ANNO XVI � N. 2 MARZO -APRILE 1964 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


Pubblicazione di servizio 



ARTI GRAFICHE MILILLO � ROMA 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE pag. 243 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE � 272 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE � 291 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA � 332 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA � 354 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE AP� 
PALTI E FORNITURE � 395 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE � 419 

Parte seconda: .RASSEGNE� QUESTIONI � CONSULTAZIONI 

RASSEGNA DI DOTTRINA � 25 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � 27 
QUESTIONI � 50 
CONSULTAZIONI � 61 

Le sezioni della parte prima sono curate, nell'ordine, dagli avvocati: 
Michele Savarese, Giorgio Zagari, Franco Carusi, Ugo Gargiulo, Leonida Correale, 
Giuseppe del Greco, Antonino Terranova; 


le rassegne di dottrina e legislazione dagli avvocati: 

Benedetto Baccari e Mario Fanelli. 

Coordinamento generale: avvocati 

Aristide Salvatori e Ugo Gargiulo. 



Elenco delle principali annotazioni a sentenze 
c. ARIAS, Sulla natura giuridica dell'Ufficio Italiano dei Cambi pag. 264 
G. ZAGARI, Osservazioni in tema di interesse semplice . . . . )) 281 
F. CARUSI, Azione di reclami di nome contro l'Ufficio Araldico? )) 295 
u. GARGIULO, La impugnativa dell'elezione da parte dei componenti 
dei corpi eligenti amministrativi . . . . )) 332 
u. GARGIULO, Rapporti tra piano di ricostruzione e piano 
regolatore generale . . . . . . . . . . . . � )) 339 
. ' ' 
G. GUGLIELMI, L,'attivitd statale decentrata alla Regione Siciliana 
in materia di antichit� e belle arti . . . � � )) 349 
L. CORREALE, Sull'effetto interruttivo del verbale di accertamento 
di trasgressione alle leggi finanziarie e valutarie . . )) 368 
L. CORREALE, Deduzione dall'attivo dell'asse ereditario dei 
saldi passivi di c/c. Prova . . . . . . . � 385 
G. GUGLIELMI, La pregiudiziale amministrativa . . )) 399 
F. CARUSI, Interpretazione invalidante del contratto .. )) 407 
R. BRONZINI, Il reato abituale nella sua struttura giuridica )) 423 



INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE PUBBLICHE 

-Classificazione -Modifica -Estinzione 
di diritti di uso e di [)esca 
-E'sclusione -Acque rpubblliche Mutamento 
di caratter.iistiche e di 
destinazione dirpendente da evento 
naturale -Diritto di uso e di 
pesca -lm{Poo.sibHe loro esercizio, 

399. . 
-Competenza -Pro�vvedimenti di 
decadenza dal diritto esclusivo di 
[pesca -Lmpugnativa dinanzi al 
Trib. Sup. .A!cque -Ammissibi1it�, 

398. 
-Competenza -Natura pubblica delle 
acque -Aecertamento gi� defin�..: 
tivo -Appartenenza al demanio 
marittimo o al demanio idrko Controversia 
sollevata incidenter 
tantum -Incidenza su interessi legittimi 
e non su diritti soggettivi 
� -Competenza del Trib. Sup. A�que 
-Esclusione -Ooffi!Petenza del Consiglio 
di Stato -. Sussiste, con nota 
di G. GUGLmLMI, 399. 

-Costruzione acquedotti -G1U["isdi-. 
zione dei Tribunali delle Acque 
Pubbliche -Limiti, 405. 

-Pesca -Diritti esclusivi -Provvedimenti 
del Preifetto e del Capo 
Compartimento marittimo -Defi-7 
nitivit� -Esclusione -Silenzio Rifiuto 
-Illl/PIUgnativa dinanzi al 
Trib. Sup. Acque -Inammissibilit�, 
con nota di G. GUGUELMI, 398. 

- 
Pe�sca -Diritti esc'.liusivi -Ricono


scimento . -Termine previsto dalla 
legge 24 marzo 1921 n. 312 in relazione 
alle acque considerate, di diritto 
o di fatto, gi� pubbliche nel 

192.1 -Acque di,chiarate pubbliJche 
in epoca successiva -AIP<plkabilit�, 
�con nota di G. GUGLmLMI, 399. 
-'-Procedimento innanzi ai Tribunali 
delle Acque -Discirplina, 396. 

-Sovracanoni -Ingiunz.ione di pagamento 
-Giudizio di O{PIPOSizione Competenza 
teNitoriale dei Tribunali 
Regionali -Criterio: localit� 
ove 'sono 1situate 'le opere -Inderogabilit�, 
396. 

- 
Sovvenzioni per rcostruzione di nuo


vi imiPianti -Breteisa del concessionario 
-Natura -Diritto soggettivo 
-Sovvenzioni per ampliamento, po. 
tenziamento e rtcostirruzione di im!
Pianti gi� esistenti -Pretesa del 
'conces1sonario -Natura -Interesse 
legittimo, 406. 

AMMINISTRAZIONE DiELL STATO 

-Comitato Nazionale della Produttivit� 
-Organo dello Stato � Raip�porto 
di impiego -Natura 1Pubblicistica, 
272. 

-V. anche Competenza e giurisdizione, 
Responsabiilitd civile. 
APPALTO 
-A!P1Palto di opere ipubbliche -Maggior 
durata dei lavori -Indennizzo 
all'imtpresa per minore redditivit� 
dell'apipalto -N�n � dovuto, 414. 

-Alppalto di oipere :pubbliche -Mag. 
gior durata dei laV'ori -Natura degli 
indennizzi dovuti all'impresa, 

415. 
-Appalto di opere pubbliche -Ese'
cuzione dei lavori -Riserve -Termine 
-Inosservanza -Elfifetti, 410. 

- 
Appalto di opere pubbliche 
Maggior durata dei lavori -Man1canza 
di co'lpa del �committente e 
dell'aippa1tatore -Indennizzabilit�, 

414. 
-Awalto di opere !P'Ub'biliche -Co1struzione 
di alloggi iper 1Profugihi Ra,
p1Porto instaurato tra Stato e Istituti 
Allltonomi Case Po:pola'l'i -Natura: 
deiegazone amministrativa '
Contratto di aipipalto stilPulato da1gli 
]stituti -Controversie -Le.gittimazione 
ipaissiva dello Stato, 410. 
-Appalto di otPera {pUbbllica -Dove!re 
della rstazione aippaltante di cooiPerare 
'con I'aipipaltatore rper rendere 
ipossibile [a 1:1ua temipestiva libe'l'azione 
->SusrsistEm2la 29 _ con nota 
di F. CARUSI, 406. 

- 
AIP!Palto di opera ipubblica -Novazione 
del termine contrattuale di 
ultimazione dei lavori -Interpretazione 
dei 'contratto -Ricel'ca della 
1comune intenzione dei contraenti 
-Perisistenza della 'l'esponsabilit� 
della Stazione A[lipaltante [per la 


VI 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

protazione della durata dei lavori, 
CQIIl nota di F. CARUSI, 407. 

-A,ppalto di opere pubbliche _ Capitolato 
geneirale del Ministero dei 
LL..PP. _ Natura normativa, 395. 

--Appalto di opere ipubblkhe -Interessi 
sulle -somme dovute all'aiprpaltatore 
_ Art. 40 Capitolato ~en~


�raie 28 magigio 18-95 -Inarppbcab1lit� 
degli artt. 1341 e 1342 .c.c., 39-5. 

APPELLO 

-Principio del doipiPio grado di giurisdizione 
_ Limiti in materia di 
sentenze non definiti'Ve del giJUdice 
di primo grado, 321. 

-v. anche Imp'Ugnazione. 
ATTO AMMINISTRATIVO 
-V. Competenza e gti'Urisdizione. 


CACCIA E PESCA 
-Riserva di caccia -In1chlisione coattica 
-!Motivazione -Necessit�, 349. 
COLLEGIO 

-Organo collegiale ,amministrativo E'lezione 
dei componenti -Partecipazione 
alla votazione di 'Soggetti

ritenuti estranei � Dedsivit� dei 
loro voti -Impugnativa del risultato 
della elezione da parte degli 
eleggibili -Ammissibilit� -Fattispecie, 
con nota di U. GARGIULO, 

332. . 
-Organo rcollegia1:e amministrativo 


Elezione dei �COmiPonenti -Partecid 
tt"

pazione alla votazione i so~ge 1 

ritenuti estranei -Impugnativa del 
irisultato della elezione da parte 
� d" � t

degli elettori -Difetto l in eresse 
_ FatUspecie, con nota di U. GAR


GIULO, 332. 

-Organo collegiale ammin~strativo Elezione 
dei componenti -Partecipazione 
alla votazione di soggetti 
ritenuti �estranei -E[ezione ultimata 
e proclamata -Im.:pugnativa -Interesse 
a ricorrere -Attualit�, con 
nota di U. GARGIULO, 332. 
COMMISSIONI TRIBUTARIE 

-V. Imposte e Tasse in genere. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE 
-Amministrazione dello Stato ed Enti 
pubbl1ci _ Raworto con i di


pendenti -Mancanza dell'atto formale 
di nomina -DLsciplina privatistica 
-ControveI'ISie -Giurisdizio


ne ordinaria, 272. 

-Atto ammi!llistrativo -Disapplicazione 
ai sensi dell'art. 5 I. 20 mar


zo 1865 n. 2248, all. E -Giurisdi


,1on, =inl�b-�tiv� -"''""'""' 


Giurisdizione ordinaria -. Sussist~, 
'con nota di G. GUGLIELMI, 39 � 

-Principi generali -Conflitto di attribuzioni 
tra Stato e Regione -. 
PreSU(pposti, 'con nota di G. GUGLIELMI, 
349. 

-Regioni -Atto amministrativo Contestazione 
relativa alla -competenza 
della Regione -Conflitto di 
attribuzioni -Non sussiste -Giurisdizione 
del Consiglio di Stato Sussiste, 
278. 

-Riserva di caiccia -Atto di proroga 
di concessione -Federazione It..cac-
eia _ Interesse legittimo -Fatt1spede 
-Insussistenza -R~cOlllSO giurisdizionale 
-Inammissibilit�, con 
nota di G. ZAGARI, 281. 


-Riserva di 'caccia -Atto di proro


ga di concessione _ Privati � caccia-. 
tori � _ Interesse legittimo -Insusisistenza 
_ Ricol1so giurisdizionale 
_ Inammissib~lit�, con nota di G.

ZAGARI, 281. 
_ V anche Amministrazione deHo 
Stato Cosa gri:udicata, Regione, Sar


' bb' � h

degna, Acq'Ue pu. .u: e.

CONCESSIO.NI AMMINISTRATIVE 
_ V. Farmacia, Acq'Ue pubbliche; Poste 
e teiecom'Unicazioni. 
CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI 

_ v. Corte Costit'UZionaie. 

CONTABILITA' GENERALE DELLO 

STATO 

_ Morte di creditore dello Stato 


. 
Pagamento agli aventi .causa � Ju:~ 
succession~s � -Emissione. d\ IPlU

o11dinativi parziali di spesa -Con-. 
dizioni di legittimit�, con nota d1 

F. CARUSI, 325. 
CONTENZIOSO TRIBUTARI~ 
--V. Imposte e tasse in genere. 
CONTRATTI PUBBLICI 
-Licitazione . rprivata -Durata di 
un'ora -Abbreviazione per man,
canza di conconrrenti -Legittimit�, 

352. 
-Licitazione privata -Gara andata 
deserta -Rinnovazione -Inviti Limitazione 
a talune ditte -Motivi 
fondati -Obbligo di pl!"ecisazione

dei motivi negli inviti -Non sussiste, 
352. 
-L1"c1"taz1"one prlrvata_ -Oflferte -Of


~ 

d'erte verbali -Ammiissibilit� Fattispecie, 
352. 

COVOP.aEnRAcheTIAV~aito. 

'--V Ed<!lzio P<>i>ota" od """""'"'" 

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INDICE 
VII 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto 1costituzionale di attribuzioni 
-Conflitto tra Stato e Regione 
-Presupposti, 1con nota di R. 
BRONZINI, 291. 

-Coruflitto fra Stato e Regione -
Contraversia icirca l'a1p1partenenza 
di beni del :patrimonio disponibile 
Co!J..flitto costituzionale di attribuzioni, 
1con nota di R. BRONZINI, 
291. 

-Conflitto tra Stato e Regione Controversia
�drea l'apipaTtenenza di 
beni del patrimonio indh;ponib:ile Conflitto 
costituzionale di attribuzioni, 
con nota di R. BRONZINI, 

291. 
COSA GIUDICATA 
-Giudicato imipilicito -Questioni dedotte 
e deducibili, 324. 

- 
Giudi1cato sulla giurisdizfone -Ne1cessit� 
di un .giudicat oanche su 
questioni di merito -Non 'SUSsiste, 

274. 
-V. anche Giustiz.ia amministrativa. 
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 
-V. Dogana, Reato, Reato contro la 
famiglia; Sicurezza pubblica, Tasse 
e imposte comunali. 
DANNI DI GUERRA 

-Danni subiti iill territori non metropolitani 
-Liqu1dazione -Divieto 
di revisione previlsta dall'art. 14 
della 1. n. 961. del 1953 -Inapplicabilit�, 
348. 
DEMANIO E PATRIMONIO 

-Demanio stori!co e artLstico -Tutela 
-Regione Siciliana -Organi 
competenti, con nota di G. GUGLIELMI, 
349. 

-Demanio storico e arUstico -Pi;-ovvedimenti 
di vitJ1c01lo -Motivazione 
-Crite.ri -Fattispecie, 353. 

-V. anche� Acque pubbLiche. 
DOGANA 
-CaJ:\cerazione preventiva per reati 
doganali -Durata fino all'accertamento 
dell'identit� personale del 
1so.ggetto o alla prestazione di cauzione 
-Contra:sto con l'art. 13 della 
�co1;tituzion� -Insussistenza, 261. 
-Ingiunzione di pagamento -Opposiiione 
giudiziaria -Termine -Inosservanza 
-Effetti. 358. 
EDILIZIA . POPOLARE ED ECONOMICA 
-Cooperative edilizie -Azione ese1cutiva 
� Richiesta di nulla osta 


Diffida -Silenzio rifiuto -Illegittimit�, 
343. 

ELEZIONI 

-V. Collegio 
ENTI PUBBLICI 

-Giudizio in 1C011So dinanzi a tr1bu~ 
nale straniero -Controvemia sulla 
capacit� giuridica di un soggetto Riferimento 
all'ordinamento giuridico 
deHo Stato che di,sciplina il 
1soggeto ,stesso, con nota di C. 
ARIAS, 264. 

-Ufficio Italiano cambi � Controversia 
sulla sua capalcit� giudd!ca 
-E' Ente con personalit� giuridica, 
con nota di C. ARIAS, 264. 

EN'DRATE PATRIMONIALI 

-Ingiunzione di pagamento -Opposizione 
-Giudice 1competente -Foro 
dello Stato ~ tlnaP1P1icabilit�, 356. 

-Procedimento coattivo iper la loro 
riscossione -Opposizione al'l'ingiunzione 
di pagamento -Giudice competente 
peT territorio, 357. 

ESECUZIONE FISCALE 

-Ingiunzione di pagamento -Otppo
�Sizione -Foro deHo Stato -Appli1cabilit�, 
356. 
ESPROPRIAZIONE PER :i;:>.U. 

-Accoro.o sulla misura dell'indennit� 
esproipriativa -Negozio di diritto 
pubblico -Effiicacia, 321. 

- 
Indennit� -Interessi compensativi, 

319. 
- 
Mancata prefissione del termine per 
tl'esecuzione delle espropriazioni e 
dei lavori -Successivo provvedimento 
in sanatoria -Illegittimit�, 

405. 
- 
Oocu;pazione in via d'urgenza del'.
l'immobile -Scadenza del biennio 
di oui all'art. 73 1. 25 giugno 1865, 

n. 2359 -IlliJceit� dell'occupazione 
-Sopravvenienza del decreto espropriativo 
-E:flfetti -~ Risarcimento del 
danno per il periodo di occupazione 
senza titolo � -Criteri di liquidazione, 
323. 
-V. anche Servit� militari. 
FARMACIA 
-Concessione farmaceutica -Decadenza 
-Effetti della illegittima dichiatazione 
di decadenza -Risarcimento
� dei danni -Competenza del 
G.O., con nota di F. CARUSI, 327. 
-Concessione \farmaceutica -Diritto 
del concessionario all'esercizio 
esclusivo della concessione -Diritto 
'condizionato all'interesse pub



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

VIII 

bliico -Revocabilit� della concessione 
_ D.i!ferenza tra revoca e dec-adenza, 
con nota di F. CARUSI 

327. 
FURTO 
-F.urto di cose eiSistenti in campi 
A.R.A.iR. -Aggravante speciale de1l'aveir 
icommesso il fatto su cose. esistenti 
in stabilimenti !Pubblici -Applicabilit�, 
432. 
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Esecuzione di �giudiJcato -Motivi di 
opportunit� amminLstrativa o di ordine 
pubblico -Irrilevanza -Inerzia 
della [P.a. -Prefissiooe di un 
tel'mine e, in ca-so di inosservanza, 
nomina di un commissario, 343. 

- 
Ricol'So giudsdizionale -Decisione 
del Consiiglio di Giustizia amministrativa 
per la Regione SLciUana 
Decorrenza del t.�rmine del ricorso 
in aippello -Nohficazione -Forme 
-Applicabilit� degli artt. 3 e 81 

r.d. 17 agosto 1907, n. 642, 337. 
- 
V. aniclle Piano Regolatore. 

IMPOSTE E TASSE IN GENERE 

- 
Decisione della Commissione Pro


vinci!l!l�e delle imposte -Riieorso all'intendenza 
di Finanza -Decorso 
del tel'mine per il ricorso all'a.g.o. 
-Errore scusabile -Rimessione in 
termini -Esclusione -Fattispecie, 

393. 
-Decisione di CommiJssione amministrativa 
� RLcorso all'a.g.o. -Termine 
-Ricol'so geral:'chico -Effetto 
sosipensivo -Esclusione, 392. 

-Ingiunzione di pagamento -Natura, 
358. 
-Ing1unzione di pagamento _ Oip;po1sizione 
giud�ziM"ia -Contenuto, 358. 

.....;. Procedimento innanzi alle C-Ommis1Sioni 
-Aipiplicabilit� del c,p,c. Limiti, 
� 364. 
-Procedimento davanti alle Commis1sioni 
delle imposte -Decisioni -
Diiietto o maI11canza di motivazione 
-Non deducibHit� davanti all'Autorit� 
giudiziaria ordinaria Limiti, 
354. 
-Procedimento innanzi alle Commissioni 
-Appello dell'Ufficio alla 
Commissione Centrale -NoUficazione 
-Nullit� -Rinnovazione Sanatoria 
ex tunc, 364. 

- 
Procedimento dav�nti alle Commissioni 
delle imposte -Decisioni Mancanza 
di motivazione -Inesistenza 
giuridica del :procedimento 


Insussistenza, 354. 

-Procedimento innanzi alle Commissioni 
-Notificazioni di atti processuali 
;prima dell'entrata in vLgore 
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 Modalit�, 
364. 

-Procedimento innanzi a'lle Commissioni 
-Notificazioni di atti !Pro


cessuali prima dell'entrata In vigore 
del t.ru. 19 gennaio 1958, n. 645 
Consegna delll'atto a vicino di casa 
-Nullit�, 364. 

-Re!Pressione delle violazioni costituenti 
illeciti civili -Prescrizione _ 
Disciplina penaiiistica della estinzione 
iper prescrizione del !fatto illecito 
-Inapplicabilit� -Disciplina 
deMa prescrizione delle obbligazioni 
civili e delle relative cause di interruzione 
e di SOS\Pensione -Aip!
Plicabilit�, con nota di L. CORREALE, 
367.. 

-Restituzione di imposta -Interessi 
ex legge 26 genanio 1961, n. 29 -
Aipplicabilit� alle controversie in 
.corso -Decorrenza dalla data di 
entrata in vigore della le~ge, 373. 

-Riscossione deMe imposte indirette 
-Espropriazione -Norme speciali, 

358. 
- 
V. anche Reati finanziari. 

IMPOSTA DI BOLLO 

-V. Imposta di registro. 
IMPOSTA DI FABBRICAZIONE 

-Imposte sui minerali di mereurio 
e sui prodotti derivati -Norme 
transitorie -Obbligo di denunzia � 
Esenzione -Deroghe -Limiti, 391. 

IMPOSTA DI REGISTRO 

- 
Atti di acquisto di aree 1coperte da 
costruzione, a scopo di demolizione 
e di successiva nuova edificazione 
-Agevolazioni per l'incremento del


le costruzioni edilizie previste dalla 
1. �2 lug'lio 1949, n. 408, a'P!Plicabilit� 
-Limiti, 363. 


-Negozio di collegamento di com!
Pravendite internazionali -Imposta 
proporzionale, con nota di F. 
CARUSI, 380. 

-Atti rellativi ad Ol:pere di sistemazione 
di corsi d'acqua affidate in 

�concessione a consorzi di bonifica Agevolazioni 
ipreviste dall'art. 88, 
2� comma, del t.u. 13 febbraio 1933, 
n. 215 sulla bonifica inteigrale Applicabilit�, 
361. 
- 
(Imposte di bollo ed ipotecarie) Leggi 
razziali -Leg,gi di reintegra



INDICE IX 

zione -Acquisto per intel'IPosta per


rSona -Esenzioni, 390. 

-1Societ� in liquidazione _ Concentrazione 
di aziende sociali da parte 
di dette Societ� -Agevolazioni fiscali 
ex 1. 21 giugno 1942, n. 830 
-Applicabilit�, 373. 

IMPOSTE DI SUCCESSIONE 

-Attivo -Pagamento di assegni di 
1conto corrente -Prova ai fini della 
detrazione -Requisiti, con nota di 

L. CORREA.LE, 385. 
-Pa,ssivo -Debiti risultanti da contratto 
di aipertura di crediti in conto 
1corrente -Emissione assegni -Vaiutazione 
ai fini dell'art. 45, 5� comma 
legge rSUlle succeSrSioni, con nota 
di L. CORREA.LE, 385. 

lMPUGNAZIONI PENALI 

-Aippello avverso sentenze di condanna 
per reati finanziari estinguibili 
per oblazione -Esclusione, 433. 

-Giudizio di aipipello -Sentenm non 
definittva -Pronuncia positiva sulla 
giurisdizione negata da1 g1udice 
di 1� 1grado ed omessa rime�ssione 
deIIa causa a tale giudice -Omessa 
riserva di gravame -PaSrSaggio in 
1giudicato della sentenza non definitiva 
-Sentenza definitiva -Ricorso 
per Cassazione -Denunziata 
violazione dell'art. 353 c.p.1c. -Prelclusione, 
275. 

INGIUNZIONE 
-V. Esecuzione fiscale, Entrate patrimoniaii, 
Dogana, Acque pubbii


che. 

INVENZIONE INDUSTRIALE 

-Invenzione !fatta durante l'esecuzione 
di raipiporto d'~iego -Premio 
-Determinazione -Criteri -
Fattispeeie, 346. 

LAVORO 

-Inva11di �di guerra -Assunzione obbligatoria 
ai! lavoro -Facolt� di 
accertamento della qualifica del lavoratore 
e del grado di caipacit� lavora1iiva 
da parte del datore di lavoro 
-Insussistenza, con nota di R. 
PETRONI, 419. 

NOBILTA' 

-Cognomizzazione del predicato nobiliare 
-Azione -Procedimento 
1Contenzioso dinanzi al ,giudiice ordinario 
-Legittimazione passiva 
dell'U:fificio Araldico presso la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri 
-Avvenuto espletamento del


la procedura di rettificazione degli 
atti dello stato civile -Provvedimento 
camerale di cognomizzazione 
del predicato nobiliare -Preclusione 
-Insussistenza con nota di 

-Cognomizzazione del predicato nobiliare 
-Titoli esistenti prime del 
28 ottobre 1922, che non avevano 
formato oggetto di riconoscimento 
Riconoscimento al fine della cognomizzazione 
da parte del giudice ortdinario 
-Inammissibilit�, con nota 
di F. CARUSI, 295. 

-Titoli esistenti prima del 28 ottobre 
1922, ohe non avevano formato 
oggetto di riconoscimento -Riconoscimento 
al fine della cognomizzazione 
da ;parte del giudice ordinario 
-Ammissibilit�, �Con nota di F. 
CARUSI, 294. 

OOCUPAZlONE 
-Occu;pazione d'urgenza preordinata 
alla espropriazione per P.U. -Man


�cato perfezionamento nel biennio 
dall'oc�cupazione della procedura 
espropriativa -Illiceit� -.. Risarci: 
mento del danno -Valutazione, 
320. 
OPERE PUBBLICHE 
-V. Appalto, vedi a :pag. IX. 
PIANO DI RICOSTRUZIONE 
-Sostituzione col piano regolatore 
generale -Inefilicacia del ;piano di 
ricostruzione -Decreti di approvazione 
dei lavori ed occupazione degli 
immobili, disposti in base a 
quest'ultimo piano -Illegittimit�, 
con nota .di U. GARGIULLO, 338. 
-Licenza edilizia Annullamento 
giurisdizionale -Ricor:so per esecuzione 
del giudicato -Possibilit� del 
Consiglio di Stato di ordinare ~a 
demolizione -Esclusione -Potere 
del Comune di adottare i provvedimenti 
idonei ad eliminare la situazione 
illegale e, in mancanza, intervento 
dell'autorit� di controllo Sussistenza, 
351. 
-Licenza edilizia Annullamento 
giurisdizionale -Conseguente obbligo 
del Comune di ordinare la demolizione 
delle opere o di solle'
citare la irrogazione delle sanzioni 
penali di cui all'art, 32 1. 'l!Tb., 351. 
-Piano regolatore di Roma _ Piano 
1Partiicolareggiato � Durata _ Termine 
-Proroga alla data di approvazione 
del nuovo piano regolatore 
generale, 338. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

X 

PIANO REGOLATORE 

-V. Piano cLi ricostruzione. 
POSTE E TELECOMUNICAZIONI 
Concessionario per l'a,ccettazione 
e distribuzione di corrispondenza 
-CorriS1pondenza con affrancatura 
ordinaria -Reato di incetta di corrispondenza 
-Ammi1ssibilit� -Rapporti 
fra gH artt. 35 e 37 lett. b) 
cod. post., con nota di R. BRONZINI, 
423. 

-Concessionario per l'accettazione e 
1cUstribuzione di corrispondenza Inosservanza 
delle condizioni del 
Capitolato d'oneri -Aipplica'bilit� 
delle sanzioni previste dall'art. 35 
cod. poot. �con nota di R. BRONZINI, 
423. 

-Reato di incetta -Carattere abituale 
del reato -Inarppltcabilit� del1'
amnistia alle singole vioolazioni, 
con nota di R. BRONZINI, 423. 

PRESCRIZIONE 

-Atti interruttivi -Atti provenienti 
da soggetto che agisca legittimamente 
nell'interesse del titolare del 
diritto -Validit� -Fattiispecie, con 
nota di L. CORREALE, 367. 

PREZZI 

-� Disciplina dei ;prezzi -Organi 
1competenti -Comitato interministeriale 
dei prezzi -Poteri -Emanazione 
di ordini vincolanti per 
i C.P.P. -!Jilegittimit�, 346. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Deduzione di prova testimoniale 
Omessa indicazione dei testi -Sue. 
cessiva indicazione all'inizio dell~ 
prova -Ammissibilit�, 324. 

PROCEDLMENTO PENALE 

-Mancato avviso al dilfensore di uf. 
ficio sostituito -Nullit� insanabile 
-Insussitenza, 432. 
-Sostituzione o revoca de1 difen1sore 
di uffido -Ammisibilit�, 432. 

REATO 

-Reato finanziario -Amnistia e indulto 
-Decreto di concessione che 
condiziona il beneficio al ;previo pagamento 
dei tributi evaisi -Illegittimit� 
costituzionaile -Violazione 
del prmcipio di uguaglianza � Non 
sussiste, 243. 

-Reati finanziari -Contravvenzione Estinzione 
per oblazione -Ammissibilit�, 
433. 

-Reato contro la famiglia -Sottrazione 
di minorenni e di persone 

incapaci -Titolarit� ed eserc1z10 
Reato in genere -Attenuanti comuentrambi 
i genitori, .250. 

-Reato in genere -Atenuanti comuni 
-Tenuit� del danno -Criterio 
1sussidiario della situazione economica 
del dannegiato -Aipiplicabilit� 
in ipotesi di danno e di obiettiva 
rilevante entit� -Esclusione, 432. 

-Reato in genere -Cil'costanze del 
reato -Attenuante -Motivi di par


ticolare va[ore morale e 

422. 
RESBONSABILITA' CIVILE 
-Responsabilit� della P.A. 
t� di carattere militare 


sociale, 

-AttiviDanni 



Inapplicabilit� della presunzione 
prevista dall'art. 2050 cJc. -Respon�
sabillt� diretta rper co1pa -Onere 
della prova, 317. 


-Respo!Illsabilit� della P.A. -Servizio 
rastrellamento proiettili -Discrezionalit� 
della P.A. -Limiti -Sindacato 
del G.O., 317. 
-Responsabilit� della P.A. -Respon


I 

sabilit� diretta -Interruzione del 

i 
i
fil 

rapporto organico, 317. 

-Responsabilit� de1la P.A. per atti 
' 
dei suoi funzionari e dipendenti 
lesivi di diritti -Re1sponsabilit� diretta, 
con nota di F. CARUSI, 328. 

I

- 
v. anche Appalto. 

SARDEGNA 

-Regione -Competenza amministrativa 
in materia di distribuzione di 
energia elettrica -Appartiene al1'
Amministrazione Statale, 278. 

SCAMBI E VALUTE o 

-Affari di reciprocit� (fra operatori 
italiani e danesi) -Compensazione 
privata -Negozio di collegamento Contenuto, 
con nota di F. CARUSI, 

380. 
-Violazioni ;punibili con pena l'ecuniaria 
-Natura -Prescrizione Rinvio 
alle dii1'Posizioni relative alla 
pena pecuniaria prevista per le 
trasgressioni in materia finanziarla, 
'Con nota di L. CORREALE, 367. 

SERVITU' MILITARI 

-Pro.cedimenti e finalit� -Espropriazione 
-Procedimento e finalit� Differenze, 
347. 

- 
V~cinanza deUa propriet� vincolata 
col demanio statale -Non necessaria 
� Vicinanza della propriet� 
1stessa con frontiere terrestri -Sufficienza, 
347. 



INDICE XI 

SICILIA 
-v. Giustizia amministrativa, Dema, 
nio, Competenza. 

SliCUREZZA PUBBLICA 
-Di:f!fida del Questore -Contrasto 
�Con gli artt. 13 e 25 della Costituzione 
-Non sUJSS:iiste, 257. 
-Misure di prevenzione -L. n. 1423 
de[ 19�56 art. 1 -E.lencazione della 
categoria dei soggetti da sottoporre 
a misure -Carattere dell'abitualit� 
-Preteso contrasto con l'art. 3 
Cost. E'sclusione, 257. 
-Miisure di prevenzione nei confronti 
delle persone pericolose per la 
sicurezza e la pubblica moralit� . 


L. n. 1423 del 1956, art. 1 -�Preteso 
contrasto con l'art. 27 Cost. Connessione 
icon la responsabilit� 
penale del sog:getto. -Esclusione, 
257. 
SOCIETA' 

-v. Imposta di registro. 

TASSE E IMPOSTE COMUNALI 

-Acque minerali sol'lgenti -Diritto 
a favore dei Comuni sull'esportazione 
di ta1i aicque -Legittimit� costituzionale, 
254. 

-lmposta di consumo -Imposta sul 

�consumo del vino -Abolizione Norma 
delegata -Eccesso -Insusrsistenza, 
246. 

i! i! 
I


:9. 
.

1


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

CORTE COSTITUZIONALE 

pag. 243

1� febbraio 1964 n. 5 
� 246

10 febbraio 1964 n. 6 
� 250

22 febbraio 1964 n. 9 

� 254

14 marzo 1964 n. 15 
261

23 marzo 1964 n. 23 
� 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un. 14 dicembre 1962 n. 3362 pag. 291 
Sez. I 18 dicembre 1963 n. 3189 

� 294 
Sez. Un. 4 gennaio 1964 n. 3 � 317 
Sez. Un. 4 gennaio 1964 n. 4 � 319 
Sez. Un. 4 gennaio 1964 n. 5 � 272 
Sez. Un. 20 gennaio 1964 n. 127 � 272 
Sez. Un. 20 gennaio 1964 n. 128 � 274 
)) 320

Sez. I 20 gennaio 1964 n. 107 
� 321

Sez. I 20 gennaio 1964 'n. 108 
Sez. I 20 gennaio 1964 n. 109 )) 323 
354

Sez. I 20 gennaio 1964 n. 118 
� 
� 356

Sez. I 20 gennaio 1964 n. 147 
� 395

Sez. I 23 gennaio 1964 n. 160 
� 324

Sez. I 23 gennaio 1964 n. 163 
� 358

Sez. I 23 gennaio 1964 n. 164 
� 357

Sez. I 27 gennaio 1964 n. 183 
� 361

Sez. I 27 gennaio 1964 n. 189 

� 363

Sez. I 27 gennaio 1964 n. 198 

� 275

Sez. I 27 gennaio 1964 n. 199 

� 327

Sez. I 27 gennaio 1964 n. 233 

)) 364

Sez. I 29 gennaio 1964 n. 228 

� 367

Sez. I 29 gennaio 1964 n. 241 

� 373

Sez. I 30 gennaio 1964 n. 257 

� 380

Sez. I 14 febbraio 1964 n. 339 

� 312

Sez. I 19 febbraio 1964 n. 370 

� 385

Sez. I 25 febbraio 1964 n. 415 
Sez. I 25 febbraio 1964 n. 416 )) 390 

� 391

Sez. I 28 febbraio 1964 n. 451 



INDICE 

TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE 

22 gennaio 1964 n. 6 
30 gennaio 1964 n. 7 
11 marzo 1964 n. 8 
3 aprile 1964 n. 12 

LODI ARBITRALI 

29 gennaio 1964 . 
15 febbraio 1964 n. 6 
24 febbraio 1964 n. 11 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 11 novembre 1963 n. 18 

Ad. Plen., 11 novembre 1963 n. 19 
Ad. Plen., 30 gennaio 1964 n. 25 

Sez. IV 30 ottobre 1963 n. 651 

Sez. IV 8 novembre 1963 n. 688 

Sez. IV 13 novembre 1963 n. 710 

Sez. IV 13 novembre 1963 n. 740 

Sez. IV 13 n-0vembre 1963 n. 755 

Sez. IV 15 novembre 1%3 n. 850 

Sez. IV 15 gennaio 1964 n. 3 . 

Sez. VI 13 novembre 1963 n. 743 

Sez. VI 13 novembre 1963 n. 816 

Sez. VI 20 novembre 1963 n. 844 

Sez. VI 27 novembre 1963 n. 878 

Sez. VI 27 novembre 1963 n. 887 

Sez. VI 4 dicembre 1963 n. 951 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III, 12 marzo 1962 n. 3483 

Sez. I, 26 luglio 1963 n. 1638 . 

Sez. I, 10 ottobre 1963 n. 1812 . 

Sez. II, 14 novembre 1963 n. 1885 

Sez, I, 21 marzo 1964 n. 84 � 

XIII 

pag. 396 
� 398 
� 405 
� 406 

pag. 406 
� 410 
� 414 

pag. 337 
� 332 
)) 281 
� 346 
)) 338 
� 342 
� 342 
)) 345 
� 345 
� 347 
� 348 
� 349 
� 349 
)) 351 
� 352 
)) 353 

pag. 419 
)) 432 
)) 423 
)) 432 
� 433 



..:

" 



SOMMARIO DELLA PARTE SEDONDA 


RASSEGNA DI DOTTRINA 
R. ALESSI, L'illecito 
blici (recensione) 
e la responsabilit� civile degli -enti pub. 
. . . . . . . . . . . . . . . . pag. 25 
V. ANDRIOLI, Coommenti al codice di procedura civile, Val. IV 
(recensioni) . . -. . . . . . . . . . . . . . . . . � 30 
Enciclopedia del diritto: F.A. GUERCI, Demanio marittimo; 
V. ARDIZZONE, Dichiarazione di p.u.; P. PASTORE, Difesa 
(beni destinati alla) (recensione) . . . . . . . . . . � 32 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
Provvedimenti legislativi � 37 
Disegni e proposte di legge � 38 
Provvedimenti legislativi sottoposti a giudizio di costituzionalit� 42 
a) Disposizioni 
l'illegittimit� 
di legge delle quali � stata dichiarata 
costituzionale . . . . . . . . . . . . � 42 
b) disposizioni di legge in rapport� alle quali � stata dichiarata 
non fondata la questione di legittimit� costituzionale 
c) Disposizioni di legge in rapporto alle quali � stato promosso 
giudizio di legittimit� costituzionale 
)) 
� 
43 
43 
QUESTIONI 
LA REDAZIONE, 
degli arbitri 
Il nuovo capitolato generale e gli onorari 
50 
G. FERRERO, In tema di responsabilit� civile per i provvedimenti 
contingibili e urgenti del sindaco . . . . . . . . � 56 
CONSULTAZIONI 
Indice sistematico delle consultazioni � 61 


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PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

E INTERNAZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 1� febbraio 1964, n. 5 -Pres. Ambrosini 
-Rel. Sandulli. 

Reato -Reato finanziario � Amnistia e indulto -Decreto di concessione 
che condiziona il beneficio al previo pagamento dei tributi 
evasi -Illegittimit� costituzionale -Violazione del principio di 
uguaglianza -Non sussiste. 

(1. 23 gennaio 1963 n. 2, art, 6; d.P.R. 24 gennaio 1963 n. 5, art. 
6; Cost., art. 3). 
Non violano il principio della uguaglianza dei cittadini la 
norma di delegazione ed il decreto delegato del Presidente della 
Repubblica 24 gennaio 1963, n. 5 che, nel concedere amnistia 
ed indulto per reati finanziari, subordina l'applicazione del beneficio 
al previo pagamento dei tributi evasi, nel termine di 
120 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento di clemenza 
(1). 

(1) L'ordinanza del Pretore di Roma, che ha sollevato la questione 
decisa dalla Corte Costituzionale, � pubblicata in Gazz. Uff. 8 giugno 
1963, n. 153. Vedasi anche l'analoga ordinanza del Pretore de L'Aquila, 
Giur. Cost. 1963, 231. 
La sentenza n. 45 del 1963, richiamata nella motivazione, � pubblicata 
in Giur. it. 1963, I, 1, 1964. 
Sull'interpretazione dell'art. 3 Cost. in materia tributaria, vedi anche 
Corte Cost. 23 marzo 1960 n. 12, Giur. cost. 1960, n. 1134. 

Sul problema in via generale cfr. GITTI, L'applicazione dei principi 
costituzionali in materia tributaria, Rassegna di giurisprudenza, Dir. e 
prat. tributaria, 1960. 

Per quanto concerne, poi, il problema degli oneri imposti al cittadino 
per il concreto esercizio di diritti, � stato ritenuto che essi non 
contrastino con l'art. 24 della Costituzione allorch� tali oneri siano disposti 
a tutela di interessi pubblici,. o giustificati dall'esistenza di t�n 
provvedimento giurisdizionale o, comunque, da altri presupposti oggettivi 
(Corte cost., 26 aprile 1962, n. 40, Giur. cost. 1962, 318). 



244 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -1) La Corte non ritiene fondata la questione di 
legittimit� costituzionale rimessale dal Pretore di Roma circa la 
compatibilit� con l'art. 3 della Costituzione delle disposizioni 
dell'art. 6 legge 23 gennaio 1963, n. 2, e dell'art. 6 d.P.R. 24 gennaio 
1963, n. 5, le quali, per i reati finanziari in cui si sia avuto 
il mancato pagamento di un tributo, subordinano la concessione 
dell'amnistia di pagamento del tributo �evaso�. Non � 
esatto infatti che esse determinino una ingiusta sperequazione 
tra soggetti pi� abbienti e soggetti meno abbienti. 

La subordinazione dell'applicazione del beneficio dell'amnistia 
e dell'indulto, nei confronti di coloro i quali siano incorsi in 
reati consistenti nell'evasione di un tributo, alla condizione del 
pagamento del tributo� evaso� ricorre nella generalit� dei provvedimenti 
(meno frequenti degli altri provvedimenti di clemenza), 
coi quali vengono concessi l'amnistia e l'indulto per reati in 
materia finanziaria (vedansi l'art. 2, n. 3-4, d.P.R. 31 gennaio 
1948, n. 109, l'art. 3, n. 3, d.P.R., 28 febbraio 1948, n. 138, l'art. 4 
comma 4�, n. 1, d.P.R., 19 dicembre 1953, n. 922, gli artt. 9, 10, 
11 d.P.R. 11 luglio 1959, n. 460). Per i reati in questione il legislatore 
considera cio� costantemente prevalente sull'interesse 
generale all'esercizio della straordinaria clemenza l'interesse 
della pubblica finanza alla immediata riscossione dei tributi. 

Tale costante orientamento legislativo non pu� esser considerato 
in contrasto col principio di uguaglianza. 

E' vero che comunemente l'obbligo di pagare il tributo sorge 
prima che l'accertamento del debito tributario e della misura 
di esso sia diventato inoppugnabile; e che quindi un soggetto pu� 
essere legittimamente sottoposto a procedimento penale per essersi 
sottratto al pagamento di un tributo prima che sia irrevocabilmente 
certo che egli sia debitore della pubblica finanza e 
che sia perci� un evasore fiscale. Ma, come non pu� plausibilmente 
affermarsi che il far sorgere l'anzidetto obbligo in quel certo 
mom�nto -cosa che ha la sua giustificazione nelle superiori e 
indilazionabili esigenze della finanza pubblica -contrasti col 
principio di uguaglianza, del pari non pu� plausibilmente affermarsi 
che con quest'ultimo contrasti il fatto che, per i reati consistenti 
nell'essersi sottratti a quell'obbligo, il beneficio della clemenza 
straordinaria dello Stato sia condizionato, per tutti .indistintamente 
coloro che avevano da rispettarlo, alla osservanza, sia 
pur tardiva, dell'obbligo stesso. 

2) A parte ci�, pu� notarsi, per quanto riguarda le persone 
meno abbienti eventualmente imputate di essersi sottratte al 
pagamento di un tributo nonostante che in realt� non fossero 


PARTE 1, sllz. I, GIURISPRUDENZA CostITUZIONALE :a INTEllNAZiON�LE 

soggette all'imposizione, che nessun apprezzabile pregiudizio 
pu� derivar loro dalla mancata applicazione dell'amnistia o dell'indulto, 
avendo esse diritto a esser prosciolte, nel giudizio, per 
insussistenza del reato (art. 21, ultimo comma, e 22 legge 7 gen-� 
naio 1929, n. 4). Per quanto riguarc:la poi i soggetti meno abbienti 
effettivamente incorsi nell'illecito penale, pu� notarsi che 
il mancato godimento della straordinaria clemenza dello Stato 
in caso di omesso pagamento del tributo dovuto trova razionale 
e adeguata giustificazione nella priorit� dell'esigenza della finanza 
pubblica, alla cui soddisfazione -proprio in omaggio 
al principio di uguaglianza -ogni cittadino, del quale sia stata 
constatata (non importa se con riferimento a una situazione 
permanente o a un singolo accadimento) una certa capacit� contributiva, 
ha il dovere di non sottrarsi (art. 53 Cost.). 

Con la sentenza n. 45 del 1963 questa Corte ebbe ad affermare 
che non urta contro il principio di uguaglianza una disposizione 
la quale subordini l'esercizio di un diritto al fatto 
che il soggetto sia in regola con gli obblighi tributari, cui, per 
godere di quel diritto, egli avrebbe dovuto assolvere; e pose in 
risalto che, collegandosi necessariamente il tributo alla capacit� 
contributiva (art. 53 Cost.), sarebbe impossibile ritenere 
che in tal modo si venga a operare una ingiusta discriminazione 
tra ricchi e poveri. Se ogni tributo presuppone una capacit� 
contributiva, e cio� una capacit� economica adeguata all'obbligazione 
tributaria, � fuori luogo, quando non venga contestata 
tale corrispondenza, lamentare in casi del genere la violazione 
del principio di uguaglianza. 

Il precedente non � senza significato ai fini . della risoluzione 
del caso in esame, nel quale il legislatore ha voluto escludere 
dal beneficio della clemenza i reati in materia tributaria 
di quei soggetti che, pur avendo, al momento cui il tributo si 
riferisce, la capacit� economica, e quindi contributiva, richiesta 
dalla legge, si siano sottratti all'adempimento della relativa obbligazione, 
senza provvedere neanche in un secondo tempo al 
soddisfacimento di essa, che l'art. 53 della Costituzione configura 
come dovere fondamentale di ogni cittadino. 

3) Neanche potrebbe esser considerato lesivo del principio 
di uguaglianza il fatto che le disposizioni impugnate sono tali 
da escludere dalla clemenza elargita persino soggetti -quali, 
per esempio, i responsabili d'imposta -diversi dai debitori del 
tributo, allorch�, per avventura, i soggetti stessi non siano ab



RASSi!GNA DELL'AVVOCATURA DELLO S'rATO

246 

bienti. Se la legge chiama quei soggetti a rispondere del mancato 
pagamento del tributo, � perfettamente coerente che la loro 
responsabilit� non venga meno fin quando l'obbligazione tributaria 
non sia stata assolta, e che essi non fruiscano di una 
clemenza maggiore di quella di cui sono ammessi a godere i 
soggetti principali dell'obbligo tributario. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 febbraio 1964, n. 6 -Pres. Ambrosini 
-Rel. Mortati -Comune di Modena c. INGIC e Societ� 
Italiana Riscossioni Tributarie c. Comune di Cigole e 
Presidente Consiglio dei Ministri. 

Tasse e imposte comunali -Imposta di consumo � Imposta sul con


sumo del vino � Abolizione � Norma delegata � Eccesso -Insus


sistenza. 

<1. 18 dicembre 1959 n. 1079, art. 8 n. 4; d.P.R. 14 dicembre 
1961 n. 1315, art. 8; Cost. art. 76). 
Non � costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega 
rispetto alla legge 18 dicembre 1959 n. 1079 l'art. 8 del d.P.R. 14 
dicembre 1961, n. 1315, il quale dispone la proroga dei contratti 
di appa'lto delle imposte di consumo fino al 31 dicembre 1962, 
in quanto tale proroga � diretta ad assicurare il blocco dei licenziamenti 
del personale addetto alla riscossione, nel quadro 
della tutela di detto personale, previsto dall'art. 8 n. 4 della 
stessa legge di delega (1). 

(1) Le ordinanze di rimessione 9 aprile 1963 del Tribunale di Modena 
e 27 giugno 1963 del Tribunale di Brescia sono pubblicate, rispettivamente, 
in Gazz. Uff. 1 giugno 1963, n. 145 e 12 ottobre 1963, n. 268. 
E' opportuno, per chi�rezza, ricapitolare la successione dei prov


'Vedimenti legislativi, in ordins: ai quali � sorta la questione di legit


timit� in esame: 

A) Legge di delega. Con l'art. 8 della legge 18 dicembre 1959, n. 1079, 

concernente la completa abolizione, col primo gennaio 1962, dell'imposta 

di consumo sul vino, si delegava il Governo ad emanare, entro la stessa 

data, le norme necessarie ad attuare tale abolizione, attenendosi ai se


guenti criteri: 

� 1) compensare i Comuni delle minori entrate che si verificheranno 
in conseguenza dell'abolizione dell'imposta di consumo sul vino 


I

I~:

e sui vini spumanti in bottiglia, nonch� delle relative supercontribuzioni 
ed addizionali; 2) mantenere nelle dimensioni in atto i limiti di delega~
i 
bilit� delle entrate comunali; 3) salvaguardare la riscossione dell'imposta 
generale sull'entrata sui vini, mosti ed uve da vino, nonch� sui vini 

I

;1 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 247 

(Omissis). -Cos� chiarito lo stato della legislazione in materia, 
� da chiedersi se e in che senso le disposizioni conseguenti 
alla diminuzione prima e all'abolizione poi dell'imposta sul consumo 
del vino abbiano inteso derogare ad esso. Per quanto riguarda 
il periodo transitorio dal 1 gennaio 1960 al 31 dicembre 
1961 nessuna disposizione al riguardo � stata dettata dalla legge 

n. 1079, sicch� � da ritenere che si sia inteso fare rinvio alle 
�disposizioni vigenti, come del resto risulta esplicitamente affermato 
nella relazione del Ministro proponente alla Camera dei 
Peputati, l� dove rileva che � per i rapporti contrattuali fra Co. 
muni ed appaltatori delle imposte di consumo, sui quali avrebbe 
inciso il provvedimento sul vino fin dalla sua prima fase di 
applicazione, si sarebbe dovuto fare riferimento al ricordato 
art. 80 T.U. 1931, dato che una disciplina in deroga ad esso 
avrebbe urtato contro la difficolt� di adeguamento alle situazioni 
locali, e ci� a causa della loro variet� dall'uno all'altro 
Comune �. E poich� il predetto articolo riguardava la sola ipotesi 
di gestione esattoriale in corso, � da ritenere che trattamento 
non diverso da quello prescritto dalla vigente legisazione 
si sarebbe dovuto effettuare anche nelle altre ipotesi di 
passaggio di gestione per avvenuta cessazione dell'appalto. Per 
il periodo successivo, decorrente dal 1� gennaio 1962, era stata 

spumanti in bottiglia; 4) tutelare gli interessi del personale addetto 
alla gestione delle imposte di consumo nella eventualit� di riorganizzazione 
del serv.izio conseguente all'abolizione della imposta di consumo 
sul vino e sui vini spumanti in bottiglia; 5) provvedere l;\d una 
efficace repressione delle frodi e delle sofisticazioni delle bevande vinose, 
nonch� al miglioramento quantitativo della produzione enologica nazionale
�. 

B) Legge delegata. Con d.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, si � provveduto 
a compensare i comuni per le minori entrate (punto 1) e alla 
contemporanea tutela del personale (punto 4). 

L'art. 8 concernente � proroga degli appalti delle imposte di consumo 
e mantenimento in servizio del personale addetto alle gestioni �, 
cos�, infatti, dispone: 

a) comma primo: � il numero degli addetti alle gestioni delle 
imposte di consumo, tanto di nomina comunale, quanto di nomina privata, 
in servizio al 1. luglio 1961, non pu� essere ridotto per effetto 
della arpplicazione della legge 18 dicembre 1959, n. 1079, fino al 31 dicembre 
1962 �; 


b) comma secondo: � i contratti di appalto e di gestione per conto 
del servizio di riscossione delle imposte comunali di consumo in corso 
alla data del 1. luglio 1961 e con scadenza anteriore al 31 dicembre 
1962, sono prorogati, alle stesse condizioni in essi previste, fino al 31 
dicembre 1962 �. 

C) Legge di proroga e convalida. Con legge 30 dicembre 1962, nume




248 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ili 

''9 

prevista l'entrata in vigore del nuovo regime di totale soppressione 
del dazio, da regolare per opera del Governo a ci� dele.
�.
gato, sulla base dei criteri fissati in cinque punti dal citato articolo 
8 legge 1079. Di fatto per� il decreto delegato non esegu� 
tutti i compiti attribuitigli poich� nulla dispose in ordine ai 
punti 1, 2 e 5 dell'articolo ora ricordato ed invece si limit� a 
disciplinare il punto 3, relativo alla riscossione dell'imposta 
generale sull'entrata sui vini, ed il 4 riguardante il personale, 
che � quello di cui si controverte, statuendo con il primo comma 
dell'art. 8 il divieto, fino al 31 dicembre 1962, di ridurre 
comunque il numero degli addetti alle imposte di consumo per 
effetto dell'applicazione della legge sul vino, e con il secondo 
la proroga fino alla d�ta predetta dei contratti di appalto, in 
corso al primo luglio 1961 e con scadenza anteriore al 31 dicembre 
�1962, � alle stesse condizioni dettate dai medesimi�, 
Quest'ultima disposizione venne a derogare alle norme comuni, 
in ordine sia all'autonomia contrattuale nei confronti dei contratti 
scadenti nel periodo 1� luglio 1961-31 dicembre 1962, e 
sia all'adeguamento delle condizioni contrattuali in conseguenza 
dei mutamenti sopravvenuti, che era consentito dal citato articolo 
80 T.U. sulla finanza locale. 


Pu� essere esatto ritenere che l'intenzione del delegante, 

ro 1718, il legislatore ha proceduto alla proroga dei contratti di appalto, 
in corso alla data del 31 dicembre 1962 e con scadenza anteriore al 31 
dicembre 1963, ivi compresi quelli gi� prorogati, per effetto dell'art. 8, 
secondo comma del citato decreto 14 dicembre 1961, n. 1315, cio� quelli 
in corso alla data del 1. luglio 1961 e con scadenza entro il 31 dicembre 
1962. 


D) Nuova proroga delle disposizioni della legge precedente. Con 
ilegge 13 novembre 1963, n. 1517, � stato disposto: �le disposizioni ed 
i termini di cui agli artt. 1 e 2 della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, 
sono prorogati di un anno �. 


La Corte ha escluso la sussistenza del denunciato eccesso di normazione 
della norma delegata, rispetto alle diretti'Ve contenute nella 
legge delega, osservando che la proroga delle gestioni era necessariamente 
strumentale rispetto al blocco dei licenziamenti del personale, 
disposto dal legislatore delegante. 


In sostanza, nell'attesa della riorganizzazione dell'intero servizio di 
riscossione (conformemente al punto 4 della' norma delegante), il legislatore 
delegato ha attuato un blocco puro e semplice della situazione 
preesistente, sia nei riguardi del personale col proprio datore di lavoro, 
sia nei riguardi di questi rispetto ai Comuni. Sono due aspetti di un 
medesimo problema, interdipendenti fra loro, la cui soluzione � affidata 
al legislatore con delle scelte di merito, sulle quali non � consentita 
una denuncia di illegittimit� costituzionale (1. 11 marzo 1953, n. 87, 
art. 28). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 249 

quando ebbe a dettare il n. 4 dell'art. 8, fosse rivolta ad assicurare 
la tutela del personale, con strumenti giuridici anche divergenti 
da quelli previsti dalle leggi gi� in vigore, quando si 
fosse verificata l'esigenza di riorganizzare su nuove basi il servizio 
di riscossione, essendosi tenuta presente la previsione, 
enunciata dal Ministro proponente della legge n. 1079, in ordine 
alla difficolt� di mantenere in servizio integralmente il personale 
stesso dopo l'abolizione di uno dei pilastri del servizio medesimo, 
qual'era costituito dall'imposta sul vino. Difficolt� riaffermata 
in sede di discussione della legge medesima avanti al Senato, 
durante la quale venne presentato da alcuni Senatori un 
ordine del giorno, che, mentre patrocinava il mantenimento in 
servizio di tutto il personale, prevedendo all'uopo la possibilit� 
di utilizzarne una parte per i compiti di repressione delle frodi 
e sofisticazioni del vino, proponeva altres� la predisposizione di 
apposite misure rivolte a promuovere l'esodo volontario dei dipendenti, 
come quella del riconoscimento a loro favore di una 
anzianit� integrativa ai fini della pensione. Ordine del giorno che 
venne accettato solo a titolo di raccomandazione dal Governo, 
data la necessit� che appariva palese di risolvere il problema nel 
quadro del generale riordinamento che si sarebbe dovuto effettuare 
entro il periodo stabilito per l'esercizio della delega. 

Ma poich� l'aspettativa in questo senso non ebbe a realizzarsi, 
a causa delle difficolt� incontrate nella predisposizione della 
riforma da attuare, il Governo si limit� a provvedere in via provvisoria, 
disponendo il prolungamento dello status quo, quale era 
yenuto a verificarsi al 1� luglio 1961, mantenendo i rapporti preesistenti 
in tutti i loro elementi, in deroga sia al principio del 
recesso unilaterale nei contratti di lavoro a tempo indeterminato, 
e sia all'altro riguardante l'onerosit� sopravvenuta. 

Una volta che si ammetta il potere dell'organo delegato di 
provvedere nella materia delegata anche in via transitoria ed all'infuori 
del generale riordinamento dei servizi che era stato previsto 
(potere in ordine al quale nessuna contestazione � stata sollevata), 
deve escludersi la sussistenza dell'eccesso denunciato. 
Infatti la misura straordinaria del blocco totale ed assoluto dei 
licenziamenti, che si ritenne necessario alla tutela del personale, 
non si sarebbe potuto realizzare se non nel quadro del mantenimento 
anch'esso straordinario della situazione dei rapporti di 
appalto quale sussisteva di fatto al primo luglio 1961, in tutti 
i suoi elementi e quale che fosse lo stato dei rapporti medesimi 
dopo l'entrata in vigore della legge n. 1079. Disponendo altrimenti 
si sarebbero potuti esporre i Comuni al pericolo di non 



~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

250 

riuscire a provvedere alla continuit� della gestione se non a costo 
di sottoporsi ad oneri da essi non sopportabili. 

Dovendosi ritenere non sussistente l'eccesso di delega denunciato, 
si rende ultronea ogni fodagine circa l'influenza sulla 
questione della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, che ha prorogato 
a tutto il 1963 i contratti in corso al 31 dicembre 1962, ivi compresi 
quelli gi� prorogati con il decreto delegato. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 febbraio 1964, n. 9 -Pres. Ambrosini 
-Rel. Petrocelli -Santoni c. Pres. Consiglio dei 
Ministri. 

Reato contro la famiglia -Sottrazione di minorenni e di persone 

incapaci -Titolarit� ed esercizio del diritto di querela -Spetta 

ad entrambi i genitori. 

(Cost. art. 30; c.p. artt. 573, 574). 

La sottrazione di minori o di persone incapaci importa una 
offesa che non va circoscritta alla sola posizione dell'esercente 
la patria potest�, ma che investe tutta la famiglia, nell'intera 
consistenza dei suoi int�ressi sociali, morali ed affettivi. Conseguentemente, 
la limitazione al solo genitore esercente la patria 
potest� del diritto di querela posta dagli artt. 574 e 573 codice 
penale si manifesta lesiva del principio di eguaglianza fra coniugi, 
stabilito dall'art. 30 della Costituzione (1). 

(1) L'ordinanza di rimessione 13 aprile 1963 del Pretore di Roma � 
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 2 luglio 1963. � 
La Corte, per abolire la limitazione posta dall'art. 574 c.p., denunciata 
nell'ordinanza di remissione come contrastante con gli artt. 29, 
2� comma, e 30 della Costituzione (e la connessa limitazione posta dal 
precedent� art. 573, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 27 1. 11 marzo 
1953, n. 27) -ha identificato il soggetto passivo dcl reato di sottrazione 
di minori con la famiglia e, coerentemente, ha ritenuto che la titolarit� 
del diritto di querela spetti ad entrambi i genitori, non al solo esercente < 
la patria potest�. 

. 

.

La configurazione accolta dalla Corte, non � senza contrasti circa 

.

l'oggettivit� giuridica violata. Il delitto in esame, infatti, secondo la dottrina 
(PISAPIA, Delitti contro la famiglia, Torino, 1953, 758) e la stessa . ' 
Relazione al progetto definitivo del Codice penale (Il, 361), non � lesivo 

I

della patria potest�, ma dell'esercizio di essa che -come � noto -spetta 

f

al padre (art. 316 e.e.). r-:: 
La giurisprudenza della Corte Suprema non � univoca in proposito. 

i

Infatti, mentre nella sentenza 2 dicembre 1955 (Giust. pen., 1956, II, 695) 

I ID

si affermava che il reato d1 sottrazione di minorenni offende essenzial



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 251 

(Omissis). -La Corte ritiene fondata la proposta questione. 
La disposizione che, relativamente al delitto di sottrazione 
di persone incapaci preveduto dall'art. 574 C.P., limita il diritto 
di querela al solo coniuge esercente la patria potest� lede il 
principio della eguaglianza� morale e giuridica dei coniugi sancito 
dal secondo comma dell'art. 29 della Costituzione; n� la 
disposizione � tale da potersi considerare, ai sensi dello stesso 
art. 29, come uno dei limiti che la legge stabilisce a garanzia 
dell'unit� familiare. 

Nella disciplina giuridica del diritto di querela vige il principio 
generale che pone sullo stesso piano entrambi i genitori 
senza distinzione fra esercente e non esercente la patria potest�, 
all'uno e all'altro concedendo la potest� di presentare querela, 
sia che il diritto debba esercitarsi in rappresentanza di soggetti 
incapaci (art.120, secondo comma, C.P.), sia che debba esercitarsi 
in sostituzione di soggetti che sono abilitati a presentare querela 
(minori che hanno compiuto gli anni quattordici e inabili-

mente la patria potest�, nelle sentenze 30 giugno 1952 (ivi, 1952, II, 1057) 
e 26 �marzo 1949 (ivi, 1950, II, 54) si dava particolare rilevanza, nel reato 
in esame, all'esercizio della patria potest�. 

Al tempo stesso, la sentenza annotata ha escluso ogni riferimento 
che non sia puramente storico all'art. 120 c.p., 'dato che l'ipotesi da questo 
prevista riguarda il minore che s�a direttamente offeso e soggetto 
passivo del reato, il cui genitore, quindi, interviene nel presentare la querela, 
non � iure proprio �, ma quale rappresentante del figlio minore (BATTAGLINI; 
La querela, Torino 1958, 365). Laddove, nelle ipotesi delittuose 
di cui agli artt. 573 ~ 574 c.p., la lesione primaria � arrecata direttamente 
ai genitori -o a quello esercente la patria potest�. 

Di fronte a tale divergente orientamento, la Corte .Costituzionale ha 
adottato la sua interpretazione, ritenendo � che la sottrazione del mi" 
nore importi un'offesa che non va circoscritta alla sola persona del
� l'esercente la patria patest�, ma che investe tutta la famiglia�. 

Ora, senza voler discutere del merito di tale interpretazione, basti 
rilevare eh� essa costituisce il presupposto della pronuncia di accoglimento 
della questione di legittimit� cost,ituzionale, essendo evidente che, 
accogliendo l'interpretazione contraria, la quale identifica il soggetto passivo 
del reato in chi esercita la patria potest�, la norma in esame sarebbe 
stata perfettamente ortodossa, in base all'equivalenza: soggetto passivo 
del reato -titolare del diritto di querela. 

Torna, cos�, sul tappeto il problema degli effetti della interpretazione, 
da parte della Cort�~ Costituzionale, della norma impugnata: il problema, 
cio�, della qualificazione di detta norma nel confronto con la norma co. 
stituzionale. 

La qualificazione � il frutto, appunto, di una certa interpretazione la 
quale pu� spaziare da un ambito, per cos� dire, conservativo ad un ambito 
dubbio, ad un ambito di inconciliabilit� assoluta. 

La Corte c:ostituzionale affront� il problema con la sentenza 27 mag




252 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tati), ma per i quali si ritiene opportuno anche il possibile intervento 
dei genitori, ovvero del tutore o del curatore (art. 120, 
terzo comma). Le predette disposizioni, corrispondenti ad eguale 
indirizzo di altre legislazioni, stanno a significare in modo evidente 
che, ancor prima dell'attuale energica affermazione del 
principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, l'unit� 
familiare e l'autorit� del genitore esercente la patria potest� 
non erano considerate lese dal possibile dissenso fra i genitori 
in ordine alla presentazione della querela. 

Questa consideraziane, riguardante il principio generale dell'art. 
120 C.P., pu� essere riferita anche alla ipotesi preveduta 
dall'art. 574, nel senso cio� che se con l'art. 120, come norma 
generale, si � ritenuto non contrastante con l'unit� e la disciplina 
della famiglia il diritto di querela attribuito ad entrambi 
i genitori, non v'� motivo di attuare diverso criterio nella ipotesi 
particolare dell'art. 574. Le due norme riguardano indubbiamente 
situazioni diverse, prevedendo l'una un diritto di que


gio 1961, n. 26 (Giur. it. 1961, I, 1, 756) allorch� dichiar� l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 2 t.u. legge di P.S. � nei limiti in cui esso attri
� buisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei 
� principi dell'ordinamento giuridico �; sentenza che non and� immune da 
critiche (PIERANDREI, La corte costituzionale e l'attivit� maieutica, ivi, IV, 
177), -specie sotto il profilo della certezza del diritto. Sempre in materia 
di sicurezza pubblica, la Corte ha ribadito tale suo atteggiamento con 
la sentenza 27 marzo 1962, n. 30 (Giur. i tal., 1962, I, 1, 1917) dichiarando l'ilJ.~
gittimit� costituzionale dell'art. 4 1. di p.s. � nella parte in cui prevede 
�rilievi segnaletici che comportino ispezioni personali�. 

