ANNO XXVIII -N. 2 MARZO-APRILE 1976 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO 
DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


Pubblicazione bimestrale di servizio 

ROMA 

ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 

1976 



ABBONAMENTI 

ANNO L. 12.75.0 
UN NUMERO SEPARATO . . . .. . . . . . . . . . . . . . � 2.250 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

LIBRERIA DELLO STATO -BIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA 
e/e postale 1/2640 

Stampato in Italia � Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1960 


(6219041) Roma, 1976 -Istituto Poligrafico dello Stato P.V. 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari,� Michele DIPACE, Bologna; 
Giovanni CONTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; .Filippo CAPECE 
MINUTOLO DEL SASSO, Catanzaro; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco 
GUICCIARDI, Genova; Adriano RossI, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, 
Lecce; Giuseppe MINNITI, Messina; Marcello DELLA VALLE, Milano; Aldo 
ALABISO, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Pier Giorgio LIGNANI, Perugia; 
Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino,� Maurizio DE 
FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 


INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA 
del/'avv. Giuseppe 
COSTITUZIONALE 
Angelini-Rota) 
{a cura 
pag. 165 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
{a cura dell'avv. Arturo Marzano) . � 182 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI 
SDIZIONE {a cura del/'avv. Benedetto 
e del/'avv. Carlo Carbone) . 
GIURIBaccari 
� 209 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA 
cato Adriano Rossi) 
CIVILE 
. 
{a cura de/l'avvo
� 225 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
del/'avv. Ugo Gargiulo) . 
{a cura 
� 246 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Baf�le) . 
{a cura dell'av
� 257 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura del/'avv. Arturo 
Marzano, per gli appalti e del/'avv. Paolo Vittoria, 
per le acque pubbliche) � 280 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a 
lo Di Tarsia di Be/monte) . 
cura del/'avv. Pao
� 304 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE . pag. 17 
CONSULTAZIONI � 33 
NOTIZIARIO � 36 

La pubblicazione � dir�tta dall'avvocato: 

UGO GARGIULO 

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ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

FOGLIETTI F., In tema di opposizione ex art: 9 legge 3 maggio 1967, 

n. 317/1-2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 225 
MARZANO A., Decisione comunitaria sul certificato DD4 e norme 
di attuazione . . . . . . . . I, 182 
Celebrazione del centenario dell'Avvocatura dello Stato . Il, 36 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRIAMNISTIA 
E INDULTO 

CIT� 

-Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione 
dell'acqua -Causa naturale 
-Illecito di dipendente del concessionario 
-Non � tale, 295. 

-Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione 
dell'acqua -Per cause naturali 
-Rilevanza -Previo accertamento 
amministrativo della impossibilit� 
di adattare la derivazione Necessit� 
-Esclusione, 295. 

-Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione 
dell'acqua -Rilevanza Limiti, 
295. 

-Canoni -I.G.E. -Rivalsa -Competenza 
dei tribunali delle acque, 295. 

-Canoni -Natura patrimoniale -Soggezione 
all'I.G.E., 295. 

-Competenza e giurisdizione -Sentenza 
che regola la competenza Effetti 
-Fattispecie, 298. 

-Concessione e derivazione -Passaggio 
alla Valle d'Aosta -Concessioni 
non utilizzate al 7 settembre 1945 Accertamento 
-Natura costitutiva, 

284. 
-Concessione e derivazione -Passaggio 
alla Valle d'Aosta -Incidenza 
sul canone � Disciplina dei casi di 
cessazione -Applicabilit�, 284. 

-Corsi d'acqua -Accessione di golena 
al fondo limitrofo -Prova della non 
sommergibilit� -Onere, 298. 

- 
Giudizio e procedimento -Ricorso 
alle sezioni unite� della Corte di Cassazione 
-Termini � Rinvio mat�riale 
al cod. proc. civ. del 1865, 280. 

AMMINISTRAZIONE DELLO STATO 
E DEGLI ENTI PUBBLICI 

-Appalto -Divieto di intermediazione 
nella assunzione di mano d'opera Applicabilit�, 
213. 

-Reati finanziari -Limitazioni: della 
concessione -Legittimit� costituzionale, 
172. 

APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Prezzi 
-Immutabilit� -Revisione -Carattere 
di eccezione al principio della 
immutabilit� dei prezzi, 280. 

-Appalto di opere pubbliche -Prezzi 
-Revisione -Accordi con il direttore 
dei lavori -Approvazione -Necessit�, 
281. 
-Appalto di opere pubbliche -Prezzi 
-Revisione -Situazione soggettiva 
dell'appaltatore, 280. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

- 
Atti soggetti a ricorso amministra


. 
tivo � Avvertenza sul termine per 
ricorrere e sull'Autorit� sovraordinata 
-Mancanza -Irrilevanza sull'efficacia 
e validit� dell'atto, 255. 

-Comunicazione e notificazione -Notificazione 
-Norme applicabili -R.D. 

n. 642 del 1907 -Inosservanza -Irregolarit� 
della notificazione, 248. 
- 
Comunicazione e notificazione -Notificazione 
a soggetto non legittimato 
-Nullit� e non irregolarit�, 

249. 
-Eccesso di potere -Disparit� di trattamento 
-Attivit� vincolata -Inconfigurabilit� 
del vizio -Precedente� 
illegittimit� -Non autorizza a perseverare 
nell'errore, 250. 
- 
Motivazione -Obbligo -Attivit� vincolata 
-Insussistenza dell'obbligo, 

250. 
- 
Norme applicabili -Sono quelle vigenti 
alla data di emanazione, 253. 

CACCIA E PESCA 

-In genere -Acque pubbliche -Divieto 
di immissione di rifiuto senza 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

autorizzazione -Interpretazione della 
disposizione e sua ratio -Acque 
pubbliche -Acque marine -Sono 
tali, 305. 

-Pesca -Inquinamento di acque Divieto 
-Destinatari della norma Sono 
tutti coloro che immettono nelle 
acque sostanze inquinanti, e non 
solo i pescatori, 304. 

-Pesca -Inquinamento di acque Divieto 
-Reato di mera condotta. Prova 
del danno arrecato alla fauna 
ittica -Irrilevanza, 304. 

CIRCOLAZIONE STRADALE 

-Depenalizzazione -Opposizione al1'
ordinanza intendentizia -Oggetto 
dell'opposizione, con nota di F. FOGLIETTI, 
225. 

-Depenalizzazione -Opposizione all'ordinanza 
prefettizia -Abilitazione 
del Prefetto a stare in giudizio Necessit� 
di delega ministeriale Esclusione, 
con nota di F. FOGLIETTI, 

225. 
COMPETENZA E GIURISDIZIONE 

-Enti Pubblici -Appalto -Assunta 
in"termediazione nella assunzione di 
mano d'opera -Fattispecie (in tema 
di lavori di pulizia) -Giurisdizione 
del giudice ordinario, 213. 

-Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. Giurisdizione 
del giildice generale di 
legittimit� -Dipendenti della Corte 
dei Conti -Giurisdizione . delle Sezioni 
Riunite, 214. 

-Sicilia -Bellezze naturali -Decreto 
presidenziale decisorio di gravame 
gerarchico contro atto della Sopraintendenza 
-Competenza Csi. -Conseguenza 
-Difetto di competenza 
dell'Ap. a risolvere contrasti di giurisprudenza, 
247. 

-Ufficiali giudiziari -Contestazioni con 
l'ufficio del registro circa la entit� 
dei proventi da versare allo Stato Provvedimento 
decisorio del capo 
dell'ufficio giudiziario -Natura giurisdizionale 
-Effetti, 209. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Responsabilit� per atto normativo Domanda 
volta ad ottenere la resti


tuzione di somme che si assumano 
versate in base a disposizioni comunitarie 
illegittime -Competenza del 
giudice nazionale, 187. 

-Unione doganale -Restrizioni quantitative 
-Abolizione -Monopoli na� 
zionali -Riordinamento -Art. 37, 

n. l, del trattato C.E.E. -Efficacia 
diretta -Decorrenza, con nota di 
I. M. BRAGUGLIA, 199. 
-Unione doganale -Restrizioni quantitative 
-Abolizione -Monopoli nazionali 
-Riordinamento -Diritti 
esclusivi di importazione -Abolizione 
-Termine, con nota di I. M. BRAGUGLIA, 
199. 

-Unione doganale -Scambi intracomunitari 
-Trattamento comunitario 
-Necessit� del certificato DD4 -
Inopponibilit� da parte dello Stato 
membro che non abbia adottato ancora 
provvedimenti per la concreta 
attuazione della decisione istitutiva 
del certificato, con nota di A. MARZANO, 
182. 

-Unione doganale -Termini stabiliti 
dal trattato C.E.E. -Provvedimenti 
delle Istituzioni comunitarie -Effetti 
nei confronti dei singoli, con nota 
di I. M. BRAGUGLIA, 199. 

CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI 

-Tra Stato e Regioni -Passaggio di 
beni dallo Stato alle Regioni -Momento 
-Determinazione -Rilevanza 
per la soluzione del conflitto -Competenza 
della Corte Costituzionale, 

284. 
- 
Tra Stato e Regione autonpma Valle 
d'Aosta -In materia di acque pubbliche 
-Inconfigurabilit�, 284. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Trentino-Alto Adige -Normativa statale 
precedente alla attribuzione di 
competenza alla Provincia di Bolzano 
-Impugnativa da parte della 
Provincia -Difetto di interesse, 166. 

CORTE DEI CONTI 

- 
Dipendenti -Indennit� buonuscita 

E.N.P.A.S. -Tredicesima mensilit� Va 
compresa nel calcolo, 214. 

INDICE 
IX 

-Giurisdizione (domestica) delle Sezioni 
Riunite -Impugnazione di atto 
di Ente diverso dalla Corte � Sussiste, 
214. 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 

-Amnistia e indulto -Corte costituzionale 
-Lavoro � Pensioni � Prescrizione 
� Previdenza e assistenza � 
Trentino-Alto Adige. 

DANNI 

-Illecito -Morte dell'impiegato � Pregiudizio 
economico � Sviluppo della 
carriera � Ammissibilit�, 237. 

-Illecito � Pregiudizio economico � 
Maggiore indennit� di liquidazione � 
Ammissibilit�, 238. 

-Illecito � Pregiudizio economico � 
Nozione, 237. 

DEMANIO E PATRIMONIO 

-Demanio storico e artistico � Bellezze 
naturali � Dichiarazione di notevole 
interesse � Notificazione � Irregolarit� 
-Conseguenze, 248. 

-Demanio storico e artistico � Bellezze 
naturali � Notificazione di notevole 
interesse � Notificazione -Cognizione 
legale � Necessaria -Conoscenza 
effettiva � Irrilevanza, 249. 

-Demanio storico e artistico -Pronunzia 
della Commissione prevista 
dall'art. 31 della -legge n. 1089 del 
1939 � Natura, 241. 

-Patrimonio indisponibile -Opera 
appartenente ad Ente pubblico � � 
tale -Accessione -Inconfigurabi)it�, 

252. 
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Espropriazione � Decreto di espropriazione 
� In sanatoria � Dopo la 
scadenza del termine di occupazione 
d'urgenza � Legittimit�, 252. 

- 
Espropriazione -Dichiarazione di 

p.u. -Legittimit� � Pendenza di giudizio 
civile � Irrilevanza, 252. 
- 
Espropriazione -Impianto sportivo � 
Disciplina � R.D.L. n. 302 del 1939 � 
Abrogazione ex 1. n. 865 del 1971, 

252. 
-Espropriazione � Indennit� � Determinazione 
� Possibilit� di applicazione 
di pi� norme -Preferenza a 
quella che consente trattamento pi� 
uniforme, 252. 

-Espropriazione � Termini -Espropriazione 
in sanatoria � Indicazione 
dei termini � Non occorre, 252. 

-Espropriazione -Termini -Scadenza 
-Nuova dichiarazione di p.u. Necessit� 
-Opera completamente 
eseguita � Irrilevanza, 252. 

-Occupazione illegittima � Interessi 
legali � Scadenza � Anatocismo � 
Limiti, 240. 

-Opere pubbliche comunali previste 
dalla legge n. 517 del 1945 -Giudizi 
di risarcimento dei danni derivanti 
da occupazione illegittima -Legittimazione 
passiva � Spetta allo Stato 
e non all'Ente locale, 245. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Interesse all'impugnazione � In tema 
di pubblico impiego � Modificazioni 
di stato giuridico -Da parte di nuovo 
regolamento � Interesse all'impugnazione 
-Sussiste, 251. 

-Procedimento giurisdizionale -Rappresentanza 
in giudizio� E.N.P.A.S. � 
difeso per legge dall'Avvocatura 
dello Stato � Mandato � Non occorre, 

248. 
-Ricorso giurisdizionale -Atto impugnabile 
o no � Atto di controllo Atto 
negativo su deliberazione di 
Ente pubblico -� impugnabile, 251. 

-Sentenze T.A.R. � Appello � Poteri 
del C.d.S. -Correzione della motivazione 
� Ammissibilit�, 252. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Collocamento a riposo � Competenza 
-Provvedimenti positivi o negativi 
-Competenza del Dirigente generale 
capo del personale, 254. 

-Collocamento a riposo � Esodo volontario 
� Dirigenti � Diritto -Personale 
tecnico � Art. 67 quinto comma 
D.P.R. n. 748 del 1972 -Contrasto 
con l'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza, 
255. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

-Collocamento a riposo -Esodo volontario 
-Dirigenti -Diritto -Personale 
tecnico -Art. 67 quinto comma 
D.P.R. n. 748 del 1972 -Criterio 
di applicazione -Ex combattente 
ed assimilato -Combinazione con 
la 1. n. 336 del 1970 -Limite, 255. 

-Collocamento a riposo -Esodo volontario 
-Dirigenti statali -Art. 67 

D.P.R. n. 748 del 1972 -Dipendenti 
non cessati dal servizio ma passati 
alle Regioni -Inapplicabilit� del beneficio, 
250. 
-Dipendenti C.N.R. -Norme applicabili 
-D.P.R. n. 748 del 1972 -Applicabilit� 
solo al Segretario generale, 
251. 

- 
Dipendenti Enti pubblici -Norme 
sulla dirigenza statale -D.P.R. n. 748 
del 1972 -Inapplicabilit� -Diniego 
di approvazione tutoria della deliberazione 
di estensione -Legittimit�, 

251. 
- 
Dipendenti regionali -Trasferimento 
di dipendenti statali -Artt. 67 e 68 

D.P.R. n. 748 del 1972 e artt. 10, 11 
e 12 D.P.R. n. 6 del 1972 -Contrasto 
con gli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 
Cost. -Manifesta infondatezza, 250. 
- 
Infermit� e lesioni -Assistenza 

E.N.P.A.S. -Prestazioni -Decisione 
del Consiglio di amministrazione su 
ricorso gerarchico -Difetto di .motivazione 
-Illegittimit�, 248. 
IMPOSTA DI REGISTRO 

-Agevolazione per l'agricoltura -Ac� 
quisto di terreni allo scopo di ese� 
guirvi opere di valorizzazione -Necessit� 
che fo opere siano eseguite 
sullo stesso terreno acquistato -Ese� 
cuzione delle opere su diverso terreno 
gi� di propriet� dell'acquirente 
� Esclusione dell'agevolazione, 

279. 
-Prescrizione -Consolidazione crite� 
rio di tassazione -Accertamento e 
concordato -Interrompono la prescrizione 
solo a vantaggio dell'amministrazione 
-Decorrenza del termine 
dalla data della registrazione 
non dalla data del pagamento dell'imposta, 
257. 

- 
Riscossione ad aggio o premio di 
bollette dell'energia elettrica -� soggetta 
all'imposta dell'art. SO tariffa A 

r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 -Applicabilit� 
dell'imposta dell'art. 52 Esclusione, 
272. 
IMPOSTA GENERALE SULL'EN� 
TRATA 

-Importazione -Presupposto -Pas� 
saggio dalla linea doganale -� sufficiente 
-Trasferimento di merci da 
una filiale alla sede principale -Irrilevanza, 
259. 

IMPOSTE DOGANALI 

-Diritti amministrativi e diritti di 
statistica -Importazione da territori 
a regime di deposito franco Sono 
dovuti -Abolizione a seguit� 
di direttive C.E.E. -Esclusione, 260. 

-Regime di deposito franco e deposito 
franco -Nozione e distinzioni Hanno 
carattere di extraterritorialit� 
� Introduzione di merci da essi 
in Italia -D� luogo a passaggio del� 
la linea doganale, 259. 

- 
Tariffa -D.P.R. 21 dicembre 1961, 

n. 1339 -Ha valore di legge dele� 
gata -Criterio di onnicomprensivit� 
della tariffa per giudizio di assimilazione 
-Sussiste, 259. 
IMPOSTE E TASSE IN GENERE 

-Agevolazione per le zone terremo� 
tate del Belice -Comprende �nche 
le imposte indirette, 269. 

-Interpretazione della norma tributaria 
di agevolazione -Interpreta� 
zione estensiva -Criteri e limiti, 279. 

LAVORO 

-Controversie di lavoro della gente 
del mare -Applicabilit� del rito del 
lavoro, 166. 

-Lavoro domestico -Indennit� di licenziamento 
-Criteri di liquidazio� 
ne -Legittimit� costituzionale, 165. 

-Rito speciale del lavoro -Applicabilit� 
ai rapporti di agenzia che si 
concretino in prestazioni prevalentemente 
personali -Inapplicabilit� 
alle societ� aventi per oggetto il 
disbrigo di affari di agenzia -Illegittimit� 
costituzionale -Esclusione, 

174. 

INDICE XI 

LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI 

-Leggi -Interpretazione -Interpretazione 
estensiva -Nozione, 305. 

OPERE PUBBLICHE 

-Stadio comunale -Costruzione � 
Norme applicabili -L. n. 865 del 
1971 -Applicabilit�, 252. 

PENSIONI 

-Pensioni di guerra -Giudizio dinanzi 
alla Corte dei Conti -Estinzione del 
giudizio interrotto per mancata riassunzione 
nei termini -Pronuncia in 
camera di consiglio su istanza del 
procuratore generale non notificata 
agli eredi del ricorrente -Illegittimit� 
costituzionale, 180. 

-Pensioni di guerra -Giudizio dinanzi 
alla Corte dei Conti -Termine per 
la riassunzione del processo interrotto 
-Decorrenza dalla morte del 
ricorrente -Illegittimit� costituzionale, 
179. 

PRESCRIZIONE 

-Sospensione della prescnz1one fra 
coniugi legalmente separati -Legittimit� 
costituzionale, 178. 

PREVIDENZA E ASSISTENZA 

-Pensioni di previdenza sociale -Parziale 
divieto di cumulo con la retribuzione 
-Legittimit� costituzionale, 

168. 
PROCEDIMENTO CIVILE 

-Intervento -Intervento adesivo dipendente 
-Nozione -Applicazioni 
in tema di giudizio di esproprio 
nelle zone industriali di Napoli, 244. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Responsabilit� della p.a. per danni 
arrecati a terzi dai propri dipendenti 
-Responsabilit� diretta -Criteri 
dell'imputazione -Nessi di occasionalit� 
necessaria tra l'attivit� del 
dipendente e le incombenze affidate Abuso 
di potere strumentalmente 
connesso con i fini istituzionali dell'Ente 
-Riferibilit� dell'evento dannoso 
alla p.a. -Sussiste, con nota 
di C. LAMBERTI, 233. 

TRENTINO-ALTO ADIGE 

-Provincia di Bolzano -Associazioni Potere 
del Ministero dell'Interno di 
vietare l'uso in pubblico di uniformi 
-Violazione delle garanzie costi� 
tuzionali e della competenza statutaria 
della Provincia di Bolzano 
Insussistenza, 165. 

-Provincia di Bolzano -I.N.V.IM. 
Esenzione per gli immobili locati 
per lo svolgimento di attivit� culturali, 
ricreative, sportive, educative 

o sindacali da parte di circoli ade.
renti alle organizzazioni nazionali 
legalmente riconosciute -Violazione 
del principio di tutela delle minoranze 
linguistiche tedesca e latina Insussistenza, 
175. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1967, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 
19 febbraio 1976, 

n. 26 
n. 27 
n. 28 
n. 29 
n. 30 
n. 32 
n. 33 
n. 34 
n. 35 
n. 36 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

18 novembre 1975, nella causa 30/75 
27 gennaio 1976, nella causa 46/75 
3 febbraio 1976, nella causa 59/75 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 11 novembre 1974, n. 3497 
Sez. I, 5 gennaio 1976, n. 9 
Sez. III, 24 gennaio 1976, n. 227 
Sez. I, 29 gennaio 1976, n. 273 
Sez. Un., 2 febbraio 1976, n. 323 
Sez. Un., 3 febbraio 1976, n. 356 
Sez. III, 6 febbraio 1976, n. 421 
Sez. I, 9 febbraio 1976, n. 427 
Sez. I, 11 febbraio 1976, n. 447 
Sez. I, 17 febbraio 1976, n. 514 
Sez. I, 19 febbraio 1976, n. 545 

Sez. Un., 21 febbraio 
Sez. Un., 24 febbraio 
Sez. I, 6 marzo 1976, 
Sez. I, 6 marzo 1976, 
Sez. I, 6 marzo 1976, 


1976, n. 576 
1976, n. 597 

n. 755 
n. 759 
n. 760 
pag. 165 
)) 165 
)) 166 
)) 166 
)) 168 
)) 172 
)) 174 
)) 175 
)) 178 
)) 179 

pag. 182 
)) 187 
)) 199 

pag. 225 
)) 257 
)) 233 
)) 259 
)) 209 
)) 213 
)) 237 
)) 269 
)) 240 
)) 241 
)) 272 
)) 280 
)) 244 
)) 279 
)) 245 
)) 280 



INDICE XIII 

CORTE DEI CONTI 

Sezioni Riunite, 25 febbraio 1976, n. 63 . . . . . . . . . . . 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 

11 giugno 1975, n. 13 
8 novembre 1975, n. 23 
14 febbraio 1976, n. 3 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. plen., 4 dicembre 1975, n. 10 
Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1195 
Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1197 
Sez. IV, 16 dicembre 1975, n. 1250 
Sez. IV, 19 dicembre 1975, n. 1325 
Sez. IV, 19 dicembre 1975, n. 1327 
Sez. VI, 12 dicembre ,1975, n. 693 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. VI, 12 marzo 1974, n. 533 
Sez. Ili, ud. 29 aprile 1974, n. 778 

pag. 214 

pag. 284 
� 295 
� 298 

pag. 247 
� 248 
� 248 
� 250 
� 251 
� 252 
� 254 

pag. 304 
� 305 


PARTE SECONDA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLE CONSULTAZIONI 


�CQUE PUBBLICHE 

-Acque pubbliche � Concessione di 
derivazioni a scopo idroelettrico � 
Immobili e beni inerenti la concessione 
� Esecuzione forzata a danno 
del concessionario, 33. 

-Acque pubbliche � Concessione di 
derivazione a scopo idroelettrico � 
Immobili e beni inerenti la concessione 
� Esecuzione forzata � Vendita 
all'asta � Acquirente � Trasferimento 
della concessione � Nulla osta della 
P.A., 33. 

AGRICOLTURA E FORESTE 

-Agricoltura e foreste -Violazione a 
norme di tutela del patrimonio forestale 
-Depenalizzazione, 33. 

APPALTO 

-Appalti di opere pubbliche � Revisione 
prezzi contrattuali � Clausola 
di esclusione della revisione � Ius 
superveniens, 33. 

-Appalti di opere pubbliche � Revisione 
prezzi contrattuali � Ricorso 
amministrativo -Silenzio rigetto � 
Condizioni, 34. 

CIRCOLAZIONE STRADALE 

-Circolazione stradale � Scontro tra 
veicoli � Impianti semaforici � Inefficienza 
� Responsabilit� civile, 34. 

ELETTRICITA ELETTRODOTTI 

-Acque pubbliche � Concessione di 
grande derivazione � Scadenza, decadenza 
e rinuncia della concessio


ne -Opere di raccolta, regolazione 
e derivazione � Trasferimento all'ENEL, 
34. 

-Acque pubbliche � Concessione di 
grande derivazione � Scadenza, decadenza 
o rinuncia � ENEL � Domanda 
di concessione per scopi 
idroelettrici � Istruttoria, 34. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Ufficio Italiano dei Cambi � Dipendenti 
-Collocamento a riposo per 
limiti di et� � Indennit� sostitutiva 
del preavviso � Determinazione, 35. 

IMPOSTA DI REGISTRO 

-Imposta di registro -Condono � 
Controversia pendente -Giudicato � 
Successiva domanda di condono � 
Effetti, 35. 

IMPOSTE DIRETTE 

-Imposte dirette � Reati finanziari Dichiarazione 
unica dei redditi � Presentazione 
tempestiva ad Ufficio delle 
Imposte territorialmente incompetente 
-Mancata trasmissione all'ufficio 
competente -Effetti, 35. 

REATI FINANZIARI 

-Imposte dirette � Reati finanziari � 
Dichiarazione unica dei redditi � Presentazione 
tempestiva ad Ufficio delle 
Imposte territorialmente incompetente 
� Mancata trasmissione all'ufficio 
competente � Effetti, 35. 


INDICE xv 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I -Norme dichiarate incostituzionali 
II -Questioni dichiarate non fondate 
III -Questioni proposte . 
NOTIZIARIO 
pag. 
)) 
)) 
)) 
17 
17 
19 
37 


GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (*) 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 26 -Pres. Oggioni -Rel. 
Capalozza -Provincia di Bolzano (avv. Coronas) c. Presidente Consiglio 
dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). 

Trentino-Alto Adige � Provincia di Bolzano � Associazioni � Potere del Mini� 
stero dell'Interno di vietare l'uso in pubblico di uniformi � Violazione 
delle garanzie costituzionali e della competenza statutaria della Provincia 
di Bolzano � Insussistenza. 

(!. cost. 10 novembre 1971, n. 1, artt. 2, 5 e 51; d. I. 14 febbraio 1948, n. 43, artt. 3 e 2). 

Il potere che l'art. 3 del d.l. 14 febbraio 1948 n. 43 attribuisce al Ministero 
dell'Interno di vietare per un tempo determinato l'uso in pubblico 
di uniformi o di divise da parte di associazioni od organizzazioni di 
qualsiasi natura, non viola le garanzie costituzionali e la competenza 
statutaria della Provincia di Bolzano, dato che avverso il relativo provvedimento 
� possibile l'esercizio dei normali mezzi di garanzia amministrativa 
e giurisdizionale. 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 27 -Pres. Oggioni � Rel. 
Amadei -Spella (n. c.) c. Caneschi (n. c.). 

Lavoro � Lavoro domestico � Indennit� di licenziamento � Criteri di liqui� 
dazione . Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 1, primo comma, e 36, primo comma; I. 2 aprile 1958, n. 339, artt. 1 e 17 
lett. b). 

Le disposizioni della legge 2 aprile 1958, n. 339 che non consentono, 
ai fini della liquidazione della indennit� di licenziamento dei lavoratori 
domestici, il cumulo delle prestazioni svolte presso datori di lavoro diversi, 
non violano gli articoli 1 e 36 della Costituzione, in quanto ogni 
singolo datore di lavoro non pu� essere gravato delle conseguenze della 
opera prestata dal dipendente anche a favore di altro datore di lavoro (1). 

(1) Sulle particolari caratteristiche del rapporto di lavoro domestico cfr. 
la precedente sentenza 13 febbraio 1974, .n. 27 (in questa Rassegna 1974, 
1, 517). 

(*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato 
l'avv. F. FAVARA. 



166 AASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 28 -Pres. Oggioni -Rel. 
Reale -Provincia di Bolzano (avv. Coronas) c. Presidente Consiglio 
dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). 

Corte Costituzionale � Trentino-Alto Adige � Normativa statale precedente 
alla attribuzione di competenza alla Provincia di Bolzano . Impugnativa 
da parte della Provincia � Difetto di interesse. 

(l. cost. 10 novembre 1971, n. 1, art. 5 n. 28; I. luglio 1967, n. 641). 
Le Regioni e le Provincie ad autonomia speciale, per rimuovere dalle 
materie attribuite alla loro potest� legislativa le preesistenti leggi statali 
che eccedono dai limiti imposti alla competenza del legislatore nazionale 
in virt� di norme di rango costituzionale emanate in epoca successiva 
all'entrata in vigore di quelle leggi, non hanno interesse a proporre ricorso 
al fine di ottenerne la declaratoria di illegittimit� costituzionale, 
perch� possono sostiturle con proprie leggi, nell'ambito della propria 
competenza e nel rispetto dei limiti prefissati a tale attivit�, il risultato 
della quale � soggetto al sindacato della Corte Costituzionale (1). 

(1) Cfr. Corte Cost. 23 gennaio 1974, n. 13, in questa Rassegna 1974, 1, 
299. Lo stesso principio � stato affermato dalla successiva sentenza 19 febbraio 
1976, n. 31, fra le stesse parti. 
CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 29 -Pres. Oggioni -Rel. 
Gionfrida -Ursino ed altri (n. c.) c. Compagnia piloti di Augusta � 

(n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato 
Zagari). 
Lavoro � Controversie di lavoro della gente del mare � Applicabilit� del 
rito del lavoro. 

(Cost., art. 3, primo comma; c. p. c., art. 409; c. nav., art. 603). 

La norma dell'art. 409 c.p.c., nella formulazione dettata dall'art. 1 
della legge 11 agosto 1973, n. 553, � applicabile anche nei confronti dei 
dipendenti del settore nautico, dato che tale riforma del 1973 ha importato 
l'abrogazione tacita per incompatibilit� dell'art. 603 cod. navigazione 
e delle norme ad esso collegate. 

(Omissis). -Nel formulare l'indicato quesito di costituzionalit�, il 
giudice a quo muove dalla premessa che, anche dopo l'entrata in vigore 
della legge 533 del 1973 citata, le controversie di lavoro della gente del 
mare restino disciplinate dagli artt. 603 e norme collegate del codice 
della navigazione. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ci� per la ragione -esposta nella motivazione dell'ordinanza di 
rinvio -che, essendo il diritto della navigazione diritto � speciale ed 
autonomo >>, le relative norme non potrebbero essere derogate da una 
legge di carattere generale, ancorch� sopravvenuta, che non ne preveda 
espressamente l'abrogazione. 

Ora, � anzitutto da rilevare che anche se la novella del 1973 (nell'articolo 
409, che delimita l'ambiente della nuova procedura e nell'art. 413 
che attribuisce al pretore la competenza esclusiva, in primo grado, in 
funzione di giudice del lavoro) effettivamente non fa espressa menzione 
delle controversie di lavoro nautico; e anche se � indiscutibile il carattere 
speciale delle norme del codice della navigazione che quelle stesse 
controversie contemplano, non per questo pu�, a priori, escludersi la 
eventualit� dell'abrogazione, in forma tacita, delle norme speciali succitate 
ad opera della legge di riforma successiva. 

Nell'ipotesi di successione di una legge generale ad una legge speciale, 
non � vera in assoluto la massima che lex posterior generalis non 
derogat priori speciali: giacch� i limiti del detto princ�pio vanno, in effetti, 
di volta in volta, sempre verificati alla stregua dell'intenzione del 
legislatore. 

E non � escluso che in concreto l'interpretazione della voluntas legis, 
da cui dipende la soluzione dell'indicato problema di successione di 
norme, evidenzia una latitudine della legge generale posteriore, tale da 
non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali: che restano, 
in tal modo, tacitamente abrogate. 

La Corte ritiene che ci� appunto ricorra nella specie. 

L'attribuzione al pretore della competenza a conoscere, in via generale 
ed esclusiva, le controversie del lavoro, con nuovi strumenti ispirati 
a princ�pi di oralit�, concentrazione ed immediatezza, costituisce, infatti, 
l'elemento qualificante della riforma del '73; il suo puntb cardine, volto 
-nella dichiarata intenzione del legislatore -a sintonizzare con i precetti 
costituzionali di cui agli artt. 3 cpv. e 24 della Costituzione la disciplina 
processuale di tutte le vertenze individuali di lavoro, che abbiano 
come elemento comune la subordinazione socio-economica di una delle 
parti del rapporto sostanziale. 

Con il sistema cos� radicalmente innovato, la regolamentazione delle 
controversie di lavoro marittim�, quale risalente alle norme del codice 
della navigazione, non ha possibilit� alcuna di coordinamento. 

E, pertanto, non vi ha dubbio che proprio tale incompatibilit� de� 
termini l'abrogazione, tacita, delle disposizioni del codice della navigazione 
menzionate, da parte della sopravvenuta legge 533 del 1973. 

Tanto pi� che -come � stato notato anche dalla Corte di cassazione 
(che nell'interpretazione dell'art. 409 cod. proc. civ. citato, � pervenuta 
ad analoghe conclusioni, circa la sua portata generale e l'effetto abro



168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gativo delle precedenti disposizioni incompatibili anche di carattere speciale) 
-non si comprenderebbe la ragione del mantenimento, da parte 
del legislatore, della competenza speciale del comandante di porto (sospetta, 
anche nella materia civile, di essere affetta dagli stessi vizi di 
illegittimit�, che gi� hanno. condotto alla declaratoria di incostituzionalit� 
dell'analoga giurisdizione penale: cfr. sentenza di questa Corte n. 121 
del 1970); ed incomprensibile sarebbe, altres�, la ragione della perpetuazione, 
nelle controversie di lavoro nautico di valore superiore, delle soppresse 
attribuzioni del tribunale e (in secondo grado) della Corte di appello, 
implicanti gravi problemi attinenti, non soltanto alla organizzazione 
degli uffici, ma anche al coordinamento della norma di rinvio dell'art. 
609 del codice della navigazione con quelle richiamate dal codice 
di procedura civile, ora sostituite dalla legge 533 del 1973. 

Per il complesso delle ragioni innanzi esposte deve, quindi, concludersi 
che la legge 1973 n. 533 pi�� volte citata ha tacitamente abrogato 
l'art. 603 e norme collegate del codice della navigazione: per cui anche 
le controversie di lavoro della gente del mare rientrano nella esclusiva 
competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro: restando, nel 
contempo, soggette alla disciplina generale sul nuovo rito del lavoro. 

Escluso, per tale via, che sussista la prospettata disparit� di trattamento 
tra lavoratori marittimi ed altri dipendenti, resta, conseguente� 
mente, cos� dimostrata la non fondatezza della questione di costituzio� 
nalit�, dell'art. 409 cod. proc. civ. citato, sotto tale profilo sollevata. 


(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 30 � Pres. Oggioni � Rel. 
Rossi -De Corato (avv. Coronas) e Grenzi Nives (avv. Federici) c. 

I.N.P.S. (avv. Rossi Doria). 
Previdenza e assistenza -Pensioni di previdenza sociale � Parziale divieto 
di cumulo con la retribuzione -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 4, 35, 36 e 38; I. 30 aprile 1969, n. 153, art. 20). 

Non contrasta con gli articoli 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione 
l'art. 20 della l. 30 aprile 1969, n. 153 nella parte in cui vieta il cumulo 
con la retribuzione da lavoro subordinato delle quote di pensione di 
vecchiaia eccedenti il trattamento minimo, nella misura del 50 per cento 
del loro ammontare e con il massimale di L. 100.000 mensili (1). 

(1) La sentenza 22 dicembre 1969, n. 155 richiamata in motivazione � 
pubblicata in questa Rassegna 1969, 1, 1027. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(Omissis). -2. -La Corte costituzionale deve decidere se l'art. 20 
<I.ella legge 30 aprile 1969, n. 153 -nella parte in cui vieta il cumulo 
con .la retribuzione da lavoro subordinato delle quote di pensione di 
vecchiaia eccedenti il trattamento minimo, nella misura del 50 per cento 
<lel loro ammontare e� con il massimale di lire 100.000 mensili -contrasti 
o meno con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione per i dubbi: 
a) che la retr~buzione sia diminuita per ragioni estranee alla quantit� 
�e qualit� del lavoro prestato (art. 36 Cost.); b) che sia posta un'alterna


tiva tra diritto alla pensione e diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.); e) che 
si verifichi un'illegittima disparit� di trattamento nei confronti dei pensionati 
esclusi dal divieto di cumulo (gi� dipendenti dello Stato, di Enti 
pubblici, ed altri a carico delle gestioni speciali dell'I.N.P.S. o, comun
�que, esplicanti attivit� professionali o commerciali); d) che sia impedito 
il pieno godimento del diritto alla prestazione di adeguati mezzi di vita 
in caso di vecchiaia (art. 38 Cost.); e) che sia sacrificato un diritto intangibile 
del lavoratore, nell'ipotesi in cui l'importo di centomila lire mensili 
sia inferiore alla rendita risultante dai contributi effettivamente versati 
(artt. 3 e 36 Cost.). 

3. -Le questioni non sono fondate. 
Va innanzitutto rilevato che la retribuzione non subisce, in realt�, 
alcuna riduzione per effetto dell'impugnato parziale divieto di cumulo. 
Questo colpisce oggettivamente la pensione, determinando una riduzione, 
anche se il legislatore, a fini di semplificazione contabile, ha creato un 
meccanismo per effetto del quale la pensione viene corrisposta per 
intero mentre la retribuzione viene decurtata di una trattenuta corrispondente 
alla quota di pensione non cumulabile. Il datore di lavoro 
restituisce all'I.N.P.S. la trattenuta operata, e l'Istituto viene cos� compensato 
di quanto avrebbe diritto a ritenere sulla pensione. Il sistema 
vigente, adottato allo scopo di evitare riliquidazione delle pensioni e continui 
conteggi, realizzando economia di lavoro e risparmio di tempo, risponde, 
sotto il profilo contabile, anche all'interesse del pensionato, che 
altrimenti dovrebbe sopportare la sospensione della pensione ad ogni 
�cambiamento della posizione assicurativa. 

Non sussiste pertanto la denunciata diminuzione della retribuzione 
per ragioni estranee alla quantit� e qualit� del lavoro prestato (art. 36 
Cost.). 

4. -N� risultano violati gli artt. 4 e 35 della Costituzione. Come 
.questa Corte ha gi� osservato, il riconoscimento del diritto al lavoro 
..e la tutela del lavoro non sono lesi dal divieto di cumulo, non potendo 
.costituire ostacolo effettivo all'attivit� lavorativa la circostanza che il 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pensionato di vecchiaia non goda per intero di due diversi trattamenti, 
quello di lavoro e quello pensionistico (sentenza n. 155 del 1969). 

5. -Per quanto attiene alla prospettata violazione del principio 
d'eguaglianza, va rilevato che secondo la costante giurisprudenza di questa 
Corte esso � invocabile soltanto sul presupposto di situazioni tra 
loro omogenee, che altrimenti la diversit� di disciplina non lede l'art. 3. 
della Costituzione. 
In applicazione di tale orientamento, la Corte costituzionale ha gi� 
precisato, con la sentenza n. 155 del 1969, in riferimento alle stesse ipotesi 
oggi nuovamente denunciate, che le differenti condizioni soggettive ed 
oggettive degli iscritti all'as~icurazione generale contro la vecchiaia rispetto 
a quelle proprie dei pensionati dello Stato, degli altri enti pubblici 
e degli stessi lavoratori soggetti alle gestioni speciali dell'I.N.P.S., 
escludono la violazione del principio d'eguaglianza. Vengono� in rilievo,. 
tra l'altro, il diverso regime di formazione della pensione, la differente 
et� di pensionamento, la possibilit�, soltanto per taluni, della riliquidazione 
della pensione per effetto dell'ulteriore opera prestata. N� � comparabile 
con le situazioni considerate quella del pensionato che cumula 
con la pensione altri redditi personali, di varia natura, mancando in 
radice il termine di raffronto che potrebbe consentirne una valutazione 
complessiva in relazione all'invocato art. 3 della Costituzione. 

6. -Neppure � violato il diritto alla prestazione di adeguati mezzi 
di vita in caso di vecchiaia per effetto del denunciato divieto di cumulo. 
� stato osservato da questa Corte, nella citata sentenza del 1969, che 
la pensione assolve ad una funzione previdenziale, inserendosi nel sistema 
di sicurezza sociale delineato dall'art. 38 della Costituzione. Essa sopperisce 
al rischio del lavoratore di perdere o di diminuire il proprio 
guadagno, mancando dei mezzi di sussistenza, quando, con il venir meno 
delle forze per vecchiaia, non � pi� in grado di lavorare. 
Se �il pensionato, dimostrando di possedere ancora sufficienti energie, 
continua a lavorare, pone in essere una condotta che, da un lato,. 
pu� avere rilievo ai fini di una riliquidazione della pensione, dall'altro 
consente al legislatore di tener conto del conseguente guadagno e della 
diminuzione del suo stato di bisogno. 

Non contrasta quindi con l'art. 38 Cost. la riduzione del trattamento 
pel;lsionistico a carico di chi, continuando a lavorare, percepisce 
anche una retribuzione. 

7. -Non sussiste infine la violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione, 
prospettabile nei confronti dei titolari delle pensioni pi� elevate 
per il dubbio che l'importo di lire centomila mensili, loro assicurato, sia 

l?l .

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

inferiore alla rendita del capitale accantonato mediante il versamento 
dei contributi. 

Occorre in primo luogo considerare che con la riforma del sistema 
pensionistico la pensione di vecchiaia ha perso l'originario carattere di 
prestazione correlata inscindibilmente all'ammontare dei contributi versati; 
che il diritto a pensione matura, a volte, in relazione a contributi 
soltanto giuridicamente accreditati e non effettivamente accantonati; che 
la pensione si inserisce in un sistema di solidariet� sociale, con concorso 
finanziario dello Stato, nel cui ambito i contributi servono per il conseguimento 
di finalit� che trascendono gli interessi dei singoli. Ci� risulta 
evidente quando si consideri il sistema di liquidazione delle pensioni 
retributive, che prescinde dall'i:tmmontare delle contribuzioni accreditate 
sul conto individuale e consente l'attribuzione di pensioni molto pi� 
elevate, ragguagliandole al trattamento economico goduto dal lavoratore 
nel periodo in cui ha percepito le maggiori retribuzioni. 

Gli aspetti pubblicistici della disciplina pensionistica non vengono 
meno neppure nella determinazione della pensione contributiva, per la 
presenza di quote fisse aggiuntive e di coefficienti di rivalutazione non 
rispondenti ai criteri che informano il calcolo delle rendite da assicurazioni 
private (si raffrontino ad esempio i metodi per la determinazione 
della pensione nell'assicurazione obbligatoria ed in quella facoltativa, entrambe 
gestite dall'I.N.P.S.). 

Risulta quindi infondata la premessa, supposta nelle ordinanze di 
remissione, secondo cui sarebbe concretamente ravvisabile e quantificabile 
nella pensione di vecchiaia liquidata al singolo pensionato, la parte. 
esattamente corrispondente all'effettiva rendita dei contributi accantonati. 

Nella citata sentenza n. 155 del 1969 la Corte costituzionale ha affermato 
la ragionevolezza della norma oggi impugnata, che tiene conto 
dei contributi versati, valutando positivamente la reintroduzione di un 
divieto soltanto parziale di cumulo. In tal modo la Corte ha constatato 
la proporzionalit� e ragionevolezza del sistema pensionistico realizzato 
dalla legge n. 153 del 1969, senza ancorarne la legittimit� al rispetto di 
rapporti intangibili tra pensione e contribuzione, per ciascuno dei pensionati 
che ha continuato a lavorare. 

N� esplicano particolare rilievo, ai fini in esame, le decisioni di questa 
Corte citate dalla difesa della Grenzi, perch� il riconoscimento della 
pensione come oggetto di un diritto soggettivo dell'interessato, tratto da 
una specifica configurazione legislativa, valse solo a dimostrare che le 
norme delegate non avrebbero potuto estendere il divieto di cumulo 
ad ipotesi non previste dal legislatore delegato, pena l'illegittimit� costituzionale 
delle stesse per eccesso di delega (sentenze nn. 65 e 112 del 
1963, 34 del 1960). -(Omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

172 

�CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 32 -Pres. Oggioni -Rel. 
De Stefano � Ferrari e altri (n.c.). 

Amnistia e indulto -Reati finanziari -Limitazioni della concessione -Legittimit� 
costituzionale. 

(Cast., art. 3; I. 20 dicembre 1973, n. 830, art. 1; d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, art. 1). 

Non contrastano con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 
.della Costituzione, gli artt. 1, comma secondo, della l. 20 dicembre 1973, 

n. 830 di delegazione al Presidente della Repubblica per la concessione 
.di amnistia in materia di reati finanziari, e 1, primo e secondo comma, 
.del d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834 di concessione di amnistia in materia 
.di reati finanziari, nella parte in cui -subordinando la applicabilit� della 
amnistia alla condizione che le pendenze e le situazioni tributarie siano 
definite o regolarizzate secondo le disposizioni del d.l. 5 novembre 1973, 
n. 660, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823 :
implicitamente escludono l'applicabilit� dell'amnistia ai reati afferenti 
.gli stessi periodi di imposta ed i medesimi tributi, le cui posizioni siano 
.state definite secondo l'ordinario regime (1). 
(Omissis). -Giova ricordare che la Corte, a proposito dell'istituto 
�dell'amnistia, ha gi� avuto occasione di sottolinearne il carattere eccezionale 
e la concomitante esigenza di contenere nei pi� ristretti limiti 
l'esercizio della relativa potest� conferita dall'art. 79 della Costituzione 
(sentenza n. 175 del 1971). E tali profili vanno ancor pi� ribaditi allor>
Ch� l'effetto estintivo proprio dell'amnistia debba spiegarsi nei confronti 
di reati finanziari, pur sempre connessi, direttamente o indirettamente, 
.alla inosservanza del precetto sancito dall'art. 53 della Costituzione, posto 
.a tutela -come la Corte ha pi� volte affermato -dell'interesse generale 
alla riscossione dei tributi siccome interesse particolarmente differenziato 
che, attenendo al regolare funzionamento dei servizi necessari alla 
vita della comunit�, ne condiziona l'esistenza. 

In siffatta prospettiva ben si colloca l'amnistia per reati in materia 
<li imposte. dirette, nonch� di tasse e imposte indirette sugli affari, con>
Cessa con il citato d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, a seguito della legge 
<li delegazione 20 dicembre 1973, n. 830. Essa invero, a tenore delle denunciate 
norme, si applica ai reati � riferibili alle pendenze ed alle situazioni 
concernenti i tributi� indicati negli artt. 1, 6, 7, 8 e 9 del citato 
.decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, recante norme per agevolare la 
definizione delle pendenze tributarie, convertito con modificazioni nella 

(1) La sentenza 14 luglio 1971, n. 175 richiamata in motivazione � pubblicata 
in questa Rassegna 1971, 1, 1298. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 173 

legge 19 dicembre 1973, n. 823; ed � esplicitamente sottoposta �alla condizione 
che le pendenze e le situazioni siano definite o regolarizzate secondo 
le disposizioni del decreto legge suindicato come modificato dalla 
legge di conversione �. 

L'ambito di applicazione della concessa amnistia ne risulta cos� circoscritto; 
e la posta delimitazione trae la sua ragion d'essere dallo 
scopo cui sono preordinate le richiamate disposizioni. Si evince, infatti, 
<lai lavori parlamentari che, nel momento in cui diveniva operante la 
riforma tributaria, intesa ad apportare, nella legislazione e nel costume, 
nuovi princ�pi di coscienza tributaria ed un diverso e pi� corretto rapporto 
tra fisco e contribuenti, si volle offrire a questi ultimi il modo di 
chiudere le passate controversie. Donde i provvedimenti per il cosiddetto 
condono tributario; donde, quasi necessaria conseguenza, la estinzione an,
che dei reati connessi con le violazioni delle leggi tributarie interessate 
.alle procedure del condono. 

Il decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, dianzi citato, si prefiggeva 
lo scopo di favorire la sollecita risoluzione dell'ingente numero di controversie 
pendenti innanzi le commissioni tributarie, o ancora in istruttoria 
presso gli uffici finanziari, e la definizione di tutti quei rapporti 
tra fisco e contribuenti, suscettibili di contestazione relativamente ai tributi 
soppressi o modificati per effetto della riforma tributaria. Esso non 
poteva, peraltro, conseguire il suo obiettivo -leggesi nella relazione al 
disegno di legge di delegazione al Presidente della Repubblica per la 
concessione dell'amnistia de qua -� se non si fanno cessare anche gli 
effetti penali connessi con talune violazioni delle leggi tributarie. Sarebbe 
vano, infatti, offrire ai contribuenti la possibilit� di porre termine alle 
loro controversie con il fisco, per dare inizio a nuovi rapporti tributari 
improntati ad uno spirito di maggiore fiducia e chiarezza, senza nel contempo 
rinunciare alla pretesa punitiva per i reati da essi eventualmente 
commessi in relazione alle situazioni oggetto di contestazione. Per questa 
considerazione il Governo ritiene necessario un atto di clemenza nei confronti 
di tutti quei contribuenti che vorranno profittare dell'occasione loro 
<Jfferta di sistemare le loro pendenze �. 

Appare dunque manifesto il carattere strumentale del concesso provvedimento 
di clemenza, che lo colloca al di fuori della categoria delle 
amnistie �celebrative�; e la enucleata motivazione consente di apprezzare 
la ragionevolezza della sua strutturazione. Risulta, d'altronde, che lo stesso 
legislatore non volle aderire a proposte avanzate per l'ampliamento dell'ambito 
di applic�zione dell'amnistia. 

5. -Alla luce delle esposte considerazioni, la Corte ritiene che le 
�denunciate norme non violino il principio di eguaglianza sancito dall'art. 
3 della Costituzione. La disparit� di trattamento, in ordine alla possi

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO

174 

bilit� di beneficiare �dell'amnistia, tra contribuenti le cui posizioni tributarie 
siano state gi� definite in base all'ordinario regime e che restano 
quindi esclusi dall'amnistia, e contribuenti ammessi al beneficio per avere 
soddisfatto la condizione di aver defmito le loro posizioni avvalendosi 
del condono, non appare razionalmente ingiustificata, se rapportata alla 
finalit� perseguita dal legislatore. 

Alla disparit� di trattamento, d'altronde, corrisponde una diversit� 
di situazioni. Gli ammessi al beneficio sono soggetti che si trovano, potenzialmente 
o in atto, in una posizione di contrasto con il fisco, e ad 
essi si richiede una positiva manifestazione conciliativa, mediante la presentazione 
di domanda irrevocabile per conseguire la definizione delle 
loro pendenze, secondo i criteri automatici stabiliti dal decreto legge numero 
660 del 1973, con ci� stesso rfo.unci�ndo a far valere le loro ragioni 
nelle competenti sedi. Gli esclusi sono soggetti che non hanno pi� m�tivo 
di contrasto con il fisco, che hanno gi� fruito della possibilit� di 
far valere le loro ragioni, e che devono rispondere penalmente del loro 
comportamento, secondo una norma che continua a vigere anche nei confronti 
di quegli altri contribuenti che preferiscano non avvalersi della 
possibilit� loro offerta di fruire del condono tributario. 

La Corte -una volta accertato il rispetto del principio di uguaglianza, 
in cui si concreta l'unico parametro del presente giudizio -riafferma 
l'estraneit� alla funzione di controllo sulla costituzionalit� delle 
leggi, di una indagine che fosse volta a sindacare l'ampiezza dell'uso fatto 
dal Parlamento della sua discrezionalit� in materia, sulla base di considerazioni 
d'ordine politico. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 33 -Pres. Oggioni -Rel. 
Capalozza -Sardella (n.c.) c. Unipol (avv. Scognamiglio) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Carafa). 

Lavoro -Rito speciale del lavoro -Applicabilit� ai rapporti di agenzia che 

si concretino in prestazioni prevalentemente personali � Inapplicabilit�


alle societ� aventi per oggetto il disbrigo di affari di agenzia � Ille


gittimit� costituzionale � Esclusione. 

(Cost., art. 3; c. p. c., art. 409, n. 3). 

Non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 409 n. 3 del codice 
di procedura civile nel testo sostituito dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, 
nella parte in cui estende la relativa tutela non solo al lavoro subordinato 
(e agricolo anche non subordinato), ma altres� al lavoro autonomo 
che gravita intorno all'impresa, in quanto si estrinseca in una presta


zione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(Omissis). -Nei limiti della prospettazione dell'ordinanza, va rilevato 
che la norma denunziata estende il medesimo trattamento processuale, 
previsto per i lavoratori subordinati, ad ampie categorie di lavoratori 
autonomi che abbiano una dipendenza non occasionale ed esplichino prestazioni 
coordinate e prevalentemente personali, e, pertanto, affida al magistrato 
la valutazione dei requisiti richiesti. 

Di tal che sar� il giudice investito della controversia, nel suo apprezzamento, 
ad accertare se la specifica natura delle prestazioni dell'agente 
di assicurazione, nelle singole fattispecie, le collochi o meno nella sfera 
di applicabilit� della norma in esame, cio� se esse siano meramente 
ausiliarie dell'attivit� imprenditoriale altrui oppure se integrino quell'autonomia 
di impresa che � estranea all'ambito di applicazione della norma 
stessa. 

La questione � infondata. 

E, invero, in questa sede � sufficiente osservare che il sistema accolto 
ha come ratio la tutela non solo del lavoro subordinato (e agricolo 
anche non subordinato), ma altres� del lavoro autonomo che graviti attorno 
all'impresa, in quanto -ripetesi -si estrinseca in una presta� 
zione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale: � 
una scelta, sul piano processuale, parallela a quella che, sul piano sostanziale, 
� stata operata dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, la quale, all'art. 2, 
ha previsto che i decreti delegati per l'efficacia dei contratti collettivi e 
degli accordi economici concernano, oltrech� rapporti di lavoro, di assodazione 
agraria, di affitto a coltivatore diretto, quelli di collaborazione 
che si concretino in prestazioni d'opera nel senso su indicato. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 34 � Pres. Oggioni � Rel. 
Crisafulli � Provincia di Bolzano (avv. Guarino) c. Presidente Consiglio 
dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Angelini Rota). 

Trentino-Alto Adige � Provincia di Bolzano � I.N.V.I.M .. Esenzione per gli 
immobili locati per lo svolgimento di attivit� culturali, ricreative, sportive, 
educative o sindacali da parte di circoli aderenti alle organizza� 
zioni nazionali legalmente riconosciute � Violazione del principio di 
tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina � Insussistenza. 

(1. cast. 10 novembre 1971, n. 1, artt. 2, 3, 50 e 51; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3). 
L'art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, che stabilisce esenzioni dall'I.
N.V.I.M. per gli immobili dati in locazione e totalmente destinati allo 
svolgimento di attivit� culturali, ricreative, sportive, educative o sindacali 
da parte di circoli aderenti alle organizzazioni nazionali legalmente riconosciute 
o da parte di sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale del



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

176 

l'economia e del lavoro, non viola il principio di tutela delle minoranze 
linguistiche tedesca e ladina perch�, trattandosi di normativa tributaria, 
essa deve ricevere applicazione uniforme, alla stregua di criteri unitariamente 
omogenei, in tutto il territorio nazionale (1). 

(Omissis). -Nel merito, le censure prospettate nel ricorso non sono 
fondate. 

Deve rilevarsi preliminarmente che il decreto presidenziale n. 643 del 
1972 � stato adottato in attuazione della riforma tributaria ed in applicazione 
dei principi e criteri a tal fine stabiliti dalla legge di delega 9 
ottobre 1971, n. 825. E nei confronti di norme siffatte non � dato individuare 
un interesse giuridicamente differenziato di singole regioni o delle 
provincie autonome di Bolzano e di Trento, tale da rendere necessaria 
la partecipazione alle sedute del Consiglio dei ministri dei rispettivi Presidenti. 


Cos�, per quanto pi� particolarment~ concerne la specie, la istituzione 
e la disciplina dell'imposta comunale sugli incrementi di valore 
degli immobili (compreso quanto attiene alle relative esenzioni) � materia 
che interessa l'intera .comunit� nazionale, e solo in quanto in essa incluse,. 
interessa anche le singole regioni e le provincie di Trento e Bolzano. 

Non sussiste, dunque, l'asserita violazione dell'art. 23 della legge cost. 

n. 1 del 1971, pi� volte rammentata. 
4. -Quanto alle pi� specifiche censure mosse alla normativa dell'art. 
3 del decreto legislativo in oggetto, � da ricordare anzitutto, con 
particolare riferimento alla lett. c, che questa Corte, in altra recente occasione, 
ha ritenuto che lo status professionale (di datore di lavoro o 
di lavoratore) assorbe in s� ogni diversit� di lingua o di origine etnica, 
identici essendo gli interessi che direttamente vi si riconnettono per tutti 
gli appartenenti alla medesima categoria (sentenza n. 86 del 1975). E questa 
premessa sarebbe gi� sufficiente a dimostrare la infondatezza della 
questione di legittimit� costituzionale proposta dalla ricorrente per la 
limitazione del beneficio fiscale di cui al terzo comma del menzionato 
art. 3, n. 2, ai soli sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale dell'economia 
e del lavoro. 
Ma alle medesime conclusioni si perviene altres�, tanto per gli stessi 
sindacati, cui si riferisce la lett. c, quanto per gli altri organismi associativi 
previsti dalla precedente lett. b, sulla base di considerazioni di 
ordine pi� generale, attinenti alla peculiare natura, alle finalit� ed alla 
reale portata delle disposizioni impugnate, riguardate che siano -come 

(1) La sentenza 16 aprile 1975, n. 86 richiamata in motivazione � pubblicata 
in Giurispr. cast. 1975, 799. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 177' 

si deve -nel contesto dell'intero decreto in cui sono contenute e della 
legge di delega che ne sta a fondamento. 

Quest'ultima, com'� noto, ed � stato posto in evidenza pi� sopra ar 
punto 3, ha per oggetto la riforma tributaria, della quale prescrive 
principi e i criteri direttivi. Ovviamente, hanno del pari natura tributaria 
tutte le disposizioni del decreto legislativo di cui � questione, come� 
quelle degli altri che furono emanati in virt� della detta delega. Pi� par-� 
ticolarmente, il n. 2 dell'art. 3 stabilisce l'esenzione dall'imposta (gravante 
sui proprietari degli immobili) in favore delle societ� contemplate nel 
primo comma del medesimo art. 3 ( � societ� che svolgono in modo esclusivo 
o prevalente attivit� di gestione di immobili�), allorch� ricorranodeterminate 
condizioni, tra cui la particolare destinazione dell'immobile,. 
che sia per intero adibito all'esercizio delle attivit� specificate nelle lett. 
a, b, e e d, purch� ed in quanto svolte dai soggetti rientranti nelle categorie 
ivi anch'esse indicate (partiti rappresentati nelle assemblee nazionali 
e regionali; circoli aderenti alle organizzazioni nazionali legalmente 
riconosciute e sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale dell'econo-� 
mia e del lavoro; secondo il gi� detto; istituzioni mutualistiche). 

Ora, prescindendo dai partiti politici e dalle istituzioni mutualistiche,. 
che rimangono fuori dell'ambito del presente giudizio, da quanto sin qui 
rilevato si traggono i due seguenti corollari. Il primo � che, trattandosi 
di normativa tributaria, e pi� specialmente, per quanto interessa in que-sta 
sede, di una esenzione fiscale, questa, da un lato deve contenersi entro 
i limiti pi� ristretti e, d'altro canto, ricevere applicazione uniforme, alla 
stregua di criteri unitariamente omogenei, in tutto il territorio nazionale. 

Il secondo corollar~o � che solo indirettamente le disposizioni impugnate 
concernono in qualche modo le diverse specie di formazioni associative 
menzionate alle lettere b e e, e solo indirettamente perci� pu�r 
dirsi ne derivi per queste un onere di aderire ad organizzazioni nazionali 
legalmente riconosciute o ad associazioni sindacali rappresentate nel 

C.N.E.L. per la previsione di una incidenza favorevole dello sgravio tributario 
disposto in favore del locatore sui canoni di locazione che le ass.ociazioni 
predette sono tenute a corrispondere. 
5. -Sotto il profilo da ultimo accennato, la pos1z1one delle associa-� 
zioni in oggetto, formate da cittadini appartenenti alle minoranze linguistiche 
tedesca e ladina, � perfettamente eguale a quella delle associazioni 
similari operanti in qualsiasi parte del territorio nazionale, a livello meramente 
locale. N� pu� ravvivarsi nella imposizione dell'onere di adesione 
ad organizzazioni maggiori, legalmente riconosciute o rappresentate nel 
C.N.E.L., una menomazione delle caratteristiche peculiarit� tradizionalmente 
proprie di quelle associazioni, attraverso una sorta di larvata assimilazione 
forzata che porti a snaturarle, essendo rimesse alla loro libera 

178 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

determinazione la scelta tra aderire o non aderire alle corrispondenti 
-Organizzazioni maggiori. Non ne risulta perci� violato il princ�pio di tutela 
delle minoranze linguistiche tedesca e ladina, di cui all'art. 51 della legge 
�cost. n. 1 del 1971, in .relazione anche agli artt. 6 cost. e 2 dello Statuto 
della Regione del Trentino-Alto Adige, pure invocati dalla Provincia ri
�corrente. 

Veramente, invece, i diritti di tali minoranze sarebbero vulnerati qualora 
l'adesione delle associazioni di cui alle lettere b e c del n. 2 dell'art. 
3 alle organizzazioni nazionali comportasse, in forza di particolari 
norme che queste disciplinano o di concrete determinazioni adottate dai 
loro organi deliberanti, delle limitazioni al modo d'essere originario delle 
prime, col). specifico riguardo alla differenziazione etnico-linguistica in esse 
esprimentesi; come pure, per fare un esempio estremo, ove in ipotesi la 
richiesta di adesione fosse respinta proprio a motivo di tale differen
�ziazione. 

Nei quali casi, peraltro, non mancherebbero alle associazioni dei gruppi 
minoritari contro siffatte indebite limitazioni i rimedi legali, esperibili 
davanti ai giudici comuni, ordinari ed amministrativi, non essendo dubitabile 
che an,che norme di grado lato sensu regolarmentare ed atti amministrativi 
concreti, siano viziati da illegittimit� quando contrastino con 
principi di ordine costituzionale. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 35 -Pres. Oggioni -Rel. 
Gionfrida -Vitagliano (n. c.) c. Pulvirenti (n. c.). 

Prescrizione -Sospensione della prescrizione fra coniugi legalmente sepa� 

rati -Legittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3; c. c., art. 2941, n. 1). 

Non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 2941 n. 1 del codice 
civile nella parte in cui dispone che resti sospesa la prescrizione tra 
coniugi (anche se) legalmente separati (1). 

(Omissisr. -1. -Il giudice a quo dubita -come in narrativa detto 
-della legittimit� dell'art. 2941, n. l, del codice civile, per la parte 
in cui dispone che resti sospesa la prescrizione tra coniugi (anche se) 
legalmente separati; ed ipotizza violazione del precetto costituzionale dell'eguaglianza, 
sul rilievo dell'ingiustificato privilegio che verrebbe, in tal 

(1) La sentenza 18 aprile 1974, n. 99 richiamata in motivazione � pubblicata 
in questa Rassegna 1974, 1, 798. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 179 

modo, riconosciuto al coniuge separato, nei rispettivi della generalit� degli 
altri cittadini, con l'esonero da ogni attivit� o cura e persino dalla semplice 
messa in mora per la tutela dei propri diritti nei confronti dell'altro 
coniuge. 

2. -La questione non � fondata. 
Ed invero -pur tenuto conto delle limitazioni degli effetti de� vincolo 
matrimoniale che il regime di separazione personale comporta (cfr. 
le sentenze di questa Corte n. 99 del 1974, n. 128 e n. 13 del 1970) -� 
indubitabile che, nei rapporti reciproci (anche patrimoniali), la posizione 
dei coniugi, finch� il matrimonio non sia dichiarato nullo o sciolto per 
le cause previste dall'ordinamento giuridico, resti, comunque, qualificata 
dal perdurante (anche se in forma attenuata) vincolo coniugale. 

Tale qualificazione -diversificando la situazione esaminata da quella 
del rapporto c.he intercorra tra soggetti non coniugati -esclude, evidentemente, 
che sussista la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione: 
in quanto appunto, le situazioni comparate non sono tra loro omogenee. 


3. -La disciplina impugnata appare, d'altra parte, pienamente legittima 
anche sotto il profilo della intrinseca razionalit�. 
Lo stato di separazione, infatti, pur rivelando una incrinatura dell'unit� 
familiare, non ne implica la definitiva frattura: potendo anche 
evolversi nel senso della ricostituzione (mediante la conciliazione) della 
coesione familiare. 

E non � irrazionale che, per salvaguardare, appunto, nei limiti del 
possibile, tale ultima eventualit�, il legislatore comprenda nella disciplina 
della sospensione della prescrizione dettata dall'art. 2941, n. l, cod. 

civ. l'ipotesi che i coniugi siano separati, esonerandoli cos� dal compiere 
atti -come quelli necessari ad interrompere la prescrizione dei rispettivi 
diritti -che potrebbero, invece, inasprire le ragioni del contrasto. {
Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 36 -Pres. Oggioni -Rel. 
Volterra -Bennati (n. c.). 

Pensioni -Pensioni di guerra -Giudizio dinanzi alla Corte dei Conti 


Termine per la riassunzione del processo interrotto -Decorrenza dalla 

morte del ricorrente -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 24; 1. 28 luglio 1971, n. 585, art. 19). 

I


I


' 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 18 novembre 
1975, nella causa 30/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Reischl -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione nella 
causa Soc.p.a. UNIL-IT (avv. Rossi) c. Ministero delle finanze -Interv.: 
Commissione delle Comunit� europee (ag. Maestripieri) e Governo 
italiano (avv. Stato Zagari). 

Comunit� europee -Unione doganale -Scambi intracomunitari -Trattamento 
comunitario -Necessit� del certificato DD4 -Inopponibilit� da 
parte dello Stato membro che non abbia adottato ancora provvedimenti 
per la concreta attuazione della decisione istitutiva del certificato. 
(Trattato e.E.E. artt. 9 e segg. e 39 e segg.; decisioni della Commissione 4 dicembre 

1958, 5 dicembre 1960 e 17 luglio 1962; regolamenti del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13 
e 30 giugno 1964, n. 82; d.!. 29 ottobre 1964, n. 1014 (non convertito); d.!. 23 dicembre 
1964, n. 1351, convertito con legge 19 febbraio 1965, n. 28). 

