ANNO XXVIII -N. 2 MARZO-APRILE 1976 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 1976 ABBONAMENTI ANNO L. 12.75.0 UN NUMERO SEPARATO . . . .. . . . . . . . . . . . . . � 2.250 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -BIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/2640 Stampato in Italia � Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1960 (6219041) Roma, 1976 -Istituto Poligrafico dello Stato P.V. CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari,� Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CONTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; .Filippo CAPECE MINUTOLO DEL SASSO, Catanzaro; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco GUICCIARDI, Genova; Adriano RossI, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Giuseppe MINNITI, Messina; Marcello DELLA VALLE, Milano; Aldo ALABISO, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Pier Giorgio LIGNANI, Perugia; Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino,� Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA del/'avv. Giuseppe COSTITUZIONALE Angelini-Rota) {a cura pag. 165 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE {a cura dell'avv. Arturo Marzano) . � 182 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI SDIZIONE {a cura del/'avv. Benedetto e del/'avv. Carlo Carbone) . GIURIBaccari � 209 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA cato Adriano Rossi) CIVILE . {a cura de/l'avvo � 225 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA del/'avv. Ugo Gargiulo) . {a cura � 246 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Baf�le) . {a cura dell'av � 257 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura del/'avv. Arturo Marzano, per gli appalti e del/'avv. Paolo Vittoria, per le acque pubbliche) � 280 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a lo Di Tarsia di Be/monte) . cura del/'avv. Pao � 304 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE . pag. 17 CONSULTAZIONI � 33 NOTIZIARIO � 36 La pubblicazione � dir�tta dall'avvocato: UGO GARGIULO ����.���-.��������.�.--�����.����.�����-.����.�.�������������.��.���.�.����-��.�����������������.�.�.-.�.�.�.��:-:---:-:-:-:-:-:-:-:-:�:-:�:�:�'.<<�'.�'.�:-:-:���:�'.�'.".::�'.�:-�-��:-:-�-:-:-:�'.-:.'.�'.-'.�:<-:���:-:-:-:-:-:�:���:�'.->'.�:�:�:�:�:-'.-:-:�:.��:�'.�:�:�::� ���. �-�.�.�.������.�-.����.����.��������.����������������.��-��.�.-�--.-�.�.-.�.�.�-:-----:-�-:-:---- ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI FOGLIETTI F., In tema di opposizione ex art: 9 legge 3 maggio 1967, n. 317/1-2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 225 MARZANO A., Decisione comunitaria sul certificato DD4 e norme di attuazione . . . . . . . . I, 182 Celebrazione del centenario dell'Avvocatura dello Stato . Il, 36 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRIAMNISTIA E INDULTO CIT� -Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione dell'acqua -Causa naturale -Illecito di dipendente del concessionario -Non � tale, 295. -Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione dell'acqua -Per cause naturali -Rilevanza -Previo accertamento amministrativo della impossibilit� di adattare la derivazione Necessit� -Esclusione, 295. -Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione dell'acqua -Rilevanza Limiti, 295. -Canoni -I.G.E. -Rivalsa -Competenza dei tribunali delle acque, 295. -Canoni -Natura patrimoniale -Soggezione all'I.G.E., 295. -Competenza e giurisdizione -Sentenza che regola la competenza Effetti -Fattispecie, 298. -Concessione e derivazione -Passaggio alla Valle d'Aosta -Concessioni non utilizzate al 7 settembre 1945 Accertamento -Natura costitutiva, 284. -Concessione e derivazione -Passaggio alla Valle d'Aosta -Incidenza sul canone � Disciplina dei casi di cessazione -Applicabilit�, 284. -Corsi d'acqua -Accessione di golena al fondo limitrofo -Prova della non sommergibilit� -Onere, 298. - Giudizio e procedimento -Ricorso alle sezioni unite� della Corte di Cassazione -Termini � Rinvio mat�riale al cod. proc. civ. del 1865, 280. AMMINISTRAZIONE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI -Appalto -Divieto di intermediazione nella assunzione di mano d'opera Applicabilit�, 213. -Reati finanziari -Limitazioni: della concessione -Legittimit� costituzionale, 172. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Prezzi -Immutabilit� -Revisione -Carattere di eccezione al principio della immutabilit� dei prezzi, 280. -Appalto di opere pubbliche -Prezzi -Revisione -Accordi con il direttore dei lavori -Approvazione -Necessit�, 281. -Appalto di opere pubbliche -Prezzi -Revisione -Situazione soggettiva dell'appaltatore, 280. ATTO AMMINISTRATIVO - Atti soggetti a ricorso amministra . tivo � Avvertenza sul termine per ricorrere e sull'Autorit� sovraordinata -Mancanza -Irrilevanza sull'efficacia e validit� dell'atto, 255. -Comunicazione e notificazione -Notificazione -Norme applicabili -R.D. n. 642 del 1907 -Inosservanza -Irregolarit� della notificazione, 248. - Comunicazione e notificazione -Notificazione a soggetto non legittimato -Nullit� e non irregolarit�, 249. -Eccesso di potere -Disparit� di trattamento -Attivit� vincolata -Inconfigurabilit� del vizio -Precedente� illegittimit� -Non autorizza a perseverare nell'errore, 250. - Motivazione -Obbligo -Attivit� vincolata -Insussistenza dell'obbligo, 250. - Norme applicabili -Sono quelle vigenti alla data di emanazione, 253. CACCIA E PESCA -In genere -Acque pubbliche -Divieto di immissione di rifiuto senza RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO autorizzazione -Interpretazione della disposizione e sua ratio -Acque pubbliche -Acque marine -Sono tali, 305. -Pesca -Inquinamento di acque Divieto -Destinatari della norma Sono tutti coloro che immettono nelle acque sostanze inquinanti, e non solo i pescatori, 304. -Pesca -Inquinamento di acque Divieto -Reato di mera condotta. Prova del danno arrecato alla fauna ittica -Irrilevanza, 304. CIRCOLAZIONE STRADALE -Depenalizzazione -Opposizione al1' ordinanza intendentizia -Oggetto dell'opposizione, con nota di F. FOGLIETTI, 225. -Depenalizzazione -Opposizione all'ordinanza prefettizia -Abilitazione del Prefetto a stare in giudizio Necessit� di delega ministeriale Esclusione, con nota di F. FOGLIETTI, 225. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Enti Pubblici -Appalto -Assunta in"termediazione nella assunzione di mano d'opera -Fattispecie (in tema di lavori di pulizia) -Giurisdizione del giudice ordinario, 213. -Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. Giurisdizione del giildice generale di legittimit� -Dipendenti della Corte dei Conti -Giurisdizione . delle Sezioni Riunite, 214. -Sicilia -Bellezze naturali -Decreto presidenziale decisorio di gravame gerarchico contro atto della Sopraintendenza -Competenza Csi. -Conseguenza -Difetto di competenza dell'Ap. a risolvere contrasti di giurisprudenza, 247. -Ufficiali giudiziari -Contestazioni con l'ufficio del registro circa la entit� dei proventi da versare allo Stato Provvedimento decisorio del capo dell'ufficio giudiziario -Natura giurisdizionale -Effetti, 209. COMUNIT� EUROPEE -Responsabilit� per atto normativo Domanda volta ad ottenere la resti tuzione di somme che si assumano versate in base a disposizioni comunitarie illegittime -Competenza del giudice nazionale, 187. -Unione doganale -Restrizioni quantitative -Abolizione -Monopoli na� zionali -Riordinamento -Art. 37, n. l, del trattato C.E.E. -Efficacia diretta -Decorrenza, con nota di I. M. BRAGUGLIA, 199. -Unione doganale -Restrizioni quantitative -Abolizione -Monopoli nazionali -Riordinamento -Diritti esclusivi di importazione -Abolizione -Termine, con nota di I. M. BRAGUGLIA, 199. -Unione doganale -Scambi intracomunitari -Trattamento comunitario -Necessit� del certificato DD4 - Inopponibilit� da parte dello Stato membro che non abbia adottato ancora provvedimenti per la concreta attuazione della decisione istitutiva del certificato, con nota di A. MARZANO, 182. -Unione doganale -Termini stabiliti dal trattato C.E.E. -Provvedimenti delle Istituzioni comunitarie -Effetti nei confronti dei singoli, con nota di I. M. BRAGUGLIA, 199. CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI -Tra Stato e Regioni -Passaggio di beni dallo Stato alle Regioni -Momento -Determinazione -Rilevanza per la soluzione del conflitto -Competenza della Corte Costituzionale, 284. - Tra Stato e Regione autonpma Valle d'Aosta -In materia di acque pubbliche -Inconfigurabilit�, 284. CORTE COSTITUZIONALE -Trentino-Alto Adige -Normativa statale precedente alla attribuzione di competenza alla Provincia di Bolzano -Impugnativa da parte della Provincia -Difetto di interesse, 166. CORTE DEI CONTI - Dipendenti -Indennit� buonuscita E.N.P.A.S. -Tredicesima mensilit� Va compresa nel calcolo, 214. INDICE IX -Giurisdizione (domestica) delle Sezioni Riunite -Impugnazione di atto di Ente diverso dalla Corte � Sussiste, 214. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Amnistia e indulto -Corte costituzionale -Lavoro � Pensioni � Prescrizione � Previdenza e assistenza � Trentino-Alto Adige. DANNI -Illecito -Morte dell'impiegato � Pregiudizio economico � Sviluppo della carriera � Ammissibilit�, 237. -Illecito � Pregiudizio economico � Maggiore indennit� di liquidazione � Ammissibilit�, 238. -Illecito � Pregiudizio economico � Nozione, 237. DEMANIO E PATRIMONIO -Demanio storico e artistico � Bellezze naturali � Dichiarazione di notevole interesse � Notificazione � Irregolarit� -Conseguenze, 248. -Demanio storico e artistico � Bellezze naturali � Notificazione di notevole interesse � Notificazione -Cognizione legale � Necessaria -Conoscenza effettiva � Irrilevanza, 249. -Demanio storico e artistico -Pronunzia della Commissione prevista dall'art. 31 della -legge n. 1089 del 1939 � Natura, 241. -Patrimonio indisponibile -Opera appartenente ad Ente pubblico � � tale -Accessione -Inconfigurabi)it�, 252. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Espropriazione � Decreto di espropriazione � In sanatoria � Dopo la scadenza del termine di occupazione d'urgenza � Legittimit�, 252. - Espropriazione -Dichiarazione di p.u. -Legittimit� � Pendenza di giudizio civile � Irrilevanza, 252. - Espropriazione -Impianto sportivo � Disciplina � R.D.L. n. 302 del 1939 � Abrogazione ex 1. n. 865 del 1971, 252. -Espropriazione � Indennit� � Determinazione � Possibilit� di applicazione di pi� norme -Preferenza a quella che consente trattamento pi� uniforme, 252. -Espropriazione � Termini -Espropriazione in sanatoria � Indicazione dei termini � Non occorre, 252. -Espropriazione -Termini -Scadenza -Nuova dichiarazione di p.u. Necessit� -Opera completamente eseguita � Irrilevanza, 252. -Occupazione illegittima � Interessi legali � Scadenza � Anatocismo � Limiti, 240. -Opere pubbliche comunali previste dalla legge n. 517 del 1945 -Giudizi di risarcimento dei danni derivanti da occupazione illegittima -Legittimazione passiva � Spetta allo Stato e non all'Ente locale, 245. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Interesse all'impugnazione � In tema di pubblico impiego � Modificazioni di stato giuridico -Da parte di nuovo regolamento � Interesse all'impugnazione -Sussiste, 251. -Procedimento giurisdizionale -Rappresentanza in giudizio� E.N.P.A.S. � difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato � Mandato � Non occorre, 248. -Ricorso giurisdizionale -Atto impugnabile o no � Atto di controllo Atto negativo su deliberazione di Ente pubblico -� impugnabile, 251. -Sentenze T.A.R. � Appello � Poteri del C.d.S. -Correzione della motivazione � Ammissibilit�, 252. IMPIEGO PUBBLICO -Collocamento a riposo � Competenza -Provvedimenti positivi o negativi -Competenza del Dirigente generale capo del personale, 254. -Collocamento a riposo � Esodo volontario � Dirigenti � Diritto -Personale tecnico � Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 1972 -Contrasto con l'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza, 255. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti -Diritto -Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 1972 -Criterio di applicazione -Ex combattente ed assimilato -Combinazione con la 1. n. 336 del 1970 -Limite, 255. -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti statali -Art. 67 D.P.R. n. 748 del 1972 -Dipendenti non cessati dal servizio ma passati alle Regioni -Inapplicabilit� del beneficio, 250. -Dipendenti C.N.R. -Norme applicabili -D.P.R. n. 748 del 1972 -Applicabilit� solo al Segretario generale, 251. - Dipendenti Enti pubblici -Norme sulla dirigenza statale -D.P.R. n. 748 del 1972 -Inapplicabilit� -Diniego di approvazione tutoria della deliberazione di estensione -Legittimit�, 251. - Dipendenti regionali -Trasferimento di dipendenti statali -Artt. 67 e 68 D.P.R. n. 748 del 1972 e artt. 10, 11 e 12 D.P.R. n. 6 del 1972 -Contrasto con gli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost. -Manifesta infondatezza, 250. - Infermit� e lesioni -Assistenza E.N.P.A.S. -Prestazioni -Decisione del Consiglio di amministrazione su ricorso gerarchico -Difetto di .motivazione -Illegittimit�, 248. IMPOSTA DI REGISTRO -Agevolazione per l'agricoltura -Ac� quisto di terreni allo scopo di ese� guirvi opere di valorizzazione -Necessit� che fo opere siano eseguite sullo stesso terreno acquistato -Ese� cuzione delle opere su diverso terreno gi� di propriet� dell'acquirente � Esclusione dell'agevolazione, 279. -Prescrizione -Consolidazione crite� rio di tassazione -Accertamento e concordato -Interrompono la prescrizione solo a vantaggio dell'amministrazione -Decorrenza del termine dalla data della registrazione non dalla data del pagamento dell'imposta, 257. - Riscossione ad aggio o premio di bollette dell'energia elettrica -� soggetta all'imposta dell'art. SO tariffa A r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 -Applicabilit� dell'imposta dell'art. 52 Esclusione, 272. IMPOSTA GENERALE SULL'EN� TRATA -Importazione -Presupposto -Pas� saggio dalla linea doganale -� sufficiente -Trasferimento di merci da una filiale alla sede principale -Irrilevanza, 259. IMPOSTE DOGANALI -Diritti amministrativi e diritti di statistica -Importazione da territori a regime di deposito franco Sono dovuti -Abolizione a seguit� di direttive C.E.E. -Esclusione, 260. -Regime di deposito franco e deposito franco -Nozione e distinzioni Hanno carattere di extraterritorialit� � Introduzione di merci da essi in Italia -D� luogo a passaggio del� la linea doganale, 259. - Tariffa -D.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 -Ha valore di legge dele� gata -Criterio di onnicomprensivit� della tariffa per giudizio di assimilazione -Sussiste, 259. IMPOSTE E TASSE IN GENERE -Agevolazione per le zone terremo� tate del Belice -Comprende �nche le imposte indirette, 269. -Interpretazione della norma tributaria di agevolazione -Interpreta� zione estensiva -Criteri e limiti, 279. LAVORO -Controversie di lavoro della gente del mare -Applicabilit� del rito del lavoro, 166. -Lavoro domestico -Indennit� di licenziamento -Criteri di liquidazio� ne -Legittimit� costituzionale, 165. -Rito speciale del lavoro -Applicabilit� ai rapporti di agenzia che si concretino in prestazioni prevalentemente personali -Inapplicabilit� alle societ� aventi per oggetto il disbrigo di affari di agenzia -Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 174. INDICE XI LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI -Leggi -Interpretazione -Interpretazione estensiva -Nozione, 305. OPERE PUBBLICHE -Stadio comunale -Costruzione � Norme applicabili -L. n. 865 del 1971 -Applicabilit�, 252. PENSIONI -Pensioni di guerra -Giudizio dinanzi alla Corte dei Conti -Estinzione del giudizio interrotto per mancata riassunzione nei termini -Pronuncia in camera di consiglio su istanza del procuratore generale non notificata agli eredi del ricorrente -Illegittimit� costituzionale, 180. -Pensioni di guerra -Giudizio dinanzi alla Corte dei Conti -Termine per la riassunzione del processo interrotto -Decorrenza dalla morte del ricorrente -Illegittimit� costituzionale, 179. PRESCRIZIONE -Sospensione della prescnz1one fra coniugi legalmente separati -Legittimit� costituzionale, 178. PREVIDENZA E ASSISTENZA -Pensioni di previdenza sociale -Parziale divieto di cumulo con la retribuzione -Legittimit� costituzionale, 168. PROCEDIMENTO CIVILE -Intervento -Intervento adesivo dipendente -Nozione -Applicazioni in tema di giudizio di esproprio nelle zone industriali di Napoli, 244. RESPONSABILIT� CIVILE -Responsabilit� della p.a. per danni arrecati a terzi dai propri dipendenti -Responsabilit� diretta -Criteri dell'imputazione -Nessi di occasionalit� necessaria tra l'attivit� del dipendente e le incombenze affidate Abuso di potere strumentalmente connesso con i fini istituzionali dell'Ente -Riferibilit� dell'evento dannoso alla p.a. -Sussiste, con nota di C. LAMBERTI, 233. TRENTINO-ALTO ADIGE -Provincia di Bolzano -Associazioni Potere del Ministero dell'Interno di vietare l'uso in pubblico di uniformi -Violazione delle garanzie costi� tuzionali e della competenza statutaria della Provincia di Bolzano Insussistenza, 165. -Provincia di Bolzano -I.N.V.IM. Esenzione per gli immobili locati per lo svolgimento di attivit� culturali, ricreative, sportive, educative o sindacali da parte di circoli ade. renti alle organizzazioni nazionali legalmente riconosciute -Violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e latina Insussistenza, 175. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1967, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, 19 febbraio 1976, n. 26 n. 27 n. 28 n. 29 n. 30 n. 32 n. 33 n. 34 n. 35 n. 36 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 18 novembre 1975, nella causa 30/75 27 gennaio 1976, nella causa 46/75 3 febbraio 1976, nella causa 59/75 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 11 novembre 1974, n. 3497 Sez. I, 5 gennaio 1976, n. 9 Sez. III, 24 gennaio 1976, n. 227 Sez. I, 29 gennaio 1976, n. 273 Sez. Un., 2 febbraio 1976, n. 323 Sez. Un., 3 febbraio 1976, n. 356 Sez. III, 6 febbraio 1976, n. 421 Sez. I, 9 febbraio 1976, n. 427 Sez. I, 11 febbraio 1976, n. 447 Sez. I, 17 febbraio 1976, n. 514 Sez. I, 19 febbraio 1976, n. 545 Sez. Un., 21 febbraio Sez. Un., 24 febbraio Sez. I, 6 marzo 1976, Sez. I, 6 marzo 1976, Sez. I, 6 marzo 1976, 1976, n. 576 1976, n. 597 n. 755 n. 759 n. 760 pag. 165 )) 165 )) 166 )) 166 )) 168 )) 172 )) 174 )) 175 )) 178 )) 179 pag. 182 )) 187 )) 199 pag. 225 )) 257 )) 233 )) 259 )) 209 )) 213 )) 237 )) 269 )) 240 )) 241 )) 272 )) 280 )) 244 )) 279 )) 245 )) 280 INDICE XIII CORTE DEI CONTI Sezioni Riunite, 25 febbraio 1976, n. 63 . . . . . . . . . . . TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 11 giugno 1975, n. 13 8 novembre 1975, n. 23 14 febbraio 1976, n. 3 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. plen., 4 dicembre 1975, n. 10 Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1195 Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1197 Sez. IV, 16 dicembre 1975, n. 1250 Sez. IV, 19 dicembre 1975, n. 1325 Sez. IV, 19 dicembre 1975, n. 1327 Sez. VI, 12 dicembre ,1975, n. 693 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 12 marzo 1974, n. 533 Sez. Ili, ud. 29 aprile 1974, n. 778 pag. 214 pag. 284 � 295 � 298 pag. 247 � 248 � 248 � 250 � 251 � 252 � 254 pag. 304 � 305 PARTE SECONDA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI �CQUE PUBBLICHE -Acque pubbliche � Concessione di derivazioni a scopo idroelettrico � Immobili e beni inerenti la concessione � Esecuzione forzata a danno del concessionario, 33. -Acque pubbliche � Concessione di derivazione a scopo idroelettrico � Immobili e beni inerenti la concessione � Esecuzione forzata � Vendita all'asta � Acquirente � Trasferimento della concessione � Nulla osta della P.A., 33. AGRICOLTURA E FORESTE -Agricoltura e foreste -Violazione a norme di tutela del patrimonio forestale -Depenalizzazione, 33. APPALTO -Appalti di opere pubbliche � Revisione prezzi contrattuali � Clausola di esclusione della revisione � Ius superveniens, 33. -Appalti di opere pubbliche � Revisione prezzi contrattuali � Ricorso amministrativo -Silenzio rigetto � Condizioni, 34. CIRCOLAZIONE STRADALE -Circolazione stradale � Scontro tra veicoli � Impianti semaforici � Inefficienza � Responsabilit� civile, 34. ELETTRICITA ELETTRODOTTI -Acque pubbliche � Concessione di grande derivazione � Scadenza, decadenza e rinuncia della concessio ne -Opere di raccolta, regolazione e derivazione � Trasferimento all'ENEL, 34. -Acque pubbliche � Concessione di grande derivazione � Scadenza, decadenza o rinuncia � ENEL � Domanda di concessione per scopi idroelettrici � Istruttoria, 34. IMPIEGO PUBBLICO -Ufficio Italiano dei Cambi � Dipendenti -Collocamento a riposo per limiti di et� � Indennit� sostitutiva del preavviso � Determinazione, 35. IMPOSTA DI REGISTRO -Imposta di registro -Condono � Controversia pendente -Giudicato � Successiva domanda di condono � Effetti, 35. IMPOSTE DIRETTE -Imposte dirette � Reati finanziari Dichiarazione unica dei redditi � Presentazione tempestiva ad Ufficio delle Imposte territorialmente incompetente -Mancata trasmissione all'ufficio competente -Effetti, 35. REATI FINANZIARI -Imposte dirette � Reati finanziari � Dichiarazione unica dei redditi � Presentazione tempestiva ad Ufficio delle Imposte territorialmente incompetente � Mancata trasmissione all'ufficio competente � Effetti, 35. INDICE xv LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -Norme dichiarate incostituzionali II -Questioni dichiarate non fondate III -Questioni proposte . NOTIZIARIO pag. )) )) )) 17 17 19 37 GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (*) CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 26 -Pres. Oggioni -Rel. Capalozza -Provincia di Bolzano (avv. Coronas) c. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). Trentino-Alto Adige � Provincia di Bolzano � Associazioni � Potere del Mini� stero dell'Interno di vietare l'uso in pubblico di uniformi � Violazione delle garanzie costituzionali e della competenza statutaria della Provincia di Bolzano � Insussistenza. (!. cost. 10 novembre 1971, n. 1, artt. 2, 5 e 51; d. I. 14 febbraio 1948, n. 43, artt. 3 e 2). Il potere che l'art. 3 del d.l. 14 febbraio 1948 n. 43 attribuisce al Ministero dell'Interno di vietare per un tempo determinato l'uso in pubblico di uniformi o di divise da parte di associazioni od organizzazioni di qualsiasi natura, non viola le garanzie costituzionali e la competenza statutaria della Provincia di Bolzano, dato che avverso il relativo provvedimento � possibile l'esercizio dei normali mezzi di garanzia amministrativa e giurisdizionale. CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 27 -Pres. Oggioni � Rel. Amadei -Spella (n. c.) c. Caneschi (n. c.). Lavoro � Lavoro domestico � Indennit� di licenziamento � Criteri di liqui� dazione . Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 1, primo comma, e 36, primo comma; I. 2 aprile 1958, n. 339, artt. 1 e 17 lett. b). Le disposizioni della legge 2 aprile 1958, n. 339 che non consentono, ai fini della liquidazione della indennit� di licenziamento dei lavoratori domestici, il cumulo delle prestazioni svolte presso datori di lavoro diversi, non violano gli articoli 1 e 36 della Costituzione, in quanto ogni singolo datore di lavoro non pu� essere gravato delle conseguenze della opera prestata dal dipendente anche a favore di altro datore di lavoro (1). (1) Sulle particolari caratteristiche del rapporto di lavoro domestico cfr. la precedente sentenza 13 febbraio 1974, .n. 27 (in questa Rassegna 1974, 1, 517). (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato l'avv. F. FAVARA. 166 AASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 28 -Pres. Oggioni -Rel. Reale -Provincia di Bolzano (avv. Coronas) c. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). Corte Costituzionale � Trentino-Alto Adige � Normativa statale precedente alla attribuzione di competenza alla Provincia di Bolzano . Impugnativa da parte della Provincia � Difetto di interesse. (l. cost. 10 novembre 1971, n. 1, art. 5 n. 28; I. luglio 1967, n. 641). Le Regioni e le Provincie ad autonomia speciale, per rimuovere dalle materie attribuite alla loro potest� legislativa le preesistenti leggi statali che eccedono dai limiti imposti alla competenza del legislatore nazionale in virt� di norme di rango costituzionale emanate in epoca successiva all'entrata in vigore di quelle leggi, non hanno interesse a proporre ricorso al fine di ottenerne la declaratoria di illegittimit� costituzionale, perch� possono sostiturle con proprie leggi, nell'ambito della propria competenza e nel rispetto dei limiti prefissati a tale attivit�, il risultato della quale � soggetto al sindacato della Corte Costituzionale (1). (1) Cfr. Corte Cost. 23 gennaio 1974, n. 13, in questa Rassegna 1974, 1, 299. Lo stesso principio � stato affermato dalla successiva sentenza 19 febbraio 1976, n. 31, fra le stesse parti. CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 29 -Pres. Oggioni -Rel. Gionfrida -Ursino ed altri (n. c.) c. Compagnia piloti di Augusta � (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Zagari). Lavoro � Controversie di lavoro della gente del mare � Applicabilit� del rito del lavoro. (Cost., art. 3, primo comma; c. p. c., art. 409; c. nav., art. 603). La norma dell'art. 409 c.p.c., nella formulazione dettata dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 553, � applicabile anche nei confronti dei dipendenti del settore nautico, dato che tale riforma del 1973 ha importato l'abrogazione tacita per incompatibilit� dell'art. 603 cod. navigazione e delle norme ad esso collegate. (Omissis). -Nel formulare l'indicato quesito di costituzionalit�, il giudice a quo muove dalla premessa che, anche dopo l'entrata in vigore della legge 533 del 1973 citata, le controversie di lavoro della gente del mare restino disciplinate dagli artt. 603 e norme collegate del codice della navigazione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Ci� per la ragione -esposta nella motivazione dell'ordinanza di rinvio -che, essendo il diritto della navigazione diritto � speciale ed autonomo >>, le relative norme non potrebbero essere derogate da una legge di carattere generale, ancorch� sopravvenuta, che non ne preveda espressamente l'abrogazione. Ora, � anzitutto da rilevare che anche se la novella del 1973 (nell'articolo 409, che delimita l'ambiente della nuova procedura e nell'art. 413 che attribuisce al pretore la competenza esclusiva, in primo grado, in funzione di giudice del lavoro) effettivamente non fa espressa menzione delle controversie di lavoro nautico; e anche se � indiscutibile il carattere speciale delle norme del codice della navigazione che quelle stesse controversie contemplano, non per questo pu�, a priori, escludersi la eventualit� dell'abrogazione, in forma tacita, delle norme speciali succitate ad opera della legge di riforma successiva. Nell'ipotesi di successione di una legge generale ad una legge speciale, non � vera in assoluto la massima che lex posterior generalis non derogat priori speciali: giacch� i limiti del detto princ�pio vanno, in effetti, di volta in volta, sempre verificati alla stregua dell'intenzione del legislatore. E non � escluso che in concreto l'interpretazione della voluntas legis, da cui dipende la soluzione dell'indicato problema di successione di norme, evidenzia una latitudine della legge generale posteriore, tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali: che restano, in tal modo, tacitamente abrogate. La Corte ritiene che ci� appunto ricorra nella specie. L'attribuzione al pretore della competenza a conoscere, in via generale ed esclusiva, le controversie del lavoro, con nuovi strumenti ispirati a princ�pi di oralit�, concentrazione ed immediatezza, costituisce, infatti, l'elemento qualificante della riforma del '73; il suo puntb cardine, volto -nella dichiarata intenzione del legislatore -a sintonizzare con i precetti costituzionali di cui agli artt. 3 cpv. e 24 della Costituzione la disciplina processuale di tutte le vertenze individuali di lavoro, che abbiano come elemento comune la subordinazione socio-economica di una delle parti del rapporto sostanziale. Con il sistema cos� radicalmente innovato, la regolamentazione delle controversie di lavoro marittim�, quale risalente alle norme del codice della navigazione, non ha possibilit� alcuna di coordinamento. E, pertanto, non vi ha dubbio che proprio tale incompatibilit� de� termini l'abrogazione, tacita, delle disposizioni del codice della navigazione menzionate, da parte della sopravvenuta legge 533 del 1973. Tanto pi� che -come � stato notato anche dalla Corte di cassazione (che nell'interpretazione dell'art. 409 cod. proc. civ. citato, � pervenuta ad analoghe conclusioni, circa la sua portata generale e l'effetto abro 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gativo delle precedenti disposizioni incompatibili anche di carattere speciale) -non si comprenderebbe la ragione del mantenimento, da parte del legislatore, della competenza speciale del comandante di porto (sospetta, anche nella materia civile, di essere affetta dagli stessi vizi di illegittimit�, che gi� hanno. condotto alla declaratoria di incostituzionalit� dell'analoga giurisdizione penale: cfr. sentenza di questa Corte n. 121 del 1970); ed incomprensibile sarebbe, altres�, la ragione della perpetuazione, nelle controversie di lavoro nautico di valore superiore, delle soppresse attribuzioni del tribunale e (in secondo grado) della Corte di appello, implicanti gravi problemi attinenti, non soltanto alla organizzazione degli uffici, ma anche al coordinamento della norma di rinvio dell'art. 609 del codice della navigazione con quelle richiamate dal codice di procedura civile, ora sostituite dalla legge 533 del 1973. Per il complesso delle ragioni innanzi esposte deve, quindi, concludersi che la legge 1973 n. 533 pi�� volte citata ha tacitamente abrogato l'art. 603 e norme collegate del codice della navigazione: per cui anche le controversie di lavoro della gente del mare rientrano nella esclusiva competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro: restando, nel contempo, soggette alla disciplina generale sul nuovo rito del lavoro. Escluso, per tale via, che sussista la prospettata disparit� di trattamento tra lavoratori marittimi ed altri dipendenti, resta, conseguente� mente, cos� dimostrata la non fondatezza della questione di costituzio� nalit�, dell'art. 409 cod. proc. civ. citato, sotto tale profilo sollevata. (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 30 � Pres. Oggioni � Rel. Rossi -De Corato (avv. Coronas) e Grenzi Nives (avv. Federici) c. I.N.P.S. (avv. Rossi Doria). Previdenza e assistenza -Pensioni di previdenza sociale � Parziale divieto di cumulo con la retribuzione -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 4, 35, 36 e 38; I. 30 aprile 1969, n. 153, art. 20). Non contrasta con gli articoli 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione l'art. 20 della l. 30 aprile 1969, n. 153 nella parte in cui vieta il cumulo con la retribuzione da lavoro subordinato delle quote di pensione di vecchiaia eccedenti il trattamento minimo, nella misura del 50 per cento del loro ammontare e con il massimale di L. 100.000 mensili (1). (1) La sentenza 22 dicembre 1969, n. 155 richiamata in motivazione � pubblicata in questa Rassegna 1969, 1, 1027. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (Omissis). -2. -La Corte costituzionale deve decidere se l'art. 20 <I.ella legge 30 aprile 1969, n. 153 -nella parte in cui vieta il cumulo con .la retribuzione da lavoro subordinato delle quote di pensione di vecchiaia eccedenti il trattamento minimo, nella misura del 50 per cento <lel loro ammontare e� con il massimale di lire 100.000 mensili -contrasti o meno con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione per i dubbi: a) che la retr~buzione sia diminuita per ragioni estranee alla quantit� �e qualit� del lavoro prestato (art. 36 Cost.); b) che sia posta un'alterna tiva tra diritto alla pensione e diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.); e) che si verifichi un'illegittima disparit� di trattamento nei confronti dei pensionati esclusi dal divieto di cumulo (gi� dipendenti dello Stato, di Enti pubblici, ed altri a carico delle gestioni speciali dell'I.N.P.S. o, comun �que, esplicanti attivit� professionali o commerciali); d) che sia impedito il pieno godimento del diritto alla prestazione di adeguati mezzi di vita in caso di vecchiaia (art. 38 Cost.); e) che sia sacrificato un diritto intangibile del lavoratore, nell'ipotesi in cui l'importo di centomila lire mensili sia inferiore alla rendita risultante dai contributi effettivamente versati (artt. 3 e 36 Cost.). 3. -Le questioni non sono fondate. Va innanzitutto rilevato che la retribuzione non subisce, in realt�, alcuna riduzione per effetto dell'impugnato parziale divieto di cumulo. Questo colpisce oggettivamente la pensione, determinando una riduzione, anche se il legislatore, a fini di semplificazione contabile, ha creato un meccanismo per effetto del quale la pensione viene corrisposta per intero mentre la retribuzione viene decurtata di una trattenuta corrispondente alla quota di pensione non cumulabile. Il datore di lavoro restituisce all'I.N.P.S. la trattenuta operata, e l'Istituto viene cos� compensato di quanto avrebbe diritto a ritenere sulla pensione. Il sistema vigente, adottato allo scopo di evitare riliquidazione delle pensioni e continui conteggi, realizzando economia di lavoro e risparmio di tempo, risponde, sotto il profilo contabile, anche all'interesse del pensionato, che altrimenti dovrebbe sopportare la sospensione della pensione ad ogni �cambiamento della posizione assicurativa. Non sussiste pertanto la denunciata diminuzione della retribuzione per ragioni estranee alla quantit� e qualit� del lavoro prestato (art. 36 Cost.). 4. -N� risultano violati gli artt. 4 e 35 della Costituzione. Come .questa Corte ha gi� osservato, il riconoscimento del diritto al lavoro ..e la tutela del lavoro non sono lesi dal divieto di cumulo, non potendo .costituire ostacolo effettivo all'attivit� lavorativa la circostanza che il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pensionato di vecchiaia non goda per intero di due diversi trattamenti, quello di lavoro e quello pensionistico (sentenza n. 155 del 1969). 5. -Per quanto attiene alla prospettata violazione del principio d'eguaglianza, va rilevato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte esso � invocabile soltanto sul presupposto di situazioni tra loro omogenee, che altrimenti la diversit� di disciplina non lede l'art. 3. della Costituzione. In applicazione di tale orientamento, la Corte costituzionale ha gi� precisato, con la sentenza n. 155 del 1969, in riferimento alle stesse ipotesi oggi nuovamente denunciate, che le differenti condizioni soggettive ed oggettive degli iscritti all'as~icurazione generale contro la vecchiaia rispetto a quelle proprie dei pensionati dello Stato, degli altri enti pubblici e degli stessi lavoratori soggetti alle gestioni speciali dell'I.N.P.S., escludono la violazione del principio d'eguaglianza. Vengono� in rilievo,. tra l'altro, il diverso regime di formazione della pensione, la differente et� di pensionamento, la possibilit�, soltanto per taluni, della riliquidazione della pensione per effetto dell'ulteriore opera prestata. N� � comparabile con le situazioni considerate quella del pensionato che cumula con la pensione altri redditi personali, di varia natura, mancando in radice il termine di raffronto che potrebbe consentirne una valutazione complessiva in relazione all'invocato art. 3 della Costituzione. 6. -Neppure � violato il diritto alla prestazione di adeguati mezzi di vita in caso di vecchiaia per effetto del denunciato divieto di cumulo. � stato osservato da questa Corte, nella citata sentenza del 1969, che la pensione assolve ad una funzione previdenziale, inserendosi nel sistema di sicurezza sociale delineato dall'art. 38 della Costituzione. Essa sopperisce al rischio del lavoratore di perdere o di diminuire il proprio guadagno, mancando dei mezzi di sussistenza, quando, con il venir meno delle forze per vecchiaia, non � pi� in grado di lavorare. Se �il pensionato, dimostrando di possedere ancora sufficienti energie, continua a lavorare, pone in essere una condotta che, da un lato,. pu� avere rilievo ai fini di una riliquidazione della pensione, dall'altro consente al legislatore di tener conto del conseguente guadagno e della diminuzione del suo stato di bisogno. Non contrasta quindi con l'art. 38 Cost. la riduzione del trattamento pel;lsionistico a carico di chi, continuando a lavorare, percepisce anche una retribuzione. 7. -Non sussiste infine la violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione, prospettabile nei confronti dei titolari delle pensioni pi� elevate per il dubbio che l'importo di lire centomila mensili, loro assicurato, sia l?l . PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE inferiore alla rendita del capitale accantonato mediante il versamento dei contributi. Occorre in primo luogo considerare che con la riforma del sistema pensionistico la pensione di vecchiaia ha perso l'originario carattere di prestazione correlata inscindibilmente all'ammontare dei contributi versati; che il diritto a pensione matura, a volte, in relazione a contributi soltanto giuridicamente accreditati e non effettivamente accantonati; che la pensione si inserisce in un sistema di solidariet� sociale, con concorso finanziario dello Stato, nel cui ambito i contributi servono per il conseguimento di finalit� che trascendono gli interessi dei singoli. Ci� risulta evidente quando si consideri il sistema di liquidazione delle pensioni retributive, che prescinde dall'i:tmmontare delle contribuzioni accreditate sul conto individuale e consente l'attribuzione di pensioni molto pi� elevate, ragguagliandole al trattamento economico goduto dal lavoratore nel periodo in cui ha percepito le maggiori retribuzioni. Gli aspetti pubblicistici della disciplina pensionistica non vengono meno neppure nella determinazione della pensione contributiva, per la presenza di quote fisse aggiuntive e di coefficienti di rivalutazione non rispondenti ai criteri che informano il calcolo delle rendite da assicurazioni private (si raffrontino ad esempio i metodi per la determinazione della pensione nell'assicurazione obbligatoria ed in quella facoltativa, entrambe gestite dall'I.N.P.S.). Risulta quindi infondata la premessa, supposta nelle ordinanze di remissione, secondo cui sarebbe concretamente ravvisabile e quantificabile nella pensione di vecchiaia liquidata al singolo pensionato, la parte. esattamente corrispondente all'effettiva rendita dei contributi accantonati. Nella citata sentenza n. 155 del 1969 la Corte costituzionale ha affermato la ragionevolezza della norma oggi impugnata, che tiene conto dei contributi versati, valutando positivamente la reintroduzione di un divieto soltanto parziale di cumulo. In tal modo la Corte ha constatato la proporzionalit� e ragionevolezza del sistema pensionistico realizzato dalla legge n. 153 del 1969, senza ancorarne la legittimit� al rispetto di rapporti intangibili tra pensione e contribuzione, per ciascuno dei pensionati che ha continuato a lavorare. N� esplicano particolare rilievo, ai fini in esame, le decisioni di questa Corte citate dalla difesa della Grenzi, perch� il riconoscimento della pensione come oggetto di un diritto soggettivo dell'interessato, tratto da una specifica configurazione legislativa, valse solo a dimostrare che le norme delegate non avrebbero potuto estendere il divieto di cumulo ad ipotesi non previste dal legislatore delegato, pena l'illegittimit� costituzionale delle stesse per eccesso di delega (sentenze nn. 65 e 112 del 1963, 34 del 1960). -(Omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 172 �CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 32 -Pres. Oggioni -Rel. De Stefano � Ferrari e altri (n.c.). Amnistia e indulto -Reati finanziari -Limitazioni della concessione -Legittimit� costituzionale. (Cast., art. 3; I. 20 dicembre 1973, n. 830, art. 1; d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, art. 1). Non contrastano con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 .della Costituzione, gli artt. 1, comma secondo, della l. 20 dicembre 1973, n. 830 di delegazione al Presidente della Repubblica per la concessione .di amnistia in materia di reati finanziari, e 1, primo e secondo comma, .del d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834 di concessione di amnistia in materia .di reati finanziari, nella parte in cui -subordinando la applicabilit� della amnistia alla condizione che le pendenze e le situazioni tributarie siano definite o regolarizzate secondo le disposizioni del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823 : implicitamente escludono l'applicabilit� dell'amnistia ai reati afferenti .gli stessi periodi di imposta ed i medesimi tributi, le cui posizioni siano .state definite secondo l'ordinario regime (1). (Omissis). -Giova ricordare che la Corte, a proposito dell'istituto �dell'amnistia, ha gi� avuto occasione di sottolinearne il carattere eccezionale e la concomitante esigenza di contenere nei pi� ristretti limiti l'esercizio della relativa potest� conferita dall'art. 79 della Costituzione (sentenza n. 175 del 1971). E tali profili vanno ancor pi� ribaditi allor> Ch� l'effetto estintivo proprio dell'amnistia debba spiegarsi nei confronti di reati finanziari, pur sempre connessi, direttamente o indirettamente, .alla inosservanza del precetto sancito dall'art. 53 della Costituzione, posto .a tutela -come la Corte ha pi� volte affermato -dell'interesse generale alla riscossione dei tributi siccome interesse particolarmente differenziato che, attenendo al regolare funzionamento dei servizi necessari alla vita della comunit�, ne condiziona l'esistenza. In siffatta prospettiva ben si colloca l'amnistia per reati in materia <li imposte. dirette, nonch� di tasse e imposte indirette sugli affari, con> Cessa con il citato d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, a seguito della legge <li delegazione 20 dicembre 1973, n. 830. Essa invero, a tenore delle denunciate norme, si applica ai reati � riferibili alle pendenze ed alle situazioni concernenti i tributi� indicati negli artt. 1, 6, 7, 8 e 9 del citato .decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, recante norme per agevolare la definizione delle pendenze tributarie, convertito con modificazioni nella (1) La sentenza 14 luglio 1971, n. 175 richiamata in motivazione � pubblicata in questa Rassegna 1971, 1, 1298. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 173 legge 19 dicembre 1973, n. 823; ed � esplicitamente sottoposta �alla condizione che le pendenze e le situazioni siano definite o regolarizzate secondo le disposizioni del decreto legge suindicato come modificato dalla legge di conversione �. L'ambito di applicazione della concessa amnistia ne risulta cos� circoscritto; e la posta delimitazione trae la sua ragion d'essere dallo scopo cui sono preordinate le richiamate disposizioni. Si evince, infatti, <lai lavori parlamentari che, nel momento in cui diveniva operante la riforma tributaria, intesa ad apportare, nella legislazione e nel costume, nuovi princ�pi di coscienza tributaria ed un diverso e pi� corretto rapporto tra fisco e contribuenti, si volle offrire a questi ultimi il modo di chiudere le passate controversie. Donde i provvedimenti per il cosiddetto condono tributario; donde, quasi necessaria conseguenza, la estinzione an, che dei reati connessi con le violazioni delle leggi tributarie interessate .alle procedure del condono. Il decreto legge 5 novembre 1973, n. 660, dianzi citato, si prefiggeva lo scopo di favorire la sollecita risoluzione dell'ingente numero di controversie pendenti innanzi le commissioni tributarie, o ancora in istruttoria presso gli uffici finanziari, e la definizione di tutti quei rapporti tra fisco e contribuenti, suscettibili di contestazione relativamente ai tributi soppressi o modificati per effetto della riforma tributaria. Esso non poteva, peraltro, conseguire il suo obiettivo -leggesi nella relazione al disegno di legge di delegazione al Presidente della Repubblica per la concessione dell'amnistia de qua -� se non si fanno cessare anche gli effetti penali connessi con talune violazioni delle leggi tributarie. Sarebbe vano, infatti, offrire ai contribuenti la possibilit� di porre termine alle loro controversie con il fisco, per dare inizio a nuovi rapporti tributari improntati ad uno spirito di maggiore fiducia e chiarezza, senza nel contempo rinunciare alla pretesa punitiva per i reati da essi eventualmente commessi in relazione alle situazioni oggetto di contestazione. Per questa considerazione il Governo ritiene necessario un atto di clemenza nei confronti di tutti quei contribuenti che vorranno profittare dell'occasione loro <Jfferta di sistemare le loro pendenze �. Appare dunque manifesto il carattere strumentale del concesso provvedimento di clemenza, che lo colloca al di fuori della categoria delle amnistie �celebrative�; e la enucleata motivazione consente di apprezzare la ragionevolezza della sua strutturazione. Risulta, d'altronde, che lo stesso legislatore non volle aderire a proposte avanzate per l'ampliamento dell'ambito di applic�zione dell'amnistia. 5. -Alla luce delle esposte considerazioni, la Corte ritiene che le �denunciate norme non violino il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. La disparit� di trattamento, in ordine alla possi RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 174 bilit� di beneficiare �dell'amnistia, tra contribuenti le cui posizioni tributarie siano state gi� definite in base all'ordinario regime e che restano quindi esclusi dall'amnistia, e contribuenti ammessi al beneficio per avere soddisfatto la condizione di aver defmito le loro posizioni avvalendosi del condono, non appare razionalmente ingiustificata, se rapportata alla finalit� perseguita dal legislatore. Alla disparit� di trattamento, d'altronde, corrisponde una diversit� di situazioni. Gli ammessi al beneficio sono soggetti che si trovano, potenzialmente o in atto, in una posizione di contrasto con il fisco, e ad essi si richiede una positiva manifestazione conciliativa, mediante la presentazione di domanda irrevocabile per conseguire la definizione delle loro pendenze, secondo i criteri automatici stabiliti dal decreto legge numero 660 del 1973, con ci� stesso rfo.unci�ndo a far valere le loro ragioni nelle competenti sedi. Gli esclusi sono soggetti che non hanno pi� m�tivo di contrasto con il fisco, che hanno gi� fruito della possibilit� di far valere le loro ragioni, e che devono rispondere penalmente del loro comportamento, secondo una norma che continua a vigere anche nei confronti di quegli altri contribuenti che preferiscano non avvalersi della possibilit� loro offerta di fruire del condono tributario. La Corte -una volta accertato il rispetto del principio di uguaglianza, in cui si concreta l'unico parametro del presente giudizio -riafferma l'estraneit� alla funzione di controllo sulla costituzionalit� delle leggi, di una indagine che fosse volta a sindacare l'ampiezza dell'uso fatto dal Parlamento della sua discrezionalit� in materia, sulla base di considerazioni d'ordine politico. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 33 -Pres. Oggioni -Rel. Capalozza -Sardella (n.c.) c. Unipol (avv. Scognamiglio) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Carafa). Lavoro -Rito speciale del lavoro -Applicabilit� ai rapporti di agenzia che si concretino in prestazioni prevalentemente personali � Inapplicabilit� alle societ� aventi per oggetto il disbrigo di affari di agenzia � Ille gittimit� costituzionale � Esclusione. (Cost., art. 3; c. p. c., art. 409, n. 3). Non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 409 n. 3 del codice di procedura civile nel testo sostituito dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, nella parte in cui estende la relativa tutela non solo al lavoro subordinato (e agricolo anche non subordinato), ma altres� al lavoro autonomo che gravita intorno all'impresa, in quanto si estrinseca in una presta zione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (Omissis). -Nei limiti della prospettazione dell'ordinanza, va rilevato che la norma denunziata estende il medesimo trattamento processuale, previsto per i lavoratori subordinati, ad ampie categorie di lavoratori autonomi che abbiano una dipendenza non occasionale ed esplichino prestazioni coordinate e prevalentemente personali, e, pertanto, affida al magistrato la valutazione dei requisiti richiesti. Di tal che sar� il giudice investito della controversia, nel suo apprezzamento, ad accertare se la specifica natura delle prestazioni dell'agente di assicurazione, nelle singole fattispecie, le collochi o meno nella sfera di applicabilit� della norma in esame, cio� se esse siano meramente ausiliarie dell'attivit� imprenditoriale altrui oppure se integrino quell'autonomia di impresa che � estranea all'ambito di applicazione della norma stessa. La questione � infondata. E, invero, in questa sede � sufficiente osservare che il sistema accolto ha come ratio la tutela non solo del lavoro subordinato (e agricolo anche non subordinato), ma altres� del lavoro autonomo che graviti attorno all'impresa, in quanto -ripetesi -si estrinseca in una presta� zione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale: � una scelta, sul piano processuale, parallela a quella che, sul piano sostanziale, � stata operata dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, la quale, all'art. 2, ha previsto che i decreti delegati per l'efficacia dei contratti collettivi e degli accordi economici concernano, oltrech� rapporti di lavoro, di assodazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, quelli di collaborazione che si concretino in prestazioni d'opera nel senso su indicato. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 34 � Pres. Oggioni � Rel. Crisafulli � Provincia di Bolzano (avv. Guarino) c. Presidente Consiglio dei Ministri (Sost. avv. gen. dello Stato Angelini Rota). Trentino-Alto Adige � Provincia di Bolzano � I.N.V.I.M .. Esenzione per gli immobili locati per lo svolgimento di attivit� culturali, ricreative, sportive, educative o sindacali da parte di circoli aderenti alle organizza� zioni nazionali legalmente riconosciute � Violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina � Insussistenza. (1. cast. 10 novembre 1971, n. 1, artt. 2, 3, 50 e 51; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3). L'art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, che stabilisce esenzioni dall'I. N.V.I.M. per gli immobili dati in locazione e totalmente destinati allo svolgimento di attivit� culturali, ricreative, sportive, educative o sindacali da parte di circoli aderenti alle organizzazioni nazionali legalmente riconosciute o da parte di sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 176 l'economia e del lavoro, non viola il principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina perch�, trattandosi di normativa tributaria, essa deve ricevere applicazione uniforme, alla stregua di criteri unitariamente omogenei, in tutto il territorio nazionale (1). (Omissis). -Nel merito, le censure prospettate nel ricorso non sono fondate. Deve rilevarsi preliminarmente che il decreto presidenziale n. 643 del 1972 � stato adottato in attuazione della riforma tributaria ed in applicazione dei principi e criteri a tal fine stabiliti dalla legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825. E nei confronti di norme siffatte non � dato individuare un interesse giuridicamente differenziato di singole regioni o delle provincie autonome di Bolzano e di Trento, tale da rendere necessaria la partecipazione alle sedute del Consiglio dei ministri dei rispettivi Presidenti. Cos�, per quanto pi� particolarment~ concerne la specie, la istituzione e la disciplina dell'imposta comunale sugli incrementi di valore degli immobili (compreso quanto attiene alle relative esenzioni) � materia che interessa l'intera .comunit� nazionale, e solo in quanto in essa incluse,. interessa anche le singole regioni e le provincie di Trento e Bolzano. Non sussiste, dunque, l'asserita violazione dell'art. 23 della legge cost. n. 1 del 1971, pi� volte rammentata. 4. -Quanto alle pi� specifiche censure mosse alla normativa dell'art. 3 del decreto legislativo in oggetto, � da ricordare anzitutto, con particolare riferimento alla lett. c, che questa Corte, in altra recente occasione, ha ritenuto che lo status professionale (di datore di lavoro o di lavoratore) assorbe in s� ogni diversit� di lingua o di origine etnica, identici essendo gli interessi che direttamente vi si riconnettono per tutti gli appartenenti alla medesima categoria (sentenza n. 86 del 1975). E questa premessa sarebbe gi� sufficiente a dimostrare la infondatezza della questione di legittimit� costituzionale proposta dalla ricorrente per la limitazione del beneficio fiscale di cui al terzo comma del menzionato art. 3, n. 2, ai soli sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Ma alle medesime conclusioni si perviene altres�, tanto per gli stessi sindacati, cui si riferisce la lett. c, quanto per gli altri organismi associativi previsti dalla precedente lett. b, sulla base di considerazioni di ordine pi� generale, attinenti alla peculiare natura, alle finalit� ed alla reale portata delle disposizioni impugnate, riguardate che siano -come (1) La sentenza 16 aprile 1975, n. 86 richiamata in motivazione � pubblicata in Giurispr. cast. 1975, 799. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 177' si deve -nel contesto dell'intero decreto in cui sono contenute e della legge di delega che ne sta a fondamento. Quest'ultima, com'� noto, ed � stato posto in evidenza pi� sopra ar punto 3, ha per oggetto la riforma tributaria, della quale prescrive principi e i criteri direttivi. Ovviamente, hanno del pari natura tributaria tutte le disposizioni del decreto legislativo di cui � questione, come� quelle degli altri che furono emanati in virt� della detta delega. Pi� par-� ticolarmente, il n. 2 dell'art. 3 stabilisce l'esenzione dall'imposta (gravante sui proprietari degli immobili) in favore delle societ� contemplate nel primo comma del medesimo art. 3 ( � societ� che svolgono in modo esclusivo o prevalente attivit� di gestione di immobili�), allorch� ricorranodeterminate condizioni, tra cui la particolare destinazione dell'immobile,. che sia per intero adibito all'esercizio delle attivit� specificate nelle lett. a, b, e e d, purch� ed in quanto svolte dai soggetti rientranti nelle categorie ivi anch'esse indicate (partiti rappresentati nelle assemblee nazionali e regionali; circoli aderenti alle organizzazioni nazionali legalmente riconosciute e sindacati rappresentati nel Consiglio nazionale dell'econo-� mia e del lavoro; secondo il gi� detto; istituzioni mutualistiche). Ora, prescindendo dai partiti politici e dalle istituzioni mutualistiche,. che rimangono fuori dell'ambito del presente giudizio, da quanto sin qui rilevato si traggono i due seguenti corollari. Il primo � che, trattandosi di normativa tributaria, e pi� specialmente, per quanto interessa in que-sta sede, di una esenzione fiscale, questa, da un lato deve contenersi entro i limiti pi� ristretti e, d'altro canto, ricevere applicazione uniforme, alla stregua di criteri unitariamente omogenei, in tutto il territorio nazionale. Il secondo corollar~o � che solo indirettamente le disposizioni impugnate concernono in qualche modo le diverse specie di formazioni associative menzionate alle lettere b e e, e solo indirettamente perci� pu�r dirsi ne derivi per queste un onere di aderire ad organizzazioni nazionali legalmente riconosciute o ad associazioni sindacali rappresentate nel C.N.E.L. per la previsione di una incidenza favorevole dello sgravio tributario disposto in favore del locatore sui canoni di locazione che le ass.ociazioni predette sono tenute a corrispondere. 5. -Sotto il profilo da ultimo accennato, la pos1z1one delle associa-� zioni in oggetto, formate da cittadini appartenenti alle minoranze linguistiche tedesca e ladina, � perfettamente eguale a quella delle associazioni similari operanti in qualsiasi parte del territorio nazionale, a livello meramente locale. N� pu� ravvivarsi nella imposizione dell'onere di adesione ad organizzazioni maggiori, legalmente riconosciute o rappresentate nel C.N.E.L., una menomazione delle caratteristiche peculiarit� tradizionalmente proprie di quelle associazioni, attraverso una sorta di larvata assimilazione forzata che porti a snaturarle, essendo rimesse alla loro libera 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO determinazione la scelta tra aderire o non aderire alle corrispondenti -Organizzazioni maggiori. Non ne risulta perci� violato il princ�pio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina, di cui all'art. 51 della legge �cost. n. 1 del 1971, in .relazione anche agli artt. 6 cost. e 2 dello Statuto della Regione del Trentino-Alto Adige, pure invocati dalla Provincia ri �corrente. Veramente, invece, i diritti di tali minoranze sarebbero vulnerati qualora l'adesione delle associazioni di cui alle lettere b e c del n. 2 dell'art. 3 alle organizzazioni nazionali comportasse, in forza di particolari norme che queste disciplinano o di concrete determinazioni adottate dai loro organi deliberanti, delle limitazioni al modo d'essere originario delle prime, col). specifico riguardo alla differenziazione etnico-linguistica in esse esprimentesi; come pure, per fare un esempio estremo, ove in ipotesi la richiesta di adesione fosse respinta proprio a motivo di tale differen �ziazione. Nei quali casi, peraltro, non mancherebbero alle associazioni dei gruppi minoritari contro siffatte indebite limitazioni i rimedi legali, esperibili davanti ai giudici comuni, ordinari ed amministrativi, non essendo dubitabile che an,che norme di grado lato sensu regolarmentare ed atti amministrativi concreti, siano viziati da illegittimit� quando contrastino con principi di ordine costituzionale. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 35 -Pres. Oggioni -Rel. Gionfrida -Vitagliano (n. c.) c. Pulvirenti (n. c.). Prescrizione -Sospensione della prescrizione fra coniugi legalmente sepa� rati -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; c. c., art. 2941, n. 1). Non contrasta con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 2941 n. 1 del codice civile nella parte in cui dispone che resti sospesa la prescrizione tra coniugi (anche se) legalmente separati (1). (Omissisr. -1. -Il giudice a quo dubita -come in narrativa detto -della legittimit� dell'art. 2941, n. l, del codice civile, per la parte in cui dispone che resti sospesa la prescrizione tra coniugi (anche se) legalmente separati; ed ipotizza violazione del precetto costituzionale dell'eguaglianza, sul rilievo dell'ingiustificato privilegio che verrebbe, in tal (1) La sentenza 18 aprile 1974, n. 99 richiamata in motivazione � pubblicata in questa Rassegna 1974, 1, 798. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 179 modo, riconosciuto al coniuge separato, nei rispettivi della generalit� degli altri cittadini, con l'esonero da ogni attivit� o cura e persino dalla semplice messa in mora per la tutela dei propri diritti nei confronti dell'altro coniuge. 2. -La questione non � fondata. Ed invero -pur tenuto conto delle limitazioni degli effetti de� vincolo matrimoniale che il regime di separazione personale comporta (cfr. le sentenze di questa Corte n. 99 del 1974, n. 128 e n. 13 del 1970) -� indubitabile che, nei rapporti reciproci (anche patrimoniali), la posizione dei coniugi, finch� il matrimonio non sia dichiarato nullo o sciolto per le cause previste dall'ordinamento giuridico, resti, comunque, qualificata dal perdurante (anche se in forma attenuata) vincolo coniugale. Tale qualificazione -diversificando la situazione esaminata da quella del rapporto c.he intercorra tra soggetti non coniugati -esclude, evidentemente, che sussista la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione: in quanto appunto, le situazioni comparate non sono tra loro omogenee. 3. -La disciplina impugnata appare, d'altra parte, pienamente legittima anche sotto il profilo della intrinseca razionalit�. Lo stato di separazione, infatti, pur rivelando una incrinatura dell'unit� familiare, non ne implica la definitiva frattura: potendo anche evolversi nel senso della ricostituzione (mediante la conciliazione) della coesione familiare. E non � irrazionale che, per salvaguardare, appunto, nei limiti del possibile, tale ultima eventualit�, il legislatore comprenda nella disciplina della sospensione della prescrizione dettata dall'art. 2941, n. l, cod. civ. l'ipotesi che i coniugi siano separati, esonerandoli cos� dal compiere atti -come quelli necessari ad interrompere la prescrizione dei rispettivi diritti -che potrebbero, invece, inasprire le ragioni del contrasto. { Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 febbraio 1976, n. 36 -Pres. Oggioni -Rel. Volterra -Bennati (n. c.). Pensioni -Pensioni di guerra -Giudizio dinanzi alla Corte dei Conti Termine per la riassunzione del processo interrotto -Decorrenza dalla morte del ricorrente -Illegittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 24; 1. 