In entrambe le ipotesi, peraltro, il testo delle leggi impugnate resta 
in vigore, sia pure �rimpicciolito� nel suo oggetto (PIERANDREI, op. cit.), 
per cui pu� dirsi che la loro interpretazione, da parte della Corte, fa 
salve le altre interpretazioni da parte dell'Autorit� giudiziaria, le quali 
non si configurino in contrasto con la Costituzione. 

Nella sentenza annotata, invece, con l'avvenuta dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale dell'inciso: � esercente la patria potest�� (cos�, 
almeno, sembra doversi intendere la pronuncia), � preclusa, definitivamente, 
quanto all'identificazione del soggetto passivo del delitto di cui 
all'art. 574 c.p., ogni interpretazione diversa da quella adottata dalla Corte. 

Nelle precedenti pronuncie, la Corte costituzionale, ripudiando la norma, 
faceva salvo il testo, nei limiti in cui esso fosse ancora conciliabile 
con la Costituzione. 

In questa sentenza, si compie un passo ancor pi� avanzato, che travolge 
insieme e la norma e il testo. 

Non sfuggir�, quindi, l'importanza della decisione ai fini dell'affinamento 
del problema, sul quale, oltre agli studi gi� citati, possono richiamarsi 
quanto scritto da questa Rassegna, 1961, 69 e la monografia dell'ANDRIOLI, 
Motivazione e dispositivo delle sentenze della Corte costituzionale, 
Riv. dir. e proc. civile, 1962, 529 sgg. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 

rela in rappresentanza o in sostituzione di altri soggetti, e l'al.
tra invece un diritto di querela iure proprio, spettante cio� al 
genitore esercente la patria potest� considerato unico soggetto 
passivo del reato, in quanto il reato viene ipotizzato appunto 
come sottrazione del minore al genitore esercente la patria potest�. 
Senonch� � questa delimitazione dell'offesa e, conseguentemente, 
del soggetto passivo che, a giudizio di questa Corte, 
non risponde n� alla natura ed incidenza effettiva dell'offesa 
medesima, n� al carattere della figura di reato, quale, oltre tutto, 
si pu� desumere dalla sua collocazione nel Titolo XI del Libro 

II del Codice, dei delitti �contro la famiglia�. 

Senza immutazione o alterazione della figura di reato, ma 

per via di una interpretazione pi� aderente al suo reale conte


nuto, � da ritenere che la sottrazione del minore importi una 

offesa che non va circoscritta alla sola posizione dell'esercente 

la patria potest�, ma che investe tutta la famiglia, nella intera 

consistenza dei suoi interessi sociali, morali e affettivi. La inclu


sione della sottrazione di minorenni nel Titolo dei delitti con


tro la famiglia, lungi dall'essere il frutto di una classificazione 

meramente formale, trova, per questa ipotesi, una rispondenza 

effettiva nella natura e nella estensione della offesa. Se questa 

pertanto deve ritenersi tale da superare il circoscritto interesse 

inerente all'esercizio della patria potest�, ne consegue necessa


riamente una diversa corrispondente estensione della soggetti


vit� passiva, con la inclusione anche dell'altro coniuge, il qua


le, investito dalla patria potest� pur non avendone attualmente 

l'esercizio, non pu�, in questa ipotesi, essere escluso dalla rap


presentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi interessi. 

Posti in questi termini la .figura delittuosa preveduta dal


1'art. 574 C.P._ e il contenuto offensivo che le � proprio, viene 

meno il particolare fondamento della disposizione che limita il 

diritto di querela al genitore esercente la patria potest�, con la 

conseguenza che la limitazione stessa si manifesta lesiva del 

principio di eguaglianza fra i coniugi, al quale nel caso presente 

non � concesso fare eccezione. 

Bisogna rilevare infine che nell'art. 573 C.P., il quale pre


vede la sottrazione consensuale di minorenni, si riscontra iden


tica non giustificata restrizione del diritto di querela; e pertan


to, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche 

di questa norma, e per la parte relativa alla limitazione d~l di


ritto di querela, va dichiarata la illegittimit� costituzionale. 


(Omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

254 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 marzo 1964, n. 15 -Pres. Ambrosini 
-Rel. Jaeger -Soc. p.a. Terme di S. Pellegrino 

c. Comune di S. Pellegrino e Pres. Consiglio dei Ministri. 
Tasse e imposte comunali -Acque minerali sorgenti -Diritto a fa


vore dei Comuni sull'aspo1�tazione di tali acque � Legittimit� CO� 

stituzionale. 

(1. 2 luglio 1952 n. 703, art. 6; Cost., artt. 3, 23, 120). 
Non contrasta con gli artt. 3 e 23 della Costituzione l'art. 6 
della l. 2 luglio 1962, n. 703, istitutivo dello �speciale diritto� 
a favore dei Comuni per l'asporto delle acque minerali, in 
quanto, pur verificandosi taluni inconvenienti nell'applicazione 
concreta del tributo, deve considerarsi soddisfatto il principio 
che esige una sufficiente specificazione legislativa dei poteri di 
imposizione tributaria conferiti all'Autorit� amministrativa attraverso 
la fissazione, nella legge, di un limite massimo in misura 
non elevata. 

N� la norma predetta viola l'art. 120 della Costituzione, perch� 
tale disposizione pone esclusivamente limiti alla potest� 
legislativa delle Regioni, n� consente una estensione analogica 
che la renda applicabile a provvedimenti in materia tributaria 
di competenza dei Comuni (1). 

(1) Con questa sentenza, la Corte Costituzione, respingendo l'eccezione 
di illegittimit� costituzionale sollevata dal Tribunale di Bergamo 
con .ordinanza 1� marzo 1963 (Gazz. Uff. 6 aprile 1963, n. 94), 
conferma, con la medesima motivazione, la precedente analoga deci:; 
ione 13 giugno 1963, n. 93 (Giur. it. 1963, I, 1. 1206). 
Sull'interpretazione dell'art. 23 della Costituzione � ormai pacifico 
l'insegnamento della Corte.secondo il quale non � necessario che 
il tributo venga imposto per legge, essendo sufficiente che esso tragga 
il suo titolo dalla legge, con la riserva all'autorit� amministrativa 
della concreta determinazione, purch� tale rinvio assicuri un controllo 

sulla disc:r:ezionalit� della p.a., ad evitare che esso si trasformi in arbitrio 
(sent. 30 gennaio 1962, n. 2, Giur. it. 1962, I, 1, 508; 11 luglio 
1961, n. 48, ivi, I 1, 1! lO; 6 lugl�o 1960, n. 51, �;i, 1960, I, l, 1195; 27 
giugno 1959, n. 36, ivi, 1959, I, 1, 897; 18 marzo 1957, n. 47, ivi, 1957, 
I, 1, 650; 26 gennaio 1957, n. 30, ivi, 1957, I, 1, 427; 26 gennaio 1957, n. 4, 
ivi, 1957, I, l, 209). 

.-;..�

La Corte ha anche, in questa sentenza, fissato il principio dell'interpretazione 
restrittiva � ratione subiecti �, dell'art. 120 della Costituzione 
in materia tributaria. 

Infatti, scopo di tale disposizione � quello di porre un limite alla 
potest� legislativa delle Regioni, escludendo, tra l'altro, che queste 
possano avvalersene per istituire dazi di importazione o di esporta� 
zione ed evitando, in tal modo, che in questo settore la legislazione 
regionale possa svolgersi in contrasto con gli interessi generali; lad



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 255 

(Omissis). -L'ampio dibattito svoltosi fra i difensori delle 
parti nelle deduzioni e nelle memorie e poi nella discussione 
all'udienza ed il conseguente riesame compiuto dalla Corte di 
tutte le questioni prospettate non sono valsi ad indurre questa 
a modificare il giudizio emesso sulle questioni risolte con la 
precedente sentenza 18 giugno 1963, n. 93, alla cui motivazione 
deve farsi pertanto riferimento. 

I dati di fatto esposti dalla difesa della Societ� Terme di 

S. Pellegrino, e non contestati dalle parti avversarie, hanno 
indubbiamente messo in luce talune notevoli diversit� nei metodi 
adottati dai vari comuni nella applicazione del tributo, 
per quanto concerne la determinazione del valore delle acque 
asportate dal territorio dell'uno o dell'altro comune. Le differenze 
nella determinazione del valore delle acque asportate compiuta 
dalle commissioni provinciali rispetto ai diversi comuni, 
che si ripercuotono sulla misura dei tributi versati dai contribuenti 
dell'uno o dell'altro di questi, pur rimanendo contenuta 
entro il limite massimo del 3 per cento la aliquota del tributo, 
sono risultate effettivamente notevoli. Si tratta per� di un incondove 
i Comuni, che non sono investiti nel nostro ordinamento di una 
potest� legislativa, possono soltanto imporre i tributi previsti e disciplinati 
dalle leggi dello Stato. 

E' bens� vero che il precetto costituzionale deve intendersi preclusivo 
dell'istituzione di tributi che riguardino non soltanto l'importazione 
o l'esportazione da Regione a Regione, ma anche quella da 
Comune a Comune nell'ambito di una stessa Regione. 

Ma la lettera della disposizione e gli scopi cui essa � rivolta non 
lasciano dubbi sul suo esclusivo riferimento alla normativa regionale, 
non avendo i Comuni la facolt� di istituire tributi con norme 
di legge, ed essendo la materia relativa alla finanza locale attribuita 
genericamente, in forza dell'art. 23 della Costituzione, al legislatore 
ordinario. 

Nel senso che l'art. 120 della Costituzione trova applicazione ri


guardo a tutte le Regioni, sia a statuto ordinario che a statuto spe


ciale, in quanto esso � di carattere fondamentale perch� necessario 

a garantire l'unit� e indivisibilit� della Repubblica, Corte Cost. 16 

febbraio 1963, n. 12 (Giur. it. 1963, I, 1, 702). E' stato ritenuto, poi, 

dalla stessa Corte, che i divieti previsti nel secondo comma dell'art. 120 

si applicano anche alle leggi regionali che creino discriminazioni fra 

Provincia e Provincia di una stessa Regione (sent. 8 giugno 1963, n. 86, 

Giur. it. 1963, I, 1, 1050). 

Sulla differenza di applicazione dell'art. 120 della Costituzione rispetto 
allo Stato e alle Regioni, nel senso che, mentre per queste 
i divieti ivi previsti sono assoluti, per lo Stato sono derogabili nella 
valutazione discrezionale di particolari settori di territorio, per il 
perseguimento di interessi di tutta la collettivit� nazionale, Corte 
Cost. 29 marzo 1960, n. 15 (Giur. it. 1960, I, 1, 756). 



256 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

veniente che, come ha gi� rilevato la Corte nella sentenza sopra 

ricordata, non viola il precetto contenuto nell'art. 23 della Costituzione, 
dovendosi considerare soddisfatto il principio, che 
esige una sufficiente specificazione lagislativa dei poteri di imposizione 
tributaria conferiti all'autorit� amministrativa, attraverso 
la :fissazione, nella legge, di un limite massimo in misura 
non elevata. -~ 

' 

N� sembra sostenibile la tesi della violazione dell'art. 120 
della Costituzione, affacciata per la prima volta nella ordinanza 
del Tribunale di Bergamo, ma sulla quale la difesa del contribuente 
non ha insistito particolarmente, poich� quella norma 
costituzionale pone esclusivamente limiti alla potest� legislativa 
delle Regioni, n� consente una estensione analogica che la renda 
applicabile a provvedimenti in materia tributaria di competenza 
dei comuni. � 

La difesa stessa si � invece diffusa ampiamente nel sostenere 
la tesi, che la legge non prevederebbe alcuna possibilit� 
di riesame delle determinazioni compiute dalle commissioni 
provinciali, su ricorso del contribuente, consentendo solamente 
al Comune la facolt� di ricorrere al Ministro delle finanze nel 
caso di determinazione di valori non corrispondenti alla realt� 
di mercato, a norma dell'ultimo comma dell'art. 22 del Testo 
unico della finanza locale; e, a questo proposito, ha menzionato 
un decreto 10 giugno 1959, n. 3 -A -6454 del Ministro 
stesso che dichiar� inammissibile un ricorso 21 gennaio 1959 
della Societ� Terme di S. Pellegrino. Ha insistito poi, nel corso 
della discussione orale, sul punto che la disposizione citata contiene 
una esplicita ammissione della possibilit� di errori di valutazione 
da parte delle commissioni provinciali, errori considerati 
dal legislatore tali da richiedere una correzione, seppure 
soltanto per iniziativa del Comune e non del contribuente, in 
conseguenza della mancanza di una disposizione esplicita in 
materia. 

La Corte ha peraltro gi� affermato esplicitamente, nella 
sentenza sopra ricordata, che � la mancanza di disposizioni particolari, 
e la inapplicabilit� della disciplina relativa ad altri tributi, 
non farebbe venir meno comunque, in ordine al tributo 
de quo, la garanzia della tutela giurisdizionale assicurata dall'art. 
113 della Costituzione �. 

Il principio enunciato in questa norma, secondo la quale 
�Contro gli atti della pubblica amministrazione � sempre ammessa 
la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi 
dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa 
� e � Tale tutela giurisdizionale non pu� essere esclusa o 


PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE J3 INT.eRNAZIONALE 257 

limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate 
categorie di atti�, � applicabile ad ogni caso in cui un cittadino 
si ritenga leso da un atto amministrativo, senza che occorra 
una speciale espressa disposizione di attuazione, anche in virt�1 
della completezza dell'ordinamento. 

Si potr� discutere sulla individuazione dell'organo giurisdizionale, 
ordinario od amministrativo, competente nell'uno o nell'altro 
caso, ovvero sulla rilevabilit� di un denunciato vizio di 
violazione di legge o di eccesso di potere e, in particolare, sulla 
estensibilit� ai casi come quelli discussi delle garanzie giurisdizionali 
previste per altri tributi, qual -ad esempio -le 
imposte di consumo (questioni tutte, la cui soluzione non rientra 
per� evidentemente nella competenza della Corte Costituzionale); 
ma per il chiaro dettato dell'art. 113 citato non si pu� 
dubitare che l'ordinamento giuridico consenta che alcun diritto 

o interesse legittimo possa restare privo della tutela giurisdizionale 
garantita dalla Costituzione. -(Omissis). 
CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1964, n. 23 -Pres. Ambrosini 
-Rel. Chiarelli. 

Sicurezza pubblica -Diffida del Questore -Contrasto con gli artt. 13 e 
25, della Costituzione -Non sussiste. 

(1. 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1; Cost. artt. 13 e 25). 
Sicurezza pubblica � Misure di prevenzione nei confronti delle persone 

pericolose per la sicurezza e la pubblica moralit� -L. n. 1423 del 

1956, art. 1 -Preteso contrasto con l'art. 27 Cost. -Connessione 

con la responsabilit�. penale del soggetto -Esclusione. 

(Cost., art. 27; I. 27 dicembre 1956, n. 1423 ,art. 1). 

Sicurezza pubblica -Misure di prevenzione � L. n. 1423 del 1956, 
art. 1 -Elencazione della categoria dei soggetti da sottoporre a 
misure � Carattere dell'abitualit� ~ Preteso contrasto con l'art. 3 
Cost. -Esclusione. 
(Cost., art. 3; 1. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1). 

La norma di cui all'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, 

n. 1423, la quale consente al Questore di diffidare gli oziosi 
e i vagabondi validi al lavoro, e coloro che debba ritenersi vivano 
abitualmente col provento d� delitti o della prostituzione, 
o del contrabbando o, in genere, di attivit� contrarie alla morale 
e al buon costume, non contrasta con gli artt. 13 e 25 della 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

258 

Costituzione in quanto l'adozione delle misure di prevenzione 
pu� essere collegata, nella previsione legislativa, non al verificarsi 
di fatti singolarmente determinati, ma ad un complesso di t;om


portamenti che costituiscono una � condotta � assunta dal legislatore 
come indice di pericolosit� sociale (1). 

Detta norma non contrasta neppure con l'art. 27 della Costituzione 
perch� tale articolo riguarda la responsabilit� penale, 
mentre le misure di prevenzione non sono connesse a responsabilit� 
penali del soggetto, ma a manifestazioni della sua personalit�, 
desumibili anche da una serie ripetuta di denuncie 

o di assoluzioni con formula non piena (2). 
N� sussiste contrasto tra la norma in questione e l'art. 3 
della Costituzione. sotto il profilo che essa avrebbe introdotto 
un concetto non uniforme dell'abitualit�, suscettibile di dar 
luogo a differenze di trattamento fra diversi soggetti; ci�, in 
quanto, pur assumendo la parola �abituale�, nella soggetta materia, 
un significato diverso da quello di accezione nella legge 
penale, la sua concreta applicazione implica un margine di discrezionalit� 
interpretativa, non dissimile da quello ravvisabile 
in ogni giudizio diretto all'applicazione di norme giuridiche (3). 

(1-3) Le ordinanze di remissione 26 novembre 1962 del Tribunale 
di Milano e 4 febbraio 1963 del Pretore di Milano, sono pubblicate, 
rispettivamente, in Gazz. Uff. 26 gennaio 1963, n. 24 e 6 aprile 1963, 


n. 
94. 
Dopo le notissime sentenze emanate sulle vecchie disposizioni del 
t.u. delle leggi di p.s., nel senso della loro illegittimit� costituzionale 
(sent. 23 giugno 1956, n. 2, Giur. it., 1956, I, 1, 553; sent. 3 luglio 
1956, n. 11, ivi, 1956, I, l, 883), la Corte Costituzionale, in varie pro-� 
nuncie, ha portato il suo esame sulle disposizioni della legge 27 dicembre 
1956, n. 1423, emanata proprio in funzione della necessit� di 
colmare il vuoto legislativo creatosi dopo quelle pronuncie, e di rispettare, 
al tempo stesso, gli insegnamenti della Corte. 
E cos�, con la sentenza (20 aprile) 5 maggio 1959, n. 27, citata nel testo 

(Giur. it. 1959, I, l, 721) la Corte affront� e decise, in senso afferma


tivo, il problema della compatibilit� con le norme della Costituzione 

dell'istituto della sorveglianza speciale; analogamente, con sentenza 

30 giugno 1960, n. 45 (Giur. it. 1960, I, l, 995), di quello del rimpatrio 

con foglio di via obbligatorio sotto il profilo dell'organo competente 

a disporlo; successivamente, con sentenza 28 dicembre 1962, n. 126, (Giur. 

it., 
1963, I, l, 435), dello stesso istituto sotto il profilo oggettivo, rico


noscendolo costituzionalmente legittimo con riferimento alla pubbli


ca 
moralit�. 

Con l'annotata sentenza, infine, la Corte affronta e risolve, nel 

senso della legittimit� costituzionale, anche il problema della � diffida � 

di 
P.S. 

Rilevante appare la puntualizzazione data dalla Corte all'elemento 
valutativo del complesso della condotta del prevenuto, desumibile 

$ 

:~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 259 

(Omissis). -Va premesso che nel presente giudizio non � 
contestata la legittimit� costituzionale delle misure di prevenzione, 
previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Questa 
Corte ha gi� avuto occasione di ravvisare il fondamento di tali 
misure nel principio secondo cui l'ordinato e pacifico svolgimento 
dei rapporti sociali deve essere garantito, oltre che dal 
sistema di norme repressive di fatti illeciti, anche da un sistema 
di misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi in 
avvenire : sistema che corrisponde a una esigenza fondamentale 
di ogni ordinamento, accolta e riconosciuta negli artt. 13, 16 e 
17 della Costituzione (sent. 20 aprile 1959, n. 27). 

Dalle indicate finalit� delle misure di prevenzione deriva 
che l'adozione di esse pu� essere collegata, nelle previsioni legislative, 
non al verificarsi di fatti singolarmente determinati, ma 
a un complesso di comportamenti che costituiscano una � condotta
�, assunta dal legislatore come indice di pericolosit� sociale. 
Discende, pertanto, dalla natura delle dette misure che 
nella discrezione delle fattispecie il legislatore debba normalmente 
procedere con criteri diversi da quelli con cui procede 
nella determinazione degli elementi costitutivi di una figura 
criminosa, e possa far riferimento anche a elementi presuntivi, 
corrispondenti per� sempre a comportamenti obbiettivamente 
identificabili. Il che non vuol dire minor rigore, ma diverso ri$
Ore nella previsione e nella adozione delle misure di prevenzione, 
rispetto alla previsione dei reati e alla irrogazione delle 
pene. 

Dagli esposti criteri non ritiene la Corte che il legislatore 
si sia discostato nel formulare l'art. 1, primo comma, della legge 
27 dicembre 1956. 

Ed invero, in relazione al n. 1 del detto articolo, va riconosciuto 
che l'espressione � oziosi e vagabondi abituali validi 
al lavoro � non pu� essere considerata vaga ed equivoca, essendo 
obbiettivamente identificabile, in base a nozioni di comune conoscenza 
� tenendo conto delle :finalit� della legge e delle misure 
di prevenzione, chi abitualmente non svolge alcuna attipur 
essendo in condizioni di trarre dal lavoro i necessari mezzi 

attraverso dati obbiettivi, ancorch� non idonei ad essere sussunti sotto 
fattispecie tipiche di delitti. In ci� � conforme la giurisprudenza della 
Corte Suprema, la quale, come � noto, richiede un complesso di 
elementi che pongano in luce la proclivit� al delitto (Cass. 28 marzo 
1960, Foro it. Rep. 1961, 1607, 10). 

Infine sul problema della discrezionalit� nell'interpretazione ed 
applicazione della legge, cfr. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti 
giuridici, Milano, 1949 pag. 16 segg. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

260 

di sussistenza. N� vale in contrario affermare che la Costituzione 
riconosce un diritto, e non un dovere, al lavoro, giacch� 
le misure di prevenzione non hanno carattere sanzionatorio di 
doveri giuridici, e, in particolare nel caso previsto dall'art. 1, 

n. 1, la misura di prevenzione non ha carattere sanzionatorio 
della violazione di un dovere di lavoro. 
Non ha maggior fondamento la questione di legittimit� costituzionale 
sollevata in relazione ai nn. 2, 3 e 4 dello stesso art. 1. 
Non �, infatti, esatto che, in base alle norme ivi contenute, le 
misure di prevenzione possano essere adottate sul fondamento 
di semplici sospetti. L'applicazione di quelle norme, invece, 
richiede una oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta 
abituale e il tenore di vita della persona, o che siano 
manifestazioni concrete della sua proclivit� al delitto, e siano 
state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive 
e incontrollabili da parte di chi promuove o applica le 
misure di prevenzione. 

Infine, non pu� riscontrarsi indeterminatezza assoluta, come 
si esprimono le ordinanze del Tribunale di Milano, nel richiamo 
alle nozioni di morale pubblica e buon costume, contenute 
nel n. 5, essendo ben chiaro che la disposizione si riferisce 
a quei comportamenti abituali che offendono quelle norme del 
costume, proprie della comunit�, la cui violazione costituisce un 
indice di pericolosit� sociale, indipendentemente dal carattere 
delittuoso o non dei singoli fatti in cui essi si concretano. 

Per le ragioni indicate, ritiene la Corte che non possa consi


derarsi costituzionalmente illegittimo l'impugnato art. 1 della 

legge n. 1423 del 1956, in riferimento agli artt. 13 e 25 Cost. 

Ugualmente infondata � la questione di legittimit� costitu


zionale in riferimento all'art. 27 Cost. Ed infatti, il richiamo 

all'art. 27 non � pertinente alla detta questione, perch� tale arti


colo, nelle disposizioni a cui le ordinanze si riferiscono, riguarda 

la responsabilit� penale e importa la presunzione di non colpe


volezza dell'imputato fino alla condanna, mentre le misure di 

prevenzione, pur implicando restrizioni �della libert� personale, 

non sono connesse a responsabilit� penali del soggetto, n� si 

fondano su la colpevolezza, che � elemento proprio del reato. 

N� sussiste il contrasto, ravvisato dalle ordinanze, con l'art. 
27 Cost. sotto il riflesso che semplici denuncie o procedimenti 
penali conclusi con �ssoluzione per insufficienza di prove possano 
essere valutati come elementi negativi, nella applicazione 
delle misure di prevenzione. Da quanto si � detto innanzi risulta 
che, correttamente interpretando la legge, la denuncia o l'assoluzione 
per insufficienza di prove, per se stesse considerate, 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il INTERNAZIONALE 261 

non possono costituire quei fatti obbiettivamente accertati, o 
quelle manifestazioni della personalit� del soggetto, che soltanto 
possono dare fondato motivo all'applicazione delle misure di 
prevenzione. Ci�, tuttavia, non significa che il ripetersi di denunzie 
a carico di un soggetto, o di assoluzioni con formula 
non piena da imputazioni di reati della stessa indole, non possa 
essere preso in considerazione, quando concorrono altri elementi 
di fatto, nella valutazione complessiva della condotta abituale 
e .del comportamento notorio di .una persona, ai fini del 
giudizio di pericolosit�. 

Il Pretore di Milano, nella sua ordinanza, ha prospettato 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1, n. 1, in riferimento 
all'art. 3 Cost., in quanto, non essendo precisato, nella 
norma in esame, il criterio dell'abitualit�, mancherebbe la possibilit� 
di assicurare, nell'applicazione della norma stessa, l'eguaglianza 
di trattamento a tutti i cittadini. 

Ma, anche cos� posta, la questione � infondata. 

La disposizione legislativa configura una categoria di persone 
identificabili in base ad elementi da essa stessa determinati, 
tra cui l'abitualit� del comportamento. E' vero che la nozione 
di abitualit�, a cui il legislatore si riferisce, � diversa da quella 
dallo stesso legislatore specificata in relazione alle figure di delinquente 
o contravventore abituale (artt. 102 e 104 c.p.); ci� 
non toglie, per�, che, assumendo la parola ,�abituale� nel senso 
che le � proprio nel linguaggio comune, il legislatore ha introdotto 
nella norma un elemento non equivoco, come tale idoneo 
a differenziare, con gli altri elementi della previsione legislativa, 
la categoria di persone a cui la norma stessa si riferisce. 

Che poi l'attuazione di questa implichi un margine di discrezionalit� 
nelle valutazioni dei singoli casi concreti non � motivo 
perch� possa ravvisarsi nella norma un contrasto con l'art. 3 
Cost., essendo proprie, quelle valutazioni, di ogni giudizio diretto 
all'applicazione di norme giuridiche. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1964, n. 26 -Pres. Ambrosini 
-Rel. Verz�. 

Dogana -Carcerazione preventiva per reati doganali -Durata fino 
all'accertamento dell'identit� personale del soggetto o alla pres~azione 
di cauzione -Contrasto con l'art. 13 della Costituzione Insussistenza. 


(l. 25 settembre 1940, n. 1424, art. 139; Cost., art. 13). 

262 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 
139 della legge doganale che prescrive l'arresto dell'imputato 
di reati doganali fino a quando non ne sia accertata l'identit� 
personale o, trattandosi di stranieri, non venga prestata 
cauzione o malleveria, per l'asserito contrasto con l'art. 13, ultimo 
comma, della Costituzione, in quanto la stessa disposizione 
pone i limiti massimi entro i quali la carcerazione � consentita, 
ancorch� divergenti da quelli stabiliti dal codice di procedura 
penale (1)\ 

(Omissis). -Il primo comma dell'art. 139 della legge doganale 
25 settembre 1940, n. 1424, dispone che il colpevole dei 
reati in essa preveduti � arrestato quando non ne sia nota la 
identit� personale, ovvero quando si tratti di straniero che 
non dia idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle 
multe e delle ammende. Il secondo comma dello stesso articolo 
contiene altre due norme : la prima, prescrive che la liberazione 
non pu� essere ordinata fino a che l'identit� personale del colpevole 
non sia accertata, o, trattandosi di straniero, fino a che 
costui non abbia prestato cauzione o malleveria. 

La seconda precisa che � tuttavia la detenzione del colpevole 
non pu� superare il massimo della pena stabilita dalla 
legge per il reato di cui � imputato, od i tre mesi quando contro 
di lui si procede per contravvenzione�. 

Questa seconda norma, che l'ordinanza non ha neppure pre


(1) L'ordinanza di remissione 23 agosto 1963 del Giudice Istruttore 
presso il Tribunale di Trapani � pubblicata nella Gazz. Uff. 2 novembre 
1964 n. 287. 
L'art. 139 della legge doganale, nel primo comma, dispone che il colpevole 
di reati preveduti da detta legge, fermo quanto � disposto nel 
codice di procedura penale circa la libert� personale dell'imputato, � 
arrestato quando non � nota la sua identit�, ovvero quando si tratta 
di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento 
delle multe e delle ammende; ed aggiunge, al secondo comma, che la 
liberazione non pu� essere ordinata fino a che l'identit� personale del 
colpevole non sia stata accertata o, trattandosi di straniero, fino a� 
che questi non abbia prestato la cauzione o la malleveria. 

Rilevante �, tuttavia, la disposizione della parte finale del secondo 
comma, in base alla quale la detenzione del colpevole non pu� superare il 
massimo della pena stabilita dalla legge per il reato di cui � imputato 
o, i tre mesi, quando contro di lui si procede per contravvenzione. 

Viene, cos�, rispettata la riserva di legge posta dall'art. 13, ult. 
comma, della Costituzione, circa i limiti massimi della carcerazione preventiva. 


Per l'inquadramento dell'istituto della scarcerazione automatica, �cfr. 
SABATINI, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, 
Torino, 1953, 420 sgg. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 263 

so in considerazione, pone quei limiti massimi alla carcerazione 
preventiva che il precetto dell'art. 13 della Costituzione 
vuole garantire. 

Che siffati limiti -poi -non siano coincidenti con quelli 
fissati dall'art. 272 c.p.p. � questione irrilevante sotto il profilo 
Costituzionale, dal momento che risulta rigettata la riserva 
di legge contenuta nell'art. 13, e dal momento che tanto la 
legge doganale quanto il codice di procedura penale sono entrambe 
leggi ordinarie, poste sullo stesso piano delle fonti. E' 
da osservare piuttosto che il dubbio manifestato dall'ordinan
�za, se la scarcerazione cos� detta automatica possa essere sottoposta 
alla condizione del verificarsi di eventi futuri ed incerti, 
non pu� neppure sorgere, quando la norma dell'art. 139 della 
legge doganale, espressamente dispone che, allo scadere dei 
termini, la liberazione si verifica anche nel caso di mancata 
identificazione del colpevole o di non prestata cauzione o malleveria. 


E giova per ultimo rilevare che la mancata identificazione 
dell'imputato � regolata anche dall'art. 84 del Codice di procedura 
penale, che ne subordina la liberazione a prestazione di 
cauzione o malleveria nel caso in cui l'incertezza sulla identit� 

Nel senso che l'istituto sulla scarcerazione automatica previsto dall'art. 
272 c.p.p., risulta pienamente compatibile con l'eventuale imposizione 
di obblighi anche di natura patrimoniale, Cass. Sez. Un. 23 marzo 
1963, rie. Nicastri (Giust. pen. 1964, III, 1). Nel senso, poi, che l'istituto 
stesso abbia natura �istruttoria'" con l'obbligo della scarcerazione anche 
quando l'istruttoria sia stata tardivamente conclusa, Cass. 16 luglio 
1963 rie. Car� (ivi, 1964, III, 167). 

Sull'art. 139 legge doganale, per la complementariet� e non per 
l'alternativit� delle ipotesi di arresto quivi indicate con quelle previste 
dal codice di procedura penale, Cass. 21 febbraio 1957, rie. Martinez 
(ivi, 1957, III, 514). La stessa sentenza, ponendo il carattere assoluto ed 
inderogabile. alle prestazioni di cauzione o malleveria, escluse la possibilit� 
della concessione della libert� provvisoria. 

Cosicch� pu� concludersi che, mentre l'istituto della scarcerazione 
di cui all'art. 272 c.p.p. � di carattere processuale, perch� collegato ai 
� tempi � dell'istruttoria, la scarcerazione prevista dalla seconda parte 
del secondo comma dell'art. 139 legge doganale non riveste tale carattere, 
ma ha natura sostanziale, in quanto collegato esclusivamente alla pena 
edittale, o, trattandosi di contravvenzioni, allo scadere del termine assoluto 
di tre mesi. 

Tale diversit� di qualificazione dell'istituto doganale rispetto al Co


dice di rito non lo rende, tuttavia, invalido sotto il profilo costitu


zionale, perch� -come ha rilevato la Corte -tanto la legge doganale 

che il Codice Cli procedura penale sono leggi ordinarie, poste sullo stesso 

piano delle fonti. 


RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO

264 

personale sia stata cagionata dal fatto della persona non identificata, 
onde non appaiono giustificate le apprensioni di un 
diverso trattamento fra il colpevole di reati oomuni ed il colpevole 
di reati in danno dell'Erario dello Stato. Mentre, in ogni 
caso, appare certo che la particolare struttura giuridico-economica 
del contrabbando, reato pi� difficilmente perseguibile per 
le sue peculiarit�, giustifica una disciplina anche diversa da 
quella comune. -(Omissis). 

TRIBUNALE FEDERALE ELVETICO, Sez. Civ. Il, 23 gennaio 
1964 -Collegio giudicante: Vice Presidente del Tribunale 
Federale, Comment (Presidente della II Sez. Civ.); Giudici 
federali: Schwartz, Stocker, Plattner, Schmid -Finacom 
Trust fiir Finanzierung und Handel, Vaduz Fl. c. Ufficio 
italiano cambi (U.I.C.). 

Enti pubblici -Giudizio in corso dinanzi a tribunale straniero -Controversia 
sulla capacit� giuridica di un soggetto -Riferimento 
all'ordinamento giuridico dello Stato che disciplina il soggetto 
stesso. 

Enti pubblici -Ufficio Italiano Cambi -Controversia sulla sua capacit� 
giuridica -E' Ente con personalit� giuridica. 

In un giudizio in corso dinanzi a un Tribunale straniero, 
nel quale si debba accertare la capacit� giuridica di un soggetto, 
occorre far riferimento, ed applicare l'ordinamento dello 
Stato che disciplina e definisce detta capacit� (nella specie occorre 
far riferimento all'ordinamento giuridico dello Stato Italiano 
per definire l'U.l.C.) (1). 

L'Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.) non � organo dello Stato 
italiano, �bens� Ente di diritto pubblico con personalit� giuridica 
(2). 

(1-2) Sulla natura giuridica dell'Ufficio Italiano dei Cambi. 

Con questa decisione, il Tribunale Federale Elvetico, sedente in 
Losanna, ha posto la parola fine ad una lunga controversia sorta fra la 
� Finacom Trust filr Finanzierung und Handel � Vaduz FL. e l'Ufficio Italiano 
dei Cambi nel lontano 1955. 

Lo svolgimento della causa, attraverso i vari gradi del procedimento, 
� stato sommariamente indicato dalla decisione del Tribunale 
resa in Camera di Consiglio, perch� � stato ritenuto, prima facie, che 
le domande proposte dalla Finacom erano evidentemente infondate. 


PARTE I, SilZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il INTERNAZIONALE 265 

. (Omissis). -E' risultato che: 

A) La Confederazione Elvetica e la Repubblica Italiana, 
in data 23 luglio 1955, stipularono un accordo circa il finanziamento 
per la elettrificazione ed il potenziamento di determinate 
linee di accesso in !svizzera delle Ferrovie dello Stato 
Italiane, entrato in vigore il 1. marzo 1957 (AS� 1957, pagina 
193 e segg.). In base a tale accordo la Svizzera si impegn�, tra 
l'altro, ad autorizzare le Ferrovie Federali Svizzere a concedere 
alle Ferrovie dello Stato Italiane un credito di 200 milioni di 
franchi svizzeri per il finanziamento dei suddetti lavori. Per 
ragioni che esulano dall'argomento, l'ammontare del credito 
avrebbe dovuto essere depositato anteriormente al 1. agosto 
1955 presso l'Ufficio Italiano dei Cambi (U.I.C.) in Roma. I 
particolari riguardanti tale deposito furono concordati dai Capi 
delle due Delegazioni, mediante scambio di lettere di testo 
uguale in data 23 luglio 1955. Secondo il paragrafo 3 di tali 
lettere, l'UIC dovette depositare in garanzia, entro e non oltre 
il 25 luglio 1955, presso la Schweizerische Nationalbank (Banca 
Nazionale Svizzera) effetti dela Confederazione Evetica o degli 
Stati Uniti d'America pari all'ammontare del credito. L'U.I.C. 
tenne fede a questo impegno entro il termine stabilito. 

B) La Finacom Trust filr Finanzierung und Handel di 
Vaduz chiese alle Ferrovie dello Stato Italiane, oppure alla 
Repubblica Italiana, un compenso di 6 milioni di franchi svizzeri 

Possiamo aggiungere, a maggior chiarimento dell'oggetto della vertenza, 
che la Finacom, asserendosi creditrice della somma di fr. sv. sei 
milioni cinquantamila, quale provvigione per una pretesa mediazione 
fra le -Ferrovie Elvetiche e le Ferrovie Italiane dello Stato, riguardante 
il prestito effettuato dalle prime alle seconde della somma di 200 mi� 
lioni di franchi svizzeri, oper� un sequestro di titoli e valori intestati 
all'Ufficio Italiano dei Cambi e che si trovavano presso la Banca Nazionale 
Svizzera. 

Tale sequestro fu reso possibile in virt� delle disposizioni degli articoli 
50, 66, 88 e seguenti della legge federale pour la � poursuite pour 
dettes et la faillite � dell'll aprile 1889. 

Operando il sequestro, la Finacom raggiungeva, inoltre, lo scopo di 
radicare in Svizzera (per motivi di connessione) anche le .cause principali 
di merito proposte contro l'Amministrazione delle Ferrovie e il 
� Governo della Repubblica Italiana � per ottenere il riconoscimento 
giudiziario del diritto della Finacom a percepire la somma di fr. sv. 

6.050.000 per il titolo sopra indicato. 
Al sequestro si � opposto l'Ufficio Italiano dei Cambi, difeso dall'avvocatura 
generale dello Stato e rappresentato in giudizio dall'avv. Gayle:r 
di Zurigo. 

Assai laborioso fu lo sviluppo dei vari giudizi attraverso i tre gradi 



266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per la mediazione del credito di 200 milioni di franchi svizzeri. 
Il 12 dicembre 1955 essa ottenne a Zurigo il sequestro sui Buoni 
del Tesoro (Reskriptionen) della Confederazione Elvetica del valore 
nominale di frs. 6.050.000, costituenti una parte delle garanzie 
depositate presso la Banca Nazionale a favore della Confederazione 
Elvetica. L'UIC dichiar� essere l'oggetto del sequestro 
di sua propriet�. Entro i limiti stabiliti, la Finacom Trust 
present� ricorso per la contestazione del diritto di propriet�. 

C) Sia il Giudice Unico nel procedimento per direttissima 
presso il Tribunale Distrettuale di Zurigo (Sentenza del 2 dicembre 
1958) sia la Corte d'Appello del Cantone di Zurigo, II 
Sezione Civile (Sentenza del 20 novembre 1962) -su ricorso 

I 

della Finacom Trust -respinsero l'istanza. Lo stesso destino 
fu riservato al ricorso per nullit� presentato dalla Finacom 

I

Trust alla Corte di Cassazione del Cantone di Zurigo avverso la 
sentenza della Corte d'Appello (Sentenza del 30 luglio 1963). I 

D) In data 6 febbraio 1963 la Finacom Trust avanz� il , 
presente ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di 
Zurigo, formulando la richiesta di annullare la sentenza impu~ 


I~ >!=',

gnata, di rigettare i presunti diritti di propriet� fatti valere ~~ 

I,;:

dall'UIC sui titoli depositati per il valore di stima di franchi 
svizzeri 6.050.000, e di convalidare il sequestro su tali titoli, . 
di rimettere la vertenza al Tribunale competente per un nuovo 
giudizio. , 


, 

di giurisdizione del Cantone di Zurigo e cio�: Giudice Cantonale, Corte rn

w 

di Appello e Corte di Cassazione di Zurigo. 

f

Su invito del Giudice Cantonale, dapprima, e di quello d'Appello ~ 
dopo, le parti ricorsero alla consulenza di giuristi esperti in diritto italiano. 
L'UIC nomin� suo consulente il prof. avv. CARLO ARTURO JEMOLO e 


I 

la Finacom il prof. MASSIMO SEVERO GIANNINI. 
Semplice e delimitato era il tema disputandum poich� si trattava 
soltanto di stabilire se l'UIC avesse o meno una personalit� giuridica 


I 

distinta da quella delle Amministrazioni dello Stato, e se, di conse00 
guenza, l'UIC avesse una propria capacit� patrimonale e, quindi, fosse 
proprietario dei titoli e valori che gli erano stati sequestrati. 


I

Lunga � stata la disputa e la Finacom, che dapprima aveva negato 
persino che l'UIC avesse una propria personalit� giuridica (al contrario 
di quanto �, inoltre, testualmente stabilito dall'art. 1 del decreto legi0


I 

slativo luogotenenziale 17 maggio 1945, n. 331 che istitu� l'UIC), ripieg� 
sulla tesi sostenuta dal suo consulente, che, cio� l'UIC dovesse essere ,, 
considerato come organo dello Stato avente personalit� giuridica e che, 
quindi, i beni da esso posseduti si dovessero ritenere di propriet� dello r::. 
Stato (senz&, peraltro, precisare a quale fra le Amministrazioni dello 
Stato essi appartenessero). 


-11!~ 

L'Avvocatura Generale, nell'interesse dell'UIC, ha, invece, sostenuto, =:~ 

~ 

nei vari gradi di giurisdizione, che l'UIC non solo ha personalit� giuri-;::: 

I r::! 
. 

~lf�T::!?-B'ffil;B:Vwtx::=�,-..:�)�,�-�::::=wtx��"�:w�-?.;::;:.���::;::::�,�:::.-:::��=f@.�~-=:::=-.MWJfw~x&',wm<-::::'::�{q;.::.w.:::::=:--:�t<wt;::-.:-:�:,';x.:�:::::::::w:::w:::::w;;lf�B'.,lf�'w'0�.<~=;::.:::::::.:::.:,~if@w..x::..-::,::.:.:,;:::..:-::.-;::'..-:<:.xf.&w:-9.7.e:'<W.<-:<�"'"'�.,,-J


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 267 

E) Il convenuto in appello, UIC, chiede che non si dia 
luogo ad appello, che esso venga eventualmente respinto e che 
la sentenza impugnata venga confermata. 

Il Tribunale Federale considera: 

1) Se la sentenza impugnata fosse stata inviata al legale 
dell'appellante, Dr. Zi.iblin~ il 16 gennaio 1963, come potrebbe 
essere desunto da una ricevuta che si trova agli atti, firmata 
da un'impiegata del suddetto avvocato, l'appelLo con timbro postale 
del 5 febbraio 1963 non sarebbe stato presentato entro il 
termine, in quanto detto termine, in tal caso, sarebbe scaduto il 
giorno precedente. Da un'indagine condotta a tale proposito 
dal Tribunale Federale �, per�, risultato che la segretaria sbagli� 
data e che la sentenza impugnata � stata effettivamente notificata 
al legale in data 17 gennaio 1963. Il ricorso � stato quindi 
presentato in tempo utile. 

2) L'appellante, in data 3 ottobre 1963, comunic� al 
Tribunale Federale di aver ceduto il 12 giugno 1962 alla BetaHolding 
SA, Suvigiana-Castagnola (TI) il credito per il quale era 
stato ottenuto il sequestro; fu acclusa una copia autenticata 
dell'atto di cessione. Ai sensi dell'~rt. 17, comma 1, P.C., valido 
in conformit� all'art. 40 OG anche per il procedimento in 
appello, il subentrare ad una parte � ammesso solo previo consenso 
della controparte. Non esiste un tale consenso. La Finacom 
Trust resta, quindi, parte del processo in appello. 

dica distinta da quella dello Stato, ma che esso, in conseguenza di ci�, 
ha piena capacit� di diritto e quindi piena capacit� patrimoniale. 
Il patrimonio assegnato all'UIC � di sua esclusiva propriet� e non 
di alcuna Amministrazione dello Stato. 
In particolare, si � sostenuto: 

1) che l'UIC non pu� inquadrarsi tra le persone giuridiche cosididette 
organi dello Stato. Per le sue funzioni e la sua organizzazione, 
l'UIC non pu�, in alcun modo essere, considerato n� come organo del.lo 
Stato, n� come Organo dipendente dallo Stato; esso � sottoposto alla 
sola vigilanza del Ministero del Tesoro, come, del resto avviene per 
tutte le persone giuridiche di diritto pubblico. 

2) I compiti attribuiti all'UIC, quali risultano dall'art. 2 del decreto 
legislativo lgt. del 1945, non sono compiti propri dello Stato e 
non risultano staccati dalla sua organizzazione ed attribuiti alla nuova 
persona giuridica. Tali compiti erano gi�, in gran parte, propri di una 
altra persona giuridica pubblica: l'Istituto Naz.le dei Cambi con l'Estero, 
creato nel 1917 e di poi soppresso. 

3) L'UIC ha un patrimonio proprio: � il fondo dotazione confe


ritogli dalla Banca d'Italia, ed il Consiglio Superiore della Banca, su 

proposta del Governatore, pu�, se necessario, aumentarlo. Tale fondo 

unitamente alle riserve accumulatesi attraverso il commercio delle va




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

268 

3) L'appellante parte giustamente dal principio che �il 
convenuto � un ente di diritto pubblico con personalit� giuridica 
propria, secondo il diritto italiano, e che esso convenuto 
ha acquistato a proprio nome dalla. Banca Nazionale Svizzera i 
titoli sottoposti a sequestro. Rileva, per�, che il giudizio precedente 
avrebbe per questo �senz'altro� concluso che il convenuto 
� anche proprietario dei titoli sequestrati, mentre in 
questo punto sarebbe decisiva � la posizione giuridica del convenuto 
nella struttura del diritto costituzionale ed amministrativo 
italiano�, Tale argomentazione � del tutto infondata, anzi 
addirittura sibillina. Nel giudizio precedente � stata dettagliatamente 
ed accuratamente esaminata la questione della posizione 
giuridica dell'UIC. Si � venuti alla conclusione che� l'UIC, 
in questione non come organo dello Stato Italiano, ma nella 
sua veste di ente di diritto pubblico autonomo, contrariamente 
all'asserzione della Finacom, acquist� i titoli. Tale questione 
dovette essere giudicata esclusivamente in base al diritto italiano 
(vedere ad esempio BGE 76 II 374, 76 III 62), e non pu�, 
pertanto, essere esaminata dal Tribunale Federale (art. 43 OG, 
BGE 84 III 150, 88 II 203), .mentre � decisiva per l'esito della 
vertenza. Il ricorso non pu� essere, quindi, accolto ai sensi dell'art. 
60, comma 1, lettera a, OG. 

Non cambia nulla che l'attore in appello si richiami al cosiddetto 
accordo aggiuntivo, vale a dire alla corrispondenza 

lute e dell'oro, � qualificato dallo statuto dell'UIC (approvato con d.m. 

25-2-1946, art. 4) come �patrimonio dell'ufficio�. 

4) L'UIC ha un proprio personale, direttamente assunto e al quale 

non si applicano le disposizioni relative agli impiegati dello Stato; �, 

anzi, prevista (Statuto, art. 9 lett. a) l'emanazione da parte del Consi� 

glio di amministrazione di un regolamento per determinare lo stato 

giuridico ed economico degli impiegati e dei salariati. 

5) Sono, inoltre, elementi contrastanti con 1m, eventuale configu


razione dell'UIC come organo dello Stato fornito di personalit�, la isti


tuzione presso di esso di un collegio di revisori � per esercitare funzioni 

analoghe a quelle determinate per i sindaci dal codice civile� (d.1.1. del 

1945, art. 7). 

6) Infine, l'impossibilit� di configurare l'UIC come organo dello 
Stato risulta comprovata dai rapporti giuridici, di natura contrattuale, 
posti in. essere fra esso e l'amministrazione dello Stato. 

Se, infatti, un'amministrazione dello Stato ha bisogno di valuta, 

deve regolarmente acquistarla dall'UIC, pagando . il controvalore in lire. 

E' significativo, di poi, quanto � stabilito nel decreto legge 7 luglio 

1951, n. 490, convertito nella legge 30 agosto 1951, n. 950. Da tale norma 

legislativa risulta che il Ministero del Tesoro ha ottenuto un vero e 

proprio prestito dall'UIC in valuta estera fino al controvalore di 100 


PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 269 

intercorsa tra i Capi delle Delegazioni in data 23 luglio 1955, 
sostenendo che ne risulti che all'epoca del pignoramento dei 
titoli sequestrati lo Stato Italiano sia apparso quale pignoratario; 
quindi quale proprietario di tali titoli. Quantunque questo 
accordo aggiuntivo -contrariamente al'opinione. dell'attore 
in appello -non costituisca un accordo interstatale ai sensi 
dell'art. 43, comma 1, OG, � ovviamente giusto che il pignoramento 
dei titoli depositati in !svizzera debba essere giudicato 
secondo il diritto svizzero, in conformit� alla lex rei sitae valida 
nel diritto privato internazionale. Dall'accordo aggiuntivo non 
risulta, per�, che lo Stato Italiano sarebbe stato pignoratario. 
Al punto 3 di tale accordo � chiaramente precisato che l'UIC 
avrebbe depositato i titoli presso la Banca Nazionale Svizzera. 
Dagli altri atti risulta che l'UIC procedette in conformit� (vedere 
soprattutto la lettera di conferma della Banca Nazionale 
in .data 27 luglio 1955). Con ci� � dimostrato che l'UIC ag� come 
pignoratario. Del resto, non si tratta di un pignoramento nel 
senso stretto della parola, ma di un deposito in garanzia, come 
� stato provato nel giudizio precedente (pagina 13 della Sentenza), 
rimandando al Commento Oftinger, Sicurt� in beni mobili, 
N 22 e seguenti della parte sist. Non importa se il rappresentante 
dello Stato Italiano, che firm� l'accordo, ag� su incarico 
e con procura dell'UIC o se si bas� su un mandato dello 

Stato Italiano nei confronti dell'UIC. 

4) All'attore in appello non dovrebbe essere sfuggito 
che la questione, chi fosse il proprietario dei titoli sequestrati, 
dovette essere decisa unicamente secondo il diritto italiano e 
che, quindi, un riesame non � di competenza del Tribunale Federale. 
Forse per questa ragione l'attore tenta di impugnare 
la sentenza di appello davanti al Tribunale Federale, richiamandosi 
all'art. 8 e.e. concernente i regolamenti dei mezzi di prova 
e sostenendo che nel giudizio precedente tale articolo � sfato 
ripetutamente violato. Ma anche i regolamenti dei mezzi di 

miliardi di lire e per tale prestito venne, persino, corrisposto un inte


resse. 

Sostenne, di poi, la difesa dell'UIC (in conformit� dei noti principi 

di diritto internazionale privato, del resto constantemente e pacifica


mente accolti dal Tribunale Federale elvetico) che la personalit� giuridica 

e la capacit� patrimoniale dell'Ufficio dovevano essere stabiliti secondo 

il diritto italiano. 

Sull'applicazione si tale diritto non poteva sorgere alcuna questione 

giuridica, n�, pertanto, formularsi alcuna eccezione, di pretesa violazione 

di legge perch� � principio noto di diritto internazionale che l'applica� 



270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

prova prevedono la legge applicabile, in casu, quella italiana. 
(Vedere commento Kummer, all'art. 8 e.e., N. 378 e la letteratura 
ivi citata). Non si pu�, quindi, accogliere questa eccezione. 

Essa sarebbe comunque infondata. Il Tribunale ha giustamente 
richiesto i mezzi di prova, imponendo al convenuto UIC 
di presentare la fondata prova della sua propriet� dei titoli. 
Essa ritenne addotta tale fondata prova e lasci� alla parte attrice 
di iniziare il procedimento di controprova. Di queste controprove 
la sentenza tratta molto esaurientemente (pagine 2656 
), concludendo che la controprova non � stata addotta. Date 
queste circostanze di fatto, non si potrebbe parlare di una violazione 
all'art. 8 C.C. Del resto, i motivi esposti dall'appellante 
per larghi tratti del ricorso in appello non riguardano tanto la 
questione della richiesta dei mezzi di prova, bens� l'equa valutazione 
delle prove nonch� le disquisizioni giuridiche contenute 
nela sentenza impugnata. 

S) Quanto precedentemente esposto in merito alla presunta 
violazione dell'art. 8 C.C., vale anche per l'eccezione della 
non corrispondenza degli atti (pagina 11 del ricorso) in merito 
alla constatazione del giudizio precedente (pagina 13) riguardo 
alla procura dell'UIC al Capo della Delegazione, Cattani (chepoich� 
la Corte d'Appello non accett� l'eccezione della non corrispondenza 
degli atti -� da interpretare come richiesta di 
rettifica, ai sensi dell'art. 63, comma 2, OG, di una constatazione 
ovviamente basata su una svista). A prescindere che manca, 
anche in tal caso, la facolt� di cognizione del Tribunale Federale 
circa l'applicabilit� del diritto italiano, si tratta sempli


zione di norme di un diritto straniero costituisce una quaestio facti 
sottoposta all'esame del giudice. 

Tutte le suesposte argomentazioni furono, quasi testualmente, accolte 
dalle varie decisioni cantonali, ed, implicitamente, confermate 
dalla pronunzia del Tribunale Federale elvetico alla quale, come ultima 
ratio la Finacom ricorse per pretesa violazione di norme di ordine pubblico. 


A questo proposito, devesi rilevare che il Tribunale federale ha 
espressamente dichiarato che tale violazione non esisteva e che i principii 
da noi sostenuti dovevano trovare piena applicazione in quanto 
che non venivano e contrastare, in alcun modo, con le ordine pubblico 
del diritto federale. 

Pertanto, nella causa contro l'UIC la Finacom ha raggiunto... lo 
scopo inverso a quello che si proponeva, perch� vengono a cadere irri


I 


I 


mediabilmente, per il venir meno della competenza territoriale per conili 
nessione, le cause proposte contro le Ferrovie e il non meglio identi*~ 
ficato �Governo della Repubblica Italiana�. 

~1

C. ARIAS 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 271 

cemente di un errore di trascrizione: invece di � act. 71-11 � 
avrebbe dovuto essere scritto � act. 111/10 �. 

6) In subordine, l'appellante fa, infine, valere una violazione 
del'art. 2 e.e. nella sentenza impugnata, perch� -in sintesi il 
convenuto, rifacendosi, secondo la lettera della legge, alla sua 
propriet�, vorrebbe sottrarre i titoli -che gi� sarebbero stati 
pignorati a favore di altro creditore dello Stato Italiano -all'intervento 
di un secondo creditore di tale Stato. Si tratta, 
pertanto, di un richiamo, non pertinente ed in mala fede, alla 
autonomia dell'UIC quale persona giuridica (vedere Commento 
Merz all'art. 2 e.e., n. 286 e seguenti). Prescindendo dal fatto 
che non si pu� concordare con l'appellante circa questo punto, 
l'art. 2 C.C. non pu�, comunque, essere applicato, in quanto la 
questione deve essere decisa giusta il diritto italiano. Anche se 
fosse nota una disposizione corrispondente a tale legge, o se il 
giudizio precedente avesse applicato l'art. 2 e.e., quale diritto 
suppletivo, la sentenza in tal modo emanata non potrebbe essere 
presa in considerazione dal Tribunale Federale neppure sotto 
tale profilo (vedere Merz a.a.O. n. 79). Una revisione potrebbe 
essere apportata, al massimo, in via aequitatis, cio� applicando 
la clausola cautelativa dell'� ordre public � se, a causa dell'applicazione 
del diritto estero, � il senso di giustizia nazionale venisse 
violato in modo inammissibile � (B.G.E. 83 I 122, Merz, 

a.a.O. n. 80). Nel presente caso ci� � assolutamente da escludere 
come � stato deciso anche nel giudizio precedente. Del resto, 
l'appellante non fece valere detta clausola. 
Per le sopracitate ragioni, ai sensi dell'art. 60, comma 1, lett. 
a, OG, il ricorso, discusso in Camera di Consiglio, � stato respinto. 
-(Omissis). 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


.I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 gennaio 1964 n. 5 -Pres. 
Celentano -Est. Modigliani -P.M. Criscuoli (conf.) -Presidenza 
del Consiglio dei Ministri c. Grifoni. 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 gennaio 1964 n. 127 
Pres. Celentano -Est. Modigliani -P.M. Criscuoli (conf.) Presidenza 
del Consiglio dei Ministri c. Gennuso. 

Amministrazione dello Stato -Comitato Nazionale della produttivit� Organo 
dello Stato -Rapporto d'impiego -Natura pubblicistica. 

O. 31 luglio 1954 n. 626, art. 2). 
Competenza e giurisdizione -Amministrazione dello Stato ed Enti 
pubblici -Rapporto con i dipendenti -Mancanza dell'atto formale 
di nomina -Disciplina privatistica -Controversie -Giurisdizione 
ordinaria. 

Il Comitato Nazionale per la produttivit� � un organo dello 
Stato e fa parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
nella quale s'inquadra; pertanto il rapporto d'impiego con .i 
dipendenti, quando esista l'atto formale di nomina che ne costituisce 
un elemento essenziale, ha natura pubblicistica (1). 

(1) Per l'affermazione della natura di organo d~ll~ Stato del Com~� 
tato nazionale della produttivit�, cfr. la sentenza rich~amat~ nella dec1� 
sione annotata, Cass., Sez. Un., 29 maggio 1962 n. 1294, Giust. civ., 1963, 141. 

273

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Il rapporto di prestazione d'opera retribuita tra un soggetto 
privato ed un ente pubblico, in mancanza di un atto formale 
di nomina, ha carattere privatistico e conseguentemente 
la cognizione delle controversie relative ai diritti soggettivi da 
esso derivanti spetta all'autorit� giudiziaria ordinaria (2). 

(2) Circa i precedenti richiamati dal Supremo Collegio a proposito 
del requisito formale del provvedimento di nomina per il sorgere del 
rapporto di pubblico impiego, cfr. Cass., Sez. Un., 6 ottobre 1962 n. 2829, 
Foro it. Mass. 1962, 800, 18 gennaio 1963, n. 51, Foro it. 1963, I, 622; 18 
maggio 1963, n. 1295, ivi, 1963, I, 674; cui adde, Sez. Un., 29 maggio 
1962 n. 1294, cit. alla nota precedente; 3 marzo 1962 n. 147, Giust. civ. 
1962, I, 1307. 
Tale giurisprudenza pu� dirsi ormai consolidata. Una volta escluso 
il rapporto di impiego pubblico, sorge il problema dell'individuazione clel 
giudice competente a conoscere delle eventuali pretese del prestatore 
d'opera. 

Le Sezioni Unite, con l'annotata decisione, hanno ritenuto di risolvere 
il problema facendo generico riferimento alle norme privatistiche, 
ma, a parte tale genericit�, non sembra che la soluzione proposta possa 
essere adottata nei confronti dello Stato. 

E' da escludere, infatti, la configurabilit� di un rapporto di impiego 
vrivato con lo Stato fuori delle tassative ed eccezionali ipotesi previste 
da leggi speciali. (art. 3 I. 26 febbraio 1962 n. 67, per l'assunzione a 90 
giorni di operai temporanei: facolt�, peraltro, soppressa dall'art. 60 della 
I. 5 marzo 1961 n. 90; art. 7 I. 18 luglio 1957 n. 614 per il personale di 
taluni servizi lacuali, e in tal senso, anche SANDULLI, Manuale dir. amm.vo, 
1959, 133; art. 12 d.l. 13 aprile 1948 n. 221 per il personale della soppressa 
G.R.A., qualificato come personale impiegatizio non statale, cfr. 
Cons. Stato, Ad. plen. 20 dicembre 1955, n. 23, in questa Rassegna, 1956, 

p. 68). 
Rapporti del genere, pertanto, trovano la loro tutela davanti al 
giudice ordinario solo quando essi costituiscano estrinsecazione in un 
incarico professionale o di consulenza (locatio operis). 

Qualora, invece, essi si esplichino con carattere di continuit� e di 
dipendenza gerarchica,, moldelbandosi sopra il rappo'Ito di impie1go, � 
dovendosi escludere la sussistenza vuoi di un rapporto di impiego pubblico 
(per l'assenza dei requisiti formali richiesti � ad substantiam � ), 
vuoi di un rapporto di impiego privato (per l'incapacit� concettuale dello 
Stato ad essere soggetto di tale rapporto), possono trovare tutela 
ginrisdizionale nell'� actio de in rem verso �, la quale prescinde dal 
� titolo � e si fonda sul fatto meramente oggettivo delle prestazioni da 
parte del dipendente e dell'utilit� ricavata dal datore di lavoro. 

Naturalmente, anche questa azione non sarebbe indiscriminatamente 
di competenza dell'a.g.o. imponendosi la ben nota limitazione circa 
l'esperibilit� della relativa pretesa verso la p.a. 

Essa � ammessa, nel nostro ordinamento giuridico solo nei limiti 
dell'utilit� riconosciuta, discrezionalmente, dalla P.A., e, pertanto, nel 
caso di prestazione di lavoro -non potrebbe spingersi oltre i tempi 
ed i modi ritenuti utili e come tali compensati. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

274 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 gennaio 1964, n. 128 -
Pres. Lonardo -Est. Giannattasio -P.M. Pepe (conf.) -Ministero 
LL.PP. c. De Domenico ed altri. 

Cosa giudicata -Giudicato sulla giurisdizione -Necessit� di un giu


dicato anche su questioni di merito' -Non sussiste. 

( c.p.c., art. 37). 

Il giudicato sulla giurisdizione, che preclude il riesame della 
questione nei successivi stati e gradi del processo, pu� formarsi, 
non soltanto in funzione della pronuncia adottata dalla Corte 
di Cassazione, ai sensi degli artt. 41 e 367 c.p.c., o in funzione 
del passaggio in giudicato di una statuizione di merito che presupponga 
il riconoscimento, sia pure implicito, della competenza 
giurisdizionale del giudice che l'ha pronunciata, ma anche 
nel caso in cui una precedente sentenza abbia esplicitamente 
dichiarato la giurisdizione del giudice adito, e tale capo della 
decisione non sia stata tempestivamente o ritualmente impugnato 
(1). 

(1) Con la decisione annotata la Suprema Corte affronta ancora una 
volta il dibattuto problema del giudicato sulla giurisdizione. 
Come � noto, sulla questione il precedente orientamento della Cassazione 
� stato fino ad ora notevolmente oscillante. 
L'indirizzo prevalente pu� considerarsi quello, ora ribadito con la 
decisione sopra riportata (in senso conforme cfr. Sez. Un. 11 ottobre 1963, 

n. 2722, Foro it., Mass. 340) e secondo cui il giudicato formale sulla 
giurisdizione si forma, oltre ovviamente ai casi di pronuncia della Cassazione 
nel suo potere regolatore della giurisdizione stessa (artt. 41, 367 
c.p.c.) ed al caso .di giudicato sostanziale anche parziale sul merito che 
importi pronuncia -esplicita o implicita -sulla giurisdizione, anche 
quando una sentenza, non pi� impugnabile, abbia statuito esplicitamente 
sul punto. 
Rilevante peraltro � il numero degli arresti difformi, nei quali si 
� invece affermato l'opposto principio secondo cui, in applicazione del 
disposto dell'art. 37 c.p.c., non potrebbe formarsi un giudicato solo sul 
punto della giurisdizione, al di fuori cio� di un giudicato sostanziale, 
anche parziale di merito, che comporti l'attribuzione ad uno dei litiganti, 
secondo la formula chiovendiana, di un bene della vita. 