La decisione 17 luglio 1962 della Commissione C.E.E., in relazione al 
regolamento del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13 (come modificato dal 
regolamento del Consiglio 30 giugno 1964, n. 82) ha attribuito all'aperatore 
economico il diritto di pagare solo il prelievo comunitario a condizione 
di fornire, mediante esibizione del certifiCato DD4, la prova del 
soddisfacimento delle condizioni poste per il godimento del trattamento 
comunitario; lo Stato membro che non ha adottato i provvedimenti per 
la concreta attuazione di detta decisione non pu� tuttavia opporre agli 
operatori economici l'inadempimento degli obblighi ch'essa impone e deve, 
in via provvisoria, consentire altri adeguati modi di provare il soddisfacimento 
delle dette condizioni (1). 

{1) Decisione comunitaria sul certificato DD4 e norme interne di 
attuazione. 

La decisione in rassegna, relativa a superata questione di diritto transitorio, 
ed indubbiamente condizionata, secondo criterio svincolato dalla impostazione 
difensiva della stessa parte interessata, dalle singolarit� della fattispecie 
(concernente prodotti lattiero-caseari esportati dalla Germania e dall'Olanda 
prima del 1� novembre 1964, e quindi con rilascio di certificati DDl 
e DD3, e importati in Italia, con trasporto indiretto, dopo l'entrata in vigore 
del regime dei prelievi, e cio� quando l'origine comunitaria dei prodotti doveva 
essere documentata con l'esibizione del certificato DD4), va segnalata per 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 183 

(Omissis). -In diritto. -Con sentenza 22 novembre 1974, pervenuta 
in cancelleria il 18 marzo 1975, la Corte Suprema di Cassazione ha sottoposto 
a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato C.E.E., tre 
questioni relative all'interpretazione della decisione della Commissione 
17 luglio 1962 (G.U. n. 76, del 24 agosto 1962, pag. 2140) e di talune 
disposizioni del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13 (G.U


n. 34, del 27 febbraio 1964, pag. 549), come modificato dal regolamento 
del Consiglio 30 giugno 1964, n. 82 (G.U. n. 105 del 1� luglio 1964, pag. 1626). 
La decisione di cui trattasi istituisce dei metodi di cooperazione 
amministrativa speciali per l'applicazione dei prelievi intracomunitari 
istituiti nell'ambito della politica agricola comune. Essa fa seguito ad 
una decisione della stessa natura della Commissione, in data 5 dicembre 
1960 (G.U.. n. 4, del 20 gennaio 1961, pag. 29), la quale contempla, 
per tutte le merci che circolano fra gli Stati membri, dei certificati 
DDl o DD3, a seconda dei casi, da esibirsi alle autorit� doganali all'atto 
del passaggio della frontiera. 

In deroga a quella del 5 dicembre 1960, la decisione di cui � causa 
contempla, per le merci soggette, all'atto del passaggio della frontiera, 
a prelievi agricoli, uno speciale certificato (DD4) alla cui esibizione � 
subordinata, al momento della loro ammissione nello Stato� membro 
importatore, l'applicazione nei loro confronti del regime dei prelievi 
comunitari, pi� favorevole di quello al quale sono sottoposte le merci 
importate da Paesi terzi. Il certificato DD4 � concepito in modo da 

quanto se ne dovrebbe desumere in ordine alla necessit� di norme interne 

di attuazione anche per disposizioni comunitarie aventi contenuto preciso ed 

incondizionato (come avevano evidenziato sia la Commissione e.E.E. sia il 

Governo italiano) e tali anzi da attribuire (come la stessa sentenza pure pre


cisa) �diritti� ai singoli. 

La sentenza quindi, in sostanziale contrasto con le valutazioni espresse 

con la decisione 22 ottobre 1970, resa nella causa GRAEYNEST (Racc., 905), 

non pu� non sorprendere, specialmente quando si consideri che il regime dei 

prelievi (con la conseguente necessit� del certificato DD4 negli scambi intra


comunitari) era stato disposto con regolamento di circa. dieci mesi anteriore 

alla data della sua effettiva entrata in vigore, e che una tempestiva �attua


zione ,, di tale regime da parte dello Stato importatore non avrebbe certo 

consentito all'operatore interessato di esibire un certificato che le autorit� 

dello Stato esportatore (e non quelle dello Stato importatore) er�no competenti 

a rilasciare, e non lo avrebbe quindi comunque posto � iri grado di adempiere 

l'obbligo�; cos� come rimane da chiarire come possa la necessit� di norme interne 

di attuazione conciliarsi con l'affermata idoneit� delle disposizioni comunitarie 

ad attribuire � diritti � ai singoli, e quindi con la loro diretta ed immediata 

applicabilit�. 

Anche a prescindere dalla rilevanza (non considerata) del d.l. 29 otto


bre 1974, n. 1014 (vigente alla data dell'importazione, anche se poi rinnovato, 

per mancata conversione, con il d.l. 23 dicembre 1964, n. 1351), la decisione 

in rassegna dovrebbe condurre a ritenere, in definitiva, che se la impor




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

184 

consentire il controllo dei requisiti per l'applicazione del regime intracomunitario 
ed in particolare della circostanza che si tratta di derrate 
agricole effettivamente prodotte nella Comunit�. 

Il regolamento del Consiglio n. 13/64, relativo alla graduale instaurazione 
di un'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e 'dei 
latticini (modificato dal regolamento n. 82/64) istituisce per i prodotti ivi 
contemplati, tra cui il formaggio, un duplice sistema di prelievi -sugli 
scambi coi Paesi terzi, da un lato, e sugli scambi intracomunitari, dall'altro 
-destinati ad entrare in vigore il 1� novembre 1964. A partire da 
tale data, per l'applicazione del regime dei prelievi agricoli intracomunitari, 
in forza degli artt. 1 e 4 della decisione 17 luglio 1962 doveva essere 
esibito alla dogana dello Stato membro importatore il certificato di circolazione 
DD4, e ci� entro un mese dalla data del visto doganale dello Stato 
membro esportatore. 

La lite pendente dinanzi alla Corte di Cassazione riguarda un'impresa 
che aveva importato in Italia, dalla Repubblica Federale e dai Paesi Bassi 
,.,.. dopo il 1� novembre 1964 -delle partite di formaggio, spedite nel mese 
d'ottobre 1964 e accompagnate in parte da certificati DDl (trasporto diretto) 
e in parte da certificati DD3 (trasporto detto indiretto). 

La S.P.A. UNIL, ricorrente nella causa principale, sostiene di non aver. 
potuto ottenere, n� dall'amministrazione tedesca, n� da quella olandese, 
detto certificato DD4 per le merci di cui sopra. 

D'altro canto, all'atto dell'importazione (se avvenuta prima del 19 novembre 
1964) non era stata ancora emanata in Italia alcuna disposizione 
di legge, n� era stato adottato alcun provvedimento amministrativo, per 
estendere alle merci di cui al regolamento n. 13/64 l'obbligo di esibire il 

tazione fosse avvenuta dopo la emanazione della � circolare ministeriale � del 
19 novembre 1964 (e che sia avvenuta prima � oltretutto soltanto ipotizzato), 
la mancanza della prescritta documentazione sarebbe stata opponibile all'interessato, 
e legittimamente quindi sarebbe stato preteso, in difetto di tale 
documentazione, il maggior prelievo dovuto sui prodotti provenienti dai Paesi 
terzi; mentre � ovvio che anche in tale ipotesi nessuna possibilit� avrebbe 
avuto la ditta importatrice di esibire il certificato DD4 (per prodotti � esportati
� quando tale certificato non doveva essere rilasciato). 

La concreta difficolt� di documentazione in cui era venuto a trovarsi 

l'operatore interessato (che avrebbe oltretutto potuto e dovuto prevederla, e 

proprio per la diretta applicabilit� delle norme comunitarie in discussione) 

andava in effetti risolta, in concreto, e secondo la soluzione proposta sia 

dalla Commissione C.E.E., sia dal Governo italiano, sia dall'avv. gen. Reischl, 

con ricorso all'art. 3, secondo comma, della decisione del 17 luglio 1962, secondo 

cui � il certificato per la circolazione delle merci modello DD4 pu� essere 

vidimato, in via eccezionale, anche successivamente all'esportazione delle merci 

alle quali si riferisce, nel caso di un errore o di una omissione involontaria 

al momento dell'esportazione �: disposizione che a fortiori andava riconosciuta 

applicabile nella specie (ed in ragione della quale, anzi, il Governo italiano e 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 185 

�certificato DD4. Solo una circolare ministeriale del 19 novembre 1964 ha 
imposto tale obbligo, mentre per il periodo dal 1� al 19 novembre, una 
drcolare telegrafica aveva disposto che, in via temporanea, i latticini sarebbero 
stati ammessi in Italia sotto il regime del dazio in sospeso. 

Del resto, solo il decreto-legge 23 dicembre 1964 (Gazzetta Ufficiale 
.23 dicembre 1964) ha istituito, con effetto dal 1� novembre 1964, il duplice 
regime dei prelievi per i latticini. 

Secondo la ricorrente nella causa principale la quale, nel corso della 
fase orale, ha prodotto in proposito delle dichiarazioni dei suoi corrispondenti 
nei Paesi esportatori, i suoi tentativi di procurarsi, durante il mese 
<li novembre 1964, dei certificati DD4, sarebbero falliti a causa del rifiuto 
.delle autorit� doganali di detti Paesi. 

Circa 18 mesi dopo l'importazione, l'Amministrazione italiana ha preteso 
dalla ricorrente nella causa principale i prelievi afferenti agli scambi 
coi Paesi terzi, adducendo che l'importazione non era stata effettuata con 
1a scorta del certificato DD4. 

Sulla prima questione. 

Con una prima questione si chiede alla Corte se, per effetto della 
decisione 17 luglio 1962, in relazione al regolamento del Consiglio 5 febbraio 
1964, n. 13, l'applicazione diretta, all'interno di ciascuno degli Stati 
membri, del regime di prelievi istituito da detto regolamento n. 13/64 
abbia comportato, fin al 1� novembre 1964 e indipendentemente dall'emanazione 
di norme interne al riguardo da parte dei singoli Stati, l'obbligo 
di usare, per l'ammissione al godimento del trattamento comunitario, il 
certificato DD4. 

l'avv. gen. Reischl avevano giustifkato la mancata emanazione delle norme 

transitorie preventivate con l'art. 32, ultimo comma, del regolamento del Con


siglio 5 febbraio 1964, n. 13) e l� cui operativit� la Corte ha ritenuto di 

<lover invece escludere, presupponendo la necessit� di una specifica previ


sione, da parte degli Stati membri, di un obbligo� gi� imposto, comunque, 

dalla normativa comunitaria, ed oltretutto ipotizzando, relativamente alla 

stessa disposizione, una differente decorrenza dei � diritti � e degli � obbli


ghi � dei singoli interessati. , 

N� pu� certo una diversa soluzione ammettersi (e ritenersi perci� non 
. opponibile la mancanza della prescritta documentazione) solo in ragione della 

resistenza delle competenti autorit� degli Stati esportatori al tardivo rila


scio del certificato DD4: rifiuto che sembra aver invece influito, nella sostanza, 

ed al fine di una pi� agevole definizione della vertenza, sulle valutazioni del


la Corte. 

Sul certificato DD4 cfr., oltre alla sentenza della Corte di giustizia gi� 

sopra ricordata: Cass., 5 agosto 1974, n. 2331, in questa Rassegna, 1975, I, 

504; Cass., 17 apmle 1975, n. 1104, ibidem, I, 216. 

A. M. 

186 

RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO 

Il regolamento n. 13/64 (art. 12) vieta con effetto dal 1� novembre 1964, 
negli scambi. fra Stati membri dei prodotti agricoli ch'esso contempla, 
la riscossione di qualsiasi dazio doganale e di qualsiasi tassa d'effetto 
equivalente. Per detti scambi intracomunitari esso istituisce, per la durata 
del periodo transitorio, un regime di prelievi di cui gli Stati membri stabiliscono, 
a norma dell'art. 8, l'importo, in conformit� ai criteri sanciti dallo 
stesso regolamento. 

Questo regolamento attribuisce agli operatori economici il diritto di 
sottostare, per quanto riguarda gli scambi intracomunitari, ad un prelievo 
inferiore a quello che colpisce le importazioni delle stesse merci da Paesi 
terzi. 

La decisione 17 luglio 1962 impone agli Stati membri di ammettere 
unicamente l'esibizione del certificato DD4 come prova del soddisfacimento 
delle condizioni poste per la riscossione del prelievo pi� favorevole. 

Quest'obbligo imposto, allo scopo di impedire gli abusi, per quanto 
riguarda il modo in cui l'operatore economico deve comprovare il proprio 
diritto, implica che gli Stati membri interessati pongano tale operatore 
in grado di adempiere l'obbligo stesso. Ci� non avviene sino a che nello 
Stato membro importatore non siano stati presi i provvedimenti necessari 
per rendere obbligatoria l'esibizione del certificato DD4, di guisa che 
le merci devono necessariamente attraversare la frontiera con la scorta 
dei documenti contemplati dalla disciplina anteriore. 

Di conseguenza, il fatto che unicamente l'esibizione del certificato DD4 
pu� valere come prova del possesso dei requisiti che danno diritto a sottostare 
al solo prelievo comunitario, non pu� essere opposto all'operatore 
economico il quale, nel momento in cui le merci attraversano la frontiera, 
soddisfi le condizioni di forma in quel momento ancora poste dallo 
Stato importatore. 

Indubbiamente, l'art. 3, n. 1, secondo comma, della dec:isione 17 lu


glio 1962 stabilisce che �il certificato per la circolazione delle merci mo


dello DD4 pu� essere vidimato, in via eccezionale, anche successivamente 

all'esportazione delle merci alle quali si riferisce, nel caso in cui esso non 

sia stato presentato, a causa di un errore o di una omissione involontaria, 

al momento dell'esportazione �. Questa disposizione riguarda per� delle 

ipotesi diverse da quella che lo Stato membro interessato non avesse 

ancora imposto l'obbligo di esibire un certificato DD4. 

La prima questione va quindi risolta nel senso che la decisione 17 lu


glio 1962, in relazione al regolamento n. 13/64 (come modificato dal rego


lamento n. 82/64), ha attribuito all'operatore economico il diritto di pa


gare solo il prelievo comunitario a condizione di fornire -mediante 

esibizione del certificato DD4 -la prova del soddisfacimento delle con


dizioni poste per il godimento del trattamento comunitario; lo Stato� 

membro che non ha adottato i provvedimenti per la concreta attuazione 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 187 

di detta decisione non pu� tuttavia opporre agli operatori economici l'inadempimento 
degli obblighi ch'essa impone e deve, in via provvisoria, consentire 
altri adeguati modi di provare il soddisfacimento delle dette 
condizioni. 

La soluzione data alla prima questione rende prive di oggetto le restanti 
questioni. -(Omissis), 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 27 gennaio 1976, 
nella causa 46/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Warner -Soc. r.l. I.B.C. 
(avv. Pino e Bonifazi) c. Commissione delle Comunit� europee (ag.. 
Maestripieri).. 

Comunit� europee -Responsabilit� per atto nonnativo -Domanda volta 

ad ottenere la restituzione di somme che si assumano versate in base 

a disposizioni comunitarie illegittime -Competenza del giudice na


:cionale. 

(Trattato e.E.E., art. 215, secondo comma; regolamenti del Consiglio 12 maggio 1971, 

n. 974, e 22 febbraio 1973, n. 509; regolamenti della Commissione 1� marzo 1973, n. 648 
e n. 649, 23 marzo 1973, n. 905, e 30 maggio 1973, n. 1463). 
La domanda di restituzione di somme versate in applicazione di norme 
comunitarie che si assumano illegittime, e concernente quindi (in quanto 
rivolta, in realt�, contro atti emanati dalle autorit� nazionali) la legittimit� 
della riscossione delle somme controverse da parte delle autorit� 
nazionali cui competano l'accertamento concreto e la riscossione delle� 
somme dovute, va proposta al giudice nazionale, al quale spetta di pronunciarsi 
sulla legittimit� di tali atti, in applicazione del diritto comunitario, 
nelle forme previste da ciascun ordinamento nazionale e dopo� 
aver eventualmente utilizzato, per accertare la validit� della disciplina 
comunitaria applicata, la procedura contemplata dall'art. 177 del Trattato� 

C.E.E. (1). 
(1) Pur nella brevit� della motivazione, la sentenza in rassegna contiene� 
rilevanti enunciazioni di principio, nelle quali sembra peraltro potersi' rilevare 
una inversione di tendenza rispetto al criterio di valutazione di norma 
adottato dalla Corte di giustizia nelle azioni di risarcimento danni proposte 
nei confronti della Commissione delle Comunit� (e proprio in tema di im-� 
porti compensativi) per dedotta illegittimit� di norme comunitarie; ed � sintomatico 
che la stessa Commissione delle Comunit� europee non avesse formalmente 
contestato la ricevibilit� del ricorso (se non in sede di discussione 
e su esplicito invito a precisare la propria pos1z10ne al riguardo), ma 
ne avesse chiesto, anche in sede di conclusioni, il rigetto per infondatezza 
nel merito. 
La soluzione adottata dalla Corte di giustizia sembra in effetti presupporre 
una distinzione (tra attivit� normativa ed attivit� di applicazione) m 



188 RASSEGNA DELLrAVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -In diritto. -Con ricorso proposto il 13 maggio 1975, la 
ricorrente chiede il risarcimento del danno che asserisce esserle stato causato 
dall'applicazione da parte delle autorit� doganali italiane del regolamento 
della Commissione 30 maggio 1973, n. 1463, sulle modalit� d'applicazione 
degli importi compensativi monetari (G.U. n. L 146, pag. 1). Essa 
sostiene infatti che l'art. 5 del predetto regolamento, disposizione applicata 
nei suoi confronti, � illegittimo in quanto ha ridotto indebitamente 
gli importi compensativi all'importazione. 

A causa dell'applicazione di detto articolo, la ricorrente ha dovuto 
pagare, a titolo di conguaglio fra l'onere all'importazione e gli importi 

ragione della quale l'ammissibilit� dell'azione di responsabilit� per atto normativo 
(sulla quale cfr., amplius, in questa Rassegna, 1975, I, 654) verrebbe ad 
essere contenuta in ristretti margini, e limitata in particolare (come sembra 
confermato da quanto in argomento osservato dall'avv. gen. Warner) alla 
.sola ipotesi in cui si chiedano, a titolo di risarcimento danni, somme che 
.si. sarebbero ottenute in difetto di (illegittime) norme comunitarie, con esclusione, 
cio�, della analoga ma opposa ipotesi in cui il danno di cui si chieda 
il risarcimento sia commisurato all'importo versato in applicazione di (illegittime) 
norme comilnitarie; e la rilevanza di tale impostazione nella valutazione 
della Corte appare invero confermata dal rilievo che nessuna conte.
stazione era stata in effetti promossa dalla parte ricorrente in ordine agli 
atti di applicazione della normativa comunitaria (della legittimit� dei quali 
dovesse discutersi), risultando la causa petendi della causa promossa nei 
confronti della Commissione e.E.E. fondata proprio e soltanto sulla responsabilit� 
per emanazione. di norme illegittime, cos� . come petitum del ricorso 
risultava� la condan~a della Commissione e.E.E. al pa,gamento, a titolo di ris'arcimento 
�del dann�, della maggior �somma corrisposta in applicazione della 

normativa comunitaria. 

La declaratoria di irricevibilit� del ricorso involge comunque questioni 
di non indifferente portata �(e che tuttavia non risultano ancora adeguatamente 
approfondite in dottrina), quali quelle sul potere del giudice nazionale 
di dichiarare direttamente l'inv�lidit� di norme comunitarie (quale dovrebbe 
desumersi dal carattere fac�ltativo della richiesta prevista all'art. 177, secondo 
comma, del Trattato e.E.E., e dallo stesso accenno, nella sentenza in rassegna, 
all'� eventuale� richiesta di pronuncia pregiudiziale), e sui rapporti tra Comunit� 
e Stati membri in ipotesi di danni causati da norme riconosciute invalide 
o di rimborso di somme a seguito di tale riconoscimento preteso; e 
va in particolare sottolineata, a tale ultimo proposito, l'osservazione dell'avv. 
gen. Warner secondo cui la Comunit� sarebbe comunque tenuta a rivalere 
1o Stato membro. delle somme da restituire (per la quota di pertinenza 
comunitaria) e delle spese sostenute per la responsabilit� di una riscossione 
effettuata in applicazione di norme comunitarie riconosciute illegittime. 

Quai).to al merito della questione discussa tra le parti in causa, va 
segnalato che la questione � s-tata gi� medio tempore proposta, in analoga 
�controversia, dinanzi al giudice nazionale, e che di essa la Corte di giustizia 
� stata gi� nuovamente investita, secondo impostazione coerente con la 
decisione in rassegna, ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.E;E. 

A commento della decisione (della quale un precedente sembra potersi 

rinvenire nella sentenza 25 ottobre 1972, nella causa 96/71, HAEGEMAN, Racc., 

1005),' e perch� si possa pi� agevolmente avvertire la portata della questione 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS, COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 189 

compensativi monetari, diverse somme, che essa ritiene non dovute e delle 
quali, col presente ricorso, domanda la restituzione. 

Il ricorso �, in realt�, diretto contro atti emanati dalle autorit� italiane 
in forza d'una normativa comunitaria che fa ricorrente ritiene illegittima. 
Esso riguarda quindi la legittimit� della riscossione delle somme 
controverse da parte delle autorit� italiane, cui spettava il compito di 
applicare ed attuare in concreto la disciplina comunitaria relativa agli 
importi compensativi monetari, e mira ad ottenere dalla Comunit�, anzich� 
dalle autorit� nazionali, il rimborso delle somme che sarebbero state 
indebitamente riscosse. 

decisa, si ritiene utile riportare qui di seguito le conclusioni dell'avv. gen. 
Warner, invero di rilevante interesse sia per quanto concerne il commentato 
sistema degli importi compensativi (che continua a dar luogo a numerose 
controversie, sia a livello comunitario che dinanzi ai giudici nazionali), sia in 
ordine ai ricordati precedenti giurisprudenziali ed alla conforme soluzione proposta 
quanto alla irricevibilit� del ricorso. 

Conclusioni dell'avv. gen. Warner. 

Signor Presidente, Signori Giudici, 

La ditta � I.B.C. Importazione Bestiame Carni� s.rl. di . Trieste, ricorrente 
nella presente causa, chiede, a norma degli artt. 178 e 215, secondo 
comma, del Trattato C.E.E., che la Commissione delle Comunit� Europee 
sia condannata a risarcirle i danni subiti in occasione di tre importazioni 
(di animali vivi della specie bovina dall'Ungheria la prima e la terza, effettuate 
rispettivamente il 3 marzo ed il 10 agosto 1973, di quarti posteriori di 
carni bovine dalla Jugoslavia la seconda, effettuata il 27 aprile 1973) a causa 
dei dazi eccessivi riscossi dalle autorit� doganali italiane in applicazione d'una 
norma -che la ricorrente ritiene illegittima -con cui la Commissione 
aveva fissato, o preteso fissare, certe riduzioni degli importi l.!ompensativi 
monetari nel commercio delle carni bovine. 

Durante la fase scritta del procedimento v'� stata qualche incertezza circa 
l'ammontare del risarcimento, reclamato. dalla ricorrente. Comunque, ora 
sembra chiaro, sulla base della risposta fornita dalla ricorrente ad una domanda 
rivoltale dalla Corte al termine della fase scritta, che la somma richiesta 
� di Lit. 320,729, vale a dire -su ci� le parti concordano -l'intera 
somma che la ricorrente, se la sua pretesa � fondata, ha pagato in pi� 
ciel dovuto. 

Come ricorderete, gli importi compensativi monetari (che d'ora in poi 
chiamer�, per ragioni di brevit�, � i.c.m. �) furono introdotti dal regolamento 
(C.E.E.) del Consiglio 12 maggio 1971, n. 974, in seguito all'allargamento dei 
margini di oscillazione delle monete di alcuni Stati membri. 

L'art. 1, n. 1, del predetto regolamento, nella nuova versione risultante 

dall'art. 2 del regolamento (C.E.E.) del Consiglio 22 febbraio 1973, n. 509, sta


bilisce che lo Stato membro la cui moneta sia aumentata di valore oltre il 

limite di fluttuazione autorizzato dalla disciplina internazionale vigente il 12 

maggio 1971 riscuote all'importazione ed accorda all'esportazione i.c.m. per i 

prodotti agricoli, mentre lo Stato membro la cui moneta si sia deprezzata 

oltre il predetto limite di fluttuazione procede in se.oso inverso, vale a dire 

riscuote i.c.m. sulle esportazioni di prodotti agricoli e li accorda alle impor




190 RASSEGNA DELL'A\NOCATURA DELLO STATO 

Le norme comunitarie in questione fissano i criteri per il calcolo delle 
somme dovute a titolo di conguaglio fra l'onere all'importazione e gli 
importi compensativi e non lasciano alcun dubbio sul fatto che l'accertamento 
concreto e la riscossione delle somme dovute incombono alle 
autorit� nazionali. 

Spetta perci� ai giudici nazionali competenti pronunziarsi sulla legittimit� 
di tali atti, in applicazione del diritto comunitario, nelle forme 
previste da ciascun ordinamento nazionale e dopo aver eventualmente 
utilizzato, per accertare la validit� della disciplina comunitaria applicata, 
la procedura contemplata dall'art. 177 del Trattato C.E.E. 

La ricorrente non pu� quindi adire la Corte di Giustizia per ottenere 
indirettamente, mediante un'azione di risarcimento dei danni esperita nei 
confronti della Comunit�, la concreta riforma dei citati provvedimenti. 

Di conseguenza, il ricorso � irricevibile. -(Omissis). 

tazioni. L'Italia �, senza dubbio, un paese la cui valuta s'� deprezzata; essa 
accorda pertanto i.c.m. all'importazione. 

Con l'art. 3 del regolamento n. 509/73 fu inserito nel regolamento numero 
974/71 un nuovo art. 4 bis, di cui riporto, qui di seguito, la parte che ci 
interessa: 

� 1. Negli scambi con i paesi terzi, gli importi di compensazione: 
a) concessi all'importazione: sono detratti dall'onere all'importazione ... 
2. Negli scambi tra gli Stati membri ed in quelli con i paesi terzi, gli 
importi di compensazione applicabili in seguito ad un deprezzamento della 
moneta interessata non possono essere superiori all'onere all'importazione in 
provenienza dai paesi terzi. 
Tuttavia il Consiglio, decidendo su proposta della Commissione secondo 
la procedura di voto di cui all'art. 43, paragrafo 2, del Trattato pu�, in taluni 
casi eccezionali, stabilite che non � applicabile il primo comma� (1). 

L'art. 6 del regolamento n. 974/71 disponeva che le modalit� d'applicazione 
del regolamento stesso sarebbero state adottate seguendo la procedura 
detta del � Comitato di Gestione �, contemplata in ciascuno dei regolamenti 
istitutivi delle organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli. Come 
voi ben sapete, detta procedura consente alla Commissione di adottare provvedimenti 
di immediata applicazione, salvo riesame da parte del Consiglio di 
quelli fra essi che non risultino conformi al parere espresso dal competente 
Comitato di Gestione. 

L'art. 7 del regolamento n. 974/71, nella versione risultante dall'art. 2 
del regolamento del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2746, prevede, fra l'altro, che: 

� �.� gli importi di compensazione concessi �negli scambi con i paesi 
terzi sono considerati, per quanto concerne il finanziamento della politica 
agricola comune, come. facenti parte delle restituzioni all'esportazione i paesi 
terzi� (2). 

Ci� significa che l'onere di tali somme ricade, in ultima analisi, sul 

F.E.A.0.G. 
(1) G. U. 23 febbraio 1973, n. L 50. 
(2) G. U. 28 dicembre 1972, n. L 291. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 191 

Bastino questi cenni per la legislazione del Consiglio rilevante nel caso 
in esame. 

La Commissione esercit� per la prima volta il potere attribuitole dall'art. 
6 del regolamento n. 974/71 adottando, il 17 maggio 1971, il regolamento 
(C.E.E.) n. 1013/71 �recante modalit� di applicazione del regolamento (C.E.E.) 

n. 974/71 �. Il regolamento n. 1013/71 fu successivamente rimaneggiato almeno 
sei volte. N� esso, n� i regolamenti che lo modificarono, sono per� rilevanti 
in relazione alla presente controversia. 
Il 1� marzo 1973, di nuovo nell'esercizio, o nel preteso esercizio, dei 
poteri attribuitile dall'art. 6 del regolamento n. 974/71, la Commissione emanava 
il regolamento n. 648/73 che, per quanto ci interessa, faceva due cose. In 
primo luogo, esso abrogava e rimetteva al tempo stesso in vigore, dopo averle 
raccolte in un testo unico, le disposizioni del regolamento n. 1013/71 e dei 
vari regolamenti che lo avevano modificato. In secondo luogo, esso introduceva, 
con l'art. 6, norme volte ad attuare il n. 2 del nuovo articolo 4 bis 
del regolamento n. 974/71. L'art. 6 del regolamento n. 648/73 recita: 

� 1. Per l'applicazione dell'art. 4 bis, paragrafo 2, del regolamento (C.E.E.) 
n. 974/71, la Commissione fissa gli importi con cui devono essere adattati 
gli importi compensativi comunitari. 
2. Gli importi da detrarre fissati in conformit� del paragrafo 1 vengono 
modificati periodicamente quando la variazione dell'onere all'importazione in 
provenienza dai paesi terzi lo renda necessario � (1). 
L'art. 17 del regolamento n. 648/73 era, nella parte che ci interessa, del 
seguente tenore: 

� 1. Il presente regolamento entra in vigore il terzo giorno successivo 
alla sua pubblicazione nella Gazzetta U-{fieiale delle Comunit� Europee. 
2. Tuttavia, gli importi risultanti dalla sua applicazione sono validi a 
decorrere dal 26 febbraio 1973 � (1). 

Il regolamento veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 marzo 1973. 

La stessa Gazzetta Ufficiale riportava anche il regolamento (C.E.E.) numero 
649/73, esso pure adottato dalla Commissione il 1� marzo 1973. Detto 
regolamento fissava, o pretendeva fissare, gli i.c.m. validi a decorrere dal 26 
febbraio 1973. Il suo art. 3 era identico all'art. 17 del regolamento n. 648/73. 

Il 23 marzo 1973 la Commissione emanava il regolamento (C.E.E.) numero 
905/73, che fissava, o pretendeva di fissare, in conformit� all'art. 6 del 
regolamento n. 648/73, gli importi d'adeguamento da applicarsi agli i.c.m. di 
cui al regolamento n. 649/73 in attuazione dell'art. 4 bis, n. 2, del regolamento 

n. 974/71. Il regolamento n. 905/73 doveva entrare in vigore il giorno stesso 
della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale -che avvenne il 7 aprile 
1973 -ma gli importi in esso contemplati vennero considerati applicabili dal 
26 febbraio 1973. 
Come ricorderete, la prima delle tre importazioni di cui si discute fu 
effettuata dalla ricorrente il 3 marzo 1973, vale a dire in data anteriore alla 
entrata in vigore dei regolamenti nn. 648/73, 649/73 e 905/73, ma successiva al 
momento (26 febbraio 1973) a partire dal quale venivano considerati validi gli 

i.c.m. e le correzioni loro apportate mediante i predetti regolamenti. 
Questa prima importazione consisteva, come ho gi� detto, in un carico di 
bovini vivi provenienti dall'Ungheria. In quel momento l'unico onere gravante 
su una simile importazione era un dazio ad valorem dell'8%. L'i.c.m. contemplato 
dal regolamento n. 649/73 ammontava a Lit. 46,70 il kg, mentre la 

(1) G. U. 9 marzo 1973, n. L 64. 

192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

riduzione di tale importo prevista dal regolamento n. 905/73 corrispondeva a 
Lit. 5,45 il kg. 
Il valore totale del bestiame importato era di Lit. 11.292.260, su cui doveva 
venir pagato un dazio pari all'8%, cio� a Lit. 903.380. 
Il peso totale del bestiame era di 17.085 kg. L'i.c.m., calcolato in ragione 
di Lit. 46,70 il kg, ammontava pertanto a Lit. 797.869. 
Se si fosse trascurata la riduzione dell'i.c.m. imposta dal regolamento 

n. 905/73, dal dazio di Lit. 903.380 si sarebbe dedotta, in forza dell'art. 4 bis, 
n. l, del regolamento n. 974/71, l'intera somma di Lit. 797.869 e la ricorrente 
avrebbe dovuto pagare soltanto Lit. 105511. 
Invece, le autorit� doganali italiane detraevano dall'i.c.m. la somma di 
Lit. 5,45 il kg fissata dal regolamento n. 905/73. L'i.c.m. si riduceva quindi a 
Lit. 41,25 il kg, cio� a Lit. 704.760 per l'intera partita di merce. Dal dazio di 
Lit. 903.380 si poteva perci� detrarre soltanto la somma di Lit. 704.760: la 
ricorrente doveva ancora versare Lit. 198.620. 

La differenza fra le due cifre (Lit. 198.620 e Lit. 105.511) � la prima posta 
nel totale di Lit. 320.729 reclamato dalla ricorrente. 

� Il 6 aprile 1973 la Commissione adottava il regolamento (C.E.E.) n. 974/73 
recante modifica degli importi compensativi monetari. Detto regolamento entrava 
in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, cio� il 
12 aprile 1973. Esso era applicabile dal 9 aprile 1973, ina cio non ha rili�vo 
per il presente caso in quanto, come ho gi� ricordato, la seconda importazione 
ebbe luogo il 27 aprile 1973. 

Il 12 aprile 1973 la Commissione emanava il regolamento (C.E.E.) n. 1031/73, 
con cui modificava, in conformit� all'art. 6 del regolamento n. 648/73, .gli 
importi d'adattamento degli i.c.m. Anche il regolamento n. 1031 doveva entrare 
in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che avvenne� 
il 21 aprile 1973, ed avere effetto retroattivo dal 9 aprile 1973. Per le stesse 
ragioni gi� esposte in precedenza, questa ultima circostanza � priva di rilievo 
nel presente procedimento. 

La seconda importazione effettuata dalla ricorrente consisteva, come s'�� 
visto, in una partita di quarti posteriori di carni bovine provenienti dalla Jugoslavia. 
L'unico onere gravante su di essa era un dazio � ad valorem � del 10%. 
L'i.c.m. fissato dal regolamento n. 974/73 era di Lit. 135,41 il kg; la riduzione 
contemplata dal regolamento n. 1031/71 era di Lit. 17,85. il kg. 

Il valore totale della partita di merce ammontava a Lit. 14.619.000, in base 
al quale si doveva versare un dazio di Lit. 1.461.900. 

Il peso totale della carne era di 10.368 kg e l'i.c.m., calcolato in ragione 
di Lit. 135,41 il kg, ammontava a Lit. 1.403.930. Se si fosse trascurata la riduzione 
fissata dal regolamento n. 1031/73, la ricorrente avrebbe dovuto pagare� 
la differenza fra Lit. 1.461.900 e Lit. 1.403.930, cio� Lit. 57.970. 

Le autorit� doganali italiane detraevano invece dall'i.c.m. la somma di 
Lit. 17,85 il kg, contemplata dal regolamento n. 1031/73. L'i.c.m. si riduceva 
quindi a Lit. 117,56 il kg ovvero a Lit. 1.218.870 per l'intera p~rtita di merce 
e la ricorrente veniva costretta a versare Lit. 243.030. 

La differenza fra le due somme (Lit. 243.030 e Lit. 57.970) rappresenta la 
seconda posta nel reclamo del ricorrente. 

Il 30 maggio 1973 la Commissione emanava il regolamento (C.E.E.) n. 1463/73,. 
che entrava in vigore il 4 giugno successivo, data della sua pubblicazione sulla 
Gazzetta Ufficiale delle Comunit� Europee. Esso veniva modificato dal regolamento 
(C.E.E.) della Commissione 18 luglio 1973, n. 1957, che era pubblicato 
sulla Gazzetta Ufficiale il 20 luglio 1973 ed entrava in vigore tre giorni dopo.. 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

L'importanza del regolamento n. 1463/73, nella versione modificata come si 
� test� detto, � duplice. 

In primo luogo, esso abrogava e sostituiva, con emendamenti, il regolamento 
n. 648/73. Di conseguenza, esso rappresentava, al momento in cui la 
ricorrente effettu� la sua terza importazione, il pi� rilevante fra i regolamenti 
emanati dalla Commissione in applicazione del regolamento del Consigli<>' 

n. 974/71 ed ancora in vigore. 
In secondo luogo -cosa che il regolamento n. 648/73 non aveva fatto esso 
accennava espressamente a�i una differenza fra le carni bovine e tutti gli 
altri prodotti agricoli, che rendeva necessario, almeno secondo la Commissione, 
un diverso trattamento delle une e degli altri per quanto riguardav~ gli adattamenti 
degli i.c.m. 

Se ho ben capito, questa differenza consisteva nel fatto che sulle importazioni 
di carni bovine dai paesi terzi gravava (da solo o, talvolta, insieme con 
altri tributi) un dazio � ad valorem >>, mentre sulle importazioni di tutti gli 
altri prodotti agricoli gravavano oneri (in genere prelievi) fissati con riferimento 
non gi� al valore, bens� al peso o a criteri similari. Ci� significava che, 
nel caso di prodotti diversi dalle carni bovine, il calcolo della riduzione da 
effettuarsi sull'i.c.m., affinch� esso, in conformit� dell'art. 4 bis, n. 2, del regolamento 
n. 974/71, non superasse l'onere gravante sulle importazioni dai paesi 
terzi, non presentava alcuna difficolt�. Poich� l'i.c.m. e l'onere all'importazione� 
erano fissati in base ad uno stesso criterio, non era difficile confrontarli. Nel 
caso delle carni. bovine, invece, il dazio per unit� di peso varia~a iri base al 
valore delle merci. Per le importazioni da paesi terzi non sorgevano problemi 
in quanto, in tale eventualit�, si doveva accertare il valore d'ogni partita di 
merce e calcolare il relativo dazio. Niente di simile era invece previsto per le 
esportazioni nei paesi terzi e, cosa forse ancor pi� grave, per il commerciointracomunitario. 
Se si fosse preteso che le autorit� doganali degli Stati membri 
valutassero ogni partita di merce oggetto di simili operazioni al solo fine di 
accertare se ed in quale misura le fosse applicabile l'adattamento dell'i.c.m., si 
sarebbe imposto alle suddette autorit� un impegno sproporzionato e si sarebbero 
creati discutibili intralci al commercio. La Commissione concludeva che: 
l'unica soluzione possibile, quantunque non del tutto soddisfacente, era quellai 
di calcolare gli adattamenti degli i.c.m. relativi alle carni bovine in base ad 
una stima forfettaria: il calcolo sarebbe stato effettuato partendo non gi� daI 
valore effettivo delle merci, bens� dai � prezzi all'importazione � fissati dalla 
Commissione in forza del regolamento del Consiglio n. 805/68. (Quel regolamento 
instaurava, come ricorderete, l'organizzazione comune del mercato nel 
settore delle carni bovine e stabiliva, all'art. 10, che � in base ai corsi registrati 
s�i mercati pi� rappresentativi dei paesi terzi � andavano calcolati � prezzi alla� 
importazione � da confrontare con i � prezzi d'orientamento � comunitari perdeterminare 
se eventualmente si dovessero imporre prelievi sulle importazioni 
dai paesi terzi in aggiunta al dazio doganale). La Commissione aggiungeva che 
si sarebbero potute verificare artificiali deviazioni del traffico commerciale qua-lora 
gli adattamenti forfettari degli i.c.m., calcolati nel modo sopra indicato, 
non si fossero applicati a tutte le operazioni concernenti le carni bovine, ivi 
incluse le importazioni dai paesi terzi. 

Mi sembra che questo ragionamento avesse gi� guidato la Commissione 
nel fissare gli adattamenti degli i.c.m. in applicazione dell'art. 6 del regolamento 
n. 648/73. La novit� introdotta dal regolamento n. 1463/73 consiste nel 
fatto che tali considerazioni venivano ora svolte in forma esplicita. Un'altra 
innovazione introdotta, in conformit� alle suddette considerazioni, dal regolam�nto 
n. 1463/73 fu quella di affidare agli Stati membri il calcolo degli adatta



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

menti degli i.c.m. per tutti i prodotti diversi dalle carni bovine. La Commissione 
doveva perci� limitarsi a fissare gli adattamenti forfettari valevoli per il 
settore delle carni bovine. 

Non credo sia necessario citare i corrispondenti passi nella motivazione 
del regolamento n. 1463/73. La norma, che si ispira alle considerazioni sopra 
illustrate, � l'art. 5, il quale, nel. testo modificato dall'art. 1 del regolamento 

n. 1957/73, dispone quanto segue: 
� 1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie ad assicurare il rispetto 
delle disposizioni dell'articolo 4 bis, paragrafo 2, del regolamento (C.E.E.) numero 
974/71 � (1). 
� Tuttavia, nel settore delle carni bovine, gli Stati membri diminuiscono 
gli importi compensativi monetari degli importi loro comunicati a tal fine. La 
Commissione stabilisce tali importi in base al prezzo all'importazione, calcolato 
a norma dell'articolo 10, paragrafo 1, del regolamento (C.E.E.) n. 805/68... � (2). 

Ho gi� detto che la terza importazione, consistente in un carico di bovini 
vivi provenienti dall'Ungheria, fu effettuata dalla ricorrente il 10 agosto 1973. 
Su di essa andava riscosso un dazio ad valorem dell'8%. L'i.c.m., fissato dal 
regolamento (C.E.E.) della Commissione 31 luglio 1973, n. 2102, era di Lit. 136,78 

il kg.. 
Il valore totale del bestiame era di Lit. 7.888.410; il relativo dazio ammontava 
a Lit. 631.080. 

Il peso totale era di 11.470 kg e l'i.c.m., calcolato in ragione di Lit. 136,78 
il .kg, corrispondeva a Lit. 1.156.996. Esso superava quindi l'ammontare del dazio 
e, se non fosse stato ridotto, avrebbe avuto per effetto, ai sensi dell'art. 4 bis 

del regolamento n. 974/71, di cancellare il debito d'imposta. 

Le autorit� doganali italiane, invece, detraevano dall'i.c.m. la somma di 
Lit. 85,48 il kg fissata, in base all'art. 5 del regolamento (C.E.E.) n. 1463/73, da 
una decisione della Commissione in data 30 luglio 1973 (73/268/C.E.E.). Rimane 
dubbio se questo �modo di procedere fosse, in ogni caso, corretto, dal momento 
che le riduzioni contemplate dalla predetta decisione erano dichiarate applicabili 
agli i.c.m. fissati in precedenti regolamenti della Commissione, che erano 
stati abrogati dal regolamento n. 2102/73. Nessuna delle parti ha per� accennato 
a questo problema. 

In seguito alla detrazione di Lit. 85,48 il kg, l'i.c.m. totale si riduceva da 
Lit. 1.156.996 a Lit. 588.420. Poich� il dazio amm�ntava a Lit. 631.080, rimanevano 
a carico della ricorrente Lit. 42.660, che costituiscono la terza voce nel totale 
di Lit. 320.729 da essa reclamato. 

Nelle memorie da essa presentate, la Commissione sollevava il problema 
della ricevibilit� del ricorso, ma non proponeva formalmente che esso venisse 
dichiarato irricevibile. Invitata a precisare in udienza la sua posizione al riguardo, 
essa ha chiesto che il ricorso sia dichiarato irricevibile. 

A sostegno di tale conclusione, la Commissione ha addotto due argomenti. 
In primo luogo, essa fa valere che il ricorso costituisce in realt� una � repetiti 
indebiti >>, cio� un'azione che nasce da un � quasi-contratto � e dovrebbe venire 
assimilata, per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 215 del Trattato, ad una 
azione contrattuale. In secondo luogo, essa afferma che il ricorso tocca le risorse 
proprie della Comunit� come definite nella decisione adottata dal Consiglio il 
21 aprile 1970 (70/243 C.E.C.A., e.E.E., Euratom) e che perci� in conformit� 
all'art. 6 della predetta decisione ed alla sentenza pronunziata dalla Corte nella 
.causa 96/71 (Haegeman c/ Commissione, Racc. 1972, vol. 2, pagg. 1014-1015), � 

(1) G. U. 4 giugno 1973, n. L 146. 
(2) G. U. 20 luglio 1973, n. L 200. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. CO!\:t:UNIT~IA E INTERNAZIONALE 195 

un ricorso sul quale dovrebbero pronunziarsi le competenti giurisdizioni dello 
Stato membro che raccoglie le suddette risorse, nella fattispecie l'Italia. 

Il primo argomento non mi convince. Non mi pare che nella. moderna 
legislazione di alcuno dei nostri Stati il � quasi-contratto � sia considerato come 
un settore del diritto contrattuale. Si vedano, a titolo d'esempio, l'art. 1370 del 
Codice Civile francese e l'impostazione del secondo libro del Codice Civile 
tedesco (BGB). Nella legislazione inglese, contratto e quasi-c�ntratto hanno, 
storicamente, un'origine comune nell'antica azione dell'� assumpsit �, ma sono 
oggi due settori ben distinti del diritto. In effetti, per meglio e~idenziare la 
foro differenza, la maggior pa,rte degli autori contemporanei preferisce usare, 
parlando del quasi-contratto, il termine � restitution �. Non credo che gli autori 
del Trattato, accennando nel primo comma dell'art. 215 alla � responsabilit� 
contrattuale della Comunit�>>, abbiamo inteso includervi la responsabilit� per la 
restituzione di somme pagate indebitamente al di fuori di qualsiasi contratto. 

Del pari, mi sembrerebbe semplicisti�o dichiarare irricevibile il ricorso solo 
perch� esso si riferisce alle risorse proprie della Comunit�. Le somme pagate. 
dalla ricorrente sono state versate a titolo di dazio doganale e, nel periodo 
in esa�ne (1973), solo una certa quota dei dazi doganali riscossi da ciascuno 
Stato membro entrava nel bilancio comunitario -cfr. art. 3 della Decisione 
del Consiglio 21 aprile 1970 -. � vero che, in conformit� all'art. 7 del regolamento 
n. 974/71. (da me gi� citato), la riduzione degli i.c.m. lamentata dalla 
ricorrente tornava a vantaggio del F.E.A.O.G. Ci� significava tuttavia una riduzione 
delle spese della Comunit� pi� che un aumento delle. sue risorse propriamente 
dette. 

Nonostante queste considerazioni, concordo con la Commissione sulla irricevibilit� 
del ricorso. Una simile conclusione si ricava in un certo senso ~' a 
fortiori� dalla sentenza Haegeman, che � rilevante per la quota dei dazi doganali 
versati dalla ricorrente che � stata ceduta alla Comunit�. Per la parte de~le 
somme considerate trattenuta dal Ministero del Tesoro la responsabilit� d't,Uli1 
eventuale restituzione ricade sullo Stato italiano, anche se il F.E.A.O.G. � in,. 
effetti tenuto ad indennizzare lo Stato italiano delle spese sostenute a .causa 
di tale responsabilit�. 

Nel corso del procedimento sono state ricordate alcune cause nelle quali 
la Corte ha dichiarato ricevibili azioni per danni proposte contro Istituzioni 
comunitarie ai sensi dell'art. 215, n. 2, in quanto gli interessati erano stati danneggiati 
dal comportamento delle Istituzioni convenute. Ritengo per� che ta).i 
casi siano differenti da quello in esame. In tutti questi casi infatti i ricorrenti 
si richiamavano, in realt�, alla circostanza che l'Istituzione interessata non aveva 
provveduto ad attribuire loro il diritto di riceve un certo pagamento. 

Cos� nella causa 43/72 (Merkur c. Commissione, Racc. 1973, pag. 1055) una 

ditta tedesca faceva valere che la Commissione non ave':a fissato, durante un 

certo periodo, gli i.c.m. per i prodotti di trasformazione dell'orzo, cosicch� 

l'interessata non aveva ricevuto alcun i.c.m. in occasione delle sue esportazioni 

di tali prodotti nel periodo considerato. La differenza fra un simile ricorso e 

la ripetizione d'una somma assertivamente pagata in pi� del dovuto alle auto


rit� di uno Stato membro, come nel caso Haegeman, � stata illustrata dall'avvo


cato generale Mayras, il quale ha posto in rilievo come la ricevibilit� del ricorso 

dipenda dalla natura e dall'oggetto delle pretese in esso enunciate (Racc. 1973, 

pagg. 1080-1081; Racc. 1973, pagg. 1081-1082). 

Nella causa 153/73 (Holtz & Willemsen c. Consiglio, Racc. 1974, pag. 675) 

un oleificio tedesco si riteneva ingiustamente danneggiato dal comportamento 

del convenuto, che aveva riservato una certa sovvenzione ai soli oleifici italiani, 

e chiedeva, a titolo di risarcimento dei danni, il pagamento delle somme cui 

4 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

196 

avrebbe avuto diritto se la sovvenzione fosse stata estesa a tutta la Comunit�.. 
In tale occasione, � stato l'avvocato generale Reischl a precisare la differenzal 
fra il suddetto ricorso ed il tipo di azioni esemplificato con il ricorso Haegeman 
(Racc. 1974, pag. 701; Racc. 1974, pag. 702). 

Nella causa 74/74 (CNTA c. Commissione, Racc. 1975, pag. 533), la Corte ha. 
ritenuto ricevibile un ricorso proposto, ai sensi dell'art. 215, da un esportatore 
francese di semi oleosi, il quale faceva carico alla Commissione di non avere� 
incluso in un regolamento che aboliva gli i.c.m. nel commercio dei predetti 
semi disposizioni transitorie volte a tutelare gli operatori che avevano assunto� � 
impegni d'esportazione facendo affidamento sulla corresponsione degli i.c.m. 

Non si pu� quindi desumere da questi precedenti il principio, sostenuto 
dalla ricorrente, che chiunque si pretenda danneggiato da un presunto comportamento 
illegittimo di un'Istituzione comunitaria, pu� agire contro la sud-detta 
Istituzione ai sensi dell'art. 215, secondo comma. In realt�, non solo la 
sentenza Haegeman, ma anche la sentenza pronunziata dalla Corte il 26 no-� 
vembre 1975 nella causa n. 99/74, Soci�t� des Grands Moulins des Antilles c. 
Commissione (non ancora pubblicata), dimostrano l'inesistenza d'un tale principio. 

Ne consegue, a mio parere, che la ricorrente avrebbe dovuto convenire in 
giudizio il competente organo dell'amministrazione italiana dinanzi ai tribunali 
italiani e sollevare in quella sede, a norma dell'art. 184 del Trattatq, il problema. 
della validit� degli atti della Commissione da cui essa si ritiene lesa. Sarebbe 
poi spettato al giudice investito della causa sottoporre, se lo avesse ritenuto� 
necessario, una domanda di pronunzia pregiudiziale alla Corte di Giustizia. 
Nel dir ci� non mi sfugge che, nelle cause Mer~ur,.Holtz & Willemsen e CNTA, 
si � autorevolmente accennato all'inopportunitii di rimandare i ricorrenti dall'una 
all'altra giurisdizione. Tale inopportunit� � evidente, ma non rappresenta,.. 
a mio avviso, un valido motivo per concedere agli interessati la piena libert� 
di proporre qualsiasi gravame dinanzi a qualsiasi giurisdizione. In proposito,. 
mi richiamo di nuovo -com'� ovvio -alle sentenze Haegeman e Grands� 
Moulins des Antilles. 

Pur ritenendo che il ricorso sia irricevibile, giudico opportuno esaminarlo" 
anche nel merito. 

:t;. curioso dover osservare che, se si esclude un rapido accenno al regolamento 
n. 648/73 nell'istanza di ricorso, la ricorrente ha fondato le sue pretese� 
esclusivamente sulla asserita illegittimit� dell'art. 5 del regolamento n. 1463/73,. 
che in realt� entrava in gioco solo per l'ultima delle tre importazioni considerate. 
In risposta ad una domanda rivoltale dalla Corte al termine della fase 
scritta del procedimento, la ricorrente ha affermato di aver fatto ci� per motivi 
di comodit�, in quanto il regolamento n. 1463/73, oltre ad essere l'ultimo im 
ordine di tempo, era anche quello il cui preambolo meglio esprimeva il pensiero 
della Commissione. 

In sostanza, la ricorrente ha sostenuto, come risulta dalle sue memorie,. 
che la Commissione non era competente ad adottare i provvedimenti che essa 
ha emanato in materia di riduzione degli i.c.m. Richiamandosi agli artt. 145 e� 
155 del Trattato, la ricorrente ha avanzato, a sostegno della propria affermazione, 
quattro principali argomenti. 

In primo luogo, essa ha osservato che i provvedimenti in esame contrastavano 
con lo scopo stesso degli i.c.m., cui veniva impedito di compensare' 
esattamente la differenza fra la parit� ufficiale di una moneta nazionale ed 
il suo effettivo tasso di cambio. Ci� si sarebbe risolto in un vantaggio per gli 
operatori degli Stati membri con valuta forte ed in un danno per quelli degli 
Stati membri con valuta debole. Signori; Giudici, l'argomento mi sembra voler 
dimostrare troppo. La riduzione degli i.c.m. al livello degli oneri gravanti sulle: 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

importazioni dai paesi terzi, quando gli i.c.m. risulterebbero altrimenti pm 
elevati, � espressamente contemplata dall'art. 4 bis, n. 2, del regolamento del 
Consiglio n. 974/71, la cui validit� non � contestata. Il vero bersaglio del ricorso 
� in realt� la fissazione da parte della Commissione di riduzioni forfettarie nel 
settore delle carni bovine: quando, come nel caso delle tre importazioni di 
cui si discute, il valore delle merci importate supera il � prezzo all'importazione 
� in base al quale � stata calcolata la riduzione forfettaria, applicando 
la riduzione, l'i.c.m. scende non solo al livello dell'onere all'importazione, ma 
addirittura al disotto di esso. Viceversa -com'� �naturale -quando il valore 
delle merci � inferiore al � prezzo all'importazione �, l'i.c.m. rimane talvolta 
pi� elevato dell'onere all'importazione nonostante la riduzione forfettaria. 

Il secondo argomento avanzato dalla ricorrente � il seguente: la detrazione 
dell'i.c.m. dall'onere all'importazione, prevista dall'art. 4 bis, non � la stessa 
cosa che la riduzione dell'i.c.m., disposta dalla Commissione. Bisogna riconoscere 
che ci� � vero. Ma la differenza � priva di rilievo quando il solo effetto 
della riduzione operata sull'i.c.m. � di far scendere quest'ultimo al livello dell'onere 
all'importazione. Anche qui la ricorrente intende, in realt�, attaccare 
la fissazione delle riduzioni forfettarie, il cui effetto pu� essere pi� (o meno) 
rilevante di quello test� considerato. 

Il terzo argomento della ricorrente affronta il nocciolo della questione. 
Con esso la ricorrente afferma infatti che la fissazione di riduzioni forfettarie 
non era consentita dall'art. 4 bis. A suo parere, almeno per quanto riguarda 
le merci importate dai paesi terzi, la Commissione avrebbe dovuto lasciare alle 
autorit� doganali degli Stati membri interessati il compito di applicare tale 
provvedimento ad ogni singola partita di merce; in altre parole, sarebbe spettato 
agli Stati detrarre l'i.c.m. effettivo dal dazio doganale effettivo valevole 
per ciascuna partita. All'obiezione della Commissione secondo cui ci� implicherebbe, 
o la fissazione di riduzioni forfettarie solo per le operazioni non consistenti 
in importazioni dai paesi terzi, con la conseguenza che l'i.c.m. effettivo 
valevole per tali importazioni sarebbe diverso da quello valevole per le altre 
operazioni, oppure la necessit� per le autorit� doganali di accertare con riguardo 
a qualsiasi operazione il valore della merce che ne costituisce l'oggetto, la 
ricorrente replica -mi sembra di capire -con due ordini di considerazioni. 

In primo luogo, essa osserva che l'art. 4 bis, n. 2, disponendo che � Negli 
scambi tra gli Stati membri ed in quelli con i paesi terzi, gli importi di compensazione... 
non possono essere superiori all'onere all'importazione in provenienza 
dai paesi terzi >>, si dimostra applicabile, per quanto riguarda il commercio 
intracomunitario o le esportazioni nei paesi terzi, alle sole operazioni 
concernenti merci che siano state, in modo documentabile, importate da paesi 
terzi. Per dirla in altri termini, l'art. 4 bis, n. 2, non'si applica alle merci d'origine 
comunitaria, n� -se ho ben capito -alle merci provenienti dai paesi 
terzi che, dopo l'importazione, abbiano perso (in seguito a trasformazione o 
per altri motivi) la loro identit� originaria. Mi sembra che una simile conclusione 
vada respinta. L'art. 4 bis, n. 2, lascia, a mio parere, chiaramente intendere 
che, in uno Stato la cui moneta si sia deprezzata, tutti gli i.c.m. non possono 
superare il livello degli oneri gravanti sui prodotti importati dai paesi 
terzi. 

Alternativamente, la ricorrente sostiene che le autorit� doganali devono 
sempre accertare, se non altro per poter applicare !'I.V.A., il valore delle merci 
che attraversano la frontiera. Confesso che questo argomento mi ha, in un 
primo tempo, colpito, almeno per quanto riguarda l'I.V.A. Mi sembrava infatti 
che, se la ricorrente avesse potuto dimostrare la necessit� di accertare in ogni 
caso il valore delle merci esportate in paesi terzi od oggetto di commercio 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

intracomunitario ai fini dell'I.V .A., la tesi difensiva della Commissione sarebbe 
venuta a cadere. Ma, lasciando da parte il problema, tuttora non completamente 
risolto, del se le merci in esame siano effettivamente sottoposte, in Italia, ad 
una stima del valore, sono giunto alla conclusione che, in ultima analisi, si 
debba accettare la tesi della Commissione. Quest'ultima mi � pa_rsa infatti convincente 
quando ha spiegato che le merci di provenienza comunitaria o in 
libera pratica in uno Stato membro possiedono, a causa della preferenza comunitaria, 
un valore di mercato superiore a quello di merci sostanzialmente identiche 
importate da paesi terzi, con la conseguenza che, volendosi comparare 
grandezze omogenee, l'onere che le prime avrebbero dovuto sopportare, se importate 
da un paese terzo, poteva essere determinato solo in base ad un metodo 
di valutazione diverso da quelli usati ai fini dell'I.V.A. 

A sostegno del suo quarto argomento, la ricorrente ha invocato non solo 
gli artt. 145 e 155, ma altres� l'art. 162 del Trattato. Devo per� osservare che 
quest'ultimo articolo, abrogato dall'art. 19 del Trattato di Fusione e rimpiazzato 
dagli artt. 15 e 16 di detto Trattato, mi sembra assai poco attinente al 
problema di cui si discute. 

L'argomento in s� consiste nell'affermazione che l'art. 5 del regolamento 

n. 1463/73 si discostava enormemente dalle disposizioni dell'art. 4 bis del regolan1ento 
n. 974/71 e, di conseguenza, avrebbe potuto essere emanato soltanto 
dal Consiglio. La ricorrente cita, al riguardo, il secondo comma dell'art. 4-bis, 
n. 2, nel quale il Consiglio si riservava la facolt� di � stabilire, in taluni casi 
eccezionali, che non � applicabile il primo comma>>. Anche questo argomento 
mi sembra. da rifiutare. Nel prevedere e nel fissare le riduzioni forfettarie 
degli i.c.m. nel settore delle carni bovine, la Commissione non si � scostata 
dalle norme dell'art. 4 bis, n� ha deciso che qualcuna, di esse non dovesse 
venire applicata. Il suo scopo era infatti quello di dare attuazione alle suddette 
norme nel modo che le sembrava, entro i limiti della possibilit� amministrativa, 
il meno inappropriato. Ci� rientrava, a mio parere, nei poteri attribuiti alla 
Commissione dal regolamento n. 974/71 (cfr. la sentenza della Corte nella. causa 
154/73, Becher c. Hauptzollamt Emden, Racc. 1974, pa~. 19). Il citato procedimento 
serve fra l'altro a ricordare che gli i.c.m. sono essi stessi necessariamente 
importi forfettari, posto che non � possibile fissarli con riferimento al prezzo 
effettivamente pattuito in ogni singolo contratto d'importazione o d'esportazione. 
Non si vede quindi che cosa ci sia di sostanzialmente scorretto nell'applicare 
adattamenti forfettari a somme che sono esse stesse di carattere forfettario. 
Questo per quanto riguarda gli argomenti avanzati dalla ricorrente nella 
fase scritta del procedimento. In udienza, il patrono della ricorrente ha solle


vato la questione della retroattivit� dei regolamenti della ommissione applica


bili alla prima ed alla seconda importazione. 

Come ho dimostrato, ci� non ha rilevanza per la seconda importazione: 

i regolamenti ch� fissavano l'i.c.m. su quell'importazione ed il relativo adatta


mento (regolamenti nn. 974/73 e 1031/73) erano in parte retroattivi, ma non 

tanto da poter influire sull'importazione in esame. 

Il problema della retroattivit� si pone perci� soltanto con riferimento alla 
prima importazion~. 1'. mio parere che la ricorrente lo abbia sollevato troppo 
tardi. Il regolamento di procedura della Corte (si vedano in particolare gli 
artt. 38, n. l, c, 41 e 42) prevede che i motivi del ricorso devono essere dedotti 
durante la fase scritta del procedimento e non consente, a mio avviso, che 
un nuovo mezzo sia sollevato in udienza. La ragione di ci� va ricercata nel 
fatto che la deduzione di un nuovo mezzo in tale �sede pu� trovare il convenuto 
impreparato a replicare. Il presente caso ne � un esempio. I regolamenti 
con effetto retroattivo applicabili alla prima importazione includevano il rego


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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 199 

lamento n. 649/73 recante fissazione dell'i.c.m. Per quanto ne sappiamo, il predetto 
i.c.m., pur ridotto in base all'aggiustamento previsto dal regolamento 

n. 905/73, avrebbe potuto �ssere superiore all'i.c.m. precedentemente in vigore, 
cosicch�, tutto considerato, la ricorrente avrebbe anche potuto non ricevere 
alcun danno dalla retroattivit� del regolamento. Tuttavia, la Commissione, n�n 
essendo stata informata di tale mezzo, non ha potuto esaminare la suddetta 
possibilit�. Per correttezza, devo precisare che, in seguito ad una mia domanda, 
il patrono della ricorrente ha ammesso che il mezzo relativo alla retroattivit� 
non 'si sarebbe potuto prendere in considerazione se fosse stato realmente 
sollevato soltanto in udienza. Egli ha per� sostenuto che detto mezzo era 
implicito nelle memorie della ricorrente. Dal canto mio, non sono riuscito a 
trovare nelle memorie della ricorrente alcun riferimento, espresso od implicito, 
al predetto mezzo. 
Concludo, pertanto, proponendo che il ricorso sia dichiarato irricevibile e 
che le spese siano poste a carico della ricorrente. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3 febbraio 1976, 
nella causa 59/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Warner -Domanda di pro�uncia 
pregiudiziale proposta dal Giudice istruttore presso il Tribunale 
di. Como nel procedimento penale promosso contro Manghera 
ed altri (avv. Ubertazzi e Capelli) -Interv.: Consiglio delle Comunit� 
europee (ag. Fornasier), Commissione delle Comunit� europee (ag. 
Marchini-Camia~, e Governo italiano (avv. Stato Braguglia). 

Comunit� europee -Unione doganale -Restrizioni quantitative -Abolizione 
-Monopoli nazionali -Riordinamento -Diritti esclusivi di iniportazione 
-Abolizione -Termine. 
(Trattato e.E.E., art. 37, n. 1; legge 17 luglio 1942, n. 907). 

Comunit� europee -Unione doganale -Restrizioni quantitative -Aboli� 
zione -Monopoli nazionali -Riordinamento -Art. 37, n. 1, del trattato 

C.E.E. -Efflcacia diretta -Decorrenza. 
(Trattato e.E.E., art. 37, n. 1). 
Comunit� europee -Unione doganale -Termini stabiliti dal trattato 

C.E.E. -Provvedimenti delle Istituzioni comunitarie -Effetti nei confronti 
dei singoli. 
(Trattato e.E.E., art. 37, n. 1). 
L'art. 37, n. 1 del Trattato C.E.E. va interpretato nel senso che, non pi� 
tardi del 31 dicembre 1969, ogni monopolio nazionale a carattere commerciale 
avrebbe dovuto essere riordinato in modo tale da abolire il diritto 
esclusivo di importazione dagli altri Stati membri (1). 

(1-3) L'art. 37 del Trattato e.E.E. ed il monopolio italiano dei tabacchi. 
Le questioni dibattute, di notevole importanza di principio, hanno perduto 
in corso di causa -per ci� che concerne l'ordinamento italiano -il loro 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Alla scadenza del periodo transitorio, l'art. 37, n. 1, pu� essere fatto 
valere dai cittadini degli Stati membri dinanzi ai giudici nazionali (2). 

La risoluzione del Consiglio delle Comunit� europee 41 aprile 1970 (relativa 
all'impegno dei governi francese e italiano ad abolire i diritti esclusivi 
di importazione e di commercializzazione all'ingrosso entro il 1� gennaio 
1976) non modifica la portata delle disposizioni di cui all'art. 37, 

n. 1, del Trattato C.E.E. (3). 
(Omissis). -In diritto. -Con ordinanza 30 giugno 1975, pervenuta in 
cancelleria il 7 luglio 1975, il giudice istruttore press9 il Tribunale di Como 
ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato C.E.E., alcune 
questioni vertenti sull'interpretazione d<;:ll'art. 371 n. 1, del Trattato � 

e.E.E. e della risoluii.one del Consiglio 21 aprile 1970, concernente i mono-
rilievo pratico. In adempimento della risoluzione del Cons'iglio C.E.E. 21 aprile 
1970, .infatti, � stata approvata la legge 10 dicembre 1975, n. 724 (G.U. 7 gennaio 
1976, n. 4) che, all'art. 1, liberalizza l'importazione dei tabacchi lavorati di 
provenienza dai Paesi C.E.E. 

� Non sar� inutile tuttavia, e proprio per la sopra notata importanza di principio, 
riprodurre il testo delle osservazioni presentate nell'interesse del Governo 
italiano. 