28 luglio 1971, n. 585, art. 19). I I ' SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 18 novembre 1975, nella causa 30/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Reischl -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione nella causa Soc.p.a. UNIL-IT (avv. Rossi) c. Ministero delle finanze -Interv.: Commissione delle Comunit� europee (ag. Maestripieri) e Governo italiano (avv. Stato Zagari). Comunit� europee -Unione doganale -Scambi intracomunitari -Trattamento comunitario -Necessit� del certificato DD4 -Inopponibilit� da parte dello Stato membro che non abbia adottato ancora provvedimenti per la concreta attuazione della decisione istitutiva del certificato. (Trattato e.E.E. artt. 9 e segg. e 39 e segg.; decisioni della Commissione 4 dicembre 1958, 5 dicembre 1960 e 17 luglio 1962; regolamenti del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13 e 30 giugno 1964, n. 82; d.!. 29 ottobre 1964, n. 1014 (non convertito); d.!. 23 dicembre 1964, n. 1351, convertito con legge 19 febbraio 1965, n. 28). La decisione 17 luglio 1962 della Commissione C.E.E., in relazione al regolamento del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13 (come modificato dal regolamento del Consiglio 30 giugno 1964, n. 82) ha attribuito all'aperatore economico il diritto di pagare solo il prelievo comunitario a condizione di fornire, mediante esibizione del certifiCato DD4, la prova del soddisfacimento delle condizioni poste per il godimento del trattamento comunitario; lo Stato membro che non ha adottato i provvedimenti per la concreta attuazione di detta decisione non pu� tuttavia opporre agli operatori economici l'inadempimento degli obblighi ch'essa impone e deve, in via provvisoria, consentire altri adeguati modi di provare il soddisfacimento delle dette condizioni (1). {1) Decisione comunitaria sul certificato DD4 e norme interne di attuazione. La decisione in rassegna, relativa a superata questione di diritto transitorio, ed indubbiamente condizionata, secondo criterio svincolato dalla impostazione difensiva della stessa parte interessata, dalle singolarit� della fattispecie (concernente prodotti lattiero-caseari esportati dalla Germania e dall'Olanda prima del 1� novembre 1964, e quindi con rilascio di certificati DDl e DD3, e importati in Italia, con trasporto indiretto, dopo l'entrata in vigore del regime dei prelievi, e cio� quando l'origine comunitaria dei prodotti doveva essere documentata con l'esibizione del certificato DD4), va segnalata per PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 183 (Omissis). -In diritto. -Con sentenza 22 novembre 1974, pervenuta in cancelleria il 18 marzo 1975, la Corte Suprema di Cassazione ha sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato C.E.E., tre questioni relative all'interpretazione della decisione della Commissione 17 luglio 1962 (G.U. n. 76, del 24 agosto 1962, pag. 2140) e di talune disposizioni del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13 (G.U n. 34, del 27 febbraio 1964, pag. 549), come modificato dal regolamento del Consiglio 30 giugno 1964, n. 82 (G.U. n. 105 del 1� luglio 1964, pag. 1626). La decisione di cui trattasi istituisce dei metodi di cooperazione amministrativa speciali per l'applicazione dei prelievi intracomunitari istituiti nell'ambito della politica agricola comune. Essa fa seguito ad una decisione della stessa natura della Commissione, in data 5 dicembre 1960 (G.U.. n. 4, del 20 gennaio 1961, pag. 29), la quale contempla, per tutte le merci che circolano fra gli Stati membri, dei certificati DDl o DD3, a seconda dei casi, da esibirsi alle autorit� doganali all'atto del passaggio della frontiera. In deroga a quella del 5 dicembre 1960, la decisione di cui � causa contempla, per le merci soggette, all'atto del passaggio della frontiera, a prelievi agricoli, uno speciale certificato (DD4) alla cui esibizione � subordinata, al momento della loro ammissione nello Stato� membro importatore, l'applicazione nei loro confronti del regime dei prelievi comunitari, pi� favorevole di quello al quale sono sottoposte le merci importate da Paesi terzi. Il certificato DD4 � concepito in modo da quanto se ne dovrebbe desumere in ordine alla necessit� di norme interne di attuazione anche per disposizioni comunitarie aventi contenuto preciso ed incondizionato (come avevano evidenziato sia la Commissione e.E.E. sia il Governo italiano) e tali anzi da attribuire (come la stessa sentenza pure pre cisa) �diritti� ai singoli. La sentenza quindi, in sostanziale contrasto con le valutazioni espresse con la decisione 22 ottobre 1970, resa nella causa GRAEYNEST (Racc., 905), non pu� non sorprendere, specialmente quando si consideri che il regime dei prelievi (con la conseguente necessit� del certificato DD4 negli scambi intra comunitari) era stato disposto con regolamento di circa. dieci mesi anteriore alla data della sua effettiva entrata in vigore, e che una tempestiva �attua zione ,, di tale regime da parte dello Stato importatore non avrebbe certo consentito all'operatore interessato di esibire un certificato che le autorit� dello Stato esportatore (e non quelle dello Stato importatore) er�no competenti a rilasciare, e non lo avrebbe quindi comunque posto � iri grado di adempiere l'obbligo�; cos� come rimane da chiarire come possa la necessit� di norme interne di attuazione conciliarsi con l'affermata idoneit� delle disposizioni comunitarie ad attribuire � diritti � ai singoli, e quindi con la loro diretta ed immediata applicabilit�. Anche a prescindere dalla rilevanza (non considerata) del d.l. 29 otto bre 1974, n. 1014 (vigente alla data dell'importazione, anche se poi rinnovato, per mancata conversione, con il d.l. 23 dicembre 1964, n. 1351), la decisione in rassegna dovrebbe condurre a ritenere, in definitiva, che se la impor RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 184 consentire il controllo dei requisiti per l'applicazione del regime intracomunitario ed in particolare della circostanza che si tratta di derrate agricole effettivamente prodotte nella Comunit�. Il regolamento del Consiglio n. 13/64, relativo alla graduale instaurazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e 'dei latticini (modificato dal regolamento n. 82/64) istituisce per i prodotti ivi contemplati, tra cui il formaggio, un duplice sistema di prelievi -sugli scambi coi Paesi terzi, da un lato, e sugli scambi intracomunitari, dall'altro -destinati ad entrare in vigore il 1� novembre 1964. A partire da tale data, per l'applicazione del regime dei prelievi agricoli intracomunitari, in forza degli artt. 1 e 4 della decisione 17 luglio 1962 doveva essere esibito alla dogana dello Stato membro importatore il certificato di circolazione DD4, e ci� entro un mese dalla data del visto doganale dello Stato membro esportatore. La lite pendente dinanzi alla Corte di Cassazione riguarda un'impresa che aveva importato in Italia, dalla Repubblica Federale e dai Paesi Bassi ,.,.. dopo il 1� novembre 1964 -delle partite di formaggio, spedite nel mese d'ottobre 1964 e accompagnate in parte da certificati DDl (trasporto diretto) e in parte da certificati DD3 (trasporto detto indiretto). La S.P.A. UNIL, ricorrente nella causa principale, sostiene di non aver. potuto ottenere, n� dall'amministrazione tedesca, n� da quella olandese, detto certificato DD4 per le merci di cui sopra. D'altro canto, all'atto dell'importazione (se avvenuta prima del 19 novembre 1964) non era stata ancora emanata in Italia alcuna disposizione di legge, n� era stato adottato alcun provvedimento amministrativo, per estendere alle merci di cui al regolamento n. 13/64 l'obbligo di esibire il tazione fosse avvenuta dopo la emanazione della � circolare ministeriale � del 19 novembre 1964 (e che sia avvenuta prima � oltretutto soltanto ipotizzato), la mancanza della prescritta documentazione sarebbe stata opponibile all'interessato, e legittimamente quindi sarebbe stato preteso, in difetto di tale documentazione, il maggior prelievo dovuto sui prodotti provenienti dai Paesi terzi; mentre � ovvio che anche in tale ipotesi nessuna possibilit� avrebbe avuto la ditta importatrice di esibire il certificato DD4 (per prodotti � esportati � quando tale certificato non doveva essere rilasciato). La concreta difficolt� di documentazione in cui era venuto a trovarsi l'operatore interessato (che avrebbe oltretutto potuto e dovuto prevederla, e proprio per la diretta applicabilit� delle norme comunitarie in discussione) andava in effetti risolta, in concreto, e secondo la soluzione proposta sia dalla Commissione C.E.E., sia dal Governo italiano, sia dall'avv. gen. Reischl, con ricorso all'art. 3, secondo comma, della decisione del 17 luglio 1962, secondo cui � il certificato per la circolazione delle merci modello DD4 pu� essere vidimato, in via eccezionale, anche successivamente all'esportazione delle merci alle quali si riferisce, nel caso di un errore o di una omissione involontaria al momento dell'esportazione �: disposizione che a fortiori andava riconosciuta applicabile nella specie (ed in ragione della quale, anzi, il Governo italiano e :;;::<;;:;:::::.:.:::.:.:;cccc,c,c,"""':':::::::'.:::::'.:'.:'.:'.::c:'.:'.:'.:'.:::.:::'''"''"'""'''""'''.�'.''.�'.�'.�'.�:�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�:�'.:'.�'.-'.�'."�"'.�'.�'.CCC'''""""""""�'.�""""'.�'.�'.�:�'.�::�:�:�'.-'.�'.�'.""''''"'''"'''""'"'"'"""""'"""""""""�"'."�'.�'.-'.�'.�'.CC�'.�'.�'."CC�'.CCCC�'.CC�:C�:�:�:-.�.','.''.'.'.'.',',',',',',','.'.'.','.'''''''''""'"'""""'.''.'.'.'.'.'.',',',',J PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 185 �certificato DD4. Solo una circolare ministeriale del 19 novembre 1964 ha imposto tale obbligo, mentre per il periodo dal 1� al 19 novembre, una drcolare telegrafica aveva disposto che, in via temporanea, i latticini sarebbero stati ammessi in Italia sotto il regime del dazio in sospeso. Del resto, solo il decreto-legge 23 dicembre 1964 (Gazzetta Ufficiale .23 dicembre 1964) ha istituito, con effetto dal 1� novembre 1964, il duplice regime dei prelievi per i latticini. Secondo la ricorrente nella causa principale la quale, nel corso della fase orale, ha prodotto in proposito delle dichiarazioni dei suoi corrispondenti nei Paesi esportatori, i suoi tentativi di procurarsi, durante il mese <li novembre 1964, dei certificati DD4, sarebbero falliti a causa del rifiuto .delle autorit� doganali di detti Paesi. Circa 18 mesi dopo l'importazione, l'Amministrazione italiana ha preteso dalla ricorrente nella causa principale i prelievi afferenti agli scambi coi Paesi terzi, adducendo che l'importazione non era stata effettuata con 1a scorta del certificato DD4. Sulla prima questione. Con una prima questione si chiede alla Corte se, per effetto della decisione 17 luglio 1962, in relazione al regolamento del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 13, l'applicazione diretta, all'interno di ciascuno degli Stati membri, del regime di prelievi istituito da detto regolamento n. 13/64 abbia comportato, fin al 1� novembre 1964 e indipendentemente dall'emanazione di norme interne al riguardo da parte dei singoli Stati, l'obbligo di usare, per l'ammissione al godimento del trattamento comunitario, il certificato DD4. l'avv. gen. Reischl avevano giustifkato la mancata emanazione delle norme transitorie preventivate con l'art. 32, ultimo comma, del regolamento del Con siglio 5 febbraio 1964, n. 13) e l� cui operativit� la Corte ha ritenuto di <lover invece escludere, presupponendo la necessit� di una specifica previ sione, da parte degli Stati membri, di un obbligo� gi� imposto, comunque, dalla normativa comunitaria, ed oltretutto ipotizzando, relativamente alla stessa disposizione, una differente decorrenza dei � diritti � e degli � obbli ghi � dei singoli interessati. , N� pu� certo una diversa soluzione ammettersi (e ritenersi perci� non . opponibile la mancanza della prescritta documentazione) solo in ragione della resistenza delle competenti autorit� degli Stati esportatori al tardivo rila scio del certificato DD4: rifiuto che sembra aver invece influito, nella sostanza, ed al fine di una pi� agevole definizione della vertenza, sulle valutazioni del la Corte. Sul certificato DD4 cfr., oltre alla sentenza della Corte di giustizia gi� sopra ricordata: Cass., 5 agosto 1974, n. 2331, in questa Rassegna, 1975, I, 504; Cass., 17 apmle 1975, n. 1104, ibidem, I, 216. A. M. 186 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO Il regolamento n. 13/64 (art. 12) vieta con effetto dal 1� novembre 1964, negli scambi. fra Stati membri dei prodotti agricoli ch'esso contempla, la riscossione di qualsiasi dazio doganale e di qualsiasi tassa d'effetto equivalente. Per detti scambi intracomunitari esso istituisce, per la durata del periodo transitorio, un regime di prelievi di cui gli Stati membri stabiliscono, a norma dell'art. 8, l'importo, in conformit� ai criteri sanciti dallo stesso regolamento. Questo regolamento attribuisce agli operatori economici il diritto di sottostare, per quanto riguarda gli scambi intracomunitari, ad un prelievo inferiore a quello che colpisce le importazioni delle stesse merci da Paesi terzi. La decisione 17 luglio 1962 impone agli Stati membri di ammettere unicamente l'esibizione del certificato DD4 come prova del soddisfacimento delle condizioni poste per la riscossione del prelievo pi� favorevole. Quest'obbligo imposto, allo scopo di impedire gli abusi, per quanto riguarda il modo in cui l'operatore economico deve comprovare il proprio diritto, implica che gli Stati membri interessati pongano tale operatore in grado di adempiere l'obbligo stesso. Ci� non avviene sino a che nello Stato membro importatore non siano stati presi i provvedimenti necessari per rendere obbligatoria l'esibizione del certificato DD4, di guisa che le merci devono necessariamente attraversare la frontiera con la scorta dei documenti contemplati dalla disciplina anteriore. Di conseguenza, il fatto che unicamente l'esibizione del certificato DD4 pu� valere come prova del possesso dei requisiti che danno diritto a sottostare al solo prelievo comunitario, non pu� essere opposto all'operatore economico il quale, nel momento in cui le merci attraversano la frontiera, soddisfi le condizioni di forma in quel momento ancora poste dallo Stato importatore. Indubbiamente, l'art. 3, n. 1, secondo comma, della dec:isione 17 lu glio 1962 stabilisce che �il certificato per la circolazione delle merci mo dello DD4 pu� essere vidimato, in via eccezionale, anche successivamente all'esportazione delle merci alle quali si riferisce, nel caso in cui esso non sia stato presentato, a causa di un errore o di una omissione involontaria, al momento dell'esportazione �. Questa disposizione riguarda per� delle ipotesi diverse da quella che lo Stato membro interessato non avesse ancora imposto l'obbligo di esibire un certificato DD4. La prima questione va quindi risolta nel senso che la decisione 17 lu glio 1962, in relazione al regolamento n. 13/64 (come modificato dal rego lamento n. 82/64), ha attribuito all'operatore economico il diritto di pa gare solo il prelievo comunitario a condizione di fornire -mediante esibizione del certificato DD4 -la prova del soddisfacimento delle con dizioni poste per il godimento del trattamento comunitario; lo Stato� membro che non ha adottato i provvedimenti per la concreta attuazione PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 187 di detta decisione non pu� tuttavia opporre agli operatori economici l'inadempimento degli obblighi ch'essa impone e deve, in via provvisoria, consentire altri adeguati modi di provare il soddisfacimento delle dette condizioni. La soluzione data alla prima questione rende prive di oggetto le restanti questioni. -(Omissis), CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 27 gennaio 1976, nella causa 46/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Warner -Soc. r.l. I.B.C. (avv. Pino e Bonifazi) c. Commissione delle Comunit� europee (ag.. Maestripieri).. Comunit� europee -Responsabilit� per atto nonnativo -Domanda volta ad ottenere la restituzione di somme che si assumano versate in base a disposizioni comunitarie illegittime -Competenza del giudice na :cionale. (Trattato e.E.E., art. 215, secondo comma; regolamenti del Consiglio 12 maggio 1971, n. 974, e 22 febbraio 1973, n. 509; regolamenti della Commissione 1� marzo 1973, n. 648 e n. 649, 23 marzo 1973, n. 905, e 30 maggio 1973, n. 1463). La domanda di restituzione di somme versate in applicazione di norme comunitarie che si assumano illegittime, e concernente quindi (in quanto rivolta, in realt�, contro atti emanati dalle autorit� nazionali) la legittimit� della riscossione delle somme controverse da parte delle autorit� nazionali cui competano l'accertamento concreto e la riscossione delle� somme dovute, va proposta al giudice nazionale, al quale spetta di pronunciarsi sulla legittimit� di tali atti, in applicazione del diritto comunitario, nelle forme previste da ciascun ordinamento nazionale e dopo� aver eventualmente utilizzato, per accertare la validit� della disciplina comunitaria applicata, la procedura contemplata dall'art. 177 del Trattato� C.E.E. (1). (1) Pur nella brevit� della motivazione, la sentenza in rassegna contiene� rilevanti enunciazioni di principio, nelle quali sembra peraltro potersi' rilevare una inversione di tendenza rispetto al criterio di valutazione di norma adottato dalla Corte di giustizia nelle azioni di risarcimento danni proposte nei confronti della Commissione delle Comunit� (e proprio in tema di im-� porti compensativi) per dedotta illegittimit� di norme comunitarie; ed � sintomatico che la stessa Commissione delle Comunit� europee non avesse formalmente contestato la ricevibilit� del ricorso (se non in sede di discussione e su esplicito invito a precisare la propria pos1z10ne al riguardo), ma ne avesse chiesto, anche in sede di conclusioni, il rigetto per infondatezza nel merito. La soluzione adottata dalla Corte di giustizia sembra in effetti presupporre una distinzione (tra attivit� normativa ed attivit� di applicazione) m 188 RASSEGNA DELLrAVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -In diritto. -Con ricorso proposto il 13 maggio 1975, la ricorrente chiede il risarcimento del danno che asserisce esserle stato causato dall'applicazione da parte delle autorit� doganali italiane del regolamento della Commissione 30 maggio 1973, n. 1463, sulle modalit� d'applicazione degli importi compensativi monetari (G.U. n. L 146, pag. 1). Essa sostiene infatti che l'art. 5 del predetto regolamento, disposizione applicata nei suoi confronti, � illegittimo in quanto ha ridotto indebitamente gli importi compensativi all'importazione. A causa dell'applicazione di detto articolo, la ricorrente ha dovuto pagare, a titolo di conguaglio fra l'onere all'importazione e gli importi ragione della quale l'ammissibilit� dell'azione di responsabilit� per atto normativo (sulla quale cfr., amplius, in questa Rassegna, 1975, I, 654) verrebbe ad essere contenuta in ristretti margini, e limitata in particolare (come sembra confermato da quanto in argomento osservato dall'avv. gen. Warner) alla .sola ipotesi in cui si chiedano, a titolo di risarcimento danni, somme che .si. sarebbero ottenute in difetto di (illegittime) norme comunitarie, con esclusione, cio�, della analoga ma opposa ipotesi in cui il danno di cui si chieda il risarcimento sia commisurato all'importo versato in applicazione di (illegittime) norme comilnitarie; e la rilevanza di tale impostazione nella valutazione della Corte appare invero confermata dal rilievo che nessuna conte. stazione era stata in effetti promossa dalla parte ricorrente in ordine agli atti di applicazione della normativa comunitaria (della legittimit� dei quali dovesse discutersi), risultando la causa petendi della causa promossa nei confronti della Commissione e.E.E. fondata proprio e soltanto sulla responsabilit� per emanazione. di norme illegittime, cos� . come petitum del ricorso risultava� la condan~a della Commissione e.E.E. al pa,gamento, a titolo di ris'arcimento �del dann�, della maggior �somma corrisposta in applicazione della normativa comunitaria. La declaratoria di irricevibilit� del ricorso involge comunque questioni di non indifferente portata �(e che tuttavia non risultano ancora adeguatamente approfondite in dottrina), quali quelle sul potere del giudice nazionale di dichiarare direttamente l'inv�lidit� di norme comunitarie (quale dovrebbe desumersi dal carattere fac�ltativo della richiesta prevista all'art. 177, secondo comma, del Trattato e.E.E., e dallo stesso accenno, nella sentenza in rassegna, all'� eventuale� richiesta di pronuncia pregiudiziale), e sui rapporti tra Comunit� e Stati membri in ipotesi di danni causati da norme riconosciute invalide o di rimborso di somme a seguito di tale riconoscimento preteso; e va in particolare sottolineata, a tale ultimo proposito, l'osservazione dell'avv. gen. Warner secondo cui la Comunit� sarebbe comunque tenuta a rivalere 1o Stato membro. delle somme da restituire (per la quota di pertinenza comunitaria) e delle spese sostenute per la responsabilit� di una riscossione effettuata in applicazione di norme comunitarie riconosciute illegittime. Quai).to al merito della questione discussa tra le parti in causa, va segnalato che la questione � s-tata gi� medio tempore proposta, in analoga �controversia, dinanzi al giudice nazionale, e che di essa la Corte di giustizia � stata gi� nuovamente investita, secondo impostazione coerente con la decisione in rassegna, ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.E;E. A commento della decisione (della quale un precedente sembra potersi rinvenire nella sentenza 25 ottobre 1972, nella causa 96/71, HAEGEMAN, Racc., 1005),' e perch� si possa pi� agevolmente avvertire la portata della questione PARTE I, SEZ. II, GIURIS, COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 189 compensativi monetari, diverse somme, che essa ritiene non dovute e delle quali, col presente ricorso, domanda la restituzione. Il ricorso �, in realt�, diretto contro atti emanati dalle autorit� italiane in forza d'una normativa comunitaria che fa ricorrente ritiene illegittima. Esso riguarda quindi la legittimit� della riscossione delle somme controverse da parte delle autorit� italiane, cui spettava il compito di applicare ed attuare in concreto la disciplina comunitaria relativa agli importi compensativi monetari, e mira ad ottenere dalla Comunit�, anzich� dalle autorit� nazionali, il rimborso delle somme che sarebbero state indebitamente riscosse. decisa, si ritiene utile riportare qui di seguito le conclusioni dell'avv. gen. Warner, invero di rilevante interesse sia per quanto concerne il commentato sistema degli importi compensativi (che continua a dar luogo a numerose controversie, sia a livello comunitario che dinanzi ai giudici nazionali), sia in ordine ai ricordati precedenti giurisprudenziali ed alla conforme soluzione proposta quanto alla irricevibilit� del ricorso. Conclusioni dell'avv. gen. Warner. Signor Presidente, Signori Giudici, La ditta � I.B.C. Importazione Bestiame Carni� s.rl. di . Trieste, ricorrente nella presente causa, chiede, a norma degli artt. 178 e 215, secondo comma, del Trattato C.E.E., che la Commissione delle Comunit� Europee sia condannata a risarcirle i danni subiti in occasione di tre importazioni (di animali vivi della specie bovina dall'Ungheria la prima e la terza, effettuate rispettivamente il 3 marzo ed il 10 agosto 1973, di quarti posteriori di carni bovine dalla Jugoslavia la seconda, effettuata il 27 aprile 1973) a causa dei dazi eccessivi riscossi dalle autorit� doganali italiane in applicazione d'una norma -che la ricorrente ritiene illegittima -con cui la Commissione aveva fissato, o preteso fissare, certe riduzioni degli importi l.!ompensativi monetari nel commercio delle carni bovine. Durante la fase scritta del procedimento v'� stata qualche incertezza circa l'ammontare del risarcimento, reclamato. dalla ricorrente. Comunque, ora sembra chiaro, sulla base della risposta fornita dalla ricorrente ad una domanda rivoltale dalla Corte al termine della fase scritta, che la somma richiesta � di Lit. 320,729, vale a dire -su ci� le parti concordano -l'intera somma che la ricorrente, se la sua pretesa � fondata, ha pagato in pi� ciel dovuto. Come ricorderete, gli importi compensativi monetari (che d'ora in poi chiamer�, per ragioni di brevit�, � i.c.m. �) furono introdotti dal regolamento (C.E.E.) del Consiglio 12 maggio 1971, n. 974, in seguito all'allargamento dei margini di oscillazione delle monete di alcuni Stati membri. L'art. 1, n. 1, del predetto regolamento, nella nuova versione risultante dall'art. 2 del regolamento (C.E.E.) del Consiglio 22 febbraio 1973, n. 509, sta bilisce che lo Stato membro la cui moneta sia aumentata di valore oltre il limite di fluttuazione autorizzato dalla disciplina internazionale vigente il 12 maggio 1971 riscuote all'importazione ed accorda all'esportazione i.c.m. per i prodotti agricoli, mentre lo Stato membro la cui moneta si sia deprezzata oltre il predetto limite di fluttuazione procede in se.oso inverso, vale a dire riscuote i.c.m. sulle esportazioni di prodotti agricoli e li accorda alle impor 190 RASSEGNA DELL'A\NOCATURA DELLO STATO Le norme comunitarie in questione fissano i criteri per il calcolo delle somme dovute a titolo di conguaglio fra l'onere all'importazione e gli importi compensativi e non lasciano alcun dubbio sul fatto che l'accertamento concreto e la riscossione delle somme dovute incombono alle autorit� nazionali. Spetta perci� ai giudici nazionali competenti pronunziarsi sulla legittimit� di tali atti, in applicazione del diritto comunitario, nelle forme previste da ciascun ordinamento nazionale e dopo aver eventualmente utilizzato, per accertare la validit� della disciplina comunitaria applicata, la procedura contemplata dall'art. 177 del Trattato C.E.E. La ricorrente non pu� quindi adire la Corte di Giustizia per ottenere indirettamente, mediante un'azione di risarcimento dei danni esperita nei confronti della Comunit�, la concreta riforma dei citati provvedimenti. Di conseguenza, il ricorso � irricevibile. -(Omissis). tazioni. L'Italia �, senza dubbio, un paese la cui valuta s'� deprezzata; essa accorda pertanto i.c.m. all'importazione. Con l'art. 3 del regolamento n. 509/73 fu inserito nel regolamento numero 974/71 un nuovo art. 4 bis, di cui riporto, qui di seguito, la parte che ci interessa: � 1. Negli scambi con i paesi terzi, gli importi di compensazione: a) concessi all'importazione: sono detratti dall'onere all'importazione ... 2. Negli scambi tra gli Stati membri ed in quelli con i paesi terzi, gli importi di compensazione applicabili in seguito ad un deprezzamento della moneta interessata non possono essere superiori all'onere all'importazione in provenienza dai paesi terzi. Tuttavia il Consiglio, decidendo su proposta della Commissione secondo la procedura di voto di cui all'art. 43, paragrafo 2, del Trattato pu�, in taluni casi eccezionali, stabilite che non � applicabile il primo comma� (1). L'art. 6 del regolamento n. 974/71 disponeva che le modalit� d'applicazione del regolamento stesso sarebbero state adottate seguendo la procedura detta del � Comitato di Gestione �, contemplata in ciascuno dei regolamenti istitutivi delle organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli. Come voi ben sapete, detta procedura consente alla Commissione di adottare provvedimenti di immediata applicazione, salvo riesame da parte del Consiglio di quelli fra essi che non risultino conformi al parere espresso dal competente Comitato di Gestione. L'art. 7 del regolamento n. 974/71, nella versione risultante dall'art. 2 del regolamento del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2746, prevede, fra l'altro, che: � �.� gli importi di compensazione concessi �negli scambi con i paesi terzi sono considerati, per quanto concerne il finanziamento della politica agricola comune, come. facenti parte delle restituzioni all'esportazione i paesi terzi� (2). Ci� significa che l'onere di tali somme ricade, in ultima analisi, sul F.E.A.0.G. (1) G. U. 23 febbraio 1973, n. L 50. (2) G. U. 28 dicembre 1972, n. L 291. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 191 Bastino questi cenni per la legislazione del Consiglio rilevante nel caso in esame. La Commissione esercit� per la prima volta il potere attribuitole dall'art. 6 del regolamento n. 974/71 adottando, il 17 maggio 1971, il regolamento (C.E.E.) n. 1013/71 �recante modalit� di applicazione del regolamento (C.E.E.) n. 974/71 �. Il regolamento n. 1013/71 fu successivamente rimaneggiato almeno sei volte. N� esso, n� i regolamenti che lo modificarono, sono per� rilevanti in relazione alla presente controversia. Il 1� marzo 1973, di nuovo nell'esercizio, o nel preteso esercizio, dei poteri attribuitile dall'art. 6 del regolamento n. 974/71, la Commissione emanava il regolamento n. 648/73 che, per quanto ci interessa, faceva due cose. In primo luogo, esso abrogava e rimetteva al tempo stesso in vigore, dopo averle raccolte in un testo unico, le disposizioni del regolamento n. 1013/71 e dei vari regolamenti che lo avevano modificato. In secondo luogo, esso introduceva, con l'art. 6, norme volte ad attuare il n. 2 del nuovo articolo 4 bis del regolamento n. 974/71. L'art. 6 del regolamento n. 648/73 recita: � 1. Per l'applicazione dell'art. 4 bis, paragrafo 2, del regolamento (C.E.E.) n. 974/71, la Commissione fissa gli importi con cui devono essere adattati gli importi compensativi comunitari. 2. Gli importi da detrarre fissati in conformit� del paragrafo 1 vengono modificati periodicamente quando la variazione dell'onere all'importazione in provenienza dai paesi terzi lo renda necessario � (1). L'art. 17 del regolamento n. 648/73 era, nella parte che ci interessa, del seguente tenore: � 1. Il presente regolamento entra in vigore il terzo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta U-{fieiale delle Comunit� Europee. 2. Tuttavia, gli importi risultanti dalla sua applicazione sono validi a decorrere dal 26 febbraio 1973 � (1). Il regolamento veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 marzo 1973. La stessa Gazzetta Ufficiale riportava anche il regolamento (C.E.E.) numero 649/73, esso pure adottato dalla Commissione il 1� marzo 1973. Detto regolamento fissava, o pretendeva fissare, gli i.c.m. validi a decorrere dal 26 febbraio 1973. Il suo art. 3 era identico all'art. 17 del regolamento n. 648/73. Il 23 marzo 1973 la Commissione emanava il regolamento (C.E.E.) numero 905/73, che fissava, o pretendeva di fissare, in conformit� all'art. 6 del regolamento n. 648/73, gli importi d'adeguamento da applicarsi agli i.c.m. di cui al regolamento n. 649/73 in attuazione dell'art. 4 bis, n. 2, del regolamento n. 974/71. Il regolamento n. 905/73 doveva entrare in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale -che avvenne il 7 aprile 1973 -ma gli importi in esso contemplati vennero considerati applicabili dal 26 febbraio 1973. Come ricorderete, la prima delle tre importazioni di cui si discute fu effettuata dalla ricorrente il 3 marzo 1973, vale a dire in data anteriore alla entrata in vigore dei regolamenti nn. 648/73, 649/73 e 905/73, ma successiva al momento (26 febbraio 1973) a partire dal quale venivano considerati validi gli i.c.m. e le correzioni loro apportate mediante i predetti regolamenti. Questa prima importazione consisteva, come ho gi� detto, in un carico di bovini vivi provenienti dall'Ungheria. In quel momento l'unico onere gravante su una simile importazione era un dazio ad valorem dell'8%. L'i.c.m. contemplato dal regolamento n. 649/73 ammontava a Lit. 46,70 il kg, mentre la (1) G. U. 9 marzo 1973, n. L 64. 192 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO riduzione di tale importo prevista dal regolamento n. 905/73 corrispondeva a Lit. 5,45 il kg. Il valore totale del bestiame importato era di Lit. 11.292.260, su cui doveva venir pagato un dazio pari all'8%, cio� a Lit. 903.380. Il peso totale del bestiame era di 17.085 kg. L'i.c.m., calcolato in ragione di Lit. 46,70 il kg, ammontava pertanto a Lit. 797.869. Se si fosse trascurata la riduzione dell'i.c.m. imposta dal regolamento n. 905/73, dal dazio di Lit. 903.380 si sarebbe dedotta, in forza dell'art. 4 bis, n. l, del regolamento n. 974/71, l'intera somma di Lit. 797.869 e la ricorrente avrebbe dovuto pagare soltanto Lit. 105511. Invece, le autorit� doganali italiane detraevano dall'i.c.m. la somma di Lit. 5,45 il kg fissata dal regolamento n. 905/73. L'i.c.m. si riduceva quindi a Lit. 41,25 il kg, cio� a Lit. 704.760 per l'intera partita di merce. Dal dazio di Lit. 903.380 si poteva perci� detrarre soltanto la somma di Lit. 704.760: la ricorrente doveva ancora versare Lit. 198.620. La differenza fra le due cifre (Lit. 198.620 e Lit. 105.511) � la prima posta nel totale di Lit. 320.729 reclamato dalla ricorrente. � Il 6 aprile 1973 la Commissione adottava il regolamento (C.E.E.) n. 974/73 recante modifica degli importi compensativi monetari. Detto regolamento entrava in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, cio� il 12 aprile 1973. Esso era applicabile dal 9 aprile 1973, ina cio non ha rili�vo per il presente caso in quanto, come ho gi� ricordato, la seconda importazione ebbe luogo il 27 aprile 1973. Il 12 aprile 1973 la Commissione emanava il regolamento (C.E.E.) n. 1031/73, con cui modificava, in conformit� all'art. 6 del regolamento n. 648/73, .gli importi d'adattamento degli i.c.m. Anche il regolamento n. 1031 doveva entrare in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che avvenne� il 21 aprile 1973, ed avere effetto retroattivo dal 9 aprile 1973. Per le stesse ragioni gi� esposte in precedenza, questa ultima circostanza � priva di rilievo nel presente procedimento. La seconda importazione effettuata dalla ricorrente consisteva, come s'�� visto, in una partita di quarti posteriori di carni bovine provenienti dalla Jugoslavia. L'unico onere gravante su di essa era un dazio � ad valorem � del 10%. L'i.c.m. fissato dal regolamento n. 974/73 era di Lit. 135,41 il kg; la riduzione contemplata dal regolamento n. 1031/71 era di Lit. 17,85. il kg. Il valore totale della partita di merce ammontava a Lit. 14.619.000, in base al quale si doveva versare un dazio di Lit. 1.461.900. Il peso totale della carne era di 10.368 kg e l'i.c.m., calcolato in ragione di Lit. 135,41 il kg, ammontava a Lit. 1.403.930. Se si fosse trascurata la riduzione fissata dal regolamento n. 1031/73, la ricorrente avrebbe dovuto pagare� la differenza fra Lit. 1.461.900 e Lit. 1.403.930, cio� Lit. 57.970. Le autorit� doganali italiane detraevano invece dall'i.c.m. la somma di Lit. 17,85 il kg, contemplata dal regolamento n. 1031/73. L'i.c.m. si riduceva quindi a Lit. 117,56 il kg ovvero a Lit. 1.218.870 per l'intera p~rtita di merce e la ricorrente veniva costretta a versare Lit. 243.030. La differenza fra le due somme (Lit. 243.030 e Lit. 57.970) rappresenta la seconda posta nel reclamo del ricorrente. Il 30 maggio 1973 la Commissione emanava il regolamento (C.E.E.) n. 1463/73,. che entrava in vigore il 4 giugno successivo, data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunit� Europee. Esso veniva modificato dal regolamento (C.E.E.) della Commissione 18 luglio 1973, n. 1957, che era pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 20 luglio 1973 ed entrava in vigore tre giorni dopo.. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE L'importanza del regolamento n. 1463/73, nella versione modificata come si � test� detto, � duplice. In primo luogo, esso abrogava e sostituiva, con emendamenti, il regolamento n. 648/73. Di conseguenza, esso rappresentava, al momento in cui la ricorrente effettu� la sua terza importazione, il pi� rilevante fra i regolamenti emanati dalla Commissione in applicazione del regolamento del Consigli<>' n. 974/71 ed ancora in vigore. In secondo luogo -cosa che il regolamento n. 648/73 non aveva fatto esso accennava espressamente a�i una differenza fra le carni bovine e tutti gli altri prodotti agricoli, che rendeva necessario, almeno secondo la Commissione, un diverso trattamento delle une e degli altri per quanto riguardav~ gli adattamenti degli i.c.m. Se ho ben capito, questa differenza consisteva nel fatto che sulle importazioni di carni bovine dai paesi terzi gravava (da solo o, talvolta, insieme con altri tributi) un dazio � ad valorem >>, mentre sulle importazioni di tutti gli altri prodotti agricoli gravavano oneri (in genere prelievi) fissati con riferimento non gi� al valore, bens� al peso o a criteri similari. Ci� significava che, nel caso di prodotti diversi dalle carni bovine, il calcolo della riduzione da effettuarsi sull'i.c.m., affinch� esso, in conformit� dell'art. 4 bis, n. 2, del regolamento n. 974/71, non superasse l'onere gravante sulle importazioni dai paesi terzi, non presentava alcuna difficolt�. Poich� l'i.c.m. e l'onere all'importazione� erano fissati in base ad uno stesso criterio, non era difficile confrontarli. Nel caso delle carni. bovine, invece, il dazio per unit� di peso varia~a iri base al valore delle merci. Per le importazioni da paesi terzi non sorgevano problemi in quanto, in tale eventualit�, si doveva accertare il valore d'ogni partita di merce e calcolare il relativo dazio. Niente di simile era invece previsto per le esportazioni nei paesi terzi e, cosa forse ancor pi� grave, per il commerciointracomunitario. Se si fosse preteso che le autorit� doganali degli Stati membri valutassero ogni partita di merce oggetto di simili operazioni al solo fine di accertare se ed in quale misura le fosse applicabile l'adattamento dell'i.c.m., si sarebbe imposto alle suddette autorit� un impegno sproporzionato e si sarebbero creati discutibili intralci al commercio. La Commissione concludeva che: l'unica soluzione possibile, quantunque non del tutto soddisfacente, era quellai di calcolare gli adattamenti degli i.c.m. relativi alle carni bovine in base ad una stima forfettaria: il calcolo sarebbe stato effettuato partendo non gi� daI valore effettivo delle merci, bens� dai � prezzi all'importazione � fissati dalla Commissione in forza del regolamento del Consiglio n. 805/68. (Quel regolamento instaurava, come ricorderete, l'organizzazione comune del mercato nel settore delle carni bovine e stabiliva, all'art. 10, che � in base ai corsi registrati s�i mercati pi� rappresentativi dei paesi terzi � andavano calcolati � prezzi alla� importazione � da confrontare con i � prezzi d'orientamento � comunitari perdeterminare se eventualmente si dovessero imporre prelievi sulle importazioni dai paesi terzi in aggiunta al dazio doganale). La Commissione aggiungeva che si sarebbero potute verificare artificiali deviazioni del traffico commerciale qua-lora gli adattamenti forfettari degli i.c.m., calcolati nel modo sopra indicato, non si fossero applicati a tutte le operazioni concernenti le carni bovine, ivi incluse le importazioni dai paesi terzi. Mi sembra che questo ragionamento avesse gi� guidato la Commissione nel fissare gli adattamenti degli i.c.m. in applicazione dell'art. 6 del regolamento n. 648/73. La novit� introdotta dal regolamento n. 1463/73 consiste nel fatto che tali considerazioni venivano ora svolte in forma esplicita. Un'altra innovazione introdotta, in conformit� alle suddette considerazioni, dal regolam�nto n. 1463/73 fu quella di affidare agli Stati membri il calcolo degli adatta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO menti degli i.c.m. per tutti i prodotti diversi dalle carni bovine. La Commissione doveva perci� limitarsi a fissare gli adattamenti forfettari valevoli per il settore delle carni bovine. Non credo sia necessario citare i corrispondenti passi nella motivazione del regolamento n. 1463/73. La norma, che si ispira alle considerazioni sopra illustrate, � l'art. 5, il quale, nel. testo modificato dall'art. 1 del regolamento n. 1957/73, dispone quanto segue: � 1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie ad assicurare il rispetto delle disposizioni dell'articolo 4 bis, paragrafo 2, del regolamento (C.E.E.) numero 974/71 � (1). � Tuttavia, nel settore delle carni bovine, gli Stati membri diminuiscono gli importi compensativi monetari degli importi loro comunicati a tal fine. La Commissione stabilisce tali importi in base al prezzo all'importazione, calcolato a norma dell'articolo 10, paragrafo 1, del regolamento (C.E.E.) n. 805/68... � (2). Ho gi� detto che la terza importazione, consistente in un carico di bovini vivi provenienti dall'Ungheria, fu effettuata dalla ricorrente il 10 agosto 1973. Su di essa andava riscosso un dazio ad valorem dell'8%. L'i.c.m., fissato dal regolamento (C.E.E.) della Commissione 31 luglio 1973, n. 2102, era di Lit. 136,78 il kg.. Il valore totale del bestiame era di Lit. 7.888.410; il relativo dazio ammontava a Lit. 631.080. Il peso totale era di 11.470 kg e l'i.c.m., calcolato in ragione di Lit. 136,78 il .kg, corrispondeva a Lit. 1.156.996. Esso superava quindi l'ammontare del dazio e, se non fosse stato ridotto, avrebbe avuto per effetto, ai sensi dell'art. 4 bis del regolamento n. 974/71, di cancellare il debito d'imposta. Le autorit� doganali italiane, invece, detraevano dall'i.c.m. la somma di Lit. 85,48 il kg fissata, in base all'art. 5 del regolamento (C.E.E.) n. 1463/73, da una decisione della Commissione in data 30 luglio 1973 (73/268/C.E.E.). Rimane dubbio se questo �modo di procedere fosse, in ogni caso, corretto, dal momento che le riduzioni contemplate dalla predetta decisione erano dichiarate applicabili agli i.c.m. fissati in precedenti regolamenti della Commissione, che erano stati abrogati dal regolamento n. 2102/73. Nessuna delle parti ha per� accennato a questo problema. In seguito alla detrazione di Lit. 85,48 il kg, l'i.c.m. totale si riduceva da Lit. 1.156.996 a Lit. 588.420. Poich� il dazio amm�ntava a Lit. 631.080, rimanevano a carico della ricorrente Lit. 42.660, che costituiscono la terza voce nel totale di Lit. 320.729 da essa reclamato. Nelle memorie da essa presentate, la Commissione sollevava il problema della ricevibilit� del ricorso, ma non proponeva formalmente che esso venisse dichiarato irricevibile. Invitata a precisare in udienza la sua posizione al riguardo, essa ha chiesto che il ricorso sia dichiarato irricevibile. A sostegno di tale conclusione, la Commissione ha addotto due argomenti. In primo luogo, essa fa valere che il ricorso costituisce in realt� una � repetiti indebiti >>, cio� un'azione che nasce da un � quasi-contratto � e dovrebbe venire assimilata, per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 215 del Trattato, ad una azione contrattuale. In secondo luogo, essa afferma che il ricorso tocca le risorse proprie della Comunit� come definite nella decisione adottata dal Consiglio il 21 aprile 1970 (70/243 C.E.C.A., e.E.E., Euratom) e che perci� in conformit� all'art. 6 della predetta decisione ed alla sentenza pronunziata dalla Corte nella .causa 96/71 (Haegeman c/ Commissione, Racc. 1972, vol. 2, pagg. 1014-1015), � (1) G. U. 4 giugno 1973, n. L 146. (2) G. U. 20 luglio 1973, n. L 200. i\ !: �-. . ~= PARTE I, SEZ. II, GIURIS. CO!\:t:UNIT~IA E INTERNAZIONALE 195 un ricorso sul quale dovrebbero pronunziarsi le competenti giurisdizioni dello Stato membro che raccoglie le suddette risorse, nella fattispecie l'Italia. Il primo argomento non mi convince. Non mi pare che nella. moderna legislazione di alcuno dei nostri Stati il � quasi-contratto � sia considerato come un settore del diritto contrattuale. Si vedano, a titolo d'esempio, l'art. 1370 del Codice Civile francese e l'impostazione del secondo libro del Codice Civile tedesco (BGB). Nella legislazione inglese, contratto e quasi-c�ntratto hanno, storicamente, un'origine comune nell'antica azione dell'� assumpsit �, ma sono oggi due settori ben distinti del diritto. In effetti, per meglio e~idenziare la foro differenza, la maggior pa,rte degli autori contemporanei preferisce usare, parlando del quasi-contratto, il termine � restitution �. Non credo che gli autori del Trattato, accennando nel primo comma dell'art. 215 alla � responsabilit� contrattuale della Comunit�>>, abbiamo inteso includervi la responsabilit� per la restituzione di somme pagate indebitamente al di fuori di qualsiasi contratto. Del pari, mi sembrerebbe semplicisti�o dichiarare irricevibile il ricorso solo perch� esso si riferisce alle risorse proprie della Comunit�. Le somme pagate. dalla ricorrente sono state versate a titolo di dazio doganale e, nel periodo in esa�ne (1973), solo una certa quota dei dazi doganali riscossi da ciascuno Stato membro entrava nel bilancio comunitario -cfr. art. 3 della Decisione del Consiglio 21 aprile 1970 -. � vero che, in conformit� all'art. 7 del regolamento n. 974/71. (da me gi� citato), la riduzione degli i.c.m. lamentata dalla ricorrente tornava a vantaggio del F.E.A.O.G. Ci� significava tuttavia una riduzione delle spese della Comunit� pi� che un aumento delle. sue risorse propriamente dette. Nonostante queste considerazioni, concordo con la Commissione sulla irricevibilit� del ricorso. Una simile conclusione si ricava in un certo senso ~' a fortiori� dalla sentenza Haegeman, che � rilevante per la quota dei dazi doganali versati dalla ricorrente che � stata ceduta alla Comunit�. Per la parte de~le somme considerate trattenuta dal Ministero del Tesoro la responsabilit� d't,Uli1 eventuale restituzione ricade sullo Stato italiano, anche se il F.E.A.O.G. � in,. effetti tenuto ad indennizzare lo Stato italiano delle spese sostenute a .causa di tale responsabilit�. Nel corso del procedimento sono state ricordate alcune cause nelle quali la Corte ha dichiarato ricevibili azioni per danni proposte contro Istituzioni comunitarie ai sensi dell'art. 215, n. 2, in quanto gli interessati erano stati danneggiati dal comportamento delle Istituzioni convenute. Ritengo per� che ta).i casi siano differenti da quello in esame. In tutti questi casi infatti i ricorrenti si richiamavano, in realt�, alla circostanza che l'Istituzione interessata non aveva provveduto ad attribuire loro il diritto di riceve un certo pagamento. Cos� nella causa 43/72 (Merkur c. Commissione, Racc. 1973, pag. 1055) una ditta tedesca faceva valere che la Commissione non ave':a fissato, durante un certo periodo, gli i.c.m. per i prodotti di trasformazione dell'orzo, cosicch� l'interessata non aveva ricevuto alcun i.c.m. in occasione delle sue esportazioni di tali prodotti nel periodo considerato. La differenza fra un simile ricorso e la ripetizione d'una somma assertivamente pagata in pi� del dovuto alle auto rit� di uno Stato membro, come nel caso Haegeman, � stata illustrata dall'avvo cato generale Mayras, il quale ha posto in rilievo come la ricevibilit� del ricorso dipenda dalla natura e dall'oggetto delle pretese in esso enunciate (Racc. 1973, pagg. 1080-1081; Racc. 1973, pagg. 1081-1082). Nella causa 153/73 (Holtz & Willemsen c. Consiglio, Racc. 1974, pag. 675) un oleificio tedesco si riteneva ingiustamente danneggiato dal comportamento del convenuto, che aveva riservato una certa sovvenzione ai soli oleifici italiani, e chiedeva, a titolo di risarcimento dei danni, il pagamento delle somme cui 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 196 avrebbe avuto diritto se la sovvenzione fosse stata estesa a tutta la Comunit�.. In tale occasione, � stato l'avvocato generale Reischl a precisare la differenzal fra il suddetto ricorso ed il tipo di azioni esemplificato con il ricorso Haegeman (Racc. 1974, pag. 701; Racc. 1974, pag. 702). Nella causa 74/74 (CNTA c. Commissione, Racc. 1975, pag. 533), la Corte ha. ritenuto ricevibile un ricorso proposto, ai sensi dell'art. 215, da un esportatore francese di semi oleosi, il quale faceva carico alla Commissione di non avere� incluso in un regolamento che aboliva gli i.c.m. nel commercio dei predetti semi disposizioni transitorie volte a tutelare gli operatori che avevano assunto� � impegni d'esportazione facendo affidamento sulla corresponsione degli i.c.m. Non si pu� quindi desumere da questi precedenti il principio, sostenuto dalla ricorrente, che chiunque si pretenda danneggiato da un presunto comportamento illegittimo di un'Istituzione comunitaria, pu� agire contro la sud-detta Istituzione ai sensi dell'art. 215, secondo comma. In realt�, non solo la sentenza Haegeman, ma anche la sentenza pronunziata dalla Corte il 26 no-� vembre 1975 nella causa n. 99/74, Soci�t� des Grands Moulins des Antilles c. Commissione (non ancora pubblicata), dimostrano l'inesistenza d'un tale principio. Ne consegue, a mio parere, che la ricorrente avrebbe dovuto convenire in giudizio il competente organo dell'amministrazione italiana dinanzi ai tribunali italiani e sollevare in quella sede, a norma dell'art. 184 del Trattatq, il problema. della validit� degli atti della Commissione da cui essa si ritiene lesa. Sarebbe poi spettato al giudice investito della causa sottoporre, se lo avesse ritenuto� necessario, una domanda di pronunzia pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Nel dir ci� non mi sfugge che, nelle cause Mer~ur,.Holtz & Willemsen e CNTA, si � autorevolmente accennato all'inopportunitii di rimandare i ricorrenti dall'una all'altra giurisdizione. Tale inopportunit� � evidente, ma non rappresenta,.. a mio avviso, un valido motivo per concedere agli interessati la piena libert� di proporre qualsiasi gravame dinanzi a qualsiasi giurisdizione. In proposito,. mi richiamo di nuovo -com'� ovvio -alle sentenze Haegeman e Grands� Moulins des Antilles. Pur ritenendo che il ricorso sia irricevibile, giudico opportuno esaminarlo" anche nel merito. :t;. curioso dover osservare che, se si esclude un rapido accenno al regolamento n. 648/73 nell'istanza di ricorso, la ricorrente ha fondato le sue pretese� esclusivamente sulla asserita illegittimit� dell'art. 5 del regolamento n. 1463/73,. che in realt� entrava in gioco solo per l'ultima delle tre importazioni considerate. In risposta ad una domanda rivoltale dalla Corte al termine della fase scritta del procedimento, la ricorrente ha affermato di aver fatto ci� per motivi di comodit�, in quanto il regolamento n. 1463/73, oltre ad essere l'ultimo im ordine di tempo, era anche quello il cui preambolo meglio esprimeva il pensiero della Commissione. In sostanza, la ricorrente ha sostenuto, come risulta dalle sue memorie,. che la Commissione non era competente ad adottare i provvedimenti che essa ha emanato in materia di riduzione degli i.c.m. Richiamandosi agli artt. 145 e� 155 del Trattato, la ricorrente ha avanzato, a sostegno della propria affermazione, quattro principali argomenti. In primo luogo, essa ha osservato che i provvedimenti in esame contrastavano con lo scopo stesso degli i.c.m., cui veniva impedito di compensare' esattamente la differenza fra la parit� ufficiale di una moneta nazionale ed il suo effettivo tasso di cambio. Ci� si sarebbe risolto in un vantaggio per gli operatori degli Stati membri con valuta forte ed in un danno per quelli degli Stati membri con valuta debole. Signori; Giudici, l'argomento mi sembra voler dimostrare troppo. La riduzione degli i.c.m. al livello degli oneri gravanti sulle: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE importazioni dai paesi terzi, quando gli i.c.m. risulterebbero altrimenti pm elevati, � espressamente contemplata dall'art. 4 bis, n. 2, del regolamento del Consiglio n. 974/71, la cui validit� non � contestata. Il vero bersaglio del ricorso � in realt� la fissazione da parte della Commissione di riduzioni forfettarie nel settore delle carni bovine: quando, come nel caso delle tre importazioni di cui si discute, il valore delle merci importate supera il � prezzo all'importazione � in base al quale � stata calcolata la riduzione forfettaria, applicando la riduzione, l'i.c.m. scende non solo al livello dell'onere all'importazione, ma addirittura al disotto di esso. Viceversa -com'� �naturale -quando il valore delle merci � inferiore al � prezzo all'importazione �, l'i.c.m. rimane talvolta pi� elevato dell'onere all'importazione nonostante la riduzione forfettaria. Il secondo argomento avanzato dalla ricorrente � il seguente: la detrazione dell'i.c.m. dall'onere all'importazione, prevista dall'art. 4 bis, non � la stessa cosa che la riduzione dell'i.c.m., disposta dalla Commissione. Bisogna riconoscere che ci� � vero. Ma la differenza � priva di rilievo quando il solo effetto della riduzione operata sull'i.c.m. � di far scendere quest'ultimo al livello dell'onere all'importazione. Anche qui la ricorrente intende, in realt�, attaccare la fissazione delle riduzioni forfettarie, il cui effetto pu� essere pi� (o meno) rilevante di quello test� considerato. Il terzo argomento della ricorrente affronta il nocciolo della questione. Con esso la ricorrente afferma infatti che la fissazione di riduzioni forfettarie non era consentita dall'art. 4 bis. A suo parere, almeno per quanto riguarda le merci importate dai paesi terzi, la Commissione avrebbe dovuto lasciare alle autorit� doganali degli Stati membri interessati il compito di applicare tale provvedimento ad ogni singola partita di merce; in altre parole, sarebbe spettato agli Stati detrarre l'i.c.m. effettivo dal dazio doganale effettivo valevole per ciascuna partita. All'obiezione della Commissione secondo cui ci� implicherebbe, o la fissazione di riduzioni forfettarie solo per le operazioni non consistenti in importazioni dai paesi terzi, con la conseguenza che l'i.c.m. effettivo valevole per tali importazioni sarebbe diverso da quello valevole per le altre operazioni, oppure la necessit� per le autorit� doganali di accertare con riguardo a qualsiasi operazione il valore della merce che ne costituisce l'oggetto, la ricorrente replica -mi sembra di capire -con due ordini di considerazioni. In primo luogo, essa osserva che l'art. 4 bis, n. 2, disponendo che � Negli scambi tra gli Stati membri ed in quelli con i paesi terzi, gli importi di compensazione... non possono essere superiori all'onere all'importazione in provenienza dai paesi terzi >>, si dimostra applicabile, per quanto riguarda il commercio intracomunitario o le esportazioni nei paesi terzi, alle sole operazioni concernenti merci che siano state, in modo documentabile, importate da paesi terzi. Per dirla in altri termini, l'art. 4 bis, n. 2, non'si applica alle merci d'origine comunitaria, n� -se ho ben capito -alle merci provenienti dai paesi terzi che, dopo l'importazione, abbiano perso (in seguito a trasformazione o per altri motivi) la loro identit� originaria. Mi sembra che una simile conclusione vada respinta. L'art. 4 bis, n. 2, lascia, a mio parere, chiaramente intendere che, in uno Stato la cui moneta si sia deprezzata, tutti gli i.c.m. non possono superare il livello degli oneri gravanti sui prodotti importati dai paesi terzi. Alternativamente, la ricorrente sostiene che le autorit� doganali devono sempre accertare, se non altro per poter applicare !'I.V.A., il valore delle merci che attraversano la frontiera. Confesso che questo argomento mi ha, in un primo tempo, colpito, almeno per quanto riguarda l'I.V.A. Mi sembrava infatti che, se la ricorrente avesse potuto dimostrare la necessit� di accertare in ogni caso il valore delle merci esportate in paesi terzi od oggetto di commercio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO intracomunitario ai fini dell'I.V .A., la tesi difensiva della Commissione sarebbe venuta a cadere. Ma, lasciando da parte il problema, tuttora non completamente risolto, del se le merci in esame siano effettivamente sottoposte, in Italia, ad una stima del valore, sono giunto alla conclusione che, in ultima analisi, si debba accettare la tesi della Commissione. Quest'ultima mi � pa_rsa infatti convincente quando ha spiegato che le merci di provenienza comunitaria o in libera pratica in uno Stato membro possiedono, a causa della preferenza comunitaria, un valore di mercato superiore a quello di merci sostanzialmente identiche importate da paesi terzi, con la conseguenza che, volendosi comparare grandezze omogenee, l'onere che le prime avrebbero dovuto sopportare, se importate da un paese terzo, poteva essere determinato solo in base ad un metodo di valutazione diverso da quelli usati ai fini dell'I.V.A. A sostegno del suo quarto argomento, la ricorrente ha invocato non solo gli artt. 145 e 155, ma altres� l'art. 162 del Trattato. Devo per� osservare che quest'ultimo articolo, abrogato dall'art. 19 del Trattato di Fusione e rimpiazzato dagli artt. 15 e 16 di detto Trattato, mi sembra assai poco attinente al problema di cui si discute. L'argomento in s� consiste nell'affermazione che l'art. 5 del regolamento n. 1463/73 si discostava enormemente dalle disposizioni dell'art. 4 bis del regolan1ento n. 974/71 e, di conseguenza, avrebbe potuto essere emanato soltanto dal Consiglio. La ricorrente cita, al riguardo, il secondo comma dell'art. 4-bis, n. 2, nel quale il Consiglio si riservava la facolt� di � stabilire, in taluni casi eccezionali, che non � applicabile il primo comma>>. Anche questo argomento mi sembra. da rifiutare. Nel prevedere e nel fissare le riduzioni forfettarie degli i.c.m. nel settore delle carni bovine, la Commissione non si � scostata dalle norme dell'art. 4 bis, n� ha deciso che qualcuna, di esse non dovesse venire applicata. Il suo scopo era infatti quello di dare attuazione alle suddette norme nel modo che le sembrava, entro i limiti della possibilit� amministrativa, il meno inappropriato. Ci� rientrava, a mio parere, nei poteri attribuiti alla Commissione dal regolamento n. 974/71 (cfr. la sentenza della Corte nella. causa 154/73, Becher c. Hauptzollamt Emden, Racc. 1974, pa~. 19). Il citato procedimento serve fra l'altro a ricordare che gli i.c.m. sono essi stessi necessariamente importi forfettari, posto che non � possibile fissarli con riferimento al prezzo effettivamente pattuito in ogni singolo contratto d'importazione o d'esportazione. Non si vede quindi che cosa ci sia di sostanzialmente scorretto nell'applicare adattamenti forfettari a somme che sono esse stesse di carattere forfettario. Questo per quanto riguarda gli argomenti avanzati dalla ricorrente nella fase scritta del procedimento. In udienza, il patrono della ricorrente ha solle vato la questione della retroattivit� dei regolamenti della ommissione applica bili alla prima ed alla seconda importazione. Come ho dimostrato, ci� non ha rilevanza per la seconda importazione: i regolamenti ch� fissavano l'i.c.m. su quell'importazione ed il relativo adatta mento (regolamenti nn. 974/73 e 1031/73) erano in parte retroattivi, ma non tanto da poter influire sull'importazione in esame. Il problema della retroattivit� si pone perci� soltanto con riferimento alla prima importazion~. 1'. mio parere che la ricorrente lo abbia sollevato troppo tardi. Il regolamento di procedura della Corte (si vedano in particolare gli artt. 38, n. l, c, 41 e 42) prevede che i motivi del ricorso devono essere dedotti durante la fase scritta del procedimento e non consente, a mio avviso, che un nuovo mezzo sia sollevato in udienza. La ragione di ci� va ricercata nel fatto che la deduzione di un nuovo mezzo in tale �sede pu� trovare il convenuto impreparato a replicare. Il presente caso ne � un esempio. I regolamenti con effetto retroattivo applicabili alla prima importazione includevano il rego i:~ r --!:: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 199 lamento n. 649/73 recante fissazione dell'i.c.m. Per quanto ne sappiamo, il predetto i.c.m., pur ridotto in base all'aggiustamento previsto dal regolamento n. 905/73, avrebbe potuto �ssere superiore all'i.c.m. precedentemente in vigore, cosicch�, tutto considerato, la ricorrente avrebbe anche potuto non ricevere alcun danno dalla retroattivit� del regolamento. Tuttavia, la Commissione, n�n essendo stata informata di tale mezzo, non ha potuto esaminare la suddetta possibilit�. Per correttezza, devo precisare che, in seguito ad una mia domanda, il patrono della ricorrente ha ammesso che il mezzo relativo alla retroattivit� non 'si sarebbe potuto prendere in considerazione se fosse stato realmente sollevato soltanto in udienza. Egli ha per� sostenuto che detto mezzo era implicito nelle memorie della ricorrente. Dal canto mio, non sono riuscito a trovare nelle memorie della ricorrente alcun riferimento, espresso od implicito, al predetto mezzo. Concludo, pertanto, proponendo che il ricorso sia dichiarato irricevibile e che le spese siano poste a carico della ricorrente. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3 febbraio 1976, nella causa 59/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Warner -Domanda di pro�uncia pregiudiziale proposta dal Giudice istruttore presso il Tribunale di. Como nel procedimento penale promosso contro Manghera ed altri (avv. Ubertazzi e Capelli) -Interv.: Consiglio delle Comunit� europee (ag. Fornasier), Commissione delle Comunit� europee (ag. Marchini-Camia~, e Governo italiano (avv. Stato Braguglia). Comunit� europee -Unione doganale -Restrizioni quantitative -Abolizione -Monopoli nazionali -Riordinamento -Diritti esclusivi di iniportazione -Abolizione -Termine. (Trattato e.E.E., art. 37, n. 1; legge 17 luglio 1942, n. 907). Comunit� europee -Unione doganale -Restrizioni quantitative -Aboli� zione -Monopoli nazionali -Riordinamento -Art. 37, n. 1, del trattato C.E.E. -Efflcacia diretta -Decorrenza. (Trattato e.E.E., art. 37, n. 1). Comunit� europee -Unione doganale -Termini stabiliti dal trattato C.E.E. -Provvedimenti delle Istituzioni comunitarie -Effetti nei confronti dei singoli. (Trattato e.E.E., art. 37, n. 1). L'art. 37, n. 1 del Trattato C.E.E. va interpretato nel senso che, non pi� tardi del 31 dicembre 1969, ogni monopolio nazionale a carattere commerciale avrebbe dovuto essere riordinato in modo tale da abolire il diritto esclusivo di importazione dagli altri Stati membri (1). (1-3) L'art. 37 del Trattato e.E.E. ed il monopolio italiano dei tabacchi. Le questioni dibattute, di notevole importanza di principio, hanno perduto in corso di causa -per ci� che concerne l'ordinamento italiano -il loro ,,.�r.�.-c.�r.�.�.�r.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.�.�.�::.�.�.�.�.�.�.�.�:�.�'.�:�z-: 11 rrIT1:1:ttm~~111rr1~i~!=:iili:=;1rr;1::11r1:r1;=:1rill!:=::::;1=1:w1~;11'.1!ii101r~rmr;r;rftlill=~::t~=r1r~111;~:=:~fri!:;1~;1:if~il�iiJ:rl�iliflii~firftilwll4tWlll1tlllllJ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Alla scadenza del periodo transitorio, l'art. 37, n. 1, pu� essere fatto valere dai cittadini degli Stati membri dinanzi ai giudici nazionali (2). La risoluzione del Consiglio delle Comunit� europee 41 aprile 1970 (relativa all'impegno dei governi francese e italiano ad abolire i diritti esclusivi di importazione e di commercializzazione all'ingrosso entro il 1� gennaio 1976) non modifica la portata delle disposizioni di cui all'art. 37, n. 1, del Trattato C.E.E. (3). (Omissis). -In diritto. -Con ordinanza 30 giugno 1975, pervenuta in cancelleria il 7 luglio 1975, il giudice istruttore press9 il Tribunale di Como ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato C.E.E., alcune questioni vertenti sull'interpretazione d<;:ll'art. 371 n. 1, del Trattato � e.E.E. e della risoluii.one del Consiglio 21 aprile 1970, concernente i mono- rilievo pratico. In adempimento della risoluzione del Cons'iglio C.E.E. 21 aprile 1970, .infatti, � stata approvata la legge 10 dicembre 1975, n. 724 (G.U. 7 gennaio 1976, n. 4) che, all'art. 1, liberalizza l'importazione dei tabacchi lavorati di provenienza dai Paesi C.E.E. � Non sar� inutile tuttavia, e proprio per la sopra notata importanza di principio, riprodurre il testo delle osservazioni presentate nell'interesse del Governo italiano. 1. -Dal provvedimento di rinvio risulta che i reati ascritti ~ Manghera Flavia ed agli altri imputati consistono nella violazione dell'art. 66, n. 5, della legge nazionale 17 luglio 1942, n. 907, per aver introdotto nel territorio italiano soggetto a monopolio, in frode ai diritti di confine, una certa quantit� di tabacchi lavorati esteri, prodotti in parte in Paesi della Comunit�. Essendo insorto dubbio circa la compatibilit� del monopolio italiano dei tabacchi con le norme del Trattato che disciplinano i monopoli commerciali, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Como ha sottoposto alla Corte i seguenti quattro quesiti: I) se l'art. 37, n. 1, del Trattato vada interpretato nel senso che a partire dal 31 dicembre 1969 (data di .scadenza del periodo transitorio) il monopolio commerciale dovesse essere ristrutturato in modo tale da eliminare la possibilit� stessa di operare discriminazioni nei confronti degli esportatori comunitari, con il seguente venir meno dei diritti di importazione esclusiva, nei confronti degli altri Stati membri, a partire dal 1� gennaio 1970; Il) se l'art. 37, n. 1, del Trattato sia direttamente applicabile all'interno degli Stati comunitari ed abbia fatto sorgere diritti soggettivi in capo ai singoli s�ggetti, diritti tutelabili avanti l'Autorit� giudiziaria nazionale; III) se conseguentemente, in base all'art. 37 del Trattato, dopo il 1� gennaio 1970 potessero ess�re effettuate importazioni all'interno del territorio italiano di prodotti sottoposti al regime di monopolio dei tabacchi, previsto dalla legge 17 h.iglio 1942, n. 907 e provenienti da Paesi comunitari anche da parte di soggetti diversi dal Monopolio, pur con applicazione delle imposte previste per tali generi di prodotti; IV) se la risoluzione del Consiglio dei Ministri C.E.E. del 21 aprile 1970, pubblicata in G.U.C.E. n. C 50 del 28 aprile 1970, possa modificare la portata delle disposizioni di cui all'art. 37, n. 1, del Trattato e se, in caso affermativo, la. stessa abbia nei confronti degli altri Stati �membri una efficacia vin-i~ i: i: f: l t: !i i: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 201 pol!_,nazionali a carattere commerciale dei tabacchi manifatturati (G.U. 28 aprile 1970, n. e 50, pag. 2). Il giudice italiano � chiamato a pronunziarsi, in sede penale, su fatti .qualificati come una violazione delle norme che attribuiscono al monopolio statale dei tabacchi manifatturati il diritto esclusivo d'importazione. Con la questione si chiede se l'art. 37, n. 1, del Trattato vada interpre talo nel senso che, a partire dal 31 dicembre 1969 (data di scadenza del �periodo transitorio), il monopolio commerciale doveva essere riorganizzato in modo tale da eliminare la possibilit� stessa di operare discrimina: zioni nei confronti degli esport�tori comunitari con il conseguente venir meno dei diritti di importazione esclusiva nei confronti degli altri Stati membri a partire dal 1� gennaio 1970. �colante tale da rendere immediatamente libera l'importazione di prodotti sog_ getti al monopolio senza necessit� di un ulteriore provvedimento comunitario, .con conseguente caducazione dei diritti di esclusiva del monopolio tabacchi. 