Per l'orientamento tradizionale favorevole al giudicato formale, cfr. 
tra le pi� recenti decisioni: Cass. 23 febbraio 1954, n. 517, Foro it., 1954, 
I, 767; 6 ottobre 1954, n. 3341, id., Rep. 1954, v. Competenza civ., n. 412; 
17 ottobre 1955, n. 3225, Foro it., Rep. 1955, v. Impugnazione civ., n. 30; 
3 maggio 1956 n. 1380, id., Rep. 1956, v. Cosa giudicata civ., n. 54; 8 febbraio 
1958, n. 406, id., Rep. 1958, v. Competenza civ., nn. 444 e 445; 28 ot 
tobre 1959, n. 3159, id. Rep. 1959, v. Competenza civ., n. 161, e, in particola



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 275 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 199 -Pres. 
Est. Pece -P.M. Maccarone (Conf.) -Micillo c. Ministero 
Finanze 

Impugnazione -Giudizio di appello -Sentenza non definitiva -Pronuncia 
positiva sulla giurisdizione negata dal giudice di 1. grado 
ed omessa rimessione della causa a tale giudice -Omessa riserva 
di gravame -Passaggio in giudicato della sentenza non definitiva 
-Sentenza definitiva -Ricorso per Cassazione -Denunciata 
violazione dell'art. 353 c.p.c. -Preclusione. 

(c.p.c,, art. 353). 

Se il giudice di appello, nel riformare la sentenza del giudice 
di primo grado che abbia dichiarato il difetto di giurisdi


re, 
per un meditato riesame della questione, Sez. Un. 22 luglio 1960, 

n. 2084, Foro it., 1691, I, 481, con ampia nota di richiami. 
Per l'orientamento negativo della possibilit� di un giudicato formale 
se non in base a pronuncia su regolamento di giurisdizione cfr. : 
Cass. 30 maggio 1958, I, 1820, Foro it., Rep. 1958, v. Competenza civ., 
nn. 72 e 73; 24 marzo 1959, n. 918, id., Rep. 1959, v. Cosa giudicata civ., 

n. 21; 10 aprile 1959, n. 1072, Foro it., 1959, I, 755; 22 maggio 1959, numero 
1573, id., Rep. 1959, v. Competenza civ., n. 330; 13 ottobre 1959, 
n. 
2818, id., nn. 331-333; 3 marzo 1961, n. 456, Foro it., 1961, I, 949. 
In dottrina la maggioranza degli autori � favorevole al giudicato 
formale sulla giudisdizione: ANDRIOLI, Commento al Codice di proc. civ., 
vol. I, 146; GIUDICEANDREA, Le impugnazioni civili, 1952, II, 12. Contra: 
D'ONOFRIO, Commento, 1957, I, 82. 
Per una trattazione critica dell'argomento, esauriente ed informata, 
cfr. la nota di R. SANDULLI, In tema di giudicato sulla giurisdizione, Giust. 
civ., 1960, I, 1932. 
Resta da aggiungere che nella causa decisa con la sentenza annotata, 
l'Avvocatura nel proporre ricorso non aveva ritenuto di porre 
in discussione il principio poi riaffermato dalla Cassazione,. ma aveva rilevato 
che, nella specie, non si poteva dire che si fosse formato un giudicato 
sulla giurisdizione perch� la sentenza del Tribunale era stata impugnata 
proprio su tale punto da una delle parti, a nulla potendo rilevare 
che tale parte non avesse poi pi� coltivato tale capo di impugnazione. 


Sul problema generale, non si pu� non rilevare che � auspicabile che 
la Suprema Corte nella sua funzione regolatrice consolidi la propria 
giurisprudenza, essendo evidente che il contrasto di decisioni su di un 
argomento di tanta rilevanza, determina un dannoso stato di incertezza 
nella pratica della vita giudiziaria, incrementa il peso dell'alea nella' 
decisione delle liti e, in definitiva, compromette la possibilit� di raggiungere 
quella giustizia sostanziale che con il processo si cerca di perseguire. 



276 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione dell'A.G.O., afferma, con sentenza non definitiva, la giurisdizione 
del giudice ordinario e trattiene la causa presso di 
s� per l'esame di merito, invece di rimetterla, a norma dell'art. 
353 c.p.c., al giudice di primo grado, senza che alcuna riserva 
di gravame venga fatta contro detta sentenza non definitiva, 
l'errore cos� commesso, non pu� formare motivo di censura 
col ricorso per cassazione proposto contro la sentenza 
definitiva, giacch�, a causa della mancata riserva di gravame e 
della mancata proposizione del ricorso immediato contro la 
sentenza non definitiva, questa � passata in cosa giudicata (1). 

(1) Non risultano precedenti in termini. La Corte di Cassazione ha I fatto puntuale applicazione dei principi che regolano la cosa giudicata. 
E', invero, di intuitiva evidenza l'inammissibilit� di un'impugnazione 
I 

avverso una pronuncia definitiva, per un errore in procedendo che gi� 

I

inficiava la sentenza non definitiva passata in giudicato. f, 
Nella specie la Corte d'Appello con la sentenza non definitiva aveva < 
: 
: 

I ~ 

dichiarato la giurisdizione dell'a.g.o. e non aveva altres� dichiarato di ' 
trattenere la causa per il merito, disponendo, con separata ordinanza, 
, 
l'acquisizione di mezzi istruttori, e poich� contro tale sentenza non era 
stata proposta riserva di ricorso per cassazione, ne discendeva che la 

I 

sentenza non definitiva era passata in cosa giudicata, e pertanto inam" 
missibile era il ricorso proposto avverso la sentenza definitiva per un 

>�

I. 
preteso errore in procedendo, gi� consumatosi con la pronuncia non 
defin�tiva. m: 
Peraltro, � forse interessate rilevare che -come non di rado avviene 
-la sentenza riportata non d� completamente conto della tesi }

ldel ricorrente, che non � cos� sprovveduta come potrebbe apparire dalla 
lettura della decisione. 

Invero, il ricorrente non contestava il principio affermato dalla Suprema 
Corte, ma sosteneva che, nella specie, il decisum della sentenza 
non definitiva si doveva intendere limitato alla sola declaratoria di 
giurisdizione dell'a.g.o. e che solo con la contestuale, ma separata ordinanza 
la Corte aveva rimesso la causa al Consigliere Istruttore, con la 
conseguenza che solo con la sentenza definitiva si sarebbe consumata 
la violazione dell'art. 353 c.p.c., non essendo ovviamente impugnabile di 
per s� l'ordinanza istruttoria. 

Ma � stato agevole rilevare che il decisum attiene non solo alle statuizioni 
del dispositivo ma anche alle affermazioni della parte motiva 
che di quello costituiscono il fondamento logico e giuridico. Nella specie 
risultava evidente dalla motivazione che con la sentenza non definitiva 
la Corte aveva inteso trattenere dinnanzi a s� il giudizio, dal che 
conseguiva la possibilit� e l'onere di impugnazione di tale pronuncia 
(per riferimento circa il giudicato sostanziale e formale e la preclusione 
delle questioni cfr. R. SANDULLI, In tema di giudicato sulla giurisdizione, 
Giust. Civ. 1960, I, 1932). 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

(Omissis). -La censura � inammissibile. Giova richiamare 
che la Corte di Appello ha pronunziato, nel processo in esame, 
due sentenze. Con una prima sentenza in data 19 giugno-21 dicembre 
1959, riformando la pronunzia del Tribunale, dichiar� 
che la questione sollevata dal Mic�llo era di estimazione complessa 
e, come tale, rientrava nella competenza del giudice ordinario; 
dichiar� che la causa doveva essere trattenuta per l'esame 
del merito e dispose, con separata ordinanza, alcuni atti 
istruttori. 

-Con una seconda sentenza, in data 24 marzo-22 luglio 1961, 
decidendo definitivamente in merito alla domanda del Micillo, 
la Corte di Appello rigett� la domanda stessa. 

Il Micillo non fece alcuna riserva di gravame avverso la 
prima sentenza della Corte d'Appello ed ha proposto il ricorso 
per cassazione esclusivamente avverso la seconda sentenza. . 

Va richiamato che, una volta riconosciuto che il giudice di 
primo grado, contrariamente a quanto da lui affermato, poteva 
c�noscere della causa, il giudice di appello deve spogliarsi 
della causa e, al fine di garantire l'osservanza del doppio grado 
di giurisdizione, deve chiudere con sentenza il processo innanzi 
di s� e, con la stessa sentenza, deve rinviare le parti 
al primo giudice. Infatti, l'art. 353 c.p.c. prescrive testualmente 
che, nella ipotesi suesposta, il giudice di appello � pronuncia 
sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice
�. 

Ne segue che, nella specie in esame, l'errore denunziato dal 
Micillo con il secondo mezzo del ricorso (omessa rimessione 
delle parti al primo giudice e ritenzione della causa nel merito 
da parte del giudice di appello) � imputabile alla prima sentenza 
pronunziata dalla Corte di appello. E poich� detta sentenza, 
stante la mancata riserva di gravame e la mancata proposizione 
di ricorso per Cassazione, era ormai passata in cosa 
giudicata, l'errore successivamente prospettato dal Micillo non 
pu� pi� formare oggetto di censura ed essere valorizzato per 
l'annullamento della seconda sentenza della Corte di Appello. 
Quest'ultima sentenza, infatti, a causa della preclusione derivante 
dalla precedente pronunzia, pi� non poteva rimettere in 
discussione (ed esattamente non ha pi� rimessa in discussione) 
la possibilit� di giudicare direttamente nel merito ed a tale giudizio 
di merito ha proceduto. A torto il Micillo afferma che egli 
non aveva interesse a gravarsi della prima sentenza. Al contrario, 
dopo quanto detto, � evidente che tale interesse gli de



278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rivava direttamente dal fatto che quella prima sentenza lo 
privava, in conseguenza della violazione dell'art. 353 c.p.c., della 
garanzia del doppio grado di giurisdizione (Omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 15 gennaio 1964, n. 1 -Pres. 
Meregazzi -Est. Potenza -soc. Elettrica Sarda c. Giunta Regionale 
Sarda. 

Competenza e giurisdizione -Regioni -Atto amministrativo -Contestazione 
relativa alla competenza della Regione -Conflitto di attribuzioni 
-Non sussiste -Giurisdizione del Consiglio di Stato -Sussiste. 


Sardegna -Regione -Competenza amministrativa in materia di distribuzione 
di energia elettrica -Appartiene all'Amministrazione Statale. 


L'attribuzione di poteri alle Regioni rimane nel quadro organizzativo 
di un decentramento istituzionale dei poteri statali e il 
loro conferimento rientra sempre nei limiti di una attribuzione 
di competenza. Pertanto la contestazione relativa al potere di 
una Regione di emanare un determinato atto amministrativo 
non equivale a negazione del potere della P.A. e rientra nella giurisdizione 
del Consiglio di Stato (1). 

(1) La Quarta Sezione conferma la propria giurisprudenza secondo 
cui l'invasione da parte degli organi della Regione o dello Stato nella sfera 
amministrativa dell'altro Ente pu� da un terzo soggetto essere denunziata 
a tutela di un proprio interesse dinnanzi al giudice competente a giudicare 
di questo ultimo, senza con ci� dar luogo ad un conflitto di attribuzioni 
in senso tecnico. (Cfr. IV, 9 giugno 1959, n. 663, Rass. Cons. Stato 1959, I, 
771; IV, 17 ottobre 1956 n. 697, ivi, 1956, I, 1262; 10 dicembre 1958 n. 919, 
ivi, 1958, I, 1523; 30 dicembre 1959 n. 1049, ivi, 1959, I, 1782; 30 novembre 
1960 n. 995, ivi, 1960, I, 2160; 7 dicembre 1960 n. 1051, ivi, 1960, I, 2382). 
In questa Rassegna si � pi� volte avuto occasione di illustrare l'errore 
di impostazione che � alla base di tale orientamento. (Cfr. GuGLIELMI Questioni 
di competenza costituzionale e giurisdizione in questa Rassegna, 
1960, 65; 1963, 28; cfr. inoltre ibid., 1961, 109; 1962, 72; 1'963, 150). 

Si � cos� chiarito che il problema di fondo non � quello della tutela 
giurisdizionale di una posizione soggettiva che l'Ordinamento assicuri ad 
un soggetto, ma � quello, preliminare, se, nella specie, l'Ordinamento assicuri 
una tale posizione di vantaggio ai consociati. 

E' infatti evidente che il richiamo al disposto dell'art. 113 della Costituzione 
che (in modo pi� o meno esplicito) � alla base o, almeno, sostiene 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 279 

L'attribuzione alla competenza legislativa della Regione Sarda 
della materia relativa alla produzione e alla distribuzione 
dell'energia elettrica non �, di per s�, sufficiente a fare ad essa 
(lcquisire la competenza amministrativa, occorrendo altres� che 
sia adottato un provvedimento di trapasso dei poteri dallo Stato 
alla Regione in conformit� di quanto stabilisce la disposizione 
VIII della Costituzione. Tale trapasso, almeno in materia di distribuzione 
di energia elettrica, non pu� dirsi avvenuto n� per 
effetto dell'art. 13 d.P.R. 9 maggio 1950, n. 327 (contenente norme 
di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna), dichia


la tesi accolta dal Consiglio di Stato e da parte della dottrina, in tanto ha 
un senso, in quanto in via preliminare si accerti che si pu� effettivamente 
configurare quella posizione di interesse legittimo la cui tutela giurisdizionale 
si vuole assicurare ammettendo l'esperibilit� del ricorso giurisdizionale. 


Orbene, impostata cos� la questione su di un piano di diritto sostantivo, 
al quesito se sia configurabile un interesse legittimo del privato 
all'osservanza delle norme costituzjonali di attribuzione di competenze 
amministrative fra Stato e Regione, non sembra possa rispondersi che 
negativamente, in quanto, da una parte, la Carta costituzionale ripartisce 
le attribuzioni avendo di mira solo l'interesse pubblico dell'equilibrio tra 
gli Enti costituzionalmente garantiti e senza collegare a tale espresso interesse, 
neppure in via occasionale o strumentale, la posizione dei terzi, (nel 
quale collegamento soltanto potrebbe trovarsi la fonte di un interesse legittimo), 
dall'altra, il Legislatore Costituzionale ha previsto con l'apposito 
procedimento dinanzi alla Corte Costituzionale un sistema esclusivo di 
risoluzione dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione e non � chi 
non veda come un'eventuale cognizione da parte del Consiglio di Stato (sia 
pure in via incidentale o occasionale, in relazione alla legittimit� di un determinato 
atto amministrativo) dei limiti di attribuzione tra Stato e Regione 
verrebbe necessariamente ad interferire con il predetto sindacato 
esclusivo della Corte Costituzionale. 

Si pensi solo ad un atto amministrativo statale o regionale che dia 
luogo contemporaneamente ad un conflitto di attribuzioni dinnanzi alla 
Corte Costituzionale e ad una impugnativa per incompetenza dinnanzi 
alla giurisdizione del Consiglio di Stato da parte di un privato: � facile 
giuoco casistico prospettarsi tutti i possibili (ed irrimediabili) contrasti 
che possono venire jn essere, sia nel caso in cui la pronuncia della Corte 
preceda quella del Consiglio, sia nel caso inverso. 

Queste considerazioni fanno ritenere che nessun interesse legittimo 
venga a costituirsi in capo al privato in relazione alla osservanza da 
parte degli organi regionali e statali dei limiti di attribuzioni stabiliti dalla 

Costituzione. 

Nella decisione annotata ia Quarta Sezione, nel confermare la precedente 
giurisprudenza gi� citata, esamina il problema sotto il nuovo profilo 
nel quale era stato prospettato nell'ultimo articolo in argomento di GuGLIELMI 
(in questa Rassegna 1963, 28). 


280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rato incostituzionale con sentenza 13 luglio 1956, n. 22 della Corte 
Costituzionale, n� per effetto della legge regionale 24 febbraio 

1956, n. 38, la quale regola l'esercizio delle funzioni amministrative 
in materia di acque pubbliche e di produzione dell'energia 
elettrica ma non in materia di distribuzione dell'energia. 

(Omissis). -Va preliminarmente disattesa la eccezione di 
inammissibilit� per difetto di giurisdizione sollevata in sede di 
discussione orale dalla difesa della Regione in ordine al I motivo 
del ricorso, sotto il profilo che esso, in quanto contesta la 
competenza a provvedere della Regione, contesterebbe il potere 

In tale articolo si era rilevato che, in ogni caso, l'eventuale invasione 
da parte di Organi della Regione e dello Stato nella sfera amm.va dell'altro 
Ente non comporta un mero difetto di competenza (denunciabile come 
vizio di legittimit�) ma si risolve, semmai, in un difetto assoluto di potere 
da parte dell'Autorit� che ha emanato l'atto: di fronte a tale radicale 
carenza di potere la posizione del privato non pu� essere configurata 
come interesse legittimo, ma assume consistenza di diritto soggettivo, cosicch� 
non pu� essere fatta valere dinnanzi al Consiglio di Stato che difet~
i 
terebbe, sul punto; di giurisdizione. 

La Quarta Sezione, ha respinto tale impostazione affermando che la 

I 

attribuzione di potere alla Regione rimane nel quadro organizzativo di un f 
decentramento istituzionale dei poteri statali e il loro conferimento rien~:; 
tra sempre nei limiti di una attribuzione di competenza, e che pertanto 
l'atto con cui l'Autorit� Regionale abbia invaso la competenza attribuita 
, 


.

I

allo Stato sarebbe pur sempre viziato di incompetenza e non inficiato da 

m

un assoluto difetto di potere. 

A noi sembra evidente il paralogismo che si annida in tale motivazione. ~ 
E' vero che i poteri attribuiti a Stato e Regione hanno natura omogenea 
(amministrativa) e rientrano in una comune fonte primaria, ma � pur 

l

vero che la garanzia costituzionale accordata a tali attribuzioni crea un . 
diaframma di rilevanza costituzionale tra la sfera di attivit� regionale 
e la sfera di attivit� statale, cosicch� l'eventuale sconfinamento da parte 

, 

di uno dei due enti non si risolve in un mero vizio di incompetenza, ma 
si atteggia come un assoluto difetto di potere. 

i

D'altra parte � evidente l'analogia che pu� porsi tra ripartizione di ru 

I ~ 

competenze amm.ve (tra Stato e Regione) e ripartizione di competenze 
giurisdizionali (tra i vari Organi giurisdizionali dello Stato: Autorit� Giudiziaria 
Ordinaria, Consiglio di Stato, Corte dei Conti ecc.). 

w,~

Orbene, in tale campo, pur trattandosi di attribuzioni nell'ambito della 

m

stessa funzione giurisdizionale e pur risolvendosi, in tal senso, in una specificazione 
di competenze all'interno di quel potere, tuttavia a causa della r. 
rilevanza primaria che a tale ripartizione di poteri d� l'Ordinamento, non r~i~.: 
si � mai dubitato che lo straripamento di un organo della giurisdizione 


t" 

nella sfera di attribuzioni di un altro, configura non un vizio di competenza, 
ma un difetto di giurisdizione. 

lii.
Analogamente, nel campo della ripartizione di attribuzioni amministrative 
tra Stato e Regione, pur essendo esatto che si tratta di compe~


�1=� 

tenze nell'ambito dello stesso potere di amministrazione pubblica, non . 

I j

I 

V: 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

281 

stesso dell'Amministrazione di adottare il provvedimento. Va osservato 
al riguardo che il dedotto vizio di competenza � tipicamente 
un vizio che appartiene al Consiglio di Stato di conoscere 
per espresso disposto dell'art. 26 t.u. 21 giugno 1924, n. 1054. 
N� tale vizio si atteggia diversamente per il solo fatto che la 
competenza contestata appartenga ad una Regione, sia pure a 
Statuto speciale. L'attribuzione di poteri alle Regioni rimane nel 
quadro organizzativo di un decentramento istituzionale dei poteri 
statali e il loro conferimento rientra sempre nei limiti di 
una attribuzione di competenza. La contestazione relativa al potere 
della Regione non equivale quindi ad una negazione in ordine 
al potere della P.A. di emanare l'atto impugnato, in quanto 
sia la Regione che lo Stato (come potere esecutivo) costituiscono 
pur sempre la Pubblica Amministrazione nel suo complesso. 


(Omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. pl. 30 gennaio 1964, n. 25 -Pres. 
Bozzi -Est. Landi -Federazione It. della Caccia ed altri 

c. Ministero Agricoltura. 
Competenza e giurisdizione -Riserva di caccia -Atto di proroga di 
concessione ~ Federazione It. caccia � Interesse legittimo -:Fattispecie 
-Insussistenza -Ricorso giurisdizionale ~ Inammissibilit�. 

(t.u. 5 giugno 1939 n. 1016, art. 43 e segg. e 86). 
Competenza e giurisdizione -Riserva di caccia -Atto di proroga di 
concessione -Privati �cacciatori� -Interesse legittimo -Insussistenza 
-Ricorso giurisdizionale -Inammissibilit�. 

(t.u. 5 giugno 1939 n. 1016 art. 43 e segg.) 
sembra per� contestabile che, data la rilevanza costituzionale data dallo 
ordinamento a tale ripartizione, l'atto con cui un Organo della Regione e 
dello Stato straripi nella sfera di attribuzioni dell'altro Ente deve considerarsi 
viziato non per mero difetto di competenza, ma per assoluto difetto 
di potere. 

Non sembra pertanto conclusiva l'argomentazione su cui la Quarta Sezione 
ha basato la propria decisione n� pu� condividersene l'attuale orientamento: 
� pertanto da auspicare che su tali importanti questioni, che d'altra 
parte involgono problemi fondamentali per l'ordinato articolarsi della 
vita amministrativa del Paese, venga provocato un nuovo e pi� approfondito 
esame. 



282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La Federazione Italiana della Caccia � una semplice associazione, 
oggi non pi� obbligatoria, dei cacciatori e dei concessionari 
con finalit� di disciplina sportiva, di propaganda e di perseguimento 
di comuni interessi. Pertanto ad essa l'Ordinamento 
non assicura, in via generale, una posizione di interesse legittimo 
tutelabile giurisdizionalmente riguardo ad un provvedimento 
di proroga di una concessione, a favore di un privato, di 
una riserva di caccia (1). 

Il c.d. diritto soggettivo di caccia (art. 842 e.e.) non viene 
preso in considerazione dalle norme che regolano la concessione 
di riserva di caccia e pertanto al cacciatore non � assicurata dall'Ordinamento 
una posizione di interesse legittimo tutelabile giurisdizionalmente 
riguardo ad un provvedimento di proroga di 
una concessione, a favore di un privato, di una riserva di caccia 
(2). 

(1-~) Osservazioni in tema di interesse semplice. 

I precedenti citati nella decisione si possono leggere: Corte Cost. 
26 giugno 1962 n. 69 Ciuris. Cast. 1962, 738 (con nota di CRISAFULLI); 
Cons. Stato, VI, 7 luglio 1954 n. 481, Il Consiglio di Stato, 1954, I, 639; 
IV, 24 maggio 1957, n. 577, ibid, 1957 643. 

Con la decisione annotata l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 
ha affrontato il problema della proponibilit�, da parte della Federazione 
della Caccia e da parte di due cittadini qualificatisi come �cacciatori�, 
di un ricorso giurisdizionale avverso un atto di proroga di una concessione 
di riserva di caccia. 

La decisione appare importante, non solo per quanto riguarda lo 
specifico settore della caccia, ma, pi� in generale, per quanto riguarda 
la configurazione della posizione di interesse legittimo, in quanto con 
questa sentenza l'Adunanza Plenaria riafferma con nettezza i caratteri 
distintivi della figura dell'interesse legittimo e ne pone in evidenza gli elementi 
differenziali dal mero interesse di fatto. 

Tale pronuncia appariva necessaria dopo la decisione della Sezione 
Quinta 30 marzo 1963 n. 170 riportata in questa Rassegna, 1964, retro, I, 44, 
e nella quale erano contenute affermazioni, tali da generare notevoli 
perplessit� sui criteri di discriminazione tra interesse legittimo e interesse 
semplice e sulla stessa possibilit� di effettiva distinzione tra le 
due posizioni. La nota di AGR� (� Ancora sulla distinzione tra interesse 
legittimo e interesse a ricorrere� in questa Rassegna, retro, 1, 44), aveva 
chiarito il .rischio contenuto in un'impostazione priva di rigore nella definizione 
dell'interesse legittimo e possiamo ora leggere con soddisfazione 
la meditata motivazione con cui l'Adunanza Plenaria ha ribadito che per 
aversi una posizione di interesse legittimo non � sufficiente che l'atto 

I 
~:: 

amm.vo possa produrre una lesione nella sfera degli interessi di un privato, 
ma occorre che l'interesse del privato abbi:l acquistato rilevanza 
giuridica per il collegamento, sia pure indiretto e strumentale, che >:; 

. 

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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 283 

(Omissis). -L'eccezione di difetto di legittimazione attiva 
dei ricorrenti -sollevata dal resistente Cattaneo della Volta deve 
essere esaminata separatamente nei confronti della Federazion 
italiana della Caccia, e dei � cacciatori� Geppi e Dolfi.n, 
pur dovendosi pervenire nell'uno e nell'altro caso -sia pure 
per diverse considerazioni -a concludere che la legittimazione 
manca. 

La Federazione dalla Caccia invoca a fondamento della pro-

l'Ordinamento ne abbia fatto con l'interesse pubblico perseguito dalla 
norma. 

Solo in presenza di tale intima e bene individuata correlazione posta 
dalla norma tra la posizione del privato e l'interesse pubblico perseguito 
si pu� parlare di interesse legittimo e di conseguente tutela giurisdi:
Gionale: altrimenti la posizione del privato rispetto al potere della p.a. 
non acquista rilevanza giuridica e si risolve in un interesse di mero 
fatto, sforn�to di giuridica protezione. 

In base a tali considerazioni � stato dichiarato inammissibile sia 
il ricorso della Federazione della Caccia che quello proposto da due 
cacciatori avverso un provvedimento di proroga di concessione di riserva, 
in quanto la normativa che regola tali atti tiene conto solo dell'interesse 
pubblico che contempera con l'interesse del concessionario e 
quello del proprietario del fondo, mentre non viene in considerazione, 
neppure in via indiretta, la posizione dei singoli cacciatori. Particolarmente 
interessante � la declaratoria di inamissibilit�. del ricorso proposto 
da due �cacciatori�, perch� i ric0rrenti affermavano la configurabilit� 
di un loro interesse legittimo in base alla posizione di diritto soggettivo 
di caccia che il codice civile stabilisce all'art. 842 e la consistenza 
di diritto soggettivo della posizione del privato poteva deviare la linearit� 
dell'indagine. 

Ma � stato agevole rilevare che, anche ove la posizione del privato 
assuma la consistenza di diritto soggettivo, non per questo si pu� dire 
che l'Ordinamento assicuri una posizione di interesse legittimo se non 
prevede, per l'appunto, quel collegamento tra il fine pubblico perseguito 
dalla norma che concede o regola il potere dela p.a. e la posizione del 
privato. 

Nella specie il c.d. diritto soggettivo alla caccia ha per soggetto pas


sivo il proprietario che non pu� escludere il cacciatore dal suo fondo 

<>e non nei modi stabiliti dalla legge. 

Ma tale posizione del privato non � presa in considerazione, neppure 

in via indiretta o occasionale, dalla norma che regola la concessione 

di riserva di caccia e pertanto, rispetto all'atto amm.vo emanato in 

forza di quel potere, il privato, sia pure � cacciatore �, non pu� van


tare un interesse legittimo (cfr. in dottrina CIGOLINI, Il diritto di cac


cia, 74). 

La decisione appare, pertanto, di notevole importanza ed � da auspicare 
che valga a contribuire alla chiarificazione dei concetti fondamen




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

284 

pria azione la disposizione dell'art. 86, 5� comma, del t.u. 5 giugno 
1939, n. 1016, che le attribuisce la � difesa in genere degli 
interessi dei cacciatori�, E pertanto essa in memoria afferma 
che � a ben guardare � proprio la Federazione il soggetto pi� 
idoneo a reagire contro un provvedimento, come quello impugnato, 
che arreca una lesione specifica non ad un solo soggetto, 
bens� ad un'intera categoria di soggetti accomunati dallo stesso 
interesse ad esercitare la libera caccia�. 

Va subito osservato, peraltro, che la Federazione non � una 

tali della giurisdizione amministrativa, ancora in via di elaborazione e 

consolidamento. 

Si vuole solo aggiungere un rilievo di carattere marginale. 

Come il lettore attento avr� rilevato, nella motivazione della deci


sione l'esame della sussistenza dell'interesse legittimo nei riguardi del


la Federazione della Caccia viene fatto analiticamente rispetto ai singoli 

motivi di ricorso e in relazione al modo in cui � prospettata la censura 

da parte del ricorrente. 

Una tale impostazione non appare del tutto soddisfacente, per


ch�, in tale modo sembra che si giunga ad affarmare o negare la 

giurisdizione non in base ad una valutazione obiettiva della posizione 

che l'Ordinamento assicura ad un soggetto in relazione ad un deter


minato rapporto (o comunque ad un determinato potere della p.a.), 

ma in relazione al modo in cui il soggetto stesso ha ritenuto di pro


porre il ricorso. 

A noi sembra che in tal modo si venga in un certo senso, a ripro


porre quale criterium discriminationis tra interesse legittimo e inte


resse semplice la teoria della prospettazione gi� ripudiata come criter�o 

di differenziazione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione del Con


siglio di Stato. 

E' peraltro evidente che gli argomenti che indussero ad abban


donare quella teoria nel campo della discriminazione tra giurisdizioni, 

valgqno altres� a non accoglierla ai fini della distinzione tra interesse 

legittimo e interesse semplice, distinzione, quest'ultima, che attiene alla 

sussistenza o meno della giurisdizione. 

La giurisdizione esiste o non esiste in relazione alla valutazione che 

l'Ordinamento fa della posizione e degli interessi del privato, e non pu� 

dipendere dall'arbitrario e soggettivo modo di atteggiarsi del ricorso. 

Riteniamo pertanto che l'indagine sulla proponibilt� del ricorso, pur 

dovendosi ovviamente condurre in relazione ai motivi proposti, debba 

peraltro prescindere dalla concreta e, diremmo, empirica prospettazione 

che di essi ne faccia la parte, ma debba mirare soltanto ad accertare 

se, rispetto al rapporto regolato con l'atto impugnato, l'Ordinamento 

assicuri o meno al ricorrente una posizione di interesse legittimo (so


stantivo). 

Occorre pertanto accertare se la norma che accorda o regola il po




PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 285 

organizzazione di � cacciatori liberi �, la cui funzione di � difesa � 
possa essere riferita agli interessi di tale categoria, contrapposti 
a quelli dei concessionari di bandite o riserve. Il 2� comma 
dell'art. 86 stabilisce che fanno parte di essa � i cittadini che 
abbiano ottenuto la licenza di caccia o di uccellazione e i concessionari 
di bandite e di riserve�, e il 4� comma aggiunge che 
� la Federazione ... presiede all'attivit� dei cacciatori italiani e 
provvede ad inquadrare ed organizzare i cacciatori, uccellatori 
e concessionari di bandite o di riserve ... ai fini della necessaria 
disciplina nell'applicazione della presente legge, in armonia con 
i superiori interessi nazionali�. Tale �inquadramento�, come 
anche risulta dalla sentenza della Corte costituzionale 26 giugno 
1962, n. 69, non implica una funzione di �vigilanza� sull'attivit� 
della caccia (che spetta ad altri organi, quali le Amministrazioni 
provinciali e i Comitati provinciali della caccia), ma consiste 
nella semplice associazione dei cacciatori e concessionari 
con finalit� di disciplina sportiva, di propaganda e di perseguimento 
di comuni interessi; associazione che oggi non � pi� obbligatoria, 
perch� tale prescrizione -contenuta nel t.u. 5 giugno 
1939, n. 1016 -� venuta meno, per l'affermato contrasto con 
l'art. 18 della Costituzione. Circoscritte in tal modo le finalit� 
dell'ente, occorre ai presenti fini rilevare che � cacicatori liberi � 
e � concessionari >� sono considerati unica categoria, dimodoch� 
appare gi� in contrasto con gli scopi istituzionali assumere come 
interesse prevalente l'� esercizio della libera caccia �, quando 
il comune inquadramento attribuisce all'ente la tutela di entram


bi i gruppi che svolgono attivit� venatorie, in una funzione di 
composizione d'interessi (� in armonia con i superiori interessi 
nazionali � ), ed in applicazione d'una legge che considera le bandite 
e riserve, non quali mere situazioni di privilegio, ma come 
� uno dei mezzi pi� idonei al ripopolamento � della selvaggina 
(v.la Relazione del Ministro dell'Agricoltura e delle foreste, premessa 
al t.u. cit.). 

Precisato cos�, che, dove l'art. 86 cit., parla di � difesa in ge


tere esercitabile dalla p.a. per la emanazione dell'atto impugnato abbia 

o meno preso in considerazione la posizione che il privato ha in relazione 
al rapporto regolato, e se, di conseguenza, abbia o meno conferito 
a tale posizione la consistenza di interesse legittimo e la possibilit� di 
tutela giurisdizionale, a nulla rilevando, ai fini di tale indagine, quale 
� prospettazione � abbia dato il ricorrente alla censura. 
G. ZAGARI 

286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nere degli interessi dei cacciatori�, non si tratta esclusivamente 
della categoria dei cittadini che �abbiano ottenuto la licenza 
di caccia o di uccellazione �, bens� dell'intera categoria organizzata, 
comprensiva quindi dei � concessionari�, bisogna ulteriormente 
definire il senso della espressione� difesa degli interessi�. 
Secondo la ricorrente, essa attribuirebbe alla Federazione la potest� 
di invocare la tutela giurisdizionale, nell'interesse generale 
dei cacciatori. Che qui non sia in questione un interesse di tutti 
gli organizzati, ma soltanto quello d'un gruppo di essi risulta 
gi� da quanto precede. Ma, in pi�, quando l'azione sia da svolgere 
innanzi alle autorit� di giurisdizione, la identificazione d'un 
fine dell'ente, in tal modo definito, non pu� consentire di derogare 
ai principi concernenti la legittimazione ad agire. In sede 
politica o amministrativa, dove ogni pretesa si pu� prospettare 
quando pure concreti soltanto un �interesse semplice�, la Federazione, 
come organo rappresentativo di categoria, potrebbe 
invocare dalle competenti autorit� quelle modificazioni alle leggi 
in vigore, o quelle revisioni d'indirizzo amministrativo, che le 
acquisite esperienze potrebbero dimostrare necessarie ed opportune. 
Ma, per ricorrere in sede giurisdizionale al Consiglio di 
Stato, � necessario dimostrare la titolarit� di un � interesse 
legittimo �. Vale a dire, non basta asserire che, nell'emanazione 
di un atto,. l'Amministrazione sia incorsa in un vizio di legittimit�: 
occorre, in pi�, che la illegittimit� dell'atto abbia determinato 
una specifica lesione della sfera giuridica del ricorrente. 

Da tale punto di vista, la decisione della VI Sez. 7 luglio 
1954, n. 481, citata in udienza dalla Federazione, non apporta 
alcun sussidio alla tesi della ricorrente. Ricorrevano, contro la 
rinnovazione d'una riserva di caccia, il Comune di Aquileia e la 
Sezione cacciatori. La decisione, che si conclude con una dichiarazione 
d'inamimssibilit� del ricorso per mancanza di provvedimento 
definitivo, non si pronuncia sul punto della legittimazione 
della Federazione, sotto il profilo che viene in esame in questa 
sede, ma tratta un profilo diverso, cio� quello della capacit� di 
stare in giudizio delle Sezioni, che viene risolto affermativamente. 
La difesa della Federazione vuol desumere, che implicitamente, 
ed in via generale, la Sezione avrebbe ritenuto la legittimazione 
ad agire degli organi federali contro le rinnovazioni 
di riserve. Ma l'argomento cade, dinanzi alla constatazione, desumibile 
dalle premesse di fatto della decisione, che in quel caso 
il Comune aveva riserva su tutto il territorio comunale, eccezion 
fatta per la zona concessa a privati; e che la Sezione Cacciatori 
lamentava, per effetto del rinnovo della concessione, �lo scorporo 
di un'estesa zona a lei data in gestione �. E' chiaro che la 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 287 

rinnovazione della riserva determinava una specifica ripercussione 
dannosa nella sfera giuridica dei ricorrenti, dimodoch� il 
problema odierno non si presentava affatto, e la Sezione non 
aveva motivo di risolverlo. 

Un'altra decisione della VI Sezione -30 giugno 1954, n. 454 
-ammette bens�, in una fattispecie affine a quella odierna (ma 
concernente altre norme) la legittimazione del presidente della 
� Sezione Cacciatori del Comitato provinciale della caccia�, ma 
insiste per� sulla sua qualit� di cacciatore, donde deriverebbe 
la proponibilit� del ricorso a tutela della posizione garantita 
dall'art. 842 cod. civ. Questa decisione esclude quindi, implicitamente 
la legittimazione degli organi federali, in quanto l'interesse 
� stato ravvisato, non nella Sezione, ma nella persona del suo 
presidente � che sottoscrivendo il ricorso... ha dichiarato di proporlo 
anche in proprio�, come titolare di licenza di caccia. 

Nel caso in esame, i precedenti citati non sono dunque utilizzabili 
a favore della ricorrente: e si tratta soltanto di stabilire 
se esista quel particolare collegamento, tra una asserita illegittimit� 
dell'atto amministrativo, ed una lesione della sfera giuridica 
della Federazione, che, per quel che pi� sopra si � detto, 
pu� rendere ammissibile il ricorso. 

Le prime due censure investono l'efficacia retroattiva del 
rinnovo della concessione. La Federazione non illustra nessuna 
situazione particolare, che, nei rapporti tra essa e l'Amministrazione 
abbia potuto determinare una lesione degli interessi dell'ente. 
Si fa cenno soltanto di possibili effetti nei confronti dei 
cacciatori (degli organizzati, quindi, e non della persona giuridica) 
per la restrizione della sfera di libero esercizio della caccia, 
e per il pericolo che la retroattivit� dell'atto possa rendere 
penalmente perseguibili infrazioni che altrimenti non lo sarebbero. 
Non si dice per� se situazioni del genere si siano verificate. 
Del resto, le ipotetiche controversie sulla responsabilit� d'eventuali 
contravventori avrebbero potuto essere sottoposte al giudice 
competente, il quale -nei limiti dell'art. 4, comma I�, della 
legge 20 marzo 1865, n. 2248 ali. B -avrebbe potuto certamente 
stabilire se le infrazioni commesse tra scadenza e rinnovo retroattivo 
della concessione fossero o no perseguibili. 

L'interesse, che parrebbe invocato a fondamento del 3� mo


tivo, � invece da identificarsi in ci� : che se il rinnovo fosse stato 

negato, e si fosse dato corso invece ad una nuova concessione, 

si sarebbe dovuto applicare il limite di 500 metri dalla pi� vicina 

riserva, previsto dall'art. 64, comma 2�, T.U. cit. A tal proposito, 

occorre ribadire che la Federazione, come associazione di cac



288 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

datori e di concessionari, non pu� identificare il proprio interesse 
con quello del primo gruppo d'organizzati, a detrimento 
di quello del secondo; e che non � stata data dimostrazione che 
la riduzione delle zone di caccia riservata a favore di quelle di 
caccia libera giovi alla Federazione stessa come soggetto di diritto 
in rapporto ai suoi fini istituzionali (il dubbio pu� ragionevolmente 
nascere, se si consideri che la legge riconosce alle riserve 
e bandite uno scopo di ripopolamento) od a eventuali situazioni 
patrimoniali. 

L'azione svolta in questa sede dalla Federazione si riduce, 
in conclusione, alla tutela di� un interesse semplice� all'adozione, 
da parte dei competenti organi amministrativi, di certi criteri 
d'interpretazione e d'applicazione della legge, che alla ricorrente 
appaiono pi� corretti di quelli attualmente seguiti dal Ministero 
dell'Agricoltura e delle foreste. Tale interesse non si presenta 
quindi con quei caratteri qualificati, che ne consentono la tutela 
giurisdizionale. 

Il ricorso, come si � detto, risulta proposto anche da due 
cacciatori -Mario Geppi e Daniello Delfin -i quali si qualificano 
titolari di licenze di caccia rilasciate dalla Questura di Firenze, 
e residenti nel Comune di Pelago, nel cui territorio giace 
la riserva Altomeha. Essi assumono che con la rinnovazione della 
riserva � perdono la possibilit� di recarsi a �accia in quei terreni 
sui quali avrebbero potuto, anche per la contiguit� con la loro 
residenza, pi� facilmente soddisfare la loro passione sportiva, 
e fare buona preda �. 

Nella discussione orale, la difesa dei ricorrenti, ha ricordato 
la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, ad esempio in materia 
di disciplina urbanistica, ha riconosciuto interessi � dei proprietari 
frontisti � o interessi � di zona �. L'incidenza dell'eventuale 
illegittimit� dell'atto amministrativo nella sfera giuridica 
del ricorrente � causata da un rapporto di contiguit� o di prossimit� 
tra beni immobili, che permette d'individuare la specie 
della lesione e la categoria dei soggetti lesi. Nella specie, non � 
cenno di nessuna lesione, che i ricorrenti abbiano sofferto in 
quanto proprietari o titolari di diritti sui beni immobili (ipotesi 

p. es., del proprietario del fondo, su cui si imponga riserva a 
favore del Comune: IV Sez., 24 maggio 1957, n. 577). 
Altro argomento i due ricorrenti vogliono trarre dall'art. 842 
cod. civ., secondo il quale �il proprietario d'un fondo non pu� 
impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che 
il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge_ sulla caccia, 


289

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

o vi siano culture in atto suscettibili di danno�. Questa disposizione 
non concerne rapporti tra la pubblica amministrazione ed 
i soggetti privati, n� impone all'amministrazione stessa un dovere 
d'azione da svolgersi nel pubblico interesse: essa stabilisce, 
da una parte, un limite del ius excludendi alias dei proprietari 
fondiari, e, dall'altra, un diritto soggettivo del cacciatore, il quale 
ne pu� lamentare la violazione allorch� il proprietario gli abbia 
opposto un divieto di caccia, fuori dei casi consentiti. Gli 
effetti della norma si esauriscono quindi in tale ambito, e non 
possono fondare un interesse legittimo a ricorrere contro l'atto 
amministrativo di concessione o rinnovazione della riserva. Non 
pu� essere quindi condivisa la decisione della VI Sezione 30 
giugno 1954, n. 454, che -del resto, senza svolgere alcuna motivazione 
-ritiene sufficiente l'art. 842 cod. civ., per radicare l'interesse 
a ricorrere del cacicatore. 
Resta dunque da considerare se il titolo di legittimazione 
possa rinvenirsi, puramente e semplicemente, nei requisiti personali 
posti in rilievo dai ricorrenti: titolarit� di licenza di caccia, 
e residenza nel comune dove � sita la riserva. E' chiaro. che 
non potrebbe essere sufficiente la residenza nel Comune, perch� 
il libero esercizio della caccia non pu� costituire interesse di chi 
non vi sia autorizzato. Senonch�, la disciplina legislativa della 
materia (artt. 7 ss. T.U. cit.) impedisce altres� d'individuare una 
situazione d'interesse giurisdizionale tutelabile nella congiunta 
qualit� di residente e di titolare d� licenza. La licenza di caccia, 
infatti (come altre autorizzazioni di polizia amministrativa, quali 
ad esempio le patenti di guida automobilistica) non � � localizzata
�; il rilascio � bens� decentrato alle singole autorit� competenti 
per territorio, ma l'efficacia � estesa a tutto il territorio 
nazionale. Ogni titolare di licenza ha quindi facolt� d'esercitare 
la caccia in qualsiasi localit� della Repubblica, e tutti incontrano 
una potenziale limitazione allorch� un fondo, ovunque sito, 
sia vincolato a riserva: la residenza nel Comune � circostanza di 
mero fatto, la cui rilevanza � resa minima dalla facolt� d'ogni 
cittadino di trasferirsi, anche temporaneamente e precariamente, 
da un comune all'altro. Accolta la tesi dei ricorrenti, l'interesse 
dovrebbe essere riconosciuto, non ai soli residenti nel comune, 
ma a tutti i cacciatori dovunque residenti: anche a quelli che 
mai si sono recati, e probabilmente mai si recheranno, a cacciare 
nelle adiacenze della riserva. In altri termini, il fondamento 
del ricorso non starebbe nella lesione di un interesse �personale, 
diretto, attuale�: ma nella semplice eventualit�, che, ove in ipotesi 
il cacciatore voglia introdursi nella riserva, gli si possa opporre 
un divieto, fondato su un atto amministrativo illegittimo. 



290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

E' chiaro, che, in siffatta ipotesi, chi agisce in base al mero titolo 
della licenza, farebbe valere un interesse diffuso di una collettivit� 
indeterminata -quella dei cacciatori -che non � soggettivato 
in lui da una specifica relazione, vale a dire un interesse 
semplice, cui non � accordata in questa sede tutela.. . . 

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. -(Omissis). 



SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE,� Sez. Un., 14 dicembre 1962 n. 3362 -
Pres. Torrente -Est. Rossi -P.M. Pepe (concl. conf.) -Pre~ 
sidenza Regione Val d'Aosta c. Ministero Finanze. 

Corte Costituzionale -Conflitto costituzionale di attribuzioni -Conflitto 
tra Stato e Regione -Presuppbsti. 

()orte Costituzionale -Conflitto tra Stato e Regione -Controversia 
circa l'appartenenza di beni del patrimonio indisponibile � Conflitto 
costituzionale di attribuzioni. 

Corte Costituzionale � Conflitto tra Stato e Regione -Controversia 
circa l'appartenenza di beni del patrimonio disponibile -Conflitto 
costituzionale di attribuzioni. 
(Cost., art. 134; I. 11 marzo 1953, n. 87, art. 39). 

Il conflitto di attribuzioni tra lo Stato e le Regioni o tra 
Regioni previsto dagli art. 134 della Cost. e 39 legge 11 marzo 
1953 n. 87 ricorre ogni qualvolta uno dei due enti interessati 
deduca che si � verificata in concreto, ad opera dell'altro ente, 
un'invasione della sfera di competenza assegnatagli dalle norme 
costituzionali (1). 

(1) Il conflitto deve essere reale e positivo, in quanto si delinei in 
relazione ad uno specifico atto, che implichi una univoca manifesta� 
zione di volont� dell'Ente (Stato o Regione), da cui promana, in ordine 
all'affermazione della propria competenza, rispetto all'effetto dell'atto, 
e che venga denunciato dall'altro Ente come lesivo della propria sfera 
di competenza. La Corte Costituzionale, con sentenza 26 gennaio 1957, 
n. 18 (Giur. Cast., 1957, 335) aveva precisato che il conflitto pu� concernere 
solo atti amministrativi o di normazione subordinata (regolamenti), 
che siano viziati per violazione della sfera di competenza dello 
Stato o delle Regioni, quali delimitati da legge costituzionale. Non occorre, 
per�, che l'atto sia munito di tutti i requisiti formali rigorosa. 
mente previsti dall'ordinamento. In sede di giudizio che concerne il 
conflitto di attribuzioni ha scarsa rilevanza la questione relativa alla 
forma dell'atto per effetto del quale sorge il conflitto: qualsiasi atto 
dello Stato o della Regione � idoneo a far sorgere il conflitto di attribuzioni, 
trattandosi di delimitare le rispettive sfere di competenza (Corte 
Cast. 26 gennaio 1957, n. 12, Giur. Cast. 1957, 287; Corte Cost., 2 luglio 
1958, n. 45, Giur. Cast. 1958, 562). 



292 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il conflitto di attribuzioni � configurabile anche in conne.9" 
sione a questioni sostanzialmente patrimoniali, come quelle concernenti 
l'appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione ed 

il suo carattere di bene indisponibile, in quanto la risoluzione 
di tali questioni si pone come necessario presupposto per la 
decisione circa l'appartenenza di tutte quelle potest� pubbliche 
che concernono il regime giuridico del patrimonio indisponibile, 
in esso compreso il potere di autotutela concretamente eserci~ 
tato dallo Stato (2). 

(2) La questione circa la sussistenza del conflitto di attribuzioni, 
ove sia controversa l'appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione, 
fu prospettata per la prima volta alla Corte di Cassazione nella causa 
Finanze c. Comune di Canicatti ed altri. La causa aveva per oggetto 
la rivendica da parte dell'Amministrazione Finanziaria di un bene del 
soppresso p.n.f. occupato da terzi, che sostenevano essere stato, detto 
bene, trasferito in propriet� alla Regione. La Corte di Cassazione, con 
sentenza n. 4141 del 1957 (in questa Rassegna, 1957, 188; Giur. Cast., 1958, 
1083; Foro it., 1958, I, 1137), escluse la sussistenza del conflitto, sia sotto 
l'aspetto subiettivo, in quanto la controversia era insorta non fra i due 
~ 
soggetti legittimati a proporla (Stato-Regione), sia sotto l'aspetto obiettivo, 
mancando un atto che avesse invaso la reciproca sfera di competenza 
costituzionale. Per�, il motivo determinante per affermare, con 
I

la citata decisione, la giurisdizione dell'a,g.o. fu quello che oggetto del f.� 

fil...

giudizio era l'accertamento del diritto di propriet�, costituente un prius 
rispetto alla questione circa la competenza all'emanazione degli atti ' , 
amministrativi riguardanti lo stesso bene controverso (in senso con


I

forme, in materia di diritto all'utilizzazione delle acque pubbliche nella 
Regione V.A., v. Cass. Sez. Un., 6 novembre 1958, n. 3619). La Corte 
Costituzionale, invece, con sentenza 19 giugno 1958, n. 37 (Giur. Cast., 

I

1958, 497, con nota di M. NIGRO e Foro lt., 1958, I, 1061) non dubit� 
affatto che la questione circa l'appartenenza allo Stato o alla Regione 
Siciliana di beni del demanio marittimo involgesse un conflitto di attri


I buzioni. A tale decisione aderi la Corte 'di Cassazione in analoga con~ 
troversia rigual'dante alcune zon,e di spiaggia site nel territorio della 
Regione Siciliana, sdemanializzate con decreto del Ministro della Marina 
Mercantile, impugnato dalla Regione S. innanzi al Consiglio di Stato. 

I La Cassazione, con sentenza 12 dicembre 1958, n. 3872 (in questa Rassegna, 
1959, 19, con nota di L. TAVASSI LA GRECA) ritenne che l'impugnativa 
dinanzi al Consiglio di Stato del decreto ministeriale di sdemanializzazione 
di dette zone di spiaggia, sotto il profilo della esclusiva competenza 
degli organi regionali ad emettere il provvedimento stesso, 

I

implicasse la risoluzione di un conflitto di attribuzioni, di competenza 
esclusiva della Corte Costituzionale (in senso conforme, per la ex Caserma 
Crispi, decise la Cort. Cost. con sent. 18 maggio 1959, n. 31, in questa 
Rassegna, 1959, 51, con nota adesiva di G. GUGLIELMI, e in Giur. Cast. 

I

1959, 385, con nota contraria di CASSARINO). 
La possibilit� che il conflitto di attribuzioni insorga fra uno dei sog


i


getti costituzionali (Stato o Regione) ed il terzo, oppure in una controversia 
fra terzi, allorch� si controverta sulla illegittimit� dell'atto (ad 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

293 

Il conflitto di attribuzioni sussiste anche in relazione alle 
controversie circa l'appartenenza di beni del patrimonio disponibile, 
giacch� il potere di godimento e di disposizione che compete 
agli enti pubblici, rispetto ai beni di loro pertinenza, presenta 
atteggiamenti ed implicazioni di carattere pubblicistico, 
non soltanto in funzione della peculiare natura e destinazione 
dei beni stessi (come per i beni demaniali e per quelli del patrimonio 
indisponibile), ma anche in funzione della natura dei 
soggetti, la cui attivit� � pur sempre condizionata, nella scelta 
degli obbiettivi concreti da perseguire e dei mezzi da impiegare, 
dai fini pubblici istituzionali; valutazione e scelte che integrano 
l'esercizio di potest� amministrative, tanto pi� in relazione 
a quegli atti, di carattere squisitamente pubblico, quali quelli 
intesi a dare al bene una destinazione che imprima ad esso il 
carattere della indisponibilit� o addirittura della demanialit� (3). 

es. in materia di diritti o di interessi legittimi derivanti da una concessione 
amministrativa), deducendosi l'incompetenza dell'Ente ad ema� 
nare l'atto della cui legittimit� si discute, � stata esaminata dal GUGLIELMI 
in � Questioni di competenza costituzionale e giurisdizionale � (in questa 
Rassegna 1960, 64 e segg.). L'a. ha rilevato gl'inconvenienti del sistema, 
ove si ammettesse una giurisdizione concorrente del Consiglio di Stato 
e della Corte Costituzionale, con particolare riguardo alla possibilit� 
di un contrasto di giudicati rispetto alla competenza dell'atto impugnato, 
pervenendo alla conclusione che dovrebbe ritenersi assorbente, 
nei predetti casi, la giurisdizione della Corte Costituzionale. 

(3) Notevole � la ser-itenza nella parte ove si afferma che il conflitto 
di attribuzioni pu� verificarsi anche in relazione alle controversie circa 
l'appartenenza all'uno o all'altro Ente di beni del patrimonio disponi� 
bile. In realt�, la propriet� relativa ai beni demaniali o del patrimonio 
indisponibile si estrinseca indubbiamente in una somma di pubblici 
poteri attribuiti dall'ordinamento all'Ente proprietario, in considerazione 
dell'uso e della destinazione dei beni medesimi per il soddisfacimento 
di pubbliche funzioni o di pubblici servizi, mentre i beni del 
patrimonio disponibile hanno solo un valore strumentale di scambio 
per cui tutti i poteri per la migliore utilizzazione .di questi beni si 
atteggiano e ineriscono ad un diritto di propriet� jure privatorum (cfr. 
MAZZELLA, Competenza a decidere le controversie tra Stato e Regione 
relative a beni demaniali, patrimoniali indisponibili e disponibili, in questa 
Rassegna 1958, 79). Tuttavia, non pu� disconoscersi, come ha oppor� 
tunamente rilevato l'annotata sentenza, che anche in relazione ai detti 
beni non pu� prescindersi dalla natura dei soggetti, la cui attivit� � 
pur sempre condizionata dai fini pubblici istituzionali e si estrinseca 
attraverso l'esercizio di potest� amministrative, specie in relazione a 
quegli atti intesi a dare al bene una destinazione con caratteri di indi-� 
sponibilit� o di demanialit�. 
R. BRONZINI 

RASSEGNA DELL'AVVO�ATURA DELLO STATO

294 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 dicembre 1963, n. 3189 .
Plres. Pece -Rel. Pece -P. M. Pedote (conf.) -Cetti Serbelloni 
di S. Gabrio c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e Proc. 
Gen. Corte App. Roma. 

Nobilt� -Cognomizzazione del predicato nobiliare -Titoli esistenti 
prima del 28 ottobre 1922, che non avevano formato oggetto di 
riconoscimento -Riconoscimento al fine della cognomizzazione da 
parte del giudice ordinario -Ammissibilit�. 
(Cost., disp. trans. e fin,, XIV; r.d. 2 luglio 1896, n. 313, artt. 6-9; 

r.d. 5 luglio 1896, n. 314, artt. 26, 32 e 65). 
Nobilt� -Cognomizzazione del predicato nobiliare -Azione -Procedimento 
contenzioso dinanzi al giudice ordinario .. Legittimazione 
passiva dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei 
Ministri -Avvenuto espletamento della procedura di rettificazione 
degli atti dello stato civile -Provvedimento camerale di cognomizzazione 
del predicato nobiliare -Preclusione -Insussistenza. 

(Cost. disp. trans. e fin., XIV; e.e. art. 7; r.d. 20 marzo 1924, 

n. 442, art. 2; r.d. 7 giugno 1943, n. 651, art. 72; r.d. 9 luglio 1939, 
n. 1238, artt. 167 e segg.). 
Il diritto alla cognomizzazione del predicato nobiliare sancito 
dal secondo comma dell'art. XIV delle disposizioni transi_, 
torie e finali della Costituzione si riferisce ai predicati dei titoli 
nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922, ancorch� a quella 
data non riconosciuti (1 ). 

La revindica di un predicato nobiliare, al limitato fine di 
usarne come parte del nome, ai sensi del secondo comma dello 
art. XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, 
� esperibile come azione di reclamo del nome e, pertanto, d� 
luogo ad un giudizio contenzioso, che deve svolgersi nelle forme 
ordinarie, nei confronti degli eventuali controinteressati ed in 
ogni caso del P. M., incidendo in senso lato sullo status della 
persona, nonch� dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del 
Consiglio (2). -�� ,, ,,___ ~~ -~~ 

(1-2) V. in argomento: Cass., 13 giugno 1957, n. 2221, Foro it., 1958, I, 
234 (n. PEZZANA); Cass., 11 luglio 1960, n. 1874, Giur. cast., 1960, 1000 

(n. BoN VALSASSINA) e Giur. it., 1961, I, l, 1204 (n. CANSACCHI); Cass., 11 
ottobre 1961, n. 2087, Foro it., 1961, I, 1646 (n. PEZZANA). In senso contrario 
alla legittimazione a contraddire dell'Ufficio Araldico presso la 

295

PARTE I/SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

II 

CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sez. I, 21 maggio 1962 -Pres. 
Vallillo -Est. Mirabelli -Gabrielli c. Presidenza Consiglio 
Ministri e P. M. 

Nobilt� -Cognomizzazi�ne del predicato nobiliare -Titoli esistenti 

prima del 28 ottobre 1922, che non avevano formato oggetto di 

riconoscimento -Riconoscimento al fine della cognomizzazione 

da parte �del giudice ordinario -Inammissibilit�. 

(Cost., disp. trans. e fin., XIV; r.d. 2 luglio 1896, n. 313, artt. 6-9; 

r.d. 5 luglio 1896, n. 314, artt. 26, 32 e 65). 
Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, non pu� essere 
attribuito alcun valore giuridico ad un titolo nobiliare e, in 
particolare, non pu� farsi luogo ad alcun riconoscimento di 
diritto a titolo nobiliare, al fine della cognomizzazione del relativo 
predicato, poich� con la norma contenuta nel secondo 
comma della XIV disp. trans. e fin. della Costituzione si � regolata 
una mera conseguenza del diniego di riconoscimento, 
attribuendosi un effetto particolare al riconoscimento gi� avvenuto 
(3), 

Presidenza del ConsigUo dei Ministri: App. Perugia, 6 agosto 1954, 
Giur. it., 1955, I, 2, 245 (n. CANSACCHI); Trib. Bologna, 18 aprile 1958, Riv. 
dir. matr., 1959, 533 (che esclude la stessa necessit� del procedimento 
contenzioso). La sentenza in rassegna � annotata favorevolmente dal 
CANSACCHI, in Giur. it., 1964, I, 585 e segg., il quale, per�, s'era gi� pronunziato 
in senso contrario alla legittimazione passiva dell'Ufficio Araldico 
in nota ad App. Perugia, 6 agosto 1954, cit., Giur. it., 1955, I, 2, 245 e 
segg. ed in nota a Cass., 11 luglio 1960, n. 1�874, cit., Id., 1961, I, l, 1205 
e segg. Per l'esclusione di tale legittimazione passiva v. anche BoN 
VALSASSINA, Questioni ecc. in Giur. Cost., 1960, 999 e segg. 

(3) La sentenza fa riferimento alla motivazione di Cass., 14 marzo 
1961, n. 562, in Foro it., 1961, I, 407, la quale, per�, a sua volta, richiama 
Cass., 11 luglio 1960, n. 1874, Foro lt., 1960, I, 1476 (n. PEZZANA). 
(1-3) Azione di reclamo di nome contro l'Ufficio Araldico? 

L'art XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione 
della Repubblica, pacificamente riconosciuto quale norma precettiva di 
immediata applicazione (cfr. CANSACCHI, La cognomizzazione dei predicati 
nobiliari e la loro tutela giurisdizionale, Giur. it., 1954, IV, 193 ed 
ivi ampie citazioni di dottrina e giurisprudenza), come, peraltro, ammesso 
dalla stessa sentenza sopra riportata, sub I, statuendo al primo comma 
che �i titoli nobiliari non sono riconosciuti�, inibisce, evidentemente, alla 
Autorit� Giudiziaria di procedere a declaratoria dell'appartenenza di un titolo 
o attributo nobiliare, come prima aveva il potere di fare di fronte 
alla P.A., che negasse il riconoscimento (cfr. Cass. Roma, 28 febbraio 



296 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(Omissis). -La sentenza impugnata ha riconosciuto, richiamando 
specificamente le precedenti pronunzie di questa Corte 
Suprema nella soggetta materia, che, non essendo ancora intervenuta 
la disciplina legislativa, prevista dal quarto comma della 
XIV disposizione transitoria della Costituzione, per la soppressione 
della Consult~ Araldica, l'Ufficio Araldico presso la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri deve ritenersi tuttora funzionante 
e legittimato passivamente nei giudizi relativi alla pretesa 
di fare valere un predicato nobiliare come parte del nome, ai 
sensi del secondo comma della sopra menzionata disposizione 
transitoria della Costituzione. La sentenza impugnata ha, quindi, 
rigettato la eccezione di carenza di legittimazione passiva avanzata 
dall'Ufficio Araldico. Ci� premesso, per�, la stessa sentenza 
ha affermato che gli odierni ricorrenti mancavano di interesse a 
proporre la domanda giudiziale nei confronti del predetto Uffi


I

cio Araldico, postoch�, a segi:tito delle sentenze pronunziate dal 

I ~ 

1921, Giur. it., 1921, I, 1, 326). Ma, in relazione al secondo comma della 
cennata disposizione, a mente del quale i predicati dei titoli nobiliari 
esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono soltanto come parte del 
nome, la Corte di Cassazione ha gi� avuto occasione di affermare, in 

I[

varie pronunzie, ricordate dalla sentenza sub I, la legittimit� del�� <�. 

.

l'accertamento in sede contenziosa innanzi al Giudice Ordinario della 
esistenza, prima del 28 ottobre 1922, di un predicato nobiliare, anche in 

I' 

mancanza di pregresso riconoscimento del titolo, al limitato fine dell'accoglimento 
dell'azione tendente alla cognomizzazione del predicato medesimo. 


I

La Corte di Cassazione, a quanto sembra ricavarsi dalla lettura della 
cennata pronunzia, ha ritenuto di addivenire a tale conclusione, in quanto 
non si tratterebbe di un vero e proprio � accertamento incidentale �, ossia 


I 

di un riconoscimento fatto in via principale, ma di una mera cognizione 
di una questione pregiudiziale, senza effetto di giudicato (sulla distinzione 

v. ZANZUCCHI, Dir. Proc. Civ., vol. I, Milano 1948, 186; CAPPELLETTI, La 
I 

pregiudizialit� costituzionale nel processo civile, Milano 1957, 48, nota 83). ID 
Ed il giudizio non avrebbe ad oggetto un reclamo di predicato no


IIbiliare in quanto tale (come sembra leggersi in Cass., 11 luglio 1960, 

n. 1874, Giur. Cost., 1960, 1010 e Giur. it., 1961, I, 1, 1211), ma il reclamo 
di una parte del nome (art. 7 e.e.). 
Ora, se pu� comprendersi che, ritenendo tale azione relativa � in 
senso lato� allo stato della persona, la sentenza, con implicito riferim 
mento all'art. 70, n. 3 c.p.c., abbia considerato necessario il contraddit. 
torio col P.M. (ma vedasi App. Venezia, 8 giugno 1954, Foro pad., 1954, IV, 
115, ove si nega che le azioni relative al nome possano considerarsi 
azioni di stato in senso proprio e si considera la necessit� dell'intervento 
del P.M. sotto il profilo della tutela dello Stato Civile), rion � altrettanto 

!agevole comprendere come tale necessit� di contraddittorio sia stata ,r 
estesa anche all'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei 
Ministri. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

297 

Tribunale di Milano in camera di consiglio ed a seguito della 
esecuzione fattane dall'Ufficiale di Stato Civile, con la annotazione 
negli atti di nascita, essi Cetti avevano gi� realizzato l'unico 
bene ad essi spettante, e cio� quello di aggiungere il predicato 
di San Gabrio al proprio cognome. 

Avverso la pronunzia di carenza di interesse, i Cetti, con 
il primo mezzo di ricorso, hanno denunziato che, poich� l'Ufficio 
Araldico non era stato parte nei procedimenti camerali innanzi 
al Tribunale di Milano, essi Cetti avevano interesse ad ottenere 
una sentenza anche nei confronti diretti del predetto Ufficio Araldico, 
sia per precludere una eventuale impugnativa della ottenuta 
cognomizzazione del predicato di San Gabrio per illegittimit� 
delle menzionate sentenze camerali, sia per ottenere che la 
sentenza emananda fosse iscritta nei registri dell'Ufficio Araldico. 