1. -Dal provvedimento di rinvio risulta che i reati ascritti ~ Manghera 
Flavia ed agli altri imputati consistono nella violazione dell'art. 66, n. 5, della 
legge nazionale 17 luglio 1942, n. 907, per aver introdotto nel territorio italiano 
soggetto a monopolio, in frode ai diritti di confine, una certa quantit� di 
tabacchi lavorati esteri, prodotti in parte in Paesi della Comunit�. 
Essendo insorto dubbio circa la compatibilit� del monopolio italiano dei 
tabacchi con le norme del Trattato che disciplinano i monopoli commerciali, 
il Giudice istruttore presso il Tribunale di Como ha sottoposto alla Corte i 
seguenti quattro quesiti: 

I) se l'art. 37, n. 1, del Trattato vada interpretato nel senso che a partire 
dal 31 dicembre 1969 (data di .scadenza del periodo transitorio) il monopolio 
commerciale dovesse essere ristrutturato in modo tale da eliminare 
la possibilit� stessa di operare discriminazioni nei confronti degli esportatori 
comunitari, con il seguente venir meno dei diritti di importazione esclusiva, 
nei confronti degli altri Stati membri, a partire dal 1� gennaio 1970; 

Il) se l'art. 37, n. 1, del Trattato sia direttamente applicabile all'interno 
degli Stati comunitari ed abbia fatto sorgere diritti soggettivi in capo ai 
singoli s�ggetti, diritti tutelabili avanti l'Autorit� giudiziaria nazionale; 

III) se conseguentemente, in base all'art. 37 del Trattato, dopo il 1� gennaio 
1970 potessero ess�re effettuate importazioni all'interno del territorio 
italiano di prodotti sottoposti al regime di monopolio dei tabacchi, previsto 
dalla legge 17 h.iglio 1942, n. 907 e provenienti da Paesi comunitari anche da 
parte di soggetti diversi dal Monopolio, pur con applicazione delle imposte 
previste per tali generi di prodotti; 

IV) se la risoluzione del Consiglio dei Ministri C.E.E. del 21 aprile 1970, 
pubblicata in G.U.C.E. n. C 50 del 28 aprile 1970, possa modificare la portata 
delle disposizioni di cui all'art. 37, n. 1, del Trattato e se, in caso affermativo, 
la. stessa abbia nei confronti degli altri Stati �membri una efficacia vin-i~ 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 201 

pol!_,nazionali a carattere commerciale dei tabacchi manifatturati (G.U. 
28 aprile 1970, n. e 50, pag. 2). 

Il giudice italiano � chiamato a pronunziarsi, in sede penale, su fatti 
.qualificati come una violazione delle norme che attribuiscono al monopolio 
statale dei tabacchi manifatturati il diritto esclusivo d'importazione. 

Con la questione si chiede se l'art. 37, n. 1, del Trattato vada interpre


talo nel senso che, a partire dal 31 dicembre 1969 (data di scadenza del 
�periodo transitorio), il monopolio commerciale doveva essere riorganizzato 
in modo tale da eliminare la possibilit� stessa di operare discrimina:
zioni nei confronti degli esport�tori comunitari con il conseguente venir 
meno dei diritti di importazione esclusiva nei confronti degli altri Stati 
membri a partire dal 1� gennaio 1970. 

�colante tale da rendere immediatamente libera l'importazione di prodotti sog_
getti al monopolio senza necessit� di un ulteriore provvedimento comunitario, 
.con conseguente caducazione dei diritti di esclusiva del monopolio tabacchi. 
2. -Prima di esaminare i quesiti proposti alla Corte, il Governo italiano 
:reputa necessario sottoporre alcune osservazioni preliminari sul punto di vista 
.dal quale � partito il Giudice istruttore nella formulazione dei quesiti mede� 
simi. Per la verit�, molto si potrebbe obbiettare anche in ordine alla rilevanza, 
nel giudizio a quo, della richiesta pronuncia pregiudiziale: un tale 
.discorso sarebbe tuttavia inutile alla stregua della costante giurisprudenza 
.clella Corte. 
Come chiaramente risulta dai quesiti, il giudice nazionale � partito dal 
punto di vista che il monopolio italiano dei tabacchi costituisca un puro 
.e semplice monopolio a carattere commerciale, come tale ricadente sotto 

11.a 
disciplina dell'art. 37 del Trattato. 
Il Governo italiano � di opinione completamente opposta e reputa che 
11 monopolio dei tabacchi costituisca un tipico esempio di monopolio fiscale. 
Di certo, la qualificazione del monopolio tabacchi come monopolio a 
.carattere commerciale ovvero fiscale costituisce un problema di interpretazione 
.ed applicazione del diritto interno (non gi� del diritto comunitario): sicch� 
menzionarlo e tentar di �risolverlo in questa sede potrebbe apparire un fuor 
.d'opera. Tuttavia, l'enunciazione di alcune delle caratteristiche che portano 
a qualificare, nell'ambito dell'ordinamento nazionale, il monopolio dei tabac.
chi come tipico monopolio fiscale servir� da un lato per indicare qual � il 

tessuto sul quale andr� ad operare la richiesta pronuncia pregiudiziale; dal:
l'altro perch� la Corte, ove lo reputi, possa fornire al giudice nazionale 
anche l'interpretazione delle norme comunitarie che riguardano i monopoli 

fiscali. 

In �tal �modo, se e quando il gi.dice nazionale si porr� il problema della 
.qualfficazi�ri� del monopolio< tabacchj~ avr� gi� presenti i parametri di diritto 
.comunitario: sia relativi ai monopoli commerciali, sia relativi ai monopoli 

fiscali. 

Nell'ambito del diritto interno il monopolio dei tabacchi costituisce -come 

si diceva -l'esempio tipico dei monopoli fiscali: cio� dei monopoli di diritto 

.creati per legge allo scopo di conseguire entrate finanziarie, altrimenti non 

.conseguibili, da destinare al soddisfacimento di pubbliche necessit�. 

Questa finalit� eminentemente fiscale del monopolio tabacchi italiano ri:
sulta non soltanto dalla unanime dottrina e dall'applicazione dei canoni della 



202 

RASSHGNA DELL'AVVOCATURA DELLO 'srATO 

L'art. 37, n. 1, dispone che gli Stati membri procedano al progressivo 
riordinamento dei monopoli nazionali che presentano carattere commerciale, 
in modo da escludere qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli 
Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento 
e agli sbocchi.� 

Pur senza es~gere l'abolizione di tali monopoli, il predetto articolo ne 
impone un riordinamento che 'assicuri, alla scadenza del periodo transitorio, 
la completa soppressione delle� discriminazioni in oggetto. 

Per determinare, in Via interpretativa, la natura e la portata del riordinamento 
previsto dal primo paragrafo dell'art. 37, occorre esaminare detto 
paragrafo alla luce degli altri paragrafi dello stesso articolo e nell'ambito 
del sistema generale del Trattato. 

scienza economica e finanziaria. Essa � espress<1.mente affermata dalla legge, 
onde assume sicura rilevanza giuridica nel diritto interno. 
Gi� la Iegge istitutiva dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato (r.d.l. 
8 dicembre 1927, n. 2258, in G.U.R.I. 14 dicembre 1927, n. 288 . e 9 marzo 1929, 

n. 58) distingueva, all'art. 4, le entrate dell'Amministrazione stessa nelle due 
specie . di entrate fiscali, � rappresentate dall'imposta di consumo dei sali e 
dei tabacchi�, e di entrate di natura industriale e commerciale; Simile distizione 
non appariva priva di giuridiche conseguenze perch� lo stesso art. 4 
dopo aver precisato che la quota da considerarsi come entrata fiscale doveva 
determinarsi come entrata di bilancio, aggiungeva che la parte fiscale delle 
entrate dell'Amministrazione doveva imputarsi al competente capitolo del bilancio 
dell'entrata dello Stato, mentre la parte di natura industriale e commerciale 
doveva imputarsi al bilancio speciale dell'Azienda. 
Cosicch� la legge stessa veniva ad attribuire carattere di entrata fiscale 
ad una parte del prezzo pagato dal consumatore dei generi di monopolio. 
Una conferma, pure legislativa, di tale carattere risultava del resto dalla 
successiva legge sul monopolio del sale e dei tabacchi (legge 17 luglio 1942 

n. 907, in G.U.R.I. 25 agosto 1942, n. 199) la quale, oltre a definire il sale 
ed il tabacco agli effetti fiscali (rispettivamente articoli 2 e 46), prevedeva un 
sistema di sanzioni costruendolo come sistema di sanzioni per le violazioni 
di legge finanziaria. Il che � ulteriormente confermato dall'art. 10 della legge 
3 gennaio 1951, n. 27 (in G.U.R.I. 2 febbraio 1951, n. 27) che attribuisce all'intendente 
di finanza alcuni poteri in materia di definizione dei reati previsti 
dalla legge sui monopoli. 
La indiscutibile funzione fiscale del monopolio dei tabacchi � stata, in 
tempi pi�. recenti, perfezionata tecnicamente. Fino all'entrata in vigore della 
legge 19 dicembre 1958, n. 1085 (G.U.R.I. 29 dicembre 1958, n. 313), l'imposta 
sui� prodotti di monopolio, o, se si vuole, la quota delle entrate dell'Amministrazione 
dei Monopoli da considerare entrate fiscali, veniva stabilita, ai 
sensi del ricordato art. 4 del �r.d.l. n. 2258/1927, con la legge di bilancio, in 
ragione di una percentuale fissa (che di fatto ha oscillato tra 1'80 % ed il 
75 %) del prezzo di vendita. Il sistema cos� seguito aveva certamente il pregio 
della semplicit� e praticit�, ma presentava chiari difetti da un punto di 
vista strettamente tributario, specialmente in ordine alla distribuzione dell'imposta. 


Per ovviare a questi difetti, dapprima la gi� citata legge n. 1085/1958 
dispos.e che il prezzo di vendita dei generi di monopolio venisse fissato con 


PARTE I, SEZ. II, GI�JRIS. C�:M�NITARIA E INTERNAZIONALE 203 

La disposizione in esame � inserita nel titolo relativo alla libera circolazione 
delle merci, e pi� precisamente nel capo II di detto titolo, concernente 
l'abolizione delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri. Essa 
si applica a qualsiasi organismo per mezzo del quale uno Stato membro 
controlli, diriga o influenzi sensibilmente, direttamente o indirettamente, le 
importazioni o le esportazioni fra gli Stati membri. 

D'altra parte, il n. 2 dell'art. 37 impone agli Stati membri l'obbligo di 
�stenersi, fin dall'inizio del periodo transitorio, da qualsiasi provvedimento 
atto a limitare la portata degli articoli relativi all'abolizione dei dazi 

decreto del Capo dello Stato nel quale dovevano essere indicate, per ciascuna 
voce, le quote spettanti al fornitore (Amministrazione dei' monopoli o esportatore 
straniero), all'Amministrazione per le spese di distribuzione ed al rivenditore, 
precisando che � la "parte residua � ver~ata allo Stato quale quota 
fiscale�. Poi la legge 13 luglio 1965, ri. 825 (G.U.R.I. 22 luglio 1965, n. 122) sulla 
quale si dovr� tornare -ha approvato alcune tabelle nelle quali (art. 1) 
� � stabilito, in relazione a ciascun prezzo richiesto dal fornitore dei generi 
soggetti a monopolio fiscale, l'ammontare dell'imposta di consumo cui sono 
assoggettati i generi stessi, . nonch� gli importi spettanti rispettivamente alla 
Amministrazione dei monopoli di Stato per spese di distribuzione ed al 
rivenditore a titolo di aggio. Il totale costituisce la tariffa di vendita al pubblico 
dei generi di monopolio �. 

Questi brevi richiami di ordine legislativo dimostrano come l� qualifica 
di monopolio fiscale al monopolio dei tabacchi sia, nell'ordinamento interno 
italiano, attribuita direttamente dalla legge. 

Si pu� aggiungere una notazione di carattere storico ricordando che il 
monopolio italiano dei tabacchi, che preesiste allo Stato unitario (la prima 
legge sul monopolio dei tabacchi risale al 13 luglio 1862, n. 710), .costituisce 
uno dei pi� antichi esempi di imprese pubbliche considerate, un tempo, strumenti 
di carattere essenzialmente tributario. Funzione questa che il mon<r 
polio italiano dei tabacchi ha sempre continuato ad esercitare rappresentando, 
ancor oggi, w1a� delle fondamentali fonti della pubblica entrata. Nel 
bilancio di previsione per l'anno 1975 (approvato con legge 26 aprile 1975, 

n. 132, in G.U.R.I. supplemento ordinario n. 113 del 30 aprile 1975), ie entrate 
del monopolio dei tabacchi -classificate sotto il Titolo 1�: Entrate tributarie, 
categoria 4�: Monopoli � ammontano infatti a circa 1200 miliardi di lire. 
3. � Di fronte alla problematica che i suaccennati elementi suscitano nell'ambito 
del diritto interno, stupisce che il giudice a quo� abbia limitato la 
propria indagine all'art. 37 del Trattato, riguardante i monopoli a carattere 
commerciale, e non abbia avvertito l'esigenza di estenderla all'art. 90, paragrafo 
2, concernente anche i monopoli fiscali. 
Tuttavia, come sopra si diceva; non sembra che alla Corte sia vietato 
di fornire elementi al giudice nazionale anche in ordine a tale norma. 

A questo fine, � bene porre in luce che la � missione � del monopolio 
dei tabacchi, cio� il raggiungimento del notevolissimo gettito fiscale legato 
al consumo delle sigarette e degli altri prodotti del monopolio, non potrebbe 
essere raggiunta, in Italia, se il monopolio medesimo venisse soppresso. Se, 
infatti, venissero completamente liberalizzate l'importazione, la produzione e 
la commercializzazione dei tabacchi lavorati, risulterebbe impossibile assicu




204 RASSEGNA DELL'4VVOCATURA DELLO STATO 

doganali e delle restrizioni quantitative fra gli Stati membri, mentre il 

n. 3 prevede che il ritmo delle misure di cui al paragrafo 1 sia adattato 
all'eliminazione delle restrizioni quantitative per gli stessi prodotti, 
prevista dagli articoli da 30 a 34 inclusi. 
Dalle disposizioni di cui sopra e dalla loro concatenazione risulta che 
l'obbligo imposto al n. 1 intende garantire il rispetto del principio fondamentale 
della libera circolazione delle merci in tutto il mercato comune, 

ii.n particolare mediante l'abolizione delle restrizioni quantitative e delle 
misure d'effetto equivalente negli scambi fra gli Stati membri. 
rare un controllo tributario tale da garantire che il gettito fiscale del mono� 
polio non subisca drastiche riduziox�. 

D'altro canto, se il discorso venisse esteso all'art. 90, paragrafo 2, occor� 
irerebbe ancora osservare che il mantenimento del monopolio dei tabacchi 
non potrebbe mai compromettere lo sviluppo degli scambi intracomunitari, 
essendo l'Italia importatrice di tabacco lavorato da parte degli altri Stati 
membri ed essendo invece le esportazioni italiane del medesimo prodotto 
sostanzialmente nulle. 

4. � Risulta da quanto sin qui esposto che il Governo italiano giudica 
del tutto irrilevanti -sia per la questione concreta che il giudice nazionale 
� chiamato a decidere, sia, pi� in generale, per la questione della compa� 
tibilit� del monopolio tabacchi con la normativa comunitaria -i quesiti 
proposti alla Corte e vertenti sulla interpretazione e sull'efficacia dell'art. 
37 del Trattato. 
Ci� malgrado, lo stesso Governo italiano non intende sottrarsi all'onere di 
Jformulare osservazioni anche in ordine ai detti quesiti. 

Con il primo di essi il giudice nazionale chiede di conoscere se, a par� 
tire dalla fine del periodo transitorio, per effetto dell'art. 37, paragrafo 1, 
.del Trattato i monopoli nazionali a carattere commerciale dovessero essere 
ristrutturati in modo tale da eliminare la possibilit� stessa di operare discri� 
minazioni nei confronti degli esportatori comunitari, con il conseguente venir 
:meno dei diritti di importazione esclusiva, nei confronti degli altri Stati 
membri dal 1� gennaio 1970. 

Come risulta chiaramente dalla sua formulazione, l'art. 37, paragrafo l, 
.non prevede affatto che i monopoli commerciali vengano soppressi alla fine 
.del periodo transitorio. Esso prevede che vengano progressivamente riordinati 

� in modo che venga esclusa, alla fine del periodo transitorio, qualsiasi discri� 
minazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condi� 
:zioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi �. 

Da un lato dunque la norma consente, anzi presuppone, il mantenimento 
.dei monopoli nazionali a �arattere commercial.11; , P,~l'.p.ltro prevede che ' -ven� 
ganli> ,eifu�'fuate� le discriminazioni fra cittadini comWfitarl; quanto agli apprO'�T� 
vigionamenti ed agli sbocchi. Entro questi tassativi confini, pertanto, l'interpretazione 
della norma pu� spaziare: essa tuttavia non pu� giungere a che, 
eliminandosi qualche attributo essenziale del monopolio commerciale, questo 
venga sostanzialmente ad essere soppresso. 

Orbene, sembra essenziale allo stesso concetto <;li monopolio commerciale 
la possibilit� di importare in esclusiva il prodotto assoggettato al monopolio 
-0, quanto meno, di regolamentare -l'importazione in modo da non ledere 
l'esistenza ed il funzionamento del monopolio stesso. Cio�, in altre parole, se 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 205 

Il predetto obiettivo non sarebbe raggiunto se non si garantisse in 
uno Stato membro in cui esista un monopolio commerciale la libera circolazione, 
in provenienza da altri Stati membri, di merci simili a quelle 
per cui vige il monopolio. 

Del resto, la stessa risoluzione del Consiglio 21 aprile 1970 sui monopoli 
nazionali a carattere commerciale dei tabacchi manifatturati ricorda 
l'obbligo d'abolire le esclusive d'importazione e di commercio dei tabacchi 
manifatturati. 

Il diritto esclusivo d'importazione di prodotti lavorati, spettante al 
monopolio di cui si discute, costituisce pertanto, nei confronti degli esportatori 
comuni, una discriminazione vietata dall'art. 37, n. 1. 

:Si dovesse ritenere (come sembra propendere il giudice nazionale) che riordinare 
il monopolio onde evitare discriminazioni comporti necessariamente l'eliminazione 
dei diritti di importazione esclusiva, tale interpretazione verrebbe 
palesemente a contrastare con il disposto dell'art. 37, paragrafo 1, che pre:
Suppone, come si � visto, il mantenimento (e non gi� la soppressione) dei 
monopoli commerciali. 

Secondo la lettera e la ratio del citato art. 37, quindi, il diritto esclu:
sivo d'importare (ovvero di regolamentare l'importazione in modo da non 
ledere l'esistenza o la funzionalit� del monopolio) non � in s� contrario al 
'Trattato. Esso pu� sussistere -altrimenti si avrebbe la soppressione del 
monopolio -a condizione che il suo esercizio non comporti discriminazioni 
fra i cittadini degli Stati membri relativamente agli approvvigionamenti ed 
:agli sbocchi. 

Se dunque un cittadino di un altro Paese comunitario viene trattato, 
.quanto alle condizioni relative all'approvvigionamento del tabacco lavorato 

(� l'ipotesi dell'approvvigionamento che riguarda il quesito n. 1 ed il caso 
.che il giudice nazionale deve risolvere), alla stessa stregua del cittadino 
italiano, non si potr� affermare che l'esercizio del diritto di importazione 
esclusiva operi delle discriminaz:ioni vietate. 

Giova qui sottolineare che -comunque -tale diritto di importazione 
.esclusiva da parte dell'Amministrazione italiana dei monopoli pi� non sus:
Siste, dato che l'art. 4 della legge 13 luglio 1965, n. 825 ha ammesso, in 
.deroga alle disposizioni del primo comma dell'art. 45 della legge istitutiva 
17 luglio 1942, n. 907, � ... l'introduzione dei tabacchi lavorati nel territorio della 
Repubblica soggetto a monopolio previo nulla osta dell'Amministrazione dei 
monopoli di Stato per i quantitativi eccedenti i quattro chilogrammi >>. I suc,
cessivi comIIJ,i del citato art. 4 dispongono che per i tabacchi lavorati introdotti 
non ad opera dell'Amministrazione � dovuta, oltre al dazio doganale, 
�una sovrimposta pari a quella prevista per i prodotti della stessa marca 
iscritta nella tariffa di �vendita �e che le modalit� per l'introduzione di t~cchi 
lavorati ad opera di soggetti dive~si sono stabilite con decreto del .Ministro 
per le finanze. 

Di conseguenza, pur senza voler qui scendere ad un giudizio di compatibilit� 
tra l'art. 37 e la normativa nazionale, non pare dubbio che -quanto 
.all'aspetto che qui interessa, gli approvvigionamenti -il monopolio italiano 
<lei tabacchi non operi alcuna discriminazione tra cittadini comunitari. Il 
diritto di importazione esclusiva -anche se ci� non era richiesto dall'art. 
.37 -� stato soppresso e la facolt� di introdurre tabacchi lavorati nel ter


�-�����-������������������,.,. 


2C6 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO ST�TO 
Per quanto concerne la prima questione, l'art. 37, n. l, del Trattato 
e.E.E. va allora interpretato nel senso che, non pi� tardi del 31 dicembre 
1969, ogni monopolio nazionale a carattere commerciale avrebbe dovuto 
essere riordinato in modo tale da abolire il diritto esclusivo di importa~ 
zione dagli altri Stati membri. 
Con la seconda questione si chiede se l'art. 37, n. l, del Trattato sia 
direttamente applicabile ed abbia fatto sorgere in capo ai singoli diritti 
soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare. 
La soppressione, alla scadenza del periodo transitorio, di qualsiasi 
discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda 
ritorio della Repubblica � stata riconosciuta a tutti gli interessati, previo nulla 
osta che, allo stesso modo, tutti debbono richiedere all'Amministrazione de� 
monopoli. 
Ritiene quindi il Governo italiano che il contenuto precettivo dell'art. 37, 
paragrafo l, del Trattato si limiti a porre il divieto di discriminazioni sopra 
indicato. Sulla base di questa norma, pertanto, non � consentito n� imporre 
la soppressione di .un diritto di importazione esclusiva (qualora la soppressione 
di tale diritto, di fatto, porti alla soppressione del monopolio) n� imporre dei 
limiti ai poteri necessari per assicurare il funzionamento del monopolio. 
D'�ltro canto, proprio per.ch� l'art. 37 presuppone il mantenimento dei 
monopoli commerciali, il divieto di discriminazioni che esso stabilisce deve 
essere interpretato in modo che risulti compatibile con il permanere del 
monopolo. 
5. -Il punto di vista espresso in ordine al primo quesito rende gi� palese 
quale sar� l'orientamento del Governo italiano circa gli altri due quesiti (2" 
e 3�) relativi sempre all'art. 37 del Trattato. 
Con il secondo quesito il giudice a quo chiede di conoscere se l'art. 37, 
paragrafo 1, sia direttamente applicabile all'interno dei Paesi membri ed 
abbia fatto sorgere diritti soggettivi in capo ai singoli che i giudici nazionali 
debbono tutelare. 
Secondo quanto esposto al' punto precedente, l'art. 37, paragrafo 1, presenta 
come contenuto precettivo soltanto il divieto di mantenere discriminazioni 
'-dopo la fine del periodo transitorio -tra i cittadini degli Stati 
membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e 
agli sbocchi. . Il dovere di riordinamento dei monopoli commerciali, visto in 
s� e per s� (cio� a prescindere dalla specifica finalit� di escludere le discriminazioni 
suddette) presenta invero un chiaro carattere programmatico, non 
essendo neanche indicate nella norma le modalit� attraverso le quali il � riordinamento 
medesimo dovr� avvenire. 
Nei limiti entro i quali deve essere inteso il divieto di mantenere discriminazioni, 
tale divieto sembra direttamente applicabile all'interno degli Stati 
membri: cos� come direttamente applicabile � stato giudicato dalla Corte 
(nella causa Costa-ENEL 6/64, in Raccolta, 1964, 1127) il divieto di introdurre 
nuove misure discriminatorie sancito al paragrafo 2 dello stesso art. 37. 
Da questa riconosciuta applicabilit� diretta del divieto di mantenere discriminazioni 
ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 37 non deriva� per� una risposta 
affermativa al terzo quesito posto dal giudice a quo, con il quale si 
chiede di conoscere se dopo il 1" gennaio 1970. potessero essere effettuate im



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 207 

gli approvvigionamenti e gli sbocchi si configura come un preciso obbligo 
di risultato, sottoposto ad una mera clausola sospensiva. 

Al termine del periodo transitorio, il suddetto obbligo diviene incondizionato, 
n� risulta subordinato, nella sua attuazione o nei suoi effetti, 
all'adozione di alcun provvedimento da parte della Comunit� o degli 
Stati membri. Esso pu� quindi, per la sua stessa natura, venir fatto valere 
dai cittadini degli Stati membri dinanzi ai giudici nazionali. 

Con la terza questione si chiede se, di conseguenza, in base all'art. 37 
del Trattato, potessero essere effettuate importazioni nel territorio italiano 
di prodotti sottoposti al regime di monopolio dei tabacchi, previsto 
dalla legge 17 luglio 1942, n. 907, e provenienti da Paesi comunitari anche 
da parte di soggetti diversi dal monopolio, pur con appli~azione delle imposte 
previste per tali generi di prodotti. 

portazioni all'interno del territorio italiano di prodotti soggetti al regime 
del monopolio tabacchi, in provenienza da Paesi comunitari, anche da parte 
di soggetti diversi dal Monopolio e pur con applicazione delle imposte previste 
per tali generi di prodotti. 

Si � sopra visto, infatti, che -ad avviso del Governo italiano -il 
divieto di mantenere discriminazioni (ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 37) non 
comporta l'abolizione del diritto di importazione esclusiva da parte del Monopolio, 
n� l'imposizione di limiti ai poteri necessari per assicurare il funzionamento 
del monopolio medesimo. � 

Ritenere diversamente significherebbe -come pure si � notato sopra sopprimere, 
con il diritto di importazione esclusiva o con l'imposizione di 
limiti ai poteri di gestione del monopolio, il monopolio medesimo: risultato 
questo contrario alla lettera ed alla ratio dell'art. 37, paragrafo 1, il 
quale, giova qui ricordarlo, presuppone il mantenimento dei monopoli commerciali 
e non gi� la loro soppressione. 

Dato quindi che il mantenimento del diritto di importazione esclusiva 
non rappresenta una discriminazione vietata, al terzo quesito posto dal giudice 
nazionale occorre dare risposta negativa. 

6. -Con il quarto quesito il giudice a quo chiede di conoscere se la 
risoluzione del Consiglio dei Ministri e.E.E. del 21 aprile 1970 (G.U.C.E. n. C 
50 del 28 aprile 1970) possa modificare la portata delle disposizioni di cui 
all'art. 37, n. 1 del Trattato; e, in caso affermativo, se la stessa abbia nei 
confronti degli Stati membri una efficacia vincolante tale da rendere immediatamente 
libera l'importazione di prodotti soggetti al monopolio, senza necessit� 
di un ulteriore provvedimento comunitario, con conseguente caducazione 
dei diritti di esclusiva del monopolio tabacchi. 
Ritiene il Governo italiano, sia per considerazioni di carattere istituzionale 
fondate sugli articoli 4, paragrafo 1, 145 e 236 del Trattato, sia perch� 
l'art. 37 del Trattato medesimo non conferisce alcun potere specifico al 
Consiglio, che il Consiglio stesso non avesse e non abbia alcun potere di 
modificare la portata dell'art. 37, paragrafo 1. 

Tale risposta esaurisce la materia del quarto quesito. Ed infatti, se il 
Consiglio non aveva alcun potere di modificare la portata dell'art. 37, para




RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

La questione attiene all'applicazione piuttosto che all'interpretazione 
del diritto comunitario e va perci� risolta dal giudice nazionale. 
Con la quarta questione si chiede se la risoluzione del Consiglio 
21 aprile 1970 possa modificare la portata delle disposizioni� di cui all'ar~. 
37, n. 1, del Trattato e se, in caso affermativo, la stessa abbia nei confronti 
degli Stati membri un'efficacia vincolante tale da rendere immediatamente 
libera l'importazione di prodotti soggetti al monopolio senza 
necessit� di un ulteriore provvedimento comunitario, con conseguente� 
caducazione dei diritti di esclusiva del monopolio-tabacchi. 
Nella predetta risoluzione si legge quanto segue: � I governi francese 
e italiano si impegnano ad adottare le misure necessarie per eliminare 
le discriminazioni derivanti dai monopoli nazionali a carattere commerciale. 
La soppressione dei diritti esclusivi relativi all'importazione e!l alla 
commercializzazione all'ingrosso deve essere effettuata al pi� tardi il 
1� gennaio 1976 �. 
La risoluzione, che esprime essenzialmente la volont� politica del 
Consiglio e dei governi francese e italiano di far cessare una situazione� 
in contrasto con l'art. 37, n. 1, non � atta a produrre effetti giuridici nei 
confronti dei singoli. In particolare, la scadenza cui essa fa cenno non 
pu� prevalere su quella contemplata dal Trattato. 
La quarta questione va perci� risolta in senso negativo. -(Omissis). 
grafo 1, cio� di prorogare il termine finale per l'abolizione delle discriminazioni, 
lo stesso Consiglio non ha il potere di imporre la soppressione del 
diritto di importazione esclusiva a partire dal 1� gennaio 1976. Secondo iI 
punto di vista del Governo italiano, invero, la portata dell'art. 37, paragrafo� 
1, non comprende anche l'obbligo di sopprimere il diritto di importazione� 
esclusiva. 
In altre parole, la risoluzione del Consiglio in data 21 aprile 1970 e glf 
impegni presi con essa dai Governi francese ed italiano (particolarmentel'impegno 
di sopprimere, al pi� tardi il 1� gennaio 1976, i diritti esclusivi 
relativi all'importazione ed alla commercializzazione all'ingrosso) costituiscono 
atti di natura politica, privi di effetti giuridici proprii. 
Non si pu� non notare, peraltro, che se il Consiglio ed i suddetti Governi 
convennero di sopprimere i diritti di importazione esclusiva entro il 1� gennaio 
1976, evidentemente sia il Consiglio che i Governi francese ed italiano 
ritenevano che la soppressione degli indicati diritti non costituisse gi� l'oggetto 
di un obbligo da soddisfare, entro il 1� gennaio 1970, in base all'art. 
37, paragrafo 1, del Trattato. Il che reca un ulteriore argomento all'interpretazione 
proposta circa l'effettiva portata di quella norma. 
7. -Il Governo italiano auspica che la Corte di Giustizia, .nel rispondere ai 
quesiti proposti dal giudice nazionale, tenga conto sia delle osservazioni preliminari 
presentate a proposito del carattere fiscale del monopolio tabacchi,. 
sia delle osservazioni presentate in ordine ai quesiti stessi. 
IVO M. BRAGUGLIA 
~~ 
1: 
1~ 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 febbraio 1976, n. 323 � Pres. La Porta 
� Rel. Boselli � P. M. Pedace � Amministrazione delle Finanze (avv. Stato 
Galleani) contro Donati e Piermatteo (avv. Camici). 

Competenza e giurisdizione � Ufficiali giudiziari -Contestazioni con l'ufficio 
del registro circa la entit� dei proventi da versare allo Stato � 
Provvedimento decisorio del capo dell'ufficio giudiziario -Natura giurisdizionale 
� Effetti. 
(Cost., art. 111; I. 22 dicembre 1932, n. 1675, artt. 2, 3 e 5; r.d.l. 19 luglio 1934, n. 698,. 

art. 4; I. 18 ottobre 1951, n. 1128, art. 143; d.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229, art. 156). 

Il decreto del capo dell'ufficio giudiziario che decide le contestaziont 
tra l'ufficio del registro e gli ufficiali giudiziari circa la entit� �dei �proventi 
� che costoro son.o tenuti .a ve.rs,are allo Stat.o � un provvedimento 
di natura giurisdizionale, con carattere decisorio e definitivo, onde man-� 
cando anche nella pi� recente disciplina dello speciale procedimento la 
previsione di uno specifico mezzo di impugnazione, avverso detto decret0> 
� consentito unicamente il ricorso immediato alla Corte di Cassazione (1)�. 

(Omissis). -Ha carattere pregiudiziale, e va pertanto esaminata con 
precedenza rispetto ad ogni altra questione della causa, la eccezione di 
improcedibilit� del ricorso che i resistenti hanno sollevato in memoria,. 
motivandola con il rilievo che l'originale del ricorso (notificato il 26 novembre 
1973) non venne depositato dalla Amministrazione finanziaria 
in Cancelleria unitamente al suo fascicolo, ma solo in data del 1� febbraio 
1974, e quindi oltre il ventesimo giorno dalla notificazione, come� 
prescritto dall'art. 369 del c.p.c. 

La eccezione � infondata. 
Avendo, invero, la ricorrente obiettato (ed essendo confermato dagli. 
atti) che, entro il ventesimo giorno dalla notifica, era stato depositato in 

(1) La motivazione della sentenza della quale si tratta viene pubblicata 
non solo per la parte che riguarda il principio, di cui alla massima citata,. 
ma anche per la parte riguardante la preliminare questione di procedura. 
Infatti con riferimento a tale questione in detta sentenza si afferma il principio, 
secondo ct� � la produzione di una copia informe del ricorso in luogo� 
dell'originale, allorquando -come nella specie -sussiste la certezza della 
sua conformit� all'originale medesimo� pu� �reputarsi idonea a soddisfare� 
pienamente l'esigenza per la quale � predisposta la disciplina � dettata dal1'
�art. 369 primo comma cod. proc. civ.�. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cancelleria, insieme con il fascicolo di parte, un esemplare del ricorso 

�-ed una dichiarazione dell'Ufficiale giudiziario addetto alta Corte d'Appello 
di Firenze attestante la avvenuta notifica di quel m~desimo ricorso 
.al Donati ed al Piermatteo in data 26 novembre 1973, ed avendo inoltre 
rilevato che i resistenti avevano inserito nel loro fascicolo l'originale 
del ricorso medesimo, si pone il quesito. di stabilire se ed a quali condi.
zioni la copia informe del ricorso possa tener luogo dell'originale al limitato 
effetto di evitare la sanzione della improcedibilit� comminata dal 
citato art. 369 c.p.c. per la ipotesi di deposito (di detto originale) fuori 
.del termine prescritto. 

La questione non pu� dirsi del tutto nuova per la giurisprudenza di 
.questa Suprema Corte la quale � stata ripetutamente chiamata .a pronunciarsi 
sul tema -per molti aspetti analogo -relativo agli effetti 
dell'omesso deposito (richiesto anch'esso a pena di improcedibilit� dal se.
condo comma dello stesso articolo 369 c.p.c.) della copia autenticata della 
.sentenza impugnata. 

Argomentando dalla peculiare finalit� cui assolve nel giudizio di cas.
sazione l'atto in questione (quella, cio�, di consentire al giudice della 
impugnazione una piena cognizione del contenuto della sentenza impugnata 
al fine di vagliare la consistenza dei motivi di ricorso, nonch� 
<li conoscere delle questioni preliminari relative alla stessa impugnabi1it� 
della pronuncia col rimedio del ricorso per cassazione) e dalle 
ragioni che, conseguentemente, giustificano, in difetto del suo deposito, 
la identica sanzione comminata dalla legge processuale, questa S.C. ha 
-com'� noto -ritenuto che b_ene possa tenere luogo dell'atto in questione, 
al fine di evitare la sanzione di cui si tratta, una copia informe del 
medesimo, semprech� ovviamente -per essere tale e.opia contenuta nel 
fascicolo d'ufficio o prodotta dallo stesso resistente o altrimenti -pos:
Sa escludersi la sussistenza di qualsiasi dubbio intorno alla sua conformit� 
all'originale (Cass. 28 luglio 1969, n. 2876; Id. 20 giugno 1964, n. 1605; 

Id. Sez. Un. 26 giugno 1957, n. 2480; Id. 8 novembre 1957, n. 4293). 

Orbene, ritiene questo S. C. che -a cagione appunto della accennata 
.analogia delle situazioni -gli stessi criteri argomentativi si prestino 
.ad essere utilizzati anche per la soluzione del quesito che qui interessa. 

Posto invero che il deposito dell'originale del ricorso assolve alla 
funzione di radicare il procedimento di impugnazione e di consentire 
.alla Corte la preliminare verifica -senza possibilit� di contestazioni della 
regolarit� della costituzione del contraddittorio nonch� della sussistenza 
delle condizioni di ammissibilit� e di procedibilit� della impugnazione 
(arg. ex art. 365, 366 nn. 4 e 5, 331 e 332 in relazione all'art. 375 
.c.p.c.), ossia ad una funzione strumentale rispetto alla cognizione della 
impugnazione medesima; e ritenuto che la sanzione della improcedibilit�� 
colpisce quelle carenze di attivit� del ricorrente che impediscono al pro



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

cesso d� cassazione di giungere al suo epilogo naturale; sembra lecito 
concludere che la produzione d� una copia informe del ricorso in luogo 
dell'originale, allorquando -come nella specie -sussista la certezza 
della sua conformit� all'originale medesimo, possa reputarsi idonea a 
soddisfare pienamente l'esigenza per la quale � predisposta la disciplina 
del citato art. 369 primo comma c.p.c., epper� sufficiente -nel rispetto, 
beninteso, d� ogni altra condizione e segnatamente del termine ivi stab�lito 
-ad impedire la declaratoria di improcedibilit� del ricorso medesimo. 


Passando ora ad esaminare il contenuto del ricorso, va subito affrontata, 
per la sua pregiudizialit�, la questione relativa allo asserto difetto 
di giurisdizione del Tribunale a conoscere della azione proposta dal 
Donati e dal Piermatteo. 

In particolare, va esaminato prima d� ogni altro il secondo (cfr. secondo 
motivo) dei due profili (alternativi) sotto i quali codesto difetto 
viene prospettato dalla Amministrazione finanziaria in funzione della 
possibile qualificazione giuridica del provvedimento (decreto 7 settembre 
1967) del presidente del Tribunale di Lucca come provvedimento amministra,
tivo emesso nell'esercizio d� una funzione di controllo su attivit� 
di ordine contabile esplicata dai predetti Ufficiali Giudiziari (nel qual 
caso la competenza a conoscere della relativa impugnazione spetterebbe 
alla Corte dei Conti, a norma dell'art. 103 della Costituzione), oppure come 
provvedimento giurisdizionale di natura decisoria e con carattere definitivo 
(nel qual caso la competenza a conoscere della impugnazione spetterebbe 
invece a questa Suprema Corte di cassazione, a norma dell'art. 111 
della Costituzione). 

Non � dubbio infatti che, ove fosse dimostrata la natura oggettiva


' 

mente e soggettivamente giurisdizionale del provvedimento in parola, 
la competenza a conoscere della sua impugnativa dovrebbe essere attribuita 
alla Corte di cassazione, a norma del citato art. 111 della Costituzione, 
indipendentemente dal concreto contenuto del medesimo. 

Orbene, con il secondo motivo del ricorso l'Amministrazione finanziaria 
-denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 156 d.P.R. 
15 dicembre 1959, n. 1229; degli artt. 2, 3 e 5 della legge 22 dicembre 1932, 

n. 1675; dell'art. 143 della legge 18 ottobre 1951, n. 1128; dell'art. 4 del 
r.d.l. 19 aprile 1934, n. 698, e dell'art. 111 della Costituzione, in relazione 
all'art. 360 nn. l, 2 e 3 del cod. proc. civ. -sostiene appunto che il decreto 
del capo dell'ufficio giudiziario che decide le contestazioni fra 
Ufficio del registro ed ufficiali giudiziari circa la entit� dei �proventi� 
che costoro sorto tenuti a versare allo Stato a norma degli artt. 2 e 3 della 
dtata legge n. 1675 del 1932 � un provvedimento di natura giurisdizionale 
con carattere decisorio e definitivo. 
Il motivo � fondato. 


212 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO � 

Il problema della qualificazione della particolare procedura (apprestata 
dall'art. 5 della legge n. 1675 del 1932 e dall'art. 6 del r.d. 8 giugno 1933, 

n. 621) per dirimere le contestazioni che possono sorgere fra gli ufficiali 
giudiziari e l'Amministrazione finanziaria in ordine alla quota fiscale sui. 
proventi degli atti di loro competenza, e del provvedimento che tale procedura 
conclude, si � gi� presentato al giudizio del Consiglio di Stato, il 
quale lo ha risolto affermando che la procedura in questione ha carattere� 
di vero e proprio procedimento speciale e che il provvedimento conclusivo, 
anche se qualificato come �decreto�, ha la portata e gli effetti di un: 
atto giurisdizionale che esaurisce definitivamente la controversia (Cons.. 
Stato, 20 novembre 1953, n. 905). 
Ad identica soluzione ritiene di dover pervenire questa Suprema Cor-� 
te, considerando: 

1. che gli organi dai quali il provvedimento promana (presidente 
del tribunale o magistrato delegato dal presidente della corte d'appello} 
appartengono all'ordine giudiziario; 
2. che l'adizione di tali organi presuppone, per legge, l'insorgere 
di una vera e propria � controversia � fra l'Amministrazione finanziaria 
e gli ufficiali giudiziari in ordine alla quota fiscale da costoro dovuta 
sopra i proventi degli atti di loro competenza: ossia di un vero e propri0> 
conflitto fra opposti interessi; 
3. che, in particolare, rispetto all'interesse dello Stato alla pretesa 
fiscale di cui si tratta, il contrapposto interesse di natura patrimoniale 
e privatistica degli ufficiali giudiziari, attinente alla quota residua dei 
diritti riscossi, non si pone in rapporto di subordinazione bens� su un piano� 
di uguaglianza; 
4. che la peculiare procedura di cui � caso ammette una sia pur limitato 
contraddittorio con ricorso e deduzioni scritte ed importa obbligatoriamente 
l'intervento del P. M., le cui conclusioni debbono precedere� 
l'emanazione del decreto; 
5. che l'atto conclusivo della procedura, ancorch� qualificato come� 
�decreto'" ha la portata e l'effetto di una sentenza che esaurisce definitivamente 
la controversia; 
6. e, insomma, che nell'atto medesimo � dato rinvenire' tutti quei 
connotati, soggettivi ed oggettivi, che� dottrina e giurisprudenza hanno� 
concordemente elaborato e prospettato come caratteristici dell'atto di 
giurisdizione contenziosa e discretivi dello stesso sia dall'atto propriamente 
amministrativo sia dall'atto di giurisdizione volontaria. 
Tutto ci� premesso, e poich� manca, anche nella pi� recente disciplina 
della procedura cli cui si tratta (art. 156 del d.P.R. 15 dicembre 1959, 

n. 1229) la previsione di uno specifico mezzo di impugnazione avverse> 
il decreto in questione, � lecito affermare che agli interessati (odierni 
resistenti), avverso il decreto del presidente del tribunale di Lucca che 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 213 

li concerneva, non era consentita impugnativa nelle vie ordinarie ma unicamente 
mediante ricorso immediato a questa Suprema Corte, a norma 
dell'art. 111 Cost. 

Accogliendosi pertanto l'esaminato motivo del ricorso, restano assorbiti 
in esso gli altri e l'impugnata sentenza deve essere cassata senza 
rinvio, a norma dell'art. 382 c.p.c. 

I resistenti vanno condannati alle spese del presente giudizio di 
cassazione. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 3 febbraio 1976, n. 356 -Pres. Stella 
Richter -Rel. Viola -P. M. De Majo (conf.) C.N.E.N. (avv. Stato Stipo) 

c. Cresca Bruno (avv. Barenghi) e Soc. Coop. Produzione e Lavoro 
(n. c.). 
Competenza e giurisdizione -Enti Pubblici -Appalto -Assunta jnterme-� 
diazione nella assunzione di mano d'opera -Fattispecie (in tema di 
lavori di pulizia) -Giurisdizione del giudice ordinario. 

(I. 23 ottobre 1960, n. 1369). 
Amministrazione dello Stato e degli Enti Pubblici -Appalto -Divieto di 
intermediazione nella assunzione di mano d'opera -Applicabilit�. 

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia determinata 
dalla pretesa di essere considerato come lavoratore alle dirette 
dip�ndenze di un ente pubblico (col relativo trattamento economico), 
avanzata da colui che afferma di essere stato assunto in violazione del 
divieto intermediazione posto dalla legge n. 1369 del 1960 (1). 

Il divieto di intermediazione nell'assunzione di mano d'opera si estende 
non solo agli enti pubblici economici, ma anche agli enti pubblici non 
economici (nella specie, C.N.E.N.), sia per quanto attiene alle attivit� imprenditoriali 
esterne, sia per quanto attiene allo svolgimento delle attivit� 
di istituto (2). 

(1-2) .La Suprema Corte, con questa sentenza e con numerose altre coeve, 
conferma la sua giurisprudenza in tema di applicabilit� del divieto di intermediazione 
nella assunzione di mano d'opera agli Enti pubblici, anche non 
economici nello svolgimento delle attivit� di istituto: cfr. Sez. Un. 5 agosto 
1974, n. 2330, in questa Rassegna 1974, I, 1129, con not�. 

�, tuttavia, da sottolineare che in precedenza la giurisprudenza era orientata 
nel senso di limitare l'applicabilit� del divieto ai soli enti pubblici aventi 
carattere imprenditoriali (Cons. Giust. amm. reg. sic. 28 ottobre 1966, n. 531, 
Foro lt. 1967, III, 230; v. anche Pretura Pozzomaggiore, 16 dic. 1968, Foro It. 
1969, II, 286, a proposito dell'art. 3 della legge n. 1369 per l'attivit� di facchinaggio 
e Cass. 30 gennaio 1969, Foro It. 1969, II, 606), sempre che le attivit� 
ineriscano ad operazioni che rientrino nel ciclo produttivo e non abbiano 
quindi carattere temporaneo (Cass. 3 ottobre 1970, n. 1790, Foro lt., 1970, I, 
3074; 13 ottobre 1970, n. 1993, ivi, I, 3046; App. Torino, 20 giugno 1968, Mass. 
Giuris. Lav. 1968, 269, con nota). 



214 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DEI CONTI, Sezioni Riunite, 25 febbraio 1976, n. 63 -Pres. Costa 
-Est. Colabucci -P. G. Colletti (conf.) -Missori ed altri (avv. Missori, 
D'Agostino, Capanna, Zappal�, Conti) c. E.N.P.A.S. (avv. dello 
Stato Stipo). 


Corte dei Conti -Giurisdizione (domestica) delle Sezioni Riunite -Impugnazione 
di atto di Ente diverso dalla Corte -Sussiste. 

Competenza e giurisdizione -Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. -Giurisdizione 
del giudice generale di legittimit� -Dipendenti della Corte dei 
Conti -Giurisdizione delle Sezioni Riunite. 

Corte de Conti -Dipendenti -Indennit� buonuscita E.N.P.A.S. -Tredicesima 
mensilit� -Va compresa nel calcolo. 

I 

Sussiste la giurisdizione esclusiva delle Sezioni Riunite della Corte 

dei Conti per i giudizi relativi a rapporti attinenti al pubblico impiego 

dei propri dipendenti anche se venga impugnato un atto non promanante 

direttamente dalla Corte dei Conti, ma da altro ente pubblico quale 

l'E.N.P.A.S. (1). 

La buonuscita si immedesima in un rapporto assicurativo-previdenziale 
che sorge ope legis per effetto della costituzione di un rapporto 
di pubblico impiego al quale si collega indissolubilmente pur serbando 
ciascuno la propria fisionomia e la propria sfera di efficacia. Tale collegamento 
si manifesta sotto l'aspetto di una subordinazione unilaterale 
in quanto le vicende del rapporto di pubblico impiego, ma non viceversa, 
esplicano diretta influenza sul rapporto previdenziale condizionandone 
sia la nascita sia il successivo svolgimento. Deve dunque aff ermarsi 
che la cognizione della controversia rientra nella giurisdizione 

(1) La prima massima affronta un problema nuovo, e cio� se la cosiddetta 
giurisdizione domestica della Corte dei Conti sussista anche quando 
venga dal dipendente della Corte stessa impugnato un atto promanante da 
altro Ente pubblico. 
Se il rapporto tra il dipendente statale e l'E.N.P.A.S. ancorch� connesso, � 
distinto, quanto ai soggetti, al contenuto e all'oggetto, dal rapporto di pubblico 
impiego tra lo Stato e i suoi dipendenti, non sembra sussista la ratio 
per l'applicazione della norma che legittima la cosiddetta giurisdizione domestica 
nelle controversie di pubblico impiego del personale della Corte dei 
Conti. 

Stabilisce infatti l'art. 65 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214 sulla Corte dei Conti: 

� Spetta alla Corte a Sezioni Riunite la definizione in forma contenziosa 
di tutti i reclami dei suoi impiegati ed agenti o di chiunque vi abbia interesse 
relativi alla nomina, promozione e disciplina, o comunque attinenti al rapporto 
d'impiego, per motivi di competenza, eccesso di potere o violazione d'i legge "� 

La giurisdizione domestica, invero, ha riguardo ai provvedimenti relativi 
alla nomina, promozione e disciplina del rapporto di pubblico impiego e que-~1 

1: 
li 

I

1: 
~ 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 215 

esclusiva delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti perch� la domanda 

giudiziale ha il suo titolo nel rapporto di pubblico impiego intercorso 

tra i ricorrenti e la Corte dei Conti (2). 

La tredicesima mensilit� per il suo carattere di assegno fisso e ri.
corrente, non legato ad alcuna prestazione particolare o a posizioni sog


gettive dell'impiegato, e per avere la sua causa esclusiva nella retri


buzione della normale prestazione di lavoro, forma parte integrante 

dello stipendio; come tale, la tredicesima va compresa nella base retri


butiva utile per la liquidazione della buonuscita, da calcolarsi sull'ultimo 

stipendio annuo, senza che al riguardo abbia rilievo, la circostanza che, 

erroneamente, in ordine ad essa non sia stata operata alcuna ritenuta (3). 

(Omissis). -Secondo il resistente, la provenienza esterna del prov


vedimento impugnato costituirebbe un limite alla giurisdizione esclusiva 

di questo consesso, il cui esercizio sarebbe condizionato alla impugna


zione di un atto promanante direttamente dalla Corte dei Conti. 

La tesi non � fondata. Essa �, anzitutto, in stridente contrasto con 

la stessa formulazione letterale del citato art. 65 il quale, come chia� 

ramente traspare dalla locuzione � tutti i reclami . . . comunque attinenti 

al rapporto d'impiego ... �, ha esclusivo riferimento alla natura del rap


stioni ad esso attinenti, ma sempre nell'ambito dei rapporti tra Corte e pro


pri dipendenti. 

Interpretare l'espressione � comunque attinenti al rapporto di pubblico 

impiego '" di cui al citato art. 65, in maniera cos� lata da comprendervi anche 

i rapporti dei dipendenti della Corte con altri Enti, significa andare contro 

lo spirito e la ratio della norma. 

Dice al riguardo il Guicciardi (La giustizia amministrativa, pag. 382): 

� Alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti appartiene il giudizio sui ri


corsi degli impiegati della stessa Corte relativi al loro rapporto d'impiego 

vero e proprio. Questa nuova e pi� netta eccezione stabilita dall'art. 65 del 

testo unico del 1934 alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, trova 

la sua giustificazione nella posizione costituzionale che la Corte dei Conti ha 

assunto storicamente nel nostro ordinamento, per effetto della quale i suoi 

atti venivano considerati alla medesima stregua degli atti .di contenuto ammi


nistrativo emanati dalle singole Camere legislative, e cio� come atti ammini


strativi di autorit� non amm'inistrative: cosicch� il Consiglio di Stato, in omag


gio all'autonomia della Corte dei Conti, riteneva di non poter esercitare su 

tali atti il proprio sindacato�. 

Pertanto, avendo la giurisdizione domestica la funzione di sottrarre gli 

atti della Corte dei Conti al sindacato di altro giudice, detta giurisdizione non 

si giustifica quando il giudizio verta su un atto di un Ente diverso dalla 

Corte dei Conti. 

In altri termini, nelle controversie rientranti nella giurisdizione domestica 

l'Istituto � parte, in quanto organo al quale � direttamente riferibile l'atto 

impugnato ed appunto, al fine di meglio garantire l'indipendenza dell'Istituto 

stesso dagli altri organi dello Stato, dette controversie sono devolute alla com




216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

porto giuridico che intercede tra la Corte dei Conti e il proprio personale: 
rapporto la cui esistenza deve quindi considerarsi il solo criterio 
determinativo e ad un tempo il solo limite della giurisdizione 
esclusiva. � noto, d'altronde, come sia la giurisprudenza sia la dottrina 
prevalente giudichino superflua l'impugnazione del provvedimento della 
Pubblica Amministrazione ritenendo che la giurisdizione del giudice amministrativo 
sia determinata unicamente dalla materia ad esso devoluta 
con carattere di esclusivit�. 

Ma, anche gli argomenti offerti dalla interpretazione sistematica confermano 
l'esattezza di tale conclusione. La norma in esame s'inquadra 
in un sistema in cui la sfera giurisdizionale dei vari organi o gruppi 
di organi � rigorosamente delimitata in base a precisi criteri di ripartizione 
e nel quale perci� non sarebbe possibile introdurre nuovi limiti, 
oltre quelli fissati dalla legge, senza sovvertire l'ordine dei rapporti tra 
le diverse sfere di giurisdizione. Alla luce di questi rilievi, ogni altro 
elemento, soprattutto di carattere estrinseco e formale, come la provenienza 
del provvedimento impugnato, deve dun,que considerarsi assolutamente 
irrilevante. 

� necessario, poi, osservare che la paventata possibilit� di un contrasto 
giurisprudenziale tra queste Sezioni riunite ed altro giudice am


petenza delle Sezioni Riunite, cio� di un collegio pi� ampio di quello delle 
singole sezioni, con particolare autorevolezza connessa principalmente con la 
esperienza ed il prestigio dei magistrati che le compongono. 

Ma quando oggetto dell'impugnativa � un provvedimento di un Ente diverso 
dalla Corte dei Conti, vengono meno tutte le ragioni poste a salvaguardia 
della autonomia e della indipendenza della Corte stessa. 

Inoltre, mentre in sede di giurisdizione domestica (cui vanno devolute le 
controversie sui provvedimenti della Corte nei riguardi dei propri dipendenti) 
ogni questione va decisa e non pu� che essere decisa nella stessa sede, altrettanto 
non pu� accadere se avverso un provvedimento di un Ente diverso 
(come nella specie) la giurisdizione debba ritenersi competere alle Sezioni Riunite 
se ricorrente � un dipendente della Corte dei Conti ovvero al giudice ordinario 
o al giudice generale di legittimit� se ricorrente � altro dipendente statale; 
non pu� sfuggire al riguardo l'inconveniente che potrebbe generarsi nel 
caso che tra le Sezioni Riunite e l'altro giudice si dovesse pervenire ad un 
diverso orientamento su una questione che interessa sia i dipendenti della 
Corte che tutti gli altri dipendenti statali. 

Il legislatore, con l'art. 65 citato, non ha voluto creare una tale incongruenza. 


�L'aver devoluto le controversie .di pubblico impiego dei dipendenti della 
Corte dei Conti alle Sezioni Riunite della stessa e non alle sezioni semplici 
(con il che avrebbe ugualmente garantito l'autonomia e l'indipendenza dell'Istituto) 
si spiega altres� con la considerazione che le Sezioni Riunite sono 
in sostanza un giudice di secondo grado. 

Alle Sezioni Riunite infatti vanno devolute quelle. questioni che gi� hanno 
formato oggetto di esame nell'ambito della Corte stessa: cos� gli appelli av




PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 217 

ministrativo, in tema di buonuscita, costituisce un inconveniente, ma 
non il solo, proprio del sistema organizzativo vigente che, come si � 
visto, ripartisce la funzione giurisdizionale tra una pluralit� di organi 
variamente formati e disciplinati. 

Deve, infine rilevarsi l'inesattezza dell'affermazion~ secondo cui l'aver 
.devoluto a questo consesso anzich� alle Sezioni semplici, le controversie 
in materia di pubblico impiego si spiegherebbe � altres� con la consi<
lerazione che le Sezioni Riunite sono in sostanza un giudice di secondo 
grado�. 

Occorre, infatti, tener presente che nell'ordinamento della Corte dei 
Conti gli organi amministrativi sono, dal punto di vista istituzionale, 
nettamente distinti e differenziati da quelli giurisdizionali: ne consegue 
-che riguardo alle funzioni da essi rispettivamente esercitate non pu� 
configurarsi un rapporto analogo a quello che intercorre tra giudizio 
di primo grado e giudizio d'appello. A parte, invero, altre considerazioni, 
caratteristica fondamentale di quest'ultimo � che l'organo da cui 
promana la pronuncia impugnata � anch'esso investito di funzioni giudicanti 
e strutturalmente inserito nello stesso complesso cui appartiene 
l'organo di secondo grado. 

verso le decisioni delle sezioni giurisdizionali contabili, le questioni che siano 
state decise in senso difforme da pi� sezioni semplci e cos� anche quei provvedimenti 
che il Presidente, il Consiglio di Presidenza, il Segretario generale, 
la Commissione di disciplina ha adottato nei riguardi di un dipendente della 
stessa Corte. 

Estendere la giurisdizione domestica alle impugnative promosse dai dipen.
denti della Corte dei Conti contro provvedimenti di un Ente pubblico diverso 
dalla Corte stessa appare pertanto contrario allo spirito dell'art. 65 citato. 

(2) Era stato ripropo<;to il problema della giurisdizione sulle controversie 
aventi ad oggetto l'indennit� di buonuscita. Si era prospettato da taluni che, 
avendo la Corte Costituzionale affermato che la predetta indennit� fa parte 
del trattamento di quiescenza, deve considerarsi un elemento accessorio della 
pensione, con la conseguenza che le controversie relative rientrino nella giurisdizione 
della Corte de'i Conti quale giudice delle pensioni (v. IzzI, in nota a 
Corte Cost. 19 giugno 1972, n. 82, in Riv. Giur. Lavoro 1974, II, 652). 
Qualche decisione della Cassazione (SS.UU. 5 luglio 1975, n. 2615 in materia 
di prestazioni di assistenza medica dell'E.N.P.A.S.; SS.UU. 12 giugno 1975, n. 2328, 
in materia di indennit� per cessazione dal servizio corrisposta dal fondo di 
previdenza per il personale delle dogane) ha fatto sorgere il dubbio circa la 
sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario. 

Il Consiglio di Stato � costante nel ritenere la propria giurisdizione, decidendo 
nel merito tutte le controversie in materia di indennit� di buonuscita 
del personale statale. Circa la natura dell'indennit� stessa, recentemente 
la IV Sezione, con decisione 18 ottobre 1974, n. 653 cos� si � espressa: � L'indennit� 
di buonuscita spettante in determinati casi al personale dipendente 
dallo Stato che cessa dal servizio o ad alcuni suoi superstiti � una prestazione 
di carattere mutualistico e previdenziale, che, pur collegandosi da una 
parte con lo stipendio tabellare tramite la determinazione de'i contribuenti e, 



218 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEllO STATO 

Il problema della giurisdizione della Corte dei Conti va tuttavia affrontato 
anche sotto altro profilo. In proposito nessuna influenza pu� 
esercitare il mutato atteggiamento dell'ente resistente in ordine alla 
prospettata competenza del giudice ordinario, trattandosi di questione 
rilevabile ex officio. 

I motivi svolti dall'ente a sostegno della giurisdizione ordinaria possono 
cos� compendiarsi. Secondo l'avviso pi� volte espresso dalla Corte 
Costituzionale, � la buonuscita fa parte del trattamento di quiescenza "� 
Dovrebbe, pertanto, ritenersi definitivamente superata l'annosa disputa 
intorno al problema se l'espressione � trattamento di quiescenza � debba 
intendersi nell'accezione pi� limitata di trattamento pensionistico o nel 
significato pi� ampio di trattamento comprensivo sia della pensione sia delle 
indennit� destinate ad assolvere una funzione precipuamente previdenziale 
ed assistenziale; nella giurisprudenza civilistica ricorre con frequenza 
l'affe,rmazione che il rapporto assicurativo-previdenziale, tra E.N.P.A.S. e� 
dipendente dello Stato, � nettamente distinto ed autonomo dal rap-� 
porto di pubblico impiego; nel caso concreto, gli elementi oggettivi 
della domanda giudiziale -petitum e causa petendi -sono chiara


dall'altra, con la pensione, tramite la cessazione dal servizio, conserva una sua 
particolare autonomia, in quanto pur facendo parte del trattamento di fine 
rapporto; non ha carattere di prestazione retributiva (differita) in senso stretto, 
ma � piuttosto da qualificarsi come prestazione dell'Ente collegata alla prestazione 
di lavoro (in quanto questa ci sia) protratta per tutto il tempo 
richiesto dalla legge�. 

Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con la decisione in Rassegna, hanno 
riesaminato il problema della giurisdizione ed hanno concluso nel senso 
che le controversie sull'indennit� di buonuscita non possano rientrare nella 
giurisdizione del giudice ordinario e neanche in quella generale pensionistica 
della Corte dei Conti, ma restano nell'ambito della giurisdizione �esclusiva del 
pubblico impiego. 

In tal senso � stato ribadito quanto a suo tempo deciso dalla Corte dei 
Conti allorquando la questione si era posta per la prima volta (decisioni 2 giugno 
1932, in Corte dei Conti 1933, II, 31; 1� giugno 1935, ivi, II, 465) e che successivamente 
aveva sempre formato giurisprudenza pacifica. 

L'orientamento sembra da condividere. 

Infatti a parte la questione della giurisdizione della Corte dei Conti, 

finora sempre esclusa in giurisprudenza, sembra da escludere che tali con-� 

troversie possano rientrare nella giurisdizione della magistratura ordinaria ai 

sensi degli artt. 442 e segg. del codice di procedura civile modificato dalla 

legge 11 agosto 1973, n. 533. 

Invero, le controversie riguardanti le prestazioni dell'Ente resistente sono 

state sempre considerate dalla dottrina e dalla costante giurisprudenza sot-� 

tratte alla giurisdizione ordinaria, costituendo tali prestazioni � un elemento� 

del rapporto di pubblico impiego che lega l'assistito allo Stato � (vedasi MA-� 

LINVERNO, Impiegati dello Stato -Previdenza ed assistenza, Nuov.mo Dig. It.,. 

VIII, p. 258). L'indennit� in considerazione � un elemento di un pi� ampio




PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 219 

mente individuabili �nella richiesta integrazione dell'indennit� di buonuscita 
e nella omessa valutazione da parte dell'E.N.P.A.S. della tredicesima 
mensilit�, talch� il problema, strettamente attinente al rapporto 
di pubblico impiego, se detta mensilit� formi o meno parte integrante 
dello stipendio, si risolve in una questione pregiudiziale. 

Da queste premesse dovrebbe coerentemente dedursi che la cogni~ 
zione della controversia sfugga alla giurisdizione esclusiva delle Sezioni 
Riunite della Corte dei Conti per rientrare nella competenza generale del 
giudice ordinario o, come � stato di recente proposto, nella competenza 
delle Sezioni giurisdizionali della stessa Corte dei Conti in materia pensionistica, 
in base al rilievo che la qualificazione della buonuscita in 
termini di elemento complem�ntare ed accessorio della pensione, secondo 
l'indirizzo ormai costi;inte della Corte Costituzionale, comporta la necessaria 
attrazione nell'orbita giurisdizionale delle suddette sezioni di tutte 
le controversie attinenti al rapporto previdenziale. 

Senonch� il Colleggio, pur valutando il peso e l'importanza dei motivi 
esposti e pur riconoscendo l'esigenza di un ulteriore approfondimento 
di tale tematica, peraltro non effettuabile in questa sede, non 
ritiene di doversi discostare dall'orientamento sin qui seguito in perfetta 

trattamento di quiescenza che trova la sua fonte nel rapporto imp'iegatizio ed 
� strettamente connessa con le vicende del rapporto medesimo anche per 
quanto concerne la sua determinazione quantitativa (vedasi l'art. 3 del d.P.R. 
29 dicembre 1973, n. 1032); e la funzione (per altro non univocamente definibile: 
vedasi VIRGA, Il pubblico impiego, I, Milano 1973, 758) della indennit� 
non potrebbe essere sufficiente per attribuire alle relative controversie natura 
previdenziale ai sensi dell'art. 442 sopra cit. Inoltre, le disposizioni del d.P.R. 
29 dicembre 1973, n. 1032, implicitamente escludendo l'applicazione �della norma 
processuale sopra cit., indicano all'art. 29 i rimedi amministrativi consentiti 
contro i provvedimenti adottati dal Fondo di previdenza gestito dall'E.N.P.A.S. 
e dichiarano al?plicabile l'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, ammettono 
il ricorso � all'autorit� giurisdizionale competente � nel caso di silenzio 
dell'autorit� amministrativa in ordine al ricorso gerarchico; e l'art. 31 aggiunge 
che � nulla � innovato per quanto attiene alla competenza della Corte 
dei Conti a conoscere dei ricorsi in sede giurisdizionale avverso i provvedimenti 
definitivi in materia di assegno vitalizio�. 

Le premesse considerazioni dimostrano, senza ombra di dubbio, come la 
citata legge n. 533 del 1973 non possa aver sortito l'effetto di modificare, senza 
una esplicita dimostrazione, tutta la preesistente disciplina di carattere speciale 
relativa alle controversie concernenti le prestazioni dell'Ente di previdenza. 
ed assistenza. 

(3) Per la questione di merito le Sezioni Riunite de1la Corte dei Conti 
si sono uniformate alla recente decisione del Consiglio di Stato sez. VI, 15 
ottobre 1975, n. 437 (in Cons. Stato 1975, I, 1117). 
Il T.A.R. del Lazio invece si � espresso in senso difforme con le decisioni 
della Sez. I 5 febbraio 1975, n. 63 (.in TAR 1975, I, 452) e della Sez. III 7 aprile 
1975, n. 146 (in TAR, 1975, I, 1158). 



220 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


sintonia, del resto, con fa giurisprudenza della Corte di Cassazione e del 

Consiglio di Stato. 

Com'� noto, questa unit� d'indirizzo, costituisce il risultato di un 
lungo dibattito sia in campo dottrinario che giurisprudenziale, al termine 
del quale fu accolto il principio che la giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo comprende anche le controversie aventi con.
tenuto patrimoniale, purch� la pretesa dedotta in giudizio trovi il suo 
titolo necessario in un rapporto di pubblico impiego, �perch� questo 
consideri nella sua costituzione o n�l suo svolgimento o nella sua cessazione 
oppure perch� questo presupponga o ad esso si riferisca�, 
purch�, in altri termini, i diritti dei quali il dipendente lamenta il 
disconoscimento o la lesione da parte dell'ente pubblico siano comun


q_ue ricollegabili al rapporto di pubblico impiego. 