2. -Prima di esaminare i quesiti proposti alla Corte, il Governo italiano :reputa necessario sottoporre alcune osservazioni preliminari sul punto di vista .dal quale � partito il Giudice istruttore nella formulazione dei quesiti mede� simi. Per la verit�, molto si potrebbe obbiettare anche in ordine alla rilevanza, nel giudizio a quo, della richiesta pronuncia pregiudiziale: un tale .discorso sarebbe tuttavia inutile alla stregua della costante giurisprudenza .clella Corte. Come chiaramente risulta dai quesiti, il giudice nazionale � partito dal punto di vista che il monopolio italiano dei tabacchi costituisca un puro .e semplice monopolio a carattere commerciale, come tale ricadente sotto 11.a disciplina dell'art. 37 del Trattato. Il Governo italiano � di opinione completamente opposta e reputa che 11 monopolio dei tabacchi costituisca un tipico esempio di monopolio fiscale. Di certo, la qualificazione del monopolio tabacchi come monopolio a .carattere commerciale ovvero fiscale costituisce un problema di interpretazione .ed applicazione del diritto interno (non gi� del diritto comunitario): sicch� menzionarlo e tentar di �risolverlo in questa sede potrebbe apparire un fuor .d'opera. Tuttavia, l'enunciazione di alcune delle caratteristiche che portano a qualificare, nell'ambito dell'ordinamento nazionale, il monopolio dei tabac. chi come tipico monopolio fiscale servir� da un lato per indicare qual � il tessuto sul quale andr� ad operare la richiesta pronuncia pregiudiziale; dal: l'altro perch� la Corte, ove lo reputi, possa fornire al giudice nazionale anche l'interpretazione delle norme comunitarie che riguardano i monopoli fiscali. In �tal �modo, se e quando il gi.dice nazionale si porr� il problema della .qualfficazi�ri� del monopolio< tabacchj~ avr� gi� presenti i parametri di diritto .comunitario: sia relativi ai monopoli commerciali, sia relativi ai monopoli fiscali. Nell'ambito del diritto interno il monopolio dei tabacchi costituisce -come si diceva -l'esempio tipico dei monopoli fiscali: cio� dei monopoli di diritto .creati per legge allo scopo di conseguire entrate finanziarie, altrimenti non .conseguibili, da destinare al soddisfacimento di pubbliche necessit�. Questa finalit� eminentemente fiscale del monopolio tabacchi italiano ri: sulta non soltanto dalla unanime dottrina e dall'applicazione dei canoni della 202 RASSHGNA DELL'AVVOCATURA DELLO 'srATO L'art. 37, n. 1, dispone che gli Stati membri procedano al progressivo riordinamento dei monopoli nazionali che presentano carattere commerciale, in modo da escludere qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi.� Pur senza es~gere l'abolizione di tali monopoli, il predetto articolo ne impone un riordinamento che 'assicuri, alla scadenza del periodo transitorio, la completa soppressione delle� discriminazioni in oggetto. Per determinare, in Via interpretativa, la natura e la portata del riordinamento previsto dal primo paragrafo dell'art. 37, occorre esaminare detto paragrafo alla luce degli altri paragrafi dello stesso articolo e nell'ambito del sistema generale del Trattato. scienza economica e finanziaria. Essa � espress<1.mente affermata dalla legge, onde assume sicura rilevanza giuridica nel diritto interno. Gi� la Iegge istitutiva dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato (r.d.l. 8 dicembre 1927, n. 2258, in G.U.R.I. 14 dicembre 1927, n. 288 . e 9 marzo 1929, n. 58) distingueva, all'art. 4, le entrate dell'Amministrazione stessa nelle due specie . di entrate fiscali, � rappresentate dall'imposta di consumo dei sali e dei tabacchi�, e di entrate di natura industriale e commerciale; Simile distizione non appariva priva di giuridiche conseguenze perch� lo stesso art. 4 dopo aver precisato che la quota da considerarsi come entrata fiscale doveva determinarsi come entrata di bilancio, aggiungeva che la parte fiscale delle entrate dell'Amministrazione doveva imputarsi al competente capitolo del bilancio dell'entrata dello Stato, mentre la parte di natura industriale e commerciale doveva imputarsi al bilancio speciale dell'Azienda. Cosicch� la legge stessa veniva ad attribuire carattere di entrata fiscale ad una parte del prezzo pagato dal consumatore dei generi di monopolio. Una conferma, pure legislativa, di tale carattere risultava del resto dalla successiva legge sul monopolio del sale e dei tabacchi (legge 17 luglio 1942 n. 907, in G.U.R.I. 25 agosto 1942, n. 199) la quale, oltre a definire il sale ed il tabacco agli effetti fiscali (rispettivamente articoli 2 e 46), prevedeva un sistema di sanzioni costruendolo come sistema di sanzioni per le violazioni di legge finanziaria. Il che � ulteriormente confermato dall'art. 10 della legge 3 gennaio 1951, n. 27 (in G.U.R.I. 2 febbraio 1951, n. 27) che attribuisce all'intendente di finanza alcuni poteri in materia di definizione dei reati previsti dalla legge sui monopoli. La indiscutibile funzione fiscale del monopolio dei tabacchi � stata, in tempi pi�. recenti, perfezionata tecnicamente. Fino all'entrata in vigore della legge 19 dicembre 1958, n. 1085 (G.U.R.I. 29 dicembre 1958, n. 313), l'imposta sui� prodotti di monopolio, o, se si vuole, la quota delle entrate dell'Amministrazione dei Monopoli da considerare entrate fiscali, veniva stabilita, ai sensi del ricordato art. 4 del �r.d.l. n. 2258/1927, con la legge di bilancio, in ragione di una percentuale fissa (che di fatto ha oscillato tra 1'80 % ed il 75 %) del prezzo di vendita. Il sistema cos� seguito aveva certamente il pregio della semplicit� e praticit�, ma presentava chiari difetti da un punto di vista strettamente tributario, specialmente in ordine alla distribuzione dell'imposta. Per ovviare a questi difetti, dapprima la gi� citata legge n. 1085/1958 dispos.e che il prezzo di vendita dei generi di monopolio venisse fissato con PARTE I, SEZ. II, GI�JRIS. C�:M�NITARIA E INTERNAZIONALE 203 La disposizione in esame � inserita nel titolo relativo alla libera circolazione delle merci, e pi� precisamente nel capo II di detto titolo, concernente l'abolizione delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri. Essa si applica a qualsiasi organismo per mezzo del quale uno Stato membro controlli, diriga o influenzi sensibilmente, direttamente o indirettamente, le importazioni o le esportazioni fra gli Stati membri. D'altra parte, il n. 2 dell'art. 37 impone agli Stati membri l'obbligo di �stenersi, fin dall'inizio del periodo transitorio, da qualsiasi provvedimento atto a limitare la portata degli articoli relativi all'abolizione dei dazi decreto del Capo dello Stato nel quale dovevano essere indicate, per ciascuna voce, le quote spettanti al fornitore (Amministrazione dei' monopoli o esportatore straniero), all'Amministrazione per le spese di distribuzione ed al rivenditore, precisando che � la "parte residua � ver~ata allo Stato quale quota fiscale�. Poi la legge 13 luglio 1965, ri. 825 (G.U.R.I. 22 luglio 1965, n. 122) sulla quale si dovr� tornare -ha approvato alcune tabelle nelle quali (art. 1) � � stabilito, in relazione a ciascun prezzo richiesto dal fornitore dei generi soggetti a monopolio fiscale, l'ammontare dell'imposta di consumo cui sono assoggettati i generi stessi, . nonch� gli importi spettanti rispettivamente alla Amministrazione dei monopoli di Stato per spese di distribuzione ed al rivenditore a titolo di aggio. Il totale costituisce la tariffa di vendita al pubblico dei generi di monopolio �. Questi brevi richiami di ordine legislativo dimostrano come l� qualifica di monopolio fiscale al monopolio dei tabacchi sia, nell'ordinamento interno italiano, attribuita direttamente dalla legge. Si pu� aggiungere una notazione di carattere storico ricordando che il monopolio italiano dei tabacchi, che preesiste allo Stato unitario (la prima legge sul monopolio dei tabacchi risale al 13 luglio 1862, n. 710), .costituisce uno dei pi� antichi esempi di imprese pubbliche considerate, un tempo, strumenti di carattere essenzialmente tributario. Funzione questa che il mon<r polio italiano dei tabacchi ha sempre continuato ad esercitare rappresentando, ancor oggi, w1a� delle fondamentali fonti della pubblica entrata. Nel bilancio di previsione per l'anno 1975 (approvato con legge 26 aprile 1975, n. 132, in G.U.R.I. supplemento ordinario n. 113 del 30 aprile 1975), ie entrate del monopolio dei tabacchi -classificate sotto il Titolo 1�: Entrate tributarie, categoria 4�: Monopoli � ammontano infatti a circa 1200 miliardi di lire. 3. � Di fronte alla problematica che i suaccennati elementi suscitano nell'ambito del diritto interno, stupisce che il giudice a quo� abbia limitato la propria indagine all'art. 37 del Trattato, riguardante i monopoli a carattere commerciale, e non abbia avvertito l'esigenza di estenderla all'art. 90, paragrafo 2, concernente anche i monopoli fiscali. Tuttavia, come sopra si diceva; non sembra che alla Corte sia vietato di fornire elementi al giudice nazionale anche in ordine a tale norma. A questo fine, � bene porre in luce che la � missione � del monopolio dei tabacchi, cio� il raggiungimento del notevolissimo gettito fiscale legato al consumo delle sigarette e degli altri prodotti del monopolio, non potrebbe essere raggiunta, in Italia, se il monopolio medesimo venisse soppresso. Se, infatti, venissero completamente liberalizzate l'importazione, la produzione e la commercializzazione dei tabacchi lavorati, risulterebbe impossibile assicu 204 RASSEGNA DELL'4VVOCATURA DELLO STATO doganali e delle restrizioni quantitative fra gli Stati membri, mentre il n. 3 prevede che il ritmo delle misure di cui al paragrafo 1 sia adattato all'eliminazione delle restrizioni quantitative per gli stessi prodotti, prevista dagli articoli da 30 a 34 inclusi. Dalle disposizioni di cui sopra e dalla loro concatenazione risulta che l'obbligo imposto al n. 1 intende garantire il rispetto del principio fondamentale della libera circolazione delle merci in tutto il mercato comune, ii.n particolare mediante l'abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure d'effetto equivalente negli scambi fra gli Stati membri. rare un controllo tributario tale da garantire che il gettito fiscale del mono� polio non subisca drastiche riduziox�. D'altro canto, se il discorso venisse esteso all'art. 90, paragrafo 2, occor� irerebbe ancora osservare che il mantenimento del monopolio dei tabacchi non potrebbe mai compromettere lo sviluppo degli scambi intracomunitari, essendo l'Italia importatrice di tabacco lavorato da parte degli altri Stati membri ed essendo invece le esportazioni italiane del medesimo prodotto sostanzialmente nulle. 4. � Risulta da quanto sin qui esposto che il Governo italiano giudica del tutto irrilevanti -sia per la questione concreta che il giudice nazionale � chiamato a decidere, sia, pi� in generale, per la questione della compa� tibilit� del monopolio tabacchi con la normativa comunitaria -i quesiti proposti alla Corte e vertenti sulla interpretazione e sull'efficacia dell'art. 37 del Trattato. Ci� malgrado, lo stesso Governo italiano non intende sottrarsi all'onere di Jformulare osservazioni anche in ordine ai detti quesiti. Con il primo di essi il giudice nazionale chiede di conoscere se, a par� tire dalla fine del periodo transitorio, per effetto dell'art. 37, paragrafo 1, .del Trattato i monopoli nazionali a carattere commerciale dovessero essere ristrutturati in modo tale da eliminare la possibilit� stessa di operare discri� minazioni nei confronti degli esportatori comunitari, con il conseguente venir :meno dei diritti di importazione esclusiva, nei confronti degli altri Stati membri dal 1� gennaio 1970. Come risulta chiaramente dalla sua formulazione, l'art. 37, paragrafo l, .non prevede affatto che i monopoli commerciali vengano soppressi alla fine .del periodo transitorio. Esso prevede che vengano progressivamente riordinati � in modo che venga esclusa, alla fine del periodo transitorio, qualsiasi discri� minazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condi� :zioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi �. Da un lato dunque la norma consente, anzi presuppone, il mantenimento .dei monopoli nazionali a �arattere commercial.11; , P,~l'.p.ltro prevede che ' -ven� ganli> ,eifu�'fuate� le discriminazioni fra cittadini comWfitarl; quanto agli apprO'�T� vigionamenti ed agli sbocchi. Entro questi tassativi confini, pertanto, l'interpretazione della norma pu� spaziare: essa tuttavia non pu� giungere a che, eliminandosi qualche attributo essenziale del monopolio commerciale, questo venga sostanzialmente ad essere soppresso. Orbene, sembra essenziale allo stesso concetto <;li monopolio commerciale la possibilit� di importare in esclusiva il prodotto assoggettato al monopolio -0, quanto meno, di regolamentare -l'importazione in modo da non ledere l'esistenza ed il funzionamento del monopolio stesso. Cio�, in altre parole, se PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 205 Il predetto obiettivo non sarebbe raggiunto se non si garantisse in uno Stato membro in cui esista un monopolio commerciale la libera circolazione, in provenienza da altri Stati membri, di merci simili a quelle per cui vige il monopolio. Del resto, la stessa risoluzione del Consiglio 21 aprile 1970 sui monopoli nazionali a carattere commerciale dei tabacchi manifatturati ricorda l'obbligo d'abolire le esclusive d'importazione e di commercio dei tabacchi manifatturati. Il diritto esclusivo d'importazione di prodotti lavorati, spettante al monopolio di cui si discute, costituisce pertanto, nei confronti degli esportatori comuni, una discriminazione vietata dall'art. 37, n. 1. :Si dovesse ritenere (come sembra propendere il giudice nazionale) che riordinare il monopolio onde evitare discriminazioni comporti necessariamente l'eliminazione dei diritti di importazione esclusiva, tale interpretazione verrebbe palesemente a contrastare con il disposto dell'art. 37, paragrafo 1, che pre: Suppone, come si � visto, il mantenimento (e non gi� la soppressione) dei monopoli commerciali. Secondo la lettera e la ratio del citato art. 37, quindi, il diritto esclu: sivo d'importare (ovvero di regolamentare l'importazione in modo da non ledere l'esistenza o la funzionalit� del monopolio) non � in s� contrario al 'Trattato. Esso pu� sussistere -altrimenti si avrebbe la soppressione del monopolio -a condizione che il suo esercizio non comporti discriminazioni fra i cittadini degli Stati membri relativamente agli approvvigionamenti ed :agli sbocchi. Se dunque un cittadino di un altro Paese comunitario viene trattato, .quanto alle condizioni relative all'approvvigionamento del tabacco lavorato (� l'ipotesi dell'approvvigionamento che riguarda il quesito n. 1 ed il caso .che il giudice nazionale deve risolvere), alla stessa stregua del cittadino italiano, non si potr� affermare che l'esercizio del diritto di importazione esclusiva operi delle discriminaz:ioni vietate. Giova qui sottolineare che -comunque -tale diritto di importazione .esclusiva da parte dell'Amministrazione italiana dei monopoli pi� non sus: Siste, dato che l'art. 4 della legge 13 luglio 1965, n. 825 ha ammesso, in .deroga alle disposizioni del primo comma dell'art. 45 della legge istitutiva 17 luglio 1942, n. 907, � ... l'introduzione dei tabacchi lavorati nel territorio della Repubblica soggetto a monopolio previo nulla osta dell'Amministrazione dei monopoli di Stato per i quantitativi eccedenti i quattro chilogrammi >>. I suc, cessivi comIIJ,i del citato art. 4 dispongono che per i tabacchi lavorati introdotti non ad opera dell'Amministrazione � dovuta, oltre al dazio doganale, �una sovrimposta pari a quella prevista per i prodotti della stessa marca iscritta nella tariffa di �vendita �e che le modalit� per l'introduzione di t~cchi lavorati ad opera di soggetti dive~si sono stabilite con decreto del .Ministro per le finanze. Di conseguenza, pur senza voler qui scendere ad un giudizio di compatibilit� tra l'art. 37 e la normativa nazionale, non pare dubbio che -quanto .all'aspetto che qui interessa, gli approvvigionamenti -il monopolio italiano <lei tabacchi non operi alcuna discriminazione tra cittadini comunitari. Il diritto di importazione esclusiva -anche se ci� non era richiesto dall'art. .37 -� stato soppresso e la facolt� di introdurre tabacchi lavorati nel ter �-�����-������������������,.,. 2C6 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO ST�TO Per quanto concerne la prima questione, l'art. 37, n. l, del Trattato e.E.E. va allora interpretato nel senso che, non pi� tardi del 31 dicembre 1969, ogni monopolio nazionale a carattere commerciale avrebbe dovuto essere riordinato in modo tale da abolire il diritto esclusivo di importa~ zione dagli altri Stati membri. Con la seconda questione si chiede se l'art. 37, n. l, del Trattato sia direttamente applicabile ed abbia fatto sorgere in capo ai singoli diritti soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare. La soppressione, alla scadenza del periodo transitorio, di qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda ritorio della Repubblica � stata riconosciuta a tutti gli interessati, previo nulla osta che, allo stesso modo, tutti debbono richiedere all'Amministrazione de� monopoli. Ritiene quindi il Governo italiano che il contenuto precettivo dell'art. 37, paragrafo l, del Trattato si limiti a porre il divieto di discriminazioni sopra indicato. Sulla base di questa norma, pertanto, non � consentito n� imporre la soppressione di .un diritto di importazione esclusiva (qualora la soppressione di tale diritto, di fatto, porti alla soppressione del monopolio) n� imporre dei limiti ai poteri necessari per assicurare il funzionamento del monopolio. D'�ltro canto, proprio per.ch� l'art. 37 presuppone il mantenimento dei monopoli commerciali, il divieto di discriminazioni che esso stabilisce deve essere interpretato in modo che risulti compatibile con il permanere del monopolo. 5. -Il punto di vista espresso in ordine al primo quesito rende gi� palese quale sar� l'orientamento del Governo italiano circa gli altri due quesiti (2" e 3�) relativi sempre all'art. 37 del Trattato. Con il secondo quesito il giudice a quo chiede di conoscere se l'art. 37, paragrafo 1, sia direttamente applicabile all'interno dei Paesi membri ed abbia fatto sorgere diritti soggettivi in capo ai singoli che i giudici nazionali debbono tutelare. Secondo quanto esposto al' punto precedente, l'art. 37, paragrafo 1, presenta come contenuto precettivo soltanto il divieto di mantenere discriminazioni '-dopo la fine del periodo transitorio -tra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi. . Il dovere di riordinamento dei monopoli commerciali, visto in s� e per s� (cio� a prescindere dalla specifica finalit� di escludere le discriminazioni suddette) presenta invero un chiaro carattere programmatico, non essendo neanche indicate nella norma le modalit� attraverso le quali il � riordinamento medesimo dovr� avvenire. Nei limiti entro i quali deve essere inteso il divieto di mantenere discriminazioni, tale divieto sembra direttamente applicabile all'interno degli Stati membri: cos� come direttamente applicabile � stato giudicato dalla Corte (nella causa Costa-ENEL 6/64, in Raccolta, 1964, 1127) il divieto di introdurre nuove misure discriminatorie sancito al paragrafo 2 dello stesso art. 37. Da questa riconosciuta applicabilit� diretta del divieto di mantenere discriminazioni ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 37 non deriva� per� una risposta affermativa al terzo quesito posto dal giudice a quo, con il quale si chiede di conoscere se dopo il 1" gennaio 1970. potessero essere effettuate im PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 207 gli approvvigionamenti e gli sbocchi si configura come un preciso obbligo di risultato, sottoposto ad una mera clausola sospensiva. Al termine del periodo transitorio, il suddetto obbligo diviene incondizionato, n� risulta subordinato, nella sua attuazione o nei suoi effetti, all'adozione di alcun provvedimento da parte della Comunit� o degli Stati membri. Esso pu� quindi, per la sua stessa natura, venir fatto valere dai cittadini degli Stati membri dinanzi ai giudici nazionali. Con la terza questione si chiede se, di conseguenza, in base all'art. 37 del Trattato, potessero essere effettuate importazioni nel territorio italiano di prodotti sottoposti al regime di monopolio dei tabacchi, previsto dalla legge 17 luglio 1942, n. 907, e provenienti da Paesi comunitari anche da parte di soggetti diversi dal monopolio, pur con appli~azione delle imposte previste per tali generi di prodotti. portazioni all'interno del territorio italiano di prodotti soggetti al regime del monopolio tabacchi, in provenienza da Paesi comunitari, anche da parte di soggetti diversi dal Monopolio e pur con applicazione delle imposte previste per tali generi di prodotti. Si � sopra visto, infatti, che -ad avviso del Governo italiano -il divieto di mantenere discriminazioni (ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 37) non comporta l'abolizione del diritto di importazione esclusiva da parte del Monopolio, n� l'imposizione di limiti ai poteri necessari per assicurare il funzionamento del monopolio medesimo. � Ritenere diversamente significherebbe -come pure si � notato sopra sopprimere, con il diritto di importazione esclusiva o con l'imposizione di limiti ai poteri di gestione del monopolio, il monopolio medesimo: risultato questo contrario alla lettera ed alla ratio dell'art. 37, paragrafo 1, il quale, giova qui ricordarlo, presuppone il mantenimento dei monopoli commerciali e non gi� la loro soppressione. Dato quindi che il mantenimento del diritto di importazione esclusiva non rappresenta una discriminazione vietata, al terzo quesito posto dal giudice nazionale occorre dare risposta negativa. 6. -Con il quarto quesito il giudice a quo chiede di conoscere se la risoluzione del Consiglio dei Ministri e.E.E. del 21 aprile 1970 (G.U.C.E. n. C 50 del 28 aprile 1970) possa modificare la portata delle disposizioni di cui all'art. 37, n. 1 del Trattato; e, in caso affermativo, se la stessa abbia nei confronti degli Stati membri una efficacia vincolante tale da rendere immediatamente libera l'importazione di prodotti soggetti al monopolio, senza necessit� di un ulteriore provvedimento comunitario, con conseguente caducazione dei diritti di esclusiva del monopolio tabacchi. Ritiene il Governo italiano, sia per considerazioni di carattere istituzionale fondate sugli articoli 4, paragrafo 1, 145 e 236 del Trattato, sia perch� l'art. 37 del Trattato medesimo non conferisce alcun potere specifico al Consiglio, che il Consiglio stesso non avesse e non abbia alcun potere di modificare la portata dell'art. 37, paragrafo 1. Tale risposta esaurisce la materia del quarto quesito. Ed infatti, se il Consiglio non aveva alcun potere di modificare la portata dell'art. 37, para RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO La questione attiene all'applicazione piuttosto che all'interpretazione del diritto comunitario e va perci� risolta dal giudice nazionale. Con la quarta questione si chiede se la risoluzione del Consiglio 21 aprile 1970 possa modificare la portata delle disposizioni� di cui all'ar~. 37, n. 1, del Trattato e se, in caso affermativo, la stessa abbia nei confronti degli Stati membri un'efficacia vincolante tale da rendere immediatamente libera l'importazione di prodotti soggetti al monopolio senza necessit� di un ulteriore provvedimento comunitario, con conseguente� caducazione dei diritti di esclusiva del monopolio-tabacchi. Nella predetta risoluzione si legge quanto segue: � I governi francese e italiano si impegnano ad adottare le misure necessarie per eliminare le discriminazioni derivanti dai monopoli nazionali a carattere commerciale. La soppressione dei diritti esclusivi relativi all'importazione e!l alla commercializzazione all'ingrosso deve essere effettuata al pi� tardi il 1� gennaio 1976 �. La risoluzione, che esprime essenzialmente la volont� politica del Consiglio e dei governi francese e italiano di far cessare una situazione� in contrasto con l'art. 37, n. 1, non � atta a produrre effetti giuridici nei confronti dei singoli. In particolare, la scadenza cui essa fa cenno non pu� prevalere su quella contemplata dal Trattato. La quarta questione va perci� risolta in senso negativo. -(Omissis). grafo 1, cio� di prorogare il termine finale per l'abolizione delle discriminazioni, lo stesso Consiglio non ha il potere di imporre la soppressione del diritto di importazione esclusiva a partire dal 1� gennaio 1976. Secondo iI punto di vista del Governo italiano, invero, la portata dell'art. 37, paragrafo� 1, non comprende anche l'obbligo di sopprimere il diritto di importazione� esclusiva. In altre parole, la risoluzione del Consiglio in data 21 aprile 1970 e glf impegni presi con essa dai Governi francese ed italiano (particolarmentel'impegno di sopprimere, al pi� tardi il 1� gennaio 1976, i diritti esclusivi relativi all'importazione ed alla commercializzazione all'ingrosso) costituiscono atti di natura politica, privi di effetti giuridici proprii. Non si pu� non notare, peraltro, che se il Consiglio ed i suddetti Governi convennero di sopprimere i diritti di importazione esclusiva entro il 1� gennaio 1976, evidentemente sia il Consiglio che i Governi francese ed italiano ritenevano che la soppressione degli indicati diritti non costituisse gi� l'oggetto di un obbligo da soddisfare, entro il 1� gennaio 1970, in base all'art. 37, paragrafo 1, del Trattato. Il che reca un ulteriore argomento all'interpretazione proposta circa l'effettiva portata di quella norma. 7. -Il Governo italiano auspica che la Corte di Giustizia, .nel rispondere ai quesiti proposti dal giudice nazionale, tenga conto sia delle osservazioni preliminari presentate a proposito del carattere fiscale del monopolio tabacchi,. sia delle osservazioni presentate in ordine ai quesiti stessi. IVO M. BRAGUGLIA ~~ 1: 1~ SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 febbraio 1976, n. 323 � Pres. La Porta � Rel. Boselli � P. M. Pedace � Amministrazione delle Finanze (avv. Stato Galleani) contro Donati e Piermatteo (avv. Camici). Competenza e giurisdizione � Ufficiali giudiziari -Contestazioni con l'ufficio del registro circa la entit� dei proventi da versare allo Stato � Provvedimento decisorio del capo dell'ufficio giudiziario -Natura giurisdizionale � Effetti. (Cost., art. 111; I. 22 dicembre 1932, n. 1675, artt. 2, 3 e 5; r.d.l. 19 luglio 1934, n. 698,. art. 4; I. 18 ottobre 1951, n. 1128, art. 143; d.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229, art. 156). Il decreto del capo dell'ufficio giudiziario che decide le contestaziont tra l'ufficio del registro e gli ufficiali giudiziari circa la entit� �dei �proventi � che costoro son.o tenuti .a ve.rs,are allo Stat.o � un provvedimento di natura giurisdizionale, con carattere decisorio e definitivo, onde man-� cando anche nella pi� recente disciplina dello speciale procedimento la previsione di uno specifico mezzo di impugnazione, avverso detto decret0> � consentito unicamente il ricorso immediato alla Corte di Cassazione (1)�. (Omissis). -Ha carattere pregiudiziale, e va pertanto esaminata con precedenza rispetto ad ogni altra questione della causa, la eccezione di improcedibilit� del ricorso che i resistenti hanno sollevato in memoria,. motivandola con il rilievo che l'originale del ricorso (notificato il 26 novembre 1973) non venne depositato dalla Amministrazione finanziaria in Cancelleria unitamente al suo fascicolo, ma solo in data del 1� febbraio 1974, e quindi oltre il ventesimo giorno dalla notificazione, come� prescritto dall'art. 369 del c.p.c. La eccezione � infondata. Avendo, invero, la ricorrente obiettato (ed essendo confermato dagli. atti) che, entro il ventesimo giorno dalla notifica, era stato depositato in (1) La motivazione della sentenza della quale si tratta viene pubblicata non solo per la parte che riguarda il principio, di cui alla massima citata,. ma anche per la parte riguardante la preliminare questione di procedura. Infatti con riferimento a tale questione in detta sentenza si afferma il principio, secondo ct� � la produzione di una copia informe del ricorso in luogo� dell'originale, allorquando -come nella specie -sussiste la certezza della sua conformit� all'originale medesimo� pu� �reputarsi idonea a soddisfare� pienamente l'esigenza per la quale � predisposta la disciplina � dettata dal1' �art. 369 primo comma cod. proc. civ.�. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO cancelleria, insieme con il fascicolo di parte, un esemplare del ricorso �-ed una dichiarazione dell'Ufficiale giudiziario addetto alta Corte d'Appello di Firenze attestante la avvenuta notifica di quel m~desimo ricorso .al Donati ed al Piermatteo in data 26 novembre 1973, ed avendo inoltre rilevato che i resistenti avevano inserito nel loro fascicolo l'originale del ricorso medesimo, si pone il quesito. di stabilire se ed a quali condi. zioni la copia informe del ricorso possa tener luogo dell'originale al limitato effetto di evitare la sanzione della improcedibilit� comminata dal citato art. 369 c.p.c. per la ipotesi di deposito (di detto originale) fuori .del termine prescritto. La questione non pu� dirsi del tutto nuova per la giurisprudenza di .questa Suprema Corte la quale � stata ripetutamente chiamata .a pronunciarsi sul tema -per molti aspetti analogo -relativo agli effetti dell'omesso deposito (richiesto anch'esso a pena di improcedibilit� dal se. condo comma dello stesso articolo 369 c.p.c.) della copia autenticata della .sentenza impugnata. Argomentando dalla peculiare finalit� cui assolve nel giudizio di cas. sazione l'atto in questione (quella, cio�, di consentire al giudice della impugnazione una piena cognizione del contenuto della sentenza impugnata al fine di vagliare la consistenza dei motivi di ricorso, nonch� <li conoscere delle questioni preliminari relative alla stessa impugnabi1it� della pronuncia col rimedio del ricorso per cassazione) e dalle ragioni che, conseguentemente, giustificano, in difetto del suo deposito, la identica sanzione comminata dalla legge processuale, questa S.C. ha -com'� noto -ritenuto che b_ene possa tenere luogo dell'atto in questione, al fine di evitare la sanzione di cui si tratta, una copia informe del medesimo, semprech� ovviamente -per essere tale e.opia contenuta nel fascicolo d'ufficio o prodotta dallo stesso resistente o altrimenti -pos: Sa escludersi la sussistenza di qualsiasi dubbio intorno alla sua conformit� all'originale (Cass. 28 luglio 1969, n. 2876; Id. 20 giugno 1964, n. 1605; Id. Sez. Un. 26 giugno 1957, n. 2480; Id. 8 novembre 1957, n. 4293). Orbene, ritiene questo S. C. che -a cagione appunto della accennata .analogia delle situazioni -gli stessi criteri argomentativi si prestino .ad essere utilizzati anche per la soluzione del quesito che qui interessa. Posto invero che il deposito dell'originale del ricorso assolve alla funzione di radicare il procedimento di impugnazione e di consentire .alla Corte la preliminare verifica -senza possibilit� di contestazioni della regolarit� della costituzione del contraddittorio nonch� della sussistenza delle condizioni di ammissibilit� e di procedibilit� della impugnazione (arg. ex art. 365, 366 nn. 4 e 5, 331 e 332 in relazione all'art. 375 .c.p.c.), ossia ad una funzione strumentale rispetto alla cognizione della impugnazione medesima; e ritenuto che la sanzione della improcedibilit�� colpisce quelle carenze di attivit� del ricorrente che impediscono al pro PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE cesso d� cassazione di giungere al suo epilogo naturale; sembra lecito concludere che la produzione d� una copia informe del ricorso in luogo dell'originale, allorquando -come nella specie -sussista la certezza della sua conformit� all'originale medesimo, possa reputarsi idonea a soddisfare pienamente l'esigenza per la quale � predisposta la disciplina del citato art. 369 primo comma c.p.c., epper� sufficiente -nel rispetto, beninteso, d� ogni altra condizione e segnatamente del termine ivi stab�lito -ad impedire la declaratoria di improcedibilit� del ricorso medesimo. Passando ora ad esaminare il contenuto del ricorso, va subito affrontata, per la sua pregiudizialit�, la questione relativa allo asserto difetto di giurisdizione del Tribunale a conoscere della azione proposta dal Donati e dal Piermatteo. In particolare, va esaminato prima d� ogni altro il secondo (cfr. secondo motivo) dei due profili (alternativi) sotto i quali codesto difetto viene prospettato dalla Amministrazione finanziaria in funzione della possibile qualificazione giuridica del provvedimento (decreto 7 settembre 1967) del presidente del Tribunale di Lucca come provvedimento amministra, tivo emesso nell'esercizio d� una funzione di controllo su attivit� di ordine contabile esplicata dai predetti Ufficiali Giudiziari (nel qual caso la competenza a conoscere della relativa impugnazione spetterebbe alla Corte dei Conti, a norma dell'art. 103 della Costituzione), oppure come provvedimento giurisdizionale di natura decisoria e con carattere definitivo (nel qual caso la competenza a conoscere della impugnazione spetterebbe invece a questa Suprema Corte di cassazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione). Non � dubbio infatti che, ove fosse dimostrata la natura oggettiva ' mente e soggettivamente giurisdizionale del provvedimento in parola, la competenza a conoscere della sua impugnativa dovrebbe essere attribuita alla Corte di cassazione, a norma del citato art. 111 della Costituzione, indipendentemente dal concreto contenuto del medesimo. Orbene, con il secondo motivo del ricorso l'Amministrazione finanziaria -denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 156 d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229; degli artt. 2, 3 e 5 della legge 22 dicembre 1932, n. 1675; dell'art. 143 della legge 18 ottobre 1951, n. 1128; dell'art. 4 del r.d.l. 19 aprile 1934, n. 698, e dell'art. 111 della Costituzione, in relazione all'art. 360 nn. l, 2 e 3 del cod. proc. civ. -sostiene appunto che il decreto del capo dell'ufficio giudiziario che decide le contestazioni fra Ufficio del registro ed ufficiali giudiziari circa la entit� dei �proventi� che costoro sorto tenuti a versare allo Stato a norma degli artt. 2 e 3 della dtata legge n. 1675 del 1932 � un provvedimento di natura giurisdizionale con carattere decisorio e definitivo. Il motivo � fondato. 212 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO � Il problema della qualificazione della particolare procedura (apprestata dall'art. 5 della legge n. 1675 del 1932 e dall'art. 6 del r.d. 8 giugno 1933, n. 621) per dirimere le contestazioni che possono sorgere fra gli ufficiali giudiziari e l'Amministrazione finanziaria in ordine alla quota fiscale sui. proventi degli atti di loro competenza, e del provvedimento che tale procedura conclude, si � gi� presentato al giudizio del Consiglio di Stato, il quale lo ha risolto affermando che la procedura in questione ha carattere� di vero e proprio procedimento speciale e che il provvedimento conclusivo, anche se qualificato come �decreto�, ha la portata e gli effetti di un: atto giurisdizionale che esaurisce definitivamente la controversia (Cons.. Stato, 20 novembre 1953, n. 905). Ad identica soluzione ritiene di dover pervenire questa Suprema Cor-� te, considerando: 1. che gli organi dai quali il provvedimento promana (presidente del tribunale o magistrato delegato dal presidente della corte d'appello} appartengono all'ordine giudiziario; 2. che l'adizione di tali organi presuppone, per legge, l'insorgere di una vera e propria � controversia � fra l'Amministrazione finanziaria e gli ufficiali giudiziari in ordine alla quota fiscale da costoro dovuta sopra i proventi degli atti di loro competenza: ossia di un vero e propri0> conflitto fra opposti interessi; 3. che, in particolare, rispetto all'interesse dello Stato alla pretesa fiscale di cui si tratta, il contrapposto interesse di natura patrimoniale e privatistica degli ufficiali giudiziari, attinente alla quota residua dei diritti riscossi, non si pone in rapporto di subordinazione bens� su un piano� di uguaglianza; 4. che la peculiare procedura di cui � caso ammette una sia pur limitato contraddittorio con ricorso e deduzioni scritte ed importa obbligatoriamente l'intervento del P. M., le cui conclusioni debbono precedere� l'emanazione del decreto; 5. che l'atto conclusivo della procedura, ancorch� qualificato come� �decreto'" ha la portata e l'effetto di una sentenza che esaurisce definitivamente la controversia; 6. e, insomma, che nell'atto medesimo � dato rinvenire' tutti quei connotati, soggettivi ed oggettivi, che� dottrina e giurisprudenza hanno� concordemente elaborato e prospettato come caratteristici dell'atto di giurisdizione contenziosa e discretivi dello stesso sia dall'atto propriamente amministrativo sia dall'atto di giurisdizione volontaria. Tutto ci� premesso, e poich� manca, anche nella pi� recente disciplina della procedura cli cui si tratta (art. 156 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229) la previsione di uno specifico mezzo di impugnazione avverse> il decreto in questione, � lecito affermare che agli interessati (odierni resistenti), avverso il decreto del presidente del tribunale di Lucca che PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 213 li concerneva, non era consentita impugnativa nelle vie ordinarie ma unicamente mediante ricorso immediato a questa Suprema Corte, a norma dell'art. 111 Cost. Accogliendosi pertanto l'esaminato motivo del ricorso, restano assorbiti in esso gli altri e l'impugnata sentenza deve essere cassata senza rinvio, a norma dell'art. 382 c.p.c. I resistenti vanno condannati alle spese del presente giudizio di cassazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 3 febbraio 1976, n. 356 -Pres. Stella Richter -Rel. Viola -P. M. De Majo (conf.) C.N.E.N. (avv. Stato Stipo) c. Cresca Bruno (avv. Barenghi) e Soc. Coop. Produzione e Lavoro (n. c.). Competenza e giurisdizione -Enti Pubblici -Appalto -Assunta jnterme-� diazione nella assunzione di mano d'opera -Fattispecie (in tema di lavori di pulizia) -Giurisdizione del giudice ordinario. (I. 23 ottobre 1960, n. 1369). Amministrazione dello Stato e degli Enti Pubblici -Appalto -Divieto di intermediazione nella assunzione di mano d'opera -Applicabilit�. Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia determinata dalla pretesa di essere considerato come lavoratore alle dirette dip�ndenze di un ente pubblico (col relativo trattamento economico), avanzata da colui che afferma di essere stato assunto in violazione del divieto intermediazione posto dalla legge n. 1369 del 1960 (1). Il divieto di intermediazione nell'assunzione di mano d'opera si estende non solo agli enti pubblici economici, ma anche agli enti pubblici non economici (nella specie, C.N.E.N.), sia per quanto attiene alle attivit� imprenditoriali esterne, sia per quanto attiene allo svolgimento delle attivit� di istituto (2). (1-2) .La Suprema Corte, con questa sentenza e con numerose altre coeve, conferma la sua giurisprudenza in tema di applicabilit� del divieto di intermediazione nella assunzione di mano d'opera agli Enti pubblici, anche non economici nello svolgimento delle attivit� di istituto: cfr. Sez. Un. 5 agosto 1974, n. 2330, in questa Rassegna 1974, I, 1129, con not�. �, tuttavia, da sottolineare che in precedenza la giurisprudenza era orientata nel senso di limitare l'applicabilit� del divieto ai soli enti pubblici aventi carattere imprenditoriali (Cons. Giust. amm. reg. sic. 28 ottobre 1966, n. 531, Foro lt. 1967, III, 230; v. anche Pretura Pozzomaggiore, 16 dic. 1968, Foro It. 1969, II, 286, a proposito dell'art. 3 della legge n. 1369 per l'attivit� di facchinaggio e Cass. 30 gennaio 1969, Foro It. 1969, II, 606), sempre che le attivit� ineriscano ad operazioni che rientrino nel ciclo produttivo e non abbiano quindi carattere temporaneo (Cass. 3 ottobre 1970, n. 1790, Foro lt., 1970, I, 3074; 13 ottobre 1970, n. 1993, ivi, I, 3046; App. Torino, 20 giugno 1968, Mass. Giuris. Lav. 1968, 269, con nota). 214 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DEI CONTI, Sezioni Riunite, 25 febbraio 1976, n. 63 -Pres. Costa -Est. Colabucci -P. G. Colletti (conf.) -Missori ed altri (avv. Missori, D'Agostino, Capanna, Zappal�, Conti) c. E.N.P.A.S. (avv. dello Stato Stipo). Corte dei Conti -Giurisdizione (domestica) delle Sezioni Riunite -Impugnazione di atto di Ente diverso dalla Corte -Sussiste. Competenza e giurisdizione -Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. -Giurisdizione del giudice generale di legittimit� -Dipendenti della Corte dei Conti -Giurisdizione delle Sezioni Riunite. Corte de Conti -Dipendenti -Indennit� buonuscita E.N.P.A.S. -Tredicesima mensilit� -Va compresa nel calcolo. I Sussiste la giurisdizione esclusiva delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti per i giudizi relativi a rapporti attinenti al pubblico impiego dei propri dipendenti anche se venga impugnato un atto non promanante direttamente dalla Corte dei Conti, ma da altro ente pubblico quale l'E.N.P.A.S. (1). La buonuscita si immedesima in un rapporto assicurativo-previdenziale che sorge ope legis per effetto della costituzione di un rapporto di pubblico impiego al quale si collega indissolubilmente pur serbando ciascuno la propria fisionomia e la propria sfera di efficacia. Tale collegamento si manifesta sotto l'aspetto di una subordinazione unilaterale in quanto le vicende del rapporto di pubblico impiego, ma non viceversa, esplicano diretta influenza sul rapporto previdenziale condizionandone sia la nascita sia il successivo svolgimento. Deve dunque aff ermarsi che la cognizione della controversia rientra nella giurisdizione (1) La prima massima affronta un problema nuovo, e cio� se la cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei Conti sussista anche quando venga dal dipendente della Corte stessa impugnato un atto promanante da altro Ente pubblico. Se il rapporto tra il dipendente statale e l'E.N.P.A.S. ancorch� connesso, � distinto, quanto ai soggetti, al contenuto e all'oggetto, dal rapporto di pubblico impiego tra lo Stato e i suoi dipendenti, non sembra sussista la ratio per l'applicazione della norma che legittima la cosiddetta giurisdizione domestica nelle controversie di pubblico impiego del personale della Corte dei Conti. Stabilisce infatti l'art. 65 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214 sulla Corte dei Conti: � Spetta alla Corte a Sezioni Riunite la definizione in forma contenziosa di tutti i reclami dei suoi impiegati ed agenti o di chiunque vi abbia interesse relativi alla nomina, promozione e disciplina, o comunque attinenti al rapporto d'impiego, per motivi di competenza, eccesso di potere o violazione d'i legge "� La giurisdizione domestica, invero, ha riguardo ai provvedimenti relativi alla nomina, promozione e disciplina del rapporto di pubblico impiego e que-~1 1: li I 1: ~ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 215 esclusiva delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti perch� la domanda giudiziale ha il suo titolo nel rapporto di pubblico impiego intercorso tra i ricorrenti e la Corte dei Conti (2). La tredicesima mensilit� per il suo carattere di assegno fisso e ri. corrente, non legato ad alcuna prestazione particolare o a posizioni sog gettive dell'impiegato, e per avere la sua causa esclusiva nella retri buzione della normale prestazione di lavoro, forma parte integrante dello stipendio; come tale, la tredicesima va compresa nella base retri butiva utile per la liquidazione della buonuscita, da calcolarsi sull'ultimo stipendio annuo, senza che al riguardo abbia rilievo, la circostanza che, erroneamente, in ordine ad essa non sia stata operata alcuna ritenuta (3). (Omissis). -Secondo il resistente, la provenienza esterna del prov vedimento impugnato costituirebbe un limite alla giurisdizione esclusiva di questo consesso, il cui esercizio sarebbe condizionato alla impugna zione di un atto promanante direttamente dalla Corte dei Conti. La tesi non � fondata. Essa �, anzitutto, in stridente contrasto con la stessa formulazione letterale del citato art. 65 il quale, come chia� ramente traspare dalla locuzione � tutti i reclami . . . comunque attinenti al rapporto d'impiego ... �, ha esclusivo riferimento alla natura del rap stioni ad esso attinenti, ma sempre nell'ambito dei rapporti tra Corte e pro pri dipendenti. Interpretare l'espressione � comunque attinenti al rapporto di pubblico impiego '" di cui al citato art. 65, in maniera cos� lata da comprendervi anche i rapporti dei dipendenti della Corte con altri Enti, significa andare contro lo spirito e la ratio della norma. Dice al riguardo il Guicciardi (La giustizia amministrativa, pag. 382): � Alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti appartiene il giudizio sui ri corsi degli impiegati della stessa Corte relativi al loro rapporto d'impiego vero e proprio. Questa nuova e pi� netta eccezione stabilita dall'art. 65 del testo unico del 1934 alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, trova la sua giustificazione nella posizione costituzionale che la Corte dei Conti ha assunto storicamente nel nostro ordinamento, per effetto della quale i suoi atti venivano considerati alla medesima stregua degli atti .di contenuto ammi nistrativo emanati dalle singole Camere legislative, e cio� come atti ammini strativi di autorit� non amm'inistrative: cosicch� il Consiglio di Stato, in omag gio all'autonomia della Corte dei Conti, riteneva di non poter esercitare su tali atti il proprio sindacato�. Pertanto, avendo la giurisdizione domestica la funzione di sottrarre gli atti della Corte dei Conti al sindacato di altro giudice, detta giurisdizione non si giustifica quando il giudizio verta su un atto di un Ente diverso dalla Corte dei Conti. In altri termini, nelle controversie rientranti nella giurisdizione domestica l'Istituto � parte, in quanto organo al quale � direttamente riferibile l'atto impugnato ed appunto, al fine di meglio garantire l'indipendenza dell'Istituto stesso dagli altri organi dello Stato, dette controversie sono devolute alla com 216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO porto giuridico che intercede tra la Corte dei Conti e il proprio personale: rapporto la cui esistenza deve quindi considerarsi il solo criterio determinativo e ad un tempo il solo limite della giurisdizione esclusiva. � noto, d'altronde, come sia la giurisprudenza sia la dottrina prevalente giudichino superflua l'impugnazione del provvedimento della Pubblica Amministrazione ritenendo che la giurisdizione del giudice amministrativo sia determinata unicamente dalla materia ad esso devoluta con carattere di esclusivit�. Ma, anche gli argomenti offerti dalla interpretazione sistematica confermano l'esattezza di tale conclusione. La norma in esame s'inquadra in un sistema in cui la sfera giurisdizionale dei vari organi o gruppi di organi � rigorosamente delimitata in base a precisi criteri di ripartizione e nel quale perci� non sarebbe possibile introdurre nuovi limiti, oltre quelli fissati dalla legge, senza sovvertire l'ordine dei rapporti tra le diverse sfere di giurisdizione. Alla luce di questi rilievi, ogni altro elemento, soprattutto di carattere estrinseco e formale, come la provenienza del provvedimento impugnato, deve dun,que considerarsi assolutamente irrilevante. � necessario, poi, osservare che la paventata possibilit� di un contrasto giurisprudenziale tra queste Sezioni riunite ed altro giudice am petenza delle Sezioni Riunite, cio� di un collegio pi� ampio di quello delle singole sezioni, con particolare autorevolezza connessa principalmente con la esperienza ed il prestigio dei magistrati che le compongono. Ma quando oggetto dell'impugnativa � un provvedimento di un Ente diverso dalla Corte dei Conti, vengono meno tutte le ragioni poste a salvaguardia della autonomia e della indipendenza della Corte stessa. Inoltre, mentre in sede di giurisdizione domestica (cui vanno devolute le controversie sui provvedimenti della Corte nei riguardi dei propri dipendenti) ogni questione va decisa e non pu� che essere decisa nella stessa sede, altrettanto non pu� accadere se avverso un provvedimento di un Ente diverso (come nella specie) la giurisdizione debba ritenersi competere alle Sezioni Riunite se ricorrente � un dipendente della Corte dei Conti ovvero al giudice ordinario o al giudice generale di legittimit� se ricorrente � altro dipendente statale; non pu� sfuggire al riguardo l'inconveniente che potrebbe generarsi nel caso che tra le Sezioni Riunite e l'altro giudice si dovesse pervenire ad un diverso orientamento su una questione che interessa sia i dipendenti della Corte che tutti gli altri dipendenti statali. Il legislatore, con l'art. 65 citato, non ha voluto creare una tale incongruenza. �L'aver devoluto le controversie .di pubblico impiego dei dipendenti della Corte dei Conti alle Sezioni Riunite della stessa e non alle sezioni semplici (con il che avrebbe ugualmente garantito l'autonomia e l'indipendenza dell'Istituto) si spiega altres� con la considerazione che le Sezioni Riunite sono in sostanza un giudice di secondo grado. Alle Sezioni Riunite infatti vanno devolute quelle. questioni che gi� hanno formato oggetto di esame nell'ambito della Corte stessa: cos� gli appelli av PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 217 ministrativo, in tema di buonuscita, costituisce un inconveniente, ma non il solo, proprio del sistema organizzativo vigente che, come si � visto, ripartisce la funzione giurisdizionale tra una pluralit� di organi variamente formati e disciplinati. Deve, infine rilevarsi l'inesattezza dell'affermazion~ secondo cui l'aver .devoluto a questo consesso anzich� alle Sezioni semplici, le controversie in materia di pubblico impiego si spiegherebbe � altres� con la consi< lerazione che le Sezioni Riunite sono in sostanza un giudice di secondo grado�. Occorre, infatti, tener presente che nell'ordinamento della Corte dei Conti gli organi amministrativi sono, dal punto di vista istituzionale, nettamente distinti e differenziati da quelli giurisdizionali: ne consegue -che riguardo alle funzioni da essi rispettivamente esercitate non pu� configurarsi un rapporto analogo a quello che intercorre tra giudizio di primo grado e giudizio d'appello. A parte, invero, altre considerazioni, caratteristica fondamentale di quest'ultimo � che l'organo da cui promana la pronuncia impugnata � anch'esso investito di funzioni giudicanti e strutturalmente inserito nello stesso complesso cui appartiene l'organo di secondo grado. verso le decisioni delle sezioni giurisdizionali contabili, le questioni che siano state decise in senso difforme da pi� sezioni semplci e cos� anche quei provvedimenti che il Presidente, il Consiglio di Presidenza, il Segretario generale, la Commissione di disciplina ha adottato nei riguardi di un dipendente della stessa Corte. Estendere la giurisdizione domestica alle impugnative promosse dai dipen. denti della Corte dei Conti contro provvedimenti di un Ente pubblico diverso dalla Corte stessa appare pertanto contrario allo spirito dell'art. 65 citato. (2) Era stato ripropo<;to il problema della giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto l'indennit� di buonuscita. Si era prospettato da taluni che, avendo la Corte Costituzionale affermato che la predetta indennit� fa parte del trattamento di quiescenza, deve considerarsi un elemento accessorio della pensione, con la conseguenza che le controversie relative rientrino nella giurisdizione della Corte de'i Conti quale giudice delle pensioni (v. IzzI, in nota a Corte Cost. 19 giugno 1972, n. 82, in Riv. Giur. Lavoro 1974, II, 652). Qualche decisione della Cassazione (SS.UU. 5 luglio 1975, n. 2615 in materia di prestazioni di assistenza medica dell'E.N.P.A.S.; SS.UU. 12 giugno 1975, n. 2328, in materia di indennit� per cessazione dal servizio corrisposta dal fondo di previdenza per il personale delle dogane) ha fatto sorgere il dubbio circa la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario. Il Consiglio di Stato � costante nel ritenere la propria giurisdizione, decidendo nel merito tutte le controversie in materia di indennit� di buonuscita del personale statale. Circa la natura dell'indennit� stessa, recentemente la IV Sezione, con decisione 18 ottobre 1974, n. 653 cos� si � espressa: � L'indennit� di buonuscita spettante in determinati casi al personale dipendente dallo Stato che cessa dal servizio o ad alcuni suoi superstiti � una prestazione di carattere mutualistico e previdenziale, che, pur collegandosi da una parte con lo stipendio tabellare tramite la determinazione de'i contribuenti e, 218 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEllO STATO Il problema della giurisdizione della Corte dei Conti va tuttavia affrontato anche sotto altro profilo. In proposito nessuna influenza pu� esercitare il mutato atteggiamento dell'ente resistente in ordine alla prospettata competenza del giudice ordinario, trattandosi di questione rilevabile ex officio. I motivi svolti dall'ente a sostegno della giurisdizione ordinaria possono cos� compendiarsi. Secondo l'avviso pi� volte espresso dalla Corte Costituzionale, � la buonuscita fa parte del trattamento di quiescenza "� Dovrebbe, pertanto, ritenersi definitivamente superata l'annosa disputa intorno al problema se l'espressione � trattamento di quiescenza � debba intendersi nell'accezione pi� limitata di trattamento pensionistico o nel significato pi� ampio di trattamento comprensivo sia della pensione sia delle indennit� destinate ad assolvere una funzione precipuamente previdenziale ed assistenziale; nella giurisprudenza civilistica ricorre con frequenza l'affe,rmazione che il rapporto assicurativo-previdenziale, tra E.N.P.A.S. e� dipendente dello Stato, � nettamente distinto ed autonomo dal rap-� porto di pubblico impiego; nel caso concreto, gli elementi oggettivi della domanda giudiziale -petitum e causa petendi -sono chiara dall'altra, con la pensione, tramite la cessazione dal servizio, conserva una sua particolare autonomia, in quanto pur facendo parte del trattamento di fine rapporto; non ha carattere di prestazione retributiva (differita) in senso stretto, ma � piuttosto da qualificarsi come prestazione dell'Ente collegata alla prestazione di lavoro (in quanto questa ci sia) protratta per tutto il tempo richiesto dalla legge�. Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con la decisione in Rassegna, hanno riesaminato il problema della giurisdizione ed hanno concluso nel senso che le controversie sull'indennit� di buonuscita non possano rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario e neanche in quella generale pensionistica della Corte dei Conti, ma restano nell'ambito della giurisdizione �esclusiva del pubblico impiego. In tal senso � stato ribadito quanto a suo tempo deciso dalla Corte dei Conti allorquando la questione si era posta per la prima volta (decisioni 2 giugno 1932, in Corte dei Conti 1933, II, 31; 1� giugno 1935, ivi, II, 465) e che successivamente aveva sempre formato giurisprudenza pacifica. L'orientamento sembra da condividere. Infatti a parte la questione della giurisdizione della Corte dei Conti, finora sempre esclusa in giurisprudenza, sembra da escludere che tali con-� troversie possano rientrare nella giurisdizione della magistratura ordinaria ai sensi degli artt. 442 e segg. del codice di procedura civile modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533. Invero, le controversie riguardanti le prestazioni dell'Ente resistente sono state sempre considerate dalla dottrina e dalla costante giurisprudenza sot-� tratte alla giurisdizione ordinaria, costituendo tali prestazioni � un elemento� del rapporto di pubblico impiego che lega l'assistito allo Stato � (vedasi MA-� LINVERNO, Impiegati dello Stato -Previdenza ed assistenza, Nuov.mo Dig. It.,. VIII, p. 258). L'indennit� in considerazione � un elemento di un pi� ampio PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 219 mente individuabili �nella richiesta integrazione dell'indennit� di buonuscita e nella omessa valutazione da parte dell'E.N.P.A.S. della tredicesima mensilit�, talch� il problema, strettamente attinente al rapporto di pubblico impiego, se detta mensilit� formi o meno parte integrante dello stipendio, si risolve in una questione pregiudiziale. Da queste premesse dovrebbe coerentemente dedursi che la cogni~ zione della controversia sfugga alla giurisdizione esclusiva delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti per rientrare nella competenza generale del giudice ordinario o, come � stato di recente proposto, nella competenza delle Sezioni giurisdizionali della stessa Corte dei Conti in materia pensionistica, in base al rilievo che la qualificazione della buonuscita in termini di elemento complem�ntare ed accessorio della pensione, secondo l'indirizzo ormai costi;inte della Corte Costituzionale, comporta la necessaria attrazione nell'orbita giurisdizionale delle suddette sezioni di tutte le controversie attinenti al rapporto previdenziale. Senonch� il Colleggio, pur valutando il peso e l'importanza dei motivi esposti e pur riconoscendo l'esigenza di un ulteriore approfondimento di tale tematica, peraltro non effettuabile in questa sede, non ritiene di doversi discostare dall'orientamento sin qui seguito in perfetta trattamento di quiescenza che trova la sua fonte nel rapporto imp'iegatizio ed � strettamente connessa con le vicende del rapporto medesimo anche per quanto concerne la sua determinazione quantitativa (vedasi l'art. 3 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032); e la funzione (per altro non univocamente definibile: vedasi VIRGA, Il pubblico impiego, I, Milano 1973, 758) della indennit� non potrebbe essere sufficiente per attribuire alle relative controversie natura previdenziale ai sensi dell'art. 442 sopra cit. Inoltre, le disposizioni del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, implicitamente escludendo l'applicazione �della norma processuale sopra cit., indicano all'art. 29 i rimedi amministrativi consentiti contro i provvedimenti adottati dal Fondo di previdenza gestito dall'E.N.P.A.S. e dichiarano al?plicabile l'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, ammettono il ricorso � all'autorit� giurisdizionale competente � nel caso di silenzio dell'autorit� amministrativa in ordine al ricorso gerarchico; e l'art. 31 aggiunge che � nulla � innovato per quanto attiene alla competenza della Corte dei Conti a conoscere dei ricorsi in sede giurisdizionale avverso i provvedimenti definitivi in materia di assegno vitalizio�. Le premesse considerazioni dimostrano, senza ombra di dubbio, come la citata legge n. 533 del 1973 non possa aver sortito l'effetto di modificare, senza una esplicita dimostrazione, tutta la preesistente disciplina di carattere speciale relativa alle controversie concernenti le prestazioni dell'Ente di previdenza. ed assistenza. (3) Per la questione di merito le Sezioni Riunite de1la Corte dei Conti si sono uniformate alla recente decisione del Consiglio di Stato sez. VI, 15 ottobre 1975, n. 437 (in Cons. Stato 1975, I, 1117). Il T.A.R. del Lazio invece si � espresso in senso difforme con le decisioni della Sez. I 5 febbraio 1975, n. 63 (.in TAR 1975, I, 452) e della Sez. III 7 aprile 1975, n. 146 (in TAR, 1975, I, 1158). 220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sintonia, del resto, con fa giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato. Com'� noto, questa unit� d'indirizzo, costituisce il risultato di un lungo dibattito sia in campo dottrinario che giurisprudenziale, al termine del quale fu accolto il principio che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo comprende anche le controversie aventi con. tenuto patrimoniale, purch� la pretesa dedotta in giudizio trovi il suo titolo necessario in un rapporto di pubblico impiego, �perch� questo consideri nella sua costituzione o n�l suo svolgimento o nella sua cessazione oppure perch� questo presupponga o ad esso si riferisca�, purch�, in altri termini, i diritti dei quali il dipendente lamenta il disconoscimento o la lesione da parte dell'ente pubblico siano comun q_ue ricollegabili al rapporto di pubblico impiego. Nel vigente ordinamento la buonuscita s'immedesima in un rap porto assicurativo-previderiziale che sorge ope legis per effetto della co stituzione di un rapporto di pubblico impiego al quale si collega indis solubilmente pur serbando ciascuno la propria fisionomia e la propria sfera di efficacia. Tale collegamento s� manifesta sotto l'aspetto di una subordinazione unilaterale in quanto le vicende del rapporto di pub blico impiego, ma non viceversa, esplicano diretta influenza sul rap porto previdenziale condizionan�lone sia la nascita sia il successivo svol ;gimento. Sul piano processuale � poi evidente come, in definitiva, nella que stione sulla natura giuridica della 13� mensilit� si concentri e si esau risca tutto il merito della controversia, essendo ogni altra questione strettamente dipendente da essa e quindi priva di autonoma rilevanza. In base alle considerazioni svolte deve dunque affermarsi che la �cognizione della controversia rientra nella giurisdizione esclusiva di que ste Sezioni riunite perch� la domanda giudiziale ha il suo titolo nel rapporto d� pubblico impiego intercorso tra i ricorrenti e la Corte <lei Conti. Nel merito la difesa dell'ente obietta, in linea principale, che agli effetti del calcolo del contributo e della liquidazione della buonuscita, tutte le disposizioni in vigore tengono nettamente distinto lo stipendio <lalla 13� mensilit�, sicch�, nella fattispecie in esame, sarebbe irrilevante appurare, come invece chiedono i ricorrenti, se la 13� partecipi della natura giuridica dello stipendio, anzi s'identifichi con esso, in quanto �detta normativa avrebbe riferimento solo allo stipendio tabellare con esclusione di ogni altro emolumento o iDdennit�. Peraltro, come gi� posto in rilievo dal Cons;glio di Stato, nell'at tuale disciplina della materia non esiste alcuna norma che espressa mente escluda la 13" mensilit� dalla base retributiva utile per la liqui dazione del trattamento previdenziale; n� tale esclusione pu� desumersi PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE comunque attraverso l'interpretazione delle varie disposizioni emanate in subiecta materia. Invero, come sar� precisato in seguito, l'accurata indagine esegetica .compiuta a questo fine dall'ente resistente non approda a risultati sicuri e concludenti anche perch� ancorata ai criteri vagamente logici ed estrinseci, espressi nei noti brocardi: ubi lex voluit, dixit, inclusio unius exclusio alterius etc., ai quali giustamente si nega valore di canoni ermeneutici generali. In primo luogo � necessario chiarire che il prindpio, cui si richiama l'ente, della correlazione tra prestazioni e contributi non, indica un nesso di interdipendenza o di reciprocit� riconducibile alla figura generale del sinallagma, sebbene tra i due termini un qual. che elemento di connessione, anche giuridicamente rilevante, non man �Chi -quale ad esempio la complessiva destinazione, rilevabile dall'autonomia di gestione, dci contributi prev'idenzi�li di tutti gli iscritti al fine dell'attribuzione del relativo trattamento. Il rapporto assicurativo previdenziale, infatti, non ha natura di contratto: rispetto ad esso quindi non opera l'eccezione d'inadempimento ex art. 1460 e.e. (inadimplenti non est adimplendum). D'altro canto, come gli stessi ricorrenti hanno puntualmente eccepito, il sistema contributivo adottato non � che lo strumento finanziario di cui l'E.N.P.A.S. dispone per l'assolvimento della sua funzione, mentre l'effettivo prelievo dei contributi previdenziali dallo .stipendio dell'impiegato statale non � conditio sine qua non per l'erogazione delle corrispondenti prestazioni in quanto l'unica condizione stabilita dalla legge � il riconoscimento del diritto a pensione. Contrariamente all'assunto dell'ente, nessun valido contributo per la soluzione del problema pu� essere offerto . dall'interpretazione delle disposizioni emanate nel periodo prebellico, in epoca, cio�, anteriore alla istituzione della tredicesima mensilit� (avvenuta, com'� noto, con l'art. 7 del d.l.c.p.s. 25 ottobre 1916, n. 263), in quanto quelle norme, per essere esattamente interpretate, devono ovviamente inquadrarsi in una valutazione retrospettiva che tenga conto anche del momento storico in cui furono concepite. Cos� la formula usata nell'art. 29 del r.d. 21 novembre 1923, n. 2480, in cui � prevista la commisurazione della buonuscita ad una quota dello � stipendio mensile � per ogni anno di servizio, potrebbe prima facie sembrare un efficace argomento per escludere dal computo la tredicesima mensilit�, posto che questa non pu� a ,rigore comprendersi nello stipendio mensile; � chiaro tuttavia che all'epoca dell'emanazione della legge, non esistendo ancora la mensilit� aggiuntiva, il calcolo sullo stipendio mensile sarebbe stato perfettamente equivalente a quello effettuato sullo stipendio annuo sicch� l'impiego dell'una o dell'altra locuzione non avrebbe importato alcuna differenza nel significato della norma. 