Gli stessi Cetti, poi, con il secondo mezzo di ricorso, hanno 
denunziato che la riconosciuta legittimazione passiva dell'Ufficio 
Araldico postulava l'interesse di essi Cetti alla proposizione 

Che si tratti di Ufficio tuttora esistente, come afferma la Corte di 
Cassazione, non significa che esso abbia conservato intatte le originarie 
funzioni, relative al perseguimento del pubblico interesse in materia 
nobiliare, posto che tale interesse � divenuto ormai irrilevante nell'ordinamento 
repubblicano, epper� non richiede l'esplicazione di attivit� da 
parte di un organo statale. Bene � stato notato, in proposito, che � dal 
fatto che un organo statuale non abbia cessato di esistere, non pu� 
davvero desumersi che esso abbia conservato inalterate determinate competenze 
attribuitegli in passato� (BoN VALSASSINA, Questioni vecchie e 
nuove in tema di applicazione della XIV disp. fin. della Costituzione, 
Giur. Cost., 1960, 1003), concludendosi che quell'Ufficio � oggi soltanto un 
pubblico Archivio (Aut. cit., op. cit., 1010). 

N� si capisce come possa sostenersi (Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087, 
Foro it., 1961, I, 1651) che dall'art. 2 R.D. 20 marzo 1924, n. 442 debba 
trarsi 'una norma vigente, al presente, in ordine alla obbligatoriet� 
del contraddittorio con l'Ufficio Araldico nelle controversie di cogno. 
mizzazione dei predicati nobiliari, se si consideri che quella disposizione 
prevedeva, invece, una facolt� di intervento dell'Ufficio della Consulta 
araldica nelle controversie sull'appartenenza di titoli o attributi nobiliari. 
Se, attualmente, non una controversia, ma solo una questione del genere 
pu� essere dibattuta innanzi all'Autorit� giudiziaria, come mera pregiudiziale 
di una controversia avente ben altro oggetto, e cio� il reclamo 
di una parte di cognome, il problema della legittimazione dell'Ufficio 
Araldico non si risolve di.mostrando che una volta esso era legittimato 
ad intervenire facoltativamente nelle controversie previste dall'art. 2 

R.D. 20 marzo 1924, n. 442 e certamente oggi non pi� consentite, se � 
vero che la Costituzione non ammette il riconoscimento, non solo in 
via amministrativa, ma neppure �con sentenza passata in cosa giudi� 
cata � (art. 3 R.D. n. 442 del 1924), del �diritto di portare titoli o attri� 
buti nobiliari� (disp. ult. cit.). Oggi non ci sono pi� n� diritti nobiliari, 

298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della domanda giudiziale nei confronti dell'Ufficio stesso, sicch� 
la sentenza impugnata era incorsa in contraddizione. 
Le due doglianze, che -stante la loro intima connessione possono 
essere trattate congiuntamente, sono fondate. 

Ripetutamente questa Corte Suprema, sia a Sezioni Unite 
(s�nt. n. 157 del 1961) sia a Sezione semplice (sent. n. 2087 del 
1961; sent. n. 1874 del 1960; sent. n. 2221 del 1957), ha affermato 
che: 1) l'azione intesa alla revindica di un predicato nobiliare, 
al limitato fine di usarne come parte del nome ai sensi del 
secondo comma della XIV disposizione transitoria della Costituzione, 
rientra nell'azione di reclamo del nome ed incide, in senso 
lato, sullo status della persona; 2) l'azione di cui sopra, attesa la 
sua natura, d� vita ad un giudizio contenzioso, che deve svolgersi 
nelle forme ordinarie, e non con la procedura della camera 
di consiglio, nei confronti degli eventuali controinteressati e, 
in ogni caso, nei confronti del P. M. e dell'Ufficio Araldico presso 
la Presidenza del Consiglio, quale parte (detto Ufficio Araldico), 

n� un pubblico interesse nobiliare da tutelare in giudizio ed il preteso 
interesse a che il nome civile dei cittadini sia completato da predicati 
effettivamente spettanti, una volta, a coloro che ne chiedano la cognomizzazione 
Ǐ giuridicamente tutt'altra cosa che la funzione di garanzia 
nobiliare contemplata dal decreto n. 442 del 1924 � (BON VALSASSINA, op. 
cit., 1003). E pertanto resta un'affermazione priva di alcun appoggio normativo, 
anzi contraddetta dai testi positivi, quella della sentenza sopra riportata, 
sub I, secondo la quale, pur trattandosi, nella specie, di giudizio 
di reclamo di nome e non gi� di titolo o attributo nobiliare, esso doveva 
svolgersi contro l'Ufficio Araldico, con l'intervento obbligatorio del P.M. (in 
dottrina si � osservato che l'intervento del P.M. sarebbe obbligatorio solo 
nel caso che fosse citato in giudizio l'Ufficiale di Stato Civile competente 
per l'annotazione e si chiedesse in contraddittorio del medesimo l'annotazione 
del predicato a margine dell'atto dello Stato Civile: cfr. CANSACCHI, 
op. cit., 202) e con la partecipazione di ... eventuali controinteressati. 
Cosicch� l'Ufficio Araldico, lungi dall'essere pi� titolare dell'interesse 
nobiliare, sarebbe titolare dell'interesse a contraddire alla domanda 
di reclamo di nome. Ma se, de jure condito, un tale interesse assurge 
a natura pubblica con esclusivo riferimento alla salvaguardia delle rettifiche 
dello Stato Civile (cfr. CANSACCHI, Giudizio contenzioso in tema 
di aggiunzione di predicati, Giur. it. 1961, I, 1, 1210), esso non � 
stato mai attribuito alla cura dell'Ufficio Araldico, n� si vede come tale 
attribuzione possa considerarsi effetto della asserita, mancata abrogazione 
di una norma ... che prevedeva attribuzioni diverse. E che senso 
ha, poi, parlare di azione di reclamo di nome, se si prescinda dalla effettiva 
contestazione del diritto all'uso del medesimo (art. 7 e.e.; v. FER� 
RARA F., Diritto delle persone e di famiglia, Napoli 1941, 87)? O che, 
forse, la pretesa, mancata abrogazione dell'art. 2 R.D. n. 442 del 20 
marzo 1924 avrebbe avuto l'ulteriore, singolare effetto ... di trasformare 

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l'Ufficio Araldico in negatore necessario, de jure, del diritto di un qual� .; 

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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

299 

tuttora giuridicamente esistente, del pi� complesso organismo 
araldico (Consulta Araldica), la cui abolizione, con la conseguente 
disciplina specifica di attribuzioni e funzioni, � stata riservata 
(comma quarto della ricordata disposizione transitoria della Costituzione) 
ad una legge tuttora emananda. 

Le affermazioni di cui sopra, contenute nelle �richiamate sentenze 
di questa Corte Suprema, postulano il necessario presupposto 
(che peraltro � stato enunciato anche esplicitamente in 
alcune di esse sentenze: nella sent. n. 157 del 1961 delle Sezioni 
Unite; nella sent. n. 2087 del 1961 di questa stessa Sezione) che sia 
tuttora legittimo l'accertamento incidentale, in sede contenziosa, 
innanzi al giudice ordinario, della esistenza di un predicato nobiliare, 
anche in mancanza di un pregresso riconoscimento del titolo, 
sempre -si intende -al limitato fine dell'accoglimento 

o meno dell'azione della cosiddetta cognomizzazione del predicato 
stesso e purch� si tratti di predicati attinenti a titoli nobiliari 
gi� esistenti prima del 28 ottobre 1922, postoch� ai titoli conche 
cittadino della Repubblica di usare una certa parte di nome? Ed 
infine, se la sentenza che conclude il giudizio di reclamo condanna il 
convenuto ad astenersi dall'apporre ostacolo all'uso ed al godimento del 
nome del reclamante e dal provocare un ulteriore danno per l'avvenire 
(FERRARA, op. cit., 88), che senso avr� parlare di un siffatto giudicato nei 
confronti dell'Ufficio Araldico? Potr� invocarsi l'obbligo di iscrizione nei 
registri della Consulta Araldica del riconoscimento del diritto al predicato 
nobiliare una volta previsto dall'art. 3 R.D. n. 442 del 1924, se nessun 
giudicato s'� formato e poteva formarsi sull'appartenenza del pre� 
dicato nobiliare, dato che, come riconosce la stessa sentenza sopra riportata, 
sub I, �il vigente ordinamento non riconosce ai titoli nobiliari alcun 
effetto giuridico, ad eccezione, per i titoli gi� esistenti alla data del 28 ottobre 
1922, della possibilit� di utilizzare il predicato come parte del nome�? 
E, se deve parlarsi, invece, di annotazione riguardante il nome, essa 
dovr� essere eseguita non gi� nei libri Araldici, ma nei Registri dello 
Stato Civile, ed allora come potr� la condanna investire l'Ufficio Araldico, 
che non �, certo, organo dello Stato Civile? La verit� � che la 
legittimazione all'intervento dell'Ufficio Araldico si sarebbe giustificata 
soltanto, qualora fosse stato ammissibile, in un giudizio di reclamo di 
nome, un vero e proprio accertamento � incidentale� nel senso di cui 
all'art. 34 c.p.c. -ossia condotto principaliter, con efficacia di giudicato 
-della spettanza del predicato nobiliare. 

Pur riconoscendo ai ricorrenti l'interesse ad ottenere una sentenza di 
cognomizzazione del predicato nobiliare, che �faccia stato... anche nei confronti 
dell'Ufficio Araldico �, il Supremo Consesso non si � spinto fino a 
tale esplicita affermazione, ma, quale che sia la reale portata della pronuncia, 
� certo che essa ha finito per sostituire l'originaria legittimazione 
passiva dell'Ufficio Araldico (ad una vera e propria azione di reclamo 
di titolo e di predicato nobiliare) alla legittimazione passiva all'azione di 
reclamo �di nome, che, de jure condito, spetta, invece, solo al soggetto, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

300 

cessi dopo di tale data � negato in via assoluta qualsiasi rilievo 
giuridico ed il relativo predicato non pu� essere aggiunto al no


me (secondo comma della menzionata disposiz. XIV della Costituzione). 


Dalle pi� volte citate pronunzie di questa Corte Suprema e, 
specialmente, dalla sent. n. 2087 del 1961 � stato posto in rilievo 
come, in attesa del regolamento ex lege, previsto dall'ultimo 
comma della predetta disposizione XIV della Costituzione, l'Ufficio 
Araldico presso la Presidenza del Consiglio rappresenta 
tuttora l'Ufficio dotato di competenza tecnica per la necessaria 
ricerca storico-araldica e, pertanto, il pi� qualificato a conservare 

o ristabilire la verit� storica circa l'appartenenza o meno dei 
predicati nobiliari, al fine di contenere nei limiti della predetta 
verit� storica la tutela del predicato, quale elemento (riconosciuto 
dalla Costituzione) del nome, evitando cos� eventuali collu� 
sioni tra privati, i quali potrebbero, diversamente, dare vita a 
contraddittori simulati, e facilitando, con l'intervento di un ufche 
in concreto contesti il diritto al nome (art. 7 e.e.). Ne � nato, cos�, 

il monstrum di un'azione di reclamo di (parte di) nome, che prescinde 

dalla concreta contestazione del medesimo e la legittimazione passiva 

alla quale si attaglia, invece, ad un'azione di reclamo di attributo nobi


liare, non pi� consentita dall'ordinamento! Che gli intenti della Corte di 

Cassazione siano stati quelli, pratici, di ovviare ai frequenti casi di collu


sione fra le parti ed alla impreparazione specifica dei Magistrati in ma


teria nobiliare, non vale a giustificare i criticabili risultati a cui � perve


nuta la sentenza sopra riportata, sub I, fra, cui, non ultimo, quello di far 

violenza allo stesso art. 100 c.p.c. 

Alludendo alla dilagante speculazione in materia nobiliare, quella pronuncia 
sottolinea che � in definitiva, il contraddittorio con l'Ufficio Araldico, 
lungi dal dilatare, tende a contenere nei limiti di legge quel riconoscimento 
del predicato nobiliare, al quale la Costituzione ha ritenuto 
di conferire residua rilevanza giuridica � La sentenza d�, cos�, per certo, 
a differenza di quella della Corte d'Appello romana, sopra riportata, 
sub II, che � la ricognizione � del diritto al titolo nobiliare � non � affatto 
resistita dal precetto costituzionale�. Orbene, su tale affermazione 
� giunto finalmente il momento di soffermarsi, per dimostrare 
che, ove essa non fosse stata apoditticamente formulata, si sarebbero 
eliminate in radice le ragioni stesse, che hanno indotto la Corte di Cassazione, 
posta innanzi ai gravi inconvenienti di cui si � fatto cenno, 
a modificare addirittura la positiva disciplina dell'azione di reclamo di 
nome, prevista dall'art. 7 e.e. E valga il vero: il primo comma dell'articolo 
XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione statuisce 
che � i titoli nobiliari non sono riconosciuti �, Dato l'indubbio 
� carattere precettivo, di immediata applicazione, della disposizione, n'� 
conseguita la abrogazione dell'ordinamento nobiliare esistente al momento 
dell'entrata in vigore della Costituzione, senza possibilit� di reviviscenza 
dell'ordinamento nobiliare precedente. E' ben noto, infatti, 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 301 

ficio centrale specializzato e particolarmente documentato, quale 
l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio, l'opera di 
vigilanza dei rappresentanti del P. M. 

In definitiva, quindi, il contraddittorio con l'Ufficio Araldico, 
lungi dal dilatare, tende a contenere nei limiti di legge quel 
riconoscimento del predicato nobiliare, al quale la Costituzione 
ha ritenuto di conferire residua rilevanza giuridica. 

Posto tutto ci�, il fatto che gli odierni ricorrenti avessero 
gi� ottenuto, attraverso la procedura (giuridicamente inesatta) 
in Camera di Consiglio, la cognomizzazione del predicato di San 
Gabrio, al quale assumono di avere diritto, non vale ad esaurire 
l'interesse dei ricorrenti medesimi a perseguire la predetta cognomizzazione, 
attraverso un regolare giudizio in sede contenziosa, 
nelle forme ordinarie e nei confronti, non solo del P. M., 
ma anche dell'Ufficio Araldico. 

E ci� perch�, a parte la irregolarit� della procedura in Camera 
di Consiglio innanzi al Tribunale di Milano, a quella procedura 
non era stato chiamato a partecipare l'Ufficio Araldico, ri


che la abrogazione di una norma non fa rivivere la norma precedentemente 
abrogata. D'altra parte, � da tener presente che la portata del 
precetto qui considerato � assoluta e non autorizza distinzioni fra ordinamento 
nobiliare del periodo fascista e ordinamenti precedenti. 

Cos�, proprio la Corte di Cassazione� ha altra volta riconosciuto, che 

la Costituzione � ha cancellato � i diritti nobiliari e � soppressa� la fun


zione della Consulta Araldica, solo riservando ad una legge ordinaria 

� di regolare la liquidazione dell'organismo amministrativo� (Cass., 16 

luglio 1951, in Giur. it., 1952, II, 52), avvertendo anche, in proposito 

(nella pronuncia del 14 marzo 1961, n. 562, ricordata dalla Corte di 

Appello romana, nella sentenza sopra trascritta sub II), che Ǐ venuta 

a cadere ogni possibile tutela amministrativa e giurisdizionale al rico


noscimento di un diritto, che pi� non sussiste �. E' chiaro, cio�, che lo 

scopo fondamentale dell'art. XIV disp. trans. e fin. Cost. � stato ed � 

quello di negare ulteriore applicabilit�, in regime repubblicano, all'or


dinamento nobiliare. L'esclusione di qualsiasi ultrattivit� delle norme 

abrogate dalla Costituzione (su tale ultimo fenomeno, collegato al carattere 

precettivo e di immediata applicazione di alcune norme costituzionali, 

v. Corte Cost., 14 giugno 1956, n. 1, Giur. Cast., 1956, 1; 27 gennaio 1959, 
nn. 1 e 4, Giur. Cast. cit., 1959, 1 e 23; Cass., 26 luglio 1956, n. 2893, 
Id., 1956, 818; Cass., Sez. Un., ordinanza 23 ottobre 1956, Id., 1957, 266; 
in dottrina: CRISAFULLI, Incostituzionalit� o abrogazione?, Id., 1957, 271 
e segg.; CHICCO e CORONAS, L'interpretazione giudiziale della Costituzione, 
in La Corte Costituzionale, Raccolta di studi a cura dell'Avvocatura 
dello Stato, Roma 1957, 641 e segg.) sembra essere implicita 
nella natura e nel grado sopraordinato della norma abrogante (sul 
concetto di Costituzione rigida v. AZZARITI (Giorgio), I vari sistemi di 
sindacato sulla costituzionalit� delle leggi ecc., in La Corte Costituzionale 
cit., 3), che, una volta vigente, non ammette deroghe alla sua 

302 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

spetto al quale, quindi, non esiste pronunzia giudiziaria a favore 
dei Cetti. Inoltre, il diritto (ed il connesso interesse ad agire) alla 
cognomizzazione del predicato nobiliare non si esaurisce con il 
riconoscimento all'aggiunta del predicato stesso al nome, ma 
investe anche la difesa alla interezza del nome, che cos� ne ris�lta, 
da opposizioni ed eventuali rivendicazioni da parte di terzi. 
E, nelle condizioni attuali della legislazione nella soggetta materia, 
non essendo ancora intervenuta la legge regolatrice della 
soppressione della Consulta Araldica, il menzionato interesse alla 
tutela del nome, di carattere pubblicistico comech� inerente in 
senso lato ad uno status personale, pu� essere pi� agevolmente 
e compiutamente perseguito, solo se la cognomizzazione del predicato 
nobiliare sia stata ottenuta, e quindi faccia stato, in conseguenza 
del necessario contraddittorio, anche nei confronti dell'Ufficio 
Araldico. 

Il resistente Ufficio Araldico, richiamandosi alle eccezioni gi� 
proposte al riguardo in primo e in secondo grado, insiste nel 
contestare l'interesse ad agire negli odierni ricorrenti, anche sot


:; .;t,1(',~

.,. : 

applicazione, con la prevalenza dell'applicazione di norme incompati� 
bili, sottordinate (in questo senso, il rilievo fatto dal CALAMANDREI La 
prima sentenza della Corte Costituzionale, Riv. dir. proc., 1956, II, 
150 -per escludere addirittura la possibilit� di distinzione tra abro� 
gazione ed illegittimit� costituzionale, a favore della quale v., invece, 
LIEBMAN -Invalidit� e abrogazione delle leggi anteriori alla Costituzione, 
ivi, 161 e segg. -pu� accettarsi come esatta avvertenza che la relazione 
di prevalenza tra le leggi costituzionali e le leggi ordinarie 
anteriori non pu� mai fondarsi soltanto su una ragione di successione 
cronologica, ma si fonda sempre, in tal caso, anche su una diversit� di 
intrinseca autorit� nella graduatoria delle fonti giuridiche. Il MORTATI 
osserva -Abrogazione legislativa e instaurazione costituzionale, Riv. dir. 
proc., 1957, 384 -che l'avvenuta avocazione da parte di una norma co� 
stituzionale della disciplina di una certa materia rende la fonte superiore 
� unica idonea ad emettere qualificazioni giuridiche per ogni situazione 

o fatto che in essa rientri � e, cos�, � impossibile la coesistenza di comandi 
emananti da fonti diverse � ). Nella specie, comunque, la predetta 
esclusione di ultrattivit� delle norme incompatibili pu� dirsi espressamente 
statuita dallo stesi;o precetto costituzionale, che, affermando 
categoricamente: �i titoli nobiliari non sono riconosciuti�, vieta, ovviamente, 
qualsiasi riconoscimento amministrativo o giudiziale dei medesimi 
e cio� qualsiasi ulteriore applicazione di norme dell'ordinamento nobiliare. 
Ci� rilevato, dovrebbe esser chiaro che la portata del secondo comma 
dell'art. XIV disp. trans. e fin. Cost. (nel quale, si noti, non si parla di 
diritti, ma di titoli esistenti prima del 28 ottobre 1942, epper� non si 
autorizza alcuna contrapposizione fra diritti esistenti e diritti riconosciuti, 
ma solo si allude ai titoli non concessi in periodo fascista ed in 
questo senso esistenti. prima della predetta data) postula e realizza per� 
fetta armonia col primo comma: la incostituzionalit� delle norme dell'or




PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

303 

to il profilo della affermata inesistenza di una norma, che preveda 
la possibilit� della cognomizzazione del predicato relativo 
a titoli nobiliari, che, come quello asserito dai Cetti, non avessero 
gi� formato oggetto di riconoscimento prima del 28 ottobre 
1922. 

A fondamento della propria tesi viene dedotto dell'Ufficio 
Araldico che : 

1. Solo attraverso il riconoscimento i titoli nobiliari venivano 
ad inserirsi nell'ordinamento giuridico, sicch� la norma costituzionale 
ha parlato, agli effetti della cognomizzazione del predicato, 
di titoli esistenti e non gi� di diritto al titolo, che � concetto 
diverso da quello della esistenza del titolo. 
2. La possibilit�, dopo l'entrata in vigore della Costituzione 
repubblicana, del riconoscimento incidentale di un titolo nobiliare, 
ai soli fini dell'aggiunta del relativo predicato al nome, sarebbe 
resistita dal primo comma della stessa XIV disposizione 
della Costituzione, che sancisce: � I titoli nobiliari non sono riconosciuti 
�; contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, che 
dinamento nobiliare travolge tutti i diritti nobiliari, ma la cognomizzazione 
dei predicati relativi a titoli non concessi in periodo fascista � 
ammessa, purch� non involga la necessit� di ulteriore applicazione delle 
norme abrogate, ossia quante volte la spettanza del diritto al titolo e, 
quindi, al predicato risulti gi� consacrata da un atto amministrativo di riconoscimento 
o da una sentenza dell'A. G., pasata in giudicato. Appare, pertanto, 
arbitraria l'affermazione, pur fatta in dottrina, che l'ordinamento 
nobiliare � cacciato dalla porta rientra dalla finestra � (FUNAIOLI C. A., I 
titoli nobiliari sono aboliti?, in Foro civ., 1948, 1'91). Essa contrasta, invece, 
col preciso dettato costituzionale. Cosicch�, lungi dal potersi pretendere 
che l'attivit� di organi amministrativi e giudiziari della Repubblica 
sia indefinitamente impegnata nell'applicazione di norme abrogate dalla 
Costituzione, solo quei cittadini, che gi� ottennero il riconoscimento 
amministrativo o giudiziario del loro diritto ad un titolo nobiliare, esistente 
prima del 28 ottobre 1922, potranno chiedere ed ottenere, col 
procedimento di rettificazione previsto dagli artt. 167 e segg. dell'ordinamento 
dello Stato Civile di cui al R.D.L. 9 luglio 1939, n. 1238, la cognomizzazione 
del relativo predicato. La limitata rilevanza giuridica di 
cui trattasi viene accordata, insomma, non tanto al titolo e quindi al 
predicato nobiliare, quanto all'atto amministrativo definitivo o alla 
sentenza dell'A. G. passata in giudicato, e ci� appunto perch�, in 
tal modo, resta pienamente rispettato il precetto del primo comma della 
disposizione di cui si discorre e Io spirito stesso della Costituzione. 
Per dirla con la sentenza della Corte di Appello romana sopra riportata 
sub II, non gi� l'esigenza dell'attribuzione del predicato come parte del 
cognome � stata assunta dalla norma costituzionale come preminente 
rispetto all'esigenza del disconoscimento, in regime repubblicano, dei 
diritti nobiliari, sebbene questa condiziona quella e ne consente la rilevanza 
solo nei limiti in cui essa si armonizzi col divieto di riconosci




304 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

afferma la pari dignit� sociale e la uguaglianza di tutti i cittadini 
di fronte alla legge, � senza distinzioni di sesso, di razza, di 
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali 
e sociali�; sarebbe ancora in contrasto con i lavori preparatori 
per la formulazione della menzionata XIV disposizione 
della Costituzione e con lo stesso carattere provvisorio di essa 
disposizione. 

Alle suesposte argomentazioni non pu� essere riconosciuto 
carattere decisivo e le stesse non possono valere a giustificare 
un mutamento del gi� richiamato e ripetuto indirizzo giurisprudenziale 
di questa Corte Suprema. 

Poich�, come precisato dalla sent. n. 2087 del 1961 di questa 
stessa Sezione, la norma XIV della Costituzione, per il suo 
carattere di compiutezza legislativa, per quanto attiene alla disciplina 
degli effetti giuridici ricollegabili ai titoli nobiliari ed ai 
predicati correlativi, � norma con contenuto precettivo (e non 
anche programmatico) di applicazione immediata, la predetta 
norma non pu� non essere interpretata in senso tecnico-giuridico. 

Ed allora si impone il necessario coordinamento tra il dettato 
del primo comma, secondo cui � i titoli nobiliari non sono 
riconosciuti�, ed il dettato del secondo comma, secondo cui �i 
predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono 
come parte del nome�. Ne consegue che, come fatto chiaro dalla 
stessa lettera dei trascritti precetti costituzionali, il vigen~e ordinamento 
non riconosce ai titoli nobiliari alcun effetto giuridico, 
ad eccezione, per i titoli gi� esistenti alla data del 28 ottobre 
1922, della possibilit� di utilizzarne il predicato come parte 
del nome. Di qui l'ulteriore conseguenza che il problema giuridico 
in discussione si accentra nella identificazione dei titoli che 
possono considerarsi esistenti alla data del 28 ottobre 1922. E 
poich� la Costituzione non enuncia alcun diverso criterio di accertamento, 
deve necessariamente concludersi che la esistenza o 
meno di un titolo nobiliare, agli effetti della norma costituzio


mento di cui si � discorso. Idea certamente pi� ragionevole e corretta 
di quella opposta, alla quale ha aderito, invece, la sentenza della Corte 
di Cassazione, con quei iisultati che si sono gi� commentati. 

E' augurabile, pertanto, che la Suprema Corte regolatrice del Diritto 
-dinanzi alla quale � stata portata la suestesa, perspicua sentenza 
della Corte di appello romana in caso Gabrielli, nonch� altra della 
Corte di appello bolognese in caso Gardi --voglia, possibilmente a 
Sezioni Unite, riesaminare pi� approfonditamente la grave questione e 
definitivamente deciderla, in conformit� del precetto costituzionale. 

FRANCO CARUSI 


PARTE I, SEZ.' III, GIURISPRUDENZA CIVILE 305 

nale in esame, deve essere considerata alla stregua della legislazione 
speciale, che vigeva in materia alla data del 28 ottobre 
1922. 

Orbene, dall'art. 79 dello Statuto Albertino, poi esteso a 
tutto il territorio nazionale (� I titoli di nobilt� sono mantenuti 
a coloro che vi hanno diritto. Il Re pu� conferirne dei nuovi �), 
nonch� dalla successiva legislazione speciale in materia, sia prima 
della unificazione nazionale (r.d. 10 ottobre 1869, n. 5318; 

r.d. 8 maggio 1870), sia post-unitaria (r.d. 11 dicembre 1887 numero 
5150; r.d. 2 luglio 1896, n. 313; r.d. 5 luglio 1896, n. 314) 
si ricava con sicurezza, condivisa dalla pacifica giurisprudenza 
e dottrina del tempo, che la esistenza o meno dei titoli nobiliari 
andava controllata con riferimento al titolo di concessione originaria, 
al quale andava riconosciuta efficacia ex tunc, mentre il 
cosiddetto riconoscimento non era un modo di acquisto del titolo, 
ma si risolveva in una mera ricognizione della esistenza di 
esso ed aveva effetto dichiarativo e non gi� costitutivo. 
Posto ci�, e poich� la cognomizzazione del predicato per i 
titoli esistenti al 28 ottobre 1922 (permessa per ragioni di carattere 
storico e non per ragioni di favore individuale) � espressamente 
prevista dalla Costituzione, la ricognizione di tale esistenza 
non � affatto resistita dal precetto costituzionale. Rilevato, 
d'altra parte, che la cognomizzazione del predicato non importa 
l'attribuzione di alcuna prerogativa, non sussiste neppure 
l'asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 

N� pu� rinvenirsi contrasto con la collocazione della XIV 
disposizione tra quelle � transitorie e finali � della Costituzione, 
postoch� scopo della predetta disposizione � quello di disciplinare 
la posizione dei soggetti che alla data del 28 ottobre 
1922 si presentavano portatori del diritto, di carattere sostanziale, 
ad un titolo nobiliare. 

Il che importa che la interpretazione costantemente data 
da questa Corte Suprema al comma secondo della XIV disposizione 
della Costituzioue � aderente alla finalit� propria delle 
norme transitorie, che �, istituzionalmente, quella di regolare, 
per le situazioni preesistenti, il trapasso da una disciplina giuridica 
pregressa ad una nuova disciplina. 

N� vale invocare, infine, i lavori preparatori. 

Infatti, a parte che le norme giuridiche, una volta legalmente 
emanate, vivono di vita autonoma, sta di fatto che dal 
complesso dei diversi interventi svolti dai Costituenti in relazione 
alla formulazione della norma XIV della Costituzione, si 
ricava che volont� degli stessi Costituenti fu quella di enun




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

306 

ciare, anche esplicitamente e solennemente, la incompatibilit� 
tra il regime repubblicano e la concessione di nuovi titoli nobiliari 
(in evidente contrapposizione alla prerogativa regia consacrata 
nello Statuto albertino), nonch� la volont� di annullare 
gli effetti giuridici dei titoli nobiliari gi� esistenti, fatta eccezione 
(relazione Ruini) della possibilit�� per titoli anteriori al fascismo, 
di usarli come predicato del nome�, specificandosi (stessa 
relazione Ruini) che � quest'ultima disposizione vuol dire che 
non vi saranno pi� principi o conti o baroni; ma qualche indicazione 
di casato storico sar� incorporata nel nome�. 

Per tutte le esposte ragioni, deve concludersi, confermandosi 
l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte Suprema, che: 

1 -il diritto, sancito dal comma secondo della disposizione 
XIV della Costituzione (Disposizioni transitorie e finali), alla 
cosiddetta � cognomizzazione del predicato nobiliare � � relativo 
ai predicati dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 
1922, ancorch� -a quella data -i predetti titoli non 
avessero formato oggetto di pregresso riconoscimento; 

2 -l'azione tendente alla cognomizzazione del predicato nobiliare 
incide, in senso lato, sullo status delle persone e, pertanto, 
il relativo giudizio deve svolgersi in sede contenziosa e nelle forme 
ordinarie, innanzi l'autorit� giudiziaria ordinaria; 

3 -nel giudizio avente per oggetto la richiesta di cognomizzazione 
di un predicato nobiliare, la legittimazione passiva compete, 
oltre che agli eventuali controinteressati, all'Ufficio Araldico 
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

Concludendo, il ricorso deve essere accolto e la sentenza im


pugnata deve essere cassata. -(Omissis). 

II 

(Omissis). -Con il primo motivo di appello, si sostiene 
che erroneamente il Tribunale di Roma, confermando anche 
in questo giudizio la propria costante giurisprudenza (Trib. 
Roma, 11 aprile 1957, in causa Stuccoli, e 7 dicembre 1959, in 
causa Cetti Serbelloni), ha affermato che il diritto di aggiungere 
al proprio cognome il predicato nobiliare, previsto dalla 
XIV disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica, 
vada riconosciuto soltanto ai titolari di titoli nobiliari, che ne 
avessero ottenuto il riconoscimento alla data del 28 ottobre 
1922, e propugna la tesi che, invece, il diritto al predicato 
spetta a tutti coloro che siano titolari di titoli nobiliari, per 
concessioni emanate anteriormente alla data suddetta, dei quali 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

potesse essere ottenuto il rioonoscimento,. secondo le norme in 
vigore alla data stessa. 

La difesa degli appellanti recepisce, cos�, la tesi che � 
stata sostenuta dai commentator� della XIV disposizione, fin 
dal suo primo apparire, e che si fonda sopra una interpretazione 
strettamente letterale della norma, in connessione 
con le nozioni ed il linguaggio correnti, in relazione all'ordinamento 
precedente. 

La tesi muove, infatti, dal rilievo che il diritto al titolo 
nobiliare era configurato, nell'ordinamento precedente, come 
diritto personale, imprescrittibile, e che al riconoscimento, emesso 
con provvedimento amministrativo, era attribuito contenuto 
meramente dichiarativo, e non costitutivo, del diritto; il 
riconoscimento era considerato, cio�, come provvedimento fondato 
sull'accertamento dell'esistenza del diritto, che aveva l'effetto 
di rendere esercitabile il diritto stesso e di attribuire 
al titolare la tutela prevista dall'ordinamento stesso. 

Poich� nella disposizione XIV si trovano menzionate entrambe 
le nozioni, di "riconoscimento" e di "esistenza", del 
titolo nobiliare, e le due nozioni si trovano formulate in due 
norme distinte ed apparentemente contrapposte, si sostiene 
che la disposizione abbia recepito entrambi i concetti e che, 
mentre con il primo comma della disposizione viene negato 
valore al "riconoscimento", con il secondo si attribuisce rilevanza 
giuridica alla "esistenza" del titolo, quale presupposto 
per l'applicazione del precetto ivi sancito, con cui � ammessa 
la cosiddetta cognomizzazione del predicato, e cio� l'aggiunta 
del predicato nobiliare al cognome, come parte integrante di 
questo. Si sostiene, in altre parole, che il diritto ad aggiungere 
il predicato al proprio cognome debba essere attribuito anche 
a coloro che non avevano ottenuto il riconoscimento del titolo, 
alla data indicata nel secondo comma, qualora, secondo le norme 
vigenti a tale data, questi fossero titolari di un titolo legittimamente 
attribuito ed ammissibile al riconoscimento. 

�Questa tesi � stata ripetuta ed ampliata in numerose 
note di riviste giuridiche ed in monografie di specialisti, ha 
trovato eco in qualche trattato di diritto privato e, bench� 
non sembri del tutto coerente con le nozioni espresse nei 
pi� accreditati trattati di diritto costituzionale, non ha ricevuto 
n� critica, n� confutazione, s� che si presenta come opinione 
unanimemente accolta in dottrina. La giurisprudenza non ha 
potuto, quindi, non tenerne conto. Ed infatti, la maggioranza 
delle pronunce della Magistratura di merito, che sono state 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

308 

emesse su tale punto, vi hanno aderito (da ultimo, App. Bologna, 
16 settembre 1961, in causa Presidenza Consiglio c. Gardi). 
Hanno respinto la tesi, per quanto risulta, soltanto il Tribunale 
di Roma, nelle sentenze citate ed in questa ora impugnata, 
e due altre isolate pronunce (Tribunale Trani, decr. 5 
febbraio 1954, rie. Basile; Appello L'Aquila, decr. 9 febbraio 
1954, rie. Vincenzini). 

Questa Corte e la Corte Suprema di Cassazione non hanno 
avuto finora occasione di pronunciarsi su tale questione; 
tuttavia le argomentazioni addotte in recenti giudicati, a sostegno 
di decisioni emesse su questioni collaterali, sono state interpretate 
dai commentatori e dalla difesa degli appellanti come implicita 
adesione alla tesi prevalente. 

La prima questione venuta in esame riguardava il procedimento 
attraverso il quale pu� essere chiesta l'aggiunta al cognome 
di un predicato relativo ad un titolo, che non sia stato riconosciuto 
prima dell'entrata in vigore della Costituzione, ed � stato 
giudicato, al riguardo, che non pu� essere utilizzato il procedimento 
di rettificazione degli atti di stato civile, ma deve essere 
proposta domanda, in sede contenziosa, alla autorit� giudiziaria 
ordinaria (Cass., 13 giugno 1957, n. 2221); come premessa necessaria 
di tale decisione � stato ammesso, quindi, che, in questa 
ipotesi, la pretesa ad ottenere l'accertamento ed il riconoscimento 
del titolo nobiliare, quale presupposto per il riconoscimento 
del diritto alla cognomizzazione del predicato, sia esercitabile 
ed ammissibile. 

Connessa con questa � la question~ concernente la individuazione 
del soggetto, nei confronti del quale possa essere esercitata 
tale pretesa; ed � stato deciso, come si � detto, che la legittimazione 
passiva spetta tuttora alla Consulta Araldica (Cass., 13 
giugno 1957, n. 2221 cit.), o, quanto meno, all'ufficio della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, che ne cura lo stralcio (App. Roma, 
23 maggio 1959, cit.; Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087, cit.); 
per giungere a tale soluzione, peraltro, � stata espressamente 
affermata l'ammissibilit� dell'accertamento del diritto al titolo, 
ancorch� non nel dispositivo della sentenza, n� con efficacia costitutiva, 
tuttavia nella motivazione, come presupposto per l'accertamento 
del diritto all'uso del predicato. 

E' sorta questione, altres�, intorno alla sussistenza del di


ritto alla cognomizzazione del predicato di un titolo nobiliare 

straniero, non riconosciuto, e tale diritto � stato escluso; ma a so


stegno di tale esclusione � stata ricordata la distinzione, comune


mente accolta nel vigore del precedente ordinamento, tra i� prov




PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

vedimenti di grazia� e i �provvedimenti di giustizia�, che il 
sovrano emanava per il riconoscimento dei titoli nobiliari, e si 
� affermato che soltanto nei primi il riconoscimento del titolo, 
che formava oggetto del provvedimento, aveva valore costitutivo 
per l'ordinamento italiano, mentre nei secondi il riconoscimento 
aveva contenuto meramente dichiarativo ed aveva solo l'effetto 
di rendere esercitabile, nell'ambito dell'ordinamento, il diritto 
al titolo (App. Roma, 23 maggio 1959, citata). 

Appare comprensibile, anche se non accettabile, quindi, la 
deduzione che i commentatori e la difesa degli appellanti hanno 
tratto dalle argomentazioni contenute in tali decisioni, secondo 
cui la giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Cassazione 
si sarebbe _gi� pronunciata in senso favorevole alla tesi, da loro 
affermata e sostenuta. 

Soltanto in una pronuncia sopra la questione, marginale ed 
incontroversa, della inammissibilit� di una domanda di delibazione 
di una sentenza straniera, che riconosca un titolo nobiliare, 
la Suprema Corte, pur ripetendo la consueta, generica affermazione 
della tutela del diritto alla cosidetta cognomizzazione del 
predicato, ha enunciato principi, che devono indurre alla meditazione; 
� stato affermato, infatti, che "la solenne affermazione 
della Costituzione circa la pari dignit� sociale di tutti i cittadini 
(art. 3) si collega strettamente, sul piano concreto, c:tl precetto, di 
immediata applicazione, secondo cui non sono riconosciuti, nel 
nuovo ordinamento, i titoli nobiliari (disp. transitoria XIV). Il che 
implica, come ineluttabile conseguenza, che, negandosi ogni giuridica 
rilevanza alla materia nobiliare come tale, � venuta a cadere 
ogni possibile tutela, amministrativa e giurisdizionale, al 
riconoscimento di un diritto, che pi� non sussiste, al titolo nobiliare... 
Il limite attuale dell'ordine pubblico, che tende a garan-� 
tire l'armonia del diritto positivo, non consente che, direttamente 

o indirettamente, sia realizzato uno status, che suonerebbe offesa 
agli interessi essenziali e fondamentali dell'ordinamento sociale 
italiano, che vuole l'assoluta eguaglianza di ogni individuo, quale 
che sia la sua origine" (Cass., 14 marzo 1961, n. 562, nella motivazione). 
Ed invece, se si dovesse ritenere accettabile, ed anzi gi� 
accolta dalla prevalente giurisprudenza, la tesi sulla quale gli appellanti 
hanno fondato la loro domanda, si verrebbe ad affermare 
che, nel vigore dell'attuale regime costituzionale repubblicano, 
fondato sulla piena parit� sociale degli individui, sarebbe esercitabile 
in giudizio, in qualunque momento, la pretesa ad ottenere 
ex novo l'accertamento dello status nobiliare; che, cio�, potrebbe 


310 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

essere ottenuto, in sede giurisdizionale, un provvedimento il cui 
contenuto ed il cui valore sarebbero eguali a quelli dell'atto di 
"riconoscimento" del diritto al titolo nobiliare, che il sovrano 
emanava, come provvedimento "di giustizia"; che, in altri termini, 
un ordinamento, che espressamente dichiara "non riconosciuti" 
i titoli nobiliari, ammette implicitamente che sia effettuato, 
nelle vie giudiziarie, il "riconoscimento" del titolo; anche 
se, come � detto in una delle pronunce citate, il riconoscimento 
sarebbe contenuto nella motivazione, e non nel dispositivo, della 
sentenza. 

La considerazione di questa evidente contraddizione tra il 
principio informatore e la norma, nel significato che a questa 
viene attribuito, sembra a questo Collegio che debba indurre ad 
un riesame ampio ed approfondito della questione, sottratto alla 
suggestione delle argomentazioni degli scrittori specialisti, che 
permetta di studiare se, realmente, alla norma debba essere dato 

�' 

quel significato. 
Sembra, infatti, che il sillogisma sul quale poggia la tesi addotta 
dagli appellanti assuma come premessa certa quello che 
deve essere, invece, il primo oggetto della ricerca. 
.Il sillogisma assume come prima premessa il rilievo che, con 
il secondo comma della XIV disposizione, � stata data tutela giuridica 
all'interesse al predicato nobiliare, come parte del cognome, 
ed � stato, quindi, costruito il diritto al predicato, come diritto 
soggettivo privato, pari al diritto al cognome. Come seconda premessa, 
si afferma che, essendo il predicato parte del titolo nobiliare, 
l'ammissione del diritto al predicato importa tutela dell'interesse 
all'accertamento della sussistenza del diritto al titolo nobiliare, 
come presupposto per l'accertamento del diritto al predicato. 
Da tali premesse, si trae la tesi che con la norma in esame 
� stata disposta l'attribuzione del diritto al predicato a coloro che 
dimostrino di essere titolari del diritto al titolo, alla data indicata 
dalla norma stessa. 
Non � stato rilevato che la seconda premessa contiene una 
affermazione, della quale, a sua volta, deve essere data dimostra-~ 
zione, in quanto contrasta con la norma contenuta nel primo com~ 
ma della stessa disposizione, che pone il principio generale, en


�:�

tro il quale la norma del secondo comma va inquadrata. 

Non � stato rilevato, cio�, che, essendo escluso, per la disposizione 
contenuta nel primo comma, che possa farsi luogo, 
dopo l'entrata in vigore della norma costituzionale, a riconoscimento 
del titolo nobiliare, o, pi� propriamente, del diritto al titolo 
nobiliare, perch� possa essere affermato che � esercitabile attual



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

311 

mente, sia pure in via incidentale, la pretesa all'accertamento ed 
al riconoscimento del diritto al titolo, deve essere .dimostrato, 
innanzi tutto, che il secondo comma pone una deroga od eccezione 
al principio, affermato nel primo comma; si � omesso di 
rilevare, anzi, del tutto, che il secondo comma, cos� come viene 
interpretato, contiene non una norma di attuazione od esplicazione 
del principio contenuto nel primo comma, ma una norma 
che contrasta con quel principio, e che al principio stesso va, 
in qualche modo, coordinata. 

Perch� possa essere giudicato se la tesi proposta sia fondata, 
o meno, deve essere affrontata, quindi, questa dimostrazione, 
e deve darsi la prova che l'esigenza dell'attribuzione del 
predicato, come parte del cognome, � stata assunta nella norma 
come esigenza preminente, alla quale � stata sacrificata la generale 
esigenza a disconoscere, in regime di repubblica, il valore 
giuridico dei diritti nobiliari. 

Questa dimostrazione non pu� essere data, come invece ritengono 
i commentatori e la difesa degli appellanti, attraverso il 
mero rilievo che le due norme contengono locuzioni diverse e che 
queste locuzioni hanno, nell'ambito della specifica materia, cui la 
norma si riferisce, un significato tecnico ben determinato. 

La considerazione delle vicende, attraverso le quali � stato 
formato il testo della Carta costituzionale, vieta di ritenere che 
alle singole locuzioni inserite nelle norme costituzionali possa e 
debba essere sempre attribuito un significato tecnico. Il criterio 
pi� appropriato per la interpretazione delle norme costituzionali � 
il criterio sistematico, con l'osservanza dei canoni della coerenza 
e della totalit� ermeneutica, per cui ogni norma va intesa non 
tanto nel suo significato letterale e tecnico, quanto in connessione 
con il complesso dei principi, cui la carta costituzionale � ispirata, 
ed in relazione alla genesi delle singole norme. 

Perch� possa essere dimostrato che effettivamente, con le 
norme contenute nei primi due comma della XIV disposizione 
transitoria, sia stata attribuita rilevanza preminente all'esigenza 
di dare al predicato nobiliare il valore di elemento completivo del 
cognome e sia stata attribuita efficacia prevalente alla antecedente 
disciplina dei rapporti inerenti ai diritti nobiliari, occorre, quindi, 
ricercare se questi, propriamente, siano stati i risultati cui � 
stata diretta la formulazione della disposizione; occorre esaminare, 
cio�, se, nel corso della elaborazione della norma, sia stata 
tenuta presente la differenza concettuale tra il " riconoscimento " 
del titolo e la "esistenza" del diritto al titolo, e si sia inteso, 
appunto, dare valore a questa, in contrapposizione con quello, al 



312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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fine di attribuire, sia pure indirettamente, all'ordinamento nobiliare 
una persistente rilevanza giuridica. 
Sembra a questo Collegio che l'esame della documentazione 
relativa al lavoro legislativo, attraverso il quale si � giunti 
alla formulazione della XIV disposizione, conduca ad una 
conclusione pienamente negativa su tali punti. 
La prima formulazione della norma, quale risulta redatta 
dalla prima sottocommissione della Commissione per la Costituzione 
dell'Assemblea costituente e presentata per l'approvazione 
alla Commissione stessa, fu la seguente: "E' vietata la 
concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente 
esistenti valgono soltanto come parte del nome". Questa norma 
avrebbe dovuto, secondo i proponenti, essere inserita nel testo 
della Costituzione. Con la prima parte della norma si ribadiva 
che, in aderenza al principio della parit� dei cittadini, la costituenda 
repubblica non avrebbe potuto istituire distinzioni nobiliari; 
con la seconda parte si recepiva una disposizione enunciata 
in altre Costituzioni repubblicane, quali quella della Repubblica 
di Weimar, pur alterandone il contenuto e non tenendo 
conto della diversit� delle situazioni. Se, peraltro, tale formula 
fosse stata mantenuta, sembra che nessuno avrebbe potuto 
pensare che, con la locuzione "attualmente esistenti", fossero 
indicati titoli, che non fossero quelli, che, secondo le norme 
vigenti al momento dell'entrata in vigore della Costituzione, 
avevano rilevanza giuridica, e cio�, secondo la locuzione corrente, 
i titoli " riconosciuti ". 
Alla prima parte di questo testo fu, per�, subito proposto 
un emendamento: "E' vietata la concessione e l'uso dei titoli nobiliari", 
mentre ne veniva anche chiesta la soppressione (Asscm~ 
blea costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza plenaria, 
seduta del 25 gennaio 1947); nella discussione venne chiarito, 
da un canto, che la previsione del divieto di concedere titoli 
nobiliari appariva superflua, essendo la concessione di dignit� 
nobiliari istituto proprio del regime monarchico e incompatibile 
con il regime repubblican9 e, dall'altro, che si intendeva, 
soprattutto, impedire che venissero, comunque, mantenute 
in vita le distinzioni nobiliari create nel periodo del ventennio 
fascista. Al termine di questa discussione, venne eliminata la 
prima parte della norma e mantenuta la seconda : " I predicati 
dei titoli nobiliari attualmente esistenti valgono come parte del 
nome" e si rimise al Comitato di redazione il compito di redigere 
una disposizione, da inserire eventualmente nelle disposizioni 
transitorie, che regolasse la sorte dei titoli concessi nel periodo I/: 
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I "' 

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~ 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

fascista, e di esaminare se dovesse essere enunciato, o meno, il 
principio del disconoscimento dei titoli esistenti; fu osservato, 
peraltro, che al disconoscimento dei titoli esistenti si sarebbe 
pervenuti sancendo l'abolizione della Consulta Araldica. 

Anche in questa fase dell'elaborazione non fu, quindi, ipotizzato 
affatto che i titoli � esistenti , dei quali si discuteva, fossero 
altro che i titoli � riconosciuti , ed anzi risulta chiaro che i 
due concetti non erano tenuti distinti, dal rilievo che si riteneva 
sufficiente la soppressione della Consulta Araldica, per giungere 
al risultato del disconoscimento dei titoli nobiliari, pur essendo 
notorio che nei registri della Consulta risultavano soltanto i titoli 
che avessero ottenuto il riconoscimento. 

Il Comitato di redazione elabor� il nuovo testo, che costituisce 
l'embrione di quello poi accolto: "La Repubblica non riconosce 
titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono come 
parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta 
Araldica", e lo sottopose alla Commi-'sione, proponendo di includerlo 
nelle disposizioni transitorie (Commissione per la Costituzione, 
Adunanza plenaria, seduta del 1� febbraio 1947). Bench� fosse 
scomparso l'inciso "attualmente" e fosse prevista la futura 
soppressione della Consulta Araldica, il contenuto della norma 
non appare mutato. Con la prima parte era posta una disposizione 
che ribadiva il principio della parit�, in modo completo, enunciando 
non soltanto l'inammissibilit� della concessione di nuovi 
titoli nobiliari, ma anche l'irrilevanza dei titoli precedenti; con la 
seconda parte si faceva chiaro riferimento al momento stesso del1'
entrata in vigore della Costituzione, per l'attribuzione del valore 
di predicato ai titoli esistenti e, rinviando, con la terza parte, 
l'abolizione della Consulta Araldica ad un successivo provvedimento 
di legislazione ordinaria, si manteneva in vigore la legislazione 
nobiliare vigente al momento, sia pure al limitato scopo 
di permettere l'accertamento dei predicati esistenti, al fine 
della inclusione di questi nel nome. Con questa terza parte si 
ribadiva, anzi, che l'esistenza del titolo andava accertata secondo 
le norme che regolavano i rapporti devoluti alla competenza 
della Consulta Araldica, e cio� i rapporti concernenti titoli inseriti 
nei registri di questa, in quanto riconosciuti � . 

Alla disposizione, cos� formulata, fu proposto un emendamento 
: " Ai titoli nobiliari concessi dopo il 28 ottobre 1922 non � 
riconosciuto neppure questo valore " (on. Targetti e Nobile). 

A questo punto, per�, del tutto inavvertito, ebbe luogo il mutamento 
della formulazione, che ha dato luogo al problema interpretativo, 
che qui si esamina. L'on. Togliatti osserv�: �Ba



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA nELLO STATO

314 

sterebbe dire: I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 
1922 valgono soltanto come parte del nome�; ed il Presidente 
espresse il pensiero che �la proposta dell'on. Togliatti soddisfi 
il pensiero di tutti �. Nessuno sollev� obiezioni ed il testo rimase 
fissato in questa formulazione. Anzi, l'on. Lucifero, che 
sar� poi qualificato � competente � in materia dall'on. Ruini, nella 
successiva Assemblea generale, si limit� ad osservare che, con 
la formula "La Repubblica non riconosce titoli nobiliari", si 
era inteso tener conto anche dei titoli nobiliari " concessi " dal 
fascismo, confermando, cos�, implicitamente, che non era tenuta 
affatto presente la distinzione tra riconoscimento ed esistenza 
del titolo e che il riconoscimento veniva contrapposto soltanto 
alla " concessione ". 

Ipotizzare che con quella modificazione terminologica si 
fosse inteso abrogare l'intera legislazione in materia nobiliare 
emanata successivamente alla data del 28 ottobre 1922, come, 
in coerenza con la lettera della norma, � stato affermato da re


I

centi giudicati (da ultimo, Cass., 11 ottobre 1961, n. 2087 cit.), e 

si fosse determinato di rendere possibile, dopo l'entrata in vigo


I 

re della Costituzione, il riconoscimento di titoli precedentemente 

concessi, ma non riconosciuti, come � stato affermato ed � so'


I 

stenuto in questo giudizio, sembra, invero, alquanto ingiustifi


I

cato. Si tratta, invero, di una mera semplificazione della formu


la, che appariva ridondante, con cui si riteneva che rimanesse 

I

ferma la concezione che della " esistenza " dei titoli si dovesse 
giudicare alla stregua della legislazione vigente, la cui modifica,.


I

zione era rinviata al momento successivo, in cui sarebbe stato ri


formato l'ordinamento della Consulta Araldica, fermo restando il 

principio che ai titoli nobiliari, come tali, si negava ogni rile


vanza giuridica nel nuovo ordinamento. 

La questione non emerse neppure nella discus~ione in seno 
all'Assemblea plenaria, che termin� con l'approvazione del testo 
.ora vigente (Atti dell'Assemblea Costituente, volume X, Seduta 
pomeridiana del 5 dicembre 1947). Un chiarimento, invero, avrebbe 
potuto aver luogo, ove fosse stato approfondito il significato ;; 
del nuovo emendamento proposto dall'on. Nobile, che, con molta 
precisione, enunciava, tra l'altro: "tutte le questioni relative ai 

I 

~ 

titoli nobiliari esistenti saranno regolate dalla legge, la quale re. 


.

goler� anche la soppressione della Consulta Araldica. Le conces


I

..

sioni ex novo di titoli nobiliari fatte dopo la data del 28 ottobre 

1922 sono annullate"; ma l'argomento non venne affrontato e lo 

stesso proponente dell'emendamento, nel criticare il secondo com


ma del testo proposto dalla Commissione, si limit� a sottolineare 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

come fosse ingiustificato dare rilevanza ai predicati, di origine 
feudale, e non a titoli senza predicato, concessi in riconoscimento 
di meriti civili o militari, ed a prevedere il � complesso lavoro 
da fare per accertare i predicati dei titoli esistenti o farne annotazione 
nei registri di stato civile� e le �intricate e complesse 
questioni amministrative, assai ardue a risolversi �, che sarebbero 
sorte. 

All'emendamento dell'On. Nobile, l'on. Ruini, presidente 
della Commissione per la Costituzione e del Comitato di redazione, 
formato in seno a questa, oppose le seguenti dichiarazioni, 
che vanno tenute ben presenti, sia a riprova dell'atecnici� 
smo delle espressioni adoperate, sia per l'indicazione dei principi 
ispiratori della norma: � il Comitato ha adottato la formula 
del non riconoscimento dei titoli nobiliari, che si trova in altre 
Costituzioni ed � sembrata -anche per consiglio di un nostro 
competente collega, l'on. Lucifero -tecnicamente esatta. Lo 
Stato non riconosce, non d� valore ai titoli nobiliari di qualsiasi 
genere. Non si dovr�, pertanto, farne pi� uso. Stabilir� la legge 
se si dovr�, o no, punire chi se ne freger� ancora come titolo 
abusivo. Il riconoscimento � negato a tutti i titoli nobiliari; e 
perci� senza dubbio anche a quelli concessi durante il fascismo. 
Anzi, nei loro riguardi, la disposizione � pi� grave, perch� non 
consente, come � consentito per i titoli anteriori al fascismo, di 
usarne come predicato del nome. Quest'ultima disposizione vuol 
dire che non vi saranno pi� principi, conti o baroni; ma qualche 
indicazione di casato storico sar� incorporata nel nome. Non nego 
che, fermissimi questi concetti, si possa trovare qualche cosa 
di pi� adatto come forma; ma resta inteso che i punti sono 
questi: nessun riconoscimento di titoli nobiliari, di nessun tempo, 
ammissione, come predicato, per quelli anteriori al fascismo 
�. Su queste determinazioni, la norma fu approvata, nel 
testo proposto. 

Numerosi commentatori hanno rilevato come in queste dichiarazioni 
sia contenuta una evidente commistione di nozioni, 
risultando non chiaramente distinti il diritto al titolo dal titolo, 
il titolo dal predicato e dal casato, il disconoscimento del 
titolo e il divieto dell'uso. Risultano, per�, chiaramente, dalle 
dichiarazioni stesse, i punti che appaiono decisivi per l'interpretazione 
della norma; da un canto, che la formula "non sono 
riconosciuti" � stata ritenuta tecnicamente esatta per indicare 
il diniego di valore giuridico, s� che deve dedursi che non soltanto 
non � stata tenuta presente la possibilit� di attribuire valore 
giuridico a titoli non riconosciuti, ma � stato escluso che al 


316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di fuori del riconoscimento potesse essere ipotizzata rilevanza 
giuridica di un titolo; dall'altro, che, come principi � fermissimi
�, di cui la norma � l'espressione, sono indicati il diniego di 
riconoscimento di titoli nobiliari di ogni tempo e la cognomizzazione 
di quei predicati, che non avessero origine da provvedi


menti inerenti al regime fascista; ed, infine, che lo specifico 
regol�mento della materia era rinviato alla legislazione ordinaria. 


Dal riesame dell'iter, attraverso il quale si � giunti alla formulazione 
del testo della XIV disposizione transitoria della Costituzione, 
non soltanto risulta da escludere, dunque, che sia stata 
scorta una contrapposizione tra le nozioni di "riconoscimento 
" e di "esistenza" del titolo nobiliare e che si sia, comun


que, inteso attribuire rilevanza a titoli non riconosciuti, prima o 
dopo la. data indicata nel secondo comma, ma deve anche essere 
dedotto che, con la norma contenuta nel secondo comma, si � 
regolata una mera conseguenza del diniego di riconoscimento, 
attribuendo un effetto particolare al riconoscimento gi� avvenuto, 
e, sopratutto, che il principio che domina la materia, ed al 
quale non � stata ipotizzata alcuna eccezione, � che, dopo l'entrata 
in vigore della Costituzione, non pu� essere attribuito alcun 
valore giuridico ad un titolo nobiliare e, in particolare, non 
pu� farsi luogo ad alcun riconoscimento di titolo e di diritto a 
titolo nobiliare. 

La deduzione che si trae dalle risultanze della genesi della 
norma, mentre toglie valore al significato, che potrebbe essere 

ricavato dalla interpretazione strettamente letterale, conferma, 
per contro, l'interpretazione, che alla norma stessa va data, attraverso 
l'inquadramento nel sistema, cui appartiene; ed infatti 
viene riconfermato che, nel vigore della Costituzione, non pu� 
essere avanzata una pretesa tendente a fare riconoscere una posizione 
di distinzione sociale, in contrasto con il principio enunciato 
nell'art. 3 della Costituzione medesima. 

La Corte ritiene, pertanto, che esattamente il primo Giudice 
ha rigettato la domanda proposta dagli appellanti, sia in 
quanto dalla retta interpretazione del secondo comma della XIV 
disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica deve 
essere dedotto che con la locuzione "titoli esistenti" siano in


t 

dicati i titoli nobiliari dei quali gi� fosse stato provveduto al 

.

riconoscimento, secondo l'ordh,1amento precedentemente vigente, 
sia, e sopratutto, in quanto la pretesa di cognomizzazione del 
predicato di un titolo non riconosciuto deve essere ritenuta .. 
. 
inammissibile, nell'ordinamento attualmente vigente, in quanto 


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~ 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 317 

ha come presupposto una pronuncia di accertamento e riconoscimento 
di titolo nobiliare, che contrasta con il precetto contenuto 
nel primo comma della medesima disposizione. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 gennaio 1964, n. 3 -
Pres. Tavolaro -Est. Sparvieri -P.M. Pepe (conf.) -Ministero 
Difesa-Esercito c. Rappuoli e Cioli. 

Responsabilit� civile -Responsabilit� della P.A. -Attivit� di carattere 

militare -Danni -Inapplicabilit� della presunzione prevista dal


l'art. 2050 e.e. -Responsabilit� diretta per colpa -Onere dellil 

prova. 

(Cost., art. 28; e.e., artt. 2043, 2050, 2697). 

Responsabilit� civile -Responsabilit� della P.A. -Servizio rastrellamento 
proiettili -Discrezionalit� della P.A. -Limiti -Sindacato 
del G.O. 
(Cost., art. 28; e.e., art. 2043). 

Responsabilit� civile -Responsabilit� della P.A. -Responsabilit� diretta 
-Interruzione del rapporto organico. 
(Cost., art. 28). 

Nei confronti della Pubblica Amministrazione, chiamata a 
rispondere di danni arrecati a privati da suoi organi, nello svolgimento 
di attivit�, rivolte, come quelle di carattere militare, al 
perseguimento di finalit� essenziali dello Stato, non trova applicazione 
la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2050 e.e., in 
quanto la discrezionalit� della Pubblica Amministrazione sarebbe 
compromessa da una presunzione di colpa, epper� non 
essa deve provare di avere adottato tutte le misure atte ad evi� 
tare il danno, sibbene il danneggiato ha l'onere di dimostrare 
la colpa dell'Amministrazione (1). 

La discrezionalit� della Pubblica Amministrazione, ancorch� 
di carattere tecnico, trova un limite nel dovere della medesima 
di osservare le disposizioni di legge e regolamento, nonch� 
le norme elementari di diligenza e prudenza imposte dal precetto 
del neminem laedere, onde il Giudice ordinario pu� accer


(1) Cfr. Cass., Sez. Un., 23 febbraio 1956, n. 507, Giur. it., 1956, I, l, 
890; 23 febbraio 1956, n. 509, Foro it., 1956, I, 507; 8 novembre 1957, 
n. 4310, Id., 1957, I, 1929. 

318 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tare, ai fini del risarcimento, se il fatto della Pubblica Amministrazione, 
esorbitando da tale limite, abbia leso il fondamentale 
diritto del cittadino alla integrit� personale (2). 

La responsabilit� della Pubblica Amministrazione � diretta, 
per fatto proprio, venendo esclusa per effetto dell'interruzione 
del rapporto organico, che si verifica soltanto se l'attivit� del 
dipendente sia rivolta a fini estranei a quelli istituzionali dell'Ente 
Pubblico (3). 

(2) Cfr. Cass., 6 febbraio 1954, n. 369, Resp. civ. e prev., 1954, 113; 
10 luglio 1957, n. 2746, Giust. civ., 1958, I, 138; 28 aprile 1961, n. 979, Sett. 
Cass., 1961, 809; 12 luglio 1961, n. 1659, Giust. civ., 1961, I, 1562; � 13 febbraio 
1963, n. 287, Giur. it., Mass. 1963, 92,sub b); Sez. Un., 28 maggio 
1'963, n. 1422, Ibidem, 490 sub b). 
(3) La giurisprudenza della Corte di Cassazione rimane ferma, nonostante 
tentativi dottrinali, pii1 o meno recenti, di introdurre una responsabilit� 
indiretta della P.A., all'insegnamento che la responsabilit� della 
P.A. � soltanto diretta, per fatto proprio: cfr. Cass., Sez. Un., 9 luglio 1946, 
n. 819, Foro it., 1947, I, 104, con nota di JEMOLO; 15 luglio 1950, n. 927, 
Resp. civ. e prev., 1951, 21; Cass. 15 febbraio 1952, n. 398, Id., 1953, 131; 
9 maggio 1952, n. 1312, Id., 1952, 504; Cass., Sez. Un., 21 luglio 1953, 
n. 2433, Id., 1954, 25, che, come le precedenti citate, insegna che l'abuso 
della funzione da parte del dipendente, il quale se ne serva per suo interesse 
privato, ed in genere il fatto illecito doloso rompono il rapporto 
organico, facendo considerare l'azione � come commessa fuori dell'ambito 
dell'attivit� dell'Ente �, conclusione perfettamente coerente con l'essenza 
della responsabilit� diretta, alla base della quale v'� l'idea che 
� la P.A. che vuole ed agisce tramite i suoi funzionari e dipendenti, 
onde -come avverte Cass., 2.3 settembre 1958, n. 3029, Foro it., 1959, 408 sono 
i fini che quella persegue � che delimitano l'ambito della riferibilit� 
istituzionale �. In questa pronuncia, per�, la Suprema Corte regolatrice, 
pur ribadendo che l'art. 28 della Costituzione nulla ha innovato in ordine 
alla natura della responsabilit� della P.A., ha ritenuto di avvertire che 
� non � del tutto esatta l'affermazione che il dolo normalmente spezzi 
il rapporto organico ed impedisca, quindi, _la riferibilit� alla P.A. del 
comportamento del suo dipendente�. Tale precisazione si fonderebbe 
sulla necessit� di distinguere fra intenzione e movente dell'agente: � la 
intenzione (dolo) � il risultato del processo volitivo, ma non va confusa 
con lo scopo o movente, che costituisce il fine dell'azione illecita �; soltanto 
il carattere � esclusivamente personale � del fine dell'agente, ma 
non la mera intenzionalit� dell'atto dannoso, compiuto � nell'esplicazione 
dell'attivit� propria del servizio od ufficio cui � addetto �, spezzerebbe 
il rapporto organico, impedendo la riferibilit� del comportamento alla 
P.A. (cfr. successivamente, in tale ordine di idee, Cass., 31 marzo 1960, 
n. 708, Foro it., 1961, I, 668; 20 aprile 1962, n. 792, Giur. it., Mass. 1962, 
285; 30 novembre 1963, n. 3069, in questa Rassegna, 1964, 102, in part. 106, 
con. nota di richiami sub 7). Ma sembra agevole obiettare a siffatto ragionamento, 
che proprio l'intenzione � � uno sforzo della volont� verso 
un certo fine� (CARRARA, Programma, I, par. 63), onde, se il dolo si traduce 
nell'intenzione di cagionare un evento antigiuridico (� �volont� cosciente 
dell'offesa antigiuridica�, cfr. PECORARO-ALBANI, Il dolo, Napoli 1955, 7 e 

PARTE I, SEZ, III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

319 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 gennaio 1964, n. 6 -Pres. 