Nel vigente ordinamento la buonuscita s'immedesima in un rap


porto assicurativo-previderiziale che sorge ope legis per effetto della co


stituzione di un rapporto di pubblico impiego al quale si collega indis


solubilmente pur serbando ciascuno la propria fisionomia e la propria 

sfera di efficacia. Tale collegamento s� manifesta sotto l'aspetto di una 

subordinazione unilaterale in quanto le vicende del rapporto di pub


blico impiego, ma non viceversa, esplicano diretta influenza sul rap


porto previdenziale condizionan�lone sia la nascita sia il successivo svol


;gimento. 

Sul piano processuale � poi evidente come, in definitiva, nella que


stione sulla natura giuridica della 13� mensilit� si concentri e si esau


risca tutto il merito della controversia, essendo ogni altra questione 

strettamente dipendente da essa e quindi priva di autonoma rilevanza. 

In base alle considerazioni svolte deve dunque affermarsi che la 

�cognizione della controversia rientra nella giurisdizione esclusiva di que


ste Sezioni riunite perch� la domanda giudiziale ha il suo titolo nel 

rapporto d� pubblico impiego intercorso tra i ricorrenti e la Corte 

<lei Conti. 

Nel merito la difesa dell'ente obietta, in linea principale, che agli 

effetti del calcolo del contributo e della liquidazione della buonuscita, 

tutte le disposizioni in vigore tengono nettamente distinto lo stipendio 

<lalla 13� mensilit�, sicch�, nella fattispecie in esame, sarebbe irrilevante 

appurare, come invece chiedono i ricorrenti, se la 13� partecipi della 

natura giuridica dello stipendio, anzi s'identifichi con esso, in quanto 

�detta normativa avrebbe riferimento solo allo stipendio tabellare con 

esclusione di ogni altro emolumento o iDdennit�. 

Peraltro, come gi� posto in rilievo dal Cons;glio di Stato, nell'at


tuale disciplina della materia non esiste alcuna norma che espressa


mente escluda la 13" mensilit� dalla base retributiva utile per la liqui


dazione del trattamento previdenziale; n� tale esclusione pu� desumersi 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

comunque attraverso l'interpretazione delle varie disposizioni emanate 

in subiecta materia. 

Invero, come sar� precisato in seguito, l'accurata indagine esegetica 
.compiuta a questo fine dall'ente resistente non approda a risultati sicuri 
e concludenti anche perch� ancorata ai criteri vagamente logici ed 
estrinseci, espressi nei noti brocardi: ubi lex voluit, dixit, inclusio unius 
exclusio alterius etc., ai quali giustamente si nega valore di canoni 
ermeneutici generali. In primo luogo � necessario chiarire che il prindpio, 
cui si richiama l'ente, della correlazione tra prestazioni e contributi 
non, indica un nesso di interdipendenza o di reciprocit� riconducibile 
alla figura generale del sinallagma, sebbene tra i due termini un qual.
che elemento di connessione, anche giuridicamente rilevante, non man
�Chi -quale ad esempio la complessiva destinazione, rilevabile dall'autonomia 
di gestione, dci contributi prev'idenzi�li di tutti gli iscritti al 
fine dell'attribuzione del relativo trattamento. Il rapporto assicurativo 
previdenziale, infatti, non ha natura di contratto: rispetto ad esso quindi 
non opera l'eccezione d'inadempimento ex art. 1460 e.e. (inadimplenti 
non est adimplendum). D'altro canto, come gli stessi ricorrenti hanno 
puntualmente eccepito, il sistema contributivo adottato non � che lo 
strumento finanziario di cui l'E.N.P.A.S. dispone per l'assolvimento della 
sua funzione, mentre l'effettivo prelievo dei contributi previdenziali dallo 
.stipendio dell'impiegato statale non � conditio sine qua non per l'erogazione 
delle corrispondenti prestazioni in quanto l'unica condizione stabilita 
dalla legge � il riconoscimento del diritto a pensione. 

Contrariamente all'assunto dell'ente, nessun valido contributo per 
la soluzione del problema pu� essere offerto . dall'interpretazione delle 
disposizioni emanate nel periodo prebellico, in epoca, cio�, anteriore alla 
istituzione della tredicesima mensilit� (avvenuta, com'� noto, con l'art. 
7 del d.l.c.p.s. 25 ottobre 1916, n. 263), in quanto quelle norme, per essere 
esattamente interpretate, devono ovviamente inquadrarsi in una 
valutazione retrospettiva che tenga conto anche del momento storico in 
cui furono concepite. Cos� la formula usata nell'art. 29 del r.d. 21 novembre 
1923, n. 2480, in cui � prevista la commisurazione della buonuscita 
ad una quota dello � stipendio mensile � per ogni anno di servizio, 
potrebbe prima facie sembrare un efficace argomento per escludere dal 
computo la tredicesima mensilit�, posto che questa non pu� a ,rigore 
comprendersi nello stipendio mensile; � chiaro tuttavia che all'epoca 
dell'emanazione della legge, non esistendo ancora la mensilit� aggiuntiva, 
il calcolo sullo stipendio mensile sarebbe stato perfettamente equivalente 
a quello effettuato sullo stipendio annuo sicch� l'impiego dell'una 
o dell'altra locuzione non avrebbe importato alcuna differenza nel 
significato della norma. 


222 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Analogamente, nessun elemento utile, ai fini del decidere, pu� trarsi 
dall'esame di altre vecchie disposizioni, come quella contenuta nell'art. 
48 del t.u. 26 febbraio 1928, n. 619, o nell'art. 135 del regolamento 
7 giugno 1928, n. 1369, oppure nell'art. 12 della legge 19 gennaio 1942,. 

n. 22. 
Pi� conferenti potrebbero apparire le argomentazioni fondate sulla 
legislazione coeva o posteriore all'istituzione della �tredicesima�, perch� 
pi� verosimilmente si potrebbe sostenere che questa sia stata in, 
qualche modo contemplata da un reale intento normativo di inclusione 

o di esclusione rispetto al computo che interessa; manca per� a tali 
argomentazioni il carattere decisivo dell'univocit�. 
In proposito l'ente ha dedotto che l'art. 10 del d.P.R. 11 gennai0> 
1956, n. 19, riguardante la base contributiva, mentre nel terzo comma,. 
ai fini dell'assistenza sanitaria, considera esplicitamente la tredicesima. 
mensilit� come elemento retributivo distinto dallo stipendio, di essa. 
invece non fa menzione alcuna nel primo e nel secondo comma che si 
riferiscono rispettivamente all'indennit� di buonuscita ed a quella di 
licenziamento. In senso contrario, per�, il Procuratore generale si �� 
richiamato al testo dell'art. 7 del citato decreto legislativo n. 263 del 
1946 (pur non riconoscendolo affatto decisivo) per sottolineare che il 
legislatore ha espressamente stabilito la non computabilit� della � tredicesima 
� soltanto agli effetti dell'indennit� di licenziamento e non anche 
agli effetti dell'indennit� di b:uonuscita, rilevando inoltre che mai il legi-� 
slatore ha inteso includere l'una indennit� nella menzione dell'altra. 

Di fronte al contrasto di queste argomentazioni appare indispensa


bile prescindere da esse ed esaminare il problema in un'ottica diversa 

muovendo da un punto fermo, emergente da tutte Ie disposizioni sopra 

citate, le quali univocamente indicano nello stipendio la base fonda


mentale della liquidazione della buonuscita. 

Sotto tale profilo non � difficile riconoscere che la tredicesima men


silit� manifesta nei suoi tratti essenziali le stesse caratteristiche delb 

stipendio. Essa, invero, cos� come � sostanzialmente disciplinata nel' 

nostro ordinamento, lungi dal presentare gli aspetti di una gratifica


zione, ha assunto la funzione di corrispettivo per la nonn.ale presta


zione di lavoro con i caratteri della fissit� e della ricorrenza che la 

rendono indubbiamente partecipe della stessa natura dello stipendio. 

L'ente, peraltro, obietta che la tredicesima mensilit� non pu� considerarsi 
come stipendio non possedendo il carattere della pensionabilit�,. 
che, secondo un'affermazione di questo consesso (dee. 23 aprile 1970,. 


n. 36) sarebbe il �crisma� della essenziale natura dello stipendio. Sul 
punto, per�, occorre anzitutto osservare come le affermazioni giurisprudenziali, 
per essere esattamente intese, debbano essere vagliate in cor\


relazione con gli aspetti particolari del caso deciso: infatti, nella deci-� 

! 

I 

l 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI. DI GIURISDIZIONE 

sione sopra richiamata questo collegio, riferendosi in concreto al criterio 
della �pensionabilit� quale ulteriore crisma formale� (e non quale 
unico carattere o crisma in senso assoluto) di un emolumento che si 
potesse ricondur:e al concetto di stipendio in senso sostanziale, ebbe 
riguardo a quegli assegni previsti limitatamente per alcune categorie 
di dipendenti statali (nella fattispecie si trattava dell'assegno istituito 
con l'art. 43 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345) per cui il richiamo 
.alla �pensionabilit�� poteva servire appunto a confermare esteriormente 
che si trattasse di un emolumento analogo allo stipendio. Ma, quando 
si tratta di un assegno che, come la � tredicesima�, si fonda sopra una 
previsione di ordine generale della medesima ampiezza dello stipendio, 
in modo che ormai la prima inerisce per i suoi connotati intrinseci 
al secondo, costituendo con le altre mensilit� l'unit� economico-giuridica 
della retribuzione base, ogni richiamb ad ulteriori criteri di indi


viduazione (esteriori o formali) si rende superfluo e privo di senso. 

D'altro canto, la giurisprudenza amministrativa � concorde nel ritenere 
che la �tredicesima� ha assunto carattere generale come mensilit� 
fissa e ricorrente, aggiunta alle dodici mensilit� in cui si divide lo stipendio 
fondamentale del quale costituisce quindi costante e normale 
integrazione. 

Ed � proprio all'interpretazione giurisprudenziale che si deve il superamento 
delle difficolt� inerenti alla esatta individuazione normativa 
della natura della �tredicesima�: difficolt� dovute, come si � visto, alla 
imprecisione ed alle ambiguit� dei testi legislativi. 

� appena il caso di osservare che i termini della questione non sono 
sostanzialmente mutati con l'art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 
29 dicembre 1973, n. 1032 del quale, peraltro, si dovrebbe tener 
conto soltanto per quei ricorsi che risultano proposti dopo la sua entrata 
in vigore. 

Non va infine trascurato il rilievo che la soluzione accolta, adeguandosi 
ad analoghe previsioni pi� esplicite, gi� esistenti nel campo dell'impiego 
privato ed anche in qualche settore di quello pubblico, si armonizza 
con le linee costituzionali del sistema, evitando deprecabili disparit� 
di trattamento ed obbedendo cosL al principio ermeneutico, che � 
ormai patrimonio comune della giurisprudenza, per cui tra i molteplici 
significati di una norma o un gruppo di norme va sempre accolto quello 
che pi� si conformi alle norme e ai principi della Costituzione. 

A tale proposito si deve anche ricordare che l'E.N.P.A.S. prospetta 

una disparit� di trattamento che si verificherebbe a danno dei dipen


denti delle Ferrovie dello Stato (i quali attualmente si vedono negato 

il computo della � tredicesima � ai fini della buonuscita) rispetto agli 

altri dipendenti statali, ma il problema, com'� evidente, non pu� for


mare oggetto di esame in questa sede, dovendo eventualmente la que



RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELl.O STATO

224 

stione essere sollevata in apposito giudizio, da promuoversi nella sede 
competente dal personale interessato. 

A conclusione deve dunque affermarsi che la tredicesima mensilit� 
per il suo carattere di assegno fisso. e ricorrente, non legato ad alcuna 
prestazione particolare o a posizioni soggettive dell'impiegato, e per 
avere la sua causa esclusiva nella retribuzione della normale prestazione 
di lavoro, forma parte integrante dello stipendio: come tale, la � tredicesima 
� va compresa nella base retributiva utile per la liquidazione� 
della buonuscita, da calcolarsi sull'ultimo stipendio annuo, senza che al 
riguardo abbia rilievo la circostanza che, erroneamente, in ordine ad 
essa non sia stata operata alcuna ritenuta. -(Omissis). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 novembre 1974, n. 3497 -Pres. Pace� 
-Est. Sammarco -P.M. De Marco (conf.) -Ministero dell'InternQl 
(avv. Stato Pierantozzi) c. Ricciardi (n. c.). 

Circolazione stradale -Depenalizzazione � Opposizione all'ordinanza pre


fettizia � Abilitazione del Prefetto a stare in giudizio -Necessit� di. 

delega ministeriale � Esclusione. 

(!. 3 maggio 1967, n. 317, art. 9). 

Circolazione stradale -Depenalizzazione Opposizione all'ordinanza in�� 
tendentizia -Oggetto dell'opposizione. 
(!. 3 maggio 1967, n. 317, art. 9). 

Legittimato a resistere all'opposizione proposta ai sensi dell'art. 9' 
della leg~e 3 maggio 1967, n. 317 � esclusivamente il Prefetto (1). 

Oggetto del giudizio medesimo � la statuizione sull'accertamento dell'infrazione 
contenuta nell'ordinanza prefettizia e non l'ingiunzione di pagamento 
(2). 

(Omissis). -Il primo motivo del ricorso si articola in due profili 
distinti. 

Sotto il primo profilo, l'amministrazione ricorrente, denunciando la 
violazione dell'art. 9 della legge 3 maggio 1967, n. 317, sostiene che erroneamente 
il Pretore ha ritenuto che il ricorso dei Ricciardi, di opposizio-� 

(1-2) In tema di opposizione ex art. 9 legge 3 maggio 1967, n. 317/1-2�. 

Con l'annotata sentenza la suprema Corte ha esaminato il problema concernente 
la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione promosso ai 
sensi dell'art. 9 della legge 3 maggio 1967, n. 317. 

Il precitato articolo consente di proporre opposizione al Pretore contro� 
l'ordinanza emessa dal Prefetto o dal Sindaco o dal Presidente dell� Giunta 
Provinciale, con la quale viene determinata la somma dovuta per la violazione 
delle norme depenalizzate e se ne ingiunge il pagamento. 

Per quanto riguarda il provvedimento emesso dal Sindaco e dal Presi-dente 
della Giunta Provinciale non vi � un problema di identificazione dell'organo 
legittimato ad causam, giacch� le precitate autorit� sono anche i 
legali rappresentanti degli enti (Comune e Provincia) con i quali pertanto� 
deve successivamente instaurarsi il giudizio. 

Nel caso invece che l'opposizione venga proposta avverso il provvedimento 
del Prefetto, sorge un problema di identificazione del soggetto legittimato� 
passivamente, problema che si manifesta sotto un duplice profil9. 

Il P,refetto � tenuto ad irrogare la sanzione pecuniaria nelle ipotesi indicate 
alle lettere a), b) e c) dell'art. 1 della citata legge 1967 n. 317, ma il 



226 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ne all'ordinanza del Prefetto di Roma, dovesse essere notificato al Ministero 
dell'Interno. In proposito la ricorrente rileva che, per quanto 
.attiene all'ordinanza emessa a norma dell'art. 9 della citata legge, il Prefetto 
agisce come autorit� autonoma di governo in sede locale e non 
.come organo gerarchicamente subordinato al Ministero dell'Interno; pertanto, 
al Prefetto che ha emesso il provvedimento appartiene la legittima:
zione sostanziale in ordine al� giudizio di opposizione contro il provvedimento 
medesimo. 

Con la seconda parte del motivo, la ricorrente assume che, ammesso 
anche che la legitimatio ad causam spettasse al Ministero dell'Interno 
-e non al Prefetto di Roma, la costituzione del predetto Ministero in giudizio 
Sarebbe ritualmente avvenuta con la presentazione in udienza di un 
funzionario della Prefettura di Roma: invero, una volta che il privato 

ba assolto in ottemperanza a quanto dispone dall'art. 1 della legge 25 mar.
zo 1958, n. 260, all'onere di citare l'amministrazione in persona del 
Ministro in carica, l'amministrazione convenuta pu� costituirsi anche a 

relativo provento non sempre � devoluto all'Erario. Vi sono ipotesi in cui il 

beneficiario della sanzione pecuniaria � il Comune o la Provincia onde sorge 
�il dubbio che il contraddittorio -nel giudizio di opposizione in parola .
debba instaurarsi con l'ente creditore e non con lo Stato. 

La questione non appare per� risolta, qualora si ritenga che legittimato 
passivamente al giudizio sia lo Stato, in considerazione del fatto che da un 
.suo organo viene inflitta la sanzione pecuniaria. Sorge infatti il dubbio se 
.debba stare in giudizio il Prefetto, per la sua qualit� di organo che ha 
..emanato il provvedimento sanzionatorio, ovvero il Ministro dell'Interno, per 

la sua qualit� di organo posto al vertice di quella branca di Amministrazione 
.cui il Prefetto partecipa con vincoli di subordinazione gerarchica. 
La Suprema Corte affronta la questione, nella sentenza in esame, indivi


.duando una priorit� logica nella soluzione del problema. Si pu� infatti stabilire 
quale sia l'organo abilitato a stare in giudizio soltanto dopo aver stabilito 
l'effettivo oggetto dell'opposizione proposta dall'interessato. Ambigua � 
infatti la formula adottata dal legislatore, il quale sembra qualificare l'ordinanza 
prefettizia come provvedimento plurimo, contenente cio� un atto san
�zionatorio, con il quale viene determinata �la somma dovuta per la violazione 
.entro i limiti, minimo e massimo, stabiliti dalla legge� ed anche una ingiun


zione di pagamento. 

Orbene, l'impugnativa proposta ex art. 9 sembrerebbe diretta -secondo 
un esame testuale -contro l'ingiunzione prefettizia giacch� all'espressione � co.
stituisce titolo di pagamento � il legislatore ha aggiunto che � contro di essa � 
gli interessati possono proporre opposizione dinanzi al Pretore. In relazione a 
.ci� la stessa S.C. aveva gi� ritenuto che l'opposizione fosse diretta avverso 
l'ingiunzione di pagamento, la quale costituisce atto amministrativo, analogo 
alla ingiunzione fiscale (Cass. civ. 19 novembre 1973, n. 3097). E la dottrina (LAGOSTENA 
BASSI-RUBINI, La depenalizzazione, Milano 1969, 121) ha sottolineato le 
numerose analogie tra il sistema sanzionatorio introdotto dalla presente legge 
ed il sistema sanzionatorio esistente per la repressione delle trasgressioni in 
materia valutaria e di scambi con l'estero. Naturalmente nel giudizio promosso 
.dinnanzi al Pretore possono introdursi le questioni concernenti i presupposti, 



PAaTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE -227 

mezzo_ di un organo diverso dal Ministro, se le norme organiche ci� con


sentono. 

Il primo assunto del motivo � fondato. 

L'art. 9 della legge n. 317 del 1967 non menziona i soggetti ai, quali 

deve essere notificato il ricorso in opposizione con il ,pedissequo decreto 
di fissazione dell'udienza di comparizione, limitandosi a stabilire che il 
Pretore fissa l'udienza di comparizione e dispone per la notificazione del 
ricorso e del decreto da attuarsi a cura della cancelleria. In sede di interpretazione 
della ,menzionata disposizione � stata avanzata l'ipotesi che, 
poich� il provvedimento emesso dalle autorit� contemplate dalla legge 
sulla-depenalizzazione, e cio� ,il Prefetto, il Sindaco ed il Presidente della 
Giunta Provinciale (art. 8) comprende anche l'ingiunzione di pagamento 
della somma costituente la sanzione pecuniaria e poich� la detta ingiunzione 
costituisce titolo esecutivo, come pi::ecisa il terzo comma dell'art. 9, 

di fatto e di diritto, della sanzione inflitta. Secondo il citato indirizzo giurisprudenziale, 
per�, l'esame delle questioni suddette avverrebbe incidenter tantum, 
quale antecedente logico dell'oggetto. del giudizio, che sarebbe appunto l'ingiun� 
zione prefettizia (Cass. Sez. Un. 28 marzo 1974, n. 845, in questa Rassegna 1974,, 
pag. 645, con nota critica di Gargiulo). 

Con l'accertamento dell'illegittimit� dell'ingiunzione prefettizia l'opponente 
intende contestare il diritto dell'Amministrazione a procedere in via esecutiva 
e numerose volte la giurisprudenza (vedasi tra le pi� recenti sentenze Cass. II, 
19 ottobre 1974, n. 1301) ha sottolineato il parallelismo tra il rimedio giuridico 
in esame e quello ex art. 615 c.p.c. 

Nell'annotata sentenza la suprema Corte ritiene che oggetto della opposizione, 
promossa ai sensi dell'art. 9, non possa essere� l'ingiunzione di pagamento 
ed a tale soluzione giunge mediante un ragionamento a contrario~ , Qualora 
infatti si accogliesse la contraria opinione, il giudizio in parola dovrebbe configurarsi 
come opposizione all'esecuzione, con il quale cio� l'interessato conte-, 
sterebbe il diritto della Amm.ne a procedere in esecutivis. In siffatta ipotesi 
per� il contraddittorio dovrebbe instaurarsi con l'ente creditore della somma, 
mentre -secondo il S.C. -la normativa concernente il procedimento in que-, 
stione, pur non dichiarandolo esplicitamente, sembra indicare che controinteressata 
al ricorso sia l'autorit� che ha emanato l'atto. 


La Corte di Cassazione giunge pertanto alla conclusione che l'opposizione 
non sarebbe diretta avverso l'ingiunzione ma � contro la statuizione di accertamento 
dell'infrazione �, onde il giudizio medesimo riguarderebbe l'ingiunzione 
di pagamento soltanto per via riflessa. 

Sembra superfluo sottolineare il capovolgimento giurisprudenziale determinato 
dalla citata sentenza giacch� oggetto del giudizio diviene un atto (provvedimento 
sanzionatorio) che veniva, secondo l'opinione tradizionale, valutato in 
via incidentale e cio� quale presupposto dell'azione esecutiva promossa dalla 
Amministrazione. 

Ora � il momento esecutivo dell'ordinanza ad acquistare un rilievo incidentale, 
mentre l'interessato si avvale del rimedio giuridico previsto dall'art. 9 �per 
contestare, sotto l'aspetto formale e sostanziale, il provvedimento con il quale 
gli viene inflitta la sanzione pecuniaria->>. 

Dalla considerazione che l'opposizione in parola sarebbe diretta avverso 
l'ordinanza-sanzione del Prefetto, la suprema Corte trae il corollario che il 

6 



228 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il giudizio di opposizione di cui trattasi verrebbe a configurarsi, analogamente 
a quello regolato dall'art. 3 del r. d. 14 aprile 1910, n. 639, che disciplina 
la riscossione coattiva dell'entrata patrimoniale dello Stato e degli 
enti pubblici, come un giudizio di opposizione all'esecuzione, con il quale: 
si contesterebbe il diritto dell'amministrazione a procedere all'esecuzione� 
coattiva; da questa premessa viene tratto il corollario che il contradditto-� 
rio dovrebbe instaurarsi nei confronti dell'ente creditore della somma che: 
l'opponente � obbligato a pagare come sanzione pecuniaria, ente che per 
quanto riguarda la violazione delle norme sulla circolazione stradale di. 
cui allo art. 1 lett. a) della legge 317 del 1967, pu� essere, in base a quanto 
dispone l'art. 139 del cod. della strada richiamato dall'art. 6 della legge� 

n. 
317, lo Stato, la Provincia o il Comune, secondo i casi ivi previsti. 
La prospettata interpretazione non pu� essere condivisa. 
In effetti l'ordinanza di cui all'art. 9 della legge del 1967, n. 317,. 
comprende oltre l'ingiunzione, anche una statuizione con la quale l'au-� 

contraddittorio, nel giudizio de quo, debba instaurarsi con il suddetto organo 
e non con il competente Ministero. 

L'emanazione dell'atto sanzionatorio rientrerebbe, secondo il S.C., nella. 
competenza funzionale del Prefetto, onde si verificherebbe una deroga al pri~-� 
cipio cl.ella abilitaziorie del Ministro a stare in giudizio, prevista dall'art. 1 della. 
legge 25 marzo 1958, n. 260. 

La precitata sentenza, la quale potrebbe sembrare -ad un esame superfi" 
ciale -un improvviso capovolgimento della giurisprudenza, trova le sue pre-� 
messe in alcune sentenze della Corte Costituzionale e della stessa suprema. 
Corte. 

Di tale evoluzione possiamo individuare due momenti fondamentali: il 
primo concernente l'individuazione della causa petendi del giudizio promosso� 
ex art. 9 ed il secondo, strettamente connesso al primo, riguardante il peti-� 
tum del giudizio medesimo. 

Prima della pronunzia della Corte Costituzionale del 4 marzo 1970, n. 32 vi 
era il dubbio che l'interessato non potesse vantare un diritto soggettivo nei 
confronti dell'atto sanzionatorio. Onde l'opponente poteva contestare, dinnanzil 
al giudice ordinario, il solo diritto dell'Amm.ne a procedere in esecutivis, 
fatta salva naturalmente la possibilit� del giudice medesimo di valutare incidenter 
tantum i presupposti, di fatto e di diritto, dell'azione esecutiva. A. 
meno che non si ritenesse (come hanno sostenuto alcuni scrittori, tra cui 
SANDULLI, Manuale, Napoli 1971, pag. 746 segg.) che il giudizio di opposizione 
in parola costituisse un'ipotesi eccezionale di giurisdizione del giudice ordinario 
in materia di interessi legittimi (teoria ripresa dal Pretore nella sentenza cassata. 
dalla suprema Corte). La Corte Costituzionale ha ritenuto, nella sopra� menzionata 
sentenza, che il provvedimento sanzionatorio costituisce � atto dovuto � 
e non ha pertanto carattere discrezionale, onde nessuna preclusione sussiste 
alla titolarit� di un diritto soggettivo in capo all'interessato. Tale diritto �� 
quello all'integrit� del proprio patrimonio, diritto costituzionalmente garantito� 
dall'art. 23 e non esposto ad affievolimento. 

La motivazione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale � stata. 
d'altra parte recepita dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 23 giugno 1972,. 

n. 2088 (in questa Rassegna 1972, I, 778). 
I

I 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 229 

torit� accerta gli estremi di fatto e diritto della infrazione, come emerge 
dal testo stesso del citato articolo 9, che dispone che le autorit� indicate 
sentiti gli interessati, ove questi ne facciano richiesta, determinano 
con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione entro i 
limiti massimi e minimi stabiliti dalla legge. Ora � evidente che l'opposizione 
cui lo stesso articolo si riferisce non pu� appuntarsi che 
contro la statuizione di accertamento dell'infrazione e solo indirettamente 
investe l'esecuzione forzata concernente propriamente l'ingiunzione. 
Infatti, l'opposizione � un rimedio concesso al condannato per 
contestare, ~otto l'aspetto formale e ~ostanziale, il provvedimento con 
il quale gli viene inflitta la sanzione pecuniaria ed ottenere la dichiarazione 
d'illegittimit� del provvedimento stesso. 

In altri termini, l'opposizione introduce una contestazione di merito, 
rispetto alla quale il momento esecutivo dell'ordinanza non viene in 
discussione in forma diretta. Ci� � confermato dal rilievo che � in un 

I:i;i. tale s~t~~a viene ribadito il princ1p10 che l'atto sanzionatorio non ha 
canittere discrezionale giacch� la determinazione della sanzione da applicare 
implica una valutazione obbiettiva della gravit� dell'infrazione, cui � sottratta 
qualsiasi considerazione di opportunit� o convenienza. 

Dalla puntualizzazione della causa petendi del giudizio ad una nuova 
qualificazione del petitum il passo �appare breve. Una volta chiarito che 
l'atto sanzionatorio viene ad incidere su un diritto soggettivo perfetto dell'interessato, 
non potrebbe escludersi -sotto il profilo teorico -che il giudice 
ordinario abbia diretta cognizione del suddetto provvedimento in virt� dell'art. 
2 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. 

La Suprema Corte, nell'annotata sentenza, non si preoccupa affatto del problema 
conceri:J.ente la qualificazione della causa petendi ed individua l'oggetto 
del ricorso nel provvedimento sanzionatorio. Viene data per scontata, cio�, la 
competenza del giudice adito a conoscere dalla controversia in parola e non sembra 
dubbio che, secondo il S.C., il giudizio di opposizione trovi la propria causa 
petendi nel diritto soggettivo dell'interessato, violato appunto dal provvedimento 
sanzionatorio. A tale considerazione si giunge dalla constatazione che la Corte di 
Cassazione non ha affatto esaminato la tesi prospettata dal Pretore (ovverosia di 
una eccezionale ipotesi di competenza del giudice ordinario in materia di interessi 
legittimi), per cui qeve ritenersi che, secondo l'avviso del S.C., l'art. 9 in esame 
non avrebbe apportato alcuna deroga ai generali principi della giurisdizione. 

Non potrebbe dirsi per� che la� Corte di Cassazione abbia rimosso ogni 
dubbio al riguardo giacch�, una vo}ta chiarito che l'atto sanzionatorio incide 
su di un diritto soggettivo dell'interessato, non viene certamente ad esclu�lersi 
la eventuale fondatezza della opinione tradizionale, secondo la quale l'opposizione 
ex art. 9 avrebbe natura analoga al rimedio concesso, in applicazione 
dell'abrogato sistema tributario, nei confronti dell'ingiunzione fiscale. Anche 
l'accertamento tributario incide su di un diritto soggettivo dell'interessato, ma 
l'opposizione dinnanzi al giudice ordinario viene (o meglio veniva) proposta 
avverso l'ingiunzione fiscale, onde non potrebbe escludersi in linea di principio 
un'analoga struttura al giudizio di opposizione de quo. 

Tanto � vero che, come si � antecedentemente posto in rilievo, l'esame 
del citato art. 9 sembra indicare che oggetto dell'opposizione sia proprio 



!Z30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO sr~m' 

articolo diverso dall'art.\ 9, e precisamente nell'art. 13, che la legge 

n. 317 regola la� esecuzione forzata dell'ingiunzione. 
Precisata nei termini indicati la finalit� dell'opposizione disciplinata 
dall'art. 9, appare chiaro che la legittimata al relativo giudizio, � l'autorit� 
che ha emesso l'ordinanza; � detta autorit� infatti, che ha uno 
specifico interesse alla conservazione dell'ordinanza stessa, e non gi� 
l'ente creditore, il quale � interessato soltanto alla fase dell'esecuzione 
forzata dell'ordinanza. 

� Alla stregua degli enunciati rilievi si pu�, quindi, concludere che 
nel giudizio di opposizione di cui all'art. 9, la legitimatio ad causam 
spetta all'autorit� che ha emesso l'ordinanza, contro la quale l'opposizione 
deve essere proposta. Questa conclusione si presenta del tutto 
piana in rapporto alle ipotesi in cui l'ordinanza sia emessa dal Sindaco 
o dal Presidente della Giunta Provinciale, quali organi rappre


l'ingiunzione di pagamento, qualora si parta dalla premessa, a nostro avviso 
ineontrovertibile, che l'ordinanza prefettizia abbia la natura di provvedimento 
plurimo.. 

Il� fatto � che la suprema Corte parte dal postulato che il contraddittorio 
-ove il rimedio in esame si qualificasse come opposizione all'esecuzione dovrebbe 
necessariamente instaurare con l'ente creditore. E dalla impossibilit� 
logica e giuridica di un simile contraddittorio, il S.C. giunge alla conclusione 
che oggetto dell'opposizione sia appunto il provvedimento sanzionatorio. 

Sembra tuttavia da '.escludere, qualsivoglia sia la natura dell'opposizione 
proposta ai sensi del menzionato art. 9, che l'ente creditore possa qualificarsi 
come il soggetto legittimato passivamente nel giudizio. 

Tale opinione. si fonda sull'esame della legge 24 dicembre 1975, n. 706, concernente 
il sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni 
punibili con l'ammenda, la quale ha disposto che (art. 8, quarto comma), in 
caso di marn:;ato pagamento della sanzione pecuniaria � le autorit� che hanno 
emesso l'ordinanza, procedono alla riscossione della somma dovuta mediante 
esecuzione forzata con l'osservanza delle norme del testo unico approvato con 
regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 �. 

Tale precisazione, la quale non era contenuta nella legge 1967 n. 317, indica 
chiaramente che il contraddittorio -anche in sede di opposizione alla esecuzione 
forzata -debba necessariamente instaurarsi con l'autorit� che ha emesso 
l'ordinanza, in quanto l'unica abilitata alla riscossione coattiva della sanzione 
pecuniaria. 

N� potrebbe ritenersi che il regime dell'opposizione, previsto dalle due 
sopramenzionate leggi sulla depenalizzazione, sia diverso, giacch� il sesto comma 
dell'art. 8 della legge 706 richiama espressamente il procedimento previsto 
dal:l.'art. 9 della legge 317. 

Nel cadere il postulato della suprema Corte, giacch� in nessun caso l'ente 
creditore potrebbe essere il legittimato passivo dell'opposizione alla luce della 
pi� recente normativa, si ripropone il dilemma sull'oggetto della opposizione: 
provvedimento sanzionatorio ovvero ingiunzione prefettizia? 

La questione, in effetti, avrebbe una rilevanza prevalentemente teorica, 

giacch� l'opposizione assumerebbe diversa configurazione, a seconda se venga 

recepita l'una o l'altra teoria. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 231 

sentativi di amministrazioni, che sono centri autonomi di specifiche 

attribuzioni e che sono dotate di propria personalit� giuridica. Con 

riferimento, invece, al caso in cui sia il prefetto ad emettere l'ordi


nanza, in materia di violazione alle norme sulla circolazione stradale; 

si profila il quesito se la legitimatio ad causam, relativamente al giu


dizio di opposizione, spetta al Prefetto oppure al Ministero dell'Interno; 

il questio trae origine dalla constatazione che il Prefetto � dal punto 

di vista organico inquadrato nella ru:nministrazione dell'interno e dalla 

supposizione che il Prefetto quando esercita il potere di ordinanza ex 

art. 9, lo esplichi quale organo dipendente del Ministero dell'Interno, 

nell'ambito di una attribuzione a questo direttamente pertinente. 

Per dare una corretta risposta al quesito, occorre procedere all'esatta 

ricostruzione della posizione del Prefetto in seno all'amministrazidrie 

dello Stato. In proposito, va osservato che il Prefetto rappresenta nella 

Provincia il Governo nella sua unit�; essendo la pi� alta autorit�. nel� 

Si osserva tuttavia che sia la legge 1967 n. 317 (art. 13) .che la legge 1975 
. n. 706 (art. 8) dichiarano espressamente che l"esecuzi()ne forzata avverr� se��mdo 
le modalit� previste dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639. 

Orbene, qualora si ritenga che l'opposizione venga proposta avverso �il prov


vedimento sanzionatorio, non potrebbe escludersi un. ulteriore gravame avverso 

l'ingiunzione di pagamento ai sensi dell'art. 3 della legge 1910 n. 639. 

Non sembra per� ammissibile che possano esperirsi due gravami, di di~. 
versa natura, avverso altrettanti atti contenuti in un provvedimento plurimo 
. e, pertanto, inscindibilmente legati l'uno con l'altro e la cui notifica avviene 

contestualmente. 

Sembra preferibile, pertanto, ritenere che l'opposizione giudiziaria, in ma~ 

teria di sanzioni depenalizzate, abbia carattere unitario e concerna, in via 

diretta ed immediata, l'ingiunzione di pagamento e, di riflesso quale presup


posto del suddetto atto, il provvedimento sanzionatorio. Tale opposizione tro


verebbe, nel citato art. 9, una specifica disciplina in deroga . alle disposizioni 

del t.u. 1910 n. 639 (p.e. per quanto concerne la competenza ~unzionale del 

Pretore, la quale prescinde dal valore delle somme in contestazione). 

Si condivide, quindi, l'avviso espresso dalla suprema Corte -e cio� che 

il contraddittorio debba necessariamente instaurarsi con l'autorit� che lia. ema


nato l'atto -malgrado che lo scrivente abbia manifestato diversa opinione sul


l'oggetto dell'opposizione di cui trattasi. 

I,.a decisione della Corte sull'abilitazione del Prefetto a . stare in giudizio 

-in deroga all'art. 1 della legge 1958 n. 260 il quale prevede la competenza 

del Ministro -� comunque valida, sia che si aderisca all'una ovvero all'�ltra 

opinione. , 

Il Prefetto infatti � competente, in via esclusiva, sia alla irrogazione della 

sanzione. che all'ingiunzione del pagamento della relativa somma. 

In relazione a ci�, l'opponente deve instaurare il giudizio di opposizione 

con il Prefetto, per la su� qualit� di autorit� che ha emanato l'atto opposto, 

rientrante appunto nella sua competenza funzionale. 

FABRlZIO FOGLIETTI 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

l'ambito provinciale, compete al Prefetto dare impulso, coordinazione 
e direttive a tutta la vita politico-amministrativa della Provincia; inoltre, 
esso sovraintende alla tutela dell'ordine pubblico e dell'igiene pubblica; 
infine, spetta, altres�, al Prefetto vigilare sull'andamento delle 
pubbliche amministrazioni della Provincia. Nello svolgimento di tali 
suoi compiti, esso dipende dal Ministero dell'Interno e da tutti gli altri 
ministeri ai quali di volta in volta la sua azione fa capo in particolare. 
Questo rapporto di dipendenza molteplice comporta -su un piano 
generale -che i provvedimenti del Prefetto sono impugnabili in via 
gerarchica davanti a quello, tra i vari Ministeri, nella cui sfera di 
competenza specifica rientra la materia in ordine alla quale � stato 
adottato il provvedimento da impugnare. Tuttavia, in alcune sfere di 
attivit� il pref~tto si presenta come organo �:munito di 'Una propria 
autonomia funzionale che lo svincola obiettivamente dalla dipendenza 
da alcun Ministero; il Prefetto per materie di sua esclusiva e specifica 
attribuzione esercita un potere che non � subordinato a quello delle 
superiori autorit� ministeriali, fra queste compreso il Ministero dell'Interno, 
nel quale il Prefetto � organicamente inquadrato. Di conseguenza, 
il provvedimento emesso dal Prefetto in base a queste sue 
proprie e specifiche attribuzioni, essendo espressione di una piena autonomia 
funzionale, non � impugnabile in via gerarchica. 

Una tale autonomia funzionale si riscontra in tema di espropriazione 
per pubblica utilit�; le varie 'leggi che regolano la materie attribuiscono 
al Prefetto il potere di emettere il decreto di esproprio e 
di disporre l'occupazione di urgenza (1. 25 giugno 1865, n. 2359 -I. 22 
ottobre 1971 n. 865). Tali poteri gli sono assegnati come propri fuori 
di ogni dipendenza dal Ministero dell'Interno o di altro Ministero; 
tanto � vero che i relativi decreti di esproprio e di occupazione d'urgenza 
non sono impugnabili in via gerarchica e che l'art. 5 della citata 
legge del 1865, dispone che l'atto di opposizione alla stima deve� essere 
notificato direttamente al Prefetto. 

Una analoga posizione di autonomia del .Prefetto � venuta a determinarsi 
per effetto della legge n. 317 del 1967, che nel modificare il 
sistema delle sazioni in materia di circolazione stradale, attribuisce al 
Prefetto il potere di emettere ordinanza motivata di condanna al pagamento 
di una somma a titolo di sanzione pecuniaria per le violazioni 
delle norme del codice della strada punite con la sola pena dell'ammenda. 


L'indicato potere di ordinanza del Prefetto rientra in una sua sfera 
di compiuta autonomia rispetto alla quale non � ravvisabile alcuna 
dipendenza dal Ministero� �dell'Interno o da altro Ministero. Questa 
assoluta indipendenza del Prefetto nell'emettere l'ordinanza di condanna 
in tema di circolazione stradale, si traduce sul �piano processuale nella 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 
233 

:Sua capacit� di essere parte nel giudizio di opposizione contro l'ordinanza 
da lui emessa. Pertanto, il giudizio che viene ad instaurarsi davanti 
al Pretore a seguito dell'opposizione promossa dall'ingiunto, ha 
.come legittimi contraddittori da un lato l'opponente, dall'altro il Prefetto, 
il quale � l'unica autorit� che ha legitimatio ad causam nel detto 
:giudizio. 

Applicando i principi esposti alla fattispecie in esame, va conclu
�sivamente affermato che nel giudizio di opposizione proposto dai Ric
�ciardi contro l'ordinanza del Prefetto di Roma, che li condannava in 

solido al pagamento di lire 130.000 per l'infrazione prevista dall'art. 121 

-cod. strad. legittimato a resistere alla opposizione, � il Prefetto di Roma 

e non il Ministero dello Interno. -(Omissis). 

�CORTE 
DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 gennaio 1976, n. 227 � Pres. Stile � 
Rel. Vessia � P. M. Silocchi (conf.) � Ministero interni (avv. Stato 
Siconolfi) c. Mariani (avv. Fabrizio). 
�Responsabilit� civile � Responsabilit� della p.a. per danni arrecati a terzi 
dai propri dipendenti � Responsabilit� diretta � Criteri dell'imputazione � 
Nessi di occasionalit� necessaria tra l'attivit� del dipendente e le 
incombenze affidate � Abuso di potere strumentalmente connesso con 
i fini istituzionali dell'Ente � Riferibilit� dell'evento dannoso alla p. a. � 
Sussiste. 

La pubblica Amministrazione risponde, immediatamente e direttamente 
per i fatti illeciti dei suoi dipendenti, quali che siano le man� 
.sioni esplicate (di concetto, d'ordine, intellettuali e materiali), sempre 
che sussista non solo il nesso di causalit� obbiettiva tra il comportamento 
del dipendente e l'evento dannoso, ma anch� la riferibilit� alla 

p.a. del comportamento stesso (1). 
(1-2) 
Negli stessi termini, per un analogo caso, cfr. Cass. 21 febbraio 1966, 

n. 551. in questa Rassegna, 1966, I, 344, con nota di richiami. 
Non risulta, a quanto � dato constatare, nelle successive pronunzie della 
-Corte di Cassazione, un mutamento di indirizzo; cfr. Cass., SS. UU., 20 dicem� 
�ore 1967, n...2980, in Giust.. (;:iv. 'Mass., 1967, 1550, e Foro it. Rep. 1968, 205, 2283; 
in c.ui si.afferma testualmente.. che�� Soltanto il fine strettamente personale ed 
egoistico da cui il dipendente � mosso, che si riveli assoluta:r..ente estraneo 
;all'amministrazione ed escluda ogni collegamento di necessaria occasionalit� 
.con i poteri propri dell'agente, pu� impedire il riferimento all'amministrazi�me 
dell'atto compiuto in violazione dei diritti dei terzi �. 

La tendenza medesima risulta infatti accolta in ulteriori pronunzie del 
:Supremo Collegio a sezione semplice, come � dato notare in Cass. 21 febbraio 
1969, n. 600, in Foro it. Rep. 1969, 202, 2392; e Giust. Civ. Mass. 1969, 311 (con 
nota di richiami), la quale ribadisce che ... �Il fine personale ed egoistico, da 



RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

E riferibile alla p.a. l'attivit� del dipendente, qualora questa sia e 
si manifesti come attivit� dell'ente, cio� tenda al conseguimento dei 
fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni di ufficio, avendo riguardo 
non gi� alle operazioni intermedie, pur concettualmente distinguibili in 
relazione alle rispettive finalit� di carattere appunto intermedio nelle 
quali si articola ogni attivit� diretta al conseguimento di un dato scopo, 
ma avendo riguardo alla finalit� terminale cui tende l'attivit� nel suo 
complesso senza che abbia rilevanza il fatto che, nel corso delle operazioni, 
il dipendente compia un abuso di poteri che, pur determinato 

�da esigenze egoistiche, appaia strumentalmente connesso, anche in modo 
anomalo, con i fini istituzionali dell'ente (2). 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione degli 
Interni deduce la violazione dell'art. 2043 e.e. e dei principi relativi 
a:lla responsabilit� della pubblica Amministrazione�, nonch� la contradditforiet� 
della motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). 

Sostiene che l'attivit� del dipendente non � riferibile alla Amministrazione 
quando si sostanzi in un abuso di potere e quando il fatto 

cui il funzionario o � il dipendente dello Stato o di altri enti pubblici risulti 
mosso, del tutto estraneo a quello perseguito dall'amministrazione, se vale ad 
escludere ogni nesso di occasionalit� necessaria con i poteri propri dell'agente, 
impedisce il riferimento all'amministrazione dell'atto compiuto in violazione 
dei diritti di terzi, ma lascia sussistere la diretta responsabilit� .del funzionario 

o del dipendente �. � . 
Di particolare interesse si� presenta -con riferimento al tema trattato 
nella sentenza sopra riportata -'--la pronunzia della Corte di Cassazione a Sezioni 
Unite del 17 dicembre 1970, n. 2700 (la massima pu� leggersi in Giust. Civ . 
. Mass. 1970, 1403) ove, ribadita la responsabilit� dello Stato e degli enti pubblici 
per l'operato dei propri organi, la si esclude qualora l'attivit� del funzionario,. 
anche se rientrante in astratto nella sfera di competenza e di attribuzione 
dell'Ente, non sia diretta all'attuazione di scopi propri dell'Ente medesimo, cui 
il dipendente appartiene, ma al conseguimento di scopi propri di altro Ente, 
che si avvale dell'attivit� dei dipendenti di quell'ente al quale il dipendente 
appartiene. 

Si segnala infine la. tendenza della Corte di Cassazione ad adottare il parametro 
del .collegamento concreto effettivo dell'agente con la pubblica Amministrazione, 
al di l� del formale atto di nomina o di inquadramento nei ruoli, 
ai fini dell'impu~azione del fatto e quindi della responsabilit� di questo alla 

p. a. cfr. Cass. 7 febbraio 1974, n. 330, in Giur. it., 1974, 53, 3110: �Ai fini 
della riferibilit� dell'atto illecito ad �U�J.a persona giuridica pubblica, non � 
necessario, n� sufficiente che l'agente sia inquadrato nei ruoli del personale 
dell'ente, ma � invece rilevante che egli abbia agito nell'ambito di mansioni 
affidategli per il soddisfacimento dell'interesse pubblico dall'ente perseguito�. 
CESARE LAMBERTI 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

dannoso � derivato, come nella specie, proprio e solo dall'illecito uso� 
dei mezzi strumentali adoperati (auto privata); n� pu� intendersi sufficiente 
il rapporto di occasionalit� necessaria con l'incarico ricevuto,. 
secondo concetti e principi elaborati in relazione alla responsabilit� d� 
cui all'art. 2049 e.e. 

La censura � infondata. 

Invero, lo Stato e gli altri enti pubblici ~on possono agire che. a: 
mezzo dei propri organi: l'operato di questi non � di soggetti distinti, 
ma degli enti stessi nei quali essi si immedesimano: ed � in 
virt� di tale �rapporto organico che la responsabilit� derivante dalla 
loro attivit� risale appunto .alle persone giuridiche pubbliche delle quali 
sono espressione (Cass. Sez. Un. 17 dicembre 1970, n. 2700; Cass. 27 novembre 
1973, n. 3243 e 25 settembre 1967, n. 1950). 

L'Amministrazione pubblica risponde, immediatamente e direttamente: 
(e non indirettamente, per rapporto institorio) per i fatti illeciti dei 
suoi dipendenti, quali che siano le mansioni espletate (di concetto o� 
d'ordine, intellettuali o materiali) e indipendentemente dalla responsabilit� 
degli stessi (Cass. Sez. Un. 6 maggio 1971, n. 1282; 12 giugno� 
1967, n. 1448). 

L'art. 28 della Costituzione che ha previsto quest'ultima non ha inteso� 
immutare la natura della responsabilit� diretta dell'Amministrazione �� 
sanzionare il principio della responsabilit� indiretta, ma ha solo voluto� 
sancire accanto ad essa quella propria degli autori dei fatti lesivi dellesituazioni 
giuridiche altmi (Cass. 29 gennaio 1964, n. 233; 3 agosto 19'54r 

11. 2831). 
Perch� ricorra tale responsabilit� della P.A. non basta, certo, come 
sottolinea la ricorrente, il semplice comportamento lesivo del dipendente; 
deve sussistere, infatti, non solo il nesso di causaW� obiettiva tra iI 
comporta~ento del dipendente e l'evento dannoso, -~a, anche, la riferibilif� 
alla Amministrazione del comportamento stesso (Cass. Sez. Un. 
20 dicembre 1967, n. 2980). 

A tale ultimo riguardo deve, per�, riconoscersi che l'attivit� pu� 
essere riferita all'ente medesimo, cio� tenda al conseguimento dei suoi 
fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio e del servizio� 
al quale esso dipendente � addetto (sent. ult. cit. v. inoltre: Cass. 12' 
luglio 1974, n. 2107).. Tale riferimento all'ente pu� venir meno sofo. 
quando il dipendente agisca come un semplice privato, per un fine 
strettamente personale ed egoistico, che si rilevi assolutamente estraneo� 
all'Amministrazione -o addirittura contrari.o ai fini che questa persegue 
-ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente 
(v., oltre sent. dianzi citata: Cass. Un. 4 gennaio 1964, n. 3; 
Cass. 19 giugno 1967, n: 1448; 30 novembre 1963, n. 3069; 31 marzo 1960r 

n. 708; 13. novembre 1957, n. 4377; 9 maggio 1952, n. 1312). 

236 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

In particolare, per accertare la sussistenza di tale nesso tra l'attivit� 
del dipendente e le incombenze ad esso affidate, occorre aver riguardo 
:non gi� alle operazioni intermedie, pur concettualmente distinguibili in 
relazione alle rispettive finalit� di carattere appunto intermedio� nelle 
.quali si articola normalmente ogni attivit� diretta al conseguimento 
.di un dato scopo, ma alla finalit� terminale cui tende l'attivit� nel 
:suo complesso. N� tal nesso vien meno per il solo fatto che nel corso 
.delle predette operazioni, il dipendente commetta abuso di poteri, qua1ora 
questo, anche se eventualmente determinato da esigenze puramente 
�egoistiche, appaia strumentalmente connesso, pur se in modo �anomalo, 
con i fini istituzionali dell'ente (Cass. 21 febbraio 1966, n. 551). 

Il che non � in contrasto -come sostiene la ricorrente, con la 
natura sopra indicata (diretta) della responsabilit� dell'ente, rispetto a 
.quella indiretta ex art. 2049 cod. civ. 

Infatti, le due responsabilit� sono e restano fondate su titoli di-
versi, anche se per entrambe occorre, nei rispettivi ambiti, un certo 
ieollegamento tra l'attivit� dannosa posta in essere da un individuo e 
Je esplicazioni delle incombenze ad esso conferita da un dato soggetto. 
Nella responsabilit� indiretta, � nei casi di sussistenza di un rapporto 
sostanziale tra azione ed incarico (che ricorre non solo nell'ipotesi 
di nesso rigoroso di causalit�, ma anche in quella di occasionalit� 
necessaria) che deve, a miglior tutela del danneggiato, rispondere degli 
effetti pregiudizievoli del fatto il soggetto che ha conferito l'incarico, 
pur se il fatto stesso � e resta dell'autore. In quella diretta, � la pecu1iare 
natura del rapporto che lega all'ente pubblico il dipendente, che 
fa identificare il fatto di questo ultimo come proprio dell'ente, s� che 
� l'ente stesso che di esso, in quanto tale, indipendentemente dall'evenil:
uale responsabilit� di chi l'ha compiuto, deve rispondere nei confronti 
del danneggiato. Anche qui deve esservi relazione tra l'attivit� e le mansioni 
esplicate, s� da derivare da essa, quale azione dell'ente, gli indi
�cati effetti: altrimenti il fatto resta proprio ed esclusivo dell'agente. E 
tale relazione sussiste non solo quando l'azione di questi coincida con 
�quanto strettamente e secondo tutta regolarit� debba essere posto in 
.essere per siffatta esplicazione, ma anche quando si svolga con qual
�che deviazione o anomalia nelle relative con�i:<;!te operazioni: l'essen:
ziale � elle . esso t�nda pUr� sempre al perseguimento� del fine dell'ente, 

in connessione con le attribuzioni di esso dipendente; solo se l'attivit� 
1del dipendente decampi completamente da tale� ambito -operando egli 
:al di fuori di esso, per fini personali ed egoistici, senza attinenza alcuna 
�con gli scopi dell'ente e le proprie incombenze -si potr� riconoscere 
nella stessa, con le relative conseguenze, un'azione non gi� dell'ente 
medesimo, ma solo ed esclusivo di esso agente. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 
237 ' 

La stessa ricorrente fin1sce per riconoscere che solo la totale estra:
neit� ai fini dell'ente dell'attivit� posta in essere dal dipendente esclude 
la riferibilit� di questa all'Amministrazione medesima: tale estraneit�, 

per�, non pu� essere con;ie si � detto, ristretta ad un singolo momento 
�Operativo, ma deve essere stabilita con rifedmento allo scopo finale proprio 
dell'ente -che l'agente, nell'esplicazione della sua attivit� com-
plessivamente considerata in relazione alle mansioni affidategli, persegue. 

Nella specie, l'incarico affidato al Lentini era l'accompagnamento dei 
profughi da Roma a Farfa Sabina. Naturalmente, tale incarico, nella sua 
.esecuzione, si scindeva in una serie di operazioni � intermedie: prelievo 
.delle persone, trasporto, consegna al centro profughi. Ed � in ordine 
da un luqgo,.alFaltro -che si � avuta la lamentata iniziativa personale 
.di esso Lantini nella scelta del mezzo da usare (veicolo proprio, anzi.
ch� di linea pubblica). Ma tale iniziativa, se pu� rilevare -perch� 
in violazione di dedotte disposizioni relative -nell'ambito del rapporto 
:interno di servizio ai fini disciplinari, non pu� certo interrompere il 
richiesto nesso tra l'incarico e l'evento ai fini della responsabilit� della 
.Amministrazione per le conseguenze lesive derivate dall'esecuzione con.
creta dell'iniziativa stessa. Questa invero, anche se ispirata da motivi per:
sonali ed egoistici, �riguardava solo e per una data modalit� la singola 
.operazione intermedia, la quale si inseriv� pur sempre, anche se in 
modo anomalo, ma con rapporto di stretta strumentalit�, nell'espleta:
mento dell'incarico che costituiva lo scopo terminale dell'attivit� dell'agente 
e quindi il raggiungimento del fine perseguito dall'Amministra;
zione. 

Siffatta iniziativa, quindi, che inseriva solo ad un segmento della 
.esecuzione dell'incombenza affidata al Lentini, non ha impresso certo 
all'operazione relativa e all'attivit� svolta dal Lentini quel carattere di 
.:assoluta estraneit� alle attribuzioni del medesimo e ai fini dell'Amministrazione,' 
che solo poteva far ritenere spezzato il nesso necessario 
per riferire l'operato di esso dipendente all'Amministrazione stessa ai fini 
,della relativa responsabilit� per le conseguenze dannose derivatene (in 
tali sensi, per un caso analogo: Cass. 21 febbraio 1966 cit.). -(Omissis). 

�CORTE 
DI CASSAZIONE, Sez. III, 6 febbraio 1976, n. 421 � Pres. Brocca -
ReL Guerrieri -P. M. Silocchi (cor�f.) -Ministero dei trasporti (�vv. 
Stato De Francisci) C. Pozzati (avv. Puma). 
:Responsabilit� .civile � DannL � -Illecito ..-Pregiudizio .economico � Nozione. 

:Impiego pubblico � Illecito � Morte dell'impiegato � Pregiudizio economico Sviluppo 
della carrlei:a � Ammissibilit�. 


238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Impiego pubblico -Illecito -Pregiudizio economico -Maggiore indennit� 
di liquidazione � Ammissibilit�. 

Ai fini della valutazione del danno cagionato da fatto illecito, occorre 
tener conto di qualsiasi pregiudizio economico cagionato dal fatto al 
terzo, donde l'obbligo gravante sull'autore del danno in cui si sarebbe 
venuto a trovare qualora il fatto non si fosse verificato (1). 

La valutazione in concreto del depauperamento determinatosi nell'ambito 
familiare in seguito alla �morte del capo famiglia comprende anche 
gli incrementi dei quali lo stipendio di costui si sarebbe giovato secondo 
la normalit.� �dello sviluppo della carri�a. di appartenenza (2). � 

Deve altres� considerarsi parte degli incrementi sopra menzionati da 
liquidarsi in favore dei germani la quota della maggiore indennit� di 
liquidazione di cui lo stipendio del genitore avrebbe certamente beneficiato 
in caso di normale cessazione del rapporto di lavoro (3); 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione ri


corrente, denunciando violazione. degli artt. 2043, 2056, cod. civ., in rela


zione agli art. 360 n. 3 c.p.c., sostiene che la determinazione dell'am


montare del risarcimento spettante ai congiu11ti della persona deceduta 

a seguito del fatto illecito d� un terzo va operata' in riferimento all'im


porto reale delle sovvenzioni che il defunto effettu,ava a loro favore. 

La Corte di. merito avrebbe perci� errato -secondo la ricorrente 

nel porre a base del computo del risarcimento; anzich� il reddito di 

(1-2) Giurisprudenza costante sul princ1p10 secondo cui la liquidazione dei 

danni. futuri va fatta con riferimento alla durata effettiva della vita del dan


neggiato cfr. Cass. 25 febbraio 1967, n. 437, in Foro it. Rep. 1967, I, 2184, (195). 

Per l'affermazione che il risarcimento del danno futuro deve ricomprendere la 

utilit� economica percepita dalla vittima in modo costante e� durevole, � cfr. 

Cass. 15 dicembre 1966, n. 2951, Foro lt. Rep. 1967, I, 2188, (238); Cass. 22 ago


sto 1964, n. 2563, ivi Rep. 1966, 2456 (276). 

Con riguardo all'estensione dell'obbligo del risarcimento degli emolumenti 

legati all'ulteriore sviluppo di carriera del soggetto passivo dell'illecito vedi 

Cass. 2 aprile 1963, n. 810, Foro it .Rep. 1963, 2412 (280): Cass. 17 novembre 1972, 

n. 3133, ivi, Rep. 1962, 2256 (367); Giust. Civ. Rep. 1969, 1,' 772 (101). 
(3) Giurisprudenza costante. Nel senso che il risarcimento del danno ricomprenda 
le aspettative cui i familiari della vittima hanno diritto in. base al 
rapporto di lavoro dipendente del loro congiunto, cfr. Cass. 18 febbraio 1961, 
n. 348, Foro Jt. Rep. 1962, I, 2526, (373) (374). 
Il principio � stato comunque ritenuto operante ex adverso, con riguardo 
a quegli emolumenti che sarebbero venuti meno al lavoratore nel caso di 
decorso del tempo (detrazione dell'ammontare del risarcimento degli assegni 
familiari la cui cessazione � legata al raggiungimento della maggiore et� dei 
figli): Cass. 7 ottobre 1974, n. 2530, Foro it. Rep. 1974, I, 2406. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 239 

lavoro percetto dalla vittima (nel caso di specie il padre dei ricorrenti) 
al momento del sinistro, il maggior credito che il defunto avrebbe potuto 
percepire nel futuro e nel fare riferimento alla magg�ore indennit� 
di liquidazione che sarebbe eventualmente spettata al dante causa degli 
attori al momento della cessazioIJ.e del rapporto. 

La censura si rivela infondata. 

E ius receptum che, ai fini della valutazione del danno da fatto 
illecito, occorre tener conto di qualsiasi pregiudizio economico causato 
dal fatto del terzo, donde l'obbligo della restitutio in integrum, che 
si attua imponendo all'autore del danno di rimettere il patrimonio del 
danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe venuto a trovare qualora 
il fatto non si fosse verificato. 

In conformit� a tale principio questa Corte Suprema, con una giurisprudenza 
cui si intende aderire, ha pi� volte affermato che, in materia 
di risarcimento di danni futuri, la risarcibilit� del danno � ammissibile 
in relazione alla certezza o rilevante grado di probabilit� di 
sovvenzioni durevoli e costanti di cui i congiunti superstiti gi� benefidavano 
o avrebbero beneficiato, e semprech� non si tratti di mera 
eventualit� d'ipotetica realizzazione di insorgenza del danno (Cass. 22 
agosto 1964, n. 2365; Cass. 17 novembre 1962, n. 3133). 

Correttamente, pertanto, la Corte di Il!erito ha ritenuto che, ai fini 
di valutare in concreto il depauperamento determinatosi nel patrimonio 
dei germani Pozzati a seguito della morte del loro padre, andavano 
considerati gli incrementi, dei quali lo stipendio di costui si sarebbe 
giovato, secondo la normalit� dello sviluppo della carriera di appartenenza. 

D'altra parte, la ricorrente, nel menzionare, a conforto della propria 

tesi, la sentenza d' questa Corte Suprema n. 3929 del 1969 -secondo 

cui il risarcimento del danno patrimoniale dei congiunti di persona de


ceduta a � causa di fatto illecito postula l'accertamento che i predetti 

siano stati privati di utilit� di cui gi� beneficiavano -ha omesso di 

considerare che tale principio veniva affermato in relazione alla eventua


lit�, che esclude ogni possibilit� di danno patrimoniale, che dal. venir 

meno della vita altrui non deriv� per i familiari del morto la perdita 

di prestazioni e vantaggi economici legati alla esistenza della vittima, 

potendo invece la morte provocare soltanto la perdita di affetto, di con


forto, appoggi o morale e cos� via. 

La tesi del ricorrente, che sposta gli esatti termini della questione 

all'esame di questa Corte, non pu� pertanto essere condivisa. 

Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne l'attribuzione 

di una ulteriore quota di L. 2.000.000 in favore di ciascuno dei germani 

Gino e Franco Pozzati, quale quota della maggiore indennit� di liqui


dazione di cui essi avrebbero presumibilmente beneficiato nella ipotesi 

di normale cessazione del rapporto di lavoro del loro genitore. -(Omissis). 

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240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 febbraio 1976, n. 447 -Pres. Rossi Est. 
Santosuosso -P. M. Trotta (conf.) -Regione Siciliana (avv. 
Stato Tarin) c. Perdichizzi (avv. Vacca). 

Espropriazione per p.u. � Occupazione illegittima -Interessi legali -Sca-� 
denza -Anatocismo � Limiti. 

Sulle somme liquidate a titolo di risarcimento di danno per occupazione 
illegittima gli interessi � scadono � non al momento in cui cominciano 
a decorrere gli interessi legali (domanda giudiziale), ma al momento 
in cui diviene attuale ed esigibile l'obbligo del loro pagamentor 
e cio� quando, con la pronuncia definitiva (o almeno esecutiva) tali crediti 
diventano esigibili e, di conseg_uenza essi possono, a loro volta, produrre 
interessi dal giorno della domanda giudiziale proposta dopo l'anzidetta 
pronunzia (1). 

(Omissis). -Premesso che i giudici di merito hanno riconosciut0> 
dovuti, sugli interessi legali -per le somme liquidate a titolo di risarcimento 
per l'occupazione illegittima di mq. 143 e per quelle ultrabiennale 
dei mq. 440 (lett. a e d dell'esposizione in fatto) -anche gli interessi 
composti a decorrere dal 18 ottobre 1966 (data della richiesta in 
sede di precisazione delle conclusioni) fino al soddisfo, i ricorrenti deducono 
che l'anatocismo non doveva ritenersi applicabile nella specie, in 
quanto l'obbligo di corrispondere gli interessi legali non era �scaduto�. 
Osservano, in proposito, che gli interessi relativi a crediti derivanti da 
risarcimento di danni per occupazione illegittima �scadono�, non al 
momento in cui cominciano a decorrere gli interessi legali (domanda. 
giudiziale), ma al momento in cui diviene attuale ed esigibile l'obbligo� 
del loro pagamento, e cio�, quando, con la pronuncia definitiva o almen0> 
esecutiva, tali crediti diventano esigibili. 

Quest'unico motivo del ricorso risulta fondato. 

Il resistente si � limitato ad affermare che sugli interessi legali sono� 
altres� dovuti gli interessi composti a decorrere dalla data in cui sian0> 
stati espressamente richiesti e cita, dei precedenti giurisprudenziali, che 
si riferiscono per� agli interessi legali dovuti sull'indennit� di occupazione. 


I principi applicabili in tema di anatocismo sono invece quelli affermati 
in altra giurisprudenza (Cass. 26 aprile 1968, n. 1285; 29 luglio 1974, 


PARTE I,. SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 241' 

n. 2290), secondo cui gli interessi maturati in corso di giudizio sopra 
crediti incerti ed illiquidi, diventano esigibili con la sentenza che accerta. 
e liquida la somma dovuta e non possono, a loro volta, produrre interessi 
se non dal giorno della domanda giudiziale proposta dopo l'anzidetta 
sentenza. 
� stato, in proposito, osservato che, avvenuto l'accertamento giudiziale 
di crediti incerti ed illiquidi, gli interessi, per l'effetto retroattivo� 
della sentenza dichiarativa, cominciano a decorrere, sulla somma che sia. 
stata accertata dovuta, dal giorno della domanda. Il termine inizialedel 
decorso degli interessi non va, per�, confuso con la data in cui scade 
l'obbligo del loro pagamento, cio� con la data in cui gli interessi, dovendoessere 
pagati dal debitore, diventano esigibili; ed � proprio la data di 
� scadenza � degli interessi che rileva ai fini dell'applicabilit� dell'ana-tocismo. 


Nell'ipotesi del credito accertato con pronuncia giudiziale, la data di_ 
scadenza degli interessi coincide con la data di detta pronuncia, giacch�' 
solo in tale momento viene affermato l'obbligo del pagamento degli 
interessi maturati nel corso del giudizio sulla son;ima <!..cce~ta; e solo� 
in tale momento, pertanto, il termine stabilito per il loro pagamento� 
pu� considerarsi scaduto e g1i interessi stessi possono ritenersi esigibili. 

Nella specie, quindi, erroneamente i giudici di merito hanno indi-� 
cato nella data (18 ottobre 1966) della richiesta in sede di precisazione-delle 
conclusioni, il momento di decorrenza degli interessi composti, i 
quali, invece, possono considerarsi esigibili solo in base alla sentenza.che 
ha affermato l'obbligo del pagamento degli interessi legali, per cui� 
l'anatocismo pu� operare solo dal giorno della domanda giudiziale che� 
sia proposta dopo l'anzidetta sentenza. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1976, n. 514 -Pres. Capo-raso 
-Est. Falletti -P. M. Berri (conf.) -Garofalo (avv. Leone) c.. 
Ministero della P.I. (avv. Stato Conti). 

Demanio e patrimonio -Demanio storico e ortistico -Pronuncia della� 
Commissione prevista dall'art. 31 della legge n. 1089 del 1939 -Natura.. 