222 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Analogamente, nessun elemento utile, ai fini del decidere, pu� trarsi dall'esame di altre vecchie disposizioni, come quella contenuta nell'art. 48 del t.u. 26 febbraio 1928, n. 619, o nell'art. 135 del regolamento 7 giugno 1928, n. 1369, oppure nell'art. 12 della legge 19 gennaio 1942,. n. 22. Pi� conferenti potrebbero apparire le argomentazioni fondate sulla legislazione coeva o posteriore all'istituzione della �tredicesima�, perch� pi� verosimilmente si potrebbe sostenere che questa sia stata in, qualche modo contemplata da un reale intento normativo di inclusione o di esclusione rispetto al computo che interessa; manca per� a tali argomentazioni il carattere decisivo dell'univocit�. In proposito l'ente ha dedotto che l'art. 10 del d.P.R. 11 gennai0> 1956, n. 19, riguardante la base contributiva, mentre nel terzo comma,. ai fini dell'assistenza sanitaria, considera esplicitamente la tredicesima. mensilit� come elemento retributivo distinto dallo stipendio, di essa. invece non fa menzione alcuna nel primo e nel secondo comma che si riferiscono rispettivamente all'indennit� di buonuscita ed a quella di licenziamento. In senso contrario, per�, il Procuratore generale si �� richiamato al testo dell'art. 7 del citato decreto legislativo n. 263 del 1946 (pur non riconoscendolo affatto decisivo) per sottolineare che il legislatore ha espressamente stabilito la non computabilit� della � tredicesima � soltanto agli effetti dell'indennit� di licenziamento e non anche agli effetti dell'indennit� di b:uonuscita, rilevando inoltre che mai il legi-� slatore ha inteso includere l'una indennit� nella menzione dell'altra. Di fronte al contrasto di queste argomentazioni appare indispensa bile prescindere da esse ed esaminare il problema in un'ottica diversa muovendo da un punto fermo, emergente da tutte Ie disposizioni sopra citate, le quali univocamente indicano nello stipendio la base fonda mentale della liquidazione della buonuscita. Sotto tale profilo non � difficile riconoscere che la tredicesima men silit� manifesta nei suoi tratti essenziali le stesse caratteristiche delb stipendio. Essa, invero, cos� come � sostanzialmente disciplinata nel' nostro ordinamento, lungi dal presentare gli aspetti di una gratifica zione, ha assunto la funzione di corrispettivo per la nonn.ale presta zione di lavoro con i caratteri della fissit� e della ricorrenza che la rendono indubbiamente partecipe della stessa natura dello stipendio. L'ente, peraltro, obietta che la tredicesima mensilit� non pu� considerarsi come stipendio non possedendo il carattere della pensionabilit�,. che, secondo un'affermazione di questo consesso (dee. 23 aprile 1970,. n. 36) sarebbe il �crisma� della essenziale natura dello stipendio. Sul punto, per�, occorre anzitutto osservare come le affermazioni giurisprudenziali, per essere esattamente intese, debbano essere vagliate in cor\ relazione con gli aspetti particolari del caso deciso: infatti, nella deci-� ! I l PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI. DI GIURISDIZIONE sione sopra richiamata questo collegio, riferendosi in concreto al criterio della �pensionabilit� quale ulteriore crisma formale� (e non quale unico carattere o crisma in senso assoluto) di un emolumento che si potesse ricondur:e al concetto di stipendio in senso sostanziale, ebbe riguardo a quegli assegni previsti limitatamente per alcune categorie di dipendenti statali (nella fattispecie si trattava dell'assegno istituito con l'art. 43 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345) per cui il richiamo .alla �pensionabilit�� poteva servire appunto a confermare esteriormente che si trattasse di un emolumento analogo allo stipendio. Ma, quando si tratta di un assegno che, come la � tredicesima�, si fonda sopra una previsione di ordine generale della medesima ampiezza dello stipendio, in modo che ormai la prima inerisce per i suoi connotati intrinseci al secondo, costituendo con le altre mensilit� l'unit� economico-giuridica della retribuzione base, ogni richiamb ad ulteriori criteri di indi viduazione (esteriori o formali) si rende superfluo e privo di senso. D'altro canto, la giurisprudenza amministrativa � concorde nel ritenere che la �tredicesima� ha assunto carattere generale come mensilit� fissa e ricorrente, aggiunta alle dodici mensilit� in cui si divide lo stipendio fondamentale del quale costituisce quindi costante e normale integrazione. Ed � proprio all'interpretazione giurisprudenziale che si deve il superamento delle difficolt� inerenti alla esatta individuazione normativa della natura della �tredicesima�: difficolt� dovute, come si � visto, alla imprecisione ed alle ambiguit� dei testi legislativi. � appena il caso di osservare che i termini della questione non sono sostanzialmente mutati con l'art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 del quale, peraltro, si dovrebbe tener conto soltanto per quei ricorsi che risultano proposti dopo la sua entrata in vigore. Non va infine trascurato il rilievo che la soluzione accolta, adeguandosi ad analoghe previsioni pi� esplicite, gi� esistenti nel campo dell'impiego privato ed anche in qualche settore di quello pubblico, si armonizza con le linee costituzionali del sistema, evitando deprecabili disparit� di trattamento ed obbedendo cosL al principio ermeneutico, che � ormai patrimonio comune della giurisprudenza, per cui tra i molteplici significati di una norma o un gruppo di norme va sempre accolto quello che pi� si conformi alle norme e ai principi della Costituzione. A tale proposito si deve anche ricordare che l'E.N.P.A.S. prospetta una disparit� di trattamento che si verificherebbe a danno dei dipen denti delle Ferrovie dello Stato (i quali attualmente si vedono negato il computo della � tredicesima � ai fini della buonuscita) rispetto agli altri dipendenti statali, ma il problema, com'� evidente, non pu� for mare oggetto di esame in questa sede, dovendo eventualmente la que RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELl.O STATO 224 stione essere sollevata in apposito giudizio, da promuoversi nella sede competente dal personale interessato. A conclusione deve dunque affermarsi che la tredicesima mensilit� per il suo carattere di assegno fisso. e ricorrente, non legato ad alcuna prestazione particolare o a posizioni soggettive dell'impiegato, e per avere la sua causa esclusiva nella retribuzione della normale prestazione di lavoro, forma parte integrante dello stipendio: come tale, la � tredicesima � va compresa nella base retributiva utile per la liquidazione� della buonuscita, da calcolarsi sull'ultimo stipendio annuo, senza che al riguardo abbia rilievo la circostanza che, erroneamente, in ordine ad essa non sia stata operata alcuna ritenuta. -(Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 novembre 1974, n. 3497 -Pres. Pace� -Est. Sammarco -P.M. De Marco (conf.) -Ministero dell'InternQl (avv. Stato Pierantozzi) c. Ricciardi (n. c.). Circolazione stradale -Depenalizzazione � Opposizione all'ordinanza pre fettizia � Abilitazione del Prefetto a stare in giudizio -Necessit� di. delega ministeriale � Esclusione. (!. 3 maggio 1967, n. 317, art. 9). Circolazione stradale -Depenalizzazione Opposizione all'ordinanza in�� tendentizia -Oggetto dell'opposizione. (!. 3 maggio 1967, n. 317, art. 9). Legittimato a resistere all'opposizione proposta ai sensi dell'art. 9' della leg~e 3 maggio 1967, n. 317 � esclusivamente il Prefetto (1). Oggetto del giudizio medesimo � la statuizione sull'accertamento dell'infrazione contenuta nell'ordinanza prefettizia e non l'ingiunzione di pagamento (2). (Omissis). -Il primo motivo del ricorso si articola in due profili distinti. Sotto il primo profilo, l'amministrazione ricorrente, denunciando la violazione dell'art. 9 della legge 3 maggio 1967, n. 317, sostiene che erroneamente il Pretore ha ritenuto che il ricorso dei Ricciardi, di opposizio-� (1-2) In tema di opposizione ex art. 9 legge 3 maggio 1967, n. 317/1-2�. Con l'annotata sentenza la suprema Corte ha esaminato il problema concernente la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione promosso ai sensi dell'art. 9 della legge 3 maggio 1967, n. 317. Il precitato articolo consente di proporre opposizione al Pretore contro� l'ordinanza emessa dal Prefetto o dal Sindaco o dal Presidente dell� Giunta Provinciale, con la quale viene determinata la somma dovuta per la violazione delle norme depenalizzate e se ne ingiunge il pagamento. Per quanto riguarda il provvedimento emesso dal Sindaco e dal Presi-dente della Giunta Provinciale non vi � un problema di identificazione dell'organo legittimato ad causam, giacch� le precitate autorit� sono anche i legali rappresentanti degli enti (Comune e Provincia) con i quali pertanto� deve successivamente instaurarsi il giudizio. Nel caso invece che l'opposizione venga proposta avverso il provvedimento del Prefetto, sorge un problema di identificazione del soggetto legittimato� passivamente, problema che si manifesta sotto un duplice profil9. Il P,refetto � tenuto ad irrogare la sanzione pecuniaria nelle ipotesi indicate alle lettere a), b) e c) dell'art. 1 della citata legge 1967 n. 317, ma il 226 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ne all'ordinanza del Prefetto di Roma, dovesse essere notificato al Ministero dell'Interno. In proposito la ricorrente rileva che, per quanto .attiene all'ordinanza emessa a norma dell'art. 9 della citata legge, il Prefetto agisce come autorit� autonoma di governo in sede locale e non .come organo gerarchicamente subordinato al Ministero dell'Interno; pertanto, al Prefetto che ha emesso il provvedimento appartiene la legittima: zione sostanziale in ordine al� giudizio di opposizione contro il provvedimento medesimo. Con la seconda parte del motivo, la ricorrente assume che, ammesso anche che la legitimatio ad causam spettasse al Ministero dell'Interno -e non al Prefetto di Roma, la costituzione del predetto Ministero in giudizio Sarebbe ritualmente avvenuta con la presentazione in udienza di un funzionario della Prefettura di Roma: invero, una volta che il privato ba assolto in ottemperanza a quanto dispone dall'art. 1 della legge 25 mar. zo 1958, n. 260, all'onere di citare l'amministrazione in persona del Ministro in carica, l'amministrazione convenuta pu� costituirsi anche a relativo provento non sempre � devoluto all'Erario. Vi sono ipotesi in cui il beneficiario della sanzione pecuniaria � il Comune o la Provincia onde sorge �il dubbio che il contraddittorio -nel giudizio di opposizione in parola . debba instaurarsi con l'ente creditore e non con lo Stato. La questione non appare per� risolta, qualora si ritenga che legittimato passivamente al giudizio sia lo Stato, in considerazione del fatto che da un .suo organo viene inflitta la sanzione pecuniaria. Sorge infatti il dubbio se .debba stare in giudizio il Prefetto, per la sua qualit� di organo che ha ..emanato il provvedimento sanzionatorio, ovvero il Ministro dell'Interno, per la sua qualit� di organo posto al vertice di quella branca di Amministrazione .cui il Prefetto partecipa con vincoli di subordinazione gerarchica. La Suprema Corte affronta la questione, nella sentenza in esame, indivi .duando una priorit� logica nella soluzione del problema. Si pu� infatti stabilire quale sia l'organo abilitato a stare in giudizio soltanto dopo aver stabilito l'effettivo oggetto dell'opposizione proposta dall'interessato. Ambigua � infatti la formula adottata dal legislatore, il quale sembra qualificare l'ordinanza prefettizia come provvedimento plurimo, contenente cio� un atto san �zionatorio, con il quale viene determinata �la somma dovuta per la violazione .entro i limiti, minimo e massimo, stabiliti dalla legge� ed anche una ingiun zione di pagamento. Orbene, l'impugnativa proposta ex art. 9 sembrerebbe diretta -secondo un esame testuale -contro l'ingiunzione prefettizia giacch� all'espressione � co. stituisce titolo di pagamento � il legislatore ha aggiunto che � contro di essa � gli interessati possono proporre opposizione dinanzi al Pretore. In relazione a .ci� la stessa S.C. aveva gi� ritenuto che l'opposizione fosse diretta avverso l'ingiunzione di pagamento, la quale costituisce atto amministrativo, analogo alla ingiunzione fiscale (Cass. civ. 19 novembre 1973, n. 3097). E la dottrina (LAGOSTENA BASSI-RUBINI, La depenalizzazione, Milano 1969, 121) ha sottolineato le numerose analogie tra il sistema sanzionatorio introdotto dalla presente legge ed il sistema sanzionatorio esistente per la repressione delle trasgressioni in materia valutaria e di scambi con l'estero. Naturalmente nel giudizio promosso .dinnanzi al Pretore possono introdursi le questioni concernenti i presupposti, PAaTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE -227 mezzo_ di un organo diverso dal Ministro, se le norme organiche ci� con sentono. Il primo assunto del motivo � fondato. L'art. 9 della legge n. 317 del 1967 non menziona i soggetti ai, quali deve essere notificato il ricorso in opposizione con il ,pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di comparizione, limitandosi a stabilire che il Pretore fissa l'udienza di comparizione e dispone per la notificazione del ricorso e del decreto da attuarsi a cura della cancelleria. In sede di interpretazione della ,menzionata disposizione � stata avanzata l'ipotesi che, poich� il provvedimento emesso dalle autorit� contemplate dalla legge sulla-depenalizzazione, e cio� ,il Prefetto, il Sindaco ed il Presidente della Giunta Provinciale (art. 8) comprende anche l'ingiunzione di pagamento della somma costituente la sanzione pecuniaria e poich� la detta ingiunzione costituisce titolo esecutivo, come pi::ecisa il terzo comma dell'art. 9, di fatto e di diritto, della sanzione inflitta. Secondo il citato indirizzo giurisprudenziale, per�, l'esame delle questioni suddette avverrebbe incidenter tantum, quale antecedente logico dell'oggetto. del giudizio, che sarebbe appunto l'ingiun� zione prefettizia (Cass. Sez. Un. 28 marzo 1974, n. 845, in questa Rassegna 1974,, pag. 645, con nota critica di Gargiulo). Con l'accertamento dell'illegittimit� dell'ingiunzione prefettizia l'opponente intende contestare il diritto dell'Amministrazione a procedere in via esecutiva e numerose volte la giurisprudenza (vedasi tra le pi� recenti sentenze Cass. II, 19 ottobre 1974, n. 1301) ha sottolineato il parallelismo tra il rimedio giuridico in esame e quello ex art. 615 c.p.c. Nell'annotata sentenza la suprema Corte ritiene che oggetto della opposizione, promossa ai sensi dell'art. 9, non possa essere� l'ingiunzione di pagamento ed a tale soluzione giunge mediante un ragionamento a contrario~ , Qualora infatti si accogliesse la contraria opinione, il giudizio in parola dovrebbe configurarsi come opposizione all'esecuzione, con il quale cio� l'interessato conte-, sterebbe il diritto della Amm.ne a procedere in esecutivis. In siffatta ipotesi per� il contraddittorio dovrebbe instaurarsi con l'ente creditore della somma, mentre -secondo il S.C. -la normativa concernente il procedimento in que-, stione, pur non dichiarandolo esplicitamente, sembra indicare che controinteressata al ricorso sia l'autorit� che ha emanato l'atto. La Corte di Cassazione giunge pertanto alla conclusione che l'opposizione non sarebbe diretta avverso l'ingiunzione ma � contro la statuizione di accertamento dell'infrazione �, onde il giudizio medesimo riguarderebbe l'ingiunzione di pagamento soltanto per via riflessa. Sembra superfluo sottolineare il capovolgimento giurisprudenziale determinato dalla citata sentenza giacch� oggetto del giudizio diviene un atto (provvedimento sanzionatorio) che veniva, secondo l'opinione tradizionale, valutato in via incidentale e cio� quale presupposto dell'azione esecutiva promossa dalla Amministrazione. Ora � il momento esecutivo dell'ordinanza ad acquistare un rilievo incidentale, mentre l'interessato si avvale del rimedio giuridico previsto dall'art. 9 �per contestare, sotto l'aspetto formale e sostanziale, il provvedimento con il quale gli viene inflitta la sanzione pecuniaria->>. Dalla considerazione che l'opposizione in parola sarebbe diretta avverso l'ordinanza-sanzione del Prefetto, la suprema Corte trae il corollario che il 6 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il giudizio di opposizione di cui trattasi verrebbe a configurarsi, analogamente a quello regolato dall'art. 3 del r. d. 14 aprile 1910, n. 639, che disciplina la riscossione coattiva dell'entrata patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici, come un giudizio di opposizione all'esecuzione, con il quale: si contesterebbe il diritto dell'amministrazione a procedere all'esecuzione� coattiva; da questa premessa viene tratto il corollario che il contradditto-� rio dovrebbe instaurarsi nei confronti dell'ente creditore della somma che: l'opponente � obbligato a pagare come sanzione pecuniaria, ente che per quanto riguarda la violazione delle norme sulla circolazione stradale di. cui allo art. 1 lett. a) della legge 317 del 1967, pu� essere, in base a quanto dispone l'art. 139 del cod. della strada richiamato dall'art. 6 della legge� n. 317, lo Stato, la Provincia o il Comune, secondo i casi ivi previsti. La prospettata interpretazione non pu� essere condivisa. In effetti l'ordinanza di cui all'art. 9 della legge del 1967, n. 317,. comprende oltre l'ingiunzione, anche una statuizione con la quale l'au-� contraddittorio, nel giudizio de quo, debba instaurarsi con il suddetto organo e non con il competente Ministero. L'emanazione dell'atto sanzionatorio rientrerebbe, secondo il S.C., nella. competenza funzionale del Prefetto, onde si verificherebbe una deroga al pri~-� cipio cl.ella abilitaziorie del Ministro a stare in giudizio, prevista dall'art. 1 della. legge 25 marzo 1958, n. 260. La precitata sentenza, la quale potrebbe sembrare -ad un esame superfi" ciale -un improvviso capovolgimento della giurisprudenza, trova le sue pre-� messe in alcune sentenze della Corte Costituzionale e della stessa suprema. Corte. Di tale evoluzione possiamo individuare due momenti fondamentali: il primo concernente l'individuazione della causa petendi del giudizio promosso� ex art. 9 ed il secondo, strettamente connesso al primo, riguardante il peti-� tum del giudizio medesimo. Prima della pronunzia della Corte Costituzionale del 4 marzo 1970, n. 32 vi era il dubbio che l'interessato non potesse vantare un diritto soggettivo nei confronti dell'atto sanzionatorio. Onde l'opponente poteva contestare, dinnanzil al giudice ordinario, il solo diritto dell'Amm.ne a procedere in esecutivis, fatta salva naturalmente la possibilit� del giudice medesimo di valutare incidenter tantum i presupposti, di fatto e di diritto, dell'azione esecutiva. A. meno che non si ritenesse (come hanno sostenuto alcuni scrittori, tra cui SANDULLI, Manuale, Napoli 1971, pag. 746 segg.) che il giudizio di opposizione in parola costituisse un'ipotesi eccezionale di giurisdizione del giudice ordinario in materia di interessi legittimi (teoria ripresa dal Pretore nella sentenza cassata. dalla suprema Corte). La Corte Costituzionale ha ritenuto, nella sopra� menzionata sentenza, che il provvedimento sanzionatorio costituisce � atto dovuto � e non ha pertanto carattere discrezionale, onde nessuna preclusione sussiste alla titolarit� di un diritto soggettivo in capo all'interessato. Tale diritto �� quello all'integrit� del proprio patrimonio, diritto costituzionalmente garantito� dall'art. 23 e non esposto ad affievolimento. La motivazione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale � stata. d'altra parte recepita dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 23 giugno 1972,. n. 2088 (in questa Rassegna 1972, I, 778). I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 229 torit� accerta gli estremi di fatto e diritto della infrazione, come emerge dal testo stesso del citato articolo 9, che dispone che le autorit� indicate sentiti gli interessati, ove questi ne facciano richiesta, determinano con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione entro i limiti massimi e minimi stabiliti dalla legge. Ora � evidente che l'opposizione cui lo stesso articolo si riferisce non pu� appuntarsi che contro la statuizione di accertamento dell'infrazione e solo indirettamente investe l'esecuzione forzata concernente propriamente l'ingiunzione. Infatti, l'opposizione � un rimedio concesso al condannato per contestare, ~otto l'aspetto formale e ~ostanziale, il provvedimento con il quale gli viene inflitta la sanzione pecuniaria ed ottenere la dichiarazione d'illegittimit� del provvedimento stesso. In altri termini, l'opposizione introduce una contestazione di merito, rispetto alla quale il momento esecutivo dell'ordinanza non viene in discussione in forma diretta. Ci� � confermato dal rilievo che � in un I:i;i. tale s~t~~a viene ribadito il princ1p10 che l'atto sanzionatorio non ha canittere discrezionale giacch� la determinazione della sanzione da applicare implica una valutazione obbiettiva della gravit� dell'infrazione, cui � sottratta qualsiasi considerazione di opportunit� o convenienza. Dalla puntualizzazione della causa petendi del giudizio ad una nuova qualificazione del petitum il passo �appare breve. Una volta chiarito che l'atto sanzionatorio viene ad incidere su un diritto soggettivo perfetto dell'interessato, non potrebbe escludersi -sotto il profilo teorico -che il giudice ordinario abbia diretta cognizione del suddetto provvedimento in virt� dell'art. 2 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. La Suprema Corte, nell'annotata sentenza, non si preoccupa affatto del problema conceri:J.ente la qualificazione della causa petendi ed individua l'oggetto del ricorso nel provvedimento sanzionatorio. Viene data per scontata, cio�, la competenza del giudice adito a conoscere dalla controversia in parola e non sembra dubbio che, secondo il S.C., il giudizio di opposizione trovi la propria causa petendi nel diritto soggettivo dell'interessato, violato appunto dal provvedimento sanzionatorio. A tale considerazione si giunge dalla constatazione che la Corte di Cassazione non ha affatto esaminato la tesi prospettata dal Pretore (ovverosia di una eccezionale ipotesi di competenza del giudice ordinario in materia di interessi legittimi), per cui qeve ritenersi che, secondo l'avviso del S.C., l'art. 9 in esame non avrebbe apportato alcuna deroga ai generali principi della giurisdizione. Non potrebbe dirsi per� che la� Corte di Cassazione abbia rimosso ogni dubbio al riguardo giacch�, una vo}ta chiarito che l'atto sanzionatorio incide su di un diritto soggettivo dell'interessato, non viene certamente ad esclu�lersi la eventuale fondatezza della opinione tradizionale, secondo la quale l'opposizione ex art. 9 avrebbe natura analoga al rimedio concesso, in applicazione dell'abrogato sistema tributario, nei confronti dell'ingiunzione fiscale. Anche l'accertamento tributario incide su di un diritto soggettivo dell'interessato, ma l'opposizione dinnanzi al giudice ordinario viene (o meglio veniva) proposta avverso l'ingiunzione fiscale, onde non potrebbe escludersi in linea di principio un'analoga struttura al giudizio di opposizione de quo. Tanto � vero che, come si � antecedentemente posto in rilievo, l'esame del citato art. 9 sembra indicare che oggetto dell'opposizione sia proprio !Z30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO sr~m' articolo diverso dall'art.\ 9, e precisamente nell'art. 13, che la legge n. 317 regola la� esecuzione forzata dell'ingiunzione. Precisata nei termini indicati la finalit� dell'opposizione disciplinata dall'art. 9, appare chiaro che la legittimata al relativo giudizio, � l'autorit� che ha emesso l'ordinanza; � detta autorit� infatti, che ha uno specifico interesse alla conservazione dell'ordinanza stessa, e non gi� l'ente creditore, il quale � interessato soltanto alla fase dell'esecuzione forzata dell'ordinanza. � Alla stregua degli enunciati rilievi si pu�, quindi, concludere che nel giudizio di opposizione di cui all'art. 9, la legitimatio ad causam spetta all'autorit� che ha emesso l'ordinanza, contro la quale l'opposizione deve essere proposta. Questa conclusione si presenta del tutto piana in rapporto alle ipotesi in cui l'ordinanza sia emessa dal Sindaco o dal Presidente della Giunta Provinciale, quali organi rappre l'ingiunzione di pagamento, qualora si parta dalla premessa, a nostro avviso ineontrovertibile, che l'ordinanza prefettizia abbia la natura di provvedimento plurimo.. Il� fatto � che la suprema Corte parte dal postulato che il contraddittorio -ove il rimedio in esame si qualificasse come opposizione all'esecuzione dovrebbe necessariamente instaurare con l'ente creditore. E dalla impossibilit� logica e giuridica di un simile contraddittorio, il S.C. giunge alla conclusione che oggetto dell'opposizione sia appunto il provvedimento sanzionatorio. Sembra tuttavia da '.escludere, qualsivoglia sia la natura dell'opposizione proposta ai sensi del menzionato art. 9, che l'ente creditore possa qualificarsi come il soggetto legittimato passivamente nel giudizio. Tale opinione. si fonda sull'esame della legge 24 dicembre 1975, n. 706, concernente il sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l'ammenda, la quale ha disposto che (art. 8, quarto comma), in caso di marn:;ato pagamento della sanzione pecuniaria � le autorit� che hanno emesso l'ordinanza, procedono alla riscossione della somma dovuta mediante esecuzione forzata con l'osservanza delle norme del testo unico approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 �. Tale precisazione, la quale non era contenuta nella legge 1967 n. 317, indica chiaramente che il contraddittorio -anche in sede di opposizione alla esecuzione forzata -debba necessariamente instaurarsi con l'autorit� che ha emesso l'ordinanza, in quanto l'unica abilitata alla riscossione coattiva della sanzione pecuniaria. N� potrebbe ritenersi che il regime dell'opposizione, previsto dalle due sopramenzionate leggi sulla depenalizzazione, sia diverso, giacch� il sesto comma dell'art. 8 della legge 706 richiama espressamente il procedimento previsto dal:l.'art. 9 della legge 317. Nel cadere il postulato della suprema Corte, giacch� in nessun caso l'ente creditore potrebbe essere il legittimato passivo dell'opposizione alla luce della pi� recente normativa, si ripropone il dilemma sull'oggetto della opposizione: provvedimento sanzionatorio ovvero ingiunzione prefettizia? La questione, in effetti, avrebbe una rilevanza prevalentemente teorica, giacch� l'opposizione assumerebbe diversa configurazione, a seconda se venga recepita l'una o l'altra teoria. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 231 sentativi di amministrazioni, che sono centri autonomi di specifiche attribuzioni e che sono dotate di propria personalit� giuridica. Con riferimento, invece, al caso in cui sia il prefetto ad emettere l'ordi nanza, in materia di violazione alle norme sulla circolazione stradale; si profila il quesito se la legitimatio ad causam, relativamente al giu dizio di opposizione, spetta al Prefetto oppure al Ministero dell'Interno; il questio trae origine dalla constatazione che il Prefetto � dal punto di vista organico inquadrato nella ru:nministrazione dell'interno e dalla supposizione che il Prefetto quando esercita il potere di ordinanza ex art. 9, lo esplichi quale organo dipendente del Ministero dell'Interno, nell'ambito di una attribuzione a questo direttamente pertinente. Per dare una corretta risposta al quesito, occorre procedere all'esatta ricostruzione della posizione del Prefetto in seno all'amministrazidrie dello Stato. In proposito, va osservato che il Prefetto rappresenta nella Provincia il Governo nella sua unit�; essendo la pi� alta autorit�. nel� Si osserva tuttavia che sia la legge 1967 n. 317 (art. 13) .che la legge 1975 . n. 706 (art. 8) dichiarano espressamente che l"esecuzi()ne forzata avverr� se��mdo le modalit� previste dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639. Orbene, qualora si ritenga che l'opposizione venga proposta avverso �il prov vedimento sanzionatorio, non potrebbe escludersi un. ulteriore gravame avverso l'ingiunzione di pagamento ai sensi dell'art. 3 della legge 1910 n. 639. Non sembra per� ammissibile che possano esperirsi due gravami, di di~. versa natura, avverso altrettanti atti contenuti in un provvedimento plurimo . e, pertanto, inscindibilmente legati l'uno con l'altro e la cui notifica avviene contestualmente. Sembra preferibile, pertanto, ritenere che l'opposizione giudiziaria, in ma~ teria di sanzioni depenalizzate, abbia carattere unitario e concerna, in via diretta ed immediata, l'ingiunzione di pagamento e, di riflesso quale presup posto del suddetto atto, il provvedimento sanzionatorio. Tale opposizione tro verebbe, nel citato art. 9, una specifica disciplina in deroga . alle disposizioni del t.u. 1910 n. 639 (p.e. per quanto concerne la competenza ~unzionale del Pretore, la quale prescinde dal valore delle somme in contestazione). Si condivide, quindi, l'avviso espresso dalla suprema Corte -e cio� che il contraddittorio debba necessariamente instaurarsi con l'autorit� che lia. ema nato l'atto -malgrado che lo scrivente abbia manifestato diversa opinione sul l'oggetto dell'opposizione di cui trattasi. I,.a decisione della Corte sull'abilitazione del Prefetto a . stare in giudizio -in deroga all'art. 1 della legge 1958 n. 260 il quale prevede la competenza del Ministro -� comunque valida, sia che si aderisca all'una ovvero all'�ltra opinione. , Il Prefetto infatti � competente, in via esclusiva, sia alla irrogazione della sanzione. che all'ingiunzione del pagamento della relativa somma. In relazione a ci�, l'opponente deve instaurare il giudizio di opposizione con il Prefetto, per la su� qualit� di autorit� che ha emanato l'atto opposto, rientrante appunto nella sua competenza funzionale. FABRlZIO FOGLIETTI RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO l'ambito provinciale, compete al Prefetto dare impulso, coordinazione e direttive a tutta la vita politico-amministrativa della Provincia; inoltre, esso sovraintende alla tutela dell'ordine pubblico e dell'igiene pubblica; infine, spetta, altres�, al Prefetto vigilare sull'andamento delle pubbliche amministrazioni della Provincia. Nello svolgimento di tali suoi compiti, esso dipende dal Ministero dell'Interno e da tutti gli altri ministeri ai quali di volta in volta la sua azione fa capo in particolare. Questo rapporto di dipendenza molteplice comporta -su un piano generale -che i provvedimenti del Prefetto sono impugnabili in via gerarchica davanti a quello, tra i vari Ministeri, nella cui sfera di competenza specifica rientra la materia in ordine alla quale � stato adottato il provvedimento da impugnare. Tuttavia, in alcune sfere di attivit� il pref~tto si presenta come organo �:munito di 'Una propria autonomia funzionale che lo svincola obiettivamente dalla dipendenza da alcun Ministero; il Prefetto per materie di sua esclusiva e specifica attribuzione esercita un potere che non � subordinato a quello delle superiori autorit� ministeriali, fra queste compreso il Ministero dell'Interno, nel quale il Prefetto � organicamente inquadrato. Di conseguenza, il provvedimento emesso dal Prefetto in base a queste sue proprie e specifiche attribuzioni, essendo espressione di una piena autonomia funzionale, non � impugnabile in via gerarchica. Una tale autonomia funzionale si riscontra in tema di espropriazione per pubblica utilit�; le varie 'leggi che regolano la materie attribuiscono al Prefetto il potere di emettere il decreto di esproprio e di disporre l'occupazione di urgenza (1. 25 giugno 1865, n. 2359 -I. 22 ottobre 1971 n. 865). Tali poteri gli sono assegnati come propri fuori di ogni dipendenza dal Ministero dell'Interno o di altro Ministero; tanto � vero che i relativi decreti di esproprio e di occupazione d'urgenza non sono impugnabili in via gerarchica e che l'art. 5 della citata legge del 1865, dispone che l'atto di opposizione alla stima deve� essere notificato direttamente al Prefetto. Una analoga posizione di autonomia del .Prefetto � venuta a determinarsi per effetto della legge n. 317 del 1967, che nel modificare il sistema delle sazioni in materia di circolazione stradale, attribuisce al Prefetto il potere di emettere ordinanza motivata di condanna al pagamento di una somma a titolo di sanzione pecuniaria per le violazioni delle norme del codice della strada punite con la sola pena dell'ammenda. L'indicato potere di ordinanza del Prefetto rientra in una sua sfera di compiuta autonomia rispetto alla quale non � ravvisabile alcuna dipendenza dal Ministero� �dell'Interno o da altro Ministero. Questa assoluta indipendenza del Prefetto nell'emettere l'ordinanza di condanna in tema di circolazione stradale, si traduce sul �piano processuale nella I ! I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 233 :Sua capacit� di essere parte nel giudizio di opposizione contro l'ordinanza da lui emessa. Pertanto, il giudizio che viene ad instaurarsi davanti al Pretore a seguito dell'opposizione promossa dall'ingiunto, ha .come legittimi contraddittori da un lato l'opponente, dall'altro il Prefetto, il quale � l'unica autorit� che ha legitimatio ad causam nel detto :giudizio. Applicando i principi esposti alla fattispecie in esame, va conclu �sivamente affermato che nel giudizio di opposizione proposto dai Ric �ciardi contro l'ordinanza del Prefetto di Roma, che li condannava in solido al pagamento di lire 130.000 per l'infrazione prevista dall'art. 121 -cod. strad. legittimato a resistere alla opposizione, � il Prefetto di Roma e non il Ministero dello Interno. -(Omissis). �CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 gennaio 1976, n. 227 � Pres. Stile � Rel. Vessia � P. M. Silocchi (conf.) � Ministero interni (avv. Stato Siconolfi) c. Mariani (avv. Fabrizio). �Responsabilit� civile � Responsabilit� della p.a. per danni arrecati a terzi dai propri dipendenti � Responsabilit� diretta � Criteri dell'imputazione � Nessi di occasionalit� necessaria tra l'attivit� del dipendente e le incombenze affidate � Abuso di potere strumentalmente connesso con i fini istituzionali dell'Ente � Riferibilit� dell'evento dannoso alla p. a. � Sussiste. La pubblica Amministrazione risponde, immediatamente e direttamente per i fatti illeciti dei suoi dipendenti, quali che siano le man� .sioni esplicate (di concetto, d'ordine, intellettuali e materiali), sempre che sussista non solo il nesso di causalit� obbiettiva tra il comportamento del dipendente e l'evento dannoso, ma anch� la riferibilit� alla p.a. del comportamento stesso (1). (1-2) Negli stessi termini, per un analogo caso, cfr. Cass. 21 febbraio 1966, n. 551. in questa Rassegna, 1966, I, 344, con nota di richiami. Non risulta, a quanto � dato constatare, nelle successive pronunzie della -Corte di Cassazione, un mutamento di indirizzo; cfr. Cass., SS. UU., 20 dicem� �ore 1967, n...2980, in Giust.. (;:iv. 'Mass., 1967, 1550, e Foro it. Rep. 1968, 205, 2283; in c.ui si.afferma testualmente.. che�� Soltanto il fine strettamente personale ed egoistico da cui il dipendente � mosso, che si riveli assoluta:r..ente estraneo ;all'amministrazione ed escluda ogni collegamento di necessaria occasionalit� .con i poteri propri dell'agente, pu� impedire il riferimento all'amministrazi�me dell'atto compiuto in violazione dei diritti dei terzi �. La tendenza medesima risulta infatti accolta in ulteriori pronunzie del :Supremo Collegio a sezione semplice, come � dato notare in Cass. 21 febbraio 1969, n. 600, in Foro it. Rep. 1969, 202, 2392; e Giust. Civ. Mass. 1969, 311 (con nota di richiami), la quale ribadisce che ... �Il fine personale ed egoistico, da RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO E riferibile alla p.a. l'attivit� del dipendente, qualora questa sia e si manifesti come attivit� dell'ente, cio� tenda al conseguimento dei fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni di ufficio, avendo riguardo non gi� alle operazioni intermedie, pur concettualmente distinguibili in relazione alle rispettive finalit� di carattere appunto intermedio nelle quali si articola ogni attivit� diretta al conseguimento di un dato scopo, ma avendo riguardo alla finalit� terminale cui tende l'attivit� nel suo complesso senza che abbia rilevanza il fatto che, nel corso delle operazioni, il dipendente compia un abuso di poteri che, pur determinato �da esigenze egoistiche, appaia strumentalmente connesso, anche in modo anomalo, con i fini istituzionali dell'ente (2). (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione degli Interni deduce la violazione dell'art. 2043 e.e. e dei principi relativi a:lla responsabilit� della pubblica Amministrazione�, nonch� la contradditforiet� della motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). Sostiene che l'attivit� del dipendente non � riferibile alla Amministrazione quando si sostanzi in un abuso di potere e quando il fatto cui il funzionario o � il dipendente dello Stato o di altri enti pubblici risulti mosso, del tutto estraneo a quello perseguito dall'amministrazione, se vale ad escludere ogni nesso di occasionalit� necessaria con i poteri propri dell'agente, impedisce il riferimento all'amministrazione dell'atto compiuto in violazione dei diritti di terzi, ma lascia sussistere la diretta responsabilit� .del funzionario o del dipendente �. � . Di particolare interesse si� presenta -con riferimento al tema trattato nella sentenza sopra riportata -'--la pronunzia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 17 dicembre 1970, n. 2700 (la massima pu� leggersi in Giust. Civ . . Mass. 1970, 1403) ove, ribadita la responsabilit� dello Stato e degli enti pubblici per l'operato dei propri organi, la si esclude qualora l'attivit� del funzionario,. anche se rientrante in astratto nella sfera di competenza e di attribuzione dell'Ente, non sia diretta all'attuazione di scopi propri dell'Ente medesimo, cui il dipendente appartiene, ma al conseguimento di scopi propri di altro Ente, che si avvale dell'attivit� dei dipendenti di quell'ente al quale il dipendente appartiene. Si segnala infine la. tendenza della Corte di Cassazione ad adottare il parametro del .collegamento concreto effettivo dell'agente con la pubblica Amministrazione, al di l� del formale atto di nomina o di inquadramento nei ruoli, ai fini dell'impu~azione del fatto e quindi della responsabilit� di questo alla p. a. cfr. Cass. 7 febbraio 1974, n. 330, in Giur. it., 1974, 53, 3110: �Ai fini della riferibilit� dell'atto illecito ad �U�J.a persona giuridica pubblica, non � necessario, n� sufficiente che l'agente sia inquadrato nei ruoli del personale dell'ente, ma � invece rilevante che egli abbia agito nell'ambito di mansioni affidategli per il soddisfacimento dell'interesse pubblico dall'ente perseguito�. CESARE LAMBERTI ~ r: i I: f f ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE dannoso � derivato, come nella specie, proprio e solo dall'illecito uso� dei mezzi strumentali adoperati (auto privata); n� pu� intendersi sufficiente il rapporto di occasionalit� necessaria con l'incarico ricevuto,. secondo concetti e principi elaborati in relazione alla responsabilit� d� cui all'art. 2049 e.e. La censura � infondata. Invero, lo Stato e gli altri enti pubblici ~on possono agire che. a: mezzo dei propri organi: l'operato di questi non � di soggetti distinti, ma degli enti stessi nei quali essi si immedesimano: ed � in virt� di tale �rapporto organico che la responsabilit� derivante dalla loro attivit� risale appunto .alle persone giuridiche pubbliche delle quali sono espressione (Cass. Sez. Un. 17 dicembre 1970, n. 2700; Cass. 27 novembre 1973, n. 3243 e 25 settembre 1967, n. 1950). L'Amministrazione pubblica risponde, immediatamente e direttamente: (e non indirettamente, per rapporto institorio) per i fatti illeciti dei suoi dipendenti, quali che siano le mansioni espletate (di concetto o� d'ordine, intellettuali o materiali) e indipendentemente dalla responsabilit� degli stessi (Cass. Sez. Un. 6 maggio 1971, n. 1282; 12 giugno� 1967, n. 1448). L'art. 28 della Costituzione che ha previsto quest'ultima non ha inteso� immutare la natura della responsabilit� diretta dell'Amministrazione �� sanzionare il principio della responsabilit� indiretta, ma ha solo voluto� sancire accanto ad essa quella propria degli autori dei fatti lesivi dellesituazioni giuridiche altmi (Cass. 29 gennaio 1964, n. 233; 3 agosto 19'54r 11. 2831). Perch� ricorra tale responsabilit� della P.A. non basta, certo, come sottolinea la ricorrente, il semplice comportamento lesivo del dipendente; deve sussistere, infatti, non solo il nesso di causaW� obiettiva tra iI comporta~ento del dipendente e l'evento dannoso, -~a, anche, la riferibilif� alla Amministrazione del comportamento stesso (Cass. Sez. Un. 20 dicembre 1967, n. 2980). A tale ultimo riguardo deve, per�, riconoscersi che l'attivit� pu� essere riferita all'ente medesimo, cio� tenda al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio e del servizio� al quale esso dipendente � addetto (sent. ult. cit. v. inoltre: Cass. 12' luglio 1974, n. 2107).. Tale riferimento all'ente pu� venir meno sofo. quando il dipendente agisca come un semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, che si rilevi assolutamente estraneo� all'Amministrazione -o addirittura contrari.o ai fini che questa persegue -ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente (v., oltre sent. dianzi citata: Cass. Un. 4 gennaio 1964, n. 3; Cass. 19 giugno 1967, n: 1448; 30 novembre 1963, n. 3069; 31 marzo 1960r n. 708; 13. novembre 1957, n. 4377; 9 maggio 1952, n. 1312). 236 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO In particolare, per accertare la sussistenza di tale nesso tra l'attivit� del dipendente e le incombenze ad esso affidate, occorre aver riguardo :non gi� alle operazioni intermedie, pur concettualmente distinguibili in relazione alle rispettive finalit� di carattere appunto intermedio� nelle .quali si articola normalmente ogni attivit� diretta al conseguimento .di un dato scopo, ma alla finalit� terminale cui tende l'attivit� nel :suo complesso. N� tal nesso vien meno per il solo fatto che nel corso .delle predette operazioni, il dipendente commetta abuso di poteri, qua1ora questo, anche se eventualmente determinato da esigenze puramente �egoistiche, appaia strumentalmente connesso, pur se in modo �anomalo, con i fini istituzionali dell'ente (Cass. 21 febbraio 1966, n. 551). Il che non � in contrasto -come sostiene la ricorrente, con la natura sopra indicata (diretta) della responsabilit� dell'ente, rispetto a .quella indiretta ex art. 2049 cod. civ. Infatti, le due responsabilit� sono e restano fondate su titoli di- versi, anche se per entrambe occorre, nei rispettivi ambiti, un certo ieollegamento tra l'attivit� dannosa posta in essere da un individuo e Je esplicazioni delle incombenze ad esso conferita da un dato soggetto. Nella responsabilit� indiretta, � nei casi di sussistenza di un rapporto sostanziale tra azione ed incarico (che ricorre non solo nell'ipotesi di nesso rigoroso di causalit�, ma anche in quella di occasionalit� necessaria) che deve, a miglior tutela del danneggiato, rispondere degli effetti pregiudizievoli del fatto il soggetto che ha conferito l'incarico, pur se il fatto stesso � e resta dell'autore. In quella diretta, � la pecu1iare natura del rapporto che lega all'ente pubblico il dipendente, che fa identificare il fatto di questo ultimo come proprio dell'ente, s� che � l'ente stesso che di esso, in quanto tale, indipendentemente dall'evenil: uale responsabilit� di chi l'ha compiuto, deve rispondere nei confronti del danneggiato. Anche qui deve esservi relazione tra l'attivit� e le mansioni esplicate, s� da derivare da essa, quale azione dell'ente, gli indi �cati effetti: altrimenti il fatto resta proprio ed esclusivo dell'agente. E tale relazione sussiste non solo quando l'azione di questi coincida con �quanto strettamente e secondo tutta regolarit� debba essere posto in .essere per siffatta esplicazione, ma anche quando si svolga con qual �che deviazione o anomalia nelle relative con�i:<;!te operazioni: l'essen: ziale � elle . esso t�nda pUr� sempre al perseguimento� del fine dell'ente, in connessione con le attribuzioni di esso dipendente; solo se l'attivit� 1del dipendente decampi completamente da tale� ambito -operando egli :al di fuori di esso, per fini personali ed egoistici, senza attinenza alcuna �con gli scopi dell'ente e le proprie incombenze -si potr� riconoscere nella stessa, con le relative conseguenze, un'azione non gi� dell'ente medesimo, ma solo ed esclusivo di esso agente. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 237 ' La stessa ricorrente fin1sce per riconoscere che solo la totale estra: neit� ai fini dell'ente dell'attivit� posta in essere dal dipendente esclude la riferibilit� di questa all'Amministrazione medesima: tale estraneit�, per�, non pu� essere con;ie si � detto, ristretta ad un singolo momento �Operativo, ma deve essere stabilita con rifedmento allo scopo finale proprio dell'ente -che l'agente, nell'esplicazione della sua attivit� com- plessivamente considerata in relazione alle mansioni affidategli, persegue. Nella specie, l'incarico affidato al Lentini era l'accompagnamento dei profughi da Roma a Farfa Sabina. Naturalmente, tale incarico, nella sua .esecuzione, si scindeva in una serie di operazioni � intermedie: prelievo .delle persone, trasporto, consegna al centro profughi. Ed � in ordine da un luqgo,.alFaltro -che si � avuta la lamentata iniziativa personale .di esso Lantini nella scelta del mezzo da usare (veicolo proprio, anzi. ch� di linea pubblica). Ma tale iniziativa, se pu� rilevare -perch� in violazione di dedotte disposizioni relative -nell'ambito del rapporto :interno di servizio ai fini disciplinari, non pu� certo interrompere il richiesto nesso tra l'incarico e l'evento ai fini della responsabilit� della .Amministrazione per le conseguenze lesive derivate dall'esecuzione con. creta dell'iniziativa stessa. Questa invero, anche se ispirata da motivi per: sonali ed egoistici, �riguardava solo e per una data modalit� la singola .operazione intermedia, la quale si inseriv� pur sempre, anche se in modo anomalo, ma con rapporto di stretta strumentalit�, nell'espleta: mento dell'incarico che costituiva lo scopo terminale dell'attivit� dell'agente e quindi il raggiungimento del fine perseguito dall'Amministra; zione. Siffatta iniziativa, quindi, che inseriva solo ad un segmento della .esecuzione dell'incombenza affidata al Lentini, non ha impresso certo all'operazione relativa e all'attivit� svolta dal Lentini quel carattere di .:assoluta estraneit� alle attribuzioni del medesimo e ai fini dell'Amministrazione,' che solo poteva far ritenere spezzato il nesso necessario per riferire l'operato di esso dipendente all'Amministrazione stessa ai fini ,della relativa responsabilit� per le conseguenze dannose derivatene (in tali sensi, per un caso analogo: Cass. 21 febbraio 1966 cit.). -(Omissis). �CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 6 febbraio 1976, n. 421 � Pres. Brocca - ReL Guerrieri -P. M. Silocchi (cor�f.) -Ministero dei trasporti (�vv. Stato De Francisci) C. Pozzati (avv. Puma). :Responsabilit� .civile � DannL � -Illecito ..-Pregiudizio .economico � Nozione. :Impiego pubblico � Illecito � Morte dell'impiegato � Pregiudizio economico Sviluppo della carrlei:a � Ammissibilit�. 238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Impiego pubblico -Illecito -Pregiudizio economico -Maggiore indennit� di liquidazione � Ammissibilit�. Ai fini della valutazione del danno cagionato da fatto illecito, occorre tener conto di qualsiasi pregiudizio economico cagionato dal fatto al terzo, donde l'obbligo gravante sull'autore del danno in cui si sarebbe venuto a trovare qualora il fatto non si fosse verificato (1). La valutazione in concreto del depauperamento determinatosi nell'ambito familiare in seguito alla �morte del capo famiglia comprende anche gli incrementi dei quali lo stipendio di costui si sarebbe giovato secondo la normalit.� �dello sviluppo della carri�a. di appartenenza (2). � Deve altres� considerarsi parte degli incrementi sopra menzionati da liquidarsi in favore dei germani la quota della maggiore indennit� di liquidazione di cui lo stipendio del genitore avrebbe certamente beneficiato in caso di normale cessazione del rapporto di lavoro (3); (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso l'amministrazione ri corrente, denunciando violazione. degli artt. 2043, 2056, cod. civ., in rela zione agli art. 360 n. 3 c.p.c., sostiene che la determinazione dell'am montare del risarcimento spettante ai congiu11ti della persona deceduta a seguito del fatto illecito d� un terzo va operata' in riferimento all'im porto reale delle sovvenzioni che il defunto effettu,ava a loro favore. La Corte di. merito avrebbe perci� errato -secondo la ricorrente nel porre a base del computo del risarcimento; anzich� il reddito di (1-2) Giurisprudenza costante sul princ1p10 secondo cui la liquidazione dei danni. futuri va fatta con riferimento alla durata effettiva della vita del dan neggiato cfr. Cass. 25 febbraio 1967, n. 437, in Foro it. Rep. 1967, I, 2184, (195). Per l'affermazione che il risarcimento del danno futuro deve ricomprendere la utilit� economica percepita dalla vittima in modo costante e� durevole, � cfr. Cass. 15 dicembre 1966, n. 2951, Foro lt. Rep. 1967, I, 2188, (238); Cass. 22 ago sto 1964, n. 2563, ivi Rep. 1966, 2456 (276). Con riguardo all'estensione dell'obbligo del risarcimento degli emolumenti legati all'ulteriore sviluppo di carriera del soggetto passivo dell'illecito vedi Cass. 2 aprile 1963, n. 810, Foro it .Rep. 1963, 2412 (280): Cass. 17 novembre 1972, n. 3133, ivi, Rep. 1962, 2256 (367); Giust. Civ. Rep. 1969, 1,' 772 (101). (3) Giurisprudenza costante. Nel senso che il risarcimento del danno ricomprenda le aspettative cui i familiari della vittima hanno diritto in. base al rapporto di lavoro dipendente del loro congiunto, cfr. Cass. 18 febbraio 1961, n. 348, Foro Jt. Rep. 1962, I, 2526, (373) (374). Il principio � stato comunque ritenuto operante ex adverso, con riguardo a quegli emolumenti che sarebbero venuti meno al lavoratore nel caso di decorso del tempo (detrazione dell'ammontare del risarcimento degli assegni familiari la cui cessazione � legata al raggiungimento della maggiore et� dei figli): Cass. 7 ottobre 1974, n. 2530, Foro it. Rep. 1974, I, 2406. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 239 lavoro percetto dalla vittima (nel caso di specie il padre dei ricorrenti) al momento del sinistro, il maggior credito che il defunto avrebbe potuto percepire nel futuro e nel fare riferimento alla magg�ore indennit� di liquidazione che sarebbe eventualmente spettata al dante causa degli attori al momento della cessazioIJ.e del rapporto. La censura si rivela infondata. E ius receptum che, ai fini della valutazione del danno da fatto illecito, occorre tener conto di qualsiasi pregiudizio economico causato dal fatto del terzo, donde l'obbligo della restitutio in integrum, che si attua imponendo all'autore del danno di rimettere il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe venuto a trovare qualora il fatto non si fosse verificato. In conformit� a tale principio questa Corte Suprema, con una giurisprudenza cui si intende aderire, ha pi� volte affermato che, in materia di risarcimento di danni futuri, la risarcibilit� del danno � ammissibile in relazione alla certezza o rilevante grado di probabilit� di sovvenzioni durevoli e costanti di cui i congiunti superstiti gi� benefidavano o avrebbero beneficiato, e semprech� non si tratti di mera eventualit� d'ipotetica realizzazione di insorgenza del danno (Cass. 22 agosto 1964, n. 2365; Cass. 17 novembre 1962, n. 3133). Correttamente, pertanto, la Corte di Il!erito ha ritenuto che, ai fini di valutare in concreto il depauperamento determinatosi nel patrimonio dei germani Pozzati a seguito della morte del loro padre, andavano considerati gli incrementi, dei quali lo stipendio di costui si sarebbe giovato, secondo la normalit� dello sviluppo della carriera di appartenenza. D'altra parte, la ricorrente, nel menzionare, a conforto della propria tesi, la sentenza d' questa Corte Suprema n. 3929 del 1969 -secondo cui il risarcimento del danno patrimoniale dei congiunti di persona de ceduta a � causa di fatto illecito postula l'accertamento che i predetti siano stati privati di utilit� di cui gi� beneficiavano -ha omesso di considerare che tale principio veniva affermato in relazione alla eventua lit�, che esclude ogni possibilit� di danno patrimoniale, che dal. venir meno della vita altrui non deriv� per i familiari del morto la perdita di prestazioni e vantaggi economici legati alla esistenza della vittima, potendo invece la morte provocare soltanto la perdita di affetto, di con forto, appoggi o morale e cos� via. La tesi del ricorrente, che sposta gli esatti termini della questione all'esame di questa Corte, non pu� pertanto essere condivisa. Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne l'attribuzione di una ulteriore quota di L. 2.000.000 in favore di ciascuno dei germani Gino e Franco Pozzati, quale quota della maggiore indennit� di liqui dazione di cui essi avrebbero presumibilmente beneficiato nella ipotesi di normale cessazione del rapporto di lavoro del loro genitore. -(Omissis). ��ᥥᥥᥥ����������� �������.�.�.��.�.�.�.�.�.�.�.�.��.��.�.�.�����.��y-;r.z.;r-�.-.-.�.;.��������-�ᥥ��������.�����.-.-...,.,..-.-.�.�.�r.�.:-:-:�Z�"���������"�"�'.::�"�"�"�"�'.�'. 240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 febbraio 1976, n. 447 -Pres. Rossi Est. Santosuosso -P. M. Trotta (conf.) -Regione Siciliana (avv. Stato Tarin) c. Perdichizzi (avv. Vacca). Espropriazione per p.u. � Occupazione illegittima -Interessi legali -Sca-� denza -Anatocismo � Limiti. Sulle somme liquidate a titolo di risarcimento di danno per occupazione illegittima gli interessi � scadono � non al momento in cui cominciano a decorrere gli interessi legali (domanda giudiziale), ma al momento in cui diviene attuale ed esigibile l'obbligo del loro pagamentor e cio� quando, con la pronuncia definitiva (o almeno esecutiva) tali crediti diventano esigibili e, di conseg_uenza essi possono, a loro volta, produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale proposta dopo l'anzidetta pronunzia (1). (Omissis). -Premesso che i giudici di merito hanno riconosciut0> dovuti, sugli interessi legali -per le somme liquidate a titolo di risarcimento per l'occupazione illegittima di mq. 143 e per quelle ultrabiennale dei mq. 440 (lett. a e d dell'esposizione in fatto) -anche gli interessi composti a decorrere dal 18 ottobre 1966 (data della richiesta in sede di precisazione delle conclusioni) fino al soddisfo, i ricorrenti deducono che l'anatocismo non doveva ritenersi applicabile nella specie, in quanto l'obbligo di corrispondere gli interessi legali non era �scaduto�. Osservano, in proposito, che gli interessi relativi a crediti derivanti da risarcimento di danni per occupazione illegittima �scadono�, non al momento in cui cominciano a decorrere gli interessi legali (domanda. giudiziale), ma al momento in cui diviene attuale ed esigibile l'obbligo� del loro pagamento, e cio�, quando, con la pronuncia definitiva o almen0> esecutiva, tali crediti diventano esigibili. Quest'unico motivo del ricorso risulta fondato. Il resistente si � limitato ad affermare che sugli interessi legali sono� altres� dovuti gli interessi composti a decorrere dalla data in cui sian0> stati espressamente richiesti e cita, dei precedenti giurisprudenziali, che si riferiscono per� agli interessi legali dovuti sull'indennit� di occupazione. I principi applicabili in tema di anatocismo sono invece quelli affermati in altra giurisprudenza (Cass. 26 aprile 1968, n. 1285; 29 luglio 1974, PARTE I,. SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 241' n. 2290), secondo cui gli interessi maturati in corso di giudizio sopra crediti incerti ed illiquidi, diventano esigibili con la sentenza che accerta. e liquida la somma dovuta e non possono, a loro volta, produrre interessi se non dal giorno della domanda giudiziale proposta dopo l'anzidetta sentenza. � stato, in proposito, osservato che, avvenuto l'accertamento giudiziale di crediti incerti ed illiquidi, gli interessi, per l'effetto retroattivo� della sentenza dichiarativa, cominciano a decorrere, sulla somma che sia. stata accertata dovuta, dal giorno della domanda. Il termine inizialedel decorso degli interessi non va, per�, confuso con la data in cui scade l'obbligo del loro pagamento, cio� con la data in cui gli interessi, dovendoessere pagati dal debitore, diventano esigibili; ed � proprio la data di � scadenza � degli interessi che rileva ai fini dell'applicabilit� dell'ana-tocismo. Nell'ipotesi del credito accertato con pronuncia giudiziale, la data di_ scadenza degli interessi coincide con la data di detta pronuncia, giacch�' solo in tale momento viene affermato l'obbligo del pagamento degli interessi maturati nel corso del giudizio sulla son;ima <!..cce~ta; e solo� in tale momento, pertanto, il termine stabilito per il loro pagamento� pu� considerarsi scaduto e g1i interessi stessi possono ritenersi esigibili. Nella specie, quindi, erroneamente i giudici di merito hanno indi-� cato nella data (18 ottobre 1966) della richiesta in sede di precisazione-delle conclusioni, il momento di decorrenza degli interessi composti, i quali, invece, possono considerarsi esigibili solo in base alla sentenza.che ha affermato l'obbligo del pagamento degli interessi legali, per cui� l'anatocismo pu� operare solo dal giorno della domanda giudiziale che� sia proposta dopo l'anzidetta sentenza. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1976, n. 514 -Pres. Capo-raso -Est. Falletti -P. M. Berri (conf.) -Garofalo (avv. Leone) c.. Ministero della P.I. (avv. Stato Conti). Demanio e patrimonio -Demanio storico e ortistico -Pronuncia della� Commissione prevista dall'art. 31 della legge n. 1089 del 1939 -Natura.. La pronuncia della Commissione prevista dall'art. 31 della legge� l� giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico non ha carattere di lodo arbitrale, bens� si inquadra nel procedilnento amministrativo che si conclude con l'esercizio della facolt� dt 242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO S.TATO � prelazione spettante alla p.a.; esprime, cio�, una determinazione tecnica .che esclude un riesame in sede amministrativa ma pu� essere impugnata .dinanzi al giudice ordinario (1). (Omissis). -Entrambi i ricorsi, pur essendo opposte le tesi finali .a cui ciascuno � rivolto (da un lato, la tesi che la pronuncia della commissione prevista dall'art. �31 della legge 1� giugno 1939, n. 1089 costituisca un giudizio arbitrale; dall'altro, la tesi che quella pronuncia costituisca invece una determinazione d'ordine amministrativo), confluiscono tuttavia nel rilievo preminente di un'uguale censura: poich� entrambi .denunciano che la corte d'appello, ritenendo non arbitrale la pronuncia in oggetto e dichiarando quindi improponibile davan~i a s� la sua impu_ gnazione ex art. 828 c.p.c. (dichiarando cio� la propria incompetenza funzionale a conoscere della causa), ha violato l'art. 45 c.p.c. La censura � fondata. Il ministero, infatti, coerentemente alla sua tesi, aveva proposto la causa davanti al tribunale, quale giudice di primo _grado, ivi chiedendo che. la determinazione estimativa della commissione. fosse dichiarata nulla per eccesso di potere; ma il tribunale, affermando viceversa che la pronuncia impugnata aveva carattere giurisdizionale, .aveva dichiarato la propria incompetenza. Nel conflitto, dunque, dei rispettivi giudizi e nei termini di una fattispecie come quella prevista .dall'art. 45 cit., la Corte d'appello, anzich� concludere il processo e disattendere la domanda per la sua improponibilit�, doveva chiedere d'ufficio il regolamento di competenza. N� l'adozione imprescindibile di codesto rimedio era altrimenti preclusa dal fatto che il ministero (in contrasto .questa volta col tenore ancora fermo della propria domanda) si fosse apparentemente adeguato alla sentenza del tribunale, �riassumendo� la �Causa davanti al giudice dichiarato competente: invero il dovere del _giudice ad quem, in caso di conflitto, di rilevare anch'esso la propria incompetenza a norma dell'art. 45 c.p.c., trova unico fondamento nella legge, non nel potere dispositivo delle parti; il suo esercizio pertanto non pu� essere impedito n� dal contegno acquiescente delle parti n� da loro istanze conformi alla pronuncia del giudice a quo (cfr. Cass. 1955, n. 1938). . Occorre quindi che si provveda in questa sede alla designazione del :giudice competente, davanti al quale il processo riceva il suo svolgimento (cfr. Cass. 1974, n. 3760). (1) Cfr. per l'analoga fattispecie in tema di pronuncia del Collegio arbitrale di cui al IV comma dell'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, �Corte Cost. 6 giugno 1968, n. 62, in Riv. giur. ed. 1968, I, 649, con nota di ALIBRANDI; Sez. Un. 14 gi�gno 1971, n. 1824, in Foro it. 1971, I, 1857, con nota. PARTE I; SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Il problema, aprendosi qui il divario delle tesi hinc inde, consiste appunto nello stabilite se la determinazione pecuniaria emessa a norma dell'art. 31' cit. dalla commissione ivi prevista abbia o meno natura giurisdizionale, se dett� commissione cio� svolga funzioni di arbitro e esprima soltanto una valutazione d'indole tecnica, sia pure i.nsindacabile e irrevocabile (art. 31 cit.). Chiari argomenti (non d'aspetto formale e contingente, come quello che la corte d'appello ha ravvisato nella specie, rilevando che la stima de qua non venne n� depositata n� dichiarata esecutiva, secondo i requisiti prescritti dall'art. 825 c.p.c. per il lodo arbitrale, ma preventivamente connaturati nell'essenza intrinseca dell'atto) conducono a respingere la tesi della pronuncia giurisdizionale. La commissione di cui all'art. 31 interviene quando la prelazione ex lege riguardi una cosa �alienata insieme con altre per un unico corrispettivo�, ed occorra quindi sceverare, entro la misura di codesto corrispettivo, quale sia il prezzo di alienazione e quindi di pubblico riacquisto pertinente, alla cosa prelata. Si tratta dunque, con testuale evidenza, di una valutazione tecnica, non autonomamente intesa a . determinare in senso assoluto il prezzo della cosa, ma pregiudicatamente limitata ad esprimere una stima proporzionale, a vagliare cio� quanto dell'� unico corrispettivo � vada ad essa attribuito rispetto alle � altre � cose non prelate. Prelazione � nella. specie il termine descrittivo di una fac_olt� (o piuttosto di un potere) non similabile alla comune prelazione contrattuale; essa � esercitata dallo Stato _nell'esplicazione, appunto, di un potere di supremazia, mediante cui l'acquisto viene coattivamente imposto al privato per il conseguimento di un interesse pubblico, e la propriet� passa ipso jure allo Stato nell'atto .stesso del provvedimento relativo (vedi art. 32 legge n. 1089 cit. e cfr. Cass. 1962, n. 2613). Si attua cos�, in realt�, come opportunamente osserva la difesa erariale, un provvedimento espropriativo, in ordine .al quale l'atto della commissione (entro i limiti anzidetti) tiene luogo della stima peritale esperibile nell'ordinario procedimento di espropriazione (artt. 24 e segg. t.u. 25 giugno 1865, n. 2359). Non c'� dunque, a questo riguardo, la necessit� di dirimere una lite relativamente ad un rapporto ormai .costituito, ma quella di integrare il rapporto stesso mediante la determinazione di un elemento negoziale (prezzo proporzionale) rimasto ancora imprecisato. � questa una funzione amministrativa, come amministratore � l'organo (straordinario) cui essa � demandata: tipico, in tal senso, � il suo nome (commissione), e tipicamente amministrativi sono gli attributi dell'insindacabilit� e dell'irrevocabilit� assegnati alla sua determinazione, che ne escludono ogni riesame in sede amministrativa ed ogni rivalutazione di merito. 