Tavolaro -Est. Di Majo -P.M. Pepe (conf.) -Ministero del


l'Interno c. Landi. 

Espropriazione per p.u. -Indennit� -Interessi compensativi. 

(Cost., art.. 42; 1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 24 e segg. e 51; 

e.e., art. 1499). 

Sulla somma liquidata dal G.0. a titolo di indennit� di 
espropriazione decorrono gli interessi compensativi dalla domanda 
alla data del deposito nella Cassa DD.PP., e ci� a prescindere 
da qualsiasi colpa da parte dell'espropriante, ma con 
esclusivo riguardo alla produttivit� del danaro (1 ). 

La pronuncia del giudice di merito in ordine alla misura 
dell'indennit� d'espropriazione per p.u. � incensurabile in Cassa


segg., 522 e segg.), � certo che anche l'azione dolosa esorbita dall'ambito 
della riferibilit� istituzionale alla P.A., tra i fini della quale non rientra, 
certo, quello di arrecare offese antigiuridiche a terzi. Sul punto che 
l'art. 28 Cost. ha lasciato inalterato il principio che la responsabilit� 
della P.A. � soltanto diretta, per fatto proprio, v., da ultimo, Cass., 29 
1964, 327 e segg.; in part. 330-331. Sulla problematica della responsabilit� 
della P.A. v. anche FANELLI, Recensione ad ALEssr, La responsabilit� degli 
enti pubblici, Milano 1964, in questa Rassegna, 1964, 25 e segg. 

F. C. 
(1) La giurisprudenza della Corte di Cassazione non � sicura. Per 
Cass., Sez. Un., 30 ottobre 1951, n. 2648 (Giur. Compl. Cass. Civ., 1951, 
3 quadr., n. 3046, p. 1016) si tratterebbe di inte~essi compensativi (v. art. 
1499 e.e.), decorrenti dal giorno in cui si avvera per il privato la perdita 
del bene. Per la sentenza in rassegna, avendosi riguardo � alla produttivit� 
del danaro�, si tratta, invece, di interessi da qualificarsi pi� propriamente 
corrispettivi (art. 1282 e.e.). Quanto agli interessi compensativi, 
� da avvertire che, secondo la ratio dell'art. 1499 e.e., l'obbligo del compratore 
di corrispondere gli interessi sul prezzo, anche se non ancora esigibile, 
della cosa acquistata e ricevuta in consegna deriva dal fatto che egli, 
pur non avendone ancora pagato il prezzo, gode dei frutti o proventi della 
cosa (cfr. LuzzATO, La compravendita, Torino 1961, 350; GRECO e CoTTINO, 
Della vendita, Commentario Scialoja e Branca, Libro Quarto, artt. 14701547, 
Bologna-Roma, 1962, 268). Appare evidente, pertanto, l'impossibilit� 
di estendere l'applicazione di tale norma al caso di espropriazione per 
p.u., in cui il trasferimento avviene jure publico e l'indennit�, da determinare 
secondo legge, viene depositata prima dell'emissione del decreto 
espropriativo (nello stesso senso, CARUtiNO, L'espropriazione per pubblica 
utilit�, Milano 1958, 199, che sostiene, tuttavia, che sulle maggiori somme 
liquidate all'espropriato in seguito all'impugnazione della stima competono 
gli interessi legali, per un'esigenza d'equit� che sarebbe imposta 
dagli stessi principi dominanti in materia di espropriazione; sull'argomento 
v. anche RossANO, L'espropriazione per pubblica utilit�, I, Torino 

320 R~SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, se la liquidazione risulta fatta in base a criteri di legge 
e la pronuncia � sorretta da motivazione esente da vizi logici (2). 

1964, 293 e seg., che critica Cass. 21 ottobre 1958, n. 3378 (Foro amm., 
1958, II, 1, 820) e parla interessi di natura compensativa). 
Quanto agli interessi corrispettivi (su cui v. Cass., 13 aprile 1944, 

n. 241, Foro it., Rep. 1943-45, voce Interessi, n. 14; v. anche Giur. compl. 
Cass. Civ., 1944 231; AscARELLI, Delle obbligazioni pecuniarie, Commenta� 
rio del Codice Civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro Quarto, 
artt. 1277-1284, Bologna-Roma, 1959, 584 e segg.), essi suppongono (art. 
1282 e.e.) un credito di somma di danaro liquido ed esigibile. Per Cass. 
14 gennaio 1956, n. 71, (Giust. Civ., 1956, I, 652) il debito pecuniario della 
indennit� espropriativa sarebbe � immedjatamente esigibile, essendo prescritto 
il suo versamento alla Cassa DD.PP., anche se non accettato dall'espropriato
�; ma, con riguardo al tema della prima massima della 
sentenza in rassegna, sembra opportuno avvertire che: a) � giurisprudenza 
costante circa l'esigibilit� dei crediti verso la P.A. che essa non 
sussista e non siano dovuti interessi, fin quando non . venga emesso un 
titolo definitivo di pagamento (Cass., 26 aprile 1951, n. 1014, Foro it., 1952, 
I, 711; 5 giugno 1952, n. 1601, Ibidem, 845; 26 giugno 1956, Id., Mass. 1956, 
n. 2291 ed in questa Rassegna, 1956, 184; 9 febbraio 1957, Foro it., Mass., 
1957, n. 517. Secondo il SANDULLI, La posizione dei creditori pecuniari 
dello Stato, Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 545, 551,557, la procedura contabile 
non inciderebbe sulla esigibilit� dei diritti di credito, ma sul diritto 
al pagamento, che rimarrebbe in istato di pendenza fino al momento 
dell'emissione del titolo di spesa. Ma l'esigibilit� suppone proprio il potere 
di chiedere ed ottenere la condanna all'immediato pagamento della 
somma); b) nel caso di credito da indennit� di espropriazione, proprio 
la Corte di Cassazione ha pi� di recente affermato che � il debito dell'epropriante, 
anche se liquido, non � esigibile fino all'emanazione del provvedimento 
di svincolo dell'indennit� depositata, ai sensi dell'art. 1 della 
1. 3 aprile 1926, n. 686 � (Cass., 23 aprile 1963, n. 1071, Giur. it., Mass. 1%3, 
307, che nega che sull'indennit� espropriativa liquidata d'accordo decorrano 
gli interessi compensativi o corrispettivi). 
Per quanto concerne, infine, gli interessi moratori ed il maggior 
danno (art. 1224 e.e.), � stato avvertito che, fin quando il ritardo della 
procedura relativa all'effettuazione della spesa non sia stato dichiarato 
illegittimo dal giudice Amministrativo, non potr� esser questione di colpevole 
ritardo nel pagamento (SANDULLI, op. cit., 561). 

{2) Conf. Cass., 23 luglio 1960, n. 2113, Foro it., Rep. 1960, voce Espropriazione 
per p.i., n. 128, c. 870. 

F. C. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 107 -Pres. 
Fibbi -Est. Di Majo -P.M. Pedote (diff.) -D'Arrigo c. ANAS 

Occupazione -Occupazione d'urgenza preordinata alla espropriazione 

per p.u. -Mancato perfezionamento nel biennio dall'occupazione 

della procedura espropria.tiva -Illiceit� -Risarcimento del danno 

-Valutazione. 

Cl. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 71 e� 73; e.e., artt. 2043, 2056). 



PARTE I, SEZ, UI, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Qualora l'occupazione anticipata di un immobile, per l'esecuzione 
di opera pubblica urgente e indifferibile, sia protratta 
oltre il biennio di legge senza il perfezionamento della procedura 
espropriativa e la restituzione dell'immobile sia resa impossibile 
per l'avvenuta trasformazione del medesimo a seguito 
della costruzione dell'opera, spetta al proprietario il risarcimento 
del danno, da liquidare con riferimento non solo allo stato del 
fondo al momento dell'occupazione (e perci� senza tener conto 
degli incrementi di valore ad esso apportatt dalla P.A.), ma anche 
alle eventuali condizioni pi� favorevoli della zona ove il fonda 
� ubicato, sussistenti al momento della liquidazione (1). 

(1) Cfr. Cass., 23 maggio 1962, n. 1189, Foro it., Mass. 1962, 365; v. anche 
Cass., 20 gennaio 1964, n. 109, in questa Rassegna 1964, 323-324, ed 
ivi nota di ulteriori richiami. 
Sul limite interno della giurisdizione ordinaria, per cui dalla costruzione 
dell'opera pubblica deriva l'impossibilit� di restituire in pristino 
il bene occupato, e, quindi, di ordinarne il rilascio, v. Cass., Sez. Un., 8 
febbraio 1957, ri. 490, Acque, bon. e costr., 1957, 316 e segg., con nota 
del CoLETTI; 16 ottobre 1957, n. 3857, Giust. Civ., 1957, I, 1847, con nota, 
sul punto, di richiami di dottrina, ove si sottolinea essere principio pacifico 
che, nell'ambito dei rapporti di diritto pubblico, la P.A. non pu� 
essere condannata alla reintegrazione in forma specifica dei diritti del 
cittadino, ma solo al risa:rdmento del danno per equivalente; 13 gennaio 
1959, n. 66, Giust. Civ., 1959, 460 (che parla di risarcimento del danno 
� ove la restituzione, per le opere compiute od altra ragione, non sia 
pi� possibile�); 15 luglio 1959, n. 2290, Acque, bon. e costr., 1959, 520, 
con nota qi RUPERTO; 30 ottobre 1959 n. 3204, Ibidem, 623 v. anche Cass., 
14 dicembre 1963, n. 3166, in questa Rassegna, 1964, 113 e seg., ed ivi nota 
di ulteriori richiami. 

F. C. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 108 -P��es. 
Fibbi -Est. Di Majo -P.M. Pedote (conf.) -Bandiera c. 
Assessorato LL.PP. Regione Siciliana. 

Espropriazione per p.u. -Accordo sulla misura dell'indennit� espropriativa 
-Negozio di diritto pubblico -Efficacia. 

(1. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 25, 28). 
Appello -Principio del doppio grado di giurisdizione -Limiti in materia 
di sentenze non definitive del giudice di primo grado. 
(c.p.c., artt. 187, 279, 339 e segg.). 

E' pienamente valido ed operante, siccome negozio di diritto 
pubblico, l'accordo tra espropriante ed espropriato sulla misura 


322 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'indennit�, intervenuto nel corso del procedimento di espropriazione 
per p.u. (1). 

Il principio secondo il quale, fuori dei casi previsti dal['
art. 354 c.p.c., il doppio grado di giurisdizione � salvaguardato 
sempre che una stessa questione sia sottoposta all'esame successivo 
del giudice di primo e di quello di secondo grado, senza 
che occorra che essa sia stata decisa in primo grado, trova il 
suo limite nel sistema accolto dal codice di rito in materia di 
sentenze non definitive, secondo il quale � riconosciuto al giu


(1) Come negozi di diritto pubblico gli accordi �sulla misura della 
indennit� e sul trapasso della propriet� �, che � costituiscano atti integrativi 
� del procedimento esJ!ropriativo, in quanto � abbiano a loro motivo 
determinante il compimento dell'opera di pubblica utilit�� (Cass., Sez. 
Un., 14 ottobre 1957, n. 3813, Acque, bonifiche e costruzioni, 1958, 354, con 
nota di SIMONE; v. anche Cass., 13 giugno 1959, n. 1811, Foro Amm., 1959, 
II, 1, 380; 18 maggio 1960, n. 1253, Foro it., 1960, I. 1120; 14 dicembre 1962, 
n. 3348, Id., 1963, I, 266), non sono soggetti alla disciplina privatistica 
relativa alle cause di invalidit�, risoluzione (per eccessiva onerosit� sopravvenuta, 
o per inademp~mento), e rescissione per lesione ultra dimidium 
(cfr. Cass., 19 gennaio 1939, Giur. it., 1939, I, 1, 340; 21 maggio 1945, 
n. 368, Giur. compl. Cass. Civ., 1945, I, 223; 7 giugno 1952, n. 1636, Giur. 
oo.pp., 1952, I, 187; App. Messina, 28 febbraio 1959, Giur. sic., 1959, 978; 
in dottrina: JEMOLO, Accordo sulla indennit� di esproprio ed azione di 
rescissione per lesione, Giur. it., 1939, I, 1, 339 e segg.; SIMONE, Accordi 
sull'indennit� della espropriazione per p.u., Acque, bonifiche e costruzioni, 
1958, 354 e segg.; v. anche Relazione Avvocatura dello Stato, 1951-56, voi. II, 
Roma 1957, 150; Id., 1956-60, voi. III, Roma 1%1, 340 e segg.; per l'am� 
missibilit� dell'azione di rescissione per lesione enorme v., invece, PESCATORE, 
Accordi tra espropriato ed espropriante ed esperibilit� dell'azione 
di rescissione per lesione, Giur. compl. Cass. Civ., 1945, I, 224 e segg.). 
La ritardata emissione del decreto di espropriazione non determina la 
caducazione dell'accordo sulla misura dell'indennit� di espropriazione, 
stipulato nel corso del biennio dall'occupazione d'urgenza: Cass., 14 dicembre 
1962, n. 3348, Foro it., 1963, I, 266. Il mancato perfezionamento 
della procedura espropriativa determina, invece, la caducazione dell'accordo: 
Cass., Sez. Un., 16 ottobre 1957, n. 3857, Giust. Civ., 1957, I, 1849-50. 
Sulla vincolativit� dell'accordo determinativo dell'indennit� di espropriazione, 
qualunque sia il tempo decorso tra l'accordo ed il perfezionamento 
del procedimento espropriativo e salva responsabilit� per colpa o 
dolo dell'espropriante pel risarcimento del danno sub�to dall'espropriato 
per la anormalit� del ritardo, v. Cass., 28 giugno 1960, n. 1648, Riv. giur. 
ed., 1960, I, 622, con nota; Cass., 29 maggio 1962, n. 1280, Foro it., 
Mass. 1962, 391. Sulla somma determinata nell'accordo tra P. A. e 
proprietario del bene espropriando circa la misura dell'indennit� 
di espropriazione non decorrono n� gli interessi compensativi di 
cui all'art. 1499 e.e., dovendosi escludere che l'accordo ponga 
in essere un negozio traslativo di diritto privato, n� gli interessi 
corrispettivi, perch� il debito dell'espropriante, anche se liquido, non 
� esigibile, fino all'emanazione del provvedimento di svincolo dell'inden� 
nit� depositata Cass., 23 aprile 1963, n. 1071, Giur. it., Mass. 1963, 357. 

323

PARTE I, SEZ, Hl, GIURISPRUDENZA CIVILE 

dice di primo grado il potere di decidere solo parzialmente la 
causa e di rinviare alla prosecuzione del giudizio la decisione in 
ordine alla materia riservata (2). 

(2) Conf. Cass., 16 maggio 1959, n. 1460, Foro it., Rep. 1960, v. App. Civ., 
n. 21, c. 117, ove si avverte che l'esercizio da parte del giudice di primo 
grado di tale facolt� � assolutamente incompatibile con un contrario potere 
del giudice di secondo grado di porla nel nulla, sostituendosi egli 
stesso nella decisione di questioni, che il primo giudice non ha ancora 
decise, per essersi riservato di farlo, dopo l'istruzione della causa; 13 
maggio 1961, n. 1134, Id., Rep. 1961, V. Sentenza civile, n. 93, c. 2308-2309. 
Sul principio del doppio grado di giurisdizione, nel vigente codice di 
procedura civile, v. ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, voi. I, Milano, 
1948, 199 e segg; 
F. C. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 109 -Pres. 
Fibbi -Est. Perrone-Capano -P.M. Pedote (parz. diff.) -Amministrazione 
LL.PP. c. Massara. 

Espropriazione per p.u. -Occupazione in via d'urgenza dell'immobile Scadenza 
del biennio di cui all'art. 73 I. 25 giugno 1865, n. 2359 Illiceit� 
dell'occupazione -Sopravvenienza del decreto espropriativo 
-Eft'etti -Risarcimento del danno per il periodo di occupazione 
senza titolo -Criteri di liquidazione. 

(1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 73; e.e., artt. 2043, 2056, 2697). 
Decorso il biennio previsto dall'art. 73 della legge 25 giugno 
1865, n. 2359 senza che l'espropriazione sia stata pronunciata 
nei modi di legge, l'ulteriore detenzione del bene, gi� occupato 
legittimamente, diviene illegittima, con la conseguenza che 
l'ente occupante, quale detentore senza titolo, � tenuto alla restituzione. 
Se, per�, questa non � pi� possibile, a causa delle tra<;
formazioni subite dall'immobile per l'esecuzione dell'opera pubblica, 
� dovuto al proprietario il risarcimento del danno. In .tale 
ipotesi, occorre distinguere: se l'occupazione protratta oltre 
il biennio di legge non sia stata seguita da regolare pronuncia 
espropriativa, il danno � rappresentato dal valore del bene illegittimamente 
trattenuto e non pi� suscettibile di restituzione; 
se, invece, sopravviene il decreto di espropriazione a sanare ex 
nunc la pregressa situazione antigiuridica, il danno da risarcire 
consiste, di regola, nella mancata percezione da parte del proprietario 
del reddito, che egli avrebbe potuto ricavare dal bene 
nel periodo dell'abusiva occupazione, salvo che il proprietario 



324 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

provi che, in conseguenza della protrazione abusiva dell' occupazione, 
egli non potette realizzare concrete occasioni per la 
vendita del bene e conseguire altri benefici, nel qual caso dovr� 
essere risarcita la perdita che in concreto il proprietario abbia 
sub�to e che pu� consistere nella differenza tra il valore venale 
del bene e l'indennit� di espropriazione fissata nel decreto espropriativo 
o, in caso di contestazioni, nella sentenza della competente 
autorit� giudiziaria (1). 

(1) Conf. Cass., Sez. Un., 22 luglio 1960, n. 2087, Foro it., 1960, I, 1703, 
in part. 1706; Cass. 30 gennaio 1%3, n. 154, Giur. it., Mass. 1963, 48; 30 
marzo 1963, n. 800, Ibidem, 261-262; 23 aprile 1963, n. 1056, Ibidem, 354; 
27 maggio 1963, n. 1389, Ibidem, 478-479; 12 giugno 1%3, n. 1589, Ibidem, 
546; 17 ottobre 1963, n. 2776, Ibidem, 949. Per l'ipotesi che non sopravvenga 
il decreto espropriativo, il risarcimento del danno, ove sia impossibile 
la restituzione del bene per l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica, 
deve essere liquidato con riferimento alla situazion dell'immobile 
al momento della decisione: cfr. Cass., 14 dicembre 1963, n. 3166, in questa 
Rassegna, 1964, 113; 20 gennaio 1964, n.� 107, in questa Rassegna, 
1964, 320, ed ivi rispettive note di richiami. 
F. C. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1964, n. 163 -Pres. 
Rossano -Est. Giannattasio -P. M. Trotta (conf .) -Ministero 
dei Lavori Pubblici c. Usai. 

Procedimento civile -Deduzione di prova testimoniale -Omessa indicazione 
dei testi -Successiva indicazione all'inizio della prova Ammissibilit�. 


(e.p.e., art. 244). 

Cosa giudicata -Giudicato implicito -Questioni dedotte e deducibili. 
(e.e., art. 2909). 

Le disposizioni del primo e del secondo comma dell'art. 244 

c.p.c. sul modo di deduzione della prova per testimoni hanno 
carattere ordinatorio processuale e quindi non comportano, in 
caso di inosservanza, alcuna nullit� o decadenza, tanto che, ai 
sensi dell'ultimo comma dello stesso articolo, il giudice istru;ttore 
pu�, secondo le circostanze, assegnare alle parti un termine 
perentorio per formulare o integrare le necessarie indicazioni,' 
epper�, mentre la formulazione dei capitoli di prova per testi 
deve necessariamente precedere l'ammissione del mezzo istruttorio, 
salva successiva, autorizzata integrazione, la indicazione 
dei testimoni e, a maggior ragione, la precisazione di ulteriori 
elementi idonei ad una sicura dentificazione degli stessi possono 
i,. 


I. 
X 

:~ 


325

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

essere fatte all'inizio della prova, se il giudice consente tale tardiva 
attivit�, e soltanto l'inutile decorso del termine perentorio 
fissato importa la decadenza della parte dal potere di provvedere 
all'indicazione medesima (1). 

Se � pur vero che l'autorit� del giudicato � limitata a ci� 
che ha formato l'oggetto e la causa giuridica del giudizio, essa 
tuttavia copre sia il dedotto che il deducibile e cio� non soltanto 
le ragioni giuridiche fatte valere in concreto nel giudizio 
medesimo, ma anche tutte quelle altre, sia in via di azione che 
di eccezione, che, pur se non specificamente dedotte o enunciate, 
tuttavia costituiscano ugualmente premesse logiche essenziali 
e necessarie della pronuncia (2). 

(1) Conf. Cass., 16 novembre 1961, n. 2673, Foro it., Rep. 1961, voce 
Prova testimon., n. 49, c. 2087; 9 giugno 1962, n. 1430, Giust. Civ., 1962, 
I, 1436, con nota di SAMMARCo; 30 agosto 1962, n. 2723, Foro it., Mass. 
1962, 773. 
(2) Tantum iudicatum quantum disputatum, vel quantum disputari 
debebat: cfr. Cass., 23 novembre 1962, n. 3170, Giur. it., Mass. 1962, 1059; 
29 dicembre 1962, n. 3454, Ibidem, 1154. Entro i limiti degli elementi 
costitutivi dell'azione (soggetti, petitum e causa petendi) la cosa giudicata 
copre oltre il dedotto anche il deducibile, �nel senso, cio�, di precludere 
il riesame giudiziale dell'identica controversia tra le stesse parti, 
gi� decisa dal giudicato, anche sulla base di nuove ragioni, che potevano 
dedursi, ma non furono dedotte, nell'anteriore procedimento conclusosi 
col giudicato stesso �: Cass., 8 febbraio 1963, n. 239, Giur. it., Mass. 1963, 
77. Sul concetto di giudicato implicito v., ancora, Cass. 5 marzo 1963, 
n. 537, Ibidem, 174; 7 maggio 1963, n. 1121, Ibidem, 381; 30 maggio 1963, 
n. 1433, Ibidem, 494; 23 dicembre 1963, n. 3210, Ibidem, 1082; in dottrina 
v. LIEBMAN, Corso di dir. proc. civ., parte gen., Milano 1952, 240. 
F. C. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964,� n. 192 -Pres. 
Rossano -Est. Di Majo -P.M. Trotta (conf.) -Ministero del 
Tesoro c. Rispoli. 

Contabilit� generale dello Stato -Morte di creditore dello Stato -Paga


mento agli aventi causa � jure successio�tis � -Emissione di pi� 

ordinativi parziali di spesa -Condizioni di legittimit�. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 302). 
Nel caso di morte di creditore dello Stato, pur essendo 
unico il titolo del pagamento, � consentita la emissione di ordinativi 
parziali di spesa a favore dei singoli aventi causa jure successionis, 
ma solo quando sussista � un atto legale�, che indichi 



326 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la quota specifica spettante ad ogni erede ed escluda ogni dubbio 
sulla entit� e titolarit� della quota medesima (1). 

(Omissis). -L'art. 302, test� cennato, testualmente stabilisce 
che � quando sia presentato un atto legale, che attribuisca 
specificatamente le rispettive quote agli aventi diritto alla successione, 
possono essere spediti titoli di spesa parziali a favore 
d� ciascuno di essi, nonostante che una sola. fosse la somma dovuta 
al creditore defunto �. 

Occorre, quindi, secondo la chiara previsione normativa, 
per la emissione di pi� titoli di spesa, quando ovviamente il 
titolo sia. unico ed unica � la causa di pagamento (come avviene 
nel pagamento ai debitori dello Stato � jure successionis �), che 
sussista un atto legale, il quale indichi la quota specifica spettante 
ad ogni erede: una quota perci� precisa, ossia tale da 
escludere ogni dubbio sulla entit� e sulla titolarit� della quota 
medesima. 

Nel caso concreto i giudici del merito hanno detto, s�, che 
i Rispoli avevano diritto ad ottenere il pagamento frazionato 
della somma ad essi dovuta dal Tesoro, ma -ripetesi -non 
hanno detto quali fossero queste singole, precise quote. Il che, 
nella fattispecie, tanto pi� si imponeva, in quanto era pacifico, 
come del resto gli stessi Rispoli avevano spiegato in causa, di 
non aver potuto riscuotere presso quell'ufficio provinciale del 

(1) E' esatto il principio affermato dalla Cassazione, che ha accolto 
la tesi dell'Amm.ne, rifiutata sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello. 
Trattasi di eccezione (art. 302 Reg. cont. gen. Stato) alla regola che 
il titolo di spesa � unico, quando unica � la causa del pagamento. Sono 
considercati individuali i mandati emessi per somma indivisa, anche se 
sia 'rfoh�esta la quietanza di pi� persone (art. 282 Reg. cit.; cfr. 
ROSTAGNO, Contabilit� di Stato, vol. III, Milano, s.d., 14). Sul concetto di 
�atto legale che attribuisca specificatamente le rispettive quote agli aventi 
diritto alla successione �, di cui all'art. 302 cit. Reg., v. l'art. 383 delle 
Istruzioni generali sui servizi del Tesoro, appr. con D. M. 30 giugno 1939: 
� Nei casi in cui debba procedersi alla ripartizione fra gli eredi delle somme 
cadute in successione, l'Amministrazione o l'Ufficio ordinatore pu� ritenere 
documenti validi allo scopo le copie dei testamenti, da cui risultino 
specificatamente attribuite agli eredi stessi le rispettive quote. Possono pu-� 
re servire gli atti di divisione dell'eredit�, prodotti in forma autentica e le 
sentenze divenut,e esecutorie, a norma dell'art. 561 del codice di procedura 
civile dell'anno 1865, anche in confronto dell'Amministrazione 
come terzo, ove contengano l'attribuzione delle quote ai singoli eredi�. 
Sugli ordinativi di pagamento. v. GRECO, L'ordine amministrativo di 
pagamento e il diritto del creditore, Riv. Corte dei Conti, 1953, I, 7 e 
segg.; PUGLIESE, Mandato amministrativo di pagamento in N. Dig. Ita-� 
liano, vol. VIII, Torino 1939, 56 e segg. � 

F. C. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

tesoro la somma di lire 140.330 (di cui al mandato individuale 
emesso a favore di tutti gli eredi del defunto Rispoli Vincenzo) 
per il rifiuto opposto dalla coerede Enrichetta Rispoli. 

Se, dunque, unicamente la mancata cooperazione di uno dei 
coeredi aveva reso impossibile la riscossione, conseguiva evidente 
che l'amministrazione, estranea ai rapporti interni tra gli 
stessi coeredi, una volta evocata in giudizio, a ragione invocava 
dal giudice di merito che venisse chiaramente indicata nella statuizione, 
perch� potessero ritenersi soddisfatte le condizioni 
richieste dall'art. 302 del regolamento di contabilit� generale 
dello Stato, l'attribuzione specifica di quota. Risultato questo, 
che si sarebbe potuto facilmente raggiungere o con l'indicare 
la somma precisa da attribuire (col titolo di spesa parziale) a 
ciascun coerede o con lo specificare la quota dell'avente diritto, 
dalla quale quota l'Amministrazione avrebbe poi potuto, con 
una semplice operazione aritmetica di divisione, determinare 
quella somma. 

Di tutto ci� la Corte del merito non si � dato carico, perch�, 
omettendo al riguardo ogni specifica indagine, nonostante 
che sul punto fosse stata proposta specifica censura, ha confermato. 
sostanzialmente la pronuncia del Tribunale, il quale si 
era limitato, come si � detto in narrativa, a dichiarare che i 
Rispoli avevano. diritto ad ottenere il pagamento frazionato 
merc� mandati di pagamento parziali, da emettere in favore 
di ciascuno di loro, per le rispettive quote (non indicate) del rateo 
di pensione gi� spettante al defunto Vincenzo Rispoli. 

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, per il 
rilevato difetto di motivazione su punto decisivo della controversia. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1964, n. 233 -Pres. 

Pece -Est. Giannattasio -P.M. Maccarone (conf.) -Mini


stero della Sanit� c. Nuvola. 

Farmacia -Concessione farmaceutica -Diritto del concessionario allo 

esercizio esclusivo della concessione -Diritto condizionato all'in


teresse pubblico -Revocabilit� della concessione -Differenza tra 

revoca e decadenza. 

(t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 104 e segg.; re�g. 30 settembre 
1938, n. 1706, artt. 1 e segg.). 
Farmacia -Concessione farmaceutica -Decadenza -Effetti della illegittima 
dichiarazione di decadenza -Risarcimento dei danni -Competenza 
del G.O. 


328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Ct.u. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 113; reg. 30 settembre' 1938, n. 1706, 
328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Ct.u. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 113; reg. 30 settembre' 1938, n. 1706, 
artt. 57 � segg.). 

Responsabilit� civile -Responsabilit� della P.A. per atti dei suoi funzionari 
e dipendenti lesivi di diritti -Responsabilit� diretta. 
CCost,, art. 28; e.e. art. 2043). 

La cosiddetta autorizzazione ad aprire ed esercitare una farmacia 
integra in realt� una concessione, essendo prestabilito il 
numero delle farmacie ed essendo la titolarit� di esse conferita 
in seguito a concorso a cittadini iscritti nell'albo professionale, 

(fotati di mezzi sufficienti, con i conseguenti obblighi da osservare 
sotto la vigilanza della Pubblica Amministrazione. Dalla 
concession� farmaceutica sorge per il titolare un diritto alla 
conservazione ed all'esclusivo esercizio della &mcessione medesima, 
condizionato all'interesse pubblico e perci� destinato a 
venir meno per effetto di revoca da parte della P.A., quando la 
concessione non risponda pi� alle pubbliche esigenze. Al di 
fuori del caso di revoca discrezionale, per causa di pubblico interesse, 
l'estinzione del rapporto pu� aver luogo per il sopravvenire 
di una prevista causa di decadenza e di una pronuncia 
dichiarativa della P.A. (1). 
(1) In senso conforme v. Cass., 24 agosto 1948, n. 1548, Giur. compl. 
Cass. Civ., 1948, 2 quadr., 746 e Foro it., 1949, I, 244. In dottrina si annoverano 
fra le concessioni (sul concetto v. RANELLETTI, Concetto e natura 
delle autorizzazioni e concessioni anim.ve, Giur. it., 1894, IV, 7 e segg.; 
FORTI, Natura giuridica delle concessioni amm.ve, Giur. it., 1900, IV, 369 
e segg.; VITTA, Diritto Amm.vo, vol. I, Torino 1949, 347 e segg e 359 e 
segg.) gli atti � che attribuiscono ad un privato l'esercizio di una determinata 
attivit� professionale in un campo in cui cotesto esercizio non 
sia libero. a tutti sotto certi requisiti (poich� allora si rientrerebbe nel 
regime delle autorizzazioni), ma bens� chiuso, perch� il numero dei posti 
sia stabilito dalla legge o dall'amministrazione pubblica e la nomina 
dei titolari venga lasciata alla scelta della stessa amministrazione, sia 
pure dietro concorso. Ci�, naturalmente, accade per professioni alle 
quali sia collegato un pubblico interesse particolarmente grave, s� da 
dovere eliminare la libera concorrenza � (VITTA, op., val. cit., 350) ed in 
tale categoria si fa rientrare la c.d. autorizzazione prevista dall'art. 
104 T.U. 27 luglio 1934, n. 1265 (VITTA, op., val. cit., 335 e 350; Id., op. cit., 
vol. II, Torino 1950, 142, nota 1), che viene qualificata come concessione 
costitutiva, in quanto non si risolve � nell'attribuzione di facolt� o po� 
test� inerenti a diritti dell'Amministrazione�, ma fa �sorgere in deter� 
minati soggetti diritti creati ex novo� (SANDULLI, Manuale di dir. anzm.vo, 
Napoli 1955, 281) e distinta dalla concessione di pubblico servizio o pub� 
blica impesa (VITTA, op. cit., vol. I, 350-351). Sull'argomento v. anche 
FALZONE, Le farmacie, Palermo 1948. In ordine alla subordinazione del 
c. d. diritto all'esclusivo esercizio di una determinata attivit� data in con

329

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 

L'atto della P.A., che pronuncia la decadenza dalla concessione 
farmaceutica per una delle causa tassativamente previste 
dall'art. 113 T.U. n. 1265 del 1934, � vincolato e si limita ad accertare 
una situazione obiettiva, epper�, se l'Amministrazione, con 
la sua pronuncia, faccia valere un'ipotesi insussistente o non 
prevista di decadenza, si ha una misura illegittima, che costituisce 
violazione del diritto soggettivo alla conservazione ed 
all'esercizio della concessione, con la conseguenza della responsabilit� 
per il danno economico che ne sia derivato al concessionario, 
da far valere innanzi all'Autorit� giudiziaria ordinaria, 
quanto meno dopo l'annullamento dell'atto illegittimo da parte 
dei competenti organi amministrativi (2). 

cessione � al pubblico interesse, in vista del quale codesto esercizio � stato 
sottratto all'iniziativa privata �, nonch� sulla normale revocabilit� della 
concessione �ogni qual volta l'esercizio eccezionale dell'attivit� da parte 
del privato si ponga in contra'sto col pubblico interesse � ed infine sulla 
inapplicabilit�, in caso di revoca, del principio privatistico di cui all'art. 
2043 e.e. v. Cass., Sez. Un., 2 aprile 1959, n. 972, Foro it., 1959, I, 762, con 
nota di richiami; in part. 767; v. anche Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1961, 

n. 2481, Giust. Civ., 1961, I, 1712, ove si ribadisce (1721) che �la revoca di 
una concessione non pu�... costituire, di per s�, titolo al risarcimento 
di danni a carico dell'Amministrazione ed a favore del concessionario�. 
(2) La classificazione dell'art. 113 t.u. n. 1265 del 1934 fra le norme 
di relazione (sulla nota distinzione fra norme di azione e norme di relazione 
e sulle conseguenze v. Gu1ccIARDI, La Giustizia Amministrativa, Padova 
1954, 33 e segg.; 453 e segg.) e l'affermazione che la pronuncia di 
decadenza dalla concessione farmaceutica sia sempre un atto vincolato, 
in quanto � si limita ad accertare una situazione obiettiva�, avrebbero 
meritato una indagine pi� approfondita. Gi� a proposito delle c.d. concessioni-
contratto (su cui v. Cass. 23 febbraio 1954, n. 521, Giust. Civ., 1954, I, 
410 e segg., in part. 412; 7 aprile 1956, n. 1014, Foro it. 1957, I, 917; per 
la critica del concetto v. VITTA, Dir. amm., vol. I, cit., ed. 1949, 359 e segg.; 
ed. 1962, 397 e segg.), � principio fondamentale che l'autolimitazione che 
la P.A. apporta al suo potere d'imperio non pu� essere mai assoluta: 
ad essa � esiste un limite, oltre il quale non pu� andare, ed � quello che, 
varcato, condurrebbe alla negazione completa degli stessi fini pubblici, 
che l'ente � chiamato a conseguire e tutelare e ai quali, quindi, non pu� 
rinunciare, senza rinunciare ad una parte almeno delle ragioni della 
propria esistenza. E anche quando, per un errore di previsione o di conoscenza 
della realt�, abbia varcato questo limite essenziale alla propria 
esistenza, 1'.eccesso di detta facolt� di autolimitazione, che l'ente ha 
posto in essere di fronte ad uno o pi� subietti di diritto, deve conside .. 
rarsi come illegittimo e perci� non vincolante e l'ente pu� ritornare 
a far uso del potere d'imperio� (Cons. Stato, IV Sezione, 17 febbraio 1942, 
Giur. it., 1952, III, 114 e seg.), onde si ammette la possibilit� di una 
� decadenza propriamente detta, attuata anch'essa da un potere discrezionale
� (Cons. Stato, dee. cit., Ibidem, 110; v. anche Cass., Sez. Un., 11 
giugno 1963, n. 1559, Foro it., 1963, I, c. 1926, nella motivazione). La valutazione 
del pubblico interesse �, infatti, una potest� tipicamente discrezio

330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I0 
Anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 28 della Costituzione, 
� rimasto fermo il principio secondo il quale la responsabilit� 
della P.A. per atti dei suoi funzionari e dipendenti, i quali ab,;
�~, 
. 
nale (sul concetto di discrezionalit� v. GARGIULO, I provvedimenti d'urgenza, 
Napoli 1'954, 76 e segg.), �anche se esercitata mediante valutazione di 
inadempienza del concessionario � e la disciplina contrattuale che si 
accompagna all'atto di concessione �non altera, n� diminuisce la posizione 
di preminenza che compete all'ente, per l'attuazione delle esigenze 
pubbliche cui l'atto di concessione soddisfa� (Cons. Giust. Amm.va Reg. 
Sic., 3 marzo 1955, n. 38, Il Consiglio di Stato, 1955, I, 381). Ma a maggior 
ragione per le concessioni unilaterali (sarebbero �bilaterali�, secondo 
la Corte di Cassazione, quelle traslative, cfr. sent. 23 febbraio 1954, 
n. 521, gi� citata, Giust. civ., 1954, 412), nelle quali il titolare � non 
pu� vantare diritti soggettivi perfetti� e �non ha neppure l'azione 
ordinaria per la tutela dei suoi interessi, che rimane affidata unicamente 
alla giurisdizione amministrativa� (Cass., 23 febbraio 1954, n. 521, cit., 
Giust. civ., 1954, I, 411), la figura di una decadenza in esecuzione di una 
facolt� discrezionale pu� ricorrere, in concreto, quante volte, pur se la 
causa di decadenza sia espressamente prevista da una norma, questa 
ultima, nel fare riferimento all'inadempimento del concessionario, lasci, 
tuttavia, alla P.A. di valutarne, volta a volta, l'importanza in rapporto 
alle preminenti e concrete ragioni di tutela dell'interesse pubblico. 
Sempre pu� dirsi, allora, correttamente, che, di fronte a quel potere 
della P.A., il concessionario �non pu� vantare pi� che un interesse legittimo
� (Cons. Stato, IV Sez., 17 febbraio 1942, cit., Giur. it., 1942, III, 110). 
Orbene, questo era proprio il caso di specie, nel quale la decadenza era 
stata pronunciata ai sensi dell'art. 113, lett. E, cit. t.u. n. 1265 del 1934 
(che prevede lo scioglimento del rapporto �per constatata, reiterata o 
abituale negligenza e irregolarit� nell'esercizio della farmacia, o per altri 
fatti imputabili al titolare autorizzato, dai quali sia derivato grave danno 
alla incolumit� individuale o alla salute pubblica �) e rispetto al quale 
era stato avvertito che �di fronte al potere discrezionale della P.A., che 
certamente sussiste, non c'� un diritto del privato, che si affievolisce, ma 
soltanto un interesse al legittimo esercizio di quel potere, la lesione del 
quale non pu� dar luogo a risarcimento del danno (Relaz. Avv. dello 
Stato, 1956-1960, v.ol. II, Roma 1961, 165). � Per la proponibilit� contro la 
P.A. dell'azione risarcitoria non � sufficiente la decisione di annullamento 
di un atto illegittimo da parte del giudice amministrativo, ma 
occorre che dall'atto, la cui illegittimit� sia stata accertata, sia derivata 
una lesione di un diritto soggettivo� (Cass., Sez. Un., 6 agosto 1962, 
n. 2418, Foro it., 1963, I, 66; v. anche Cass., Sez. Un., 11 giugno 1963, 
n. 1559, Ibidem, I, 1925 e 1926). Contro la tesi dottrinale della risarcibilit� 
degli interessi legittimi (cfr., per tutti, MIELE, Risarcibilit� dei danni derivanti 
da ingiusta lesione d'interessi legittimi ad opera della pubblica 
amministrazione, Foro it., 1963, IV, 23 e segg.) v. FOLIGNO, La pretesa responsabilit� 
della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, 
Ibidem, 81 e segg. Il SANDULLI, Lesione di interesse legittimo 
e obbligazione risarcitoria della pubblica amministrazione, Riv. trim. dir. 
e proc. civ., 1963, 1279 e segg., riconosce ~he per la generalit� degli in




PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 331 

biano agito nell'ambito dei compiti ad essi affidati e non per 
fini propri, � diretta, per fatto proprio (3). 

teressi legittimi vantati nei confronti della pubblica amministrazione 
la tutela dell'ordinamento, pur essendo da considerare non di diritto 
oggettivo, non si estende al piano patrimoniale, poich� � le norme da 
cui nascono gli interessi legittimi sono dettate essenzialmente in funzione 
della disciplina dell'azione della pubblica amministrazione ... e non 
della disciplina di rapporti intersoggettivi � (ivi, 1290), ma ritiene � difficile 
negare � la risarcibilit� di interessi legittimi aventi funzione strumentale 
rispetto a corrispondenti diritti soggettivi: �interessi alla preservazione 
di diritti soggettivi� nei confronti di poteri amministrativi 
idonei ad incidere su di essi, estinguendoli o limitandoli, ed � interessi 
alla realizzazione della piena espansione di diritti soggettivi �, sottoposti 
a controlli preventivi non liberi nell'an o a provvedimenti permissivi 
� dovuti � nel concorso di determinate condizioni (ivi, 1291). Il chiaro A. 
avverte, per�, che, in mancanza di una determinazione � tuttora non raggiunta 
� di ci� che debba considerarsi interesse giuridicamente protetto ai 
fini dell'applicazione dell'art. 2043 e.e., si tratta � di intuizioni e di spunti 
-e quindi di suggerimenti provvisori -piuttosto che di dimostrazioni 
e di punti di arrivo� (ivi, 1289). Sembra un dato sicuro, tuttavia, che, se 
� la fattispecie del fatto illecito, cui ha riguardo l'art. 2043 e.e., e alla 
quale questo collega come conseguenza l'obbligo del risarcimento... del 
danno � soltanto quella del fatto dell'uomo, doloso o colposo, che abbia 
provocato un danno ingiusto � (SANDULLI, op. cit., 1282) e, se � danno 
ingiusto e risarcibile quello provocato dai funzionari e dipendenti pubblici 
soltanto con � atti compiuti in violazione di diritti � (art. 28 cost.), 
non possa negarsi che, agendo la P.A. proprio e solo attraverso l'operato 
dei suoi funzionari e dipendenti, la fattispecie dell'illecito di costoro, produttiva 
di responsabilit� civile nei confronti del danneggiato, coincida 
con quella dell'illecito della P.A., produttiva della responsabilit� civile 
della medesima. La Costituzione proclama l'indefettibilit� della tutela 
giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei cittadini 
(artt. 24 e 113); ma di responsabilit� civile dello Stato e degli enti pubblici 
parla soltanto con riferimento all'attivit� dei loro organi lesiva di 
diritti e, perci�, non sembra possibile alcun equivoco interpretativo, n� 

si vede come possa parlarsi di un ampliamento della tutela risarcitoria, 
al di l� di tale limite obiettivo, senza supporre che ci� involga una mo 
difica del positivo dettato costituzionale. 

(3) Cfr. Cass., Sez. Un., 4 gennaio 1964, n. 3 in questa Rassegna, 1964, 
318, ed ivi nota (sub 3) di richiami. 
F. C. 

SEZJONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. pl., 11 novembre 1963, n. 19 -Pres. 
Bozzi -Est. Meregazzi -Tuccio c. Ministero P.I. 

Collegio -Organo collegiale amministrativo -Elezione dei componenti 
� Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei 
-Impugnativa del risultato della elezione da parte degli elettori 
-Difetto d'interesse -Fattispecie. 

Collegio -Organo collegiale amministrativo -Elezione dei componenti 
-Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei 
-'Decisivit� dei loro voti -Impugnativa del risultato della 
elezione da parte degli eleggibili -Ammissibilit� -Fattispecie. 

Collegl.o -Organo .collegiale amministrativo -Elezione dei componenti 
-Partecipazione alla votazione di soggetti ritenuti estranei Elezione 
ultimata e proclamata -Impugnativa -Interesse a ricorrere 
-Attualit�. 

(1. 30 dicembre 1947, n. 1477, art. 12, 2� comma; 1. 2 agosto 1957, 
n. 699). 
L'elettore di un collegio amministrativo non � titolare di un 
interesse legittimo da tutelare, ove alla votazione abbiano 
partecipato soggetti ritenuti estranei al corpo elettorale (nella 
specie: partecipazione dei professori di religione, ritenuti estranei 
alla categoria dei professori incaricati abilitati per eleggere 
il Consiglio Superiore della P.I.) (1). 

(1-3) La impugnativa dell'elezione da parte dei componenti dei 
corpi eligenti amministrativi. 

La decisione contiene diverse affermazioni di indubbia esattezza. 
Su di esse ci soffermeremo per un breve commento. 

La legge 2 agosto 1957, n. 699 attribuisce ai �professori incaricati 
abilitati� il diritto di eleggere un rappresentante della categoria in seno 
alla seconda sezione del Consiglio superiore della p.i. L'ordinanza emessa 
dal Ministro della p.i., in esecuzione dell'art. 12, 2� comma della legge 
30 dicembre 1947 n. 147], riconosce quel diritto anche ai professori di 
religione; i quali, pertanto, hanno partecipato all'elezione, ed i loro 
voti sono stati decisivi per la designazione del rappresentante. Un candidato, 
risultato� non eletto, appena venuto a conoscenza dell'esito della 
votazione, ha impugnato l'ordinanza ministeriale laddove prevedeva 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 333 

Il candidato alle elezioni di un collegio amministrativo � 
titolare di un interesse legittimo da tutelare, ove alla votazione 
abbiano partecipato soggetti ritenuti estranei al corpo elettorale, 
il cui voto sia risultato decisivo per la designazione dell'eletto 
(nella specie: partecipazione, alla votazione eseguita 
dalla categoria dei professori incaricati abilitati, dei professori 
di religione, il cui voto � risultato decisivo per l'elezione) (2}. 

Sussiste in forma attuale la lesione dell'interesse per impugnare 
l'esito della elezione per un vizio del procedimento 
elettorale (partecipazione di soggetti ritenuti estranei) nel momento 
in cui l'elezione � ultimata e ne � proclamato l'esito (3). 

la partecipazione alla votazione dei professori di religione, non com� 
presi, a suo dire, nella categoria � dei professori incaricati abilitati�. 

Il Consiglio di Stato ha ritenuto il ricorrente privo, nella qualit� 
di elettore, di un interesse legittimo, mentre lo ha riconosciuto, nella 
qualit� di eleggibile, titolare di un interesse legittimo, che in via astratta 
pu� essere leso dalla partecipazione di soggetti estranei (professori 
di religione) alla votazione (in concreto la lesione non � stata esami� 
nata per ragioni procedurali); ed ha precisato che la lesione stessa 
diviene attuale appena la elezione � ultimata e proclamata. 

Come rilevasi, il Consiglio di Stato, riconfermando la sua prece� 
dente gi'urisprudenza (Sez. VI, 31 ottobre 1962, n. 746, Il Consiglio dt 
Stato, 1952, I, 1680), ha risolto interessanti questioni inerenti ai collegi 
elettorali, tra le quali rientrano la consistenza ed i limiti della 
situazione soggettiva dei componenti di tali collegi, la legittimazione 
all'impugnativa e il concetto di elezione, rilevante ai fini dell'attualit� 
della lesione dell'interesse. 

Le accennate questioni si ricollegano alla nozione di corpo eligente. 

Come � noto, i collegi (amministrativi) v�nno distinti dai corpi eli� 
genti. Il collegio (amministrativo) consiste in una riunione di persone 
che formano e manifestano una deliberazione, cio� un atto che ha un 
procedimento di formazione (proposta, discussione, voto), regolato da 
speciali principi (unitas actus, sistema di relazione giuridiche fra collegio 
e componenti): collegio e deliberazione sono due nozioni correlative 
e inscindibili. Il collegio � un'istituzione che ha una propria individualit�, 
concreta e visibile; � un'organizzazione di persone e, come 
tale, � un ordinamento che non si identifica con le singole norme, ma 
le comprende e nello stesso tempo le precede e le trascende. 

Il corpo eligente, invece, consiste nella somma dei singoli elettori, 

non essendo possibile individuare una nota caratteristica che avvinca 

questi ultimi in un insieme a s� stante. Si tratta di una somma arit


metica di persone; di una pluralit�, e non di una unit�.. E ci� percM 

non esiste un sistema di norme che unisca i singoli, n� esiste, di conse


guenza, una entit� che esprima le ragioni della coesistenza e del si


stema in cui gli elettori si pongono. Non esiste una organizzazione; 

non esiste un ordinamento. I corpi eligenti non sono istituzioni; non 

sono collegi. Sono corpi eligenti, ad es. i c.d. collegi elettorali politici; 

i c.d. collegi elettorali amministrativi (provinciali e comunali); i collegi 
di docenti universitari per la elezione dei componenti delle commissioni 
di concorso (I. 13 luglio 1954, n. 439). Rientra in tale categoria 

334 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Il ricorso � tuttavia inammissibile per le 
ineccepibili ragioni gi� esposte dalla VI Sezione nella decisione 

31 ottobre 1962, n. 746, su identico ricorso proposto dal prof. 
Coltellacci: ragioni, che l'Adunanza plenaria non pu� non condividere. 


Invero; nella qualit� di elettore, come professore incaricato 
abilitato, il prof. Tuccio non difende un suo interesse personale 
qualificato, dacch� il suo diritto al voto non � negato dalla 
impugnata Ordinanza ministeriale, n� comunque � contestato 
od impedito. Egli fa valere un interesse � di categoria� e, come 
tale, diffuso, generico, non specifico ed individuale, privo, cio�, 
di quella tutela giuridica che legittima la posizione del gravame. 

la pluralit� dei professori incaricati abilitati per la elezione del Con6iglio 
superiore della p.i.. 
Deve ora individuarsi la situazione soggettiva di cui i singoli mem� 
bri sono tit�lari in seno ai corpi eligenti. 

I corpi eligenti sono sorti e si sono sviluppati nelle collettivit� associate, 
nelle quali l'interesse individuale dei singoli non si pu� sepa� 
rare dall'interesse generale della collettivit�, essendo l'un e l'altro indissolubilmente 
uniti: ben vero il singolo � legato alla collettivit� da 
un rapporto particolare: � legittimato a partecipare, a collaborare alla 
vita attiva (politica, amministrativa) della comunit�; ha un interesse 
che non � in contrasto, bens� in corrispondenza con l'interesse collettivo, 
essendo questo l'astrazione degli interessi individu�li. In tal senso 
egli partecipa dell'interesse collettivo. Laddove un interesse individuale 
esiste in cos� alta misura da coincidere con quello della comunit�, il 
suo riconoscimento � possibile: in tali casi ha luogo da parte della 
norma la fissazione giuridica dell'interesse individuale alla partecipazione. 
La situazione giuridica che per effetto di tale .riconoscimento ha 
luogo, ha per presupposto non un interesse individuale, come nel diritto 
soggettivo, bens� il rapporto di partecipazione ora messo in evidenza, 
ed assume perci� una propria struttura: essa consiste in una 
posizione giuridica che attribuisce al singolo la titolarit� di un munus 
pubblico. In tal modo � la sua capacit� che viene ad essere ampliata, 
ricevendo una propria qualificazione: una qualificazione di diritto pub� 
blico. Il munus consiste in una posizione giuridica, caratterizzata da 
una capacit� che � specificata in una particolare direzione: di operare, 
cio�, nell'interesse collettivo. 

I munera, per�, nel campo ora in esame, sono generali. Essi, infatti, 
vengono attribuiti ai singoli componenti della collettivit�, e perci� 
sono uniformi ed omogenei. Ciascun componente ha un proprio munus, 
ma il munus di ciascuno non � autonomo e indipendente dai mu� 
nera degli altri, bens� � con questi collegato da un rapporto di neces� 
saria co-esistenza e necessario co-esercizio; ogni munus coesiste con gli 
altri e viene esercitato insieme con gli altri, cio� corporativamente. Si 
pu� cos� parlare di munera collegiali. 

Sul presupposto del munus, a ciascun membro appartengono par� 
ticol�ri attribuzioni (potest�); cos� egli � legittimato a intervenire nelle 
riunioni, a esprimere il voto. Laddove l'esercizio di tali potest� viene 
consentito, non si verifica una lesione della situazione soggettiva. Nel


:~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Siffatta legittimazione il Collegio, in casi analoghi, non ha 
riconosciuto persino ai rappresentanti, debitamente eletti, delle 
Associazioni sindacali di categoria: tanto meno pu� riconoscerla 
al prof. Tuccio, che non riveste neppure tale qualit�, ma 
agisce come semplice professore incaricato abilitato. 

E' invece titolare di un interesse legittimo qualificato il 
prof. Tuccio nella veste di candidato eleggibile alla II Sezione 
del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, in rappresentanza 
della categoria dei professori incaricati abilitati, in una 
delle liste in lizza: e� quindi in tale qualit� � legittimato a 
ricorrere. Senonch�, alla data della notificazione del ricorso il 
prof. Tuccio era privo di un interesse attuale al ricorso; � tale 

['elettore la posizione giuridica consiste e si estrinseca nelle potest� ora 
accennate, e solo in esse. 

Nel candidato all'elezione la posizione consiste non solo nella po� 
test� di intervenire e di esprimere il voto, ma anche nella possibilit� 
di essere eletto in base a un particolare procedimento. Ove quindi tale 
procedimento si svolga in modo non conforme alla norma, pu� veri� 
ficarsi una lesione della posizione soggettiva del candidato. 

Ne consegue che il membro � legittimato a impugnare l'elezione 
solo in quanto abbia subito una lesione delle potest� di cui � titolare; 
pu� far valere le sue pretese perch� gli venga riconosciuto il suo munus 
e perch� vengano rispettate le attribuzioni correlative: in tali li� 
miti va circoscritto il pregiudizio che lo legittima all'impugnazione. Pi� 
precisamente, questa � ammessa per vizi del procedimento elettorale, 
in quanto incidono sulla posizione giuridica del membro, ledendo le 
sue potest� collegiali: cos� nell'elettore se gli viene negata la potest� 
di esprimere il voto; nel candidato all'elezione, se vi partecipano estra� 
nei il cui voto risulti decisivo. 

Occorre ora esaminare l'altra questione accennata nella decisione, 
e cio� il momento in cui, nell'ipotesi considerata (partecipazione di 
estranei alla votazione), diviene attuale, per il candidato, la lesione 
dell'interesse; e ci� va fatto in relazione alla specie del vizio denun� 
dato, che assume rilievo diverso nei collegi e nei corpi eligenti. 

Nei primi la composizione del collegio ha un rilievo a s� nel procedimento 
collegiale, ha una propria struttura, venendo regolata, come si 
� detto, da apposite norme (unitas actus, relazioni giuridiche tra componenti 
e collegio, ecc.). Da essa si distingue la votazione che � regolata da 
norme diverse. L'una riguarda il collegio che � un'entit� a s�; l'altra riguarda 
la formazione della volont�, l'atto collegiale. La partecipazione all'adunanza 
di componenti illegittimamente investiti o la esclusione di compo� 
nenti non invitati determinano un vizio che inerisce alla composizione del 
collegio, alla organizzazione funzionale del soggetto agente, e non ri� 
guardano la formazione della volont�. La deliberazione viene a risultare 
illegittima in seguito a un vizio che colpisce il soggetto, non l'atto. Nei 
corpi eligenti, invece, la composizione non ha un autonomo rilievo in 
seno al procedimento collegiale; non ha una propria struttura; il corpo 
eligente � una pluralit� di elettori che non assurge come si � detto, a 
entit� soggettiva a s�, a soggetto agente. Le variazioni che, con la partecipazione 
di es,tranei o con l'esclusione di elettori, in esso si verificano, 


336 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

interesse -come esattamente osserv� la VI Sezione nella citata 
decisione -potendosi in lui maturare solo quando, ultimati gli 
scrutinii, egli non fosse risultato eletto �. 

Ora, in esecuzione dell'Ordinanza ministeriale 3 aprile 1962, 
le elezioni ebbero luogo 1'8 giugno 1962 e gli scrutinii delle appo~ 
site Commissioni ebbero termine il 14 giugno, cio� il giorno 
dopo la notificazione del ricorso Tuccio : i risultati nazionali 
definitivi vennero pubblicati sul Bollettino Ufficiale del Mini� 
!Stero della Pubblica Istruzione del 5 luglio 1962. 

Il primo ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inam� 
missibile. (Omissis). 

Il prof. Tuccio sostiene, in primo luogo, per salvare il 
primo ricorso che il termine decorre dalla data delle elezioni, 
mentre � ovvio che esso decorre, invece, dalla data di pubblica� 
zione dell'esito delle votazioni; in via subordinata relativamente 
al secondo ricorso, assume che il termine decorre dalla data 
di emanazione del D.M. 14 settembre 1962. L'Avvocatura oppone 
che, anche a voler ade;rire alla tesi del ricorrente, il primo ricorso, 
notificato il 17 novembre-4 dicembre 1962, sarebbe comunque 
irricevibile; senonch� l'eccezione non ha fondamento, dacch� 
il termine di impugnazione� decorrerebbe pur sempre dalla data 

non hanno rilievo autonomo; hanno rilievo invece solo in quanto inci� 
dono sulle elezioni, facendo alterare, in seguito alla prova di resistenza, 
il risultato. 'Fin quando l'effetto giuridico (elezione) non si verifica, non 
ha luogo, in modo attuale, la lesione, che, sulla posizione giuridica dei 
singoli elettori, sia stata determinata con la partecipazione di estranei. 
Occorre qui rilevare che quell'effetto non nasce dai singoli atti di voto, 
e cio� da un atto giuridico nel quale le singole manifestazioni di voto 
vengono a fondersi. E' invece l'ordinamento che fa nascere quel certo 
effetto (elezione) dalla situazione di mero fatto costituita dal risultato 
che d� la somma dei singoli voti. 

Di conseguenza, soltanto dopo che l'effetto si � verificato, pu� precisarsi 
la rilevanza che i singoli voti. espressi da estranei, abbiano avuto 
nella determinazione del risultato (elezione). Se tali voti, una volta at� 
tribuiti alla minoranza, non mutano il rapporto tra maggioranza e minoranza, 
essi vengono a trovarsi in una situazione di giuridica inutilit�; 
se invece una volta attribuiti, mutano tale rapporto, essi vengono a trovarsi 
in una situazione di giuridica rilevanza: nel primo caso i voti 
sono inutili, e la elezione va dichiarata valida; nel secondo caso sono 
decisivi e l'elezione va caducata (pi� ampiamente cfr. GARGIULO, I collegi 
amministrativi, ed. Iovene, 309). 

Esattamente perci� il Consiglio di Stato ha ritenuto, sia pure implicitamente, 
sussistere la lesione della posizione giuridica del candidato 
perch� i voti degli estranei (cos� ritenuti i voti dei professori di religione) 
erano risultati decisivi per l'elezione; e del pari esattamente ha 
ritenuto sussistere l'attualit� della lesione allorch� l'elezione � stata 

ultimata e proclamata. 

U. GARGIULO 

337

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

in cui il decreto ministeriale � divenuto efficace mediante la 
registrazione a!Ja Corte dei Conti, cio� dal 31 ottobre 1962, e 
rispetto a questa data il ricorso sarebbe tempestivo. 

Devesi piuttosto rilevare che, esaurita la complessa pro� 
cedura relativa agli scrutini ed alla decisione dei reclami, l'esito 
r,}efinitivo delle elezioni, come si � visto, fu pubblicato sul Bollettino 
Ufficiale del Ministero della P.I. del 5 luglio 1962, n. 27, 
e che un'apposita avvertenza precisava che �la pubblicazione 
sul Bollettino ufficiale ha valore di notifica �, soggiungendo che 
� a tal fine la data di notifica � la seguente: 23 luglio 1962 �. 
Si intende che la pubblicazione sul Bollettino ufficiale ha valore 
ed efficacia di notificazione per i dipendenti del Ministero della 

P.I. in servizio: ed in tale posizione si trovava il prof. Tuccio. 
Jl ricorso, notificato quattro mesi dopo, si palesa quindi irricevibile. 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. pi., 11 novembre 1963, n. 18 -Pres. 
Bozzi -Est. Valitutti -Terranova c. Prefetto di Siracusa. 
Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Decisione clel 
CQnsiglio di Giustizia .amministrativa per la Regione Siciliana Decorrenza 
del termine del ricorso in appello -Notificazione 
-Forme -Applicabilit� degli artt. 3 e 81 r.d. 17 agosto 1907, n. 642. 

(r.d. 17 agosto 1907, n. 642, artt. 3 e 81; d.l. 8 maggio 1948, n. 654, 
art. 5). 
La notifica delle decisioni, emesse dal Consiglio di giustizia 
amministrativa per la Regione Siciliana, deve essere eseguita, 
ai fini della decorrenza del termine per il ricorso in appello 
alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nelle forme previste 
dagli artt. 3 e 81 r.d. 17 agosto 1907, n. 642, e cio� alla 
parte interessata, e non al procuratore costituito in giudizio (1). 

(1) Il Consiglio di Stato ha per la prima volta esaminato. le forme 
di notifica delle decisioni del Consiglio di Giustizia amministrativa per 
la Regione Siciliana avverso le quali sia ammissibile l'appello, ed ha 
affermato che la notifica deve essere effettuata secondo le norme delle 
leggi del Consiglio di Stato, richiamate dall'art. 5 del d.l. 6 maggio 
1948, n. 654, e cio� alla parte interessata, e non al procuratore costi� 
tuito in giudizio, non essendo applicabile l'art. 285 c.p.c. Ne consegue 
che le decisioni, per quanto riguarda l'Amministrazione statale, devono 
essere notificate all'Amministrazione interessata, e non presso l'Avvocatura 
dello Stato (cfr. Ad. pl. 15 gennaio 1960, n. 1, Il Consiglio di Stato, 
1960, I, 225). Cfr., anche, per la notifica della decisione della G.P.A. in 
s.g., ai fini della decorrenza del termine per la impugnativa, Sez. V, 9 
luglio 1956, n. 575, Il Consiglio di Stato, 1956, II, 933. 

338 RASSEGNA DELL1AVVO�ATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 30 ottobre 1963, n. 651 -Pres. 
D'Avino -Est. Granito -Soc. Montecatini c. Prefetto di Roma 
e Comune di Roma. 

Piano regolatore -Piano regolatore di :Roma -Piano particolareggiato Durata 
-Termine -Proroga ::1lla data di approvazione del nuovo 
piano regolatore generale. 


<I. 17 agosto 1942, n. 1150, art'. art. 8; 1. 21 dicembre 1955, n. 1357, 
art. 1; 1. 20 aprile 1952, n. 524). 
Il termine finale, previsto �per i piani particolareggiati e 
non ancora scaduti alla data di entrata in vigore della legge urbanistica 
17 agosto 1942, n. 1150, -limitatamente ai comuni che, 
come Roma, risultano inclusi negli elenchi di cui all'art. 8 l. 
urb. -� stato prorogato ope legis sino alla data di approvazione, 
allo stato non ancora intervenuta, del nuovo piano regolatore 
generale (1). 