La pronuncia della Commissione prevista dall'art. 31 della legge� 
l� giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico o 
storico non ha carattere di lodo arbitrale, bens� si inquadra nel procedilnento 
amministrativo che si conclude con l'esercizio della facolt� dt 


242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO S.TATO � 

prelazione spettante alla p.a.; esprime, cio�, una determinazione tecnica 
.che esclude un riesame in sede amministrativa ma pu� essere impugnata 
.dinanzi al giudice ordinario (1). 

(Omissis). -Entrambi i ricorsi, pur essendo opposte le tesi finali 
.a cui ciascuno � rivolto (da un lato, la tesi che la pronuncia della commissione 
prevista dall'art. �31 della legge 1� giugno 1939, n. 1089 costituisca 
un giudizio arbitrale; dall'altro, la tesi che quella pronuncia costituisca 
invece una determinazione d'ordine amministrativo), confluiscono 
tuttavia nel rilievo preminente di un'uguale censura: poich� entrambi 
.denunciano che la corte d'appello, ritenendo non arbitrale la pronuncia 
in oggetto e dichiarando quindi improponibile davan~i a s� la sua impu_
gnazione ex art. 828 c.p.c. (dichiarando cio� la propria incompetenza 
funzionale a conoscere della causa), ha violato l'art. 45 c.p.c. 

La censura � fondata. Il ministero, infatti, coerentemente alla sua 
tesi, aveva proposto la causa davanti al tribunale, quale giudice di primo 
_grado, ivi chiedendo che. la determinazione estimativa della commissione. 
fosse dichiarata nulla per eccesso di potere; ma il tribunale, affermando 
viceversa che la pronuncia impugnata aveva carattere giurisdizionale, 
.aveva dichiarato la propria incompetenza. Nel conflitto, dunque, dei 
rispettivi giudizi e nei termini di una fattispecie come quella prevista 
.dall'art. 45 cit., la Corte d'appello, anzich� concludere il processo e disattendere 
la domanda per la sua improponibilit�, doveva chiedere d'ufficio 
il regolamento di competenza. N� l'adozione imprescindibile di codesto 
rimedio era altrimenti preclusa dal fatto che il ministero (in contrasto 
.questa volta col tenore ancora fermo della propria domanda) si fosse 
apparentemente adeguato alla sentenza del tribunale, �riassumendo� la 
�Causa davanti al giudice dichiarato competente: invero il dovere del 
_giudice ad quem, in caso di conflitto, di rilevare anch'esso la propria 
incompetenza a norma dell'art. 45 c.p.c., trova unico fondamento nella 
legge, non nel potere dispositivo delle parti; il suo esercizio pertanto 
non pu� essere impedito n� dal contegno acquiescente delle parti n� da 
loro istanze conformi alla pronuncia del giudice a quo (cfr. Cass. 1955, 

n. 1938). 
. Occorre quindi che si provveda in questa sede alla designazione del 
:giudice competente, davanti al quale il processo riceva il suo svolgimento 
(cfr. Cass. 1974, n. 3760). 

(1) Cfr. per l'analoga fattispecie in tema di pronuncia del Collegio arbitrale 
di cui al IV comma dell'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, 
�Corte Cost. 6 giugno 1968, n. 62, in Riv. giur. ed. 1968, I, 649, con nota di 
ALIBRANDI; Sez. Un. 14 gi�gno 1971, n. 1824, in Foro it. 1971, I, 1857, con nota. 

PARTE I; SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Il problema, aprendosi qui il divario delle tesi hinc inde, consiste 
appunto nello stabilite se la determinazione pecuniaria emessa a norma 
dell'art. 31' cit. dalla commissione ivi prevista abbia o meno natura giurisdizionale, 
se dett� commissione cio� svolga funzioni di arbitro e esprima 
soltanto una valutazione d'indole tecnica, sia pure i.nsindacabile e irrevocabile 
(art. 31 cit.). 

Chiari argomenti (non d'aspetto formale e contingente, come quello 
che la corte d'appello ha ravvisato nella specie, rilevando che la stima 
de qua non venne n� depositata n� dichiarata esecutiva, secondo i requisiti 
prescritti dall'art. 825 c.p.c. per il lodo arbitrale, ma preventivamente 
connaturati nell'essenza intrinseca dell'atto) conducono a respingere la 
tesi della pronuncia giurisdizionale. La commissione di cui all'art. 31 
interviene quando la prelazione ex lege riguardi una cosa �alienata insieme 
con altre per un unico corrispettivo�, ed occorra quindi sceverare, 
entro la misura di codesto corrispettivo, quale sia il prezzo di alienazione 
e quindi di pubblico riacquisto pertinente, alla cosa prelata. Si 
tratta dunque, con testuale evidenza, di una valutazione tecnica, non 
autonomamente intesa a . determinare in senso assoluto il prezzo della 
cosa, ma pregiudicatamente limitata ad esprimere una stima proporzionale, 
a vagliare cio� quanto dell'� unico corrispettivo � vada ad essa 
attribuito rispetto alle � altre � cose non prelate. Prelazione � nella. specie 
il termine descrittivo di una fac_olt� (o piuttosto di un potere) non similabile 
alla comune prelazione contrattuale; essa � esercitata dallo Stato 
_nell'esplicazione, appunto, di un potere di supremazia, mediante cui l'acquisto 
viene coattivamente imposto al privato per il conseguimento di 
un interesse pubblico, e la propriet� passa ipso jure allo Stato nell'atto 
.stesso del provvedimento relativo (vedi art. 32 legge n. 1089 cit. e cfr. 
Cass. 1962, n. 2613). Si attua cos�, in realt�, come opportunamente osserva 

la difesa erariale, un provvedimento espropriativo, in ordine .al quale 
l'atto della commissione (entro i limiti anzidetti) tiene luogo della stima 
peritale esperibile nell'ordinario procedimento di espropriazione (artt. 24 
e segg. t.u. 25 giugno 1865, n. 2359). Non c'� dunque, a questo riguardo, 
la necessit� di dirimere una lite relativamente ad un rapporto ormai 
.costituito, ma quella di integrare il rapporto stesso mediante la determinazione 
di un elemento negoziale (prezzo proporzionale) rimasto ancora 
imprecisato. 

� questa una funzione amministrativa, come amministratore � l'organo 
(straordinario) cui essa � demandata: tipico, in tal senso, � il suo 
nome (commissione), e tipicamente amministrativi sono gli attributi dell'insindacabilit� 
e dell'irrevocabilit� assegnati alla sua determinazione, 
che ne escludono ogni riesame in sede amministrativa ed ogni rivalutazione 
di merito. 


244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La fattispecie corrisponde a quella analogamente descritta nell'art. 15 

della legge 29 giugno 1939, n. 1127 per la determinazione dell'indennit� 

dovuta dai trasgressori delle norme sulla protezione delle bellezze natu


rali. Conforme, pertanto, nel solco dei principi giurisprudenziali corre


lativamente, acquisiti, � la soluzione da darsi all'analogo problema del


l'attuale fattispecie (cfr. Corte Cost. 1968, n. 62; Cass. S.U. 1971, n. 1824). 

Il proseguimento del giudizio va dunque rimesso, per ragioni di 

competenza, al tribunale di Napoli. -(Omissi.<;). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 febbraio 1976, n. 597 -Pres. Boccia 
-Est. Milano -P. M. Del Grosso (conf.) -Soc. Mobiloil (avv. Vitiello) 
c. Caiazzo (avv. Barbantini) e Ministero dei LL.PP. (avv. Stato� 
Imponente). 

Procedimento civile � Intervento � Intervento adesivo dipendente � Nozione . 
, Applicazioni in �tema di giudizio di esproprio nelle zone industriali di 
Napoli. 

Ricorre la figura dell'intervento principale quando si faccia valere 
nella causa un diritto relativo all'oggetto e dipendente dal titolo dedotto 
nel processo nei confronti di tutte le parti,� ricorre la figura dell'intervento 
adesivo autonomo quanto si faccia valere un diritto nei confronti 
di una soltanto delle parti, mentre ricorre la figura dell'intervento adesivo 
dipendente quando si faccia valere non un diritto bens� un interesse 
(legittimo) (e cio� una posizione pi� attenuata del diritto) nei confronti 
di una o di alcune soltanto delle parti, senza che venga posta una nuova 
domanda che amplia il tema del contendere, ma si interloquisce nella: 
causa pendente tra le parti originarie che, anche dopo l'intervento, 
rimane l'unica controversia del processo (applicazione in tema di espropriazione 
pronunciata a favore del Provveditorato alle 00.PP. di un: 
terreno sito nella zona industriale di Napoli e nel relativo giudizio era 
intervenuta la societ� beneficiaria dell'esproprio facendo proprie le difese 
della p.a.) (1). 

(1) Esatta applicazione dei principi sull'intervento adesivo dipendente nel'. 
giudizio avente ad oggetto un'espropriazione nella zona industriale di Napoli, 
nel quale era intervenuta la societ� beneficiaria dell'esproprio. Sul principio 
generale cfr. Cass. 28 settembre 1973, n. 2433, Foro it., 1974, I, 1161; Cass. 7 
giugno 1974, n. 1696, Por. it. Rep., 1974, voce intervento, n. 54. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 245 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1976, n. 759 -Pres. Mirabelli � 
Rel. Giuliano -P. M. Serio (conf.) � Ministero dei LL.PP. (avv. Stato 
Tarin) c. Rescigno. 

Espropriazione per p.u. � Opere pubbliche comunali previste dalla legge 

n. 517 del 1945 � Giudizi di risarcimento dei danni derivanti da occupazione 
illegittima � Legittimazione passiva � Spetta allo Stato e non 
all'Ente locale. 
Nel giudizio di risarcimento dei lavori derivanti da occupazione illegittima 
per la costruzione di un'opera pubblica (strada comunale) ai 
sensi della legge 10 agosto 1945, n. 517 la legittimazione passiva spetta 
non al Comune, ma allo Stato che si sostituisce all'ente locale nell'esecuzione 
delle opere pubbliche straordinarie, assumendo l'iniziativa della 
procedura espropriativa e sostenendo le spese per l'esecuzione dei lavori 
(1). 

(1) Il principio affermato dalla massima si ricollega alla giurisprudenza 
consolidatasi in tema di delegazione amministrativa nel rapporto espropriativ9: 
cfr. Cass. 17 aprile 1972, n. 1204, in questa Rassegna 1972, I, 610. 

SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (*) 
SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (*) 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 4 dicembre 1975, n. 10 -Pres. Vetrano Est. 
Benvenuto -Traviglia (avv.ti Tafuri e Romano) c. Presidente 
Regione siciliana (avv. Stato Terranova) e Soprintendenza ai monumenti 
per la Sicilia orientale e Comune di Troina (n. c.). 

Competenza e giurisdizione -Sicilia -Bellezze naturali -Decreto presidenziale 
decisorio di gravame gerarchico contro atto della Sopraintendenza 
� Competenza Csi. � Conseguenza � Difetto di competenza 
dell'Ap. a risolvere contrasti di giurisprudenza. 

Il provvedimento col quale il Presidente della Regione siciliana decide 
sul ricorso gerarchico proposto contro un atto del Sopraintendente ai 
monumenti in materia di tutela di bellezze panoramiche � emanato in 
virt� dei poteri di cui al d.l.vo 30 giugno 1947, n. 567 (in relazione al d.l.lgt. 
18 marzo 1944 n. 91), e quindi in veste non di organo di detta Regione, 
ma di organo decentrato dell'Amministrazione centrale dello Stato; pertanto, 
poich� nelle ipotesi di provvedimenti adottati dall'Autorit� regionale 
jure delegationis sussiste la competenza in primo grado del Consiglio di 
giustizia amministrativa per la Regione siciliana ed in appello dell'Adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato, l'Adunanza stessa � incompetente 
a decidere sulla rimessione del ricorso da parte del Consiglio di giustizia 
amministrativa predetto in vista di possibili contrasti giurisprudenziali su 
un punto di diritto (1). 

(Omissis). -Ai sensi dell'art. 5 del d.l.p. 6 maggio 1948, n. 654, il 
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana in sede giurisdizionale 
ha, tra l'altro, competenza quale giudice di primo grado in 
ordine ai ricorsi avverso gli atti (riguardanti materie di interesse regio


(1) Cfr., sulla prima parte della massima, VI Sez. 22 ottobre 1968, n. 557, 
Il Consiglio di Stato, 1968, I, 1648. In tema di competenza del Csi. dopo la 
dichiarazione di incostituzionalit� dell'art. 40 1. n. 1034 del 1971, cfr. GIANNINI 
M.S., Il tribunale regionale amministrativo della Sicilia feliciter restitutum, 
in Giur. cast. 1975, 1070; GIALLOMBARDO G., In margine alla sentenza 
della Corte costituzione 12 marzo 1975, n. 61, sulla competenza del Tribunale 
amministrativo regionale per la Sicilia, in Foro amm. 1975, II, 198. 
(*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato 
l'avv. R. TAMIOZZO. 

! 

~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

nale), emanati dalle Autorit� amministrative dello Stato aventi sede in 
Sicilia. 

La giurisprudenza ha chiarito che la competenza di primo grado dell'indicato 
Consiglio di giustizia amministrativa, sussiste anche nell'ipotesi 
in cui il provvedimento impugnato promani da un'Autorit� regionale che 
abbia agito iure delegationis, e cio� per delega dello Stato e, quindi, 
quale organo decentrato di esso. 

In tali casi -riconducibili tutti alla previsione del terzo comma del 
precitato art. 5 -la decisione pronunciata in primo grado, dal detto 
organo giurisdizionale � impugnabile con appello davanti all'Adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato costituita secondo la sua composizione 
ordinaria. 

L'ammissibilit� dell'appello davanti questa Adunanza plenaria comporta 
che, nei summenzionati casi, � preclusa al Consiglio di giustizia 
ammillistrativa per la Regione siciliana la possibilit� di disporre -in 
vista di contrasti giurisprudenziali su di un punto diritto -la rimessione 
dei ricorsi all'Adunanza Plenaria stessa, integrata ai sensi del quarto 
comma, ultima parte, del citato art. 5. 

La conclusione ora esposta trova la sua base testuale nella formula 
iniziale del ricordato quarto comma (nella quale � detto che la potest� 
di rimessione � ammessa � fuori dei casi previsti dal comma precedente
�), formula che, a sua volta, � espressione di un principio fondamentale 
per il quale non pu� essere eliminato arbitrio indicis un grado di 
giudizio. 

2. -Nella specie trattasi, appunto, di una controversia in ordine alla 
quale hanno competenza a decidere il Consiglio di giustizia amministrativa 
per la Regione siciliana in primo grado e questa Adunanza plenaria 
in appello. 
I provvedimenti impugnati con i ricorsi giurisdizionali in esame attinenti 
alla tutela delle bellezze panoramiche -sono stati emanati, 
invero, dal Presidente della Regione siciliana in virt� dei poteri di cui 
al d.l.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567 (in relazione al d.l.vo 18 marzo 1944, 

n. 91), e, quindi, non in veste di organo di detta Regione, sibbene quale 
organo decentrato dell'Amministrazione centrale dello Stato (cfr. in proposito 
la decisione della Sez. VI 22 ottobre 1968, n. S57). 
Ci� risulta, a tacer d'altro, dal tenore delle premesse di detti provvedimenti. 


3. -Poich� per le ragioni suesposte la remissione all'Adunanza plenaria 
ex quarto comma del summenzionato art. 5 non � nella specie 
ammissibile, consegue che questa Adunanza deve dichiarare in ordine 
ai ricorsi de quibus la propria incompetenza, restituendo i ricorsi stessi 
al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione sicilian~. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1195 -Pres. Uccellatore 
-Est. Benvenuto -Mancini (avv.ti Gherzi, Gualandi e Jossa) 

c. E.N.P.A.S. (avv. Stato Azzariti). 
Giustizia amministrativa -Procedimento giurisdizionale -Rappresentanza 
in giudizio . E.N.P.A.S.. E' difeso per legge dall'Avvocatura dello 
Stato � Mandato � Non occorre. 

Impiego pubblico � Infermit� e lesioni � Assistenza E.N.P.A.S. � Presta� 
zioni � Decisione del �Consiglio di amministrazioone su ricorso gerar� 
chico � Difetto di motivazione � Illegittimit�. 

L'Avvocatura dello Stato � abilitata ad assumere la rappresentanza e 
difesa dell'Ente nazionale di previdenza per i dipendenti statali (E.N.P.A.S.), 
nei giudizi attivi e passivi svolgentisi, tra l'altro, davanti al Consiglio di 
Stato, in virt� della norma di cui all'art. 26 l. 19 gennaio 1942, n. 22, in 
relazione all'art. 43 primo comma r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; pertanto, 
l'Avvocatura dello Stato, giusta il combinato disposto dell'art. 1 secondo 
comma e 45 r.d. n. 1611 del 1933 cit., pu� esercitare le sue funzioni di 
rappresentanza e difesa del detto Ente, senza bisogno di mandato, bastando 
che consti della sua qualit� (1). 

� illegittimo il provvedimento col quale il Consiglio di amministrazione 
dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali 
(E.N.P.A.S.) respinge il ricorso proposto da un assistito al fine di attenere 
il rimborso delle spese sostenute per prestazioni clinico-ospedaliere, 
senza enunciare, sia pure succintamente, le ragioni per le quali sia stata 
disattesa la deduzione diretta a far valere la pretesa al rimborso integrale 
delle spese (o comunque ad un rimborso di non molto inferiore 
rispetto all'ammontare di esse), ma limitandosi esclusivamente ad accordare, 
in relazione al proposto gravame, un contributo straordinario inteso 
a tacitare la richiesta di rimborso (2). 

Cfr. di recente, sul primo punto, Cass. Sez. Un., 24 febbraio 1975, n. 700 in 
questa Rassegna, 1975, I, 696. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1197 � Pres. Uccellatore 
-Est. Benvenuto -Zagolin (avv. Dallari) c. Ministero pubblica 
istruzione e Comune di Castelmaggiore (n.c.). 

Demanio e patrimonio � Demanio storico e artistico � Bellezze naturali . 
Dichiarazione di notevole interesse � Notificazione � Irregolarit� . 
Conseguenze. 

Atto amministrativo � Comunicazione e notificazione � Notificazione � Norme 
applicabili . R.D. n. 642 del 1907 � Inosservanza � Irregolarit� della 
notificazione. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 249 

Atto amministrativo � Comunicazione e notificazione � ,Notificazione a soggetto 
non legittimato � Nullit� e non irregolarit�. 

Demanio e patrimonio � Demanio storico e artistico � Bellezze naturali � 
Notificazione di notevole interesse � Notificazione � Cognizione legale � 
Necessaria � Conoscenza effettiva � Irrilevanza. 

Nel caso di bellezza naturale individua, l'obbligo di chiedere l'autoriz� 
zazione per lavori di costruzione, ai sensi dell'art. 7 l. 29 giugno 1939, 

n. 1497, in tanto sussiste, in quanto l'immobile sul quale si effettua la 
costruzione o al quale si arreca comunque modificazione sia stato oggetto 
.di notificata dichiarazione, in quanto cio� sia stata previamente notificata, 
al soggetto che all'epoca della procedura di vincolo ha in atto, giusta 
l'art. 6 primo comma l. cit., un particola.re rapporto con l'in,tmobile vincolato 
(il proprietario, normalmente), la dichiarazione ministeriale del no� 
tevole interesse pubblico -avente carattere recettizio -contemplata dallo� 
stesso art. 6; pertanto, sono illegittimi gli ordini di sospensione e di 
.demolizione di lavori di costruzione compiuti dal proprietario dell'immobile 
vincolato, ove la notificazione della dichiarazione di notevole interesse 
pubblico sia stata effettuata senza che siano state seguite le 
modalit� del procedimento notificatorio la cui inosservanza importi la 
nullit� della notificazione stessa (nella specie, consegna del decreto di 
vincolo a persona non addetta alla casa del destinatario, che abbia 
ricevuto l'atto in casa propria, come vicino) (1). 
Il r.d. 17 agosto 1907, n. 642 detta, in materia di notificazioni relative 
ad atti e provvedimenti amministrativi, una disciplina organica e 
autonoma, talch� le disposizioni del Codice di procedura civile in tale 
materia, in tanto possono applicarsi alle notificazioni disciplinate dal 

r.d. cit., in quanto possono riguardarsi come espressioni di principi 
generali; pertanto, nei confronti di un provvedimento amminitrativo (nella 
specie, decreto di vincolq di bellezza naturale), non pu� farsi validamente 
luogo a notificazione mediante consegna a un vicino di casa, 
possibilit� ammessa dall'art. 139 terzo comma cod. proc. civ., ma non 
prevista dal r.d. n. 642 del 1907 cit. (2). 
La notificazione in via amministrativa mediante consegna ad un soggetto 
non legittimato alla recezione (nella specie, vicino di casa) � nullo 
e non gi� meramente irregolare (3). 

Agli. effetti della. notificazione della dichiarazione ministeriale di notevole 
interesse pubblico, ai sensi dell'art. 6 l. 29 giugno 1939, n. 1497, 
vale esclusivamente la cognizione legale, dato che l'esistenza della conoscenza 
effettiva, corrisponde meglio all'esigenza -che ispira la normativa 
in materia -di certezza obiettiva circa l'operativit� del vincolo; 
pertanto, l'effetto negativo della nullit� conseguente alla notificazione in 

(1-4) Applicazione esatta di principi pacifici. 



250 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

via amministrativa della dichiarazione in parola a soggetto non legittimato 
alla recezione non pu� essere escluso facendo leva sulla conoscenza 
� effettiva'" come elemento dotato di efficacia sanante del proce-dimento 
notificatorio invalido (4). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 dicembre 1975, n. 1250 -Pres. Uccellatore 
-Est. Giovannini -Fazio (avv.ti Casamassima e Di Gravior 

c. Ministero turismo e spettacolo (avv. Stato Sernicola). 
Impiego pubblico -Collocamento a riposo � Esodo volontario � Dirigenti. 

statali -Art. 67 D.P.R. n. 748 del 1972 -Dipendenti non cessati dal 

serv:!.zio ma passati alle Regioni -Inapplicabilit� del beneficio. 

Atto amministrativo � Eccesso cli potere -Disparit� di trattamento -At�� 
tivit� vincofata � Inconfigurabilit� del vizio -Precedente illegittimit� -� 
Non autorizza a perseverare nell'errore. 

Atto amministrativo -Motivazione -Obbligo -. Attivit� vincolata -][nsussistcnza 
dell'obbligo. 

Impiego pubblico � Dipendenti regionali -Trasferimento di dipendenti 
statali -Artt. 67 e 68 D.P.R. n. 748 del 1972 e artt. 10, 11 e 12 D.P.R. 

n. 6 del 1972 � Contrasto con gli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost. Manifesta 
infondatezza. 
I benefici previsti dall'art. 67 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 per l'esodo� 
volontario dei dirigenti statali non sono applicabili nei confronti dei dipendenti 
che, in luogo di lasciare il servizio, siano stati inseriti nei 
contingenti destinati alle Regioni ai sensi del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6. 

In presenza di un'attivit� vincolata dalla P.A., la pretesa alla par con


dicio non pu� basarsi su una precedente errata applicazione di una 

identica disposizione normativa (1). 

L'esigenza di una congrua motivazione si configura rispetto ai prov


vedimenti di natura discrezionale e non anche a quelli vincolati, in 

quanto, rispetto a questi ultimi, ci� che unicamente rileva ai fini del 

sindacato giurisdizionale � che essi siano o meno conformi alle norme. 

La potest� dello Stato di legiferare in materia di primo trasferi


mento degli impiegati statali alle Regioni � legittimata dalla VIII dispo


sizione transitoria terzo comma Cast.; pertanto, � manifestamente infon


data la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 67 e 68 d.P.R. 

30 giugno 1972, n. 748 e degli artt. 10, 11 e 12 d.P.R. 14 gennaio 1972, 

n. 6, in relazione agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cast., per avere lo 
Stato invaso la competenza delle Regioni, avendo a queste ultime imposto 
il recepimento di proprio personale. 
(1) Giurisprudenza costante. Cfr. Sez. V, 6 febbraio 1973, n. 72, Il Consiglio, 
di Stato, 1973, I, 189. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 25} 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 19 dicembre. 1975, n. 1325 -Pres. Uccellatore 
" Est. Schinaia -Moretti ed altri (avv. Lubrano) .c. Ministero 
tesoro, Presidente Consiglio dei ministri e Consiglio nazionale 
delle ricerche (avv. Stato Carbone). 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale � Atto impugnabile o� 
no -Atto di controllo -Atto negativo su deliberazione di Ente pubblico 
-E' impugnabile. ' 

Giustizia amministrativa -Interesse all'impugnazione -In tema d.i pubblico 
impiego . Modificazioni di stato giuridico � Da parte di nuovO' 
regolamento . Interesse all'impugnazione � Sussiste. 

Impiego pubblico -Dipendenti Enti pubblici -Norme sulla diligenza sta-� 
tale -D.P.R. n. 748 del 1972 -Inapplicabilit� -Diniego di app:rovazionetutoria 
della deliberazione di estensione -Legittimit�. 

Impiego pubblico -Dipendenti C.N.R. -Norme applicabili -D.P.R. n. 748'� 
del 1972 -Applicabilit� solo al Segretarlo generale. 

� provvedimento impugnabile in sede giurisdizionale l'atto di controllo 
negativo adottato nell'esercizio del potere di vigilanza su una 
delibera di Ente pubblico. 

Gli impiegati di un Ente pubblico �sono titolari di una posizione 
giuridica di interesse legittimo rispetto alle modificazioni delle posizioni 
da parte di nuovi regolamenti organici del personale; pertanto, tali soggetti 
hanno interesse ad impugnare l'atto negativo di controllo adottato 
dall'Amministrazione che esercita il potere di vigilanza nei confronti di 
una delibera dell'Ente di appartenenza concernente la nuova struttura� 
organizzativa dell'Ente stesso. 

Col d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 sono state dettate norme (cos� come 
risulta dal titolo del decreto, esattamente espressivo del contenuto della 
legge) per disciplinare le funzioni dirigenziali delle Amministrazioni dello� 
Stato, anche ad ordinamento autonomo, e non anche per gli altri Ent{ 
pubblici,� pertanto, poich� la differenza organizzativa e strutturale degli 
Enti pubblici, rispetto a quella delle Amministrazioni dello Stato, non 
consente n� l'automatica e integrale applicazione del d.P.R. cit., n� la 
realizzazione delle finalit� che con esso si intende perseguire, legittimamente 
le Amministrazioni che esercitano il potere di vigilanza su un 
Ente pubblico (nella specie, Consiglio nazionale delle ricerche) negano 
l'approvazione della deliberazione con la quale il detto Ente estende al 
proprio personale direttivo le nor.me sulla dirigenza contenute nel d.P.R. 

n. 748 del 1972 cit. (1). 
(1) Cfr., ma per c:liversa fattispecie, Sez. VI, 25 settembre 1974, n. 268, Jr 
Consiglio di Stato, 1974, I, 1063. . 

252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A seguito dell'entrata in vigore della l. 22 dicembre 1960, n. 6113, il 
.Segretario generale del Consiglio nazionale delle ricerche � rimasto l'unico 
dipendente statale del detto Ente pubblico, nei cui confronti rimane 
operante il rinvio agli artt. 5 e 6 primo comma T.U. 26 giugno 1924, 

n. 1054, delle leggi sul Consiglio di Stato, contenuto nel d.l.lgt. 1� marzo 
1945, n. 82; pertanto, nei confronti del restante personale della carriera 
direttiva dell'Ente pubblico in questione non trovano applicazioni 
.le norme del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, sulla dirigenza statale, che 
disciplina, nell'ambito dell'Amministrazione dello Stato, la sola posizione 
giuridica, ormai relitto storico, del Segretario generale dell'Ente, a cui 
.� stata riconosciuta la qualifica di dirgente generale di livello C. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 19 dicembre 1975, n. 1327 -Pres. De 
Capua -Est. Giovannini -Setacci (avv.ti Bianchini Riccardi e Barillaro) 
c. Regione Umbria (avv. Brizioli) e Comune di Terni (avv.ti 
Fratini e Romanelli) -(Appello, T.A.R. Umbria 9 luglio 1974, n. 35). 

Giustizia amministrativa -Sentenze T .A.R. -Appello -Poteri del C.d.S. 
Correzione della motivazione -Ammissibilit�. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione -Decreto di espropriazione 
-In sanatoria -Dopo la scadenza del termine di occupazione 
d',urgenza -Legittimit�. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Espropriazione -Termini -Scadenza � 
Nuova dichiarazione di p.u. � Necessit� � Opera completamente eseguita 
� Irrilevanza. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione . Termini -Espropriazione 
in sanatoria � Indicazione dei termini � Non occorre. 

Demanio e patrimonio� Patrimonio indisponibile �Opera appartenente ad 
Ente pubblico � ~ tale � Accessione, � lnconfigurabilit�. , 

Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione � Dichiarazione di p.u. � 
Legittimit� � Pendenza di giudizi� civile � Irrilevanza. 

Opere p~bbliche -Stadi(} ,comunale � Costr�iione � Norme. a~plic~blli' � 
' L. n. 865 del 1971 � Applicabilit�. 

Espropriazione per pubblica uti.it� � Espropriazione � Impianto sportivo Disciplina 
-R.D.L. n. 302 del 1939 -Abrogazione ex I. n. 865 del 1971. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione � Indennit� � Deter� 
minazione -Possibilit� di applicazione di pi� norme � Preferenza a 
quella che consente trattamento pi� uniforme. ~ 

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253

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Atto amministrativo � Norme applicabili � Sono quelle vigenti alla data di 
emanazione. 

ln applicazione analogica dell'art. 384 secondo comma cod. proc. civ., 
e in virt� del principio generale di economia processuale, va riconosciuto 
al Consiglio di Stato in grado di appello il potere di correggere 
la motivazione di una decisione di primo grado, nella parte in cui essa 
non ha seguito l'ordine logico di esame delle censure proposte. 

L'esperimento del procedimento di espropriazione per pubblica utilit� 
� possibile e legittimo anche in mera funzione di sanatoria, al fine di 
regolamentare la situazione di opere gi� completamente realizzate in virt� 
di occupazione preliminare d'urgenza ormai scaduta, ovvero di pura e 
semplice occupazione abusiva (1). 

Dopo la scadenza dei termini finali stabiliti dall'originaria dichiarazione 
di pubblica utilit� per le espropriazioni e i lavori, la Pubblica 
amministrazione, al fine di procedere all'acquisizione coattiva del bene, 
deve emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilit�, anche se 
l'opera sia completamente eseguita ed aperta in concreto all'uso pubblico 
(2). 

Una volta ammessa la legittimit� di un procedimento di espropriazione 
con funzione meramente sanatoria, deve logicamente ammettersi 
la legittimit� di tutti gli adattamenti che tale genere di procedimento 
importa rispetto all'ordinario schema determinato dalla legge, adattamenti 
dei quali l'omissione della fissazione dei termini per l'inizio e la 
conclusione dei lavori nella dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera 
costituisce uno dei casi pi� ovvi ed evidenti (3). 

L'opera appartenente ad un Ente pubblico, in quanto realizzata per 

l'uso e il godimento della collettivit� e come tale destinata a servizio 

pubblico, ha natura di bene patrimoniale indisponibile, giusta il disposto 

dell'art. 826 terzo comma cod. civ., categoria di beni per la quale vige 

il principio della insottraibilit� alla destinazione loro demandata all'in� 

fuori dei modi prescritti dalle speciali leggi che li riguardano (art. 828 

cod. civ.), pertanto, nei contratti dei detti beni non � applicabile, tra 

gli altri fatti ed atti giuridici incompatibili, con la loro destinazione, 

l'istituto dell'accessione, giacch� l'acquisto in virt� di esso della piena 

e libera propriet� dell'opera pubblica da parte del privato titolare del 

suolo finirebbe con l'escluderne totalmente il libero godimento, o quanto 

meno con il comportarne un radicale intrinseco mutamento, subordinan� 

done la persistenza alla mera volont� del nuovo proprietario (4). 

(1) Cfr. Ap'. 25 febbraio 1975, n. 2 e 12 luglio 1965, n. 18, Il Consiglio di Stato, 
1975, I, 85; 1965, l, 1063. 
(2) Cfr. Ap. �5 febbraio 1975, n. 2, cit. 
(3) Cfr. IV Sez. 7 giugno 1967, n. 212 e 15 marzo 1967, n. 81, ivi, 1967, I, 1018 
e 370. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

254 

La legittimit� della dichiarazione di pubblica utilit� .non pu� essere 
infirmata dalla pendenza di un giudizio civile di risarcimento dei danni 
derivanti dall'abusiva occupazione del suolo (5). 

Le opere di urbanizzazione secondaria sono entit� destinate al servizio 
esclusivo o prevalente non gi� dell'intero territorio urbano, ma di 
singole parti di esso; pertanto, ai fini della costruzione di uno stadio 
comunale, legittimamente viene applicata la l. 22 ottobre 1971, n. 865, 
configurandosi nella specie un'opera pubblica la cui realizzazione � preordinata 
in vista della soddisfazione delle esigenze dell'intera collettivit�� 
cittadina. 

La l. 22 ottobre 1971, n. 865, che ha posto una normativa afferente 
ad ogni opera pubblica di competenza regionale, regola anche la realizzazione 
di impianti sportivi ogniqualvolta questi ultimi rivestono tale 
natura e rientrano in quella competenza; pertanto, in base al principi<> 
cronologico della successione delle norme nel tempo, tale legge ha abrogato, 
in parte qua, il r.d.l. 2 febbraio 1939, n. 302, non potendo logicamente 
lo stesso oggetto venire simultaneamente disciplinato da disposizioni 
fra loro incompatibili. 

L'operativit� nei confronti di distinti proprietari di procedimenti 

espropriativi ispirati a criteri di fissazione delle indennit� tra loro dif


formi, pur non importando una vera e propria violazione del principio� 

di uguaglianza di cui all'art. 3 Cast., attesa la diversit� dei beni incisi, 

non pu� non apparire come confliggente quanto meno con astratti prin


cip'� di equit�; pertanto, in sede di applicazione delle varie norme, deve 

farsi favore a quellq. interpretazione che consente la pi� ampia unifor


mit� di trattamento. 

Gli atti e i provvedimenti amministrativi debbono essere formati: 
nel rispetto della normativa vigente al momento della_ loro emanazione, 
.ove non sia stata chiaramente stabilita dal legislatore la ultrattivit� della. 

normativa abrogata. 

(4) Cfr. Cass. 27 novembre 1973, n. 3258 e 18 marzo 1972, n. 821, ivi 1974, II, 
145 e 1972, II, 652. 
(5) Cfr., sul principio generale, IV Sez. 30 ottobre 1973, n. 936, ivi, 1973, I,. 
1301, e giurisprudenza ivi richiamata. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 12 dicembre 1975, n. 693 -Pres. Aru Est. 
Dato -Calabrese (avv. Guarino) c. Ministero poste e telecomunicazioni, 
Presidenza Consiglio dei ministri e Ministero riforma burocratica 
(avv. Stato Onufrio) e Mauria (n.c.). 

impiego pubblico � Collocamento a riposo -Competenza -Provvedimenti 
positivi o negativi -Competenza del Dirigente generale capo del personale. 




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Atto amministrativo -Atti soggetti a ricorso amministrativo -Avvertenza 
sul termine per ricorrere e. sull'Autorit� sovraordinata -Mancanza Irrilevanza 
sull'efficacia e validit� dell'atto. 

Impiego pubblico -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti Diritto 
-Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 
1972 -Criterio di applicazione -Ex combattente ed assimilato -Combinazione 
con la l. n. 336 del 1970 -Limite. 

Impiego pubblico -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti Diritto 
-Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 
1972 -Contrasto con l'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza. 

Impiego pubblico -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti Diritto 
-Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 
1972 -Contrasto con l'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza. 

L'art. 10 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 ha stabilito che spetta al Dirigente 
con funzioni di capo de( personale, salvo quanto attribuito alla 
competenza di altri organi, l'emanazione dei provvedimenti relativi allo 
stato giuridico, alla carriera ed al trattamento economico del personale; 
pertanto, rientrano nella competenza del Dirigente capo del personale 
sia i provvedimenti di collocamento a riposo, sia gli atti con cui si 
nega tale collocamento. 

L'inosservanza della norma contenuta nell'art. 1 ultimo comma d.P.R. 
24 novembre 1971, n. 1199, secondo la quale la comunicazione degli atti 
soggetti a ricorso amministrativo deve recare l'indicazione del termine 
e dell'organo cui il ricorso deve essere presentato, non importa l'ineffi� 
cacia o l'invalidit� dell'atto medesimo. 

Alla data di entrata in vigore del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, sulla 
dirigenza statale, i funzionari ex combattenti ed assimilati avevano gi� 
il diritto di chiedere il collocamento a riposo anticipato in virt� della 

l. 24 maggio 1970, n. 336, alle cui norme, ovviamente, il decreto delegato 
sulla dirigenza non poteva innovare, non essendo stato ci� previsto dalla 
legge di delega; pertanto, ai fini dell'interpretazione dell'art. 67 quinto 
comma d.P.R. n. 748 del 1972 cit., il quale prevede che l'esodo volontario 
per il personale tecnico possa avvenire solo nei limiti dei previsti 
contingenti, � da tener presente che il personale tecnico ex combattente, 
il quale gi� aveva ottenuto il beneficio di poter chiedere il collocamento 
a riposo recato dalla legge n. 336 del 1970, non soggiaceva ai detti limiti 
e poteva quindi optare per le agevolazioni previste dal citato d.P.R. 
sulla dirigenza, ferma, per�, l'impossibilit�, in tal caso, di fruire del

256 

RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'ulteriore beneficio dei cinque aumenti periodici di stipendio di cui al 
quarto comma del citato art. 67. 

La diversa situazione dei ruoli amministrativi e tecnici, in relazione 
alle esigenze funzionali dell'Amministrazione, giustifica la limitazione posta 
dall'art. 67 quinto comma d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 all'esodo dei 
funzionari tecnici,. nonch� l'esclusione del personale tecnico ex combattente 
(non rientrante nei limiti previsti) dal beneficio dell'aggiunta dei 
cinque aumenti periodici; pertanto, � manifestame71te infondata l'eccezione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 67 quinto comma cit., sotto 
il profilo della violazione dell'art. 3 Cast. 

Il criterio selettivo introdotto dal legislatore (art. 67 quinto comma 

d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748) ai fini dell'ammissione all'esodo dei funzionari 
tecnici (precedenza data dall'ordine di presentazione delle domande 
e, a parit� di data, maggiore et� degli aspiranti) � idoneo ad assicurare 
la par condicio di tutti gli aspiranti, in quanto questi, appena 
pubblicato il decreto delegato, potevano presentare la domanda,� pertanto, 
� manifestamente infondata l'eccezione di legittimit� costituzionale del 
citato art. 67 quinto comma d.P.R. n. 748 del 1972 per violazione dell'art. 
3 Cast., sotto il profilo dell'avere ancorato la selezione ad un fattore 
meramente estrinseco ed occasionale, assolutamente inidoneo a garantire 
la par condicio fra gli aspiranti. 

SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1976, n. 9 -Pres. Rossi -Est. 
Sposato -P. M. Gentile (conf.) Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini 
Rota) c. Iannaccone. 

Imposta di registro � Prescrizione � Consolidazione criterio di tassazione . 
Accertamento e concordato � Interrompono la prescrizione solo a vantaggio 
dell'Amministrazione � Decorrenza del termine dalla data della 
registrazione non dalla data del pagamento dell'imposta. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 9269, art. 136). 
Il termine triennale dell'art. 136 della legge di registro del 1923 decorre, 
agli effetti della consolidazione del criterio di tassazione dalla data della 
registrazione e non dalla data del pagamento dell'imposta, n� sul corso� 
della prescrizione a danno del �ontribuente. influisc:ono l'ac�ertamento di 
valore e il concordato il cui effetto interruttivo opera solo a vantaggio 
dell'Amministrazione (1). 

(Omissis). -I due ric<:>rsi debbono essere riuniti (art. 335 C.P.C.). 

Denunziando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 136, 140' 
e 141 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269 e dell'art. 2943 C. C. e vizi di motivazione, 
l'Ammi�istrazione delle Finanze, ricorrente in via principale, im-� 
pugna la sentenza d'appello nella parte in cui essa ha ritenuto che l'atto 
interruttivo, proveniente da essa Amministrazione e consistente nell'accertamento 
di maggiore valore che dette inizio alla pratica conclusasi con 
il concordato del 29 febbraio 1960, abbia prodotto i suoi effetti anche a 
favore della contribuente. 

Il ricorso deve essere accolto. Diffatti, a norma dell'art. 141 della legge 
organica di registro del 1923, sotto il cui vigore � sorta e continua ad assere 
regolata l'obbligazione tributaria della quale si discute, atto idoneo� 

(1) La pronunzia, riallacciandosi a criteri pacificamente affermati (Cass. 
3 luglio 1967, n. 1625 in questa Rassegna, 1967, I, 1041; 25 ottobre 1968, n. 3509, 
ivi, 1969, I, 280 con nota di C. Bafile) esattamente precisa che il termine della 
prescrizione del diritto di contestare la determinazione del titolo della tassazione 
decorre (per il contribuente e per l'Amministrazione) dalla data della 
registrazione (art. 136 secondo comma), mentre la domanda per rimborso di 
imposta pagata (art. 136 primo comma) riguarda ipotesi di rimborso fondate 
su cause diverse dalla correzione di errori sulla identificazione del titolo� 
tassabile. 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

.ad interrompere la prescrizione in favore di ambe le parti � soltanto la domanda 
del contribuente in vi~ amministrativa per rimborso di tassa o per 
.opposizione a richiesta di tassa complementare o suppletiva. Gli altri atti 
interruttivi non possono giovare se non a colui che li compie e perci� 
l'avviso di accertamento di maggior valore ed il concordato, come riconoscimento 
da parte del contribuente dei diritti dell'Amministrazione Finan.
ziaria, valgono come atti interruttivi della prescrizione soltanto � favore 
.della: Finanza. 

Accolto il ricorso principale deve essere preso in esame quello inciden
�tale proposto condizionatamente all'accoglimento del primo; 

Con esso la Iannaccone sollecita un riesame del principio, pi� volte 
,affermato da questa Corte Suprema, del consolidamento del criterio di 
tassazione, secondo il quale la possibilit� di revisione del. titolo di tassa~
zione si prescrive con il decorso del triennio� dalla data di registrazione 
.dell'atto, per cui, decorso il triennio, n� la Finanza n� il contribuente pos.
sono far valere diritti che presuppongano la modificazione del predetto 
titolo. Secondo la ricorrente il principio sarebbe in contrasto con quanto 
testualmente dispone l'art. 136; primo, della citata iegge organica di regi.
stro, che f� decorrere l'inizio del triennio per la prescriziorie dell'azione 
.del contribuente per chiedere la restituzione delle tasse dalla data del 
pagamento, e sarebbe, pi� in generale, in contrasto cbri il f�ndameniale 
principio che actioni nondum natae non praescribitur. Soggiunge che 
.semmai il consolidamento del criterio impositivo pu� trovare giustifica.
zione quando si tratti di applicare supplementi o complementi d'imposta 
-nel qual caso si potrebbe ritenere incongruente applicare criteri diversi 
per l'imposta principale e per quelle complementari o suppletivi -ma 
non gi� quando, trattandosi di atto sottoposto a tassa fissa, nessuna ri.
chiesta d'imposte suppletive o complementari � ipotizzabile. 

Le suesposte deduzioni sono prive di fondamento. La disposizione del 
primo comma dell'art. 136 lascia impregiudicata la questione della quale 
la Iannaccone sollecita il riesame, giacch� l'impugnazione del criterio impo.
sitivo, ancorch� costituisca, a volte, il presupposto dell'azione del contribuente 
per la restituzione dell'imposta, �, per�, rispetto a tale azione, autonoma 
e distinta, sicch� la detta disposizione vale soltanto per i casi in 
.cui la restituzione venga richiesta in base ad una causa diversa da quella 
.dell'errore in cui. la Finanza sia incorsa nell'identificazione del titolo tassabile. 
Per quanto, invece, riguarda l'opposizione alla determinazione del 
titolo tassabile e le azioni di restituzione che ne presuppongano la modifica, 
� per il principio generale in materia di decorrenza della prescrizione che 
questa deve farsi decorrere dalla data di registrazione dell'atto. Difatti � 
sin da questa data che il contribuente � posto in grado di conoscere i criteri 
di applicazione dell'imposta adottati dall'ufficio impositore e, quindi, 
<li far valere il proprio diritto alla esatta applicazione del tributo. E di 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA '259 

codesto principio generale si rinviene una precisa conferma nel secondo 
comma del citato art. 136 che, con particolare riguardo alle possibilit� 
di rettificazione da parte della Finanza, dispone che l'azione di questa per 
richiedere il pagamento delle tasse si prescrive col decorso di tre anni 
dalla data della registrazione dell'atto o contratto, se si tratta di supplemento 
di tassa: supplementi di tassa essendo. anche quelli che si richiedono 
in conseguenza dell'accertamento di errori od emissioni nella determinazione 
dei titoli tassabili (art. 7 della legge). Infine � da rilevare che 
non sussistono apprezzabili ragioni per ritenere che il principio del consolidamento 
del criterio impositivo non debba trovare. applicazione nell'ipotesi 
in cui l'errore dell'Ufficio sia consistito nell'applicazione dell'imposta 
proporzionale anzich� della tassa fissa. Tale ipotesi non �, difatti, essenzialmente 
dissimile . dalle altre giacch�, anche per essa, sussiste quella 
stessa questione circa l'esattezza del criterio di tassazione cl�e la Finanza 
pu� correggere allo scopo di ottenere i supplementi di imposta ed il contribuente 
pu� impugnare allo scopo di non pagare quanto gli viene richiesto 
o di conseguire il rimborso di quello che assume di avere indebitamente 
pagato. Pertanto il principio contestato dalla Ianna,ccone non � affatto 
condizionale dalla possibilit� della richiesta di imposte supplementari 
o complementari da parte della Finanza. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. J, 29 gennaio 1976, n. 273 -Pres. Rossi -Est. 
Granata -P. M. Pedace (conf.) -Soc. Cartiere del Timavo e Banca 
Commerciale Italiana (avv. Di Gioacchino) c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Corsini). 

Imposte doganali -Regime di deposito franco e deposito franco -Nozione 
e distinzioni -Hanno carattere di extraterritorialit� -Introduzione di 
merci da essi in Italia -Da luogo a passaggio della linea doganale. 

(1. 8 luglio 1904, n. 351, art. 9; I. 25 settembre 1940, n. 1424, artt.. 4 e 7; t.u. 23 gennaio 
1973, n. 43, art. 164). 
Imposte doganali� Tariffa -D.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 -Ha valore di 
legge delegata -Criterio di onnicomprensivit� della tariffa per giudizio 
di assimilazione -Sussiste. 

(d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339). 
Imposta generale sull'entrata -Importazione -Presupposto -Passaggio 
dalla� linea doganale -�� sufficiente � Trasferimento di merci da una 
filiale alla sede principale -Irrilevanza. 

(1. 19 giugno 1940, n. 762, art. 17). 

260 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Imposte doganali -Diritti amministrativi e diritti di statistica -Impor-� 
tazione da territori a regime di deposito franco -Sono dovuti -Abol�-� 
zi�ne a seguito di direttive C.E.E. -Esclusione. 

(I. 15 giugno 1950 n. 330, art. 2; d.P.R. 21 dicembre 1961 n. 1339, artt. 32 e 43). 
'Il � regime di depo~ito franco � ha lo scopo di consentire una riduzione 
dei costi di produzione mediante l'attribuzione al relativo territorio del' 
carattere di extra territorialit�, onde rendere possibile l'introduzione inesenzione 
dei tributi doganali di materie e merci necessarie al processo� 
produttivo allo scopo di favorire lo sviluppo industriale di aree depresse 
e bisognevoli di incentivazione. Al contrario del tutto estranea all'esigenza;. 
dell'incentivazione � la figura del � deposito franco � in senso stretto che 
mira esclusivamente ad agevolare le operazioni commerciali con l'estero e� 
specialmente il commercio di transito consentendo il deposito e limitate� 
manipolazioni di materie importate dall'estero in edifici siti fuori della 
linea doganale. Tuttavia ambedue gli istituti hanno lo stesso carattere di 
extraterritorialit�, s� che l'introduzione nel territorio nazionale di merci 
provenienti dall'uno o dall'altro di_ questi depositi da luogo a passaggio 
della linea doganale a tutti gli effetti tributari (1). 

Il d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 ha valore di legge delegata e nellO' 
stabilire con le dispos~zioni prelimintLri le regole generali per l'interpretazione 
della tariffa adotta il criterio della onnicumprensivit� merceologica 
della tariffa stessa, secondo la regola che fo merci non classificabili in 
alcuna voce devono essere classificate nella voce relativa alle merci che 
con esse hanno maggiore analogia (2). 

L'imposta generale sull'entrata all'importazione � dovuta per l'importa-zione 
in s�, indipendentemente dalla sottostante esistenza di un atto di 
scambio. Di conseguenza � soggetta all'imposta l'introduzione di merci da: 
uno spazio con carattere di extraterritorialit� nel territorio doganale, anche 
se il passaggio interviene tra una filiale e la casa madre della stessa: 
impresa (3). 

(14) Decisione esattissima di ciri va segnalata l'approfondita motivazione.. 
Sulla prima massima v. la pronunzia delle Sez. Unite, citata nel testo, 22 marzo 
1975, n. 1080 in Mass. Giur. it. 1975, 282. Sulla seconda massima � stato gi�. 
altre volte affermato che la classificazione di merci non nominate in tariffa. 
per giudizio di assimilazione con quelle che hanno maggiore analogia � una. 
interpretazione analogica eccezionalmente consentita, soggetta al controllo giurisdizionale 
dell'A.G.O., che ha appunto lo scopo di assicurare l'onnicomprensivit� 
della tariffa (Cass. 22 giugno 1971, n. 1957, in questa Rassegna, 1971, I,. 
1185). 
Ineccepibile � la terza massima che esclude ogni rilevanza del fatto econo-mico 
sottostante all'importazione rilevante solo in quanto tale. L'ultima massima 
� una coerente applicazione della prima e esattamente puntualizza che� 
le direttive C.E.E. non possono riguardare importazioni non provenienti da. 
uno stato membro. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

I diritti amministrativi ed i diritti di statistica sono dovuti anche sulle 
importazioni da un territorio soggetto a regime di deposito franco o deposito 
franco in senso stretto, perch� anche questo passaggio della linea 
doganale da luogo ad emissione di bolletta; essi non sono stati aboliti con 
le direttive e.E.E. n. 1966/723 e n. 1968/31 che riguardano soltanto importazioni 
in provenienza dagli altri stati membri della e.E.E. (4). 

(Omissis). -Con il primo motivo, la societ� Cartiere del Timavo e la 
Banca Commerciale Italiana, ricorrenti, denunziano violazione e falsa applicazione 
dell'ordine n. 206/1950 del Governo Militare Alleato, confermato 
dal Commissario generale del Territorio di Trieste, dell'art. 17 legge 
19 giugno 1940, n. 762, della legge 15 giugno 1950, n. 330 e dell'art. 42 d.p.r. 
21 dicembre 1961, n. 1339, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. 

Sostengono che il � deposito franco � � fenomeno giuridico del tutto 
diverso dallo � stabilimento retto a regime di deposito franco �, dato che 
il primo � caratterizzato dalla fictio iuris della extraterritorialit�, senza 
che vi sia � alcuna agevolazione fiscale nel senso tecnico tributario di tale 
parola�, mentre il secondo �consiste precisamente ed esclusivamente nell'esenzione 
del pagamento dei diritti di confine sulle materie di provenienza 
estera impiegate nella lavorazione� e costituisce pertanto �una 
vera e propria agevolazione tributaria, cio� una rinuncia definitiva dello 
Stato ad un tributo che sarebbe altrimenti dovuto, rinuncia cui lo Stato 
per di pi� addiviene al fine di favorire... il sorgere e lo svilupparsi di attivit� 
industriali in zone economicamente depresse o, pi� in generale, in zone 
nelle quali si vuole incrementare la produzione industriale a preferenza 
che in altre �. -Orbene,� sarebbe in contrasto con siffatta ratio dell'istituto 
�il configurare un qualsiasi obbligo di (postumo, cio� ritardato) 
pagamento tributario�, giacch� il vantaggio... che... si � voluto assicurare 
alle imprese industriali operanti in una certa regione... sarebbe... annullato, 
se l'agevolazione... dovesse poi trovare il contrappeso dell'obbligo di 
pagamento di un'altra imposta su quello che � il naturale risultato della 
lavorazione stessa �, 

Sostengono ancora le ricorrenti che l'errore commesso dalla Corte 
di merito risulterebbe dalla stessa lettera � dei testi di legge dai quali 
sono contemplati i tributi che l'Amministrazione finanziaria ha preteso 
di applicare � sulla energia elettrica e sul vapore acqueo prodotti nella 
centrale termica retta a regime di deposito franco ed utilizzati dalla cartiera, 
� e che tutti si riferiscono ad ipotesi di importazione, nel senso di 
introduzione nel territorio dello Stato di merci provenienti da un territorio 
che � estero, o estero � considerato, nel suo complesso e nella forma di 
entit�, appunto, territoriale o geografica, mentre nella specie la centrale 
termica in cui si brucia il combustibile agevolato si trova nello Stato, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

262 

onde l'energia elettrica ed il vapore acqueo in essa prodotti non possono 
dirsi provenienti dall'estero. 

Nessuno dei due profili, in cui la censura si articola, � fondato. 

Che �deposito franco� e �stabilimento retto a regime di deposito 
franco � siano fenomeni non coincidenti � affermazione, per un verso, 
esatta, ma, per altro verso, irrilevante ai fini della decisione. 

Come le Sezioni unite di questa Corte Suprema hanno recentemente 
sottolineato in diversa controversia fra la stessa amministrazione finanziaria 
e la societ� Cartiera Timavo oggi ricorrente (sent. 22 marzo 1975, 
?� 1080), il �regime di deposito franco�, per la prima volta previsto ne.1l'art. 
9 della legge 8 luglio 1904, n. 351 sullo sviluppo economico di Napoli 
e successivamente pi� volte, in via saltuaria e contingente, utilizzato da singole 
leggi volte a favorire lo sviluppo industriale di talune aree considerate 
depresse e bisognevoli di incentivazione, ha lo scopo di consentire una riduzione 
dei costi di produzione dalle imprese che impiantino stabilimenti 
industriali in tali zone, mediante l'attribuzione ad essi del carattere di 
extraterritorialit� doganale, onde diviene possibile introdurvi, in esenzione 
dei tributi doganali, materie prime e merci necessarie al processo produttivo. 
Invece, del tutto estranea alle esigenze di incentivazione dello sviluppo 
economico delle aree depresse � la figura del � deposit� franco � in 
senso stretto, che mira unicamente ad agevolare le operazioni commerciali 
con l'estero e specialmente il commercio di transito, consentendo il deposito 
e limitate. manipolazioni o trattamenti di materie prime e merci importate 
dall'estero, in appositi edifici siti fuori dalla linea doganale. La sostanziale 
diversit� fra gli scopi, cui i due istituti sono finalizzati, si ripercuote 
anche al livello della disciplina positiva: cos�, mentre i depositi franchi 
possono essere istituiti nelle principali citt� marittime o in localit� interne 
di particolare importanza ai fini del traffico con l'estero (art. 164 del 

t.u. approvato con d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43), invece la localizzazione delle 
industrie ,operanti in � regime di deposito franco � dipende esclusivamente 
dalle finalit� di sviluppo economico di zone depresse di volta in volta 
perseguite dal legislatore; cos� mentre nei depositi franchi sono consentite 
soltanto le manipolazioni usuali delle merci, destinate ad assicurarne la 
conservazione ovvero a migliorarne la qualit� commerciale, invece negli 
stabilimenti a �regime di deposito franco� l'esenzione concerne anche e 
soprattutto il � consumo � di materie prime e di fonti di energia impiegate 
nel corso del processo produttivo. 
Peraltro i due istituti hanno anche tratti comuni, e fra questi -decisivo 
per la soluzione della questione che qui interessa -quello della 
�extraterritorialit��, dalla legge conferito agli effetti doganali non solo al 
�deposito franco�, ma anche, contrariamente all'assunto delle ricorrenti 
ed in conformit� del rilievo incidentale della sentenza sopra citata, allo 
� stabilimento .retto a regime di deposito franco �. 

.. .. 

i

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Per quanto riguarda quest'ultima figura, � testuale infatti nell'art. 9, 
comma secondo, della citata legge n. 351 del .1904 la previsione che, nel caso 
di � stabilimenti retti a regime di deposito franco � a norma del comma 
precedente, gli stessi �saranno-considerati fuori della linea doganale e si 
renderanno ad essi applicabili tutte le disposizioni della legge 6 agosto 1876, 

n. 3261 �, cio� della legge che all'epoca regolava i depositi franchi. E poich� 
a norma degli artt. 4 e 7 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, 
� il passaggio della linea doganale il fatto giuridicamente considerato � importazione 
�, � evidente che sul piano letterale non possa dubitarsi della 
conclusione cui la Corte di merito � pervenuta: 
N� � vero che nel caso di regime retto a regime di deposito franco 
difettino momenti caratteristici della vera e propria importazione prevista 
dalla legge, quali lo � sdoganamento � e quindi l'intervento di un ufficio 
doganale. Basta ricordare infatti che gi� nella legge istitutiva -a parte il 
richiamo alla generale disciplina dei �depositi franchi� -sono specificamente 
previste �spese di vigilanza� e �indennit� (dovute ad impiegati 
ed agenti di finanza) per operazioni da compiersi nell'interno dello stabilimento
� (art. 11, comma primo, legge n. 351 del 1904), mentre nef successivo 
regolamento di esecuzione � testualmente stabilito che l'edificio adibito 
a stabilimento retto a regime di deposito franco deve essere strutturato 
in modo che �presenti le garanzie necessarie per la tutela degli interessi 
erariali e si presti alla regolare esecuzione dei servizi doganali e della vigilanza
� (art. 3, r.d. 5 settembre 1907, n. 630). 

Sul piano logico, poi, si risolve in una petizione di principio l'affermazione 
che la funzione incentivante o promozionale, in cui la ratio della 
normativa disciplinante la figura dello stabilimento retto a regime di deposito 
franco consiste, sarebbe vanificata dall'assoggettamento ad imposizione 
delle merci prodotte nello stabilimento utilizzando materie esenti 
da imposta. Infatti, la premessa della tesi, secondo la quale il risultato 
agevolativo finale dell'operazione dovrebbe coincidere definitivamente con 
il vantaggio originario dell'esenzione concessa sulle materie prime utilizzate, 
non solo � indimostrata, ma � nettamente smentita sul piano storico 
della constatazione che l'istituto -come messo in luce dalla dottrina che 
pi� di recente e con maggiore attenzione lo ha studiato ..,.-fu introdotto 
nell'ordinamento positivo con piena coscienza della sua limitata utilit�, 
cio� proprio con la consapevolezza che il fatto di trovarsi fuori della linea 
doganale avrebbe rappresentato un concreto beneficio solamente per gli 
stabilimenti industriali che lavorino esclusivamente per la esportazione ed 
abbiano bisogno, per la preparazione dei propri prodotti, di materie soggette 
ad alti dazi di confine e ad imposte di fabbricaizone, ovvero per gli 
stabilimenti i quali lavorino anche per il mercato interno. e debbano importare 
materie estere soggette a dazio, ma preparino prodotti esenti da 


264 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dazio, o soggetti a dazio in misura inferiore a quella da cui sarebbero 
state colpite le materie incorporate nei prodotti stessi. 

Con il secondo motivo, si denw1zia violazione dell'art. 23 della Costituzione 
e del principio della specialit� dei tributi, violazione e falsa applicazione 
del d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 e della tariffa doganale da esso 
approvata, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. 

Ad avviso delle ricorrenti, il preteso principio generale, postulato dalla 
sentenza impugnata, in forza del quale tutto ci� che pu� avere una utilizzazione 
economica traducibile in valore di scambio cadrebbe sotto l'imposizione 
doganale, non potrebbe trovare cittadinanza nell'ordinamento positivo 
perch� contraddetto dall'opposto principio della specialit� dei tributi, 
assunto a livello di garanzia costituzionale nell'art. 23 Cost. N� in contrario 
potrebbe argomentarsi dalla c.d. � onnicomprensivit� � della tariffa doganale, 
che si volesse desumere dall'art. 5 delle regole generali per l'interpretazione 
della tariffa medesima approvata con il d.P.R. 21 dicembre 1961, 

n. 1339, perch� tale disposizione � priva di valore normativo, essendo contenuta 
in un decreto di natura e finalit� meramente esecutive, emesso in 
esito ad una delega legislativa avente per oggetto la sola autorizzazione ad 
approvare la tariffa doganale, e perch�, comunque, la stessa disposizione, 
ove le fosse effettivamente attribuibile valore di legge, sarebbe in contrasto 
con l'art. 23 Cost., il quale non consente che la imposizione tributaria sia 
rimessa, con la generica formula della � maggiore analogia �, alla determinazione 
discrezionale dell'Amministrazione. 
Aggiungono le ricorrenti che, contrariamente a quanto ritenuto dalla 
sentenza impugnata, il vapore acqueo non potrebbe -in linea subordinata 
-farsi rientrare per analogia sotto il n. 22.01 della citata tariffa doganale, 
n� comunque -in via di ulteriore subordine -nella sottovoce 
� altre � della predetta voce. 

Neppure tali censure possono trovare accoglimento. 

Il d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339, recante �approvazione della nuova 
tariffa dei dazi doganali di importazione con l'inquadramento delle sottovoci 
della tariffa nazionale in quelle corrispondenti della tariffa doganale 
esterna della Comunit� Economica Europea e con il regime daziario in 
vigore dal 1� gennaio 1962 �,ha valore di legge delegata nella sua interezza, 
perch� emesso in esecuzione della legge 20 dicembre 1960, n. 1527, richiamata 
nel preambolo, attributiva della � delega al Governo ad emanare provvedimenti 
per accelerare il ritmo delle modificazioni delle tariffe doganali 
stabilite dal Trattato istitutivo della Comunit� Economica Europea e per 
anticipare la progressiva instaurazione della tariffa doganale comune �. 
Fra i �provvedimenti� cos� delegati, da emanare �con l'osservanza dei 
principi... del Trattato istitutivo della Comunit� Economica Europea � 
(art. 1, prima parte), � espressamente menzionato quello necessario per 
� procedere, ai fini della instaurazione progressiva della tariffa doganale 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

-comune ai sensi dell'art. 23 del Trattato..., all'inquadramento delle sot


tovoci della tariffa doganale nazionale in quelle corrispondenti della tariffa 

�doganale comune, apportando altres� alle sottovoci stesse, alle note legali 

�ed alle disposizioni preliminari della tariffa nazionale le aggiunte, le modi


fiche e le soppressioni che si renderanno necessarie in dipendenza della 

:predetta instaurazione della tariffa comunitaria�. E questa Corte Supre


ma (sent. 3 ottobre 1973, n. 2833) ha gi� avuto occasione di riconoscere valo


-re normativo alle �regole generali per l'introduzione della tariffa dogana


le�, comprese sotto la intitolazione �disposizioni preliminari� nella prima 

_parte della � nuova tariffa � approvata con il decreto citato. Al quale, d'ai


tro canto, non pu� essere disconosciuto valore di legge anche perch� ema


nato in attuazione degli obblighi _internazionali, imposti allo Stato italiano 

.dalla decisione del Consiglio dei Ministri C.E.E. 13 febbraio 1960, pure ri


�chiamata nel preambolo, istitutiva della tariffa doganale comune ad essa 

:allegata, comprendente anche le �regole generali per l'interpretazione� 

�della tariffa stessa, il cui art. 5 � testualmente identico alla corrispondente 

.disposizione del d.P.R. del 1961, n. 1339. -Orbene, proprio il citato art. 5, 

:nello stabilire che � le merci... non classificabili in alcuna voce della tarif


fa, devonno essere classificate nella voce relativa alle merci che con esse 

banno maggiore analogia �, canonizza quel principio generale della c.d. 

� onnicomprensivit� � merceologica della tariffa doganale, a torto negata 

.dalle ricorrenti. 

N� pu� affacciarsi un ragionevole dubbio �non manifestamente infon


�dato �circa la sua legittimit� in relazione all'art. 23 Cost., posto che il rife.
rimento normativo alla �maggiore analogia� offre un criterio ermeneu,
tico sufficientemente preciso, destinato del resto ad essere in ultima 

istanza applicato dal giudice, in sede di controllo giurisdizionale sull'ope


rato della pubblica amministrazione. 

La constata onnicomprensivit� della tariffa doganale caduca in radice 

:Stando alla sua stessa impostazione, la censura principale delle ricorrenti 

'facendone cadere la premessa circa la non sussumibilit� del vapore acqueo 

in alcuna voce della tariffa stessa. 

Quanto al profilo subordinato relativo alla esatta classificazione del 

vapore acqueo fra le varie voci e sottovoci della tariffa, ne va rilevata la 

'inammissibilit� per quanto attiene ai diritti di statistica ed ai diritti per 

i serv;~zi amll).inistrativi, avendo l'appello -sul punto proposto dalla sola 

�Cartiera -investito unicamente la questione della aliquota applicabile 
per l'I.G.E. Riguardo a quest'ultima imposta, invece, ne va rilevata la infon.
datezza, non subendo l'aliquota alcuna variazione in ragione dell'una o 
.clell'altra classificazione. 
Con il terzo motivo, denunziandosi violazione degli artt. 1 e 17 della 
legge I.G.E. 19 giugno 1940 n. 762 e dell'art. 12 delle disposizioni sulla 
legge in generale, si sostiene che nel caso di specie la c.d. I.G.E. all'importa



RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, di cui al citato art. 17, era inapplicabile, non potendosi ravvisare 
�l'esistenza di un atto di scambio� nella utilizzazione, da parte della Cartiera, 
della energia elettrica e del vapore acqueo prodotti nella centrale termica, 
appartenendosi l'uno e l'altro stabilimento all'unico patrimonio della 

s.p.a. 
Cartiere del Timavo, ricorrente. 
La censura � infondata. 
Pur nel riconosciuto � parallelismo � fra l'imposta rispettivamente 
prevista dall'art. 1 e dall'art. 17 della legge istitutiva dell'I.G.E. 19 giugno 

1940, n. 762, la diversit� del � fatto o presupposto che d� luogo alla imposi


zione �, cio� del � fatto impositivo � o � atto rilevante � agli effetti dell'art. 