244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La fattispecie corrisponde a quella analogamente descritta nell'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1127 per la determinazione dell'indennit� dovuta dai trasgressori delle norme sulla protezione delle bellezze natu rali. Conforme, pertanto, nel solco dei principi giurisprudenziali corre lativamente, acquisiti, � la soluzione da darsi all'analogo problema del l'attuale fattispecie (cfr. Corte Cost. 1968, n. 62; Cass. S.U. 1971, n. 1824). Il proseguimento del giudizio va dunque rimesso, per ragioni di competenza, al tribunale di Napoli. -(Omissi.<;). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 febbraio 1976, n. 597 -Pres. Boccia -Est. Milano -P. M. Del Grosso (conf.) -Soc. Mobiloil (avv. Vitiello) c. Caiazzo (avv. Barbantini) e Ministero dei LL.PP. (avv. Stato� Imponente). Procedimento civile � Intervento � Intervento adesivo dipendente � Nozione . , Applicazioni in �tema di giudizio di esproprio nelle zone industriali di Napoli. Ricorre la figura dell'intervento principale quando si faccia valere nella causa un diritto relativo all'oggetto e dipendente dal titolo dedotto nel processo nei confronti di tutte le parti,� ricorre la figura dell'intervento adesivo autonomo quanto si faccia valere un diritto nei confronti di una soltanto delle parti, mentre ricorre la figura dell'intervento adesivo dipendente quando si faccia valere non un diritto bens� un interesse (legittimo) (e cio� una posizione pi� attenuata del diritto) nei confronti di una o di alcune soltanto delle parti, senza che venga posta una nuova domanda che amplia il tema del contendere, ma si interloquisce nella: causa pendente tra le parti originarie che, anche dopo l'intervento, rimane l'unica controversia del processo (applicazione in tema di espropriazione pronunciata a favore del Provveditorato alle 00.PP. di un: terreno sito nella zona industriale di Napoli e nel relativo giudizio era intervenuta la societ� beneficiaria dell'esproprio facendo proprie le difese della p.a.) (1). (1) Esatta applicazione dei principi sull'intervento adesivo dipendente nel'. giudizio avente ad oggetto un'espropriazione nella zona industriale di Napoli, nel quale era intervenuta la societ� beneficiaria dell'esproprio. Sul principio generale cfr. Cass. 28 settembre 1973, n. 2433, Foro it., 1974, I, 1161; Cass. 7 giugno 1974, n. 1696, Por. it. Rep., 1974, voce intervento, n. 54. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 245 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1976, n. 759 -Pres. Mirabelli � Rel. Giuliano -P. M. Serio (conf.) � Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Tarin) c. Rescigno. Espropriazione per p.u. � Opere pubbliche comunali previste dalla legge n. 517 del 1945 � Giudizi di risarcimento dei danni derivanti da occupazione illegittima � Legittimazione passiva � Spetta allo Stato e non all'Ente locale. Nel giudizio di risarcimento dei lavori derivanti da occupazione illegittima per la costruzione di un'opera pubblica (strada comunale) ai sensi della legge 10 agosto 1945, n. 517 la legittimazione passiva spetta non al Comune, ma allo Stato che si sostituisce all'ente locale nell'esecuzione delle opere pubbliche straordinarie, assumendo l'iniziativa della procedura espropriativa e sostenendo le spese per l'esecuzione dei lavori (1). (1) Il principio affermato dalla massima si ricollega alla giurisprudenza consolidatasi in tema di delegazione amministrativa nel rapporto espropriativ9: cfr. Cass. 17 aprile 1972, n. 1204, in questa Rassegna 1972, I, 610. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (*) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (*) CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 4 dicembre 1975, n. 10 -Pres. Vetrano Est. Benvenuto -Traviglia (avv.ti Tafuri e Romano) c. Presidente Regione siciliana (avv. Stato Terranova) e Soprintendenza ai monumenti per la Sicilia orientale e Comune di Troina (n. c.). Competenza e giurisdizione -Sicilia -Bellezze naturali -Decreto presidenziale decisorio di gravame gerarchico contro atto della Sopraintendenza � Competenza Csi. � Conseguenza � Difetto di competenza dell'Ap. a risolvere contrasti di giurisprudenza. Il provvedimento col quale il Presidente della Regione siciliana decide sul ricorso gerarchico proposto contro un atto del Sopraintendente ai monumenti in materia di tutela di bellezze panoramiche � emanato in virt� dei poteri di cui al d.l.vo 30 giugno 1947, n. 567 (in relazione al d.l.lgt. 18 marzo 1944 n. 91), e quindi in veste non di organo di detta Regione, ma di organo decentrato dell'Amministrazione centrale dello Stato; pertanto, poich� nelle ipotesi di provvedimenti adottati dall'Autorit� regionale jure delegationis sussiste la competenza in primo grado del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ed in appello dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, l'Adunanza stessa � incompetente a decidere sulla rimessione del ricorso da parte del Consiglio di giustizia amministrativa predetto in vista di possibili contrasti giurisprudenziali su un punto di diritto (1). (Omissis). -Ai sensi dell'art. 5 del d.l.p. 6 maggio 1948, n. 654, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana in sede giurisdizionale ha, tra l'altro, competenza quale giudice di primo grado in ordine ai ricorsi avverso gli atti (riguardanti materie di interesse regio (1) Cfr., sulla prima parte della massima, VI Sez. 22 ottobre 1968, n. 557, Il Consiglio di Stato, 1968, I, 1648. In tema di competenza del Csi. dopo la dichiarazione di incostituzionalit� dell'art. 40 1. n. 1034 del 1971, cfr. GIANNINI M.S., Il tribunale regionale amministrativo della Sicilia feliciter restitutum, in Giur. cast. 1975, 1070; GIALLOMBARDO G., In margine alla sentenza della Corte costituzione 12 marzo 1975, n. 61, sulla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in Foro amm. 1975, II, 198. (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato l'avv. R. TAMIOZZO. ! ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA nale), emanati dalle Autorit� amministrative dello Stato aventi sede in Sicilia. La giurisprudenza ha chiarito che la competenza di primo grado dell'indicato Consiglio di giustizia amministrativa, sussiste anche nell'ipotesi in cui il provvedimento impugnato promani da un'Autorit� regionale che abbia agito iure delegationis, e cio� per delega dello Stato e, quindi, quale organo decentrato di esso. In tali casi -riconducibili tutti alla previsione del terzo comma del precitato art. 5 -la decisione pronunciata in primo grado, dal detto organo giurisdizionale � impugnabile con appello davanti all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato costituita secondo la sua composizione ordinaria. L'ammissibilit� dell'appello davanti questa Adunanza plenaria comporta che, nei summenzionati casi, � preclusa al Consiglio di giustizia ammillistrativa per la Regione siciliana la possibilit� di disporre -in vista di contrasti giurisprudenziali su di un punto diritto -la rimessione dei ricorsi all'Adunanza Plenaria stessa, integrata ai sensi del quarto comma, ultima parte, del citato art. 5. La conclusione ora esposta trova la sua base testuale nella formula iniziale del ricordato quarto comma (nella quale � detto che la potest� di rimessione � ammessa � fuori dei casi previsti dal comma precedente �), formula che, a sua volta, � espressione di un principio fondamentale per il quale non pu� essere eliminato arbitrio indicis un grado di giudizio. 2. -Nella specie trattasi, appunto, di una controversia in ordine alla quale hanno competenza a decidere il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana in primo grado e questa Adunanza plenaria in appello. I provvedimenti impugnati con i ricorsi giurisdizionali in esame attinenti alla tutela delle bellezze panoramiche -sono stati emanati, invero, dal Presidente della Regione siciliana in virt� dei poteri di cui al d.l.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567 (in relazione al d.l.vo 18 marzo 1944, n. 91), e, quindi, non in veste di organo di detta Regione, sibbene quale organo decentrato dell'Amministrazione centrale dello Stato (cfr. in proposito la decisione della Sez. VI 22 ottobre 1968, n. S57). Ci� risulta, a tacer d'altro, dal tenore delle premesse di detti provvedimenti. 3. -Poich� per le ragioni suesposte la remissione all'Adunanza plenaria ex quarto comma del summenzionato art. 5 non � nella specie ammissibile, consegue che questa Adunanza deve dichiarare in ordine ai ricorsi de quibus la propria incompetenza, restituendo i ricorsi stessi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione sicilian~. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1195 -Pres. Uccellatore -Est. Benvenuto -Mancini (avv.ti Gherzi, Gualandi e Jossa) c. E.N.P.A.S. (avv. Stato Azzariti). Giustizia amministrativa -Procedimento giurisdizionale -Rappresentanza in giudizio . E.N.P.A.S.. E' difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato � Mandato � Non occorre. Impiego pubblico � Infermit� e lesioni � Assistenza E.N.P.A.S. � Presta� zioni � Decisione del �Consiglio di amministrazioone su ricorso gerar� chico � Difetto di motivazione � Illegittimit�. L'Avvocatura dello Stato � abilitata ad assumere la rappresentanza e difesa dell'Ente nazionale di previdenza per i dipendenti statali (E.N.P.A.S.), nei giudizi attivi e passivi svolgentisi, tra l'altro, davanti al Consiglio di Stato, in virt� della norma di cui all'art. 26 l. 19 gennaio 1942, n. 22, in relazione all'art. 43 primo comma r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; pertanto, l'Avvocatura dello Stato, giusta il combinato disposto dell'art. 1 secondo comma e 45 r.d. n. 1611 del 1933 cit., pu� esercitare le sue funzioni di rappresentanza e difesa del detto Ente, senza bisogno di mandato, bastando che consti della sua qualit� (1). � illegittimo il provvedimento col quale il Consiglio di amministrazione dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali (E.N.P.A.S.) respinge il ricorso proposto da un assistito al fine di attenere il rimborso delle spese sostenute per prestazioni clinico-ospedaliere, senza enunciare, sia pure succintamente, le ragioni per le quali sia stata disattesa la deduzione diretta a far valere la pretesa al rimborso integrale delle spese (o comunque ad un rimborso di non molto inferiore rispetto all'ammontare di esse), ma limitandosi esclusivamente ad accordare, in relazione al proposto gravame, un contributo straordinario inteso a tacitare la richiesta di rimborso (2). Cfr. di recente, sul primo punto, Cass. Sez. Un., 24 febbraio 1975, n. 700 in questa Rassegna, 1975, I, 696. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 dicembre 1975, n. 1197 � Pres. Uccellatore -Est. Benvenuto -Zagolin (avv. Dallari) c. Ministero pubblica istruzione e Comune di Castelmaggiore (n.c.). Demanio e patrimonio � Demanio storico e artistico � Bellezze naturali . Dichiarazione di notevole interesse � Notificazione � Irregolarit� . Conseguenze. Atto amministrativo � Comunicazione e notificazione � Notificazione � Norme applicabili . R.D. n. 642 del 1907 � Inosservanza � Irregolarit� della notificazione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 249 Atto amministrativo � Comunicazione e notificazione � ,Notificazione a soggetto non legittimato � Nullit� e non irregolarit�. Demanio e patrimonio � Demanio storico e artistico � Bellezze naturali � Notificazione di notevole interesse � Notificazione � Cognizione legale � Necessaria � Conoscenza effettiva � Irrilevanza. Nel caso di bellezza naturale individua, l'obbligo di chiedere l'autoriz� zazione per lavori di costruzione, ai sensi dell'art. 7 l. 29 giugno 1939, n. 1497, in tanto sussiste, in quanto l'immobile sul quale si effettua la costruzione o al quale si arreca comunque modificazione sia stato oggetto .di notificata dichiarazione, in quanto cio� sia stata previamente notificata, al soggetto che all'epoca della procedura di vincolo ha in atto, giusta l'art. 6 primo comma l. cit., un particola.re rapporto con l'in,tmobile vincolato (il proprietario, normalmente), la dichiarazione ministeriale del no� tevole interesse pubblico -avente carattere recettizio -contemplata dallo� stesso art. 6; pertanto, sono illegittimi gli ordini di sospensione e di .demolizione di lavori di costruzione compiuti dal proprietario dell'immobile vincolato, ove la notificazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico sia stata effettuata senza che siano state seguite le modalit� del procedimento notificatorio la cui inosservanza importi la nullit� della notificazione stessa (nella specie, consegna del decreto di vincolo a persona non addetta alla casa del destinatario, che abbia ricevuto l'atto in casa propria, come vicino) (1). Il r.d. 17 agosto 1907, n. 642 detta, in materia di notificazioni relative ad atti e provvedimenti amministrativi, una disciplina organica e autonoma, talch� le disposizioni del Codice di procedura civile in tale materia, in tanto possono applicarsi alle notificazioni disciplinate dal r.d. cit., in quanto possono riguardarsi come espressioni di principi generali; pertanto, nei confronti di un provvedimento amminitrativo (nella specie, decreto di vincolq di bellezza naturale), non pu� farsi validamente luogo a notificazione mediante consegna a un vicino di casa, possibilit� ammessa dall'art. 139 terzo comma cod. proc. civ., ma non prevista dal r.d. n. 642 del 1907 cit. (2). La notificazione in via amministrativa mediante consegna ad un soggetto non legittimato alla recezione (nella specie, vicino di casa) � nullo e non gi� meramente irregolare (3). Agli. effetti della. notificazione della dichiarazione ministeriale di notevole interesse pubblico, ai sensi dell'art. 6 l. 29 giugno 1939, n. 1497, vale esclusivamente la cognizione legale, dato che l'esistenza della conoscenza effettiva, corrisponde meglio all'esigenza -che ispira la normativa in materia -di certezza obiettiva circa l'operativit� del vincolo; pertanto, l'effetto negativo della nullit� conseguente alla notificazione in (1-4) Applicazione esatta di principi pacifici. 250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO via amministrativa della dichiarazione in parola a soggetto non legittimato alla recezione non pu� essere escluso facendo leva sulla conoscenza � effettiva'" come elemento dotato di efficacia sanante del proce-dimento notificatorio invalido (4). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 dicembre 1975, n. 1250 -Pres. Uccellatore -Est. Giovannini -Fazio (avv.ti Casamassima e Di Gravior c. Ministero turismo e spettacolo (avv. Stato Sernicola). Impiego pubblico -Collocamento a riposo � Esodo volontario � Dirigenti. statali -Art. 67 D.P.R. n. 748 del 1972 -Dipendenti non cessati dal serv:!.zio ma passati alle Regioni -Inapplicabilit� del beneficio. Atto amministrativo � Eccesso cli potere -Disparit� di trattamento -At�� tivit� vincofata � Inconfigurabilit� del vizio -Precedente illegittimit� -� Non autorizza a perseverare nell'errore. Atto amministrativo -Motivazione -Obbligo -. Attivit� vincolata -][nsussistcnza dell'obbligo. Impiego pubblico � Dipendenti regionali -Trasferimento di dipendenti statali -Artt. 67 e 68 D.P.R. n. 748 del 1972 e artt. 10, 11 e 12 D.P.R. n. 6 del 1972 � Contrasto con gli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cost. Manifesta infondatezza. I benefici previsti dall'art. 67 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 per l'esodo� volontario dei dirigenti statali non sono applicabili nei confronti dei dipendenti che, in luogo di lasciare il servizio, siano stati inseriti nei contingenti destinati alle Regioni ai sensi del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6. In presenza di un'attivit� vincolata dalla P.A., la pretesa alla par con dicio non pu� basarsi su una precedente errata applicazione di una identica disposizione normativa (1). L'esigenza di una congrua motivazione si configura rispetto ai prov vedimenti di natura discrezionale e non anche a quelli vincolati, in quanto, rispetto a questi ultimi, ci� che unicamente rileva ai fini del sindacato giurisdizionale � che essi siano o meno conformi alle norme. La potest� dello Stato di legiferare in materia di primo trasferi mento degli impiegati statali alle Regioni � legittimata dalla VIII dispo sizione transitoria terzo comma Cast.; pertanto, � manifestamente infon data la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 67 e 68 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 e degli artt. 10, 11 e 12 d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6, in relazione agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 Cast., per avere lo Stato invaso la competenza delle Regioni, avendo a queste ultime imposto il recepimento di proprio personale. (1) Giurisprudenza costante. Cfr. Sez. V, 6 febbraio 1973, n. 72, Il Consiglio, di Stato, 1973, I, 189. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 25} CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 19 dicembre. 1975, n. 1325 -Pres. Uccellatore " Est. Schinaia -Moretti ed altri (avv. Lubrano) .c. Ministero tesoro, Presidente Consiglio dei ministri e Consiglio nazionale delle ricerche (avv. Stato Carbone). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale � Atto impugnabile o� no -Atto di controllo -Atto negativo su deliberazione di Ente pubblico -E' impugnabile. ' Giustizia amministrativa -Interesse all'impugnazione -In tema d.i pubblico impiego . Modificazioni di stato giuridico � Da parte di nuovO' regolamento . Interesse all'impugnazione � Sussiste. Impiego pubblico -Dipendenti Enti pubblici -Norme sulla diligenza sta-� tale -D.P.R. n. 748 del 1972 -Inapplicabilit� -Diniego di app:rovazionetutoria della deliberazione di estensione -Legittimit�. Impiego pubblico -Dipendenti C.N.R. -Norme applicabili -D.P.R. n. 748'� del 1972 -Applicabilit� solo al Segretarlo generale. � provvedimento impugnabile in sede giurisdizionale l'atto di controllo negativo adottato nell'esercizio del potere di vigilanza su una delibera di Ente pubblico. Gli impiegati di un Ente pubblico �sono titolari di una posizione giuridica di interesse legittimo rispetto alle modificazioni delle posizioni da parte di nuovi regolamenti organici del personale; pertanto, tali soggetti hanno interesse ad impugnare l'atto negativo di controllo adottato dall'Amministrazione che esercita il potere di vigilanza nei confronti di una delibera dell'Ente di appartenenza concernente la nuova struttura� organizzativa dell'Ente stesso. Col d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 sono state dettate norme (cos� come risulta dal titolo del decreto, esattamente espressivo del contenuto della legge) per disciplinare le funzioni dirigenziali delle Amministrazioni dello� Stato, anche ad ordinamento autonomo, e non anche per gli altri Ent{ pubblici,� pertanto, poich� la differenza organizzativa e strutturale degli Enti pubblici, rispetto a quella delle Amministrazioni dello Stato, non consente n� l'automatica e integrale applicazione del d.P.R. cit., n� la realizzazione delle finalit� che con esso si intende perseguire, legittimamente le Amministrazioni che esercitano il potere di vigilanza su un Ente pubblico (nella specie, Consiglio nazionale delle ricerche) negano l'approvazione della deliberazione con la quale il detto Ente estende al proprio personale direttivo le nor.me sulla dirigenza contenute nel d.P.R. n. 748 del 1972 cit. (1). (1) Cfr., ma per c:liversa fattispecie, Sez. VI, 25 settembre 1974, n. 268, Jr Consiglio di Stato, 1974, I, 1063. . 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A seguito dell'entrata in vigore della l. 22 dicembre 1960, n. 6113, il .Segretario generale del Consiglio nazionale delle ricerche � rimasto l'unico dipendente statale del detto Ente pubblico, nei cui confronti rimane operante il rinvio agli artt. 5 e 6 primo comma T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, delle leggi sul Consiglio di Stato, contenuto nel d.l.lgt. 1� marzo 1945, n. 82; pertanto, nei confronti del restante personale della carriera direttiva dell'Ente pubblico in questione non trovano applicazioni .le norme del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, sulla dirigenza statale, che disciplina, nell'ambito dell'Amministrazione dello Stato, la sola posizione giuridica, ormai relitto storico, del Segretario generale dell'Ente, a cui .� stata riconosciuta la qualifica di dirgente generale di livello C. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 19 dicembre 1975, n. 1327 -Pres. De Capua -Est. Giovannini -Setacci (avv.ti Bianchini Riccardi e Barillaro) c. Regione Umbria (avv. Brizioli) e Comune di Terni (avv.ti Fratini e Romanelli) -(Appello, T.A.R. Umbria 9 luglio 1974, n. 35). Giustizia amministrativa -Sentenze T .A.R. -Appello -Poteri del C.d.S. Correzione della motivazione -Ammissibilit�. Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione -Decreto di espropriazione -In sanatoria -Dopo la scadenza del termine di occupazione d',urgenza -Legittimit�. Espropriazione per pubblica utilit� -Espropriazione -Termini -Scadenza � Nuova dichiarazione di p.u. � Necessit� � Opera completamente eseguita � Irrilevanza. Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione . Termini -Espropriazione in sanatoria � Indicazione dei termini � Non occorre. Demanio e patrimonio� Patrimonio indisponibile �Opera appartenente ad Ente pubblico � ~ tale � Accessione, � lnconfigurabilit�. , Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione � Dichiarazione di p.u. � Legittimit� � Pendenza di giudizi� civile � Irrilevanza. Opere p~bbliche -Stadi(} ,comunale � Costr�iione � Norme. a~plic~blli' � ' L. n. 865 del 1971 � Applicabilit�. Espropriazione per pubblica uti.it� � Espropriazione � Impianto sportivo Disciplina -R.D.L. n. 302 del 1939 -Abrogazione ex I. n. 865 del 1971. Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione � Indennit� � Deter� minazione -Possibilit� di applicazione di pi� norme � Preferenza a quella che consente trattamento pi� uniforme. ~ I i I l I t I I - 253 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Atto amministrativo � Norme applicabili � Sono quelle vigenti alla data di emanazione. ln applicazione analogica dell'art. 384 secondo comma cod. proc. civ., e in virt� del principio generale di economia processuale, va riconosciuto al Consiglio di Stato in grado di appello il potere di correggere la motivazione di una decisione di primo grado, nella parte in cui essa non ha seguito l'ordine logico di esame delle censure proposte. L'esperimento del procedimento di espropriazione per pubblica utilit� � possibile e legittimo anche in mera funzione di sanatoria, al fine di regolamentare la situazione di opere gi� completamente realizzate in virt� di occupazione preliminare d'urgenza ormai scaduta, ovvero di pura e semplice occupazione abusiva (1). Dopo la scadenza dei termini finali stabiliti dall'originaria dichiarazione di pubblica utilit� per le espropriazioni e i lavori, la Pubblica amministrazione, al fine di procedere all'acquisizione coattiva del bene, deve emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilit�, anche se l'opera sia completamente eseguita ed aperta in concreto all'uso pubblico (2). Una volta ammessa la legittimit� di un procedimento di espropriazione con funzione meramente sanatoria, deve logicamente ammettersi la legittimit� di tutti gli adattamenti che tale genere di procedimento importa rispetto all'ordinario schema determinato dalla legge, adattamenti dei quali l'omissione della fissazione dei termini per l'inizio e la conclusione dei lavori nella dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera costituisce uno dei casi pi� ovvi ed evidenti (3). L'opera appartenente ad un Ente pubblico, in quanto realizzata per l'uso e il godimento della collettivit� e come tale destinata a servizio pubblico, ha natura di bene patrimoniale indisponibile, giusta il disposto dell'art. 826 terzo comma cod. civ., categoria di beni per la quale vige il principio della insottraibilit� alla destinazione loro demandata all'in� fuori dei modi prescritti dalle speciali leggi che li riguardano (art. 828 cod. civ.), pertanto, nei contratti dei detti beni non � applicabile, tra gli altri fatti ed atti giuridici incompatibili, con la loro destinazione, l'istituto dell'accessione, giacch� l'acquisto in virt� di esso della piena e libera propriet� dell'opera pubblica da parte del privato titolare del suolo finirebbe con l'escluderne totalmente il libero godimento, o quanto meno con il comportarne un radicale intrinseco mutamento, subordinan� done la persistenza alla mera volont� del nuovo proprietario (4). (1) Cfr. Ap'. 25 febbraio 1975, n. 2 e 12 luglio 1965, n. 18, Il Consiglio di Stato, 1975, I, 85; 1965, l, 1063. (2) Cfr. Ap. �5 febbraio 1975, n. 2, cit. (3) Cfr. IV Sez. 7 giugno 1967, n. 212 e 15 marzo 1967, n. 81, ivi, 1967, I, 1018 e 370. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 254 La legittimit� della dichiarazione di pubblica utilit� .non pu� essere infirmata dalla pendenza di un giudizio civile di risarcimento dei danni derivanti dall'abusiva occupazione del suolo (5). Le opere di urbanizzazione secondaria sono entit� destinate al servizio esclusivo o prevalente non gi� dell'intero territorio urbano, ma di singole parti di esso; pertanto, ai fini della costruzione di uno stadio comunale, legittimamente viene applicata la l. 22 ottobre 1971, n. 865, configurandosi nella specie un'opera pubblica la cui realizzazione � preordinata in vista della soddisfazione delle esigenze dell'intera collettivit�� cittadina. La l. 22 ottobre 1971, n. 865, che ha posto una normativa afferente ad ogni opera pubblica di competenza regionale, regola anche la realizzazione di impianti sportivi ogniqualvolta questi ultimi rivestono tale natura e rientrano in quella competenza; pertanto, in base al principi<> cronologico della successione delle norme nel tempo, tale legge ha abrogato, in parte qua, il r.d.l. 2 febbraio 1939, n. 302, non potendo logicamente lo stesso oggetto venire simultaneamente disciplinato da disposizioni fra loro incompatibili. L'operativit� nei confronti di distinti proprietari di procedimenti espropriativi ispirati a criteri di fissazione delle indennit� tra loro dif formi, pur non importando una vera e propria violazione del principio� di uguaglianza di cui all'art. 3 Cast., attesa la diversit� dei beni incisi, non pu� non apparire come confliggente quanto meno con astratti prin cip'� di equit�; pertanto, in sede di applicazione delle varie norme, deve farsi favore a quellq. interpretazione che consente la pi� ampia unifor mit� di trattamento. Gli atti e i provvedimenti amministrativi debbono essere formati: nel rispetto della normativa vigente al momento della_ loro emanazione, .ove non sia stata chiaramente stabilita dal legislatore la ultrattivit� della. normativa abrogata. (4) Cfr. Cass. 27 novembre 1973, n. 3258 e 18 marzo 1972, n. 821, ivi 1974, II, 145 e 1972, II, 652. (5) Cfr., sul principio generale, IV Sez. 30 ottobre 1973, n. 936, ivi, 1973, I,. 1301, e giurisprudenza ivi richiamata. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 12 dicembre 1975, n. 693 -Pres. Aru Est. Dato -Calabrese (avv. Guarino) c. Ministero poste e telecomunicazioni, Presidenza Consiglio dei ministri e Ministero riforma burocratica (avv. Stato Onufrio) e Mauria (n.c.). impiego pubblico � Collocamento a riposo -Competenza -Provvedimenti positivi o negativi -Competenza del Dirigente generale capo del personale. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Atto amministrativo -Atti soggetti a ricorso amministrativo -Avvertenza sul termine per ricorrere e. sull'Autorit� sovraordinata -Mancanza Irrilevanza sull'efficacia e validit� dell'atto. Impiego pubblico -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti Diritto -Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 1972 -Criterio di applicazione -Ex combattente ed assimilato -Combinazione con la l. n. 336 del 1970 -Limite. Impiego pubblico -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti Diritto -Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 1972 -Contrasto con l'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza. Impiego pubblico -Collocamento a riposo -Esodo volontario -Dirigenti Diritto -Personale tecnico -Art. 67 quinto comma D.P.R. n. 748 del 1972 -Contrasto con l'art. 3 Cost. -Manifesta infondatezza. L'art. 10 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 ha stabilito che spetta al Dirigente con funzioni di capo de( personale, salvo quanto attribuito alla competenza di altri organi, l'emanazione dei provvedimenti relativi allo stato giuridico, alla carriera ed al trattamento economico del personale; pertanto, rientrano nella competenza del Dirigente capo del personale sia i provvedimenti di collocamento a riposo, sia gli atti con cui si nega tale collocamento. L'inosservanza della norma contenuta nell'art. 1 ultimo comma d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, secondo la quale la comunicazione degli atti soggetti a ricorso amministrativo deve recare l'indicazione del termine e dell'organo cui il ricorso deve essere presentato, non importa l'ineffi� cacia o l'invalidit� dell'atto medesimo. Alla data di entrata in vigore del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, sulla dirigenza statale, i funzionari ex combattenti ed assimilati avevano gi� il diritto di chiedere il collocamento a riposo anticipato in virt� della l. 24 maggio 1970, n. 336, alle cui norme, ovviamente, il decreto delegato sulla dirigenza non poteva innovare, non essendo stato ci� previsto dalla legge di delega; pertanto, ai fini dell'interpretazione dell'art. 67 quinto comma d.P.R. n. 748 del 1972 cit., il quale prevede che l'esodo volontario per il personale tecnico possa avvenire solo nei limiti dei previsti contingenti, � da tener presente che il personale tecnico ex combattente, il quale gi� aveva ottenuto il beneficio di poter chiedere il collocamento a riposo recato dalla legge n. 336 del 1970, non soggiaceva ai detti limiti e poteva quindi optare per le agevolazioni previste dal citato d.P.R. sulla dirigenza, ferma, per�, l'impossibilit�, in tal caso, di fruire del 256 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO l'ulteriore beneficio dei cinque aumenti periodici di stipendio di cui al quarto comma del citato art. 67. La diversa situazione dei ruoli amministrativi e tecnici, in relazione alle esigenze funzionali dell'Amministrazione, giustifica la limitazione posta dall'art. 67 quinto comma d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 all'esodo dei funzionari tecnici,. nonch� l'esclusione del personale tecnico ex combattente (non rientrante nei limiti previsti) dal beneficio dell'aggiunta dei cinque aumenti periodici; pertanto, � manifestame71te infondata l'eccezione di legittimit� costituzionale dell'art. 67 quinto comma cit., sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cast. Il criterio selettivo introdotto dal legislatore (art. 67 quinto comma d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748) ai fini dell'ammissione all'esodo dei funzionari tecnici (precedenza data dall'ordine di presentazione delle domande e, a parit� di data, maggiore et� degli aspiranti) � idoneo ad assicurare la par condicio di tutti gli aspiranti, in quanto questi, appena pubblicato il decreto delegato, potevano presentare la domanda,� pertanto, � manifestamente infondata l'eccezione di legittimit� costituzionale del citato art. 67 quinto comma d.P.R. n. 748 del 1972 per violazione dell'art. 3 Cast., sotto il profilo dell'avere ancorato la selezione ad un fattore meramente estrinseco ed occasionale, assolutamente inidoneo a garantire la par condicio fra gli aspiranti. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1976, n. 9 -Pres. Rossi -Est. Sposato -P. M. Gentile (conf.) Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota) c. Iannaccone. Imposta di registro � Prescrizione � Consolidazione criterio di tassazione . Accertamento e concordato � Interrompono la prescrizione solo a vantaggio dell'Amministrazione � Decorrenza del termine dalla data della registrazione non dalla data del pagamento dell'imposta. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 9269, art. 136). Il termine triennale dell'art. 136 della legge di registro del 1923 decorre, agli effetti della consolidazione del criterio di tassazione dalla data della registrazione e non dalla data del pagamento dell'imposta, n� sul corso� della prescrizione a danno del �ontribuente. influisc:ono l'ac�ertamento di valore e il concordato il cui effetto interruttivo opera solo a vantaggio dell'Amministrazione (1). (Omissis). -I due ric<:>rsi debbono essere riuniti (art. 335 C.P.C.). Denunziando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 136, 140' e 141 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3269 e dell'art. 2943 C. C. e vizi di motivazione, l'Ammi�istrazione delle Finanze, ricorrente in via principale, im-� pugna la sentenza d'appello nella parte in cui essa ha ritenuto che l'atto interruttivo, proveniente da essa Amministrazione e consistente nell'accertamento di maggiore valore che dette inizio alla pratica conclusasi con il concordato del 29 febbraio 1960, abbia prodotto i suoi effetti anche a favore della contribuente. Il ricorso deve essere accolto. Diffatti, a norma dell'art. 141 della legge organica di registro del 1923, sotto il cui vigore � sorta e continua ad assere regolata l'obbligazione tributaria della quale si discute, atto idoneo� (1) La pronunzia, riallacciandosi a criteri pacificamente affermati (Cass. 3 luglio 1967, n. 1625 in questa Rassegna, 1967, I, 1041; 25 ottobre 1968, n. 3509, ivi, 1969, I, 280 con nota di C. Bafile) esattamente precisa che il termine della prescrizione del diritto di contestare la determinazione del titolo della tassazione decorre (per il contribuente e per l'Amministrazione) dalla data della registrazione (art. 136 secondo comma), mentre la domanda per rimborso di imposta pagata (art. 136 primo comma) riguarda ipotesi di rimborso fondate su cause diverse dalla correzione di errori sulla identificazione del titolo� tassabile. -�������.�.�.�.�.�.�.-;:.�.�.� �c�.r������.�.�.�.�.��:�'.�"�"�"�"�"�"."/.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.-;.-;.;.;.-;.-;.-;.-;�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.':�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.:i'.:'.'.:::�'.�'.-::� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO .ad interrompere la prescrizione in favore di ambe le parti � soltanto la domanda del contribuente in vi~ amministrativa per rimborso di tassa o per .opposizione a richiesta di tassa complementare o suppletiva. Gli altri atti interruttivi non possono giovare se non a colui che li compie e perci� l'avviso di accertamento di maggior valore ed il concordato, come riconoscimento da parte del contribuente dei diritti dell'Amministrazione Finan. ziaria, valgono come atti interruttivi della prescrizione soltanto � favore .della: Finanza. Accolto il ricorso principale deve essere preso in esame quello inciden �tale proposto condizionatamente all'accoglimento del primo; Con esso la Iannaccone sollecita un riesame del principio, pi� volte ,affermato da questa Corte Suprema, del consolidamento del criterio di tassazione, secondo il quale la possibilit� di revisione del. titolo di tassa~ zione si prescrive con il decorso del triennio� dalla data di registrazione .dell'atto, per cui, decorso il triennio, n� la Finanza n� il contribuente pos. sono far valere diritti che presuppongano la modificazione del predetto titolo. Secondo la ricorrente il principio sarebbe in contrasto con quanto testualmente dispone l'art. 136; primo, della citata iegge organica di regi. stro, che f� decorrere l'inizio del triennio per la prescriziorie dell'azione .del contribuente per chiedere la restituzione delle tasse dalla data del pagamento, e sarebbe, pi� in generale, in contrasto cbri il f�ndameniale principio che actioni nondum natae non praescribitur. Soggiunge che .semmai il consolidamento del criterio impositivo pu� trovare giustifica. zione quando si tratti di applicare supplementi o complementi d'imposta -nel qual caso si potrebbe ritenere incongruente applicare criteri diversi per l'imposta principale e per quelle complementari o suppletivi -ma non gi� quando, trattandosi di atto sottoposto a tassa fissa, nessuna ri. chiesta d'imposte suppletive o complementari � ipotizzabile. Le suesposte deduzioni sono prive di fondamento. La disposizione del primo comma dell'art. 136 lascia impregiudicata la questione della quale la Iannaccone sollecita il riesame, giacch� l'impugnazione del criterio impo. sitivo, ancorch� costituisca, a volte, il presupposto dell'azione del contribuente per la restituzione dell'imposta, �, per�, rispetto a tale azione, autonoma e distinta, sicch� la detta disposizione vale soltanto per i casi in .cui la restituzione venga richiesta in base ad una causa diversa da quella .dell'errore in cui. la Finanza sia incorsa nell'identificazione del titolo tassabile. Per quanto, invece, riguarda l'opposizione alla determinazione del titolo tassabile e le azioni di restituzione che ne presuppongano la modifica, � per il principio generale in materia di decorrenza della prescrizione che questa deve farsi decorrere dalla data di registrazione dell'atto. Difatti � sin da questa data che il contribuente � posto in grado di conoscere i criteri di applicazione dell'imposta adottati dall'ufficio impositore e, quindi, <li far valere il proprio diritto alla esatta applicazione del tributo. E di I l I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA '259 codesto principio generale si rinviene una precisa conferma nel secondo comma del citato art. 136 che, con particolare riguardo alle possibilit� di rettificazione da parte della Finanza, dispone che l'azione di questa per richiedere il pagamento delle tasse si prescrive col decorso di tre anni dalla data della registrazione dell'atto o contratto, se si tratta di supplemento di tassa: supplementi di tassa essendo. anche quelli che si richiedono in conseguenza dell'accertamento di errori od emissioni nella determinazione dei titoli tassabili (art. 7 della legge). Infine � da rilevare che non sussistono apprezzabili ragioni per ritenere che il principio del consolidamento del criterio impositivo non debba trovare. applicazione nell'ipotesi in cui l'errore dell'Ufficio sia consistito nell'applicazione dell'imposta proporzionale anzich� della tassa fissa. Tale ipotesi non �, difatti, essenzialmente dissimile . dalle altre giacch�, anche per essa, sussiste quella stessa questione circa l'esattezza del criterio di tassazione cl�e la Finanza pu� correggere allo scopo di ottenere i supplementi di imposta ed il contribuente pu� impugnare allo scopo di non pagare quanto gli viene richiesto o di conseguire il rimborso di quello che assume di avere indebitamente pagato. Pertanto il principio contestato dalla Ianna,ccone non � affatto condizionale dalla possibilit� della richiesta di imposte supplementari o complementari da parte della Finanza. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. J, 29 gennaio 1976, n. 273 -Pres. Rossi -Est. Granata -P. M. Pedace (conf.) -Soc. Cartiere del Timavo e Banca Commerciale Italiana (avv. Di Gioacchino) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Corsini). Imposte doganali -Regime di deposito franco e deposito franco -Nozione e distinzioni -Hanno carattere di extraterritorialit� -Introduzione di merci da essi in Italia -Da luogo a passaggio della linea doganale. (1. 8 luglio 1904, n. 351, art. 9; I. 25 settembre 1940, n. 1424, artt.. 4 e 7; t.u. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 164). Imposte doganali� Tariffa -D.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 -Ha valore di legge delegata -Criterio di onnicomprensivit� della tariffa per giudizio di assimilazione -Sussiste. (d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339). Imposta generale sull'entrata -Importazione -Presupposto -Passaggio dalla� linea doganale -�� sufficiente � Trasferimento di merci da una filiale alla sede principale -Irrilevanza. (1. 19 giugno 1940, n. 762, art. 17). 260 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Imposte doganali -Diritti amministrativi e diritti di statistica -Impor-� tazione da territori a regime di deposito franco -Sono dovuti -Abol�-� zi�ne a seguito di direttive C.E.E. -Esclusione. (I. 15 giugno 1950 n. 330, art. 2; d.P.R. 21 dicembre 1961 n. 1339, artt. 32 e 43). 'Il � regime di depo~ito franco � ha lo scopo di consentire una riduzione dei costi di produzione mediante l'attribuzione al relativo territorio del' carattere di extra territorialit�, onde rendere possibile l'introduzione inesenzione dei tributi doganali di materie e merci necessarie al processo� produttivo allo scopo di favorire lo sviluppo industriale di aree depresse e bisognevoli di incentivazione. Al contrario del tutto estranea all'esigenza;. dell'incentivazione � la figura del � deposito franco � in senso stretto che mira esclusivamente ad agevolare le operazioni commerciali con l'estero e� specialmente il commercio di transito consentendo il deposito e limitate� manipolazioni di materie importate dall'estero in edifici siti fuori della linea doganale. Tuttavia ambedue gli istituti hanno lo stesso carattere di extraterritorialit�, s� che l'introduzione nel territorio nazionale di merci provenienti dall'uno o dall'altro di_ questi depositi da luogo a passaggio della linea doganale a tutti gli effetti tributari (1). Il d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 ha valore di legge delegata e nellO' stabilire con le dispos~zioni prelimintLri le regole generali per l'interpretazione della tariffa adotta il criterio della onnicumprensivit� merceologica della tariffa stessa, secondo la regola che fo merci non classificabili in alcuna voce devono essere classificate nella voce relativa alle merci che con esse hanno maggiore analogia (2). L'imposta generale sull'entrata all'importazione � dovuta per l'importa-zione in s�, indipendentemente dalla sottostante esistenza di un atto di scambio. Di conseguenza � soggetta all'imposta l'introduzione di merci da: uno spazio con carattere di extraterritorialit� nel territorio doganale, anche se il passaggio interviene tra una filiale e la casa madre della stessa: impresa (3). (14) Decisione esattissima di ciri va segnalata l'approfondita motivazione.. Sulla prima massima v. la pronunzia delle Sez. Unite, citata nel testo, 22 marzo 1975, n. 1080 in Mass. Giur. it. 1975, 282. Sulla seconda massima � stato gi�. altre volte affermato che la classificazione di merci non nominate in tariffa. per giudizio di assimilazione con quelle che hanno maggiore analogia � una. interpretazione analogica eccezionalmente consentita, soggetta al controllo giurisdizionale dell'A.G.O., che ha appunto lo scopo di assicurare l'onnicomprensivit� della tariffa (Cass. 22 giugno 1971, n. 1957, in questa Rassegna, 1971, I,. 1185). Ineccepibile � la terza massima che esclude ogni rilevanza del fatto econo-mico sottostante all'importazione rilevante solo in quanto tale. L'ultima massima � una coerente applicazione della prima e esattamente puntualizza che� le direttive C.E.E. non possono riguardare importazioni non provenienti da. uno stato membro. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA I diritti amministrativi ed i diritti di statistica sono dovuti anche sulle importazioni da un territorio soggetto a regime di deposito franco o deposito franco in senso stretto, perch� anche questo passaggio della linea doganale da luogo ad emissione di bolletta; essi non sono stati aboliti con le direttive e.E.E. n. 1966/723 e n. 1968/31 che riguardano soltanto importazioni in provenienza dagli altri stati membri della e.E.E. (4). (Omissis). -Con il primo motivo, la societ� Cartiere del Timavo e la Banca Commerciale Italiana, ricorrenti, denunziano violazione e falsa applicazione dell'ordine n. 206/1950 del Governo Militare Alleato, confermato dal Commissario generale del Territorio di Trieste, dell'art. 17 legge 19 giugno 1940, n. 762, della legge 15 giugno 1950, n. 330 e dell'art. 42 d.p.r. 21 dicembre 1961, n. 1339, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. Sostengono che il � deposito franco � � fenomeno giuridico del tutto diverso dallo � stabilimento retto a regime di deposito franco �, dato che il primo � caratterizzato dalla fictio iuris della extraterritorialit�, senza che vi sia � alcuna agevolazione fiscale nel senso tecnico tributario di tale parola�, mentre il secondo �consiste precisamente ed esclusivamente nell'esenzione del pagamento dei diritti di confine sulle materie di provenienza estera impiegate nella lavorazione� e costituisce pertanto �una vera e propria agevolazione tributaria, cio� una rinuncia definitiva dello Stato ad un tributo che sarebbe altrimenti dovuto, rinuncia cui lo Stato per di pi� addiviene al fine di favorire... il sorgere e lo svilupparsi di attivit� industriali in zone economicamente depresse o, pi� in generale, in zone nelle quali si vuole incrementare la produzione industriale a preferenza che in altre �. -Orbene,� sarebbe in contrasto con siffatta ratio dell'istituto �il configurare un qualsiasi obbligo di (postumo, cio� ritardato) pagamento tributario�, giacch� il vantaggio... che... si � voluto assicurare alle imprese industriali operanti in una certa regione... sarebbe... annullato, se l'agevolazione... dovesse poi trovare il contrappeso dell'obbligo di pagamento di un'altra imposta su quello che � il naturale risultato della lavorazione stessa �, Sostengono ancora le ricorrenti che l'errore commesso dalla Corte di merito risulterebbe dalla stessa lettera � dei testi di legge dai quali sono contemplati i tributi che l'Amministrazione finanziaria ha preteso di applicare � sulla energia elettrica e sul vapore acqueo prodotti nella centrale termica retta a regime di deposito franco ed utilizzati dalla cartiera, � e che tutti si riferiscono ad ipotesi di importazione, nel senso di introduzione nel territorio dello Stato di merci provenienti da un territorio che � estero, o estero � considerato, nel suo complesso e nella forma di entit�, appunto, territoriale o geografica, mentre nella specie la centrale termica in cui si brucia il combustibile agevolato si trova nello Stato, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 262 onde l'energia elettrica ed il vapore acqueo in essa prodotti non possono dirsi provenienti dall'estero. Nessuno dei due profili, in cui la censura si articola, � fondato. Che �deposito franco� e �stabilimento retto a regime di deposito franco � siano fenomeni non coincidenti � affermazione, per un verso, esatta, ma, per altro verso, irrilevante ai fini della decisione. Come le Sezioni unite di questa Corte Suprema hanno recentemente sottolineato in diversa controversia fra la stessa amministrazione finanziaria e la societ� Cartiera Timavo oggi ricorrente (sent. 22 marzo 1975, ?� 1080), il �regime di deposito franco�, per la prima volta previsto ne.1l'art. 9 della legge 8 luglio 1904, n. 351 sullo sviluppo economico di Napoli e successivamente pi� volte, in via saltuaria e contingente, utilizzato da singole leggi volte a favorire lo sviluppo industriale di talune aree considerate depresse e bisognevoli di incentivazione, ha lo scopo di consentire una riduzione dei costi di produzione dalle imprese che impiantino stabilimenti industriali in tali zone, mediante l'attribuzione ad essi del carattere di extraterritorialit� doganale, onde diviene possibile introdurvi, in esenzione dei tributi doganali, materie prime e merci necessarie al processo produttivo. Invece, del tutto estranea alle esigenze di incentivazione dello sviluppo economico delle aree depresse � la figura del � deposit� franco � in senso stretto, che mira unicamente ad agevolare le operazioni commerciali con l'estero e specialmente il commercio di transito, consentendo il deposito e limitate. manipolazioni o trattamenti di materie prime e merci importate dall'estero, in appositi edifici siti fuori dalla linea doganale. La sostanziale diversit� fra gli scopi, cui i due istituti sono finalizzati, si ripercuote anche al livello della disciplina positiva: cos�, mentre i depositi franchi possono essere istituiti nelle principali citt� marittime o in localit� interne di particolare importanza ai fini del traffico con l'estero (art. 164 del t.u. approvato con d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43), invece la localizzazione delle industrie ,operanti in � regime di deposito franco � dipende esclusivamente dalle finalit� di sviluppo economico di zone depresse di volta in volta perseguite dal legislatore; cos� mentre nei depositi franchi sono consentite soltanto le manipolazioni usuali delle merci, destinate ad assicurarne la conservazione ovvero a migliorarne la qualit� commerciale, invece negli stabilimenti a �regime di deposito franco� l'esenzione concerne anche e soprattutto il � consumo � di materie prime e di fonti di energia impiegate nel corso del processo produttivo. Peraltro i due istituti hanno anche tratti comuni, e fra questi -decisivo per la soluzione della questione che qui interessa -quello della �extraterritorialit��, dalla legge conferito agli effetti doganali non solo al �deposito franco�, ma anche, contrariamente all'assunto delle ricorrenti ed in conformit� del rilievo incidentale della sentenza sopra citata, allo � stabilimento .retto a regime di deposito franco �. .. .. i I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Per quanto riguarda quest'ultima figura, � testuale infatti nell'art. 9, comma secondo, della citata legge n. 351 del .1904 la previsione che, nel caso di � stabilimenti retti a regime di deposito franco � a norma del comma precedente, gli stessi �saranno-considerati fuori della linea doganale e si renderanno ad essi applicabili tutte le disposizioni della legge 6 agosto 1876, n. 3261 �, cio� della legge che all'epoca regolava i depositi franchi. E poich� a norma degli artt. 4 e 7 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, � il passaggio della linea doganale il fatto giuridicamente considerato � importazione �, � evidente che sul piano letterale non possa dubitarsi della conclusione cui la Corte di merito � pervenuta: N� � vero che nel caso di regime retto a regime di deposito franco difettino momenti caratteristici della vera e propria importazione prevista dalla legge, quali lo � sdoganamento � e quindi l'intervento di un ufficio doganale. Basta ricordare infatti che gi� nella legge istitutiva -a parte il richiamo alla generale disciplina dei �depositi franchi� -sono specificamente previste �spese di vigilanza� e �indennit� (dovute ad impiegati ed agenti di finanza) per operazioni da compiersi nell'interno dello stabilimento � (art. 11, comma primo, legge n. 351 del 1904), mentre nef successivo regolamento di esecuzione � testualmente stabilito che l'edificio adibito a stabilimento retto a regime di deposito franco deve essere strutturato in modo che �presenti le garanzie necessarie per la tutela degli interessi erariali e si presti alla regolare esecuzione dei servizi doganali e della vigilanza � (art. 3, r.d. 5 settembre 1907, n. 630). Sul piano logico, poi, si risolve in una petizione di principio l'affermazione che la funzione incentivante o promozionale, in cui la ratio della normativa disciplinante la figura dello stabilimento retto a regime di deposito franco consiste, sarebbe vanificata dall'assoggettamento ad imposizione delle merci prodotte nello stabilimento utilizzando materie esenti da imposta. Infatti, la premessa della tesi, secondo la quale il risultato agevolativo finale dell'operazione dovrebbe coincidere definitivamente con il vantaggio originario dell'esenzione concessa sulle materie prime utilizzate, non solo � indimostrata, ma � nettamente smentita sul piano storico della constatazione che l'istituto -come messo in luce dalla dottrina che pi� di recente e con maggiore attenzione lo ha studiato ..,.-fu introdotto nell'ordinamento positivo con piena coscienza della sua limitata utilit�, cio� proprio con la consapevolezza che il fatto di trovarsi fuori della linea doganale avrebbe rappresentato un concreto beneficio solamente per gli stabilimenti industriali che lavorino esclusivamente per la esportazione ed abbiano bisogno, per la preparazione dei propri prodotti, di materie soggette ad alti dazi di confine e ad imposte di fabbricaizone, ovvero per gli stabilimenti i quali lavorino anche per il mercato interno. e debbano importare materie estere soggette a dazio, ma preparino prodotti esenti da 264 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dazio, o soggetti a dazio in misura inferiore a quella da cui sarebbero state colpite le materie incorporate nei prodotti stessi. Con il secondo motivo, si denw1zia violazione dell'art. 23 della Costituzione e del principio della specialit� dei tributi, violazione e falsa applicazione del d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 e della tariffa doganale da esso approvata, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Ad avviso delle ricorrenti, il preteso principio generale, postulato dalla sentenza impugnata, in forza del quale tutto ci� che pu� avere una utilizzazione economica traducibile in valore di scambio cadrebbe sotto l'imposizione doganale, non potrebbe trovare cittadinanza nell'ordinamento positivo perch� contraddetto dall'opposto principio della specialit� dei tributi, assunto a livello di garanzia costituzionale nell'art. 23 Cost. N� in contrario potrebbe argomentarsi dalla c.d. � onnicomprensivit� � della tariffa doganale, che si volesse desumere dall'art. 5 delle regole generali per l'interpretazione della tariffa medesima approvata con il d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339, perch� tale disposizione � priva di valore normativo, essendo contenuta in un decreto di natura e finalit� meramente esecutive, emesso in esito ad una delega legislativa avente per oggetto la sola autorizzazione ad approvare la tariffa doganale, e perch�, comunque, la stessa disposizione, ove le fosse effettivamente attribuibile valore di legge, sarebbe in contrasto con l'art. 23 Cost., il quale non consente che la imposizione tributaria sia rimessa, con la generica formula della � maggiore analogia �, alla determinazione discrezionale dell'Amministrazione. Aggiungono le ricorrenti che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il vapore acqueo non potrebbe -in linea subordinata -farsi rientrare per analogia sotto il n. 22.01 della citata tariffa doganale, n� comunque -in via di ulteriore subordine -nella sottovoce � altre � della predetta voce. Neppure tali censure possono trovare accoglimento. Il d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339, recante �approvazione della nuova tariffa dei dazi doganali di importazione con l'inquadramento delle sottovoci della tariffa nazionale in quelle corrispondenti della tariffa doganale esterna della Comunit� Economica Europea e con il regime daziario in vigore dal 1� gennaio 1962 �,ha valore di legge delegata nella sua interezza, perch� emesso in esecuzione della legge 20 dicembre 1960, n. 1527, richiamata nel preambolo, attributiva della � delega al Governo ad emanare provvedimenti per accelerare il ritmo delle modificazioni delle tariffe doganali stabilite dal Trattato istitutivo della Comunit� Economica Europea e per anticipare la progressiva instaurazione della tariffa doganale comune �. Fra i �provvedimenti� cos� delegati, da emanare �con l'osservanza dei principi... del Trattato istitutivo della Comunit� Economica Europea � (art. 1, prima parte), � espressamente menzionato quello necessario per � procedere, ai fini della instaurazione progressiva della tariffa doganale - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA -comune ai sensi dell'art. 23 del Trattato..., all'inquadramento delle sot tovoci della tariffa doganale nazionale in quelle corrispondenti della tariffa �doganale comune, apportando altres� alle sottovoci stesse, alle note legali �ed alle disposizioni preliminari della tariffa nazionale le aggiunte, le modi fiche e le soppressioni che si renderanno necessarie in dipendenza della :predetta instaurazione della tariffa comunitaria�. E questa Corte Supre ma (sent. 3 ottobre 1973, n. 2833) ha gi� avuto occasione di riconoscere valo -re normativo alle �regole generali per l'introduzione della tariffa dogana le�, comprese sotto la intitolazione �disposizioni preliminari� nella prima _parte della � nuova tariffa � approvata con il decreto citato. Al quale, d'ai tro canto, non pu� essere disconosciuto valore di legge anche perch� ema nato in attuazione degli obblighi _internazionali, imposti allo Stato italiano .dalla decisione del Consiglio dei Ministri C.E.E. 13 febbraio 1960, pure ri �chiamata nel preambolo, istitutiva della tariffa doganale comune ad essa :allegata, comprendente anche le �regole generali per l'interpretazione� �della tariffa stessa, il cui art. 5 � testualmente identico alla corrispondente .disposizione del d.P.R. del 1961, n. 1339. -Orbene, proprio il citato art. 5, :nello stabilire che � le merci... non classificabili in alcuna voce della tarif fa, devonno essere classificate nella voce relativa alle merci che con esse banno maggiore analogia �, canonizza quel principio generale della c.d. � onnicomprensivit� � merceologica della tariffa doganale, a torto negata .dalle ricorrenti. N� pu� affacciarsi un ragionevole dubbio �non manifestamente infon �dato �circa la sua legittimit� in relazione all'art. 23 Cost., posto che il rife. rimento normativo alla �maggiore analogia� offre un criterio ermeneu, tico sufficientemente preciso, destinato del resto ad essere in ultima istanza applicato dal giudice, in sede di controllo giurisdizionale sull'ope rato della pubblica amministrazione. La constata onnicomprensivit� della tariffa doganale caduca in radice :Stando alla sua stessa impostazione, la censura principale delle ricorrenti 'facendone cadere la premessa circa la non sussumibilit� del vapore acqueo in alcuna voce della tariffa stessa. Quanto al profilo subordinato relativo alla esatta classificazione del vapore acqueo fra le varie voci e sottovoci della tariffa, ne va rilevata la 'inammissibilit� per quanto attiene ai diritti di statistica ed ai diritti per i serv;~zi amll).inistrativi, avendo l'appello -sul punto proposto dalla sola �Cartiera -investito unicamente la questione della aliquota applicabile per l'I.G.E. Riguardo a quest'ultima imposta, invece, ne va rilevata la infon. datezza, non subendo l'aliquota alcuna variazione in ragione dell'una o .clell'altra classificazione. Con il terzo motivo, denunziandosi violazione degli artt. 1 e 17 della legge I.G.E. 19 giugno 1940 n. 762 e dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, si sostiene che nel caso di specie la c.d. I.G.E. all'importa RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO zione, di cui al citato art. 17, era inapplicabile, non potendosi ravvisare �l'esistenza di un atto di scambio� nella utilizzazione, da parte della Cartiera, della energia elettrica e del vapore acqueo prodotti nella centrale termica, appartenendosi l'uno e l'altro stabilimento all'unico patrimonio della s.p.a. Cartiere del Timavo, ricorrente. La censura � infondata. Pur nel riconosciuto � parallelismo � fra l'imposta rispettivamente prevista dall'art. 1 e dall'art. 17 della legge istitutiva dell'I.G.E. 19 giugno 1940, n. 762, la diversit� del � fatto o presupposto che d� luogo alla imposi zione �, cio� del � fatto impositivo � o � atto rilevante � agli effetti dell'art. 17 citato, rispetto a quello dell'art. 1, � gi� stata affermata da questa Corte Suprema nella sentenza 27 giugno 1969, n. 2303, la quale, pur ponendo l'ac cento, p~r le esigenze della fattispecie esaminata, sulla identificazione della nozione di �merce�, lo ha tuttavia ripetutamente identificato, quanto alla ipotesi dell'art. 17, nella importazione. E l'interpretazione letterale, storica e logica della norma conforta, appunto, Ia tesi che la importazione in s�, come mero passaggio attraverso la linea doganale di un bene tassabile in qualit� di merce, � il �fatto im positivo� assunto nella figura legale dell'art. 17, a prescindere dalla sotto stante esistenza di un atto di scambio. A parte l'inequivoco significato della statuizione del primo comma del la disposizione citata, che afferma l'imposta dovuta � per il fatto obiettivo d�lla importazione�, depongono decisamente a favore della tesi accolta tanto il successivo quarto comma dello stesso articolo, quanto il preceden te art. 5, ultimo comma: il secondo, perch� pone l'importazione concettual mente sullo stesso piano di altri potenziali atti di scambio, come i � confe rimenti � e gli � acquisti ": pur regolando diversamente il meccanismo di esclusione della duplice tassazione con riguardo al successivo passaggio della merce; il primo, perch�, nel dichiarare tassabili, per le merci impor tate, gli� atti economici posti in essere nello Stato successivamente alla im-. portazione, ancorch� effettuati da filiali, rappresentanti e depositari di ditte ,estere�, implicitamente presuppone la rilevanza tributaria del precedente passaggio, attraverso la linea doganale, dalla ditta �madre�, rappresentata � o �depositante� con sede all'estero alla filiale, al rappresentante o al depositario con sede in Italia, in deroga alla diversa regola sancita, per i passaggi dello stesso tipo all'interno del territorio nazionale, dal combinato disposto dell'art. 13, comma terzo, della legge e degli artt. 20 e � 21 del regolamento esecutivo 26 gennaio 1940, n. 10. Nello stesso senso depone inoltre la disciplina dell'imposta di conguaglio, dovuta -a norma dell'art. l, comma secondo, legge 31 luglio 1954, n. 570 -� in aggiunta � al.. l'imposta di cui all'art. 17 sui prodotti industriali importati, al fine di assicurare allo Stato lo stesso introito fiscale che si sarebbe conseguito in � caso di produzione nello Stato, e, quindi, da ritenere esigibile tanto nel PARTE I, SEZ. VI, .GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA caso in cui la importazione sottenda un atto di scambio, trattandosi di merce dall'importatore acquistata all'estero, quanto nel caso in cui, avendola ivi egli direttamente prodotta, non si accompagni all'importazione alcun� scambio. Sul piano storico, indicazioni conformi sono offerte dallo svolgimento della legislazione relativa alla �tassa sugli scambi�, antecedente tributario dell'I.G.E. (ed abolita, infatti, con l'art. 54 della legge istitutiva di questa). Dalla-originaria definizione come tassa sugli � scambi �... relativi a merdi (etc.) importati (art. 6, comma primo, r.d. 18 marzo 1923, n. 550: �la tassa... � dovuta tanto sugli scambi... quanto su quelli relativi a materie greggie, merci etc. importati. dall'estero�), si passa infatti alla definizione come �tassa dovuta... sulle materie (etc.) importati dall'estero� (art. 12, comma primo, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3273), per giungere infine alla espressa equiparazione, ai fini impositivi, dell'importazione in s� allo scambio tassabile (art. l, comma secondo, r.d.l. 28 luglio 1930, n. 1011: � agli effetti della presente legge l'importazione di merci dall'estero costituisce scambio soggetto a� tassa da chiunque o comunque le merci vengano importate e quale che ne sia la destinazione); formula; quest'ultima, che sostanzialmente trascrive quella immediatamente precedente -poi ripresa dall'art. 17 della legge sull'I.G.E. -secondo la quale �la tassa... si applica avuto riguardo al solo fatto dela� importazione� (art. 13, r.d. del 1923, n. 3273 cit. e, gi� prima, art. 35, r.d. 26 ottobre 1923, n'. 