(1) In tal senso la giurisprudenza pu� ormai ritenersi costante. L'in. 
dirizzo � stato indicato dalla decisione dell'Adunanza Plenaria, 30 maggio 
1962, n. 5, Il Consiglio di Stato, 1962, 871; v. anche le altre 
pronunce: Sez. IV, 26 aprile 1961, n. 252, ivi, 1961, 677; Sez. IV, 6 marzo 
1963, n. 132; Riv. giur. P;d., 1963, I, 656, con nota. 
La proroga, poi, si riferisce sia al termine del piano generale, sia 
al termine dei piani particolareggiati, perch� il legislatore non ha di� 
stinto fra le due specie di termini, i quali esplicano, del resto, la stessa 
funzione (cfr. dee. 26 aprile 1961, cit.). E, siccome il piano particolareggiato 
implica la dichiarazione di p. u. e costituisce un vincolo sulla 
proprl~t� privata, i decreti di esproprio, che sul presupposto di detta 
piano v~ngono emanati, sono legittimi. 


CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 8 novembre 1963, n. 688 -Pres. 
� Polistina -Est. Cuccia -Capannucci c. Ministero dei LL. PP., 
e Comune di Portomaggiore. 

Piano di ricostruzione -Sostituzione col piano regolatore generale Inefficacia 
del piano di ricostruzione -Decreti di approvazione -~ 
dei lavori ed occupazione degli immobili, disposti in base a que-. 
st'ultimo piano � Illegittimit�. 

(d.l. 1. marzo 1945, n. 154; 1. 27 ottobre 1951, n. 1402; I. 17 agosto 
1942, n. 1150). 
Il piano di ricostruzione conserva la sua efficacia fino alla 
data di entrata in vigore del piano regolatore generale. Sono 




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 339 

ii/legittimi, ove siano emessi sul presupposto del piano di ricostruzione 
che sia divenuto non pi� efficace, il decreto miniSteriale 
che ha approvato il progetto dei lavori, nonch� il decreto 
prefettizio di occupazione degli immobili che ha richiamato 
tale decreto (1). 

(1) Rapporti tra piano di ricostruzione e piano regolatore generale. 
Il Consiglio di Stato ha, per la prima volta, esaminato i rapporti 
esistenti tra il piano di ricostruzione ed il piano regolatore generale, al 
fine di stabilire se, una v0Ita approvato quest'ultimo in sostituzione del 
precedente piano, sia consentito provvedere all'inizio ed all'esecuzione 
dei lavori che riguardano l'attuazione del piano di ricostruzione. La 
impostazione e la soluzione della questione possono condividersi. 

Non vi � dubbio, infatti, che i piani di ricostruziooe, istituiti dal 

d.1.1. 1� marzo 1945, n. 154 e poi organicamente disciplinati con la I. 27 
ottobre 1951, n. 1402, furono previsti e realizzati per provvedere ad 
una prima sistemazione, limitata e provvisoria, degli abitati danneggiati 
dalla guerra, senza per� compromettere iJ razionale e futuro sviluppo 
degli abitati stessi, quale risulter� definito in modo stabile dai piani 
regolatori generali, adottati ai sensi della legge urbanistica 17 agosto 
1942, n. 1150. La genesi dei piani di ricostruzione pu� altres� rilevarsi 
dalla procedura, semplice ed abbreviata per fa loro formazione ed ap. 
provazione, e dalla durata, che, prevista in un primo tempo nel limite 
di cinque anni (1. n. 1402, art. 11); � stata poi prorogata (I. 28 marzo 1957, 
n. 222, art. 2; I. 6 luglio 1960 n. 678). In particolare la durata � stata li� 
mitata fino alla redazione del piano regolatore, il quale, una volta appro� 
vato, sostituisce il piano di ricostruzione; e tale redazione, se per alcuni 
Comuni � facoltativa (art. 11 cit.), per altri Comuni, compresi in appo� 
siti elenchi (1. n. 1402, art. 8), � obbligatoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 
30 novembre 1963, n. 651, in questa Rassegna, retro, 338). 
Si rileva cos� il carattere eccezionale e contingente dei piani di rico� 
struzione, i quali, una volta che siano stati sostituiti dai normali piani 
regolatori, cessano di avere efficacia. Non vi � dubbio, pertanto, che, 
appena tale sostituzione sia avvenuta, non possono essere emessi decreti 
di approvazione dei lavori, n� decreti di occupazione o espropriazione di 
immobili in base al piano di ricostruzione, non pi� efficace. 

Ma non � del pari dubbio che i lavori, gi� approvati ed in corso 
quando la predetta sostituzione � avvenuta, possono essere proseguiti 
ed ultimati, trovando essi la loro giustificazione nel decret� di approva 
zione emesso allorch� il piano di ricostruzione era ancora in vigore. 

E' da osservare per� che la natura ed i limiti del piano di ricostru� 
zione sono stati gi� esaminati e definiti dall'a.g.o: cfr., in particolare, 
Cass. 22 ottobre 1958, n. 3396, Riv. giur. ed., 1959, I, 9, 1a quale, in base 
ai caratteri d� piano particolareggiato attribuiti al piano di ricostruzione 

(I. n. 1402, art. 3), ha .affermato la necessit� che in quest'ultimo siano 
previsti� i comparti edificatori, da cui derivano per i proprietari interes� 
sati le conseguenze indicate nell'art. 23 I. n. 1150; Cass. Sez. Un. 25 no� 
vembre 1961, n. 2731, ivi, 1962, I, 96; Cass. 14 dicembre 1962, n. 3352, 
ivi, 1963, I, 360, che ritiene inapplicabile alle espropriazioni eseguite in 
base ai piani di ricostruzione l'art. 38 della I. n. 1150. V. anche per la 

340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Col primo motivo del ricorso si denuncia 
eccesso di potere e violazione di legge, in quanto i provvedi. 
menti impugnati sono volti a dare attuazione al piano di rico� 
struzione dell'abitato di Portomaggiore, gi� scaduto di effica� 
eia per effetto dell'entrata in vigore del piano regolatore gene� 
raie approvato con r.d. 3 febbraio 1960. 

La questione, che per la prima volta si presenta all'esame 
di questo Consiglio, riveste importanza di massima, trattan� 
dosi di stabilire se, subentrato al piano di ricostruzione il piano 
regolatore generale, sia consentito o meno di provvedere all'esecuzione 
o prosecuzione di lavori che concernono l'attuazione 
del piano di ricostruzione. 

Per un'esatta soluzione della controversia giova anzitutto 
porre in evidenza i criteri direttivi ai quali si � ispirato il legi� 
slatore nel disciplinare la materia dei � piani di ricostruzione �. 

Nell'immediato dopoguerra, stante l'imperiosa necessit� di 
provvedere ad un primo assetto degli abitati danneggiati da 
eventi bellici, .per dare ricovero alle famiglie rimaste senza 
tetto, il Governo si rese conto che il mezzo pi� efficace per realizzare 
l'avvenuto assetto non poteva essere il normale piano 
urbanistico, articolato su una procedura troppo lunga e complicata, 
bens� un vero e proprio piano di emergenza che, senza 
formalit� ingombranti, rendesse pi� agevole e sollecita la riedificazione 
dei fabbricati distrutti, secondo una direttiva razionale, 
ed in previsione dello sviluppo futuro della zona interessata. 
Questa la genesi dei piani di ricostruzione che, istituiti 
col d.1.1. 1 marzo 1945, n. 154, furono in seguito adeguati sem


natura ed il contenuto del piano regolatore generale, che deve valutare 
l'intero territorio comunale, Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 1959, n. 269, 
ivi, 1959, I, 269; per la immediata operativit� del piano stesso, Cons. Sta� 
to, Sez. V, 25 marzo 1960, n. 198, ivi, 1960, I, 260, con note di richiamo 
(in senso contrario, SANDULLI, Appunti per uno studio sui piani regola� 
tori. rfo. cit.. 1958, II, 42). 

Sulla legittimazione passiva, nei giudizi di opposizione alla stima, del 
concessionario dei lavori per l'attuazione del piano di ricostruzione, cui 

"' 

�:' 

sia stato trasferito l'onere delle espropriazioni, e non del Ministero dei 
Lavori Pubblici, sostituitosi, ai sensi dell'art. 15 I. n. 1402, al Comune, 
cfr. Cass. 9 maggio 1962, n. 928, Foro it., 1962, I, 2105, la quale ha dissipato 
i contrasti sorti in precedenza (contra, cfr. C. Appello Catanzaro 22 
aprile 1961, Riv. giur. ed., 1962, I, 611, con nota; mentre il Trib. Udine 
13 aprile 1959, riv. cit., 1960, I, 466, con nota, ha ammesso la legittimazione 
passiva del Comune), affermando il principio della estraneit� al 
giudizio di opposizione del Ministero dei Lavori Pubblici; :p_rincipio che 
l'Amministrazione ha accettato. 

U. GARGIULO 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA .AMMINISTRATIVA 341 

pre pi� agli effettivi bisogni, mediante altre norme, che debitamente 
integrate e coordinate, costituiscono la disciplina organica 
di cui alla I. 27 ottobre 1951, n. 1402. 

I lineamenti di tale disciplina si possono cos� riassumere : 
1) La procedura risulta oltremodo semplificata, attribuen� 
dosi al piano di ricostruzione il valore di piano particolareggiato 
di esecuzione; inoltre, sono dichiarati urgenti e indifferibili 
le opere pubbliche per l'attrezzatura della zona da ricostruire. 
i) L'attuazione dei piani di che trattasi nei Comuni minori 
pi� gravemente danneggiati, � agevolata con sovvenzioni 
da parte dello Stato, il quale, ove occorra, pu� anche sostituirsi 
alle Amministrazioni interessate, nella esecuzione dei lavori. 
3) La durata del piano � fissata in cinque anni, trascorsi 
i quali il Comune delibera se sia sufficiente mantenere in attuazione 
il piano medesimo o se convenga procedere alla redazione 
di un piano regolatore ai sensi della legge urbanistica, 
oppure alla revisione di quello preesistente. Sulle proposte del 
Comune decide il Ministro dei LL. PP., con l'osservanza del seguente 
criterio : qualora il piano di ricostruzione sia ritenuto 
sufficiente, la durata complessiva della sua efficacia � stabi� 
lita nel d.m. e non pu� eccedere i dieci anni; qualora, invece, 
si provveda alla redazione o alla revisione del piano regolatore, 
il piano di ricostruzione ha efficacia fino alla data di approvazione 
del nuovo piano, ma non oltre il termine di cinque anni 
(art. 11 cit. I. n. 1402-1951). 
Peraltro, siccome l'attuazione dei piani di ricostruzione fu 
ritardata per circostanze varie (fra cui l'insufficienza degli stanziamenti, 
nel bilancio del Ministero dei LL. PP., dei fondi necessari 
per le sovvenzioni ai Comuni ammessi a tale beneficio), 
si rese necessario prorogare la durata dell'efficacia di detti 
piani, dapprima. al 30 giugno 1960 (art. 2 I. 28 marzo 1957, n. 222), 
indi al 30 giugno 1965 (art. un. I. 6-luglio 1960, n. 678). 
Da quanto precede � lecito trarre la conclusione che, pur 
essendosi la situazione di settore evoluta in senso diverso da 
quello sperato, tuttavia � rimasta ferma la regola cui � ispirato 
l'intero sistema adottato col pi� volte citato art. 11 della 1. 1402, 
che ha messo i Comuni nell'alternativa di decidere sulla sufficienza 
del piano di ricostruzione o sull'opportunit� di sostituirlo 
con un piano regolatore generale, a meno che non si 
tratti di Comuni inclusi negli elenchi di cui all'articolo 8 della 

1. urb. 17 agosto 1942, n. 1150, e quindi obbligati a compilare il 
piano regolatore generale, per i quali Comuni il piano di rico

342 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

struzione conserva la sua efficacia fino alla data di entrata in 

vigore di detto piano regolatore generale. Sembra opportuno 

aggiungere che il sistema come sopra visualizzato, stante l'ine


quivocabile formulazione delle norme, e soprattutto dello spi


rito di esse, non consente di ipotizzare la coesistenza del piano 

di ricostruzione col sopravvenuto piano regolatore generale: � 

evidente, infatti, che le previsioni del primo, a raggio limitato 

e con funzione soltanto di ripristino degli immobili distrutti, 

mal si accordano con le previsioni del secondo, che investono 

l'intero territorio comunale ed hanno carattere programmatico, 

in vista di obbiettivi che potrebbero comportare anche la revi


sione dell'assetto di quelle parti del piano di ricostruzione che 

non sono state ancora attuate. 

Tenendo presenti le surriportate disposizioni e i dati di fatto 
acquisiti agli atti, si rileva che il piano di ricostruzione di Portomaggiore, 
approvato con d.m. 30 novembre 1946, � venuto a 
scadere sin dal 3 febbraio 1960,. data dell'approvazione, da parte 
_del Capo dello Stato, del nuovo piano regolatore generale. Ne 
consegue che, per mancanza dell'indispensabile presupposto giuridico, 
appaiono illegittimi tanto il d.m. 5 settembre 1962, numero 
3710, che ha approvato il progetto dei lavori del piano di 
ricostruzione di detto abitato e ne ha assentito l'attuazione in 
concessione all'Ente Costruzione Alloggi Piani di Ricostruzione 
(ENCALPIR), quanto il decreto prefettizio 4 dicembre 1962, 

n. 39305, che, richiamandosi al cit. d.m., autorizza l'occupazione 
d'urgenza degli immobili di propriet� del ricorrente. 
Presumibilmente il ritardo dell'intervento sostitutivo del 
Ministero dei LL. PP. nell'attuazione del piano� di ricostruzione 
di Portomaggiore, � conseguenza dell'inconveniente gi� rilevato 
che gli stanziamenti di bilancio non sono stati effettuati in 
modo congruo e tempestivo; ma se ci� � da deplorare, trattandosi 
di opere di ripristino di danni bellici che dovrebbero essere 
finanziate con assoluta precedenza, il profilo giuridico non pu� 
esserne influenzato, in quanto il procedimento per l'esecuzione 
dei lavori e per le occorrenti espropriazioni presuppone indefettibilmente 
il perdurare dell'efficacia del piano di ricostruzione, 
il che, come si � detto, nella specie non si � verificato. 

Per le esposte considerazioni il ricorso merita accoglimento 
e i provvedimenti impugnati vanno annullati. -(Omissis). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 343 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 novembre 1963, n. 710 -Pres. 
Polistina -Est. Granito -Ditta Querci c. Ministero dei LL.PP. 

Edilizia popolare ed economica -Cooperative edilizie -Azione esecutiva 
-Richiesta di nulla osta -Diffida -Silenzio rifiuto -Illegittimit�. 


(t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 80, 2� comma). 
Ove un creditore munito di titolo esecutivo formuli una 
richiesta di nulla osta ai sensi dell'art. 80, comma 2�, t.u. 28 
aprile 1938, n. 1165, il Ministero dei LL.PP. h� l'obbligo di pronunciarsi 
in modo esplicito; sia pure in senso negativo, adottando 
quei provvedimenti che, col suo apprezzamento discrezionale, 
ritiene opportuni. Deve pertanto ritenersi illegittimo il 
silenzio, mantenuto dalla p.a. anche dopo una formale diffida, 
risolvendosi esso in un rifiuto di emettere un atto dovuto (1). 

(1) La massima si informa al principio sceondo il quale il rifiuto 
di emettere un atto dovuto si risol~e in un comportamento negativo (si� 
lenzio), che � illegittimo, e come tale annullabile; cfr., anche per la di� 
stinzione tra silenzio-rigetto e silenzio-rifiuto, Ad. plen. 3 maggio 1960, 
n. 8, Foro amm., Mass. 1960, II, 308, con nota. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 novembre 1963, n. 740 -Pres. 
Polistina -Est. Di Capua -Montemurri c. Ministero Agricoltura 
e Opera Valorizzazione Sila. 

Giustizia amministrativa -Esecuzione di giudicato -Motivi di opportunit� 
amministrativa o di ordine pubblico -Irrilevanza -Inerzia 
della p.a. -Prefissione di un termine e, in caso di inosservanza, 
nomina di un commissario. 

Dichiarato con sentenza passata in cosa giudicata che i beni 
illegittimamente espropriati appartengono in propriet� al privato 
e che questi ha diritto a ottenerli in restituzione, la p.a. 
non pu� sottrarsi all'adempimento dell'obbligo di restituirli n� 
per motivi di convenienza o di opportunit�, n� per ragioni di 
ordine pubblico (nella specie per ragioni di interesse sociale ad 
evitare l'allontanamento dei contadini dai terreni espropriati); 
e se non adempie detto obbligo, si pu� prefiggere un termine, 
decorso il quale l'autorit� di controllo pu� nominare un commissario 
che, a cura e spese dell'Ente, proceda alla restituzione 
(1). 

(1) Con questa decisione il Consiglio di Stato, pur riconoscendo di 
non potersi sostituire alla p. a. nel conformare l'azione amministrativa 

344 

RASSEGNA DELL1AVVOCATUliA DELLO STATO 

(Omissis). -La sentenza di cui si chiede l'adempimento 
dichiara, nel dispositivo, � che i beni cui si riferisce il decreto 
presidenziale di espropriazione 18 dicembre 1951, n. 1413... 
appartengono in propriet� all'appellante e che l'appellata Opera 
Valorizzazione Sila ha l'obbligo di restituirli �. 

A quest'obbligo, l'Opera non pu� sottrarsi n� per motivi 
di convenienza o di opportunit�, n� per le difficolt� che eventualmente 
derivino dal suo adempimento, n� per ragioni di 
interesse pubblico o di ordine pubblico. In questo senso, la 
giurisprudenza def Consiglio � ormai consolidata (cfr., da ultimo, 
V Sez. 28 agosto 1963, n. 760, rie. Costabile; IV Sez., 11 
dicembre 1962, n. 776, rie. Falco; V Sez., 7 aprile 1962, n. 304, 
rie. Comune di Roma), sicch� il richiamo fatto dal Ministero 
all'interesse � sociale e pubblico � di evitare l'allontanamento 
dei contadini insediati sui terreni indebitamente espropriati 
non pu� impedire l'applicazione dell'art. 27, n. 4, e la reintegrazione 
del diritto violato dall'atto illegittimo e riconosciuto 
dalla sentenza del Magistrato. � 

Fallito il tentativo per un componimento amichevole della 
vertenza (le ragioni del fallimento sono, in questa sede, irri


al giudicato, afferma -e cos� si riporta alla precedente giurisprudenza 
ormai pacifica -che, in relazione all'obbligo di adempiere il giudicato, 
non esistono ragioni di interesse pubblico, per gravi che siano, e neanche 
ragioni di ordine pubblico, che possano rendere discrezionale l'adozione, 
da parte della p. a., di provvedimenti che rispetto al giudicato stesso 
abbiano il carattere di atti vincolati (cfr. Ad. pl., 3 luglio 1962, n. 13, Il 
Consiglio di Stato, 1952, I, 189; Sez. VI, 22 marzo 1961, n. 267, riv. cit., 
1961, I, 600; Sez. V, 7 aprile 1962, n. 304, riv. cit., 1962, I, 717; 28 agosto 
1963, n. 760, riv. cit., 1963, I, 117). 

La decisione presenta due aspetti sui quali si deve pervenire a conclusioni 
diverse. 

Il primo aspetto attiene alla autorit� della cosa giudicata. Non vi 
� dubbio che tutti, e in primo luogo la p.a., debbano rendere omaggio 
alla sentenza del giudice che abbia l'autorit� della c. g., nella quale si 
afferma in modo solenne la volont� dello Stato in ordine alla definizione 
giudiziale di un rapporto giuridico controverso. Sarebbero violati i 
principi basilari del nostro ordinamento costituzionale se i vari poteri 
dello Stato venissero meno al dovere di rispettare, ciascuno nella propria 
competenza, la sfera di sovranit� riservata agli altri: in particolare il 
potere amministrativo si svolge nell'ambito della legge, prestando, tra 
l'altro, ossequio alla pronunzia emessa dal potere giudiziario (in tal 
senso, espressamente, Sez. V, 20 gennaio 1951, n. 7, Foro amm., 1951, 
I, 2, 138). 

Sull'aspetto ora esaminato, non si pu� che aderire. 
L'altro aspetto, che si collega al precedente, riguarda la definizione 
della situazione che si � venuta a determinare per effetto della sentenza 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 345 

levanti), l'Amministrazione aveva, quindi, l'obbligo di provvedere 
alla restituzione dei beni, il che essa non ha fatto neppure 
dopo la diffida notificatale dal ricorrente ai sensi degli 
artt. 90 e 91 del Regolamento di procedura, creando in tal modo 
il presupposto perch� si faccia luogo all'adempimento del giudicato 
nelle forme consentite dallo articolo 27. 

La domanda del ricorrente deve perci� essere accolta, 
ordinandosi all'Amministrazione inadempiente di effettuare la 
restituzione entro il termine di sessanta giorni -che appare 
congruo, tenuto conto della complessit� delle operazioni da 
compiersi -e disponendosi, in accoglimento di analoga richiesta 
del ricorrente ed in conformit� con la giurisprudenza 
del Consiglio (cfr. V .Sez. 8 luglio 1963, n. 539, rie. Amicarelli; 
28 settembre 1962 rie. De Lucia; 2 luglio 1962, n. 552, rie. Gattoligi; 
26 maggio 1962, n. 469, rie. Papa; VI Sez. 28 novembre 
1962, n. 819, rie. Macchioro), che, ove, allo scadere del termine 
di cui sopra, non sia stato provveduto alla restituzione, 
il Ministero dell'Agricoltura nomini un Commissario, il quale 
-a cura e spese dell'Opera -proceda alla restituzione. 
-(Omissis). 

passata in c. g. Una volta disapplicato o annullato con tale pronunzia 

un atto amministrativo, non sorge, per la p. a., il dovere di ripristinare 

la situazione precedente all'atto stesso, cos� come abitualmente si ritiene. 

La p. a. ha il dovere non di riesaminare l'atto illecito, bens� di valu


tare la situazione giuridica che si � determinata per effetto del giudi


cato, adottando, in conformit� ad esso, i provvedimenti pi� opportuni 

per il pubblico interesse (GuGLIELMI, L'obbligo dell'ammfnistrazione di 

conformarsi al giudicato, in questa Rassegna, 1953, 6): ogni volta che 

una situazione del genere si verifica, la p. a. ha un potere di scelta in 

ordine al comportamento che intende assumere in adempimento del


l'obbligo di osservanza del giudicato (Sez. Un., 6 agosto 1962, n. 2418, Foro 

it., 1963, I, 64; SANDULLI, Manuale, 672, il .quale ritiene che, in ordine 

a tale comportamento, l'interessato ha non un diritto soggettivo, bens� 

un interesse legittimo, la cui lesione rientra, com'� noto, nella compe


tenza di merito del Consiglio di Stato). Tale scelta acquista maggiore 

rilevanza in una specie nella quale, come nel caso deciso, il ripristino 

della situazione, preesistente all'emanazione dell'atto illecito, � reso im


possibile proprio dalla tutela di un particolare interesse pubblico la 

cui valutazione rientra nella sfera riservata alla p. a.; e cio� dalla tutela 

dell'interesse a mantenere inalterata la destinazione pubblica cui � ri


volto l'immobile espropriato e che � prevalente rispetto all'interesse 

privato alla restituzione dell'immobile stesso. Tale prevalenza, anche se 

negata nella specie dal Consiglio di Stato, � stata riconosciuta, in linea 

generale, in confonpit� del resto ad esatti princ�pi, dalla costante giu


risprudenza della Corte di Cassazione (Sez. Un., 8 luglio 1953, n. 2157, 

Foro it., 1953, I, 108; 14 luglio 1960, n. 1918, riv. cit., 1960, I, 1702). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 13 novembre 1963, n. 755 -Pres. 
Meregazzi -Est. Landi -Associazione Toscana Albergatori 

(A.T.A.) ed altri c. Comitato provinciale prezzi di Firenze. 

Prezzi -Disciplina dei prezzi -Organi competenti -Comitato interministeriale 
dei prezzi -Poteri -Emanazione di ordini vincolant~ 
per i C.P.P. -Illegittimit�. 

(d.l. 19 ottobre 1944, n. 347; d.l. 15 settembre 1947, n. 896). 
Sono illegittime le tariffe alberghiere che provengono dalla 
Segreteria del Comitato interministeriale dei prezzi (C.I.P.), 
in quanto, contenendo ordini vincolanti per i Comitati provinciali 
dei prezzi (C.P.P.), ne violano la autonomia, poich� le direttive 
che il C.I.P. potr� impartire ai C.P.P. hanno semplice fine 
di coordinamento, tanto pi� che detti ordini provengono dalla 
Segreteria del Comitato interministeriale, la quale non ha funzioni 
e competenze proprie, che possano essere esercitate indipendentemente 
dalle deliberazioni dell'organo collegiale (1). 

(1) V. in senso conforme Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 1963, n. 600, 
in questa Rassegna, retro, 116. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 15 novembre 1963, n. 850 -Pres. 
De Marco -Est. de Capua -De Angelis c. Ministero DifesaEsercito. 


Invenzione industriale -Invenzione fatta durante l'esecuzione di rapporto 
d'impiego -Premio -Determinazione -Criteri -Fattispecie. 

(r.d. 29 giugno 1934, n. 1127, artt. 23 e segg.). 
Nel caso d'invenzione industriale fatta durante l'esecuzione 
di un rapporto d'impiego, in cui l'attivit� inventiva sia prevista 
come oggetto del rapporto stesso senza essere stabilita una 
partieolare retribuzione per l'invenzione, all'inventore spetta un 
equo premio, il quale � determinato non in vari momenti su�cessivi 
in base al valore economico dell'invenzione, come potr� 
risultare in pratica dal suo progressivo sfruttamento, bens� una 
volta sola in base alla valutazione dell'importanza dell'invenzione, 
e cio� alla stregua di un giudizio non sindacabile quando 
datore di lavoro sia l'Amministrazione statale. E' pertanto legittimo 
il provvedimento col quale l'amministrazione abbia deter


" 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 347 

minato il premio con un giudizio di equit� non sindacabile, 
senza tener conto del vantaggio economico dell'invenzione (1). 

(1) Massima esatta: non vi � dubbio che l'invenzione appartiene all'Amministrazione, 
e all'inventore non spetta alcuna partecipazione alla 
utilit� economica deriva.nte dallo sfruttamento del ritrovato. La questione 
della giurisdizione, anche se non risulta proposta, doveva portare ad 
ammettere la competenza del giudice amministrativo (v. per qualche 
spunto Cass. 11 luglio 1962, n. 1852, Foro it., rep., voce impiegati dello 
Stato, n. 823; ed anche TRACANNA, In tema di invenzione degli impiegati 
dello Stato, in questa Rassegna, 1953, 41), giacch� la pretesa ad ottenere 
il pagamento del premio consiste, nella specie decisa, in un interesse 
legittimo, ove venga qualificata alla stregua delle norme, richiamate 
dalla decisione, che disciplinano il criterio per la determinazione del 
l?remio, il quale deve tener conto dell'importanza dell'invenzione, valutata 
nel quadro dell'attivit� propria dell'amministrazione. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 15 gennaio 1964, n. 3 -Pres. 
Polistina -Est. Granito -Olivieri c. Ministeri Difesa-Eser� 
cito e Finanze. 

Servit� militari -Vicinanza della propriet� vincolata col demanio statale 
-Non necessaria -Vicinanza della propriet� stessa con fron. 
tiere terrestri -Sufficienza . 

Servit� militari -Procedimento e finalit� -Espropriazione -Procedimento 
e finalit� -Differenze . 

(1. 20 dicembre 1932, n. 1849; 1. 1. dicembre 1949, n. 1150; d.P.R. 
28 giugno 1955, n. 1106, art. 15). 
Le servit� militari possono essere imposte non solo su 
propriet� fondiaria sita in vicinanza di beni immobili facenti 
parte del demanio o del patrimonio dello Stato, ma anche su 
propriet� situate in prossimit� di frontiere terrestri, a prescindere 
dal fatto che in tali localit� esistano o meno beni immobili 
di propriet� dello Stato (1 ) . 

.I procedimenti, di espropriazione e di asservimento, pur 
essendo �connessi nelle finalit� perseguite, si differenziano fra 
di loro dal punto di vita soggettivo (l'esproprio � pronunciato 
dal Prefetto, la servit� � imposta dal Ministro per la Difesa); 
dal punto di vi:;ta oggettivo (l'una tende all'espropriazione indennizzata 
di un fondo, l'altra alla grat!.1i..ta imposizione di vincolo), 



348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA llELLO STATO 

e per la disciplina giuridica (tanto che si svolgono in momenti 
distinti e diversi) (2). 

(1-2) La prima massima appli~a esattamente l'art. 1 della 1. 20 dicembre 
1932, n. 1849, come � stato modificato dalla 1. 1 dicembre 1949, 

n. 1150 e dall'art.' 15 d.P.R. 28 giugno 1955, n. 1106, e si informa al principio 
che definisce Ie servit� militari non vere e proprie servit�, bens� 
limitazioni legali imposte alla propriet� fondiaria nell'interesse pubblico 
della difesa e sicurezza nazionale. 
La seconda massima distingue le due proc�dure, di espropriazione 
e di asservimento, in relazione alla fattispecie nella quale, per la legittimit� 
del provvedimento di �imposizione della servit�, era sufficiente 
l'esistenza di opere militari e non anche l'appartenenza allo Stato del 
terreno -sul quale dette opere insistevano (essendo stato annullato il 
relativo decreto di esproprio). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 13 novembre 1963, n. 743 -Pres. 
De Marco -Est. Meregazzi -Cin� c. Ministero Tesoro. 

I

~ 

Danni di guerra -Danni sub�ti in territori non metropolitani -Liquidazione 
-Divieto di revisione prevista dall'art. 14 della I. n. 961 
del 1953 -Inapplicabilit�. 

I '

I

(1. 26 ottobre 1940, n. 1543; r.d. 14 giugno 1941, n. 904; 1. 27 dicembre 
1953, n. 968, art. 14). 
La disposizione dell'art. 14 della l. n. 908 del 1953, che vieta 
la revisione delle liquidazioni definitive eseguite in base agli 

I 

artt. 15, 16, 17 e 18 della l. 26 ottobre 1940, n. 1543, non si applica 
alle liquidazioni dei danni di guerra subiti nei territori 
non metropolitani, regolati dal r.d. 14 giugno 1941, n. 264 (1). 

(1) Il Consiglio di Stato ha escluso l'applicazione analogica della norma 
racchiusa nell'art. 14 della I. n. 968, richiamando il principio dell'asI


soluta autonomia dell'ordinamento giuridico metropolitano e dell'ordinamento 
giuridico dei territori dell'Africa italiana, nel senso che una 
disposizione legislativa del primo ordinamento non pu� applicarsi ana


I

logicamente alla specie regolata dal secondo ordinamento. 
Viene altres� richiamato il principio della irrevocabilit�, proprio 

' 

,

della materia dei danni di guerra, al lume del quale viene spiegato il 
divieto dell'art. 14. Se infatti, in virt� della definitivit� degli atti ammi. 


.

nistrativi, tutte le liquidazioni, relative a rapporti ormai esauriti, devono . 

,

restare ferme e immutabili, e :cos� anche quelle operate in base alla .

I

1. n. 1543, la norma dell'art. 14, che esclude solo queste ultime dalla 
~~ 


possibilit� di revisione, lascia implicitamente intendere che le liqui<la:-: 
zioni operate in base a leggi diverse sono suscettibili di revisione (cfr. 
Sez. IV, 14 marzo 1962, n. 253, Foro amm., Mass., 1962, II, 159). 



349

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 13 novembre 1963, n. 816 -Pres. 
Stumpo -Est. Anelli -Foli c. Ministero Agricoltura. 

Caccia e pesca -Riserva di caccia -Inclusione coattiva -Motiva. 
zione -Necessit�. 

(t.u. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 44). 
Ai sensi dell'art. 44 t.u. 5 giugno 1939, n. 1016 la costituzione 
di un terreno in una riserva di caccia pu� essere disposta 
quando siano state adeguatamente motivate le ragioni tecniche 
che ne giustificano la inclusione ed i danni pi� o meno gravi 
che possono derivare alla produzione agraria. E' pertanto illegittimo 
un provvedimento d'inclusione coattiva in riserva di 
caccia, il quale non contenga, nei sensi ora accennati, una adeguata 
motivazione (1). 

( 1) Giurisprudenza costante e conforme al principio enunciato nell'art. 
44 t.u. 5 giugno 1939, n. 1016: cfr. Sez. VI, 6 maggio 1963, n. 294, 
Il Consiglio di Stato, 1959, I, 872. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 20 novembre 1963, n. 844 -Pres. 
D'Avino -Est. Manzari' -Accolla ed altri c. Ministero P.I. 

Demanio e patrimonio -Demanio storico e artistico -Tutela -Regione 
Siciliana -Organi competenti. 

Competenza -Principi generali -Conflitto di attribuzioni tra Stato e 
Regione -Presupposti. 
(Statuto Reg .Sic., artt. 14, 20, 32; 1. 1. giugno 1939, n. 1089, art. 21). 

Il trasferimento delle competenze attribuite dallo statuto 
alla Regione Siciliana non si � verificato ope legis, per mero 
effetto dell'entrata in vigore delle relative norme, ma deve essere 
attuato mediante appositi provvedimenti legislativi (e cos� per 
quanto auiene alla materia dell'antichit� e delle arti) (1). 

(1-2) L'attivit� statale decentrata alla Regione Siciliana in materia 
di antichit� e belle arti. 

La decisione, conforme ad altre precedenti (Sez. VI, n. 1049 del 1959 
Il Consiglio di Stato, 1959, I, 1783; id., n. 1051 del 1%0, in questa Rassegna, 
1961, p. 109), segue la sentenza della Corte Costituzionale n. 83 del 1962 
(in questa Rassegna, 1962, p. 73), la quale ha confermato l'attuale vigenza 
del decentramento attuato in via provvisoria con i decreti legislativi 



350 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La competenza ad esercitare la tutela delle belle arti, nella 
Regione Siciliana, spetta agli organi regionali, nella qualit� di 
autorit� decentrate dello Stato, e ci� esclude l'ipotesi di un 
conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione, il quale si verifica 
quando il conflitto si svolge sulla competenza tra i predetti enti 
considerati come soggetti a s� (2). 

nn. 91 del 1944, 416 del 1945 e 567 del 1947 ed ha escluso che il conflitto 
insorto nell'ambito di questo decentramento sia un conflitto intersoggettivo 
costituzionale .. 

La soluzione vale, come si disse a suo tempo, solo per la Regione 
siciliana e limitatamente a questo decentramento provvisorio attuato 
con norme di legge ordinarie in attesa del trasferimento delle funz.ioni 
alla Regione. 

Occorre, peraltro, tener presente che questo decentramento provvisorio 
� tutt'altro che illimitato il d.l. C.p.S. 30 giugno 1947, n. 567, infatti, 
attribuisce provvisoriamente al Presidente ed alla Giunta regionale l'esercizio 
dei poteri spettanti all'Alto Commissario ed alla Consulta regionale 
e, relativamente a questi, l'art. 1 lett. c) d.l:lt. 28 dicembre 1944, n. 416 
precisa che, . salva la competenza del Consiglio dei Ministri, resta ferma 
quella dell'amministrazione centrale per �tutto quanto si riferisce alla 
gestione del bilancio � nonch� per i provvedimenti comunque �riguardanti 
lo stato giuridico ed econom�co del personale dello Stato. Restano, perci�, 
esclusi dal decentramento i provvedimenti comunque riguardanti il 
bilancio statale, che potr� essere impegnato solo da atti dell'Amministrazione 
centrale, nonch� le nomine, i licenziamenti, le promozioni ed i 
trasferimenti del personale. 

Questo decentramento provvisorio, inoltre, cessa di avere attuazione 
per le materie, relativamente alle quali siano emanate le norme di attuazione 
dello Stato e siano trasferite le funzioni, gli uffici e il personale 
dello Stato alla Regione. Il regime definitivo sostituisce cio�, per ciascuna 
materia, e dalla data della sua attuazione, il regime provvisorio, di cui 
al d.l. C.p.S. 30 giugno 1947, n. 567. Infine, poich� al Presidente ed alla 
Giunta regionale sono state trasferite provvisoriamente le funzioni gi� 
attribuite all'Alto Commissario ed alla Consulta regionale, restano fuori 
dal decentramento i provvedimenti di competenza del Consiglio dei Ministri. 


. Nell'ambito della materia, oggetto della decisione che si annota, (imposizione 
di vincoli, ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089), e, pi� 
in generale, in materia di tutela artistica e paesistica, riteniamo, quindi, 
che possano ritenersi compresi nel decentramento, oltre i provvedimenti 
di vincolo, avverso i quali, peraltro, potr� proporsi ricorso al Governo, 
anche quelli di cui agli artt. n. 8, 12 e 14 1. 29 giugno 1939, n. 1497, 
nonch� Ja decisione dei ricorsi gerarchici avverso i provvedimenti delle 
Soprintendenze. Ne restano, invece, esclusi, fra l'altro, i provvedimenti 
di nomina delle Commissioni, di cui all'art. 2 1. 29 giugno 1939, n. 1497, 
i provvedimenti previsti dal successivo art. 15, perch� la scelta fra l'ordine 
di demolire le opere e quello di imporre il pagamento di un'indennit� ha 
riferimento al bilancio statale, la decisione dei ricorsi al Governo, previsti 
dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, la redaiione, approvazione e pubblicazione 
dei piani paesistici, di cui all'art. 5 della citata legge n. 1497 del 1939. 

G. GUGLIELMI 

\.'ARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRA!IVA 351 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 novembre 1963, n. 878 -Pres. 
Breglia -Est. Manzari -Pugnaloni c. Ministero P.I. e Co� 
mune di Ancona. 

Piano regolatore -Licenza edilizia -Annullamento giurisdizionale � 
Conseguente obbligo del Comune di ordinare la demolizione delle 
opere o di sollecitare l� irrogazione delle sanzioni penali di cui 
all'art. 32 I. urb. 

O. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 32). 
Piano regolatore -Licenza edilizia� -Annullamento giurisdizionale � 
Ricorso per esecuzione del giudicato -Potere del Consiglio di Stato 
di ordinare la demolizione -Esclusione -Potere del Comune di 
adottare i provvedimenti idonei ad eliminare la situazione illegale 
�e, in mancanza, intervento dell'autorit� di controllo -Sussistenza. 

(t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 27 n. 4). 
Annullata in sede giurisdizionale una licenza edilizia, il Comune, 
con i suoi poteri discrezionali, o deve disporre la demolizione 
delle opere o deve sollecitare la irrogazione di sanzioni 
penali, cui l'art. 32 ultimo comma l. urb. rinvia (1). 

Il Consiglio di Stato, adito ai sensi dell'art. 27 n. 4 t.u. 26 
giugno 1924, n. 1054, per l'esecuzione del giudicato di annullamento 
di licenza edilizia, non pu� emettere. in sostituzione 
del Comune, il provvedimento di demolizione del fabbricato, ma 

(1-2) Con la prima massima il Consiglio �; ~tato continua ad affermare, 
nonostante le critiche mosse dalla. dottri"".~ (nota in. Riv. giur. ed., 
1958, I, 410), che, una volta annullata la licem:"' ~<lilizia, al dovere del Comune 
di adottare i provvedimenti opportuni n~r eliminare la situazione 
abusiva si accompagna la pretesa di colui che h<>. uromosso l'annullamento 
giudiziale della licenza ad ottenere l'emanazione ~i tali provvedimenti (ed 
eventualmente l'abbattimento della costruzione\ Deve, al contrario, ribadirsi 
il concetto, gi� espresso dal SANDULLI (S'Jt mezzi di tutela giurisdizionale 
del terzo danneggiato da una licenze:. <'-dilizia illegittima, Riv. 
amm. 1957, 520), secondo il quale, se il potere comunale in materia edilizia 
� un potere di polizia, in relazione al suo eserci?.io i terzi non possono 
vantare n� un diritto soggettivo, n� un interesse legittimo, e perci� non 
sono tutelati in alcuna pretesa. 

Con la ser,onda massima il Consiglio di Stato riconferma la sua 
giurisprudenza (Sez. V, 19 aprile 1958, n. 245, Riv. giur. ed., 1958, 407), 
rivolta ad ammettere, nel caso d'inerzia del Comune, obbligato ad eliminare 
la situazione illegale derivante dall'annullamento di una licenza 
edilizia, il controllo sostitutivn da naite dell'autorit� prefettizia che puo 
nominare un commis=.rio. (Re:r.� V. 2 luglio 1962, n. 552, Riv. giur. ed. 1962, 
I, 1109; Sez. V. 1. dicembre 1962, n. 935, riv. cit. 1963, 98, e giur. ivi cit.). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

352 

deve dichiarare il Comune, rimasto inattivo, obbligato ad eliminare 
la situazione irregolare, caratterizzata dalla costruzione 
abusiva, prefiggendogli un termine, decorso il quale l'autorit� 
tutoria pu� intervenire col controllo sostitutivo (2). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 novembre 1963, n. 887 -Pres. 
Breglia -Est. Brignola -Ricci c. Ministero Finanze. 
Contratti pubblici -Licitazione privata -Offerte -Offerte verbali 
-Ammissibilit� -Fattispecie . 

Contratti pubblici -Licitazione privata -Gara andata deserta -Rin


novazione -I~viti -Limitazione a talune ditte -Motivi fondati 

-Obbligo di precisazione dei motivi negli inviti -Non sussiste. 

Contratti pubblici -Licitazione privata -Durata di un'ora -Abbreviazione 
per mancanza di concorrenti -Legittimit�. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 69, 89). 
La licitazione privata, ai sensi dell'art. 89 r.d. 23 maggio 
1924, n. 827 sulla Contabilit� Gene.raie dello Stato, pu� svolgersi 
mediante presentazione di offerte verbali, e tale modalit� 
non � in alcun modo limitata dalla legge. Pertanto � illegittimo 
il provvedimento che, in sede di approvazione, annulla la gara, 
motivato dal richiamo generico che in relazione all'oggetto della 
licitazione le offerte verbali dovessero ritenersi inammissibili (1). 

Nel caso che una gara, andata deserta, venga rinnovata, la 

p.a. ha il potere discrezionale di limitare, per fondati motivi, 
la partecipazione a talune ditte, senza che i motivi stessi vengano 
dichiarati nell'invito (2). 
La durata della gara, che ai sensi degli artt. 69 e 89 r.d. 

n. 827 si deve protrarre per un'ora, pu� anche essere abbreviata, 
allorch�, rimasto in gara un solo concorrente in seguito alla 
esclusione degli altri, non sussiste la possibilit� di un ulteriore 
concorso nello spazio di tempo necessario per raggiungere la 
durata di un'ora (3). 
(1-3) Le tre massime si informano ad esatti principii, anche se su 
di essi, per la particolarit� della specie decisa, non risultano precedenti. 
Occorre, tuttavia, rilevare che la licitazione era viziata da altro aspetto, 
relativo cio� all'organo legittimato a procedere alla gara, rientrando questa 
nella competenza dell'Ufficio del Registro e non dell'Intendenza di Finanza 
ai sensi dell'art. 2 d.P.R. 4 febbraio 1955, n. 72; per tale motivo, ove 
sussista un interesse pubblico all'annullamento, la licitazione potrebbe 
non essere approvata. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 353 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 4 dicembre 1963, n. 951 -Pres. 
D'Avino -Est. Anelli -Cella c. Ministero P.I. 

Demanio -Demanio storico e artistico -. Provvedimento di vincolo Motivazione 
-Criteri -Fattispecie. 

(L. 1. giugno 1939, n. 1089, art. 1). 
L'imposizione del vincolo di interesse storico e artistico, 
presuppone un giudizio tecnico discrezionale, che deve essere 
congruamente motivato attraverso l'indicazione e la specificazione 
del tipo di interesse che giustifichi il provvedimento. Pertanto 
� legittimo il provvedimento la cui motivazione consenta 
di individuare gli elementi (quali i pregi artistici o gli avvenimenti 
storici) che caratterizzano l'importanza dell'immobile vincolato, 
mentre � illegittimo il provvedimento che, nell'imporre 
il vincolo ad un terreno annesso ad un palazzo, si limita al 
rilievo, meramente quantitativo, dell'intensit� della vegetazione 
e dell'ampiezza dell'area (1 ). 

(1) Giurisprudenza costante; cfr., da ultimo, Sez. VI, 23 ottobre 1963, 
n. 774, Il Consiglio di Stato, 1963, I, 1456 e giuris. cit. 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 118 -Pres. 
' Rossano -Est. Caporaso -P.M. Maccarone (conf.) De Pompeis 
c. Finanze. 

Imposte e tasse in genere -Procedimento davanti alle Commissioni 
delle imposte -Decisioni -Difetto o mancanza ,di motivazione -.Non 
deducibilit� davanti all'Autorit� giudiziaria ordinaria -Limiti. 

Imposte e tasse in genere -Procedimento davanti .alle Commissioni 
delle imposte -Decisioni -Mancanza di motivazione -Inesistenza 
giuridica del procedimento -Insussistenza. 
(Cost. art. 111; d.1. 7 agosto 1936, n; 1639, artt. 22, 29, conv. nella 

I. 7 giugno 1937, n. 1016, e successive modificazioni). 
Il difetto ,o la mancanza di motivazione nelle decisioni delle 
Commissioni tributarie non � deducibile in sede giudiziaria allorquando 
il contribuente,� anzich� ricorrere in Cassazione, ai 
sensi dell'art. 111 della Costituzione, contro la pronuncia della 
Commissione centrale, instaura giudizio ex novo davanti al giudice 
ordinario. In tale sede pu� farsi valere in giudizio unicamente 
la inesistenza giuridica del procedimento svoltosi davanti 
agli organi della giustizia tributaria, il quale procedimento 

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�=� 

deve, per inderogabile norma di legge, precedere quello davanti 
all'Autorit� giudiziaria ordinaria (1); 

La mancanza di motivazione nelle decisioni delle Commissioni 
non costituisce un'ipotesi di inesistenza giuridica del relativo 
procedimento (2). 

(1-2) La esattezza delle adottate statuizioni non pu� revocarsi in 
dubbio. 

E', infatti, ius receptum, per costante affermazione della Giurispru


denza sia delle Corti di merito che della Corte di Diritto, che in materia 
tributaria esiste un duplice ordine di difese giurisdizionali (avanti le 
Comm.ni ed avanti l'Autorit� Giudiziaria ordinaria) distinte ed autonome 
con -conseguente esclusione assoluta del carattere di gravame del ricorso 
al Giudice ordinario che non sia quello previsto dall'art. 111 della Carta 
Costituzionale. Ci� non solo sotto l'aspetto formale del funzionamento, 
ma anche sotto quello sostanziale, riferendosi le difese predette a situazioni 
obi�ttivamente differenti. Il giudizio avanti le Commissioni si svolge 
di norma durante la formazione dell'atto amministrativo di imposizione 
del tributo ed ha per oggetto la determinazione degli elementi dell'ob

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 

(Omissis). -Limitata, per ora, la questione alla sola motivazione 
della decisione delle Commissioni tributarie, non pu� 
ritenersi che il difetto o la mancanza di motivazione nella decisione 
delle Commissioni � deducibile in sede giudiziaria allorquando 
il contribuente anzich� ricorrere in cassazione, ai sensi 
dell'art. 111 della Costituzione, contro la pronunzia della Com. 
missione Centrale instaura giudizio ex novo davanti al giudice 
ordinario. In tal caso pu� farsi valere in giudizio unicamente 
la inesistenza giuridica del procedimento svoltosi davanti agli 
organi della giustizia tributaria, il quale procedimento deve, per 
inderogabile norma di legge, precedere quello davanti all'autorit� 
giudiziaria ordinaria. Ma � stato gi� chiarito in giurisprudenza, 
ed � del resto ovvio, che la mancanza di motivazione 
nelle decisioni delle Commissioni non costituisce una ipotesi di 
inesistenza giuridica del relativo procedimento (Cass. 6 febbraio 

1961, n. 242; 18 gennaio 1957, n. 128). 

bligazione tributaria, della quale il soggetto passivo tende ad impedire 

la perfezione ed ottenere che sia fissata in misura a lui pi� favorevole. 

Il giudizio dell'A.G.O. tutela il contribuente quando l'obbligazione � per


fetta, e talvolta gi� eseguita (cfr. Cass. Sez. Un. 19 gennaio 1957, Riv. 

leg. fisc. 1957, 725; Cassaz. 12 aprile 1958, Dir. e prat. trib. 1959, 2, 297). 

L'autonomia dei due ordini di difese, inoltre, � accentuata dalla diversa 

struttura dei procedimenti, perch� il processo tributario � caratterizzato 

dall'impulso di ufficio, affidato alla stessa Amministrazione delle Finanze 

(cfr. Cassaz. 7 luglio 1958, Riv. Leg. Fiscale 1958, 1927; Relazione Avvo


catura Stato, 1956-1960, vol. III, 362 e seg.). Da tale autonomia deriva 

necessariamente che il riesame affidato all'Autorit� Giudiziaria � limita


to alle questioni di legittimit� sostanziale dell'atto di imposizione e non 

si estende alle questioni di legittimit� formale del processo tributario 

(vizi in procedendo). Restano salve le sole ipotesi estreme in cui la irre' 

golarit� del procedimento assurga ad entit� tale da rendere giuridica


mente inesistente il procedimento. in concreto eseguito e con esso la 

relativa decisione. 

Detto procedimento infatti, tranne i casi, ove consentiti, di accerta


mento negativo, nel sistema procesuale tributario deve precedere l'azio


ne giudiziaria per dare all'Amministrazione, sotto il cui impulso si 

svolge il relativo procedimento, la possibilit� di rimuovere la eventuale 

illegittimit� della imposizione. 

Il difetto e la mancanza di motivazione, naturalmente, non determina 

la inesistenza n� del procedimento n� della decisione, costituendo vizi 

che rendono la decisione stessa modificabile o anche annullabile nei li


miti e con le regole del mezzo di gravame consentito. Nella copiosa giu


risprudenza formatasi al riguardo, � precisato che i vizi invalidanti l'esi


stenza della decisione sono dati dalla mancata scrittura della stessa; 

dalla mancata sottoscrizione, dal contenuto impossibile e simili (cfr.: 

Cass. 9 gennaio 1957 n. 128, Riv. �leg. fisc., 1957, 725; 6 maggio 1957, Riv. 

leg. fisc., 1957, 1198 e 1961 n. 242, Mass., Foro it., 1961, 46). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

356 

Pertanto la Corte ha bene dichiarato irrilevante il dedotto 
difetto di motivazione riferibile alle decisioni emesse dai competenti 
organi di gustizia tributaria. (Omissis). 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1964, n. 147 -Pres. 

Varallo -Est. D'Amico -P.M. Maccarone (conf.) -Finanze c. 

Palmarin Angelo. 

Esecuzione fiscale � Ingiunzione di pagamento -Opposizione -Foro 
dello Stato -Applicabilit�. 

Entrate patrimoniali -Ingiunzione di pagamento -Opposizione -Giudice 
competente -Foro dello Stato -Inapplicabilit�. 

(r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 8; t.u. 14 aprile 1910, n. 639, art. 3). 
La cognizione delle opposizioni ad ingiunzioni emesse, a 
norma del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, per la riscossione di entrate 
di carattere tributario � riservata, in primo grado, al Tribunale 
del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel 
cui distretto si trova l'ufficio finanziario che ha liquidato la tassa 
e sopratassa (1). 

La cognizione delle opposizioni ad ingi�nzioni emesse a norma 
dello stesso t.u. ]Jer la riscossione di entrat� di carattere 
patrimoniale � riservata in primo grado al conciliatore, Pretore 

o Tribunale competente per valore, del luogo in cui ha sede l'ufficio 
che ha emesso l'ingiunzione opposta (2). 
(1-3) La discriminazione fra opposizioni ad ingiunzione emesse, a 
norma del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, per la riscossione di entrate tributarie 
da quelle emesse per la riscossione di entrate patrimoniali, per ricono� 
scere, alle prime, l'operativit� del foro dello Stato e per escluderlo, alle 
seconde, costituisce ius receptum (cfr. Cass. Sez. I, 25 novembre 1963 

n. 3034 in questa Rassegna, 1964, n. 1; Cass. 9 febbraio 1961 n. 274 Mass. 
For. it. 1961, 55; Cass. 16 dicembre 1952 n. 3206, Mass. Foro it. 1952, n. 
75; Cass. 12 gennaio 1953, Riv. leg. fiscale 1953, 253; Cass. 22 aprile 1954 
n. 1083 Foro it., 1954, 1, 1125 Cass. 17 luglio 1953, Riv leg. fiscale 1953, 
1106). 
La discriminazione predetta, infatti, dato il carattere esecutivo del 
giudizio di opposizione ad ingiunzione, per essere diretto a contestare, 
per vizi di forma e di sostanza, il diritto all'esecuzione, � .necessitata dalle 
norme recate dagli artt. 7 e 8 del t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 sulla rap� 
presentanza e difesa in giudizio dello Stato, la cui applicazione � disposta, 
in modo tassativo, dal rinvio, all'uopo fatto, dell'art. 25 del c.p.c. 


PAR'fE 1, .SEZ V, GiURISPRUDENZA Tl.UBUTARIA. 

357 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 183 -Pres. 
Pece -Est. Di Majo -P.M. Pedace (conf.) -Giubergia c. 
Amministrazione Finanze. 

Entrate patrimoniali dello Stato -Procedimento coattivo per la loro 
riscossione , Opposizione all'ingiunzione di pagamento -Giudice 
competente per territorio. 

(t.u. 14 (l.prile 1910, n. 639, art. 2 e segg.; t.u. 30 ottobre 1933, 
n. 1611, art. 7). 
Poich� il procedimento monitorio previsto dal t.u. n. 639 
del 1910 ha carattere esecutivo, l'opposizione all'ingiunzione di 
pagamento, relativa ad entrate patrimoniali, deve essere proposta 
non gi� innanzi al giudice competente secondo le regole del 
iforo erariale, ma innanzi a quello territorialmente competente 
secondo le norme ordinarie del codice di rito (3). 

L'art. 7, per i giudizi esecutivi, deroga �l foro dello Stato, che, concepito 
come foro speciale per un oggetto determinato, continua ad operare, per 
i giudizi predetti, per la sola materia tributaria a norma del successivo 
art. 8. 

La ragione � chiara. Dato il ruolo in concreto spiegato dalla ingiunzione 
fiscale di atto di accertamento del debito di imposta e di intimazione 
di pagamento al tempo stesso (cfr. Cass. 23 gen. 1964 n. 164) l'opposizione 
giudiziaria, anche se limitata alla regolarit� delle forme seguite per 
la riscossione, investe il rapporto giuridico tributario, che, nella sua strut� 
tura, abbrnccia l'arco costituito dall'accertamento, liquidazione e rea� 
lizzazione del tributo. E poich� la cognizione di detto rapporto � rimessa, 
senza discriminazione di valore, alla competenza, ratione materiae, 
dci Tribunali, una deroga al foro dello Stato, per il carattere esecutivo 
del giudizio di opposizione, si sarebbe risolta in un attentato alle ragioni 
che hanno determinato la posizione del foro speciale con negazione 
delle finalit� che, con detto foro, l'ordinamento giuridico ha in concreto 
tutelato. Non cos� per le opposizioni giudiziarie alle ingiunzioni emesse 
per la riscossione delle entrate patrimoniali. Per tali entrate (cfr. Cass. 
16 luglio 1963 n. 1950, Riv. leg. fiscale, 1963, 2307) la procedura ingiunzionale 
disciplinata dal t.u. 14 aprile 1910 n. 639 � consentita soltanto per 
la riscossione di crediti certi liquidi ed esigibili in base a titolo precosti� 
tuito. L'opposizione, di conseguenza, non avendo alcuna interferenza con 
il potere di autoaccertamento della P.A. resta nell'ambito dei comuni 
procedimenti esecutivi e, con l'osservanza della discriminazione di valore, 
richiama le norme ordinarie di competenza con la sola deroga, 
prevista dall'art. 3 del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, agli artt. 615 e 619 del 

c.p.c. L'opposizione, infatti, in tali casi � proposta innanzi l'Autorit� 
Git'diziaria, competente per valore, del luogo in cui ha sede l'ufficio che 
ha emesso l'ingiunzione. 

358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1964, n. 164 -Pres. 
Vistoso .: Est. Arienzo -P.M. Gedda (conf.) -Soc. Saponeria 

A. Silva c. Finanze Stato. 
Imposte e tasse in genere -Riscossione delle imposte indirette -Espropriazione 
-Norme speciali. 

Imposte e tasse in genere -Ingiunzione di pagamento -Natura. 

Imposte e tasse in genere -Ingiunzione di pagamento -Opposizione 
giudiziaria -Contenuto. 

Dogana -Ingiunzione di pagamento � Opposizione giudiziaria -Ter


mine -Inosservanza -Effetti. 

(Artt. 3, 5, e 31, t.u. 14 aprile 1910, n. 639; art. 24 1. 25 settembre 

1940, n. 1424; art. 145, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269). 

Il procedimento coattivo per la riscossione delle imposte 
previsto dalla legge organica di registro ed esteso, da leggi relative 
ai singoli tributi, ad altre imposte e tasse, � integrato, 
per il disposto. dell'art. 31 del t.u. 14 aprile 1910, n. 639, dalle 
norme relative al procedimento di espropriazione mobiliare ed 
immobiliare contenute in detto t.u. (1). 

L'ingiunzione fiscale emessa a norma delle ricordate leggi 
costituisce, ad un tempo, l'atto formale di accertamento della 
imposta e l'atto con il quale si inizia il procedimento coattivo 
per la sua riscossione, con facolt� per l'interessato di proporre 
ricorso amministrativo ovvero opposizione giudiziaria (2). 

(1-4) L'ingiunzione fiscale emessa a norma della legge organica di 
registro e, per la riscossione delle altre imposte, dalle leggi a queste 
ultime relatiYe, � l'atto formale che determina in concreto il debito di 
imposta e ne ingiunge il pagamento all'obbligato (cfr. GIANNINI, Istituzioni 
diritto tributario, 1960, 253). Assolvendo, perci�, alla duplice funzione 
di accertamento e di riscossione partecipa della categoria degli 
�ordini� emessi dalla p.a. attiva (cfr. Cass. Sez. Un., 6 febbraio 1959 
n'. 381, Mass. Foro it. 1959, 73), e quale �estrinsecazione del potere di supremazia 
dello Stato � integra un vero e proprio � atto amministrativo 
munito di forza propria indipendentemente dal visto di esecutoriet� apposto 
dal Pretore� (cos� la citata sentenza delle Sezioni Unite). 

L'attivit�, infatti, che il Pretore � chiamato a svolgere non ha affatto 
natura giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. Un. 19 aprile 1955 n. 1079; Mass. 
Foro It. 1955, 230, Cass., 13 febbraio 1951, n. 347; Mass. Foro It. 1951, 82 
12 gennaio 1953 n. 54, Mass. Foro It. 1953, 14 8 luglio 1953 n. 2175; 
Mass. Foro It. 1953, 420 27 luglio 1956 n. 2906; Mass. Foro It. 1956, 
536 18 dicembre 1956 n. 4453 Mass. Foro It., 1956, 826), ma tipicamente 
amministrativa, in quanto che attraverso il controllo formale 

i 


Ifil 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

359 

Con quest'ultimo mezzo il debitore di imposta, qualora con


testi la fondatezza della pretesa, � abilitato, nei termini e nelle 

forme previsti dalle disposizioni di legge, a chiedere in via di 

azione, la dichiarazione di illegittimit� della pretesa stessa (3) 

Per i diritti doganali il termine utile per l'opposizione giu� 
diziaria � di 15 giorni e lo stesso � dalla legge 1424 del 1940 dichiarato 
perentorio. L'inutile decorso di tale termine comporta, 
con la decadenza dell'opposizione e la preclusione di ogni 
ulteriore contestazione, la definitivit� dello eseguito accerta� 
mento (4). � 

(Omissis). -Invero, il procedimento coattivo per la riscossione 
delle imposte da parte degli uffici finanziari, previsto nella 
legge del registro ed esteso da leggi speciali ad altre imposte, 
fra cui quella per la riscossione dei diritti doganali �(art. 24, I. 25 
settembre 1940, n. 1424), � integrato dalle norme riflettenti il 
procedimento di espropriazione mobiliare e immobiliare, contenute 
nel t.u. 14 aprile 1910, n. 639 sulla riscossione delle entrate 
patrimoniali applicabile alla riscossione delle tasse sugli 
affari (art. 31 legge cit.). 

L'ingiunzione � l'atto formale che d� corso al procedimento: 
il contenuto e l'effetto dell'ingiunzione � di determinare e noti-

d� legittimit� sul concorso delle condizioni est.rinse~he d~lla ingiun~ione 
(indicazione della somma, data, firma del funzionano emittente, articolo 
di credito), vi imprime forza esecutiva, senza nulla togliere alla validit� 
ed efficacia della notifica del debito di imposta e dell'ordine di pagamento. 
Da ci� una duplice conseguenza: 1) l'ingiunzione fiscale; traendo 
la sua origine e la sua legittimit� dal potere di autoaccertamento della 

p. a. senza necessit� di precostituzione di un titolo, non � affatto assimilabile 
al procedimento monitorio ordinario e da esso si differenzia sia 
per quanto concerne l'opposizione, sia ancora per quanto concerne la 
decisione di ques:t'ultima ;' 2) l'ingiunzione stessa, quale atto amministrativo 
complesso partecipa, a seguito della opposizione giudiziaria, della 
disciplina posta dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865 all. E, abolitiva del 
contenzioso amministrativo e la pronuncia dell'a.g.o. potr� essere di legittimit� 
o di ill�gittimit� formale o sostanziale, ma non di revoca, di annullamento, 
di nullit�, di inefficacia. 
Nel giudizio di opposizione la domanda giudiziale, a differenza di 
quanto avviene per il procedimento monitorio ordinario nel quale creditore 
e debitore mantengono la loro posizione originaria con i relativi 
oneri di prova, � .rappresentata dall'atto con il quale il debitore contesta 
la legittimit� della pretesa fiscale asmmendo gli oneri propri dell'attore 
in giudizio (cfr. Cass. 4 giugno 1962 n. 1345, Mass. Foro it., 1962). 

Il termine nel quale con il contenuto predetto, l'opposizione va proposta 
assume aspetti peculiari. L'art. 2 del t.u. 14 aprile 1910 n. 639 fissa� 
in trenta giorni il termine utile per la proposizione dell'apposizione gi�diziaria. 
Le accennate differenze, per�, rispetto al procedimento monito




RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 

fi.care all'obbligato il debito di imposta e, cio�, l'ingiunzione costituisce, 
ad un tempo, l'atto formale di accertamento _dell'imposta 
e l'atto col quale si inizia il procedimento coattivo per 
la sua riscossione contro cui (art. 145 L. Registro), il contribuente 
pu� reclamare in via amministrativa o proporre immediata 
opposizione giudiziaria (Cass. 12 ottobre 1955, n. 3041). 

In particolare, il debitore dell'imposta, cui � notificata l'ingiunzione, 
qualora contesti la fondatezza della pretesa della finanza, 
pu� proporre, nei termini previsti dalle disposizioni di 
legge, opposizione dinanzi al giudice ordinario con atto da notificarsi 
all'ufficio che ha emesso l'ingiunzione chiedendo, in via 
di azione, la dichiarazione di illegittimit� della pretesa amministrativa. 


Con riguardo specifico alla controversia in oggetto, l'art 24 
della legge doganale stabilisce espressamente che all'atto di ingiunzione, 
emesso in base alla detta legge, pu� farsi opposizione 
entro il termine perentorio di giorni quindici dalla data di notificazione. 


L'inutile decorso del termine perentorio per mancanza di 
opposizione all'ingiunzione preclude al contribuente la possibilit� 
di contestare la pretesa tributaria per effetto della deca


rio ordinario e la dichiarata natura esecutiva del T.U. 639 del 1910 richiamato, 
in materia di tasse ed imposte, a svolgere, per il disposto dell'art. 
31, un ruolo integrativo con particolare riguardo alle modalit� per 
l'espropri�zione mobiliare o immobiliare, hanno comportato che il decorso 
del termine fissato dal ricordato art. 2, non impedisce la contestazione 
giudiziaria della legittimit� sostanziale della pretesa fiscale, per la 
quale valgono i termini di decadenza o di prescrizione previsti dal contenzioso 
tributario, laddove non dispongono le leggi relative ai singoli 
cributi (cfr. dopo la ormai lontana sentenza 12 maggio 1917, Giur. it., 
1917, l, 1, 657 della Cassazione Romana, Cass. Sez. 1, 7 marzo 195'8, Giur. 
it. 1958, 1, 1, 540). 