17 citato, rispetto a quello dell'art. 1, � gi� stata affermata da questa Corte 

Suprema nella sentenza 27 giugno 1969, n. 2303, la quale, pur ponendo l'ac


cento, p~r le esigenze della fattispecie esaminata, sulla identificazione della 

nozione di �merce�, lo ha tuttavia ripetutamente identificato, quanto alla 

ipotesi dell'art. 17, nella importazione. 

E l'interpretazione letterale, storica e logica della norma conforta, 

appunto, Ia tesi che la importazione in s�, come mero passaggio attraverso 

la linea doganale di un bene tassabile in qualit� di merce, � il �fatto im


positivo� assunto nella figura legale dell'art. 17, a prescindere dalla sotto


stante esistenza di un atto di scambio. 

A parte l'inequivoco significato della statuizione del primo comma del


la disposizione citata, che afferma l'imposta dovuta � per il fatto obiettivo 

d�lla importazione�, depongono decisamente a favore della tesi accolta 

tanto il successivo quarto comma dello stesso articolo, quanto il preceden


te art. 5, ultimo comma: il secondo, perch� pone l'importazione concettual


mente sullo stesso piano di altri potenziali atti di scambio, come i � confe


rimenti � e gli � acquisti ": pur regolando diversamente il meccanismo di 

esclusione della duplice tassazione con riguardo al successivo passaggio 

della merce; il primo, perch�, nel dichiarare tassabili, per le merci impor


tate, gli� atti economici posti in essere nello Stato successivamente alla im-. 

portazione, ancorch� effettuati da filiali, rappresentanti e depositari di 
ditte ,estere�, implicitamente presuppone la rilevanza tributaria del precedente 
passaggio, attraverso la linea doganale, dalla ditta �madre�, rappresentata
� o �depositante� con sede all'estero alla filiale, al rappresentante 
o al depositario con sede in Italia, in deroga alla diversa regola sancita, 
per i passaggi dello stesso tipo all'interno del territorio nazionale, dal 
combinato disposto dell'art. 13, comma terzo, della legge e degli artt. 20 e 
� 21 del regolamento esecutivo 26 gennaio 1940, n. 10. Nello stesso senso 
depone inoltre la disciplina dell'imposta di conguaglio, dovuta -a norma 
dell'art. l, comma secondo, legge 31 luglio 1954, n. 570 -� in aggiunta � al.. 
l'imposta di cui all'art. 17 sui prodotti industriali importati, al fine di assicurare 
allo Stato lo stesso introito fiscale che si sarebbe conseguito in 
� caso di produzione nello Stato, e, quindi, da ritenere esigibile tanto nel 


PARTE I, SEZ. VI, .GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

caso in cui la importazione sottenda un atto di scambio, trattandosi di 
merce dall'importatore acquistata all'estero, quanto nel caso in cui, avendola 
ivi egli direttamente prodotta, non si accompagni all'importazione 
alcun� scambio. 

Sul piano storico, indicazioni conformi sono offerte dallo svolgimento 
della legislazione relativa alla �tassa sugli scambi�, antecedente tributario 
dell'I.G.E. (ed abolita, infatti, con l'art. 54 della legge istitutiva di 
questa). 

Dalla-originaria definizione come tassa sugli � scambi �... relativi a merdi 
(etc.) importati (art. 6, comma primo, r.d. 18 marzo 1923, n. 550: �la tassa... 
� dovuta tanto sugli scambi... quanto su quelli relativi a materie greggie, 
merci etc. importati. dall'estero�), si passa infatti alla definizione come 
�tassa dovuta... sulle materie (etc.) importati dall'estero� (art. 12, comma 
primo, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3273), per giungere infine alla espressa equiparazione, 
ai fini impositivi, dell'importazione in s� allo scambio tassabile 
(art. l, comma secondo, r.d.l. 28 luglio 1930, n. 1011: � agli effetti della presente 
legge l'importazione di merci dall'estero costituisce scambio soggetto 
a� tassa da chiunque o comunque le merci vengano importate e quale 
che ne sia la destinazione); formula; quest'ultima, che sostanzialmente trascrive 
quella immediatamente precedente -poi ripresa dall'art. 17 della 
legge sull'I.G.E. -secondo la quale �la tassa... si applica avuto riguardo al 
solo fatto dela� importazione� (art. 13, r.d. del 1923, n. 3273 cit. e, gi� prima, 
art. 35, r.d. 26 ottobre 1923, n'. 2275), nel senso reso inequivocabilmente 
esplicito dalla precisazi�ne, peraltro superflua e probabilmente per tale 
ragione non ripetuta dal legislatore del 1940, doversi in tal caso � prescindere 
� da ogni rapporto che possa intercedere fra il destinatario nel regno 
e la persona o ditta estera speditrice, e cio� anche quando il destinatario 
agisca nel regno come filiale, agente, rappresentante, depositario della ditta 
estera od. abbia comunque rapporti di dipendenza con essa (citati 
artt. 13 e 35): vale a dire, a prescindere proprio da quei rapporti, in costanza 
dei quali gli stessi testi normativi escludono invece la tassabilit� 
degli scambi avvenuti all'interno del territorio nazionale (art. 7, r.d. del 
1923, n. 3273; artt. 18-28 r.d.l. del 1930, n. 1011). 

Anche sul piano razionale, infine, l'assoggettamento della � importa� 
zione �in s� ad una tassa, nella sua essenza destinata, come l'I.G.E., ad incidere 
sugli scambi fra �denaro o (altri) mezzi di pagamento�, da un lato, 
a cessione di beni o... prestazioni di servizi�. dall'altro, trova agevole spiegazione 
proprio nella necessit� di evitare che sfuggano alla imposizione 
atti economici di per s� estranei alla competenza territoriale dell'ordinamento 
nazionale perch� posti in essere all'estero, e tuttavia producenti i 
loro effetti in Italia attraverso la importazione. Che in astratto, poi, tale 
risultato sarebbe stato raggiungibile anche limitando la tassazione soltanto 
alle ipotesi, in cui effettivamente la importazione si accompagnasse al 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

compimento all'estero di un atto economico omologo a. quello colpito 
dall'imposta se posto in essere nel territorio nazionale, � considerazione 
che rimane irrilevante, una volta accertato, attraverso la indagine positiva 
e storica, che diverso, e pi� radicale, � il modulo adottato dal legislatore, 
chiaramente al fine di evitare le incertezze e le contestazioni, che altrimenti 
la pratica avrebbe conosciuto ove fosse stato invece prescelto un sistema, 
che o avesse richiesto la dimostrazione dell'esistenza dell'atto economico 
sotteso all'importazione, o anche soltanto avesse consentito di provarne 
Ila �inesistenza. 

Con il quarto, ed ultimo, motivo, le ricorrenti, denunziando la falsa 
applicazione della legge 15 giugno 1950, n. 330 e del d.P.R. 21 dicembre 1961, 

n. 1339, la violazione della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, la falsa applicazione 
del r.d. 22 novembre 1914, n. 1289, deducono la illegittimit�, sotto molteplici 
aspetti, dei diritti per i servizi amministrativi e dei diritti di statistica. 
Sotto un primo profilo, esse osservano (A/1) che tanto il primo, quanto 
il secondo tributo presuppongono non solo la provenienza delle merci da 
un altro Stato, ma anche �il compimento delle operazioni di sdoganamento
�; nella specie, invece, trattandosi di lavorazione in regime di deposito 
franco, �non si eseguono -e non esiste l'essenziale premessa per 
eseguire -alcuno sdoganamento �. Ed aggiungono (A/2) che, a norma 
dell'art. 43 del d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 di approvazione della 
tariffa doganale, � sono esenti dal diritto di statistica... tutte le merci 
che secondo le vigenti disposizioni vengono rilasciate senza l'emissione 
di bolletta doganale�, sicch�, �incontroverso e dalla stessa sentenza 
consentito essendo che per l'energia elettrica ed il vapore acqueo 
prodotti in regime di deposito franco non vi � luogo ad emissione di bolletta 
doganale, a tali prodotti il diritto di statistica non poteva essere 
applicato �. 

Sotto un secondo profilo, denunziano (B) la illegittimit� dei diritti di 
statistica perch� previsti soltanto nell'art. 42 delle disposizioni preliminari 
alla tariffa doganale approvata con d.P.R. n. 1339 del 1961, per la sua natura 
inidoneo a fungere da fonte istitutiva di un nuovo tributo. 

Sotto un .terzo profilo, infine, deducono (C) la illegittimit� dei diritti 
di statistica e dei diritti per servizi amministrativi perch� riconosciuti in 
contrasto con le norme comunitarie dalle direttive C.E.E. n. 723 del 4 novembre 
1966 e n. 31 del 16 gennaio 1968, e per l'effetto, appunto, espunti 
dall'ordinamento ar�cor prima della loro soppressione da parte del legislatore 
nazionale. 

Anche tali censure sono destituite, tutte, di fondamento. 

� agevole infatti replicare: 

-ad A/I: che -come gi� si � rilevato discutendo del primo motivo 
-anche per i prodotti provenienti dagli stabilimenti retti a regime 
di deposito franco, l'attraversamento della linea doganale costituisce 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 269 

<< importazione �, e che, d'altro canto, la legge prevede anche per tali 

�Operazioni l'adempimento dei controlli doganali, la cui omissione in fatto 
non vale certo ad impedire, in diritto, la produzione degli effetti tributari 
.dalla legge stessa ricollegati al fatto impositivo dell'importazione; 
-ad A/2; che, mentre la sentenza impugnata affatto tace sulla 
necessit�, o meno, di emettere bolletta doganale anche per l'energia elettrica 
e per il vapore acqueo, la risposta affermativa si impone, in prin.
cipio, non .risultando per le menzionate merci derogata da alcuna � vi.
gente disposizione � la regola generale dettata dall'art. 21 della legge 
.doganale 25 settembre 1940, n. �1424; 

-ad B, che effettivamente, come ha osserva~o la sentenza impugnata, 
la disposizione dell'art. 42 citato � meramente riproduttiva, i 
.diritti di statistica gi� esistendo nell'ordinamento in forza di precedenti 
.disposizioni (1. 25 giugno 1896, n. 324; r.d. 22 novembre 1914, n. 1289; 
.d.l. 11 aprile 1947, n. 233) che, contrariamente all'assunto, del resto affatto 
generico e privo di qualsiasi riferimento normativo, delle ricorrenti, 
non risultano fossero state abrogate all'epoca delle importazioni, oggetto 
.della pretesa tributaria in contestazione; 

-ad C, che le direttive 66/723/C.E.E. e 68/31/C.E.E. riguardano l'abolizione, 
rispettivamente, del diritto di statistica e del diritto per servizi 
.amministrativi con riferimento alle � importazioni in provenienza dagli 
.altri Stati membri�, quali ovviamente non possono qualificarsi i pas:
Saggi attraverso la linea doganale dei prodotti provenienti dalla centrale 
termica di cui � causa. -. (Omissis). 

�CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1976, n. 427 -Pres. Mirabelli 
-~st. Falletti -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Soprano) c. Di Matteo (avv. Selvaggi). 

lmposte e tasse in genere -Agevolazione per le zone terremotate del 
Belice -Comprende anche le imposte indirette. 
(d.!. 12 genaio 1968, n. 12, artt. 4-10; I. 18 marzo 1968, n. 182, art. un.; d.l. 27 feb


braio 1968, n. 79, art. 55; I. 5 febbraio 1970, n. 21, art. 26; d.l. 1� giugno 1971, n. 289; 

I. 30 luglio 1971, n. 491, art. 11 bis; d.l. 12 febbraio 1973, n. 8, artt. 10, 11; I. 15 
aprile 1973, n. 94, art. 10). 
L'esenzione generale dai tributi erariali, provinciali e comunali, sta.
bilita per le zone terromotate del Belice, comprende tutti i tributi e si 
.estende anche alle imposte indirette (1). 

(1) Conforme � l'altra sentenza in pari data n. 422. 
Non constono precedenti in termini. Per l'esenzione per le zone del Vajont 
(Cass. 21 giugno 1974, n. 1831 Riv. leg. fisc. 1974, 2204), l'esenzione da alcune 
-imposte indirette era espressamente prevista; l'altra sentenza richiamata (5 mar:
zo 1975, n. 821, Mass. Giust. it., 1975, 225) si limita ad affermare che quando 



270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -L'amministrazione ricorrente, denunciando la violazione 
degli artt. 4 e 11 del d.l. n. 12/1968; 55 e segg. del d.l. n. 79/1968, 4, 5, 
8 e 8 bis della I. n. 182/1968; 29-31 della 1. n. 357/1964; 26 della 1. numero 
21/1970; 11 de Id.I. n. 289/1971; 10, 11 e 11 bis della I. n. 491/1971; 
10 e segg. del d.l. n..8/1973; 10 e segg. della I. n. 94/1973, lamenta che 
la Corte d'appello ha erroneamente i;ccolto la pretesa ex adverso proposta, 
senza considerare che le esenzioni fiscali concesse dalle citate 
leggi per le zone terremotate del Belice riguardano i tributi diretti, che 
�olpiscono la capacit� produttiva delle imprese, non i tributi indiretti 
che ne colpiscono solo i profitti; che� invero la pretesa esenzione dall'imposta 
di fabbricazione si tradurrebbe in un ingiusto lucro a favore 
di tali imprese, che la dizione � tributi diretti e indiretti � contenuta nell'art. 
10 del d.l. n. 8/1973 si riferisce soltanto ai cittadini che hanno 
trasferito il domicilio fuori .dai comuni terremotati, e non pu� estendersi 
con valore di interpretazione autentica anche. alle leggi precedenti. 

La tesi non � fondata. Subito, essa contrasta con il senso letterale 
e la si~tematica compiutezza di un testo che indistintamente (ed anzi 
con positiva generalizzazione) dichiara �concessa l'esenzione dai tributi 
erariali, provinci<).li, e� comunali.>>, sempre ripetendo le medesime parole 
e il medesimo concetto in una lunga serie di provvedimenti legislativi 
(art. 4 d.l. n. 12/1968 e I. n. 182/1968; art. 26 I. n. 21/1970; artt. 11 e 
11 bis d.l. n. 289/1971 e I. n. 491/1971; art. 10 d.l. n. 8/1973 e I. n. 94/1973). 
L'incisiva assolutezza della norma dimostra che essa si applica ai � tributi
�, cio� comprende tasse, imposte e contributi (cfr. nel medesimo 
senso, in rapporto all'esenzione fiscale concessa per il disastro del Vajont, 

la norma fa riferimento al periodo di imposta non pu� essere riferita alle, 
imposte indirette. Invero il d.l. 12 gennaio 1968, n. 12 riguardava esclusivamente 
le imposte dirette, mentre il dJ. 27 febbraio 1968, n. 79 faceva riferimento ad 
alcune imposte indirette il cui presupposto era sicuramente ancorato al terri� 
torio, si che la legge di conversione del primo decreto (18 marzo 1968, n. 182), 
che per la prima volta concede l'esenzione generale dei tributi erariali provinciali 
e comunali, non pu� essere che limitato alle imposte dirette se un secondo 
decreto legge ha stabilito agevolazioni �limitate per le imposte indirette. La 
stessa espressione � . usata nell'art. 26 della legge 5 febbraio 1970, n. 21 che fa 
riferimento�al periodo di imposta e nei successivi provvedimenti che estendono 
questa stessa esenzione. � vero che nell'art. 10 della legge 15 aprile 1973, n. 94 si 
parla anche di. tributi indiretti, ma non sembra che a questa norma possa conferirsi 
valore di interpretazione autentica. � comunque da osservare che 11011 � concepibile 
una esenzione da tutti i tributi indiretti riferita al territorio di alcuni comuni; 
solo per alcuni tributi con opportune norme � possibile localizzare il presupposto 
al territorio (come ha fatto il d.l. 27 febbraio 1968, n. 79), altrimenti 
qualunque atto registrato in quei comuni, ovunque si trovino i beni; qualunque 
attivit� svolta su tutto il territorio dello Stato da soggetti che in quel 
territorio hanno o hanno trasferito la sede legale; le successioni aperte in relazione 
a persone occasionalmente decedute nel territorio e relative a beni siti 

altrove; potrebbero rientrare nell'esenzione. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Cass. 1974, n. 1832); che, oltre l'ambito oggettivo cos� amplificato, essa 
parimenti comprende le imposizioni di qualunque ente impositore (Stato, 
provincia, comune); che l'ulteriore avvertenza, secondo cui l'esenzione � 
concessa �anche ... per periodi d'imposta anteriori al 1970 �, non limita 
la concessione, ma specificamente l'attribuisce �anche� alle imposte pur 
relative a periodi anteriori e riscuotibili mediante ruoli (cfr. Cass. 19,75, 
n. 821). Si pu� inoltre rilevare che la medesima �esenzione dai tributi 
erariali, provinciali e comunali� fu dapprima concessa �fino al 31 dicembre 
1969 per i comuni completamente distrutti d� Montevago, Gibellina 
e Salaparuta � (art. 4 cit.), con tina formula non �certo suscettibile 
di diversa lettura e con la significativa premonizione di un esonero da 
intendersi tanto pieno quanto completa era stata la distruzione dei 
comuni esonerati. Successivamente �l'esenzione dai tributi erariali, provinciali 
e comunali fino al 31 dicembre 1970 � fu estesa a sedici localit� 
elencate nell'art. 26 della 1. n. 21/1970, ivi compresi e ancora ripetuti i 
comuni di Montevago, Gibellina e Salaparuta (e compreso altres� il comune 
di Calatafimo, dove si svolge l'attivit� oggetto dell'imposta controversa): 
erano localit� i �ui abitanti, secondo lo stesso art. 26, erano 
soggetti al trasferimento previsto e disposto a norma dell'art. � 11 del 

d.l. n. 79/1968. Per tutte queste localit�, o completamente distrutte o 
non pi� abitabili, si riproduceva dunque la medesima giustificazione di 
un esonero tributario pienamente correlato alle radicali necessit� di un 
totale reimpianto. 
La ricorrente obietta che � razionalmente inammissibile che il legislatore 
volesse includere nell'esenzione anche le imposte indirette (come 
quella di cui si tratta nella specie): perch� questa sarebbe un'assurda 
lacerazione del sistema .tributario, e perch� la corrispondenza causale e 
lo scopo dell'esenzione riguardano la perdita della capacit� produttiva 
determinata dall'evento calamitoso e sono rivolte a facilitare il ripristino 
di quella capacit�, non riguardano i tributi successivamente applicabili 
�lla produzione, il cui esonero, comportando svantaggiosi squilibri a 
carico degli altri produttori, costituirebbe a favore degli esonerati non 
un correttivo del danno ma un ingiusto beneficio. L'argomento, astratto 
.ed opinabile (se altrimenti si considera che proprio con il soccorso 

� emergente� di un'agevolazione fiscale rivolta all'attivit� produttiva si 
poteva meglio sostenere la ripresa economica dei comuni sinistrati, nei 
quali le ragioni tributarie attinenti all'imponibile sulle fonti di reddito 
gi� si trovavano annullate dalla loro stessa distruzione, e se poi si considera 
che l'esenzione era limitata nel tempo e nei luoghi), � apertamente 
contraddetto dalla legge. Infatti, mentre con il d.l. n. 289/1971 
e con la I. n. 491/1971 il termine dell'esenzione era stato rispettivamente 
prorogato fino al 31 dicembre 1971 e fino al 31 dicembre 1972, l'art. 10 
del d.I. n. 8/1973 (come modificato dalla legge n. 94/1973), prorogando 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

definitivamente l'esenzione al 31 dicembre 1973, dichiara che sono anche 
prorogate le norme previste dall'art. 11 bis della legge n. 491/1971 relative 
ai tributi diretti e indiretti �. � vero che l'art. 11 bis riguarda la 
esenzione estesa � anche a favore � di una particolare categoria di cittadini, 
gi� domiciliati prima del 15 gennaio 1968 nelle localit� trasferite. 
Ma, senza dire che ci� basterebbe a rompere, almeno in tal caso� 
e verso quella categoria di destinatari, il presunto principio dell'impossibile 
esenzione dalle imposte indirette, la coordinazione interpretativa 
delle leggi in esame conduce sul punto a un pi� generale ed univoco risultato, 
uguale per tutti i casi in cui Ǐ concessa l'esenzione dai tributi 
erariali, provinciali e comunali �. 

Occorre soltanto rileggere, nel loro consecutivo e testuale richiamo,. 
le seguenti disposizioni: a) l'art. 11 del d.l. n. 289/1971; b) l'art. 11 bis 
inserito dalla I. n. 491/1971; c) l'art. 10, come sopra integrato, del d.l. 

n. 8/1973. L'art. 11 dispone che �l'esenzione dai tributi erariali, provinciali 
e comunali per i comuni indicati dall'art. 28 della legge n. 21/19W 
� ulteriormente concessa fino al 31 dicembre 1971, anche se dovuti per 
periodi d'imposta anteriore al �1970 �. L'art. 11 bis aggiunge che tali disposizioni 
� si applicano anche a favore dei cittadini che, avendo il domicilio 
fiscale anteriormente al 15 gennaio 1968 nei comuni indicati 
nell'art. 26 della legge n. 21/1970, svolgono la loro attivit� in altri co-� 
mun� ... �. Infine l'art. 10 dichiara che � le disposizioni di cui all'art. 11 
del d.l. n. 289/1971, convertito con modificazioni nella legge n. 491/1971,. 
nonch� quelle previste dall'art. 11 bis d�lla precitata legge n. 491/1971,. 
relative ai tributi diretti e indiretti, sono ulteriormente applicabili dal 
1� gennaio al 31 dicembre 1973 ... �. Dunque, se l'esenzione � anche � con-� 
cessa ai cittadini dall'art. 11 bis della I. n. 491/1971 era quella medesima 
gi� prevista per i comuni sinistrati dall'art. 26 della I. n. 21/1970 e pro-� 
rogata dall'art. 11 del d.l. n. 289/1971, e se l'esenzione dei cittadini era 
�relativa ai tributi diretti e indiretti�, deve appunto ritenersi che l'esenzione 
prevista dagli artt. 26 e 11 citt. riguardava parimenti i tributi. 
diretti e indiretti. -(Omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1976, n. 545 -Pres. Caporaso 
-Est. Sandulli -P.M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze� 
(avv. Stato Baccari) c. E.N.E.L. 

Imposta di registro -Riscossione ad aggio o premio di bollette dell'ener


gia elettrica -� soggetta all'imposta dell'art. 50 tariffa A r.d. 30 dicem


bre 1923, n. 3269 -Applicabilit� dell'imposta dell'art. 52 -Esclusione. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, artt. 50 e 52). 
Il contratto per la riscossione ad aggio o a premio di bollette per 
la fornitura dell'energia elettrica � sempre oggetto all'imposta prevista 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 27J. 

nell'art. 50 della tariffa A allegata alla legge di registro del 1923 e maf 
all'imposta prevista nell'art. 52, nemmeno quando il contratto abbia le 
caratteristiche dell'appalto. Sono da ricomprendere nella categoria dei 
� diritti� i corrispettivi dovuti dagli utenti per la somministrazione della 
energia elettrica data la natura pubblicistica del servizio di produzione, 
trasporto e distribuzione di energia elettrica, ed � da considerare come� 
�premio � il corrispettivo per la riscossione determinato in misura fissa 
per ogni bolletta (1). 

(Omissis). -Con l'unico motivo, la ricorrente -denunciata la vio-lazione 
e la falsa applicazione degli artt. 52 e 50 della tariffa A allegata 
alla legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269), in relazione all'art. &della 
stessa legge, nonch� il difetto di motivazione su un punto decisivo� 
della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ. -si 
duole che la Corte del merito abbia ritenuto che il contratto con il quale� 
una societ� elettrica (successivamente assorbita dall'E.N.E.L. -Ente Nazionale 
per l'Energia Elettrica) abbia concesso a privati l'appalto del ser-vizio 
di esazione delle fatture di fornitura di energia elettrica per un 
corrispettivo fisso per ogni fattura incassata e con l'obbligo della riscossione 
di una determinata percentuale del carico delle fatture e del 
versamento dell'importo di quelle non restituite (anche in caso di perdita 

o di furto delle medesime), sia assoggettabile all'imposta di registro a. 
norma deil'art. 52 della tariffa A allegata alla legge di registro (r.d. 30 
dicembre 1923, n. 3269 (e cio�, con l'aliquota dell'uno per cento), e non 
ai sensi dell'art. 50 della stessa tariffa (e cio� con l'aliquota del due 
per cento). 
(1) Identiche sono le sentenze in pari data n. 546-549 di cui si omette la 
pubblicazione. La pronunzia risolve con evidente esattezza la questione, chepu� 
essere estesa a molte altre ipotesi, della prevalenza, ai fini della indivi-duazione 
della norma della tariffa da applicare, dell'oggetto del contratto (ele�mento 
teleologico) sui connotati formali del negozio (elemento strumentale);. 
e ci�, in definitiva, risponde al criterio fondamentale fissato nell'art. 8 della 
legge. Per un precedente in termini, relativo alla riscossione delle imposte di 
consumo, v. Cass. 4 dicembre 1967, n. 2866, in Riv. leg. fisc., 1968, 743. Sulla 
seconda parte della massima si pu� rilevare che la qualificazione del corrispettivo 
per la fornitura di energia elettrica come prestazione imposta nell'ambito 
di un rapporto pubblicistico (affermazione che, nella sua assolutezza, potrebbe 
dar occasione a qualche dubbio) non appare necessaria, giacch� l'art. SO�� 
della tariffa A nel riferirsi alla esazione ad aggio di proventi di natura pub,
blica (dazi) e privata (rendite) evidentemente ricomprende, in un'elencazione 

non rigorosamente tassativa, ogni tipo di riscossione, si che nella categoria. 

dei diritti possono ricomprendersi anche prestazioni non pubblicistiche, quali 

entrate patrimoniali, premi di assicurazione ecc. 

Sull'ultimo punto � evidente che � premio � � qualcosa di diverso da 
�aggio�, si che non � elemento essenziale della fattispecie regolata dall'art. S01 
la commisurazione del compenso in proporzione del riscosso. 



274 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

~ 


La censura � fondata. 
Secondo la tesi dell'Amministrazione ricorrente, il contratto, stipulato 
per l'appalto del servizio di riscossione delle fatture di fornitura 

I

,dell'energia elettrica secondo le modalit� sopra descritte, sarebbe sussumibile 
nello schema paradigmatico dell'art. SO della citata tariffa A, che 
in ordine ai �contratti per riscossione di dazi, diritti e rendite mediante 
.aggio o premio�, prevede l'aliquota del due per cento, 

Secondo l'opinione della Corte del merito, invece, un contratto, stipulato 
�per la riscossione di dazi, dititti e rendite mediante aggio' o 

Ipremio�, rivestito delle caratteristiche del contratto di appalto,.dovrebbe 
ricondursi all'ambito previsionale dell'art. S2 della tariffa A, prevedente 
per gli �appalti (ed altri simili contratti) per costruzioni, riparazioni, 
ecc. e per ogni altro oggetto� valutabile � l'aliquota d'imposta dell'uno 
per cento. 

Fra le due antitetiche proposizioni del dilemma, questa Corte ritiene 
<li doversi orientare nel senso del primo dei due delineati indirizzi. 

In base alla prima tesi -ai fini della soluzione della disputa 
�Occorrerebbe tener conto soprattutto dell'oggetto del contratto, e cio� 
.dell'attivit� presa in considerazione dalle parti (in prospettiva finalistica) 
e realizzante l'elemento teleologico del negozio, -indipendentemente 
�dalla fattispecie negoziale adottata (come elemento strumentale) per il 
.conseguimento della finalit� programmata. 

Secondo l'altra opinione, invece, bisognerebbe guardare (non all'elemento 
oggettuale, ma) al tipo di contratto posto in essere, con l'impli
�Cazione che il negozio perfezionatosi fra le parti, quando sia rivestito 
delle connotazioni (essenziali) dell'appalto, debba considerarsi ricompreso 
nell'ambito dello schema legale dell'art. S2 (riferentesi alla generalit� dei 
.contratti di appalto), rientrando nell'area residuale degli appalti relativi 
�� ad ogni altro oggetto valutabile � -indipendentemente dall'attivit� 
svolta in esecuzione del negozio e costituente l'oggetto di esso, valendo 
1a sussistenza degli estremi dell'appalto a spostare la rilevanza fiscale 
�di registro del contratto di riscossione di dazi, diritto e rendite del-
1'art. SO all'art. S2 della tariffa A. 

Il problema che si pone �, quindi, se, nell'ipotesi di un contratto 
<li appalto stipulato �per la riscossione di dazi, diritti e rendite me.
cl.iante aggio o premio �, trovi applicazione l'art. SO della tariffa A, allegata 
alla legge di registro, ovvero. l'art. S2 della stessa tariffa. 

Corollario di esso � il quesito se nell'ambito dei � diritti � (per la 
�cui riscossione il contratto � perfezionato) rientri (o meno) il corrispettivo 
pagato per la fornitura di energia elettrica. 

Intimamente collegata ai temi delineati �, poi, la questione se il 
premio, dovuto all'appaltatore per il servizio di riscossione, possa (o 
meno) determinarsi in misura fissa. 


PARTE I, SEZ. YI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ai fini della disamina del problema di fondo -trattandosi della 
ricognizione interpretativa del significato e della portata delle statuizioni 
legislative contenute negli artt. 50 e 52 della tariffa, allo scopo di individuare 
i limiti marginali dell'ambito previsionale delle norme in essi 
dettate -si deve risalire, attraverso un'operazione logica, dal significato 
proprio delle parole (elemento semantico), secondo la loro connessione 
(elemento sintattico), alla volont� del legislatore (elemento pragmatico). 

Ed ove tale processo valutativo ed interpretativo non valga a penetrare 
l'effettiva portata delle cennate disposizioni normative, occorre rifarsi 
al criterio sistematico (oltre che a quello storico ed a quello comparativo). 


Al riguardo, va, innanzi tutto, osservato che -parlando l'art. 50 
genericamente di contratti per la riscossione di dazi, diritti e rendite 
(con compenso stabilito ad aggio od a premio) e, quindi, senza alcun 
riferimento ad un particolare tipo contrattuale -non pu� non escludersi 
che il legislatore abbia inteso, nel porre la cennata norma, riferirsi 
esclusivamente a contratti di tipo diverso dall'appalto, essendo agevole 
dedurre -sia dal preciso disposto di essa che dalla sua correla. 
zione con le altre norme del sistema tributario -la mens legis, intesa 
ad assegnare rilievo giuridico particolarmente all'attivit� di riscossione 
di somme, costituente elemento oggettuale del contratto, e non al tipo 
di negozio utilizzato per il conseguimento dello scopo -riferend?si gli 
appalti considerati nell'art. 52 ad attivit� diverse dalla riscossione (costruzioni, 
riparazioni, trasporti, somministrazioni, approvvigionamenti) e 
non potendosi, di fronte allo specifico riferimento dell'art. 50 all'attivit� 
di riscossione, ritenersi il generico spazio residuale, coperto della formula 
(di amplissima portata applicativa) �ogni altro oggetto valutabile 
�, contenuto nell'art. 52, comprensivo anche della riscossione realizzata 
attraverso un contratto di appalto. 

Ed ulteriore argomento in tal senso pu� trarsi -sul piano sistematico 
-dal riferimento all'art. 55 della legge di registro, riguardante 
il criterio di tassazione applicabile ai contratti di appalto, contenuto nella 
nota esplicativa dell'art. 50, dettata ai fini della determinazione dell'imponibile, 
giacch� da un tale collegamento (anche se volto ad un fine 
meramente strumentale) pu� dedursi che i negozi di appalto non si 
siano voluti escludere -secondo la mens legislatoris -dall'area paradigmatica 
dell'art. 50, per sussumerli in ogni caso sotto lo schema 
legale dell'art. 52. 

Inoltre, vale ricordare -sul piano storico -�ome il ripristino dell'aliquota 
differenziata nella misura del due per cento riguardo ai contratti 
di riscossione di somme mediante aggio o premio, sia stata effettuata 
con l'art. 7 del d.l. 6 aprile 1945, n. 145 (a differenza dell'aliquota 
ridotta all'uno per cento dall'art. 4 della legge 4 aprile 1953, n. 761 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per i contratti di appalto), in considerazione del compenso (per l'attivit� 
svolta ai fini della riscossione) stabilito ad aggio o premio, in quant0> 
questi, costituendo un corrispettivo certo e non suscettibile di alcun 
rischio economico, avrebbe eliminato rispetto a tutti i contratti, aventi 
ad oggetto l'attivit� di riscossione di somme mediante aggio o premio� 
(e, quindi, anche rispetto a quelli di appalto, aventi ad oggetto siffatta. 
attivit�), ogni alea di gestione, con la implicazione logica della giustificazione 
del beneficio della riduzione dell'aliquota riguardo ai contratti 
di appalto, comportanti per l'appaltatore un margine di alea e rischi0> 
economico. 

Per modo che, deve ritenersi che il particolare regime di tassazione,. 
stabilito dall'art. SO, sia stato fissato non in base ad un determinato 
tipo di contratto (riferendosi l'art. SO indiscriminatamente ad ogni fattispecie 
negoziale), ma alla qualit� della prestazione, posta a carico di 
una delle parti (riscossione di somme dovute per dazi, diritti e rendite),. 
ed al modo di� determinazione della retribuzione di essa. 

Ed in tal senso si � gi� espressa lo Corte Suprema -con riferimento� 
ai contratti di appalto per la riscossione delle imposte di consumo (dazi) 
(cfr. sent. 4 dicembre 1967, n. 2866, sent. 28 aprile 1941, n. 1222) -la. 
quale ha ritenuto che la tassazione nei confronti di siffatti contratti 
debba attuarsi con l'applicazione dei criteri fissati nell'art. SO. 

Risolto, pertanto, positivamente il problema di base, relativo all'ap-plicabilit� 
dell'art. SO anche al contratto di appalto stipulato per la 
riscossione di dazi, diritti e rendite mediante aggio o premio, viene� 
in considerazione il quesito corollario collegato e conseguente al primo, 
se nell'ambito dei �diritti� (da riscuotere) rientri (o meno) il corrispet-� 
tivo dovuto per la somministrazione di energia elettrica. 

Va, immediatamente, rilevato come, pur sembrando che gli obblighi 
(indicati nell'art. SO) in base ai quali sono dovute le somme da riscuo-� 
tere, trovino la loro fonte in atti di diversa natura, e cio� pubblicistica 
(come i dazi) o anche privatistica (come le rendite), non pu� non assegnarsi 
il giusto rilievo alla riflessione che, per compensare l'attivit� di 
riscossione delle somme dovute per tali obblighi, il legislatore abbia 
fatto richiamo al sistema di retribuzione normalmente adottato per la 
riscossione dei tributi (retribuzione mediante aggio dell'esattore� comu-� 
nale o consorziale dell'opera da lui prestata e soprattutto dell'obbligo� 
impostogli del non riscosso per riscosso, e cio� del versamento alle epo-� 
che stabilite delle imposte portate dai ruoli, siano o non state da lui 
riscosse). 

� indubbio che i dazi, indicati per primi nell'art. SO quali fonti degli 
obblighi di responsione di somme, costituendo veri e propri carichi tri-� 
butari, imposti ex lege, non possano non ricomprendersi nella categoria 
dogmatica delle obbligazioni pubbliche. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ed in tale categoria -pur presentando il problema notevoli difficolt� 
d'inquadramento giuridico -vanno sussunti -a parere di questa 
Corte -anche � i diritti� indicati (dopo i dazi) nell'art. SO. 

Invero, Vii innanzi tutto, rilevato come non possano configurarsi come 
" diritti � le prestazioni poste a carico delle parti nei contratti sinallagmatici, 
formando le stesse oggetto delle fattispecie negoziali con prestazioni 
corrispettive, e come siano, in linea di massima, normalmente denominati 
�diritti� i tributi pagati come corrispettivo di prestazioni rese 
ai cittadini da pubblici funzionari e da (taluni) esercenti pubblici servizi. 

E, sgombrato il campo dalle prime e rilevata la indubbia natura 
pubblicistica dei secondi, va considerato se nell'area dei cosiddetti diritti 
ex art. 50 possano ricondursi anche i corrispettivi dovuti per la fornitura 
di energia elettrica. 

� indubbio che la somministrazione di energia elettrica costituisca 
un servizio pubblico in senso oggettivo, rientrando essa fra le attivit� 
oggettivamente pubbliche non appartenenti a quelle cosiddette di spettanza 
necessaria (quanto ai modi di gestione) -non dovendo il servizio 
essere necessariamente gestito dal pubblico potere (per essere sufficiente 
in materia la direzione ed il controllo da parte di esso). 

Invero -pur potendo il servizio relativo alla produzione, al trasporto, 
alla distribuzione ed alla fornitura �di energia elettrica essere 
gestito (anzicch� in forma �amministrativa�, e cio� mediante strumenti 
di diritto pubblico (atti e procedimenti amministrativi, comportanti attivit� 
di tipo pubblicistico) in forma imprenditoriale, e cio� mediante strumenti 
di diritto privato -deve ritenersi che la somministrazione di 
energia elettrica agli utenti -sia che venga realizzata direttamente dal 
pubblico potere sia che venga attuata sotto la direzione ed il controllo 
di esso (come nel caso di piccola azienda elettrica rimasta in regime di 
concessione, anche a seguito della nazionalizzazione) -integri un'attivit� 
oggettivamente pubblica, avente carattere di pubblico servizio (il cui 
modo di organizzazione e di gestione � rimesso alla scelta discrezionale 
del legislatore ordinario). 

Ci� posto, nella normalit� dei casi, nella categoria dei � diritti � vanno 
ricompresi, come si � visto innanzi, gli oneri ed i carichi imposti va 
esaminato se siano riconducibili all'area concettuale dei � diritti � 
anche i canoni dovuti dagli utenti dei servizi pubblici come corrispettivo 
(prezzo della erogazione del servizio). 

E -poich�, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il 
carattere impositivo delle prestazioni non pu� escludersi per il solo fatto 
che la richiesta del servizio dipenda dalla volont� del privato -deve 
ritenersi che la determinazione autoritativa delle tariffe debba assiini



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

!arsi ad una vera e propria impos1z10ne di prestazioni patrimoniali, in 
cui � sotteso un indubbio profilo e riflesso pubblicistico (cfr. decis. 
Corte Cost. 9 aprile 1969, n. 72, in materia di tariffe relative ad utenze 
telefoniche). 

E -dovendo al concetto di � diritti �, oggetto di disputa, assegnarsi, 
quindi, valore di prestazioni determinate nell'ammontare per atto d'imperio 
dell'autorit� -in esso non possono non ricondursi anche i corrispettivi 
dovuti dagli utenti per la somministrazione dell'energia elettrica, 
onde riguardo ai contratti stipulati per la riscossione di essi deve 
ritenersi applicabile la disposizione dell'art. 50 della tariffa quando il 
compenso sia stabilito ad aggio od a premio. 

Ed in tal senso si � anche espressa -in ordine ai �diritti di mercato 
(del pesce) e di asta� -la Commissione Centrale delle Imposte 
(cfr. decis. 2 marzo 1959, n. 13993), la quale ha statuito che -ammettendosi 
dalla legge 12 luglio 1938, n. 1487 (contenente nuove norme per 
la disciplina dei mercati all'ingrosso del pesce) Ja riscossione dei cennati 
diritti, spettanti al Comune (tenuto, a norma dell'art. 8 della cit. 
legge, ad istituire il servizio di vendita e di asta del pesce per mezzo 
di propri dipendenti) per il servizio pubblico da esso prestato, attraverso 
l'affidamento ad istituti di credito mediante aggio -il contratto di appalto, 
stipulato fra il Comune ed i detti istituti per la riscossione dei 
diritti sopra indicati contro un compenso avente carattere di aggio di 
esattoria, debba essere tassato con l'aliquota di imposta prevista dall'art. 
50 della tariffa A allegata alla legge di registro. 

Infine, va considerato se (l'aggio o) il premio, spettante come corrispettivo 
per l'attivit� di riscossione di dazi, diritti e rendite, e costituente 
anch'esso elemento essenziale della fattispecie legale esaminata, 
possa (o meno) determinarsi in misura fissa. 

Secondo la tesi dell'ente resistente, il cotrispettivo per la riscossione 
di somme (per dazi, diritti e rendite), ove sia. determinato in contratto 
(come nel caso di specie) in misura fissa per ogni fattura, non potrebbe 
qualificarsi come (aggio o) premio, essendo, in ordine a questi, implicita 
la commisurazione del compenso in proporzione del riscosso. 

Tale concezione contrasta, per�, con l'opinione della prevalente corrente 
dottrinale (alla quale questa Corte ritiene di dover aderire), secondo 
cui il premio (costituente, nella normalit� dei casi, istituito di 
politica economica e di incentivazione) pu� essere stabilito anche in 
un ammontare fisso rapportato ad una unit�, con la conseguente implicazione 
che lo stesso possa venir materialmente determinato (come nel 
caso di specie) mediante una operazione aritmetica di moltiplicazione. 

E -poich�, come si � visto, nella ipotesi oggetto del presente dibattito 
giudiziale, ricorrono tutti gli estremi essenziali della fattispecie 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 279 

legale delineata nell'art. 50 della tariffa A -deve concludersi nel senso 
che il contratto, con il quale una societ� elettrica conceda ad un privato 
l'appalto del servizio di esazione delle fatture di fornitura di energia elettrica 
per un corrispettivo fisso per ogni fattura incassata, sia assoggettabile 
all'imposta di registro a norma dell'art. 50 della tariffa A, e cio� 
con l'aliquota del due per cento prevista da detta norma. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1976, n. 755 -Pres. Rossi -Est. 
D'Orsi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Salto) c. Soc. Immobiliare Pascolotto). 

Imposte e tasse in genere -Interpretazione della norma tributarla di 
agevolazione -Interpretazione estensiva -Criteri e limiti. 

Imposta di registro -Agevolazione per l'agricoltura -Acquisto di terreni 
allo scopo di eseguirvi opere di valorizzazione -Necessit� che le opere 
siano eseguite sullo stesso terreno acquistato -Esecuzione delle opere 
su diverso terreno gi� di propriet� dell'acquirente -Esclusione della 
agevolazione. 

(I. 9 ottobre 1964, n. 1271, art. 2). 
L'interpretazione delle norme tributarie di agevolazione, se pu� essere 
estensiva, non pu� mai prescindere dal significato proprio delle parole 
secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore e questa 
deve esser valutata in concreto Secondo il contenuto del me;:,zo legislativo 
scelto dal legislatore (1). 

L'agevolazione dell'art. 2 della legge 18 novembre 1964, n. 1271, per 
l'acquisto di beni immobili a destinazione agraria sui quali l'acquirente 
intende compiere opere di valorizzazione agraria approvate dal Capo dell'lspettorato 
provinciale dell'agricoltura, presuppone che le opere siano 
compiute sullo stesso terreno acquistato; essa non � pertanto applicabile 
quando le opere vengono eseguite su terreno diverso gi� di propriet� 
dell'acquirente (2). 

(1-2) La prima massima � un'ulteriore manifestazione della recentissima 
giurisprudenza tendente a contenere i limiti dell'interpretazione estensiva, alquanto 
dilatati dalla giurisprudenza meno recente: v. in proposito Cass. 15 febbraio 
1973, n. 478 (in questa Rassegna, 1973, I, 449); 9 agosto 1973, n. 2286 (ivi, 
966); 10 maggio 1974, n. 1345 (ivi, 1974, I, 997); 5 settembre 1974, n. 2419 (ivi, 
1265); 14 ottobre 1974, n. 2827 (ivi, 1438); 16 giugno 1975, n. 2408 (ivi, 1975, I ...); 
5 agosto 1975, n. 2978 (ivi, ...). 

Degna di rilievo � l'affermazione che l'intenzione del legislatore pu� essere 
ricercata solo in concreto dal contenuto della norma specifica di agevolazione 
e mai in astratto da generiche finalit� arbitrariamente supposte. 

La seconda massima � di evidente esattezza. 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE E APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 febbraio 1976, n. 576 -Pres. Boccia Est. 
Bile -P. M. Del Grosso (conf.) -Comune di Gjarre (avv. Carbone 
e Silvestri) c. Soc. n. c. Acquedotti Garraffo e Scilio (avv. Conte) e 
Ministero dei lavori pubqlici e altro (avv. Stato Albisinni). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Giudizio e procedimento -Ricorso alle 
sezioni unite della corte di cassazione -Termini -Rinvio materiale 
al cod. proc. civ. del 1865. 

� (T. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 182 e 202; cod. proc. civ. 1865, art. 518). 

In virt� del rinvio materiale all'art. 518 cod. proc. civ. 1865 e della contestuale 
riduzione alla met� dei termini ivi previsti, contenuti nell'art. 
202, comma 4, t. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, il termine per proporre ricorso 
alle sezioni unite della corte di cassazione contro le decisioni del tribunale 
superiore delle acque pubbliche � di quarantacinque giorni, decorrenti 
dalla notificazione del dispositivo da parte della cancelleria (1). 

(1) Giurisprudenza costante. 
Tra le pi� recenti decisioni in tal senso, Cass., 2 febbraio 1973 n. 311, Giust. 
civ., 1973, I, 50 con nota di SGROI V., Sistema processuale in materia di acque 
pubbliche e rinvio alle norme del codice di procedura civile; Cass., 21 aprile 1969 

n. 1265 e 26 aprile 1965 n. 1350, Giust. civ. Mass., 646 e 692; Cass., 25 maggio 1965 
n. 1029, in questa Rassegna, 1965, I, 567 con nota di MAND�, Il ricorso per cassazione 
contro le sentenze del Tribunale superiore delle acque. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1976, n. 760 -Pres. Caporaso -
Rel. Miele -P. M. Berri (conf.) -Impresa Cucullo (avv. Martinez) c. 
Ferrovie dello Stato (avv. Stato Siconolfi). 

Appalto -Appalto di .opere pubbliche -Prezzi -Immutabilit� -Revisione � 
Carattere di eccezione al principio della immutabilit� dei prezzi. 
(Capitolato generale di appalto delle opere di competenza delle Ferrovie dello Stato ap� 
provato con delibera del 9 aprile 1909, art. 9; d.m. 3 settembre 1940, n. 857). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Prezzi -Revisione -Situazione soggettiva 
dell'appaltatore. ~: 

(D. m. 3 settembre 1940, n. 857). (. 
i: 
! ~ 

.~ 

......... -f 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 281 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Prezzi � Revisione � Accordi con il 
direttore dei lavori � Approvazione � Necessit�. 

(D. m. 3 settembre 1940, n. 857). 
Nei contratti di appalto di opere pubbliche opera il principio della immutabilit� 
dei prezzi convenuti. Tale principio nella sua assolutezza, se 
giusto in tempi normali, pu� divenire iniquo in particolari condizioni di 
mercato (ad es. in seguito a guerra) e ci� spiega le clausole di revisione dei 
prezzi inserite in molti contratti di appalto e pi� in generale i provvedimenti 
legislativi che, in via eccezionale, prevedono la revisione dei 
prezzi (1). 

Salvo che non vi sia apposita clausola di revisione nel contratto 'o 
se la pubblica amministrazione non abbia concesso la revisione dei prezzi 
l'appaltatore � carente di diritto alla revisione e ci� anche nell'ipotesi 
in cui la pubblica amministrazione non abbia adottato il provvedimento di 
revisione che fosse legislativamente previsto, giacch� la revisione dei prezzi 
(all'infuori di apposita clausola contrattuale) � sempre rimessa al potere 
discrezionale della pubblica amministrazione (2). 

Gli ev�ntuali accordi intervenuti tra l'appaltatore ed il direttore dei 
lavori in merito alla revisione dei prezzi contrattuali non sono operanti 
.se non approvati dall'amministrazione committente (3). 

(Omissis). -Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza 
impugnata per avere questa rilevato, senza che fosse stata proposta ec-
cezione al riguardo da parte delle amministrazioni convenute, che non 

(1-2) La sentenza conferma che la revisione dei prezzi costituisce eccezione , 
al principio della invariabilit� dei prezzi contrattuali: qualificazione in ragione 
della quale si � gi� in altre occasioni contestato che la revisione dei prezzi 
possa costituire oggetto di autonoma regolamentazione contrattuale, tale da 
attribuire all'appaltatore un diritto soggettivo alla revisione (cfr. in Rass. Avv. 
Stato, 1974, I, 1279, in nota). 

Sulla situazione di solo interesse legittimo riconoscibile all'appaltatore in 

tema di revisione dei prezzi, cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 27 marzo 1975, 

n. 1157, Rass. Avv. Stato, 1975, I, 444; Cass., sez. un., 12 ottobre 1974, n. 2817 e 
28 ottobre 1974, n. 3201 e n. 3202, ivi, 1974, I, 1278. 
Sulla revisione dei prezzi nell'appalto di opere pubbliche cfr., per le varie 
.questioni e con riferimento anche alla pi� recente normativa, Rel. Avv. Stato, 
1971-1975, III, 368 e segg. ' 

(3) Va rilevato che in via di principio, e contrariamente a quanto sembre, 
rebbe presupposto nell'ultima parte della motivazione della sentenza in rassegna 
(che fa peraltro riferimento alle particolari disposizioni del capitolato generale 
<li appalto per le opere di competenza delle Ferrovie dello Stato), il criterio 
enunciato nella massima � valido anche per quanto concerne il concordamento 
<lei nuovi prezzi, vincolante per l'amministrazione committente solo se approvato 
dall'organo competente; in argomento cfr., amplius, Rel. Avv. Stato, 19711975, 
II, 234 e, segg. 

282 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

poteva farsi luogo a revisione di prezzi trattandosi di appalto di durata 
inferiore a sei mesi. In ogni caso la motivazione della Corte era errata ed 
insufficiente in quanto non si trattava di pretesa alla revisione dei prezzi 
bens� di domanda diretta alla osservanza di un concordato prezzi intervenuto 
tra lui e l'Amministrazione. Ad ogni modo osservava che, comunque, 
di fatto il termine di durata era abbondantemente supe1iore ai sei 
mesi ed inoltre la Corte non aveva considerato che, l'amministrazione con 
gli ordini di servizio del 1943 aveva in ogni caso assicurato l'applicazione 
dei prezzi indipendentemente dall'aumento che era stato concordato nel 
giugno 1942. 

Con il secondo motivo, che � opportuno esaminare congiuntamente 
al primo, si afferma che la Corte ha erroneamente ritenuto il direttore dei 
lavori privo dei poteri di concordare variazioni dei prezzi, possibilit� che 
invece prevedono gli articoli 14, 15 e 20 del capitolato generale delle Ferrovie 
dello Stato 9 aprile 1909. In ogni modo l'amministrazione convenuta 
non aveva provato che il direttore dei lavori aveva ecceduto dalla sua 
competenza. 

Le censure dei motivi sopra riassunti sonb infondate. 

Va premesso che la Corte ha basato la sua decisione su due ordini di 
ragioni: a) ha ritenuto che il Cucullo non avrebbe avuto un diritto alla 
revisione dei prezzi azionabile avanti al giudice ordinario essendo la revisione 
una facolt� discr~zione della pubblica amministrazione; e perch�, 
in ogni caso trattandosi di contratto di appalto di durata inferiore a sei 
mesi, esso non era suscettibile di revisione nei prezzi, vietandolo le norme 
del d. m. 3 settembre 1940, n. 857; b) ha escluso che il preteso accordo sulla 
revisione dei prezzi era intervenuto essendo mancata l'approvazione delle 
autorit� superiori. 

E' assorbente l'esame della motivazione del punto b) in quanto se il 
preteso accordo avesse richiesto, come affermato dalla Corte, l'approvazione 
delle autorit� superiori, non avendo provato il Cucullo che il preteso 
concordato prezzi fosse stato appr�vato dalle autorit� superiori, 
esso sarebbe stato al tutto privo di efficacia. 

La decisione sul punto non merita censura. 

Va premesso che nei contratti di appalto di opere pubbliche opera il 

principio della immutabilit� dei prezzi convenuti, immutabilit� espressa


mente sancita dall'art. 9 del capitolato generale amministrativo di appalto 

di opere ferroviarie (Deliberazione del Consiglio di amministrazione 9 apri� 

le 1909). Tale principio nella sua assolutezza, se giusto in tempi normali, 

pu� divenire iniquo in particolati condizioni di mercato (ad es. in seguito 

a guerre) e ci� spiega le clausole di revisione di prezzi inserite in molti 

contratti di appalto e pi� in generale i provvedimenti legislativi che, in 

via eccezionale, prevedono la revisione dei prezzi. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Quindi, salvo che non vi sia apposita clausola di revisione nel contratto 

o se la pubblica amministrazione non abbia concesso la revisione, l'appaltatore 
� carente di diritto alla revisione e ci� anche nell'ipotesi che la 
pubblica amministrazione non abbia adottato il provvedimento di revisione, 
che fosse legislativamente previsto, giacch� la revisione dei prezzi 
(all'infuori di apposita clausola contrattuale) � sempre rimessa al potere 
discrezionale della pubblica amministrazione stessa (cfr. Cass. 26 marzo 
1968, n. 933). Nel caso in esame per� l'attuale ricorrente fonda la sua 
pretesa su un accordo di revisione prezzi (�concordato prezzi�) che sarebbe 
intervenuto tra lui e l'amministrazione ferroviaria nel 1942 e di poi 
sarebbe stato confermato con ordine di servizio n. 25 del 13 febbraio 1943. 
In relazione a quanto affermato pi� sopra, perde ogni rilevanza la questione 
se ricorressero o no le condizioni per la revisione (nella specie se vi era 
la particolare durata del contratto prevista dal provvedimento d. m. 
3 settembre 1940, n. 857) e la Corte di merito non doveva occuparsene, 
dovendo limitarsi ad accertare l'esistenza di detto preteso accordo e se questo 
fosse vincolante per l'amministrazione convenuta. Di modo che non ha 
nessun rilievo se l'argomentazione adottata al riguardo dalla medesima 
e censurata sia o no esatta. 
Ci� posto sulla base dei soli fatti esposti dall'appaltatore ed indipendentemente 
dalla produzione dei documenti relativi a tali accordi, 
va esclusa, come ha esattamente ritenuto la Corte d'appello, la pretesa 
del Cucullo. Invero tali pretesi accordi per essere efficaci richiedevano 
che fossero approvati dalla autorit� superiore, e di tale approvazione non 
v'� traccia negli atti e neppure � affermata sussistente dal ricorrente. Approvazione 
necessaria in forza del d. m. n. 857 del 1940 cit. secondo cui le 
autorit� periferiche dell'amministrazione ferroviaria sono autorizzate solo 
a esporre � proposte di revisione � alla autorizzazione delle � Superiori autorit� 
�. Tale approvazione � quindi l'atto che rende operante non solo le 
eventuali proposte unilaterali dell'amministrazione ferroviaria ma anche gli 
eventuali accordi eventualmente intervenuti con l'appaltatore, non potendo 
esservi dubbio che anche eventuali accordi, in quanto importanti modificazione 
di un elemento del contratto, siano soggette ad approvazione. Ma 
il ricorrente vorrebbe rinvenire il potere legittimante in tal senso negli 
articoli 14, 15 e 20 del capitolato generale delle ferrovie dello Stato 
9 aprile 1909 i quali abiliterebbero il direttore dei lavori, senza bisogno 
di altra approvazione, alla variazione dei prezzi. Ma la tesi non ha fondamento. 


Negli articoli suddetti si prevede il potere del direttore dei lavori di 
ordinare nuovi lavori, i quali debbono essere valutati ai prezzi di tariffa e, 
solo se manchino, essi vanno determinati con la procedura dell'art. 20 e 
cio� vengono concordati tra direttore dei lavori ed appaltatore ed in caso 
di mancato accordo direttamente dalla amministrazione, salvo riserva 


284 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'appaltatore. Pertanto i poteri dei direttori dei lavori sono limitati 
a tale spe�ifiche ipotesi in cui siano disposti nuovi lavori, per i quali non vi 
siano prezzi di tariffa ed egli non ha alcun potere deliberativo nei casi 
in cui non vi sia variazione di lavori e si voglia solo modificare il prezzo. 
Con la modificazione del prezzo, in che si concreta la revisione, importando 
modificazione del contratto in un suo elemento� costitutivo, richiede l'adozione 
della procedura stabilita dalla legge all'uopo. Pertanto, poich� nel 
caso in esame non ricorreva un caso considerato dall'art. 15 del capitolato, 
la eventuale modificazione non poteva essere concordata direttamente dal 
direttore dei lavori ma accordata solo a seguito della procedura del d. m. 

n. 857 del 1940. -(Omissis). 
TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 11 giugno 1975, n. 13 � Pres. Danzi � 
Rel. Granata � Regione autonoma della Valle d'Aosta (avv. Colonna, 
Palmas e Fornario) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Albisinni), 

E.N.E.L. (avv. Conte) e S.I.P. (avv. Geremia e Greco). 
Conflitto di attribuzioni -Tra Stato e Regioni � Passaggio di beni dallo 
Stato alle Regioni -Momento � Determinazione -Rilevanza per la 
soluzione del conflitto -Competenza della Corte Costituzionale. 
(Cost., art. 134; I. 11 marzo 1953, n. 87, artt. 39 e ss.). 

Conflitto di attribuzioni -Tra Stato e Regione autonoma Valle d'Aosta . 
In materia di acque pubbliche -Inconfigurabilit�. 
(St. sp. Valle d'Aosta, artt. 7 e 8). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione e derivazione . Passaggio alla 
Valle d'Aosta -Concessioni non utilizzate al 7 settembre 1945 -Accer� 
tamento -Natura costitutiva. 
(St. sp. Valle d'Aosta, artt. 7 e 8, commi 1 e 2). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione e derivazione -Passaggio alla 
Valle d'Aosta -Incidenza sul canone -Disciplina dei casi di cessazione Applicabilit�. 
(St. sp. Valle d'Aosta, artt. 7 e 8; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 55 comma 6). 

Spetta alla Corte costituzionale, quale giudice dei conflitti di attribuzione, 
stabilire in che momento sia avvenuto il passaggio d'un bene dello 
Stato ad una Regione, quante volte ci� sia controverso e l'appartenenza del 
bene costituisca il presupposto della titolarit� del potere esercitato (1). 

(1) In termini, richiamata in motivazione, Corte cost., 18 maggio 1959, n. 31, 
Giur. cast., 1959, 383 con osserv. critica di CASSARINO, Un preteso conflitto di 
attribuzioni; adde, Corte cost., 23 marzo 1960, n. ,13, Giur. cast., 1960, 123. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 285 

In materia di acque pubbliche non � configurabile un conflitto di attribuzioni 
tra lo Stato e la Regione autonoma della Valle d'Aosta, perch� le 
acque esistenti nel territorio di questa sono state solo fatte oggetto di con.
cessione gratuita novantanovennale alla regione rimanendo perci� nel demanio 
dello Stato, s� che � da escludere in ordine ad esse un integrale trasferimento 
dei pubblici poteri dello Stato alla Regione (2). 

Il passaggio alla Regione autonoma della Valle d'Aosta delle concessioni 
di acque gi� <;J.Ssentite alla data del 7 settembre 1945 ma a tale data 
non ancora utilizzate si opera per effetto del provvedimento degli organi 
dello St�to che accertano il mancato esercizio e dal momento della emissione 
di tale provvedimento, che ha perci� natura costitutiva (3). 

Il canone di concessione di acque pubbliche � dovuto per l'intero anno 
in corso al momento della cessazione del rapporto, ogniqualvolta questa 
sia riconducibile al fatto del concessionario: e la regola trova applicazione 
anche nel caso di cessazione del rapporto con conseguente passaggio alla 
Regione autonoma della 'valle d'Aosta delle concessioni non utilizzate alla 
data del 7 settembre 1945, in cui la cessazione del rapporto si ricollega 
a fatto dell'utente (4). 

(Omissis). -La questione di difetto di giurisdiziqne, sollevata dalla 
Regione Autonoma della Valle d'Aosta in primo grado sul rilievo che la 

(2) Cass., 6 novembre 1958, n. 3618 e 6 maggio 1963, n. il107, richiamate in 
motivazione, sono pubblicate, la prima in Foro pad., 1959, I, 1353 con nota di 
BuscA, Giur. it., 1959, I, l, 765 con osserv. di BUSCA e Giust. civ., 1959, I, 28; la 
seconda in Giust. civ., 1963, I, 2111 con osserv. di LIPARI. 
(3) La disciplina delle acque pubbliche� esistenti nella Regione della Valle 
d'Aosta aveva gi� costituito oggetto d'esame da parte della giurisprudenza, ma 
non consta della esistenza di precedenti editi in cui sia venuto in discussione 
il profilo di tale disciplina cui ha riguardo la decisione. 
La decisione del Tribunale superiore � stata impugnata con ricorso alle 
Sezioni unite della Corte di cassazione e sulla questione vengono ora ad inci� 
dere gli artt. 2 e 3 della legge 5 luglio 1975, n. 304, con cui sono state dettate 
norme per la utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico nella 
regione della Valle d'Aosta. Ci si limita quindi a segnalare i precedenti relativi 
alla disciplina delle acque pubbliche nella Valle d'Aosta, considerata nel suo 
�complesso. 

Lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta (l. cost. 26 febbra�o 1948, n. 4), 
riprendendo e sviluppando disposizioni gi� dettate con il d. l.vo lgt. 7 settembre 
1945, n. 546, ha trasferito al demanio della Regione le acque pubbliche ad 
uso di irrigazione e potabile (art. 5 comma secondo) (Cons. St., Sez. II, 16 marzo 
1955, n. 1022, Riv. Amm., 1956, 743 e Cons. Stato, 1957, I, 261, ha affermato che 
insopprimibili esigenze di certezza impongono di considerare trasferite al demanio 
regionale le sole acque che un provvedimento in atto, di concessione 
�o riconoscimento d'uso, qualifica come destinate ad uso di irrigazione o pota� 
bile, con conseguente esclusione di quelle oggetto di utenze abusive), mentre 
delle altre ha previsto la concessione gratuita alla Regione per novantanove 



286 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

controversia se spettino allo Stato o alla Regione i canoni di utenza dal 
primo pretesi con le ingiunzioni opposte propone un conflitto di attribuzione 
fra i suddetti soggetti devoluto alla cognizione della Corte Costituzionale, 
non � stata rinnovata in questa sede. Di essa tuttavia il Tribunale 
Superiore reputa doversi dare egualmente carico, attesane la rilevabilit� 
di ufficio. 

La sentenza impugnata ha negato la sussistenza del dedotto difetto di 
giurisdizione e la decisione va tenuta ferma. Non tanto perch�, come il 
Tribunale regionale ha ritenuto, sarebbe in discussione non il �passaggio� 
alla Regione delle concessioni di cui trattasi perch� non utilizzate alla data 
del 7 settembre 1945, bens�, soltanto il � momento � in cui tale passaggio 
� avvenuto: ed invero quando, come nella specie, la � appartenenza� del 
bene si pone come presupposto della titolarit� del potere, della cui spettanza 
all'uno o all'altro soggetto costituzionale si controverte, costituisce 
accertamento devoluto alla competenza del giudice del relativo conflitto 
di attribuzione anche quello volto a � stabilire, qualora se ne dubiti, il 
momento in cui il passaggio del bene � dall'uno all'altro soggetto abbia 
avuto luogo (Corte Cost. 18 maggio 1959, n. 31). Quanto piuttosto perch�, 

anni, consentendone la rinnovazione (art. 7 comma primo). :� pacifico che queste 
acque sono rimaste nel demanio statale, ma sul significato e la rilevanza della 
concessione novantanovennale alla Regione si � registrata una evoluzione giurisprudenziale. 


Le primi:: controversie in cui sono venuti in questione gli effetti della 
disciplina pl'evista dallo Statuto sono state risolte in base ad un canone 
di giudizio fondato sulla qualificazione del fenomeno in termini di concessione, 
in stretta aderenza alla lettera della norma (Trib. sup. acque, 5 agosto 
1949, n. 16, Acque bonif. costruz. 1950, 374; Trib. sup. acque, 9 marzo 1956, 

n. 4, Acque bonif. costruz. 1956, 66 e Foro amm. 1956, Il, 3, 13). Decidendo 
peraltro sulla impugnazione di illegittimit� costituzionale della legge regionale 
sulla ricerca e la coltivazione delle miniere in Valle d'Aosta (1. reg. 
8 febbraio 1958, n. 1) la Corte costituzionale (27 gennaio 1958, n. 8, Giur. 
cast. 1958, 59 con osserv. di C. F., Poteri della Regione della Valle d'Ansta 
in materia mineraria), osservando che un'identica tesi risultava accolta dal 
Consiglio di Stato in sede consultiva rispetto all'analoga materia delle acque 
pubbliche, ha affermato che la concessione delle miniere alla Regione, prevista 
dall'art. 11 St., andava considerata come � attribuzione alla Regione 
di un complesso di poteri, che essa deve esercitare, in luogo degli organi 
statali, per fini di decentramento >>, donde la conclusione che la concessione 
va intesa come un (anche se non integrale) conferimento di poteri alla 
Regione, in ordine ad un tipo di beni, e non invece come complesso di 
concessioni di beni appartenenti ad un certo tipo di beni pubblici. 
La Corte, decidendo della questione di legittimit� costituzionale della 
legge di nazionalizzazione della energia elettrica, ha poi sommariamente individuato 
i termini di compatibilit� delle due discipline ed ha rilevato che 
quella adottata con la legge di nazionalizzazione trovava rispetto all'altra 
una ragione di prevalenza nell'art. 7, comma quarto, St. -cui si � anche 
richiamata la decisione in rassegna -per cui la concessione � sqbordi




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 287 

conformemente all'insegnamento della Corte Suprema di Cassazione (cfr. 

sentenze a SS.UU. 6 novembre 1958, n. 3619 e 6 maggio 1963, n. 1107), non 

� in principio configurabile un conflitto di attribuzione ai sensi dell'art. 134 

Cost. tra lo Stato e la Regione Autonoma della Valle d'Aosta in ordine alle 

acque pubbliche esistenti nel territorio di quest'ultima, essendo le acque 

stesse rimaste nel Demanio dello Stato giacch� fatto oggetto soltanto di 

concessione gratuita novantanovennale in favore della Regione e dovendosi, 

quindi, escludere, in riferimento ad esse, un integrale trasferimento dei 

pubblici poteri dallo Stato alla Regione. 

