento si sostanzia concretamente (2). Nella fattispecie concreta della scelta _del gestore di un servizio di caffè-ristorante in una stazione ferroviaria legittimamente l'Amministra (1-4) Decisione esatta e pienamente da condividere. Sulla prima massima appare di peculiare interesse riportare testualmente la motivazione della decisione stessa nella quale si enunciano chiaramente e dottamente i precedenti giurisprudenziali in tema di termine per la proposi· zione di motivi aggiunti: « ••• dies a qua per la proposizione dei motivi aggiunti va identificato nel giorno stesso di deposito in atti della documentazione assunta a loro base, solo ove il deposito medesimo sia stato effettuato in udienza o in camera di consiglio (cfr. Sez. V, 3 dicembre 1968, n. 1773; Sez. V, 29 maggio 1964, n. 562, in Il Consiglio di Stato, 1968, I, 2098; 1964, I, 1002), ovvero sia avvenuto -entro il termine stabilito per la presenta:<.ione del controricorso (cfr. Sez. V, 19 febbraio 1976, n. 285; Sez. V, 29 settembre 1971, n. 795; Sez. V, 29 maggio 1964 n. 652, ivi 1976, I, 197; 1971, l, 1604; 1964, I, 1001) o quello all'uopo fissato con provvedimento giurisdizionale istruttorio (cfr. Sez. V, 13 novembre il973, n. 1005; Sez. IV, 10 luglio 1973, n 697, ivi, 1973, l, 1579 e 996). In ogni altro caso esso deve rannodarsi o alla data di ricevimento della comunicazione di PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 715 zione adotta il sistema di aggiudicazione a trattativa privata plurima, ponendo in essere altresì le cautele e i criteri previsti per l'appalto-concorso, considerato che detta procedura, che si differenzia nettamente dalla semplice licitazione privata di cui al r.d. 23 maggio 1924, n. 827, consente di individuare il conèorrente da preferire tenendo conto non solo del prezzo offerto o richiesto, ma anche della natura e consistenza delle opere di sistemazione dei locali, della qualità dei prodotti e del livello dei futuri prezzi al pubblico (3). In considerazione delle caratteristiche tipiche della procedura concorsuale mediante trattativa privata plurima che costituisce espressione di potestà tecnico-discrezionale per l'amministrazione, è sufficiente che risultino salvaguardate la logica e la razionalità dei criteri di valutazione delle offerte; pertanto deve considerarsi pienamente legittima l'aggiudicazione di un servizio di caffè-ristorante in una stazione ferroviaria qualora risulti attribuita maggiore incidenza all'offerta tecnica valutata in via analitica ed anche in via generale in connessione con le altre offerte, in piena conformità alle previsioni indicate nella lettera di invito e alle caratteristiche ivi enunciate della nuova gestione (4). Segreteria ai sensi dell'art. 35 -del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (cfr. Sez. IV, 14 maggio 1969, n. 177, ivi, 1969, I, 750) o. ancora, in ultima residuale ipotesi, a quella di effettiva acquisita conoscenza da parte del ricorrente dell'eseguito deposito (cfr.· Cons. giust. amm. reg. sic., 17 ottobre 1974, n. 389; Sez. IV, 29 febbraio 1972, n. 98, ivi, 1974, I, 128; 1972, I, 128), l'onere della cui prova incombe, come per regola, su chi abbia soHevato l'eccezione di tardività (cfr. Sez. IV, 10 luglio '1973, n. 697; Sez. VI, 21 settembre 1966, n. 50, ivi, 1973, I, 996; 1966, I, 103). Sulla inesistenza di situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo in sede di determinazione della scelta del procedimento da adottare per la stipula del contratto pubblico cfr. Sez. IV, 18 ottobre 1977, n. 865, ivi, 1977, I, 1411; Sez. V, 20 gennaio 1977, n. 53, ivi, 1977, I, 85; Sez. V, 13 giugno .1975, n. 862, ivi, 1975, I, 817; sui limiti della autorizzazione all'aggiudicazione di un contratto mediante trattativa privata cfr. parere Sez. III 15 febbraio 1977, n. 99!77, ivi, '1979, I, 1277. · CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 9 marzo 1979, n. 55 (ordinanza sosp.) - Pres. Chieppa -Est. Chirico -Tassi (ayv. Cingolani) c. Comune di Filottrano (n.e.) -Appello avverso ordinanza sosp. T.A.R. Marche, 10 aprile 1978, n. 91. Giustizia amministrativa · Procedimento giurisdizionale -ProvvedimentQ di sospensione dell'atto impugnato -Ordinanza di sospensione del T.A.R. -Possibilità di apposizione di termini e condizioni -Sussiste Imposizione di cauzioni -Preclusione. Ferma la possibilità per il Giudice amministrativo, in sede di ordinanza di sospensione dell'esecuzione di un atto impugnato (dato il ca 716 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rattere di provvedimento giurisdizionale cautelare ad effetti provvisori dell'ordinanza stessa), di apporre termini e condizioni sospensive e risolutive con riferimento ad adempimenti di ordine processuale o istruttorio e ad obblighi comunque connessi e preesistenti dell'Amministrazione o delle altre parti in giudizio, resta peraltro preclusa la possibilità che alle parti del processo, pubbliche o private, vengano imposti -a titolo di condizione dell'operatività del provvedimento di sospensione -obblighi o prestazioni a contenuto patrimoniale (come il versamento di somme di danaro a titolo di cauzione in sede di sospensione di un ordine di demolizione di costruzione abusiva) che non trovino alcun fondamento in una espressa, specifica previsione di legge (1). (l) Una ipotesi particolare di cauzione espressamente prevista per legge è fornita dall'art. 8 della legge 27 maggio 1975, n . .166, che consente al giudice amministrativo di sostituire la sospensione del provvedimento impugnato (di occupru.ione temporanea di urgenza o di espropriazione per pubblica utilità) con il deposito di una cauzione da parte dell'amministrazione o del soggetto che potrà essere tenuto a corrispondere l'indennità o il risarcimento. L'ordinanza massimata si segnala perché costituisce un esempio di decisione in grado di appello avverso un'ordinanza .di sospensione del provvedimento impugnato da parte di un T.A.R. in materia al dd fuori dell'ambito di applicazione della legge 3 gennaio 1978, n. l, relativa alla accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali, la quale all'art. 3 sancisce la inappellabilità delle ordinanze emesse dai T.A.R. sull'istanza di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato (a1 riguaido cfr. anche Sez. Iv,· o11d.m 7 febbraio 1978, n. 20, in Foro It., 1978, III, 215; per ulteriori richiami giurisprudenziali cfr. A. RoMANo, in Foro It., nota alla presente ordinanza, 1979, III, 371). CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 23 marzo 1979, n. 182 · Pres. Levi Sandri -Est. Noccelli -Spadaccini (avv.ti Guarino e Coronas) c. Ministero poste e telecomunicazioni (avv. Stato D'Amato) e la Placa ed altri (n.e.). Impiego pubblico · Promozioni • Scrutini per merito comparativo • Criteri • Presunzione di imparzialità di giudizio • Condizioni necessarie per superare la presunzione • Requisiti • Necessità. Impiego. pubblico • Promozioni · Scrutini per merito comparativo • Precedenza nella graduatoria di impiegati con minore anzianità • Eccesso di potere • Non sussiste. Impiego pubblico · Promozioni • Scrutini per merito comparativo • Attitudini ad espletare funzioni superiori · Giudizi parziali sulle altre qualità dello scrutinando -Indipendenza • Effetti. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 717 Impiego pubblico -Promozioni • Scrutini per merito comparativo . • Discrezionalità della Commissione esaminatrice -Necessità di individuare i criteri di razionalità e di imparziale ponderazione degli interessi -Sussiste -Effetti · Fattispecie. Impiego pubblico -Promozioni · Scrutini per merito comparativo Requisiti attitudinali -Relazione con le altre qualità dello scruti· nando · Difformità rispetto ai giudizi dei rapporti informativi • Necessità di idonea motivazione · Sussiste · Effetti. Impiego pubblico -Promozioni · Scrutini per merito comparativo · Omessa indicazione di tutte le mansioni esercitate nel pregresso servizio e degli incarichi particolari -Illegittimità. La presunzione della imparzialità del giudizio in sede di scrutinio per merito comparativo -imparzialità collegata alla collegialità dell'organo (consiglio di amministrazione) e alla eterogeneità della sua composizione -può essere superata solo da precise circostanze contrarie, rappresentate da indizi univoci, precisi e concordanti che rivelino una palese disparità di trattamento o una evidente irrazionalità di giudizio (1). In considerazione della finalità tipica dello scrutinio per merito comparativo, volta alla valorizzazione dei migliori fra gli impiegati scrutinandi indipendentemente dalla anzianità di servizio, la precedenza nella gradùatoria di impiegati con minore anzianità di servizio rispetto ad altri postergati non costituisce di per sé ipotesi di eccesso di potere (2). Ferma la indipendenza fra la valutazione delle attitudini del funzionario ad espletare mansioni della qualifica superiore e i giudizi parziali riflettenti le altre qualità dell'impiegato, è del tutto legittimo che, in presenza di sia pur lievi differenze nei punteggi parziali, vengano espresse differenti valutazioni in punto attitudini alle mansioni superiori, a condizione che siano stati tenuti presenti tutti gli elementi di giudizio relativi al candidato e ricavabili dal fascicolo personale e dai rapporti informativi (3). Ferma la discrezionalità di giudizio in sede di scrutinio per merito .comparativo di cui ampiamente gode la commissione esaminatrice, su~ siste peraltro l'esigenza imprescindibile di rintracciare nell'operato della commissione stessa precisi criteri di imparzialità e di imparziale pon (1-6) Cfr. in termini: Sez. VI, 22 aprile 1977, n. 393, in Il Consiglio di Stato, 1977, l, 645; Sez. VI, 26 giugno 1973, n. 306, ivi, ·1973, I, 1.143; Sez. VI, 2 marzo 1971, n. 138, ivi, 1971, l, 542; Sez. VI, 10 gennaio 1978, n. 61, in La Settimana Giuridica, 1978, I, 11, la quale ultima conferma i Limiti dell'indagjne del giudice amministrativo in punto valutazioni di merito effettuate dall'am. ministrazione, sindacabili solo ove si ravvisino precisi elementi di illogicità <> contraddittorietà; al riguardo cfr. anche Sez. V, 29 aprile 1976, n. 679, in Il Consiglio di Stato, 1976, I, 505. 718 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO derazione degli interessi in gioco, al fine di evitare che la discrezionalità divenga arbitrio; ne consegue la illegittù:nità di uno scrutinio in cui risultino graduati i punteggi discrezionali allo scopo evidente di lasciare sostanzialmente inalterate le posizioni che i candidati avevano in una precedente graduatoria, in modo da togliere ai candidati più anziani benefici connessi a particolari disposizioni normative di favore ai fini del calcolo del coefficiente di anzianità posseduta (4). Il giudizio sul requisito attitudinale, che investe l'intera personalità dell'impiegato, è in parte svincolato dalle valutazioni concernenti le altre qtlaUfà parziali dello scrutinando; non vi può tuttavia essere un insuperabile distacco fra il primo e le seconde, non potendosi frazionare la personalità dell'impiegato in tante parti separate e indipendenti; conseguentemente il consiglio di amministrazione in sede di scrutinio per merito comparativo dovrà sempre specificare le ragioni per cui ha ritenuto di allontarsi dai giudizi contenuti nei rapporti informativi (5). In sede di compilazione della scheda personale di un impiegato scrutinando ai fini di una promozione per merito comparativo debbono essere indicati, a pena di illegittimità, tutti gli incarichi particolari affidatigli con provvedimenti formali dei superiori, nonché tutte le mansioni esercitate nel pregresso servizio,· l'omissione anche solo parziale potrebbe infatti influenzare anche le valutazioni di altre categorie di titoli e costituirebbe pur sempre un vizio procedimentale, ciò indipendentemente dalla attribuzione per le voci relative all'esaminando del massimo punteggio a disposizione del consiglio di amministrazione (6). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 aprile 1979, n. 2046 -Pres. Aliotta Est. Lipari -P. M. Grimaldi (conf.). -Soc. Sanber (avv. Romanelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara). Imposte e tasse in genere . Nuovo contenzioso tributario · Giudizio di terzò grado · Estimazione complessa -Impiego del metodo induttivo di accertamento -Vi rientra. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). Imposte e tasse in genere . Imposte dirette -Accertamento · Metodo induttivo -Soggetti tassabili in base a bilancio -Criteri di ammissibilitil. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 37, 39, 117, 119, 120 e 121). Rientra nei poteri del giudice di terzo grado verificare la legittimità dell'accertamento motivato con metodo induttivo (1). Legittimamente l'accertamento del reddito di un soggetto tassabile in base a bilancio può essere motivato con metodo induttivo quando dalla dichiarazione e dal bilancio non risulti una esatta rilevazione dei fatti aziendali, sempreché l'ufficio abbia dato sufficiente motivazione delle ragioni che giustificano il ricorso al metodo induttivo. Il metodo induttivo è utilizzabile sia per basare l'accertamento sintetico, sia per determinare il quantum imponibile. Quando l'ufficio fa legittimamente ricorso al metodo induttivo anche avvalendosi di presunzioni, spetta al contribuente fornire la prova contraria (2). (Omissis). -5. -Nel merito la commissione centrale ha ritenuto fon· dato il ricorso dell'ufficio concernente il negato recupero a tassazione della cosiddetta svalutazione di magazzino, rilevando: a) che la società aveva adottato sistemi di registrazione dei fatti produttivi che non consentivano controlli dei consumi e della produzione (1-2) La prima massima, pur mantenendo la disamina in termini generici, esattamente riporta la questione della legittimità dell'accertamento sintetico (apprez:t.amento dei fatti necessari all'applicazione delle norme che regolano questo tipo di accertamento) nei poteri decisori sicuramente spettanti al giu no RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO «cioè dal fatto aziendale fondamentale ai fini della determinazione del reddito, che era tenuta a documentare prima all'ufficio e poi ai giudici; b) che le commissioni di merito avevano erroneamente ritenuto di essere investite del libero apprezzamento del fatto produttivo, di cui l'ufficio doveva provare il reale andamento, mentre ai sensi degli artt. 119 e 121 del t.u. sulle imposte dirette del 1958 la situazione contabile della società consentiva il ricorso al procedimento induttivo, la cui adozione comportava l'inversione dell'onere della prova, a carico della società; c) che l'elemento utilizzabile per attivare il procedimento di accertamento induttivo era il raffronto fra dati della produzione del 1963 e del 1966, da cui emergeva un ricavo per ogni quintale di carta lavorata (la S.A.N.B.E.R. produce scatolame in cartone) rispettivamente di L. 15.000 e di L. 12.425 in periodi di costi cresciuti; sicché al maggior consumo di materie prime impiegata appariva ragionevole far corrispondere ricavi maggiori. L'impostazione della commissione centrale viene investita anzitutto, nella memoria, addebitandosi alla commissione centrale -come si è accennato -di avere erroneamente esercitato poteri di fatto ad essa non attribuiti dalla legge, indebitamente sindacando il giudizio espresso dice di terzo grado. Pur senza prendere una netta posiziOne sulla corrispondenza dell'attuale delimitazione del giudizio di terzo grado con il criterio dell'estimazione complessa, segue ril corretto principio della conoscibilità delle questioni di fatto presupposto dell'applicazione della legge. Sorprende peraltro la qualifilcazione di «isolata» data a:11a sent. 22 novembre ,1977, n. 5086 (in questa Rassegna, 1977, I, 874, con nota di ç, BAFILE) che è invece una fondamentale sentenza in materia alla quale si ruanno le successive 19 settembre 1978, n. 4195 e 26 settembre 1978, n. 4321 (ivi, 1979, I, 189, 70) nonché J.a sent. 19 febbmio 1979, n. 1075 ivi, 496. !La seconda massima è conforme ad un fermo orientamento. L'obbligo della motivaùone analitica dell'accertamento è 1n generale correlativo al dovere di dichiarazione analitica (v. Relazione Avv. Stato, 1970, II, 533 e ,segg.); quando poi la dichiarazione ed il bilancio ad essa allegato non documentano la situazione aziendale, .Ja rettifica diventa per necessità analitica, e ciò sia nel caso di bilancio formalmente irregolare, sia nel caso di bilancio regolare ma inattendibile (Cass., 7 novembre 1974, n. 3384 e 22 gennaio 1975, n. 252, in questa Rassegna, 1975, I, 196 e 552). La prima di queste sentenze ha anche precisato la distinzione tra la integrazione Jnduttiva di talune poste di un accertamento che nel complesso rimane analitico (art. 119 terzo comma del t.u. del 1958) e la totale sinteticità dell'accertamento che sostituisce la dichiarazione inesistente o non basata su valide scritture contabili o corredata di un bilan· cio che a causa di gravi e ripetute incompletezze non può considerarsi tale (art. 120). Notevole la precisa11ione che il metodo induttivo è utilizzabile non solo per fondare l'accertamento sintetico ma anche per determinare il quantum di una posta di biJ.ancio o dell'intero reddito; per l'applicazione dello stesso .criterio in materia ·di imposte indirette accertate con ordinanza. v. Cass., 8 novemb!'e 1973, n. 2922 (ivi, 1974, I, 237). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 721 dalla commissione provinciale circa la idoneità degli elementi addotti all'ufficio per giustificare l'adozione del metodo di accertamento induttivo. Questa censura appare al Collegio doppiamente erronea: nella enucleazione dei concetti giuridici volti a circoscrivere i poteri di fatto della commissione centrale, quali risultano fissati nella disciplina del nuovo contenzioso tributario; nel tentativo di ricondurre la fattispecie a quei presupposti astratti (sia pure erroneamente fissati) attraverso una distorta lettura ed interpretazione della pronuncia impugnata. Come è noto ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 636 del 1972 il ricorso alla commissione centrale è proponibile soltanto per violazione di legge e per questioni di fatto~ escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. È quindi inesatto ritenere, anche alla stregua di un superficiale riscontro, che alla commissione centrale spettino solo poteri di sindacato di legittimità riconducibili all'area dell'art. 360, n. 3 c.p.c. Il problema interpretativo si pone non già quando si tratti di escludere in ogni caso (con palese errore giuridico) poteri di fatto della commissione centrale ma quando si voglia circoscrivere la portata di tali poteri. Prima della riforma tributaria non si dubitava che i· poteri della commissione centrale non si identificassero con quelli che nella giurisdizione ordinaria spettano a questa Corte di cassazione, riconoscendosene la estensione anche all'accertamento di fatti costituenti la premessa necessaria per l'applicazione della legge (così, testualmente, Cass. n. 2621 del 1969). Secondo l'orientamento di questo Supremo Collegio i poteri della commissione centrale non coincidevano con quelli della cassazione, comprendendo oltre alle questioni di diritto, inclusi gli errores in procedendo, le questioni di fatto realizzanti i poteri di estimazione complessa. Essi andavano riconosciuti anche su questioni di fatto -ogni qualvolta occorreva procedere ad una qualificazione giuridica dei fatti medesimi, quando cioè la corretta applicazione delle norme tributarie involgeva la necessità di indagini di merito sui presupposti fattuali (con salvezza dei profili di estimazione semplice) (Cass., 3228, 3229, 3235/76, 4058 e 1613/74, 2037, 581/72). La tendenza a razionalizzare il sistema, attraverso la distinzione fra estimazione semplice e complessa, non si era del tutto realizzata, anche se in linea di massima per estimazione semplice si intendeva il giudizio limitato alla valutazione dei dati ed elementi di mero fatto rilevanti ai fini della entità o dell'esistenza del reddito tassabile, o della attività da cui deriva, sussistendo i dubbi soprattutto nella collocazione delle questioni di fatto del tutto estranee alla estimazione. Espressione di questa incertezza è la decisione delle Sez. Un. 4 agosto 1959 n. 2526, che riconduceva all'ambito della estimazione semplice il 722 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ricorso al metodo induttivo per inattendibilità delle specifiche poste del bilancio. Ma adottando un concetto riduttivo di estimazione semplice (esistenza e determinazione quantitativa alla stregua di criteri non dettati da norme giuridiche del presupposto materiale cui l'ordinamento ricollega la nascita della obbligazione tributaria) tale soluzione non può essere condivisibile. L'apprezzamento dell'ufficio in ordine alla necessità del ricorso al metodo induttivo è chiaramente riconducibile all'area dell'estimazione complessa perché postula una scelta applicativa ancorata all'assunzione di una norma di diritto secondo una data interpretazione, mentre le questioni di fatto implicate si pongono come strumentalmente necessarie ai fini dell'esatta applicazione delle norme che consentono l'adozione di tale metodo. 6. -Né la situazione è sostanzialmente mutata alla stregua della riforma del contenzioso tributario. Si è vivacemente discusso sulla portata dell'art. 10 n. 14 della legge di delegazione n. 825 del 1971 e sulla adeguatezza delle formule contenute negli artt. 26 e 40 della legge delegata (per questa problematica cfr. approfonditamente Cass., n. 5086/77) nonché sulla stessa delimitazione del concetto di estimazione semplice. Ma una volta riconosciuto che la commissione centrale può conoscere pacificamente di questioni di fatto, purché non estimative, ai fini della decisione della presente controversia non occorre prendere posizione sulle alternative ricostruttive che si prospettano, in ordine alla puntualizzazione del concetto di estimazione, dal momento che anche l'adozione della nozione astrattamente più favorevole all'assunto della società non le gioverebbe in concreto. Ed invero ove si accolga la tesi interpretativa secondo cui la limitazione della competenza della Corte d'Appello e della commissione centrale riguarda solo una ristretta categoria di controversie di fatto, quelle attinenti cioè al quantum dell'imponibile, indubbiamente il tentativo della ricorrente di sottrarre la controversia alla cognizione della commissione sarebbe radicalmente frustrato, dal momento che non si discute in causa della misura maggiore o minore dell'accertamento, ma del criterio giuridico mediante il quale operare l'accertamento e degli indici fattuali all'uopo utilizzabili. Ma anche se si volesse far capo alla per ora isolata interpretazione accolta da questa Suprema corte nella richiamata decisione n. 5086 del 1977, secondo cui nella nozione di questioni di semplice estimazione (definite negli artt. 26 e 40 d.P.R. n. 636 del 1972 << questioni di fatto relative a valutazioni estimative ») rientrano tanto quelle relative alla quantificazione del reddito, o del valore imponibile, quanto gli accertamenti di fatto sull'esistenza della materia tassabile, e sui presupposti del tributo, risolvibili con criteri empirici «e non giuridici», infine PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 723 quelle che con il giudizio estimativo hanno un rapporto di connessione, perché inerenti, pregiudiziali o dipendenti, la soluzione non cambierebbe, giacché si dovrebbe ugualmente riconoscere che i poteri della commissione centrale contemplano anche la cognizione dei fatti che si presentano come indispensabili (strumentalmente necessari) per la corretta applicazione delle norme tributarie e quindi del criterio legale di accertamento (Cass., 4195j78) e si dovrebbe altresì constatare che il potere di procedere ad accertamenti di fatto ricostruttivi dei presupposti del giudizio in maniera diversa da quanto si era ritenuto nel precedente grado è concettualmente diverso dal potere di riesaminare il giudizio espresso su tali fatti ai fini della qualificazione giuridica e di sindacare pertanto la legittimità delle conseguenze giuridiche che ne sono state tratte. 7. -All'errore di avere spoditticamente escluso la cognizione di fatto della commissione equiparando il giudizio sul fatto all'accertamento di fatto si accompagna un'ulteriore errore attinente alla interpretazione della sentenza denunciata. La commissione centrale ha ritenuto che nella specie fosse applicabile il disposto di cui al terzo comma dell'art. 119 del t.u. del n. 645 del 1958. Non si tratta, quindi di contestare l'esistenza e quantificazione della materia tassabile (che sono profili strattamente connessi e vicendevolmente implicantisi proprio quando si tratta di procedimenti di accertamento induttivo), ma di stabilire se correttamente la commissione provinciale abbia escluso che si potesse far ricorso al procedimento induttivo e se rientrasse nella cognizione della commissione centrale il sindacato di questo giudizio inficiato da una scorretta applicazione delle norme di cui agli artt. 119 e 121. Ma così stando le cose è veramente arduo ipotizzare che si verta in materia di questioni di fatto relative a valutazioni estimative, poiché non · vengono in considerazione elementi di fatto diversi da quelli tenuti presenti dalla commissione di merito o dall'ufficio, ma tali elementi sono stati vagliati nella loro attitudine a giustificare l'applicazione della relativa normativa. La commissione centrale non ha proceduto ad accertamenti di fatto in via autonoma, pervenendo in punto di fatto a conclusioni diverse da quelle emergenti dalle decisioni delle commissioni di merito; ma ha riconosciuto della situazione accertata da cui risultava che la società non aveva esposto in modo esatto i fatti aziendali, né fornito una congrua documentazione al riguardo, mentre vi era stato un aumento di produzione era idonea a giustificare la correzione in via induttiva, con la çonseguenziale inversione dell'onere probatorio, laddove la commissione 724 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO provinciale e:ra incorsa nell'errore di-addebitare all'ufficio l'onere di pn)Vare il reale fondamento del fatto produttivo con ciò violando la legge. In conclusione sul punto la società non può essere seguita né quando postula che alla commissione centrale siano comunque inibiti i giudizi di mero fatto, né quando pretende che la commissione medesima abbia proceduto in concreto ad accertamenti e giudizi astrattamente ad essa vietati dalla legge. 8. -Posto che la commissione centrale poteva giudicare così come ha giudicato occorre ulteriormente verificare se l'espresso giudizio sia stato reso legittimamente. Con il primo mezzo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 119, terzo comma e 121, primo e secondo comma, del testo unico delle imposte dirette del 29 gennaio 1958, n. 645. Sostiene il ricorrente che l'ufficio aveva l'obbligo di precisare le ragioni che lo avevano determinato all'accertamento induttivo e di indicare gli elementi in base ai quali aveva calcolato il reddito. Non bastava il generico richiamo alla inidoneità della contabilità a consentire l'esercizio del controllo sulla congruità dei consumi per legittimare il ricorso al metodo induttivo e solo dopo aver comprovato i presupposti di legge sarebbe stato possibile procedere all'accertamento deÌ quantum; le difformità riscontrate non bastavano a dimostrare in concreto che la società avesse indicato in modo inesatto gli estremi della produzione, e conseguentemente i risultati di esercizio, valendo tutt'al più a giustificare il calcolo del quantum, ma non l'adozione del metodo induttivo come tale. Le censure non sono fondate. La legge consente il procedimento induttivo nelle ipotesi di omissioni, inesattezze, irregolarità circa le indicazioni in bilancio di fatti aziendali. Secondo l'art. 117 del t.u. se il contribuente ha presentato tempestivamente la dichiarazione corredandola di tutti i dati ed elementi contabili necessari per il controllo della completezza e veridicità della dichiarazione stessa il reddito è accertato in via analitica, mediante la determinazione dei singoli elementi attivi e passivi che Io compongono. Anche se l'art. 37 dispone, come principio generale, che gli avvisi di accertamento vanno motivati analiticamente, ciò non significa che in ogni caso l'accertamento debba essere analitico, poiché se il contribuente non ha rispettato le norme stabilite per la dichiarazione, o per il controllo della stessa, l'amministrazione può rettificare, anche in via induttiva, il reddito dichiarato avvalendosi di tutti gli elementi comunque raccolti nell'esercizio della facoltà previste dall'art. 39 (poteri dell'ufficio). II procedimento induttivo è esplicitamente stabilito dall'art. 119, terzo comma e dall'art. 120 del t.u. nei confronti dei soggetti tassabili in base al bilancio quando si verifichino le condizioni ivi previste. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA '7i5 Mentre di norma i redditi dei soggetti tassabili in base a bilancio sono determinati sulla base delle risultanze del bilancio stesso, e del conto profitti e perdite, e dei rendiconti, «quando risulta che sono indicate spese e perdite inesistenti o superiori a quelle effettive, che sono omesse o indicate in modo inesatte le entrate, ovvero che « i fatti aziendali » sono comunque riportati inesattamente o irregolarmente, in modo da concludere con un risultato diverso da quello effettivo, l'ufficio procede, anche induttivamente, alla integrazione o correzione delle impostazioni di bilancio mancanti o inesatte» (art. 119, terzo comma) ma è tenuto ad indicare sull'avviso di accertamento le ragioni per le quali ha ritenuto applicabile il metodo induttivo (art. 121, primo comma); ed il contribuente deve fornire la prova dell'inesattezza delle integrazioni e correzioni apportate, ovvero dalla inesistenza, in tutto o in parte, del reddito stesso (art. 121, terzo comma). Trattasi di disposizioni· che non dettano norme sostanziali, ma contengono regole probatorie, ovvero disciplinatrici del procedimento di accertamento. Si consente, infatti, la possibilità di utilizzare materiale probatorio indiziario da parte dell'amministrazione, e si pone l'onere della prova a carico del contribuente. Nel caso di specie l'avviso di accertamento dà atto che il tipo di contabilità e di lavorazioni poste in essere non consentiva, alla stregua . della documentazione offerta, di effettuare un controllo di congruità fra consumi, produzione e vendite, enucleando-quindi in sei punti la componente del reddito, ivi compresa la svalutazione quantitativa di magazzino. Vi è, pertanto, una adeguata indicazione di << ragioni che ha trovato l'avallo della commissione centrale, la quale ha posto in evidenza che la società contribuente aveva esposto in modo non esatto i fatti aziendali, e non era stata in grado di fornire una documentazione che rendesse possibile i controlli dei consumi e della produzione, ossia del fatto aziendale, e non era stata in grado di fornire una documentazione che rendesse possibile i controlli dei consumi e della produzione (ossia del fatto aziendale fondamentale ai fini della determinazione del reddito). Il rapporto fra carta consumata e ricavi conseguiti è parso logicamente inattendibile poiché non si giustifica in tempi di costi crescenti, la diminuzione del ricavo lordo per quintale di materia prima impiegata. L'aumento del consumo di materia prima, non accompagnata da dilatazione dei ricavi, costituisce di per sé -secondo la commissione, elemento sintomatico di maggior reddito, quantificato nella misura di L. 80 milioni. Sussiste -perciò -sia nell'accertamento, sia nella valutazione che ne è stata data dal giudice tributario, l'enucleazione dei requisiti di legge per addivenire all'accertamento induttivo stante la incongruità emergente dalla contabilità, posta a base della valutazione del reddito. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 726 Obietta la società contribuente che la inesatta indicazione delle entrate e la inesatta esposizione dei fatti aziendali avrebbero potuto essere valorizzati nel momento della determinazione dell'imponibile da recuperare a tassazione, ma non anche per giustificare l'adozione del metodo induttivo. Ma la tesi non può essere seguita; non vi è dubbio che gli stessi elementi indiziari sono utilizzabili sia per far scattare lo strumento dell'accertamento induttivo, sia per determinare, nell'ambito del suddetto metodo accertativo, il quantum imponibile. Alla distinzion~ logica dei due momenti non deve necessariamente corrispondere un corredo probatorio distinto. Se gli elementi indiziari sono suscettibili di valutazione polivalente sia circa la sussistenza della situazione che rende applicabile l'art. 119, terzo comma (in quanto evidenziano impostazioni di bilancio scorrette ed inesatte), sia circa la misura del re(ldito prodptto e non fatto risultare ai fini della tassazione, possono esser utilizzati in entrambe le direzioni. La inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione (anche per i redditi determinati in base a scritture contabili) rappresenta la conseguenza, e non già il presupposto dell'accertamento dell'esistenza di attività non dichiarata, o dell'inesistenza di passività dichiarate, al quale si può addivenire anche sulla base di presunzioni semplici (si confrontino in proposito anche gli artt. 38 e 39 d.P.R. 29 settembre 1975, n. 600). La contribuente non contesta la sostanziale esistenza di una materia imponibile non evidenziata nella dichiarazione unica, e la idoneità degli elementi indiziari accolti; ma nega che gli stessi potessero valere per l'accertamento dell'inesattezza di quanto dichiarto. Vero è, invece, che la non omogeneità degli elementi di raffronto nelle registrazioni di magazzino, rendeva impossibile il riscontro analitico delle registrazioni medesime, comportando che la determinazione della reale produzione di scatolame si effettuasse in funzione dei consumi di carta e dei ricavi .crescenti medi per quintale di carta consumata. La deduzione basata sul rapporto fra carta consumata e ricavi conseguiti emergente dal raffronto fra i dati storici relativi ai consumi del 1963 e quelli del 1966, era quindi astrattamente idonea ai sensi dell'art. 119, terzo comma, del t.u., a porsi quale fondamentale elemento per desumere che i fatti aziendali erano stati riportati inesattamente od irregolarmente, e valeva di per sé a mettere in moto lo strumento accertativo considerato. Da ciò l'errore di giudizio della commissione di secondo _grado chiarito dalla commissione centrale e che dovrà essere riparato restando ferma quella decisione in sede di rinvio della medesima disposto. 9. -In conclusione il ricorso, essendo risultato infondato in tutti e tre i motivi in cui si articola, e non ravvisandosi alcuna esorbitanza della commissione centrale dei propri poteri istituzionali, deve essere rigettato. -(Omissis). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 727 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 aprile 1979, n. 2049 -Pres. Aliotta Est. Battimelli -P. M. Raja (diff.) -Compagnia Tirrena di Assicurazioni e Capitalizzazione (avv. Pomarici) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Imposta di registro -Concordato fallimentare -Sentenza di omologazione · Imposta di titolo -Prenotazione a debito • Ingiunzione del cancelliere per il recupero dell'imposta prenotata -Illegittimità. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 111, n. 5 e tariffa A, 32 e 126; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 91, 111 e 133; c.p.c. disp. att., art. 43). La prenotazione a debito in materia fallimentare (art. 91, 111 e 133 legge fallimentare) è ammessa solo per le spese giudiziali e gli atti richiesti dalla legge e quindi può comprendere l'imposta di registro sulla vera e propria sentenza di omologazione (art. 126 tariffa A legge di registro) e non le imposte di titolo pertinenti alla convenzione di concordato (art. 32 stessa tariffa). È conseguentemente illegittimo il provvedimento del cancelliere di cui all'art. 43 disp. attuazione cod. proc. civ. (equipara!o alla ingiunzione ordinaria) con il quale si domanda contro l'assuntore e il garante del concordato il rimborso della imposta di titolo. L'imposta di titolo, non costituente un elemento essenziale per l'esecuzione del concordato, va accertata e riscossa nei modi ordinari (1). (Omissis). -Con sentenza del 23 dicembre 1963 il tribunale di Messina omologò il concordato proposto da Salvatore Bambara e Maria Luisa Ambrogetti (dichiarati falliti, in proprio e quali gestori di società di fatto per la gestione dell'Hotel Villa Mazzarò di Taormina, dallo stesso tribunale in data 27 gennaio 1972), concordato di cui, di fronte alla cessione di tutti i beni, si era reso assuntore la S.pA. « Unione Finanziaria Italiana », con fideiussione della società « Compagnia Tirrena di Capitalizzazione >> e Società Italiana Cauzioni. In data 30 dicembre 1963 il curatore del fallimento, non disponendo dei fondi necessari per la registrazione della sentenza di omologazione, ottenne ,dal giudice delegato che alle spese di omologazione si procedesse mediante prenotazione a debito dopo di che, non avendo l'assun (l) Anticipazione delle spese per il procedimento fallimentare, imposta di registro e relative controversie. I. -La decisione che affronta vari e complessi problemi suscita non pochi dubbi. II primo quesito, che meritava maggiore approfondimento, è se la registrazione della sentenza di omologazione del concordato possa essere separata dalla registrazione delle convenzioni sottostanti, ossia se nel registrare la sentenza con l'imposta (fissa) sull'atto giudiziale (art. 126, tariffa A, dell'abrogata legge di registro) si debba totalmente prescindere dalla registrazione (con lO 728 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tore del fallimento provveduto a pagare l'imposta di registro sulla sentenza il cancelliere della sezione commerciale del tribunale di Messina notificò all'assuntore, ai fideiussori ed ai falliti avviso di pagamento, reso esecutorio ai sensi dell'art. 426 della tariffa civile e dell'art. 43 delle disposizioni di attuazione c.p.c., ingiungendo il pagamento della somma di L. 10.535.120, prenotata a debito per imposta di registro, imposta ipotecaria ed accessori. Contro tale ingiunzione l'Unione Finanziaria Italiana propose opposizione convenendo innanzi al trihvnale di Messina l'amministraizoe delle Finanze dello Stato deducendo l'illegittimità del titolo, per essere stata effettuata la prenotazione a debito fuori dei casi consentiti, e contestando l'accertamento e i criteri seguiti per la liquidazione dell'imposta di registro. L'amministrazione resistette alla domanda chiedendo dichiararsi la legittimità dell'ingiunzione e condannarsi l'opponente al pagamento dell'imposta. Il tribunale, con sentenza del 9 novembre 1971, dichiarò, illegittima l'ingiunzione ritenendo che la registrazione a debito non avrebbe potuto essere effettuata. Su appello dell'amministrazione, questa sentenza fu riformata dalla. Corte di appello di Messina che, con la sentenza del 12 febbraio 1976, qui impugnata, rigettò l'opposizione proposta dalla Unione Finanziaria Italiana (incorporata, nel corso del giudizio, dalla Compagnia Tirrena di Capitalizzazione e Assicurazione s.p.a. » che aveva proseguito il giudizio), condannando la Compagnia Tirrena alle spese e agli interessi sulla somma di contestazione. tassa di titolo) delle convenzioni sottostanti (art. 32 stessa tariffa). Il problem~ non è se la tassa di titolo debba essere applicata, sotto l'aspetto formale, alla sentenza o alle convenzioni, ma se la sentenza possa essere registrata a tassa fissa separatamente (e quindi anche anteriormente) dalle convenzioni e pertanto se la sentenza possa con la sola applicazione della tassa fissa ottenere la registrazione, ed essere quindi messa in esecuzione, prima che siano registrare le convenzioni che, una volta registrata la sentenza, potrebbero anche per sempre sottral'si aHa registrazione. Al quesito sembra doversi dare risposta negativa. Se pervengono all'ufficio contestualmente la sentenza e le convenzioni si liquideranno tutte le imposte di titolo (che possono essere parecchie) e l'imposta sulla sentenza, e sarà superfluo discutere se l'atto registrato sarà soltanto la sentenza o questa e le singole convenzioni. Ma se la sentenza viene presentata alla registrazione da sola senza che le convenzioni siano state autonomamente registrate, l'ufficio non potrà sicuramente registrare la sola sentenza a tassa fissa. La tassa fissa è infatti dovuta (art. 122, tariffa A) indipendentemente da quella stabilita per H concordato dall'art. 32; non potrebbe dubitarsi comunque dell'applicabilità dell'art. 72 della legge giacché la sentenza di omologazione si basa sulle convenzioni non ancora registrate ed imprime ad esse l'efficacia. La norma deH'art. 118 n. 2, che vieta ai giudici di pronunciare sentenze in base ad atti 'soggetti a registrazione e non registrati, si PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 729 La Corte, premesso che il tribunale, avendo riconosciuto che l'assuntore era debitore in ogni caso dell'imposta di registro, avrebbe dovuto, indipendentemente da ogni questione sulla legittimità dell'ingiunzione, condannare l'Unione Finanziaria al pagamento dell'imposta, in accoglimento di domanda riconvenzionale proposta dall'amministrazione, osservò che comunque l'ingiunzione di pagamento era stata legittimamente emessa. Le affermazioni del primo giudice, secondo cui mancavano, per la prenotazione a debito, sia il presupposto oggettivo della inerenza delle spese al giudizio di omologazione in corso, sia quello soggettivo dell'incidenza dell'onere delle spese sul curatore e sulla massa fallimentare, mentre invece esse riguardavano l'assuntore, non apparivano convincenti: e ciò non solo perché senza l'autorizzazione da parte del giudice delegato della registrazione della sentenza di omologazione con prenotazione a debito, la sentena stessa avrebbe potuta essere registrata (e quindi il concordato non avrebbe potuto avere esecuzione), ma anche perché, essendo l'imposta di registro imposta di atto, la pretesa fiscale sorge nello stesso momento in cui l'atto viene formato e la registrazione deve effettuarsi in termine fisso, con contestuale pagamento di tutte le imposte gravanti sull'atto, per l'intero contenuto di questo (comprensivo, nella specie, anche della enunciativa del verbale del concordato che prevedeva la cessione dei beni dell'assuntore). Ne conseguiva che anche la tassa di titolo doveva considerarsi spesa necessaria per l'omologazione del concordato e che la registrazione mediante prenotazione a debito era avvenuta nel pieno rispetto degli artt. 91 converte, ove questo divieto non sia osservato, nel potere dell'ufficio di registrare o la convenzione che si trovi nel fascicolo o la sentenza con la tassa di titolo; nel caso del concordato fallimentare non si incontra il divieto dell'art. 118 perché le convenzioni, condizionate all'omologazione del concordato, non devono essere registrate prima della pronuncia della sentenza, ma in questo momento sorge la necessità di· registrare le convenzioni anteriormente o contestualmente alla sentenza e se non si può procedere ad una registrazione formalmente separata è viferita ai singoli atti si dovrà registrare la sentenza con la tassa di titolo. Senza affrontare il discusso problema civilistico sul punto se l'effetto del concordato e delle pattuizioni accessorie sia prodotto negozialmente dalle convenzioni o giudizialmente dalla sentenza, certo è che il concordato non potrà essere eseguito se non vengono registrate assieme alla sentem.a tutti i negozi sottostanti, non potendosi separare la registrazione della sentenza della (incerta) registrazione delle convenzioni. Questa prima conclusione sembra dover restare ferma anche in base alle :norme vigenti, nonostante le notevoli innovazioni introdotte. Benché la produzione in giudizio di atti negoziaH non costituisca caso d'uso (art. 6 d.P.R. n. 634/ 1972), e benché non sussista più il divieto di produrre in giudizio atti non registrati (art. 63), tuttavia gli atti non registrati che siano stati prodotti in un giudizio civile o amministrativo devono essere trasmessi a cura del cancelliere all'ufficio del registro ed in ogni caso la sentenza che contiene l'enuncia:t.ione 730 RASSEGNA DElL'AVVOCATURA DElLO STATO e 133 della legge fallimentare (non ricorrendo l'ipotesi dell'applicabilità dell'art. 111, n. l, della legge di registro del 1923, che riguarda solo gli atti e le sentenze che interessano enti morali, persone ammesse al gratuito patrocinio e amministrazioni parificate, agli effetti tributàri, alle amministrazioni dello Stato) e che pertanto l'ingiunzione, appariva, dal punto di vista formale, pienamente legittimata. Anche sostanzialmente l'ingiunzione doveva ritenersi legittima, non potendosi prendere in considerazione le doglianze sollevate dall'assuntore contro l'esosità ed erroneità dei valori imponibili stabiliti con riferimento ai trasferimenti immobiliari, trattandosi di questione di estimazione semplice che non poteva formare oggetto di contestazione innanzi al giudice ordinario né era fondata la tesi dell'opponente secondo cui, avendo essa acquistato l'immobile adibito ad albergo per demolirlo e costruire un nuovo albergo, avrebbe avuto diritto alle agevolazioni fiscali di cui alla legge regionale siciliana n. 4 dell'H gennaio 1963. L'intenzione di demolizione e ricostruzione non era stata infatti espressa nella proposta di concordato né inserita nella sentenza di omologazione e comunque avendo l'assuntore rivenduto, in data 10 aprile 1965, l'immobile alla Compagnia Tirrena di Capitalizzazione (da cui successivamente era stata incorporata) ,anche ammesso che originariamente avesse avuto diritto ad agevolazioni, tale diritto aveva perso per non avere effettuato la ricostruzione prevista. Contro questa sentenza ricorre per cassazione la << Compagnia Tirrena di Assicurazione e Capitalizzazione s.p.a. » con atto notificato il 12 novembre 1976 e depositato il 22 novembre 1976, ponendo a sostegno dell'impugnazione i seguenti motivi: di atti non allegati nel fascicolo è soggetto all'imposta di titolo sulle convenzioni (o sulla parte di esse) non aDJCora eseguite. Pertanto ancor oggi, anche se può essere dubbia l'esistenza di una imposta sulla pura e .semplice convenzione di concordato tra il debitore e i creditori, le convenzioni aggiuntive che sono alla base della omologazione (cessioni di beni, garanzie ecc.) devono essere registrate anteriormente o contestualmente alla sentenza. II. · Ciò chiarito, non sembra possa condividersi l'affermazione che le imposte di titolo inerenti al concordato non possono essere prenotate a debito a norma degli artt. 91 e 133 deLla legge falLimentare. Pur non dubitando che nella specie la sentenza di omologazione contenesse una enunciazione ex art. 72 legge di registro, la sentenza in esame afferma risolutamente che fra le spese giudiziali per gli atti richiesti dalla legge e più ancora fra le spese di omologazione (artt. 91 e 133 legge fallimentare) non si può ricomprendere l'imposta di titolo; di qui trae la conseguenza che l'ufficio poteva prenotare a debito, e qu~ndi riscuotere con la procedura dell'art. 43 disp. att. c.p.c., soltanto !'