Per i diritti doganali dispone la I. 25 settembre 1940 n. 1424 che all'art. 
24 nel richiamare il diritto dell'interessato all'opposizione, fissa un 
termine minore di quello indicato nell'art. 2 del T.U. 14 aprile 1910 n. 639 
e lo definisce espressamente perentorio. Con tali caratteri il termine predetto 
� chiamato a svolgere il ruolo dei termini di decadenza posti dall'ordinamento 
giuridico, nella disciplina del contenzim;o tributario, perch� 
si acquisisca la definitivit� dell'accertamento c�n conseguente impossibilit� 
di contestare, ulteriormente, l'obbligo di imposta. L'opposizione, 
infatti, data la funzione in concreto spiegata dalla ingiunzione, incide sul 
t!tolo .~uridic? ~i cui si ~ ch!esta .la pronu~zia di illegittimit�, e se per 
l eserc1z10 dell azione relativa 11 legislatore tributario fissa un termine assolutamente 
singolare con espressa dichiarazione di perentoriet�, resta 
esclusa, in radice, la possibilit� di riconoscere all'inosservanza del termine, 
effetti minori. e diversi da quelli dichiarati dalla sentenza annotata. 



PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

denza in cui egli � incorso. L'accertamento tributario, contenuto 
nell'ingiunzione, diventa definitivo per il decorso del termine 
perentorio e la mancanza di opposizione. 

Il contrario assunto che l'opposizione si risolverebbe in una 
azione di impugnazione del diritto all'esecuzione, oltre che ad 
essere contraddetto da quanto sopra esposto sul contenuto e 
gli effetti dell'ingiunzione, � in contrasto con esplicite disposizioni 
di legge che negano all'autorit� giudiziaria, innanzi alla 
quale � proposta l'opposizione, la facolt� di sospendere l'esecuzione 
(art. 31 1. 1910 n. 639) delle ingiunzioni per debito di imposte 
ed escludono l'effetto sospensivo dell'opposizione, tranne 
che la richiesta dell'ufficio finanziario riflette un'imposta supplementare; 
senza considerare infine, che prima dell'abolizione 
del principio del solve et repete per difetto costituzionale, il giudizio 
era proponibile solo previo pagamento dell'imposta, che 
superava la discussione sulla: sospensione e sull'esecuzione dell'ingiunzione. 


Orbene, in conseguenza della definitivit� dell'accertamento 
contenuto nella ingiunzione non opposta nel termine di quindici 
giorni (art. 24 L. doganale) dalla ricorrente, restava preclusa 
ogni indagine con essa in contrasto, per cui la domanda di 
rimborso dell'imposta era inammissibile con l'ulteriore conseguenza 
che � irrilevante esaminare se nella specie fosse applicabile 
l'art. 29 della legge doganale o l'art. 47 della legge sull'IGE. 
(Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 189 -Pres. 
Fibbi -Est. Bianchi-D'Espinosa -P.M. Cutrupia (conf.) Finanze 
c. Consorzio Bonifica Piana di Sant'Eufemia. 

Imposta di registro -Attl relativi ad opere di sistemazione di corsi 

d'acqua affidate in concessione a consorzi di bonifica -Agevola


zioni previste dall'art. 88, 2� comma, del t.u. 13 febbraio 1933. 

n. 215 sulla bonifica integrale -Applicabilit�. 
(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3256, artt. 17 e 24; t.u. 13 febbraio 1933, 
n. 215, art. 88). 
Essendo disposto, dagli articoli 17 e 24 del r.d. 30 dicem� 
bre 1923, n. 3256, che soltanto le opere di bonifica di prima categoria 
che sono di competenza dello Stato, possono eseguirsi 
in concessione dai consorzi di bonifica, � sufficiente accertare 
che date opere, di sistemazione di corsi d'acqua, siano eseguite 
in virt� di un tale affidamento in concessione, per stabilirne la 


362 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

classificazione nella detta prima categoria, e ci� anche ai fini 
dell'applicabilit� del privilegio fiscale obiettivo previsto, in relazione 
agli articoli 24, 33 e 66 del citato r.d. 3256/1923, dall'articolo 
88, 2� comma t.u. 13 febbraio 1933, n. 215 sulla bonifica 
integrale (1). 

(1) Di contenuto identico, anche nella motivazione, � la successiva 
sentenza n. 190, pubblicata lo stesso giorno, vertente fra le stesse parti, 
ed avente analogo soggetto. 
Le innovazioni introdotte dal t.u. 13 febbraio 1933 n. 215 attraverso 
l'assetto dato all'intera materia della Bonifica integrale, esigono delle 
precisazioni in ordine ai principi affermati nelle due sentenze. Alla di� 
stinzione in categoria delle opere, fatta dal t.u. 30 dicembre 1923, n. 3256, 
il t.u. 13 febbraio 1933, n. 215 ha sostituito la distinzione dei comprensori 
e nell'ambito di questi ultimi ha dichiarato di competenza dello 
Stato, in quanto necessarie ai fini generali della Bonifica integrale, opere 
varie distinte classificate e differenziate con criteri innovatori rispetto 
alla disciplina normativa anteriore. Il t.u. 13 febbraio 1933, n. 215, infatti, 
emanato in forza della delegazione di poteri conferita dalla legge n. 3134 
del 1928, ha affrontato in modo organico la disciplina della bonifica integrale 
comprendendovi le opere di sistemazione montana, di bonifica idraulica, 
di difesa dell'acqua, di provvista e di utilizzazione delle stesse, nonch� 
le opere stradali di interesse generale e le altre opere necessarie 
per una radicale trasformazione dell'ordinamento produttivo. 

Ha inoltre catalogato le opere stesse in categorie nettamente separate 
e distinte e non comunicanti stabilendo che se di competenza statale 
possono esse essere eseguite in concessione. Pre la bonifica idraulica 
e per le opere di sistemazione montana, in particolare, ne � derivata 
una classificazione diversa da quella a suo tempo posta dagli 
artt. 9 del t.u. 3256 del 1923 e 4 e 6 della legge 3134 del 1928. 

La situazione cos� determinatasi non � senza effetti ai fini fiscali. Dato 
che l'art. 119 dei t.u. 215 del 1933 ha disposto l'abrogazione delle norme 
che in precedenza disciplinavano la subiecta materia, il richiamo a tali 
norme fatto dall'art. 88, secondo comm!l, spiega la sua efficacia unicamente 
e soltanto per la posizione del trattamento di favore (atti a favore 
dei Consorzi ed opere di bonifica idraulica e di sistemazione montana) 
e non anche per i criteri che per la legislazione cessata avevano 
in modo difforme precisato e delimitato le opere pi� volte dette. II criterio 
oggettivo del trattamento di favore, infatti, esige che del beneficio 
godano le opere che nel momento in cui il trattamento opera, costitriiscono 
a termini di legge � opere di bonifica idraulica e di sistemazione 
montana�. La qual cosa, appunto, � stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione 
nelle sentenze 13 aprile 1961, n. 787 e 788 e 26 giugno 1963 numero 
-1724, riportata in questa Rassegna 19f3, 190 con nota. ' 

Logica e necessaria canseguenza � che l'operativit� del trattamento di 
favore fiscale disposto dall'art. 88, secondo comma, del t.u. 215 del 1933, 
per quanto concerne le opere esige non solo che si tratti di opere di competenza 
statale eseguibili in concessione, ma ancor prima che si tratti di. 
opere che risultino di bonifica idraulica o di sistemazione montana a 
norma, rispettivamente, delle lettere b) ed a) dell'art. 2 del t.u. 215 del 
1933 pi� volte detto. 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 363 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 gennaio 1964, n. 198 -Pres. 
Pece -Est.. Di Majo -P.M. Maccarone (conf.) -Finanze c. 
Chiappino. 

Jmposta di registro -Atti di acquisto �di aree coperte da costruzione, 
a scopo di demolizione e di successiva nuova edifiQazione Agevolazioni 
per l'incremento delle costruzioni edilizie previste 
dalla I. 2 luglio 1949, n. 408, applicabilit� -Limiti. 

(1. 2 luglio 1949, n. 408, artt. 14 e 19). 
Le agevolazioni tributarie previste dall'art. 14 della legge 
2 luglio 1949, n. 408, per l'acquisto di aree fabbricabili (imposta 
fissa di registro e riduzione al quarto dell'imposta ipotecaria), 
spettano, a norma dell'art. 19 della legge stessa, anche nell'ipotesi 
in cui sull'area insistano delle costruzioni, sempre che l'area 
stessa venga acquistata per demolire l'edificio e costruirne, in 
sostituzione, un altro, meglio e pi� ampiamente utilizzabile (1). 

(1) Le statuizioni della .sentenza sono il frutto di un indirizzo giurisprudenziale 
ormai consolidato sia presso le Corti di merito che presso 
la Corte di Cassazione. Quest'ultima, infatti, che nelle sentenze 23 maggio 
1961, n. 1213 e 23 maggio 1962, n. 1191 aveva gi� affermato la operativit� 
del particolare trattamento di favore per gli acquisti di aree fornite di 
costruzione d� utilizzare a seguito di preordinata demolizione, nella sentenza 
28 giugno 1963, n. 1752 � tornata sull'argomento e riesaminate le 
argomentazioni in contrario addotte nell'interesse dell'Amministrazione 
Finanziaria, ha confermato le precedenti sue affermazioni. Ha precisato 
al riguardo la Corte di Cassazione che per le obiettive finalit� della legge di 
favore sull'incremento edilizio non sussiste una sostanziale differenza fra 
l'acquisto di area nuda e quella di area occupata da un fabbricato da demolire 
per edificare, perch� anche nel secondo caso, l'acquisto, in definitiva, 
concerne l'area su cui dovr� sorgere la costruzione e non il fabbricato 
da abbattere. Ha, inoltre aggiunto: 
a) che l'art. 19 della legge 408 del 1949 estende i benefici all'ipotesi 

di ampliamento e di ricostruzione di case comunque distrutte e che l'av


verbio adoperato dal testo di legge -comunque -� determinante per 

escludere l'indagine sulla causa, naturale o volontaria, della distruzione; 

b)che l'interpretazione adottata ha un fondamento letterale e logico, 

di contenuto estensivo e non analogico. 

Nulla di nuovo e di diverso si legge nella riportata sentenza che, 

essendosi espressamente richiamata all'indirizzo giurisprudenziale suddet


to ed avendo precisato che non vi sono motivi per discostarsi dallo stesso, 

esclude che si possa utilmente tornare, in sede giudiziaria, sulla que


stione anche al solo fine di vedere il principio limitato alle costruzioni 

destinate, naturalmente, alla demolizione o in dipendenza di precise dispo


sizioni di piano regolatore o di oggettiva inabilit�. 

Tale criterio, costantemente seguito dall'Amministrazione in consi



364 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1964, n. 228 -Pres. 
Fibbi -Est. Perrone Capano�-P.M. Pedace (conci. conf.) 


Finanze c. Angeli. 

Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni 
-Notificazioni di atti processuali prima dell'entrata in vigore del 

t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 -Modalit�. 
(r.d. 11 luglio 1907, n. 560, artt. 89, 97; r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, 
art. 31). � �'1 
.i 

Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni � 
-Notificazioni di atti processuali prima dell'entrata in vigore del 

t.u. 19 gennaio 1958, n. 645 -Consegna dell'atto a vicino di 
casa -Nullit�. 
(r.d. 11 luglio 1907, n. 560, artt. 89, 97; r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, 
art. 31; c.p.c., art. 160). 
Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni Appello 
dell'Ufficio alla Commissione Centrale -Notificazione Nullit� 
-Rinnovazione -Sanatoria ex tunc. 
(c.p.c., art. 291). 

Imposte e tasse in genere -Procedimento innanzi alle Commissioni applicabilit� 
del c.p.c. -Limiti. 

Prima dell'entrata in vigore del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 
sulle imposte dirette, le notificazioni degli atti processuali, sia 
in materia di imposte dirette che di imposte indirette, erano 
soggette alle modalit� indicate dal combinato disposto degli 

artt. 89 e 97 del Reg. per l'applicazione dell'imposta di r.m. 
approvato con r.d. 11 luglio 1907, n. 560 (1). 

Poich� secondo tali modalit�, i vicini di casa non erano 
legittimati a ricevere gli atti da notificare al contribuente, la 
notifica in tal modo eseguita era colpita dalla nullit� recata dal1'
art. 160 del c.p.c., applicabile anche al procedimento tributario 
(2). 

La nullit� della notificazione di un atto di impugnazione, , 

.

derazione del fatto che la mancanza in atto della funzione dell'alloggio . 
ovvero la necessaria cessazione della stessa era compatibile, nella sua 

obiettivit� materiale, con il dovuto coordinamento delle finalit� della 1. 

n. 408 con le precise e specifiche espressioni del testo normativo, contrasta r. 
con le adottate statuizioni e non � condiviso dalla Commissione Centrale 
delle Imposte che, con la decisione n. 86397 dell'8 marzo 1962, Riv. leg. 
fisc., 1963, n. 1511, lo ha chiaramente disatteso adeguandosi anch'essa 
all'indirizzo giurisprudenziale suddetto. 

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

365 

determinata dalla inosservanza delle disposizioni circa le persone 
alle quali la copia dell'atto pu� essere consegnata, � sanata, 
con effetto ex tunc, o con la costituzione del destinatario del!'
atto, anche se posteriore al termine utile ad impugnare, o 
con la rinnovazione della notifica che il Giudice, a norma del!'
art. 291 del c.p.c. � tenuto a disporre non solo nel procedimento 
contumaciale di primo� grado, ma anche in quello di 
impugnazione (3). 

Nel procedimento tributario, nel quale manca una disciplina 
della nullit� delle notificazioni e dei relativi effetti, vige 
analogo principio, estendendosi ad esso tutte le disposizioni 
generali del diritto processuale comune, che non trovino nelle 
norme fiscali una deroga espressa e che non siano con esse contrastanti 
o inconciliabili (4) . 

.(1-4) La sentenza in nota � riportata per esteso limitatamente alla 
parte relativa al1a 2-3 e 4 massima. 

Le norme degli artt. 89 e 97 e del reg. per l'applicazione dell'imposta 
di r.m., approvato con r.d. 11 luglio 1907, n. 560, sono state sostituite 
dall'art. 38 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 che, per la disciplina delle 
notificazioni degli avvisi e degli altri atti che, in materia di tributi diretti, 
la legge dispone siano notificati al contribuente, ha largamente richiamato 
le corrispondenti norme poste dal diritto processuale comune. Dalla 
entrata in vigore di detto t.u., pertanto, dato il parallelo richiamo a 
queste ultime norme fatto, in materia di tributi indiretti, dall'art. 144 
della legge di Registro (30 dicembre 1923, n. 3269) e 92 della legge di successione 
(30 dicembre 1923, n. 3270), la legittimazione dei vicini di casa 
del contribuente a ricevere gli atti processuali a questo ultimo destinati, 
� recepita, in via di principio, nel diritto processuale tributario in generale. 

La materia affrontata e decisa ha, di conseguenza, perduto di attua� 
lit� e la cennata disciplina normativa ha troncato, per l'avvenire, ogni 
questione diretta ad accertare se, sia per le imposte dirette che per quelle 
indirette, per i casi non espressamente regolati, ai fini delle notificazioni, 
dalle singole leggi tributarie, occorresse far capo, in rvia analogica, alle 
norme di dichiarato carattere tributario (art. 89 e 97 del reg. 11 luglio 
1907 per la imposta di r.m.; art. 30 del reg. 20 agosto 1877 per l'imposta 
fabbricati; 56 del Reg. 15 settembre 1923, n. 2090 per le cartelle ed 
avvisi di mora; ,144 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 per l'imposta di registro; 
92 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 per l'imposta di successione) 
e solo in mancanza a quelle di diritto processuale comune (cfr. Coc1VERA, 
Guida delle Imposte dirette, ed. 1961, pag. 50 e Riv. dir. fin. e se. fin., 1951, 
II, 142; PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, 213-215) ovvero sempre 
e soltanto a queste ultime norme (cfr. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, 
1948, 159; BERLIRI, Proc. trib. amm., II, 41). La qual cosa, fra 
l'altro, con richiamo anche alla natura indiretta dell'imposta controversa, 
era stata dedotta, nel caso concreto, sia in via diretta che in via analogica, 
per il richiamo fatto, per l'ingiunzione fiscale, dal ricordato art. 144 
delJa legge di Registro. Devesi, infatti, ritenere acquisito (cfr. ALLORIO; 
Diritto processuale tributario, ed. 1962, pag. 457) che sia per i tributi 
diretti che per quelli indiretti, laddove non dispongono norme derogative 



366 

RASSEGNA DEL.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Parzialmente, fondato, invece, � il secondo 
motivo. 

Non � esatto che nella specie non sia configurabile una 
nullit� di notifica, per non essere la nullit� prevista espressamente 
delle norme fiscali in materia. Essa � comminata da una 
disposizione di carattere generale, applicabile anche nel procedimento 
tributario, quale quella dell'art. 160 cod. proc. civ. 
secondo cui la notificazione � nulla se non sono osservate le 
disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata 
la copia. E poich�, nel caso in esame, l'atto da notificare venne 
consegnato a persona non legittimata a riceverlo, esattamente 
la Commissione centrale ritenne che la notifica fosse nulla. Ma, 
riconosciuta la nullit�, le conseguenze non erano quelle ravvi~ 
sate nell'impugnata decisione, che dalla nullit� della notifica 
fece derivare l'inammissibilit� dell'appello. Sono ormai principi 
acquisiti, perch� pi� volte affermati da questo Supremo Collegio, 
che la nullit� della notificazione di un atto (quale quella 
che deriva dalla inosservanza delle disposizioni circa le persone 
alle quali pu� essere consegnata la copia) � sanata con effetto 
ex tunc, anche quando trattisi di atto di impugnazione, o con 
la costituzione del destinatario dell'atto, ancorch� la costitu� 
zione avvenga dopo la scade.nza del termine stabilito per l'impu� 
gnazione, ovvero con la rinnovazione della notificazione, che il 

tratte dalle singole leggi tributarie (art. 38 del t.u. 22 gennaio 1958, n. 645), 
operino le norme .del diritto processuale comune per tutti gli atti afferenti 
al rapporto giuridico d'imposta, vuoi nella fase di accertamento che in 
quella contenziosa. 

Conseguenza logica e necessaria � la operativit�, nel processo tributario, 
sia della nullit� posta, ai fini della notificazione degli atti, dal 
diritto processuale comune, sia della sanatoria in essa recepita con particolare 
riguardo, nella materia in esame, alla rinnovazione della notifica 
nulla, con efficacia sanante ex tunc, a norma dell'art. 291 del c.p.c., anche 
nella fase di impugnazione. Tale principio, nel diritto processuale comune, 
risponde ad una giurisprudenza costante ( cfr. da ultimo Cass. 7 aprile 
1962, n. 733, Giust. civ. 1962; I, 2000; Cassaz. 12 aprile 1961, n. 784, Ivi, 1961, 
I, 754) ed esattamente � stato, della sentenza in nota, ritenuto operante 
anche per il periodo anteriore al t.u. 29 gennaio 1958, n. 645. Per il regime 
della nullit� e delle conseguenziali sanatorie, infatti, anche per il periodo 
predetto, il ricorso al diritto processuale comune costituiva una necessit� 
obiettiva quale che fosse stata la teorica accolta: quella della generalizzazione 
del diritto processuale comune ovvero quella della generalizzazione 
delle norme poste in materia di tributi diretti, limitatamente, in 
questa ultima alternativa, ai casi in cui le norme stesse non fossero 
state utilizzabili neppure in via analogica. Ci� per la necessit� obiettiva di 
assicurare la dovuta regolamentazione legislativa dell'istituto della noti� 
ficazione e dei suoi effetti, anche nel campo del rapporto giuridico d'im� 
posta. 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

giudice deve disporre ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., applicabile 
non solo nel procedimento contumaciale di primo grado, 
ma anche in quelli di impugnazione. Tali principi devono valere 
anche nel proce_sso tributario, nel quale manca una disciplina 
delle nullit� delle notificazioni e dei relativi effetti. Al processo 
tributario, del resto, si estendono tutte le disposizioni generali 
del diritto processuale comune, che non trovino nelle norme 
fiscali un'espressa deroga e che non siano con esse contrastanti 

o inconciliabili. 
Da ci� deriva che nel caso in esame la Commissione centrale, 
anzich� dichiarare inammissibile l'appello dell'ufficio del 
registro, la cui notifica era affetta da nullit� (sanabile), avrebbe 
dovuto disporre la rinnovazione della notifica stessa alle altre 
parti non comparse. (Omissis). 

. 
' 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1964, n. 241 -Pres. 
Stella Richter -Est. Bianchi-D'Espinosa -P.M. Pisano (difI.) 
-Brunetti c. Ministero Tesoro. 

Scambi e valute ,.. Violazioni punibili con pena pecuniaria -Natura Prescrizione 
-Rinvio alle disposizioni relative alla pena pecuniaria 
prevista per le trasgressioni in materia finanziaria. 

(r.d. 5 dicembre 1938, n. 1928, art. 3; 1. 7 gennaio 1929, n. 4). 
Imposte e tasse in genere -Repressione delle violazioni costituenti 
illeciti civili -Prescrizione -Disciplina penalistica della estinzione 
per prescrizione del fatto illecito -Inapplicabilit� � Disciplina 
della prescrizione delle obbligazioni civili e delle relative 
cau!�e di interruzione e di sospensione -Applicabilit�. 

(1. 7gennaio 1929, n. 4, art. 17; e.e. artt. 2934 segg.). 
Prescrizione -Atti interruttivi -Atti provenienti da soggetto che 
agisca legittimamente �nell'interesse del titolare del diritto Validit� 
-Fattispecie. 
(e.e., art. 2943). 

Le violazioni in materia valutaria e di scambi con l'estero, 
per le quali � prevista la sanzione della pena pecuniaria, d�nno 
luogo ad obbligazioni di natura civile, e sono disciplinate, quanto 
alla prescrizione, dalle disposizioni della legge 7 gennaio 1929, 

n. 4, cui � fatto rinvio dall'art. 3 del r.d. 5 dicembre 1938, 
n. 
1928. 
Essendo di natura civile le violazioni alle leggi finanziarie, 

368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO :~ 

per le quali dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4 � prevista la sanzione 
della pena 'pecuniaria, non possono per esse applicarsi 

norme e principi della materia penale, ed in particolare non 
pu� ipotizzarsi la estinzione per prescrizione delle stesse, come 
estinzione del fatto �violazione �, e deve invece ritenersi l'applicabilit� 
delle norme sulla prescrizione delle obbligazioni in 
materia civile, per la estinzione del diritto di credito dello Stato 
per la somma dovuta dal trasgressore a titolo di pena pecuniaria: 
con la conseguenza che devono in materia ritenersi applicabili 
le disposizioni del codice civile sulla sospensione e la 
interruzione della prescrizione. 

Gli atti, intesi a conservare o a far valere un.diritto, provenienti 
da un soggetto che legittimamente agisca nell'interesse 
del titolare del diritto stesso, sono idonei ad interrompere la 
prescrizione (Applicabilit� al caso dei verbali e di altri atti del 
procedimento di accertamento delle violazioni in materia valutaria, 
posti in essere da soggetti anche estranei all'Amministrazione 
dello Stato, ai quali, per�, � legislativamente attribuita la 
relativa competenza in merito). 

{1-3) Sull'effetto interruttivo del verbale di accertamento di tra� 
sgressione alle leggi finanziarie e valutarie. 

Dopo alterne vicende, nelle statuizioni delle Corti di merito (cfr. 
Corte Roma 25 maggio 1962, n. 1047, in questa Rassegna, 1963, 
108; Corte Genova 18 dicembre 1958, Riv. Guardia di Finanza 1959, 93; 
Corte Bologna 17 gennaio .1957, in questa Rassegna, 1%3, 108; Tribunale 
Roma 21 febbraio 1963 (inedita) Capuano c. Tesoro) l'istituto della 
prescrizione del diritto alla pena pecuniaria per le violazioni delle leggi 
finanziarie, djsciplinato dall'art. 17 della 1. 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato 
per le violazioni delle leggi valutarie, dall'art. 3 del r.d.l. 1928-1938, 
ha trovato, con la riportata sentenza della Corte di Cassazione, il suo 
naturale assetto. 

Dalla natura civilistica dell'obbligazione della pena pecuniaria, 
espressamente sancita dall'art. 3 della 1. 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato 
anche esso in materia valutaria dall'art. 3 del r.d.l. 1928 del 1938, 
i Giudici di diritto hanno tratto le dovute conseguenze, affermando, in 
accoglimento di analoga prospettazione fatta nell'interesse dell'Amm.ne 
interessata, che: a) l'obbligo al pagamento di una somma a titolo di 
pena pecuniaria determina, per lo Stato, un diritto che, ai fini della 
prescrizione, � disciplinato dalle norme civilistiche poste dagli artt. 2934 
e segg. e.e., con esclusione di ogni utile richiamo, al riguardo alle 
norme penalistiche; b) il diritto di .credito sorge per effetto ed all'atto 
della commessa violazione, non diversamente dal diritto� ai danni da fatto 
illecito (art. 2947 e.e.) e si manifesta nella sua obiettivit� giuridica attraverso 
un procedimento amministrativo sanzionatorio, nel quale l'atto 
di irrogazione, che in concreto ne fissa la misura, ha natura dichiarativa 
(cfr. Cass. 4 luglio 1962, n. 1703 dt. n~lla sentenza e riportata in Mass., 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 

(Omissis). -Vengono sottoposte, per la prima volta a questa 
Corte Suprema, alcune questioni relative alle norme applicabili 
alla prescrizione quinquennale stabilita dall'art. 17 della 
legge per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie 
(7 gennaio 1929 n. 4), per il diritto dello Stato alla riscossione 
della pena pecuniaria inflitta per la violazione di alcune norme 
in materia, che non costituisce reato {art. 3 legge suddetta); 
in relazione soprattutto alle cause d'interruzione applicabili alla 
prescrizione medesima. 

La Corte di Appello, partendo dal presupposto che la prescrizione 
in questione � opera come causa estintiva della perseguibilit� 
del fatto, e non del solo diritto dell'Amministrazione 
ad ottenere il soddisfacimento del credito pecuniario avente 
titolo nel provvedimento punitivo�, ne ha tratto la conseguenza 
che, perch� sia impedita la prescrizione, non deve essere trascorso 
pi� di un quinquennio tra il momento iniziale del termine 
(corrispondente alla perpetrazione del fatto), ed il momento 
finale costituito dalla notifica al debitore del decreto 
ministeriale di condanna alla pena pecuniaria, e della pedisse-

Foro it. 1962, 513, nel quale � affermata la trasmissibilit� agli eredi del 
trasgressore della relativa obbligazione anche se, alla data della apertura 
della successione, non � stata definitivamente accertata e determinata); 
e) gli atti del procedimento amministrativo sanzionatorio posto 
a disciplina dell'aecertamento e della repressione dell'illecito finanziario 

o valutario, nei quali sia dato rinvenire la volont� dell'Amministrazione 
dello Stato creditrice di ottenere il soddisfacimento dell'obbligazione, 
hanno efi�cacia interruttiva del quinquennio di prescrizione, a 
norma dell'art. 2943 e.e.; d) l'efficacia predetta permane anche se gli 
atti provengono da soggetti che, diversi dal titolare del diritto, agiscono 
in forza di legge, nell'interesse di quest'ultimo (cfr. Cass. 29 marzo 1949, 
n. 702 dt. in sentenza Mass. Foro it. 1949 p; 148) ed anche se il credito 
non sia ancora liquidato nel suo ammontare (cfr. Cass. 21 febbraio 1961, 
n. 39~, cit. in sentenza, Mass. Foro it. 1961 p. 87). 
Siffatte affermazioni, della cui esattezza non � dato dubitare perch�, 
originate dal chiaro testo di legge, rispondono a principi consolidati. 
di diritto (cfr. le sentenze ricordate nella motivazione nonch� Cass. 
4 agosto 1950, .n. 2376, Giuris. comp. Cass. 1951, II, p ..389 e segg.; id. 
17 giugno 1957, n. 2293, Giust. civ. 1957, I, 1495 e segg.; e 3 novembre 
1959, n. 3249, Mass. Foro, 614, sull'effetto interruttivo di atti stru


' 
mentali all'esercizio del diritto di credito), sono determinanti per riconoscere 
effetto interruttivo al processo :verbale di accertamento e per 
escludere che, in materia valutaria, l'istituto assuma caratteri peculiari 
che neghino, per altra via, l'operativit� delle cause di interruzione e di 
sospensione. 

Il verbale di accertamento -� stato precisato in nota alla sentenza 

11. 1047 del 1962 della Corte di Roma, in questa Rassegna 1963, 108 e 
segg. -risponde ai requisiti richiesti dall'art. 2943 del e.e. perch�, provenendo 
da organi espressamente previsti dalla legge, introduce il proce

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

qua intimazione di pagamento. N� la contestazione degli addebiti, 
n� l'interrogatorio dell'incolpato, n� il verbale di accertamento 
dell'infrazione, n� gli altri atti del procedimento amministrativo 
(che, nella specie, trattandosi di violazione di leggi 
valutarie, di cui al r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, � regolato 
dal r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794), possono avere efficacia interruttiva 
o sospensiva della prescrizione. 

Come os.serva l'Amministrazione ricorrente (questo � il motivo 
del ricorso), inesatto � il principio affermato dalla sentenza 
impugnata nella proposizione sopra trascritta, in cui si contrappone 
una prescrizione della �perseguibilit� del fatto�, ad una 
prescrizione � del diritto dell'Amministrazione ad ottenere il soddisfacimento 
del credito�. Tale distinzione riproduce esattamente 
quella, accolta nel nostro sistema, esistente nel campo 
penale fra prescrizione del reato (art. 157 ss. cod. pen.), ed estinzione 
della pena per decorso del tempo (art. 172 ss. stesso codice): 
la prima, con decorrenza dal giorno in cui � stato commesso 
il reato (art. 158), la seconda dal giorno in cui la condanna 
� divenuta irrevocabile (art. 172). La Corte ha perci� ritenuto 
che la prescrizione della pena pecuniaria, di cui all'art. 17 
legge n. 4 del 1929, debba considerarsi istituto analogo alla prescrizione 
del reato, avendo posto in rilievo che essa riguarda 
la �perseguibilit� � del fatto, e non il diritto dello Stato creditore 
alla riscossione della � pena pecuniaria �. 

Del resto, nell'applicazione analogica di norme ed istituti propri 
del diritto penale, la sentenza impugnata non ha dedotto 
quelle conseguenze che sarebbero state logiche, non rilevando 

dimento amministrativo sanzionatorio richiesto per la realizzazione del 
diritto e contiene la precisa manifestazione della volont� dell'Amm.ne 
di conservare il diritto alla pena pecuniaria, rendendo edotta la parte 
debitrice della pretesa creditrice sorta in dipendenza della infrazione. 
Esso, inoltre, alla enunciazione delle norme violate fa seguire la previsione 
della pena nei limiti entro i quali l'organo preposto alla concreta 
determinazione, a chiusura del procedimento, potr� spaziare in relazione 
alla gravit� del fatto ed alla personalit� del trasgressore. In materia 
valutaria la situazione � del tutto identica perch� l'irrogazione della 
pena � atto dovuto, concernendo la facolt� concessa .al Ministero del 
Tesoro dall'art. 2 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 solo ed unicamente " 
la misura della stessa (ofr. Cass. Sez. Un. 30 luglio 1953, n. 2594, Giuris. 
it. 1954 1, 151). La qual cosa, posta in dubbio da qualche isolata Corte 
di merito (cfr. Tribunale Roma sentenza 21 febbraio 1963, Soc. Capuano 

c. Tesoro) � confermata dalle statuizioni della sentenza in nota, la quale, 
con richiamo al testo normativo del r.d. 1928 del 1938, ha precisato 
la assoluta identit� di disciplina, ai fini prescrizionali, delle violazioni 
delle leggi valutarie �Con quelle delle leggi finanziarie in genere. 
L. CORREALE 

371

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

che causa d'interruzione della prescrizione del reato �, ad esempio, 
l'interrogatorio dell'imputato dinanzi all'autorit� giudiziaria 
(art. 160 cod. pen.); e non avendo perci� esaminato se, coerentemente 
(dal momento che nell'accertamento della commessa 
infrazione, e nell'applicazione della �pena pecuniaria�, lo speciale 
procedimento amministrativo sostituisce in toto quello 
penale), non dovesse, con interpretazione analogica, essere considerato 
atto interruttivo della prescrizione per lo meno l'interrogatorio 
dell'incolpato, reso ai sensi dell'art. 3 del r.d.l. 12 maggio 
1938 n. 794. 

Ma � lo stesso principio affermato che non pu� essere accolto. 
Com'� chiaramente espresso nell'art. 3, capoverso, della 

L. 7 gennaio 1929 n. 4, e come chiaramente risulta da altre norme 
della legge medesima (ad esempio, l'art. 11, relativo alla 
solidariet� passiva tra pi� responsabili della medesima violazione), 
l'obbligazione al pagamento di una somma a titolo di 
� pena pecuniaria �, ha carattere civile; onde essa � regolata 
dalle norme del diritto civile, mentre non sono assolutamente 
applicabili norme e principi propri del diritto penale (cfr., da 
ultimo, le sentenze di questa Corte Suprema 4 luglio 1962 n. 1703, 
e 13 ottobre 1962 n. 2994). Anche la prescrizione, di cui all'articolo 
17 della citata legge n. 4 (richiamato espressamente dall'art. 
3 del r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928, applicabile nel caso 
concreto) ,� quindi regolata dall'art. 2934 ss. cod. civ.: essa prescrizione 
riguarda perci� necessariamente, e soltanto, il diritto 
dello Stato a riscuotere la somma dovuta a titolo di �pena pecuniaria
� (art. 2934) e non pu� considerarsi come �prescrizione 
del fatto�. Del resto, la regola, di cui all'art. 17, per cui il diritto 
dello Stato si prescrive col decorso di cinque anni dal giorno 
della commessa violazione, � disposizione pienamente conforme 
a quella generale dell'art. 2947, primo comma, cod. civ. per cui 
il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive 
in cinque anni dal giorno in cui il fatto si � verificato (la violazione 
delle leggi finanziarie che non costituisce reato, e di cui 
all'art. 3 della legge n. 4, �, in definitiva, un illecito civile). 
Dal criterio, certamente inesatto, accolto dalla Corte di merito, 
che consider� la �pena pecuniaria� alla stregua di una sanzione 
penale, e la prescrizione relativa quale istituto analogo 
alla prescrizione del reato, conseguirono chiaramente errori, nell'indagine 
(che alla stessa Corte era stata proposta), circa la sussistenza 
o meno, nel caso concreto, di una interruzione della pr�scrizione: 
onde la sentenza deve essere annullata. La Corte, 
infatti, avrebbe dovuto esaminare, alla luce degli atti sottoposti 
al suo esame, se si fosse verificata una delle cause interruttive 



372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della prescrizione, previste dagli artt. 2943 e 2944 cod. civ.; e, 
di conseguenza, se nella specie, tenuto conto delle eventuali interruzioni, 
si fosse compiuto il tempo necessario a prescrivere il 
diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria. Vfceversa 
-e probabilmente sull'erroneo �presupposto che si tratti 
di istituto analogo alla prescrizione del reato -la Corte si limita 
ad affermare apoditticamente che nessuno degli atti del 
procedimento di accertamento dell'infrazione poteva avere efficacia 
interruttiva della prescrizione, incorrendo quindi anche 
nel vizio di omessa motivazione, segnalato nel secondo motivo 
del ricorso dell'Amministrazione del Tesoro. 

Il r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794, infatti, prescrive una particolare 
procedura per l'accertamento delle trasgressioni in materia 
valutaria (indagini a cura di apposito ufficio di ispezione 
dell'Istituto nazionale per i Cambi con l'estero -ora Ufficio Italiano 
Cambi -successiva rimessione degli atti, insieme ad una 
relazione illustrativa, ad apposita commissione consultiva presso 
il Ministero del Tesoro; parere della commissione; e, finalmente, 
emissione del decreto con cui il Ministro determina la pena pecuniaria 
da infliggere per la trasgressione) ; procedura seguita nel 
caso concreto. E l'Amministrazione aveva dedotto nel giudizio 
di merito -cos� come deduce ora -che alcuni degli atti del 
procedimento amministrativo fossero idonei ad interrompere la 
prescrizione, ai sensi dell'art. 2943 cod. civ .. (in particolare, il 
processo verbale, firmato dal Brunetti, col quale si contestava 
esplicitamente che l'infrazione era punibile ai sensi dell'art. 2 

r.d.l. 5 dicembre 1938, cio� con �pena pecuniaria� in misura 
non superiore al quintuplo delle valute oggetto della violazione; 
nonch� altri atti del procedimento). 
Questa Corte Suprema non pu�, evidentemente, esaminare 
gli atti cos� richiamati per accertare se in concreto ad essi debba 
riconoscersi efficaeia interruttiva della prescrizione: si tratta, 
com'� chiaro di un accertamento di fatto, che dovr� essere com� 
piuto dal giudice di rinvio. In astratto, per�, non pu� negarsi 
che_ alcuni degli atti previsti dal ricordato r .d.l. 12 maggio 1938 

n. 794, possano avere una simile efficacia. A tale conclusione 
non osta certamente la circostanza che gli accertamenti previsti 
in quel testo legislativo sono affidati, non ad organi dell'Amministrazione 
statale, ma ad organo di un Ente avente personalit�, 
e distinto dallo Stato (l'Ufficio Italiano Cambi); da tutto 
il complesso della legge in esame, dai poteri che essa attribuisce 
ai funzionari dell'U.I.C. (in particolare, la facolt� di procedere 
al sequestro delle valute, a garanzia delle pene pecuniarie 
applicabili: art. 3 r.d.1. citato), risulta chiaro che quei funzionari 

PARTE I, SEZ V, GIURlSPRUDENZA TRIBUTARIA 

agiscono ex lege, nell'interesse ed in rappresentanza del Ministero 
del Tesoro; onde ai loro atti non pu� negarsi l'efficacia di 
interrompere la prescrizione, se, come costantemente ha stabilito 
questa Corte Suprema (ad esempio con le sentenze 29 mar� 
zo 1949 n. 702 e 26 gennaio 1961 n. 22), vale ad interrompere la 
prescrizione un atto proveniente da soggetto che legittimamente 
agisca nell'interesse del titolare. 

Che, d'altra parte, alcuni degli atti dell'accertamento possano 
rivestire gli estremi di cui all'art. 2943 cod. civ. non pu� 
dubitarsi. Sarebbe atto interruttivo indubbiamente il sequestro, 
ai sensi dell'art. 3 r.d.l. 12 maggio 1938 n. 794, quale provvedimento 
conservativo (art. 2943 cit.): possono costituire atti di 
�ostituzione in mora altri atti dello stesso procedimento amministrativo, 
ove essi esprimano la chiara volont� dell'Amministrazione 
creditrice di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto 
ad esigere la pena pecuniaria che, successivamente, sar� determinata 
in concreto dal Ministro; non essendo necessario, perch� 
.di atto interruttivo si possa parlare, che l'atto stesso indichi 
la misura del credito, e che questo sia gi� liquidato nel suo 
ammontare (cfr. le sentenze di questa Corte Suprema 26 gennaio 
1961 n. 92, e 21 febbraio 1961 n. 392). 

La sentenza impugnata deve essere quindi annullata, col 
rinvio della causa ad altra Corte d'Appello, che riesaminer� la 
causa al lume dei principi di diritto sopra enunciati. (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 gennaio 1964, n. 257 -Pres. 
Pece -Est. Gianattasio -P.M. Tavolare (conf.) -Ministero 
Finanze c. Societ� Dell'acqua. 

Imposta di registro -Societ� in liquidazione -Concentrazione di azien


de sociali da parte di dette Societ� -Agevolazioni fiscali ex I. 21 

giugno 1942 n. 830 -Applicabilit�. 

(1. 21 giugno 1942, n. 830, art. 1). 
Imposte e tasse ~ Restituzione d'imposta -Interessi ex legge 26 gennaio 
1961 n. 29 -Applicabilit� alle controversie in corso -Decorrenza 
dalla data di entrata in vigore della legge. 

(1. 26 gennaio 1961, n. 29, art. 5). 
La tassa fissa di registro accordata dal d.l. 5 marzo 1942, 

n. 192, convertito nella l. 21 giugno 1942, n. 830, sia per le fusioni 
di societ� costituite anteriormente all'entrata in vigore del 
r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, che per le concentrazioni di aziende 
sociali effettuate mediante apporto di attivit� in societ� esistenti 

374 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

o da costituire, opera, in questa seconda ipotesi, anche nel caso 
in cui la concentrazione avvenga con apporti effettuati da Societ� 
in liquidazione. Essendo il trattamento di favore posto non solo 
per le fusioni, alle quali segue, come conseguenza necessaria, la 
estinzione della societ� incorporata, ma anche per le concentrazioni 
di aziende sociali, alle quali segue il mantenimento in 
vita della societ� apportante, la simultanea e consecutiva estinz.
ione di detta societ�, nel caso di concentrazione di aziende sociali, 
� cosa che, implicitamente prevista, non esclude il trattamento 
di fav�re (1). 
(1) Due ordini di argomentazioni, fra loro interdipendenti, sono stati 
posti, nella sentenza in nota, a base della operativit� del trattamento di 
favore previsto dal d.l. marzo 1942, n. 192, convertito nella legge 21 giugno 
1942, n. 830, per le concentrazioni di aziende sociali attuate con apporti 
effettuati da societ� in .liquidazione: l'uno per il quale il fatto che l'apporto 
dell'azienda di una societ� in altra societ�, a titolo di concentrazione 
con il corrispettivo di azi_oni della societ� che riceve l'apporto, lascia sussistere, 
a differenza di quanto avviene nelle fusioni, la societ� apportante, 
non impedisce che questa ultima venga ad estinzione, simultanea e consecutiva; 
l'altro per il quale l'estinzione, che, in ogni caso, per le societ� in 
liquidazione, non si verifica fino a quando non sono estinti i rapporti 
creditori e debitori verso terzi, non costituisce causa di esclusione, per 
i casi di concentrazione di attivit� sociali, del trattamento di favore, 
giacch� l'estensione alle concentrazioni di aziende sociali del trattamento 
riservato alle fusioni dimostra l'intento della norma fiscale di recepire, 
nel trattamento predetto, anche le concentrazioni, alle quali non segue 
necessariamente la permanenza in vita della societ� apportante. 
Tali ordini di argomentazioni non esauriscono, per�, l'indagine che, nei 

casi in cui la societ� apportante � in liquidazione, richtede la norma 

fiscale. 

La finalit� economica infatti presa in considerazione dalla legislazione 

di favore � stata quella -cfr. Cass. 26 ottobre 1959, n. 3086, Riv. Leg. fisc. 

1960, 489 -di favorire il rafforzamento ed il consolidamento degli orga


nismi economici, mediante opportune riunioni ed organizzazioni di so


ciet� (apporti di attivit� patr:imoniali meglio utilizzabili in seno ad enti 

diversi e meglio attrezzati). Da ci� deriva che un ruolo determinante 

nell'economia delle norme di favore, � chiamato a svolgere lo scopo per 

il quale si attua la fusione o la concentrazione di aziende e precisamente: 

a) quanto alle fusioni, l'unione ed organizzazione di societ�, che assicu


rino una migliore rispondenza ai bisogni del mercato e che evitino una 

concorrenza dannosa; b) quanto alle concentrazioni, un apporto di at


tivit� patrim�niali che, staccandosi da organismi in atto, assicuri una 

pi� razionale utilizzazione ed un migliore rendimento. 

Il ridimensionamento degli organismi suddetti, infatti, � collegato, 

per le concentrazioni, non solo all'aspetto patrimoniale dell'apporto ma 

anche e soprattutto all'aspetto funzionale sia nell'azienda che si lascia 

che in quella in cui si entra. � 

Sicura conferma di ci� si rinviene, oltre che nel r.d.l. 15 novembre 
1931, n. 1434, al quale ha fatto seguito, per una pi�1 approfondita tutela 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 

Per i pagamenti indebiti, effettuati, per imposte e tasse indirette 
sugli affari, prima della data di entrata in vigore della legge 

n. 29 del 1961 (16 marzo 1961), dei quali sia stata chiesta la restituzione 
e, alla data predetta, non sia stata defiiiita la relativa 
controversia, sono dovuti gli interessi di mora previsti dall'art. 5 
della legge stessa, con decorrenza dalla entrata in vigore di quest'ultima 
e non dalla domanda di restituzione prodotta in epoca 
anteriore (2). 
degli interessi connessi con la pubblica economia, il d.l. 5 marzo 1942, 

n. 192, n�gli atti parlamentari relativi a quest'ultimo provvedimento normativo. 
Nella relazione del Ministro delle Finanze alla Camera ( doc. 
n. 1920 del 15 aprile 1942), dopo essere stato precisato che, nella concentrazione 
di aziende, le societ� apportanti non scompariscono, ma 
possessori delle azioni della societ� alle quali vengono trasferite le 
attivit�, assumono in tutto o in parte il carattere di societ� finanziarie, 
� testualmente detto che le condizioni stabilite dall'art. 1 tendono a limitare 
il beneficio ai casi di fusione e di concentrazione, per i quali 
non poteva sorgere dubbio sulle finalit� che li avevano determinati. 
Per le societ� in liquidazione, nell'apporto di attivit� _da esse attuate, 
tali finalit� mancano del tutto. L'apporto, infatti, da esse attuato non 
� caratterizzato dal fine produttivo, voluto delle norme fiscali, ma dal 
fine liquidatorio, di mero realizzo delle attivit�, per la conseguenziale 
estinzione delle passivit� � ripartizione dell'eventuale residuo. E ci�, escludendo 
che gli effetti pratici dell'apporto coincidano con quelli di utilit� 
sociale voluti dalle norme fiscali, non pu� non portare, per il tassativo 
disposto dell'art. 8 della legge organica del registro, l'apporto stesso decisamente 
fuori dalla economia del trattamento di favore. 

(2) La mancanza, nella legge 26 gennaio 1961,n. 29, di disposizioni transitorie 
ha dato luogo, per l'obbligazione degli interessi sulle imposte indebitamente 
percette alla data di entrata in vigore di detta legge, 
reclamate dal contribuente ed in corso di contestazione, a tre diverse 
prospettazioni: a) applicazione integrale della nuova disciplina normativa 
a far data dalla domanda; b) esclusione totale della disciplina predetta; 
c) applicazione della disciplina stessa a far data dall'entrata 
in vigore della legge. 
La sentenza in nota, confermando l'orientamento assunto con la 
precedente sentenza nn. 1114-63 ha accolto quest'ultima prospettazione. 
La qual cosa � esatta. Esclusa la prima, fondata sul presupposto 
di un carattere interpretativo della legge n. 29-61, che non ricorre 
affatto sia perch� mancava una disposizione normativa precedente 
di controversa applicazione sia perch� l'obbligazione degli interessi a far 
data dal giudicato traeva origine dal carattere novativo di quest'ultimo, 
sia, ancora perch� la misura ed i termini di maturazione hanno nella 
legge n. 29-61 una regolamentazione peculiare rispetto a quella del diritto 
comune, l'indagine � limitata alle altre due. 

Di queste la seconda (esclusione totale della nuova disciplina) non 
pu� non cedere il posto alla terza (applicazione .dalla data di entrata 
in vigore) perch� gli effetti del fatto giuridico (pagamento di indebito) si 
sono protratti, in parte, sotto l'imperio della nuova legge e per tale 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

376 

(Omissis). -Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente 
denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 r.d.l. 
5 marzo 1942, n. 192, conv. in 1. 21 giugno 1942, n. 830, in relazione 
all'art. 8 t.u. legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269 
e all'art. 81 tariffa ali. A) alla stessa legge, e all'art. 360, n. 3 e 
5 c.p.c. ed osserva che, dovendosi, a norma del ricordato art. 8 
legge di registro, applicare l'imposta secondo l'intrinseca natura 
e gli effetti degli atti e dei trasferimenti, anche se non vi corrisponda 
il titolo o la forma apparente, va tenuta distinta la fusione 
(art. I primo comma r.d.l. n. 192 del 1942) dalla � concentrazione 
di aziende sociali�, cio� di aziende appartenenti a societ�, 
il cui apporto opera una concentrazione oggettiva, senza 
che l'ente apportante venga a cessare, perch�, qualora venisse 
a cessare, si cadrebbe nell'ipotesi della fusione. Venendo pi� specificamente 
al problema fondamentale, la ricorrente si pone il 
quesito se sia possibile fruire della agevolazione tributaria della 
legge del 1942 ove la societ� apportante, rimasta in vita, sia in 
stato di liquidazione e risponde negativamente perch�, a suo 
dire, non si avrebbe, in tal caso, la garanzia di un apporto effettuato 
a fine produttivo, potendosi in ogni liquidazione ricorrere 
all'apporto come forma di realizzazione dell'attivo. 

La censura � infondata. Innanzi tutto si osserva che, effettivamente, 
il fenomeno della fusione, che � anche esso, del resto, 
una concentrazione di aziende sociali, diretta al fine di realizzare 
l'unione di forze produttive, si distingue dal fenomeno della 
concentrazione vera e propria, nel senso che mentre nella fusione 
si ha la costituzione di una nuova societ�, che assorbe le 
due o pi� societ� preesistenti o incorpora in una societ� un'altra 

o pi� altre esistenti, nella concentrazione la societ� apportante 
e quella che riceve gli apporti rimangono entrambe in vita, ciascuna 
con la propria personalit� giuridica, senza successione n� 
dei diritti n� delle obbligazioni; ma il fatto che l'apporto della 
azienda di una societ� in altra societ�, a titolo di concentrazione, 
con il corrispettivo di azioni della societ� che riceve l'apporto, 
lascia sussistere la societ� apportante, non impedisce affatto che 
quest'ultima venga ad estinzione, n� tale fatto, ove avvenga, modifica 
l'operazione di concentrazione. 
Comunque, se la societa apportante, all'atto dell'apporto, 

parte gli effetti stessi non possono non beneficiare della regolamentazione 
in atto. 

Tale soluzione, aderente ai principi, non contrasta n� con il carattere 
innovativo della legge n� con la regola della irretroattivit� posta nell'art. 
11 delle disposizioni sulla legge in generale. 


377

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

abbia gi� deliberato lo scioglimento, ci� non importa automaticamente 
la sua estinzione, perch� la societ� in liquidazione non 
rappresenta un ente diverso da quello innanzi operante. Questo, 
quando ne sia stato deliberato lo scioglimento, continua. a sussistere 
con la propria struttura e la propria organizzazione, salvo 
lo scopo profondamente modificato. La personalit� giuridica delia 
societ� sopravvive fino a quando non siano estinti i rapporti 
creditori e debitori verso i terzi, e la stessa chiusura della liquidazione 
non produce la cessazione dell'ente, se alla formale chiusura 
non corrisponde la reale situazione delle cose e rimangono 
in vita rapporti di debito e anche di credito da definire con i 
terzi. Anzi, seppur si discute se occorre il consenso unanime dei 
soci o sia sufficiente una delibera con le maggioranze prescritte 
dall'assemblea straordinaria, si ritiene che l'assemblea di una societ� 
in liquidazione possa stabilire la proroga del termine della 
societ� e riattivare l'attivit� produttiva dell'ente, alla quale aveva 
posto termine la liquidazione. 

Passando al problema specifico, pu� dirsi che la legge speciale 
non esclude affatto, ai fini del beneficio tributario, che la 
concentrazione sia operata da una societ� in liquidazione. 

L'art. 1 del r.d.l. 5 marzo 1942, n. 192, dopo aver detto, nel 
primo comma, che gli atti di fusione delle societ� commerciali, 
regolarmente costituite anteriormente alla data d'entrata in vigore 
del r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, sono soggetti alle imposte 
di registro ed ipotecaria in misura �fissa, soggiunge nel capoverso: 
�La disposizione di cui al precedente comma si applica altresl 
alle concentrazioni di aziende sociali effettuate, anzich� mediante 
fusione, mediante apporto di attivit� in societ� esistenti 

o da costituire, quando anche, in conseguenza di tali apporti, 
l'oggetto� delle societ� apportanti venga limitato, per essersi lo 
esercizio del ramo di commercio che vi si riferisce in tutto o in 
parte trasferito alle altre societ� �. 
Devesi subito rilevare che sebbene la disposizione, or ora 
riportata, riproduca, quasi alla lettera, quella dell'art. 1 r.d.l. 1l 
novembre 1931, n. 1434, contenente agevolazioni tributarie in 
materia di concentrazione di aziende sociali mediante apporto di 
un'attivit� ad altre societ� esistenti o da costituire, nessun ausilio 
offre alla risoluzione del problema una remota sentenza di 
questo Supremo Collegio (Cass. 4 agosto 1948, n. 1389) che, interpretando 
il ricordato art. 1 del decreto del 1931, ebbe ad affermare 
che, per la registrazione a tassa fissa occorreva che la societ� 
apportante continuasse a vivere, anche in misura pi� limitata, 
sia sotto l'aspetto giuridico che sotto quello economico, 
per cui -si precisava -l'agevolazione medesima non era ap




378 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

plicabile e l'apporto andava tassato a norma dell'art. 81 tariffa 
all. A) della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269 nel caso 
che la societ� apportante avesse gi� deliberato il suo scioglimento. 
Quella sentenza, che non nomina neppure il decreto del 
1942 e che si riferisce ad una ipotesi di concentrazione operata 
quando vigevano gli abrogati codici e, per giunta, da una societ� 
apportante in istato di dissesto, ammessa al concordato preventivo 
in corso di esecuzione, non pu� costituire un precedente, 
anche perch� non aderente al contenuto del decreto del 1942. 

Invero, quando la norma in questione stabilisce che il benefi.
cio della tassa fissa si appl�ca altres� alle concentrazioni effettuate, 
anzich� mediante fusione, mediante apporto di attivit� in 
societ� esistenti o da costituire �quando anche in conseguenza 
di tale apporto, l'oggetto delle societ� apportanti venga limitato� 
e ci� �per essersi l'esercizio del ramo di commercio che vi si 
riferisce, in tutto o in parte trasferito alle altre societ��, tale 
inciso non significa affatto che, secondo il pensiero della legge, 
perch� possa applicarsi l'agevolazione tributaria, occorre che la 
societ� apportante continui a vivere e ad operare. In quell'inciso 
vi � una proposizione concessiva ( � quando anche in conseguenza 
di tale apporto l'oggetto delle societ� apportanti venga limitato
�) e una proposizione causale successiva (�per essersi l'esercizio 
del ramo di commercio che vi si riferisce, in tutto o in parte 
trasferito alle altre societ� �), le quali, lungi dal restringere 
l'ambito di applicazione della norma, hanno al contrario, finalit� 
di ampliamento della fattispecie astratta. Dopo aver fatto 

riferimento alla fusione delle societ� cio� ad una forma di concentrazione 
che importa, come conseguenza ineluttabile, l'estinzione 
delle societ� fuse o incorporate, il legislatore ha voluto 
sottolineare che il beneficio fiscale si estendeva anche alle ipotesi 
in cui la societ� apportante sopravviva all'apporto, con ci� 
ammettendo, in pari tempo, che la societ� apportante possa estinguersi. 


Si pu� dire, anzi, che proprio perch� la legge �ha inteso estendere 
l'agevolazione tributaria alle ipotesi di societ� che continuano 
a vivere, sia pure con oggetto limitato, ha preveduto, in 
lina principale, l'agevolazione applicabile alle fattispecie concrete 
di apporti con simultanea o consecutiva estinzione della societ� 
apportante, cio� precisamente agli apporti effettuati da societ� 
in liquidazione. 

Che sia proprio cos� si desume dai lavori preparatori e particolarmente 
dalla relazione 15 aprile 1942 del Ministro delle 
Finanze alla Camera (doc. 1920) in sede di conversione, con modifiche, 
del r.d.l. 5 marzo 1942, n. 192. Si legge in detta relazione 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 379 

che i provvedimenti di agevolazione tributaria in quel decreto 
previsti �riguardano particolarmente: a) le fusioni e concentrazioni 
di societ� che possono rendersi necessarie per la eliminazione 
di alcuni enti che non hanno una funzione produttiva 
apprezzabile... �. Da questo passo si ricava che la legge speciale 
ha preveduto l'eliminazione di enti inutili alla produzione nazionale 
non solo a mezzo di fusione (il che � connaturale al fenomeno), 
ma anche a mezzo di concentrazione, sicch�, in tale ultima 
ipotesi, l'estinzione dell'ente apportante costituisce, almeno 
nella previsione legislativa, la regola e non l'eccezione. 

Con il secondo motivo l'Amministrazione ricorrente, in subordine, 
censura la �sentenza denunciando la violazione dell'art. 
35 della 1. 8 giugno 1936, n. 1231, in relazione all'art. 5 della 1. 26 
gennaio 1961, n. 29, nonch� in relazione all'art. 11 delle disposizioni 
della legge in generale. Lamenta l'Amministrazione di essere 
stata condannata a corrispondere gli interessi sulla somma 
riscossa a suo tempo, a titolo di imposta, con decorrenza dalla 
domanda giudiziale di restituzione (12 dicembre 1959) ed assume 
che l'art. 5 della 1. 26 gennaio 1961, n. 29, non contiene disposizioni 
transitorie ed avendo carattere innovativo opera -atteso 
il principio dell'irretroattivit� della legge -per i crediti 
che si sono resi esigibili dopo l'entrata in vigore della legge stessa, 
ossia dopo il 16 marzo 1961. Comunque -osserva la ricorrente 
-mai la corresponsione degli interessi potrebbe farsi 
risalire alla data della domanda, ma al massimo detti interessi 
potrebbero decorrere dal 16 marzo 1961. 

La censura � parzialmente fondata. 

Nel regime anteriore alla 1. 26 gennaio 1961, n. 29 (e relativa 
legge interpretativa 28 marzo 1962, n. 147) per i crediti per 
rimborso di imposta non valeva, nel silenzio delle leggi tributarie, 
la regola di diritto comune della decorrenza de iure degli 
interessi di mora e ci� per la presunzione di legittimit� della 
riscossione e gli interessi decorrevano dal passaggio in cosa 
giudicata dalla sentenza, in dipendenza della efficacia novativa 
del giudicato. La 1. 26 gennaio 1961, n. 29, in forza della quale 
sulle somme pagate per tasse ed imposte dirette sugli affari e 
ritenute non dovute in seguito a provvedimento amministrativo 

o giudiziario, spettano al contribuente gli interessi del tre per 
cento a semestre compiuto a decorrere dalla domanda di rimborso 
(art. 5), ha sicuramente carattere innovativo, ma ci� non 
significa che le disposizioni contenute in detta legge non possono 
applicarsi nelle controversie pendenti, relative ad imposte 
pagate prima della sua entrata in vigore. 
Tali disposizioni, ed in particolare il citato art. 5, troveranno 



380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
applicazione anche relativamente ai pagamenti indebiti effettuati 
prima della data di entrata in vigore della legge (16 marzo 1961), 
dei quali sia stata chiesta la restituzione senza che sia stata definita 
la relativa controversia. In tale ipotesi, per�, gli interessi 
di mora non potranno decorrere dalla data della domanda di 
ripetizione, (ove tale data sia anteriore) ma soltanto dalla data 
di entrata in vigore della legge trattandosi di rapporto conseguente 
ad un fatto giuridico (pagamento di indebito) i cui effetti 
si sono protratti solo in parte sotto l'impero della nuova legge. 
In tali sensi si � gi� pronunciato questo Supremo Collegio (Cass. 
380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
applicazione anche relativamente ai pagamenti indebiti effettuati 
prima della data di entrata in vigore della legge (16 marzo 1961), 
dei quali sia stata chiesta la restituzione senza che sia stata definita 
la relativa controversia. In tale ipotesi, per�, gli interessi 
di mora non potranno decorrere dalla data della domanda di 
ripetizione, (ove tale data sia anteriore) ma soltanto dalla data 
di entrata in vigore della legge trattandosi di rapporto conseguente 
ad un fatto giuridico (pagamento di indebito) i cui effetti 
si sono protratti solo in parte sotto l'impero della nuova legge. 
In tali sensi si � gi� pronunciato questo Supremo Collegio (Cass. 
7 maggio 1963, n. 1114) e a tale criterio dovr� attenersi il giudice 
di rinvio, al quale, per effetto della parziale cassazione, la causa 
va assegnata per nuovo esame, limitatamente al punto di decorrenza 
degli interessi e per la pronuncia sulle spese anche del presente 
giudizio. (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 febbraio 1964, n. 339 -Pres. 
Celentano -Est.� Perrone-Capuano -P.M. Trotta (conf.) -
Tringale c. Ministero Finanze. 

Scambi e valute -Affari di reciprocit� (fra operatori italiani e danesi) 
-Compensazione privata -Negozio di collegamento -Contenuto. 

<d.m. 31 marzo 1948, artt. 1 e segg.; d.l. 10 aprile 1948, n. 859, 
artt. 1, 2). 
Imposta di registro -Negozio di collegamento di compravendite internazionali 
-Imposta proporzionale. 

<r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 4; T.A., art. 28). 
Negli scambi privati con l'estero l'affare di reciprocit� con 

c.d. compensazione privata non integra un contratto plurilaterale, 
ma � costituito da due autonome compravendite internazionali 
in senso inverso ed equivalenti, collegate da un duplice 
accordo, uno tra i due operatori nazionali e l'altro tra i due 
operatori stranieri. In forza di tali accordi, il prezzo dovuto per 
ognuna delle due compravendite, invece di essere ,pagato dall'importatore 
nazionale all'esportatore straniero e dall'importatore 
straniero all'esportatore nazionale ed essere, cos�, riscosso 
direttamente da ognuno dei due venditori, viene soddisfatto 
tra importatore ed esportatore di ciascun paese, mediante 
l'opera di uffici amministrativi o bancari, appositamente incaricati 
e con le modalit� all'uopo predisposte da ciascun ordinamento. 
Il negozio di collegamento, che intercorre all'interno 
della coppia di operatori nazi.anali, si pone, pertanto, con una 
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PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381 

propria autonomia giuridica e da esso deriva, segnatamente, 
l'impegno dell'importatore nazionale di versare il prezzo della 
operazione di importazione, tramite la Banca d'Italia, cassiera 
dell'Ufficio Italiano dei cambi, a favore dell'esportatore nazionale, 
epper� esso sconta l'imposta proporzionale di registro ai 
sensi dell'art. 4 del.r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, e dell'art. 28 
della relativa Tariffa all. A. (1). 