Passando al merito, conviene premettere, all'esposizione ed all'esame 
delle censure rivolte della Regione e dall'Enel alla decisione dei primi giudici, 
la precisazione che oggetto della pretesa creditoria, azionata dallo 
Stato contro la S.I.P. e l'Enel nelle ingiunzioni dall'una e dall'altro opposte 
con gli atti introduttivi del presente giudizio, sono i canoni (che si pretendono) 
dovuti in base alle concessioni idroelettriche relative agli impianti 
detti di � Valgrisanche � -o, anche di �Avise� -e di � Laures �, rispettivamente 
assentite con d.r. 20 agosto 1923, n. 1833 e con d.r. 30 novembre 
1942, n. 295, con decorrenza fino alla emanazione dei decreti intermini


nata, in ogni caso, alla condizione che lo Stato non intenda fare oggetto 
le acque di un piano di interesse nazionale (Corte cost., 7 marzo 1964, n. 13, 
Giur. cost., 1964, 90 con nota di CRISAFULLI, Legge di nazionalizzazione, decreti 
delegati e ricorsi regionali). 

Come � stato posto in evidenza dal Tribunale superiore la regola generale 
dettata dall'art. 7, comma primo, St. sulla concessione alla Regione 
delle acque esistenti nella Valle (diverse da quelle previste dall'art. 5 St.) 
presenta una deroga per le acque che alla data del 7 settembre 1945 avessero 
gi� formato oggetto di riconoscimento di uso o di concessione (art. 7, comma 
secondo). La deroga era gi� stata prevista dall'art. 1, comma secondo, 
del d. l.vo lgt. 7 settembre 1945, n. 546, ma, mentre con questa disposizione 
s'era stabilito che le acque restassero sottratte alla concessione novantanovennale 
anche quando uso o concessione fossero venuti a cessare, l'art. 7, 
comma terzo, St. ha all'opposto previsto il subentrare della Regione nella 
concessione alla cessazione dell'uso o della concessione. 

L'applicazione di questo complesso di disposizioni ha dato luogo ad alcune 
controversie. In una prima controversia � venuto in questione l'applicazione 
dell'art. 7, comma secondo, St., in relazione a concessione assentita 
dal sedicente governo della R.S.I. ed alla incidenza di un provvedimento di 
convalida adottato successivamente al 7 settembre 1945 a norma dell'art. 3 

d. l.vo lgt. 5 ottobre 1944, n. 249: � stato riconosciuto che alla data del 7 
settembre 1945 non esisteva un provvedimento di concessione, onde a quella 
stessa data l'acqua doveva considerarsi concessa alla Regione a norma dell'art. 
7, comma primo, St., cosicch� non poteva pi� aversi� convalida della 
concessione assentita dal governo della R.S.I. (Trib. sup. acque, 31 dicembre 
1956, n. 27, Acque bonif. costruz., 1957, 53, Foro it., 1957, I, 270 e Giur. it., 
1959, I, 2, 792 con nota di BARUCCHI; Cass. 6 novembre 1958, n. 3619, cit.). 
Un secondo or.dine di controversie ha riguardato la interpretazione dell'art. 
7, comma terzo, St., essendosi discussa e negata la possibilit� che lo 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

288 

steriali n. 2305 del 18 luglio 1962, per la prima, e n. 919 del 6 maggio 1963, 
per la seconda, che pronunciarono il passaggio delle concessioni stesse 
alla Regione perch� non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, a norma 
dell'art. 8 comma primo dello Statuto regionale. 

All'oggetto cos� identificato ineriscono -in quanto relative alla sussistenza 
ed alla titolarit� attiva e passiva del rapporto obbligatorio concernente 
quei canoni demaniali -le questioni riproposte dalla Regione con 
l'ultimo motivo di gravame distinto con il n. VII e correlato alle richieste 
elencate ai numeri II e III dell'atto di appello ed ai nn. III e IV delle conclusioni 
definitive, e quelle riproposte dall'Enel con i primi tre motivi del 
proprio gravame. 

Tesi di fondo comune ai due appellanti � che il � passaggio � dallo 
Stato alla Regione delle concessioni assentite precedentemente al 7 settembre 
1945, ma non ancora utilizzate a tale data, si produce ope legis, 
in forza della previsione in tal sens9 dettata dall'art. 18 comma primo dello 
Statuto regionale, approvato con legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4, e che 
pertanto i provvedimenti statuali, che in ordine a tale effetto pronunzino 
(come nella specie i citati decreti interministeriali 18 luglio 1962, n. 2305 per 
la derivazione di Valgrisanche e 6 maggio 1963, n. 919 per quella di Laures), 
siano non co�stitutivi, ma meramente dichiarativi dell'effetto gi� prodottosi. 

Le posizioni dei due appellanti divergono, poi, nell'ulteriore svolgimento 
della tesi, sul punto concernente la individuazione dello � oggetto � 

Stato facesse luogo dopo il 7 settembre 1945 alla rinnovazione di concessioni 
scadute anteriormente (Trib. sup. acque, 9 marzo 1956, n. 4, Acque bonif. costruz., 
1956, 66 e Foro amm., 1956, II, 3, 13; Trib. sup. acque, 20 luglio 1960, 

n. 28, Acque bonif. costruz., 1960, 394 con nota di CORSARO, e Giust. civ., 1961, 
I, 
142; Cass., 6 maggio 1963, n. 1107, cit.). 
In sostanza, anche argomentando sulla base della 1. reg. 8 novembre 1956, 

n. 5, con cui era stata data applicazione nella Regione alla 1. 8 gennaio 1962, 
n. 42 sulla proroga delle concessioni per piccole derivazioni, si � affermato 
che la concessione novantanovennale alla Regione prevista dall'art. 7, comma 
primo, St. si � determinata ex lege alla data del 7 settembre 1945 per le acque 
per cui alla stessa data non era intervenuto un provvedimento di riconosci� 
mento d'uso o di concessione o lo stesso aveva esaurito la sua efficacia per 
scadenza del termine di durata, mentre le acque oggetto di provvedimenti 
concessori in atto al 7 settembre 1945 rientreranno tra quelle concesse allo 
esaurimento delle precedenti concessioni. 
L'art. 8, comma primo, St. dispone infine che le concessioni di acque indicate 
nel secondo comma dell'art. 7, che alla data del 7 settembre 1945� 
non siano state utilizzate, passano alla Regione, ed � l'applicazione di questa 
norma che ha dato luogo alla controversia decisa dalla sentenza in rassegna. 

Per quanto attiene alla natura costitutiva con efficacia ex nunc dei provvedimenti 
che dispongano la decadenza da concessioni di acque pubbliche, cfr., 
tra le decisioni pi� recenti, Cass., 7 ottobre 1969, n. 3194 e Trib. sup. acque,. 
18 aprile 1968, n. 9, in� questa Rassegna, 1969, I, 965 e 1968, I, 646. 

(4) Non constano precedenti in termini. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 289' 

del passaggio: che, mentre la Regione, come meglio ha chiarito la sua difesa 
nella discussione orale davanti al Collegio, sostiene che passerebbe la. 
titolarit� attiva del rapporto di concessione originario, il quale proseguirebbe, 
soggettivamente novato nella persona del concedente, fra l'Amministrazione 
regionale ed il vecchio concessionario, invece l'Enel ci� recisamente 
nega, affermando che effetto della vicenda sarebbe soltanto la 
inclusione delle acque, gi� oggetto della concessione non utilizzata alla. 
data di riferimento del 7 settembre 1945 e per tale ragione fatta cessare 
dalla legge, nel pi� ampio e generale complesso idrico attribuito alla Regione 
in concessione novantanovennale gratuita in forza dell'art. 7 comma primo 
dello Statuto. Con le opposte conseguenze che, secondo la Regione, i canoni 
maturati successivamente alla data del 7 settembre 1945 competerebbero 
ad essa, in quanto subentrata da quel momento allo Stato nella posizione 
di concedente, mentre secondo l'Enel nulla, a far tempo da quella 
data, potrebbe essere preteso a titolo di canone dalla Regione, se non dopo� 
avere regolarizzato, mediante il formale provvedimento di subconcessione 
previsto dall'art. 8, comma secondo, ultima parte, dello Statuto, il rappo;rto� 
di fatto eventualmente proseguito con l'antico concessionario dello Stato.. 

Come ha gi� ritenuto il Tribunale regionale la tesi degli appellanti � 
errata in radice. 

La disciplina dettata dallo Statuto regionale per le acque pubbliche 
esistenti nella. Regione, diverse da quelle in uso di irrigazione e potabile, 
pu� sintetizzarsi nella statuizione, in sequenza, di una regola, di una ecce-� 
zione alla regola e, infine, di due deroghe alla eccezione. 

La regola � sancita dall'art. 7, comma primo, a norma del quale 
�le acque pubbliche� in parola �sono date in concessione gratuita per 
novantanove anni alla Regione �, 

L'eccezione � nel comma successivo, per il quale �sono escluse dalla 
concessione le acque che alla data del 7 settembre 1945 abbiano gi� formato� 
oggetto di riconoscimento di uso o di concessione �, 

Le due deroghe, infine, a quest'ultima disposizione sono statuite nel 
successivo terzo comma dello stesso art. 7 e nel comma primo dell'art. 8' 
seguente, nei quali, con riferimento proprio alle acque � escluse � dalla 
concessione novantanovennale a termini del secondo comma dell'art. 7 
� stabilito -rispettivan1ente -che �alla �cessazione dell'uso e della concessione... 
la Regione subentra nella concessione �, e .che quelle stesse 
� concessioni di acque.. ., che alla data del 7 settembre 1945 non siano state 
utilizzate, passano alla Regione �. 

In relazione alla sequenza normativa cos� tracciata, il problema relativo 

alla individuazione dell'ambito entro il quale � destinata ad operare la 

successiva disposizione dettata dal comma secondo dello stesso art. 8 -a 

norma della quale � il Presidente della Giunta regionale ha facolt� di pro


vocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle conces



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sioni, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge � -si risolve nel 
senso della riferibilit� di essa sia alla ipotesi del � subentro >>, di cui al terzo 
comma dell'art. 7, sia a quella del �passaggio�, di cui al primo comma 
dell'art. 8, in base a decisive considerazioni letterali, sistematiche e razionali. 


Sul piano letterale, la tesi -alla cui stregua il legislatore statutario 
ha usato, nel secondo comma dell'art. 8, il termine � decadenza � per riferirsi 
non solo alle ipote$i come tali definite dall'art. 55 del t. u. sulle acque 
pubbliche, approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, certamente ricomprese 
nella �cessazione� regolata dal terzo comma dell'art. 7 dello stesso 
Statuto, ma anche alla fattispecie delineata nel precedente comma primo � 
resa attendibile dalla considerazione della presenza in quest'ultima di 
elementi strutturali (mancato inizio della utilizzazione entro un dato termine) 
obiettivamente analoghi a quelli propri di una delle figure tipiche 
della ricordata decadenza di diritto comune (lett. f del citato art. 55 t. u. 
sulle acque). 

La conferma della esattezza di tale lettura � data poi dalla collocazione 
della norma, la quale, ove si fosse riferita unicamente alla disposizione 
di cui al terzo comma dell'art. 7 avrebbe dovuto trovare posto di 
seguito a questo, anzich� nell'articolo successivo e dopo il primo comma 
dello stesso, laddove quella in concreto adottata dal legislatore in tanto 
ha senso, in quanto il secondo comma dell'art. 8 esprima la continuazione 
del discorso svolto (anche) nel precedente comma primo. 

Ed ancora in senso conforme depone il confronto con la disposizione 
dettata dal successivo art. 11 per le miniere, che � in parallelo � con 
la normativa degli artt. 7 e 8 relativa alle acque, dispone pur essa la decadenza 
� per non uso � del bene pubblico da parte del concessionario, 
limitatamente peraltro all'ipotesi di diritto comune della mancata � utilizzazione 
nei termini previsti dalla 'legge�, attribuendo anche qui alla 
Regione, sebbene terza rispetto al rapporto in atto, la facolt� di promuovere 
la declaratoria di decadenza. 

N� va sottaciuto, infine, che, anche per il �passaggio� alla Regione 
delle derivazioni idroelettriche (assentite ma) non utilizzate alla data 
del 7 settembre 1945, l'ancoramento del (momento del) suo verificarsi al 
dato formale dell'accertamento, da parte dei competenti organi statuali, 
del presupposto di fatto in cui esso ha causa, risponde a concrete esigenze 
di certezza nei rapporti fra tutti i soggetti interessati, e trova ulteriore 
ragione nella necessit� che, pure rispetto alle acque oggetto di 
questa particolare vicenda, sia contestualmente compiuta quella valutazione, 
largamente discrezionale, di compatibilit� con i programmi generali 
dello Stato, imposta come regola generalissima dell'ultimo comma 
dell'art. 7. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN'MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Accertata cos� la funzione costitutiva, che il provvedimento statale 
pronunziante il � passaggio � alla Regione delle concessioni (assentite ma) 
non utilizzate alla data del 7 settembre 1945 esplica nell'ambito della fattispecie 
legale delineata dall'art. 8 dello Statuto, si appalesa priva df rilevanza, 
sul piano della disciplina legislativa dei rapporti di cui � causa, 
la eventuale diversit� di opinioni che in materia possano avere avuto, 
all'epoca, i soggetti interessati e le stesse amministrazioni statali autrici 
d�i provvedimenti, e restano pertanto superate le considerazioni svolte 
dagli appellanti riguardo alle valutazioni soggettive degli uni e delle altre 
in tesi desumibili dai decreti interministeriali 18 luglio 1962 e 6 maggio 
1963 e dalla convenzione 14 settembre 1961 fra la SIP e la Regione. 

Come del pari irrilevanti si appalesano le ulteriori argomentazioni 
critiche che l'Enel vorrebbe trarre dalla intervenuta attuazione, prima 
del decreto pronunziante il passaggio alla Regione, della derivazione di 
Valgrisanche, nonch� dalla sopravvenienza della legge di nazionalizzazione. 
Quanto invero, alla prima deduzione � sufficiente rilevare che l'elemento 
di fatto costitutivo della fattispecie legale in esame � unicamente 
la mancata utilizzazione alla data di riferimento fissata dalla legge (7 settembre 
1945), indipendentemente dalle. successive vic�nde degli impianti. 
La indifferenza, poi, del secondo tema al _profilo della causa qui considerato 
si desume dalla considerazione che la declaratoria del passaggio 
alla Regione, pur dopo la nazionalizzazione, rimaneva in ogni caso giustificato 
dalla sopravvivenza della concessione novantanovennale nei limiti 
della �compatibilit�� con il nuovo regime di monopolio in favore 
dell'Enel (Corte Cost: 7 marzo 1964, n. 13). 

Per altro verso, inoltre, la richiesta della Regione -formulata ai nn. 
I dell'atto di appello e II delle conclusioni definitive, sulla base dei motivi 
di gravame contrassegnati con i nn. IV e V -di individuare �al positivo 
� gli specifici effetti prodotti dalla nazionalizzazione sulla cennata 
concessione novantanovem�ale fuoriesce dall'ambito della causa sopra 
delineato e si risolve in una domanda nuova rispetto alla quale il rifiuto 
di esame nel merito espresso dal Tribunale Regionale deve essere confermato, 
avendo gi� in primo grado sia lo Stato (cfr. comparsa conclusionale 
depositata il 14 gennaio 1972, pagg. 11-11) che l'Enel (cfr. note depositate 
il 20 gennaio 1972, pag. 4) rifiutato il contraddittorio per tutte le 
pretese che esorbitassero dall'oggetto originario della lite. 

Con riguardo, quindi, al regime legale del rapporto obbligatorio concernente 
i canoni demaniali dovuti tanto per la derivazione di Valgrisan� 
che quanto per quella di Laures, in origine corrente fra lo Stato e la SIP 
deve concludersi che, per quanto interessa il periodo fino alla emanazione 
dei provvedimenti statali pronunzianti il passaggio delle concessioni alle 
Regioni, l'unica modificazione, cui pu� riconoscersi giuridico rilievo, � 
quella concernente la successione dell'Enel alla SIP, verificatasi nella tito



292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

larit� della posizione debitoria per effetto della nazionalizzazione delle 
imprese elettriche. 

N� a conclusioni diverse conduce, contrariamente alla tesi diffusamente 
svolta dalla Regione nei motivi di gravame, addotti sub nn. VI e� 
VII a sostegno delle richieste formulate ai nn. IV, V, VI, VII dell'atto di 
appello e I, V, VI, VII delle conclusioni definitive, la considerazione della 
convenzione stipulata in data 4 settembre 1961 fra la Regione e la SIP. 

Posto, invero, che, alla stregua del regime legale suo proprio, il rapporto 
obbligatorio relativo ai canoni demaniali dovuti, fino alla emanazione 
dei decreti interministeriali concernenti il passaggio alle Regioni~ 
per le concessioni di Valgrisanche e di Laures � rimasto incardinato� 
in capo allo Stato, da un lato, ed alla SIP, dall'altro, in tanto il trasferimento 
della posizione attiva dallo Stato alla Regione -in tesi pat-� 
tuito, secondo l'assunto di quest'ultima, con la menzionata convenzione avrebbe 
potuto produrre effetto, in quanto ad esso avesse prestatoassenso 
il suo titolare, cio� lo Stato, non potendo in principio la posizione 
creditoria circolare negozialmente, senza il concorso del soggettocui 
pertiene. Nella specie, invece, lo �Stato, estraneo alla convenzione 
tra la SIP e la Regione, ha ad essa successivamente prestato adesione 
soltanto per la parte concernente la rinunzia della SIP alla rip�tizione 
dei canoni gi� corrisposti, come � dato desumere dall'inequivoco tenore 
del provvedimento interministeriale 3 febbraio 1962, n. 1021 (in fascicolo
�documenti� della regione di 1� grado), con il quale, �considerato che 
possono essere accettate le clausole contenute nella citata convenzione� 
per quanto riguarda la rinunzia della Societ� Idroelettrica Piemonte: 
al rimborso dei canoni gi� pagati ... �, -testualmente si � decreta , .. 
art. 2 . . . sono tuttavia accettate le clausole contenute nella convenzione 
. . . per quanto riguarda la rinunzia della soc. idroel. Piemonte al 
rimborso dei canoni gi� pagati ... �. 

Sicch�, quand'anche una assunzione di obbligazione della SIP verso. 

la Regione fosse -come costei assume -da ravvisarsi pattuita in con


venzione, tale obbligazione non avrebbe giammai per oggetto i canoni 

demaniali, tuttora dovuti dalla SIP allo Stato, ma una somma equi


valente, e quindi la domanda relativamente ad essa formulata dalla 

Regione rimane, per titolo e per oggetto, fuori dell'ambito originario. 

della causa, nella quale non pu� trovare ingresso per il gi� ricordati:} 

rifiuto delle controparti di accettare un ampliamento della materia 

controversa. 

Come pure inammissibili, per la stessa ragione di novit�, si appale


sano, infine, tutte le rimanenti domande dalla Regione proposte relati


vamente alle altre prestazioni in tesi dovutele in base, ancora, alla con


venzione citata. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 293 

Con la conseguenza, per le considerazioni fin qui svolte, che vanno 
respinti sia il gravame della Regione nella sua interezza, compreso 
l'ultimo capo (sub. n. VIII dell'atto di appello e delle conclusioni defi� 
nitive) relativo alle spese di primo grado, sia i primi tre motivi dell'appello 
dell'Enel. 

Rimangono cos� da esaminare soltanto gli altri tre motivi di quest'ultimo 
gravame, che in via subordinata ripropongono contestazioni 
circa la entit� dei canoni demaniali dovuti per le due concessioni in 
discorso fino al momento del loro passaggio alla Regione. Di essi, � comune 
ad entrambe le concessioni il quarto, mentre il quinto ed il sesto 
riguardano soltanto la concessione di Valgrisanche. 

In particolare con il quarto motivo, l'Enel rinnova la deduzione, 
secondo la quale, dell'ammalit� di canone in corso alla data di emana� 
zione dei decreti interministeriali produttivi del passaggio delle concessioni 
alla Regione, lo Stato potrebbe pretendere solo la frazione cor� 
relativa al periodo precedente a tale data, ma non anche quella correlativa 
al periodo successivo. 

Correttamente, invece, il Tribunale regionale ha disatteso tale tesi, 
in applicazione della regola dettata nel penultimo comma dell'art. 55 
del t.u. sulle acque. 

In tale regola, infatti, deve rinvenirsi l'espressione di un principio 
generale circa la debenza del canone per l'intero anno in corso al 
momento della cessazione del rapporto, ogni qualvolta questa sia riconducibile 
al fatto dell'utente, come � fatto palese dall'essere essa testualmente 
enunziata con riferimento, oltre che al caso di decadenza, anche 
a quello di rinunzia, dal quale ultimo esula, a differenza dall'altro, ogni 
profilo di colpa e di correlativa sanzione. Onde il quesito circa l'appli� 
cabilit� della regola pure all'ipotesi peculiare delineata dall'art. 8 comma 
primo dello Statuto va risolto affermativamente, sul rilievo che anche 
in questa la cessazione del rapporto si ricollega al fatto dell'utente -il 
mancato inizio della utilizzazione entro la data di riferimento normativo 
-indipendentemente da ogni valutazione di colpevolezza. 

Pure infondato � il quinto motivo, con il quale si torna a negare, 
sotto un duplice profilo, che possa lo Stato pretendere il pagamento di 
canoni relativi a potenze maggiori di quelle concesse, riscontrate in sede 
di collaudi eseguiti dopo il 7 settembre 1945. 

Da un lato, invero, la natura costitutiva del decreto interministeriale, 
che ha pronunziato il passaggio alla Regione della concessione di 
Valgrisanche, conduce, conformemente al corretto avviso espresso dai 
primi giudici, a ritenere che per tutto il periodo precedente il rapporto 
concessorio si � validamente ed efficacemente svolto tra la SIP e lo 
Stato, e che hanno quindi conservato efficacia nel governo del rapporto, 
fino alla data di quel decreto, gli ;;itti ed i provvedimenti succedutisi 


RASSEGNA DELL'AVVOCATUR� DELLO STATO 

nel corso di esso. N�, come si � gi� accennato, potrebbe attribuirsi alcuna 
rilevanza in contrario alla diversa opnione, in allora professata, eventual� 
mente, dalle Amministrazioni statali provvedenti, giacch� pur quando la 
dichiarazione di nullit� dei provvedimenti adottati successivamente al 7 settembre 
1945, resa con il decreto interministeriale 18 luglio 1962, fosse da intendere 
nel senso di rimozione ex tunc e non, come sembra avere opinato il 
primo giudice, quale mera dichiarazione di sopravvenuta inefficacia ex 
nunc, tuttavia la illegittimit� della relativa statuizione, siccome adottata 
in violazione di quella che si � vista essere la disciplina positiva dettata 
per la fattispecie del � passaggio � alla Regione delle concessioni 
(assentite ma) non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, ne imporrebbe 
la disapplicazione, sicch� ancora una volta, ai fini della causa, 
dovrebbero riconoscersi efficaci gli accertamenti di maggiore potenza, sui 
quali si fonda, a norma del disciplinare, la pretesa della Amministrazione 
finanziaria. 

D'altro lato, neppure � fondato l'ulteriore profilo della censura, con 
cui si deduce la � inesistenza � della prova della data di decorrenza della 
realizzazione della �maggiore potenza�, che del tutto � ingiustificatamente 
�;�quindi, sarebbe stata �fissata al 1 � gennaio 1958 �. Infatti proprio 
questa -secondo quanto � dato desumere dagli atti (cfr. in fascicolo 
dell'Avvocatura la nota del Ministero LL. PP. 25 luglio 1960, n. 2628 
indirizzata all'Ufficio Genio Civile di Aosta, in cui, nell'approvare il 
secondo certificato di collaudo provvisorio 29 marzo 1960, si rileva 
come � dal detto collaudo provvisorio . . . e dalla successiva nota 7 giugno 
1960 n. 1835 di codesto Ufficio risulta che le caratteristiche dell'attuale 
derivazione ... sono dal 1-1-58 ... � quelle giustificative della maggiore 
richiesta) -� la data nella quale � iniziata la utilizzazione della 
maggiore utenze tassata. 

Infine � infondato anche il sesto, ed ultimo, motivo, riproduttivo 
della eccezione di prescrizione relativamente al conguaglio afferente al 
periodo 2 gennaio 1943 -8 febbraio 1954, fondata sul rilievo che il 
diritto di pretendere�il pagamento del canone sorge in capo all'Amministrazione 
con l'inizio della utilizzazione dell'acqua, ai sensi dell'art. 37 
del t.u., nulla _rilevando il ritardo con cui l'Amministrazione stessa in 
concreto provveda a svolgere gli accertamenti necessari per determinare 
l'ammontare preciso del suo credito. 

Va per contro considerato, anche qui in conformit� degli esatti rilievi 
svolti dal Tribunale regionale, che nel caso, a norma dell'art. 13 del 
disciplinare, le modificazioni del canone dovevano decorrere dalla scadenza 
del termine assegnato per l'ultimazione dei lavori ed in relazione 
alle varianti della potenza motrice risultanti �da accertamenti da effettuarsi 
all'atto del collaudo �. Convenzionalmente, quindi, il collaudo -o, 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 495. 

meglio, la rilevazione dell'aumento di potenza compiuta in occasione 
di esso -fungeva da momento accertativo, sia nell'an che nel quantum, 
del credito dell'Amministrazione, sicch� prima della concreta effettuazione 
del relativo accertamento non vi era diritto azionabile e .non 
poteva quindi, quanto meno in assenza di un �ritardo ascrivibile a colpa 
della concedente, in causa nemmeno allegata, decorrere prescrizione alcuna 
in danno della stessa. 

In conclusione, anche l'appello dell'Enel si appalesa interamente infondato. 
Entrambe le impugnazioni, dunque, vanno rigettate, con la conferma 
della sentenza impugnata. -(Omissis). 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 8 novembre 1975, n. 23 -Pres. Danzi -
Rel. Granata -E.N.E.L. (avv. Conte) c. Ministero delle finanze (avv. 
Stato Albisinni). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni -Diminuita o soppressa utilizza� 
zione dell'acqua � Rilevanza -Limiti. 

(T. u., 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 35, 36, 37, 48 e 55). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni � Diminuita o soppressa utilizzazione 
dell'acqua -Per cause naturali -Rilevanza � Previo accertamento 
amministrativo della impossibilit� di adattare la derivazione -Necessit� 
-Esclusione. 

(T. u., 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 48). 
Acque pubbliche ed elettricit� � Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione 
dell'acqua -Causa naturale " Illecito di dipendente del concessionario 
� Non � tale. 

(T. u., 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 48). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni -I.G.E. � Rivalsa � Competenza dei 
tribunali delle acque. 

(D. l. 9 gennaio '1940, n. 2 conv. in l. 19 giugno 1940, n. 762, artt. 1, comma 3, lett. d, 
3 ed 8; cod. proc. civ., art. 9; t.u., 11 dicembre 1933, n. 1775, .art. 140). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni -Natura patrimoniale � Soggezione 
all'I.G.E. 

(D. l. 9 gennaio 1940, n. 2 conv. in l. 19 giugno 1940, n. 762, art. 3). 
Le vicende che nel corso del rapporto determinano Una diminuzione 
od il venir meno dell'acqua pubblica oggetto della concessione non danno 


296 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

luogo a riduzione o cessazione del canone se non nei casi e limiti previsti 
dalla disciplina speciale in tema di acque pubbliche (1). 

L'esperimento della procedura amministrativa intesa ad accertare che 
il concessionario non possa senza spese eccessive adattare la derivazione 
al corso d'acqua modificato � previsto non per il caso di modifiche 
dipendenti da cause naturali, ma per quello di modifiche conseguenti 
ad opere eseguite dallo Stato ed � comunque pregiudiziale alla 
sola azione intesa alla determinazione dell'indennit� e non anche a quella 
volta a conseguire una riduzione o cessazione del canone (2). 

Non costituisce modificazione di corso d'acqua derivante da cause 
naturali e non d� diritto a cessazione del canone per soppressa utilizzazione 
dell'acqua, la modificazione al cui prodursi abbia concorso il 
fatto illecito di un dipendente del concessionario (3). 

La domanda con cui si contesta che sui canoni di concessione d'acqua 
pubblica � dovuta l'I.G.J3. non d� luogo ad una causa in materia di 
tasse e imposte, essendo l'I.G.E. pretesa dall'Amministrazione in via di 
rivalsa, e rientra nella competenza dei tribunali delle acque. pubbliche 
(4). 

Sui canoni di concessione d'acqua pubblica, che costituiscono non 
un'entrata dovuta per legge ma un'entrata (in senso lato) corrispettiva, 
� esercitata la rivalsa per l'I.G.E. (5). 

(Omissis). -Dal complesso delle norme dettate dagli artt. 35, 36, 37, 48 
e 55 del t.u. del 1938 n. 1775 in materia di determinazione del canone e 
di obbligo del relativo pagamento, si desume -secondo un indirizzo 
giurisprudenziale ormai costante sia di questo Tribunale superiore (sent. 
16 giugno 1971, n. 14), che dalla Corte di Cassazione (sent. 25 maggio 
1971, n. 1539) -che, pur dovendosi il rapporto di concessione qualifi


(1) Per una recente affermazione dello stesso principio, cfr. Trib. sup. acque, 
13 giugno 1975, n. 14, in questa Rassegna, 1975, I, 1132; Trib. sup. acque, J.6 giugno 
1971, n. 14 e Cass., 25 magjgio 1971, n. 1539, richiamate in motivazione, sono 
pubblicate rispettivamente in Comm. centr. imp., 1971, Il, 1148 e Rass. giur. 
Enel, 1971, 794. 
(2) Sulla interpretazione dell'art. 48 del t.u. del 1933, cfr. Cass., 16. marzo 
1970, n. 680 e Trib. sup. acque, 25 giugno 1968, n. H, in Giust. civ., 1971, I, 154 
e 1968, I, 1728. 
(3) Non constano precedenti in termini. 
(4) La massima costituisce applicazione di specie della giurisprudenza in materia 
di l'ite tributaria: sul punto cfr., Cass. 19 dicembre 1969, n. 4004 e 6 febbraio 
1970, n. 264 in questa Rassegna, 1970, I, 118. 
(5) Cfr., in termini, Trib. sup. acque, 15 ottobre 1974, n. 17 in questa Rassegna, 
1975, I, 769. 
Cass. 2 ottobre 1970, n. 2101, ricl�amata in motivazione e pubblicata in 
questa Rassegna, 1971, I, 95 e in Giust. civ. 1971, I, 923. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

-care come bilaterale oneroso, e pur intercorrendo una certa corrispettivit� 
in senso ampio fra la messa a disposizione dell'acqua e la corresponsione 
del canone, tuttavia manca fra le correlative obbligazioni 
dello Stato e dell'utente un rapporto riconducibile nell'ambito del sinallagma 
proprio dei contratti a prestazioni corrispettive del diritto privato. 
In controversie del genere di quella in esame, � quindi escluso 
<:he �si possa fare indiscriminato ricorso a norme e principi che regolano 
i rapporti privatistici a carattere sinallagmatico, dovendosi ritenere che 
il principio di corrispettivit� operi nel rapporto concessorio di acqua 
pubblica soltanto nei limiti riconosciuti dalla speciale disciplina della 
materia. Orbene, proprio per quanto riguarda il tipo di situazione ricorrente 
nella specie, dalle disposizioni dettate con l'art. 48 pi� volte citato 
:si desume, con argomentazione a contrario, che le variazioni in meno 
della disponibilit� dell'acqua, fuori dai casi in esso previsti, non conducono 
a corrispondenti variazioni del canone. A parte, quindi, l'ipotesi, 
estranea alla specie, considerata nel terzo comma (alla quale unicamente 
-e comunque per effetti diversi dalla variazione del canone -si 
riferiscono le prescrizioni tanto del quarto che del quinto comma, come 
� fatto palese dalla loro testuale formulazione, onde non sussiste )a 
ragione di inammissibilit� riproposta, in via di appello incidenta~e, dal1'
Amministrazione sul rilievo .del mancato esperimento della previa pro<:
edura amministrativa prevista da tali disposizioni), la �diminuita o 
soppressa utilizzazione dell'acqua� conduce alla �riduzione o cessazione 
del canone � soltanto quando dipenda dalla modificazione � per cause 
naturali� del regime del corso d'acqua o del bacino interessati (art. 48, 
.comma primo). Sicch� la controversia de qua si risolve accertandosi 
se la rottura del ponte-tubo, che ha determinato la temporanea inutilizzazione 
totale dell'intera concessione, e la modificazione del bacino 
del Vajont, che ha reso impossibile l'esercizio della relativa derivazione, 
si riconducano eziologicamente, oppur no, a causa definibili � naturali
�. E la risposta deve essere negativa, essendo rimasto accertato 
in sede penale, nel giudizio conclusosi con la sentenza della Corte di 
Cassazione (sez. IV penale) 25 marzo -20 luglio 1971, che la gigantesca 
frana del Monte Toc, in cui secondo la tesi dell'Enel dovrebbe ravvisarsi 
la causa naturalistica degli eventi dedotti a fondamento delle 
proprie pretese, in realt� � stata a sua volta determinata da un fatto 
umano colposo, imputabile, attraverso la interposizione organica del proprio 
preposto ing. Biadene, (anche) al concessionario. N� vale opporre 
�che l'invasamento del bacino del Vajont, da cui la frana fu originata, 
�costituiva per il concessionario stesso attivit� dovuta, mai potendosi considerare 
tale una condotta riconosciuta penalmente rilevante con sentenza 
passata in giudicato. La circostanza, poi, che con l'attivit� colposa 
del (personale dipendente dal) concessionario abbia concorso nella con



. I

298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO m 

lli


.sumazione del fatto-reato anche la condotta, pure giudicata penalmente 
illecita, del (personale dipendente dal) concedente (ing. Sensidoni), 
non conduce ad attribuire alia � causa � degli eventi invocati dall'Enel 
quel predicato naturalistico, assunto ad elemento costitutivo della fattispecie 
legale prevista dall'art. 48 comma primo. Se, poi, tale concorso 
possa fondare una diversa pretesa del concessionario per il ristoro dei 
danni sofferti in conseguenza dell'evento cos� provocato (cfr. Cass. S.U. 
16 marzo 1970, n. 860) � questione estranea al presente giudizio, sulla 
quale non � dato quindi in questa sede interloquire. 

Pure infondati sono gli ultimi due motivi di gravame dell'Enel, concernenti 
-il quarto -la condanna al pagamento degli interessi, la cui 
conferma segue quella della pronunzia sulla debenza del canone e -il 
quinto -la condanna al pagamento dell'I.G.E. commisurata all'importo 
dei canoni stessi, la quale pure deve rimanere ferma perch�, mentre 
da un lato sussiste la competenza del giudice delle acque pubbliche 
a conoscerne trattandosi di azione dall'Amministrazione esercitata in via 
di rivalsa e non iure imperii, onde non si versa, contrariamente alla 
tesi riproposta dall'Amministrazione in via di appello incidentale, in materia 
di lite tributaria, dall'altro lato � certo che la rivalsa � dovuta, 
costituendo il canone (non una entrata dovuta per legge, ai sensi dell'art. 
1, lett. d, d.I. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito in I. 19 giugno 1940, 

n. 762, bens�) una entrata corrispettiva, pur se nel senso lato sopra 
precisato, del concesso godimento del bene demaniale -(cfr. Cass. 22 ot-� 
tobre 1970, n. 101). (Omissis). 
TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 14 febbraio 1976, n. 3 -Pres. Danzi -
Rel. Moscone -Sollima Morso (avv. Ferrugia) c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Albisinni) e Assessorato alle finanze della Regione Siciliana 
(n. c.). 

Acque p�bbliche ed elettricit� -Corsi d'acqua -Accessione di golena al 
fondo limitrofo -Prova della non sommergibllit� -Onere. 
(Cod. civ., artt. 941, 942 e 2697). 

Acque pubbliche ed elettricit� � Competenza e giurisdizione � Sentenza che 
regola la competenza � Effetti � Fattispecie. 
(Cod. proc. civ., artt; 49 e 310). 

L'incertezza circa la effettiva soggezione di una golena alla espansione 
delle acque del fiume durante le piene ordinarie si risolve in danno del proprietario 
del fondo confinante che ne rivendica l'acquisto e la cui domanda 

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J. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN" MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 299 

va rigettata per non esser stato assolto l'onere della prova dei fatti costitutivi 
del diritto vantato (1). 

La sentenza che regola la competenza attribuendola al tribunale regionale 
delle acque pubbliche � preclusiva dell'eccezione di incompetenza dello 
stesso tribunale a pronunziare la condanna della P. A. al risarcimento dei 
danni, per aver fatto oggetto di concessione un fondo che nel corso del 
giudizio � risultato estraneo all'alveo e perci� al demanio idrico (2). 

(Omissis). -Nell'intraprendere l'esame dell'appello del Sollima e opportuno 
premettere che, come venne chiarito dal Tribunale Regionale e 
non � qui contestato, il terreno di ettari 12.90 controverso � costituito da 
una golena, sita sulla sinistra orografica del fiume Salso e compresa fra 
un'ampia ansa, a forma di semicerchio, del suo alveo attuale e il piede di 
un ciglione a strapiombo, il quale ha un andamento approssimativamente 
rettilineo, � alto da m. 2,50 a m. 8 e si presenta come l'argine naturale 
dell'alveo originario. Il Sollima sostiene di averne da tempo acquisito la 
propriet� a, norma dell'art. 941 e dell'art. 942 cod. civ., ma contro le 
sue pretese la sentenza impugnata afferma anzitutto che, a causa di 
opere di sistemazione del corso del Salso, eseguite a monte e costituite 
principalmente alla diga del Pozzillo (ultimata il 18 luglio 1959), 
per delimitare l'alveo del fiume non ci si pu� basare sulla portata attuale 
delle sue piene ordinarie, non potendosi escludere l'eventualit� che, nel 
periodo primaverile e per ragioni d'ordine tecnico, si presenti la necessit� 
di scaricare parzialmente o tot,almente nell'alveo del fiume le acque della 
diga, con conseguente loro espansione su tutto e su parte del terreno 
controverso. Indi la sentenza impugnata respinge anche una tesi subordinata 
del Sollima, secondo cui non si dovrebbe tener conto di tale nuova 
situazione, per aver egli acquistato la propriet� del terreno molto prima 
della costruzione della diga, e considera al riguardo che � bens� vero che 

Cl) In argomento cfr. Trib. sup. acque, 7 marzo 1974, n. 4, in questa Rassegna, 
1974, I, 737, cui adde, Trib. sup. acque, 22 giugno 1971, n. 18, Rass. Cons. 
Stato, 1971 II, 615 e Trib. sup. acque, 30 gennaio 1965, n. 1, Giust. civ., 1%5, 
I, 1496. 

(2) L'eccezione che il Tribunale Superiore ha considerato preclusa dal giudicato 
interno formatosi sulla competenza attinge al problema del rapporto 
tra accertamento negativo della demanialit� idrica e competenza sul merito 
della domanda con cui si fa valere un diritto che presuppone l'assenza della 
demanialit� idrica. 
Sull'argomento, cfr., da ultimo, Cass., 5 settembre 1974, n. 2417, Trib. sup. 
acque, 10 novembre 1975, n. 25 e Cass., 25 ottobre ,1975, n. 3561, in questa Rassegna, 
1974, I, 1477 e 1975, I, e 1127. 

Cass. 15 luglio 1966, n. 1894, richiamata in motivazione, pu� leggersi in Giur_ 
agr., 1967, 213. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

300 

l'ansa anzidetta venne a fermarsi in tempo anteriore al 1878, ma che non � 
provato con certezza che, prima del verificarsi della nuova situazione determinata 
dalla diga, il terreno compreso fra l'ansa e il ciglione non fosse 
pi� soggetto, in tutto o in parte, alla servit� idraulica del fiume. 

Ci� posto, si rileva che, delle riferite statuizioni, soltanto l'ultima risulta 
impugnata dal Sollima, il quale col suo primo motivo d'appello sostiene: 
a) che esistevano in atti prove sufficienti che il terreno di ettari 12.90, o 
almeno una parte di esso, era stato lentamente e gradualmente abbandonato 
in modo stabile e definitivo dalle acque del fiume Salso anteriormente 
alla costruzione della diga; b) che, anche a voler ammettere la possibilit� 
di dubbi in proposito, ci� avrebbe dovuto indurre il Tribunale Regionale 
a un approfondimento delle indagini e non al rigetto della domanda. 

Tali censure sono prive di fondamento. D'altra parte, le nuove produzioni 
dell'appellante in questo grado non solo non giovano alla sua 
tesi, ma forniscono anzi alcuni elementi atti a rafforzare il convincimento 
che la pronunzia del prhho giudice vada confermata. Infatti, come si dimostrer�, 
era per lo meno dubbio in primo grado, e lo resta tuttora, che, 
prima della costruzione della diga del Pozzillo, il terreno controverso 
non fosse pi� soggetto in tutto o in parte alla servit� idraulica del fiume 
Salso, onde la domanda del Sollima non poteva e non pu� non essere respinta, 
in base al principio generale sancito nel primo comma dell'art. 2697 
cod. civ. 

Per risolvere la questione dell'esistenza o meno di una tale servit�, 
le parti hanno cercato di stabilire fin dal giudizio di primo grado quale 
fosse, anteriormente alla costruzione della diga, la portata media delle piene 
ordinarie del fiume Salso nella localit� Piano del Cugno, ove si trova il 
terreno controverso. Tuttavia i dati a disposizione non potrebbero condurre 
in ogni caso a risultati soddisfacenti e sicuramente attendibili. Infatti, 
mentre all'uopo � indispensabile disporre di osservazioni eseguite sistematicamente 
e per un lungo periodo di anni, nella specie si hanno bens� dati 
raccolti per il Salso nella vicina stazione idrometrografica di Don Gennaro, 
ma solo per gli anni 1925 e 1927. Si � quindi pensato di adottare un procedimento 
comparativo con il fiume Simeto, avvalendosi dei dati della stazione 
di Biscari; ma, anche a prescindere dai dubbi circa il grado di validit� di 
un simile procedimento, anche questi dati non sono molti n� sistematicamente 
raccolti, riguardando soltanto tredici anni fra il 1925 e il 1948. 

Ad ogni modo, i risultati cos� raggiunti dalle parti non confortano 
affatto la tesi dell'appellante. Invero si tratta di risultati notevolmente discordi, 
avendo la difesa del Sollima determinato la portata media delle 
piene ordinarie del Salso in ms al sec. 267 a Don Gennaro e 210 a Piano 
del Cugno, mentre per la difesa dell'Amministrazione Finanziaria si tratta, 
rispettivamente, di m3 al sec. 838 e 659. N� al fine del decidere occorre 
stabilire chi abbia ragione e, in particolare, se nei calcoli dell'appellata 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

ricorrano davvero gli errori denunziati dall'ing. Arredi nell'elaborato tecnico 
prodotto in questo grado del giudizio, giacch� resta pur sempre valido 
il ragionamento in proposito del Tribunale Regionale (il quale, oltre ad 
essere assolutamente logico e convincente, non � stato impugnato n� comunque 
contestato dall'appellante), secondo cui, essendo nella zona con� 
siderata la capacit� massima dell'alveo del Salso di soli'ms al sec. 190, 
l'alveo ora comunque insuffieiente per contenere una qualsiasi delle portate 
sopra indicate. 

Cos� stando le cose, era ed � per� necessario stabilire quale fosse, in 
caso di piene ordinarie, la zona di espansione delle acque sul terreno controverso 
prima della costruzione della diga del Pozzillo, avendo il Sollima 
sempre sostenuto in subordine che si trattava comunque di zona di modesta 
estensione, limitata alle immediate adiacenze dell'alveo. Questa tesi � 
gi� stata respinta dal Tribunale Regionale, considerando: a) che l'attuale 
alveo del fiume non � nettamente definito e inciso, non avendo argini naturali 
fortemente incassati; b) che nel tratto a monte del terreno controverso 
il detto alveo ha una pendenza media di circa 0,03, la quale poi scende 
immediatamente, per una lunghezza di circa un chilometro, a un valore 
medio di 0,01 nel tratto adiacente a tale terreno; e) che il terreno contro� 
verso ha un andamento quasi pianeggiante e presenta nel centro, quasi 
parallelamente all'alveo del fiume, una depressione naturale di limitata 
ampiezza, profonda circa un metro e sede di ristagno delle acque; d) che 
nella zona in esame il fiume ha portata e velocit� mutevoli, sia per il regime 
prevalentemente torrentizio dell'ampio bacino idrografico a cui appartiene, 
sia per la vicina confluenza, a monte di tale zona, di due torrenti 
provenienti da opposte dierzioni; e) che, pertanto, � attendibile ritenere 
<:he, anche nei periodi di piene non eccezionali, le acque si espandessero 
su tutto o parte del terreno controverso, senza che ne fossero prevedibili le 
vie. Ora, siffatte considerazioni meritano piena adesione da parte di questo 
Tribunale Superiore. 

Anzitutto, nemmeno l'appellante. ha contestato l'esattezza delle considerazioni 
riferite sub a) e sub b), che il primo giudice desunse dagli 
accertamenti del consulente tecnico di ufficio, e di quella riferita sub d), 
che lo stesso giudice desunse da tali accertamenti e da altri documenti in 
atti. Di conseguenza, se ne pu� trarre senz'altro la logica conclusione che, 
nel tratto adiacente al terreno controverso, la minima pendenza dell'alveo 
e l'assenza di ostacoli lungo le sponde potevano provocare facilmente 
l'esondazione del fiume anche in caso di lievi aumenti della sua portata, 
mentre peraltro ben potevano verificarsi aumenti di entit� notevole. 

In secondo luogo, per negare invece la legittimit� dell'affermazione 

<:onclusiva riferita sub e), l'appellante ha contestato la considerazione rife� 

rita sub e), formulando nell'elaborato tecnico dell'ing. Arredi dei dubbi 

circa l'esattezza dei rilievi eseguiti dal consulente tecnico di ufficio, sui 


302 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

quali tale considerazione era appunto fondata, e precisamente deducendo 
che il detto consulente si era servito di un tacheometro, strumento insufficientemente 
impreciso nelle determinazioni altimetriche agli effetti di 
calcoli idraulici, e aveva tracciato le sezioni trasversali, rilevando dei punti 
in prossimit� dell'alveo e del ciglione e sostituendo poi delle linee rette 
all'andamento reale fra i due estremi prodotti, nonostante si trattasse di 
lunghezze non brevi, varianti cio� da m. 117 a m. 277. Ma siffatti dubbi non 
hanno ragione di essere, giacch� dall'esame delle curve di livello tracciate 
per la localit� in esame nel foglio dei rilevamenti topografici della Piana 
di Catania a cura della Cassa per il Mezzogiorno (foglio prodotto in questo 
grado proprio dal Sollima) si ricava la prova dell'esattezza dei rilievi 
eseguiti dal consulente tecnico d'ufficio, giacch� si nota che il terreno controverso 
si trova a un livello soltanto lievemente superiore a quello dell'alveo 
del fiume, che in effetti ha un andamento praticamente pianeggiante 
e che presenta la� depressione menzionata dal consulente tcnico d'ufficio. 
-(Omissis). 

(Omissis.) -Concludendo,, il primo motivo dell'appello principale va 
rigettato, risultando qui confermata l'affermazione del primo giudice 
circa la mancanza di una prova certa (prova che il Sollima era tenuto a 
fornire) che, prima della costruzione della diga del Pozzillo, il terreno con� 
traverso non fosse soggetto in tutto o in parte alla servit� idraulica del 
Salso. D'altra parte, tale rigetto importa necessariamente anche quello 
degli altri due motivi. Col secondo, infatti, il Sollima si duole che il Tribunale 
Regionale abbia respinto la domanda di risarcimento dei danni, che 
egli avrebbe subito per il fatto che l'Amministrazione Finanziaria diede 
in concessione a terzi il terreno di ettari 12.90 da lui rivendicato. Quanto 
al terzo, concernente la disposta compensazione delle spese del giudizio 
di primo grado, esso si basa esclusivamente sul presupposto dello sperato 
accoglimento del primo motivo, dato che la compensazione fu motivata con 
la parziale soccombenza di entrambe le parti. 

Passando all'appello incidentale, si rileva che l'Amministrazione delle 
Finanze dello Stato si duole in primo luogo della propria generica condanna 
al risarcimento dei danni richlesti dal Sollima in relazione al terreno 
compreso tra il confine catastale della particella n. 18 e il ciglione, deducendo 
che, una volta esclusa la demanialit� di tale terreno, il� Tribunale 
Regionale delle Acque Pubbliche non era competente a pronunciare sulla 
domanda di danni per l'abusiva occupazione di esso, rientrando ci� nella 
competenza del Tribunale ordinario. 

A prescindere da ogni indagine circa la fondatezza o meno in astratto 
della questione di diritto sollevata dall'appellante, tale motivo di gravame 
dev'essere rigettato per la considerazione assorbente che nel caso concreto 
sussiste un giudicato interno circa la competenza del Tribunale delle� 
Acque. Invero il Tribunale di Caltanissetta, davanti al quale il Sollima 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

aveva instaurato il presente giudizio, domandando sia l'accertamento del 
suo preteso diritto di propriet� sul terreno sia la conseguente condanna 
dell'Amministrazione al risarcimento dei danni, con sentenza 7 maggio 1965 
si dichiar� totalmente incompetente, senza distinguere in alcun modo fra 
le sue domande. Successivamente, a seguito d'istanza per regolamento di 
competenza, la Corte di Cassazione con sentenza 15 luglio 1966, n. 1894, 
conferm� la pronuncia del Tribunale di Caltanissetta, omettendo di nuovo 
ogni distinzione fra le domande e affermando cos�, implicitamente, la competenza 
in ogni caso del Tribunale delle Acque anche in ordine alla do. 
manda di risarcimento dei danni, la quale ovviamente avrebbe potuto 
essere presa in esame soltanto nel caso di accertata non demanialit� del 
terreno controverso. -(Omissis). 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 12 marzo 1974, n. 533 -Pres. Mongiardo 
-Rel. Marini -P. M. Corrias (conf.) -Rie. Fossi ed altri. 

Caccia e Pesca -Marittima -Inquinamento di acque -Divieto -Destinatari 
della norma -Sono tutti coloro che immettono nelle acque sostanze 
inquinanti, e non solo i pescatori. 

(I. 14 luglio 1965, n. 963, art. 15 lett. e). 
Caccia e Pesca -Marittima -Inquinamento di acque -~ivieto -Reato 
di mera condotta -Prova del danno arrecato alla fauna ittica -Irrilevanza. 


(1. 14 luglio 1965, n. 963, art. 15 lett. e). 
La norme dell'art. 15 lettera e), della legge 14 luglio 1965, n. 963, 
pur essendo contenuta in un testo legislativo avente ad oggetto la disciplina 
<;I.ella pesca marittima, non � diretta ai soli pescatori (cio� a 
coloro che, anche non professionalmente, attendono alla cattura dei pesci 
in acque marine libere o in acque marine territoriali), ma si rivolge 
alla generalit� dei cittadini, facendo divieto a chiunque, anche al di 
fuori di ogni attivit� di pesca, di immettere nelle acque litoranee, direttamente 
o indirettamente, sostanze inquinanti (1). 

Il reato di cui all'art. 15, lett. e); legge 14 luglio 1965, n. 963 (che 
vieta l'immissione o la diffusione nelle acque litoranee di sostanze inquinanti), 
va inquadrato fra i reati di mera condotta, nei quali il comportamento 
inosservante assume di per s� solo penale rilevanza, a pre


(1-2) Un problema degno di attenzione in materia di inquinamento marino 
� quello che concerne il coordinamento fra la norma che prevede il delitto 
rli immissione, nelle acque marine, di sostanze inquinanti (art. 15, lett. e, 1. 

n. 963) e le norme che disciplinano l'immissione dei rifiuti stessi (art. 145-153 
d.P.R. 2 dicembre 1968, n. 1639) e con quelle, specifiche, che prevedono l'autorizzazione 
allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Il d.P.R. 13 febbraio 1964, 
n. 185 � il testo di legge specifico in materia di sicurezza degli impianti e 
di protezione sanitaria contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti 
dall'impiego pacifico dell'energia nucleare e, fra le varie norme, prevede quella 
diretta a disciplinare lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, imponendo a tal 
fine un'autorizzazione che, tenuto conto delle ragioni, di sicurezza che presiedono 
a siffatta normativa, vengono concesse in funzione della recettivit� 
dell'ambiente � del numero delle autorizzazioni previste (art. 105 d.P.R. n. 185 
del 1964), dal medico provinciale, sentita la Commissione di cui all'art. 89 
dello stesso d.P.R. Di questa Commissione, all'evidente scopo di poter esprimere 
un parere tecnico competente per quanto concerne il pericolo di inqui-
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PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 305 

scindere dalle conseguenze pericolose o dannose che esso produce; pertanto, 
una volta accertato che le immissioni sono di per s� idonee ad 
inquinare, � irrilevante la mancata dimostrazione del nesso di causalit�. 
tra immissioni ed inquinamento del mare (2). 

namento atomico, fanno parte tecnici specialisti e, nel caso che lo smaltimento 
interessi il mare territoriale o le acque interne, ai lavori della Commissione 
medesima partecipano i rappresentanti delle Amministrazioni interessate. 


Il successivo d.P.R. n. 1639 del 1968 contenente il regolamento per l'esecuzione 
della legge n. 963 del 1965 sulla disciplina della pesca marittima, nei 
suoi artt. 145 e ss., prevede s� genericamente che l'immissione nelle acque 
marittime di rifiuti di lavorazione industriale o provenienti da servizi pubblici, 
in qualsiasi modo effettuata, � subordinata all'autorizzazione del capo 
del compartimento marittimo, ma non comprende l'ipotesi dell'immissione di 
rifiuti radioattivi. Questi infatti, sia per la specialit� della materia, sia per 
la completezza della previsione normativa contenuta nel testo del d.P.R. del 
1964, sia per la particolare competenza tecnica della Commissione prevista 
dall'art. 89 di quel decreto e per la partecipazione ad essa dell'autorit� marittima 
-quella stessa cio� competente a concedere l'autorizzazione di cui 
all'art. 145 del d.P.R. n. 1639 del 1968 -trovano la loro esclusiva disciplina 
nella normativa del 1964. Questa conclusione, sostanzialmente ispirata al principio 
che la legge generale posteriore non deroga alla legge speciale anteriore, 
non � contraddetta dalla differenza dei beni protetti dai due complessi di 
legge. �' vero infatti che il d.P.R. n. 185 del 1964 ha come scopo quello della 
tutela delle popolazioni dalle radiazioni ionizzanti, mentre la 1. n. 963 del 
1965 e il d.P.R. n. 1639 del 1968 si propongono la tutela della pesca marittima 
e delle risorse biologiche del mare, ma la differenza � pi� apparente che 
reale, per quanto soprattutto concerne gli articoli qui esaminati, essendo sia 
gli uni che gli altri diretti ad evitare un inquinamento delle acque marine e 
distinguendosi solo in ragione della specialit�: inquinamento generico e in-� 
quinamento atomico. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, ud. 29 aprile 1974, n. 778 -Pres. Muscolo 
-Rel. Macaluso -P. M. Corrias (conf.) -Rie. Baracca. 

Leggi, decreti e regolamenti � Leggi � Interpretazione � Interpretazione 
estensiva � Nozione. 

(r.d. 16 marzo 1942, n. 262, artt. 12, 14). 
Caccia e Pesca -In genere � Acque pubbliche -Divieto di immissione di 
rifiuto senza autorizzazione � Interpretazione della disposizione e sua 
� ratio ,, . Acque pubbliche -Acque marine � Sono tali. 

(r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604, artt. 9, 36). 
La interpretazione della legge � definita � estensiva� quando il contenuto 
effettivo delle singole disposizioni, accertato correttamente attraverso 
i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica, � pi� am




306 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

pio di quello che appare dalle espressioni letterali che compongono la 
disposizione stessa. Detta interpretazione non incontra limitazioni nell'art. 
14 delle disposizioni sulla legge in generale, perch� non amplia 
il contenuto effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad essa 
soggette. si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto 
di manchevoli .espressioni letterali. Come tale, l'interpretazione estensiva 
� ammessa in relazione a tutte le disposizioni de.lla legge, comprese 
quelle penali e quelle che fanno eccezione a regole generali, posto che 
anche di queste identifica i tempi e i casi di applicazione (1). 

L'art. 36 t.u. sulla pesca approvato con r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604, 
suscettivo d'interpretazione estentiva al fine di accertarne l'esatto contenuto, 
nello stabilire la sanzione applicabile per il versamento di rifiuti 
in acque pubbliche senza il permesso prescritto dall'art. 9, non esclude 
dalla sanzione medesima lo scarico nelle zone di mare, per il quale lo 
stesso art. 9 prescrive la preventiva autorizzazione della competente 
Capitaneria di porto. 

Infatti, oggetto specifico della tutela penale � l'interesse alla protezione 
delle risorse biologiche delle acque e tale interesse sussiste sia 
in relazione alle acque marine, sia in relazione alle altre acque pubbliche, 
sicch� non sembra logicamente ammissibile -in base alla sola 

(1-2) La prima massima � una corretta applicazione dell'art. 14 delle disposizioni 
sulla legge in generale. V. nello stesso senso, Cass. 12 maggio 1951 
in Foro It. Rep. 1951, voce Legge, n. 81, 82; 25 marzo 1963 in Giust. Pen. 1964, 
I, c. 73; 21 maggio 1971 in Cass. Pen. Mass. Annotato 1972, p. 1236, n. 1211. 
La seconda � una coerente conseguenza del principio affermato in considerazione 
dell'eadem ratio costituita� dalla necessit� della tutela � delle acque 
marine e vale a coprire talune lacune della legge 14 luglio 1965, n. 963. Come 
� noto, il reato di immissione di sostanze inquinanti nelle acque marine 
previsto dall'art. 15 lettera e) di questa legge � considerato delitto e come 
tale � punibile solo a titolo di dolo. Ci� comporterebbe �la non punibilit� 
della maggior parte dei fatti di inquinamento, _specie di quelli derivanti da 
dispersioni di idrocarburi dalle navi cisterne che per lo pi� avvengono per 
accidentali disfunzioni tecniche, se non fosse possibile anche per tali ipotesi 
un'inte!'pretazione estensiva. Quei fatti invero, quando perlomeno avvengono 
negli specchi d'acqua portuali, integrano il reato previsto dall'art. 1174 cod. 
nav. In tal caso possono i danni derivare in via diretta ed immediata 
dalla commissione del reato contravvenzionale nel quale, spesso si realizza 
la stessa condotta materiale prevista dall'art. 15 lettera e) dalla legge 14 luglio 
1965, n. 963. I danni d'altronde non consistono soltanto, in quelli, facilmente 
accertabili nella loro entit�, rappresentati dalla spesa per il recupero degli 
idrocarburi galleggianti, ma in quelli, difficilmente quantificabili, eppure potenzialmente 
pi� gravi, di inquinamento delle acque, di nocumento per la 
fauna ittica e di alterazioni chimiche o fisiche dell'ambiente, che possono 
essere provocati dalla immissione di notevoli quantit� di idrocarburi negli 
specchi d'acqua e che possono verificarsi anche se le sostanze inquinanti o 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 307 

considerazione del valore letterale delle espressioni in concreto adoperate 
-che il legislatore abbia voluto lasciar fuori dell'ambito della 
norma incriminatrice di cui all'art. 36 lo scarico di rifiuti nelle zane 
di mare (2). 

tossiche, dopo un periodo pi� o meno lungo di permanenza in mare, vengono 
recuperate. Ci� ha un determinante rilievo per quanto concerne la legittimazione 
alla costituzione di parte civile del Ministero della Marina Mercantile, 
per le considerazioni che vi sono illustrate in questa Rassegna (v. 1976, I, 160). 

Il 



PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

l..e99e reg. TrenHno�Alto Adige 17 mag9io 1956, n. 7, art. 34, limitatamente 
alla espressione � per valore e territorio �. 

Sentenza 14 aprile 1976, n. 81, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

�Codice civile, ari. 468, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 14 aprile 1976, n. 83, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 


codice civile, art. 642, primo comma (artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 25 marzo 1976, n. 57, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

codice di procedura civile, art. 545, q1:1arto ed ultimo comma (artt. 3, 24, 
primo comma, e 28 della Costituzione). 

Sentenza 16 marzo 1976, n. 49, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

codice penale, art. 11, secondo comma (artt. 10, primo comma, e 24, secondo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 8 aprile 1976, n. 69, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

codice di procedura penale, art. 1113-bis, terzo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
� Sentenza 16 marzo 1976, n. 48, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

codice di procedura penale, art. 342, secondo comma (artt. 3, 24 e 28 della 
Costituzione). 
Sentenza 14 aprile 1976, n. 82, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

r.d. S giugno 1939, n. 1016, art. 30 (artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 25 marzo 1976, n. 57, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 30 9ennalo 1941, n. 12, art. 70 (artt. 101, secondo comma, e 107, terzo 
e quarto c�mma, della Costituzione). 
Sentenza 16 marzo 1976, n. 52, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

le99e 22 ap"�ile 1941, n. 633, art+. 156 e 161 (art. 21, terzo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 25 marzo 1976, n. 60, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

le99e 9 dicembre 1941, n. U83, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 8 aprile 1976, n. 105, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 


r.d. 15 marzo 1942, n. 622, art+. 10 e 11 (artt. 24, secondo comma, e 25, 
primo comma, della Costituzione). 
Sentenza 8 aprile 1976, n. 72, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

d.l.l9t. �8 marzo 1945, n. 90, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 8 aprile 1976, n. 71, .G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

d.P.R. 12 dicembre 1948, n. 1414, art. 12. 
Sentenza 16 marzo 1976, n. 45, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

d.P.R. 5 9ennalo 1950, n. 180, art. 1 (artt. 3, 24, primo comma, e 28 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 marzo 1976, n. 49, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

lene 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, primo comma (artt. 3, primo comma, 
e 32, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 14 aprile 1976, n. 86, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

le99e 15 lu9llo 1966, n. 604, artt. 1 e 6 (artt. 3, 4, 24 e 35 della Costituzione). 
Sentenza 16 marzo 1976, n. 47, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

lev9e 2 a9osto 1967, n. 79<9, art. 9 (artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 25 marzo 1976, n. 57, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. 

le99e l2 marzo '1968, n. 31-6, art+. 2, primo ~omma, e 9 (artt. 1, 4, 3.5 e 41 
della Costituzione). 

Sentenza 25 marzo 1976, n. 59, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

lev9e 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 16 marzo 1976, n. 50, G. V. 24 marzo 1976, n. 78. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 6 dic:embre 1971, n. 1034, art. 2, .primo comma, lettera a (artt. 3, 4, 
.24 e 35 della Costituzione). 

Sentenza 16 marzo 1976, n. 47, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 1 (artt. 24, secondo comma, e 25, primo 
.comma, della Costituzione). 

Sentenza 8 aprile 1976, n. 72, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

d.I. 10 gennaio 1975, n. 2, artt. 1, 2, 3 (artt. 24, secondo comma, e 25, primo 
.comma, della Costituzi�ne). 
Sentenza 8 aprile 1976, n. 72, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

legge 22 maggio 1975, n. 152,, art. 1, secondo comma, lettera b (artt. 27, 
secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 14 aprile 1976, n. 88, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

Degge 2~ maggio 1975, n. 152, artt. 27, 28 e 29 (artt. 3, primo comma, 25, 
primo comma, 102, primo comma, 107, terzo comma, e 112 della Costituzione). 

Sentenza 14 aprile 1976, n. 87, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

III � QUESTIONI PROPOSTE 

Codic:e c:ivile, art. 431 (artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Cento, ordinanza 21 ottobre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 

c:o,dlc:e c:lvlle, art. 1621 (artt. 3, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 22 ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 


c:odic:e c:ivlle, art. 2108, sec:ondo c:omma (art. 36, primo comma, della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 7 gennaio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. 

c:�odlc:e civile, art. 2598, n. �2 (art. 21, primo comma, della Costituzione). 
Pretore di Verona, ordim.1za 5 novembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

c:odic:e di proc:edura civile, art. 140 (artt. 3 e 24, secondo comma, della 
Costituzione). 

Pretore di Rovereto, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 


coclic:e di proc:edura c:ivile, art. 409 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Napoli, ordinanza 10 dicembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n; 85. 



RASSEGNA l>ELL'AWOCATtJRA DELLO STATO 

codice di procedura civile, art+. 415 e 416 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Napoli, ordinanza 10 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

codice di procedura civile, art. 416, secondo e terzo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 12 ottobre 1974, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

codice di procedura civile, art. 421, quarto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Pretore di Torino, ordinanza 20 gennaio 1976, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 

codice di procedura civile, art. 429. 
Pretore di Torino, ordiJ;ianza 11 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 


codice di procedura civile, art. 545 (artt. 3, primo comma, 31 e 36 della. 
Costituzione). 

'Pretore di Portogruaro, ordinanza 14 novembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. 

c�odice penale, art. 81 cpv. (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 14 noyembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 


codice penale, art. 164, ultimo comma (art. 3, primo comma, della Costit�zione). 


Pretore di Trivento, ordinanza 17 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

codice penale, art+. 449, primo comma, e 423, .primo comma (artt. 3, primo� 
comma, e 24, secondo comma, della Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 6 marzo 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65.. 

codice di procedura penale, art. 199, terzo comma (art. 24, secondo comma,. 
della Costituzione). 

Tribunale di Sanremo, ordinanza 21 novembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. 

codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. �3, primo comma, e 24, secondo 
comma, della C9stituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 17 ottobre 1975, G. U. 28 aprile 1976, n, 112. 

codice di procedura penale, artt. 553 e 554 (art. 3, prima parte, della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 20 dicembre 1975, G. U . .3 marzo 1976, n. 58. 


21

PARTE II, LEGISLAZIONE 

c:oclic:e di procedura penale, art. 604 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Casacalenda, ordinanza 15 dicembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 

codice di procedura penale, art. 630 (art. 24, primo comma, della Costituzione). 


Tribunale di Ferrara, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

codice della navi9azione, art. 603 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 10 dicembre 1975, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. 

codice penale militare di pace, art. 189, pi-imo comma (artt. 3 e 52, terzo . 
comma, della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 dicembre 1975, G. V. 
24 marzo 1976, n. 78. 

i-.d.I. 15 marzo 1923, n. 6912, art. 1, secondo comma (art. 36 della Costituzione). 