2275), nel senso reso inequivocabilmente esplicito dalla precisazi�ne, peraltro superflua e probabilmente per tale ragione non ripetuta dal legislatore del 1940, doversi in tal caso � prescindere � da ogni rapporto che possa intercedere fra il destinatario nel regno e la persona o ditta estera speditrice, e cio� anche quando il destinatario agisca nel regno come filiale, agente, rappresentante, depositario della ditta estera od. abbia comunque rapporti di dipendenza con essa (citati artt. 13 e 35): vale a dire, a prescindere proprio da quei rapporti, in costanza dei quali gli stessi testi normativi escludono invece la tassabilit� degli scambi avvenuti all'interno del territorio nazionale (art. 7, r.d. del 1923, n. 3273; artt. 18-28 r.d.l. del 1930, n. 1011). Anche sul piano razionale, infine, l'assoggettamento della � importa� zione �in s� ad una tassa, nella sua essenza destinata, come l'I.G.E., ad incidere sugli scambi fra �denaro o (altri) mezzi di pagamento�, da un lato, a cessione di beni o... prestazioni di servizi�. dall'altro, trova agevole spiegazione proprio nella necessit� di evitare che sfuggano alla imposizione atti economici di per s� estranei alla competenza territoriale dell'ordinamento nazionale perch� posti in essere all'estero, e tuttavia producenti i loro effetti in Italia attraverso la importazione. Che in astratto, poi, tale risultato sarebbe stato raggiungibile anche limitando la tassazione soltanto alle ipotesi, in cui effettivamente la importazione si accompagnasse al RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO compimento all'estero di un atto economico omologo a. quello colpito dall'imposta se posto in essere nel territorio nazionale, � considerazione che rimane irrilevante, una volta accertato, attraverso la indagine positiva e storica, che diverso, e pi� radicale, � il modulo adottato dal legislatore, chiaramente al fine di evitare le incertezze e le contestazioni, che altrimenti la pratica avrebbe conosciuto ove fosse stato invece prescelto un sistema, che o avesse richiesto la dimostrazione dell'esistenza dell'atto economico sotteso all'importazione, o anche soltanto avesse consentito di provarne Ila �inesistenza. Con il quarto, ed ultimo, motivo, le ricorrenti, denunziando la falsa applicazione della legge 15 giugno 1950, n. 330 e del d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339, la violazione della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, la falsa applicazione del r.d. 22 novembre 1914, n. 1289, deducono la illegittimit�, sotto molteplici aspetti, dei diritti per i servizi amministrativi e dei diritti di statistica. Sotto un primo profilo, esse osservano (A/1) che tanto il primo, quanto il secondo tributo presuppongono non solo la provenienza delle merci da un altro Stato, ma anche �il compimento delle operazioni di sdoganamento �; nella specie, invece, trattandosi di lavorazione in regime di deposito franco, �non si eseguono -e non esiste l'essenziale premessa per eseguire -alcuno sdoganamento �. Ed aggiungono (A/2) che, a norma dell'art. 43 del d.P.R. 21 dicembre 1961, n. 1339 di approvazione della tariffa doganale, � sono esenti dal diritto di statistica... tutte le merci che secondo le vigenti disposizioni vengono rilasciate senza l'emissione di bolletta doganale�, sicch�, �incontroverso e dalla stessa sentenza consentito essendo che per l'energia elettrica ed il vapore acqueo prodotti in regime di deposito franco non vi � luogo ad emissione di bolletta doganale, a tali prodotti il diritto di statistica non poteva essere applicato �. Sotto un secondo profilo, denunziano (B) la illegittimit� dei diritti di statistica perch� previsti soltanto nell'art. 42 delle disposizioni preliminari alla tariffa doganale approvata con d.P.R. n. 1339 del 1961, per la sua natura inidoneo a fungere da fonte istitutiva di un nuovo tributo. Sotto un .terzo profilo, infine, deducono (C) la illegittimit� dei diritti di statistica e dei diritti per servizi amministrativi perch� riconosciuti in contrasto con le norme comunitarie dalle direttive C.E.E. n. 723 del 4 novembre 1966 e n. 31 del 16 gennaio 1968, e per l'effetto, appunto, espunti dall'ordinamento ar�cor prima della loro soppressione da parte del legislatore nazionale. Anche tali censure sono destituite, tutte, di fondamento. � agevole infatti replicare: -ad A/I: che -come gi� si � rilevato discutendo del primo motivo -anche per i prodotti provenienti dagli stabilimenti retti a regime di deposito franco, l'attraversamento della linea doganale costituisce PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 269 << importazione �, e che, d'altro canto, la legge prevede anche per tali �Operazioni l'adempimento dei controlli doganali, la cui omissione in fatto non vale certo ad impedire, in diritto, la produzione degli effetti tributari .dalla legge stessa ricollegati al fatto impositivo dell'importazione; -ad A/2; che, mentre la sentenza impugnata affatto tace sulla necessit�, o meno, di emettere bolletta doganale anche per l'energia elettrica e per il vapore acqueo, la risposta affermativa si impone, in prin. cipio, non .risultando per le menzionate merci derogata da alcuna � vi. gente disposizione � la regola generale dettata dall'art. 21 della legge .doganale 25 settembre 1940, n. �1424; -ad B, che effettivamente, come ha osserva~o la sentenza impugnata, la disposizione dell'art. 42 citato � meramente riproduttiva, i .diritti di statistica gi� esistendo nell'ordinamento in forza di precedenti .disposizioni (1. 25 giugno 1896, n. 324; r.d. 22 novembre 1914, n. 1289; .d.l. 11 aprile 1947, n. 233) che, contrariamente all'assunto, del resto affatto generico e privo di qualsiasi riferimento normativo, delle ricorrenti, non risultano fossero state abrogate all'epoca delle importazioni, oggetto .della pretesa tributaria in contestazione; -ad C, che le direttive 66/723/C.E.E. e 68/31/C.E.E. riguardano l'abolizione, rispettivamente, del diritto di statistica e del diritto per servizi .amministrativi con riferimento alle � importazioni in provenienza dagli .altri Stati membri�, quali ovviamente non possono qualificarsi i pas: Saggi attraverso la linea doganale dei prodotti provenienti dalla centrale termica di cui � causa. -. (Omissis). �CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1976, n. 427 -Pres. Mirabelli -~st. Falletti -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Di Matteo (avv. Selvaggi). lmposte e tasse in genere -Agevolazione per le zone terremotate del Belice -Comprende anche le imposte indirette. (d.!. 12 genaio 1968, n. 12, artt. 4-10; I. 18 marzo 1968, n. 182, art. un.; d.l. 27 feb braio 1968, n. 79, art. 55; I. 5 febbraio 1970, n. 21, art. 26; d.l. 1� giugno 1971, n. 289; I. 30 luglio 1971, n. 491, art. 11 bis; d.l. 12 febbraio 1973, n. 8, artt. 10, 11; I. 15 aprile 1973, n. 94, art. 10). L'esenzione generale dai tributi erariali, provinciali e comunali, sta. bilita per le zone terromotate del Belice, comprende tutti i tributi e si .estende anche alle imposte indirette (1). (1) Conforme � l'altra sentenza in pari data n. 422. Non constono precedenti in termini. Per l'esenzione per le zone del Vajont (Cass. 21 giugno 1974, n. 1831 Riv. leg. fisc. 1974, 2204), l'esenzione da alcune -imposte indirette era espressamente prevista; l'altra sentenza richiamata (5 mar: zo 1975, n. 821, Mass. Giust. it., 1975, 225) si limita ad affermare che quando 270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -L'amministrazione ricorrente, denunciando la violazione degli artt. 4 e 11 del d.l. n. 12/1968; 55 e segg. del d.l. n. 79/1968, 4, 5, 8 e 8 bis della I. n. 182/1968; 29-31 della 1. n. 357/1964; 26 della 1. numero 21/1970; 11 de Id.I. n. 289/1971; 10, 11 e 11 bis della I. n. 491/1971; 10 e segg. del d.l. n..8/1973; 10 e segg. della I. n. 94/1973, lamenta che la Corte d'appello ha erroneamente i;ccolto la pretesa ex adverso proposta, senza considerare che le esenzioni fiscali concesse dalle citate leggi per le zone terremotate del Belice riguardano i tributi diretti, che �olpiscono la capacit� produttiva delle imprese, non i tributi indiretti che ne colpiscono solo i profitti; che� invero la pretesa esenzione dall'imposta di fabbricazione si tradurrebbe in un ingiusto lucro a favore di tali imprese, che la dizione � tributi diretti e indiretti � contenuta nell'art. 10 del d.l. n. 8/1973 si riferisce soltanto ai cittadini che hanno trasferito il domicilio fuori .dai comuni terremotati, e non pu� estendersi con valore di interpretazione autentica anche. alle leggi precedenti. La tesi non � fondata. Subito, essa contrasta con il senso letterale e la si~tematica compiutezza di un testo che indistintamente (ed anzi con positiva generalizzazione) dichiara �concessa l'esenzione dai tributi erariali, provinci<).li, e� comunali.>>, sempre ripetendo le medesime parole e il medesimo concetto in una lunga serie di provvedimenti legislativi (art. 4 d.l. n. 12/1968 e I. n. 182/1968; art. 26 I. n. 21/1970; artt. 11 e 11 bis d.l. n. 289/1971 e I. n. 491/1971; art. 10 d.l. n. 8/1973 e I. n. 94/1973). L'incisiva assolutezza della norma dimostra che essa si applica ai � tributi �, cio� comprende tasse, imposte e contributi (cfr. nel medesimo senso, in rapporto all'esenzione fiscale concessa per il disastro del Vajont, la norma fa riferimento al periodo di imposta non pu� essere riferita alle, imposte indirette. Invero il d.l. 12 gennaio 1968, n. 12 riguardava esclusivamente le imposte dirette, mentre il dJ. 27 febbraio 1968, n. 79 faceva riferimento ad alcune imposte indirette il cui presupposto era sicuramente ancorato al terri� torio, si che la legge di conversione del primo decreto (18 marzo 1968, n. 182), che per la prima volta concede l'esenzione generale dei tributi erariali provinciali e comunali, non pu� essere che limitato alle imposte dirette se un secondo decreto legge ha stabilito agevolazioni �limitate per le imposte indirette. La stessa espressione � . usata nell'art. 26 della legge 5 febbraio 1970, n. 21 che fa riferimento�al periodo di imposta e nei successivi provvedimenti che estendono questa stessa esenzione. � vero che nell'art. 10 della legge 15 aprile 1973, n. 94 si parla anche di. tributi indiretti, ma non sembra che a questa norma possa conferirsi valore di interpretazione autentica. � comunque da osservare che 11011 � concepibile una esenzione da tutti i tributi indiretti riferita al territorio di alcuni comuni; solo per alcuni tributi con opportune norme � possibile localizzare il presupposto al territorio (come ha fatto il d.l. 27 febbraio 1968, n. 79), altrimenti qualunque atto registrato in quei comuni, ovunque si trovino i beni; qualunque attivit� svolta su tutto il territorio dello Stato da soggetti che in quel territorio hanno o hanno trasferito la sede legale; le successioni aperte in relazione a persone occasionalmente decedute nel territorio e relative a beni siti altrove; potrebbero rientrare nell'esenzione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Cass. 1974, n. 1832); che, oltre l'ambito oggettivo cos� amplificato, essa parimenti comprende le imposizioni di qualunque ente impositore (Stato, provincia, comune); che l'ulteriore avvertenza, secondo cui l'esenzione � concessa �anche ... per periodi d'imposta anteriori al 1970 �, non limita la concessione, ma specificamente l'attribuisce �anche� alle imposte pur relative a periodi anteriori e riscuotibili mediante ruoli (cfr. Cass. 19,75, n. 821). Si pu� inoltre rilevare che la medesima �esenzione dai tributi erariali, provinciali e comunali� fu dapprima concessa �fino al 31 dicembre 1969 per i comuni completamente distrutti d� Montevago, Gibellina e Salaparuta � (art. 4 cit.), con tina formula non �certo suscettibile di diversa lettura e con la significativa premonizione di un esonero da intendersi tanto pieno quanto completa era stata la distruzione dei comuni esonerati. Successivamente �l'esenzione dai tributi erariali, provinciali e comunali fino al 31 dicembre 1970 � fu estesa a sedici localit� elencate nell'art. 26 della 1. n. 21/1970, ivi compresi e ancora ripetuti i comuni di Montevago, Gibellina e Salaparuta (e compreso altres� il comune di Calatafimo, dove si svolge l'attivit� oggetto dell'imposta controversa): erano localit� i �ui abitanti, secondo lo stesso art. 26, erano soggetti al trasferimento previsto e disposto a norma dell'art. � 11 del d.l. n. 79/1968. Per tutte queste localit�, o completamente distrutte o non pi� abitabili, si riproduceva dunque la medesima giustificazione di un esonero tributario pienamente correlato alle radicali necessit� di un totale reimpianto. La ricorrente obietta che � razionalmente inammissibile che il legislatore volesse includere nell'esenzione anche le imposte indirette (come quella di cui si tratta nella specie): perch� questa sarebbe un'assurda lacerazione del sistema .tributario, e perch� la corrispondenza causale e lo scopo dell'esenzione riguardano la perdita della capacit� produttiva determinata dall'evento calamitoso e sono rivolte a facilitare il ripristino di quella capacit�, non riguardano i tributi successivamente applicabili �lla produzione, il cui esonero, comportando svantaggiosi squilibri a carico degli altri produttori, costituirebbe a favore degli esonerati non un correttivo del danno ma un ingiusto beneficio. L'argomento, astratto .ed opinabile (se altrimenti si considera che proprio con il soccorso � emergente� di un'agevolazione fiscale rivolta all'attivit� produttiva si poteva meglio sostenere la ripresa economica dei comuni sinistrati, nei quali le ragioni tributarie attinenti all'imponibile sulle fonti di reddito gi� si trovavano annullate dalla loro stessa distruzione, e se poi si considera che l'esenzione era limitata nel tempo e nei luoghi), � apertamente contraddetto dalla legge. Infatti, mentre con il d.l. n. 289/1971 e con la I. n. 491/1971 il termine dell'esenzione era stato rispettivamente prorogato fino al 31 dicembre 1971 e fino al 31 dicembre 1972, l'art. 10 del d.I. n. 8/1973 (come modificato dalla legge n. 94/1973), prorogando RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO definitivamente l'esenzione al 31 dicembre 1973, dichiara che sono anche prorogate le norme previste dall'art. 11 bis della legge n. 491/1971 relative ai tributi diretti e indiretti �. � vero che l'art. 11 bis riguarda la esenzione estesa � anche a favore � di una particolare categoria di cittadini, gi� domiciliati prima del 15 gennaio 1968 nelle localit� trasferite. Ma, senza dire che ci� basterebbe a rompere, almeno in tal caso� e verso quella categoria di destinatari, il presunto principio dell'impossibile esenzione dalle imposte indirette, la coordinazione interpretativa delle leggi in esame conduce sul punto a un pi� generale ed univoco risultato, uguale per tutti i casi in cui Ǐ concessa l'esenzione dai tributi erariali, provinciali e comunali �. Occorre soltanto rileggere, nel loro consecutivo e testuale richiamo,. le seguenti disposizioni: a) l'art. 11 del d.l. n. 289/1971; b) l'art. 11 bis inserito dalla I. n. 491/1971; c) l'art. 10, come sopra integrato, del d.l. n. 8/1973. L'art. 11 dispone che �l'esenzione dai tributi erariali, provinciali e comunali per i comuni indicati dall'art. 28 della legge n. 21/19W � ulteriormente concessa fino al 31 dicembre 1971, anche se dovuti per periodi d'imposta anteriore al �1970 �. L'art. 11 bis aggiunge che tali disposizioni � si applicano anche a favore dei cittadini che, avendo il domicilio fiscale anteriormente al 15 gennaio 1968 nei comuni indicati nell'art. 26 della legge n. 21/1970, svolgono la loro attivit� in altri co-� mun� ... �. Infine l'art. 10 dichiara che � le disposizioni di cui all'art. 11 del d.l. n. 289/1971, convertito con modificazioni nella legge n. 491/1971,. nonch� quelle previste dall'art. 11 bis d�lla precitata legge n. 491/1971,. relative ai tributi diretti e indiretti, sono ulteriormente applicabili dal 1� gennaio al 31 dicembre 1973 ... �. Dunque, se l'esenzione � anche � con-� cessa ai cittadini dall'art. 11 bis della I. n. 491/1971 era quella medesima gi� prevista per i comuni sinistrati dall'art. 26 della I. n. 21/1970 e pro-� rogata dall'art. 11 del d.l. n. 289/1971, e se l'esenzione dei cittadini era �relativa ai tributi diretti e indiretti�, deve appunto ritenersi che l'esenzione prevista dagli artt. 26 e 11 citt. riguardava parimenti i tributi. diretti e indiretti. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1976, n. 545 -Pres. Caporaso -Est. Sandulli -P.M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze� (avv. Stato Baccari) c. E.N.E.L. Imposta di registro -Riscossione ad aggio o premio di bollette dell'ener gia elettrica -� soggetta all'imposta dell'art. 50 tariffa A r.d. 30 dicem bre 1923, n. 3269 -Applicabilit� dell'imposta dell'art. 52 -Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, artt. 50 e 52). Il contratto per la riscossione ad aggio o a premio di bollette per la fornitura dell'energia elettrica � sempre oggetto all'imposta prevista PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 27J. nell'art. 50 della tariffa A allegata alla legge di registro del 1923 e maf all'imposta prevista nell'art. 52, nemmeno quando il contratto abbia le caratteristiche dell'appalto. Sono da ricomprendere nella categoria dei � diritti� i corrispettivi dovuti dagli utenti per la somministrazione della energia elettrica data la natura pubblicistica del servizio di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica, ed � da considerare come� �premio � il corrispettivo per la riscossione determinato in misura fissa per ogni bolletta (1). (Omissis). -Con l'unico motivo, la ricorrente -denunciata la vio-lazione e la falsa applicazione degli artt. 52 e 50 della tariffa A allegata alla legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269), in relazione all'art. &della stessa legge, nonch� il difetto di motivazione su un punto decisivo� della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito abbia ritenuto che il contratto con il quale� una societ� elettrica (successivamente assorbita dall'E.N.E.L. -Ente Nazionale per l'Energia Elettrica) abbia concesso a privati l'appalto del ser-vizio di esazione delle fatture di fornitura di energia elettrica per un corrispettivo fisso per ogni fattura incassata e con l'obbligo della riscossione di una determinata percentuale del carico delle fatture e del versamento dell'importo di quelle non restituite (anche in caso di perdita o di furto delle medesime), sia assoggettabile all'imposta di registro a. norma deil'art. 52 della tariffa A allegata alla legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (e cio�, con l'aliquota dell'uno per cento), e non ai sensi dell'art. 50 della stessa tariffa (e cio� con l'aliquota del due per cento). (1) Identiche sono le sentenze in pari data n. 546-549 di cui si omette la pubblicazione. La pronunzia risolve con evidente esattezza la questione, chepu� essere estesa a molte altre ipotesi, della prevalenza, ai fini della indivi-duazione della norma della tariffa da applicare, dell'oggetto del contratto (ele�mento teleologico) sui connotati formali del negozio (elemento strumentale);. e ci�, in definitiva, risponde al criterio fondamentale fissato nell'art. 8 della legge. Per un precedente in termini, relativo alla riscossione delle imposte di consumo, v. Cass. 4 dicembre 1967, n. 2866, in Riv. leg. fisc., 1968, 743. Sulla seconda parte della massima si pu� rilevare che la qualificazione del corrispettivo per la fornitura di energia elettrica come prestazione imposta nell'ambito di un rapporto pubblicistico (affermazione che, nella sua assolutezza, potrebbe dar occasione a qualche dubbio) non appare necessaria, giacch� l'art. SO�� della tariffa A nel riferirsi alla esazione ad aggio di proventi di natura pub, blica (dazi) e privata (rendite) evidentemente ricomprende, in un'elencazione non rigorosamente tassativa, ogni tipo di riscossione, si che nella categoria. dei diritti possono ricomprendersi anche prestazioni non pubblicistiche, quali entrate patrimoniali, premi di assicurazione ecc. Sull'ultimo punto � evidente che � premio � � qualcosa di diverso da �aggio�, si che non � elemento essenziale della fattispecie regolata dall'art. S01 la commisurazione del compenso in proporzione del riscosso. 274 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ~ La censura � fondata. Secondo la tesi dell'Amministrazione ricorrente, il contratto, stipulato per l'appalto del servizio di riscossione delle fatture di fornitura I ,dell'energia elettrica secondo le modalit� sopra descritte, sarebbe sussumibile nello schema paradigmatico dell'art. SO della citata tariffa A, che in ordine ai �contratti per riscossione di dazi, diritti e rendite mediante .aggio o premio�, prevede l'aliquota del due per cento, Secondo l'opinione della Corte del merito, invece, un contratto, stipulato �per la riscossione di dazi, dititti e rendite mediante aggio' o Ipremio�, rivestito delle caratteristiche del contratto di appalto,.dovrebbe ricondursi all'ambito previsionale dell'art. S2 della tariffa A, prevedente per gli �appalti (ed altri simili contratti) per costruzioni, riparazioni, ecc. e per ogni altro oggetto� valutabile � l'aliquota d'imposta dell'uno per cento. Fra le due antitetiche proposizioni del dilemma, questa Corte ritiene <li doversi orientare nel senso del primo dei due delineati indirizzi. In base alla prima tesi -ai fini della soluzione della disputa �Occorrerebbe tener conto soprattutto dell'oggetto del contratto, e cio� .dell'attivit� presa in considerazione dalle parti (in prospettiva finalistica) e realizzante l'elemento teleologico del negozio, -indipendentemente �dalla fattispecie negoziale adottata (come elemento strumentale) per il .conseguimento della finalit� programmata. Secondo l'altra opinione, invece, bisognerebbe guardare (non all'elemento oggettuale, ma) al tipo di contratto posto in essere, con l'impli �Cazione che il negozio perfezionatosi fra le parti, quando sia rivestito delle connotazioni (essenziali) dell'appalto, debba considerarsi ricompreso nell'ambito dello schema legale dell'art. S2 (riferentesi alla generalit� dei .contratti di appalto), rientrando nell'area residuale degli appalti relativi �� ad ogni altro oggetto valutabile � -indipendentemente dall'attivit� svolta in esecuzione del negozio e costituente l'oggetto di esso, valendo 1a sussistenza degli estremi dell'appalto a spostare la rilevanza fiscale �di registro del contratto di riscossione di dazi, diritto e rendite del- 1'art. SO all'art. S2 della tariffa A. Il problema che si pone �, quindi, se, nell'ipotesi di un contratto <li appalto stipulato �per la riscossione di dazi, diritti e rendite me. cl.iante aggio o premio �, trovi applicazione l'art. SO della tariffa A, allegata alla legge di registro, ovvero. l'art. S2 della stessa tariffa. Corollario di esso � il quesito se nell'ambito dei � diritti � (per la �cui riscossione il contratto � perfezionato) rientri (o meno) il corrispettivo pagato per la fornitura di energia elettrica. Intimamente collegata ai temi delineati �, poi, la questione se il premio, dovuto all'appaltatore per il servizio di riscossione, possa (o meno) determinarsi in misura fissa. PARTE I, SEZ. YI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ai fini della disamina del problema di fondo -trattandosi della ricognizione interpretativa del significato e della portata delle statuizioni legislative contenute negli artt. 50 e 52 della tariffa, allo scopo di individuare i limiti marginali dell'ambito previsionale delle norme in essi dettate -si deve risalire, attraverso un'operazione logica, dal significato proprio delle parole (elemento semantico), secondo la loro connessione (elemento sintattico), alla volont� del legislatore (elemento pragmatico). Ed ove tale processo valutativo ed interpretativo non valga a penetrare l'effettiva portata delle cennate disposizioni normative, occorre rifarsi al criterio sistematico (oltre che a quello storico ed a quello comparativo). Al riguardo, va, innanzi tutto, osservato che -parlando l'art. 50 genericamente di contratti per la riscossione di dazi, diritti e rendite (con compenso stabilito ad aggio od a premio) e, quindi, senza alcun riferimento ad un particolare tipo contrattuale -non pu� non escludersi che il legislatore abbia inteso, nel porre la cennata norma, riferirsi esclusivamente a contratti di tipo diverso dall'appalto, essendo agevole dedurre -sia dal preciso disposto di essa che dalla sua correla. zione con le altre norme del sistema tributario -la mens legis, intesa ad assegnare rilievo giuridico particolarmente all'attivit� di riscossione di somme, costituente elemento oggettuale del contratto, e non al tipo di negozio utilizzato per il conseguimento dello scopo -riferend?si gli appalti considerati nell'art. 52 ad attivit� diverse dalla riscossione (costruzioni, riparazioni, trasporti, somministrazioni, approvvigionamenti) e non potendosi, di fronte allo specifico riferimento dell'art. 50 all'attivit� di riscossione, ritenersi il generico spazio residuale, coperto della formula (di amplissima portata applicativa) �ogni altro oggetto valutabile �, contenuto nell'art. 52, comprensivo anche della riscossione realizzata attraverso un contratto di appalto. Ed ulteriore argomento in tal senso pu� trarsi -sul piano sistematico -dal riferimento all'art. 55 della legge di registro, riguardante il criterio di tassazione applicabile ai contratti di appalto, contenuto nella nota esplicativa dell'art. 50, dettata ai fini della determinazione dell'imponibile, giacch� da un tale collegamento (anche se volto ad un fine meramente strumentale) pu� dedursi che i negozi di appalto non si siano voluti escludere -secondo la mens legislatoris -dall'area paradigmatica dell'art. 50, per sussumerli in ogni caso sotto lo schema legale dell'art. 52. Inoltre, vale ricordare -sul piano storico -�ome il ripristino dell'aliquota differenziata nella misura del due per cento riguardo ai contratti di riscossione di somme mediante aggio o premio, sia stata effettuata con l'art. 7 del d.l. 6 aprile 1945, n. 145 (a differenza dell'aliquota ridotta all'uno per cento dall'art. 4 della legge 4 aprile 1953, n. 761 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per i contratti di appalto), in considerazione del compenso (per l'attivit� svolta ai fini della riscossione) stabilito ad aggio o premio, in quant0> questi, costituendo un corrispettivo certo e non suscettibile di alcun rischio economico, avrebbe eliminato rispetto a tutti i contratti, aventi ad oggetto l'attivit� di riscossione di somme mediante aggio o premio� (e, quindi, anche rispetto a quelli di appalto, aventi ad oggetto siffatta. attivit�), ogni alea di gestione, con la implicazione logica della giustificazione del beneficio della riduzione dell'aliquota riguardo ai contratti di appalto, comportanti per l'appaltatore un margine di alea e rischi0> economico. Per modo che, deve ritenersi che il particolare regime di tassazione,. stabilito dall'art. SO, sia stato fissato non in base ad un determinato tipo di contratto (riferendosi l'art. SO indiscriminatamente ad ogni fattispecie negoziale), ma alla qualit� della prestazione, posta a carico di una delle parti (riscossione di somme dovute per dazi, diritti e rendite),. ed al modo di� determinazione della retribuzione di essa. Ed in tal senso si � gi� espressa lo Corte Suprema -con riferimento� ai contratti di appalto per la riscossione delle imposte di consumo (dazi) (cfr. sent. 4 dicembre 1967, n. 2866, sent. 28 aprile 1941, n. 1222) -la. quale ha ritenuto che la tassazione nei confronti di siffatti contratti debba attuarsi con l'applicazione dei criteri fissati nell'art. SO. Risolto, pertanto, positivamente il problema di base, relativo all'ap-plicabilit� dell'art. SO anche al contratto di appalto stipulato per la riscossione di dazi, diritti e rendite mediante aggio o premio, viene� in considerazione il quesito corollario collegato e conseguente al primo, se nell'ambito dei �diritti� (da riscuotere) rientri (o meno) il corrispet-� tivo dovuto per la somministrazione di energia elettrica. Va, immediatamente, rilevato come, pur sembrando che gli obblighi (indicati nell'art. SO) in base ai quali sono dovute le somme da riscuo-� tere, trovino la loro fonte in atti di diversa natura, e cio� pubblicistica (come i dazi) o anche privatistica (come le rendite), non pu� non assegnarsi il giusto rilievo alla riflessione che, per compensare l'attivit� di riscossione delle somme dovute per tali obblighi, il legislatore abbia fatto richiamo al sistema di retribuzione normalmente adottato per la riscossione dei tributi (retribuzione mediante aggio dell'esattore� comu-� nale o consorziale dell'opera da lui prestata e soprattutto dell'obbligo� impostogli del non riscosso per riscosso, e cio� del versamento alle epo-� che stabilite delle imposte portate dai ruoli, siano o non state da lui riscosse). � indubbio che i dazi, indicati per primi nell'art. SO quali fonti degli obblighi di responsione di somme, costituendo veri e propri carichi tri-� butari, imposti ex lege, non possano non ricomprendersi nella categoria dogmatica delle obbligazioni pubbliche. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ed in tale categoria -pur presentando il problema notevoli difficolt� d'inquadramento giuridico -vanno sussunti -a parere di questa Corte -anche � i diritti� indicati (dopo i dazi) nell'art. SO. Invero, Vii innanzi tutto, rilevato come non possano configurarsi come " diritti � le prestazioni poste a carico delle parti nei contratti sinallagmatici, formando le stesse oggetto delle fattispecie negoziali con prestazioni corrispettive, e come siano, in linea di massima, normalmente denominati �diritti� i tributi pagati come corrispettivo di prestazioni rese ai cittadini da pubblici funzionari e da (taluni) esercenti pubblici servizi. E, sgombrato il campo dalle prime e rilevata la indubbia natura pubblicistica dei secondi, va considerato se nell'area dei cosiddetti diritti ex art. 50 possano ricondursi anche i corrispettivi dovuti per la fornitura di energia elettrica. � indubbio che la somministrazione di energia elettrica costituisca un servizio pubblico in senso oggettivo, rientrando essa fra le attivit� oggettivamente pubbliche non appartenenti a quelle cosiddette di spettanza necessaria (quanto ai modi di gestione) -non dovendo il servizio essere necessariamente gestito dal pubblico potere (per essere sufficiente in materia la direzione ed il controllo da parte di esso). Invero -pur potendo il servizio relativo alla produzione, al trasporto, alla distribuzione ed alla fornitura �di energia elettrica essere gestito (anzicch� in forma �amministrativa�, e cio� mediante strumenti di diritto pubblico (atti e procedimenti amministrativi, comportanti attivit� di tipo pubblicistico) in forma imprenditoriale, e cio� mediante strumenti di diritto privato -deve ritenersi che la somministrazione di energia elettrica agli utenti -sia che venga realizzata direttamente dal pubblico potere sia che venga attuata sotto la direzione ed il controllo di esso (come nel caso di piccola azienda elettrica rimasta in regime di concessione, anche a seguito della nazionalizzazione) -integri un'attivit� oggettivamente pubblica, avente carattere di pubblico servizio (il cui modo di organizzazione e di gestione � rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario). Ci� posto, nella normalit� dei casi, nella categoria dei � diritti � vanno ricompresi, come si � visto innanzi, gli oneri ed i carichi imposti va esaminato se siano riconducibili all'area concettuale dei � diritti � anche i canoni dovuti dagli utenti dei servizi pubblici come corrispettivo (prezzo della erogazione del servizio). E -poich�, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il carattere impositivo delle prestazioni non pu� escludersi per il solo fatto che la richiesta del servizio dipenda dalla volont� del privato -deve ritenersi che la determinazione autoritativa delle tariffe debba assiini RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO !arsi ad una vera e propria impos1z10ne di prestazioni patrimoniali, in cui � sotteso un indubbio profilo e riflesso pubblicistico (cfr. decis. Corte Cost. 9 aprile 1969, n. 72, in materia di tariffe relative ad utenze telefoniche). E -dovendo al concetto di � diritti �, oggetto di disputa, assegnarsi, quindi, valore di prestazioni determinate nell'ammontare per atto d'imperio dell'autorit� -in esso non possono non ricondursi anche i corrispettivi dovuti dagli utenti per la somministrazione dell'energia elettrica, onde riguardo ai contratti stipulati per la riscossione di essi deve ritenersi applicabile la disposizione dell'art. 50 della tariffa quando il compenso sia stabilito ad aggio od a premio. Ed in tal senso si � anche espressa -in ordine ai �diritti di mercato (del pesce) e di asta� -la Commissione Centrale delle Imposte (cfr. decis. 2 marzo 1959, n. 13993), la quale ha statuito che -ammettendosi dalla legge 12 luglio 1938, n. 1487 (contenente nuove norme per la disciplina dei mercati all'ingrosso del pesce) Ja riscossione dei cennati diritti, spettanti al Comune (tenuto, a norma dell'art. 8 della cit. legge, ad istituire il servizio di vendita e di asta del pesce per mezzo di propri dipendenti) per il servizio pubblico da esso prestato, attraverso l'affidamento ad istituti di credito mediante aggio -il contratto di appalto, stipulato fra il Comune ed i detti istituti per la riscossione dei diritti sopra indicati contro un compenso avente carattere di aggio di esattoria, debba essere tassato con l'aliquota di imposta prevista dall'art. 50 della tariffa A allegata alla legge di registro. Infine, va considerato se (l'aggio o) il premio, spettante come corrispettivo per l'attivit� di riscossione di dazi, diritti e rendite, e costituente anch'esso elemento essenziale della fattispecie legale esaminata, possa (o meno) determinarsi in misura fissa. Secondo la tesi dell'ente resistente, il cotrispettivo per la riscossione di somme (per dazi, diritti e rendite), ove sia. determinato in contratto (come nel caso di specie) in misura fissa per ogni fattura, non potrebbe qualificarsi come (aggio o) premio, essendo, in ordine a questi, implicita la commisurazione del compenso in proporzione del riscosso. Tale concezione contrasta, per�, con l'opinione della prevalente corrente dottrinale (alla quale questa Corte ritiene di dover aderire), secondo cui il premio (costituente, nella normalit� dei casi, istituito di politica economica e di incentivazione) pu� essere stabilito anche in un ammontare fisso rapportato ad una unit�, con la conseguente implicazione che lo stesso possa venir materialmente determinato (come nel caso di specie) mediante una operazione aritmetica di moltiplicazione. E -poich�, come si � visto, nella ipotesi oggetto del presente dibattito giudiziale, ricorrono tutti gli estremi essenziali della fattispecie PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 279 legale delineata nell'art. 50 della tariffa A -deve concludersi nel senso che il contratto, con il quale una societ� elettrica conceda ad un privato l'appalto del servizio di esazione delle fatture di fornitura di energia elettrica per un corrispettivo fisso per ogni fattura incassata, sia assoggettabile all'imposta di registro a norma dell'art. 50 della tariffa A, e cio� con l'aliquota del due per cento prevista da detta norma. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1976, n. 755 -Pres. Rossi -Est. D'Orsi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salto) c. Soc. Immobiliare Pascolotto). Imposte e tasse in genere -Interpretazione della norma tributarla di agevolazione -Interpretazione estensiva -Criteri e limiti. Imposta di registro -Agevolazione per l'agricoltura -Acquisto di terreni allo scopo di eseguirvi opere di valorizzazione -Necessit� che le opere siano eseguite sullo stesso terreno acquistato -Esecuzione delle opere su diverso terreno gi� di propriet� dell'acquirente -Esclusione della agevolazione. (I. 9 ottobre 1964, n. 1271, art. 2). L'interpretazione delle norme tributarie di agevolazione, se pu� essere estensiva, non pu� mai prescindere dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore e questa deve esser valutata in concreto Secondo il contenuto del me;:,zo legislativo scelto dal legislatore (1). L'agevolazione dell'art. 2 della legge 18 novembre 1964, n. 1271, per l'acquisto di beni immobili a destinazione agraria sui quali l'acquirente intende compiere opere di valorizzazione agraria approvate dal Capo dell'lspettorato provinciale dell'agricoltura, presuppone che le opere siano compiute sullo stesso terreno acquistato; essa non � pertanto applicabile quando le opere vengono eseguite su terreno diverso gi� di propriet� dell'acquirente (2). (1-2) La prima massima � un'ulteriore manifestazione della recentissima giurisprudenza tendente a contenere i limiti dell'interpretazione estensiva, alquanto dilatati dalla giurisprudenza meno recente: v. in proposito Cass. 15 febbraio 1973, n. 478 (in questa Rassegna, 1973, I, 449); 9 agosto 1973, n. 2286 (ivi, 966); 10 maggio 1974, n. 1345 (ivi, 1974, I, 997); 5 settembre 1974, n. 2419 (ivi, 1265); 14 ottobre 1974, n. 2827 (ivi, 1438); 16 giugno 1975, n. 2408 (ivi, 1975, I ...); 5 agosto 1975, n. 2978 (ivi, ...). Degna di rilievo � l'affermazione che l'intenzione del legislatore pu� essere ricercata solo in concreto dal contenuto della norma specifica di agevolazione e mai in astratto da generiche finalit� arbitrariamente supposte. La seconda massima � di evidente esattezza. SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE E APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 febbraio 1976, n. 576 -Pres. Boccia Est. Bile -P. M. Del Grosso (conf.) -Comune di Gjarre (avv. Carbone e Silvestri) c. Soc. n. c. Acquedotti Garraffo e Scilio (avv. Conte) e Ministero dei lavori pubqlici e altro (avv. Stato Albisinni). Acque pubbliche ed elettricit� -Giudizio e procedimento -Ricorso alle sezioni unite della corte di cassazione -Termini -Rinvio materiale al cod. proc. civ. del 1865. � (T. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 182 e 202; cod. proc. civ. 1865, art. 518). In virt� del rinvio materiale all'art. 518 cod. proc. civ. 1865 e della contestuale riduzione alla met� dei termini ivi previsti, contenuti nell'art. 202, comma 4, t. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, il termine per proporre ricorso alle sezioni unite della corte di cassazione contro le decisioni del tribunale superiore delle acque pubbliche � di quarantacinque giorni, decorrenti dalla notificazione del dispositivo da parte della cancelleria (1). (1) Giurisprudenza costante. Tra le pi� recenti decisioni in tal senso, Cass., 2 febbraio 1973 n. 311, Giust. civ., 1973, I, 50 con nota di SGROI V., Sistema processuale in materia di acque pubbliche e rinvio alle norme del codice di procedura civile; Cass., 21 aprile 1969 n. 1265 e 26 aprile 1965 n. 1350, Giust. civ. Mass., 646 e 692; Cass., 25 maggio 1965 n. 1029, in questa Rassegna, 1965, I, 567 con nota di MAND�, Il ricorso per cassazione contro le sentenze del Tribunale superiore delle acque. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1976, n. 760 -Pres. Caporaso - Rel. Miele -P. M. Berri (conf.) -Impresa Cucullo (avv. Martinez) c. Ferrovie dello Stato (avv. Stato Siconolfi). Appalto -Appalto di .opere pubbliche -Prezzi -Immutabilit� -Revisione � Carattere di eccezione al principio della immutabilit� dei prezzi. (Capitolato generale di appalto delle opere di competenza delle Ferrovie dello Stato ap� provato con delibera del 9 aprile 1909, art. 9; d.m. 3 settembre 1940, n. 857). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Prezzi -Revisione -Situazione soggettiva dell'appaltatore. ~: (D. m. 3 settembre 1940, n. 857). (. i: ! ~ .~ ......... -f PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 281 Appalto � Appalto di opere pubbliche � Prezzi � Revisione � Accordi con il direttore dei lavori � Approvazione � Necessit�. (D. m. 3 settembre 1940, n. 857). Nei contratti di appalto di opere pubbliche opera il principio della immutabilit� dei prezzi convenuti. Tale principio nella sua assolutezza, se giusto in tempi normali, pu� divenire iniquo in particolari condizioni di mercato (ad es. in seguito a guerra) e ci� spiega le clausole di revisione dei prezzi inserite in molti contratti di appalto e pi� in generale i provvedimenti legislativi che, in via eccezionale, prevedono la revisione dei prezzi (1). Salvo che non vi sia apposita clausola di revisione nel contratto 'o se la pubblica amministrazione non abbia concesso la revisione dei prezzi l'appaltatore � carente di diritto alla revisione e ci� anche nell'ipotesi in cui la pubblica amministrazione non abbia adottato il provvedimento di revisione che fosse legislativamente previsto, giacch� la revisione dei prezzi (all'infuori di apposita clausola contrattuale) � sempre rimessa al potere discrezionale della pubblica amministrazione (2). Gli ev�ntuali accordi intervenuti tra l'appaltatore ed il direttore dei lavori in merito alla revisione dei prezzi contrattuali non sono operanti .se non approvati dall'amministrazione committente (3). (Omissis). -Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere questa rilevato, senza che fosse stata proposta ec- cezione al riguardo da parte delle amministrazioni convenute, che non (1-2) La sentenza conferma che la revisione dei prezzi costituisce eccezione , al principio della invariabilit� dei prezzi contrattuali: qualificazione in ragione della quale si � gi� in altre occasioni contestato che la revisione dei prezzi possa costituire oggetto di autonoma regolamentazione contrattuale, tale da attribuire all'appaltatore un diritto soggettivo alla revisione (cfr. in Rass. Avv. Stato, 1974, I, 1279, in nota). Sulla situazione di solo interesse legittimo riconoscibile all'appaltatore in tema di revisione dei prezzi, cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 27 marzo 1975, n. 1157, Rass. Avv. Stato, 1975, I, 444; Cass., sez. un., 12 ottobre 1974, n. 2817 e 28 ottobre 1974, n. 3201 e n. 3202, ivi, 1974, I, 1278. Sulla revisione dei prezzi nell'appalto di opere pubbliche cfr., per le varie .questioni e con riferimento anche alla pi� recente normativa, Rel. Avv. Stato, 1971-1975, III, 368 e segg. ' (3) Va rilevato che in via di principio, e contrariamente a quanto sembre, rebbe presupposto nell'ultima parte della motivazione della sentenza in rassegna (che fa peraltro riferimento alle particolari disposizioni del capitolato generale <li appalto per le opere di competenza delle Ferrovie dello Stato), il criterio enunciato nella massima � valido anche per quanto concerne il concordamento <lei nuovi prezzi, vincolante per l'amministrazione committente solo se approvato dall'organo competente; in argomento cfr., amplius, Rel. Avv. Stato, 19711975, II, 234 e, segg. 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO poteva farsi luogo a revisione di prezzi trattandosi di appalto di durata inferiore a sei mesi. In ogni caso la motivazione della Corte era errata ed insufficiente in quanto non si trattava di pretesa alla revisione dei prezzi bens� di domanda diretta alla osservanza di un concordato prezzi intervenuto tra lui e l'Amministrazione. Ad ogni modo osservava che, comunque, di fatto il termine di durata era abbondantemente supe1iore ai sei mesi ed inoltre la Corte non aveva considerato che, l'amministrazione con gli ordini di servizio del 1943 aveva in ogni caso assicurato l'applicazione dei prezzi indipendentemente dall'aumento che era stato concordato nel giugno 1942. Con il secondo motivo, che � opportuno esaminare congiuntamente al primo, si afferma che la Corte ha erroneamente ritenuto il direttore dei lavori privo dei poteri di concordare variazioni dei prezzi, possibilit� che invece prevedono gli articoli 14, 15 e 20 del capitolato generale delle Ferrovie dello Stato 9 aprile 1909. In ogni modo l'amministrazione convenuta non aveva provato che il direttore dei lavori aveva ecceduto dalla sua competenza. Le censure dei motivi sopra riassunti sonb infondate. Va premesso che la Corte ha basato la sua decisione su due ordini di ragioni: a) ha ritenuto che il Cucullo non avrebbe avuto un diritto alla revisione dei prezzi azionabile avanti al giudice ordinario essendo la revisione una facolt� discr~zione della pubblica amministrazione; e perch�, in ogni caso trattandosi di contratto di appalto di durata inferiore a sei mesi, esso non era suscettibile di revisione nei prezzi, vietandolo le norme del d. m. 3 settembre 1940, n. 857; b) ha escluso che il preteso accordo sulla revisione dei prezzi era intervenuto essendo mancata l'approvazione delle autorit� superiori. E' assorbente l'esame della motivazione del punto b) in quanto se il preteso accordo avesse richiesto, come affermato dalla Corte, l'approvazione delle autorit� superiori, non avendo provato il Cucullo che il preteso concordato prezzi fosse stato appr�vato dalle autorit� superiori, esso sarebbe stato al tutto privo di efficacia. La decisione sul punto non merita censura. Va premesso che nei contratti di appalto di opere pubbliche opera il principio della immutabilit� dei prezzi convenuti, immutabilit� espressa mente sancita dall'art. 9 del capitolato generale amministrativo di appalto di opere ferroviarie (Deliberazione del Consiglio di amministrazione 9 apri� le 1909). Tale principio nella sua assolutezza, se giusto in tempi normali, pu� divenire iniquo in particolati condizioni di mercato (ad es. in seguito a guerre) e ci� spiega le clausole di revisione di prezzi inserite in molti contratti di appalto e pi� in generale i provvedimenti legislativi che, in via eccezionale, prevedono la revisione dei prezzi. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Quindi, salvo che non vi sia apposita clausola di revisione nel contratto o se la pubblica amministrazione non abbia concesso la revisione, l'appaltatore � carente di diritto alla revisione e ci� anche nell'ipotesi che la pubblica amministrazione non abbia adottato il provvedimento di revisione, che fosse legislativamente previsto, giacch� la revisione dei prezzi (all'infuori di apposita clausola contrattuale) � sempre rimessa al potere discrezionale della pubblica amministrazione stessa (cfr. Cass. 26 marzo 1968, n. 933). Nel caso in esame per� l'attuale ricorrente fonda la sua pretesa su un accordo di revisione prezzi (�concordato prezzi�) che sarebbe intervenuto tra lui e l'amministrazione ferroviaria nel 1942 e di poi sarebbe stato confermato con ordine di servizio n. 25 del 13 febbraio 1943. In relazione a quanto affermato pi� sopra, perde ogni rilevanza la questione se ricorressero o no le condizioni per la revisione (nella specie se vi era la particolare durata del contratto prevista dal provvedimento d. m. 3 settembre 1940, n. 857) e la Corte di merito non doveva occuparsene, dovendo limitarsi ad accertare l'esistenza di detto preteso accordo e se questo fosse vincolante per l'amministrazione convenuta. Di modo che non ha nessun rilievo se l'argomentazione adottata al riguardo dalla medesima e censurata sia o no esatta. Ci� posto sulla base dei soli fatti esposti dall'appaltatore ed indipendentemente dalla produzione dei documenti relativi a tali accordi, va esclusa, come ha esattamente ritenuto la Corte d'appello, la pretesa del Cucullo. Invero tali pretesi accordi per essere efficaci richiedevano che fossero approvati dalla autorit� superiore, e di tale approvazione non v'� traccia negli atti e neppure � affermata sussistente dal ricorrente. Approvazione necessaria in forza del d. m. n. 857 del 1940 cit. secondo cui le autorit� periferiche dell'amministrazione ferroviaria sono autorizzate solo a esporre � proposte di revisione � alla autorizzazione delle � Superiori autorit� �. Tale approvazione � quindi l'atto che rende operante non solo le eventuali proposte unilaterali dell'amministrazione ferroviaria ma anche gli eventuali accordi eventualmente intervenuti con l'appaltatore, non potendo esservi dubbio che anche eventuali accordi, in quanto importanti modificazione di un elemento del contratto, siano soggette ad approvazione. Ma il ricorrente vorrebbe rinvenire il potere legittimante in tal senso negli articoli 14, 15 e 20 del capitolato generale delle ferrovie dello Stato 9 aprile 1909 i quali abiliterebbero il direttore dei lavori, senza bisogno di altra approvazione, alla variazione dei prezzi. Ma la tesi non ha fondamento. Negli articoli suddetti si prevede il potere del direttore dei lavori di ordinare nuovi lavori, i quali debbono essere valutati ai prezzi di tariffa e, solo se manchino, essi vanno determinati con la procedura dell'art. 20 e cio� vengono concordati tra direttore dei lavori ed appaltatore ed in caso di mancato accordo direttamente dalla amministrazione, salvo riserva 284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'appaltatore. Pertanto i poteri dei direttori dei lavori sono limitati a tale spe�ifiche ipotesi in cui siano disposti nuovi lavori, per i quali non vi siano prezzi di tariffa ed egli non ha alcun potere deliberativo nei casi in cui non vi sia variazione di lavori e si voglia solo modificare il prezzo. Con la modificazione del prezzo, in che si concreta la revisione, importando modificazione del contratto in un suo elemento� costitutivo, richiede l'adozione della procedura stabilita dalla legge all'uopo. Pertanto, poich� nel caso in esame non ricorreva un caso considerato dall'art. 15 del capitolato, la eventuale modificazione non poteva essere concordata direttamente dal direttore dei lavori ma accordata solo a seguito della procedura del d. m. n. 857 del 1940. -(Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 11 giugno 1975, n. 13 � Pres. Danzi � Rel. Granata � Regione autonoma della Valle d'Aosta (avv. Colonna, Palmas e Fornario) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Albisinni), E.N.E.L. (avv. Conte) e S.I.P. (avv. Geremia e Greco). Conflitto di attribuzioni -Tra Stato e Regioni � Passaggio di beni dallo Stato alle Regioni -Momento � Determinazione -Rilevanza per la soluzione del conflitto -Competenza della Corte Costituzionale. (Cost., art. 134; I. 11 marzo 1953, n. 87, artt. 39 e ss.). Conflitto di attribuzioni -Tra Stato e Regione autonoma Valle d'Aosta . In materia di acque pubbliche -Inconfigurabilit�. (St. sp. Valle d'Aosta, artt. 7 e 8). Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione e derivazione . Passaggio alla Valle d'Aosta -Concessioni non utilizzate al 7 settembre 1945 -Accer� tamento -Natura costitutiva. (St. sp. Valle d'Aosta, artt. 7 e 8, commi 1 e 2). Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione e derivazione -Passaggio alla Valle d'Aosta -Incidenza sul canone -Disciplina dei casi di cessazione Applicabilit�. (St. sp. Valle d'Aosta, artt. 7 e 8; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 55 comma 6). Spetta alla Corte costituzionale, quale giudice dei conflitti di attribuzione, stabilire in che momento sia avvenuto il passaggio d'un bene dello Stato ad una Regione, quante volte ci� sia controverso e l'appartenenza del bene costituisca il presupposto della titolarit� del potere esercitato (1). (1) In termini, richiamata in motivazione, Corte cost., 18 maggio 1959, n. 31, Giur. cast., 1959, 383 con osserv. critica di CASSARINO, Un preteso conflitto di attribuzioni; adde, Corte cost., 23 marzo 1960, n. ,13, Giur. cast., 1960, 123. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 285 In materia di acque pubbliche non � configurabile un conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la Regione autonoma della Valle d'Aosta, perch� le acque esistenti nel territorio di questa sono state solo fatte oggetto di con. cessione gratuita novantanovennale alla regione rimanendo perci� nel demanio dello Stato, s� che � da escludere in ordine ad esse un integrale trasferimento dei pubblici poteri dello Stato alla Regione (2). Il passaggio alla Regione autonoma della Valle d'Aosta delle concessioni di acque gi� <;J.Ssentite alla data del 7 settembre 1945 ma a tale data non ancora utilizzate si opera per effetto del provvedimento degli organi dello St�to che accertano il mancato esercizio e dal momento della emissione di tale provvedimento, che ha perci� natura costitutiva (3). Il canone di concessione di acque pubbliche � dovuto per l'intero anno in corso al momento della cessazione del rapporto, ogniqualvolta questa sia riconducibile al fatto del concessionario: e la regola trova applicazione anche nel caso di cessazione del rapporto con conseguente passaggio alla Regione autonoma della 'valle d'Aosta delle concessioni non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, in cui la cessazione del rapporto si ricollega a fatto dell'utente (4). (Omissis). -La questione di difetto di giurisdiziqne, sollevata dalla Regione Autonoma della Valle d'Aosta in primo grado sul rilievo che la (2) Cass., 6 novembre 1958, n. 3618 e 6 maggio 1963, n. il107, richiamate in motivazione, sono pubblicate, la prima in Foro pad., 1959, I, 1353 con nota di BuscA, Giur. it., 1959, I, l, 765 con osserv. di BUSCA e Giust. civ., 1959, I, 28; la seconda in Giust. civ., 1963, I, 2111 con osserv. di LIPARI. (3) La disciplina delle acque pubbliche� esistenti nella Regione della Valle d'Aosta aveva gi� costituito oggetto d'esame da parte della giurisprudenza, ma non consta della esistenza di precedenti editi in cui sia venuto in discussione il profilo di tale disciplina cui ha riguardo la decisione. La decisione del Tribunale superiore � stata impugnata con ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione e sulla questione vengono ora ad inci� dere gli artt. 2 e 3 della legge 5 luglio 1975, n. 304, con cui sono state dettate norme per la utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico nella regione della Valle d'Aosta. Ci si limita quindi a segnalare i precedenti relativi alla disciplina delle acque pubbliche nella Valle d'Aosta, considerata nel suo �complesso. Lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta (l. cost. 26 febbra�o 1948, n. 4), riprendendo e sviluppando disposizioni gi� dettate con il d. l.vo lgt. 7 settembre 1945, n. 546, ha trasferito al demanio della Regione le acque pubbliche ad uso di irrigazione e potabile (art. 5 comma secondo) (Cons. St., Sez. II, 16 marzo 1955, n. 1022, Riv. Amm., 1956, 743 e Cons. Stato, 1957, I, 261, ha affermato che insopprimibili esigenze di certezza impongono di considerare trasferite al demanio regionale le sole acque che un provvedimento in atto, di concessione �o riconoscimento d'uso, qualifica come destinate ad uso di irrigazione o pota� bile, con conseguente esclusione di quelle oggetto di utenze abusive), mentre delle altre ha previsto la concessione gratuita alla Regione per novantanove 286 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO controversia se spettino allo Stato o alla Regione i canoni di utenza dal primo pretesi con le ingiunzioni opposte propone un conflitto di attribuzione fra i suddetti soggetti devoluto alla cognizione della Corte Costituzionale, non � stata rinnovata in questa sede. Di essa tuttavia il Tribunale Superiore reputa doversi dare egualmente carico, attesane la rilevabilit� di ufficio. La sentenza impugnata ha negato la sussistenza del dedotto difetto di giurisdizione e la decisione va tenuta ferma. Non tanto perch�, come il Tribunale regionale ha ritenuto, sarebbe in discussione non il �passaggio� alla Regione delle concessioni di cui trattasi perch� non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, bens�, soltanto il � momento � in cui tale passaggio � avvenuto: ed invero quando, come nella specie, la � appartenenza� del bene si pone come presupposto della titolarit� del potere, della cui spettanza all'uno o all'altro soggetto costituzionale si controverte, costituisce accertamento devoluto alla competenza del giudice del relativo conflitto di attribuzione anche quello volto a � stabilire, qualora se ne dubiti, il momento in cui il passaggio del bene � dall'uno all'altro soggetto abbia avuto luogo (Corte Cost. 18 maggio 1959, n. 31). Quanto piuttosto perch�, anni, consentendone la rinnovazione (art. 7 comma primo). :� pacifico che queste acque sono rimaste nel demanio statale, ma sul significato e la rilevanza della concessione novantanovennale alla Regione si � registrata una evoluzione giurisprudenziale. Le primi:: controversie in cui sono venuti in questione gli effetti della disciplina pl'evista dallo Statuto sono state risolte in base ad un canone di giudizio fondato sulla qualificazione del fenomeno in termini di concessione, in stretta aderenza alla lettera della norma (Trib. sup. acque, 5 agosto 1949, n. 16, Acque bonif. costruz. 1950, 374; Trib. sup. acque, 9 marzo 1956, n. 4, Acque bonif. costruz. 1956, 66 e Foro amm. 1956, Il, 3, 13). Decidendo peraltro sulla impugnazione di illegittimit� costituzionale della legge regionale sulla ricerca e la coltivazione delle miniere in Valle d'Aosta (1. reg. 8 febbraio 1958, n. 1) la Corte costituzionale (27 gennaio 1958, n. 8, Giur. cast. 1958, 59 con osserv. di C. F., Poteri della Regione della Valle d'Ansta in materia mineraria), osservando che un'identica tesi risultava accolta dal Consiglio di Stato in sede consultiva rispetto all'analoga materia delle acque pubbliche, ha affermato che la concessione delle miniere alla Regione, prevista dall'art. 11 St., andava considerata come � attribuzione alla Regione di un complesso di poteri, che essa deve esercitare, in luogo degli organi statali, per fini di decentramento >>, donde la conclusione che la concessione va intesa come un (anche se non integrale) conferimento di poteri alla Regione, in ordine ad un tipo di beni, e non invece come complesso di concessioni di beni appartenenti ad un certo tipo di beni pubblici. La Corte, decidendo della questione di legittimit� costituzionale della legge di nazionalizzazione della energia elettrica, ha poi sommariamente individuato i termini di compatibilit� delle due discipline ed ha rilevato che quella adottata con la legge di nazionalizzazione trovava rispetto all'altra una ragione di prevalenza nell'art. 7, comma quarto, St. -cui si � anche richiamata la decisione in rassegna -per cui la concessione � sqbordi PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 287 conformemente all'insegnamento della Corte Suprema di Cassazione (cfr. sentenze a SS.UU. 6 novembre 1958, n. 3619 e 6 maggio 1963, n. 1107), non � in principio configurabile un conflitto di attribuzione ai sensi dell'art. 134 Cost. tra lo Stato e la Regione Autonoma della Valle d'Aosta in ordine alle acque pubbliche esistenti nel territorio di quest'ultima, essendo le acque stesse rimaste nel Demanio dello Stato giacch� fatto oggetto soltanto di concessione gratuita novantanovennale in favore della Regione e dovendosi, quindi, escludere, in riferimento ad esse, un integrale trasferimento dei pubblici poteri dallo Stato alla Regione. Passando al merito, conviene premettere, all'esposizione ed all'esame delle censure rivolte della Regione e dall'Enel alla decisione dei primi giudici, la precisazione che oggetto della pretesa creditoria, azionata dallo Stato contro la S.I.P. e l'Enel nelle ingiunzioni dall'una e dall'altro opposte con gli atti introduttivi del presente giudizio, sono i canoni (che si pretendono) dovuti in base alle concessioni idroelettriche relative agli impianti detti di � Valgrisanche � -o, anche di �Avise� -e di � Laures �, rispettivamente assentite con d.r. 20 agosto 1923, n. 1833 e con d.r. 30 novembre 1942, n. 295, con decorrenza fino alla emanazione dei decreti intermini nata, in ogni caso, alla condizione che lo Stato non intenda fare oggetto le acque di un piano di interesse nazionale (Corte cost., 7 marzo 1964, n. 13, Giur. cost., 1964, 90 con nota di CRISAFULLI, Legge di nazionalizzazione, decreti delegati e ricorsi regionali). Come � stato posto in evidenza dal Tribunale superiore la regola generale dettata dall'art. 7, comma primo, St. sulla concessione alla Regione delle acque esistenti nella Valle (diverse da quelle previste dall'art. 5 St.) presenta una deroga per le acque che alla data del 7 settembre 1945 avessero gi� formato oggetto di riconoscimento di uso o di concessione (art. 7, comma secondo). La deroga era gi� stata prevista dall'art. 1, comma secondo, del d. l.vo lgt. 7 settembre 1945, n. 546, ma, mentre con questa disposizione s'era stabilito che le acque restassero sottratte alla concessione novantanovennale anche quando uso o concessione fossero venuti a cessare, l'art. 7, comma terzo, St. ha all'opposto previsto il subentrare della Regione nella concessione alla cessazione dell'uso o della concessione. L'applicazione di questo complesso di disposizioni ha dato luogo ad alcune controversie. In una prima controversia � venuto in questione l'applicazione dell'art. 7, comma secondo, St., in relazione a concessione assentita dal sedicente governo della R.S.I. ed alla incidenza di un provvedimento di convalida adottato successivamente al 7 settembre 1945 a norma dell'art. 3 d. l.vo lgt. 5 ottobre 1944, n. 249: � stato riconosciuto che alla data del 7 settembre 1945 non esisteva un provvedimento di concessione, onde a quella stessa data l'acqua doveva considerarsi concessa alla Regione a norma dell'art. 7, comma primo, St., cosicch� non poteva pi� aversi� convalida della concessione assentita dal governo della R.S.I. (Trib. sup. acque, 31 dicembre 1956, n. 27, Acque bonif. costruz., 1957, 53, Foro it., 1957, I, 270 e Giur. it., 1959, I, 2, 792 con nota di BARUCCHI; Cass. 6 novembre 1958, n. 3619, cit.). Un secondo or.dine di controversie ha riguardato la interpretazione dell'art. 7, comma terzo, St., essendosi discussa e negata la possibilit� che lo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 288 steriali n. 2305 del 18 luglio 1962, per la prima, e n. 919 del 6 maggio 1963, per la seconda, che pronunciarono il passaggio delle concessioni stesse alla Regione perch� non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, a norma dell'art. 8 comma primo dello Statuto regionale. All'oggetto cos� identificato ineriscono -in quanto relative alla sussistenza ed alla titolarit� attiva e passiva del rapporto obbligatorio concernente quei canoni demaniali -le questioni riproposte dalla Regione con l'ultimo motivo di gravame distinto con il n. VII e correlato alle richieste elencate ai numeri II e III dell'atto di appello ed ai nn. III e IV delle conclusioni definitive, e quelle riproposte dall'Enel con i primi tre motivi del proprio gravame. Tesi di fondo comune ai due appellanti � che il � passaggio � dallo Stato alla Regione delle concessioni assentite precedentemente al 7 settembre 1945, ma non ancora utilizzate a tale data, si produce ope legis, in forza della previsione in tal sens9 dettata dall'art. 18 comma primo dello Statuto regionale, approvato con legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4, e che pertanto i provvedimenti statuali, che in ordine a tale effetto pronunzino (come nella specie i citati decreti interministeriali 18 luglio 1962, n. 2305 per la derivazione di Valgrisanche e 6 maggio 1963, n. 919 per quella di Laures), siano non co�stitutivi, ma meramente dichiarativi dell'effetto gi� prodottosi. Le posizioni dei due appellanti divergono, poi, nell'ulteriore svolgimento della tesi, sul punto concernente la individuazione dello � oggetto � Stato facesse luogo dopo il 7 settembre 1945 alla rinnovazione di concessioni scadute anteriormente (Trib. sup. acque, 9 marzo 1956, n. 4, Acque bonif. costruz., 1956, 66 e Foro amm., 1956, II, 3, 13; Trib. sup. acque, 20 luglio 1960, n. 28, Acque bonif. costruz., 1960, 394 con nota di CORSARO, e Giust. civ., 1961, I, 142; Cass., 6 maggio 1963, n. 1107, cit.). In sostanza, anche argomentando sulla base della 1. reg. 8 novembre 1956, n. 5, con cui era stata data applicazione nella Regione alla 1. 