.imposta (fissa) giudiziale e doveva agire autonomamente nei modi ordinari nei confronti delle parti contraenti delle convenzioni sottostanti. Una prima osservazione da fare è che se, come si assume, le convenzioni erano enunciate :in sentenza e non .erano state presentate per la registrazione separati atti, si doveva procedere alla registrazione della sentenza, «con un'unica PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 731 l" motivo: Violazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, stesso codice. La Corte di appello ha affermato che in ogni caso il Tribunale, avendo riconosciuto che l'assuntore del fallimento era debitore dell'imposta, avrebbe dovuto accogliere la domanda di condanna dell'assuntore al pagamento, domanda proposta dall'Amministrazione finanziaria nel corso dell'ordinario giudiziario di cognizione che aveva fatto seguito all'opposizione. Tale affermazione è errata in quanto oggetto dell'opposizione era, in via principale, l'applicabilità o meno dell'istituto della prenotazione a debito nel caso di specie (imposta di titolo), con esclusione di qualsiasi questione sulla fondatezza e legittimità della pretesa fiscale, tanto vero che le conclusioni dell'amministrazione erano state: a) rigetto dell'opposizione; b) pagamento della somma di cui all'ingiunzione. Nessuna domanda riconvenzionale era stata in concreto proposta, né la relativa questione era stata trattata nel giudizio di primo grado, e la sentenza del tribunale si era limitata ad un'astratta affermazione di principio sull'obbligo dell'assuntore di pagare le imposte di registro, ma non aveva esaminato se in concreto le imposte richieste fossero dovute. 2" motivo: Violazione degli artt. 133 ·e 91 della legge fallimentare e difetto di motivai:ione (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.). La Corte di appello ha ritenuto legittima la prenotazione e debito delle spese di registrazione, sul presupposto che la registrazione era necessaria per l'omologazione del concordato e che, essendo l'imposta operazione », per l'intero suo contenuto e cioè sia per l'imposta giudiziale che per l'imposta di titolo. Ogni atto deve sempre essere registrato per il suo intero contenuto e senza p0S1Sibi1ità di scissioni (artt. 8 e 9 legge di registro); non è certo possibile registrare la sentenza con la sola imposta giudiziale, consentendo con ciò che la sentenza si esegua, e successivamente promuovere il procedimento per la registrazione di ufficio delle convenzioni sottostanti, non sulla base dei relativi atti che siano stati presentati, ma della stessa sentenza da registrare una seconda volta, magari nei confronti di soggetti diversi. Se poi si volesse sostenere che la sentenza di omologazione va registrata solo con l'imposta fissa e i negozi sottostanti possono essere registrati solo se e quando saranno presentati allla registrazione, si negherebbe d'un canto l'enunciazione e dall'altro il principio cardinale dell'imposta di registro che non consente di trarre gli effetti utili da atti non registrati. Del resto il giudice delegato che richiede la registrazione a debito ex art. 91 legge faHimentare, aiiiChe su ciò la sentenza non ha esattamente inter.pretato la norma, può soltanto disporre la registrazione, come per legge, non una particolare, limitata o anomala registrazione; spetterà all'ufficio liquidare l'imposta al di fuori di qualunque direttiva dettata dal giudice delegato, che potrà se del caso fare le sue impugnazioni, ma non può certo imporre all'ufficio un qualunque comportamento. Una volta richiesta la registrazione a debito, l'ufficio prenota tutta l'imposta liquidata e così registra la sentenza a debito; diversamente, se il giudice delegato non intendendo assumere sulla curatela l'imposta di titolo recede dalla richiesta dncondizionata di registrazione, l'ufficio del 732 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di registro imposta di atto, la pretesa tributaria era sorta nel momento stesso in cui era stata emessa la sentenza, da registrarsi in termine fisso, ma tali affermazioni sono errate e viziate da una inesatta visione dell'istituto della prenotazione a debito prevista dall'art. 133 della legge fallimentare. In forza di detta norma, la registrazione a debito può essere effettuata solo quanto l'imposta possa considerarsi una spesa necessaria per l'omologazione del concordato, ma la sentenza impugata non si è soffermata sulla natura del provvedimento di omologazione, al fine di definire quali siano le relative spese necessarie. La sentenza di omologazione, in realtà, costituisce un momento formale, non sostanziale, del procedimento e precede la realizzazione vera e propria del concordato e pertanto l'imposizione a cui essa è direttamente soggetta è quella a tassa fissa, di cui alla parte II della tariffa ali. A alla legge di registro del 1923; tale adempimento era stato in effetti compiuto con il pagamento, in data 31 gennaio 1963, clell'imposta fissa di registro sulla sentenza e non vi è dubbio che la relativa spesa fosse prenotabile a debito in quanto direttamente connessa al provvedimento di omologazione; la legittimità di tale prenotazione discende dal disposto degli artt. 91 e 133 della legge fallimentare, in forza delle quali la prenotazione a debito è possibile in quanto trattasi di spesa inerente alla procedura di omologazione, in quanto vi sia un decreto del giudice delegato per ogni singolo atto alla procedura di prenotazione, in quanto le spese siano annotate in apposito registro a dimostrazione della loro natura e registro non registra affatto la sentenza; in nessun caso si farà una registrazione con la sola imposta fissa se siano enunciate convenzioni importanti l'imposta di titolo. Non può essere condivisa l'affermazione che dovesse prenotarsi a debito soltanto l'imposta guidiziale per procedere separatamente nei modi ordinari nei confronti delle parti che avevano stipulato la conV~eru.ione, anche perché se l'imposta si considera dovuta « sulla sentenza » contenente l'enunciazione si avrebbe come si è visto una dnconcepibile seconda registrazione della sen· tem:a; se invece si separano compLetamente sentenza e convenzioni ritenendo che le convenzioni vanno registrate come normali negozi nei confronti delle parti contraenti, si dovrebbe anche affermare che queste convenzioni, non più ancorate alla sentenza, non possono essere registrate d'ufficio e potrebbero sottrarsi alla registrazione se non siano spontaneamente presentate, cosa che potrebbe agevolmente farsi dopo che la sentenza di omologa:t.ione ha ottenuto la registrazione ed è diventata eseguibile. Hl. · Su questo problema si è già ampiamente discusso in relazione alla sentenza dichiarativa di fallimento comportante enunciazione di società di fatto. Con la sentenza 12 marzo 1973, n. 682 (in questa Rassegna, 1974, l, 194, con tre note di A. CHICCO, C. BAFILE e F. MARruzzo) era stato affermato che il credito per imposta di registro sulla enunciazione di società di fatto contenuta nella sentenza dichiarativa di fallimento deve essere insinuato come credito concorsuale e non potesse essel'e soddisfatto in prededuzione. NeHa nota a questa ···: i( :·. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 733 in quanto la spesa, inerente al giudizio di omologazione, gravi sul curatore e sulla massa fallimentare. Requisito quest'ultimo, che non ricorreva nel caso di specie, in cui era in questione non la spesa per la registrazione in sé e per sé della semplice sentenza di omologazione, bensì l'imposta di titolo per l'enunciazione contenuta nella sentenza. E ciò risulta dal fatto che, mentre l'imposta fissa di registrazione fu pagata il 31 gennaio 1964, la tassa di titolo fu pagata successivamente, il 18 febbraio 1965 e la relativa richiesta di prenotazione a debito fu posteriore .alla registrazione e non fu richiesta dal curatore, né fu emesso un provvedimento «ad hoc» del giudice delegato, circostanze, queste ultime, del tutto ignorate nella motivazione della sentenza della Corte di appello. Naturalmente, ben è possibile che in un secondo momento impositivo possa richiedersi un ulteriore pagamento di imposta, ma trattasi di momento non collegato alla procedura, di omologazione del concordato sotto raspetto tributario e. che. quindi è .. e,straneo alla .prena~one a debito; e non è esatto che senza l'integrale pagamento di tutte le imposte di registro la sentenza di omologazione non potrebbe produrre i suoi effetti, perché essa ben può essere registrata (e in effetti lo è stata), mentre la registrazione a debito dell'imposta di titolo ·è avvenuta in un secondo momento. Così pure ha errato la Corte di appello, affermando che l'imposta di registro è imposta di atto e che senza l'integrale pagamento del tributo la sentenza non poteva essere registrata, in quanto seppure è vero che l'imposta in disc~;so è imposta d'atto, ciò non significa che essa sentenza tentai di delineare il meccanismo di prenotazione dell'art. 91 della Iegge fallimentare (materia quasi inesplorata) evìden:dandone le differenze dall'ordinaria prenotazione a debito, riailocciandomi ad aLtra mia procedente nota (Sulla funzione delle anticipazioni dell'erario delle spese giudiziali per il procedimento fallimentare; in questa Rassegna, 1970, I, 936). Dall'art. 91 si evince il principio che l'amministrazione del fallimento, ol'dinariamente tenuta a pagare, se ha la disponibilità di danaro, sia le spese verso terzi sia le imposte di bollo e di registro, può ottenere, quando non abbia la disponibilità, che per il compìmento degli atti richiesti dalla legge «l'erario>> anticipi le spese (erogandole direttamente in favore degli aventi 'diritto) e prenoti a debito le ·imposte di bollo e di registro; sia per le spese che per le imposte il giudice delegato per ogni singolo atto dovrà emettere un decreto contenente la richiesta di pagamento o di prenotazione e IIlell.'uno e nell'altro caso le spese anticipate o prenotate saranno recuperate dal cancelliere con prelevazione dalle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo, appena vi siano disponibiHtà liquide; v:i è cioè una prededuzione assoluta, anzi una equipara:<.ione alle spese della massa per debiti contratti per l'amm1nistrazione del fallimento e per l'eventuale esercizio prov· vìsorio (art. Hl n. 1). Mentre la ordinaria prenotazione a debito, secondo le regole del gratuito patrocinio, è stabilita in vista di un eventuale successivo recupero a danno di un soggetto diverso (la parte soccombente) da quello a favore del quale la prenotazione ha operato, nell'ipotesi dell'art. 91 è la stessa curatela che ha domandato la prenotazione che dovrà eseguire il rimborso 734 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costituisca sempre una spesa necessaria per l'omologazione del concordato; l'imposta di titolo, infatti, verte sul contenuto dell'atto e su effetti che sono successivi e per nulla inerenti alla procedura di omologazione. 3" motivo: Violazione dell'art. 111 della legge di registro del 1923 (art. 360, n. 3, c.p.c.). La Corte di appello ha affermato che i rilievi relativi alla determinazione dei valori imponibili non potevano essere presi in considerazione; ma ha ignorato che tali rilievi non sollevavano un problema di estimazione, bensì intendevano segnalare che i valori tassabili non potevano che essere quelli che emergevano dalla sentenza di omologazione, e non quelli determinati dall'ufficio del registro, che, non avevano alcun riferimento con detta sentenza; l'imponibile sul concordato non poteva che essere quello dell'attivo fallimentare al netto di spese, mentre ogni diversa o maggiore pretesa tributaria non poteva che essere fatta valere attraverso la procedura ad. hoc di accertamento di maggiore valore. 4" motivo: Violazione degli artt. l e segg. della legge regionale SICIliana 11 gennaio 1963, n. 4 e delle leggi in materia precedenti e connesse (art. 360, n. 3 c.p.c.). Erroneamente la Corte di appello ha affermato l'inapplicabilità delle agevolazioni fiscali chieste in via subordinata dall'assuntore del fallimento e non potendo rilevare il fatto della vendita dell'immobile, in realtà l'amministrazione finanziaria non può negare le agevolazioni richieste, ma non appena avrà la disponibilità di somme liquide. Pertanto il provvedimento del giudice delegato è una sorta di mandato di anticipazione per le spese a terzi e di dmputazione per le imposte da prenotare di cui si assume l'onere della copertura; un atto quindi dispositivo che sostituisce l'ordinario pagamento che la curatela sarebbe tenuta ad eseguire se avesse le disponibilità liquide. La curatele, una volta richiesta la prenotazione, ed a maggior ragione l'antecipazione, non può più r]fiutarsi di eseguire i1 rimbo!'so, tanto che questo rimborso, come mera operazione esecutiva, è compito del cancelliere. Con una più recente sentenza (8 marzo 1977, n. 951, in questa Rassegna, 1977, l, 3114) la s.e., modificando j.J suo giudizio sulla tassazione delila società di fatto enunciata nella sentenza dichiarativa di fallimento, ebbe ad affermare che l'imposta di titolo sulla sentenza è una spesa che l'ammmistrazione fallimentare ha l'onere di subire e cbe, in mancanza del denaro occorrente, può essere prenotata a debito e quindi rimborsata con prededutione in base agli artt. 91 e 111 n. l della legge fallimentare. Inquadrata la prenotazione ex art. 91 come imputazione a carico della stessa amministrazione fallimentare di una somma che, ordinariamente, l'amministrazione dovrebbe pagare se disponesse del denaro occorrente, essa si presenta agli effetti sostanziali come una vera e propria richiesta di registrazione per la quale, in via eccezionale, si consente H pagamento differito. Da ciò discendono due conseguenze: la prima che l'ufficio del registro non è abilitato a rifiutare la prenotazione di cui si assume l'obbligo del rimborso (come non potrebbe riutare la registrazione se venissero pagate le somme liquidate); la seconda che PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 735 deve concederle, salvo a revocarle in un successivo momento e recuperare l'imposta dovuta nei modi ordinari. Nella specie, comunque, trattavasi di trasferimento di immobili per cui la legge regionale concedeva l'agevolazione del trasferimento a imposta fissa, giusta quanto risulta dall'art. l, che estende il beneficio di cui alla legge regionale n. 22 del 1961 alle costruzioni, agli ampliamenti e alle ricostruzioni degli edifici destinati ad alberghi, per i quali, inoltre, valgono tutte le agevolazioni previste dalla legislazione sulla industrializzazione del Mezzogion1o e le agevolazioni in ogni caso, anche se non originariam~nte richieste, non possono essere fatte valere dal contribuente in sede di rimborso. L'amministraizone delle Finanze dello Stato resiste con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE I primi due motivi di ricorso, che investono due aspetti diversi dello stesso problema, vanno esaminati congiuntamente e vanno riconosciuti fondati. È pacifico, infatti, fra le parti, che l'ingiunzione contro la quale fu proposta l'opposizione che ha dato inizio al presente giudizio non fu un'ingiunzione fiscale, emessa a sensi del t.u. del 1910 sulle entrate patrimoniali dello Stato e degli artt. 144 e seguenti della legge di registro del 1923, all'epoca vigente, bensì fu quel particolare tipo di provvedimento previsto dall'art. 43 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che disciplina la procedura di recupero di spese prenotate a spetta pur sempre all'ufficio del registro, come si è accennato, liquidare tutte le imposte dovute per legge mentre non può spettare al giudice delegato imporre 1imitazioni o direttive all'ufficio, così come il contribuente non può fare una richiesta condizionata di registrazione. Con altra recente sentenza (28 maggio 1979, n. 3072, in Giur. It., 1979, I, ·1, 1772), la S.C. ha invero affermato che la prenotazione ex art. 91 trova applicazione .solo per le spese strettamente neces· sarie all'espletamento, nell'interesse pubblico, del procedimento e non per attività processuali a carattere discrezionaJe (nelLa specie azione revocatoria) che soddisfano interessi privati dei creditori, dando rma interpretazione assai restrittiva all'art. 91. Ma questa sentenza, che non coglie la differenza tra la particolare prenotazione dell'art. 91 e l'ordinario gratuito patròcinio, aveva per oggetto il rifiuto del giudice delegato di disporre la antecipazione del compenso per il difensore mcal'icato di promuovere l'a:;,ione revocatoria, ipotesi ben diversa da quella in cui il decreto dei giudice esiste, e si pretende che non dovesse essere eseguito dall'ufficio del registro e concerne atti riguardanti la conclusione del procedimento fal1imentare e non altri eventuaU giudizi. La prenotazione, in sostanza, realizza l'adempimento dell'obbligazione di imposta di regi:>tro, con la sola particolarità di un differimento del pagamento. E come, nell'ipotesi normale la parte (anche di fallimento che dispone della somma) non può sottrarsi al pagamento dell'imposta liquidata (se non si paga il tributo non può farsi luogo a registrazione), così l'mministrazione fallimentare non può sottrarsi all'obbligo del rimborso della somma prenotata, rim RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 736 debito nell'ambito di procedimenti civili, per il raggiungimento delle finalità proprie di detti procedimenti; spese che comprendono, anche, quelle relative alle imposte che gravano sugli atti del procedimento, e regolamentate, quanto alla registrazione dall'art. 111 della suddetta legge di registro; norma quest'ultima, che concretamente prevede il caso di specie, al n. 5 dell'elencazione in essa contenuta (atti relativi alla procedura di fallimento a termini dell'art. 914 del codice di commercio, ora degli artt. 91 e 133 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267) e che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto non regolamentante la fattispecie sottopostale, motivando in relaizone al n. l del suddetto art. 111 e ignorando il n. 5, sia pure seguendo, per disattenderla, la linea difensiva dell'appellata. Va ancora premesso che è altrettanto pacifico fra le parti che nella specie furono operate due distinte tassazioni e due distinte prenotazioni a debito: la. p :rima, a sensi dell~art. 126 , della tariffa ali. A, parte II, della suddetta legge di registro del 1923 (che prevede la registrazione a tassa fdssa delle sentenze. di omologazione di concordati, indipendentemente dalla tassa prevista per i concordati dall'art. 32 della stessa tariffa); e la seconda, in un successivo momento relativa alla tassazione delle convenzioni contenute nel concordato, a sensi del suddetto art. 32 (che a sua volta prevede la possibilità di una seconda ulteriore tassazione per le cessioni ed azioni in pagamento di beni mobili e immobili fatte dal fallito ai creditori): tassazione questa seconda operata non direttamente sull'atto di concordato, bensì indirettamente attraverso la borso che deve promuovere il cancellriere. Ciò non esclude ovviamente che sia nel caso del pagamento sia in quello della prenotazione si possa, dopo la registrazione, domandare il rimborso, proponendo una controversia di imposta, di somme che si assumono liquidate erroneamente; ma, secondo i principi genera!.i del tributo di registro, o non si fa luogo alla registrazione se la relativa imposta non viene versata (sia pure con prenotazione e successivo recupero), oppure dopo il versamento si domanda il rimborso; in nessun caso si potrà ottenere la registra<.ione senza il pagamento dell'imposta. Per il concordato fallimentare, per effetto del richiamo dell'art. 91 contenuto nell'art. 133, valgono le stesse regole, con il necessario adattamento per ciò che concerne il rrmborso della somma prenotata, che non sarà ovviamente prelevata con prededuzione della massa, ma dovrà essere rimborsata, con priorità, in sede di esecuzione del concordato del debitore ed eventualmente dai garanti e del terzo assuntore dell'obbligo di adempiere. Sembra pertanto che la sentenza in esame sia criticabile quando afferma che la .sentenza di omologazione doveva essere registrata con la sola imposta fissa, che l'ufficio del registro doveva rifiutare la prenotazione richiesta dal giudice delegato e che lo stesso ufficio doveva procedere separatamente nei modi ordinari contro i ter<.i che avevano stipulato i negozi sottostanti al concordato. La sentenza contenente l'enunciazione giudi:zJiale non poteva essere registrata affatto se non veniva corrisposta o prenotata an1che l'imposta di titolo, non essedo state registrate autonomamente le convenzioni; l'ufficio del registro non PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 737 sentenza di omologazione (che riproduceva i patti del concordato), a sensi dell'art. 72 della legge di registro del 1923 (tassazione, per enunciazione, o tassa di titolo). Non risulta chiaro, ma allo stato del giudizio non interessa, come si dirà ai fini della pronuncia di questa Corte, se la tassazione suppletiva, per enunciamone era stata fatta solo in relazione alle somme che il creditore si impegnava di pagare (e in che modo tale tassazione sia avvenuta e su quale imponibile) così come non è chiaro se fu anche operata, in detta occasione, l'ulteriore tassazione prevista dall'art. 32 sulla cessione di immobili e se, in caso positivo, il valore degli immobili sia stato desunto direttamente dal concordato, o sia stato determinato autonomamente dall'ufficio. Ciò chiarito, si deve concludere che giustamente la società ricorrente lamenta che si sia fatto ricorso alla procedura di registrazione a debito, e al successivo recupero nei suoi confronti a sensi dell'art. 43 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, non solo per l'imposta fissa attinente alla fégi.Sttazione cfella' sèntènza cii òrr{ologaziorÌe, ma altresÌ per le imposte proporzionali attinenti al contenuto del concordato omologato, il che invece non era consentito. Come esattamente, infatti, osserva la ricorrente, l'istituto della prenotazione a debito in materia fallimentare è ammesso solo per le «spese giudiziali per gli atti richiesti dalla legge» (art. 91 r.d. 16 marzo 1942, n. 267) e, in tema di concordato, se non vi sono somme liquidate per sopperire alle «spese di omologazione » (art. 133 stesso decreto) e per poteva rifiutarsi di dar corso alla richiesta di prenotazione per tutta la somma da liquidare ed in nessun caso poteva registrare la sentenza con la sola imposta fissa rinviando ad altra sede 1a percezione dell'imposta di titolo; una volta eseguita la prenotazione se ne doveva eseguire il cimborso illl sede di esecuzione del concordato e bene a ragione è stato domandato coattivamente il pagamento di quanto i soggetti obbligati ·all'adempimento avrebbero dovuto versare con priorità, mentre non era necessario, o forse nemmeno possibile, procedere in via ordinaria contro i terzi che avevano stipulato le convenzioni di concordato. IV. -Su quest'ultimo punto è necessario un approf0111dimento. In generale la prenotazione a debito dell'imposta di registro può avere per oggetto un atto del quale sia parte contraente anche un ten.o; nella prenotaziOIIle ordinaria l'atto che giova alla parte ammessa al gratuito patrocinio può avere come contraente sia l'altra parte contendente nel giudizio, sia un terzo estraneo al giudizio; nel processo fallimentare la prenotazione può egualmente riguardare un negozio c0111 un terzo estraneo ovvero una sentenza che enuncia una convezione intercorrente con un terzo. Si pone allora l'esigenza di conciliare la registrazione a debito con l'obbligo solidale di altra parte n0111 ammessa alla prenota:t.i0111e. La sentenza in esame sembra voler affermare che in tal caso l'ufficio non debba procedere alla registrazione a debito ma promuovere con il procedimento normale il pagamento della imposta contro il contraente .che n0111 beneficia della prenotazione. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 738 la realizzazione dell'istituto, è prevista, per ogni spesa, una particolare procedura, regolamentata dal secondo e terzo comma del suddetto art. 91. Ora, a parte che non risulta che la sentenza impugnata si sia dato carico di verificarsi se detta procedura era stata seguita, il che era indispensabile per accertare la regolarità formale dell'ingiunzione opposta (non potendosi effettuare il recupero previsto dal quarto comma dell'art. 91 se non siano state osservate le disposizioni dei commi precedenti), non vi è dubbio, quanto all'aspetto sostanziale della questione, che le spese giudiziali necessarie per gli atti richiesti dalla legge e in specie quelle di omologazione del concordato, non potevano che attendere, quanto agli oneri fiscali, che alla vera e propria sentenza di omologazione (per la quale, come innanzi ricordato, è prevista una specifica tassazione, del tutto distinta da quella delle pattuizioni contenute nel concordato) e non potevano certo riguardare gli effetti fiscali del concordato in sé e per sé, ossia di una pattuizione privata che la sentenza di omologazione non faceva propria e che ne attuava, e che quindi non erano spese giudiziali necessarie per l'omologazione, ma spese gravanti direttamente sulle parti, non certo sul curatore o sulla massa. L'errore della sentenza impugnata sta nel non aver tenuto presente tale distinzione fra spese giudiziali vere e proprie, attinenti agli atti della procedura, e spese di altro genere, relative ad atti costituenti l'og- Certamente l'ufficio non ha un tale obbligo. In ogni caso la parte che richiede la registrazione è obbligata al pagamento dell'imposta, se -pure vi possano essere altri coobbligati, oome parte contraente, o almeno. come parte richiedente; se questo soggetto è ammesso al beneficio del gratuitò patrocinio, ne consegue che d'un canto l'ufficio del registro non può rifiutare la registrazione a debito che sia stata richiesta, dall'altro caiD.to che la parte richiedente sarà tenuta, quando avrà la disponibilità, a rimborsare la somma prenotata, il che vale a maggior ragione, per quanto già detto, per la prenotazione ex art. 91 L.F. Tutto ciò risponde a quanto avviene nell'ipotesi normale di registrazione a pagamento: la parte richiedente dovrà pagare l'imposta liquidata, anche se esistono altri soggetti coobbliga1Ji e non potrà certo pretendere che l'ufficio registri l'atto facendo pagare l'imposta, eventualmente attraverso procedimento coattivo, ai soli coobbligati. In genere i coobbligati vengono intimati soltanto per il pagamento delle imposte complementari e suppletive giacché l'impo~ta principale è sempre pagata dalla parte richiedente. Lo stesso avviene, nella sostaiD.za, per la prenotazione a debito con la quale si provvede per l'imposta principale. Si può osservare in proposito che l'art. 113 dell'abrogata legge di registro disponeva che la registrazione a debito si esegue con le norme dello art. 88, cioè senza differimento di più di tre giorni; in questa sede pertanto l'ufficio del registro non può avere come contraddittori soggettivi diversi da chi richiede la registrazione, né può questa ritardare per escutere eventuali altri obbligati. La solidarietà di altro obbligato, che può giovare all'ufficio creditore, ma non obbliga sicuramente questo ad agire contro gli obbligati in solido piuttosto che contro l'obbligato richiedente, si deve conciliare con il meccanismo della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 739 getto della procedura e venuti al vaglio dell'ufficio impositore indiretta mente, attraverso l'enunciazione fattane nella sentenza di omologazione: atto, quest'ultimo, che non conteneva in sé altra disposizione se non quella di approvazione del concordato, senza peraltro che lo facesse proprio e che attribuisse efficacia esecutiva alle pattuizioni ivi conte nute, sostituendo agli obblighi contrattuali obblighi di diverso genere, nascen1Ji da comandi del giudice, e senza realizzare, ad esempio, il trasfe rimento di immobili (nel qual caso, comunque, la prenotazione a debito non sarebbe stata possibile, per il principio generale desumibile dall'ul· tima parte del n. l del citato art. 111 della legge di registro del 1923). Erroneamente, pertanto, la sentenza impugnata afferma che l'atto in questione (la sentenza) era sorto con una serie di contenuti e di effetti tutti tassabili immediatamente e che, conseguentemente, la sen tenza di omologazione non avrebbe potuto produrre i suoi effetti (e non sarebbe stata possibile l'omologazione del concordato) senza coevo paga mento di tutte le imposte comunque gravanti, anche in via indiretta, per enunciazione, sulla sentenza stessa. Ed invero, a parte che la tassazione per enunciazione grava solo formalmente sulle sentenze, ma sostanzialmente sulle convenzioni in essa enunciate, che costituiscono « atti » diversi e in relazione ai quali la sen tenza ha solo una funzione documentativa e denunciativa nei confronti degli uffici del registro, ed a parte che, nella specie, la tassazione della sentenza in sé e per sé, a tassa fissa, era già avvenuta, per cui essa prenotal:ione a debito, nel senso che il rimborso delle somme prenotate può essere domandato oltre che contro il soggetto tenuto per legge (la parte soccombente nel gratuito patrocino ordiiilario e lo stesso fallimento o chi è tenuto all'adempimento del concordato nell'ipotesi dell'art. 91) anche contro i coobbligati e in tal caso l'obbligo di rimbovso delta somma prenotata si baserà non più sul titolo che normalmente lo giustifica (sentenza di condanna o decreto del giudice delegato), ma sulla obbligazione nascente origÌillariamente dall'atto. Quando cioè viene richiesta la regi:strazione a debito, che non può essere rifiutata, di un atto con più contraenti, il recupero della somma prenotata si potrà eseguire sia contro i soggetti tenuti al rimborso secondo le norme sul _gratuito patrocinio sia contro i soggetti originariamente obbligati secondo le norme della legge di registro. Ed in tal caso nulla impone che si !iscrivano due diversi campioni e. si .avviino due distinti procedimenti, che potrebbero sovrapporsi e dare luogo a duplicazioni; quando un campione è stato aperto per la registrazione di un .atto su questo saranno impiantate le aziOilli di recupero, ed anche quella che trovi fondamento non sull'effetto delta prenotazione a. debito, ma sull'originario obbligo nascente dalla norma tributaria. Si ritiene quindi di poter affermare conclusivamente che appare del tutto -corretta la pretesa avanzata contro !~assuntore del còncordato ed il garante per il recupero dell'imposta sulla sentenza di omologazione prenotata a debito ·su richiesta della curatela, mentre sorprende la dedsione che, con argomentazione del tutto formalistica, ha escluso l'obbligo del pagamento dell'imposta sulla cessione dei beni e sulla f1deiussione propvio da parte del cessionario e RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 740 aveva prodotto gli effetti suoi propri e quindi la tassazione degli accordi intervenuti fra falliti, credito~i ed assuntore non costituiva una spesa necessaria ai fini della procedura, sta di fatto, che, anche se al momento della registrazione della sentenza con prenotazione a debito fosse stata richiesta dall'ufficio l'imposta sulle convenzioni enunciate, la registrazione non avrebbe potuto, in relazione a dette imposte, essere effettuata a debito, per carenza di autorizzazione del giudice delegato e dei relativi adempimenti ex art. 91 legge fallimentare e per la estraneità degli atti tassati, e delle relative spese, agli atti veri e propri della procedura e alle finalità del provvedimento di omologazione. La detta procedura sarebbe stata quella della registrazione a debito a tassa fissa della sentenza di omologazione in sé e per sé, e della successiva emissione di ingiunzione fiscale per imposizione suppletiva, direttamente da parte dell'ufficio del registro e nei confronti di tutti coloro che fossero fiscalmente tenuti al pagamento delle imposte gravanti sugli atti enunciati, con eventuale separata procedura di accertamento di valore in relazione agli immobili trasferiti. Ne consegue che, poiché con l'istituto della prenotazione a debito si è venuta a realizzare, nel caso di specie, una pretesa fiscale estranea agl.i atti della procedura, e poiché l'ingiunzione prevista dall'art. 43 delle dispòsizioni di attuazione del codice di procedura civile è sostanzialmente un atto inteso a realizzare, da parte di chi ha anticipato delle del fideiussore perché l'imposta era stata pretesa con il procedimento di recupero delle spese prenotate a debito e non con ordinario accertamento. Non sembra mfluente su questa soluzione la norma dell'art. 111 n. l delL'abrogata imposta di registro che impedisce di registrare a debito la sentenza che porta trasmiJssione di beni (i1 che avrebbe avuto ril[evo nel caso deciso, .per l'imposta suHa cessione dei beni non per quella fideiussione); in base a questa norma si sarebbe potuto pretendere il pagamento <<in contanti» dell'imposta di titolo (anche perché il concordato è subordinato all'impegno di pagare, con idonee garanzie, le spese di procedura, art. 124 legge fallimentare); ma non se ne può inferire che coloro che hamno pattuito la cessione dei beni e che avrebbero dovuto subito adempiere possono sottrarsi al pagamento differito. Il divieto posto dal n. l dell'art. 111 potrebbe del resto essere eluso con il richiedere la registrazione anziché della sentenza delle convenzioni sottostanti (art. 111 n. 3); ma comunque quando l'imposta sia stata prenotata in base a decreto del giudice delegato, se ne deve. certamente operare H rimborso di cui con il decreto stesso si è assunto l'obbligo. Peraltro la norma dell'art. 111, n. 3 (oggi ancor più inasprita con l'art. 57 del d.P:R. n. 634/72) è da ritenere riferibile al gratuito patrocinio ordinario non anche alla procedura fallimentare nella quale, come si è visto, 1a prenotazione presuppone un obbligo di pagamento differito. Ma piuttosto da qu~ste norme si trae la conferma che la sentenza importante trasferimento di beni e di diritti non può essere affatto registrata a debito, non già che deve essere registrata a debito per la sola imposta fissa. Ma a ben riflettere nel caso particolare la pretesa di rimborso era doppiamente fondata perché gli intimati dovevano rispondere nella «duplice,, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 741 spese, l'importo delle spese stesse nei confronti di chi VI e tenuto, il primo motivo giustificativo dell'opposizione prevista dallo stesso art. 43 ben può essere basato sull'illegittimità di una pretesa di rimborso di ciò che non è stato legittimamente pagato o comunque anticipato. Ed è proprio ciò che aveva fatto, con l'atto introduttivo del giudizio, l'assuntore del fallimento, per cui esattamente il primo giudice aveva riconosciuto l'illegittimità dell'ingiunzione, riconoscendo che l'ufficio giudiziario non aveva diritto a pretendere il pagamento di ciò che (sia pure solo contabilmente) aveva erogato senza esservi tenuto e senza che ricorressero i presupposti. Ha errato pertanto la Corte di Appello nel ritenere legittima l'ingiunzione e la sentenza impugnata va cassata su tale punto, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, con rinvio ad altro giudice di merito. Ciò posto, ed in conseguenza di quanto in precedenza osservato sulla natura dell'ingiunzione in questione e sulla sua assoluta diversità da un'ingiunzione fiscale, ne consegue che l'amministrazione delle finanze non aveva titolo per pretendere, in forza di detta ingiunzione, il pagamento delle imposte suppletive di registro e che avrebbe dovuto fornirsi del titolo che le mancava, il che avrebbe potuto fare in due modi: o emettendo una propria ingiunzione, oppure introducendo nell'ordinario qualità di soggetti originariamente obbligati per l'imposta su atti dei quali erano contraenti, nonché di soggetti tenuti all'adempimento del concordato che dovevamo rimborsare l'imposta prenotata in forza degli artt. 91 e 133 della legge fallimentare. Questo secondo aspetto non è stato minimamente considerato; ma, anche indipendentemente da questo secondo titolo, non poteva mai escludersi che la prenotazione disposta su richiesta della curatela, che è una delle parti contraenti, dovesse essere rimborsata dalle altre parti contraenti che avevano anche beneficiato della registrazione della sentenza. V) -La sentenza in esame pone, sem.a approfondirlo, un ulterdore delicato problema. Il rimborso dell'imposta è stato domandato con la nota del cancelliere resa esecutiva dal presidente del tribunale a norma dell'art. 43, disp. att. c.c.; è questo un provvedimento equiparabile alla ingiunzione ordinaria contro il quale può essere proposta opposizione ex art. 645 c.p.c. nel termine perentorio di cinque giorni; trattasi di atto di natura ben distinta dall'ingiunzione amministrativa che consente diversi vimedi. Senza trame rilevanti conseguenze nell'economia del1a decisione, la s.e. sottolinea comunque che il ricorso all'art. 43 disp. att. ha aggravato e comunque alterato la normalità del procedimento di accertamento. Il rilievo è ad un primo esame di notevole g:ravità perché neWiJpotesi di prenotazione a debito attuata, come si è ritenuto, fuori dei casi consentiti si viene a gravare il debitore di un termdne brevissimo di! decadenza, quando, nel sistema previgente, non esisteva termine alcuno per contestare l'ingiunzione amministrativa per imposta principale o suppletiva. Ma la difficoltà che pone l'art. 43 diventa ancora più .grave oggi perché l'opposizione contro la nota del cancelliere resa esecutiva dal capo dell'ufficio giudiziario andrebbe proposta, nel suddetto termdne, a norma dell'art. 645 c.p.c. innanzi allo stesso ufficio giudh.iario, mentre la giurisdizione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 742 procedimento civile conseguente all'opposizione all'ingiunzione, e in tutto uguale al giudizio di opposizione ed ingiunzione a sensi degli artt. 645 e ss. c.p.c., una propria pretesa azionabile, così come è consentita a qualsiasi convenuto, una domanda riconvenizonale ad hoc: domanda, beninteso che il tal caso, essendo proposta innanzi al giudice ordinario, alla cui cognizione erano sottratte determinate questioni, quali quelle relative all'estimazione del valore degli immobili ceduti, avrebbe dovuto essere limitata unicamente a pretese direttamente nascenti dagli atti così -come erano enunciati nella sentenza di omologazione ed ai valori denunziati negli atti stessi, salva la possibilità di una ulteriore tassazione da esplicarsi con la apposita procedura di accertamento di maggior valore, per la riscossione di imposte complementari in aggiunta a quelle suppletive. Ne consegue, quanto agli altr.i motivi di ricorso, che le questioni ivi sollevate circa il merito della pretesa fiscale non possono essere qui risolte, essendo anzitutto necessario che il giudice di rinvio, nell'ambito dei suoi poteri di merito in relazione all'interpretazione e alla qualificazione delle domande (che non possono essere direttamente interpretate in questa sede di legittimità) accerti se, in concreto, l'amministra sulla controversia d'imposta appartiene oggi alle commissioni. Ma a ben vedere questo inconveniente non si verifica soltanto in conseguenza dell'illegittimo ricorso fatto nel caso di ·specie all'art. 43, ma è strutturale nel sistema; anche quando si procede ineccepibilmente al rimborso di somma giustamente prenotata a debito contro la parte soccombente e contro la massa del fallimento, si dovrebbe necessariamente avvalersi dell'opposizione ordinaria, soggetta al termine di cinque giorni, anche quando si voglia contestare, con una tipica controversia di imposta, l'esatta liquidazione del trbiuto o comunque la sussistenza dell'obbligazione. Riteniamo tuttavia che questo sia un falso problema se si dà una giusta .collocazione alla norma dell'art. 43 disp. att. Questa norma, che si rkonnette più direttamente all'istituto del gratuito patrocinio piuttosto che alla prenotazione anomala dell'art. 91 della legge fallimentare, si spiega perché la prenotazione a debito, nella stragrande maggimi: lJilZa dei casi, riguarda imposte di bollo, i diritti di cancellerie e dell'ufficiale giudiziario, l'imposta fissa di registro sulla sentenza ed eventualmente i diritti e gli onorari del procuratore ufficioso già liquidati con la sentenza; e poiché il titolo della riscossione è la sentenza di condanna (o la transazione), la nota de1 cancelliere non è che una semplice ricapitolazione -di partite .di spesa di chiara e semplice determinazione di cui è ormai incontrovertibile l'an debeatur. L'opposizione dell'art. 43 è pertanto concepita come una sorta di opposizione di mera legittimità volta a verificare la regolarità formale del titolo e l'esattezza di operaziOII!i di mero conteggio; questo giustifica la brevità del termine. Nel dettal'e la norma dell'art. 43 non si è considerato che, con minor frequenza, possono essere prenotate a debito le imposte di registro, e non solo in misura fissa, sia sulla sentenza (imposte graduali e di titolo) sia su atti e convenzioni (art. 111, nn..1, 2 e 3, dell'abrogata legge di registro; art. 57 di quella vigente). Nella mia precitata nota del 1970 avevo rilevato che la t>>. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 743 zione. delle Finanze avesse proposto, in primo grado, e po1 m appello, una separata domanda riconvenzionale allo scopo di ottenere dal giudice ordinario quel titolo al recupero delle imposte non recuperabili indirettamente attraverso l'azione posta in essere dall'ufficio giudiziario, con l'istituto della prenotazione a debito. E, in caso di risposta positiva, il giudice di rinvio dovrà in concreto accertare, quanto al merito della pretesa, la legittimità dell'imposizione a sensi dell'art. 32 della tariffa ali. A della legge df registro del 1923, il che non ha fatto la sentenza impugnata; questa infatti, nell'affrontare il merito della pretesa fiscale e delle doglianze del contribuente, ha apoditticamente affermato che esse non potevano essere prese in considerazione, trattandosi di questioni di estimazione semplice, non rendendosi conto che, se ciò fosse stato esatto, che per ciò stesso dbveva riconoscersi l'illegittimità della pretesa, esplicata con una procedura che aveva tolto al contribuente (non legittimato a proporre opposizione -data la natura del titolo -innanzi alle commissioni tributarie competenti) ogni possibilità di difesa, per il mancato autonomo espletamento di una procedura di accertamento prenotazione non risulta da atti formali portati a conoscen;;.a della parte che sarà tenuta al rimborso e nemmeno della stessa parte ammessa al gratuito patrocinio; solo dopo la chiusura dell'articolo quando, precedendo al c.d. « appuramento» si ingiunge il pagamento di quanto è stato prenotatò, la parte tenuta al rimborso ha conoscenza dell'entità del titolo della pretesa e può verificare la regolarità delle s1ngole prenotazioni e promuovere le sue impugnazioni. Se, più frequentemente, questa verifica verte sull'esattezza meramente contaJbile di partite di spese e diritti, quanido siano state prenotate imposte di registro non fisse, può ben nascere !':interesse a contestare il se ed il quanto dell'imposta per la prima volta pretesa. Ciò non ha a che vedere con l'opposizione. delll'art. 43 delle disp. att.; trattasi, ieri come oggi, di una ordinaria controversia di imposta proponibile nei modi ordinari. Ed oggi la nota del. cancelliere resa esecutiva, deve essere considerata per la parte relativa ad imposte come un atto di accertamento da ricomprendere nella nozione che di tale atto si contiene nell'art. 16 del d.P.R. 363/1972 ·sul contenzioso; l'accertamento, quale atto impugnabile mnanzi alla commissione nel term1ne di 60 giorni, va infatti inteso estensivamente come ogni atto, comunque denommato, che produce l'effetto di dichiarare :l'obbligazione o un elemento di essa nei ·confronti di un soggetto passivo, in modo che tutte le controversie di imposta relative ai tributi elencati nell'art. 1 del d.P,R. n. 636 possono essere deferite alle commissioni senza residue sopravviven;;.e della giurisdizione ordinaria (C. BAFILE, I caratteri fondamentali del nuovo processo tributario delineato dalle Sezioni Unite, in questa Rassegna, 19n, I, 302, nonché Introduzione al diritto tributario, Padova, 1978, 275 e 284); fra i provvedimenti impugnabili anomal;i, ma· da includere fra quelli dell'art. 16, deve quindi comprendersi la nota delle spese prenotate a debito di cui all'art. 43 per la parte che concerne la liquidazione dell'imposta; e poiché questo provvedimento ha contenuto complesso è ben spiegabile che esso sia soggetto a distinta impugnazione sia per ciò che concerne le parti diverse da imposte sia per la sua validità formale. CARLO BAFILE 11 744 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO di valore, senza dire che il giudice di merito avrebbe dovuto accertare, motivando in proposito, se effettivamente le 'questioni sollevate fossero mere questioni di estimazione o se piuttosto esse investono la determinazione della ·base imponibile (da effettuarsi a sensi. dell'art. 32 della legge di registro), eventualmente calcolata con criteri diversi da quelli previsti nella norma anzidetta, fossero vere e proprie questioni attinenti alla legittimità della tassazione, come tali ben azionabili innanzi al giudice ordinario. E con tali precisazioni ed entro tali limiti ben può accogliersi il terzo motivo di ricorso, precisandosi che il giudice di rinvio, ove riconosca .la possibilità di una autonoma pronunzia su una domanda .riconvenzionale dell'amministrazione, dovrà attenersi, nel risolvere le relative questioni di merito, ai principi innanzi enunciati. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 aprile 1979, n. 2319 -Pres. Mirabelli -Est. Corda -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cavalli) c. Soc. I.CO.RI. Imposte e tasse in genere -Violazioni di .leggi finanziarie e valutarie Pena pècuniarla -Oblazione -Irretrattabilità -Riserva di ripetizione -Irrilevanza. (1. 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 2, 3, 5, 13, 14 e 15). L'ablazione sulle violazioni per le quali è stabilita la pena pecuniaria, al pari di quella sulle violazioni per le quali è stabilita una sanzione penale, consiste in un negozio giuridico unilaterale, processuale o extra processuale, produttivo ,di effetti giuridici di diritto publ!lico consistenti nel riconoscimento qella sussistenza dell'illeCito con conseguente rinunzia irretrattabile alla garanzia giurisdizionale a cui consegue la rinunzia dello Stato all'applicazione della sanzione in misura superiore. L'ablazione esclude la ripetibilità della somma pagata ed è irrilevante qualunque riserva fatta a tal fine (1). (l) Decisione di evidente esattezza. Alle considerazioni esposte nel1a motivazione si può aggiungere· che nel procedimento sanzionatorio ·l'oblazione produce necessariamente effetto estintivo; ciò vale per tutte le pene pecuniarie ed aillche per quelle che sono diventate tali a seguito di depenaliuazione delle ammende e che non sono trasrnissibili . agli eredi del trasgressore (art. 10, legge 24 dicembre 1975, n. 706). La natura civile dell'obbligazione ed il fatto che essa sia o meno trasmissibile agli eredi non ha influenza su]J. l'effetto dell'oblazione, quando la legge, prevede per queste obbligaziOilli un procedimento sanzionatorio e un effetto estintivo di essa. Funzione dell'oblazione (in ciò l'analogia con il procedimento penale è evidente) e per l'appnnto queLla di estinguere i1 procedimento, i1 che significa che intervenuta l'obla PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 145 (Omissis). -Col primo motivo, la ricorrente amministrazione finanziaria denuncia, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell'art. 15 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, per non avere la Corte torfnese tenuto conto che il pagamento « in via breve >> effettuato dal responsabile di una violazione di leggi finanziarie, ai sensi della citata disposizione, « ha carattere definitivo e irretrattabile e preclude al contribuente (come all'amminitrazione) ogni discussione sulla concreta esistenza dell'obbligazione tributaria ». La Corte torinese, cioè, non · avrebbe tenuto conto che· era ·del tutto inefficace la <<riserva» di ripetizione della somma, in sede giudiziale, formulata dal contribuente all'atto del pagamento, proprio a causa del carattere irrettattabile e prec:lusivo del pagamento stesso (della «pena pecuniaria» ridotta, unitamente all'imposta evasa), effettuato in sede di «definizione in via breve» della contestata violazione. Sarebbe, peraltro, fuori del sistema, secondo la ricorrente, che il contribuente potesse, da un lato, pretendere di . usufruire degli effetti giuridici . che l'art. 15 riserva al trasgressore che paghi prontamente l'ammontare . del tributo e una somma pari a un sesto del massimo della « pena pecuniaria » e, dall'altro, riservarsi di ripetere le somme versate. D'altra parte, una volta fatta l'offerta di pagamento, pure accompagnata da una « J;"iserva di ripetizione », non, potrebbe l'amministrazione stessa rifiutare la ricezione delle somme per evitare l'effetto che il contribuente intende attribuire alla « revoca·» predetta; e, pertanto, una volta che . il pagamento viene.. effettuato, esso deve intendersi eseguito, per legge, senza riserva alcuna. · Col secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della legge 27 luglio 1961, n. 729, e dell'art. 339 della legge 20 marzo 1865, n. Ì248, ali. F,· nonché, ai st:nsi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., il difetto e l'illogicità della motivazione della sentenza circa un punto decisivo dellà controversia. Tale motivo di ricorso si articola nelle due seguenti censure. Con la prima, si denuncia l'errore· commesso dalla Corte di appello per avere ritenuto non dovuta (e, quindi, ripetibile) l'imposta di ricchezza mobile, ai sensi dell'art. 8 della citata legge n. 729 del 1961. Tale norma, infatti, concede l'esenzione (in relazione ai contratti «occorrenti per l'attuazione della legge») in relazione alle imposte «di atto» e non, quindi, in relazione all'I.G.E. che colpisce le «entrate economiche.». zione non è piu possibile in nessuna sede accertare l'esistenza della trasgressione. L'irripetibilità della somma pagata a 1Jitolo di ablazione discende allora soprattutto dalla impossibilità oggettiva di verificare il giusto titolo del pagamento. Ed è evidente che l'amministrazione, che ha provveduto ad archiviare il procedimento disinteressandosi della sua istruttoria e di porre impedimento ai termini di decadenza e di prescrizione, non può essere convenuta per la ripetizione. 746 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con la seconda, si denuncia l'errore che la Corte di appello avrebbe commesso nel ritenere compreso ·nell'esenzione il contratto di subappalto stipulato dalla Soc. I.CO.RI. con la Soc. Edilvie; e si precisa che in tale errore -i detti giudici sarebbero incorsi per avere ritenuto efficace (ai sensi dell'art. 339 della legge sulle opere pubbliche) l'approvazione che alla stipulazione del detto contratto aveva prestato la stazione appaltante (cioè la società concessionaria dei lavori per la costruzione dell'autostrada), anziché la «autorità competente» (cioè l'A.N.A.S.). Il primo dei de-tti motivi di ricorso è fondato e assorbente. Nel sistema del diritto finanziario, mentre costituicono «illeciti penali », cioè reati, quelli per i quali è prevista una delle pene principali stabilite dal codice penale e dall'art. 2 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (ai sensi del quale va definita « deli~to » o «contravvenzione» la violazione di una norma contenuta nelle leggi finanziarie per la quale è prevista una delle pene stabilite dal codice penale per i delitti o rispettivamente, per le contravvenzioni), costituisce, invece, «illecito amministrativo » (né interessano, qui, gli «illeciti civili») quello per il quale è prevista la pena pecuniaria o la sopratassa, o entrambe le sanzioni congiuntamente, ai sensi degli artt. 3 e 5 della citata legge 7 gennaio ·1929, n. 4. Nell'ambito d_ell'<< illecito amministrativo», vanno, però, tenuti distinti quelli puniti con «pena pecuniaria» e quelli puniti con <<sopratassa », I primi si avvicinano, infatti, agli illeciti penali (anche se l'art. 3 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, precisa che l'obbligazione avente ad oggetto la pena pecuniaria -al pari di quanto il successivo, art. 5 stabilisce in relazione alla sopratassa -<<ha carattere civile»), giacché la sanzione è stabilita tra un minimo e un massimo e deve essere applicata «con riguardo alla gravità della violazione e alla personalità di chi l'ha commessa», «desunta dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla sua condotta >> (né è importante, in questa sede, rilevare che altrettanto non possa dirsi per ciò che attiene agli illeciti puniti con la sola sopratassa, essendo quest'ultima determinata in una somma fissa, corrispondente all'ammontare del tributo, ovvero a una frazione o a un multiplo di esso: art. 5 della legge citata). Questa assimilazione è rilevante, per la risoluzione della questione proposta col primo motivo del ricorso dell'amministrazione finanziaria (la quale ha posto il problema della ripetibilità, o meno, delle somme pagate ai fini della definizione « in via breve » dell'illecito amministrativ()), posto che la giurisprudenza, affrontando l'analogo problema in relazione all'ipotesi dell'illecito penale, ha già escluso che, in caso di oblazione (artt. 13 e 14 della legge in esame), il contribuente possa ripetere la somma pagata, qualora il reato, in relazione al quale l'oblazione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 74'7 medesima ha avuto luogo, risulti poi insussistente (Cass., 23 aprile 1970, n. 1168). Sembra indubbio, infatti, ,che se il principio dell'irripetibilità (per cause, ovviamente, attinenti alla non d~benza del tributo, la cui pretesa evasione ha dato luogo alla contestazione dell'illecito) vale per l'illecito penale, deve valere anche per l'illecito amministrativo, una volta accertata la perfetta analogia tra i due tipi di illecito. A una tale assimilazione sembrerebbe opporsi il fatto, cui già SI e accennato, che la legge (art. 3 della legge 7 gennaio· 1929, ri. 4) espressamente attribuisce carattere <<civile» all'obbligazione avente ad oggetto il pagamento della «pena pecuniaria»; e, più ancora, il fatto che questa Corte Suprema, traendo le conseguenze di quell'attribuzione (Cass., 4 luglio 1962, n. 1703), pur col netto dissenso della dottrina, ha affermato che l'obbligo del pagamento della «pena pecuniaria» è trasmissibile agli eredi del trasgressore ( « e ciò anche se, deceduto quest'ultimo dopo léi violazione, al momento dell'apertura della successione la pena pecuniaria non sia stata ancora definitivamente accertata e determinata, dato che l'obbligazione sorge con la commissione dell'infrazione, mentre l'atto di irrogazione della pena ha solo natura dichiarativa»). Ma una siffatta difficoltà sembra agevolmente superabile, se si considera che il legislatore, pur dopo avere inquadràto nelle obbligazioni da illecito a titolo di pena l'obbligazione avente ad oggetto la somma dovuta per la «pena pecuniaria», ha tuttavia avvertito la necessità di ricordare all'interprete -mediante la precisazione sul carattere « civile » della sanzione in esame -che le pene in questione non sono in alcun modo suscettibili di conversione in pena detentiva, ai sensi dell'art. 136 c.p. La portata di quella precisazione (peraltro superflua, perché le pene convertibili sono solo la· multa e l'ammenda), pertanto, non sembra comportare altre conseguenze: e. se è stata dichiarata -la trasmissibilità agli eredi della relativa obbligazione, ciò ovviamente è stato fatto considerando che, manca~do un «reato>>, era inapplicabile la disposizione contenuta nell'art. 171 c.p., ai sensi del quale la morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue la pena. La multa e l'ammenda inflitte al reo, in altri termini, non sono trasmissibili agli eredi, solo perché esiste quella disposizione: ed è intuitivo che, nel caso di «pena pecuniaria», .mancando il «reo», non ussiste alcuna ragione giuridica per ritenere intrasmissibile agli eredi un'obbligazione « civile » del de cuius. Ora, assimilata la natura della «pena pecuniaria» a quella delle pene principali contemplate dal codice penale, non può non ritenersi che la «definizione in via breve» delle violazioni punite con la detta «pena pecuniaria » produca i medesimi effetti giuridici -poiché analoga ne è la funzione -di quella oblazione che la legge finanziaria, al 748 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pari di quella penale, ha previsto come causa di estinzione del reato. È chiaro, quindi, che alla « definizione in via breve >> della quale si discute deve essere riconosciuto quel particolàre carattere che è peculiare dell'ablazione, introdotta nel sistema come mezzo di sollecita definizione delle procedure, cioè come mezzo capace di. assicurare la rapida riscossione delle pene pecuniarie e di garantire, nel contempo, una particolare economia dei giudizi. È, infatti, incontestabile -qualunque teoria si adotti circa la natura giuridica dell'ablazione (di volta in volta definita come transazione, bonario componimento o conciliazione; come volontario riconoscimento del torto, e, quindi, volontaria esecuzione della pena; come abbandono, da parte dello Stato, di una ulteriore tutela giuridica; come trasformazione o « riduzione » dell'illecito penale in illecito amministrativo) -che l'ablazione consiste in un negozio giuridico unilaterale, processùale o extraprocessuale, produttivo di effetti giuridici di diritto pubblico: con ·esso, attraverso la rinunzia del privato alla garanzia giurisdizionale, si realizza la rinunzia dello Stato all'attuazione della pretesa punitiva, o meglio, l'estinzione del reato, perché Io Stato non .riconosce più nell'illecito commesso un fatto punibjle, cioè un fatto penalmente rilevantè. Ed è intuitivo che a tale rinunzia dello Stato non può non essere correlativa la rinunzia dell'autore del reato a contestare (successivamente) la sussistenza di quest'ultimo: in questo senso, infatti, si è dianzi ricordato che, con la domanda di ablazione, l'ablatore esprime la propria rinunzia alla garanzia giurisdizionale. Ora; tirando le fila del discorso, e trasferiti tali concetti nel campo della violazione dèlle leggi finanziarie, non può non rilevarsi che tutto quanto vale ·per l'ablazione deve valere, poiché unica è la ratio legis, per la «definizione in via breve» delle ·violazioni punite .con la «pena pecuniaria». In entrambe ·le ipotesi, infatti, alla rinuncia dello Stato all'applicazione della sanzione (fino al massimo edittale) è correlativa la rinunzia del contribuente a contestare l'effettività della violazione: e se tale violazione è consistita nell'evasione di un tributo, la rinrmzia del contribuente atterrà, ovviamente, alla contestazione della legittimità dell'acCertamento e della susseguente imposizione. È chiaro, pertanto, dopo queste ultime precisazioni, che nessun valore o effetto giuridico può essere attribuito alla <<riserva» che l'ablatore faccia al momento in cui paga Ìa somma richiestagli come corrispettivo della rinunzia dello Stato all'attuazione della propria pretesa. Sarebbe, invero, veramente singolare che il contravventore o il viola~ tore della legge potesse, da un lato, determinare .la rinunzia statuale e, dall'altro, porre nel nulla la sua corrispettiva rinurtzia, facendo «riserva» di dimostrare, in sede giudiziale, l'insussistenza della violazione (cfr., per riferimenti, Cass., 22 giugno 1971, n. 1971). -(Omissis). 1_••: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 749 CORTE DÌ CASSAZIONE, Sez. I, 24 aprile 1979, n. 2332 • Pres. Aliotta · Est. Cantillo · P. M. Gambrogi (conf.) -AGIP c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pagano). Imposta di .rièchezza mobile • Spese e perdite • Rinuncia di un socio di società per azioni ad un suo credito • Indetraibilità .dal reddito del socio. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 91 e 99; d.P.R. 29 settembr\) 1973, n. 597, artt. 55 e 64; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5). I versamenti fatti dai soci a favore della ·società di somma proporzionale alla quota di partecipazione, al pari della rinunzia ad un credito, eseguiti allo scopo di provvedere al .ripianamento di perdite, non costituiscono per il socio che sia imprenditore né una spesa di produzione, perché non. inerente, né una perdita, a meno che non trattisi di impresa la cui attività prevalente consiste nell'assunzione ed amministrazione di partecipazioni in altra società (1). '(l) Decisione di evidente esattezza. Per una impresa che non sia una società finanziaria, la partecipazione in una società è fatto estraneo all'atti-. vità a cui è diretta l'impresa, e i ver5amenti e le remissioni di crediti fatte dal socio alla socìetà possono quindi influire sul valore delle azioni, ma non influiscono· stùl'impresa del socio; non sono quindi spese inerenti alla produzione del reddito e nemmeno perdite, perché non determinate da fatto oggettivo (distruzione di beni o inesigibHità dd crediti). Quanto alla inconciliabilità con il éòocetto di perdita delle rinunce volontarie, si può ricordare la giurisprudenza che intervenne riguardo alla rinuncia degli istituti di credito alla rivalsa verso i depositanti dell'imposta di ricchezza mobile sui depositi · (Cass., 12 gennaio 1967, n. 125, in questa Rassegna, 1967, I, 644, con nota di F. FAVARA). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. t, 26 aprile 1979, n. 2411 · Pres. Aliotta · Est. Virgilio -P. M. Del Grosso (diff.) · Ministero delle Finanze (avv. Stato Mercatali) c. Franceschini (avv. Bonuglia). Imposte e tasse in genere • Condono • Vendita fra parenti • Controversia sulla presunzione di tr~sferlmento gratuito • ~ controversia di diritto attinente ad imposta di donazione • Non condonabilità. (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6; d.l. 8 niarzo 1945, n. 90, art. 5). La controversia sulla naturà· di liberalità della vendita fra parenti, in applicazione della presunzione dell'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90, va definita come controversia attinente all'imposta sùlla donazione, che come tale non è definibile per condono ex art. 6 del d.l. 5 novembre 1973, limitato per questa imposta alle sole questioni di valutazione (1). (l) Decisione ineccepibile; cfr. Cass., 8 •Settembre 1976, n. 3125, in Riv. leg. fisc., 1977, 254. · 750 RASSEGNA DELL'AWOCATURA pELLO STATO CORTE DI CASSA~IONE, Sez. l, 26 aprile 1979, n. 2416 -Pres. Aliotta Est. Caccavale -P. M. Minetti (conf.) -Petruzzi (avv. Sciacca) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Imposte e tasse in genere · Notificazioni · Consegna dell'atto a persona di famiglia non convivente -Nullità . Dichiarazione di convivenza risultante dalla relazione · Prova contraria data con certificato anagrafico -Idoneità. (t.u. 29 gennaio 1958, .n. 645, art. 3~; c.p.c. art. 139). La notificazione degli atti di accertamento presso il domicilio fiscale eseguita mediante consegna a « persona di famiglia » presuppone un rappòrto di convivenza; è quindi nulla la notificazione eseguita a persona legata da vincolo di parentela, ma non convivente (nella specie cognata) anche se dalla relàzione di notificazione risulta la convivenza, ma ne sia data prova contraria con certificato dell'anagrafe (1). (Omissis). -Il primo mezzo è fondato. A norma dell'art. 38, d.p. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u. delle leggi sulle imposte dirette) la notificazione degli avvisi di accertamento e degli altri atti che la legge dispone siano notificati al contribuente doveva essere eseguita secondo le norme stabilie .dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, dai messi comunali, con esclusione delle disposizioni contenute negli artt. 142, 143, 146, 150 e 151 dello stesso codice di rito. (1) Non si può condividere la decisione che oltre tutto è in dissonanza con il più recente orientamento della S.C. improntato ad una valutat.ione più realistica della possibilità . effettiva di conseguire un utile risultato. Ricor; diamo che recentemente è stata ritenuta regolare, o comunque sanabile, la notificazione a mezzo posta il cui avviso di ricevimento coptenga una firma illeggibile non ~ndicante la qualdtà del sottoscrittore (Cass., 5 maggio 1978, n. 2116, in questa ·Rassegna, 1978, I, 613, e 7 aprile 1976, ·n. 1223, ivi, 1976, I, 608); COill altra sentenza, Ìlll materia non tributaria, è stato affermato che non è inesistente la notifica in un luogo diverso da quelli indicati nella legge che abbia un qualche riferimento con il destinatario (23 marzo 1978, n. 1408, in Foro ir., 1979•. I, 1855, con precedenti richiamati in nota). La sentenza ora intervenuta non persuade sotto un duplice profilo. In generale non sembra che la « persona di famigHa >> cui si riferisce l'art. 139 c.p.c. debba essere « ufficialmente » convivente; la norma è ispirata ad un criterio di effettività (anche per ciò che concerne la «palese capacità») e quindi, se mai, ·occorrerebbe stabilire se la persona di famiglia ha · un rapporto di presenza normale o eccezionale con 1a casa, indipendentemente dal dato anagrofico (non è certo inconsueta l'assidua ·presenza di un congiunto non convivente al pari della ordinaria assenza di altro convivente). Lo stesso art. 139 prevede l>a consegna ad un vidno che accetti (.sia pure con J.a garanzia . della sottoscrizione della relata e della spedit.ione dell'avviso), sì che la convivenza sotto lo stesso tetto (che può suss1stere ne1la realtà ~ndipendente PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 751 Alla notificazione degli avvisi di accertamento dell'imposta di R.M. con le relative maggiorazioni alla contribuente Petruzzi Vita Assunta in Tarantini si provvide in conformità a tali norme da parte dell'Esattoria comunale di Surbo (Lecce) a mezzo di messo comunale, mediante consegna a Petn1zzi Elena << cognata convivente » come si legge nella relazione in calce all'atto. La Petruzzi Vita Assunta afferma tuttavia che la notifica è nulla non sussistendo una reale convivenza della persona cui l'atto venne consegnato dal messo con la destinataria dell'atto medesimo, convivenza, essa afferma, costituente il presupposto logico e giuridico della presunzione della successiva trasmissione dell'atto alla destinataria. A dimostrazione del proprio assunto in fatto ha prodotto certificazioni del comune di Trapani, iqonee a comprovare che la Petruzzi Elena aveva la sua residenza in quella città e risultava componente di un nucleo familiare ivi abitante in via G. Guerrieri n. 40. La commissione centrale ha ritenuto comunque valida la notifica affermando avere prevalente rilievo il rapporto di parentela senza necessità di una stabile coabitazione. Appare manifesta l'erroneità di una tale affermazione: in realtà l'element~ cui la norma .in esame (art. 39, secondo comma, c.p.c.) affida la ragione fondamentale della presunzione di trasmissione del piego ricevuto dalla <<persona di famiglia>> al destinatario non è tante quella del vincolo di parentela più o meno stretto che lega i due soggetti, quanto quello della stabile coabitazione fra loro per l'appartenenza ad uno mei1te dalle risultanze anagrafiche) non sembra requisito ind1spensabile, quando la persona di famiglia accetta di t.icevere l'atto. Ancor meno persuasiva è l'altra affermazione che possa essere data, praticamente senza limiti, la prova contraria di quanto dichiarato e verbalizzato nella relata. È bensì vero che l'atto pubblico dell'uffidale notificante fa fede del contenuto estrinseco delle dichiarazioni ricevute, ma non della validità sostanziale delle dichiarazioni medesime. Ma il probLema è diverso: l'ufficiale giudiziario IIlOn può essere tenuto ad una impossibile verificazione della verità « sostam.iale » di quanto ad esso viene dichiarato (sull'esistenza del vincolo di parentela, su11a convivenza, sull'esistenza del rapporto di servizio dell'addetto a11a casa, all'ufficio o all'azienda, sull'investitura nella funzione di portieJ;' e); di fronte ad una dichiarazione che realizza i presupposti di una valida notificazione, l'ufficiale giudiziario non solo può, ma deve, procedere alla notifica nel rispetto della norma (l'ufficiale che abbia rinvenuto nel1a casa una persOIIla di famiglia ,che si dichLara convivente non potrebbe, dubitando di ciò, eseguire la notifica con consegna al portiere o al vicino o con deposito ex art. 140, perché deve seguire l'ordine delle preferenze stabilite nei primi tre commi dell'art. 139 e nell'art. 140). Quando la notifica è eseguita nel luogo designato dalla legge (domicilio fiscale) gioca a danno del destinatario una presunzione di relru.ioni di famiglia o di servizio che difficilmente può essere superata. 752 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO-STATO stesso nucleo familiare che li conduce a vivere sotto lo stesso tetto. Ciò si desume anche dalla considerazione che tale elemento, sia pure in grado diverso, si presenta comune a tutte le categorie di persone abilitate dalla stessa norma a ricevere l'atto: accanto alla persona di famiglia, quella addetta alla casa, per quanto ha riguardo alla notifica effettuata presso l'abitazione, persona addetta all'ufficio ovvero all'azienda per quanto attiene alle notifiche eseguite in questi altri luoghi. Il congiunto che non appartenga allo stesso nucleo familiare e non sia perciò stabilmente convivente con il destinatario della notifica dell'atto, non è quindi abilitato a riceverlo, anche se temporaneamente ospite in quella abitazione e la notifica non può ritenersi valida perché non offre quelle garanzie di trasmissione dell'atto al destinatario che la norma ravvisa esclusivamente in quella categoria di persone che per la costanza di quotidiani rapporti con il destinatario dànno idoneo affidamento che l'atto sia portato a sua conoscenza. Sul punto è costante la giurisprudenza di questo Supremo Collegio (cfr. Cass., 20 novembre 1975, n. 3898; Cass., 29 marzo 1974, n. 887). · Né ha rilievo la circostanza che il messo notificatore su dichiarazione della Petruzzi Elena abbia affermato nella relazione di notifica che la donna era. convivente con la ricorrente: la relazione di notifica fa fede fino a querela di falso dell'attività svolta dall'ufficiale giudiziario o dal messo notificatore, dei fatti che essi dichiarano avvenuti in loro presenza e del contenuto estrinseco delle dichiarazioni che essi attestano Non si può ammettere l'inesistenza nel sistema di un modo certo di verificare « preventivamente " la perfezione dell'operazione, che cioè, non ostalite la più severa diligenza, la validità della notifica sia rimessa al -caso e sia suscettibile di cadere -a seguito di un accertamento futuro. Ciò per ]'appunto si verifica-consentendo al destinatario di dare la· prova ex post, non solo contro l'apparenza, ma anche contro la dichiarazione l'atta all'uffidate giudiziario, che la persona, che ha ricevuto l'atto non dsponde a1 vincolo• di parentela dichiarato o non è convivente, non è legata da rapporto di servizio stabile con ·la casa e con -l'azienda ovvero che, non ostante l'apparenza, non è in effetti capace o infine che colui çhe si è qualificato portiere non è stato formalmente mvestito. In tal modo ogni notificazione risulterebbe fatta con il rischio .imponderabile, imprevedibile ed .ineLiminabile di una futura invalidru.ione. In tutti questi casi se si vuol tutelare la posizione del destinatario della notifkazione, deve scegUersi una soluzione che non -sacrifichì il diritto del notificante; si può cioè ammettere una remissione in termini del destinatario, ma non a prezzo di far perdere al notificante l'effetto utile dell'atto comp- iuto. Ciò è per l'appunto :H fine della nom1a dell',art. 291 c.p.c. che vale per le notifiche nei procedimenti contenziosi. Per la notifica degli atti stragiudiziali ed in particolare degli atti di ·accertamento questa norma non potrebbe essere direttamente utilizzata; neppure può essere impiegata 'per il tempo anteriore la norma dell'art. 21 del d.P.R. n. 636/1972 che applica ~Ila notifica del provvedimento contro il quale si ricorre lo stesso principio dell'art. 291 c.p.é. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 753 c;li aver ricevute nell'esercizio dei loro compiti, ma non anche della verità sostanziale delle dichiarazioni medesime. E nella fattispecie la ricorrente ha offerto convincente prova contraria dell'affermazione della consegnataria dell'atto. Anche su questo punto è costante la giurisprudenza. di questa Suprema Corte (confr. Cass., 19 febJ:>raio 1977, n. 764; Cass., 13 novembre 1965, n. 2368). Del tutto estraneo alla questione che si discute nel presente ricorso è po~ il richiamo che si fa dall'amministrazione finanziaria alla sentenza n. 189 del 14 giugno 1974 della Corte costituzionale, la quale ha riguardo esclusivamente alle disposizioni di cui alle lettere e) ed f) dell'art. 38 t.u. n. 645 del 1958 con riferimento alla notifica eseguita nelle circostanze e con le modalità di cui agli artt. 139, quarto comma, e 140 c.p.c. (notifica con consegna al portiere o al vicino e notifiche in caso di irreperibilità o rifiuto di riceveré 11'!-copia). -(Omissis). Ma indipendentemente da una .applicazione formale e diretta di queste regole, rembra possibile enucleare dal sistema di principio che la notifica rispondente alle regole formaLi sia valida per il notificimte, se pure al destinatario può essere consentita la remissione in termini quançlo, « con mez;zi estrJnseci ed ex post », dia la dimostrat.ione di un evento che ha impedìto la conoscenza dell'atto. Se ciò non fosse possibile e dovesse riconoscersi una insuperabile alter-. nativa tra H vantaggio dell'uno e il sacrificio dell'altro, dovrebbe darsi la prevalenZa alla validità della notifica formalmente regolare, giudicata ex ante sulla base della relata, ri:Sipetto aHe prove suocessive di un fatto ima;>editivo che, quale che possa essere, non è imputabile né alla parte né all'ufficiale notificante e non potrebbe essere prevenuto. · CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1979, n. 2437 -Pres. D'Orsi Est. Martinelli -P. M. Grimaldi (conf.) -Soc. Coop. Stefer c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Caramazza): Imposta di ricchezza mobile -Plusvalenze -Enti con fine di lucro . Società cooperativa · È tale. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81 e 106). Fra gli enti con .fine di lucro che, a norma dell'art. 106 del t.u. delle imposte dirette come risulta a seguito della decisione della Corte· costi" tuzionale 25 febbraio 1975, n. 22, sono soggetti alla tassazione delle plusvalenze e delle sopravvenienze di tutti i beni posseduti, rientrano anche le società cooperative che, non astante la finalità mutualistica che caratterizza il rapporto interno fra soci, sono imprese nei rapporti ·con terzi (1). · (1) Decisione di evidente esattezza. Non constano precedenti specifici. 754 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Con unico motivo la ricorrente principale, lamentando la violazione degli art.li 81 e 106 t.u. n. 645 del 1958 in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., censura l'impugnata decisione per aver ritenuto la ·tassa bilità delle sopravvenienze realizzate da una cooperativa! omettendo di considerare che il presupposto di tale tassazione è rappresentato dalla finalità di lucro, incompatibile in una cooperativa, che persegue finalità mutualistiche; che la stessa Corte costituzionale (con sentenza n.. 22 del 20-25 febbraio 1975) ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 106 t.u. cit. limitatamentè, alla parte in cui prevede la tassabilità delle plusvalenze e sopravvenienze di enti, tassabili in base a bilancio, anche se non esercenti attività commerciali o ·imprenditoriali. Censura, inoltre, la decisione per difetto di motivazione in ordine ai presupposti che legittimano la tassazione delle sopravvenienze o pli.lsvalenze. La censura è destituita di fondamento. Invero, tale doglianza si ricollega all'erroneo convincimento che la cooperativa non possa· rivestire natura di impresa commerciale, stante le sue finalità mutualistiche. Ora, proprio in considerazione di quanto previsto nell'art. 2082 c.c. non può escludersi il carattere di imprenditore commerciale in una cooperativa, che esplica una delle attività commerciali contemplate nell'art. 2195 c.c. Infatti, ai sensi dell'art. 2082 c.c. è imprenditore colui che esercita un'attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni e servizi. Né tale carattere può escludersi nella cooperativa in considerazione del suo scopo mutualistico, atteso che detta finalità si ha per realizzata nei rapporti interni tra i soci attraverso l'eliminazione della intermediazione dei terzi nei processi di produzione, di scambio e di lavoro, senza con ciò escludere che l'attività esterna della cooperativa, nei rapporti con i terzi, possa rivestire i caratteri dell'attività commerciale, non soltanto con riferimento alle attività tipiche della produzione e dello scambio di beni e di servizi (caratteristici dell'impresa commerciale qualora si ricolleghino ad una organizzazione di beni e di lavoro stabilmente e professionalmente predisposti a tale scopo) ma anche con riferimento al perseguimento di profitto e di aumento di produtti~ità. Anzi, proprio con riferimento ai ricavi perseguiti, può realizzarsi nell'ambito degli stessi soci una distribuzione degli utili, seppure nei ·limiti previsti dalle leggi sulla mutualtà cooperativistica. ' Peraltro, non può ignorarsi che, proprio con riferimento al carattere commerciale della cooperativa, questa può essere dichiarata fallita (ex art. 2540, ultimo comma, c.c.). Da ciò consegue che la limitazione introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 106 t.u. cit., riguarda, esclusivamente, quegli enti, tassabili in base a bilancio, che non esercitano o possono esercitare attività comi" ·"· merciale. In tale categoria non rientra la cooperativa. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA . 755 Per il resto la sentenza impugnata risulta congruamente motivata sul punto dell'esistenza della « sopravvenienza » con apprezzamento di fatto, insindacabile in questa sede in quanto congruamente motivato ed immune da vizi logici e di diritto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 28 aprile 1979, n. 2469 -Pres. La FarinaEst. Cantillo -P. M. Minetti (conf.) -Nannini (avv. Merlini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mercatali). Imposte e tasse in genere -Nuovo contenzioso tributario -Decisione della Commissione centrale di accoglimènto con rinvio -Impugnabilità immediata. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 29). La decisione della Commissione centrale (come quella della Corte di appello), che a seguito dell'accoglimento del ricorso rinvia alla commissione di secondo grado (e, nei casi previsti, a quella di primo gra(io) è immediatamente impugnabile con ricorso per Cassazione (1). (Omissis). -' Merita consenso l'opinione della ricorrente (non contestata, del resto, dall'amministrazione finanziaria) in ordine all'ammissibilità del presente ricorso, ancorché relativo ad una pronuncia della commissione centrale che non definisce la controversia tributaria, rinviando ·alla commissione di secondo grado la .determinazione del quantum dell'imposta. Nel vigore del contenzioso tributario abrogato, · l'immediata ricorribilità di siffatte decisioni, costantemente ammessa da questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass., l" novembre 1976, n. 4128), era negata, invece, da autorevole dottrina, la quale escludeva il carattere definitivo della pronuncia essenzialmente sul rilievo che, in quel sistema, le statuizioni della commissione centrale adottate a sezione semplice non erano (a differenza di quelle délle sezioni unite) vincolanti (l) La pronunzia, indubbiamente esatta, si limita all'affermazione che è immediatlimente impugnabile la decisione di terzo grado che accogliendo l'impugnazione rinvia alla commissione di secondo grado o anche, nei casi prev~sti (artt. 24 e 29, secondo comma, d.P.R. 636/1972) di primo grado. Ma si deve aggiungere che tale decisione è impugnabile soltanto in questo momento, non essendo ammissibile una impugnaz~one successiva dopo la pronunzia del giudice di rinvio. Non è dubbio, infatti, che la decisione che accoglie e rinvia è, per il terzo grado del processo, definitiva. Più 11adkalmente si deve ritenere che la decisione della commissione è sempre soggetta ad impugnazione ~mmedi- ata, non essendo compatibile con il contem.ioso speciale l'istituto della riserva di impugnazione differita; quindi anche la decisione parziale (purché sia una vera decisione e non un'ordinanza)" deve essere immediatamente .impugnata (cfr. C.· BAFILE, Sull'impugnazione delle decisioni parziali delle comm_issioni tributarie, in questa Rassegna, 1976, l, 104). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 756 per il giudice di rinvio,. che aveva il potere ·di riesaminare la contro . versia senza uniformarsi al principio affermato dalla commissione medesima (ciò che si argomentava principalmente in base all'art. 2, terzo co~ma, r.d.l. 16 settembre 1926, n. 1672). Ma il nuovo ordinamento processuale non consente dubbi in proposito, siccome l'ammissibilità del ricorso immediato cmitro ogni decisione di rinvio della commissione· centrale risulta in modo non equivoco dall'art. 29 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. La norma, infatti, dopo. di aver pl'evisto, nei primi due commi, le ipotesi in cui la commissione, accogliendo il ricorso, deve disporre il rinvio del processo alla commissione di secondo grado (o, nei casi indicati nelÌ'art. 24, di primo grado), stabilisce che il fascicolo deve essere trasmesso a quest'ultima entro ottanta giorni dalla · notificazione della pronuncia, ma esclude l'applicabilità del termine se nel frattempo sia << stata· richiesta la ·trasmissione del fascicolo medesimo alla. Corte di cassazione>>, in tal modo riconoscendo che il rimedio in esame si applica anche a tutte le decisioni suddette. ·Questa disciplina, del resto, . è conseguenza necessària del contenuto. delle stesse, posto che il rinvio è ora limitato alle questioni di valutazione estimativa (o relative· alla misura delle pene pecuniarie), mentre sulle altre la decisione ha carattere definitivo, sicché l'ammissibilità del ricorso per cassazione scaturisce direttamente dall'art. 111 Cost.; ed è altresì in sintonia con il principio di alternatività fra il ricorso alla commissione centrale e il gravame innanzi alla Corte di appello, giacché, essendo le sentenze di rimessione ai primi giudici, emesse da quest'ultima, ricorribili per cassazione (art. 353 e 354, ultimo èomma, c.p.c.), uguale trattamento si imponeva per le analoghe pronunzie. deila èommissione centrale (anche al fine di assicurare, di fatto, la preferenza accordata a questo tipo di impugnativa). -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 maggio 197!1, n. 2643 · Pres. Aliotta · Est. Caccavale · P. M. Raja (conf.) • Paris (avv. Picone) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Abignente). Imposte e tasse in genere · · Procedimento innanzi alle commissioni · Sottoscrizione del ricorso · Requisito essenziale . Difetto • Nullità insanabile. Il ricorso introduttivo del procedimento innanzi alle commzsswni mancante di sottoscrizione è del tutto privo di effetti giuridici ed incapace d-i promuovere il procedimento (inesistenza); non è di conseguenza ammissibile alcuna sanatoria (1). (l) Si applicano cor:rettamente al ricorso aUa commissione i principi ela. borati sulla citazione. Oggi è espressamente sancita l'inammissibilità del ricorso non sottoscritto (art. 15, d.P.R. 636/72). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 757 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 9 maggio 1979, n. 2645 -Pres. Aliottà Est. Scansano -P. M. Raja (conf.) -Poeta (avv. Venturini) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pagano). lmpo$ta di ricchezza mobile -Altre imposte dirette -Agevolazione per il Mezzogiorno -Impresa edillzia -Esclusione. (d.l. 14 dicembre 1947, n. 1598). L'agevolazione per l'industrializzazione· del Mezzogiorno, che a differenza di quella per le aree depresse dell'Italia settentrionale, non è riferita all'impresa o· all'aziènda ma ai nuovi stabilimenti industriali impiantati stabilmente nel territorio agevolato, non può essere estesa ai cantieri edilizi c/:le, se pure impiantati per lavori di durata notevole, non si inserisce nel tessuto esonomico della zona (l).· (l) :È sicuramente da escludere che ragevolazione per l'industrializzazione del Mezzogiomo possa riComprendere l'attività edili:t.ia, né come 'attività complessiva di un'impresa né · come attività riferita ad· un cantiere che non è sicuramenJ.e uno stabilimento industriale (Cass., 21 settembre 1970, n. 1640, in Riv. leg. fisc:., .1971, 359) .. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 9 maggio 1979, n. 2658 • Pres; Aliotta Est. Virgilio -P. M. Leo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Pagano) c. Orsi Mangelli (avv. Allorio). Imposta di registro -Interpretazione dell'atto -Negozio indiretto e negozio collegato -Interpretazione unitaria di più atti -Legittimità. (r.d. 30 dicembre_ 1923, n. 3269, art. 8). In base àll'art. 8 .dell'abrogata legge di registro, per determinare l'intriseca natura dell'atto ed i suoi effetti, indipendentemente dalla forma· apparente, ·è consentito accertare se dalla combinazione di più negozi · tra loro collegati sia derivato un effetto ulteriore che superi le conseguenze connaturali ai singoli ne-gozi strun:zentalmente utilizzati (appliplicaziÒne alla ipotesi di vendita fra parenti preceduta da donazione di-sposta dal venditore di titoli dall'utilizzo dei quali il compratore ha ricavato la somma pagata come prezzo della vendita (1). (l) ,:È superfluo segmi.Iare l'importanza della decisione. Identica fattispecie era stata decisa negli stessi .termini con le sentenze 3 maggio 1969, n. 1472, e 6 maggio 1969, n. 1530 (in questa IJ.assegna, 1969, I, 680). Altre volte però è stato ripetutamente affermato che nessuna norma impone alle parti di scégliere la via fiscalmente più onerosa ed è lecito raggiungere il risultato voluto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 758 (Omissis). -Ai fini dell'esame delle censure prospettate con il ricorso principale e con quello incidentale è necessario precisare che la Corte di appello, pur avendo richiamato i principi che regolano la presunzione di liberalità nelle alienazioni di immobili fra parenti fino al terzo grado ai sensi dell'art. 5 del d.l.l. 8 marzo 1945, n. 90, ha tuttavia ritenuto di dover decidere la controversia· secondo la basilare norma delrapplicazione delle tasse con riguardo all'intrinseca natura e agli effetti degli atti e dei trasferimenti, come previsto dall'art. 8 dell'abrogata legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269). Sulla linea di questa prospettiva, i giudici di appello hanno espressamente dato atto .che nella fattispecie concreta, dal contenuto dei due rogiti del notaio Guasti del 3 e del 6 novembre 1970 risultava che Paolo Orso Mangelli aveva prima donato ai figli un certo numero di buoni del tesoro e poi li aveva ricevuti in permuta dai donatori in cambio di alcuni immobili di proprietà dello stesso Paolo Orsi Mangelli, che erano stati in tal modo trasferiti ai detti figli. La Corte di appello ha inoltre ritenuto che il «nucleo centrale della tesi della finanza» consisteva nel problema della possibilità di collegamento tra i due rogiti, allo scopo di individuare il preciso contenuto, agli effetti fiscali, dell'alienazione degli immobili verso la cessione dei con uno dei mezzi dell'ordinamento liberamente scelto sì che non è consentito nell'applicazione dell'imposta ,individuare un effetto diverso da quello risultante esteriormente dagli atti st1pu1ati, apche se coevi e ,jn evidente connessione strumentale; è stato così escluso, ad esempio, che potesse considerarsi come vendita l'assegnazione di un bene a un apparente socio appena entrato nella società conferendo danaro {Cass., 10 dicembre 1970, n: 2623; 10 febbraio 1971, n. 338, ivi, 1971, l, 142 e 599); l'altra sentenza 27 febbraio 1971, n. 493 (ivi, 1971, l, 600), pur ammettendo in tesi il potere deHa Finanza di impugnare l'atto con autonoma azione, negava che in applicazione dell'art. 8 fosse consentito individuare l'effetto concreto risultante dal collegamento di più nego:;.i. .Jn qualche altra occasione (sentenze citate nel testo 17 maggio 1976, n. 1737, e 12 aprile 1978, n. 1719, >in Riv. Leg. fisc., 1976, 1457 e 1978, 1782) la s.e. ha ammesso, ma piuttosto in via di ipo-tesi, che per la determinazione degli effetti possa eccezionalmente ricorrersi ad elementi estrinseci all'atto che siano con 'questo in collègamento e ne costituiscono il presupposto. Assai più consistente e precisa è l'affermazione della sentenza ora intervenuta. Con essa è implicitamente risolto anche l'altro problema ,inerente al potere della Ammtnistrazione di determinare in sede di applicazione dell'imposta l'effetto risultante dal negozio indiretto e dai negozi collegati, senza necessità di ~mpugnazione autonoma degli atti, con la conseguenza che ogni contestazione sul punto si assorbe nella controversia di imposta eventualmente instaurata dal contribuente (in proposito, cfr. C. BAFILE, Ancora sull'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di òpposizione all'ingiunzione fiscale, in questa Rassegna, 1969, l, 916). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 759 buoni del tesoro, e cioé per stabilire se l'alienazione costituisse trasferimento a titolo oneroso ovvero atto di liberalità. Tale questione fu affrontata e risolta dai giudici di secondo grado «indipendentemente» da ogni riferimento alla presunzione di cui all'art. 5 del d.l.l. n. 90 del 1945, tanto che fu ritenuto non necessario << prendere posizione sul problema se la permuta debba o meno essere compresa nella previsione legislativa» della citata norma. In considerazione dell'impostazione data alla controversia dalla Corte del merito, la quale ritenne di esaminarla, sotto il profilo -che l'amministrazione delle Finanze aveva anche dedotto (non essendosi limitata a trincerarsi dietro la presunzione di cui si è detto) -del collegamento e della interpretazione dei due rogiti agli .effetti fiscali, è evidente che i rilievi contenuti· in sentenza sui principi che regolano la menzionata presunzione e i 'modi di superarla costituiscono, nell'economia della decisione un obiter dictum non influente sulla statuizione, che fu esclusivamente fondata su diversa argomentazione giuridica. Da questa precisazione discende, come prima conseguenza, l'inammissibilità del ricorso incidentale, con il quale si deduce che la Corte di appello avrebbe dovuto affermare la non applicabilità della presunzione di cui al citato art. 5 agli atti di permuta. Poiché su tale punto non esiste alcuna pronuncia, per la ritenuta superfluità di risolvere la relativa questione ai fini del giudizio, manca il presupposto della soccombenza, sia pur teorica, della parte vittoriosa in via pratica, e quindi difetta un estremo essenziale per l'ammissibilità della impugnazione incidentale, che è invece necessaria (Cass., 25 giugno 1977, n. 2718) solo quando una questione preliminare o pregiudiziale non rilevabile di ufficio sia stata decisa in senso sfavorevole alla parte vittoriosa, e questa voglia evitare la eventuale preclusione della questione stessa in sede di rinvio per effetto del giudicato. Né è possibile l'accoglimento della istanza subordinata (proposta in alternativa al ricorso incidentale) di correzione della motivazione sul medesimo punto, giacché la decisione dei giudici di appello è fondata esclusivamente, come si è detto, su altra autonoma motivazione, e non anche sull'applicazione al caso concreto della presunzione di cui all'art. 5 dal d.d.l. n. 90 del 1945, o sulla ritenuta esistenza della prova contraria alla presunzione, onde il potere di correzione della Corte Suprema, secondo l'art. 384 c.p.c., verrebbe ad esplicarsi non solo rispetto ad una motivazione inesistente (perché i giudici del merito non hanno preso posizione sul problema, come esplicitamente è detto nella sentenza), ma assumerebbe la inammissibile funzione di una superflua e vuota declaratoria iuris rispetto alle esigenze della controversia in de· cisione, così come questa è rimasta definitivamente delineata e delimi· 12 760 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tata con riferimento alla statuizione emessa ed alle questioni su di essa concretamente incidenti: Anche la cen'sura· prospettata con il primo motivo del ricorso principale (si sostiene che per vincere la presunzione di liberalità la prova della provenienza del prezzo o del corrispettivo in genere dal patrimonio dell'acquirente deve risultare dallo stesso atto sottoposto a registrazione e non da altri documenti) è inammissibile perché la relativa questione -prescindendo da ogni altra considerazione sulla sua rilevanza rispetto alle ragioni concrete della statuizione -non è stata proposta nelle fasi di merito e non può essere discussa per la prima volta in questa sede. Con il secondo motivo, che riguarda invece direttamente le argomentazioni giuridiche sulle quali è fondata la decisione impugnata, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, e si sostiene che Io stretto collegamento, anche dal punto di vista. cronologico, esistente fra i due rogiti del notaio Guasti, con i quali erano stati, a distanza di soli tre giorni, prima donati i buoni del tesoro e poi permutati con immobili di proprietà del ·donante, erà chiaramente indicativo dell'intento delle parti, avente carattere fraudolento sul piano fiscale, di trasferire gli immobili a titolo gratuito a stretti congiunti di Paolo Orso Mangelli, al fine di eludere il pagamento della maggiore imposta dovuta per tale tipo di trasferimento. Deduce, inoltre, l'amministrazione delle Finanze che -in base al criterio della tassabilità degli atti secondo la loro intrinseca natura e gli effetti giuridici che sono idonei a produrre -dal collegamento dei due rogiti emergeva Io scopo effettivo dell'atto di permuta, che era diretto a produrre il risultato di una donazione immobiliare. Deduce, infine, che la Corte di appello ha escluso la possibilità del collegamento dei negozi sulla base di errate considerazioni giuridiche e che non ha adeguatamente interpretato la volontà delle parti, incorrendo così anche nel vizio di contraddittoria ed insufficiente motivazione. Queste censure sono fondate. La Corte di appello ha ritenuto che nell'ambito dei poteri attribuiti all'Amministrazione .finanziaria dall'art. 8 dell'abrogata legge di registro, al fine di stabilire l'intrinseca natura e gli effetti (giuridici) dell'atto e di applicare· la correlativa tassa, non può escludersi, in via di principio, la facoltà di trarre elementi di valutazione anche da un contratto diverso da quello presentato per la registrazione, ma che tale facoltà non può mirare alla creazione di collegamenti tra contratti tipici, per· individuare un tertium genus di negozio giuridico, e che nella fattispecie concreta, essendo stati i due contratti (donazione dei buoni del tesoro e successiva PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA 'TRIBUTARIA 761 permuta di essi, da parte dei donatari, con beni immobili di proprietà del donante) effettivamente voluti dalle parti, nei presupposti e negli effetti non si sarebbe potuta trasferire la causa domandi dal primo contratto al secondo, e cioè alla permuta, per farne derivare un nego:z;io (indiretto) di donazione degli immobili. In base a questa premessa la Corte, ha comunque, escluso anche in concreto che le parti avessero perseguito una finalità di evasione fiscale ponendo in evidenza che il risultato del trasferimento a titolo gratuito dei beni immobili doveva essere eventualmente attribuito alle esenzioni tributarie stabilite in favore dei buoni del tesoro, delle quali le parti si erano lecitamente avvalse, per cui non era possibile riscontrare nel loro comportamento l'intento fraudolento denunciato dalla finanza . . Queste argomentazioni non possono essere condivise, né .sul piano della impostazione giuridica, né su quello delle conseguenze che ne sono state tratte nella fattispecie concreta dopo un'indagine non sufficientemente approfondita sulla volontà delle parti e sui peculiari aspetti della vicenda. Non ~a considerato la Corte di appello che nel quadro del procedi .· mento di ermeneutica volto ad individuare, attraverso la qualificazione giuridica delle situazioni negoziali oggetto di imposizione, gli effetti che da esse conseguono sul piano giuridico (e non su quello meramente economico), 'è ben possibile il riscontro del fenomeno dei negozi collegati e indiretti, che si realizza quando le parti adottano uno o più negozi «tipici», allo scopo di conseguire, mediante una voluta deviazione della causa dei negozi stessi, un effetto giuridico che, pur non essendo connaturale agli schemi adottati, è tuttavia da questi ultimi consentito e prodotto. In tali casi (come questa Corte Suprema ha ritenuto nelle sentenze n. 1472 del 3 maggio e n. 1530 del 6 maggio 1969) non possono essere inibite all'amministrazione finanziaria le opportune indagini nel senso anzidetto, e cioé per accertare se dalla combinazione di più negozi, tra loro collegati, sia derivato un effetto <<,ulteriore», che superi le conseguenze èonnaturali ai negozi strumentalmente utilizzati. Questa possibilità d'indagine non è preclusa in via assòluta dalla connotazione propria dell'imposta di registro, che è imposta d'atto, in quanto l'esatta qualificazione del negozio giuridico da tassare rende spesso indispensabile la detta indagine, precipuamente al fine di sventare frodi alle leggi finanziarie (come è stato sottolineato nelle menzionate sentenze di questa Corte Suprema). Deve, peraltro, osservarsi che il principio secondo cui i dati di qualificazione dell'atto presentato per la registrazione devono essere desunti solo dal documento che racchiude il negozio, trova una limitata attenuazione nei casi in cui l'esame di altri elementi, estrinseci all'atto da RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 762 tassare, una col quale siano collegati o ne costituiscano il presupposto, possa condurre él.d una diversa valutazione di esso (v~ Cass., 17 maggio 1976, n. 1737 e 12 aprile 1978, n. 1719). Ciò precisato, va aggiunto -sempre con riferimento al negozio indiretto ed alla sua funzione -che secondo la configurazione delineata in dottrina ed anche in giurisprudenza, esso è caratterizzato proprio dalla peculiarità di porsi, rispetto ad uno o a più negozi adottati in via strumentale (i quali, singolarmente considerati, sono veri e reali), come un quid pluris che trascende le finalità dei <<negozi-mezzo», effettivamente voluti, per raggiungere un risultato atipico o esorbitante dagli schemi utilizzati, al quale le parti hanno in definitiva mirato. Non si trattava, dunque, per quanto concerne la fattispecie in esame, di trasferire la causa donandi dal contratto di alienazione a titolo gratuito dei buoni del tesoro, da parte di Paolo Orsi Mangelli in favore dei figli, al contratto di permuta (tra buoni ed immobili) intercorso tra gli stessi soggetti, ma di accertare se le parti, attraverso il collegamento strumentale dei due negozi, avessero in sostanza conseguito l'effetto (indiretto) della donazione degli immobili, allo scopo di eludere il pagamento di un maggior tributo. Questo accertamento si risolveva in una quaestio voluntatis, che la Corte del merito avrebbe dovuto risolvere previa accurata e penetrante analisi degli elementi dedotti dall'amministrazione finanziaria (tra cui lo strettissimo collegamento, anche dal punto di vista cronologico, dei due rogiti; l'età avanzatissima di Paolo Orsi Mangelli, e quindi il suo interesse a provvedere all'assegnazione delle sue sostanze ai successori, a lui legati da vincoli di stretta parentela ecc.), mentre la Corte stessa, fuorviata dalla errata impostazione del problema sul piano giuridico, ha sommariamente esaminato gli elementi indicati, ed ha motivato il suo convincimento con argomentazione risolventesi sostanzialmente in una petizone di principio, perché ha ritenuto che il risultato fraduolente, dal punto di vista fiscale, non fu voluto dalle parti perché . il meccanismo di utilizzazione dei buoni del tesoro (precedentemente donati dal padre ai figli) per l'acquisto in permuta dei beni immobili da parte dei donatari, era consentito dall'ordinamento giuridico, sicché le parli se ne erano lecitamente avvalse e non avevano inteso affatto ricorrere ad uno strumento di frode nei confronti del fisco. Questa linea argomentativa non è logicamente e giuridicamente corretta perché la liceità e la utilizzazione degli strumenti negoziali adottati non escludeva che potesse essere conseguito uno scopo (ulteriore) fraudolento, e che tale scopo potesse ess·ere individuato dall'Amministrazione delle finanze mediante tassazione degli effetti negoziali indirettamente conseguiti, e cioè considerando l'atto di permuta, ai fini fiscali, come donazione immobiliare. -(Omissis). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 763 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1979, n. 2739 -Pres. Vigo rita -Est. Gualtieri -P. M. Salemi (conf.) -Salvadori (avv. Della Valle) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Imposta di ricchezza mobile · Plusvalenze · Avviamento · Conferimento di azienda in società di persona -Si realizza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 100). Imposte e tasse in genere -Nuovo contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado · Questioni di fatto · Questioni di valutazione della prova sull'esistenza del presupposto · Non deducibilità. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26). Poiché la società di persone ha una soggettività tributaria propria, il conferimento in essa di una azienda realizza una plusvalenza per il valore corrispondente all'avviamento anche se, essendo la società costituita dal conferente e dal coniuge, si possa ipotizzare che non sia stato conseguito un corrispettivo (1). I poteri decisori del giudice di terzo grado nel nuovo contenzioso tributario corrispondono a quelli che nel precedente ordinamento spettavano alla commissione centrale; essi si estendono anche alla cognizione dei fatti rientranti nel concetto di estimazione complessa; .è però di estimazione semplice, non deducibile in terzo grado, la questione sulla valutazione della prova circa l'esistenza del presupposto dell'imposizione (2). (Omissis).-Con il primo motivo, denunziando violazione dell'art. 100 t.u. delle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, il ricorrente critica la sentenza impugnata per avere la commissione tributaria centrale omesso di considerare che l'ipotesi di realizzo di plusvalenza da avviamento non ricorre quando vi sia costituzione di una società in accomandita semplice tra marito e moglie, nella quale egli conferisca la propria azienda, e per avere presunto, nella specie, un siffatto realizzo quando invece avrebbe dovuto supporre, in assenza di prova contraria, che il marito non aveva realizzato alcun plusvalore tassabile in quanto la moglie non aveva reddito pròprio e la ditta di esso ricorrente era dissestata, essendo egli reduce da un concordato stragiudiziale con i creditori. (1-2) La prima massima è Mieccepibile sul punto che il conferimento in una società dà luogo a plusvalenza, indipendentemente da ogni rapporto fra i soci, giacché la società si distingue sempre soggettivamente da essi. È infatti ài mero conferimento che produce la « cristallizzaz1one » dell'incremento patrimoniale con l'effetto di separarlo in modo certo e definitivo dal cespite produttore; ciò vele sia per il conferdmento in società, tanto di persone che di capita11, s1a per I'incorporazione (Cass., 7 giugno 1974, n. 1687, e 16 febbraio 1978, n. 725, in questa Rassegna, 1974, I, 1239; 1978, I, 384). In queste ipotesi non è di:rettamente rilevante la mancanza di un corrispettivo, che 764 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con il secondo motivo, il ricorrente, d~nunziando il VIZIO di omessa motivazione sul punto relativo al mancato esame degli elementi di fatto posti dalla commissione provinciale a base della sua decisione, si duole che la commissione centrale abbia omesso di svolgere il nuovo compito istituzionale che la legge di riforma del contenzioso tributario le ha attribuito, col disporre all'art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che il ricorso a detta commissione è proponibile non solo per violazione di legge, ma anche per questioni di fatto, escluse soltanto quelle relative alla misura delle pene pecuniarie· e a valutazione estimativa. Entrambe le doglianze, le quali vanno esaminate congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondate. Devesi premettere che lo stesso ricorrente ha riconosciuto l'esattezza del prii?-cipio, disatteso dalla commissione provinciale ed affermato dalla commissione tributaria centrale, secondo cui la società in accomandita semplice pur non avendo personalità giuridica, ha, tuttavia, soggettività tributaria propria, con la conseguenza che nel trasferimento di una azienda individuale ad una società siffatta si verifica l'ipotesi di realizzo di plusvalenza da avviamento prevista dall'art. 100 del citato t.u. Orbene, non ha pregio la tesi del ricorrente diretta a contestare, in linea di diritto, la configurabilità di un'ipotesi dì realizzo di plusvalenza da avviamento, tassabile ai sensi di detto articolo, quando vi sia stato il conferimento di un'azienda individuale del marito in ·una società in accomandita semplice, da lui costituita insieme alla propria moglie, in quanto si dovrebbe presumere che egli non abbia ricevuto dalla stessa alcun corrispettivo. Ed invero, posto che al conferimento di una azienda individuale in una società di persone, dotata di autonomia patrimoniale, corrisponde la realizzazione dell'avviamento e del correlativo plusvalore, essendo intervenuto .un effettivo mutamento nella sostanza patrimoniale, a nulla rileva che l'avviamento sia stato creato dall'attività dell'imprenditore individuale, divenuto successivamente socio, e che egli non abbia ricevuto a~cun corrispettivo, in quanto, .come questa .Corte Suprema ha già avuto occasione di affermare, ai fini della tassabilità della plusvalenza è sufficiente che essa si sia cristallizzata in capo al beneficiario, comunque non è elemento essenziale della plusv.alem.a (sentenze citate e 7 gennaio 1974, n. 1687, ivi, 1974, I, 1239). La seconda massima è una ulteriore riaffermazione dell'orientamento •intrapreso con la sentenza 22 novembre 1977, n. 5086 (in questa Rassegna, 1977, I, 874, con mota di C. BAFILE) confermato con la sentenza 19 settembre 1978, n. 4195 (ivi, ·1979, l, 189). Non perfettamente alJ.ineata, ma pur nello stesso ' filone è Ia sentenza ilO aprile 1979, n. 2046 (ivi, 1979, rl, 79). J?ur partendo dalle stesse premesse giunge ad opposta conclusione sul punto della valutazione · deHa prova Cass., 19 febbraio 1979, n. 1075 (ivi, 1979, l, 4%). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRU:DENZA TRIBUTARIA 76~ senza che sia necessaria anche la percezione, da parte di quest'ultimo, di un corrispettivo (cfr. sent. 7 giugno 1974, n. 1687). Quanto alla doglianza relativa all'omesso esame, da parte della -commissione tributaria centrale, delle questioni di fatto concernenti la valutazione delle prove in ordine all'esisténza della plusvalenza, anche -con riferimento alla censura di cui al primo motivo, devesi rilevare -che legittimamente la commissione suindicata ha omesso tale esame. Ed invero, i poteri della stessa, quali risultano dall'art. 26 d.P.R. 26 Qttobre 1972, n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, involgono la cognizione non soltanto dei fatti necessari per l'accertamento di errores in procedendo, ma anche di quei fatti che si presentino come indispensabili per la corretta applicazione delle norme tributarie sostanziali, restando tuttavia escluse dalla competenza della -commissione stessa le questioni di fatto relative, oltre che alla misura delle pene pecuniarie, alla valutazione estimativa, cioé all'« esistenza » e alla « determinazione » quantitativa, alla stregua di criteri non dettati da norme giuridiche del presupposto materiale cui l'ordinamento ricollega la nascita della obbligazione tributaria (cfr. le sentenze di questa Corte 19 settembre 1978, n. 4195; 22 novembre 1977, n. 5086). Ordunque, non può negarsi che le questioni di fat~o indicate dal ricorrente, relative alla valutazione delle prove in ordine all'esistenza della plusvalenza, attengono all'esistenza del presupposto materiale (concreta realizzazione della plusvalenza da avviamento), cui l'art. 100 del dtato t.u. ricollega la nascita della obbligazione di pagamento dell'imposta di ricchezza mobile, con la conseguenza che tali questioni erano :sottratte alla competenza della commissione tributaria centrale, tanto più che il ricorrente ufficio finanziario si era limitato a chiedere la dedsione della sola questione di diritto concernente la tassabilità della plusvalenza da avviamento; realizzata mediante il conferimento di una .azienda individuale in una società di pe:rsone. Con il terzo motivo, denunziando violazione del principio della definitivi'tà della decisione della commissione provinciale, il Salvadori critica la sentenza impugnata per avere la commissione centrale espresso il proprio giudizio sull'avvenuta realizzazione del plusvalore di avviamento, già deciso dalla commissione provinciale in senso negativo, eserdtando un potere che non le era attribuito dalla precedente disciplina del contenzioso tributario, in quanto relativo ad un accertamento di mero fatto, atteso che il ricorso era stato proposto prima della entrata :in vigore della nuova disciplina. La doglianza è priva di fondamento. Premesso che, in base alla nuova. disciplina del contenzioso tributario, spetta alla commissione tributaria centrale, come già precisato, la cognizione di quei fatti che si presentino come indispensabili per la corretta .applicazione delle norme tributarie sostanziali, restando escluse dalla RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 766 sua competenza solo le questioni di fatto relative, oltre che alla misura delle pene pecuniarie, alla valutazione estimativa nei sensi sopra indicati, devesi rilevare che anche nel sistema previgente la competenza della commissione centrale veniva pacificamente estesa dalla giurisprudenza e dalla dottrina pure alle questioni di fatto che non fossero di estimazione semplice, cioé alle questioni di fatto realizzanti ipotesi di estimazione complessa, in quanto involgessero l'accertamento dei fatti costituenti la premessa gi].lridica necessaria per l'applicazione della legge (cfr. sent. 22 novembre 1977, n. 5086). Pertanto, il legislatore della rifotma ha sostanzialmente recepito i capisaldi dell'interpretazione giurisprudenziale della precedente normativa in ordine alla competenza della commissione centrale. Ora posto che ne consegue l'irrilevanza, ai fini della presente decisione, della soluzione del problema, evidenziato dal ricorrente, se nella specie debba trovare applicazione la nuova e la previgente· disciplina è da escludere che la commissione tributaria centrale non abbia limitato il suo giudizio alla sola questione di diritto, non potendosi ravvisare nella frase, contenuta nella decisione impugnata, «e pertanto l'accertamento del reddito imponibile era perfettamente legittimo come confermato nella misura stabilita dalla commissione di primo grado» l'espressione di un giudizio di valore relativo ai presupposti del tributo attinenti alla materia imponibile. Ed invero, l'affermazione della commissione va considerata come mera indicazione, compiuta ai soli fini espositivi, di un fatto storico, quale era l'accertamento della materia imponibile effettuato dalla commissione distrettuale. Del resto, lo stesso ricorrente si è reso conto di ciò allorché nel secondo motivo del presente ricorso si è lamentato del mancato esame degli elementi di fatto acquisiti al processo, che avevano legittimato la decisione della commissione provinciale, criticando la commissione tributaria centrale proprio per avere << limitato la sua pronuncia alla sfera della questione di diritto, operando sul terreno della sola legittimità formale>>. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 21 maggio 1979, n. 2899 -Pres. Aliotta Est. Barruso · P. M. Leo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Baccari) c. Guaita (avv. Scarpa). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Condono -Istanza di una sola parte · Estensione degli effetti ai condebitori -Si produce. Il condono domandato da uno soltanto dei debitori del tributo ind~:retto estingue l'obbligazione con effetto per tutti gli altri debitori, si PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 767 che i processi pendenti in 1'iferimento alla stessa obbligazione vanno dichiarati estirzti anche se ne sono parti condebitori che non hanno presentato istanza di condono (1). / (l) Viene integralmente confermata la pronunzia 23 febbraio 1978, n. 895 (in questa Rassegna, 1979, I, 48, con not:a critica di C. BAFILE). La soluzione è da ritenersi consolidata, anche se restano molte perplessità specie ~n reiaziOIIle all'ipotesi che Ja domanda di condono non sia· stata seguita dal pagamento. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 maggio 1979, n. 2989-Pres. Aliotta Est. Virgilio -P. M. Ferraiolo (conf.) -Soc. Giardino del Chiostro c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Dichiarazione -Esonero dall'obbligo -Redditi inferiori al minimo . Determinazione -Redditi astra~tamente consideràti. (t,u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt, 20 e 130), Ai fini dell'esonero dall'obbligo di dichiarazione, limitatamente ai redditi catastali e a quelli tassabili in via di rivalsa, nel caso che il reddito complessivo valutabile ai fini dell'imposta complementare non supera il minimo indicato nell'art. 130, il reddito complessivo da considerare è quello astrattaments: determinabile secondo le norme di legge, non quello che il dichiarante ritiene di dover determinare (1). (Omissis). -Con il primo motivo si sostiene che la commissione tributaria centrale ha erroneamente ritenuto la legittimità dell'accertamento di imposta di R,M., cat. B, a carico della società « Giardino del Chiostro 3 », per l'esercizio 1969, mentre l'accertamento stesso, effet (l) La massima, apparentemente ovvia, risolve ·1nvece una frequente questione che si presenta nella pratica: per stabilire il reddito netto complessivo e verificare se sia o meno .inferiore al minimo, allorché i ricavi ,s1ano superiori a tale minimo, occorre prospettare ·analiticamente H quadro delle spese e passività inerenti, ovvero H contl'ibuente che ritiene, setondo le .sue valutazioni, di non raggiungere il minimo, può ·semplicemente astenersi dal presentare la dichiarazi0111e? E parallelamente l'ufficio che ritenga che :l'obbligo di dichiarazione sussista essendo il .reddito superiore al minimo, può considerare che la dichiarazione sia omessa agtli effetti deU'aocertamento induttivo e delile sopratasse? I due problemi si accavallano perché per verificare se l'obbligo. di dichiarazione sussista, occorre un accertamento che dovrebbe basarsi su una dichiarazione e all'inverso nell'eseguire !~accertamento si deve procedere ~nduttivamente, mancando la dichiarazione, per ,stabilire proprio se la dichiarazione do·veva essere presentata. 768 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tuato con il criterio sintetico, non era consentito perché dal ricavo della vendita immobiliare non era derivato alcun reddito effettivo, essendo il detto ricavo inferiore ai costi di produzione per cui mancava il presupposto (e cioé l'obbligo di presentare la dichiarazione prevista dall'art. 17 del t.u. n. 645 del 1958) per l'esercizio del potere di accertamento da parte dell'ufficio. La censura è infondata. Essa muove dall'erronea premessa che l'obbligo della dichiarazione dei redditi, come previsto dalla normativa a,brogata, sorgesse soltanto nell'ipotesi in cui il contribuente, dopo avere effettuato tutti i conteggi tra spese di produzione del reddito e introiti lordi in ciascun esercizio finanzhirio, ritenesse di aver conseguito un reddito netto. Tale impostazione sicuramente contrasta con la lettera e con la ratio della norma in esame, la quale ha evidentemente inteso riferirsi, nel prescrivere l'obbligo della dichiarazione annuale, ai redditi tassabili astrattamente considerati, e non già alla esistenza di un reddito netto tassabile, secondo l'opinione del contribuente. La determinazione di tale reddito non può, infatti, considerarsi demandata alla valutazione discrezionale del soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione, dovendo invece costituire il punto conclusivo dell'iter procedimentale volto a sta,bilire, mediante il calcolo dell'ammontare degli introiti e delle spese detraibili, secondo le disposizioni vigenti in materia, quale, sia l'effettivo valore imponibile. Ed è evidente che tale procedimento di determinazione sarebbe impossibile, da parte dell'Amministrazione finanziaria, se il contribuente potesse sottrarsi, secondo le sue unilaterali valutazioni, all'obbligo di fornire gli indispensabili ·elementi di computo e di giudizio. L'esattezza della interpretazione della norma nel senso indicato trova puntuale conferma proprio nel sistema del testo unico del 1958, e precisamente nell'art. 20, collocato sotto lo stesso capo III ( « Dichiarazione>>) del titolo I («Disposizioni generali»); nel quale era previsto La via indicata dalla sentenza ora intervenuta è che n reddito cui si deve fare riferimento per stabilire se superi o meno il Jimite è quello « astrattamente tassabile »; in mancanza di dichiarazione questo reddito sarà determinato ex post con accertamento necessariamente linduttivo; pertanto il contribuente, mentre non può. ovviamente allegare a giustificazione della omessa dichiarazione ragioni soggettive non rispondenti ai criteri di legge, dovrà presenta, re in ogni caso la dichiarazione per evitare l'accertamento dnduttivo. Il problema può considerarsi risolto con la riforma giacché sono esonerati dalla dichiarazione entro il minimo solta111to i titolari di redditi fondiari e di lavoro dipendente (la cui determinazione può esser fatta agevolmente in modo esatto) mentre sono tenuti in ogni caso alla dichiaraLJione, anche in mancanza di redditi, d soggeW obbligati alla tenuta di scritture ·contabili, ossia ~ titolari di redditi di impresa e di lavoro autonomo (art. l, d.P.R. n. 600j1973). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRffiUTARIA 769 l'esonero dall'obbligo della dichiarazione, limitatamente ai redditi accertati col sistema catastale o tassabili in via di rivalsa, soltanto per coloro il cui reddito complessivo valutabile ai fini dell'imposta complementare non superasse, al lordo delle quote esenti, l'importo indicato nell'art. 130, il quale determinava, a sua volta, l'importo minimo occorrente perché si verificasse il presupposto dell'imposta complementare. Va, inoltre, ricordato -sempre in conformità della stessa linea interpretativa ~ che questa Corte Suprema (Cass., 4 ottobre 1976, n. 3228) ha avuto occasione di precisare che la dichiarazione unica dei redditi, cui il contribuente è tenuto, in tanto può dirsi tale in quanto contenga l'indicazione specifica degli elementi attivi e passivi necessaria per la determinazione dei valori imponibili, in modo che l'ufficio delle imposte sia in grado di procedere ai relativi a~certamenti (art. 31 del testo unico del 1958). Ritenuto, alla stregua delle considerazioni esposte, che nella fattispecie concreta esisteva l'obbligo della dichiarazione secondo la regola generale, resta assorbito l'ulteriore rilievo della resistente circa la configurabilità, in ogni caso, dell'obbligo stesso per i soggetti tassabili in base al bilancio. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 18 luglio 1979, n. 4261 · Pres. Vigorita · Est. Lipari -P. M. Ferraiuolo (conf.) -Ghiringhelli (avv. Lepore) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). Imposta complementare sul reddito · Metodo sintetico · Tenore di vita del contribuente · Inadeguatezza del metodo anaHtico · Metodo sin· tetico · Applicabilità. In tema di imposta complementare sul reddito il ricorso al metodò sintetico, indubbiamente obbligatorio ai fini del controllo della esattezza dell'accertamento al quale si è pervenuti con il metodo analitico, deve ritenersi legittimo, allorché fatti indici desumibili dalle più svariate direzioni, e particolarmente dal tenore di vita del contrbuente, portano l'ufficio a ritenere che le riultanze emerse attraverso l'adozione del metodo analitico si manifestino inadeguate a rivelare l'effettiva capacità contributiva del soggetto, e ciò perché l'imposta colpisce tale capacità contributiva non quale emerge attraverso la tassazione dei singoli cespisti, ma nella sua. globalità rilevata da elementi ulteriori che concorrono ad evidenziarla (1). (l) Decisione esatta, sulla interpretazione dell'art. 137 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, anche laddove precisa che la ritualità del metodo sintetico sussiste sul caso che originariamente nell'atto di accertaménto sia mancata una adeguata contestazione dei fatti indici su cui si fonda la valutazione induttiva,. se nel corso del procedimento davanti le Commissioni si sia proceduto alle relative integrazioni. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 770 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 luglio 1979, n. 4297 -Pres. Sandulli • Est. Sgroi -P. M. Antoci (conf.) -Sfrondini Roveta (avv. Castellano) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano). Imposta di successione -Denuncia di successione -Indicazione del domicilio -Successive variazioni -Obbligo di comunicarle all'ufficio -Esclusione -Necessità di procedere alla notifica dell'accertamento di maggior valore -Modalità della notifica -Applicabilità delle norme di procedura civile. (Art. 139 o art. 140 c.p.c.). Poiché l'art. 51 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 non prevede l'obbligo del denunciante di comunicare all'ufficio delle successioni le variazioni di residenza e domicilio intervenute dopo la denuncia, l'ufficio stesso dovrà procedere alla notifica dell'avviso di accertamento di maggiore valore dei beni caduti nella successione alla residenza trasferita in altro luogo (denunciata ai sensi della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e dell'art. 44 cod. civ.) a norma dell'art. 139 e dell'art. 140 c.p.c., mentre è esclusa l'applicabilità dell'art. 143 c.p.c.) (1). (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 51 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nel punto in cui ha affermato che nell'imposizione dell'obbligo di dichiarare nella denuncia di successione <<il domicilio e la residenza dell'erede», stabilito dall'art. 51 citato, è implicito l'obbligo di dare notizia all'Ufficio di eventuali cambiamenti del domicilio stesso, con la conseguente facoltà dell'ente impositore di eseguire le notificazioni nel luogo originariamente dichiarato, quando il cambiamento non sia stato portato a conoscenza dell'ufficio. Secondo i ricorrenti, tale affermazione è erronea perché: a) non risulta né dal testo della norma né dalla sua ratio; infatti il testo è chiaro nel senso che richiede solo l'indicazione della residenza e del domicilio dell'erede, al momento della denuncia; inoltre non si tratta di un domicilio eletto, ai sensi dell'art. 47 c.c., che rende implicito l'obbligo di comt.Ìnicare le variazioni di siffatto tipo di do (l) Sentenza di particolare interesse sulla nozione di domicilio .fiscale, .con indagine comparata delle relative norme esistenti nelle imposte indirette e nelle imposte dirette, prima e dopo la riforma tributaria, in riferimento anche a Cass. Sez. Un. 6 dicembre 1978, n. 5753, Foro it. 1979, I, 9, [a quale ha ~risolto H contrasto tra le pronuncie dehle sezioni semplici sulle modalità di notificazione allorquando il destinatario si sia aHontanato in modo definitivo dal luogo della sua residenza risultante dai registri anagrafici. V. anche Cass. tl9 ottobre 1977, n. 4472, in questa Rassegna 1977, l, 863. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 771 micilio; infine, non v'è ragione di non applicare anche all'Amministra· zione Finanziaria la normativa dell'art. 44 c.c. e dell'art. 31 d.a.; b) per quanto poi attiene alla ratio della norma, le esigenze sottolineare dalla Corte d'appello si possono sodisfare mediante la norma· tiva sulle variazioni anagrafiche (legge 24 dicembre 1954, n. 1228) e mediante l'applicazione dell'art. 143 c.p.c., nel caso in cui il domicilio non risulta conosciuto; c) non è legittimo postulare l'esistenza dell'obbligo di comunicare all'Ufficio Successioni le modificazioni del domicilio, quale conseguenza di un generico dovere di collaborazione col suddetto ufficio, perché si tratterrebbe di una prestazione personale che per l'art. 23 cost. può essere imposta solo da una .precisa norma di legge; d) non è possibile applicare nella rqateria la nozione di domicilio fìscale, propria delle imposte dirette: ed inoltre anche in quest'ultimo -campo, l'obbligo di comunicare le variazioni del domicilio fiscale è posto dall'art. 33 t.u. n. 645 del 1958 solo per le imposte sul reddito dominicale, sul reddito agrario e sul reddito dei fabbrica~i, di modo che riceve una limitata applicazione, tanto meno riferibile alle imposte indirette. La Corte Suprema osserva che il ricorso è fondato, anche se alcune .delle argomentazioni a suo sostegno si devono correggere ed altre sono superflue. Con esso si censura apparentemente solo la falsa ed erronea appli· <:azione dell'art. 51 del r.d. n. 3270 del 1923, ma chiaramente in realtà si coinvolge tutta la ratio che sorregge la decisione impugnata e cioè le conseguenze che dall'interpretazione dell'art. 51 la Corte d'appello ha tratto un punto di validità ed efficacia della notifica dell'avviso di accertamento di maggior valore. Pertanto, coerentemente all'esposizione dei ricorrenti (che richiama. no, sia pure succintamente, quale dovrebbe essere, a loro avviso, la disciplina della notifica di cui si tratta) la Corte condurrà il proprio esame dell'art. 51 del r.d. n. 3270 del 1923 sotto i profili rilevanti agli effetti della notifica stessa, che costituiscono la materia di cui è causa. Ed infatti, il fulcro della sentenza impugnata consiste nell'affermazione dell'esistenza dell'obbligo implicito di dare notizia all'ufficio di eventuali cambiamenti di domicilio (o di residenza) dell'erede, con la ·conseguente facoltà dell'ente impositore di eseguire le notificazioni nel luogo originariamente dichiarato, quando il cambiamento non sia stato portato a conoscenza diretta dell'ufficio; nonché con la conseguenza (affermata a conclusione delle altre argomentazioni) che, non avendo la vedova Roveda assolto all'obbligo di comunicazione suddetto, legittimamente l'ufficio ha effettuato la notifica, in data 9 giugno 1967, al domidlio indicato nella denuncia. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 772 La Corte premette che la dichiarazione di legittimità della notifica « effettuata il 9 giugno 1967 » risulta incomprensibile, dal momento che è pacifico in fatto (si veda l'ammissione contenuta nell'esposizione dell'amministrazione) che in data 9 giugno 1967 non fu eseguita alcuna notifica, ma il delegato dell'Intendente di Finanza (addetto alla notifica dell'avviso di accertamento di maggior valore) attestò di non averla potuto effettuare, perché il notificando si era trasferito dal domicilio di P. Grandi 24, Milano, a quello di Via Regina Margherita n. l (senza cindicazione di città). Nella logica della sentenza impugnata, che muove dall'affermazion~ (del resto ovvia, attesa la palese erroneità del contrario assunto circa l'efficacia di una <<non notificazione» al fine di preservare l'accertamento di maggiore valore dalla sanzione della decadenza, se non effettuata entro l'anno a norma dell'art. 21 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 allora vigente) della necessità di una notifica, non si comprende la ·dichiarazione di legittimità della suddetta << non notifica » se non come lJ.Il'applicazione (ulteriormente erronea) del principio della validità della notifica effettuata all'indirizzo indicato nella denuncia di successione, anche se non più <;:orrispondente a quello reale, ma non comunicato all'ufficio. Ed infatti, la difesa dello Stato non aveva dato valore alla suddetta «non notificazione», e neppure a quella non eseguita, in data 14 giugno 1967, dal delegato dell'Intendente di Finanza, in viale Regina Margherita l, Milano, «perché sconosciuta in luogo»; o a quella non eseguita, sempre dal delegato. dell'Intendenza di Finanza, in data 20 giugno 1967 a via Canterini l, Milano «perché in luogo la suddetta non ha mai abitato »; e neppure, ancora, a quella eseguita il 26 giugno 1967 all'avv. Mengozzi, in Piazza Cavour l, Milano, in quanto il suddetto non era né rappresentante né domiciliatario degli eredi. L'Amministrazione, invece, aveva invocato solo la notifica eseguita dall'aiutante Ufficiale giudiziario (non più dal delegato dell'Intendente di Finanza) in data 10 luglio 1967, a norma dell'art. 143 c.p.c., mediante deposito nella Casa comunale e nell'Ufficio giudiziario (su questo punto, si tornerà più oltre).. La legittimità della c.d. n?tifica eseguita il 9 giugno 1967 non è oggetto di censura dinanzi a questa Corte direttamente, e cioè per il fatto che essa è, appunto, una «non-notifica», ma indirettamente, tramite la censura della premessa su cui la decisione del giudice di merito è poggiata (l'obbligo di denunciare le variazioni di domiciliò all'Ufficio Finanziario), di modo che basta constatare e dimostrare che è errata la premessa della ratio, decidendi, perché questa cada del tutto, compresa la sua applicazione concreta alla fattispecie. La richiamata premessa della Corte d'Appello si regge su tre ordini di argomentazioni. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 773 Il primo si richiama espressamente alla sentenza di questa Corte, sez. I, 5 luglio 1973, n. 1889. Il Collegio ritiene di dover rinviare l'esame critico sia della pronuncia, sia del suo riferimento alla presente causa, ad un momento successivo rispetto all'esposizione dei princìpi che regolano la materia. Il secondo argomento attiene all'esigenza di garantire, attraverso lo specifico obbligo di collaborazione del contribuente, un'efficace operatività, del sistema dei termini previsti per gli accertamenti complementari e, più ampiamente, ·per la definizione e la liquidazione del tributo. La Corte Suprema rileva che è evidentemente connaturata al sistema predetto l'esigenza che l'Amministrazione possa, nella normalità dei casi, attuarlo senza incorrere in decadenze. Ma appunto perché si tratta di una decadenza e· cioè della conseguenza sfavorevole ed ineluttabile dell'inosservanza di un onere di notifièa a carico dell'amministrazione, l'argomentazione secondo cui la legge deve prevedere un obbligo della contrqparte (che "ha evidentemente interesse contrario all'assolvimento dell'onere, e cioè ha· interesse ad essere liberata dalla soggezione all'accertamento di maggior valore) può essere seguita solo quando risulta dal sistema (se la legge non impone l'obbligo espressamente). Altrimenti, si sposterebbe senza ragione una parte del rischio del mancato assolvimento dell'onere dalla parte onerata alla controparte che, invece, per principio, di fronte all'onere di controparte è in una situazione di mera soggezione e non di obbligo attivo (cfr. Cass. 14 luglio 1975, n. 2785). Ed in effeti, la corte di merito ha cercato di sorreggere quella che, isolatamente presa, è una non coerente conseguenza (obbligo del contribuente) della premessa (onere di effettuare l'accertamento entro breve termine e di comunicare comunque gli atti di liquidazione del tributo) con altre considerazioni. La prima, sulla quale quasi esclusivamente ha posto l'accento l'amministrazione nel controricorso, è che la nozione di domicilio fiscale, ancorché espressamente prevista solo nella normativa sulle imposte dirette, integra un criterio generale di identificazione delle notificazioni, applicabile cioè a tutti gli atti del procedimento di imposizione, qualunque sia il tributo cui si riferisce. Il collegamento tra « domicilio fiscale » e notifiche non è invece applicabile alle imposte indirette, nel senso ritenuto dalla corte di merito. In primo luogo, non è sempre vero che il domicilio fiscale, nel campo delle imposte dirette, in cui l'istituto è regolato espressamente, costituisca in ogni caso il criterio di identificazione delle notificazioni. Limitando alla legislazione vigente all'epoca dei fatti di cui è causa, secondo l'at. 38 lettera c) del t.u. n. 645 del 1958, è fatto salvo il caso di consegna RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 774 dell'avviso o dell'atto in mani proprie (anche al di fuori ,quindi, dal domicilio fiscale). Inoltre la corte di merito, ha osservato che il Juogo .indicato dallo stesso soggetto per prendere conoscenza degli atti inerenti all'imposizione costituisce un dato indipendente dalla natura del tributo, perché il domicilio fa parte del procedimento giurisdizionale, <:on ovvie conseguenze di unitarietà di disciplina, tramite il rifermento alle norme del c.p.c., per tutti i tributi che non prevedono norme apposite. Questa Corte rileva che, mentre l'ultima affermazione si può accettare, quella precedente introduce un tema (quello delle notifiche nel procedimento giurisdizionale) che è estraneo alla causa, perché la notifica dell'avviso di accertamento è un atto dell'amministrazione attiva che non ha riferimento al procedimento giurisdizionale (iniziato dal contribuente mediante ricorso, regolato da norme diverse, riguardanti anche l'indicazione del domicilio, con influenza sul seguito del procedimento stesso), per cui non si può postulare un'unità di disciplina. A parte le suddette considerazioni preliminari, scendendo all'esame dell'istituto del domicilio fiscale, si osserva che esso, nel campo delle imposte dirette (art. 9 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645) è essenzialmente ed .in via principale determinato al fine di stabilire la competenza territoriale dell'Ufficio al quale va presentata la dichiarazione tributaria ed al quale è attribuita la potestà di accertamento (art. 29 e 33 dello stesso t.u.). Sotto tale profilo, la nozione è inutilizzabile o comunque concepita in modo esenzialmente diverso nell'imposta sulle successioni, per- ché l'Ufficio al quale si deve presentare la denuncia di successione e che è competente per l'accertamento è quello nella cui circoscrizione era l'ultima residenza del defunto (art. 61 r.d., n. 3270 del 1923; art. 35 d.p.r. n. 637 del 1972). Mentre l'Ufficio competente per ricevere la di- chiarazione e per effettuare l'accertamento è determinato, nelle imposte dirette, di norma in base alla residenza del contribuente, che costituisce in via principale il domicilio fiscale (stante la coincidenza, iri via normale, tra residenza effettiva e comune nella cui an~grafe il cittadino è iscritto), invece la residenza del soggetto passivo dell'imposta di successione (da dichiarare nella denuncia) non ha alcuna rilevanza per la determinazione dell'Ufficio che deve procedere all'accertamento e liquidare l'impota. Il profilo accennato non riguarda direttamente la causa, perché nella specie non si controverte dell'Ufficio competente per l'accertamento, ma è comunque ignificativo per stabilire già che non esiste una nozione unitaria di domicilio fiscale ai fini delle imposte dirette e dell'imposta di successione (almeno come criterio dell'attribuzione di competenza agli Uffici). Sotto il profilo (che interessa la causa e quindi si deve più direttamente considerare) della disciplina della notifica degli atti in materia PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 775 di imposta di successione, la giurisprudenza e la dottrina erano pervenute a risultati che sono stati codificati dal legislatore delegato del 1972. È utile pertanto riferire il punto di arrivo, in cui lo sforzo interpretativo delle sparse e non complete preesistenti norme .si è tradotto in espresso dettato legislativo. Dispone· l'art. 26 del d.P.R. n. 637 del 1972 che l'avviso di accertamento di maggior valore è notificato nei modi stabiliti per le notificazioni in materia di imposte sui redditi, dagli ufficiali giudiziari, da messi speciali autorizzati dagli uffici del registro o da messi comunali. È da notare che, poiché il d.P.R. n. 637 è entrato in vigore il lo gennaio 1973, mentre il d.P.R. n. 600 del 1973, che all'art. 60 disciplina le notificazioni, è e~trato in vigore il lo gennaio 1974, per l'anno 1973 si è applicato l'art. 38 del t.u. n. 645 del 1958. Naturalmente, si deve tener conto della decisione della Corte cost. 14 giugno 1974, n. 189, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 38 lett. e) del d.P.R. n. 645 del 1958 e dell'art. 32 lettera c) del d.P.R. n. 636 del 1972, sulla revisione del conteÌlzioso tributario. Il sistema che risulta è caratterizza,to, per quel che interessa la presente causa, dai seguenti elementi: a) mentre l'art. 26 del d.P.R. n. 637 elenca oltre i messi speciali autorizzati dall'ufficio, ed i messi comunali, anche gli ufficiali giudiziari, invece le norme sulle imposte dirette non elencano gli ufficiali giudiziari; b) le norme sulle imposte dirette esèludono l'applicabilità dell'art. 143 c.p.c., ma si deve intendere che la notificazione, col rito degli irreperibili, dell'avviso di accertamento in materia di imposte di successione, non può essere effettuata quando alla notifica procedono i messi speciali ed i messi comunali, e non quando vi procedono gli ufficiali giudiziari. Ciò è confermato dall'art. 32 del d.P.R. n. 636 del 1972, che esplicitamente esclude, al comma 3° lett. d), l'applicabilità dell'art. 143 c.p.c. solo per le notifiche effettuate dai messi, mentre al comma 2o include fra gli agenti della notificazione, oltre i messi, anche gli ufficiali giudiziari; c) la notifica è eseguita nel domicilio fiscale del destinatario (formula più esatta contenuta nel d.P.R. del 1973 n. 600, di quella: « nel comune di domicilio fiscale del contribuente », usata dal d.P.R. n. 645 del 1958); d) è prevista la facoltà del contribuente di eleggere domicilio; e) si applica l'art. 140 c.p.c. quando nel comune dove deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda 4el contribuente; f) è prevista l'efficacia della variazione anagrafica, con effetto da una certa data (30 giorni o 60 giorni, a seconda dei due testi). Questa norma riguarda le persone fisiche, per le quali sussiste l'anagrafe della popolazione residente. Per le persone giuridiche, la società e gli enti, il nuovo d.P.R. numero 600 del 1973 prevede l'obbligo della comunicazione (art. 36) delle variazioni di sede, e regola gli effetti della omessa comunicazione. 13 RASSEGNA DEL:L'AVVOCATURA DEU.O STATO Dal suddetto sistema risulta che, anche a volere trasportare la no zione di domicilio fiscale del campo delle imposte dirette a quello del l'imposta di successione (con le riserve già fatte supra), non è affatto v.ero . che per le persone fisiche, la mancata comunicazione della varia zione di residenza all'Ufficio, nel caso nel quale peraltro si sia provve duto alla variazione anagrafica presso i Comuni, a norma della legge del 1954 già citata, sia irrilevante per le notifiche che l'UffiCio deve ese guire. Al contrario, la variazione anagrafica ha effetto automatico: anche per l'Ufficio, siç~. pure con la cautela del decorso di un certo tempo dalla sua effettuazione. n sistema è pertanto quello secondo cui la notifica deve eseguirsi alla residenza effettiva del contribuente, mentre non è vero che il do micilio indicato nella denuncia della materia imponibile all'Ufficio, non seguita da diverse comunicazioni, abbia un effett? permanente, oltre e .al disopra delle variazioni anagrafiche effettuate dai contribuenti, pur senza comunicazione all'Ufficio. Perde pertanto di consistenza anche la terzq argomentazione della corte di Milano, secondo cui n?n avrebbe senso richiedere 'un'indicazione di residenza o di ·domicilio (nella denuncia) se subito dopo la presentazione della denuncia il contribuente potesse vanificarne gli effetti, attraverso la mancata comunicazione dei trasferimenti all'Ufficio impositore. È facile obiettare che l'Ufficio impositore è tenuto a consultare i registri anagrafici, come risulta .dalle norme espresse nel campo delle imposte dirette, che pure si vogliono invocare per porre quell'automaticità che non esiste. Alla consultazione dei registri si arriverà attraverso l'attività dell'agente notificatore, a seguito della mancata notifica alla residenza dichiarata nella denuncia (attività che del resto era stata eseguita nella presente fattispecie, sia pure nel modo manchevole . che risulta dagli atti, e cioè confondendo la città di Monza con quella di Milano e due vie omonime esistenti nelle due città; difetti, questi, che non possono essere certo imputati ai contribuenti). Come si è già detto, lo stess.o sistema di notifiche deve ritenersi vigente prima del t• gennaio 1973, perché le norme del d.P.R. n. 637 del 1972 non possono considerarsi innovative e poiché comunque il si stema risultava dall'analogia con le norme sulle. imposte dirette anche allora vigenti (in tal senso cfr. Corte cost. n. 189 del 1973, nella par;te introduttiva della motivazione). Il Collegio osserva, a questo punto, che non ·può condividersi l'as sunto secondo cui nell'obbligo di dichiarare il domicilio al momento della denuncia di successione (art. 51 r.d. n. 3270 del 1923) è implicito l'ul teriore obbligo di dare. notizia degli eventuali cambiamenti del domi cilio medesimo, affermato da Cass. 5 luglio 1973; n. 1889. Innanzitutto, è da notare che T affermazione si riferisce ad una fattispecie esattamente opposta a quella che avrebbe dovuto far dettare la regola, e cioè ad PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 777 un caso nel. quale il contribuente, nel ricorso. alla Commissione, aveva eletto domicilio in luogò diverso da quello indicato in denuncia: la Corte lÌ.a ritenuto· che ·gli atti inerenti alla liquidazione. dell'imposta fossero stati notificati all'ultimo domicilio eletto. In sostanza, si è voluto conferire, anche ai fini della procedura di accertamento e riscossione dell'imposta, un effetto al domicilio eletto nel ricorso alla Commissione tributaria (che, in linea di principio, vale in sede di procedimento giurisdizionale); ma tale collegamento non sembra che debba essere posto per il motivo che l'elezione di domicilio attuata per iscritto nel ricorso alle Commissioni tributarie può essere riguardata come adempimento dell'assunto obbligo di dare notizia all'Ufficio dei cambiamenti del domicilio o della residenza dichiarata nella denuncia di successione. Invero, si trattava di stabilire, anche indipendentemente da tale supposto obbligo, se l'Amministrazione poteva utilizzare, ad altri fini, l'elezione di · domicilio effettuata nel ricorso, di fronte alla contestazione del contribuente secondo cui raHro è il domicilio eletto in sede giurisdizionale (vedi, ora, l'art. 32 del d.P.R. n. 636, che parla di <<luoghi indicati nel ricorso a norma dell'art. 15 »), .altro è il domiCilio reale ai cui all'art. 51 legge sulle successioni abrogata. Il problema interpretativo posto allora (sul quale la Corte non ha ragione di insistere in questa sede) non ha quindi una diretta correlazione col caso opposto, nel quale nessuna notizia di un diverso domicilio, rispetto a quello indicato in denuncia, è_ stata data all'ufficio delle successioni dal contribuente, per cui esiste nel mondo fenomenico solo la suddetta ·indicazione originaria ·e la successiva variazione anagrafica, non comunicata. In questo caso, occorre partire dalla norma, la quale impone solo l'indicazione del domicilio e della residenza dell'erede. Questo obbligo non è sanzionato, perché l'art. 52 specifica che si considera irregolare la denuncia che non contiene alcuni elementi (ivi elencati), tra i quali non · esiste la mancata indicazione della residenza o domicilio. Anzi, poiché il ricevitore deve invitare il denunziante a rettificare la denuncia irregolare, segno è che (se essa manca· dell'indicazione della residenza e del domicilio) il ricevitore stesso dovrà accertarsi aliunde di tali dati, per poter ottemperare all'obbligo (definito tale dalla legge) di restituire la denuncia irregolare al denlmziante, con invito a rettificarla. In sostanza, l'art. 51, primo comma ultimo inciso, è una norma minus quam perfecta. La sua inottemperanza non è presidiata da sanzioni e l'Ufficio dovrà attivarsi, per integrare il suddetto elemento mancante. A maggior ragione, ·non può porsi l'obbligo successivo di dichiarare i cambiamenti del domicilio e della residenza, perché l'Amministrazione è sottoposta al sistema di notifica che innanzi si è descritto, comportante la rilevanza 778 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ·delle variazioni anagrafiche denunciate ai Comuni, anche se non all'Uf ficio impositore. Per complete;zza, si deve chiarire che l'applicazione degli artt. 140 e 143 c.p.c. postula l'osservanza dei princìpi da ultimo stabiliti da Cass., sez. un., 6 dicembre 1978, n. 5753. Nel caso (che è l'unico che interessa la presente fattispecie) nel quale la residenza effettiva nuova -a se guito di trasferimento dalla vecchia residenza e di contemporaneo tra sferimento del domicilio ex art. 44 comma 2• c.c. -coincida con la resi denza anagrafica nuova ,non si può che applicare l'art. 44 comma 1•, c.c., sull'apponibilità del trasferimento ai terzi, intendendosi per tale anche l'Ufficio delle imposte (salvo il caso del Comune, nel rapporto tributario .dell'imposta di famiglia: Cass. n. 1303 del 1969). Il richiamo all'art. 140 c.p.c. compiuto dalle norme sulle imposte dirette (art. 38 lett. f) d.P.R. n. 645 del 1958 ed art. 60 lett. f) d.P.R. n. 600 del 1973) riguarda una situazione che in realtà è più simile a quella prevista dall'art. 143 c.p.c. (vedi, in tal senso, Corte cast. n. 189 del 1974; e sulla prevalenza dell'art. 140 c.p.c. sull'art. 38 lett. f) del t.u. del 1958, vedi Cass. 10 febbraio 1971, n. 342; Cass. 13 febbraio 1969, numero 490). Le norme speciali suddette devono infatti coordinarsi con l'ultimo comma dello stesso articolo, per cui devono applicarsi solo al caso in cui il domicilio fiscale dichiarato, per errore o volontà del contribuente, non coincide con la residenza effettiva, ovvero al caso di trasferimento non denunciato alle Anagrafi. Invece, nel caso di trasferimento denunciato alle Anagrafi, le norme speciali possono applicarsi solo quando la denuncia non sia veritiera, e cwe non corrisponde ad un effettivo trasferimento della residenza; ovvero non siano ancora trascorsi i termini di 60 e 30 giorni stabiliti a decorrere dall'avvenuta variazione anagrafica (corrispondente alla real tà) per l'efficacia nei confronti dell'Amministrazione della variazione stessa. Quanto all'applicabilità dell'art. 143 c.p.c., mentre essa è .in radice esclusa se alla notifica procedano i messi diversi dall'ufficiale giudiziario, quest'ultimo potrà procedervi solo quando siano sconosciuti all'autore dell'atto di impulso o all'ufficiale giudiziario i luoghi in cui il destinatario ha effettivamente la residenza o il domicilio, ed inoltre detta situazione di ignoranza non sia stata superata (e non si sia quindi trasformata .in una situazione di conoscenza del nuovo luogo di residenza o di domicilio effettivo) dalle ricerche e dalle richieste di informazioni che, secondo il criterio dell'ordinaria diligenza, si rendano necessarie. E, quindi, l'art. 143 c,p.c. è inutilizzabile quando la residenza effettiva coincide cop la residenza risultante dai registri anagrafici, perché la consultazione dei medesimi costituisce il grado di diligenza richiesta (Cass. 6 giugno 1972, n. 1751). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 779 Non può, invero, considerarsi irreperibile chi abbia regolarmente effettuato le variazioni anagrafiche richieste dalla legge n. 1228 del 1954 e dal regol. di attuazione, perché allora non si ha l'irreperibilità oggettiva che costituisce la ratio dell'art. 143 c.p.c. Potrà quindi applicarsi l'art. 140 c.p.c., nella forma «pura» regolata dal c.p.c. e non nelle forme peculiari previste dalle norme fiscali richiamate, nel comune di residenza effettiva coincidente col comune di residenza variata anagraficamente, ma solo se non si possa eseguire la notifica a norma dell'art. 139 c.p.c., per l'impossibilità di consegnare la copia ad un soggetto legittimato. La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa va rinviata ad 'altra sezione della Corte d'appello di Milano, che osserverà il principio secondo cui, non essendo previsto dall'art. 51 r.d. n. 3270 del 1923 l'obbligo del denunciante di comunicare all'Ufficio delle successioni le variazioni di residenza e domicilio intervenute dopo là denuncia, l'Ufficio predetto dovrà procedere alla notifica dell'avviso di accertamento di maggior valore dei beni caduti nella successione alla residenza trasferita in altro luogo (denunciata a norma della legge n. 1.428 del 1954 e dell'art. 44 c.c.), a norma dell'art. 139 o dell'art. .140 c.p.c., mentre è esclusa l'applicabilità dell'art. 143 c.p.c. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 settembre 1979, n. 4740 -Pres. Vigorita -Est. Sgroi -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Soc. Crestliner Italia (avv. De Ferrari). Imposta di ricchezza mobile · Esecuzione decennale · Presupposti . Novità dall'impresa · Decorrenza dell'esenzione -Funzionalità degli impianti · Prova · Atto della Camera di Commercio -Pròva contraria · Am· missibilità. In tema di esenzione decennale dall'imposta di r.m., secondo la normativa contenuta nell'art. 8 della legge 29 luglio '1957, n. 635 e nell'art. 8 della legge 22 Zuglio 1966, n. 614, da applicarsi nelle località già riconosciute economicamente depresse, il presupposto temporale per il diritto all'esenzione è che si tratti di «nuova» impresa, costituita dopo l'entrata in vigore delle due leggi, mentre la data di inizio (entro il 13 agosto 1969) delle attività (funzionalità degli impianti), rilevabile (con possibilità di prova contraria) con atto detla Camera di Commercio, è decisivo solo per il periodo di' decorrenza del diritto all'esenzione (1). (:1) Suila questione cfr. Cass. 9 giugno 1971, n. 1712; Cass. 23 novembre 1976, n. 4425 in Foro lt. 1976, Rep. 1976, voce R.M. n. 176. 780 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione finanziaria dello Stato deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 8 legge 29 luglio 1957, n. 635 e dell'art. 17 .della legge 22 luglio 1966, n. 614, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazìone in relazione agli artt. 360 n. 3 e n. 5 ·c.p.c. Poiché il ·motivo è molto complesso ed investe diversi aspetti, con viene esaminarne distintamente le argomentazioni, in ordine logico. In primo luogo, 1a ricorrente rileva che la Corte d'appello non ha tenuto presente che l'art. 8 della legge n. 635 del 1957, ai fini di cui è causa, deve essere integrato dall'art. 17 della successiva legge n. 614 del 1966, che pone l'ulteriore requisito della entrata in funzione degli impianti, sia o no la legge successiva limitativa della precedente, in modo che il .problema della controversia era quello di .stabilire se alla data del 13 agosto 1969 gli impianti della Crestliner erano o meno entrati in fun~ zione. Poiché a questa domanda la Corte dì merito aveva dato risposta negativa, dato che aveva affermato che no:p. erano ancora iniziati i lavori per l'allestimento dello stabilimento, non si capiva -secondo la ricorrente -l'utilità dell'indagine compiuta poi dalla stessa Corte sull'attività di minime dimensioni, di fatto svolte dalla Soc. Crestliner. Questa Corte osserva che la censura è fondata, perché è evidente che la Corte di merito è partita da una ricost;ruzione errata del sistema legislativo, quando ha posto un mero rapporto ·di continuità tra l'art. 8 della legge n. 635 del 1957 e l'art. 17 della legge n. 614 del 1966, nel senso che, a n9rma dell'art. 17 citato, rileva un qualsiasi inizio dell'attività, .certificato dalla iscrizione alla Camera di Commercio, per creare il di ritto all'esenzione. Il rapporto tra le due norme e mvece profondamente diverso e non si coglie se non avendo presente tutto il complesso della legge n. 614 del 1966, che la Corte di merito ha trascurato, pervenendo ad un'er ronea affermazione in diritto che, pur contenuta alla fine della moti. vazione, è quella che ne regge sostanzialmente l'iter logico. La legge 22 luglio 1966, n. 614 all'art. 8 (esenzioni fiscali per le nuove imprese artigiane ed industriali) dispone: <<Le nuove imprese artigiane e le nuove piccole e medie imprese industriali... che si costituiscono nelle zone depresse dell'Italia settentrionale e centrale... sono esenti, per dieci anni dalla data d'inizio della ~oro attività -rilevabile con atto della competente Camera di commercio, industria e agricoltura -da ogni tributo diretto sul reddito». Questa norma (corrispondente, pur nella diversa formulazione, a quella contenuta nell'art. 8 della precedente legge 29 luglio 1957, n. 635) nòn è utilmente invocabile dalla Soc. Crestliner (come essa stessa ammette) perché riguarda solo le. zone depresse deli mitate col provvedimento CIPE previsto dall'art. l della legge n. 614 del 1966. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 781 Il provvedimento CIPE del 31 luglio 1967 (G. U. 2 gennaio 1968, n. l) mod. con prevvedimento del 1968 (G. U. 24 giugno 1968, n. 159) non comprende il Comune di Ameglia, dove aveva sede l'attività della Soc. CrestIiner. Il suddetto Comune di Ameglia era invece stato riconosciuto come « località economicamente depressa » a norma della precedente legge n. 635 del 1957, ma l'art. 17 (norme finali e transitorie) dèlla legge n. 614 del 1966 dispone: «Fermo restando le agevolazioni già concesse alle imprese ammesse ai benefici della legge 29 luglio 1~57, n. 635, le dichiarazioni ed i riconoscimenti di << località economicamente depressi » effettuati in applicazione, rispettivamente dell'art. l legge 10 agosto 1950, n. 647, nonché dell'art. 8 della citata legge n. 635 e successive modificazioni ed i)ltegrazioni, perdono ogni efficacia a seguito dell'entrata in vigore della presente legge (13 agosto 1966, a norma dell'art. 21). Poiehé è pacifico che a quella data del 13 agosto 1966 la Soc. Crestliner non esisteva ancora, non poteva ovvi~mente invocare la prima parte del primo comma dell'art. 17 citato, che conservava le agevolazioni già. con~ . cesse. Essa poteva invocare solo il secondo comma (mod. con legge 6 agosto 1967, n. 690) che è del seguente tenore: <<l'esenzione fiscale di cui all'art. 8 della legge 29 luglio 1957, n. 635 é successive modificazioni ed integrazioni continua ad applicarsi nelle località già riconosciute economicamente depresse per le iniziative i cui impianti èntrino in funzione entro tre anni dall'entrata in vigore della presente legge purché a prescindere dal numero 'degli operai addetti all'impresa, l'investimento in impianti fissi non superi i due miliardi di lire. Tale limite di investimento è àpplicabile! fino al compimento del decennio dalla data di inizio dell'attività, anche per le imprese già ammesse al godimento dell'esenzione fiscale anzidetta "· Segue un terzo comma (aggiunto con legge 6 agosto 1967, n. 690) che nl:!n rigl.iarda la presente controversia, ma l'ampliamento delle aziende esistenti (alla data del 13 agosto 1966) e quindi non è applicabile alla Crestlirter. . L'esame del secondo comma ,che è quello astrattamente applicabile alla fattispecie ed invocato dalla Crestliner, mostra un dato evidente: la distinzione tra <<entrata in funzione degli impianti» entro il 13 agosto 1969, per le iniziative sorte in località già riconosciute economicamente depresse (la formula era contenuta nel testo originario c,lella legge n. 614, già prima della modifica apportata con la legge n. 690 del 1967) da un lato, e la «data di inizio dell'attività», nella parte aggiunta al secondo comma dalla legge n. 690 del 1967. Occorre, in primo ·luogo, accertare se, nonostante la diversità della dizione letterale, le ·due formule sono sostanzialmente equivalenti, come ha ritenuto la Corte di Genova. Questa Corte osserva che per stabilire l'identità o la diversità di significato delle due formule occorre partire dal significato della formula << data di inizio dell'attività "· ~ssa è ·collocata nell'ambito della 782 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO delimitazione temporale dell'esenzione già accordata (<< per le imprese già ammesse al godimento dell'esenzione fiscale anzidetta <<recita» la norma») a norma dell'art. 8 della legge n. 635 del 1957 e del primo comma dell'art. 17 della legge n. 614 del 1966. Il significato non può quindi che essere quello della norma originaria, ed in tale sede si è già stabilito (Cass. 9 giugno 1971, n. 1712, in motivazione) che l'esenzione spetta alle imprese costituite sÒlo dopo l'entrata in vigore della norma agevolatrice del 1957, essendo congruo alla funzione incentivante della legge ammettere al trattamento di favore solo le iniziative suscitate dalla prospettiva di goderne, e che l'impresa, quando è esercitata da una società, deve considerarsi venuta in essere già con la costituzione della società, perché questa rivela la preordinazione all'esercizio dell'attività industriale, mentre alla << data di inizio dell'attività» è attribuito il rilievo di segnare la decorrenza dell'esenzione, e non l'acquisto del relativo diritto. In sostanza, secondo la normativa tanto ·dell'art. 8 della legge n. 635 del 1957, quanto dell'art. 8 della legge n. 614 del 1966, il pres"upposto temporale per il diritto a conseguire l'esenzione è·che si tratti di << nuova » impresa, costituita cioè dopo l'entrata in vigore delle due leggi (o, per l'esenzione del maggior reddito, di ampliamento, successivo alla legge, n. 614 -innovativa sul punto -delle aziende esistenti). La data d'inzio dell'attività è rilevante quindi solo per il periodo di decorrenza del diritto all'esenzione, il-che presuppone la proauzione di un reddito in astratto soggetto all'imposta diretta, e cioè l'inizio dell'attività produttiva. Questo primo punto dell'indagine deve quindi concludersi nel senso che 1a << data dell'inizio dell'attività » è rilevante solo per stabilire il momento iniziale dei dieci anni di esenzione, mentre il diritto all'esenzione sorge da un fatto che può anche essere temporalmente diverso, e cioè la novità dell'impresa. Un'impresa che abbia inizi.ato l'attività dopo le leggi del 1957 o del 1967, se costituita già da prima (in forma sociale) non gode dell'esenzione, perché non è nuova impresa. Potrà godere solo dell'esenzione inerente al maggior reddito derivante dall'ampliamento delle aziende esistenti (penultimo comma art. 8 legge n. 614 del 1966 che pone un principio nuovo, non contenuto nell'art. 8 legge n. 635 del 1957). Occorre, ora, passare all'esame del punto se la formula <<entrata in funzione degli impianti» abbia lo stesso significato e la stessa portata, di norma non costitutiva del diritto dell'esenzione, ma solo delimitatrice dell'arco temporale dell'esenzione stessa, anche nel secondo comma, primo periodo, dell'art. 17 della legge n. 614. A prima vista sembrerebbe che la risposta positiva al quesito sia obbligata dal fatto che << data di inizio dell'attività» è stata considerata la data non del mero venir in essere (mediante costituzione) dell'impresa, ma la data dell'inizio della produ . PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 783 zione, a sua volta ovviamente dipendente dall'entrata in funzione degli impianti. Ed in effetti, sotto questo aspetto le due formule sono equivalenti, ma il problema non si esaurisce in questa rilevata equivalenza di formule, perché in realtà, con riferimento alla disciplina transitoria il problema è anche quello di stabilire se dalla data di inizio dell'attività produttiva e cioè dell'entrata in funzione degli impianti dipenda solo da fissazione del termine iniziale del decennio di esenzione, ovvero dipenda anche l'acquisto del diritto all'esenzion.e. La scelta tra le due soluzioni comporta infatti che, nel primo caso, bisognerebbe stabilire, indipendentemente dall'entrata in funzione degli impianti, quando le imprese, per essere esentate, debbono costituirsi. Secondo Cass. 23 novembre 1976, n..4425 (in motivazione) la norma in esame è diretta a disciplinare, in via transitoria, quelle iniziative imprenditoriali, che, avviate nella prospettiva economica di cui costituiva elemento non certo secondario il trattamento agevolato accordato dalle leggi allora in vigore, potevano diventare operanti solo dopo che era sopravvenuta la nuova disciplina. Pertanto, secondo detta interpretazione, il carattere transitorio della ·norma comporta che l'impresa doveva essere costituita prima della nuova legge n. 614 del 1966, allo scopo di godere delle agevolazioni concesse dalla previgente legislazione in certi territori, non più compresi nelle aree depresse in base alla nuova legge~ Tale scopo indubbiamente esiste, come risulta anche dai lavori preparatori e cioè dalla Relazione del Presidente del Consiglio dei Ministri al disegno. d ilegge (Atti Senato IV legislatura, doc. 1215), secondo cui in base alla disposizione transitoria in discorso l'esenzione fiscale continuerà ad applicarsi nelle località già dichiarate depresse ai sensi dell'art. 8 della legge n. 635 del 1957, e successive modifiche e integrazioni, a quelle iniziative i cui impianti entrino in funizone entro tre anni dalla nuova legge, e cioè perché « S•i è ritenuto opportuno, per evidenti motivi di equità, che le iniziative in corso di" realizzazione non fossero escluse dal beneficio in parola solo perché, per impossibilità oggettiva, non hanno potuto ultimare i propri impianti entro il termine del 30 ·giugno 1965, data di cess·azione dell'efficacia della legge n. 635 del 1957 ». Questa Corte osserva che è indubbio che le suddette iniziative già in corso, ma non ancora attivate al 13 agosto 1966, godono dell'esenzione, purché gli impianti entrino in funzione entro il 13 agosto 1969, ma la norma transitoria non prevede aHatto, come condizione necessaria, che l'iniziativa sia in corso alla data del 13 agosto 1966 e cioè, che trattandosi di società, questa sia stata già costituita prima di tale data. Se questa interpretazione fosse esatta, nel caso di specie sarebbe risolutiva di ogni questione, dal momento che la s0cietà Crestliner si è còstituita solo nel 1969, nia neppure l'Amministrazione ha dedotto questa eccezione risolutiva. La ragione è che la norma transitoria riguarda anche le im 784 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prese costituite dopo il 13 agosto 1966, purché gli impianti entrino in funzione entro il 13 agosto ·1969. Ciò è. affermato espressamente dal se condo comma dell'art. 6 del d.m. 18 novembre 1966, contenente le mo dalità per l'applicazione delle agevolazioni fiscali rielle zone depresse del centro-nord (in G. U. 21 novembre 1966, n. 293) decreto emanato in forza dell'ultimo comma dell'art. 8 legge n. 614 del 1966. Se questa è l'interpretazione pacifica dell'art. 17 comma 2, contenuta nelle norrò.e di applicazione, è evidente che, pur nel suo indubbio carat tere transitorio, il suo significato è assai più largo di quanto emerge dalla citata Cass. n. 4425 del 1976 e dalla Relazione del Presidente del Consiglio al disegno di legge, purché non riguf'trda solo le iniziative pre cedenti alla legge n. 6i4, sorte cioè nel vigore della legislazione abro gata dall'art. 20 della legge n. 614, e non ancora poste in attività prima di tale abrogazione, ma riguarda anche le iniziative successive, purché pÒste in attività entro il 13 agosto 1969. In virtù di questa interpreta zione, che non può _esser posta in dubbio, perché èontenuta nell'art. 6 del d.m. 18 novembre 1966, la entrata in funzione degli impianti è contemporaneamente data di inizio del periodo di esenzione decennale da ogni tributo diretto a favore delle imprese ubicate nei comuni già riconosciuti depressi ai sensi dell'art. 8-legge n. 635 del 1957 (e non più riconosciuti tali in base alla ·legge n. 614 del 1966) e condizione necessaria per il sorgère dell'esenzione stessa. Infatti, il presupposto dell'esenzione non si realizza con la semplice costituzione entro una .certa data (13 agosto 1969), ma è integ-rato necessariamente dall'entrata in funzione. de. gli impianti. La differenza, rispetto al sistema risultante dall'art. 8 della legge nu mero 635 del 1957 è evidente, perché in base a tale legge sono escluse dal beneficio le imprese costituite prima del 18 agosto 1957 (d,ata d'en trata in vigore della legge del 1957) pur se la loro attività inizi entro il 30 giugno 1965, mentre sono ammesse al godimento dell'esenzione le imprese costituite ·entro il 30 giugno 1965 e che inizino l'attività succes sivamente al 30 giugno 1965. Invece, secondo l'art. l comma 2, legge n. 614, la data finale per la costituzione (13 agosto 1969) è anche la data finale per l'inizio dell'atti vità (sotto forma di entrata in funzione degli impianti) non essendo con cessa alcuna esenzione alle imprese già costituite il 13 agosto 1969, ma i cui impianti non sono ancora entrati in funzione a quella data. Concludendo, il rapporto tra il sistema precedente e quello dell'art. 17 comma 2 della legge del 1966 non è di mera continuità, come erroneamente affermato dalla Corte di Appello di Genova; che ha aggiunto a tale errore un'altra inesattezza, affermando che l'iscrizione alla Camera di Commercio è considerata quaJe momento dell'inizio dell'attività, sia in base alla legge del 1957 che in base alla legge del 1966. Questi errori hanno portato la Corte a confondere fra la data della costituzione e PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 785 dell'iscrizione della Società alla Camera di Commercio (nonché della << dàta di inizio dell'attività» indicata· nella denuncia alla Camera. di Commercio),. da un lato, e data di <<inizio dell'attività mediante entrata in funzione degli impianti», che integra il requisito. chiesto per l'esenzione dell'art. 17 citato, dall'altro lato. La-ricorrente rileva:, in merito a questo punto, che è erroneo affermare che la ·legge di esenzione. abbia considerato come inizio dell'attività l'iscrizione alla Camera di Commercio, che spetta a quest'organo certificare la data di inizio dell'attività: che questa data riguarda l'inizio effettivo dell'attività e non la çlata dell'iscrizione alla Camera di Commercio; che la dichiarazione della parte si considera inizio dell'attività solo ai fini dell'iscrizione stessa. Secondo la ricorrente, inoltre, per verificare se al 13 agosto 1969 smio entrati· in funzione gli impianti, è necessario un certificato della Camera di Commercio sulla data di inizio dell'attività effettiva: certifièato che non esiste, per cui è irrilevante ogni altra indagine, non potendòsi al di fuori di tale certificato stabilire in sede contenziosa che una certa attività è stata di fatto spiegata prima del 13 agosto 1969. .Questa ç:;orte rileva che il secondo ordine di argomentazione . non· può essere accolto, mentre è sostanzialmente fondato il primo argomento, col quale si sottolinea un evidente errore di diritto della Corte di merito, che ha influito sui vizi di motivazione di cui poi si dirà. Tanto l'art. 8 della legge n. 635 del 1957 che l'art. 8 della legge n. 614 del 1966 dispongono che la data di inizio dell'attività è rilevabile ·con atto della competente Camera di Commercio, industria ed agricoltura. La formula « rilevabile » (e non <<rilevata» o simili), indica una possibìlità di prova, e cioè una certificazione da cui è desumibile la data di inizio dell'attività, peràltro con l'efficacia probatovia non assoluta che è propria dell'atto. I certificati delle Camere di commercio, relativi alle attività delle imprese, concernono annotazioni fatte sulla base delle dichiarazioni rese dagli interessati; essi pertanto hanno pieno valore probatorio solo in ordine all'esistenza di quelle dichiaraziòni, ma non anche in merito alla loro corrispondenza con la realtà, con riguardo alla quale possono fornire semplici ·presunzioni (Cass. Sez. I, 13 maggio 1977, numero 1883). Per ottenere, a domanda (cfr. art. 5 del d.m. 18 novembre 1966) l'esenzione, la prova dell'inizio dell'attività è rilevabile (cioè <<può esser data») col certificato suddetto, ma esso è suscettibile di prova .con· traria da parte dell'amministrazione, come di integrazione con altri elementj da parte dell'istante. Basta ·considerare che l'articolo 48 del t.u. 20 settembre 1934, n. 2011 dispone che la denuncia alla Camera di Commercio deve essere fatta entro 15 giorni dalla costituzione della società o dall'inizio dell'esercizio commerciale industriale o agricolo, se si tratti di azienda appartenente a società regolarmente costituite o a singoli in 786 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dividui. Per le società, il termine non decorre dall'inizio della attività, ma dalla semplice costituzione, e la data di inizio dell'attività è quindi una mera prestmzione derivante dalla costituzione, ovvero da una di chiarazione integrativa (e. non necessariamente richiesta) dell'obbligato alla denuncia. Queste osservazioni acquistano ancor maggior valore nel quadro del l'art. 17 della legge del 1966. La Camera di Commercio non puÒ certifi care l'entrata in funzione degli impianti, perché nei registri tenuti da quell'ente non esiste una simile attestazione, a meno che lo stesso denun ciante non lo dichiari, ed allora essa hà lo stesso valore di una dichia razione della parte. Non è vero, quindi, che la data dell'entrata: in fun zione degli impianti debba essere certificata dalla Camera di Commercio (l'art. 17 non ne parla) come vuole l'amministrazione ricorrente. Ma non è neppure vero che la denuncil;l alla Camera di Commercio della « data di inizio dell'attività» ha carattere di prova legale, come afferma la Corte di merito, dato che nessun operatore si espone fiscalmente con l'iscrizione alla C.C.I.A. se non esercita già effettivamente la sua attività. Esattamente la ricorrente amministrazione opponeche !:iscrizione alla Camera di Commercio non espone al alcun rischio fiscale, perché pre supposto della imposizione è l'esistenza di un reddito (art. 2 ed 81 del t.u. n. 645 del 1958, allora vigente) e nori un'iscrizione meraménte formale alla C.C.I.A. Concludendo, su questi punti del motivo del ricorso che rilevano violazione e falsa applicazione di legge, si deve affermare quanto segue: ai fini dell'art. 17 comme 2 della legge n. 614 del 1966, entro il 13 agosto 1969, non solo deve essere costituita l'impresa, ma . devono essere entrati in funzione gli impianti per i quali essa è stata costituita, non bastando un'attività preparatoria e prodromica, diversa da quella propria degli stessi impianti. La legge, invero, pone una stretta correlazione tra gli impianti e gli investimenti, tanto è vero che fissa un limite di due miliardi agli « investimenti in impianti fissi ». Se gli impanti non fossero entrati in funzione completamente, non si vedrebbe come stabilire se detto limite sia stato o meno superato. Il controllo non può essere fatto con riferimento al mero acquisto di qualche macchina o di materiale, o alla mera assunzione di dipen denti, per svolgere un'attività iniziale in locali definiti «di fortuna» e cioè provvisori e aventi una diversa destinazione, come erroneamente ha fatto la Corte d'appello. In secondo luogo, la certificazione della Camera di commercio sull'inizio dell'attività non è decisiva, ma meramente presuntiva, mentre la iscrizione alla Camera di Commercio non si deve confondere con l'inizio dell'attività effettiva, come erroneamente ha affermato la Corte d'appello. SEZIONE SETTI.MA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1979, n. 972 -Pres. La Farina -Rel. Carnevale -P. M. Minetti (conf.) -Fallimento di Giuseppe Palmis~;tno (avv. Fazzalari e Caffarelli) c. Assessorato per i lavori pubblici della Regione Siciliana (avv. Stato Onufrio). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Rescissione -Contestazione Comunicazione della relazione particolareggiata -Equipolle~ti -Am missibilità. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 340; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27). La comunica!.ione all'appaltatore della relazione particolareggiata contenente gli addebiti -che secondo l'art. 27 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, deve precedere la pronunzia di rescissione del contratto -non costituisce una formalità essenziale, esplicando la· sua stessa efficacia ogni altro idoneo mezzo (nel caso, degli ordini di servizio) che in concreto consenta all'appaltatore di conoscere gli addebiti contestatigli e di proporre le proprie giustificazioni prima che . l'amministrazione risolva il contratto (1). (Omissis). -Con l'unico motivo del suo ricorso -denunciando la violazione dell'art. 27 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, e degli artt. 1362 e segg. c.c. nonché l'omessa motivazione il curatore del fallimento Palmisano si duole che la Corte del merito abbia considerato equivalente alla cbmunicazione della relazione particolareggiata, prescritta dal citato articolo 27 del regolamento per la direzione, contabilità e collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministro dei lavori pubbliCi (da essa esattamente ritenuto applicabile anche agli appalti di opere pubbliche conclusi dalla· regione siciliana) per la contestazione all'appaltatore delle inadempienze da lui commesse nell'esecuzione dell'appalto assunte dall'aministrazione appaltante quale presupposto del successivo atto di rescissione del contratto, alla conoscenza, da parte dell'appaltatore, di un ordine di servizio contenente l'indicazione delle dette inadempienze; abbia affermato immotivatamente che nella specie il Palmisanò si sarebbe « discolpato » con le lettere inviate all'amministrazione appaltante nel novembre del 1966 e nel gennaio 1967, con ciò sa (l) Sulla risoluzione del contratto pronundata dall'amministrazione a norma . dell'art. 340 della legg,e sui ll.pp., cfr. CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 1976, pag. 888; in giurisprudenza, Cass., 17 maggio 1974, n. 1470, in questa Rassegna, 1974, I, 1468. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 788 nando il difetto di contestazione delle inadempienze, laddove dalle dette lettere risulta che l'appaltatore non aveva replicato ad una contestazione articolata e sufficiente, ma soltanto « ad una notizia dubitativa»; ed abbia, infine, omesso di considerare che la relazione particolareg-' gia,ta era stata redatta nel febbraio del 1967, ciò che dimostrerebbe che l'amministrazione non riteneva esaurita, nel gennaio dello stesso anno, la fase della contestazione di cui all'art. 27 del regolamento. Nessuna delle censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata coglie nel segno. L'esigenza di tutela dell'interesse dell'appaltatore -che sta· a base ·delle disposizioni dettate dall'art. 27 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, contenente il regolamento per la direzione, la contabilità e la çollaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni der Ministero dei lavori pubblici, in ordine alla preventiva contestazione degli inadempimÌ: mti degli obblighi contrattuali posti dall'amministrazione committente a fondamento dell'atto con cui, nell'esercizio del potere attribuitole dall'art. 340 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, risolve un contratto di appalto di opere pubbliche per inadempimento dell'appaltatore -può ritenersi soddisfatta tutte le volte in cui quest'ultimo sia stato messo in grado di conoscere gli inadempimenti contrattuali addebitatigli e di prospettare all'amministrazione le proprie deduzioni in proposito. A tale fine la comunicazione all'appaltatore della relazione particolareggiata contenente gli addebiti non può quindi considerarsi come una formalità essenziale che non ammette equipollenti, essendo sufficiente tanto più quando, come quella specie, il contratto di àppalto sia stato concluso con un ente pubblico diverso dallo Stato, per cui l'iter procedimentale previsto dall'art. 27 del r.d. 25 :maggio 1895, n. 350, presupponente una struttura organizzatoria dell'ammin!strazione committente caratterizzata, come. l'amministrazione statale dei lavori pubblici, da una pluralità di organi aventi ciascuno una propria sfera di . competenza rigorosamente determinata, non può non subire un adattamento alla diversa struttura organizzatoria, di regola meno articolata, dell'ente committente -che l'appaltatore venga informato, con qualunque mezzo idoneo, degli addebiti mossigli dall'amministrazione committente in modo da potèrle proporre le proprie contestazioni e le proprie giustificazioni prima che questa risolva il contratto per gli inadempimenti contrattuali addebitatigli. La Corte del merito non merita perciò alcuna censura per avere ritenuto che la contestazion~ degli addebiti fosse ·stata validamente effettuata con la comunicazione, fatta all'appaltatore dalla direzione dei lavori, degli ordini di servizio nn. 11 e 12, nei quali -secondo l'accertamento della stessa Corte, insindacabile in questa sede di legittimità in quanto implicante un tipico apprezzamento di fatto, come l'interpre PARTE I, Sll'Z. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 789 tazione del contenuto di documento e, comunque, non censurato dal ricorrente sotto l'unico profilo consentito del difetto di motivazione erano stati specificamente indicati i molteplici inadempimenti contrattuali dei quali egli si era reso responsabile. La ritenuta equipollenza, tra la comunicazione degli anzidetti ordini di servizio e quella della relazione particolareggiata prevista dall'art. 27 del citato r.d. n. 350 del 1850 rende altresì palese il difetto di decisività della circostanza, il cui omesso esame il ricorrente addebita alla Corte nell'ultima parte del motivo, che la relazione particolareggiata fosse stata redatta nel febbraio del 1967 e, quindi, successivamente all'invio da parte dell'appaltatore, delle lettere contenenti le sue deduzioni sugli inadempimenti contrattuali contestatigli con gli ordini di servizio avanti indicati. La successiva relazione particolareggiata, contenente gli stessi addebiti specificati nei due ordini di servizio, era stata del tutto superflua, per cui la considerazione della data in cui la medesima relazione era stata redatta non avrebbe potuto condurre i giudici del merito, anche se non l'avessero omessa, ad una decisione diversa da quella adottata. La censura, con cui si contesta che l'appaltatore avesse formulato, con le lettere inviate all'Assessorato regionale nel novembre del 1966 e nel gennaio 1967, le proprie deduzioni circa inadempimenti contrattuali specificamente addebitatigli, si infrange, infine, contro il difforme apprezzamento del còntenuto delle stesse lettere espresso dalla Corte del · merito: apprezzamento che non è stato idoneamente censurato dal ricorrente, in quanto egli, invece di specificare le omissioni e i vizi logici in cui sarebbero incorsi i giudici palermitani nell'interpretare il contenuto dei due documenti, si è limitato ad affermare che il medesimo apprezzamento sarebbe «immotivato» ed a prospettare una diversa ·interpretazione del contenuto degli stessi do·cumenti. Il ricorso deve conseguentemente essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato alle spese del presente giudizio di cassazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 maggio 1979, n. 2909 -Pres. Vigorita -Est. Sandulli -P. M. Leo (conf.) -Impresa Angelo Farsura (avv. Pallottino e Samperi) c. Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Del Greco). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Pretesa all'applicazione di un determinato prezzo contrattuale ~ Riserva -Onere -Tempo dell'iscrizione -Prima contabilizzazione della specie di lavoro con applicazione di prezzo diverso. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 37, 53, 54 e 45). La domanda di un maggior compenso,· consistente nella. richiesta che l'esecuzione di una data specie di lavoro sia pagata in base ad un de 790 RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO terminato prezzo contrattuale, è tardivamente formulata in sede di sottoscrizione del conto finale, ave sia stata preceduta dalla contabilizzazione senza riserva di partite di lavori della stessa specie, cui l'amministrazione abbia applicato un diverso prezzo. In tal caso la don;zanda va formulata al momento dell'inserzione nei libri contabili della prima partita di lavori sul modo del cui pagamento si controverta (1). (Omissis). -Con l'unico motivo, l'impresa ricorrente -denunciando la violazione degli artt. 383, 384, 112, 360, n. 5 c.p.c., 1664 c.c., 20, 22, 37, 53, 63, 65, 91, 99, 100, 103 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, e 343 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F -si duole che la Corte di rinvio abbia ritenuto intempestiva la riserva n. 5, da essa formulata in data 27 giugno 1959 al momento della ultimazione dei lavori e relativa al maggior compenso spettantele per le ulteriòri spese sostenute per i maggiori oneri esecutivi derivati dalla incorporazione nel calcestruzzo delle centine metalliche, la·cui orditura, per l'ispessimento ed il raccostamento alle pareti, rendeva la confezione parifì.cabile a quella del calcestruzzo armato, sul riflesso che dai dati emergenti dal registro di contabilità risultasse in maniera inequivoca, sin dalla iscrizione nel settembre 1956 della prima partita di calcestruzzo e della prima partita di centine metalliche incorporate nel calcestruzzo di rivestimento, l'intenzione dell'Amministrazione appaltante di compensare il rivestimento della galleria effettuato mediante l'incorporazione nel calcestruzzo delle centine metalliche di sostegno con il prezzo n. 53 del contratto originario relativo al calcestruzzo normale e con i nuovi prezzi nn. 12 e 13 previsti nel verbale del 2 dicembre 1955 per la fornitura e la posa in opera in galleria delle centine. Sostiene che -avendo assunto l'esecuzione del rivestimento della galleria con getti di calcestruzzo in presenza e con incorporazione delle centine metalliche di sostegno dimensioni e caratteristiche di oneri imprevisti, atti a determinare la parificazione, media .e globale, di detta esecuzione a quella del rivestimento con calcestruzzo armato -la riserva, « formulata a consuntivo totale e tesa ad ottenere un compenso globale corrispondente a quello del prezzo n. 53 del contratto originario più il prezzo n. 11, stabilito nel verbale del 2 dicembre 1955 >>, dovesse ritenersi tempestiva, in quanto il diritto ad un compenso integrativo sarebbe· insorto soltanto alla fine dei lavori, e cioè quando i caratteri e l'entità della incorporazione delle centine metalliche nel calcestruzzo avessero, a causa dei maggiori onèri esecutivi imprevisti, fatto assimi (l) Tra le piO recenti decisioni in tema di onere a tempo della riserva, cfr. Cass., 10 gennaio. 1979, n. 394, e 30 gennaio 1979, n. 653, in questa Rivista, 1979, l, 576 e 582 con note di rièhiami. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 791 lare il calcestruzzo COll' incorporazione di centine metalliche al calcestruzzo armato. Rileva, inoltre, che . i maggiori oneri, conseguenti all'esecuzione del rivestimento con incorporazioni di centine nel calcestruzzo -essendosi « presentati in quantità ed intensità variabili da luogo a luogo e da tempo a tempo » -fossero valutabili, ai fini della parificazione a quelli relativi alla realizzazione del rivestimento con calcestruzzo armato, soltanto « globalmente » ed « a consuntivo di tutta la partita ». Deduce, poi, che « la contabilizzazione del rivestimento con centine in base al prezzo 53+12 » non fosse atta a rivelare «il convincimento costante dell'amministrazione sulla onnicomprensività in detto prezzo dei maggiori oneri imprevisti >>. Afferma, infine, che la preclusione delle pretese correlate ai maggiori oneri per l'intervenuta decadenza in conseguenza della intempestività delle riserve potesse trovare applicazione esclusivamente in ordine ai fatti da contabilizzare. L'articolata e complessa censura è priva di· fondamento. Il problema residuale dell'annosa vicenda processuale attiene alla intempestività (o meno) della riserva, relativa al maggior compenso preteso dall'impresa appaltatrice per le ulteriori spese sostenute per i maggiori oneri esecutivi derivanti dalla esecuzione del rivestimento della galleria mediante la incorporazione delle centine metalliche nel calcestruzzo, formulata al momento della sottoscrizione del conto finale, ed alla conseguente preclusione (o meno) della pretesa ereditaria per l'intervenuta (o non intervenuta) decadenza. La Corte Suprema -chiamata a pronunciarsi, con il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, su una complessa fattispecie giuridica in tema di appalto di un'opera pubblica, consistente nella costruzione di una galleria per far defluire le acque del fiume Adige nel lago di Garda -ha statuito -dopo avere precisato che con il verbale del 2 dicembre 1955 erano stati fissati, rispetto al prezzo n. 53, stabilito nel contratto originario per il rivestimento delle pareti e delle volte della galleria, due nuovi sovrapprezzi: quello n. 11, per la confezione del rivestimento. in calcestruzzo armato (anziché in calcestruzzo semplice) e quello n. 12 per la realizzazione del rivestimento mediante l'incorporazione delle centine nel calcestruzzo -in base al principio giuridico, secondo cui l'appaltatore, ove intenda, a norma del coordinato disposto degli artt. 89 e 54 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 (regolamento sulla direzione, contabilizzazione e collaudazione dei lavori dello Stato), contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuati dall'amministrazione, è tenuto, a pena di decadenza, ad iscrivere apposita riserva nei documenti contabili (o nel registro di contabilità) ed a produrre ed esporre nel registro di contabilità, nei modi e nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare la sua pretesa nel titolo 14 792 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO . e nella somma, nonché a confermare la riserva all'atto della sottoscrizione del conto finale (dovendo ritrovarsi la ragione giustificatrice della decadenza dal diritto di far valere ·riserve e domande riferentisi ai fatti registrati nella necessità, nel quadro generale delle esigenze ·del bilancio pubblico, della continua evidenza delle spese dell'opera, in relazione sia alla corretta utilizzazione ed eventuale tempestiva integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti, sia alle altre eventuali determinazioni dell'amministrazione di fronte ad un notevole superamento delle previsioni originarie di spesa, rendente .l'onere della costruzione eccessivamente rilevante rispetto all'utilità conseguibile dal corpo sociale), che -non essendo le circosùmze di fatto con le quali nella sentenza di secondo grado era motivata l'intempestività della riserva iscritta il 27 giugno 1959 incompatibili con la possibilità che le parti si fossero rese conto della divergenza della interpretazione dell'accordo intervenuto con il verbale del 2 dicembre 19.65 soltanto quando, a lavori finiti, si era cominciato a contabili~zare il compenso complessivo spettante all'appaltatore -occorreva accertare, per stabilire la tardività, o meno, della riserva, se, già prima del giugno 1959, sul registro di contabilità risultavano ·dati tali da rendere evidente che l'amministrazione intendeva l'accordo in modo diverso da quello inteso dall'appaltatore, si che questo aveva l'onere di . formulare ed esplicare la riserva prima del 27 giu gno 1959. Per modo che l'unico esame demandato al giudice di rinvio era quello relativo all'accertamento se nel registro di contabilità' esistevano prima del 27 giugno 1959 segni tali, che manifestavano la volontà dell'amministrazione di compensare il rivestimento della galleria con l'incorporazione nel calcestruzzo delle centine di sostegno soltanto con il prezzo n. 53 relativo al calcestruzzo semplice e con il nuovo prezzo n. 12 previsto nel vebale 2 dicembre 1955 per fornitura e posa in· opera in galleria di centine metalliche incorporate nel cancestruzzo. La Corte di rinvio -nel procedere all'unica indagine assegnatale dalla Corte Suprema -ha ritenuto, con valutazione insinc;Iacabile in questa sede per avere a supporto una motivazione adeguata e corretta, esente da vizi logici e da errori giuridici, che -risultando dal registro di contabilità l'iscrizione dei lavori di rivestimento in calcestruzzo effettuati nel settembre 1956 con il prezzo n. 53 del contratto originario maggiorato con il prezzo n. 12 previsto nell'accordo perfezionatosi tra le parti con il verbale del 2 dicembre 1955 -emergesse in modo inequivoco, sin dalla prima registrazione del libro di contabilità, l'intenzione dell'amministrazione appaltante di compensare i lavori di rivestimento in calcestruzzo con incorporazione delle centine metalliche di sostegno con il prezzo originario n. 53, relativo al conglomerato cementizio semplice o normale, con l'aggiunta del nuovo prezzo n. 12, relativo alla fornitura ed alla messa in opera in galleria delle armature metalliche, PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 793 e non con l'addizione del nuovo prezzo n. 11, riguardante il cemento armato. E, in base a tale accertamento, ha correttamente affermato che la riserva della pretesa del maggior compenso, spettante per le ulteriori spese sostenute per i maggiòri oneri esecutivi derivanti dall'esecuzione del rivestimento della galleria mediante la incorporazione delle centine metalliche nel calcestruzzo, dovesse essere iscritta al momento della in serzione nel registro di contabilità dei primi lavori di rivestimento in calcestruzzo in presenza e con la incorporazione delle armature metal liche o al momento dell'inserzione nei libri contabili dei lavori d'incor porazio.ne della prima partita delle centine e che, di conseguenza -es sendo intervenuta, entro il 1956, la· contabilizzazione (senza che fosse stata formulata alcuna riserva o r~chiesta di maggior compenso) di altri cinquemila metri cubi di calcestruzzo di rivestimento con l'incorpora zione delle centine, la quale dimostrava che l'amministrazione commit tente non intendeva compensare come cemento armato l'incorporazione delle centine metalliche nel calcestruzzo -la riserva formulata il 27 giugno 1959 in sede di sottoscrizione del conto finale, quando i lavori di rivestimento della galleria erano stati da tempo ultimati, dovesse considerarsi intempestiva, con la conseguente implicazione che l'impresa appaltatrice fosse decaduta dal diritto di pretendere un compenso mag giore (immediatamente richiedibile dopo la esecuzione delle varie partite di lavoro) di quello risultante dallà somma del prez?:o n. 53 previsto dal contratto originario per il calcestruzzo semplice e di quello n. 12, stabilito dall'accordo del 2 dicembre 1955 per la fornitura e la messa in opera in galleria delle centine metalliche. Né, al fine di negare la decadenza d~tl diritto ad un maggior com penso in conseguenza della intempestività della riserva, vale sostenere come fa la ricorrente -che la preclusione · della pretesa correlata ai maggiori oneri imprevisti possa trovare applicazione soltanto in ordine ai fatti da contabilizzare e non anche nei confronti dei casi non espressamente contemplati, in quanto sono sufficienti a controbattere tale tesi il rilievo che, nel caso di specie, i maggiori oneri derivanti dall'incorporazione delle armature metalliche nel calcestruzzo erano specifica. mente considerati nelle clausole nn. 12 e 13 dell'accordo del 2 dicembre 1955 e la considerazione che i lavori di rivestimento effettuati con l'in corporazione delle centine nel calcestruzzo dovevano contabilizzarsi in base allo stato di avanzamento (attraverso il normale procedimento di accertamento e di registrazione nei documenti contabili dei fatti gene ratori delle spese occorrenti per l'esecuzione dell'opera pubblica) man mano che venivano realizzati. L'unico motivo è, .quindi, da disattendere. -(Omissis). 794 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 19 febbraio 1979, n. 6 -Pres. Giannattasio -Rel. Gessa -Fondazione Conte Casimiro Avogadro di Quinto (avv. Malinverni e Montesano) c. Ministero delle finanze (avv. Stato) e Associazione di irrigazione Ovest Sesia (avv. Menghini e Ferroglio). Acque pubbliche ed elettricità -Giudizio e procedimento • Tribunale superiore -Giurisdizione di legittimità -Ricorso • Ammissibilità Condizioni -Definitività dell'atto impugnato -Necessità. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143; l. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 5 e 20). Acque pubbliche ed elettricità -Canali demaniali -Amministrazione generale dei canali demaniali di irrigazione (canali Cavour) -Organo del Ministero delle finanze -Suoi atti -Definitività -Esclusione. (r.d. 29 marzo 1906, n. 121; r.d. 3 maggio 1937, n. 899, artt. 2, 3 e 5). La definitività del provvedimento impugnato costituisce condizione di ammissibilità del ricorso al tribunale superiore delle acque pubbliche, secondo il disposto dell'art. 143 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, non modificato dall'art. 20 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 sulla istituzione dei T.A.R. (1). L'amministrazione generale dei canali Cavour è organo del Ministero delle finanze ed i suoi, atti sono sprovvisti del carattere della definitività (2). (Omissis). -È preliminare e fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, dedotta dalle parti resistenti, sotto il profilo della carenza del requisito di definitività degli atti impugnati. E invero, l'art. 143 del t.u. approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, stabilisce che appartengono alla cognizione diretta di questo Tribunale Superiore i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi emessi dal( l) Alla stessa conclusione era giunta in precedenza la giurisprudenza del Consiglio di Stato a proposito della giudsdizione in unico grado ad esaurimento di cui all'art. 38 della legge n. 1034/1971, argomentando tra l'altro dal mantenimento dell'unico grado, dato questo che non ha subìto modifiche nella giurdsdizione amministrativa in materia di acque pubbliche (cfr. Cons. St., Sez. V, 13 novembre 1973, n. 833, in Rass. Cons. Stato, 1973, l, 1647). (2) Non constano precedenti in termini. Sulla amministrazione dei canali demaniali, cfr. PERNIGOTTI, Canali demaniali, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, V, pag. 1032 ss. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 795 l'amministrazione in materia di acque pubbliche. Tale disposizione, che incardina la speciale giurisdizione di legittimità del tribunale medesimo, costituisce una deroga alla giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali. Il fatto che l'apposita legge istitutiva di questi ultimi (legge 6 dicembre 1971, n. 1034) non richieda più -così come era, invece, previsto per ìl ricorso giurisdizio ~ naie al Consiglio di Stato -che il provvedimento impugnato sia definitivo, non innova anche neHa apposita ed autonoma disciplina delle giurisdizioni speciali. Infatti, la regola introdotta dal legislatore del 1971 trova bensì applicazione generale, ma nell'ambito della sua propria previsione, cioè nel sistema della giurisdizione amministrativa cosiddetta ordinaria (attualmente costituita dai T.A.R., dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana e dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale) e non anche nei sistemi delle giurisdizioni speciali, aventi organi ,propri e competenza circoscritta a materie tassativamente indicate dalla legge, relative a controversie identificabili dal loro oggetto. In particola!"e, poi, è proprio la legge ist.itutiva dei T.A.R. (art. 5, u.c.) a far salva, fra l'altro, la giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate dagli artt. 140-144 del t.u. n. 1775 del 1933, ponendo, così, un limite certo al proprio ambito innovativo di applicazione alle sue regole sostanziali e procedurali. Ciò premesso, il Collegio osserva che, in costanza di applicazione dell'art. 143 del t.u. citato, gli atti concretamente impugnati con il ricorso in esame non sono definitivi. Risulta, infatti, che gli stessi sono stati emanati dall'amministrazione generale dei Canali Cavour (avente sede a Torino), la quale, come dagli atti medesimi, prodotti in giudizio, si evince, appare piuttosto come un ufficio complesso, incardinàto strutturalmente nel Ministero delle Finanze, che come un soggetto autonomo di poteri. È, invero, già il regolamento per l'amministrazione dei Canali Cavour, approvato con r.d. 29 marzo 1906, n. 121, nel mentre affida la loro gestione economica ad una amministrazione apposita, la pone, nel medesimo tempo, sotto la diretta dipendenza del Ministero delle Finanze (art. 1). La fonte in oggetto deferisce all'Amministratore generale una competenza (tecnica, amministrativa e contabile) propria, ma subordinata a quella ministeriale come ben si deduce dal suo intiero contesto normativa. Ma anche dagli atti concretamente emanati risulta ancora, conformemente alla ricordata disciplina, che, da un lato, la stessa intestazione dell'ufficio si subordina a quella dell'indicato dicastero, e, dall'altro, che la fonte regolamentare, subentrata a modificare e integrare la materia, in relazione alla più recente disciplina giuridica delle acque, e cioè il 796 RASSEGNA DELL'AVVOCi\TURA DELLO STATO r.d. 3 maggio 1937, n. 899, definisce l'amministrazione generale come ufficio preposto ad un servizio di cui risponde al Ministero, promuovendone anche, per le concessioni speciali e per quelle pluriennali, le de· terminazioni competenti (artt. 3 e 5). Inoltre, sempre dal testo degli atti impugnati, la qualifica del suo amministratore generale risulta essere quelÌa di un dirigente superiore, cioè, di un funzionario inserito nella gerarchia -del personale ministeriale, al cui ordinamento la qualifica suddetta, appunto, si riferisce e riporta senza alcun dubbio. Dagli elementi esposti deriva, così, l'impossibilità di qualificare gli atti dell'amministrazione in questione come definitivi, cioè dotati del requisito della impugnabilità richiesto in sede di _ giur,isdizione speciale. Tali atti non sembrano affatto rflettere l'ultima (definitiva) istanza di manifestazione della volontà dell'apparato ministeriale competente a definire i rapporti con i soggetti interessati, specie alla _luce delle indicate norme regolamentari. Onde appare necessario che gli atti medesimi siano portati nella sede di definitiva determinazione amministrativa, prima di poter essere impugnati e censurati in via giurisdizionale. Peraltro, nella fattispecie, le rigorose conseguenze per la parte ricorrente, derivanti dall'avvenuta scadenza del termine per adire l'autorità gerarchica superiore, possono trovare rimedio nella scusabilità dell'errore in cui la stessa è incorsa. Questo errore appare verosimilmente determinato dalla ragione oggettiva che la fonte regolamentare per ultimo citata (art. 3 del r.d. n. 899 del 1937) attribuisce all'amministrazione generale dei Canali Cavour «l'alta direzione del servizio in tutti i suoi rami»,_ il che 'può aver fatto ragionevolmente dubitare della sua effettiva dipendenza nei confronti del Ministero, come pure il fatto della sua legittimazione a stare in giudizio « nei giudizi sì civili che contravvenzionali » (art. 8 del r.d. n. 121) del 1906, cit.). Date le circostanze in questione, e l'inesistenza di precedenti specifici -al riguardo, la scusabilità dell'errore può, dunque, essere riconosciuta dal Collegio, stante anche la difficoltà d'interpretazione dell'effettivo ambito di applicazione della nuova regola procedurale, dianzi esaminata, introdotta dalla ricoJ;"data legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con il riconoscimento dell'errore scusabile e con la conseguente fissazione del termine di 90 giorni dalla pubblicazione della sentenza per la presentazione del gravame gerarchico avverso gli atti erroneamente impugnati in questa sede giurisdizionale. -(Omissis). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 797 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 29 marzo 1979, n. 11 -Pres. Tamburrino -Rel. Granata -Comune di Cassinelle (avv. Armella) c. Cavanna (avv. Pacifici) e Amministrazione dei lavori pubblici (Avv. Gen. Stato). Acque pubbliche ed elettricità -Giudizio e procedimento -Appello -Termine -Decorrenza. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 183, comma quarto, e 189, comma quinto; cod. proc. civ., art. 326). Il termine di trenta giorni (fissato per la propostztone dell'appello avverso le sentenze dei tribunali regionali delle acque pubbliche dall'art. 189 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775) decorre dalla notificazione della sentenza a una delle parti quando questa preceda la notifica del dispositivo a cura del cancelliere (1). (l) Nello >Stesso senso, cfr. Trib. ,sup. acque, 31 ottobre 1970, n. 42, in Temi, 1971, 493, con nota di SALOTTI, Termine per appellare al Tribunale superiore delle acque pubbliche e rinvii alle norme del codice di procedura civile; Trib. sup. acque, 13 febbraio 1971, n. 2, in Cons. Stato, 1971, II, 175. In tema di decorrenza del termine per l'appello, cfr., altresì, Trib. sup. acque, 1 aprHe 1976, n. 7, in questa Rassegna, 1976, I, 823. SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE I CORTE D'ASSISE DI ROMA, 14 luglio 1978 -Pres. Giuffrida -Est. Abbate -P. M. Vitalone (diff.) -proc. pen. contro Orlandini Remo ed altri -·Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, parti civili (avv. Stato Di Tarsia). Reato -Cospirazione politica -Momento consumativo · Accordo per commettere alcuno dei delitti previsti dall'art. 302 c.p. · Inefficienza. (art. 302 c.p.). Reato -Insurrezione armata -Reato di pericolo -Non coincide con il tentativo di reato. (artt. 56 e 305 c.p:). Il reato di cospirazione politica si perfeziona nel momento in cui i congiurati concordano, in modo serio e impegnativo di svolgere l'attività indispensabile per conseguire il risultato, costituente uno dei reati citati ~ell'drt. 302, mentre non si può avere riguardo al fine particolare insito nell'attività praticamente condotta a termine dai consociati (1). Il reato di insurrezione armata è reato di pericolo per il quale l'esigenza della repressione si dispiega in modo precipuo sicché, mentre per i reati or4inari la tutela del bene giuridico è soddisfatta con la normativa istitutrice della figura del tentativo (art. 56 c.p,), nella specie è imprescindibile la necessità di comminare senza indugi una sanzione al primo estrinsecarsi di atti intesi al fine criminoso (2). (Omissis). -Orbene, i fatti accertati, esaminati nella loro armonica coordinazione, evidenziano caratteristiche che integrano, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, il delitto di cospirazione politica mediante associazione p. e p. dell'art. 305 c.p. Tale figura non è peculiare all'ordinamento penale italiano, in quanto esiste in tutte le legislazioni dei paesi civili del mondo e non è stata (l) L'affermazione della Corte d'assise di Roma in tema di cospirazione politica è esatta e conforme alla giurisprudenza che ·SI è venuta formàndo nel corso dell'ultimo decennio in materia di reati contro la personalità dello Stato, giurisprudenza che ha accolto pienamente la tesi sostenuta dall'Avvocatura (v. I giudizi di costituzionalità e il contenzioso dello Stato, 1961-1965, vol. III, p. 619). (2) Anche questa massima è conforme alle affermazioni giurisprudenziali della Suprema Corte in tema di delitti di attentato. Di fronte a questi reati PARIE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 799 introdotta con il codice penale del 1930, essendo già in vigore nella antecedente normativa del 1889, ispirata a princìpi di democrazia. Collocata nel sistema dei delitti contro la personalità dello Stato, la disposizione in questione, intendendo salvaguardare valori eccezionali, chiarisce che il reato si perfeziona allorché tre o più persone si associano al fine di commettere anche uno solo dei delitti indicati nell'articolo 302 c.p. e cioè uno dei delitti non colposi di cui ai capi primo e secondo del titolo primò del libro secondo. La natura politica degli episodi criminosi considerati attribuisce connotati di specialità aggravatrice a forme di comune criminalità o rende imputabili azioni normalmente non soggette a sanzioni. Per la cospirazione però non bastano un generico concerto, un evanescente ed embrionale consorzio, una preparazione meramen~e teorica e neppure un semplice accordo. Occorre un'associazione che abbia una programmazione efficace, in grado di propiziare vicissitudini aleatorie per le istituzioni, al cui abbattimento essa tende e una base -anche rudimentale.- di una consistenza tale da far sorgere il fondato pericolo di una imprevista e deprecabile eversione. Giusta la giurisprudenza della Corte di cassazione (sez. un. 14-18 marzo 1970, Kofler e altri, in Riv. pen., 1970, II, 974), l'estremo della colpevole ricorrenza del fine di compiere alcuno dei delitti dell'art. 302 c.p. si deve ritenere concretato appena che i congiurati abbiano concordato, naturalmente in modo serio ed impegnativo, di svolgere quell'attività indispensabile per conseguire il risultato costituente uno dei reati citati nell'articolo suddetto, indipendentemente dalla puntuale preordinazione dei modi e dei mezzi operativi. In ultima analisi, non si può avere riguardo al fine particolare insito nell'attività praticamente condotta a termine dai consociati, ma a ciò che costoro possono avere in generale concepito di perpetrare: se è chiarissima la distinzione fra reato di attentato e tentativo di reato in rife· rimento al diverso contenuto dell'idoneita dell'atto (v. oltre alla sentenza citata in motivazione, Cass., 27 maggio 1969, n. 1569, ric. Muther Franz ed altri, in questa Rassegna, 1970, I, p. 167; v. DI TARSIA, Ancora in tema di attentato all'integrità territoriale dello Stato, ivi, 1971, l, p. 201, in commento a Sezioni Unite, 18 marzo 1970, n. l, rk. Kofler; v. anche: I giudizi di costituzionalità e il contenzioso dello Stato, 1961-1965, vol. III, p. 514; 1966-1970, vol. III, p. 719). La Corte d'assise tuttavia, dopo la chiarissima affermazione iniziale, sembr'a essersi persa · nella riiCerca di un criterio distintivo fra << l'idoneità » neJ. reato tentato e « L'1doneità » nel reato di insurrezione a1:1mata, giungendo a que1 confronto già criticato in dottrina (v. Riv. It. dir. pen., 1958, 140, a proposito della Sentenza Cass., sez. un., 19 giugno 1957, rk. Tolifanin ed a1tri), rra probabilità e possibilità deWevento che allontana 1'inte!1prete daUa soluzione della questione. Così pure è impredso e contraddittorio sostenere prima che la tutela del bene giuridico non è soddisfatta, nei reati di attentato dalla normativa isti· 800 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non fosse così si cadrebbe nell'assurdo di garantire immunità a capi e partecipanti di un'associazione scoperta nel momento di complottare ovvero allestire atti terroristici, soltanto perché non vi è la certezza che i fatti divisati sarebbero stati idonei a rappresentare un attentato alla incolumità dell'apparato statuale. Sulla scorta delle pregresse motivazioni, non v'è dubbio che il « Fronte Nazionale» fu fondato e organizzato per arrivare ad un sovvertimento radicale dei poteri pubblici mediante strumenti rivoluzionari. In sintesi, il progetto politico-militare sbandierato in varie sedi; la formazione di quadri palesi e. Clandestini a livello centrale e periferico; la ricerca di complicità, di mezzi economici ed esecutivi; la utilizzazone di metodi di propaganda e comunicazione di notizie ed istruzioni; l'assidua e penetrante campagna di proselitismo in diversi ambienti sociali con false prospettazioni ideologiche, quale .l'urgenza di tenersi pronti in armi ad opporsi all'incombente insidia comunista; -l'elaborazione di piani insurrezionali; tutto questo· dimostra, senza tema di smentite, che Iunio Va-· lerio Borghese e i suoi seguaci dettero vita ad un movimento politico cospirativo, esteso a tutti gli imputati che sono stati dichiarati colpevoli. È da notare che molte persone aderirono perché illuse e confuse da un'ingannevole pubblicità, non avendo avuto la perspicacia e la opportunità di vagliare criticamente aspetti salienti delle opzioni del sodalizio. Nei loro confronti non sono state avanzate istanze punitive nella presunzione che la iscrizione, il gesto isolato e sporadico, il sostegno << esterno », la convergenza spirituale di per: sé rivelano, piuttosto che un permanente legame, un atteggiamento psicologico non incidente sulla << condizione» processuale degli interessati. Tra i fautori della trama, invece, anche se sono rimasti occulti o non colpiti da prove i << sostenitori » del Borghese, gerarchi e parecchi tutrice del tentativo (e ciò è esatto) che H concetto di idoneità è per sua natura relativo (altrettanto esatto) per poi concludere che, perché il reato sussista, è sufficiente che sia posta in essere una condotta che si ricolleghi ad una iniziativa non inidonea. Sfugge dnfatti al lettore la diffe:çem.a fra << idoneo » e «non inidoneo » e sembra quasi che l'estensore della motivazione, pentito della· pr1ma affermazione, si sia affrettato a svuotarla di contenuto. In realtà la decisione rkalca le stesse esitazioni che si emno rilevate commentando a suo tempo la sentenza delle •Sezioni u:itite 18 marzo 1970, n. l, ric. KoHer (in questa Rassegna, loc. cit.): stabilita una differenza fra attentato e tentativo, nessun'altra chiara conclusione è possibile se non quella di sostenere che nel primo si puniscono anche atti meno idonei di quelli che costituiscono il tentativo. Un criterio << quantitativo » cioè e non << qualitativo », ma che ha il ,pregio non solo del conforto deW.art. 3-11 c.p. ma anche quello di sfuggire al pericolo di 1dentificare idoneità con t1pi:cità, come già si era rilevato (op. loc. cit.). P.D.T. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE gregari, vanno ;icompresi quanti fornirono apporti tangibili alla stesura del disegno reazionario e, di poi, alla attuazione del medesimo. Nel contesto, non è difficile enucleare la nozione di « promotore », la cui esatta qualifica si evince dal significato proprio della parola. << Organizzatore >> è chi si arroga il compito di predisporre e coordinare in modo sistematico e funzionale lo svolgimento di un fatto collettivo, fondendo insieme tutti i fattori per uno scopo ed tm'azione definita e provvedendo ai bisogni dell'associazione. <<Dirigente» è colui che ha mansioni di guida nell'ambito di taluni settori territoriali o strutturali ed è investito di facoltà decisionali, sia pur nella sfera dei dettami degli organi superiori. A tali categorie, menzionate nella rubrica, si aggiunge quella del <<partecipante». Partecipare vuol dire esercitare un ruolo attivo in una impresa di ordine comune, concorrere coscientemente al perseguimento delle finalità sociali: il contributo del singolo, in sostanza, s'inserisce in maniera stabile nel gruppo collaborando alla stessa meta. Fatte queste precisazioni che consentiranno di capire meglio la parte . di ciascun prevenuto ed esclusa l'aggravante di cui all'art. 78 c.p.m.p., non essendosi ravvisate responsabilità a carico di Capanna Enzo o di militari in servizio, un rapido cenno merita il problema della sussistenza del delitto ex art. 284 c.p. La legge prevede due titoli dì reato: il promuovere l'insurrezione, aggravato <<se l'insurrezione avviene» e la partecipazione all'insurrezione armata, aggravata per colui che ne assume la direzione. Al di là di disquisizioni tecniche ultronee, è da osservare che per << insurrezione » si intende un moto collettivo unanime, anche se disordinato ed improvviso, ostile, . violento, non assolutamente duraturo e progressivo, con l'intervento di un numero tale di persone da rendere possibile l'evento e con la disponibilità di un'adeguata quantità di armi. Trattasi di reato di pericolo per il quale l'esigenza della repressione si dispiega in modo precipuo. Mentre per i reati ordinari la tutela del bene giuridico è soddisfatta con la normativa istitutrice della figura del tentativo (art. 56 c.p.), nella specie è imprescindibile la necessità di comminare senza indugi una sanzione al primo estrinsecarsi di atti intesi al fine criminoso, perché l'esito temuto può realizzarsi per mero caso, anche se gli agenti nbn vogliono o non possano continuare nell'azione intrapresa. La difesa dello Stato dagli attacchi, ancorché incipienti, contro la sua << integrità », non implica che si debba omettere di valutare il requisito che appunto serve a fissare la linea a co~inciare dalla quale si deduce logicamente che il comportamento degli operatori mette a repentaglio la sicurezza dello Stato. 802 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il requisito è ricavabile dall'art. 49 c.p., che richiede « per la punibilità » un'azione idonea a causare l'effetto che il legislatore, di volta in volta, si prefige di scongiurare. Tuttavia il concett~ di « idoneità » è per sua natura relativo, variabile caso per caso in rapporto al mezzo usato, all'oggetto contro cui è rivolto e alle circostanze che hanno accompagnato e caratterizzato l'agire del soggetto. La tipicità del delitto in esame, l'impegno di evitare, prima che sorga, una situazione di pericolo capace di provocare la lesione dell'interesse protetto, obbliga l'interprete a ritenere « idoneo » un episodio se esso poteva ottenere il risultato vagheggiato anche con il concorso di altri elementi autonomi od occasionali. Simile giudizio non deve essere formulato con riguardo alla « probabilità » che si verifichino le conseguenze deleterie denunciate, essendo sufficiente che si sia posta in essere una condotta che si ricolleghi ad una iniziativa non idonea, che, cioè, per la sua entità, la sua sintomaticità, non sia priva di maturazione, sconnessa dal programma, sviata, velleitaria o inutile. Orbene, senza ripetere qui cose già dette, la manifestazione sediziosa organizzata nella notte del 7-8 dicembre 1970 non presentava proprietà così marcata da lasciar intravedere rischi immediati per la personalità dello Stato democratico. Contestata le veridicità di avvenimenti clamorosi ricostruiti a distanza di molti anni, dopo una serie di indagini espletate dai Servizi di Sicurezza, eliminati i sospetti di appoggi di ufficiali e reparti delle Forze Armate, non può non concludersi che comunque l'adunata non aveva margini di successo ed era obiettivamente << inidonea >> a concretare gli inconvenienti condannati dall'art.. 284 c.p. -(Omissis). PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice civile, artt. 595 e 599, nella parte in cui richiama il predetto art. 593. Sentenza 20 dicembre 1979, n. 153, G.U. 29 dicembre 1979, n. 353. Codice penale, art. 136. Sentenza 21 novembre 1979, ri.. 131, G.U. 28 novembre 1979, n. 325. codice di procedura penale, art. 586, quart·o comma. Sentenza 21 novembre 1979; n. 131, G.U. 28 novembre 1979, n. 325. d. luogot. 1° magg·io 1916, n. 497, art. 9, primo comma, in quanto non consente, nei confronti dei minori e dei dementi, la sospensione del termine per l'accertamento della dipendenza delle infermità o lesioni da causa di servizio, << finché duri la (loro) incapacità di agire. Sentenza 14 dicembre 1979, n. 149, G.U. 19 dicembre 1979, n. 345. d.l.l. 18 gennaio -1945, n. 39, art. 3, lettera a) nella parte in cui prevede la perdita della pensione di reversibilità alle figlie quando contraggono matrimonio. Sentenza 6 dicembre 1979, n. 140, G.U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, second·o comma, in quanto non consente la deroga a1 requisito che il matrimonio contratto dal pensionato sia durato almeno due anni, introdotta dall'art. 32 della legge 22 novembre 1975, n. 168, <<per i matrimoni celebrati successivamente alla sentenza di scioglimento del precedente matrimonio di una dei due coniugi pronunciata a norma della legge lo dicembre 1970, n. 898, ma non oltre il 31 dicembre 1975 », Sentenza 6 dicembre 1979, n. 139, G.U. 12 dicembre 1979, n. 338. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 14, nella parte in cui le disposizioni · concernenti il cal'Colo dell'incremento di valbre imponibile netto determinano -in relazione al periodo di formazione dell'incremento stesso -, ingiustificate disparità di trattamento tra i soggetti passivi del tributo. Sentenza 8 novembre 1979, n. 126, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. d.P.R. 29 d.icembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma, .in quanto non consente la deroga al requisito che il matrimonio contratto dal pensionato sia durato almeno due anni, introdotta dall'art. 32 della legge 22 novembre 1975, n. 168, <<per i matrimoni celebrati successivamente alle sentenze di scioglimento del precedente matrimonio di uno dei due coniugi pronunciata a norrha della legge Io dicembre 1970, n. 898, ma non oltre il 31 dicembre 1975 ». Sentenza 6 dicembre 1979, n. 139, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. d.P.R. 26 dicembre 1973, n. 1092, art. 169, in quanto non consente, nei conforti dei minori e dei dementi, la sospensione del termine per l'accertamento della dipendenza delle infermità o lesioni da causa di servizio, << finché duri la (loro) incapacità di agire». Sentenza 14 dicembre 1979, n. 149, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8, nella parte in cui le disposizioni concernenti n calcolo dell'incremento di valore imponibile netto determinato in relazione al periodo di formazione dell'incremento stesso, ingiustificate disparità di trattamento tra i soggetti passivi del Tributo. Sentenza 8 novembre 1979, n. 126, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice penale, art. 598, comma primo (artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione). Sentenza 14 novembre 1979, n. 128, G.U. 21 novembre 1979, n. 318. codice d.i procedura penale, artt. 378, comma primo, .parte ultima e 381, come secondo, parte ultima (artt. 25, comma primo, 3, comma primo e 24, comma secondo, della Costituzione). Sentenza 14 novembre 1979, n. 127, G. U. 21 novembre 1979, n. 318. legge 8 marzo 196·8, n. 152, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1979, n. 138, G.U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 15 ottobre 1969, n. 746 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1979, n. 138, G.U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 5 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 21 novembre 1979, n. 132, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 2, 4, 6, 7, 15 e 16 (artt. 3, 42, 47 e 53 della Costituzione). Sentenza 8 novembre 1979, n. 126, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. legge reg. Piemonte 13 agosto 1973, n. 21, art. 2 (artt. 23, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 14 dicembre 1979, n. 148, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. d.l. 1o ottobre 1973, n. 580, art. 12, terzo comma [conv. in legge 30 no· vembre 1973, n. 7661 (artt. 3, 33 e 36 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1979, n. 141, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge reg. Lombardia 2 dicembre 1973, n. 56, artt. 2 e 4 (artt. 23, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 14 dicembre 1979, n. 148, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge reg. Veneto 8 settembre 1974, n. 48, art. 1 (artt. 23, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 14 dicembre 1979, n. 148, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge reg. Emilia-Romagna 13 luglio 1977, n. 34, art. 16 (artt. 23, 1F e 119 della Costituzione). Sentenza 14 dicembre 1979, n. 148, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. PARTE II, LEGISLAZIONE 161 III -QUESTIONI PROPOSTE Codic'e civile, art. 250, commi terzo e ,quarto (artt. 3 e 30 ·della Costituzione). Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna di Bologna, ordinanza 7 maggio 1979, n. 700, G. V. 12 ·dicembre 1979, n. 338. codice civile, artt. 296 e 3H (artt. 2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo e 31, comma secondo, della Costituzioni::). Corté d'appello di Torino -sezione speCiale per i minorenni, ordinanza 20 luglio ~979, n. 828, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. codice civile, art. 311 (artt. 2, 3, commi primo e secondo, 25 comma primo, 30, comma secondo, e 31, comma secondo dellà Costituzi.one). Corte d'appello di Torino -sezione speciale per i minorenni, ordinanza 20 luglio 1979, n. 828, G.U. 28 novembre 1979, n. 325. codi·ce civile, art. 312, n. 3 (artt. 2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo, e 31, comma secondo, della. Costituzione). Corte d'appello di 'forino -sezione speciale per minorenni, ordinanza 20 luglio 1979, n. 828, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. codice civile, art. 314/17, (artt. 2, 3, commi primo e secondo, 30, comma secondo, e 31, comma secondo, della Costituzione).· Corte d'appello di Torino -sezione speciale per i minorenni( ordinanza 20 luglio 1979, n. 828, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. codice civile, artt. 2096 e 2109 (artt. 2 e 3, ultimo comma, deHa Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 25 maggio 1979', n. 655, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. codice civile, artt. 2096 e 2120, (13 'e 36 della Costituzione). • Pretore di Genova, ordinanza 25 maggio 1979, n. 655, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. codii:e penale, art. 15·9 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza 25 giugno 1979, n. 698, G. V. 29 dicembre 1979, n. 353. codice penale, art. 570 (artt. 3, 27, 29, 31, 70 e 101 della Costituzione). Pretore di Nàrdò, ordinanza 28 giugno 1979, n. 772, G. V. 19 dicembre 1979, numero 345. codice di procedura penale, artt. 125, C:omma primo, e 128, comma primo, (artt. 24, comma secondo, e 21, comma primo, della Costituzione). Corte d'assiste di Torino, ordinanza 24 aprile 1979, n. 783, G.. 19 dicembre 1979 n. 345. 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, art. 522, ultimo comma, (art. 24 della Co· stituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza lo giugno 1979, n. 664, G.U. 5 dicembre 1979, n. 332. codice penale militare di pace, art. 37, primo comma, (art. 103, terzo comma, della Costituzione). Tribunale militare Territoriale di Padova, ordinanza 3 maggio 1979, n. 617, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. codice penale mHitare di pace, art. 263, (artt. 25, primo comma, e 103, terzo còmma, della Costituzione). Tribunale militare Territoriale di Padova, ordinanza 3 maggio 1979, n. 617, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, Titolo Il, capo IV, artt. 49 e '72 (artt. 3, 28, 97, 53 e 23 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 7 giugno 1979, n. 654, G.U. 28 novembre 1979, n. 325. r.d. 23 maggio 1924, n. 327, Titolo VII, capo l, art. 270 (artt. 3, 28, 97, 53 e 23 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 7 giugno 1979, n. 654, G. U. 28 novembre 1979,. n. 325. r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 62 (artt. 3, primo comma, e 98 della Costituzione). Pretore di Mirandola, ordinanza 31 luglio 1979, n. 717, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. · legge 27 maggio 1929, n. 81 O, art. 1 Concordato fra la Santa Sede e lo Stato italiano, commi quarto, quinto e sesto (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 101, 102 della Costituzione). · Corte d'Appello di Milano ordinanze (due) 23 marzo e 27 aprile 1979, nn. 625 e 626, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. legge 24 lùglio '1930, n. 1278, art. 5 (artt. 21 e 35 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 10 maggio 1979, n. ·610, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanze (due) 20 e 9 luglio 1979, nn. 671 e 672, G. U. 5 dicembre 1979, n. 332. r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 276, primo e terzo comma (art. 53 della Costituzione). Corte d'Appello di Bologna, ordinanza 19 gennaio 1979, n. 632, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. PARTE II, LEGISLAZIONE 163 r.d.l. 20 lugli·o 1934, n. 1404, art. 8 [mod. da legge 25 luglio 1956, n. 88·8] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Roma, ordinanze (due) 28 novembre e 12 dicembre 1978, nn. 622/1979, G. V. 7 novembre 1979, n. 304. d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 32, comma primo, lettera d} (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 22 novembre 1978, n. 694j1979, G. V. 12 dicembre 1979, n. 338. r.d.J. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato sezione VI giurisdizionale, ordinanza 16 febbraio 1979, n. 757, G. V. 29 dicembre 1979, n. 353. d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39, art. 3, lettera a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mantova, ordinanza 22 maggio 1979, n. 658, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. d.l. 6 settembre 1946, n. 89, art. 1 (artt. 3, comma primo, 42, comma secondo, 44 e 113, comma secondo, della Costituzione). Consiglio di Stato sezione IV giurisdizionale, ordinanza 18 aprile 1978, n. 676/1979, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. legge 31 gennaio 1949, n. 21, artt. 1 e 2 (art. 3 delia Costituzione) . . Pretore di Bologna, ordinanza 15 maggio 1979, n. 764, G. V. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 18 aprile 1950, n. 199, artt. 1, commi primo e secondo, e 2, commi primo e secondo (artt. 3, comma primo, 42, comma: secondo, 44 e 113, comma secondo, della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 18 aprile 1978, n. 676/· 1979, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. legge 2 agosto 1952, n. 1221, art. 4 (artt. 41, commi secondo e terzo, e 97, comma primo, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 febbraio 1979, n. 695, G.. V. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 11 marzo 1953, n. 87, artt. 23 e 30 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lucera, ordinanza 18 giugno 1979, n. 663, G. V. 5 dìcembre 1979, n. 332. legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 2 (art. 16 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 1o ottobre 1979, n. 926, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. d.P.R. 18 luglio 1957, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 15 maggio 1979, n. 764, G. V. 29 dicembre 1979, n. 353. 164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 29 ultim·o capoverso, (art. 3 deHa Co· stituzione). Commissione tributaria di }o grado di I~ernia, ordinanza 8 maggio 1979, n. 609, G. V. 13 nov~mbre 1979, n. 310. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, comma quindicesimo [modif. dà legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 21 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lauzo Torinese, ordinanza 17 maggi.o 1979, n. 680, G. V. 5 dicem·. · bre 1979, n. 332; d.P.R. 15 giu9no 1959, n. 393, art. 121 [mod. da legge 5 maggio 1976, n. 3131 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rho, ordinanza 10 maggio 1979, n. 668, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. Pretore di Codogno, ordinanza }o giugno 1979, n. 686; G. V. 5 dicembre 1979, Ìl. 332. Preto"re di Monfalcone, ordinanze (tre) 7 giugno 1979, nn. 682, 683 e 684, G. V. 12 dicembre 1979, n. 338. · Pretore di Olbia, ordinanze (tre) 8 giugno 1979, nn. 761, 762 e 763, G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. Tribunale di Arezzo, ordi.nanza 23 aprile 1979, n. 702, G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [mod. da legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 51 (art. 27, primo e terzo comma, deHa Costituzione). Pretore di Pisa, OI'dinanza 16 luglio 1979, n. 681, G. V. 12 dicembre 1979, n. 338. . d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, comma terzo, quarta ipotesi [mod. da legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 51 (art. 3 della .Costituzione). · Pretore di Arezzo, ordinanza 28 maggio 1979, n. 618, G. V. 13 novembre 1979, n. 310. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, c·ommi terzo e quarto (artt. 3 e 102 della Costituzione). Pretore di Empoli, or.dinanza 26 giugno 1979, n. 659, G. V. 28 novembre 1979, 1). 325. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera A) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lanciano, ordinanza 19 luglio 1979, n. 648, G. V. 21 novem' bre 1979, n. 318. Pretore di Latina, ordinanza 29 giugno 1979, n. 759, G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera a) (artt. 3 e 38, comma secondo, della Costituzione).· Pretore di Pisa, ordinanza 15 febbraio 1979, n. 688, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. Pretore di Brescia, ordinanza 30 maggio 1979, n. 703, G. V. 12 dicembre 1979, n. 338. PARTE II, LEGISLAZIONE 16f Pretore di Vercelli, ordinanza 30 maggio 1979, n. 624, G. V. 13 novembre 1979, n. 310. Pretore di Trieste ordinanza 6 luglio 1979, n. 645, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. legge 1<2 ~gosto 1962, n. 1338, art. 5 (artt. 3, 36 e 38 de11a Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 4 giugno 1979, n. 641, G.U. 21 novembre 1979, n. 318. legge 25 febbraio 1963, n. 289, art. 2'1 (artL 3 e 38, secondo comma, de11a Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 28 maggio 1979, n. 666, G. U. 5 dicembre 1979, -n. 332. d.P.R. 30 giugn,o 1965, n. 11124, art. 3 (artt. 3 e 38, secondo comma, de11a Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 28 giugno 1979, n. 687, G. U. 5 dicembre 1979, n. 332. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, comma secondo (art. 24 deila .Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 22 gennaio 1979, n. 662, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 (art. 24 delia Costituzione). Pretore di Savona, ordinanza 19 giugno 1979, n. 644, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. legge 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trento, ol'dinanza 26 giugno 1979, n. 728, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, (artt. 3 e 38 de11a Costituzione) . . Pretore di Pistoia, ordinanza 25. giugno 1979, n. 679, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, art. 4 (artt. 76 e 77 de11a Costituzione). Pretore di Cairo Montenotte, ordinanza 18 luglio 1978, n. 699/1979, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge S giugno 1966, n. 424~ art. 1 (art. 3 de11a Costituzione). Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 22 novembre 19ì8, n. 694j1979, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. · legge 5 giugno 1967, ·n. 431, art. 3 (artt. 2, 3, commi primo e secondo, 25, comma primo, 30, comma secondo, e 31, comma secondo, de11a Costituzione). Corte d'appe11o di Torino sezione speciale per i minorenni, ordinanza 20 lu· glio 1979, n. 828, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. 166• RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P,R. 30 giugno 1967, n. 1523; artt. 147, ottavo comma, 145, primo com· ma, e 146, primo comma (artt. 42 e 41 della Costituzione). Tribunale di Caltagirone, ordinanza 23 maggio 1979, n. 649, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sost. da legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. ·1 O e 14] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanze (due) 20 e 9 luglio 1979, nn. 671 e 672, G. U. 5 dicembre 1979, n. 332. d.P.R. 29 gennaio 1968, n. 645, art. 106, primo comma (art. 76 della Costi· tuzione). Corte di Cassazione, ordinanza 8 marzo 1979, n. 693, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 20 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 4 aprile 1979, n. 640, G. U. 21 novembre 1979, n. 318. legge 30 aprile 1969, n. 153, crrt. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Latina, ordinanza 29 giugno 1979, n. 759, G. U. 19 dicembre 197~, n. 345. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69, secondo comma (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 14 dicembre 1978, n. 623/1979, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. legge 24 dicembre 1969, n. 990, crrtt. 1. 7, 32 (art. 3 _della Costituzione). Pretore di Putignano, ordinanze (tre) 18 luglio 1979, n. 692, G. U. 12 dicembre 1979. n. 338. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 22 (art. 41, primo comma, della Costi· tuzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 18 ottobre 1978, n. 643/1979, G. U. 28 no· vembre 1979, n. 325. d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, art. 11 (art. 73, terzo comma, della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 26 gennaio 1979, n. 675, G: U. 5 dicembre 1979, n. 332. legge reg. siciliana 23 marzo 1971, n. 7, nota c) alla tabella N) (artt. 3, 5 e 36 della Costituzione e artt. l e 14 dello Statuto siciliano). Corte dei conti -sezione giurisdizionale per la regoine siciliana -ordinanza 26 aprile 1979, n. 630, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. legge 25 marzo 197'1, n. 213, art. 4 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, o.rdinanze (tre), 22 febbraio 1979, nn. 713, 714 e 715, G.U. 19 dicembre 1979, n. 345. PARTE II, LEGISLAZIONE 167 leg9e 25 luglio 1971, n. 568, art. 2 (artt. 3, primo comma, e 33, quinto com· ma, della Costituzione). Consiglio nazionale forense, ordinanza 29 marzo 1979, n. 707, G. U. 19 di· cembre 1979, n. 345. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3, 5, 36, 52, 53, 8( quarto comma, della Costituzione). Pretore di Bologna ordinanza 12 luglio 1979, n. 704, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 52, primo comma, 53, primo com. ·ma e 81, quarto comma, della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 16 giugno 1978, n. 726;'1979, G. U. 19 dicem· bre 1979, n. 345. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 2, n. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di Io grado di Livorno, ordinanze (tre) 7 marzo 1978, nn. 720, 721 e 722/1979, G. U. 29 dicembre 1979, . 353. legge 29 n·ovembre 1971, n. 1080, art. 1 (artt. 41, commi secondo e terzo, e 97, comma primo, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 febbraio 1979, n. 695, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 17 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trento,· ordinanza 4 luglio 1979, n. 729, ·G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, artt. 14, primo comma, e 9, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 2 maggio 1979, n. 661, G. U. 5 dicernbre 1979, n. 332. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 50 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (tre), 22 feb· braio 1979, nn. 713, 714 e 715, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge reg. Emilia-Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4 (artt. 117, 118, terzo conima, 121, 123 della Costituzione e 25 e 57 dello statuto regionale). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 7 feb· braio 1979, n. 616, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. legge re g. siciliana 26 ottobre 1972, n. 53, artt. 1 e 4 (artt. 3, 5 e 36 della Costituzione e l e 14 dello statuto siciliano). Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione siciliana, ordinanza 26 aprile 1979, n. 630, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO $TATO d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di 2o grado di Mantova 4 novembre 1978, n. 629/[979, G. U. 21 novembre 1979, n. 318. Commissione tributaria di 1o grado di Livorno, ordinanza 30 gennaio 1979, n. 723, G. U~ 29 dicembre 1979, n. 353. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, artt. 1, 28, commi.primo, secondo, quartò~ 51 (artt. 21, primo comma; 53, primo comma, della Costituzione). P-retore di Valdagno, ordinanza 15 febbraio 1979, n. 674, G. U. 5 dicembre 1979 n. 332. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (art. 53, comma primo, della Costituzione). Commissione tributaria di 1o grado di Livorno, ordinanze (ventitrè) 19 dicembre 1978, nn. da 734 a 756/1979, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. d.P.R. 26 ottobre 197>2, n. 643, art. 6 (artt. 3 e 53 dell~ Costituzione). Commissione tributaria di 2° grado di Bolzano, ordinanza 26 gennaio 1979, n. 608, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 [mod. da d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 688] (art. 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di lo grado di Arezzo, ordinanze (tre) 9 febbraio 1979, nn. 636, 637 e 638 G. ·Ù. 21 novembre 1979, n. 318. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (artt. 3 e 53· della Costituzione). Commissione tributaria di 1o grado di Verona, ordinanze (due) 27 gennaio 1979, n. 619 e 620, G. U. 13. novembre 1979, n. 310. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6. e 14 (art. 53 della Cotituzione). Commissione tributaria di 1o grado di_ Rieti, ordinanze (cinque) 12 e 26 gennaio 1979, nn._ 611, 612, 613, 614 e 615, G.U. 7 novembre 11179, n. 304. Commissione tributaria di 1° grado di Rieti ordinanza 12 gennaio 1979, n. 631, G. U. ·13 novembre 1979, n. 310. · d.P.R. 26 o+tobre 1972, n. 643, artt. 6, 14 ·e 15 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di lo grado di S. Maria Capua Vetere, ordinanza 21 giugno 1978, n. 639/1979, G. U. 21 novembre 1979, n. 318. Commissione tributaria di 2o grado di Milano, ordinanza 4 aprile 1979, n. 886, G. U. 28 novembre 1979; n. 325. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 14 e 15 (artt. 53 e 3 della èostituzione). ·Commissione tributaria di 2o grado di Pistoia, ordinanze (sette) 20-27 marzo 1979, nn. da 866 a 872, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11 (artt. 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova; ordinanza 3 maggio 1979, n. 617, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. PARTE II, LEGISLAZIONE 169 legge 12 ·giugno 1973, n. 349, art. 12, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Borgo San Lorenzo, ordinanza 28 maggio 1979, n. 716, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 4, lettera b) (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di Io grado di Livorno, ordinanze (tre) 7 marzo 1978, nn. 720, 721 e 722/1979, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. d.P.R..29 settembre 1973, n. 599, artt. 1, comma secondo, lettera a), e 7, c-ommi primo, secondo e quarto artt. 3 e 35, commi primo, e 53, comma primo, della Costituzione). · Commissione tributaria di 1° grado di Livorno, ordinanze (due) 27 novembre 1978, nn. 724 e 725/1979, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. d.P.R. 29 settèmbre 1973, n. 599, artt. 1 e 7 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Lanciano, ordinanza 8 maggio 1979, n. 733, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 3, 46, 56 ·e 57 (artt. 3 e 53 della Costitt~ zione). Commissione tributaria di Io grado di Livorno, ordinanze (tre) 7 marzo 1978, nn. 720, 721 e 722/1979, G: U.. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 44 (art. 1 della èostituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 19 febbraio 1979, n. 673, G. U. 5 dicembre 1979, n. 332. legge 14 dicembre 1973, n. 8-29, art. 44, terzo comma (artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 25, primo comma, della Costituzione). Pretore di Locri, ordinanza 23 maggi_o 1979, n. 731, G. U. 29 dicembre 1979, rt. 353. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Pieve di Cadore, ordinanza 21 luglio 1979, n. 650, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma, (art. 3 della Costituzione). Corte dei' conti, sezione lV giurisdizionale, ordinanza 17 marzo 1978, n. 706/1979, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge reg. siciliana 1 o cigosto 1974, n. 30, art. 8, nota e) (artt. 3, 5 e 36 della Costituzione). Corte dei conti, sezipne giurisdizionale per la regione siciliana, .ordinanza 26 aprile 1979, n: 630, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. .. l l l 1 l !l RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 12 agosto 1974, n. 35•1, art. 2·bis (art. 3, comma primo, della Costi· tuzione). Tribunale di Milano, ordinanza 17 maggio 1979, n. 709, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 177 della Costituzione). Pretore di Vigevano, ordinanze (due) 5 aprile 1979, nn. 651 e 652, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. legge reg. L·ombardia . 19 agosto 1974, n. 48, artt. 14, primo comma, e 15, terzo comma (art. 117 della Costituzione). Pretore di Vigevano, ordinanza 27 aprile 1979, n. 653, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. legge 1° marzo 1975, n. 44, art. 16 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Domodossola, ordinanza 28 giugno 1979, n. 621, G. U. 13 novembre 1979, n. 310. legge 18 aprile 1975, n. 11 O, art. 2, comma terzo (art. 101 della Costituzione). Tribunale di Pisa, ordinanza 7 marzo 1979, n. 718, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Roma, ordinanze (due) 28 novembre e 12 di~ cembre 1978, n. 622/1979, G. U. 7 novembre 1979, n. 304. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Cuneo, ordinanza 30 maggio 1979, n. 727, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge reg. Lazio 2 dicembre 1975, n. 79, art. 1, primo comma (artt. 3, primo comma, 39, primo e quarto comma, 117, primo comma, della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 14 marzo 1979, n. 696, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Grumello del Monte, ordinanza 14 aprile 1979, n. 646, G.U. 28 novembre 1979, n. 325. Pretore di Rho, Òrdinan:i:a 10 maggio 1979, n. 669, G. U. 28 novembre 1979, n. 325. Pretore di Susa, ordinanza· 24 novembre 1978, n. 787/1979, G. U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge 5 maggio 1976, n. 3'13, art. 5 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Portogruaro, ordinanza 26 giugno 1979, n. 697, G. U. 12 dicem· bre 1979, n. 338. i l i ll PARTE Il, LEGISLAZIONE 171 legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Feltre, ordinanza 26, luglio 1979, n. 685, G. V. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (art. 27 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 10 maggio 1979, n. 667, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. Tribunale di Como, ordinanza 3 ottobre 1979, n. 878, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. legge 1 O maggio 1976, n. 319, art. 25, primo comma (artt. 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione). Pretore di Vigevano, ordinanze (due) 5 aprile 1979, nn. 651 e 652, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. Pretore di Vigevano, ordinanza 27 aprile 1979, n. 653, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. legge reg. Marche 9 agosto 1976, n. 22, art. 1 O (art. 119 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 28 febbraio 1979, n. 670, G. V. 5 di.cembre 1979, n. 332. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di t• grado di Livorno, ordinanze (tre) 7 marzo 1978, nn. 720, 721 e 722/1979, G. V. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 12 novembre 1976, n. 751; art. 1, ultimo c:omma (artt. 2, 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di l" grado di La Spezia, ordinanza 29 maggio 1979, n. 705, G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. legge prov. Trento 3 dicembre 1976, n. 41, art. 27, commi ventisettesimo e trentesimo (artt. da 8 a 15 dello statuto della regione Trentina-Alto Adige). Pretore di Pergine Valsugana, ordinanza 20 agosto 1979, n. 719, G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 13 novembre 1978, n. 635/1979, G. V. 13 novembre 1979, n. 310. Corte d'appello di Bologna, ordinanza 22 settembre 1978; n. 633/1979, G. V. 21 novembre 1979, n. 318. Corte d'appello di Bologna, ordinanza 22 settembre 1978, n. 634/1979, G. V. 21 novembre 1979, n. 318. legge 28 gennaio 1977, n. 1O, art. 14 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appella di Lecce, ordinanza 14 maggio 1979, n. 656, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. Corte d'appello di Lecce, ordinanza 4 maggio 1979, n. 701, G. V. 12 dicembre 1979, n. 338. 172 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 1egge 28 gel!naio 1977, n. 1O, art. 14, commi da settimo a quattordic:esimo (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 16 febbraio 1979, n. 642, G. U. 28 no· vembre 1979, n. 325. d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, art. 1 [conv. in legge 31 marzo 1977-, n. 91l (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Terni, o.rdinanza 25 maggio 1979, n. 758, G.U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge prov. Bolzan-o 23 maggio 1977, n. 13, art. 20 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza l3 luglio 1979, n. 689, G.U. 12 dicembre 1979, n. 3~8. d.l. 17 giugno 1977, n. 326, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Carpi, ordinanza 6 giugno 1979, n. 712, G.U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 8 agosto 1977, n. 51 O (art. 3 della Costituzione). Pretore di Carpi, ordinanza 6 giugno 1979, n. 712, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di l" grado di S. Maria Capua Vetere, ordinanza 21 giugno 1978, n. 639/1979, G.U. 21 novembre 1979, n. 318. legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8 (artt·. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di 2° grado di Bolzano, ordinanza 26 gennaio 1979, n. 608, ·c. U. 7 novembre 1979, n. 304. legge 16 dicembre 1977, n. 904, art._ 8 (art. 53-della Costituzione). Commissione tributaria di lò grado di Arezzo, ordinanze (tre) 9 febbraio 1979, nn. 636, 637 e 638, G.U. 21 novembre 1979, n. 318. l~gge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8, primo comma· (artt. 53 e 3 della Costituzione). Commissione tributaria di. 2" grado di Pistoia, ordinanze (sette) 20-27 marzo 1979, nn. da 866 a 872, G. U. 28 novembre' 1979, n, 325. legge 3 gennaio 1978, n..1. art. 5, penultimo comma (artt. 3, comma primo, 24, comma primo, 97, comma primo, 103, comma primo', e 113, commi primo e secondo deHa Costituzione). Consiglio di Stato sezione IV giurisdizionale, ordinanza 5 giugno 1979, n. 677, G. U. 5 dicembre 1979, n. 332. legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, comma primo, 24, comma primo, 97, comma primo, 100, comma primo, 103, comma -primo e 125 comma secondo della Costituzione). PARTE II, LEGISLAZIONE 173 Consiglio di Stato sezione IV giurisdizionale, ordinanza 5 giugno 1979, n. fJ77, G.U. 5 dicembre 1978, n. 332. Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 20 ottobre 1978, n. 678/1979, G. U. 5 dicembre 1978, n. 332. iegge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 29 e 73 (art. 3 della Costittrzione). Giudice conciliatore di Catania, ordinanza 18 giugno 1979, n. 732, G. U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 56 (artt. 3, 24, 101, 102, 103, 111, 113 della Costituzione). Pretore di Carpi, ordinanza 27 giugno 1979, n. 710r G.U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 59 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Peschiera Borromeo, ordinanza 20 giugno 1979, n. 730, G..U. 29 dicembre 1979, n. 353. legge 27 luglio 1978, n. 392, .art. 59 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Bari, ordinanza 28 marzo 1979, n. 602, G.U. 7 novembre 1979, n. 304. Giudice conciliatore di Ba~i,· ordinanza 28 marzo 1979, n. 601, G.U. 7 novembre 1979, n. 304. Giudice conciliatore di Castelveccana, ordinanza 5 luglio 1979, n. 657, G.U. 5 dicembre 1979, n. 332. Pretore di Carpi, ordinanza 27 giugno 197~, n. 710, G.U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59, 64 e 65 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Castel D'Ario, ordinanza 7 aprile 1979, n. 708, G. U. 12 dicembre 1979, n. 338. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59 e 65 (art. 3 della Costituzione}. Giudice conciliatore di Milano, ordinanza 28 maggio 1979, n. 627, G. U. 21 novembre 1979, n.· 318. · Pretore di Agrigento, ordinanza 10 maggio 1979, n. 628, G. U. 21 novembre 1979, n. 318. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59 e 65 (artt. 3, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 24 giugno 1979, n. 665, G.U. 5 dicembre 1979, n. 332. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Udine, ordinanza 30 marzo 1979, n. 604, G.U. 7 novembre 1979, n. 304. 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 3 agosto 1978, n. 405, art. l2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Avezzano, ordinanza 23 ottobre 1978, n. 54/1979, G. V. 13 no· vembre 1979, n. 310. d.P.R. 22 settembre 197-8, n. 695, art. 3 (art. 11 della Costituzione). Tribùnale di Genova, ordinanza 30 aprile 1979, n. 647, G. V. 28 novembre 1979, n. 325. d.l. 30 gennaio 'l979, n. 2·1, art+. 1, comma ultimo, e 2 [modif. con legge 31 marzo 1979, n. 93] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Carpi, ordinanza 4 luglio 1979, n. 711, G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. d.l. 29 maggio 1979, n. 163, artt. 55, ultimo comma, e 57, comma secondo (artt. 3, comma primo, 38, commi primo e secondo, 24, commi primo e secondo, e 102, comma primo della Costituzione). Pretore di Bologna ordinanza 18 giugno 1979, n. 660, G. V. 5 dicembre 1979, n. 332. d.l. 29 maggio 1979, n. 163, art. 57, capoverso artt. 24, primo comma, 3, primo comma, e 77, capoverso, della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 11 giugno 1979, n. 777, G.U. 19 dicembre 1979, n. 345. legge reg. Piemonte 25 luglio 1979, riapp. 10 ottobre 1979 (art. 117 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 8 novembre 1979, n. 23, G. V. 13 novembre 1979, n. 310. legge reg. deii'Umbria 1 • ottobre 1979 (artt. 3, 36, 97 e 117 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 25 ottobre 1979, n. 22, G. V. 7 novembre 1979, n. 304. legge reg. siciliana 20 novembre 1979, artt. 3, 32 e 13, comma terzo (art. 14, lettera l) dello statuto speciale della regione siciliana). Commissario dello Stato per· la regione siciliana, ricorso 4 dicembre 1979, n. 24, ·G. V. 19 dicembre 1979, n. 345. CONSULTAZIONI APPALTO Appalto -Maggiori oneri per scarsità di lavoratori -Equo indennizzo (art. 1164. secondo comma c.c.). Se i maggiori oneri sopportati dall'appaltatore per effetto della difficoltà di reperire nella zona di esecuzione dell'opera la necessaria mano d'opera, siano indennizzabili a titolo di equo compenso di cui all'art. 1664 secondo comma c.c. (n. 423). Appalto di opera pubblica -Interessi su somme controverse -Enti pubblici (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36). Se la disposizione in forza della quale nell'appalto di opera pubblica gli interessi dovuti all'appaltatore sulle somme riconosciutegli a seguito di giudizio decorrono dal trentesimo giorno successivo alla data di registrazione del decreto di esecuzione dell'atto risolutivo della controversia (art. 36, quarto comma, d.P.R. 16 luglio 1962, !1. 1063) possa essere applicata anche qaundo si tratti di • ente pubblico (nella specie un conto i cui atti non sono soggetti alia registrazione della Corte dei Conti (n. 424). Appalto di opere pubbliche -Rimincia preventiva alla declinabilità degli arbitri (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47). Se sia ammissibile la rinuncia preventiva alla facoltà di decli1;are la competenza degli arbitri riconosciuta alle parti di un appalto di opera pubblica dell'rt. 47 del capitolato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (n. 422). Revisione dei prezzi nei contratti e trattative private -Rate (d.l. C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. l -d.l. 13 giugno 1940, n. 901, art. l -art. 1664 c.c.). Se nei contratti conclusi daHa pubblica amministrazione mediante trattativa privata (nella specie, un appalto) si debba aver rigurdo, per la determinazione degli aumenti suscettibili di dar luogo a revisione del prezzo, al livello dei costi esistente al momento della stipulazione del contratto ovvero a quello in cui sia ~tata presentata l'o1ferta (n. 425). BENEFICENZA E ASSISTENZA Rapporti tra Stato e Regioni -Trasferimento di funzioni -Istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza -Consigli di amministrazione -Ricostituzione (d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, art. l, lett. a) -legge 17 luglio 1890, n. 6972, artt. l e 62). Se sia da ritenere trasferita alla competenza delle regioni a statuto ordinario in base al d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, la ricostituzione, aHa scadenza dei Consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche eli beneficenza e assistenza, già affidata dai singoli statuti al prefetto (n. 11). 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CAMBI E VALUTE Società straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi soggetti alla normativa italiana (c.p. artt. 25 e 26 c.c. art. 1418 . l. 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, primo comma -l. 23 dicembre 1976, n. 863,_ art. 2). Se la fittizia intestazione di attività itaHana a persone giuridiche straniere e enti esteri costituiti da residenti a cui partecipino residenti in violazione della normativa valutaria, comporti la nullità dei negozi giuridici posti in essere ·da detti soggetti esteri quando detti negozi siano soggetti alla normativa italiana (n. 28). CONTABILITÀ GENERALE DELLO STATO Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignorabilità -Limiti -Fonti nor· mative in vigore (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -d.P.R. 10 gennaio 1957, n, 3). · Se le norme di cui al testo unico 5 gennaio 1950, n. 180, relative alla pignorabilità degli stipendi, pensioni e altri assegni dei pubblici dipendenti siano integralmente rimaste in vigore per il personale non contemplato dal testo unico 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 340). Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignoramento -Concorso con _sequestro e cessione -Limiti-Fonti normative in vigore (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 2, secondo comma, 67 e 68 -d.P.R. 10 gennaio 1957,. n. 3). Se le norme di cui agli artt. 2, secondo comma, e 67 e seguenti del testo unico 5 gennaio 1950, n. 180, relative al limite di· pignora:bilità nel caso di concorso di sequestri, pignoramenti e cessioni, siano tuttora applicabili ai dipendenti sia tali anche dopo l'entrata in vigore del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 342). Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignoramento tredicesima mensilifà -Assegno pensionabile -Indennità integrativa speciale -Aggiunta di famiglia -Pignorabilità -Limiti (d.P.R. 5 gennaio 1950, n.. .180 -d.tgs. 25 ottobre 1946; n. 263, art. 7 -l. 30 luglio 1973, n. 477; art. 12 -l. 27 maggio 1959, n. 324). Se sia consentito il pignoramento a carico di dipendenti statali, e per le causali di cui al t.n. 5 gennaio 1950, n. 180: a) della tredicesima mensilità; b) dell'assegno pensiona])ile _di cui all'art. 12 della legge 30 luglio 1973, n. 477; c) dell'indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1~59, n. 324; d) dell'aggiunta di famiglia (n. 341). Revisione dei prezzi nei contratti ~ tràttative private -Rate (d.l. C.P.S .. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1 -d.l. 13 giugno 1940, n. 901, art. 1 -c.c. art. 1664). Se nei contratti conclusi dalla pubblica amministrazione mediante trattativa privata (nella specie, un appalto) si debba aver riguardo, per la determinazione degli aumenti suscettibili di dar luogo a revisione del prezzo, al livello· dei costi esistente al momento della stipulazione del contratto ovvero a quello in cui sia stata presentata l'offerta (n. 343). PARTE· II, CONSULTAZIONI 177 CONTENZIOSO TRIBUTARIO ,. Condono tributario -Interessi e accessori -Istanza Mancanza -Effetti (1. 19. dicembre 1973, n. 823). Se sia ammissibile l'applicazione , del condono di cui aHa legge 19 dicembre 1973, n. 823 relativamente agli interesi ed accessori, nel cao di violazioni in materia di imposta generale sull'entrata (I.G.E.) sia definitivamente accertate alla data di entrata in vigore del provvedimento di condono, qualora non sia stata presentata istanza di condono (n. 34). · Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale Dopo del provvedimento di condono -Effetti (1. 19 dicembre 1973, n. 823). Se sia ammissibile l'applicazione del condono di cui alla legge 19 dicembre 1973, n. 823 relativamente agli interessi ed accesori, nel caso di violazioni in materia di imposta generale sull'entrata (I.G.E.) già definitivamente accertate alla data di entrata in vigore del provvedimento di condono, qualora il pagamento dal tributo sia avvenuto dopo talè data, ancorché prima della presentazione di ista~a di condono, (n. 33). Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale prima del provvedimento di condono -Effetti (l. 19 dicembre 1973, n. 823). Se sia ammissibile l'applicazione del condono di cui alla legge 19 dicembre 1973, n. 823 relativamente agli interessi ed accessori, nel caso di violazioni in materia di imposta generale sul1'entrata (I.G.E.) già definitivamente accertate alla data di entrata in vigore del provvedimento di condono, qualora H pagamento de1 tributo sia avvenuto prima di tale data, (n. 1~). Consulenti del lavoro -Abilitazione alla rappresentanza e difesa nei giudizi avanti alle commissioni tributari -Esclusione (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 30). Se ancorché non specificatamente ricoÌnpresi nell'elenco dei professionisti contenuto nell'art. 30 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sul procedimento avanti alle commissioni tributarie, i consulenti del lavoro debbono ritenersi abilitati alJa rappresentanza processuale o all'assistenza tecnica del costituente nei giudizi avanti alle commissioni relativi ad imposte dirette in concessione con il lavoro subordinato e riferibili ai sostituti d'imposta (n. 36). Consulenti del lavoro -Rappresentanze innanzi agli uffici finanziari -Limiti (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 63). Se tra i professionisti non specificatamente menzionati nel secondo comma dell'art. 63 de1 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede una rappresentanza esclusivamente sostanziale nell'ambito del procedimento amministrativo presso gld uffici finanziari possono ritenersi compresi i consulenti del lavoro, limitatamente all'imposte in diretta connessione con gli adempimenti dei datori di lavoro (sostituti di imposte) (n. 35). Imposte dirette -Giudizio di impugnazione proposto nei confronti dell'amministrazione ad opera di taluno soltanto dei coobbligati solidali d'imposta Etfett. i sul corso della prescrizione (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 -c.c. art. 1310). Se il giudizio promosso da uno dei condebitori solidali d'imposta impedisca il corso deHa prescrizione, sino al passaggio in giudicato della sentenza che 16 178 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO definisce il giudizi, anche nei confronti dei coobbligati che non siano parti del giudizio (n. 37). COOPERATIVE Cooperative-ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali contributi-cooperative non aderenti ad associazioni nazionali debenza ( d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, artt. 7 e 8 -l. 8 maggio 1949, n. 285, art. 2, secondo comma -·decreto min. lav. 8 ottobre 1973}. Se le cooperative non aderenti ad associazioni nazionali fossero tenute, anche anteriormente aHa emissione del decreto ministeriale 8 ottobre 1973 del Ministero per il lavoro e la previdenza sociale, al versamento dei contributi per spese relative aHe ispezioni ordinarie previste dal d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, come modificato dalla legge 8 maggio 1949, n. 285. (n. 13). Cooperative -ispezione ordinarie delle associazioni nazionali -contributi -mancata ispezione -obbligatorietà -l. 17 febbraio 1971, n. 127, art. 15 -d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 2, secondo comma. Se i contributi di cui all'art. 15 della legge 17 febbraio 1971, n. 127 posti a carico delle cooperative, per le spese relative, alle ispezioni ordinari previste dall'art. 2, secondo comma, del decreto legge c.p:s. 14 dicembre 1947, n. 1577, conservino carattere obbligatorio anche in mancanza delle ispezioni in funzione delle quali sono stati imposti, (n. 12). Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi Natura-( 1. 17 febbraio 1971, n. 1277, art. 15-d.l.c.p.. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 2, secondo comma -c.p.c, art 9) Quale natura debba riconoscersi, anche ai fini della competenza per materia esclusiva del tribunale ex art. 9 c.p.c., ai contributi di cui all'art. 15 della legge 17 febbraio 1971, n. 127 posti a carico delle cooperative pet le spese relative alle ispezioni ordinarie previste dall'art. 2, secondo comma, del d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, n. 11. DIFESA DELLO STATO Rapporti tra Stato e regioni -Funzioni delegate -Impugnativa di atto emesso dal delegato -Difesa in giudizio -Spettanza (d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, artt. 13, nn. 8 e 17 -legge 16 maggio 1970, n. 281, artt. 8 e 18). Se la difesa in giudizio di un atto emanato dal medico provinciale nell'esercizio di una funzione propria dello Stato ma. delegata alla regione ai sensi dell'art. 13 n. 8 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, spetti allo Stato, con il patrocinio dell'avvocatura, ovvero alla regione (n. 43). DIRITTO INTERNAZIONALE Società straniere -Riconoscibilitù in Italia -Limitazioni (preleggi artt. 16, 17 e 31 -Trattato di commercio itala-svizzero 27 gennaio 1953 reso esecutivo con r.d.l. 15 febbraio 1923, n. 243 convertito con l. 16 dicembre 1923, n. 2934 179 PARTE II, CONSULTAZIONI esteso al Liechtenstein con scambio di note reso esecutivo con l. 24 dicembre 1928, n. 3488 -convenzione dell'Aia 1• giugno 1956 sul riconoscimento della personalità giuridica delle società associazioni e fondazioni straniere). Se le << Anstelten » del Liechtenstein siano riconoscibili quali soggetti di diritto dell'ordinamento giuridico italiano (n. 6). Società straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi soggetti alla normativa italiana (p. artt. 25 e 26 -c.c. art. 1418 -l. 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, primo comma -l. 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2). Se la fittizia intestazione di attività italiana a persone giuridiche straniere e enti esteri costituiti da residenti a cui partecipino residenti in violazione della normativa valutaria, comporti la nullità dei negozi giuridici posti in essere da detti soggetti esteri quando detti negozi siano soggetti alla normativa italiana (n. 7). EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE I.V.A. -Ambito di applicazione -Assegnazioni di case di abitazione ai soci di società cooperative edilizie -Regime (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2 d. P.R. 23 ottobre 1974, n. 687). Se tutte le assegnazioni in proprietà di case di abitazione fatte ai soci di cooperative edilizie a norma de1 r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, recante il t.u. delle disposizioni sull'edilizia economica e popolare e successive modificazioni rimangano estranee all'ambito di applicazione dell'I.V.A. (n. 301). ESECUZIONE FISCALE Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale - Aggredibilità delle somme e dei crediti spettanti agli enti predetti per stanzionamenti loro assegnati dalla regione (d.l. 8 luglio 1974, n. 264, l. 17 agosto 1974, n. 386). Se siano pignorabili, per recupero di tributi diretti erariali, a carico degli enti ospedalieri, gli stanziamenti loro assegnati dalle regioni a decorrere dal 1 • gennaio 1975 secodo il nuovo sistema.di finanziamento stabilito dal dJ. 8 Luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386 (n. 94). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale - Espropriabilità dei crediti nei confronti degli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974 (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386). Se, per H recupero di tributi diretti erariali, siano pignorabili, a carico degli enti ospedalieri, i crediti verso gli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974, da estinguere attraverso il piano preordinato dalle norme del d.l. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386, (n. 95). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale Pignorabilità delle disponibilità finanziarie degli enti predetti derivanti da redditi propri o da entrate diverse o da avanzi di esercizi pregressi (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386).· Se, per il recupero di tributi diretti erariali, siano pignorabili, a carico degli enti ospedalieri, le disponibilità finanziarie derivanti da redditi propri .180 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ·di detti enti, o da altre entrate o da avanzi relativi a esercizi pregressi, delle quali è prevista la devoluzione al fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera secondo le disposizioni dell'art. 14 d.l. 8 luglio 1974, n. 264, convertito con legge 17 agosto 1974, n. · 386 (n. 96). ESECUZIONE FORZATA Esenzione fissata -Spese di precetto -Ripetibilità -Limiti (artt. 95 e 481 c.p.c.). In quali limiti siano dovute dal debitore le spese di precetto, ed in particolare se siano da pagare anche quelle del precetto divenuto inefficace per inutile decorso dei novanta giorni di cui all'art: 481 c.p.c. (n. 66). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA Espropriazione per pubblicata utilità -Decreto di espropriazione -Trascizione Tardiva richiesta.-Applicabilità delle sanzioni stabilite dalle leggi in materia di imposte ipotecarie (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, art. 17-l. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 53). Se la pena pecuniaJAia prevista dall'art. 17 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 per l'omissione della richiesta di trascrizione di atti obbligatoriamente sottoposti a tale formalità sia legittimamente applicabile in 1potesi di tardiva (richiesta di trascrizione di decreto d'espropriazione pronunciato a favore di amministrazioni statali (n. 474). Espropriazione per pubblica utilità -Indennità -otlerta tempestivamente accettata -Revocabilità in ipotesi di legge sopravvenuta in pendenza dei termine di accettazione (l. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 24 e 25 -l. 27 giugno 1974, n. 247). Se ,sia suscettibile di annullamento o di revoca l'offerta d'inde1mità di espropriazi~ me allorché la relativa accettazione, pur se intervenuta nel termine di legge, risulti successiva all'entrata in vigore delle norme che, estendono alle espropriazioni di competenza statali la disciplina in materia contenuta nella legge 22 ottobre 1971, n. 865, aobiano modificato i criteri di determinazione dell'indennità (n. 475). FERROVIE Costruzioni ferroviarie -Osservazioni del Comune interessato sul progetto esecutivo -Termine (l. 14 agosto 1974, n. 377, art. 9 -l. 2 gennaio 1977, n. 10, art. 9 -l. 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 29 e 31 -l. 6 agosto 1967, n. 765, art. 10). Se per le costruzioni edilizie da ~;ealizzarsi nell'ambito di comprensori ferroviari sia ancora operante la speciale disposizione dell'art. 9, l. 14 agosto 1974, n. 377, sollecitatoria delle osservazioni del Comune territorialmente interessato (termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione dei progetti esecutivi) pur dopo l'entrata in vigore della l. 28 gennaio 1977, n. 10 (la quale rimanda per le opere dello Stato alla precedente disciplina urbanistica generale, che non contiene prefissione di alcun termine per le osservazioni del Comune) (467). PARTE II, CONSULTAZIONI -181 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA RaP,porti tra Stato e regioni -Funzioni delegate -Impugnativa di atto emesso dal delegato -Difesa in giudizio -Spettanza (d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, art. 13, nn. 8 e 17 -l. 16 maggio 1970, n. 281, artt. 8 e 18). Se la difesa in giudizio di un atto emanato dal medico provinciale nell'eser cizio di' una funzione propria de1lo Stato ma delegata alla regione ai sensi dell'art. 13, n. 8 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, spetti allo Stato, con il patrocinio dell'Avvqcatura, ovvero alla regione (n. 28). IGIENE E SANITÀ Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale - Aggredibilità delle somme e dei crediti spettanti agli enti predetti per stanzionamenti loro assegnati dalla regione (d.l. 8 luglio 1974, n. 264-l. 17 agosto 1974, n. 386). · Se siano pignorabili, per recupero di tributi diretti erariali, a carico degli enti ospedalieri, gli stanziamenti loro assegnati dalle regioni a decorrere dal 1° gennaio 1975 secondo il nuovo sistema di finanziamento stabilito dal d.l. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386 (n. 34). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva .esattoriale Espropriabilità dei crediti nei confronti degli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974 (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386). Se, per il recupero di tributi diretti erariali, siano pignorabili, a carico degli enti ospedalieri, i crediti verso gli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974, da estinguere attraverso il piano preordinato d~le norme del dJ'. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386 (n. 35). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri ·-Azione esecutiva esattoriale -Pignorabilità delle disponibilità finanziarie degli enti predetti derivanti da redditi propri o da entrate diverse o da avanzi di esercizi pregressi (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386). · ·' · Se, per il recupero di tributi diretti erariali, ·siano pjgnorabili, a carico degli enti ospedalieri le disponibiltà fnanziarie derivanti da redditi propri di detti enti, o da altre entrate o da avanzi relativi a esercizi pregressi, delle quali è prevista la devoluzione al fondo nazionale per 1';1ssistenza ospedaliera secondo le disposizioni dell'art. 14 d.l. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386 (n. 36). IMPIEGO PUBBLICO Cessazione degli effetti civili del matrimonio -Obbligo di pagamento assegno di divorzio -Decorrenza (art. 10 l. l" dicembre 1970, n. 898,· art. 5. l. 1° dicembre 1970, n. 898). · ' · 'se l'obbligo di corrispondere Passegno di divorzio sorga (trattandosi di rapporto patrimooiale intercorrente tra le parti in causa) secondo i principi della esecutività tra le parti della sentenza di secondo grado ovvero ,dal passaggio in . ' 17 182 RASSEGNA DÈLL'AVVOCATURA DÈLW STATO giudicato della decisione giudiziale, ovvero infine solo a seguito dell'annotazione della sentenza di divorzio nei registri dello stato civile da cui decorre (ex art. 10 l~gge 1° dicembre 1970) l'efficacia della pronuncia di stato con la conseguenza che solo dalla data di tale annotazione possa essere detratto dallo stipendio e versato al1'avente diritto l'assegno di divorzio (n. 875). Retribuzione -Stipendi assegni e altre indennità -Personale militare • Pignorabilità -Limiti (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 33). Se i limiti di pignorabilità dello stipendio, per il personale militare, siano regolati dal testo unico approvato con d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 ovvero dall'art. 33 del t.u. sugli impiegati civili dello Stato approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 882). Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignorabilità -Limiti -Fonti normative in vigore (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180; d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). Se le norme di cui al testo unico 5 gennaio 1950, n. 180 relative alla pignorabilità degli stipendi, pensioni e altri assegni dei pubblk:i dipendenti siano integralmente rimaste in vigore per il personale non contemplato dal testo unico 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 877). Retribuzione -Stipendio, pensioni e assegni -Pignoramento -Concorso con sequestro" e cessione -Limiti -Fonti normative in vigore (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 2, secondo comma, 67 e·68; d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3). Se le norme di cui agli artt. 2, secondo comma, e 67 e seguenti del testo unico 5 gennaio 1950, n. 180, relative al limite di pignorabilità nel caso di concorso di .sequestri, pignoramenti e cessioni, sianc;> tuttora applicabili ai dipendenti statali ancht! dopo l'entrata in vigore del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 879). Retribuzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignoramento tredicesima mensilità -Assegno pensionabile -Indennità integrativa speciale -Aggiunta di famiglia -Pignorab.ilità -Limiti (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180; d.lgs. 25 ottobre 1946, n. 263, art. 7; l. 30 luglio 1973, n. 477, att. 12; l. 27 maggio 1959, n. 324). Se sia. con,sentito il pignoramento a carico di dipendenti statali, e per le causali di cui al t.u. 5 gennaio 1950, n. 180: a) della tredicesima mensilità; b) .çlell'assegno pensionabile di cui all'art. 12 della legge 30 luglio 1973, n. 477; c). dell'indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324; d) .dell'aggiunta di famiglia (n. 878). IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE Redditi da capitale -Interessi -Indennità di espropnazwne e di occupazione - Tassabilità (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 587, art. 41 -d.P.R. 2!) gennaio 1958, •· ' n. 645, artt. 85 e 86). Se gli interessi liquidati sulle indennità di espropriazione e di occupazione siano da ritenere tassabili in ricchezza mobile cat. A (Òvvero, ora, in I.R.P.F.) e ·se, in particolare, siano da ritenere tassabili come sopra gli interessi compresi tra la data della sentenza di liquidazione e l'effettivo pagamento o deposito dell'indennità (n. 76). PARTE li, CONSULTAZIONI 18J IMPOSTA GENERALE SULLE ENTRATE Condono tributario c Interessi e accessori -Istanza -Mancanza -Effetti (l..19 dicembre 1973, n. 823). Se sia ammissibile l'applicazione dei condono di cui alla legge 19 dicembre 1973, n. 823 relativamente agli interessi ed accessori ,nel caso di violazioni in materia di imposta generale sull'entrata (I.G.E.) già definitivamente accertate alla data di entrata in vigore del provvedimento di condono, qualora non sia stata presentata istanza di condono (n. 182). Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale Dopo il provvedimento di condono -Effetti (l. 19 dicembre 1973, n. 823). Se sia ammissibile l'appNcazione del condono di cui alla legge 19 dicembre 1973, n. 823 relativamente agli interessi ed accessori, nel caso di violazioni in materia di imposta generale sull'entrata (I.G.E.) già definitivamente accertate alla data di entrata in vigore del provvedimento di condono, qualora il pagamento dal tributo sia avvenuto dopo tale data, ancorché prima della presentazione di istanza di condono (n. 181). Condono tributario -Interessi e accessori -Pagamento del tributo principale Prima del-provvedimento di condono -Effetti (l. 19 dicembre 1973, n. 823). Se sia ammissibile l'applicazione del condono di cui alla legge 19 dicembre 1973, n. 823 relativamente agli interessi ed accessori, nel caso di violazioni in materia di imposta generale sull'entrata (I.G.E.) già definitivamente accertate alla data di entrata in vigore del provvedimento di condono, qualora il pagam~ nto del tributo sia avvenuto prima di tale data (n. 180). IMPOSTA VALORE AGGIUNTO Esenzioni e agevolazioni -Appalto -Zone terremotate della Sicilia -Costruzione di ambulatori -Applicabilità (l. 2 luglio 1949, n. 408 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 79 -l. 19 luglio 1961, n. 659, art. l -r.d. 21 giugno 1938, n. 1094, art. 2). Se le agevolazioni della legge 2 luglio 1949, n. 408 -oggi convertite nella riduzione dell'aliquota I.V.A. a norma dell'art. 79 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -siano applicabili all'appalto per la costruzione di ambulatori nei territori dei comuni terremotati della Sicilia (n. 20). I.V.A. -Ambito di applicazione -Assegnazioni di case di abitazione ai soci di società cooperative edilizie -Regime (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2 d. P.R. 23 ottobre 1974, n. 687). Se tutte le assegnazioni in proprietà di case di abitazione fatte ai soci di cooperative edilizie a norma del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, recante il t.u. delle disposizioni sull'edilizia economica e popolare e successive modificazioni rimang~ no estranee all'ambito di applicazione dell'I.V.A. (n. 21). 184 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTE DIRETTE Redditi da capitale -Interessi -11Ìdennità di· espropriazione e di occupazione - Tassabilità (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 587, art. 41 -d.P.R. 29 gennaio 1958i n. 645, artt. 85 e 86). · Se gli interessi liquidati suile indennità ·di espropriazione e di occupazione siano da ritenere tassabili in ricchezza· mobile ca t. A (ovvero, ora, in I.R.P.E.F.) e se, in particolare, siano da ritenere tassabili come sopra gli interessi com presi tra la data della sentenza di liquidazione e l'effettivo pagamento o depOsito dell'indenità (n. 42). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale - Aggredibilità delle somme e dei crediti spettanti agli enti predetti per stanzionamenti loro assegnati dalla regione (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386). Se siano pignorabili, per recupero di tributi diretti erariali, a carico degli enti ospedalieri, gli stanziamenti loro assegnati dalle regioni a decorrere dal· lo gennaio 1975 secondo il nuovo sistema di finanziamento stabilito dal dJ. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386 (n. 43). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri -Azione esecutiva esattoriale - Espropriabilità dei crediti nei confronti degli enti mutualistici per rette di degenza anteriori al 31 dicembre 1974 (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386). Se, per il recupero di tributi diretti erariali, siano pignorabili, a carico degli enti ospedalieri, i crediti verso gli enti mutualistici per rette di degenza ànte7 riori al 31 dicembre 1974, da estinguere attraverso il piano preordinato dalle norme del d.l. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto· 1974, n. 386. (n. 44). Tributi diretti a carico degli enti ospedalieri • Azione esecutiva esattoriale -Pignorabilità delle disponibilità finanziarie degli enti predetti derivanti da redditi propri o da entrate diverse o da avanzi di esercizi pregressi (d.l. 8 luglio 1974, n. 264 -l. 17 agosto 1974, n. 386). Se, per il recupero di tributi diretti erariali, siano pignorabili, a carico degli enti ospedali eri, le disponibilità finanziarie derivanti da redditi propri di detti· enti, o da altre entrate o da avanzi relativi a esercizi pregressi, dèlle quali è prevista la devoluzione al fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera secondo le disposizioni dell'art. 14 d.l. 8 luglio 1974, n. 264 convertito con legge 17 agosto 1974, n. 386 (n. 45). IMPOSTE E TASSE Consulenti del lavoro -Abilitazione alla rappresentanza e difesa nei giudizi avanti alle commissioni tributarie -Esclusione (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 30). · Se ancorché non specificamente ricotnpresi nell'elenco dei professionisti contenuto nell'art. 30 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 sul procedimento avanti aHe commissioni tributarie, i consulenti del lavoro debbono ritenersi abilitati alla rappresentanza processuale o all'assistenza tecnica del costituente nei giudizi avanti alle commissioni relativi ad imposte dirette in concessione con il lavoro subordinato e riferibili ai sostituti' d'imposta (n. 655). ·:-.: PARTE Tì, CONSULTAZIONI 18J Consulenti del lavoro • Rappresentanze innanzi agli uffici finanziari -Limiti (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 63). ·se tra i professionisti non specificamente m~nzionati ne1 secondo comma dell'art. 63 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede una rappresentanza éscÌusivamente sostanziale nell'ambito del proçèdimento-amministrativo presso gli uffici finanziari possono ritenersi compresi i consulenti del lavoro, limitatamente all'imposte in diretta connessione con gli adempimenti dei datori. di lavoro (sostituti di imposte) (n. 654). Imposte dirette -Giudizio di impugnazionè proposto nei confroriti dell'amministrazione ad oper-a di taluno soltanto dei coobbligati solidali d'imposta Effetti sul corso della prescrizione (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 -d.P.R. 26 ottobre 1972~ n. 636 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 -c.c. art. 1310). Se il· giudizio promosso da uno dei condebitori solidali d'imposta impedisca il corso della prescrizione, sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, anche nei confronti dei coobbligati che non siano parti del giudizio (n. 657). "Imposte dirette -Prescrizione e decadenza -Avviso di liquìdàzione dell'imposta termine di decadenza (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637). Se la richiesta di pagamento dell'imposta -in cifra l-iquida -oggetto al termine triennale di decadenza ogni qualvolta sia necessario procedere alla notifica deH'avviso di liquidazione per rendere possibile l'adempim~nto (n. 660). Violazione leggi finanziarie -Responsabilità del successore per atto tra vivi in un'azienda commerciale ed industriale per pene pecuniarie e sopratasse relative a violazioni anteriori alla successione -,Limiti (art. 19 l. 7 gennaio 1929, n. 4). · 'Se, per l'estensione a carico del successore per atto tra VIVI m un'azienda commerciale o industriale della responsabilità per pene pecuniarie e sopratasse concernenti pregresse violazioni di leggi finanziarie, occorra che le medesime siano già state irrogate all'autore della violazione ovvero se sia sufficiente l'essere intervenuto, prima del trasferimento dell'azienda, il relativo verbale di accertamenti (n. 653). IMPOSTE IPOTECARIE Espropriazione.. per pubblica utilità -Decreto di esproprtazzone -Trascrizione Tardiva richiesta -Applicabilità delle sanzioni stabilite dalle leggi in materia di imposte ipotecarie (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, art. 17 -l. 25 giugno 1865, n. 2359, .art. 53). Se la pena pecuniaria prevista dall'art. 17 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 per l'omissione della richiesta di trascrizione di atti obbligatoriamente sottoposti a tale formalità sia legittimamente applicabile in ipotesi di tardiva (richiesta di) trascrizione di decreto d'espropl'iazione pronunciato a favore di .am· ministrazioni statal-i (n. 16). 186 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTE VARIE Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Cooperative non aderenti ad associazioni nazionali -Debenza ( d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, artt. 7 e ls -l. 8 maggio 1949, n. 285, art. 2, secondo comma d. Min. Lav. 8 ottobre 1973). Se le cooperative non aderenti ad a_ssociazioni nazionali fossero tenute, anche anteriormente all'emissione del d.m. 8 ottobre 1973 del Ministro per il Lavoro e la Previdenza Sociale, al versamento dei contributi per spese relative alle ispezioni ordinarie previste dal d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 come modificato dalla legge 8 maggio 1949, n. 285 (n. 119). Cooperative -Ispezione ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Mancata ispezione -Obbligatorietà (l. 17 febbraio 1971, n. 127, art. 15 -d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 2, secondo comma). Se i contributi di cui all'art. 15 della legge 17 febbraio 1971, n. 127 posti a carico delle cooperative, per le spese relative alle ispezioni ordinarie previste dall'art. 2, secondo comma, del d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 conservino carattere obbligatorio anche in mancanza delle ispezioni in funzione delle quali sono stati imposti (n. 118). Cooperative -Ispezioni ordinarie delle associazioni nazionali -Contributi -Natura (l. 17 febbraio 1971, n. 127, art. 15 -d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 2, secondo comma c.p.c., art. 9). Quale natura debba riconoscersi, anche ai fini della competenza per materia esclusiva del tribunale ex art. 9 c.p.c., ai contributi di cui all'art. 15 della legge 17 febbraio 1971, n. 127 posti a carico delle cooperative per le spese relative alle ispezioni ordinarie previste dall'art. 2, secondo comma del d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577 (n. 117). Tasse automobilistiche --Esenzione e concessionario servzzw postale -Cessazione o sospensione del servizio (d.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39, art. 17, lett. c). · Se l'esenzione dal pagamento della tassa di circolazione connessa dall'art. 17, lett. c) t.u. sulle tasse automobilistiche alle imprese' di trasporto di linea che effettuano servizio postale venga meno quando il servizio cessi o sia sospeso in via di mero fatto ovvero solo a seguito della revoca della concessione postale (n. 116). ISTRUZIONE Previdenza e assistenza -Compensi integrativi in favore del personale medico universitario non utili ai fini presidenziali e assistenziali -Compatibilità nella base imponibile per il calcolo dei contributi (l. 25 marzo 1971, n. 213, art. 14 -l. 4 aprile 1952, n. 218, art. 15 -l. 6 dicembre 1966, n. 1077 -l. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 -l. 6 dicembre 1971, n. 1053, art. 4 -d.l. 1• ottobre 1973, n. 580, art. 5). Se il compenso integrativo non utile ai fini previdenziali ed assistenziali previsto in favore dei sanitari universitar della legge 25 marzo 19'71, :n. 213 debba concorrere alla de'termnazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di assistenza e previdenza sociale (n. 565. . , . l'ARTE li, CONSULTAZIONI :t87 MATRIMONIO Cessazione degli effetti ~ivili del matrimonio -Obbligo di pagamento assegno di divorzio -Decorrenza (art. 10 l. JO dicembre 1970, n. 898,· art. 5 l. 1• dicem bre 1970, n. 898). Se Yobbligo di corrispondere l'assegno di divorzio sorga -trattandosi di rapporto patrimoniale intercorrente tra le parti in causa -secondo i principi della esecutività tra le pàrtr della .sentenza di secondo grado ovvero dal passaggio in giudicato della decisione giudiziale, ovvero infine solo a seguito de:Ua annotazione della sentenza di divorzio nei registri dello stato civile da cui decorre -ex art. 10 legge 1• dicembre 1970 -l'efficacia della pronuncia di stato con la conseguenza che solo dalla data di tale annotazione possa essere detratto dallo .stipendio e versato all'avente diritto l'assegno di divorzio (n. 38). MILITARI Retribuzione -Stipendi, assegni e altre indennità -Personale militare -Pignorabilità -Limiti (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -d.P.R. 10 gennaio 1957, ri. 3, art. 33). Se i limiti di pignorabilità dello stipendio, per il personale militare, siano regolati daL testo unico approvato con d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 ovvero dall'art. 33 del t.u. sugli impiegati civili dello Stato approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 33). · OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Società straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi soggetti alla normativa italiana (p. artt. 25 e 26 -c.c. art. 1418 -l. 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, primo comma -l. 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2). Se la fittizia intestazione di attività italiana a persone giuridiche straniere e enti esteri costituiti da residenti a cui partecipino residenti in violazione della normativa valutaria, comporti la nullità dei negozi giuridici posti in essere da detti soggetti esteri quando detti negozi siano soggetti alla normativa italiana (n. 65). OPERE PUBBLICHE Appalto -Maggiori oneri per scarsità di lavoratori -Equo indennizzo (art. 1164, secondo comma c.c.). Se i maggiori oneri sopportati dall'appaltatore per effetto deHa difficoltà di reperire neHa zona di esecuzione dell'opera, la necessaria mano d'opera, siano indennizzabili a titolo di equo compenso di cui all'art. 1,664,. secondo comma, c.c. (n. 183). Appalto di opera pubblica -Interessi su somme controverse -Enti pubblici (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 36). Se la disposizione in forza della quale nell'appalto di opera pubblica gli interessi dovuti all'appaltatore. sulle somme riconosciutegli a seguito di giudizio decorrono da1 trentesimo giorno successivo alla data. di registrazione del .. de f8'8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DÉLW STATO creto di esecuzione dell'atto risolutivo della controversia (art. 36, quarto comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) possa essere applicata ~nche quando si tratti di e~te pubblko (nella specie un con) i cui atti non sorio ·soggetti alla registrazione deHa' Corte dei Conti (n. 184). -· Appalto di opere pubbliche -Rinuncia preventiva alla de.clinabilità degli arbitri (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47). Se sia ammissibile la rinuncia preventiva alla facoltà di declinare la competenza degli arbitri riconosciuta alle parti di un appalto di opera pubblica dell'art. 47 del capitolato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (n. 182). Revisione dei prezzi nei contratli e trattative pri'late -Rate (d.l.c.p.s. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. l -d . .l. 13 giugno 1940, n. 901, art. l -art. 1664 c.c.). Se nei contratti conclusi dalla pubblica amministrazione mediante trattativa privata (nella specie, 1,m appalto) si debba aver riguardo, per la determinazione degli aumenti suscettibili di dar luogo a revisione del prezzo, al livello dei costi esistente al momento della stipulazione del contratto ovvero a quello in cui sia stata presentata l'ofl;erta (n. 185). PIANI REGOLATORI Costruzioni ferroviarie -Osservazioni del comune interessato sùl progetto esecutivo -Termine (1. 14 agosto 1974, n. 377, art. 9 -l. 2 gennaio 1977, n. 10, art. 9 -l. 17 agosto 1942, n. 1150 art. 29 e 31 -l. 6 agosto 1967, n. 765, art. 10). Se per le costruzioni edilizie da realizzarsi nell'ambito di comprensori fer. rov1ari sia ancora operante la speciale disposizione dell'art. 9, l. 14 agosto 1974, n. 377, solletitatoria delle osservazioni del comune territoria1mente interessato (termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione dei progetti esecutivi) pur dopo l'entrata in vigore della l. 28 gennaio 1977, n. 10 (la quale rimanda per le opete dello Stato alla precedente disciplina urbanistica generale, che non contiene prefissione di alcun termine per le osservazioni del comune) (n. 37). PIGNORAMENTO Retribuzione -Stipendi assegni e altre indennità -Personale militare -Pignorabilità -Limiti (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 33). Se i limiti di pignorabilità dello stipendio, per il personale militare, siano regolati dal testo unico approvato con d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 ovvero dall'art. 33 del t.u. sugli impiegati civili dello Stato approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 31). · · Retril;luzione -Stipendi, pensioni e assegni -Pignorabilità -Limiti -Fonti normative in vigore (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -·d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). Se le norme di cui al testo unico 5 geimaio 1950, ·n. 180 relative alla pignorabilità degli stipendi, pensioni e altri assegni dei pubblici dipendenti siano integralmente rimaste in vigore per il personale non contemplato dal testo unico 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 28). ; PÀRTE ìi, OONSULTAZI6Nì . 189 Retribuzione • Stipendio, pensioni e assegni • Pignoramento • Concorso con se• questro e cessione. Limiti. Fonti normative in vigore (d.P.R. 5 gennaio 1950, ·n. 180, artt. 2, secondo comma, 67 e 68 • d.P.R. 10 .gennaio 1957, n. 3). Se le norme di cui agl!i artt. 2, secondo conìma, e 67 e seguenti del testo unico 5 gennaio 1950, n. 180, relative a1 limite di pignorabilità nel caso di concorso di sequestri, pignoraménti e cessioni, .siano tuttora applicabili ai dipendenti sia tali anche dopo l'entrata in vigore del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 (n. 30). ·Retrib'uzione -Stipendi, pensioni e assegni • Pignoramento tredicesima mensilità -Assegno pensionabile • Indennità integrativa speciale -Aggiunta di famiglia • Pignorabilità ·-Limiti (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -d.lgs. 25 ottobre 1946, n. 263, art. 7 -l. 30 luglio 1973, n. 477, art. 12 • i. 27 maggio 1959, n. 324). · Se sia consentito il pignoramento a carico di dipendenti statali, e per le causali di cui al t.u. 5 gennaio 1950, n. 180: a) della tredicesima mensilità; b) dell'assegno pensionabile di cui all'art. 12 della legge 30 luglio 1973, n. 477; c) dell'indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324; d) dell'aggiunta di famiglia (n: 29). POSTE E TELECOMUNICAZIONI Tass~ automobilistiche -Esenzione e concessionario servzzzo postale -Cessazione o sospensione del servizio (d.P.R. 5 febbraio-1953, n. 39, art. 17, lett. c).. Se l'esenzione dal pagamento delia tassa di circolazione connessa daH'art. 17, lett. c) t.u. sulle tasse automobilistiche alle imprese di trasporto ·di linea che effettuano servizio ·postale venga meno quando il servizio cessi o sia sospeso in via di mero fatto ovvero solo a· seguito del:l:a revoca della concessione postale (n. 157). PRESCRIZIONE Imposte dirette -Prescrizione e decadenza -Avviso di liquidazione dell'imposta termine di decadenza (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 -d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -dP.R. 26 ottobre 1972, n. 637). Se la richiesta di pagamento dell'imposta -in cifra liquida -oggetto al termine triennale di decadenza ogni qualvolta sia necessario procedere alla notifica dell'avviso di liquidazione per rendere possibile l'adempimento (n. 100). PREVIDENZA E ASSISTENZA Previdenza e assistenza -Compensi integrativi in favore del personale medico universitario non utili ai fini presidenziali ed assistenziali • Compatibilità nella base imponibile per il calcolo dei contributi (l. 25 marzo 1971, n. 213, art. 14 -l. 4 aprile 1952, n. 218, art. 15 -l. 6 dicembre 1966, n. 1077 • l. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 • l. 6 dicembre 1971, n. 1053, art. 4 -d.l. 1• ottobre 1973, · n. 580, art. 5). · Se il compenso integrativo non utile ai fini previdenziali ed assistenziali previsto in favore dei sanitari universitari della legge 25 marzo 1971 n. 213 debba concorrere alla determinazione della base imponibile per H calcolo dei contributi di assistenza e previdenza sociale (n. 130). 190 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PREZZI Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -Agente con deposito-vendita in nome proprio -Legittimazione passiva -Susista (d.l. 24 luglio 1973, n. 427 -l, 4 agosto 1973, n. 496). Se nei confronti di una ingiunzione, emessa ai sensi del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (convertito con modificazioni in legge 4 agosto, n. 496) per violazione della disciplina dei prezzi dei generi di largo consumo, possa ritenersi carente di legittimazione passiva l'agente con deposito esercente l'impresa in nome proprio, ma per conto altrui (n. 84). Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -Erroneo richiamo di norme -Irrilevanza (d.l. 24 luglio 1973, n. 427, legge 4 agosto 1973, n. 496). Se nel testo di una ingiunzione, emessa ai sensi del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (convertito -con modificazioni in legge 4 agosto 1973, n. 496) per violazione della disciplina dei prezzi dei generi di largo consumo, sia rilevante l'errato richiamo ad uno piuttosto che ad altro articolo del testo di legge n. 83). PROCEDIMENTO CIVILE Procedimento civile -Controversia di la'voro -Patrocinio delle parti non abbienti -Spese anticipate dallo Stato per consulenza -tecnica -Ripetibilità nei confronti della parte abbiente soccombente (l. 11 agosto 1973, n. 533, art. 14). Se l'azione di ripetizione nei confronti delJa parte abbiente soccombente in controversia di lavoro debba estendersi alle spese anticipate dalJo Stato per la difesa in giudizio della parte non abbiente. (Nella specie trattavasi delle spese anticipate al consulente tecnico d'ufficio) (n. 63). Procedimento civile -Controversie di lavoro -Patrocinio delle parti non abbienti Spese ed onorari liquidati in sentenza -Anticipazione da parte dello-Stato (l. 11 agosto 1973, n. 533, art. 14). Se 1a pubblica amministrazione sia tenuta ad anticipare al difensore della parte non abbiente, ammessa al patrocinio a spese dello Stato in una controversia di lavoro e risultata vittoriosa, l'ammontare degli onorari e dei diritti liquidati in sentenza ovvero le sole spese vive sostenute (n. 62). REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE Costruzione -Territorio comunale -Licenza edilizia -Esclusione (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 19, lett. a) -l. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 31 -l. 6 agosto 1967, n. 765, art. 10 -l. prov. Bolzano 23 giugno 1970, n. 20, art. 24). Se per l'esecuzione di lavori stradali nei territori di comuni delle province di Trento e Bolzano l'A.N.A.S. sia tenuta a richiedere il rilascio di licenza edilizia (n. 6). PARTE II, CONSULTAZIONI 191 REGIONI Rapporti tra Stato e regioni • Funzioni delegate • Impugnativa di atto emesso dal delegato • Difesa in giudizio • Spettanza (d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, artt. 13, nn. 8 e 17 • l. 16 maggio 1970, n. 281, artt. 8 e 18). Se la difesa in giudizio di un atto emanato dal medico provinciale nell'esercizio di una funzione propria dello Stato ma delegata aHa regione ai sensi dell'art. 13, n. 8 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, spetti allo Stato, con il patrocinio dell'Avvocatura, ovvero alla regione (n. 252). Rapporti tra Stato e regioni • Trasferimento di funzioni • Istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza • Consigli di amministrazione • Ricostituzione (d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, art. l, lett. a) • l. 17 luglio 1890, n. 6972, artt. 1 e 62). Se sia da ritenere trasferita aHa competenza delle regioni a statuto ordinario in base al d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9 la ricostituzione, alla scadenza dei Consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche di beneficenza e assitenza, già affidata dai singoli statuti al prefetto (n. 253). RISCOSSIONE. Generi di largo consumo • Disciplina • Infrazioni • Ingiunzione Agente con deposito • Vendita in nome proprio • Legittimazione passiva • Sussista (d.l. 24 luglio 1973, n. 427 -l. 4 agosto 1973, n. 496). Se nei confronti di una ingiunzione, emessa ai sensi del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (convertito con modificazioni in legge 4 agosto n. 496) per violazione della disciplina dei prezzi dei generi di largo consumo, possa ritenersi carente di legittimazione passiva l'agente con deposito esercente l'impresa in nome proprio, ma per conto altrui (n. 42). Generi di largo consumo -Disciplina • Infrazioni • Ingiunzione • Erroneo richiamo di norme-Irrilevanza (d.l. 24 luglio 1973, n. 427 l. 4 agosto 1973, n. 496). Se nel testo di una ingiunzione, emessa ai sensi del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (convertito con modificazioni in legge 4 agosto 1973, n. 496) per violazione della disciplina dei prezzi dei generi di largo consumo, sia rilevante l'errato richiamo ad uno piuttosto che ad a1tro articolo del testo di legge (n. 41). SANITARI Previdenza e assistenza · Compensi integrativi in favore del personale medico universitario non utili ai fini presidenziali ed assistenzali • Compatibilità nella base imponibile per il calcolo dei contributi (l. 25 marzo 1971, n; 213, art. 14 • l. 4 aprile 1952, n. 218, art. 15 • l. 6 dicembre 1966, n. 1077 • l. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 • l. 6 dicembre 1971, n. 1053, art. 4 -d.l. J• ottobre 1973, n. 580, art. 5). Se H compenso integrativo non utile ai fini previdenziali ed assistenziali previsto in favore dei sanitari universitari della legge 25 marzo 1971, n. 213 debba concorrere alla determinazione della base imponibile per il calcolo dei c'ontributi di assistenza e previdenza sociale (n. 14). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO SANZIONI AMMINISTRATIVE Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -Agente con. deposito -Vendita in nome proprio -Legittimazione passiva -Sussista (d.l. 24 ·luglio 1973, n. 427 -l. 4 agosto 1973, n. 496). Se nei confronti di una ingiunzione, emessa ai sensi del d.l. 24 luglio 1973, n; 427 (convertito con modificazioni in legge 4 agosto n. 496) per violazione della disciplina dei prezzi dei generi di largo consumÒ, possa ritenersi carente di legittimazione passiva l'agente con deposito esercente l'impresa in nome proprio, ma per conto altrui (n. 19). Generi di largo consumo -Disciplina -Infrazioni -Ingiunzione -Etroneo tichiamo di norme -Irrilevanza (d.l. 24 luglio 1973, n. 427 -l. 4 agosto 1973, n. 496). Se nel testo di una ingiunzione, emessa ai sensi del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (convertito con modificazioni in legge 4 agosto 1973, n. 496) per violazione deHa disciplina dei prezzi dei generi di largo consumo, sia rilevante l'errato richiamo ad uno piuttosto che ad altro articolo del testo di legge (n. 18). Violazione leggi finanziarie -Responsabilità del successore per atto tra vivi in un'azienda commerciale ed industriale per pene pecuniatie e sopratasse relative a violazioni anteriori alla successione -Limiti (art. 19 l. 7 gennaio 1929, n. 4). Se, per ~'estensione a carico del successore .per atto tra vivi in un'azienda commerciale o industriale della responsabilità per pene pecuniarie e sopratasse concernenti pregresse violazioni di leggi finanziarie, occorra che le medesime siano già state irrogate all'autore deUa violazione ovvero se sia sufficiente l'essere intervenuto, prima del trasferimento dell'azienda, H relativo verbale di accertamenti (n. 20). SOCIETA Società straniere -Riconoscibilità in Italia -Limitazioni (preleggi attt. 16, 17 e 31 -trattato .di commercio italo-svizzero 27 gennaio 1953 reso esecutivo con · r.d.l. ·15 febbraio 1923, n. 243 convertito con l. 16 dicembre 1923, n. 2934 esteso al Liechtenstein con scambio di note reso esecutivo con l. 24 dicembre 1928, n. 3488 -convenzione dell'Aia 1• giugno 1956 sul riconoscimento della personalità giuridica delle società, associazioni e fondazioni straniere). Se le « Anstelten » del Liechtenstein siano riconoscibili quali sqggetti di diritto dell'ordinamento giuridico italiano (n. 143). Società straniere -Violazione di norme valutarie -Nullità dei negozi soggetti alla normativa italiana (p. artt. 25 e 26 -c.c. art. 1418 -l. 8 ottobre 1976, n 689, ar~. 2, primo comma -l. 23 dic~mbre 1976, n. 863, art. 2). Se la fittizia intestazione di attività italiana a persone giuridiche straniere e enti esteri costituiti. da residenti a cui partecipino residenti in violazione della normativa valutaria, comporti la nullità dei negozi giuridici posti in essere da detti soggetti esteri quando detti negozi siano soggetti alla normativa italiana (n. 144). · PARm II, CONSULTAZIONI 193 SPESE GIUDIZIALI. Esenzione fissata -Spese di precetto -Ripetibilità -Limiti (artt. 95 e 481 c.p.c.). In quali limiti siano dovute dal debitore le spese di precetto, ed in par. tico1are se siano da pagare anche quelle del precetto divenuto inefficace per inutile d~orso dei novanta giorni di cui all'art. 481 c.p.c. (n. 36). Procedimento civile -Controversia di ·lavoro -Patrocinio delle parti non ablJienti -Spese anticipate dallo Stato per consulenza tecnica -Ripetibilità nei confronti della parte abbiente soccombente (l. 11 agosto 1973, n. 533, art. 14). . . Se l'azione di ripetizione nei confronti della parte abbiente soccombente .in controversia di lavoro debba estendersi alle spese anticipate dallo Stato per ·la difesa in giudizio della parte non abbiente. (Nella specie trattavasi delle spese anticip.ate al consulente tecnico d'ufficio) (n. 38). Procedimento· civile -Contr~versie di lavoro -Patrocinio delle parti non abbienti -Spese ed onorati liquidati in sentenza -Anticipazione da parte dello Stato (t. 11 agosto 1973, n. 533, art. 14). Se la rpubblica amministrazione sia tenuta ad anticipare al difensore delk parte non abbiente, ammessa al patrocinio a spese dello Stato in ~controversia di lavoro e risultata vittoriosa, l'ammontare degli onorari e dei diritti .liquidati in sentenza ovvero le sole spese vive sostenute (n. 37). STRADE Costruzione -Territorio comunale -Licenza edilizia -Esclusione (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 19, lett. a) -l. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 31 -l. 6 agosto 1967, n. 765, art. 10 -l. prov. Bolzano 23 giugno 1970, n. 20, art. 24). 'se per l'esecuzione di lavori stradali nei territori .di comuni delle province <li Trento e Bolzano l'A.N.AJS. sia tenuta a richiedere il. rilascio di licenza edilizia (n. 117). r. RASSEGNA DI DOTTRINA VINCENZO CAIANIELLO: Lineamenti del processo amministrativo, II ed., UtET, .1979. A distanza di quaJlche anno dail suo primo apparire, l'Opera, divenuta raJpi!damente introvabiìe nelle Hbrerie e si conferma fra le più interessanti e complete trattazioni della specifilca materia. L'espansione de1 processo amministrativo verso alcuni moduli deL giudizio ordinario -incrementata da,!We riforme del 1971 -hanno indotto l'Autore a mantenere inaLterata la sistematica già precedentemente adottata. Pertanto anche in questa edizione sono affrontati nelila prima parte del· FOpera, secondo H classico schema del diritto processuale, i prindpi e gli i·stituti fondamentali, ment·re nel>La seconda parte è svi!Luppata la trattazione del pxocesso nel suo svolgimento (presupposti processuali; processo di primo grado; processo di .secondo gno~do; esooilzione del giudicato; procediJmenti speciali). In riferimento a questa seconda parte deve sottolineavsi la vastità dell'inf( H1mazione dottrinaria e giurisprudenziale: al Lettore è data una panoramica pressoché cornrpleta tanto deHa dottrina più significativa, quanto deL travaglio g~urisprudenziale diretto a tradurre in certezze giuridiche le numerose zone della materia ancora incerte. In particolare ne risulta arnrplliata La trattazione del processo d'aP!Pcllo «che 1a giuri:spruden:lla, -sottoLinea l'Autore nehla prefazione -pur suUa base deHa :scarna normativa esistente, sta egregiamente ricostruendo al~a luce della teoria generale del procèsso ». SI>ecifilca menzione merita, poi, 1a prima parte deL trattato ove, fra l'altro iL .ponderoso tema dei raprporti fra la giurisdizione amrnirustrativ,a ed ii controlilo giurisdizionale dehle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è affrontato con grande originaLità e compiutezza. Ridisegnati ed approfonditi ne risuLtano La problematica deLl'oggetto del giudizio (atto-rapporto), la costruzione della teoria deH'interesse legittimo, le caratterilstiche del>1a giurisdizione amministrativa ed i suoi limiti interni ed esterni. Qui L'Autore rilprende un suo dilsco~so assai sug~gestivo e mo>lto contrastato arprparso poco ternrpo priJma di questa edizione su una nota rivista: il suo inserimento neLl'Opera ne comp:leta il signifÌ!Cato e l'originale prospettiva. In definitiva, dunque, L'esame di questa nuova edizione deL voLume consente di ribadire che altl'O!Pera in realtà è stato conferito un tagldo ed una dignità assai più importanti del fine meramente istituzionaLe ,dichiarato. CARLO CARBONE