Giudic.e del lavoro del tribunale di Enna, ordinanza 14 ottobre 1974, G. U. 
21 aprile 1976, n. 105. 

r.d.I. 29 luglio 19�27, art. 10, convertito in legge 5 higlio '1928, n. 1760(art. 3, 
primo comma, della Costituzione). 
Pretore di Ferrara, ordinanza 17 ottobre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. 72. 

legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 20 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 4 giugno 1975, G.-U. 3 marzo 1976, n. 58. 

Tribunale di Como, ordinanze 1� ottobre 1975 (cinquantanove) e 26 novembre 
1975 (G. V. 10 marzo 1976, n. 65, 17 marzo 1976, n. 72, 24 marzo 1976, n. 78, 
e 31 marzo 1976, n. 85). 

Tribunale di Locri, ordinanze 19 e 21 novembre 1975, G. V. 17 marzo 1976, 

n. �72, e 24 marzo 1976, n. 78. 
r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 18, primo e terzo comma (artt. 17 e 3 della 
Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 7 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. 

r.d. 1S giugno 1931, n. 773, ar~. 156 (art. 20 della Costituzione). 
Pretore di Pesaro, ordinanza 6 dicembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 
r.d. 1ll qiugno 1931, ii. 787, art. 103 (art. 15 della Costituzione). 
Pretore di Susa, ordinanza 3 ottobre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. 72. 
r.d.i. 19 ottobre 1930, n. 1933, art. 117 (art. 43 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 14 gennaio 1976, G. V. 28 aprile 1976, n. 112. 

22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELto STATO 

r.d.I. 14 a�prile 1939, n. 636, art. 13 (artt. 3, 29, secondo comma, 31, primo 
comma, 37, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 15 gennaio 1976, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

legge 6 luglio 1939, n. 10.35, art. M (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Corte d'appello di Roma, ordinanza 29 ottobre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

r.d. 6 maggio 1940, n. 635, art. 285 (art. 20 della Costituzione). 
Pretore di Pesaro, ordinanza 6 dicembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 
legge 25 settembre 1940, n. 1424, art. 148 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 
Tribunale di Locri, ordinanze 19 e 21 novembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, 

n. 78, e 17 IIJarzo 1976, n. 72. 
r.d. 31 gennaio 1941, n. 12, art. 276, ultimo c:omma (artt. 101, secondo comma, 
104, primo comma, e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). 
Consiglio superiore della magistratu,ra, sezione disciplinare, ordinanza 9 dicembre 
1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. 

legge 2~ gennaip .1942, 11. 37, art. 1 (artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione). 


Consiglio di Stato, quarta sezione, ordinanza 7 marzo 1975, G. U. 17 marzo 
1976, n. 72. 

r.d.. 16 marzo 1942, n. 267, art. 119, secondo comma (art. 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Roma, ordinanza 2 dicembre 1975, G. U. 28 aprile 1976. 

n. 112. 
legge 17 luglio 1942, n. 907 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 

Tribunale di Lanciano, ordinanze (tre) 30 iiiugno e 25 luglio 1975, G. U. 31 
marzo 1976, n. 85. 
Tribunale di Como, ordinanze (quattro) 1� ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, 

n. 85. 
Tribunale di Benevento, ordinanze (due) 22 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 
1976, n. 78. 

legge 17 luglio 1942, n. 907 (art. 43 della Costituzione). 
Corte d'appello di Venezia, ordinanze 20 febbraio 1975 (G. U. 31 marzo 1976, 


n. 85), 17 e 24 settembre 1975 (tre) (G. U. 31 marzo 1976, n. 85), 13 ottobre 1975 
(G. U. 28 aprile 1976, n. 112), 16 ottobre 1975 (G. U. 7 aprile 1976, n. 92), 23 ottobre 
1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85), 20 novembre 1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85). 
Tribunale di Crotone, ordinanza 18 novembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 


PARTE II, LEGISLAZlONE 

legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e segue~ti (artt. 41 e 43 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanze 17 febbraio 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72), 
21 marzo 1975 (G. U. 28 aprile 1976, n. 112), e 4 giugno 1975 (G. U. 3 marzo 1976, 

n. 58) 
Tribunale di Como, ordinanze (sessantacinque) 1� ottobre 1975 (G. U. 10 marzo 
1976, n. 65, 17 marzo 1976, n. 72, 24 marzo 1976, n. 78, e 31 marzo 1976, n. 85), 
3 ottobre 1975 (G. U. 24 marzo 1976, n. 78), e 26 novembre 1975 (G. U. 24 marzo 
1976, n. 78). 

legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45, 66, n. 5, e 80, 111. 2 (artt. 41 e 43 della 
Costituzione). 

Corte d'appello 1li Venezia, ordinanze (due) 15 novembre 1975, G. U. 31 marzo 
1976, n. 85 e 7 aprile 1976, n. 92. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, art+. 45 e 73 (artt. 41 e 43 .della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze (sei) 13 e 18 dicembre 1975 (G. U. 17 marzo 
1976, n. 72 e 31 marzo 1976, n. 85) e 7 novembre 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72). 

legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 65, 66 e seguenti (art. 43 della Costituzione). 


Tribunale di Larino, Ol'dinanza 10 dicembre 1975, G. V. 3 marzo 1976, n. 58. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 66 (art. 43 della Costituzione). 

Tribunale di Locri, ordinanza 19 novembre 1975 (G. U. 24 marzo 1976, n. 78) 
e 21 novembre 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72), 

r.d.I. 11 febbraio 1944, n. 31, art. 2 (artt. 25 e 3 della Costituzione). 
Tribunale di Udine, ordinanza 26 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 
r.d. 31 maggio 1946, n. 511 (artt. 101. secondo comma, 104, primo comma, 
.e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). 
Consiglio superiore della magistratura, ordinanze 11 dicembre 1975 (G. U. 23 
.aprile 1976, n. 112), 16 dicembre 1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85) e 17 dicembre 
1975 (due) (G. U. 14 aprile 1976, n. 99 e 21 aprile 1976, n. 105). 

d.I. C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 18, prima parte (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 luglio 1975, G. U. 
17 marzo 1976, n. 72. 

d!I. P. reg. Sicilia 15 ottobre 1947, n. 86 (artt. 14 e 17 dello statuto speciale 
siciliano). 

Corte costituzionale, ordinanza 12 febbraio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112 


24 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 11 febbraio 1948, n. 50, art. 2 (artt. 2, 3, 10, 14 e 23 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 3 dicembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 
legge 10 agosto 19SO, 1t. 648, ~rt. 69 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Corte dei conti, quarta sezione giurisdizior:ale pensioni di guerra, ordinanza 
3 giugno 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 

legge 3 ~e1rnaio 1951, n. 27 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 14 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

legge 3 gennaio 1951, 11. 27, artt. 1 e 4 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze 7 novembre 1975. 13 e 18 dicembre 1975, G. U. 
17 marzo 1976, n. 72 e 31 marzo 1976, n. 85: 

legge 3 gennaio 19511, n. 27, art. 20 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Como, ordinanze (sei) 1� ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 


legge 22 ottobre ]954, n. 1041, art. 6, quarto comma (artt. 3, primo comma, 
e 27, terzo comma, della Costituzione). 

Giudice istruttore del tribunale di Milano, ordinanza 14 agosto 1975, G. U. 
31 marzo 1976, n. 85. 

legge 27 dicembre 1956, 11. 1423, or~. 5, forzo comma (artt. 2 e 17 della Costituzione). 


Pretore di Firenze, ordinanza 11 novei;ubre 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99'. 

legge 2 aprile 1958, n. 332, crif. 4 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 13 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 


legge 13 marzo 1958, n. 311, e<:! in particolare tabella B (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinar:za 5 novembre 1974, G. U. 3 marzo 
1976, n. 58. 

legge 18 marzo 1958, n. 349, ed in particolare ari. 33 (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 5 novembre 1974, G. U. 3 marzo� 
1976, n. 58. 

d.P.R. 16 settembre 1950, 11. 9i6 (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, 
e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). 
Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 16 di~ 
cembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 

I 


! 

1 

I 


PARTE II, LEGISLAZIONE 25 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 79, ottavo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Pizzo, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, crt. 80, dodicesimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Asiago, ordinanza 8 novembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 83, quarto comma, n. 5 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Lucera, ordinanza 6 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 
Pretore di Pescara, ordinanza 1� dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 26 (artt. 3 e 51 della Costituzione). 
Pretore di Cittadella, ordinanza 4 dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 
d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50, n. 1, lettera c, ~ 52, primo comma 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Cosenza, ordinanza 17 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

legge 26 gennaio 1962, n. 16 ( artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 5 novembre 1974, G. U. 3 marzo 
1976, n. 58. 

legge 27 febbraio 1963, n. 260, art. 5 (artt. 38 e 3 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 18 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Lc:cce, ordinanza 5 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge 3 febbraio 1965, n. 14 (artt. 3, primo comma, e 35, primo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 7 ottobre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 

d.P.R. 30 giugn�o 1965, n. 1124, art. 4, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanza 26 novembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92, 
legge 30 giugno 1965, n. 1l24, art+. 10 e 11 (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Padova, ordinanza 30 dicembre 1975, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. 

d.P.R. 30 ghigno 1965, n. 1124, art. 112, secondo comma (artt. 76, 77 e 24 
della Costituzione). 
Pretore di Salerno, ordinanza 23 giugno 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, primo comma (artt. 3 e 4 della Costituzione). 


Pretore di Milano, ordinanza 10 gennaio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. 

legge 22 luglio 1966, n. 607, artt. 1, 4, 5 e 13 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 18 luglio 1975, G. U. 3 marzo 1976, 

n. 58. 
legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Mantova, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 


d.I. 21 nove111bre 1967, n. 1051, artt. 2, secondo comma, lettera a, 3, primo 
comma, 4, primo, ten:o, e quarto c�omma (artt. 10, primo comma, e 11 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 18 dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

�legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma, e leHera c (artt. 36, primo 
comma, e 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 21 mag� 
gio 1975, G. U. 7�aprile 1976, n. 92. 

legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Corte dei conti, quarta sezione giurisdizionale pensioni di guerra, ordinanza 
3 giugno 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 

~egge 30 aprile 1969, n. 153, art. 9 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, .ordinanza 2 gennaio 1976, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 6 dicembre 1976, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge 24 maggio 1970, n. 33�6, art. 4 (artt. 3 e 52 della Costituzione). 
Pretore di Vittorio Veneto, ordinanza 9 gennaio 1976, G. U. 17 marzo 1976, 

n. 72. 
legge 28 ottobre. 1970, 111. 775, art. 9, quinto comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze 10 marzo 1975 (G. U. 
7 aprile 1976, n. 92) e 30 giugno 1975 (G. V. 14 aprile 1976, n. 99). 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, artt. 16, primo, secc11do e nono comma, 
e 150 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze 10 marzo 1975 (G. U. 
7 aprile 1976, n. 92) e 30 giugno 1975 (G. U. 14 aprile 1976, n. 99). 

cl.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1434, art. 7, secondo comina (art. 76 �lella Costituzione). 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 11 giugno 1975, G. U. 24 marzo 1976,. 

n. 78. 
legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 16 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 22 ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. 


legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 19 (artt. 3, 4, 41, 42 e 47 della Costituzione). 


Pretore di Ispica, ordinanza 18 ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge 24 luglio 1971, n. 5S6 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo .i:egionale per la Puglia, ordinanza 8 luglio 1975, 


G. V. 28 aprile 1976, n. 112. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 1O, n. 14 (artt. 102, secondo comma, 108,. 
secondo comma, 113, primo e secondo comma, e VI disp. trans. della Costituzione). 


Tribunale di Perugia, ordinanza 9 _gennaio 1976, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 

legge 22 ottobre 197'1, n. 8�65, art. 16 (art. 3 e 42 della Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna, ordinanze 17 ottobre 1975 (G. V. 24 marzo 1976, 

n. 
78) e 12 dicembre 1975 (G. V. 28 aprile 1976, n. 112). 
Corte d'appello di Trieste, ordinanza 20 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976,. 
n. 78. 
legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16, primo, terzo e quarto comma, e 17,. 
primo comma (artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione). 

Tribunale di Rieti, ordinanza 29 dicembre 1975, G. V. 28 aprile 1976, n. 112. 

legge 22 �ottobre 1971, n. 865, art. 16, terzo comma (artt. 3 e 42, terzo. 
comma, della Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanze 12 dicembre .1975 (G. V. 21 aprile 1976, 

n. 105) e 23 gennaio 1976 (due) (G. V. 28 aprile 1976, n. 112). 

28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art+. 16 e 19 (artt. 42, terzo comma, e 3 della 

�Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna, ordinanze (quattro) 31 ottobre 1975, G. U. 24 
marzo 1976, n. 78. 

legge 29 ottobre 1971, n. 889, art. 13, quarto comma (artt. 25, primo com.
ma, e 102, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Sora, ordinanze 28 e 30 gennaio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. 

d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 14, primo comma (artt. 3 e 38 della 
�Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 2 gennaio 1976, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 
d.P.R. 26 ottobra 1972, n. 636 (art. 102, secondo comma, e VI disp. trans. 
.della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 30 giugno 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1, 2, 3, 9, 16, 2�6 e 40 (artt. 102, secondo 
.comma, 108, secondo comma, 113, primo e secondo comma, e VI disp. trans. 
della Costituzione). 
Tribunale di Perugia, ordinanza 9 gennaio 1976, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 

d.P.R. 26 ottobre 197�2, n. 636, art. 44 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ancona, ordinanza 16 dicembre 
1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 24 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Pordenone, ordinanza 3 ottobre 
1975, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della c.ostituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, ordinanza 6 novembre 
1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (art. 53, primo comma, della 
<:ostituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 2 di<:
embre 1975, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 111, ~erzo comma (art. 53, primo comma, 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 10 novembre 
1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 296 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Como, ordinanze (quattro) 1� ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, 
n. 78 e 31 marzo 1976, n. 85. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183, 195 (art. 21 della Costituzione). 
Pretore di Biella, ordinanza 5 novembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art+. 1, 183, .primo c:omma, e 195, primo c:omma 
(artt. 2, 3, 10, 11, 21, 41 e 43 della Costituzione). 
Pretore di Parma, ordinanza 19 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 7 e 304 (art. 23 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 13 ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, primo c:omma (artt. 2, 3, 21, 41 e 43 
della Costituzione). 
Pretore di San Miniato, ordinanza 12 gennaio 1976, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (artt. 3, 29 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Rho, ordinanza 3 dicembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. 
Pretore di Lodi, ordinanza 16 dicembre 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. 
Pretore di Ivrea, ordinanza 29 gennaio 1976, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 

d.I. 24 luglio 1973, n. 427, art+. 1 e 2, n. 1 (art. 11 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1976, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, primo c:omma. 
Corte dei conti, terza sezione pensioni civili, ordinanza 16 ottobre 1974, G. U. 
31 marzo 1976, n. 85. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. '129, secondo e terzo c:omma (art. 3 
della Costituzione). 
Giudice del lavoro del tribunale di Taranto, ordinanza 12 dicembre 1975, n. 72. 

legge reg. Emilia-Romagna 15 febbraio 1974, 111. 38, art. 14 (artt. 117 e 3 
della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1975, .G. U. 28 aprile 1976, n. 112. 

d.I. 11 aprile 1974, n. 99, art. 8 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Tribunale per i minorenni di Catania, ordinanza 17 maggio 1974, G. U. 17 
marzo 1976, n. 72. 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 20 aprile 1974, 111. H14, art. 1 (artt. 24 e 111 della Costituzione). 
Corte di cassazione, OI'dinanza 16 maggio 1974, G. U. 17 marzo 1976, n. 72_ 
legge reg. Lazio 2 luglio 1974, n. 30, artt. 1, lettere a e b, 2, 3 e 8 (artt. p7,. 
primo comma, e 3 della Costituzione). 


Pretore di Minturno, ordinanza 14 gennaio 1976, G. U. 31 marzo 1976, n. 85.. 

legge reg. Toscana 4 iugiio ,1974, n. 35, art. 55 (art. 25, secondo comma,. 
della Costituzione). 


Corte suprema di cassazione, ordinanza 26 maggio 1975, G. U. 7 aprile 1976,. 

n. 92. 
d.I. 8 luglio 1974, 11. 261, art. 6, secondo e terzo comma (artt. 4 e 13 della. 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 maggio 1975, G. U.. 
28 aprile 1976, n. 112. 


legge 14 ottoi>re 1974, 11. 497, art. 1 (art. 25 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, or.dinanza 6 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 
Tribunale di Sondrio, ordinanza 9 gennaio 1976, G. U. 24 marzo 1976, n. 78Tribunale 
di Modena, ordinanza 4 febbraio 1976, G. U . .28 aprile 1976, n. 112.. 


d.I. 10 gennaio 1975, 11. 2, artt. 1, 2 e 3 (art. 25 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 6 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. 
legge reg. Umbria appr. 10 aprile 1975 e riappr. �23 gennaio 1976 (art. 81,.. 
ultimo comma, della Costituzione). 


Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato 20 febbraio 1976,.. 

n. 8, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 
legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, primo com1na, e 2 (artt. 2, 3, 10, 11, 21,. 
41 e 43 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza. 19 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge 14 cprile 1975, mi. Hi3, artt. 1, 2, 3 e 45 (artt. 2, 3, 10, 11, 21e41 della 
Costituzione). 

Pretore di Arezzo, ordinanza 23 dicembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. 

legge 14 Gprile 1975, 111. 103, artt. 1, 2, 3, 45 (artt. 2, 3, 21, 41 e 43 della 
Costituzione). 

Pretore di San Miniato, ordinanza 12 gennaio 1976, G. U. 3 n1arzo 1976, n. 58.. 

! 

i 

I 

I 

II 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 14 aprile 1975, n. 103, arff. 1, 2, 38 e 45 (artt. 3, 21, 41 e 43 della 
Costituzione). 

Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 18 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, 

n. 65. 
legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Pretore di Lecco, ordinanza 25 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. 

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1. 2 e 45 (art. 21 della Costituzione). 
Pretore di Biella, ordinanza 5 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. 
Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 13 novembre 1975, G. V. 3 marzo 
1976, n. 58. 

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 3, 10, 21, 41 e 43 della Costituzione). 
Pretore di Novara, ordinanza 20 dicembre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. 72. 

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 3, primo comma, 21, 31 e 
43 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 12 dicembre 1975, G. V. 21 aprile 1976, n. 105. 

legge 14 a�prile 1975, n. 103, artt. 4 e 6 (artt. 21, 24, 43, 55 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 30 dicembre. 1975, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. 

legge 14 aprile 1975, n. 109, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 23 dicembre 1975, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. 

legge 1B novembre 1975, n. 764, artt. 2, secondo co1nma e tabella A, 3, 
primo e secondo comma, 6 e 7 (artt. 117 e 3, e VIII disp. trans. della Costituzione). 


Regione� Lazio, ricorso depositato 26 febbraio 1976, n. 9, G. V. 24 marzo 1976, 

n. 78. 
legge 18 novembre 1975, n. 764, artt. 3, primo e secondo comma, 6 e 7 
(artt. 3, lettera a, e 56 dello statuto della Regione sarda). 

Regione Sardegna, ricorso depositato 20 febbraio 1976, G. V. 24 marzo 1976, 

n. 78. 
legge �ons. reg. Valle d'Aosta, appr. 28 novembre 1975 e riappr. 10 feb� 
braio 1976. 
Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato 10 marzo 1976, n. 10, 

G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge cons. reg. Valle d'Aosta appr. 16 dicembre 1975 e riappr. 10 feb� 
braio 1976. 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato 10 marzo 1976, n. 11, 

G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

legge reg. Campania riappr. 26 febbraio 1976. 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 27 marzo 1976, 

G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

legge reg. Sicilia appr. 26 febbraio 1976. 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso depositato 13 m�r� 
zo 1976, n. 12, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. 

~egge reg. Sicilia, appr. 11 O marzo 1976. 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso depositato 25 marzo 
1976, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 

legge reg. d'Abruzzo rla.ppr. 16 marzo 1976. 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 12 aprile 1976, 

G. U. 21 aprile 1976, n. 105. 


C,ONSULTAZIONI 


ACQUE PUBBLICHE 

Acque pubbliche -Concessione di derivazioni a scopo idroelettrico -Immobili 
e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata a danno del concessionario 
� (t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 20 e 25). 

Se siano soggetti ad esecuzione forzata gli immobili e beni costituenti i 
mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque pubbliche a 
� scopo idroelettrico (n. 113). 

Acque pubbliche � Concessione di derivazione a scopo idroelettrico � Immobili 
e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata -Vendita all'asta � 
Acquirente -Trasferimento della concessione -Nulla osta della P.A. � (t.u. 
11 dicembre 1953 n. 1775, artt. 20 e 25). 

Se, nel caso di vendita all'asta a seguito di esecuzione forzata di immobili 
e beni costituenti i mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione 
di acque ptibbliche a scopo idroelettrico, il trasferimento della, concessione in 
favore dell'acquirente sia condizionato al nulla osta dell'Amministrazione (n. 113). 

AGRICOLTURA E FORESTE 

Agricoltura e foreste -Violazione a norme di tutela del patrimonio forestale � 
Depenalizzazione � (r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267, artt. 24 e segg.; 1. 9 ottobre 
1967 n. 950). 

Se tutte le violazioni, di qualsiasi tipo, previste dal r.d.l. 30 dicembre 1923 

n. 3267 contenente norme a tutela del patrimonio forestale, siano state depenalizzate 
a seguito dell'entrata in vigore della legge 9 ottobre 1967 n. 950 (n. 77); 
APPALTO 

Appalti di opere pubbliche -Revisione prezzi contrattuali -Clausola di esclusione 
della revisione -Ius superveniens -(d.l.C.P.S. 6 dicembre 1947 numero 
1501; art. 2 legge 22 febbraio 1973 n. 37). 

Se, in virt� della nuova disposizione di cui all'art. 2 legge 22 febbraio 
1973 n. 37 che vieta ogni fatto contrario al regime revisionale dei prezzi contrattuali 
negli appalti di opere pubbliche, si debba dare ingresso alla revisione 
in relazione a contratti di appalto, ove era inserita la clausola di esclusione 
della revisione, stipulati anteriormente alla entrata in vigore della legge 
2 febbraio 1973 n. 37 (n. 383). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Appalti di opere pubbliche � Revisione prezzi contrattuali -Ricorso ammznz. 
strativo � Silenzio rigetto -Condizioni -(artt. 5 e 7 d.l.C.S. 6 dicembre 1947 

n. 1501; art. 6 d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199). 
Se la nuova disposizione, specificamente concernente i ricorsi gerarchici 
propri, che prevede la formazione del silenzio-rigetto -come presupposto dell'impugnazione 
giurisdizionale -con il vano decorso del termine di 90 giorni 
dalla presentazione del gravame, risulti applicab'ile anche -allo speciale ricorso 
previsto dal d.l.C.P.S. 1947/1501 avverso i provvedimenti della stazione appaltante 
nella domanda di revisione dei prezzi contrattuali di appalto di opere 
pubbliche (n. 382). 

CIRCOLAZIONE STRADALE 

Circolazione stradale � Scontro tra veicoli � Impianti semaforici -Inefficienza Responsabilit� 
civile � (cod. civ. artt. 2043, 2054). 

Se la responsabilit� negli incidenti stradali causati da inefficienza di 
impianti semaforici nei quali siano coinvolti automezzi della P.A., possa essere 
attribuita al Comune (n. 48). 

ELETTRICIT� ELETTRODOTTI 

Acque pubbliche � Concessione di grande derivazione � Scadenza, decadenza 
e rinuncia della concessione � Opere di raccolta, regolazione e derivazione 
-TrfJ.Sflffimento al.lo Stato -(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, art. 25). 

Se, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia ad una concessione di 
grande derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta, regolazione o 
derivazione passino automaticamente in propriet� dello Stato, ovvero lo Stato 
med,esimo abbia la scelta tra l'acquisizione in propriet� ed il disporre la 
demolizione (n. 54). 

Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o 
rinuncia alla concessione -Opere di raccolta, regolazione o derivazione Trasferimento 
all'ENEL -(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, art; 25; d.P.R. 18 
marzo 1965 n. 342, art. 9, quinto comma). 

Se, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia ad una concessione di 
grande derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta, regolazione o 
derivazione passino automaticamente in propriet� dell'ENEL -in virt� del 
subentro disposto dall'art. 9, quinto comma d.P.R. 18 marzo 1965 n. 342 -, 
ovvero se tale trasferimento si operi solo ed in quanto l'Ente Nazionale per 
l'Energia Elettrica decida di continuare a produrre energia da quel determinato 
impianto (n. 54). 

Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o 
rinunzia � ENEL � Domanda di concessione per scopi idroelettrici -lst.rut� 
toria -(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 7 e 25; d.P.R. 18 marzo 1965 

n. 342, art. 9, secondo comma). 
Se sulla domanda dell'ENEL diretta ad ottenere la concessione di derivazione 
di acque per scopi idroelettrici, oggetto di precedente concessione scaduta 
decaduta o rinunciata, debbasi disporre la prevista istruttoria qualora, 
con detta domanda, concorrano altre domande per scopi idroelettrici o per 
altri scopi (n. 54). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

"'IMPIEGO PUBBLICO 

:Ufficio Italiano dei Cambi -Dipendenti -Collocamento a riposo per limiti di 
et� -Indennit� sostitutiva del preavviso -Determinazione. 

Se al dipendente dell'Ufficio Italiano dei Cambi collocato a riposo per 
limiti di et� debba essere corrisposta, nelle mensilit� dovutagli a norma di 
regolamento come sostitutiva del preavviso, anche la percentuale del 7 % che 
1'Ente � tenuto a versare, in ogni emolumento retributivo, nel conto di quie
�scenza intestato all'impiegato stesso (n. 784). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

Imposta di registro -Condono -Controversia pendente -Giudi~ato -Successiva 
domanda di condono -Effetti -(d.l. 5 novembre 1973 n. 660, art. 6; 

l. 19 dicembre 1973 n. 823, art. 6). 
Se e in quali limiti sia ammissibile la definizione di controversia tribu
�taria in ordine alla applicazione dell'imposta di registro, ai sensi della legge 
19 dicembre 1973 n. 823, nel caso in cui, nella controversia pendente al 31 ottobre 
1973, la domanda di condono sia presentata prima del 28 febbraio 1974 
ma dopo che si sia resa definitiva sentenza dell'autorit� giudiziaria (n. 418). 

IMPOSTE DIRETTE 

.Imposte dirette -Reati finanziari -Dichiarazione unica dei redditi -Presentazione 
tempestiva ad Ufficio delle Imposte territorialmente incompetente Mancata 
trasmissione all'ufficio competente -Effetti -(t.u. 29 gennaio 

1958 n. 645, artt. 21, 23; 29 e 243). 

Se incorra nel reato di omessa dichiarazione dei redditi il contribuente 
�che abbia presentato tempestivamente la dichiarazione ad ufficio dell� imposte 
territorialmente incompetente e non sia seguita la trasmissione all'Ufficio 
-competente (n. 20). 

REATI FINANZIARI 

Imposte dirette -Reati finanziari -Dichiarazione unica dei redditi -Presentazione 
tempestiva ad Ufficio delle Imposte territoria�mente incompetente Mancata 
trasmissione all'ufficio competente -Effetti -(t.u. 29 gennaio 
1958 n. 645, artt. 21, 23, 29 e 243). 

Se incorra nel resto di omessa dichiarazione dei redditi il contribuente 

.che abbia presentato tempestivamente la dichiarazione ad ufficio delle imposte 
territorialmente incompetente e non sia seguita la trasmissione all'Ufficio com� 
JPetente (n. 15). 


NOTIZIARIO 


CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO 
DELL'AWOCATURA DELLO STATO 


Il 28 maggio, alle ore 11, nella Sala �Vanvitelli�� del palazzo sede 
dell'Avvocatura Generale dello Stato si � svolta la manifestazione celebrativa 
del primo Centenario di vita dell'Istituto alla presenza del Presidente 
della Repubblica On. Prof. Giovanni Leone. 

Al tavolo della presidenza avevano preso posto: l'On.le Prof. Franco 
Cossiga, Ministro dell'Interno, che presiedeva la riunione per delega del 
Presidente del Consiglio impedito per sopravvenuti imprevedibili gravi 
impegni, l'Avvocato Generale dello Stato Avv. Giovanni Zappal�, il Vice Avvocato 
Generale vicario Avv. Rocco di Ciommo, il Capo di Gabinetto del 
Presidente del Consiglio Avv. Giuseppe Manzari~ il Segretario Generale 
dell'Avvocatura dello Stato, Avv. Giorgio Zagari. 

Ai due lati del tavolo presidenziale avevano preso posto i Vice 
Avvocati generali, Avvocati: Francesco Agr�, Giuseppe Azzariti, Elio 
Vitucci, Carlo Salto, Giovanni Albisinni, Giovanni Gentile, Francesco 
Chiarotti, Vito Cavalli e gli Avvocati Q.istrettuali, Avvocati: Alfonso� 
Nigido, Giuseppe Rizzo, Donato Colletta, Francesco Ansaldi, Antonio Ciampoli, 
Livio Pifferi, Manlio Cecovini, Giovanni Cardia, Francesco De Luca, 
Lorenzo Barsi, Salvatore Sorce, Giuliano Arcioni, Alfonso Avella, Giuseppe 
Donadio, Carmelo Buda, Federico Placida, Adone Pistolesi, Carlo Gardelli, 
Ettore Guerra, Giovanni Coletta ed i Vice Avvocati dello Stato 
Avv.ti Giuseppe Cippatore e Giovanni Bestente in sostituzione degli Avvocati 
distrettuali dello Stato di Genova e Torino impediti. 

Erano inoltre presenti: 

-Sua Eminenza il Signor Cardinale Dino Staffa Prefetto del Supremo 

Tribunale della Segnatura Apostolica; 
-il Presidente del Senato On. Sen. Giovanni Spagnolli; 
-il Vice Presidente della Camera dei Deputati On. Oscar Luigi Scalfaro; 
-gli ex Presidenti del Consiglio On. Giuseppe Pella e On. Mario Scelba; 
-il Vice President� della Corte Costituzionale dott. Luigi Oggioni; 
-il Presidente emerito della Corte Costituzionale prof. Gaspare Ambrosini; 
-i Ministri On.li Emilio Colombo, Tommaso Morlino, Gaetano Stammati, 

Franco Malfatti, Antonino Gullotti, Mario Martinelli, Mario Toros, Lu


ciano Dal Falco, Mario Pedini; 

-i giudici della Corte Costituzionale Nicola Reale, Vezio Crisafulli, Giulio 

Gioffrida, Ercole Rocchetti, Guido Astuti, Michele Rossano, Antonino 

De Stefano; 

-



PARm II, NOTIZIARIO 

-i Presidenti delle Regioni Friuli-Venezia Giulia Antonio Comelli e Trentino 
Alto-Adige avv. Bruno Kessler; 
-il Vice Presidente. del: C�nsiglio ,&\periore della Magistratura .On. Giacinto 
Bosco; 

-il Vice Presidente del C.N.E.L. On. Giuseppe Rizzo; 

-il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione dott. Mario Stella 
Richter; 
-il Presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione dr. Emanuele 
Danzi; 

-il Presidente del Consiglio di Stato dott. Gaetano Vetrano; 

-il Procuratore Generale della Corte di Cassazione dr. Giovanni Colli; 

-il Presidente della Corte dei Conti prof. Giuseppe Cataldi; 
-il Presidente del Consiglio Nazionale Forense On. avv. Aldo Casalinuovo; 

-il Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. C.A. Andrea Viglione; 

-i Primi Presidenti della Corte Suprema di Cassazione a riposo dott. 
Ernesto Eula e prof. Giuseppe Flore; 
-i Presidenti del Consiglio di Stato a riposo dott. Antonino Papaldo e 
dott. Carlo Bozzi; 

-il Segretario� Generale del Senato dott. Gaetano Gifuni; 

-il Segretario Generale della Camera dei 'Deputati dott. Antonio Maccanico; 
-il Nunzio Apostolico rev.mo mons. Romolo Carboni; 
-il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito gen. C.A. Andrea Cucino; 
-il Capo di Stato Maggiore della Marina amm. di sq. Gino De Giorgi; 
-il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica gen. sq. aer. Dino Ciarlo; 
-il Comandante della Regione Centrale di Roma gen. C.A. Vincenzo 

Leonelli; 
-il Primo Presidente della Corte d'Appello di Roma dott. Giuseppe 
Vallillo; 
-il Procuratore Generale della Corte d'Appello di Roma dott. Walter Del 
Giudice; 

-il Presidente del Tribunale Supremo Militare gen. C.A. Renzo Apollonio; 
-il Procuratore Generale militare gen. C.A. Ugo Foscolo; 

-il Procuratore Generale della Corte dei Conti dott. Mario Sinopoli; 

-il Consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica amb. Federico 
Sensi; 
-il Consigliere militare del Presidente della Republica amm. di sq. Luciano 
Bucalossi; 

-il Ragioniere Generale dello Stato dr. Vincenzo Milazzo; 

-il Prefetto di Roma dbtt. Gaetano Napoletano; 

-il Capo della Polizia Prefetto dott. Giorgio Minichini; 

-il Comandante Generale della Guardia di Finanza gen. C.A. Raffaele DeI 
Giudice; 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-il Capo dell'Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Mini


stri dott. Giuseppe Potenza; 
-il Segretario Generale del Consiglio di Stato On. Renato Laschena; 
-il Segretario Generale della Corte dei Conti avv. Nicola Vitamore; 
-il Segretario Generale della Difesa rappresentato dal gen. Mura; 
-il Presidente del Tribunale Civile e Penale di Roma dott. Pietro Pa


scalino; 
-il Procuratore della Repubblica di Roma dott. Elio Siotto; 
-il Presidente dell'I.R.I. prof. Giuseppe Petrilli; 
-il Presidente della Cassa per il Mezzogiorno prof. Gabriele Pescatore; 
-il Presidente dell'ENI avv. Pietro Sette; 

-il Presidente dell'Associazione Nazionale Avvocati Enti Pubblici prof. 

avv. Enrico Esposito; 
-Mons. Giovanni Canestri; 
-il Presidente del Poligrafico dello Stato dr. prof. R. Lanza; 
-il Questore di Roma dott. Ugo Macera; 
-il Comandante della Divisione Carabinieri di Roma gen. Missori; 
-il Provveditore agli Studi di Roma prof.ssa Italia Leucaldammo Testa; 
-il Provveditore alle 00.PP. di Roma ing. Antonio Ruberto; 
-il Comandante della Legione Carabinieri di Roma col. Enzo Fiorletta; 
-il Presidente dell'ACI di Roma dott. Vincenzo Del Gaudio; 

Hanno partecipato alla cerimonia tutti gli avvocati e procuratori 
dello Stato ed il personale amministrativo dell'Avvocatura Generale dello 
Stato, molti ex avvocati dello Stato, magistrati, avvocati del foro libero 
e professori universitari che rincresce non poter ricordare nominativamente. 


Al termine della cerimonia, nella quale hanno preso la parola il Ministro 
dell'Interno On. Prof. Franco Cossiga e l'Avvocato Generale dello 
Stato Avv. Giovanni Zappal�, di cui riportiamo i discorsi, il Presidente 
della Repubblica, accompagnato dalle autorit� presenti, attraverso lo scalone 
d'onore, � salito al primo piano dove nelle sale di rappresentanza si � 
intrattenuto con gli Avvocati e Procuratori dello Stato e con il personale 
amministrativo. 

Il Ministro dell'Interno On. Prof. Franco Cossiga ha pronunciato il 
seguente discorso: 

Signor Presidente, Eminenza, Signor Avvocato Generale dello Stato, 
Signore e Signori, 

era proponimento dell'On.le Presidente del Consiglio intervenire a 
questa solenne cerimonia. 
Gli impegni politici e parlamentari del momento lo hanno impedito. 
Ho quindi io l'onore e il compito di esprimere a nome del Governo il com



PARTE II, NOTIZIARIO 

-piacimento pm vivo per la felice ricorrenza del I� Centenario della na. 
cscita di quella importante istituzione che � l'Avvocatura dello Stato e 
.quindi di rivolgere questo indirizzo. 

E' per me motivo di particolare onore poter aggiungere a questo �l 
�mio pi� sentito compiacimento personale per questa ricorrenza. 

E' certo segno di grande vitalit� il fatto che questa istituzione abbia 
�superato la prova di un secolo, dominato da radicali mutamenti politici 
�sociali economici, non solo adeguandosi alle nuove realt�, ma anzi con
�tribuendo alla loro affermazione. 

L'esperienza storica, del resto, ci insegna che esiste _una stretta con


�nessione tra rinnovamento ed istituzioni. C'� autentico rinnovamento sociale 
e politico quando esso risponda a quello che emerge dalla societ� 
�e dalla coscienza popolare. 

Sono valide quelle istituzioni che sappiano accompagnare le spinte 
.al mutamento verso costruttivi traguardi. Le strutture istituzionali per 
-costituire un sicuro alveo, che scongiuri i pericoli di dispersione delle energie 
e di disordine� traumatico, debbono essere solide ed efficienti. 

Solo allora le forze politiche riescono a svolgere un'azione incisiva 
�ed innovatrice che assicura il progresso della societ� nella continuit� 
.dello Stato. Una continuit� che non si limita a tutelare la tradizione, il 
-patrimonio dei valori acquisiti contro ogni temibile involuzione, ma che 
�si apre al nuovo scaturente dal travaglio storico di un popolo. 

Le vicende dell'Avvocatura dello Stato sono in questo senso assai 
significative. Nata da una delle prime riforme democratiche e progressi~ 
�ve dell'Italia unita -la sottoposizione dello Stato al giudice ordinario, 
-con conseguente necessit� di una sua efficiente ed unitaria difesa -essa 
cseppe fin dall'inizio cogliere nel suo compito, al di l� del momento dialet"
tico e contingente della tutela dell'interesse pubblico in conflitto con quello 
-del privato, il permanente dovere di equit� proprio dello Stato, da attuarsi 
per parte sua, collaborando ad una corretta amministrazione della 
�giustizia. 

E' questo un patrimonio ideale che ha accompagnato l'Avvocatura nei 

cento anni della sua storia, facendone sicuro e non sostituibile ausilio 

�dell'azione di Governo in tutti quei campi in cui interessi privati o co


munque settoriali possano entrare in conflitto con quello generale rappre


�sentato dallo Stato. 

Il Paese � molto cresciuto nei cento anni che celebriamo e l'Istituto 

.cui il Governo rivolge oggi il suo saluto � cresciuto con esso, paS"sando 

�dalla iniziale limitata dimensione di settore all'odierna collocazione. 

Era allora poco pi� di un ufficio del Ministero delle Finanze, incari


cato di tutelare gli interessi patrimoniali di parte della pubblica Ammini


�strazione, � oggi una struttura autonoma, che cura in via generale e in 

modo armonico la tutela di tutti gli interessi pubblici perseguiti dallo 

Stato e dalle sue articolazioni. 


40 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Questa evoluzione si riflette nell'abbandono della antica denominazione 
di �Avvocatura Erariale� e nell'adozione di quella attuale di � Avvocatura 
dello Stato�; e nel passaggio della sua collocazione da un particolare 
settore dell'Amministrazione.. nel quadro �della Presidenza del Consiglio 
dei Ministri. Ci� corrisponde alla pi� comprensiva funzione di tutela 
oggi commessa all'Avvocatura, che � chiamata ad operare non pi� solo� 
per dirimere il conflitto patrimoniale di stampo ottocentesco fra Stato 
e cittadino, ma anche per collaborare alla risoluzione di conflitti di grave 
momento, quali quelli che si dibattono dinnanzi alla Corte Costituzionale 
intorno ai limiti delle attribuzioni tra i poteri dello Stato, ovvero quelli 
che vengono discussi dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunit� 
Europee riguardanti l'interpretazione delle norme comunitarie e la posizione 
degli Stati .membri nell'ambito comunitario. 

IstitUita per maggior compimento di giustizia e miglior funzionalit� 
dello Stato di diritto, l'Avvocatura, per la competenza e la sensibilit� 
dimostrate, ha acquisito un indiscusso patrimonio di prestigio. 

Bench� l'organico ed i mezzi a disposizione non abbiano sub�to vistosi 
aumenti rispetto al passato, l'Avvocatura dello Stato ha puntualmente 
adempiuto ai compiti (sempre crescenti e sempre pi� differenziati) ad 
essa.affidati; ha fronteggiato i problemi nuovi che il progredire del Paese 
andava proponendo; corrisponde oggkalle pi� sofisticate esigenze di 1JI1a 
moderna societ� pluralista. 

Il lusinghiero bilancio del primo secolo di vita dell'Istituto costituisce� 
il migliore auspicio per il futuro e garanzia certa per il Governo della 
Repubblica, di poter sempre trovare nell'ausilio tecnico dell'Avvocatura 
dello Stato tutta la esperienza, la competenza, la efficienza e la duttilit� 
che una societ� in rapido movimento render�, di volta in volta,. 
necessarie. 

* * * 

L'Avvocato Generale dello Stato Avv. Giovanni Zappal� ha pronunciato 
il seguente discorso: 

Signor Presidente della Repubblica, 

il vivissimo ringraziamento che Le rivolgo per aver voluto onorare 
con la Sua presenza questa manifestazione celebrativa del primo centenario 
del nostro Istituto � diretto non solo a chi regge la Suprema Magi� 
stratura della Repubblica, ma anche all'illustre maestro di diritto edl 
all'avvocato che nel foro ha dato ineguagliabile esempio, a tutti noi, di 
rara arte oratoria e di somma perizia professionale. 

Ringrazio: 

Il Signor Cardinale Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura 

Apostolica; 

...........,~ 



PARTE II, NOTIZIARIO 

!'On.le Presidente del Senato e l'On. Vice Presidente della Camera 

dei Deputati; 

il Signor Vice Presidente della Corte Costituzionale; 

gli onorevoli Ministri; 

gli Onorevoli Presidenti delle Regioni Trentino-Alto Adige e Friuli


Venezia Giulia; 
i Vice Presidenti del Consiglio Nazionale dell'Economia e del lavoro 
e del Consiglio Superiore della Magistratura; 
il Presidente ed il Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione; 


il Presidente del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti; 

i rappresentanti degli Ordini forensi, dei Corpi Accademici, delle Forze 
Armate, della Pubblica Amministrazione e quanti hanno voluto onorare 
con la loro presenza questa riunione; 

in particolare ho il dovere di ringraziare Lei, On.le Ministro dell'Interno, 
per le parole di vivo apprezzamento che ha voluto indirizzare per 
incarico del Presidente del Consiglio, impedito, per sopravvemiti urgenti, 
gravi impegni e che sono state a noi particolarmente gradite. 

L'Avvocatura dello Stato � lieta di ricevervi nella sua sede, recentemente 
restaurata, opera di Luigi Vanvitelli che, se non � caratterizzata 
da stile aulico e solennit� corale, come la Reggia di Caserta, rileva nella 
nobilt� delle linee e nelle dimensioni contenute ed armoniche la genialit� 
del grande architetto del settecento; ed � lieta di accogliervi in questa 
bella sala, dominata da un grande affresco, rara opera romana di Gregorio 
Guglielmi, rappresentante uno dei miracoli pi� significativi del Nuovo 
Testamento, la moltiplicazione dei pani e dei pesci. 

Ascriviamo a nostro privilegio il poter lavorare fra queste antiche 
mura, erette per onorare la poliedrica personalit� di un uomo che � stato, 
insieme, un grande santo ed un grande filosofo: esegeta, metafisico, psicologo, 
che giovanissimo, mentre si avviava con successo alla professione 
forense, fu spinto dalla lettura dell'Ortensio di Cicerone, dalla vibrante 
esortazione alla ricerca della sapienza, che � la sola immortale, come egli 
stesso scrisse nelle Confessioni, a ricercare altro impegno per il suo 
animo nobilissimo. E dalle principali esperienze personali di cui S. Agostino 
ha dato testimonianza con la sua vita e con le sue opere: l'amore. 
per la sapienza, il culto per l'amicizia, la nobilt� e fortezza di carattere, 
noi traiamo ispirazione per il nostro lavoro. 

'Benedetto Croce in � Etica e . Politica� ha scritto che ogni istituto 
che si crei deve, per vivere, diventare �interesse dei singoli, sentimento, 
affetto, ricordo, speranza: il che, agli occhi dell'astratto 'razionalista, � 
un contaminarsi, ma, nella realt�, � un semplice rigettare l'astrattezza per 
la vita. Ci� � tanto pi� vero per il nostro Istituto nel quale, il carattere 
eminentemente professionale della funzione, esalta e stimola l'interesse 
e l'attivit� dei singoli; sicch� la storia del primo secolo della sua vita � 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

indissolubilmente, legata alle vicende degli uomini che vi hanno operato: 
alla loro intelligenza, alla loro cultura, al loro temperamento, alle loro� 
qualit� professionali. Inizio, perci�, il mio dire rendendo omaggio a tutti 
gli Avvocati e Procuratori dello Stato che, durante un secolo, hanno profuso, 
spesso per l'intera vita, il loro ingegno e le loro forze nella difesa. 
degli interessi della collettivit�, contribuendo a costruire con il loro la-voro, 
giorno per giorno, quella tradizione di seriet� e preparazione professionale 
che �, oggi, non contestabile nostro patrimonio comune. 

Volendo dire di alcuni di loro, devo, in primo luogo, ricordare il fondatore 
dell'Istituto, Giuseppe Mantellini, romanista, giuspubblicista ed 
avvocato di eccezionale valore, dotato di quell'ecletticit� e profondit� di 
cultura che fu caratteristica dei grandi giureconsulti dell'ottocento. Ed 
il suo successore, Giacomo Costa, che, quale Ministro Guardasigilli, aveva 
progettato quelle grandi riforme nell'amministrazione della giustizia che'. 
una fine prematura gli imped� di realizzare. 

Giandomenico Tiepolo, succeduto al Costa, resse l'ufficio con quello� 
stesso attaccamento ai propri ideali che lo aveva spinto nel 1859 a partecipare, 
da volontario, alla seconda guerra di indipendenza. 

Di Adriano De Cupis vanno ricordati i servizi, veramente luminosi� 
che egli, conoscitore profondo della Amministrazione, rese allo Stato� 
riunendo in s�, in modo incomparabile, le doti pi� ambite. 

Avvocato di indiscusso valore Giovanni Villa aveva conseguito meritata 
fama nel Foro, prima della nomina ad Avvocato Generale. Fedeleservitore 
dello Stato non esit� ad accettare, durante la fase pi� drammatica 
della prima guerra mondiale, pesanti responsabilit�: Ministro� 
dei trasporti e Vice Presidente del Consiglio, l'avverso destino gli imped� 
di dare all'Avvocatura ed al Governo quel maggior contributo che dal su0> 
straordinario valore intellettuale era da attendersi. 

Devo, infine, ricordare gli ultimi tre Avvocati Generali con i quali ho� 
avuto l'onore di collaborare direttamente. 

Gaetano Scavonetti concep� la vita pubblica come una continua bat-taglia 
alla quale partecip� con animo aperto e senza esitazioni, apportandovi 
il contributo di una tenacia, di una operosit� senza pari. Eglir 
ben a ragione, � ricordato come il restauratore delle fortune dell'Istituto 
e la sua figura si erge nei nostri ricordi come animata da un irresistibilefascino. 


E' viva nel ricordo di molti di noi la figura di Adolfo Giaquinto, serena 
e semplice, che pur non dissimulava una cultura profonda ed una acutezza 
di pensiero non comune, che egli pose costantemente, in diversi campi, a 
servizio dello Stato. 

A Salvatore Scoca mi legava una pura e costante amicizia, una perfetta 
comunione di sentimenti e di intenti. Acuto ed agilissimo il suo ingegno 
recepiva le manifestazioni pi� varie e diverse; e sia che si trattasse 


PARTE II, NOTIZIARIO 4J' 

di questioni sottili di diritto o complesse di economia o di finanza, com 
uguale forza assimilatrice le analizzava e le risolveva. 

La figura dell'uomo politico e dell'Avvocato dello Stato non vennero0 
mai in contrasto, ma quasi, vicendevolmente si integrarono; e dimostr� 
come fosse possibile, operando nella politica e nel governo, essere giusto. 

E di molti ancora dovrei dire, fra coloro che indossarono la toga di 
avvocato dello Stato: Oronzo Quarta, Giovanni Pagano Guarnaschelli,. 
Salvatore D'Amelio, Ernesto D'Agostino, Achille Nucci, Giancarlo Messa, 
Francesco Lo Bianco, Augusto Ortona, Francesco Di Gennaro, Raffaele 
Pio Petrilli, Gaetano Pulvirenti, Luigi Medugno, Francesco Selvaggi e tanti 
altri, che la ristretttezza del tempo mi impedisce, sia pur fugacemente,, 
di ricordare. 

* * * 

Tenter� ora di tracciare, in rapida sintesi, le linee di sviluppo del-l'Istituto 
nel primo secolo di vita. 

E' indubbio che l'Avvocatura erariale derivi, direttamente, dall'Avvocatura 
toscana. Non certo a caso fu Giuseppe Man,tellini -ultimo Avvo-cato 
regio di Toscana e Deputato al Parlamento -ad essere relatore� 
della legge 28 novembre 1875 ed estensore del decreto 16 gennaio 1876. 
Non certo a caso lo stesso Mantellini fu il primo Avvocato Generale. 

Si realizz�, cos�, un raro esempio di trapianto di un istituto toscano�� 
nel tessuto connettivo dello Stato unitario, che aveva, invece, preferito� 
ispirarsi a strutture piemontesi e borboniche. 

Per comprendere quale fosse � l'anima � che, per mediazione del Man-.. 
tellini, si reincarn� nell'Avvocatura Erariale, occorre ricordare che, nell'ordinato 
ed efficiente regime pre-liberale della Toscana dei Lorena, la 
Pubblica Amministrazione era assoggettata al giudizio dei Tribunali ordi-nari. 
I giudici del contenzioso amministrativo esercitavano una giurisdizione 
�di eccezione�, limitata a pochi casi, espressamente previsti 
dalla legge. Al vertice del sistema giudiziario era la Corte di Cassazione, .. 
che esercitava anche la funzione di giudice dei conflitti. 

In tale quadro si collocava la magistratura dell'Avvocato Regio, istituita, 
con motu-proprio di Pietro Leopoldo del 17 maggio 1777, per la 
difesa delle cause dell'amministrazione da trattarsi, come egli stesso,.. 
espressamente, prescriveva, � con puro spirito di verit� e di giustizia eperch� 
l'interesse del Fisco non prevalga mai alla ragione dei privati �, 
la quale, gradualmente, and� ampliando i suoi compiti, s� che, alle soglie� 
dell'Unit�, l'Avvocato Regio es_ercitava una funzione, integrale e bivalente, .. 
di difensore dello Stato e difensore della legge. Gli era affidato, infatti, 
il compito della tutela della personalit� internazionale dello Stato e della 
difesa dell'amministrazione dinanzi ai giudici toscani, in veste neutra ed'. 
imparziale e nel superiore interesse della legge. 


46 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

blico, al fine ultimo di assicurare la piena legalit� dell'azione amministrativa. 


Dopo un primo passo nel 1913, con l'introduzione di una normativa 
che ridusse, grandemente, il numero e l'autonomia degli avvocati delegati, 
un secondo e fondamentale passo fu compiuto, nel 1923, con la istituzione 
del Foro Erariale, che, consentendo l'abolizione della difesa delegata, 
si pose come strumento tecnico determinante perch� la difesa 
dello Stato fosse ordinata sulla base di una razionale unit� organica e 
funzionale. 

'La concentrazione delle cause dello Stato permise, oltre che una pi� 
agevole visione globale dei vari interessi ed una linea difensiva unitaria, 
una specializzazione dei giudici nella delicata area di una tipologia di 
conflitti, caratterizzati dalla ricerca della linea di demarcazione fra principio 
di libert� e principio di autorit�. In ultima analisi, l'obiettivo cui 
conduce il foro speciale � peraltro -come ha anche ritenuto la Corte 
Costituzionale -la certezza del diritto nei rapporti fra Stato e cittadino, 
con vantaggio per entrambi. Non � un caso, d'altronde, che con provvedimento 
coevo a quello istitutivo del Foro Erariale, venisse unificata la 
Corte di Cassazione: entrambe le normative furono, infatti, ispirate al 
perseguimento della certezza del diritto: nell'un caso per il fine specifico 
della giustizia dell'amministrazione, nell'altro per il primato della legge 
nell'amministrazione della giustizia. 

* * * 

:~

La costituzione repubblicana e la partecipazione dell'Italia alle nuove 

forme di cooperazione internazionale e sovranazionale, hanno aperto 

all'Istituto l'orizzonte di nuovi compiti e di nuove funzioni, gli uni e le 

altre subito assolti ed esercitate in virt� di quella potenzialit� espansiva 

dell'Avvocatura, derivatale dalla matrice, gi� contenente, in nuce, i segni 

dei futuri sviluppi. 

Semplificando al massimo, le due nuove importantissime funzioni, 

attribuite all'Istituto nel secondo dopoguerra, si risolvono in una istitu


zionale difesa dello Stato -ordinamento, dinanzi al giudice delle leggi, 

e dello Stato -soggetto di un ordinamento sovranazionale, nell'ambito 

di tale diverso ordinamento e dinanzi al giudice in� esso incardinato. Le 

ristrette vesti di � organo dello Stato-amministrazione � ove mai siano 

esistite, appartengono, ora, solo alla storia dell'Istituto che, non a caso, 

ha mutato, gi� da tempo, la propria denominazione da Avvocatura Era


riale in Avvocatura dello Stato, nel corso di un processo, poi proseguito 

nella stessa linea di tendenza, senza soluzioni di continuit�; sicch� l'origi


naria difesa patrimoniale dello Stato sulla base di un diritto privato di 


PARTE II, NOTIZIARIO 

tradizione bimillenaria, � andata evolvendosi, in progressione, nella difesa 
legale dello Stato, tout court, in tutte le sue articolazioni. 

Se una indicazione, sia pure sommaria, dei contributi dell'Avvocatura 
in un secolo di storia del diritto pubblico non � possibile, tuttavia, vanno 
ricordati i momenti pi� significativi del suo apporto. 

Le riforme del 1865 e la legge sui conflitti del 1877, ispirate ad una 
visione dogmatica del principio delle divisioni dei poteri, avevano affidato 
alla elaborazione giurisprudenziale due temi essenziali: l'individuazione 
dell'oggetto del giudizio di attribuzione della giurisdizione e la definizione 
della nozione di �diritto civile e politico�, contrapposta a quella di 
interesse. Compito primo dell'Awocatura fu, dunque, l'elaborazione di 
una linea di difesa unitaria e coerente in proposito. 

In ordine al riparto delle competenze, furono subito gettate dal Mantellini 
le basi di quella teoria, che doveva svilupparsi ed affermarsi anni 
dopo con il nome di teoria della � improponibilit� assoluta della d~manda 
�; mentre quanto alla distinzione fra diritti ed interessi, essa fu 
ragguagliata alla famosa distinzione fra atti compiuti dallo Stato iure 
gestionis ed atti compiuti iure imperii, secondo una linea difensiva, seguita 
con successo per circa quaranta anni, prima che prevalesse il pi� 
moderno criterio discretivo della discrezionalit�, a sua volta superato, o, 
meglio, integrato, in tempi pi� recenti, da quello della contrapposizione 
fra norme di azione e norme di relazione. 

L'Avvocatura, che nella relazione del 1883 aveva caldeggiato l'attribuzione 
al Consiglio di Stato del compito di sindacare la legittimit� degli 
atti amministrativi, dimostrando cos� come il difensore dell'Amministrazione, 
sin da allora, sentisse la responsabilit� di una superiore funzione 
di giustizia, contribu�, poi, dopo l'istituzione della IV Sezione del Consiglio 
di Stato nel 1889, al contrastato riconoscimento del carattere giurisdizionale 
delle nuove funzioni, sostenendo con successo, dinanzi alla 
Cassazione, la ricorribilit� per incompetenza ed eccesso di potere delle 
relative decisioni. 

La creazione del giudice degli interessi legittimi impegn�, naturalmente, 
la difesa dello Stato nella ricerca della linea di demarcazione tra 
quelli ed i diritti soggettivi ed in quella sede, l'Avvocatura elabor�, ben 
presto, la teoria del �petitum sostanziale�, iniziando la battaglia -che 
doveva concludersi vittoriosamente molti anni dopo -contro la teoria 
della � prospettazione � o della � doppia tutela �. 

Un contributo parti�olarmente importante fu, poi, fornito dall'Avvocatura 
in tema di responsabilit� della pubblica Amministrazione. La 
difesa dello Stato .mir�, innanzitutto, ad impedire che, sotto prospettazioni 
risarcitorie, venissero effettuati sindacati sull'azione amministrativa 
o, comunque, che venissero chiesti al giudice provvedimenti che 
gli erano preclusi nei confronti delle P. A. Si affin�, cos�, da un lato, 
l'analisi volta ad individuare l'oggetto sostanziale della domanda, si svi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lupp�, dall'altro, la tematica del �tipo di pronuncia� precluso all'A.G.O. 
nei confronti della P. A. 

In tema specifico di responsabilit�, poi, venne elaborata dall'Avvocatura 
una completa impostazione teorica, che limitava la configurabilit� 
di una responsabilit� diretta alle ipotesi di danni arrecati nello svolgimento 
di attivit� disciplinate dal diritto privato, in base alla nota distinzione 
fra atti di gestione ed atti d'impero, ed escludeva la possibilit� di 
ipotizzare una responsabilit� indiretta per fatto del dipendente. 

* * * 

Questi in definitiva i grandi temi della difesa erariale: sarebbe un 
fuor d'opera percorrere l'evoluzione e gli sviluppi delle tesi lontane, ora 
ricordate, fino ai giorni nostri. Giover�, tuttavia, osservare come la sensibilit� 
della difesa dello Stato sia stata e sia rivolta, soprattutto, a temi 
che si risolvono nelle grandi questioni pregiudiziali dei conflitti di attribuzioni 
e di giurisdizione. Ci� non deve sorprendere e sembrano, davvero, 
poco meditate le critiche fatte all'Istituto per una sua pretesa eccessiva 
propensione alle questioni pregiudiziali. 

Non deve dimenticarsi, infatti, che l'Avvocatura opera, non gi� soltanto 
per la contingente tutela dell'interesse dedotto in lite, come normalmente 
avviene per un privato patrocinatore, ma anche -e soprattutto per 
il fine immanente della realizzazione degli interessi generali della 
pubblica Amministrazione. Punti di riferimento necessari del difensore 
dello Stato sono, dunque, la legalit� dell'azione amministrativa e, pi� in 
generale, il rispetto delle leggi, prime fra tutte quelle che delineano i 
criteri discriminatori delle competenze fra i Poteri dello Stc:ito e fra i 
diversi organi giurisdizionali, chiamati a decidere i differenti tipi di controversie. 
Regola prima ed essenziale di buon funzionamento di una 
societ� organizzata ed articolata �, infatti, quella che impone a ciascun 
organo di esercitare tutte, e solo, le funzioni conferitegli. Compito primo 
dell'Avvocatura, nel perseguimento del fine immanente di difesa del pubblico 
interesse, �, dunque, quello di vegliare a che la giustizia nell'amministrazione 
e l'amministrazione della giustizia si realizzino attraverso 
l'opera fisiologica degli organi amministrativi e giudiziari, deputati alle 
varie funzioni che a tale realizzazione concorrono. 

Sembra, quindi, legittimo concludere che l'ipotesi storica formulata 
all'inizio appare confermata dalla realt� attuale. L'Avvocatura dello Stato 
� passata, infatti, dalla limitata tutela degli interessi patrimoniali di uno 
Stato accentrato, alla tutela in giudizio di tutti gli interessi pubblici perseguiti, 
in ogni sede, da uno Stato moderno, direttamente o tramite varie 
possibili articolazioni pluralistiche, con il compito specifico di realizzare 
un'insoppremibile esigenza di coordinamento, pur nel rispetto delle diverse 
autonomie. Orbene, un tale rilevante incremento di funzioni -�he 

I 

I 

! 


PARTE II, NOTIZIARIO 

pu� definirsi un � salto di qualit� � -non sarebbe stato possibile se, fin 
dall'inizio, non ci fosse stata nell'Istituto, a mordere i freni delle anguste 
strutture iniziali, un'anima meritevole di ben pi� ampi orizzonti, qual'era 
quella della nobile istituzione toscana. 

L'evolversi e l'ampliarsi dei compiti dell'Avvocatura, non che. comportare 
problemi di riconversione tecnica, fu, dunque, soltanto il fisiologico 
distendersi e realizzarsi di una potenzialit� espansiva sottoutilizzata. 
L'antica matrice legalitaria e garantistica gi� conteneva, in nuce, 
i segni dei futuri sviluppi; s� che ha potuto verificarsi con estrema naturalezza, 
cos� per il legislatore, come per l'Istituto, l'evoluzione cui si � 
accennato. 

L'Avvocatura, infatti, � oggi chiamata non pi� soltanto a tutelare la 
giustizia nell'amministrazione, ma anche ad operare sulla linea di contatto 
fra i Poteri dello Stato, fra Stato e Regioni, fra Stato e Comunit� 
Europee. � chiamata, cio�, a partecipare alla verifica, non solo della conformit� 
alla legge dell'atto amministrativo, ma anche della conformit� 
alla Costituzione degli atti normativi sovranazionali, statali e regionali. 

Il fine da essa perseguito, la realizzazione della legalit�, si, colloca, 
ormai in una realt� pluridimensionale, passata, dalla ottocentesca singola 
contrapposizione Stato-cittadino, alla odierna prospettazione di dualismi, 
potenzialmente conflittuali, quali Potere legislativo e Costituzione, 
Stato e Regioni, Stato e Comunit� Europee. 

Il campo d'azione dell'Avvocatura deve, quindi, ormai, necessariamente 
trascendere la sola considerazione degli interessi pubblici, rimasti 
di competenza della persona giuridica pubblica statuale, rifuggire da 
sterili contrapposizioni, utili solo come momento dialettico e contin� 
gente, ed aprirsi, invece, alla valutazione di tutti gli interessi coesistenti, 
nel perseguimento di un fine di globale coordinamento dell'attivit� di 
enti ed organi titolari di potest� pubbliche e degli interessi ad essi affidati. 

Il congresso internazionale indetto, iJ:\ Roma dal 10 al 14 maggio 
prossimo, dall'Avvocatura dello Stato, in occasione della c~lebrazione del 
centenario, nel quale si incontreranno 60 delegazioni di istituzioni estere 
similari alla nostra, costituir� un utilissimo confronto di esperienze diverse, 
dal quale ci ripromettiamo di trarre utili elementi per il perfezionamento 
della organizzazione del nostro istituto. 

Cento anni di storia hanno dimostrato che l'Istituto, adeguandosi al 
mutare dei tempi ed all'evolversi ed ampliarsi dei suoi compiti, li ha 
saputi bene assolvere nel passato. Siamo certi che sapr� assolvere quelli 
del futuro. 

A ricordo del centenario, oltre alla consueta relazione quinquennale 
al Presidente del Consiglio dei Ministri, relativa agli anni 1971-75, che 
completa il primo ciclo secolare, iniziato nel 1876, che �, ora, costituito 
da ben quarantuno volumi, � stato redatto uno studio sull'origine storica 
dell'Istituto e sulla evoluzione delle sue funzioni e dei suoi ordinamenti 


fO RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

da un gruppo di colleghi, diretto dal Vice Avvocato Generale Rocco di 
Ciommo, che desidero ringraziare, pubblicamente, per l'impegno posto 
nell'esecuzione dell'incarico. 

� stato anche emesso un brancobollo commemorativo e coniata una 
medaglia raffigurante Papiniano, advocatus fisci, che Giuseppe Mantellini 
indic� ai suoi avvocati quale antistes juris e Maestro. 

Nel presentarLe, Signor Presidente, questi nostri lavori e questi nostri 
ricordi celebrativi del centenario e nel pregarLa di voler gradire questo 
omaggio, desidero sottolineare che, attraverso la Sua persona, intendiamo 
anche onorare la sapienza giuridica, la toga dell'avvocato e, soprattutto, 
le Istituzioni della Repubblica, che gli avvocati dello Stato sono impegnati 
a difendere, strenuamente, nelle aule di giustizia e, con ci�, a consolidare 

nella coscienza di tutti gli italiani. 

PARTE II, NOTIZIARIO 

CONSIDERAZIONI SULL'ATTUALE STATO 
DEL PALAZZO SEDE DELL'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, 
GI� CONVENTO DI S. AGOSTINO 


da 


LUIGI VANVITELLI 

Edizioni Scientifiche Italiane Napoli 1973 
Parte Seconda del Prof. Roberto Pane 


�L'attivit� di Luigi Vanvitelli fuori del Regno delle due Sicilie� 

Pag. 61 (omissis). 
�L'adattamento degli antichi edifici conventuali italiani a pubbliche 
destinazioni, come uffici, scuole, caserme, carceri, ecc., � operazione di 
vecchia data, di cui non � qui il caso di ripercorrere le complesse e, quasi 
sempre, distruttive e squallide vicende. Sta di fatto che, nella maggior 
parte dei casi, sono venuti meno, sia il criterio della tutela dell'edificio 
come bene culturale, sia la sua pratica rispondenza ad una nuova destinazione; 
in tal senso, dunque, si pu� affermare che il Convento di S. Agostino 
rappresenti una tanto rara quanto fortunata eccezione. Anzi va 
aggiunto qualcosa di pi�, e cio� che nessuna moderna costruzione 
romana -tra le numerosissime che gi� in origine sono state destinate a 
pubbliche funzioni -si presenta con altrettanta dignit� e decoro >>. 

Pag. 93, nota n. 20 (omissis). 
� Altra soluzione non poteva, purtroppo, essere realizzata, tenuto 
conto delle disponibilit� dell'edificio in rapporto alla sede dell'Avvocatura, 
che ha succeduto a quella del Ministero della Marina. Va aggiunto per� 
che, mentre il precedente insediamento aveva provocato gravi alterazioni, 
suddividendo vani in senso verticale e orizzontale, l'Avvocatura 
dello Stato ha, per merito ed iniziativa dell'Avvocato Generale Giovanni 
Zappal�, operato un graduale ed efficiente restauro di tutto l'edificio; 
restauro che si � concluso nel 1968 con la sala del refettorio, dedicandola 
al nome di "Vanvitelli". Tenuto conto dello scempio che le pubbliche amministrazioni 
hanno normalmente compiuto in Italia, a danno di edifici 
di interesse storico artistico il caso suddetto � degno di particolare 
segnalazione �. 


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