8 gennaio 1962, n. 42 sulla proroga delle concessioni per piccole derivazioni, si � affermato che la concessione novantanovennale alla Regione prevista dall'art. 7, comma primo, St. si � determinata ex lege alla data del 7 settembre 1945 per le acque per cui alla stessa data non era intervenuto un provvedimento di riconosci� mento d'uso o di concessione o lo stesso aveva esaurito la sua efficacia per scadenza del termine di durata, mentre le acque oggetto di provvedimenti concessori in atto al 7 settembre 1945 rientreranno tra quelle concesse allo esaurimento delle precedenti concessioni. L'art. 8, comma primo, St. dispone infine che le concessioni di acque indicate nel secondo comma dell'art. 7, che alla data del 7 settembre 1945� non siano state utilizzate, passano alla Regione, ed � l'applicazione di questa norma che ha dato luogo alla controversia decisa dalla sentenza in rassegna. Per quanto attiene alla natura costitutiva con efficacia ex nunc dei provvedimenti che dispongano la decadenza da concessioni di acque pubbliche, cfr., tra le decisioni pi� recenti, Cass., 7 ottobre 1969, n. 3194 e Trib. sup. acque,. 18 aprile 1968, n. 9, in� questa Rassegna, 1969, I, 965 e 1968, I, 646. (4) Non constano precedenti in termini. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 289' del passaggio: che, mentre la Regione, come meglio ha chiarito la sua difesa nella discussione orale davanti al Collegio, sostiene che passerebbe la. titolarit� attiva del rapporto di concessione originario, il quale proseguirebbe, soggettivamente novato nella persona del concedente, fra l'Amministrazione regionale ed il vecchio concessionario, invece l'Enel ci� recisamente nega, affermando che effetto della vicenda sarebbe soltanto la inclusione delle acque, gi� oggetto della concessione non utilizzata alla. data di riferimento del 7 settembre 1945 e per tale ragione fatta cessare dalla legge, nel pi� ampio e generale complesso idrico attribuito alla Regione in concessione novantanovennale gratuita in forza dell'art. 7 comma primo dello Statuto. Con le opposte conseguenze che, secondo la Regione, i canoni maturati successivamente alla data del 7 settembre 1945 competerebbero ad essa, in quanto subentrata da quel momento allo Stato nella posizione di concedente, mentre secondo l'Enel nulla, a far tempo da quella data, potrebbe essere preteso a titolo di canone dalla Regione, se non dopo� avere regolarizzato, mediante il formale provvedimento di subconcessione previsto dall'art. 8, comma secondo, ultima parte, dello Statuto, il rappo;rto� di fatto eventualmente proseguito con l'antico concessionario dello Stato.. Come ha gi� ritenuto il Tribunale regionale la tesi degli appellanti � errata in radice. La disciplina dettata dallo Statuto regionale per le acque pubbliche esistenti nella. Regione, diverse da quelle in uso di irrigazione e potabile, pu� sintetizzarsi nella statuizione, in sequenza, di una regola, di una ecce-� zione alla regola e, infine, di due deroghe alla eccezione. La regola � sancita dall'art. 7, comma primo, a norma del quale �le acque pubbliche� in parola �sono date in concessione gratuita per novantanove anni alla Regione �, L'eccezione � nel comma successivo, per il quale �sono escluse dalla concessione le acque che alla data del 7 settembre 1945 abbiano gi� formato� oggetto di riconoscimento di uso o di concessione �, Le due deroghe, infine, a quest'ultima disposizione sono statuite nel successivo terzo comma dello stesso art. 7 e nel comma primo dell'art. 8' seguente, nei quali, con riferimento proprio alle acque � escluse � dalla concessione novantanovennale a termini del secondo comma dell'art. 7 � stabilito -rispettivan1ente -che �alla �cessazione dell'uso e della concessione... la Regione subentra nella concessione �, e .che quelle stesse � concessioni di acque.. ., che alla data del 7 settembre 1945 non siano state utilizzate, passano alla Regione �. In relazione alla sequenza normativa cos� tracciata, il problema relativo alla individuazione dell'ambito entro il quale � destinata ad operare la successiva disposizione dettata dal comma secondo dello stesso art. 8 -a norma della quale � il Presidente della Giunta regionale ha facolt� di pro vocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle conces RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sioni, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge � -si risolve nel senso della riferibilit� di essa sia alla ipotesi del � subentro >>, di cui al terzo comma dell'art. 7, sia a quella del �passaggio�, di cui al primo comma dell'art. 8, in base a decisive considerazioni letterali, sistematiche e razionali. Sul piano letterale, la tesi -alla cui stregua il legislatore statutario ha usato, nel secondo comma dell'art. 8, il termine � decadenza � per riferirsi non solo alle ipote$i come tali definite dall'art. 55 del t. u. sulle acque pubbliche, approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, certamente ricomprese nella �cessazione� regolata dal terzo comma dell'art. 7 dello stesso Statuto, ma anche alla fattispecie delineata nel precedente comma primo � resa attendibile dalla considerazione della presenza in quest'ultima di elementi strutturali (mancato inizio della utilizzazione entro un dato termine) obiettivamente analoghi a quelli propri di una delle figure tipiche della ricordata decadenza di diritto comune (lett. f del citato art. 55 t. u. sulle acque). La conferma della esattezza di tale lettura � data poi dalla collocazione della norma, la quale, ove si fosse riferita unicamente alla disposizione di cui al terzo comma dell'art. 7 avrebbe dovuto trovare posto di seguito a questo, anzich� nell'articolo successivo e dopo il primo comma dello stesso, laddove quella in concreto adottata dal legislatore in tanto ha senso, in quanto il secondo comma dell'art. 8 esprima la continuazione del discorso svolto (anche) nel precedente comma primo. Ed ancora in senso conforme depone il confronto con la disposizione dettata dal successivo art. 11 per le miniere, che � in parallelo � con la normativa degli artt. 7 e 8 relativa alle acque, dispone pur essa la decadenza � per non uso � del bene pubblico da parte del concessionario, limitatamente peraltro all'ipotesi di diritto comune della mancata � utilizzazione nei termini previsti dalla 'legge�, attribuendo anche qui alla Regione, sebbene terza rispetto al rapporto in atto, la facolt� di promuovere la declaratoria di decadenza. N� va sottaciuto, infine, che, anche per il �passaggio� alla Regione delle derivazioni idroelettriche (assentite ma) non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, l'ancoramento del (momento del) suo verificarsi al dato formale dell'accertamento, da parte dei competenti organi statuali, del presupposto di fatto in cui esso ha causa, risponde a concrete esigenze di certezza nei rapporti fra tutti i soggetti interessati, e trova ulteriore ragione nella necessit� che, pure rispetto alle acque oggetto di questa particolare vicenda, sia contestualmente compiuta quella valutazione, largamente discrezionale, di compatibilit� con i programmi generali dello Stato, imposta come regola generalissima dell'ultimo comma dell'art. 7. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN'MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Accertata cos� la funzione costitutiva, che il provvedimento statale pronunziante il � passaggio � alla Regione delle concessioni (assentite ma) non utilizzate alla data del 7 settembre 1945 esplica nell'ambito della fattispecie legale delineata dall'art. 8 dello Statuto, si appalesa priva df rilevanza, sul piano della disciplina legislativa dei rapporti di cui � causa, la eventuale diversit� di opinioni che in materia possano avere avuto, all'epoca, i soggetti interessati e le stesse amministrazioni statali autrici d�i provvedimenti, e restano pertanto superate le considerazioni svolte dagli appellanti riguardo alle valutazioni soggettive degli uni e delle altre in tesi desumibili dai decreti interministeriali 18 luglio 1962 e 6 maggio 1963 e dalla convenzione 14 settembre 1961 fra la SIP e la Regione. Come del pari irrilevanti si appalesano le ulteriori argomentazioni critiche che l'Enel vorrebbe trarre dalla intervenuta attuazione, prima del decreto pronunziante il passaggio alla Regione, della derivazione di Valgrisanche, nonch� dalla sopravvenienza della legge di nazionalizzazione. Quanto invero, alla prima deduzione � sufficiente rilevare che l'elemento di fatto costitutivo della fattispecie legale in esame � unicamente la mancata utilizzazione alla data di riferimento fissata dalla legge (7 settembre 1945), indipendentemente dalle. successive vic�nde degli impianti. La indifferenza, poi, del secondo tema al _profilo della causa qui considerato si desume dalla considerazione che la declaratoria del passaggio alla Regione, pur dopo la nazionalizzazione, rimaneva in ogni caso giustificato dalla sopravvivenza della concessione novantanovennale nei limiti della �compatibilit�� con il nuovo regime di monopolio in favore dell'Enel (Corte Cost: 7 marzo 1964, n. 13). Per altro verso, inoltre, la richiesta della Regione -formulata ai nn. I dell'atto di appello e II delle conclusioni definitive, sulla base dei motivi di gravame contrassegnati con i nn. IV e V -di individuare �al positivo � gli specifici effetti prodotti dalla nazionalizzazione sulla cennata concessione novantanovem�ale fuoriesce dall'ambito della causa sopra delineato e si risolve in una domanda nuova rispetto alla quale il rifiuto di esame nel merito espresso dal Tribunale Regionale deve essere confermato, avendo gi� in primo grado sia lo Stato (cfr. comparsa conclusionale depositata il 14 gennaio 1972, pagg. 11-11) che l'Enel (cfr. note depositate il 20 gennaio 1972, pag. 4) rifiutato il contraddittorio per tutte le pretese che esorbitassero dall'oggetto originario della lite. Con riguardo, quindi, al regime legale del rapporto obbligatorio concernente i canoni demaniali dovuti tanto per la derivazione di Valgrisan� che quanto per quella di Laures, in origine corrente fra lo Stato e la SIP deve concludersi che, per quanto interessa il periodo fino alla emanazione dei provvedimenti statali pronunzianti il passaggio delle concessioni alle Regioni, l'unica modificazione, cui pu� riconoscersi giuridico rilievo, � quella concernente la successione dell'Enel alla SIP, verificatasi nella tito 292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO larit� della posizione debitoria per effetto della nazionalizzazione delle imprese elettriche. N� a conclusioni diverse conduce, contrariamente alla tesi diffusamente svolta dalla Regione nei motivi di gravame, addotti sub nn. VI e� VII a sostegno delle richieste formulate ai nn. IV, V, VI, VII dell'atto di appello e I, V, VI, VII delle conclusioni definitive, la considerazione della convenzione stipulata in data 4 settembre 1961 fra la Regione e la SIP. Posto, invero, che, alla stregua del regime legale suo proprio, il rapporto obbligatorio relativo ai canoni demaniali dovuti, fino alla emanazione dei decreti interministeriali concernenti il passaggio alle Regioni~ per le concessioni di Valgrisanche e di Laures � rimasto incardinato� in capo allo Stato, da un lato, ed alla SIP, dall'altro, in tanto il trasferimento della posizione attiva dallo Stato alla Regione -in tesi pat-� tuito, secondo l'assunto di quest'ultima, con la menzionata convenzione avrebbe potuto produrre effetto, in quanto ad esso avesse prestatoassenso il suo titolare, cio� lo Stato, non potendo in principio la posizione creditoria circolare negozialmente, senza il concorso del soggettocui pertiene. Nella specie, invece, lo �Stato, estraneo alla convenzione tra la SIP e la Regione, ha ad essa successivamente prestato adesione soltanto per la parte concernente la rinunzia della SIP alla rip�tizione dei canoni gi� corrisposti, come � dato desumere dall'inequivoco tenore del provvedimento interministeriale 3 febbraio 1962, n. 1021 (in fascicolo �documenti� della regione di 1� grado), con il quale, �considerato che possono essere accettate le clausole contenute nella citata convenzione� per quanto riguarda la rinunzia della Societ� Idroelettrica Piemonte: al rimborso dei canoni gi� pagati ... �, -testualmente si � decreta , .. art. 2 . . . sono tuttavia accettate le clausole contenute nella convenzione . . . per quanto riguarda la rinunzia della soc. idroel. Piemonte al rimborso dei canoni gi� pagati ... �. Sicch�, quand'anche una assunzione di obbligazione della SIP verso. la Regione fosse -come costei assume -da ravvisarsi pattuita in con venzione, tale obbligazione non avrebbe giammai per oggetto i canoni demaniali, tuttora dovuti dalla SIP allo Stato, ma una somma equi valente, e quindi la domanda relativamente ad essa formulata dalla Regione rimane, per titolo e per oggetto, fuori dell'ambito originario. della causa, nella quale non pu� trovare ingresso per il gi� ricordati:} rifiuto delle controparti di accettare un ampliamento della materia controversa. Come pure inammissibili, per la stessa ragione di novit�, si appale sano, infine, tutte le rimanenti domande dalla Regione proposte relati vamente alle altre prestazioni in tesi dovutele in base, ancora, alla con venzione citata. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 293 Con la conseguenza, per le considerazioni fin qui svolte, che vanno respinti sia il gravame della Regione nella sua interezza, compreso l'ultimo capo (sub. n. VIII dell'atto di appello e delle conclusioni defi� nitive) relativo alle spese di primo grado, sia i primi tre motivi dell'appello dell'Enel. Rimangono cos� da esaminare soltanto gli altri tre motivi di quest'ultimo gravame, che in via subordinata ripropongono contestazioni circa la entit� dei canoni demaniali dovuti per le due concessioni in discorso fino al momento del loro passaggio alla Regione. Di essi, � comune ad entrambe le concessioni il quarto, mentre il quinto ed il sesto riguardano soltanto la concessione di Valgrisanche. In particolare con il quarto motivo, l'Enel rinnova la deduzione, secondo la quale, dell'ammalit� di canone in corso alla data di emana� zione dei decreti interministeriali produttivi del passaggio delle concessioni alla Regione, lo Stato potrebbe pretendere solo la frazione cor� relativa al periodo precedente a tale data, ma non anche quella correlativa al periodo successivo. Correttamente, invece, il Tribunale regionale ha disatteso tale tesi, in applicazione della regola dettata nel penultimo comma dell'art. 55 del t.u. sulle acque. In tale regola, infatti, deve rinvenirsi l'espressione di un principio generale circa la debenza del canone per l'intero anno in corso al momento della cessazione del rapporto, ogni qualvolta questa sia riconducibile al fatto dell'utente, come � fatto palese dall'essere essa testualmente enunziata con riferimento, oltre che al caso di decadenza, anche a quello di rinunzia, dal quale ultimo esula, a differenza dall'altro, ogni profilo di colpa e di correlativa sanzione. Onde il quesito circa l'appli� cabilit� della regola pure all'ipotesi peculiare delineata dall'art. 8 comma primo dello Statuto va risolto affermativamente, sul rilievo che anche in questa la cessazione del rapporto si ricollega al fatto dell'utente -il mancato inizio della utilizzazione entro la data di riferimento normativo -indipendentemente da ogni valutazione di colpevolezza. Pure infondato � il quinto motivo, con il quale si torna a negare, sotto un duplice profilo, che possa lo Stato pretendere il pagamento di canoni relativi a potenze maggiori di quelle concesse, riscontrate in sede di collaudi eseguiti dopo il 7 settembre 1945. Da un lato, invero, la natura costitutiva del decreto interministeriale, che ha pronunziato il passaggio alla Regione della concessione di Valgrisanche, conduce, conformemente al corretto avviso espresso dai primi giudici, a ritenere che per tutto il periodo precedente il rapporto concessorio si � validamente ed efficacemente svolto tra la SIP e lo Stato, e che hanno quindi conservato efficacia nel governo del rapporto, fino alla data di quel decreto, gli ;;itti ed i provvedimenti succedutisi RASSEGNA DELL'AVVOCATUR� DELLO STATO nel corso di esso. N�, come si � gi� accennato, potrebbe attribuirsi alcuna rilevanza in contrario alla diversa opnione, in allora professata, eventual� mente, dalle Amministrazioni statali provvedenti, giacch� pur quando la dichiarazione di nullit� dei provvedimenti adottati successivamente al 7 settembre 1945, resa con il decreto interministeriale 18 luglio 1962, fosse da intendere nel senso di rimozione ex tunc e non, come sembra avere opinato il primo giudice, quale mera dichiarazione di sopravvenuta inefficacia ex nunc, tuttavia la illegittimit� della relativa statuizione, siccome adottata in violazione di quella che si � vista essere la disciplina positiva dettata per la fattispecie del � passaggio � alla Regione delle concessioni (assentite ma) non utilizzate alla data del 7 settembre 1945, ne imporrebbe la disapplicazione, sicch� ancora una volta, ai fini della causa, dovrebbero riconoscersi efficaci gli accertamenti di maggiore potenza, sui quali si fonda, a norma del disciplinare, la pretesa della Amministrazione finanziaria. D'altro lato, neppure � fondato l'ulteriore profilo della censura, con cui si deduce la � inesistenza � della prova della data di decorrenza della realizzazione della �maggiore potenza�, che del tutto � ingiustificatamente �;�quindi, sarebbe stata �fissata al 1 � gennaio 1958 �. Infatti proprio questa -secondo quanto � dato desumere dagli atti (cfr. in fascicolo dell'Avvocatura la nota del Ministero LL. PP. 25 luglio 1960, n. 2628 indirizzata all'Ufficio Genio Civile di Aosta, in cui, nell'approvare il secondo certificato di collaudo provvisorio 29 marzo 1960, si rileva come � dal detto collaudo provvisorio . . . e dalla successiva nota 7 giugno 1960 n. 1835 di codesto Ufficio risulta che le caratteristiche dell'attuale derivazione ... sono dal 1-1-58 ... � quelle giustificative della maggiore richiesta) -� la data nella quale � iniziata la utilizzazione della maggiore utenze tassata. Infine � infondato anche il sesto, ed ultimo, motivo, riproduttivo della eccezione di prescrizione relativamente al conguaglio afferente al periodo 2 gennaio 1943 -8 febbraio 1954, fondata sul rilievo che il diritto di pretendere�il pagamento del canone sorge in capo all'Amministrazione con l'inizio della utilizzazione dell'acqua, ai sensi dell'art. 37 del t.u., nulla _rilevando il ritardo con cui l'Amministrazione stessa in concreto provveda a svolgere gli accertamenti necessari per determinare l'ammontare preciso del suo credito. Va per contro considerato, anche qui in conformit� degli esatti rilievi svolti dal Tribunale regionale, che nel caso, a norma dell'art. 13 del disciplinare, le modificazioni del canone dovevano decorrere dalla scadenza del termine assegnato per l'ultimazione dei lavori ed in relazione alle varianti della potenza motrice risultanti �da accertamenti da effettuarsi all'atto del collaudo �. Convenzionalmente, quindi, il collaudo -o, PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 495. meglio, la rilevazione dell'aumento di potenza compiuta in occasione di esso -fungeva da momento accertativo, sia nell'an che nel quantum, del credito dell'Amministrazione, sicch� prima della concreta effettuazione del relativo accertamento non vi era diritto azionabile e .non poteva quindi, quanto meno in assenza di un �ritardo ascrivibile a colpa della concedente, in causa nemmeno allegata, decorrere prescrizione alcuna in danno della stessa. In conclusione, anche l'appello dell'Enel si appalesa interamente infondato. Entrambe le impugnazioni, dunque, vanno rigettate, con la conferma della sentenza impugnata. -(Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 8 novembre 1975, n. 23 -Pres. Danzi - Rel. Granata -E.N.E.L. (avv. Conte) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Albisinni). Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni -Diminuita o soppressa utilizza� zione dell'acqua � Rilevanza -Limiti. (T. u., 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 35, 36, 37, 48 e 55). Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni � Diminuita o soppressa utilizzazione dell'acqua -Per cause naturali -Rilevanza � Previo accertamento amministrativo della impossibilit� di adattare la derivazione -Necessit� -Esclusione. (T. u., 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 48). Acque pubbliche ed elettricit� � Canoni -Diminuita o soppressa utilizzazione dell'acqua -Causa naturale " Illecito di dipendente del concessionario � Non � tale. (T. u., 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 48). Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni -I.G.E. � Rivalsa � Competenza dei tribunali delle acque. (D. l. 9 gennaio '1940, n. 2 conv. in l. 19 giugno 1940, n. 762, artt. 1, comma 3, lett. d, 3 ed 8; cod. proc. civ., art. 9; t.u., 11 dicembre 1933, n. 1775, .art. 140). Acque pubbliche ed elettricit� -Canoni -Natura patrimoniale � Soggezione all'I.G.E. (D. l. 9 gennaio 1940, n. 2 conv. in l. 19 giugno 1940, n. 762, art. 3). Le vicende che nel corso del rapporto determinano Una diminuzione od il venir meno dell'acqua pubblica oggetto della concessione non danno 296 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO luogo a riduzione o cessazione del canone se non nei casi e limiti previsti dalla disciplina speciale in tema di acque pubbliche (1). L'esperimento della procedura amministrativa intesa ad accertare che il concessionario non possa senza spese eccessive adattare la derivazione al corso d'acqua modificato � previsto non per il caso di modifiche dipendenti da cause naturali, ma per quello di modifiche conseguenti ad opere eseguite dallo Stato ed � comunque pregiudiziale alla sola azione intesa alla determinazione dell'indennit� e non anche a quella volta a conseguire una riduzione o cessazione del canone (2). Non costituisce modificazione di corso d'acqua derivante da cause naturali e non d� diritto a cessazione del canone per soppressa utilizzazione dell'acqua, la modificazione al cui prodursi abbia concorso il fatto illecito di un dipendente del concessionario (3). La domanda con cui si contesta che sui canoni di concessione d'acqua pubblica � dovuta l'I.G.J3. non d� luogo ad una causa in materia di tasse e imposte, essendo l'I.G.E. pretesa dall'Amministrazione in via di rivalsa, e rientra nella competenza dei tribunali delle acque. pubbliche (4). Sui canoni di concessione d'acqua pubblica, che costituiscono non un'entrata dovuta per legge ma un'entrata (in senso lato) corrispettiva, � esercitata la rivalsa per l'I.G.E. (5). (Omissis). -Dal complesso delle norme dettate dagli artt. 35, 36, 37, 48 e 55 del t.u. del 1938 n. 1775 in materia di determinazione del canone e di obbligo del relativo pagamento, si desume -secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai costante sia di questo Tribunale superiore (sent. 16 giugno 1971, n. 14), che dalla Corte di Cassazione (sent. 25 maggio 1971, n. 1539) -che, pur dovendosi il rapporto di concessione qualifi (1) Per una recente affermazione dello stesso principio, cfr. Trib. sup. acque, 13 giugno 1975, n. 14, in questa Rassegna, 1975, I, 1132; Trib. sup. acque, J.6 giugno 1971, n. 14 e Cass., 25 magjgio 1971, n. 1539, richiamate in motivazione, sono pubblicate rispettivamente in Comm. centr. imp., 1971, Il, 1148 e Rass. giur. Enel, 1971, 794. (2) Sulla interpretazione dell'art. 48 del t.u. del 1933, cfr. Cass., 16. marzo 1970, n. 680 e Trib. sup. acque, 25 giugno 1968, n. H, in Giust. civ., 1971, I, 154 e 1968, I, 1728. (3) Non constano precedenti in termini. (4) La massima costituisce applicazione di specie della giurisprudenza in materia di l'ite tributaria: sul punto cfr., Cass. 19 dicembre 1969, n. 4004 e 6 febbraio 1970, n. 264 in questa Rassegna, 1970, I, 118. (5) Cfr., in termini, Trib. sup. acque, 15 ottobre 1974, n. 17 in questa Rassegna, 1975, I, 769. Cass. 2 ottobre 1970, n. 2101, ricl�amata in motivazione e pubblicata in questa Rassegna, 1971, I, 95 e in Giust. civ. 1971, I, 923. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI -care come bilaterale oneroso, e pur intercorrendo una certa corrispettivit� in senso ampio fra la messa a disposizione dell'acqua e la corresponsione del canone, tuttavia manca fra le correlative obbligazioni dello Stato e dell'utente un rapporto riconducibile nell'ambito del sinallagma proprio dei contratti a prestazioni corrispettive del diritto privato. In controversie del genere di quella in esame, � quindi escluso <:he �si possa fare indiscriminato ricorso a norme e principi che regolano i rapporti privatistici a carattere sinallagmatico, dovendosi ritenere che il principio di corrispettivit� operi nel rapporto concessorio di acqua pubblica soltanto nei limiti riconosciuti dalla speciale disciplina della materia. Orbene, proprio per quanto riguarda il tipo di situazione ricorrente nella specie, dalle disposizioni dettate con l'art. 48 pi� volte citato :si desume, con argomentazione a contrario, che le variazioni in meno della disponibilit� dell'acqua, fuori dai casi in esso previsti, non conducono a corrispondenti variazioni del canone. A parte, quindi, l'ipotesi, estranea alla specie, considerata nel terzo comma (alla quale unicamente -e comunque per effetti diversi dalla variazione del canone -si riferiscono le prescrizioni tanto del quarto che del quinto comma, come � fatto palese dalla loro testuale formulazione, onde non sussiste )a ragione di inammissibilit� riproposta, in via di appello incidenta~e, dal1' Amministrazione sul rilievo .del mancato esperimento della previa pro<: edura amministrativa prevista da tali disposizioni), la �diminuita o soppressa utilizzazione dell'acqua� conduce alla �riduzione o cessazione del canone � soltanto quando dipenda dalla modificazione � per cause naturali� del regime del corso d'acqua o del bacino interessati (art. 48, .comma primo). Sicch� la controversia de qua si risolve accertandosi se la rottura del ponte-tubo, che ha determinato la temporanea inutilizzazione totale dell'intera concessione, e la modificazione del bacino del Vajont, che ha reso impossibile l'esercizio della relativa derivazione, si riconducano eziologicamente, oppur no, a causa definibili � naturali �. E la risposta deve essere negativa, essendo rimasto accertato in sede penale, nel giudizio conclusosi con la sentenza della Corte di Cassazione (sez. IV penale) 25 marzo -20 luglio 1971, che la gigantesca frana del Monte Toc, in cui secondo la tesi dell'Enel dovrebbe ravvisarsi la causa naturalistica degli eventi dedotti a fondamento delle proprie pretese, in realt� � stata a sua volta determinata da un fatto umano colposo, imputabile, attraverso la interposizione organica del proprio preposto ing. Biadene, (anche) al concessionario. N� vale opporre �che l'invasamento del bacino del Vajont, da cui la frana fu originata, �costituiva per il concessionario stesso attivit� dovuta, mai potendosi considerare tale una condotta riconosciuta penalmente rilevante con sentenza passata in giudicato. La circostanza, poi, che con l'attivit� colposa del (personale dipendente dal) concessionario abbia concorso nella con . I 298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO m lli .sumazione del fatto-reato anche la condotta, pure giudicata penalmente illecita, del (personale dipendente dal) concedente (ing. Sensidoni), non conduce ad attribuire alia � causa � degli eventi invocati dall'Enel quel predicato naturalistico, assunto ad elemento costitutivo della fattispecie legale prevista dall'art. 48 comma primo. Se, poi, tale concorso possa fondare una diversa pretesa del concessionario per il ristoro dei danni sofferti in conseguenza dell'evento cos� provocato (cfr. Cass. S.U. 16 marzo 1970, n. 860) � questione estranea al presente giudizio, sulla quale non � dato quindi in questa sede interloquire. Pure infondati sono gli ultimi due motivi di gravame dell'Enel, concernenti -il quarto -la condanna al pagamento degli interessi, la cui conferma segue quella della pronunzia sulla debenza del canone e -il quinto -la condanna al pagamento dell'I.G.E. commisurata all'importo dei canoni stessi, la quale pure deve rimanere ferma perch�, mentre da un lato sussiste la competenza del giudice delle acque pubbliche a conoscerne trattandosi di azione dall'Amministrazione esercitata in via di rivalsa e non iure imperii, onde non si versa, contrariamente alla tesi riproposta dall'Amministrazione in via di appello incidentale, in materia di lite tributaria, dall'altro lato � certo che la rivalsa � dovuta, costituendo il canone (non una entrata dovuta per legge, ai sensi dell'art. 1, lett. d, d.I. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito in I. 19 giugno 1940, n. 762, bens�) una entrata corrispettiva, pur se nel senso lato sopra precisato, del concesso godimento del bene demaniale -(cfr. Cass. 22 ot-� tobre 1970, n. 101). (Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 14 febbraio 1976, n. 3 -Pres. Danzi - Rel. Moscone -Sollima Morso (avv. Ferrugia) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Albisinni) e Assessorato alle finanze della Regione Siciliana (n. c.). Acque p�bbliche ed elettricit� -Corsi d'acqua -Accessione di golena al fondo limitrofo -Prova della non sommergibllit� -Onere. (Cod. civ., artt. 941, 942 e 2697). Acque pubbliche ed elettricit� � Competenza e giurisdizione � Sentenza che regola la competenza � Effetti � Fattispecie. (Cod. proc. civ., artt; 49 e 310). L'incertezza circa la effettiva soggezione di una golena alla espansione delle acque del fiume durante le piene ordinarie si risolve in danno del proprietario del fondo confinante che ne rivendica l'acquisto e la cui domanda .�.�-�.�.-.�.�.�.�.�.-.-.-.-..-.-.-...-...-.......-.-.-.�.�.-.�-���������-����������� �����,,..,..,., .��.... �����-��----.................. ,.,.,. �.�� ''' "I'";{ �� J. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN" MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 299 va rigettata per non esser stato assolto l'onere della prova dei fatti costitutivi del diritto vantato (1). La sentenza che regola la competenza attribuendola al tribunale regionale delle acque pubbliche � preclusiva dell'eccezione di incompetenza dello stesso tribunale a pronunziare la condanna della P. A. al risarcimento dei danni, per aver fatto oggetto di concessione un fondo che nel corso del giudizio � risultato estraneo all'alveo e perci� al demanio idrico (2). (Omissis). -Nell'intraprendere l'esame dell'appello del Sollima e opportuno premettere che, come venne chiarito dal Tribunale Regionale e non � qui contestato, il terreno di ettari 12.90 controverso � costituito da una golena, sita sulla sinistra orografica del fiume Salso e compresa fra un'ampia ansa, a forma di semicerchio, del suo alveo attuale e il piede di un ciglione a strapiombo, il quale ha un andamento approssimativamente rettilineo, � alto da m. 2,50 a m. 8 e si presenta come l'argine naturale dell'alveo originario. Il Sollima sostiene di averne da tempo acquisito la propriet� a, norma dell'art. 941 e dell'art. 942 cod. civ., ma contro le sue pretese la sentenza impugnata afferma anzitutto che, a causa di opere di sistemazione del corso del Salso, eseguite a monte e costituite principalmente alla diga del Pozzillo (ultimata il 18 luglio 1959), per delimitare l'alveo del fiume non ci si pu� basare sulla portata attuale delle sue piene ordinarie, non potendosi escludere l'eventualit� che, nel periodo primaverile e per ragioni d'ordine tecnico, si presenti la necessit� di scaricare parzialmente o tot,almente nell'alveo del fiume le acque della diga, con conseguente loro espansione su tutto e su parte del terreno controverso. Indi la sentenza impugnata respinge anche una tesi subordinata del Sollima, secondo cui non si dovrebbe tener conto di tale nuova situazione, per aver egli acquistato la propriet� del terreno molto prima della costruzione della diga, e considera al riguardo che � bens� vero che Cl) In argomento cfr. Trib. sup. acque, 7 marzo 1974, n. 4, in questa Rassegna, 1974, I, 737, cui adde, Trib. sup. acque, 22 giugno 1971, n. 18, Rass. Cons. Stato, 1971 II, 615 e Trib. sup. acque, 30 gennaio 1965, n. 1, Giust. civ., 1%5, I, 1496. (2) L'eccezione che il Tribunale Superiore ha considerato preclusa dal giudicato interno formatosi sulla competenza attinge al problema del rapporto tra accertamento negativo della demanialit� idrica e competenza sul merito della domanda con cui si fa valere un diritto che presuppone l'assenza della demanialit� idrica. Sull'argomento, cfr., da ultimo, Cass., 5 settembre 1974, n. 2417, Trib. sup. acque, 10 novembre 1975, n. 25 e Cass., 25 ottobre ,1975, n. 3561, in questa Rassegna, 1974, I, 1477 e 1975, I, e 1127. Cass. 15 luglio 1966, n. 1894, richiamata in motivazione, pu� leggersi in Giur_ agr., 1967, 213. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 300 l'ansa anzidetta venne a fermarsi in tempo anteriore al 1878, ma che non � provato con certezza che, prima del verificarsi della nuova situazione determinata dalla diga, il terreno compreso fra l'ansa e il ciglione non fosse pi� soggetto, in tutto o in parte, alla servit� idraulica del fiume. Ci� posto, si rileva che, delle riferite statuizioni, soltanto l'ultima risulta impugnata dal Sollima, il quale col suo primo motivo d'appello sostiene: a) che esistevano in atti prove sufficienti che il terreno di ettari 12.90, o almeno una parte di esso, era stato lentamente e gradualmente abbandonato in modo stabile e definitivo dalle acque del fiume Salso anteriormente alla costruzione della diga; b) che, anche a voler ammettere la possibilit� di dubbi in proposito, ci� avrebbe dovuto indurre il Tribunale Regionale a un approfondimento delle indagini e non al rigetto della domanda. Tali censure sono prive di fondamento. D'altra parte, le nuove produzioni dell'appellante in questo grado non solo non giovano alla sua tesi, ma forniscono anzi alcuni elementi atti a rafforzare il convincimento che la pronunzia del prhho giudice vada confermata. Infatti, come si dimostrer�, era per lo meno dubbio in primo grado, e lo resta tuttora, che, prima della costruzione della diga del Pozzillo, il terreno controverso non fosse pi� soggetto in tutto o in parte alla servit� idraulica del fiume Salso, onde la domanda del Sollima non poteva e non pu� non essere respinta, in base al principio generale sancito nel primo comma dell'art. 2697 cod. civ. Per risolvere la questione dell'esistenza o meno di una tale servit�, le parti hanno cercato di stabilire fin dal giudizio di primo grado quale fosse, anteriormente alla costruzione della diga, la portata media delle piene ordinarie del fiume Salso nella localit� Piano del Cugno, ove si trova il terreno controverso. Tuttavia i dati a disposizione non potrebbero condurre in ogni caso a risultati soddisfacenti e sicuramente attendibili. Infatti, mentre all'uopo � indispensabile disporre di osservazioni eseguite sistematicamente e per un lungo periodo di anni, nella specie si hanno bens� dati raccolti per il Salso nella vicina stazione idrometrografica di Don Gennaro, ma solo per gli anni 1925 e 1927. Si � quindi pensato di adottare un procedimento comparativo con il fiume Simeto, avvalendosi dei dati della stazione di Biscari; ma, anche a prescindere dai dubbi circa il grado di validit� di un simile procedimento, anche questi dati non sono molti n� sistematicamente raccolti, riguardando soltanto tredici anni fra il 1925 e il 1948. Ad ogni modo, i risultati cos� raggiunti dalle parti non confortano affatto la tesi dell'appellante. Invero si tratta di risultati notevolmente discordi, avendo la difesa del Sollima determinato la portata media delle piene ordinarie del Salso in ms al sec. 267 a Don Gennaro e 210 a Piano del Cugno, mentre per la difesa dell'Amministrazione Finanziaria si tratta, rispettivamente, di m3 al sec. 838 e 659. N� al fine del decidere occorre stabilire chi abbia ragione e, in particolare, se nei calcoli dell'appellata PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI ricorrano davvero gli errori denunziati dall'ing. Arredi nell'elaborato tecnico prodotto in questo grado del giudizio, giacch� resta pur sempre valido il ragionamento in proposito del Tribunale Regionale (il quale, oltre ad essere assolutamente logico e convincente, non � stato impugnato n� comunque contestato dall'appellante), secondo cui, essendo nella zona con� siderata la capacit� massima dell'alveo del Salso di soli'ms al sec. 190, l'alveo ora comunque insuffieiente per contenere una qualsiasi delle portate sopra indicate. Cos� stando le cose, era ed � per� necessario stabilire quale fosse, in caso di piene ordinarie, la zona di espansione delle acque sul terreno controverso prima della costruzione della diga del Pozzillo, avendo il Sollima sempre sostenuto in subordine che si trattava comunque di zona di modesta estensione, limitata alle immediate adiacenze dell'alveo. Questa tesi � gi� stata respinta dal Tribunale Regionale, considerando: a) che l'attuale alveo del fiume non � nettamente definito e inciso, non avendo argini naturali fortemente incassati; b) che nel tratto a monte del terreno controverso il detto alveo ha una pendenza media di circa 0,03, la quale poi scende immediatamente, per una lunghezza di circa un chilometro, a un valore medio di 0,01 nel tratto adiacente a tale terreno; e) che il terreno contro� verso ha un andamento quasi pianeggiante e presenta nel centro, quasi parallelamente all'alveo del fiume, una depressione naturale di limitata ampiezza, profonda circa un metro e sede di ristagno delle acque; d) che nella zona in esame il fiume ha portata e velocit� mutevoli, sia per il regime prevalentemente torrentizio dell'ampio bacino idrografico a cui appartiene, sia per la vicina confluenza, a monte di tale zona, di due torrenti provenienti da opposte dierzioni; e) che, pertanto, � attendibile ritenere <:he, anche nei periodi di piene non eccezionali, le acque si espandessero su tutto o parte del terreno controverso, senza che ne fossero prevedibili le vie. Ora, siffatte considerazioni meritano piena adesione da parte di questo Tribunale Superiore. Anzitutto, nemmeno l'appellante. ha contestato l'esattezza delle considerazioni riferite sub a) e sub b), che il primo giudice desunse dagli accertamenti del consulente tecnico di ufficio, e di quella riferita sub d), che lo stesso giudice desunse da tali accertamenti e da altri documenti in atti. Di conseguenza, se ne pu� trarre senz'altro la logica conclusione che, nel tratto adiacente al terreno controverso, la minima pendenza dell'alveo e l'assenza di ostacoli lungo le sponde potevano provocare facilmente l'esondazione del fiume anche in caso di lievi aumenti della sua portata, mentre peraltro ben potevano verificarsi aumenti di entit� notevole. In secondo luogo, per negare invece la legittimit� dell'affermazione <:onclusiva riferita sub e), l'appellante ha contestato la considerazione rife� rita sub e), formulando nell'elaborato tecnico dell'ing. Arredi dei dubbi circa l'esattezza dei rilievi eseguiti dal consulente tecnico di ufficio, sui 302 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO quali tale considerazione era appunto fondata, e precisamente deducendo che il detto consulente si era servito di un tacheometro, strumento insufficientemente impreciso nelle determinazioni altimetriche agli effetti di calcoli idraulici, e aveva tracciato le sezioni trasversali, rilevando dei punti in prossimit� dell'alveo e del ciglione e sostituendo poi delle linee rette all'andamento reale fra i due estremi prodotti, nonostante si trattasse di lunghezze non brevi, varianti cio� da m. 117 a m. 277. Ma siffatti dubbi non hanno ragione di essere, giacch� dall'esame delle curve di livello tracciate per la localit� in esame nel foglio dei rilevamenti topografici della Piana di Catania a cura della Cassa per il Mezzogiorno (foglio prodotto in questo grado proprio dal Sollima) si ricava la prova dell'esattezza dei rilievi eseguiti dal consulente tecnico d'ufficio, giacch� si nota che il terreno controverso si trova a un livello soltanto lievemente superiore a quello dell'alveo del fiume, che in effetti ha un andamento praticamente pianeggiante e che presenta la� depressione menzionata dal consulente tcnico d'ufficio. -(Omissis). (Omissis.) -Concludendo,, il primo motivo dell'appello principale va rigettato, risultando qui confermata l'affermazione del primo giudice circa la mancanza di una prova certa (prova che il Sollima era tenuto a fornire) che, prima della costruzione della diga del Pozzillo, il terreno con� traverso non fosse soggetto in tutto o in parte alla servit� idraulica del Salso. D'altra parte, tale rigetto importa necessariamente anche quello degli altri due motivi. Col secondo, infatti, il Sollima si duole che il Tribunale Regionale abbia respinto la domanda di risarcimento dei danni, che egli avrebbe subito per il fatto che l'Amministrazione Finanziaria diede in concessione a terzi il terreno di ettari 12.90 da lui rivendicato. Quanto al terzo, concernente la disposta compensazione delle spese del giudizio di primo grado, esso si basa esclusivamente sul presupposto dello sperato accoglimento del primo motivo, dato che la compensazione fu motivata con la parziale soccombenza di entrambe le parti. Passando all'appello incidentale, si rileva che l'Amministrazione delle Finanze dello Stato si duole in primo luogo della propria generica condanna al risarcimento dei danni richlesti dal Sollima in relazione al terreno compreso tra il confine catastale della particella n. 18 e il ciglione, deducendo che, una volta esclusa la demanialit� di tale terreno, il� Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche non era competente a pronunciare sulla domanda di danni per l'abusiva occupazione di esso, rientrando ci� nella competenza del Tribunale ordinario. A prescindere da ogni indagine circa la fondatezza o meno in astratto della questione di diritto sollevata dall'appellante, tale motivo di gravame dev'essere rigettato per la considerazione assorbente che nel caso concreto sussiste un giudicato interno circa la competenza del Tribunale delle� Acque. Invero il Tribunale di Caltanissetta, davanti al quale il Sollima PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI aveva instaurato il presente giudizio, domandando sia l'accertamento del suo preteso diritto di propriet� sul terreno sia la conseguente condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni, con sentenza 7 maggio 1965 si dichiar� totalmente incompetente, senza distinguere in alcun modo fra le sue domande. Successivamente, a seguito d'istanza per regolamento di competenza, la Corte di Cassazione con sentenza 15 luglio 1966, n. 1894, conferm� la pronuncia del Tribunale di Caltanissetta, omettendo di nuovo ogni distinzione fra le domande e affermando cos�, implicitamente, la competenza in ogni caso del Tribunale delle Acque anche in ordine alla do. manda di risarcimento dei danni, la quale ovviamente avrebbe potuto essere presa in esame soltanto nel caso di accertata non demanialit� del terreno controverso. -(Omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 12 marzo 1974, n. 533 -Pres. Mongiardo -Rel. Marini -P. M. Corrias (conf.) -Rie. Fossi ed altri. Caccia e Pesca -Marittima -Inquinamento di acque -Divieto -Destinatari della norma -Sono tutti coloro che immettono nelle acque sostanze inquinanti, e non solo i pescatori. (I. 14 luglio 1965, n. 963, art. 15 lett. e). Caccia e Pesca -Marittima -Inquinamento di acque -~ivieto -Reato di mera condotta -Prova del danno arrecato alla fauna ittica -Irrilevanza. (1. 14 luglio 1965, n. 963, art. 15 lett. e). La norme dell'art. 15 lettera e), della legge 14 luglio 1965, n. 963, pur essendo contenuta in un testo legislativo avente ad oggetto la disciplina <;I.ella pesca marittima, non � diretta ai soli pescatori (cio� a coloro che, anche non professionalmente, attendono alla cattura dei pesci in acque marine libere o in acque marine territoriali), ma si rivolge alla generalit� dei cittadini, facendo divieto a chiunque, anche al di fuori di ogni attivit� di pesca, di immettere nelle acque litoranee, direttamente o indirettamente, sostanze inquinanti (1). Il reato di cui all'art. 15, lett. e); legge 14 luglio 1965, n. 963 (che vieta l'immissione o la diffusione nelle acque litoranee di sostanze inquinanti), va inquadrato fra i reati di mera condotta, nei quali il comportamento inosservante assume di per s� solo penale rilevanza, a pre (1-2) Un problema degno di attenzione in materia di inquinamento marino � quello che concerne il coordinamento fra la norma che prevede il delitto rli immissione, nelle acque marine, di sostanze inquinanti (art. 15, lett. e, 1. n. 963) e le norme che disciplinano l'immissione dei rifiuti stessi (art. 145-153 d.P.R. 2 dicembre 1968, n. 1639) e con quelle, specifiche, che prevedono l'autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Il d.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185 � il testo di legge specifico in materia di sicurezza degli impianti e di protezione sanitaria contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall'impiego pacifico dell'energia nucleare e, fra le varie norme, prevede quella diretta a disciplinare lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, imponendo a tal fine un'autorizzazione che, tenuto conto delle ragioni, di sicurezza che presiedono a siffatta normativa, vengono concesse in funzione della recettivit� dell'ambiente � del numero delle autorizzazioni previste (art. 105 d.P.R. n. 185 del 1964), dal medico provinciale, sentita la Commissione di cui all'art. 89 dello stesso d.P.R. Di questa Commissione, all'evidente scopo di poter esprimere un parere tecnico competente per quanto concerne il pericolo di inqui- I ! I I --...:======..=--=====�.-:-��l'�.�.�.i:.-=..�:-=...�.��=..................... :.......................-=.......-.-...............................................,.............................................. �.�� . .. .. I PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 305 scindere dalle conseguenze pericolose o dannose che esso produce; pertanto, una volta accertato che le immissioni sono di per s� idonee ad inquinare, � irrilevante la mancata dimostrazione del nesso di causalit�. tra immissioni ed inquinamento del mare (2). namento atomico, fanno parte tecnici specialisti e, nel caso che lo smaltimento interessi il mare territoriale o le acque interne, ai lavori della Commissione medesima partecipano i rappresentanti delle Amministrazioni interessate. Il successivo d.P.R. n. 1639 del 1968 contenente il regolamento per l'esecuzione della legge n. 963 del 1965 sulla disciplina della pesca marittima, nei suoi artt. 145 e ss., prevede s� genericamente che l'immissione nelle acque marittime di rifiuti di lavorazione industriale o provenienti da servizi pubblici, in qualsiasi modo effettuata, � subordinata all'autorizzazione del capo del compartimento marittimo, ma non comprende l'ipotesi dell'immissione di rifiuti radioattivi. Questi infatti, sia per la specialit� della materia, sia per la completezza della previsione normativa contenuta nel testo del d.P.R. del 1964, sia per la particolare competenza tecnica della Commissione prevista dall'art. 89 di quel decreto e per la partecipazione ad essa dell'autorit� marittima -quella stessa cio� competente a concedere l'autorizzazione di cui all'art. 145 del d.P.R. n. 1639 del 1968 -trovano la loro esclusiva disciplina nella normativa del 1964. Questa conclusione, sostanzialmente ispirata al principio che la legge generale posteriore non deroga alla legge speciale anteriore, non � contraddetta dalla differenza dei beni protetti dai due complessi di legge. �' vero infatti che il d.P.R. n. 185 del 1964 ha come scopo quello della tutela delle popolazioni dalle radiazioni ionizzanti, mentre la 1. n. 963 del 1965 e il d.P.R. n. 1639 del 1968 si propongono la tutela della pesca marittima e delle risorse biologiche del mare, ma la differenza � pi� apparente che reale, per quanto soprattutto concerne gli articoli qui esaminati, essendo sia gli uni che gli altri diretti ad evitare un inquinamento delle acque marine e distinguendosi solo in ragione della specialit�: inquinamento generico e in-� quinamento atomico. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, ud. 29 aprile 1974, n. 778 -Pres. Muscolo -Rel. Macaluso -P. M. Corrias (conf.) -Rie. Baracca. Leggi, decreti e regolamenti � Leggi � Interpretazione � Interpretazione estensiva � Nozione. (r.d. 16 marzo 1942, n. 262, artt. 12, 14). Caccia e Pesca -In genere � Acque pubbliche -Divieto di immissione di rifiuto senza autorizzazione � Interpretazione della disposizione e sua � ratio ,, . Acque pubbliche -Acque marine � Sono tali. (r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604, artt. 9, 36). La interpretazione della legge � definita � estensiva� quando il contenuto effettivo delle singole disposizioni, accertato correttamente attraverso i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica, � pi� am 306 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO pio di quello che appare dalle espressioni letterali che compongono la disposizione stessa. Detta interpretazione non incontra limitazioni nell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, perch� non amplia il contenuto effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad essa soggette. si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto di manchevoli .espressioni letterali. Come tale, l'interpretazione estensiva � ammessa in relazione a tutte le disposizioni de.lla legge, comprese quelle penali e quelle che fanno eccezione a regole generali, posto che anche di queste identifica i tempi e i casi di applicazione (1). L'art. 36 t.u. sulla pesca approvato con r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604, suscettivo d'interpretazione estentiva al fine di accertarne l'esatto contenuto, nello stabilire la sanzione applicabile per il versamento di rifiuti in acque pubbliche senza il permesso prescritto dall'art. 9, non esclude dalla sanzione medesima lo scarico nelle zone di mare, per il quale lo stesso art. 9 prescrive la preventiva autorizzazione della competente Capitaneria di porto. Infatti, oggetto specifico della tutela penale � l'interesse alla protezione delle risorse biologiche delle acque e tale interesse sussiste sia in relazione alle acque marine, sia in relazione alle altre acque pubbliche, sicch� non sembra logicamente ammissibile -in base alla sola (1-2) La prima massima � una corretta applicazione dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale. V. nello stesso senso, Cass. 12 maggio 1951 in Foro It. Rep. 1951, voce Legge, n. 81, 82; 25 marzo 1963 in Giust. Pen. 1964, I, c. 73; 21 maggio 1971 in Cass. Pen. Mass. Annotato 1972, p. 1236, n. 1211. La seconda � una coerente conseguenza del principio affermato in considerazione dell'eadem ratio costituita� dalla necessit� della tutela � delle acque marine e vale a coprire talune lacune della legge 14 luglio 1965, n. 963. Come � noto, il reato di immissione di sostanze inquinanti nelle acque marine previsto dall'art. 15 lettera e) di questa legge � considerato delitto e come tale � punibile solo a titolo di dolo. Ci� comporterebbe �la non punibilit� della maggior parte dei fatti di inquinamento, _specie di quelli derivanti da dispersioni di idrocarburi dalle navi cisterne che per lo pi� avvengono per accidentali disfunzioni tecniche, se non fosse possibile anche per tali ipotesi un'inte!'pretazione estensiva. Quei fatti invero, quando perlomeno avvengono negli specchi d'acqua portuali, integrano il reato previsto dall'art. 1174 cod. nav. In tal caso possono i danni derivare in via diretta ed immediata dalla commissione del reato contravvenzionale nel quale, spesso si realizza la stessa condotta materiale prevista dall'art. 15 lettera e) dalla legge 14 luglio 1965, n. 963. I danni d'altronde non consistono soltanto, in quelli, facilmente accertabili nella loro entit�, rappresentati dalla spesa per il recupero degli idrocarburi galleggianti, ma in quelli, difficilmente quantificabili, eppure potenzialmente pi� gravi, di inquinamento delle acque, di nocumento per la fauna ittica e di alterazioni chimiche o fisiche dell'ambiente, che possono essere provocati dalla immissione di notevoli quantit� di idrocarburi negli specchi d'acqua e che possono verificarsi anche se le sostanze inquinanti o PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 307 considerazione del valore letterale delle espressioni in concreto adoperate -che il legislatore abbia voluto lasciar fuori dell'ambito della norma incriminatrice di cui all'art. 36 lo scarico di rifiuti nelle zane di mare (2). tossiche, dopo un periodo pi� o meno lungo di permanenza in mare, vengono recuperate. Ci� ha un determinante rilievo per quanto concerne la legittimazione alla costituzione di parte civile del Ministero della Marina Mercantile, per le considerazioni che vi sono illustrate in questa Rassegna (v. 1976, I, 160). Il PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI l..e99e reg. TrenHno�Alto Adige 17 mag9io 1956, n. 7, art. 34, limitatamente alla espressione � per valore e territorio �. Sentenza 14 aprile 1976, n. 81, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE �Codice civile, ari. 468, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1976, n. 83, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. codice civile, art. 642, primo comma (artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1976, n. 57, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. codice di procedura civile, art. 545, q1:1arto ed ultimo comma (artt. 3, 24, primo comma, e 28 della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1976, n. 49, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. codice penale, art. 11, secondo comma (artt. 10, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 8 aprile 1976, n. 69, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. codice di procedura penale, art. 1113-bis, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). � Sentenza 16 marzo 1976, n. 48, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. codice di procedura penale, art. 342, secondo comma (artt. 3, 24 e 28 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1976, n. 82, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. r.d. S giugno 1939, n. 1016, art. 30 (artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1976, n. 57, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 30 9ennalo 1941, n. 12, art. 70 (artt. 101, secondo comma, e 107, terzo e quarto c�mma, della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1976, n. 52, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. le99e 22 ap"�ile 1941, n. 633, art+. 156 e 161 (art. 21, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1976, n. 60, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. le99e 9 dicembre 1941, n. U83, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 aprile 1976, n. 105, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. r.d. 15 marzo 1942, n. 622, art+. 10 e 11 (artt. 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione). Sentenza 8 aprile 1976, n. 72, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. d.l.l9t. �8 marzo 1945, n. 90, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 aprile 1976, n. 71, .G. U. 21 aprile 1976, n. 105. d.P.R. 12 dicembre 1948, n. 1414, art. 12. Sentenza 16 marzo 1976, n. 45, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. d.P.R. 5 9ennalo 1950, n. 180, art. 1 (artt. 3, 24, primo comma, e 28 della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1976, n. 49, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. lene 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, primo comma (artt. 3, primo comma, e 32, primo comma, della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1976, n. 86, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. le99e 15 lu9llo 1966, n. 604, artt. 1 e 6 (artt. 3, 4, 24 e 35 della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1976, n. 47, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. lev9e 2 a9osto 1967, n. 79<9, art. 9 (artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1976, n. 57, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. le99e l2 marzo '1968, n. 31-6, art+. 2, primo ~omma, e 9 (artt. 1, 4, 3.5 e 41 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1976, n. 59, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. lev9e 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1976, n. 50, G. V. 24 marzo 1976, n. 78. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 6 dic:embre 1971, n. 1034, art. 2, .primo comma, lettera a (artt. 3, 4, .24 e 35 della Costituzione). Sentenza 16 marzo 1976, n. 47, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 1 (artt. 24, secondo comma, e 25, primo .comma, della Costituzione). Sentenza 8 aprile 1976, n. 72, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. d.I. 10 gennaio 1975, n. 2, artt. 1, 2, 3 (artt. 24, secondo comma, e 25, primo .comma, della Costituzi�ne). Sentenza 8 aprile 1976, n. 72, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. legge 22 maggio 1975, n. 152,, art. 1, secondo comma, lettera b (artt. 27, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1976, n. 88, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. Degge 2~ maggio 1975, n. 152, artt. 27, 28 e 29 (artt. 3, primo comma, 25, primo comma, 102, primo comma, 107, terzo comma, e 112 della Costituzione). Sentenza 14 aprile 1976, n. 87, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. III � QUESTIONI PROPOSTE Codic:e c:ivile, art. 431 (artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Pretore di Cento, ordinanza 21 ottobre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. c:o,dlc:e c:lvlle, art. 1621 (artt. 3, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 22 ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. c:odic:e c:ivlle, art. 2108, sec:ondo c:omma (art. 36, primo comma, della Costi� tuzione). Pretore di Milano, ordinanza 7 gennaio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. c:�odlc:e civile, art. 2598, n. �2 (art. 21, primo comma, della Costituzione). Pretore di Verona, ordim.1za 5 novembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. c:odic:e di proc:edura civile, art. 140 (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Rovereto, ordinanza 23 gennaio 1976, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. coclic:e di proc:edura c:ivile, art. 409 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 10 dicembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n; 85. RASSEGNA l>ELL'AWOCATtJRA DELLO STATO codice di procedura civile, art+. 415 e 416 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 10 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. codice di procedura civile, art. 416, secondo e terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 12 ottobre 1974, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. codice di procedura civile, art. 421, quarto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 20 gennaio 1976, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. codice di procedura civile, art. 429. Pretore di Torino, ordiJ;ianza 11 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. codice di procedura civile, art. 545 (artt. 3, primo comma, 31 e 36 della. Costituzione). 'Pretore di Portogruaro, ordinanza 14 novembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. c�odice penale, art. 81 cpv. (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, ordinanza 14 noyembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. codice penale, art. 164, ultimo comma (art. 3, primo comma, della Costit�zione). Pretore di Trivento, ordinanza 17 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. codice penale, art+. 449, primo comma, e 423, .primo comma (artt. 3, primo� comma, e 24, secondo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 6 marzo 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65.. codice di procedura penale, art. 199, terzo comma (art. 24, secondo comma,. della Costituzione). Tribunale di Sanremo, ordinanza 21 novembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. �3, primo comma, e 24, secondo comma, della C9stituzione). Corte di cassazione, ordinanza 17 ottobre 1975, G. U. 28 aprile 1976, n, 112. codice di procedura penale, artt. 553 e 554 (art. 3, prima parte, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 20 dicembre 1975, G. U . .3 marzo 1976, n. 58. 21 PARTE II, LEGISLAZIONE c:oclic:e di procedura penale, art. 604 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Casacalenda, ordinanza 15 dicembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. codice di procedura penale, art. 630 (art. 24, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. codice della navi9azione, art. 603 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 10 dicembre 1975, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. codice penale militare di pace, art. 189, pi-imo comma (artt. 3 e 52, terzo . comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 12 dicembre 1975, G. V. 24 marzo 1976, n. 78. i-.d.I. 15 marzo 1923, n. 6912, art. 1, secondo comma (art. 36 della Costituzione). Giudic.e del lavoro del tribunale di Enna, ordinanza 14 ottobre 1974, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. r.d.I. 29 luglio 19�27, art. 10, convertito in legge 5 higlio '1928, n. 1760(art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 17 ottobre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. 72. legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 20 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 4 giugno 1975, G.-U. 3 marzo 1976, n. 58. Tribunale di Como, ordinanze 1� ottobre 1975 (cinquantanove) e 26 novembre 1975 (G. V. 10 marzo 1976, n. 65, 17 marzo 1976, n. 72, 24 marzo 1976, n. 78, e 31 marzo 1976, n. 85). Tribunale di Locri, ordinanze 19 e 21 novembre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. �72, e 24 marzo 1976, n. 78. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 18, primo e terzo comma (artt. 17 e 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 7 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. r.d. 1S giugno 1931, n. 773, ar~. 156 (art. 20 della Costituzione). Pretore di Pesaro, ordinanza 6 dicembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. r.d. 1ll qiugno 1931, ii. 787, art. 103 (art. 15 della Costituzione). Pretore di Susa, ordinanza 3 ottobre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. 72. r.d.i. 19 ottobre 1930, n. 1933, art. 117 (art. 43 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 14 gennaio 1976, G. V. 28 aprile 1976, n. 112. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELto STATO r.d.I. 14 a�prile 1939, n. 636, art. 13 (artt. 3, 29, secondo comma, 31, primo comma, 37, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 15 gennaio 1976, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. legge 6 luglio 1939, n. 10.35, art. M (artt. 3 e 35 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 29 ottobre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. r.d. 6 maggio 1940, n. 635, art. 285 (art. 20 della Costituzione). Pretore di Pesaro, ordinanza 6 dicembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. legge 25 settembre 1940, n. 1424, art. 148 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Locri, ordinanze 19 e 21 novembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78, e 17 IIJarzo 1976, n. 72. r.d. 31 gennaio 1941, n. 12, art. 276, ultimo c:omma (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). Consiglio superiore della magistratu,ra, sezione disciplinare, ordinanza 9 dicembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. legge 2~ gennaip .1942, 11. 37, art. 1 (artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione). Consiglio di Stato, quarta sezione, ordinanza 7 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. r.d.. 16 marzo 1942, n. 267, art. 119, secondo comma (art. 24 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 2 dicembre 1975, G. U. 28 aprile 1976. n. 112. legge 17 luglio 1942, n. 907 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Lanciano, ordinanze (tre) 30 iiiugno e 25 luglio 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. Tribunale di Como, ordinanze (quattro) 1� ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. Tribunale di Benevento, ordinanze (due) 22 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 17 luglio 1942, n. 907 (art. 43 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanze 20 febbraio 1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85), 17 e 24 settembre 1975 (tre) (G. U. 31 marzo 1976, n. 85), 13 ottobre 1975 (G. U. 28 aprile 1976, n. 112), 16 ottobre 1975 (G. U. 7 aprile 1976, n. 92), 23 ottobre 1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85), 20 novembre 1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85). Tribunale di Crotone, ordinanza 18 novembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. PARTE II, LEGISLAZlONE legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e segue~ti (artt. 41 e 43 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanze 17 febbraio 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72), 21 marzo 1975 (G. U. 28 aprile 1976, n. 112), e 4 giugno 1975 (G. U. 3 marzo 1976, n. 58) Tribunale di Como, ordinanze (sessantacinque) 1� ottobre 1975 (G. U. 10 marzo 1976, n. 65, 17 marzo 1976, n. 72, 24 marzo 1976, n. 78, e 31 marzo 1976, n. 85), 3 ottobre 1975 (G. U. 24 marzo 1976, n. 78), e 26 novembre 1975 (G. U. 24 marzo 1976, n. 78). legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45, 66, n. 5, e 80, 111. 2 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Corte d'appello 1li Venezia, ordinanze (due) 15 novembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85 e 7 aprile 1976, n. 92. legge 17 luglio 1942, n. 907, art+. 45 e 73 (artt. 41 e 43 .della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (sei) 13 e 18 dicembre 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72 e 31 marzo 1976, n. 85) e 7 novembre 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72). legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 65, 66 e seguenti (art. 43 della Costituzione). Tribunale di Larino, Ol'dinanza 10 dicembre 1975, G. V. 3 marzo 1976, n. 58. legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 66 (art. 43 della Costituzione). Tribunale di Locri, ordinanza 19 novembre 1975 (G. U. 24 marzo 1976, n. 78) e 21 novembre 1975 (G. U. 17 marzo 1976, n. 72), r.d.I. 11 febbraio 1944, n. 31, art. 2 (artt. 25 e 3 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 26 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. r.d. 31 maggio 1946, n. 511 (artt. 101. secondo comma, 104, primo comma, .e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). Consiglio superiore della magistratura, ordinanze 11 dicembre 1975 (G. U. 23 .aprile 1976, n. 112), 16 dicembre 1975 (G. U. 31 marzo 1976, n. 85) e 17 dicembre 1975 (due) (G. U. 14 aprile 1976, n. 99 e 21 aprile 1976, n. 105). d.I. C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 18, prima parte (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 7 luglio 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. d!I. P. reg. Sicilia 15 ottobre 1947, n. 86 (artt. 14 e 17 dello statuto speciale siciliano). Corte costituzionale, ordinanza 12 febbraio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 11 febbraio 1948, n. 50, art. 2 (artt. 2, 3, 10, 14 e 23 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 3 dicembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. legge 10 agosto 19SO, 1t. 648, ~rt. 69 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Corte dei conti, quarta sezione giurisdizior:ale pensioni di guerra, ordinanza 3 giugno 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. legge 3 ~e1rnaio 1951, n. 27 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 14 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. legge 3 gennaio 1951, 11. 27, artt. 1 e 4 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze 7 novembre 1975. 13 e 18 dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72 e 31 marzo 1976, n. 85: legge 3 gennaio 19511, n. 27, art. 20 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanze (sei) 1� ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 22 ottobre ]954, n. 1041, art. 6, quarto comma (artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). Giudice istruttore del tribunale di Milano, ordinanza 14 agosto 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. legge 27 dicembre 1956, 11. 1423, or~. 5, forzo comma (artt. 2 e 17 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 11 novei;ubre 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99'. legge 2 aprile 1958, n. 332, crif. 4 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 13 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 13 marzo 1958, n. 311, e<:! in particolare tabella B (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinar:za 5 novembre 1974, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. legge 18 marzo 1958, n. 349, ed in particolare ari. 33 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 5 novembre 1974, G. U. 3 marzo� 1976, n. 58. d.P.R. 16 settembre 1950, 11. 9i6 (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107, primo e secondo comma, della Costituzione). Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 16 di~ cembre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. I ! 1 I PARTE II, LEGISLAZIONE 25 d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 79, ottavo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Pizzo, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, crt. 80, dodicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Asiago, ordinanza 8 novembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 83, quarto comma, n. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucera, ordinanza 6 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. Pretore di Pescara, ordinanza 1� dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 26 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Pretore di Cittadella, ordinanza 4 dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50, n. 1, lettera c, ~ 52, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cosenza, ordinanza 17 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. legge 26 gennaio 1962, n. 16 ( artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 5 novembre 1974, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. legge 27 febbraio 1963, n. 260, art. 5 (artt. 38 e 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 18 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lc:cce, ordinanza 5 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 3 febbraio 1965, n. 14 (artt. 3, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 7 ottobre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. d.P.R. 30 giugn�o 1965, n. 1124, art. 4, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 26 novembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92, legge 30 giugno 1965, n. 1l24, art+. 10 e 11 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 30 dicembre 1975, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. d.P.R. 30 ghigno 1965, n. 1124, art. 112, secondo comma (artt. 76, 77 e 24 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 23 giugno 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, primo comma (artt. 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 10 gennaio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. legge 22 luglio 1966, n. 607, artt. 1, 4, 5 e 13 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza 18 luglio 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. d.I. 21 nove111bre 1967, n. 1051, artt. 2, secondo comma, lettera a, 3, primo comma, 4, primo, ten:o, e quarto c�omma (artt. 10, primo comma, e 11 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 18 dicembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. �legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma, e leHera c (artt. 36, primo comma, e 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 21 mag� gio 1975, G. U. 7�aprile 1976, n. 92. legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Corte dei conti, quarta sezione giurisdizionale pensioni di guerra, ordinanza 3 giugno 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. ~egge 30 aprile 1969, n. 153, art. 9 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Brescia, .ordinanza 2 gennaio 1976, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 6 dicembre 1976, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 24 maggio 1970, n. 33�6, art. 4 (artt. 3 e 52 della Costituzione). Pretore di Vittorio Veneto, ordinanza 9 gennaio 1976, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. legge 28 ottobre. 1970, 111. 775, art. 9, quinto comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze 10 marzo 1975 (G. U. 7 aprile 1976, n. 92) e 30 giugno 1975 (G. V. 14 aprile 1976, n. 99). PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, artt. 16, primo, secc11do e nono comma, e 150 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze 10 marzo 1975 (G. U. 7 aprile 1976, n. 92) e 30 giugno 1975 (G. U. 14 aprile 1976, n. 99). cl.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1434, art. 7, secondo comina (art. 76 �lella Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanza 11 giugno 1975, G. U. 24 marzo 1976,. n. 78. legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 16 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 22 ottobre 1975, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 19 (artt. 3, 4, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Ispica, ordinanza 18 ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 24 luglio 1971, n. 5S6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo .i:egionale per la Puglia, ordinanza 8 luglio 1975, G. V. 28 aprile 1976, n. 112. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 1O, n. 14 (artt. 102, secondo comma, 108,. secondo comma, 113, primo e secondo comma, e VI disp. trans. della Costituzione). Tribunale di Perugia, ordinanza 9 _gennaio 1976, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. legge 22 ottobre 197'1, n. 8�65, art. 16 (art. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanze 17 ottobre 1975 (G. V. 24 marzo 1976, n. 78) e 12 dicembre 1975 (G. V. 28 aprile 1976, n. 112). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 20 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976,. n. 78. legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16, primo, terzo e quarto comma, e 17,. primo comma (artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione). Tribunale di Rieti, ordinanza 29 dicembre 1975, G. V. 28 aprile 1976, n. 112. legge 22 �ottobre 1971, n. 865, art. 16, terzo comma (artt. 3 e 42, terzo. comma, della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanze 12 dicembre .1975 (G. V. 21 aprile 1976, n. 105) e 23 gennaio 1976 (due) (G. V. 28 aprile 1976, n. 112). 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 22 ottobre 1971, n. 865, art+. 16 e 19 (artt. 42, terzo comma, e 3 della �Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanze (quattro) 31 ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 29 ottobre 1971, n. 889, art. 13, quarto comma (artt. 25, primo com. ma, e 102, primo comma, della Costituzione). Pretore di Sora, ordinanze 28 e 30 gennaio 1976, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 14, primo comma (artt. 3 e 38 della �Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 2 gennaio 1976, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. d.P.R. 26 ottobra 1972, n. 636 (art. 102, secondo comma, e VI disp. trans. .della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 30 giugno 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1, 2, 3, 9, 16, 2�6 e 40 (artt. 102, secondo .comma, 108, secondo comma, 113, primo e secondo comma, e VI disp. trans. della Costituzione). Tribunale di Perugia, ordinanza 9 gennaio 1976, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. d.P.R. 26 ottobre 197�2, n. 636, art. 44 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ancona, ordinanza 16 dicembre 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 24 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Pordenone, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della c.ostituzione). Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, ordinanza 6 novembre 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 (art. 53, primo comma, della <:ostituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 2 di<: embre 1975, G. U. 28 aprile 1976, n. 112. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 111, ~erzo comma (art. 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Biella, ordinanza 10 novembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 296 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanze (quattro) 1� ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78 e 31 marzo 1976, n. 85. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183, 195 (art. 21 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 5 novembre 1975, G. U. 10 marzo 1976, n. 65. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art+. 1, 183, .primo c:omma, e 195, primo c:omma (artt. 2, 3, 10, 11, 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 19 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 7 e 304 (art. 23 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 13 ottobre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, primo c:omma (artt. 2, 3, 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di San Miniato, ordinanza 12 gennaio 1976, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (artt. 3, 29 e 53 della Costituzione). Pretore di Rho, ordinanza 3 dicembre 1975, G. U. 3 marzo 1976, n. 58. Pretore di Lodi, ordinanza 16 dicembre 1975, G. U. 14 aprile 1976, n. 99. Pretore di Ivrea, ordinanza 29 gennaio 1976, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. d.I. 24 luglio 1973, n. 427, art+. 1 e 2, n. 1 (art. 11 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1976, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, primo c:omma. Corte dei conti, terza sezione pensioni civili, ordinanza 16 ottobre 1974, G. U. 31 marzo 1976, n. 85. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. '129, secondo e terzo c:omma (art. 3 della Costituzione). Giudice del lavoro del tribunale di Taranto, ordinanza 12 dicembre 1975, n. 72. legge reg. Emilia-Romagna 15 febbraio 1974, 111. 38, art. 14 (artt. 117 e 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1975, .G. U. 28 aprile 1976, n. 112. d.I. 11 aprile 1974, n. 99, art. 8 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Catania, ordinanza 17 maggio 1974, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 20 aprile 1974, 111. H14, art. 1 (artt. 24 e 111 della Costituzione). Corte di cassazione, OI'dinanza 16 maggio 1974, G. U. 17 marzo 1976, n. 72_ legge reg. Lazio 2 luglio 1974, n. 30, artt. 1, lettere a e b, 2, 3 e 8 (artt. p7,. primo comma, e 3 della Costituzione). Pretore di Minturno, ordinanza 14 gennaio 1976, G. U. 31 marzo 1976, n. 85.. legge reg. Toscana 4 iugiio ,1974, n. 35, art. 55 (art. 25, secondo comma,. della Costituzione). Corte suprema di cassazione, ordinanza 26 maggio 1975, G. U. 7 aprile 1976,. n. 92. d.I. 8 luglio 1974, 11. 261, art. 6, secondo e terzo comma (artt. 4 e 13 della. Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 maggio 1975, G. U.. 28 aprile 1976, n. 112. legge 14 ottoi>re 1974, 11. 497, art. 1 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Milano, or.dinanza 6 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. Tribunale di Sondrio, ordinanza 9 gennaio 1976, G. U. 24 marzo 1976, n. 78Tribunale di Modena, ordinanza 4 febbraio 1976, G. U . .28 aprile 1976, n. 112.. d.I. 10 gennaio 1975, 11. 2, artt. 1, 2 e 3 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 6 marzo 1975, G. U. 17 marzo 1976, n. 72. legge reg. Umbria appr. 10 aprile 1975 e riappr. �23 gennaio 1976 (art. 81,.. ultimo comma, della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato 20 febbraio 1976,.. n. 8, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, primo com1na, e 2 (artt. 2, 3, 10, 11, 21,. 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza. 19 dicembre 1975, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge 14 cprile 1975, mi. Hi3, artt. 1, 2, 3 e 45 (artt. 2, 3, 10, 11, 21e41 della Costituzione). Pretore di Arezzo, ordinanza 23 dicembre 1975, G. U. 7 aprile 1976, n. 92. legge 14 Gprile 1975, 111. 103, artt. 1, 2, 3, 45 (artt. 2, 3, 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di San Miniato, ordinanza 12 gennaio 1976, G. U. 3 n1arzo 1976, n. 58.. ! i I I II PARTE II, LEGISLAZIONE legge 14 aprile 1975, n. 103, arff. 1, 2, 38 e 45 (artt. 3, 21, 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 18 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Pretore di Lecco, ordinanza 25 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1. 2 e 45 (art. 21 della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 5 novembre 1975, G. V. 10 marzo 1976, n. 65. Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 13 novembre 1975, G. V. 3 marzo 1976, n. 58. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 3, 10, 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Novara, ordinanza 20 dicembre 1975, G. V. 17 marzo 1976, n. 72. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2 e 45 (artt. 3, primo comma, 21, 31 e 43 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 12 dicembre 1975, G. V. 21 aprile 1976, n. 105. legge 14 a�prile 1975, n. 103, artt. 4 e 6 (artt. 21, 24, 43, 55 e 113 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 30 dicembre. 1975, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. legge 14 aprile 1975, n. 109, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 23 dicembre 1975, G. V. 31 marzo 1976, n. 85. legge 1B novembre 1975, n. 764, artt. 2, secondo co1nma e tabella A, 3, primo e secondo comma, 6 e 7 (artt. 117 e 3, e VIII disp. trans. della Costituzione). Regione� Lazio, ricorso depositato 26 febbraio 1976, n. 9, G. V. 24 marzo 1976, n. 78. legge 18 novembre 1975, n. 764, artt. 3, primo e secondo comma, 6 e 7 (artt. 3, lettera a, e 56 dello statuto della Regione sarda). Regione Sardegna, ricorso depositato 20 febbraio 1976, G. V. 24 marzo 1976, n. 78. legge �ons. reg. Valle d'Aosta, appr. 28 novembre 1975 e riappr. 10 feb� braio 1976. Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato 10 marzo 1976, n. 10, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge cons. reg. Valle d'Aosta appr. 16 dicembre 1975 e riappr. 10 feb� braio 1976. Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato 10 marzo 1976, n. 11, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. legge reg. Campania riappr. 26 febbraio 1976. Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 27 marzo 1976, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. legge reg. Sicilia appr. 26 febbraio 1976. Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso depositato 13 m�r� zo 1976, n. 12, G. U. 24 marzo 1976, n. 78. ~egge reg. Sicilia, appr. 11 O marzo 1976. Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso depositato 25 marzo 1976, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. legge reg. d'Abruzzo rla.ppr. 16 marzo 1976. Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 12 aprile 1976, G. U. 21 aprile 1976, n. 105. C,ONSULTAZIONI ACQUE PUBBLICHE Acque pubbliche -Concessione di derivazioni a scopo idroelettrico -Immobili e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata a danno del concessionario � (t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 20 e 25). Se siano soggetti ad esecuzione forzata gli immobili e beni costituenti i mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque pubbliche a � scopo idroelettrico (n. 113). Acque pubbliche � Concessione di derivazione a scopo idroelettrico � Immobili e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata -Vendita all'asta � Acquirente -Trasferimento della concessione -Nulla osta della P.A. � (t.u. 11 dicembre 1953 n. 1775, artt. 20 e 25). Se, nel caso di vendita all'asta a seguito di esecuzione forzata di immobili e beni costituenti i mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque ptibbliche a scopo idroelettrico, il trasferimento della, concessione in favore dell'acquirente sia condizionato al nulla osta dell'Amministrazione (n. 113). AGRICOLTURA E FORESTE Agricoltura e foreste -Violazione a norme di tutela del patrimonio forestale � Depenalizzazione � (r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267, artt. 24 e segg.; 1. 9 ottobre 1967 n. 950). Se tutte le violazioni, di qualsiasi tipo, previste dal r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 contenente norme a tutela del patrimonio forestale, siano state depenalizzate a seguito dell'entrata in vigore della legge 9 ottobre 1967 n. 950 (n. 77); APPALTO Appalti di opere pubbliche -Revisione prezzi contrattuali -Clausola di esclusione della revisione -Ius superveniens -(d.l.C.P.S. 6 dicembre 1947 numero 1501; art. 2 legge 22 febbraio 1973 n. 37). Se, in virt� della nuova disposizione di cui all'art. 2 legge 22 febbraio 1973 n. 37 che vieta ogni fatto contrario al regime revisionale dei prezzi contrattuali negli appalti di opere pubbliche, si debba dare ingresso alla revisione in relazione a contratti di appalto, ove era inserita la clausola di esclusione della revisione, stipulati anteriormente alla entrata in vigore della legge 2 febbraio 1973 n. 37 (n. 383). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Appalti di opere pubbliche � Revisione prezzi contrattuali -Ricorso ammznz. strativo � Silenzio rigetto -Condizioni -(artt. 5 e 7 d.l.C.S. 6 dicembre 1947 n. 1501; art. 6 d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199). Se la nuova disposizione, specificamente concernente i ricorsi gerarchici propri, che prevede la formazione del silenzio-rigetto -come presupposto dell'impugnazione giurisdizionale -con il vano decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione del gravame, risulti applicab'ile anche -allo speciale ricorso previsto dal d.l.C.P.S. 1947/1501 avverso i provvedimenti della stazione appaltante nella domanda di revisione dei prezzi contrattuali di appalto di opere pubbliche (n. 382). CIRCOLAZIONE STRADALE Circolazione stradale � Scontro tra veicoli � Impianti semaforici -Inefficienza Responsabilit� civile � (cod. civ. artt. 2043, 2054). Se la responsabilit� negli incidenti stradali causati da inefficienza di impianti semaforici nei quali siano coinvolti automezzi della P.A., possa essere attribuita al Comune (n. 48). ELETTRICIT� ELETTRODOTTI Acque pubbliche � Concessione di grande derivazione � Scadenza, decadenza e rinuncia della concessione � Opere di raccolta, regolazione e derivazione -TrfJ.Sflffimento al.lo Stato -(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, art. 25). Se, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia ad una concessione di grande derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta, regolazione o derivazione passino automaticamente in propriet� dello Stato, ovvero lo Stato med,esimo abbia la scelta tra l'acquisizione in propriet� ed il disporre la demolizione (n. 54). Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o rinuncia alla concessione -Opere di raccolta, regolazione o derivazione Trasferimento all'ENEL -(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, art; 25; d.P.R. 18 marzo 1965 n. 342, art. 9, quinto comma). Se, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia ad una concessione di grande derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta, regolazione o derivazione passino automaticamente in propriet� dell'ENEL -in virt� del subentro disposto dall'art. 9, quinto comma d.P.R. 18 marzo 1965 n. 342 -, ovvero se tale trasferimento si operi solo ed in quanto l'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica decida di continuare a produrre energia da quel determinato impianto (n. 54). Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o rinunzia � ENEL � Domanda di concessione per scopi idroelettrici -lst.rut� toria -(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 7 e 25; d.P.R. 18 marzo 1965 n. 342, art. 9, secondo comma). Se sulla domanda dell'ENEL diretta ad ottenere la concessione di derivazione di acque per scopi idroelettrici, oggetto di precedente concessione scaduta decaduta o rinunciata, debbasi disporre la prevista istruttoria qualora, con detta domanda, concorrano altre domande per scopi idroelettrici o per altri scopi (n. 54). PARTE II, CONSULTAZIONI "'IMPIEGO PUBBLICO :Ufficio Italiano dei Cambi -Dipendenti -Collocamento a riposo per limiti di et� -Indennit� sostitutiva del preavviso -Determinazione. Se al dipendente dell'Ufficio Italiano dei Cambi collocato a riposo per limiti di et� debba essere corrisposta, nelle mensilit� dovutagli a norma di regolamento come sostitutiva del preavviso, anche la percentuale del 7 % che 1'Ente � tenuto a versare, in ogni emolumento retributivo, nel conto di quie �scenza intestato all'impiegato stesso (n. 784). IMPOSTA DI REGISTRO Imposta di registro -Condono -Controversia pendente -Giudi~ato -Successiva domanda di condono -Effetti -(d.l. 5 novembre 1973 n. 660, art. 6; l. 19 dicembre 1973 n. 823, art. 6). Se e in quali limiti sia ammissibile la definizione di controversia tribu �taria in ordine alla applicazione dell'imposta di registro, ai sensi della legge 19 dicembre 1973 n. 823, nel caso in cui, nella controversia pendente al 31 ottobre 1973, la domanda di condono sia presentata prima del 28 febbraio 1974 ma dopo che si sia resa definitiva sentenza dell'autorit� giudiziaria (n. 418). IMPOSTE DIRETTE .Imposte dirette -Reati finanziari -Dichiarazione unica dei redditi -Presentazione tempestiva ad Ufficio delle Imposte territorialmente incompetente Mancata trasmissione all'ufficio competente -Effetti -(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 21, 23; 29 e 243). Se incorra nel reato di omessa dichiarazione dei redditi il contribuente �che abbia presentato tempestivamente la dichiarazione ad ufficio dell� imposte territorialmente incompetente e non sia seguita la trasmissione all'Ufficio -competente (n. 20). REATI FINANZIARI Imposte dirette -Reati finanziari -Dichiarazione unica dei redditi -Presentazione tempestiva ad Ufficio delle Imposte territoria�mente incompetente Mancata trasmissione all'ufficio competente -Effetti -(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 21, 23, 29 e 243). Se incorra nel resto di omessa dichiarazione dei redditi il contribuente .che abbia presentato tempestivamente la dichiarazione ad ufficio delle imposte territorialmente incompetente e non sia seguita la trasmissione all'Ufficio com� JPetente (n. 15). NOTIZIARIO CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DELL'AWOCATURA DELLO STATO Il 28 maggio, alle ore 11, nella Sala �Vanvitelli�� del palazzo sede dell'Avvocatura Generale dello Stato si � svolta la manifestazione celebrativa del primo Centenario di vita dell'Istituto alla presenza del Presidente della Repubblica On. Prof. Giovanni Leone. Al tavolo della presidenza avevano preso posto: l'On.le Prof. Franco Cossiga, Ministro dell'Interno, che presiedeva la riunione per delega del Presidente del Consiglio impedito per sopravvenuti imprevedibili gravi impegni, l'Avvocato Generale dello Stato Avv. Giovanni Zappal�, il Vice Avvocato Generale vicario Avv. Rocco di Ciommo, il Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio Avv. Giuseppe Manzari~ il Segretario Generale dell'Avvocatura dello Stato, Avv. Giorgio Zagari. Ai due lati del tavolo presidenziale avevano preso posto i Vice Avvocati generali, Avvocati: Francesco Agr�, Giuseppe Azzariti, Elio Vitucci, Carlo Salto, Giovanni Albisinni, Giovanni Gentile, Francesco Chiarotti, Vito Cavalli e gli Avvocati Q.istrettuali, Avvocati: Alfonso� Nigido, Giuseppe Rizzo, Donato Colletta, Francesco Ansaldi, Antonio Ciampoli, Livio Pifferi, Manlio Cecovini, Giovanni Cardia, Francesco De Luca, Lorenzo Barsi, Salvatore Sorce, Giuliano Arcioni, Alfonso Avella, Giuseppe Donadio, Carmelo Buda, Federico Placida, Adone Pistolesi, Carlo Gardelli, Ettore Guerra, Giovanni Coletta ed i Vice Avvocati dello Stato Avv.ti Giuseppe Cippatore e Giovanni Bestente in sostituzione degli Avvocati distrettuali dello Stato di Genova e Torino impediti. Erano inoltre presenti: -Sua Eminenza il Signor Cardinale Dino Staffa Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; -il Presidente del Senato On. Sen. Giovanni Spagnolli; -il Vice Presidente della Camera dei Deputati On. Oscar Luigi Scalfaro; -gli ex Presidenti del Consiglio On. Giuseppe Pella e On. Mario Scelba; -il Vice President� della Corte Costituzionale dott. Luigi Oggioni; -il Presidente emerito della Corte Costituzionale prof. Gaspare Ambrosini; -i Ministri On.li Emilio Colombo, Tommaso Morlino, Gaetano Stammati, Franco Malfatti, Antonino Gullotti, Mario Martinelli, Mario Toros, Lu ciano Dal Falco, Mario Pedini; -i giudici della Corte Costituzionale Nicola Reale, Vezio Crisafulli, Giulio Gioffrida, Ercole Rocchetti, Guido Astuti, Michele Rossano, Antonino De Stefano; - PARm II, NOTIZIARIO -i Presidenti delle Regioni Friuli-Venezia Giulia Antonio Comelli e Trentino Alto-Adige avv. Bruno Kessler; -il Vice Presidente. del: C�nsiglio ,&\periore della Magistratura .On. Giacinto Bosco; -il Vice Presidente del C.N.E.L. On. Giuseppe Rizzo; -il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione dott. Mario Stella Richter; -il Presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione dr. Emanuele Danzi; -il Presidente del Consiglio di Stato dott. Gaetano Vetrano; -il Procuratore Generale della Corte di Cassazione dr. Giovanni Colli; -il Presidente della Corte dei Conti prof. Giuseppe Cataldi; -il Presidente del Consiglio Nazionale Forense On. avv. Aldo Casalinuovo; -il Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. C.A. Andrea Viglione; -i Primi Presidenti della Corte Suprema di Cassazione a riposo dott. Ernesto Eula e prof. Giuseppe Flore; -i Presidenti del Consiglio di Stato a riposo dott. Antonino Papaldo e dott. Carlo Bozzi; -il Segretario� Generale del Senato dott. Gaetano Gifuni; -il Segretario Generale della Camera dei 'Deputati dott. Antonio Maccanico; -il Nunzio Apostolico rev.mo mons. Romolo Carboni; -il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito gen. C.A. Andrea Cucino; -il Capo di Stato Maggiore della Marina amm. di sq. Gino De Giorgi; -il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica gen. sq. aer. Dino Ciarlo; -il Comandante della Regione Centrale di Roma gen. C.A. Vincenzo Leonelli; -il Primo Presidente della Corte d'Appello di Roma dott. Giuseppe Vallillo; -il Procuratore Generale della Corte d'Appello di Roma dott. Walter Del Giudice; -il Presidente del Tribunale Supremo Militare gen. C.A. Renzo Apollonio; -il Procuratore Generale militare gen. C.A. Ugo Foscolo; -il Procuratore Generale della Corte dei Conti dott. Mario Sinopoli; -il Consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica amb. Federico Sensi; -il Consigliere militare del Presidente della Republica amm. di sq. Luciano Bucalossi; -il Ragioniere Generale dello Stato dr. Vincenzo Milazzo; -il Prefetto di Roma dbtt. Gaetano Napoletano; -il Capo della Polizia Prefetto dott. Giorgio Minichini; -il Comandante Generale della Guardia di Finanza gen. C.A. Raffaele DeI Giudice; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -il Capo dell'Ufficio Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Mini stri dott. Giuseppe Potenza; -il Segretario Generale del Consiglio di Stato On. Renato Laschena; -il Segretario Generale della Corte dei Conti avv. Nicola Vitamore; -il Segretario Generale della Difesa rappresentato dal gen. Mura; -il Presidente del Tribunale Civile e Penale di Roma dott. Pietro Pa scalino; -il Procuratore della Repubblica di Roma dott. Elio Siotto; -il Presidente dell'I.R.I. prof. Giuseppe Petrilli; -il Presidente della Cassa per il Mezzogiorno prof. Gabriele Pescatore; -il Presidente dell'ENI avv. Pietro Sette; -il Presidente dell'Associazione Nazionale Avvocati Enti Pubblici prof. avv. Enrico Esposito; -Mons. Giovanni Canestri; -il Presidente del Poligrafico dello Stato dr. prof. R. Lanza; -il Questore di Roma dott. Ugo Macera; -il Comandante della Divisione Carabinieri di Roma gen. Missori; -il Provveditore agli Studi di Roma prof.ssa Italia Leucaldammo Testa; -il Provveditore alle 00.PP. di Roma ing. Antonio Ruberto; -il Comandante della Legione Carabinieri di Roma col. Enzo Fiorletta; -il Presidente dell'ACI di Roma dott. Vincenzo Del Gaudio; Hanno partecipato alla cerimonia tutti gli avvocati e procuratori dello Stato ed il personale amministrativo dell'Avvocatura Generale dello Stato, molti ex avvocati dello Stato, magistrati, avvocati del foro libero e professori universitari che rincresce non poter ricordare nominativamente. Al termine della cerimonia, nella quale hanno preso la parola il Ministro dell'Interno On. Prof. Franco Cossiga e l'Avvocato Generale dello Stato Avv. Giovanni Zappal�, di cui riportiamo i discorsi, il Presidente della Repubblica, accompagnato dalle autorit� presenti, attraverso lo scalone d'onore, � salito al primo piano dove nelle sale di rappresentanza si � intrattenuto con gli Avvocati e Procuratori dello Stato e con il personale amministrativo. Il Ministro dell'Interno On. Prof. Franco Cossiga ha pronunciato il seguente discorso: Signor Presidente, Eminenza, Signor Avvocato Generale dello Stato, Signore e Signori, era proponimento dell'On.le Presidente del Consiglio intervenire a questa solenne cerimonia. Gli impegni politici e parlamentari del momento lo hanno impedito. Ho quindi io l'onore e il compito di esprimere a nome del Governo il com PARTE II, NOTIZIARIO -piacimento pm vivo per la felice ricorrenza del I� Centenario della na. cscita di quella importante istituzione che � l'Avvocatura dello Stato e .quindi di rivolgere questo indirizzo. E' per me motivo di particolare onore poter aggiungere a questo �l �mio pi� sentito compiacimento personale per questa ricorrenza. E' certo segno di grande vitalit� il fatto che questa istituzione abbia �superato la prova di un secolo, dominato da radicali mutamenti politici �sociali economici, non solo adeguandosi alle nuove realt�, ma anzi con �tribuendo alla loro affermazione. L'esperienza storica, del resto, ci insegna che esiste _una stretta con �nessione tra rinnovamento ed istituzioni. C'� autentico rinnovamento sociale e politico quando esso risponda a quello che emerge dalla societ� �e dalla coscienza popolare. Sono valide quelle istituzioni che sappiano accompagnare le spinte .al mutamento verso costruttivi traguardi. Le strutture istituzionali per -costituire un sicuro alveo, che scongiuri i pericoli di dispersione delle energie e di disordine� traumatico, debbono essere solide ed efficienti. Solo allora le forze politiche riescono a svolgere un'azione incisiva �ed innovatrice che assicura il progresso della societ� nella continuit� .dello Stato. Una continuit� che non si limita a tutelare la tradizione, il -patrimonio dei valori acquisiti contro ogni temibile involuzione, ma che �si apre al nuovo scaturente dal travaglio storico di un popolo. Le vicende dell'Avvocatura dello Stato sono in questo senso assai significative. Nata da una delle prime riforme democratiche e progressi~ �ve dell'Italia unita -la sottoposizione dello Stato al giudice ordinario, -con conseguente necessit� di una sua efficiente ed unitaria difesa -essa cseppe fin dall'inizio cogliere nel suo compito, al di l� del momento dialet" tico e contingente della tutela dell'interesse pubblico in conflitto con quello -del privato, il permanente dovere di equit� proprio dello Stato, da attuarsi per parte sua, collaborando ad una corretta amministrazione della �giustizia. E' questo un patrimonio ideale che ha accompagnato l'Avvocatura nei cento anni della sua storia, facendone sicuro e non sostituibile ausilio �dell'azione di Governo in tutti quei campi in cui interessi privati o co munque settoriali possano entrare in conflitto con quello generale rappre �sentato dallo Stato. Il Paese � molto cresciuto nei cento anni che celebriamo e l'Istituto .cui il Governo rivolge oggi il suo saluto � cresciuto con esso, paS"sando �dalla iniziale limitata dimensione di settore all'odierna collocazione. Era allora poco pi� di un ufficio del Ministero delle Finanze, incari cato di tutelare gli interessi patrimoniali di parte della pubblica Ammini �strazione, � oggi una struttura autonoma, che cura in via generale e in modo armonico la tutela di tutti gli interessi pubblici perseguiti dallo Stato e dalle sue articolazioni. 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Questa evoluzione si riflette nell'abbandono della antica denominazione di �Avvocatura Erariale� e nell'adozione di quella attuale di � Avvocatura dello Stato�; e nel passaggio della sua collocazione da un particolare settore dell'Amministrazione.. nel quadro �della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ci� corrisponde alla pi� comprensiva funzione di tutela oggi commessa all'Avvocatura, che � chiamata ad operare non pi� solo� per dirimere il conflitto patrimoniale di stampo ottocentesco fra Stato e cittadino, ma anche per collaborare alla risoluzione di conflitti di grave momento, quali quelli che si dibattono dinnanzi alla Corte Costituzionale intorno ai limiti delle attribuzioni tra i poteri dello Stato, ovvero quelli che vengono discussi dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunit� Europee riguardanti l'interpretazione delle norme comunitarie e la posizione degli Stati .membri nell'ambito comunitario. IstitUita per maggior compimento di giustizia e miglior funzionalit� dello Stato di diritto, l'Avvocatura, per la competenza e la sensibilit� dimostrate, ha acquisito un indiscusso patrimonio di prestigio. Bench� l'organico ed i mezzi a disposizione non abbiano sub�to vistosi aumenti rispetto al passato, l'Avvocatura dello Stato ha puntualmente adempiuto ai compiti (sempre crescenti e sempre pi� differenziati) ad essa.affidati; ha fronteggiato i problemi nuovi che il progredire del Paese andava proponendo; corrisponde oggkalle pi� sofisticate esigenze di 1JI1a moderna societ� pluralista. Il lusinghiero bilancio del primo secolo di vita dell'Istituto costituisce� il migliore auspicio per il futuro e garanzia certa per il Governo della Repubblica, di poter sempre trovare nell'ausilio tecnico dell'Avvocatura dello Stato tutta la esperienza, la competenza, la efficienza e la duttilit� che una societ� in rapido movimento render�, di volta in volta,. necessarie. * * * L'Avvocato Generale dello Stato Avv. Giovanni Zappal� ha pronunciato il seguente discorso: Signor Presidente della Repubblica, il vivissimo ringraziamento che Le rivolgo per aver voluto onorare con la Sua presenza questa manifestazione celebrativa del primo centenario del nostro Istituto � diretto non solo a chi regge la Suprema Magi� stratura della Repubblica, ma anche all'illustre maestro di diritto edl all'avvocato che nel foro ha dato ineguagliabile esempio, a tutti noi, di rara arte oratoria e di somma perizia professionale. Ringrazio: Il Signor Cardinale Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; ...........,~ PARTE II, NOTIZIARIO !'On.le Presidente del Senato e l'On. Vice Presidente della Camera dei Deputati; il Signor Vice Presidente della Corte Costituzionale; gli onorevoli Ministri; gli Onorevoli Presidenti delle Regioni Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia; i Vice Presidenti del Consiglio Nazionale dell'Economia e del lavoro e del Consiglio Superiore della Magistratura; il Presidente ed il Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione; il Presidente del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti; i rappresentanti degli Ordini forensi, dei Corpi Accademici, delle Forze Armate, della Pubblica Amministrazione e quanti hanno voluto onorare con la loro presenza questa riunione; in particolare ho il dovere di ringraziare Lei, On.le Ministro dell'Interno, per le parole di vivo apprezzamento che ha voluto indirizzare per incarico del Presidente del Consiglio, impedito, per sopravvemiti urgenti, gravi impegni e che sono state a noi particolarmente gradite. L'Avvocatura dello Stato � lieta di ricevervi nella sua sede, recentemente restaurata, opera di Luigi Vanvitelli che, se non � caratterizzata da stile aulico e solennit� corale, come la Reggia di Caserta, rileva nella nobilt� delle linee e nelle dimensioni contenute ed armoniche la genialit� del grande architetto del settecento; ed � lieta di accogliervi in questa bella sala, dominata da un grande affresco, rara opera romana di Gregorio Guglielmi, rappresentante uno dei miracoli pi� significativi del Nuovo Testamento, la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ascriviamo a nostro privilegio il poter lavorare fra queste antiche mura, erette per onorare la poliedrica personalit� di un uomo che � stato, insieme, un grande santo ed un grande filosofo: esegeta, metafisico, psicologo, che giovanissimo, mentre si avviava con successo alla professione forense, fu spinto dalla lettura dell'Ortensio di Cicerone, dalla vibrante esortazione alla ricerca della sapienza, che � la sola immortale, come egli stesso scrisse nelle Confessioni, a ricercare altro impegno per il suo animo nobilissimo. E dalle principali esperienze personali di cui S. Agostino ha dato testimonianza con la sua vita e con le sue opere: l'amore. per la sapienza, il culto per l'amicizia, la nobilt� e fortezza di carattere, noi traiamo ispirazione per il nostro lavoro. 'Benedetto Croce in � Etica e . Politica� ha scritto che ogni istituto che si crei deve, per vivere, diventare �interesse dei singoli, sentimento, affetto, ricordo, speranza: il che, agli occhi dell'astratto 'razionalista, � un contaminarsi, ma, nella realt�, � un semplice rigettare l'astrattezza per la vita. Ci� � tanto pi� vero per il nostro Istituto nel quale, il carattere eminentemente professionale della funzione, esalta e stimola l'interesse e l'attivit� dei singoli; sicch� la storia del primo secolo della sua vita � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO indissolubilmente, legata alle vicende degli uomini che vi hanno operato: alla loro intelligenza, alla loro cultura, al loro temperamento, alle loro� qualit� professionali. Inizio, perci�, il mio dire rendendo omaggio a tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato che, durante un secolo, hanno profuso, spesso per l'intera vita, il loro ingegno e le loro forze nella difesa. degli interessi della collettivit�, contribuendo a costruire con il loro la-voro, giorno per giorno, quella tradizione di seriet� e preparazione professionale che �, oggi, non contestabile nostro patrimonio comune. Volendo dire di alcuni di loro, devo, in primo luogo, ricordare il fondatore dell'Istituto, Giuseppe Mantellini, romanista, giuspubblicista ed avvocato di eccezionale valore, dotato di quell'ecletticit� e profondit� di cultura che fu caratteristica dei grandi giureconsulti dell'ottocento. Ed il suo successore, Giacomo Costa, che, quale Ministro Guardasigilli, aveva progettato quelle grandi riforme nell'amministrazione della giustizia che'. una fine prematura gli imped� di realizzare. Giandomenico Tiepolo, succeduto al Costa, resse l'ufficio con quello� stesso attaccamento ai propri ideali che lo aveva spinto nel 1859 a partecipare, da volontario, alla seconda guerra di indipendenza. Di Adriano De Cupis vanno ricordati i servizi, veramente luminosi� che egli, conoscitore profondo della Amministrazione, rese allo Stato� riunendo in s�, in modo incomparabile, le doti pi� ambite. Avvocato di indiscusso valore Giovanni Villa aveva conseguito meritata fama nel Foro, prima della nomina ad Avvocato Generale. Fedeleservitore dello Stato non esit� ad accettare, durante la fase pi� drammatica della prima guerra mondiale, pesanti responsabilit�: Ministro� dei trasporti e Vice Presidente del Consiglio, l'avverso destino gli imped� di dare all'Avvocatura ed al Governo quel maggior contributo che dal su0> straordinario valore intellettuale era da attendersi. Devo, infine, ricordare gli ultimi tre Avvocati Generali con i quali ho� avuto l'onore di collaborare direttamente. Gaetano Scavonetti concep� la vita pubblica come una continua bat-taglia alla quale partecip� con animo aperto e senza esitazioni, apportandovi il contributo di una tenacia, di una operosit� senza pari. Eglir ben a ragione, � ricordato come il restauratore delle fortune dell'Istituto e la sua figura si erge nei nostri ricordi come animata da un irresistibilefascino. E' viva nel ricordo di molti di noi la figura di Adolfo Giaquinto, serena e semplice, che pur non dissimulava una cultura profonda ed una acutezza di pensiero non comune, che egli pose costantemente, in diversi campi, a servizio dello Stato. A Salvatore Scoca mi legava una pura e costante amicizia, una perfetta comunione di sentimenti e di intenti. Acuto ed agilissimo il suo ingegno recepiva le manifestazioni pi� varie e diverse; e sia che si trattasse PARTE II, NOTIZIARIO 4J' di questioni sottili di diritto o complesse di economia o di finanza, com uguale forza assimilatrice le analizzava e le risolveva. La figura dell'uomo politico e dell'Avvocato dello Stato non vennero0 mai in contrasto, ma quasi, vicendevolmente si integrarono; e dimostr� come fosse possibile, operando nella politica e nel governo, essere giusto. E di molti ancora dovrei dire, fra coloro che indossarono la toga di avvocato dello Stato: Oronzo Quarta, Giovanni Pagano Guarnaschelli,. Salvatore D'Amelio, Ernesto D'Agostino, Achille Nucci, Giancarlo Messa, Francesco Lo Bianco, Augusto Ortona, Francesco Di Gennaro, Raffaele Pio Petrilli, Gaetano Pulvirenti, Luigi Medugno, Francesco Selvaggi e tanti altri, che la ristretttezza del tempo mi impedisce, sia pur fugacemente,, di ricordare. * * * Tenter� ora di tracciare, in rapida sintesi, le linee di sviluppo del-l'Istituto nel primo secolo di vita. E' indubbio che l'Avvocatura erariale derivi, direttamente, dall'Avvocatura toscana. Non certo a caso fu Giuseppe Man,tellini -ultimo Avvo-cato regio di Toscana e Deputato al Parlamento -ad essere relatore� della legge 28 novembre 1875 ed estensore del decreto 16 gennaio 1876. Non certo a caso lo stesso Mantellini fu il primo Avvocato Generale. Si realizz�, cos�, un raro esempio di trapianto di un istituto toscano�� nel tessuto connettivo dello Stato unitario, che aveva, invece, preferito� ispirarsi a strutture piemontesi e borboniche. Per comprendere quale fosse � l'anima � che, per mediazione del Man-.. tellini, si reincarn� nell'Avvocatura Erariale, occorre ricordare che, nell'ordinato ed efficiente regime pre-liberale della Toscana dei Lorena, la Pubblica Amministrazione era assoggettata al giudizio dei Tribunali ordi-nari. I giudici del contenzioso amministrativo esercitavano una giurisdizione �di eccezione�, limitata a pochi casi, espressamente previsti dalla legge. Al vertice del sistema giudiziario era la Corte di Cassazione, .. che esercitava anche la funzione di giudice dei conflitti. In tale quadro si collocava la magistratura dell'Avvocato Regio, istituita, con motu-proprio di Pietro Leopoldo del 17 maggio 1777, per la difesa delle cause dell'amministrazione da trattarsi, come egli stesso,.. espressamente, prescriveva, � con puro spirito di verit� e di giustizia eperch� l'interesse del Fisco non prevalga mai alla ragione dei privati �, la quale, gradualmente, and� ampliando i suoi compiti, s� che, alle soglie� dell'Unit�, l'Avvocato Regio es_ercitava una funzione, integrale e bivalente, .. di difensore dello Stato e difensore della legge. Gli era affidato, infatti, il compito della tutela della personalit� internazionale dello Stato e della difesa dell'amministrazione dinanzi ai giudici toscani, in veste neutra ed'. imparziale e nel superiore interesse della legge. 46 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blico, al fine ultimo di assicurare la piena legalit� dell'azione amministrativa. Dopo un primo passo nel 1913, con l'introduzione di una normativa che ridusse, grandemente, il numero e l'autonomia degli avvocati delegati, un secondo e fondamentale passo fu compiuto, nel 1923, con la istituzione del Foro Erariale, che, consentendo l'abolizione della difesa delegata, si pose come strumento tecnico determinante perch� la difesa dello Stato fosse ordinata sulla base di una razionale unit� organica e funzionale. 'La concentrazione delle cause dello Stato permise, oltre che una pi� agevole visione globale dei vari interessi ed una linea difensiva unitaria, una specializzazione dei giudici nella delicata area di una tipologia di conflitti, caratterizzati dalla ricerca della linea di demarcazione fra principio di libert� e principio di autorit�. In ultima analisi, l'obiettivo cui conduce il foro speciale � peraltro -come ha anche ritenuto la Corte Costituzionale -la certezza del diritto nei rapporti fra Stato e cittadino, con vantaggio per entrambi. Non � un caso, d'altronde, che con provvedimento coevo a quello istitutivo del Foro Erariale, venisse unificata la Corte di Cassazione: entrambe le normative furono, infatti, ispirate al perseguimento della certezza del diritto: nell'un caso per il fine specifico della giustizia dell'amministrazione, nell'altro per il primato della legge nell'amministrazione della giustizia. * * * :~ La costituzione repubblicana e la partecipazione dell'Italia alle nuove forme di cooperazione internazionale e sovranazionale, hanno aperto all'Istituto l'orizzonte di nuovi compiti e di nuove funzioni, gli uni e le altre subito assolti ed esercitate in virt� di quella potenzialit� espansiva dell'Avvocatura, derivatale dalla matrice, gi� contenente, in nuce, i segni dei futuri sviluppi. Semplificando al massimo, le due nuove importantissime funzioni, attribuite all'Istituto nel secondo dopoguerra, si risolvono in una istitu zionale difesa dello Stato -ordinamento, dinanzi al giudice delle leggi, e dello Stato -soggetto di un ordinamento sovranazionale, nell'ambito di tale diverso ordinamento e dinanzi al giudice in� esso incardinato. Le ristrette vesti di � organo dello Stato-amministrazione � ove mai siano esistite, appartengono, ora, solo alla storia dell'Istituto che, non a caso, ha mutato, gi� da tempo, la propria denominazione da Avvocatura Era riale in Avvocatura dello Stato, nel corso di un processo, poi proseguito nella stessa linea di tendenza, senza soluzioni di continuit�; sicch� l'origi naria difesa patrimoniale dello Stato sulla base di un diritto privato di PARTE II, NOTIZIARIO tradizione bimillenaria, � andata evolvendosi, in progressione, nella difesa legale dello Stato, tout court, in tutte le sue articolazioni. Se una indicazione, sia pure sommaria, dei contributi dell'Avvocatura in un secolo di storia del diritto pubblico non � possibile, tuttavia, vanno ricordati i momenti pi� significativi del suo apporto. Le riforme del 1865 e la legge sui conflitti del 1877, ispirate ad una visione dogmatica del principio delle divisioni dei poteri, avevano affidato alla elaborazione giurisprudenziale due temi essenziali: l'individuazione dell'oggetto del giudizio di attribuzione della giurisdizione e la definizione della nozione di �diritto civile e politico�, contrapposta a quella di interesse. Compito primo dell'Awocatura fu, dunque, l'elaborazione di una linea di difesa unitaria e coerente in proposito. In ordine al riparto delle competenze, furono subito gettate dal Mantellini le basi di quella teoria, che doveva svilupparsi ed affermarsi anni dopo con il nome di teoria della � improponibilit� assoluta della d~manda �; mentre quanto alla distinzione fra diritti ed interessi, essa fu ragguagliata alla famosa distinzione fra atti compiuti dallo Stato iure gestionis ed atti compiuti iure imperii, secondo una linea difensiva, seguita con successo per circa quaranta anni, prima che prevalesse il pi� moderno criterio discretivo della discrezionalit�, a sua volta superato, o, meglio, integrato, in tempi pi� recenti, da quello della contrapposizione fra norme di azione e norme di relazione. L'Avvocatura, che nella relazione del 1883 aveva caldeggiato l'attribuzione al Consiglio di Stato del compito di sindacare la legittimit� degli atti amministrativi, dimostrando cos� come il difensore dell'Amministrazione, sin da allora, sentisse la responsabilit� di una superiore funzione di giustizia, contribu�, poi, dopo l'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato nel 1889, al contrastato riconoscimento del carattere giurisdizionale delle nuove funzioni, sostenendo con successo, dinanzi alla Cassazione, la ricorribilit� per incompetenza ed eccesso di potere delle relative decisioni. La creazione del giudice degli interessi legittimi impegn�, naturalmente, la difesa dello Stato nella ricerca della linea di demarcazione tra quelli ed i diritti soggettivi ed in quella sede, l'Avvocatura elabor�, ben presto, la teoria del �petitum sostanziale�, iniziando la battaglia -che doveva concludersi vittoriosamente molti anni dopo -contro la teoria della � prospettazione � o della � doppia tutela �. Un contributo parti�olarmente importante fu, poi, fornito dall'Avvocatura in tema di responsabilit� della pubblica Amministrazione. La difesa dello Stato .mir�, innanzitutto, ad impedire che, sotto prospettazioni risarcitorie, venissero effettuati sindacati sull'azione amministrativa o, comunque, che venissero chiesti al giudice provvedimenti che gli erano preclusi nei confronti delle P. A. Si affin�, cos�, da un lato, l'analisi volta ad individuare l'oggetto sostanziale della domanda, si svi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lupp�, dall'altro, la tematica del �tipo di pronuncia� precluso all'A.G.O. nei confronti della P. A. In tema specifico di responsabilit�, poi, venne elaborata dall'Avvocatura una completa impostazione teorica, che limitava la configurabilit� di una responsabilit� diretta alle ipotesi di danni arrecati nello svolgimento di attivit� disciplinate dal diritto privato, in base alla nota distinzione fra atti di gestione ed atti d'impero, ed escludeva la possibilit� di ipotizzare una responsabilit� indiretta per fatto del dipendente. * * * Questi in definitiva i grandi temi della difesa erariale: sarebbe un fuor d'opera percorrere l'evoluzione e gli sviluppi delle tesi lontane, ora ricordate, fino ai giorni nostri. Giover�, tuttavia, osservare come la sensibilit� della difesa dello Stato sia stata e sia rivolta, soprattutto, a temi che si risolvono nelle grandi questioni pregiudiziali dei conflitti di attribuzioni e di giurisdizione. Ci� non deve sorprendere e sembrano, davvero, poco meditate le critiche fatte all'Istituto per una sua pretesa eccessiva propensione alle questioni pregiudiziali. Non deve dimenticarsi, infatti, che l'Avvocatura opera, non gi� soltanto per la contingente tutela dell'interesse dedotto in lite, come normalmente avviene per un privato patrocinatore, ma anche -e soprattutto per il fine immanente della realizzazione degli interessi generali della pubblica Amministrazione. Punti di riferimento necessari del difensore dello Stato sono, dunque, la legalit� dell'azione amministrativa e, pi� in generale, il rispetto delle leggi, prime fra tutte quelle che delineano i criteri discriminatori delle competenze fra i Poteri dello Stc:ito e fra i diversi organi giurisdizionali, chiamati a decidere i differenti tipi di controversie. Regola prima ed essenziale di buon funzionamento di una societ� organizzata ed articolata �, infatti, quella che impone a ciascun organo di esercitare tutte, e solo, le funzioni conferitegli. Compito primo dell'Avvocatura, nel perseguimento del fine immanente di difesa del pubblico interesse, �, dunque, quello di vegliare a che la giustizia nell'amministrazione e l'amministrazione della giustizia si realizzino attraverso l'opera fisiologica degli organi amministrativi e giudiziari, deputati alle varie funzioni che a tale realizzazione concorrono. Sembra, quindi, legittimo concludere che l'ipotesi storica formulata all'inizio appare confermata dalla realt� attuale. L'Avvocatura dello Stato � passata, infatti, dalla limitata tutela degli interessi patrimoniali di uno Stato accentrato, alla tutela in giudizio di tutti gli interessi pubblici perseguiti, in ogni sede, da uno Stato moderno, direttamente o tramite varie possibili articolazioni pluralistiche, con il compito specifico di realizzare un'insoppremibile esigenza di coordinamento, pur nel rispetto delle diverse autonomie. Orbene, un tale rilevante incremento di funzioni -�he I I ! PARTE II, NOTIZIARIO pu� definirsi un � salto di qualit� � -non sarebbe stato possibile se, fin dall'inizio, non ci fosse stata nell'Istituto, a mordere i freni delle anguste strutture iniziali, un'anima meritevole di ben pi� ampi orizzonti, qual'era quella della nobile istituzione toscana. L'evolversi e l'ampliarsi dei compiti dell'Avvocatura, non che. comportare problemi di riconversione tecnica, fu, dunque, soltanto il fisiologico distendersi e realizzarsi di una potenzialit� espansiva sottoutilizzata. L'antica matrice legalitaria e garantistica gi� conteneva, in nuce, i segni dei futuri sviluppi; s� che ha potuto verificarsi con estrema naturalezza, cos� per il legislatore, come per l'Istituto, l'evoluzione cui si � accennato. L'Avvocatura, infatti, � oggi chiamata non pi� soltanto a tutelare la giustizia nell'amministrazione, ma anche ad operare sulla linea di contatto fra i Poteri dello Stato, fra Stato e Regioni, fra Stato e Comunit� Europee. � chiamata, cio�, a partecipare alla verifica, non solo della conformit� alla legge dell'atto amministrativo, ma anche della conformit� alla Costituzione degli atti normativi sovranazionali, statali e regionali. Il fine da essa perseguito, la realizzazione della legalit�, si, colloca, ormai in una realt� pluridimensionale, passata, dalla ottocentesca singola contrapposizione Stato-cittadino, alla odierna prospettazione di dualismi, potenzialmente conflittuali, quali Potere legislativo e Costituzione, Stato e Regioni, Stato e Comunit� Europee. Il campo d'azione dell'Avvocatura deve, quindi, ormai, necessariamente trascendere la sola considerazione degli interessi pubblici, rimasti di competenza della persona giuridica pubblica statuale, rifuggire da sterili contrapposizioni, utili solo come momento dialettico e contin� gente, ed aprirsi, invece, alla valutazione di tutti gli interessi coesistenti, nel perseguimento di un fine di globale coordinamento dell'attivit� di enti ed organi titolari di potest� pubbliche e degli interessi ad essi affidati. Il congresso internazionale indetto, iJ:\ Roma dal 10 al 14 maggio prossimo, dall'Avvocatura dello Stato, in occasione della c~lebrazione del centenario, nel quale si incontreranno 60 delegazioni di istituzioni estere similari alla nostra, costituir� un utilissimo confronto di esperienze diverse, dal quale ci ripromettiamo di trarre utili elementi per il perfezionamento della organizzazione del nostro istituto. Cento anni di storia hanno dimostrato che l'Istituto, adeguandosi al mutare dei tempi ed all'evolversi ed ampliarsi dei suoi compiti, li ha saputi bene assolvere nel passato. Siamo certi che sapr� assolvere quelli del futuro. A ricordo del centenario, oltre alla consueta relazione quinquennale al Presidente del Consiglio dei Ministri, relativa agli anni 1971-75, che completa il primo ciclo secolare, iniziato nel 1876, che �, ora, costituito da ben quarantuno volumi, � stato redatto uno studio sull'origine storica dell'Istituto e sulla evoluzione delle sue funzioni e dei suoi ordinamenti fO RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO da un gruppo di colleghi, diretto dal Vice Avvocato Generale Rocco di Ciommo, che desidero ringraziare, pubblicamente, per l'impegno posto nell'esecuzione dell'incarico. � stato anche emesso un brancobollo commemorativo e coniata una medaglia raffigurante Papiniano, advocatus fisci, che Giuseppe Mantellini indic� ai suoi avvocati quale antistes juris e Maestro. Nel presentarLe, Signor Presidente, questi nostri lavori e questi nostri ricordi celebrativi del centenario e nel pregarLa di voler gradire questo omaggio, desidero sottolineare che, attraverso la Sua persona, intendiamo anche onorare la sapienza giuridica, la toga dell'avvocato e, soprattutto, le Istituzioni della Repubblica, che gli avvocati dello Stato sono impegnati a difendere, strenuamente, nelle aule di giustizia e, con ci�, a consolidare nella coscienza di tutti gli italiani. PARTE II, NOTIZIARIO CONSIDERAZIONI SULL'ATTUALE STATO DEL PALAZZO SEDE DELL'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, GI� CONVENTO DI S. AGOSTINO da LUIGI VANVITELLI Edizioni Scientifiche Italiane Napoli 1973 Parte Seconda del Prof. Roberto Pane �L'attivit� di Luigi Vanvitelli fuori del Regno delle due Sicilie� Pag. 61 (omissis). �L'adattamento degli antichi edifici conventuali italiani a pubbliche destinazioni, come uffici, scuole, caserme, carceri, ecc., � operazione di vecchia data, di cui non � qui il caso di ripercorrere le complesse e, quasi sempre, distruttive e squallide vicende. Sta di fatto che, nella maggior parte dei casi, sono venuti meno, sia il criterio della tutela dell'edificio come bene culturale, sia la sua pratica rispondenza ad una nuova destinazione; in tal senso, dunque, si pu� affermare che il Convento di S. Agostino rappresenti una tanto rara quanto fortunata eccezione. Anzi va aggiunto qualcosa di pi�, e cio� che nessuna moderna costruzione romana -tra le numerosissime che gi� in origine sono state destinate a pubbliche funzioni -si presenta con altrettanta dignit� e decoro >>. Pag. 93, nota n. 20 (omissis). � Altra soluzione non poteva, purtroppo, essere realizzata, tenuto conto delle disponibilit� dell'edificio in rapporto alla sede dell'Avvocatura, che ha succeduto a quella del Ministero della Marina. Va aggiunto per� che, mentre il precedente insediamento aveva provocato gravi alterazioni, suddividendo vani in senso verticale e orizzontale, l'Avvocatura dello Stato ha, per merito ed iniziativa dell'Avvocato Generale Giovanni Zappal�, operato un graduale ed efficiente restauro di tutto l'edificio; restauro che si � concluso nel 1968 con la sala del refettorio, dedicandola al nome di "Vanvitelli". Tenuto conto dello scempio che le pubbliche amministrazioni hanno normalmente compiuto in Italia, a danno di edifici di interesse storico artistico il caso suddetto � degno di particolare segnalazione �. i I. Iii