(1) Gli affari di reciprocit� sono delle �compensazioni private� fatte 
a mezzo degli uffici-cambi dei paesi interessati. Secondo Cass., Sez. Un., 
5 maggio 1962, n. 902 (Giur. it., Mass. 1962, 325): �in regime di politica 
economica� caratterizzato da un controllo degli scambi internazionali, il 
divieto posto alla libert� di commercio � superabile, in certi limiti, 
nell'ambito della compensazione privata, in forza di un'autorizzazione 
seguita da licenza, la quale deve presumersi concessa subordinatamente 
al fine che quella tutela suppone: d'impedire fuoruscita di divisa estera 
in pagamento diretto a favore dcl venditore straniero. Pertanto, poich� 
nel quadro della compensazione le singole operazioni formano un complesso 
unitario, in quanto condizionate e collegate l'una con l'altra, 
l'importatore, ottenuto il permesso d'importare, non pu�. in via autonoma 
e all'insaputa del connazionale esportatore, cui l'operazione � collegata 
in forza della licenza, servirsi di questa al solo fine di eludere il divieto, 
sottraendosi all'obbligo di mettere a disposizione dell'esportatore il controvalore 
in lire italiane, il quale obbligo � richiesto come condizione 
sine qua non per la concf:ssione del permesso da parte del competente 
Ministero. Dalla inscindibilit� delle posizioni, propria della struttura 
dell'affare di compensazione privata, che non pu� essere condotto a 
buon fine ex uno latere, ma necessariamente da entrambe le coppie 
di operatori, collegati dal fatto che la licenza, essendo tale tanto per 
l'esportatore quanto per l'importatore, non � scomponibile in due parti 
distinte, ciascuna valevole separatamente dall'altra, .deriva la presunzione 
che tra importatore ed esportatore debba essere intervenuto un 
precedente accordo di compensazione, la cui efficacia � condizionata dalla 
licenza. Tale accordo implica, perch� ne sia possibile l'adempimento, 
l'obbligo di utilizzare la licenza non altrimenti che in stretto collegamento 
tra i due operatori connazionali �. Nella sentenza 26 aprile 
1955, n. 1151 (Giust. Civ., 1955, I, 1870) le Sezioni Unite della Suprema 
Corte regolatrice avvertono che � l'intervento dello Stato nelle 
operazioni di scambio internazionale, sia che sia diretto ad evitare, 
mediante la prescrizione di determinate modalit� (quali il procedimento 
di clearing, gli affari di reciprocit� e la compensazione privata), 
il movimento della valuta, sia che miri al raggiungimento di altre 
finalit�, non toglie ai negozi giuridici, mediante i quali le operazioni 
stesse vengono compiute, il carattere di negozi di diritto privato, 
rientranti nella sfora di cognizione del G.O. �; Cass., 28 maggio 1955, n. 1661 
(Giust. Civ., 1955, I, 1834) precisa, a sua volta, che, nel rapporto di c.d. 
compensazione privata, l'accordo di collegamento o abbinamento delle 
due compravendite in esportazione ed importazione � ha contenuto vincolante 
ed �. generatore di reciproci diritti ed obblighi per i soggetti 

382 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Col secondo motivo del ricorso principale si 
deduce che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere 
che, in base al negozio di collegamento, la ditta Esposito avesse 
assunto nei confronti della ditta Tringale un'obbligazione di 
dare, oltre che un'obbligazione di fare, e che, di conseguenza, 
fosse legittima e conforme a legge la impugnata imposizione tributaria. 
Si deduce, cio�, che il negozio di collegamento non 

che vi partecipano�, onde �ciascuno dei due operatori connazionali, in 
mancanza di espressa riserva limitatrice, assume verso l'altro la responsabilit� 
non solo della propria condotta, ma anche di quella del proprio 
contraente estero, salva l'azione di rivalsa verso quest'ultimo �; 
Cass., 16 aprile 1952, n. 1001 (Giur. Compl. Cass. Civ., 1952, 2� quadr., voi. I, 
557) afferma che: �negli accordi di compensazione privata ciascun contraente 
pu� pretendere l'adempimento delle obbligazioni direttamente 
assunte verso di iui dal contraente straniero e dall'altro contraente italiano 
ed � a sua volta liberato da ogni responsabilit�, quando dimostri 
di aver puntualmente adempiuto le proprie obbligazioni verso i suddetti 
contraenti. Ciascuna delle parti ha pure diritto di vedere adempiute le 
obbligazioni, che il proprio debitore ha nei confronti dell'altro suo contraente 
�. Sulla distinzione fra affare di reciprocit� e accordo di clearing 
v. App. Firenze, 7 settembre 1955, Giust. Civ., 1955, I, 1875. Sulla 
nozione di compensazione privata e affare di reciprocit� v., in dottrina, 
FRANCESCHELLI, Gli scambi internazionali e il diritto commerciale interno, 
Riv. dir. comm., 1950, I, 1 e segg., in part. 19 e segg.; WEILLER, In tema di 
compensazione privata, Foro pad., 1950, I, 415 e segg.; ROTONDI, Osservazioni 
in tema di compensazione privata, Riv. dir. comm., 1950, II, 38 e segg., 
in part. 364 e segg.; AscARELLI, Compensazione privata volontaria e cambio 
traiettizio, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1951, 303 e segg., in part. 307 e 
segg..e 320 e segg.; TESTA, I mezzi di pagamento nel commercio �stero, 
Ibidem, 695 e segg., in part. 705 e segg., 726; Id., Sugli "affari di reciprocit� 
� e sulla � compensazione privata � nel commercio internazionale, 
Giur. it., 1951, I, 1, 765 e segg.; PROVI"<CIALI, Il c.d. affare di reciprocit� e 
le compravendite in esportazione-importazione, Foro it., 1951, I, 1497 e 
segg.; Musso, Osse1�yazioni in materia di comprivata, Giur�. compl. Cass. 
Civ., 1952, 2 quadr., t.I, 560 e segg. (con breve rassegna critica delle 
varie opinioni dottrinali). 

Dimostrato che il negozio di collegamento comporta per l'importatore 
nazionale un'obbligazione di dare nei confronti dell'esportatore nazionale 
(operatore collegato) e che tale obbligazione, fornita di propria 
autonomia, � produttiva di effetti giuridici ed economici diretti, la tassazione, 
ai fini del tributo di� registro, non pu� non rientrare nella economia 
dell'art. 28 della tabella A. della I. registro. Ci� in applicazione del 
principio fondamentale posto dall'art. 8 della I. registro predetta, per 
il quale le tasse sono applicate secondo l'intrinseca natura e gli effetti 
economici degli atti o trasferimenti. (Sull'art. 4 della I. registro v. GuGLIELMI 
e AzzANTI, Le imposte di registro, Torino 1959, 77 e seg., 124 e 
seg.; sull'art. 8 della stessa legge v. UCKMAR, La legge sul registro, I, Padova 
1958, 188 e segg.). 

F. CARUSI 

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

comporti per l'importatore nazionale una obbligazione di dare 
nei confronti dell'esportatore italiano (operatore collegato). Sostiene 
la ricorrente che �l'importatore Esposito assunse certamente 
l'obbligazione di dare, cio� di pagare il prezzo, nei confronti 
del suo diretto contraente estero (ditta Dahl), ma nessuna 
obbligazione di dare, cio� di pagare, egli assunse nei confronti 
del collegato esportatore nazionale (ditta Tringale) �. 

Anche questo motivo � infondato. 

E' opportuno anzitutto ricordare che nel 1947-1948, quando 
si svolsero i fatti che hanno poi portato al presente giudizio, 
gli scambi di merci fra l'Italia e la banimarca dovevano essere 
effettuati sotto forma di operazioni di reciprocit�, a norma degli 
accordi stipulati il 23 maggio 1947 fra il governo italiano 
e quello danese, approvati e resi esecutivi con d.I. 10 aprile 
1948, n. 859. In forza di tali accordi, nonch� in forza delle 
norme di pagamento emanate con d.m. 31 marzo 1948, ogni importazione 
di merce dalla Danimarca verso l'Italia doveva essere 
collegata ad una esportazione di altra merce dall'Italia verso 
la Danimarca, per uguale importo e allo stesso cambio, in 
modo da evitare trasferimenti di valuta. Gli importatori ita�iani, 
tenuti ad effettuare il pagamento delle merci importate 
e delle relative spese, dovevano versare alla Banca d'Italia, 
quale cassiera dell'Ufficio italiano dei cambi, il controvalore in 
lire italiane dell'importo da essi dovuto, calcolato sulla base del 
cambio all'uopo convenuto fra le parti interessate. Gli esportatori 
italiani, a loro volta, ricevevano il pagamento delle merci 
esportate e delle relative spese, non gi� in valuta straniera e 
direttamente dai loro contraenti danesi, ma in lire italiane 
(sulla base del cambio convenzionale) ed a mezzo� dell'Ufficio 
italiano dei cambi, il quale vi provvedeva con i versamenti eseguiti 
dai corrispondenti e collegati importatori nazionali. Altrettanto 
avveniva in Danimarca, attraverso il competente organo 
di quello Stato (la Danmarks Nationalbank di Copenaghen), 
nei confronti degli importatori .ed esportatori danesi. 

Su queste complesse operazioni, simili a quelle previste in 
altre convenzioni internazionali e nelle relative norme di attuazione, 
la Suprema Corte ha gi� avuto modo di puntualizzare 
il proprio pensiero, che pu� essere cos� riassunto e riaffermato. 
Negli scambi privati con l'estero l'affare di reciprocit� non 
costituisce un contratto plurilaterale, ma � caratterizzato da 
due autonome compravendite internazionali (in senso inverso 
e per valori equivalenti), collegate da un duplice accordo, uno 
fra i due operatori nazionali e l'altro fra i due operatori stranieri. 
Si hanno cos� quattro categorie di obbligazioni: a) obbli



384 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gazioni tra l'importatore nazionale e l'esportatore straniero, in 
virt� della compravendita da essi conclusa; b) obbligazioni tra 
l'esportatore nazionale e l'importatore straniero, in virt� della 
compravendita tra loro intercorsa; e) obbligazioni tra importatore 
ed esportatore nazionali, in virt� di un accordo di pagamento 
e di cambio (negozio di collegamento o di abbinamento); 
d) obbligazioni tra importatore ed esportatore stranieri, in 
virt� di altro accordo di pagamento e di cambio. In forza di 
tali accordi, diretti essenzialmente ad impedire trasferimenti di 
valuta da un paese all'altro, il prezzo dovuto per le due compravendite, 
anzich� essere pagato dall'importatore nazionale ali'esportatore 
straniero e dall'importatore straniero all'esportatore 
nazionale ed anzich� essere riscosso direttamente dai due 
venditori, viene soddisfatto, fra importatore ed esportatore di 
ciascun paese, attraverso l'opera di uffici amministrativi o bancari 
appositamente incaricati e con le modalit� all'uopo predisposte. 
Vengono in tal modo regolate e bilanciate, negli scambi 
commerciali fra Stato e Stato, le reciproche importazioni ed 
esportazioni, in guisa da evitare movimenti di valuta e soddisfare, 
cos�, esigenze valutarie di ordine pubblico. 

Stante ci� e pur nella rilevata interdipendenza dei singoli 
negozi, che ineriscono alla complessa operazione commerciale 
della cosiddetta compensazione privata, il negozio di collegamento, 
che intercorre all'interno di ciascuna delle due coppie di 
operatori, si pone con una propria autonomia giuridica, dato 
che � produttivo di effetti giuridici diretti, giusta la giurisprudenza 
di questa Corte Suprema (sent. n. 1001 del 1952; sent. 

n. 1661 del 1955). 
Non � necessaria all'economia della presente decisione, l'identificazione 
del nomen juris da darsi a tale negozio di collegamento 
(per il quale � stata richiamata, volta a volta, la figura 
della cessione di credito, della compravendita di credito, del 
contratto normativo, della permutatio pecuniae, del contratto 
atipico, ecc.). E' essenziale, invece, porre in rilievo come l'oggetto 
giuridico del negozio di collegamento sia costituito non 
solo dall'impegno generico di adempiere le obbligazioni che 
gravano su ciascuno dei due operatori connazionali in conseguenza 
dei rispettivi contratti di esportazione e di importazione 
con l'estero, ma anche -e soprattutto -dallo impegno specifico 
dell'importatore (dall'estero) a versare il prezzo della propria 
operazione di importazione, e, tramite la Banca competente, 
a favore dell'esportatore connazionale (verso l'estero), a 
tacitazione del credito che il detto esportatore ha verso l'acquirente 
estero. 


PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

385 

Accanto, quindi, alle due operazioni di compravendita (da 
e per l'estero) si pongono, con una propria autonomia giuridica, 
i due negozi di collegamento, in virt� dei quali la obbligazione 
del pagamento del prezzo conseguente a ciascuna compravendita 
si trasforma in una obbligazione nuova di dare, a 
favore di soggetto diverso dal venditore. E ci� � sufficiente a 
legittimare la tassa d'obbligo, ai sensi dell'art. 28 della tariffa 
all. A della legge del registro�. (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 febbraio 1964, n. 415 -Pres. 

Stella Richter -Est Caporaso -P.M. Colonnese (conf.) 


Ministero Finanze c. Pasotti. 
Imposte di successione -Passivo -Debiti resultanti da contratto di 

apertura di credito in conto corrente -Emissione assegni -Valu


tazione ai fini dell'art. 45, 5� comma legge sulle successioni. 
Imposte di successione -Attivo -Pagamento di assegni di conto cor


rente -Prova al fini della detrazione -Requisiti. 

(r.d.l. 30 dicembre 1923 ,n. 3270, art. 45, 5� comma). 
I debiti risultanti da un contratto di apertura di credito in 
conto corrente eseguito a mezzo di assegni bancari non possono 
essere considerati debiti "nascenti da effetti all'ordine", ai sensi 
dell'art. 45, comma 5�, della legge sulle successioni (1). 

Il pagamento di assegni di conto corrente costituisce fonte 
di obbligazione del traente, detraibile dall'attivo, se provato, 
oltre che con l'assegno quietanziato, anche con il contratto di 
apertura di credito (2). 

(1-2) Deduzioni dall'attivo dell'asse ereditario dei saldi passivi dl c/c. 

Prova. 

A) Dopo alterne vicende, nei giudicati delle Corti di merito e 
delle Commissione Centrale delle Imposte (cfr. Corte di Appello di Catania 
11 febbraio 1955, Russo c. Finanze, in questa Rassegna 1955, 160; 
Corte di Appello di Trento 1 aprile 1954, Parteli c. Finanze, inedita; Tribunale 
di Brescia 18 febbraio 1959 Rovetti c. Finanze, Giuris. it. 1960, 1, 2, 
416; Tribunale di Genova 5 aprile 1954 Toracca c. Finanze, inedita; Commissione 
Centrale 17 aprile 1961, n. 41760, Riv.. leg. fiscale, 1963 pag. 104; 
Commissione Centrale 8 maggio 1961, n. 43548, Riv. leg. fiscale, 1%2, 1262 
e segg.) la disciplina dei saldi di conto corrente, per la detrazione 
dall'attivo ereditario da assoggettare alle imposte di successione, ha 
trovato il suo naturale assetto. 

La sentenza in nota, confermando le statuizioni al riguardo adottate 
nel 1961 con la sentenza n. 2142, Riv. leg. fis. 1963, 237, e nel 1963 con la 
sentenza 2527, Riv. leg. fisc., 1963, 1910, ha, con ineccepibile rigore giuridico, 
precisato che i saldi passivi di conto corrente bancario, usufruito 
dal correntista anche con emissione di assegni all'ordine, danno luogo 



38fi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -La Corte di Appello ha ritenuto che l'assegno 

in conto corrente emesso (e riscosso) sull'una e sull'altra banca 
(Nazionale del Lavoro e Credito Agrario Bresciano) costituiva 
per s� solo, di fronte al fisco, la prova del debito cambiario 
del de cuius e perci� ha ritenuto che tale debito dovesse, ai 
fini della valutazione della base imponibile, ammettersi in deduzione 
dall'asse ereditario sulla semplice esibizione dell'assegno 
medesimo e dell'estratto-conto con relativo saldo finale rilasciato 
dalla banca creditrice. 

Con il motivo di ricorso l'Amministrazione delle Finanze 
dello Stato sostiene che in tal modo la Corte di Appello ha 
inesattamente interpretata ed applicata la norma invocabile nella 
specie (art. 45 della legge tributaria sulle successioni, 30 dicembre 
1923, n. 3270), la quale, tra l'altro, ammette la detrazione 
dei debiti contratti dal de cuius, risultanti da scritture 
private che abbiano acquistata data certa anteriormente alla 
apertura della successione (comma secondo del precitato articolo 
45), nonch� dei debiti risultanti da cambiali o da altri 
effetti all'ordine, che siano stati annotati nei libri di commercio, 
regolarmente tenuti dal debitore o dal creditore (comma 
quinto). 

Nella specie, � stato accertato in fatto che presso l'una e 

IIl'altra banca.il de cuius godeva di una apertura di credito regolata 
in conto corrente, ma che i due suindicati rapporti si 
erano esauriti ciascuno con la riscossione di un assegno bancario 
rispettivamente di quaranta e venticinque milioni, emessi 
l'uno a favore di s� medesimo e l'altro a favore di un terzo, 
alla vigilia ed all'antivigilia della morte del de cuius ed a firma 
del procuratore generale (e poi erede) di quest'ultimo. Secondo 

a debiti di natura commerciale, con conseguente esclusione, per la lora 
detrazione, di ogni utile richiamo alla disciplina posta dal 5 comma dell'art. 
45 della legge successoria per i debiti nascenti da effetti all'ordine. -~ 
La qual cosa � assolutamente esatta. 


Nel sistema tributario successorio le passivit� sono ammesse in deduzione 
dell'attivo sempre che le stesse, oltre ad essere legalmente esistenti, 
siano, all'atto dell'apertura della successione, certe e liquide. 

Certe nel senso che, sorrette da un valido titolo, risultino attuali e 
reali. Liquide nel senso che, senza bisogno di ulteriori accertamenti, 
risultino di ammontare determinato (Cfr. De Bono, L'imposta delle suc� 
cessioni e l'imposta sull'asse globale ereditario netto, 135; Serrano, Le 
imposte di successione, 111). Canoni fondameritali, pertanto, ai fini delle 
deduzioni del passivo sono che: a) tali requisiti coesistano al momento 
della apertura della successione; b) gli stessi siano provati nei modi 
e nelle forme tassative prescritte dagli artt. 45-50 della legge successoria; 
c) la prova sia fornita nel termine ultimo e perentorio del biennio 


387

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

l'assunto dei contribuenti, che la denunciata sentenza fa proprio, 
la passivit� che gravava sul patrimonio ereditario di cui 
si tratta trovava la sua fonte esclusivamente nei due assegni, 
con la emissione dei quali ogni rapporto tra l'accreditato e le 
ban.:;he trattarie si era completamente esaurito, onde detta passivit� 
andava considerata come nascente da effetti all'ordine, ai 
sensi ed agli effetti del citato comma quinto dell'art. 45. Ma, 
contrariamente a quanto i controricorrenti assumono, il fatto 
che il conto corrente bancario si era in concreto ridotto ad una 
sola operazione consistita nel pagamento di un assegno, non 
significa che l'assegno quietanziato dia da solo la prova della 
esistenza di un debito del traente verso il trattario, mentre 
proprio questo � il presupposto della norma che ammette la 
detrazione dei debiti risultanti da cambiali o da altri effetti 
alJ'ordine. Per stabilire quale sia il rapporto esistente tra banca 
e traente e per stabilire se l'assegno sia effettivamente rappresentativo 
di un debito del traente verso la banca, occorre, necessariamente, 
risalire al rapporto di conto corrente e quindi 
al contratto di apertura di credito ad esso connesso. 

Difatti, il traente � legato alla banca trattaria dal rapporto 
di provvista e, pi� precisamente, dal contratto dal quale deriva 
ii suo diritto di credito verso la banca, contratto che pu� essere 
di deposito, di mutuo, di apertura di credito, ecc. Con la emissione 
dell'assegno il traente si serve e pone in azione la clausola 
in base alla quale egli � stato autorizzato a disporre dei 
fondi disponibili. presso la banca,� la quale, pagando l'assegno, 
compie a sua volta un atto di esecuzione del contratto. Sicch� 
l'assegno bancario, specie se emesso su s� medesimo (come � 
per uno degli assegni in questione), non � cartolarmente e sem


dalla denuncia, in modo che, si abbia la certezza giuridica del rapporto 
obbligatorio dell'imposta di successione. Il grado di certezza, infatti, che, 
nel diritto comune, �. assicurato attraverso i vari mezzi di prova, nel 
diritto tributario successorio, per le finalit� in concreto perse�i;uite, � 
regolato da legge eccezionale, in modo tassativo ed inderogabile, con il 
concorso dei ricordati elementi. 

La giustificazione, di intuitiva evidenza, �~ riposta nella necessit� di 

prevenire, nell'interesse generale della giusta e regolare percezione dei 

tributi, inesatte dichiarazioni rilasciate dall'autore della successione 

e di ovviare a possibili collusioni fra il presunto debitore ed il presunto 

creditore. Da ci� il rilevato carattere tassativo e di stretta interpreta


zione delle norme poste a disciplina delle dimostrazioni della passivit� 

(cfr. Cass. Sez. I, 20 novembre 1956, n. 4275, Riv. leg. fisc. 1957, 406 e 

segg.; Sez. I, 27 gennaio 1959 n. 237, Riv. leg. fisc., 1959, col. 852 e segg.; 

Sez. I, 4 agosto 1960, n. 2292, Riv. leg. fisc., 1961, col. 247. 

B) In tale situazione, per le operazioni di conto corrente bancario, 


388 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pre rappresentativo di un debito dell'emittente, come nella cambiale. 
E quindi, nel caso di cui all'art. 45 sopra menzionato, 
esso non � necessariamente rappresentativo di un debito del 
de cuius verso la banca. 

Del resto, questo Supremo Collegio si � gi� pronunziato in 

n. 2143, che secondo i controricorrenti riguarderebbe la sola 
ipotesi dell'assegno circolare e di un complesso di operazioni 
tali sensi, non soltanto con la sentenza del 14 ottobre 1961 
in conto corrente, ma sopra tutto con le ancor pi� recenti decisioni 
del 16 maggio 1963 n. 1234 e 10 agosto 1962 n. 2527, le 
quali hanno precisato che l'emissione di assegni in conto corrente 
non costituisce un rapporto cambiario verso il trattario 
un utile richiamo al 5� comma dell'art. 45 potrebbe avere ingresso nel 
solo caso che gli assegni emessi dal traente costituissero la fonte del debito 
e, al pari di quanto avviene per i debiti cambiari, di natura cartolare 
ed astratta, fossero, di per s� soli rappresentativi di un debito del 
traente predetto, con esclusione assoluta della possibilit� di costituire, al 
contrario, atto estintivo di un debito dell'istituto di credito. 

La qual cosa, per�, non si verifica affatto. 

Gli assegni di conto corrente, infatti, costituiscono il mezzo di esecuzione 
dell'unico contratto di conto corrente bancario e la causa 
del debito, rappresentato da un saldo passivo, risiede nel relativo contratto, 
anche se per la utilizzazione della provvista, che pu� essere costituita 
da una apertura di credito all'uopo inserita, sia stato consentito, 
fra le tante modalit�, non escluso il pagamento diretto, quello degli 
assegni .e degli cheques tratti sull'istituto sovventore. In simili contratti 
(Cfr. Relazione dell'Avvocatura dello Stato 1951-55, vol. I, pag. 646) ad 
esecuzione ripetuta e dal contenuto complesso, l'accreditamento si intreccia 
con i servizi resi dalla Banca e, messa a disposizione la somma 
di danaro, l'accreditato ha il potere di richiederne il pagamento, a sua 
discrezione, per tutto il tempo in cui si attua e si ripete l'esecuzione 
del contratto. Da ci� deriva che il diritto a trarre assegni all'ordine dello 
stesso traente o a favore di terzi � sorto ancora prima che gli stessi venissero 
emessi e l'accreditato si � costituito debitore in virt� del contratto e 
non degli assegni. Il fatto che, per gli assegni predetti, la dichiarazione 
cambiaria sia rivolta al possessore del titolo e non al trattario e che, 
l'effettuato pagamento da parte dell'Istituto fa cessare la funzione particolare 
del titolo, sono cose che, come esattamente ebbe a precisare la 
Corte di Cassazione nella citata sentenza 2142/61, negano agli assegni l'effetto 
dimostrativo di debito, risultante da effetti all'ordine, del traente 
verso la Banca. 

Da ci� la necessit� di convalidare la posizione debitoria �on la 
produzione oltrech� degli assegni, del contratto di apertura di credito 
ovvero, al pari dei debiti commerciali in genere, dei� libri contabili del 

debitore. 

C) In un caso analogo la Commissione Provinciale delle Imposte 
di Palermo, con ordinanza 25 marzo 1963, ha ritenuto di dovere 
investire la Corte Costituzionale della legittimit� costituzionale degli 


389

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRilJUTAlUA 

ed il pagamento da parte di questi non integra l'ipotesi dell'art. 
45 legge tributaria sulle successioni, che ammette in detrazione 
dall'asse ereditario, ai fini della valutazione della base 
imponibile, i debiti risultanti da cambiali e da altri titoli all'ordine. 


In queste due sentenze � stato altres� precisato che il pagamento 
di un assegno collegato ad un'apertura di credito � 
opponibile al terzo (quale � il fisco) come fonte di un'obbligazione 
del traente e non come atto estintivo di un debito del 
banchiere dipendente dalla provvista, solo se assieme all'assegno 
quietanzato si esibisce anche il contratto di apertura di 
credito. Pertanto, in nessun caso l'iscrizione dell'assegno a debi


artt. 45 e 48 della legge successoria (r.d. 23 dicembre 1923 n. 3270) in 
relazione all'art. 53 della Costituzione. Ha ritenuto, infatti, la Com� 
missione Provinciale che, dovendo 'per precetto costituzionale, l'imposizione 
tributaria essere commisurata alla effettiva capacit� contributiva 
del �contribuente, la rigorosa regolamentazione della prova 
della passivit�, posta dai ricordati artt. 45 e 48 della legge successoria, 
si risolve in una limitazione della facolt� di prova della capacit� 
suddetta, che, di conseguenza, resterebbe non adeguatamente salvaguardata. 
Ma cos� non �. La rigorosa regolamentazione delle prove 
della passivit� deducibili � stata determinata dalla necessit� di evitare, 
nell'interesse generale della giusta e regolare percezione dei tributi, 
le evasioni dell'imposta successoria che, attraverso inesatte dichiarazioni 
rilasciate dall'autore della successione o attraverso possibili 
collusioni tra presunto debitore e presunto crec:Jitore finirebbero per 
risultare di facile attuazione. Con tali caratteri la regolamentazione 
predetta, nel particolare settore dei trasferimenti di ricchezza mortis 
causa si configura, rispetto alla capacit� contributiva, come uno strumento 
che, lungi dal falsarne la rappresentazione, ne costituisce un 
mezzo di sicuro accertamento. 

Determinante al riguardo � la constatazione che la regolamentazione 
pi� volte detta, diretta ad assicurare la certezza, la liquidit� e 
l'esigibilit� del debito, �ha tenuto presente -come esattamente osserva 
il Serrano in loco citato, p. 113 -il comportamento dell'erede, 
quale responsabile della documentazione dei debiti in concomitanza 
con la responsabilit� del creditore sulla sussistenza del suo credito al 
momento dell'apertura della successione�. Ha, di conseguenza, la regolamentazione 
stessa apprestato un complesso di mezzi che, per le garanzie 
di cui sono circondati, escludendo le errate rappresentazioni della reale situazione 
obiettiva, che il precetto costituzionale ha ribadito nell'interesse 
del privato cittadino e nell'interesse generale al tempo stesso. Le difficolt�, 
meramente eventuali ed ipotetiche, che l'erede pu� incontrare nella 
ricerca della documentazione di legge, non hanno alcuna influenza 
sul piano della legittimit� costituzionale dell'istituto, che, a tali fini, 
va ragguardato nella sua struttura obiettiva e non in relazione a meri 
inconvenienti di ordine pratico e contingente. 

L. CORREALE 

390 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

to del traente nel conto del trattario costituisce, di per s� 
sola, la prova della esistenza del debito a carico del primo, 

lli 
~ 

prova richiesta dalla legge tributaria. :� 

Poich� la sentenza. impugnata � pervenuta a diversa conclusione, 
non avendo seguito il principio di diritto sopra enunciato, 
il ricorso deve essere accolto e la causa rinviata per nuovo 
esame ad altro giudice, fermo il criterio che i debiti risultanti 
da un contratto di apertura di credito in conto corrente 
eseguito a mezzo di assegni bancari non possono essere considerati 
debiti � nascenti da effetti all'ordine � ai sensi dell'art. 45, 
comma quinto, della legge tributaria sulle successioni. (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 febbraio 1964, n. 416 -Pres. 
Pece-Est. D'Amico -P.M. Pedote (conf.) -Passigli c. Finanze. 

Imposta di registro (imposte di bollo ed ipotecarie )-Leggi razziali 


Leggi di reintegrazione -Acquisto per interposta persona -Esen


zioni. 

(d.1.1. 10 aprile 1945 n. 222, art. 4). 
Le esenzioni da qualsiasi tassa di bollo e dalle imposte di 
registro ed ipotecarie, nonch� da qualsiasi altro gravame fiscale, 
previste dall'art. 15 del d.l. n. 26 del 1944, richiamato dall'articolo 
4 del d.l.l lgt. 10 aprile 1945, n. 222, per tutti gli atti 
necessari per reintegrare i cittadini di razza ebraica nel pieno 
godimento dei diritti patrimoniali compromessi per effetto delle 
leggi razziali, si riferiscono non soltanto agli atti posti in essere 
mediante interposizione di persone, aventi per oggetto beni gi� 
posseduti all'epoca dell'emanazione delle leggi razziali ed alienati, 
ma anche agli atti aventi per oggetto incrementi patrimoniali 
successivi a tali leggi, posti in essere mediante interposizione 
di persona, allo scopo di sottrarsi alle disposizioni limitative 
della misura dei patrimoni appartenenti agli israeliti (1). 

{1) L'operativit� delle agevolazioni fiscali, recate dal combinato disposto 
degli artt. 15 del d.l. n. 26 del 1944 e 4 del d.1. Lgt. n. 222 del 
1945, non solo per gli atti, che, posti in essere mediante interposizione 
di persona, avevano per oggetto i beni posseduti dai cittadini di razza 
ebraica all'epoca dell'emanazione delle leggi razziali e dagli stessi alienati, 
ma anche per quelli che, posti in essere mediante interposizione di 
persona, avevano per oggetto incrementi patrimoniali successivi a tali 
leggi, � stata affermata dalla Corte di Cassazione nella precedente sentenza 
18 gennaio 1952, n. 139 Riv. leg. fisc. 1952, 270, alla quale la sentenza 
in nota espressamente si richiama (cfr. anche Cass., 16 febbraio 


1950 n. 390, Riv. leg. fisc., 1950, I, 64 e e.e. 10 novembre 1962 


391

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 febbraio 1964, n. 451 -Pres. 
-Est. Rossano -P.M. Cutrupia (conf.) -Aziende Chimiche 
Barbini c. Ministero Finanze. 

Imposta di fabbricazione -Imposte sui minerali di mercurio e sui 

prodotti derivati -Norme transitorie -Obbligo di denunzia -Esen


zione -Deroghe -Limiti. 

<d.l. 24 novembre 1954, n. 1608 convertito nella 1. 10 dicembre 1954, 
n. 1166, art. 18). 
L'obbligo della denunzia del mercurio metallo confezionato 
in bombole e del cinabro artificiale prodotto per il consumo, 
posto dall'art. 18 del d.l. 24 novembre 1954, n. 1068, convertito 
nella l. 10 dicembre 1954, n. 1166, a carico degli esercenti stabilimenti 
di produzione e di chiunque detenga il materiale predetto 
per gli usi della propria industria, ammette le sole deroghe 
indicate nel quinto comma dell'articolo stesso. Dette deroghe 
comportano l'esenzione dal tributo e, di stretta interpretazione, 
concernono l'una gli istituti scientifici e� l'altra le case costruttrici 
di strumenti di fisica ed apparecchi chimici, limitatamente, 
per questi ultimi, al mercurio incorporato, come liquido di livello, 
negli strumenti ed apparecchi pronti per la vendita. Non 
sono consentite ulteriori deroghe all'obbligo della denunzia con 
conseguente estensione dei casi di esenzione ed in particolare 

n. 4769, Riv. leg. (lsc., 1953, 123). La giustificazione logica e giuridica del. 
l'adottata soluzione scaturisce dal dichiarato intento del legislatore di 
reintegrare i cittadini di razza ebraica nella posizione in cui si sarebbero 
trovati se le leggi razziaJ.i non fossero intervenute, ed ai fini patrimoniali, 
di reintegrare gli stessi cittadini nel godimento di diritti patrimoniali 
uguali a quelli degli altri cittadini, con i quali hanno gli stessi 
doveri. Le leggi razziali, infatti, limitando l'entit� delle possidenze im 
mobiliari, avevano, impJicitamente, impedito ogni acquisto, per effetto 
del quale l'entit� predetta fosse risultata superata~ Decisive al riguardo, 
oltre alle precisazioni contenute nel testo delle leggi n. 25 e 26 del 1944, 
riportate in motivazione � la dizione adoperata dall'art. 15 del r.d.l. 26/44 
che, nel porre la norma di favore fiscale, fa espresso riferimento a 
tutti gli atti occorrenti per porre in essere le nuove condizioni di diritto 
anche ai fini della cennata reintegrazione. Il dovuto coordinamento 
inoltre, di tale norme con quella recata, in via complementare ed integrativa, 
dal d.1.1. n. 222 del 1945 precisa che limite invalicabile � quello 
per il quale la interposizione. fittizia o reale, di persona di razza ariana 
sia stata determinata dallo scopo di sottrarre i cittadini di razza ebraica 
alle disposizioni limitative. della misura del patrimonio a suo tempo 
imposta dalle leggi razziali. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non � consentita deroga per il mercurio, metallo incorporato in 
strumenti di produzione (apparecchi. di sintesi catalitico) (1). 

(1) La sentenza annotata precisa, con ineccepibile rigore giuridico, 
l'economia della norma tributaria recata dall'art. 18 del d.l. 24 novembre 
1954, n. 1608, convertita nella I. 10 dicembre 1954, n. 1166. 
La particolare imposta di fabbricazione istituita con il citato �d.1. 
1068-54 colpisce il mercurio-metallo al momento della sua produzione 
e, per la parte contenuta nel minerale greggio, al momento della estrazione 
dalle miniere. Per intuitive ragioni di politica legislativa, connesse 
con la necessit� di sottoporre a tributo il mercurio metallo gi� prodotto 
e di impedire nel tempo stesso, con richiamo alle giacenze in atto, facili 

�' 

evasioni, con norma transitoria fu posto l'obbligo della denunzia non solo 
per gli esercenti gli stabilimenti di produzione, ma anche per chiunque, 
per gli usi della propria industria, avesse detenuto mercurio-metallo in 
qualsiasi quantit�. Da tale obbligo, alla cui ossservanza era collegata la 
concreta applicazione del tributo, servendo la relativa denuncia di base 
per la sua liquidazione, furono esentate due sole categorie di soggetti 
e precisamente gli Istituti scientifici e le case costruttrici di strumenti 
di fisica ed apparecchi di chimica, limitatamente, per�, queste ultime, 

al mercurio gi� incorporato come liquido di livello negli strumenti ed 
apparecchi pronti per la vendita. La indiyiduazione dei soggetti esenti 
dall'obbligo della denuncia e, nell'ambito degli stessi, le limitazioni all'uopo 
fissate, sono cose che manifestano l'intento di sottoporre il mercurio 
metallo ed i suoi derivati, gi� prodotti ed estratti, alla medesima 
disciplina di quella stabilita per il mercurio metallo da produrre e da 
estrarre. Il combinato disposto, infatti, delle norme contenute nei vari 
commi dell'art .. 18 del d.l. 1068-54 precisa che immediatamente soggetti al 
tributo sono gli stabilimenti di produzione (1� comma),' chiunque d~enga 
mercurio metallo, in qualsiasi quantit�, per gli usi della propria industria 
(3� comma), le case costruttrici di apparecchi di fisica e di chimica 
per il mercurio metallo che non sia stato incorporato negli apparecchi 
pronti per la vendita, come liquido di livello (5� comma). Del mercurio 
metallo, in altri termini, che svolga il rue>lo di elemento essenziale del 
prodotto. La qual cosa, assicurando il medesimo trattamento tributario 
fra il mercurio detenuto per gli usi della propria industria quale 
componente dei propri prodotti finiti e quello detenuto, per gli stessi 
usi, quale componente degli apparecchi di lavorazione dei propri prodotti 
finiti, risponde al principio codificato nel 3� comma dell'art. 1 del 


d.l. 1068-54 per il quale l'imposta � dovuta qualunque sia la destinazione 
e l'impiego dei minerali di mercurio e dei suoi derivati. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1964, n. 370 -Pres. 
Pece -Est. Del Conte -P.M. Maccarone (conf.) -Larghi c. 
Finanze. 


Imposte e tasse in genere -Decisione di Commissione amministrativa 
-Ricorso all'a.g.o. -Termine -Ricorso gerarchico -Effetto 
sospensivo -Esclusione. 

(r.d.I. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 146). 

393

PARTE I, SEZ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Imposte e tasse in genere -Decisione della Commissione Provinciale 
delle imposte -Ricorso all'intendenza di Finanza -Decorso del 
termine per il ricorso all'a.g.o. -Errore scusabile -Rimessione 
in termini -Esclusione -Fattispecie. 

(r.d.l. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 146). 
Nelle controversie tributarie che abbiano formato oggetto 
di decisione amministrativa, il termine di sei mesi previsto, a 
pena di decadenza, dall'art. 146 della legge di registro 30 dicembre 
1923, n. 3269, per l'azione giudiziaria, non � sospeso 
per effetto della propqsizione del ricorso gerarchico, che ha 
carattere facoltativo (1). 

(1-2) L'art. 28 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 sulla riforma degli ordi� 
namenti tributari, ha espressamente stabilito che la risoluzione in via 
amministrativa delle controversie relative all'applicazione della imposta 
di registro, di successione, in surrogazione, di manomorta ed ipotecaria, 
qualunque sia la natura della contestazione ed il valore presunto dei 
beni, � demandato alle Commissioni amministrative. Per effetto di tale 
disposizione, nelle controversie relative alle imposte suddette il ricorso 
gerarchico � sostituito dal ricorso alle Commissioni Amministrative le 
quali, a tal fine, nel relativo giudizio di carattere inquisitorio, serbano, 
a norma dell'art. 25 del r.d.I. 8 luglio 1937, n. 1516, le stesse facolt� di 
indagine, di accesso, di ispezione, di controllo, di richiesta di dati, di 
informazioni e di chiarimenti conferite dalle singole leggi di imposte ai 
funzionari delle imposte dirette e di registro, con conseguenze utilizzazione 
delle resultanze come elementi di prova e di giudizio. Il ricorso 
gerarchico, � dallo stesso art. 28 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 mantenuto 
soltanto per le controversie relative all'imposta di bollo, alle con� 
cessioni governative ed alle altre imposte sugli affari ed a queste assimilate. 
(Cfr. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, ed. 1961, pagina 
183-185). 

La cennata disciplina normativa, posta in relazione alla esclusione 
di ogni legame di continuit� fra il giudizio innanzi alle Commissioni e 
quello innanzi all'Autorit� Giudiziaria ordinaria, per l'autonomia formale 
e sostanziale del duplice ordine di difese, esclude, in maniera certa, 
che il termine di decadenza posto per l'introduzione dell'azione giudiziaria, 
a far data dalla notifica della decisione della Commissione amministrativa, 
di tipica natura giurisdizionale, possa essere influenzato, 
ai fini ,della decadenza, dalla pendenza del ricorso che il contribuente, 
dopo aver conseguito la decisione sostitutiva suddetta, abbia ritenuto 
di proporre agli organi dell'Amministrazione attiva. La qual cosa assorbe, 
precedendolo, il richiamo al prindpio recato dall'art. 2966 del e.e. sulla 
disciplina delle cause che impediscono la decadenza, quale � quella 
comminata dall'art. 146 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269. 
Analoghe ragioni escludono, per le imposte per le quali il ricorso gerarchico 
� sostituito dal ricorso alla Comm.ne amm.va, ogni utile richiamo 
all'istituto dell'errore scusabile e della conseguenziale rimessione in 
termini. 

Indipendentemente da ogni altra considerazione, sta di fatto che 


394 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
La remissione in termini per errore scusabile attiene ai .. 
�'. 
ricorsi amministrativi propri ed ai ricorsi giurisdizionali amministrativi 
e non a ricorsi all'a.g.o. Essa inoltre riguarda l'ipotesi 
del ricorso avverso un provvedimento ritenuto, per errore, definitivo 
e non l'ipotesi inversa del ricorso avverso un provvedimento 
ritenuto per errore non definitivo. Detta rimessione in 
termini, pertanto, non opera nel caso in cui, a seguito della 
decisione emanata dalla Commissione Provinciale delle Imposte 
in materia di imposta di registro, il contribuente non abbia 
proposto ricorso alla Commissione Centrale delle Imposte, ma 
all'Intendente di Finanza e, decorso il termine di decadenza, 
previsto dall'art. 146 della legge di registro 30 dicembre 1923, 
n. 3269, abbia introdotto azione giudiziaria (2). 
" -~ 
II~ 

)':, 

l'istituto dell'errore scusabile concerne i ricorsi amministrativi propri 
ed i ricorsi giurisdizionali proposti in impugnativa di un atto amministrativo. 
Nei casi in esame l'azione giudiziaria non ha affatto, n� nella 
sostanza n� nella forma, la natura e gli effetti del gravame e la pronunzia 
della Commissione, a seguito della quale � stato, per avventura, 
proposto .ricorso agli organi dell'Amm.ne attiva, ha natura e contenuto 
di decisione giurisdizionale e non di atto amministrativo. 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 

DI ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 gennaio 1964, n. 160 -Pres. 
Stella Richter -Est. D'Amico -P.M. Colonnese (conf.) Impresa 
Rancilio c. Ministero LL.PP. 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale del Ministero 
dei LL.PP. -Natura normativa. 

(d.m. 28 maggio 1895). 
Appalto -Appalto, di opere pubbliche -Interessi sulle somme dovute 
all'appaltatore -Art. 40 Capitolato generale 28 maggio 1895 Inapplicabilit� 
degli artt. 1341 e 1342 e.e. 

Il Capitolato generale d'appalto delle opere dipendenti dal 
Ministero dei LL.PP., approvato con d.m. 28 maggio 1895, ha 
natura regolamentare (1). 

Gli interessi sulle somme dovute all'appaltatore sono regolati 
dall'art. 40 del Capitolato suddetto, e non dall'art. 1224 
e.e., la cui norma ha carattere dispositivo, e non imperativo, 
ed � pertanto derogabile, senza che sia necessaria una approvazione 
specifica per iscritto, data la natura regolamentare dell'art. 
40 citato (2). 

(1-2) Sul carattere normativo del Capitolato generale 28 maggio 1895 
e di quello appr. con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, (e pubbl. in G. U., 7 
agosto 1962, n. 198), attualmente in vigore per le opere di competenza del 
Ministero dei LL.PP., nonch� sulle questioni connesse, anche in relazione 
all'inapplicabilit� degli artt. 1241 e 1342 e.e., cfr in questa Rassegna 1964, 
retro, 192. 

Circa la natura forfettaria della disciplina prevista dall'art. 40 del 
citato capitolato (e dai corrispondenti artt. 35 e 36 del nuovo Capitolato 
generale 16 luglio 1962, n.. 1063), relativamente ai ritardi nel pagamento 
delle somme dovute all'appaltatore, cfr. in questa Rassegna, 1964, retro, 192. 



396 RASSEGNA l)ELI.'AVVOCATURA DELLO STATO ;:; 
�~ 
TRIBUNALE SUP. ACQUE, 22 gennaio 1964, n. 6 -Pres. Reale -
Est. Ferrati -Soc. Meridionale di Elettricit� ed E.N.E.L. 
c. Ministero LL.PP. ~ �. 
f.�.� 
. Acque pubbliche -Sovracanoni -Ingiunzione di pagamento � Giudizio 
di opposizione -Competenza territoriale dei TriJmnali Regionali 
-Criterio: localit� ove sono situate le opere -Inderogabilit�. 
(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 140, 161; r.d. 14 aprile 1910, 
n. 639, art. 3). 
Acque pubbliche -Procedimento innanzi ai 
Disciplina. 
(t.u. 11 dicembre 1833, n. 1775 ,art. 202). 
Tribunali delle Acque -
La competenza territoriale dei Tribunali regionali delle acque 
pubbliche � determinata dal luogo ove sono le opere o i 
beni oggetto delle controversie elencate nell'art. 140 t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775. Questa competenza � inderogabile e va 
osservata anche se trattasi di opposizione ad ingiunzione per il 
pagamento di sovracanoni (1). 
Il procedimento che si svolge dinanzi ai Tribunali delle acque 
� regolato, pur dopo l'entrata in vigore del nuovo codice 
di procedura civile, dalle norme del codice di rito del 1865 (2), 
(Omissis). -Va esaminata, prima di ogni altra, la questione 
di competenza, ritualmente sollevata con l'atto di impugnazione, 
e deve riconoscersi che la stessa va r�solta in conformit� 
all'assunto dell'appellante. 
(1) La sentenza conferma un indirizzo che ha trovato dissenso in 
d.ottrina. Affermato il principio, per la prima volta, dalla Corte di Cassaz10ne, 
con sentenza 9 gennaio 1959 n. 26 (Acque, ecc., 1959, 129), esso � stato 
a~colto con perplessit� e riserve (cfr. questa Rassegna, 1959, 75), ed anche 
vivacemente criticato (cfr.: ANDRIOLI, La competenza per territorio dei 
tribunali delle acque pubbliche, Acque, ecc., 1959, 327; DI TARSIA, ivi, 
1959, 3'92). In senso adesivo, invece, cfr.: RoMUALDI, Sulla natura della 
competenza per territorio dei tribunali reg. aa. pp., ivi, 1959, 129). 
Il Tribunale Superiore si � uniformato all'indirizzo con sentenza 15 
luglio 1960, n. 26 (Acque, ecc., 1960, 384). 
(2) La massima � del tutto pacifica. Da ultimo, cfr.: Cass. 17 aprile 
1?63, n. 950, che ne ha fatto applicazione a proposito dei termini per il 
ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione. In dottrina, l'ANDRIOLI (Codice 
di procedura civile e leggi processuali speciali, in Foro It., 1942, 
IV, 44) aveva affermato la legittimit� del procedimento esegetico, inteso 
a sostituire ag~i articoli del codice del 1865, le corrispondenti nor� 
me del nuovo codice. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 397 

E' pacifico che sono di competenza del Tribunale regionale 
delle acque le controversie che insorgono in sede di opposizione 
ad ir.i.giunzione per la riscossione coattiva di sovracanoni dovuti 
dalle imprese concessionarie di derivazioni d'acqua per impianti 
di produzione di forza motrice, giacch� le stesse importano 
una contestazione sull'obbligo di corresponsione allo Stato 
di quanto dovuto per l'uso delle acque pubbliche, che rientra 
ratione materiae nella competenza di quel Tribunale. 

Ora, il criterio per determinare la competenza territoriale 
non pu� essere quello dettato dall'art. 3 del t.u. 14 aprile 1910, 

n. 639, che, nel disciplinare la riscossione delle entrate patrimoniali 
dello Stato, attribuisce la competenza a conoscere delle 
opposizioni avverso le ingiunzioni al giudice del luogo in cui 
ha sede l'Ufficio che ha emesso l'ingiunzione. 
La competenza terrioriale, nella soggetta materia, va, invece, 
stabilita in relazione al luogo ove sono le acque, le opere 
od i beni, oggetto delle controversie indicate nell'art. 140 t.u. 11 
dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici. 

In questi sensi si � gi� pronunciato il Tribunale Superiore 
(sent. 15 luglio 1960, n. 26) in aderenza all'indirizzo giurisprudenziale 
della Suprema Corte di Cassazione (sent. 9 gennaio 1959, 

n. 24, 25, 26), la quale, pur riconoscendo che il principio non 
trovasi espresso con formunla sacramentale nella legge speciale, 
ha rilevato che esso costituisce il logico presupposto di tutto 
il sistema che informa la distribuzione delle competenze, ratione 
loci, tra i tribunali regionali, in relazione alla situazione 
di fatto che si considera decisiva a questo effetto, ossia l'esistenza 
di quei beni nella circoscr~zione dell'uno o dell'altro 
organo. 
Opportunamente s'� osservato che l'elemento territoriale 
influisce essenzialmente sulla funzione del giudice specializzato, 
perch� la funzione medesima in quel determinato ambito territoriale 
� ritenuta la pi� efficace alla tutela dell'interesse pubblico, 
che si riconnette alla demanialit� delle acque e al migliore regolamento 
di esse nelle singole zone regionali, a cui corrispondono , 
le diverse circoscrizioni, e se ne � dedotto, quindi, che quella 
in esame � una competenza territoriale funzionale per ragioni 
d'ordine pubblico e come tale inderogabile. 

Cos� essendo, appare evidente come sia inapplicabile la norma 
del t.u. del 1910, la quale, se deroga alle norme di carattere 
generale sulla competenza, � sicuramente incompatibile col sistema 
particolare della legge sulle acque, che determina con 



398 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il criterio funzionale un foro esclusivo che non ammette alcuna 
altra competenza. 

Pertanto, poich� nella specie � fuor di contestazione che 
l'impianto idroelettrico, in relazione al quale � stato richiesto 
il pagamento del sovracanone, trovasi nella circoscrizione del 
Tribunale regionale di Napoli e non in quella del Tribunale di 
Roma, quest'ultimo avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza 
anzich� conoscere del merito della opposizione. 

L'impugnata sentenza va, quindi, riformata in tal senso, 
senza che vi sia possibilit� di ritenere la causa, dovendo trovar 
applicazione, per il richiamo fattone nell'art. 191 t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775, la norma del'art. 493 dell'abrogato codice di 
procedura civile, secondo la quale, qualora in prima istanza si 
sia pronunciato sulla competenza e sul merito, non si pu� in 
appello conoscere di questo se sia dichiarata l'incompetenza 
dei primi giudici. 

E' noto infatti (cfr. sent. Cass. 6-11-1958, n. 3619) che, pur 
dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, il 
sistema processuale relativo alle controversie in materia di acque 
pubbliche rimane collegato, nella sua interezza, attraverso 
il riferimento di cui al menzionato testo unico, alle norme contenute 
nel codice di rito del 1865; le quali norme debbono considerarsi 
come recepite dal testo unico medesimo, rimanendo 
estranee alla materia le modificazioni della procedura ordinaria 
apportata dal nuovo codice. -(Omissis). 

TRIBUN�LE SUP. ACQUE, 30 gennaio 1964, n. 7 -Presidente 
Reale -Est. Granito -Tamborino Vincenzo (eredi) c. Ministeri 
Marina Mercantile, Agricoltura e Foreste e Prefetto 
di Lecce. 

Acque pubbliche -Pesca -Diritti esclusivi -Provvedimenti del Prefetto 
e del Capo Compartimento marittimo -Definitivit� -Esclusione 
-Silenzio-rifiuto -Impugnativa dinanzi al Trib. Sup. Acque 
-Inammissibilit�. 

Acque pubbliche -Competenza -Provvedimenti di decadenza dal diritto 
esclusivo di _pesca -Impugnativa dinanzi al Trib. Sup. Acque 
-Ammissibilit�. 

Acque pubbliche -Competenza -Natura pubblica delle acque -Accertamento 
gi� definitivo -Appartenenza al demanio marittimo 



PA~TE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 

399 

o al demanio idrico -Controversia sollevata � incideuter tantum� Incidenza 
su interessi legittimi e non su diritti soggettivi -Competenza 
del Trib. Sup. Acque -Esclusione -Competenza del Consiglio 
di Stato -Sussiste. 
Competenza e giurisdizione -Atto amministrativo -Disapplicazione 
ai sensi dell'art. 5 I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E -Giurisdizione 
amministrativa -Esclusione -Giurisdizione ordinaria -Sussiste. 

Acque pubbliche -Classificazione -Modifica -Estinzione di diritti di 
uso e di pesca � Esclusione -Acque pubbliche -Mutamento di 
caratteristiche e di destinazione dipendente da evento naturale Diritto 
di uso e di pesca -Impossibile loro esercizio. 

Acque pubbliche -Diritti esclusivi di pesca -Riconoscimento -Termine 
previsto dalla legge 24 marzo 1921, n. 312 in relazione alle 
acque considerate, di diritto o di fatto, gi� pubbliche nel 1921 Acque 
dichiarate pubbliche in epoca successiva -Applicabilit�. 

Gli atti del Prefetto e del Capo del Compartimento marittimo 
in materia di diritti esclusivi di pesca non sono definitivi. 
E' perci� inammissibile il ricorso proposto avverso il silenziari.
fiuto delle predette autorit� (1). 

(1-6) La pregiudiziale amministrativa. . 
Le prime due massime costituiscono giurisprudenza consolidata e 
non hanno, perci�, bisogno di alcun commento: . , 

La terza e la quarta sono di particolare mtere.ss~. Con es~e .si ~ 
escluso che il Tribunale Superiore (e lo stesso deve dirsi del Consiglio di 
Stato) possa decidere, in via incidentale o ai fini della disapp!icazi?ne 
dell'atto, la questione relativa alla legittimit� di un atto ammin~strativo, 
che si assume lesivo d'interessi legittimi, qualora la detta questione non 
sia devoluta alla sua giurisdizione. In proposito � noto che il sistema 
processuale vigente (art. 34 c.p.c., artt. 28 e 30 r:d. 26 giugno 1924, n. 1054, 
artt. 3 e 5 r.d. 26 giugno 1924, n. 1058, artt. 9 e 11 r.d. 13 agosto 1933, n. 
1038, art. 169 t.u. 11 dicembre 933, n. 1775) si � uniformato alla classic~ 
tricotomia del MENESTRINA (La pregiudiziale nel processo civile, p. 26, 123 
e 149), che distingue i punti pregiudiziali, non controversi, le questioni 
pregiudiziali, da risolvere incidenter tantum, e le cause pregiudiziali, in 
cui l'antecedente logico deve essere <accertato, per legge o per volont� 
delle parti, con efficacia di giudicato. 

La< prima e la seconda categoria sono risolte dal giudice, ancorch� 
incompetente o privo di giurisdizione, nei confronti dei legittimi contraddittori 
alla domanda principale; costituiscono delle tappe dell'iter logico 
per giungere alla decisione, su cui si forma il giudicato sostanziale, ma 
non estendono i loro effetti fuori del process�, nel quale sono proposte 
n� precludono che le stesse questioni siano riproposte in diverso e autonomo 
giudizio (Trib. acque pubbliche, 24 gennaio 1957, Acque, Bonifiche 



400 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Sono devoluti alla cognizione del Tribunale superiore delle 

acque pubbliche i ricorsi avverso provvedimenti, che dichiarano 

la decadenza dalla facolt� di chiedere il riconoscimento di un 

diritto esclusivo di pesca (2). 

Accertata giudizialmente la natura pubblica delle acque, la 

questione se le stesse appartengano al demanio marittimo o 

idrico � devoluta alla cognizione del Consiglio di Stato, incidendo 

la sua soluzione su interessi legittimi e non su diritti soggettivi. 

Essa, pertanto, non pu� essere conosciuta, neanche incidenter 

tantum, dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche (3). 

L'art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sulla disapplicazione 

degli atti amministrativi, � applicabile dalla giurisdizione ordina-

e Costruzioni, 1957, 61; Cass. 30 aprile 1955, n. 1233, Giust. Civ., Mass. 1955, 
441; Cass. 7 ottobre 1954, n. 3388, Foro it., Mass., 1954, 682; Cass., 25 marzo 
1954, n. 871, ivi, 182). 

Le cause pregiudiziali, invece, debbono essere decise dal giudice com


petente e nei confronti di chi �, rispetto ad esse, legittimato ad agire o 

contraddire (Cass. 30 novembre 1949, Foro it., 1950, 8; Cass. 2 marzo 1949, 

Giur. Cass. Civ., 1949, III, 391 con nota; ANDRIOLI, Commento, I, p. 114 

e seg.). 

La questione pregiudiziale, di cui s'� detto innanzi, �, peraltro, la questione 
civile, quella, cio�, che abbia ad oggetto diritti soggettivi. Essa ed 
essa sola pu� essere decisa incidenter tantum dal giudice civile, ancorch� 
incompetente, o dal giudice amministrativo, privo di giurisdizione. 
La questione relativa alla legittimit� di un atto amministrativo, che si 
assume lesivo d'interessi legittimi, cio�, la questione amministrativa non 
pu� essere decisa incidenter tantum, n� dal giudice civile n� dal giudice 
amministrativo, che difetti di giurisdizione rispetto ad essa. La sentenza, 
che si annota, si limita ad escludere che possa decidere incidenter tantum 
la questione amministrativa il giudice amministrativo privo di giurisdizione, 
e ci� anche ai soli fini della disapplicazione. Ma noi riteniamo 
che la stessa disciplina viga per il giudice civile, il quale conosce della 
legittimit� dell'atto amministrativo quando sia lesivo di diritti e conosce, 
ai fini della disapplicazione, della legalit� dell'atto non della sua legit


timit�. 

La disapplicazione, prevista dall'art. 5 I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, 
come abbiamo avuto altra volta occasione di precisare (in questa Rassegna, 
1942, 37-40; 1953, 125; 1962, 15), ha ad oggetto gli atti non conformi alla 
legge, cio� privi dei requisiti estrinseci di legalit� o, come si esprime 
l'art. 650 cod. pen., i provvedimenti illegalmente dati, non gli atti illegittimi, 
di cui all'art. 26 T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, i quali non 
possono essere disapplicati, tanto meno su istanza di coloro, che erano 

legittimati ad impugnarli in via principale. 

L'inoppugnabilit� dell'atto amministrativo ha la stessa efficacia sostanziale 
e formale della cosa giudicata e colui, il quale poteva e doveva 
impugnare l'atto, resta vincolato ai suoi effetti e non pu�, neppure in 
separato giudizio, chiedere la disapplicazione, respingendo da s� gli ef


fetti dell'atto. 



PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURB 401 

ria, non da quella amministrativa nell'ambito della tutela degli 
interessi legittimi (4 ). 

? La sopravvenuta, diversa classificazione demaniale di un'acqua 
pubblica non comporta n� l'estinzione dei diritti di uso e 
di pesca gi� riconosciuti, n� la caducazione della domanda di 
riconoscimento in corso d'istruttoria, a meno che il mutamento 
non dipenda da un evento, naturale o umano, che, alterando 
definitivamente le caratteristiche fisiche o la destinazione del 
bene, non consenta l'ulteriore esercizio di tali diritti (5). 
Il termine fisso (31 dicembre 1921) stabilito. dalla legge 24 
marzo 1921, n. 312 per le domande di riconoscimento dei diritti 

L'art. 5 pone un limite al divieto posto con il precedente art. 4, ma 
non pu� annullarlo: diversamente opinando si negherebbe il criterio discriminativo 
fra la giurisdizione ordinaria e quella speciale o fra le giurisdizioni 
speciali e si frustrerebbe il divieto dell'art. 4. Ogni giudice, ordinario 
o speciale, cio�, potrebbe sindacare la legittimit� degli atti amministrativi 
fuori dei limiti della sua giurisdizione, con il solo limite di disapplicarli 
invece di annullarli. I termini perentori, posti dalla legge per 
la proposizione del ricorso al Consiglio di Stato, sarebbero agevolmente 
superati, sottoponendo, in via di disapplicazione, la questione di legittimit� 
dell'atto amministrativo, divenuto inoppugnabile, a qualsiasi giudice, 
ordinario o speciale. 

Non solo, quindi, il giud�ce amministrativo, come esattamente afferma 
l'annotata sentenza, ma nemmeno il giudice civile pu� disapplicare 
l'atto amministrativo illegittimo. Se sorge in via incidentale la questione 
amministrativa egli pu� solo sospendere il processo ai sensi dell'art. 295 

c.p.c. La pregiudiziale amministrativa, quale l'abbiamo definita, non si 
presenta mai come questione, ma come causa pregiudiziale. 
Nel processo penale, invece, la questione amministrativa, a differenza 
delie questioni relative allo stato delle persone (art. 19 c.p.p.), che il giudice 
penale deve rimettere alla cognizione del giudice civile competente 
(causa pregiudiziale), � regolata dalla legge come questione pregiudiziale 
non assolutamente devolutiva. Il giudice penale, cio�, pu� deciderla in 
via incidentale o quando sia di facile soluzione o quando sia inutilmente 
decorso il termine fissato o prorogato per la decisione (art. 20 e 21 c.p.p.; 
CAsALINI A., La pregiudizialit� nel processo penale, 1907; FosCHINI G., La 
pregiudizialit� nel processo penale, 1942; ROMANO Dr FALCO, Processo pe~ 
nale, azioni civili e amministrative, 1943; VELOTTI G., Le questioni pregiudiziali, 
1941; CECCHINI, Riv. pen., 1953, 4, II, 215, in questa Rassegna, 
1962, p. 15). 

Le ultime due massime non sono conformi al rigore dei principi e in 
senso contrario si erano gi� pronunziati il Tribunale Superiore, con sentenza 
29 luglio 1959, n. 24, e il Consiglio di Stato, con i parere 6 aprile 1960, 

n. 377. l! termine di cui all'art. 21 t.u. leggi sulla pesca, infatti, � fisso, 
perentorio e non tollera interruzioni o sospensioni. Ma la fattispecie era 
talmente eccezionale, che non poteva avere altra logica ed umana soluzione. 
G. GUGLIELMI 

402 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

es�lusivi di pesca esercitati nelle acque del demanio marittimo 
e del demanio marittimo interno pu� trovare applicazione per 
le acque, che, nel 1921, non solo avevano i requisiti per essere ' 

considerate acque pubbliche, ma che tali erano, di fatto, ritenute 
dall'Amministrazione, non anche per le acque divenute o 
dichiarate pubbliche in epoca successiva (6). ' 

(Omissis). -Nel merito, i ricorrenti propongono anzitutto 
la seguente questione pregiudiziale: se il lago � Alimini grande � 
e il canale �Lu Strittu � appartengano al demanio idrico interno 
ovvero al demanio marittimo. Essi assumono che i due specchi 
d'acqua -gi� inclusi unitamente al lago � Alimini piccolo o 
Fontanelle�, in un elenco suppletivo di acque pubbliche del 
1951 -siano stati erroneamente classificati, poi, come beni del 
demanio marittimo (con decr�to interministeriale del 22 novembre 
1955) e cancellati dall'elenco suddetto (con D.P.R. 1� febbraio 
1956, n. 1505): donde l'illegittimit� dell'impugnato D.M. 
27 maggio 1960, che ha dichiarato .J'estinzione per decadenza del 
loro diritto di pesca sul presupposto che la relativa domanda 
di riconoscimento avrebbe dovuto essere presentata nel termine 
perentorio stabilito dall'art. 23 T.U. 1931, n. 1604 per i diritti 
di pesca esercitati nelle acque del demanio marittimo. 

L'accennata questione non pu� essere, per�, esaminata e 
decisa in questa sede, n� in via principale, n� in via incidentale. 

Non in via principale e con effetti di giudicato, dato che la 
questione esula dalla speciale competenza dei Tribunali delle acque 
(v. Trib. Sup. Acque, 9 dicembre 1951, n. 22). 

D'altra parte, i ricorrenti non hanno impugnato nei termini 
di legge il citato decreto interministeriale 22 novembre 1955 di 
ricognizione del demanio marittimo e il conseguente D.P. 1� febbraio 
1956 di cancellazione dagli elenchi, n� hanno provveduto 
a notificare il presente gravame a tutte le autorit� che hanno 
concorso all'emanazione di detti provvedimenti: e cio�, oltre 
che ai Ministri per la marina mercantile e per l'Agricoltura e 
Foreste, anche al Ministro per le Finanze (legittimo contraddittore 
nelle controversie relative al demanio marittimo (v. art. 32, 
comma secondo, cod. nav.) e al Ministro per i LL.PP., su proposta 
del quale venne emesso il citato decreto presidenziale. 

Non in via incidentale, ai sensi degli artt. 28 e 30 t.u. delle 
leggi sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924, n. 1054 (e in virt� 
del rinvio generico di cui all'art. 208 t.u. 1933) o ai sensi degli 
artt. 197 t.u. 1933 e 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Ed in


vero, non si tratta nella specie di stabilire se le acque in oggetto 

~r: 

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siano pubbliche o.private, e cio� se esse appartengano ai Tam


...;, 

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PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 

borino a titolo di propriet�, ovvero allo Stato. Detta questione 
fu proposta a suo tempo dal senatore Tamborino, mediante impugnativa 
dell'iscrizione dei due laghi nell'elenco delle acque 
,pubbliche, e venne definitivamente risolta in senso a lui sfavorevole 
con sentenza 28 febbraio-7 aprile 1956 del Tribunale regionale 
delle acque di Napoli, confermata in grado di appello da 
questo Tribunale superiore con sentenza 17 novembre 1956-24 
gennaio 1957 e passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso 
per cassazione con sentenza delle Sezioni unite 27 febbraio-
30 luglio 1958. 

Il carattere pubblico dell'intero complesso idrico� � AliminiFontanelle 
� � ormai fuori discussione. La questione sollevata 
nel presente giudizio verte, invece, sul punto se l' � Alimini grande
� e parte del canale �Lu Strittu � appartengano al demanio 
idrico interno (come era stato, in un primo momento, dichiarato 
con D.P. 7 dicembre 1951) ovvero al demanio marittimo 
(come � stato, poi, accertato con D.M. 22 novembre 1955). Ora 
la soluzioni di tale questione non incide. su diritti soggettivi, 
ma (se mai) su interessi legittimi. Il singolo cittadino non ha 
un diritto subbiettivo perfetto a che un dato bene sia classificato 
nell'una o nell'altra categoria di beni demaniali; le norme 
che fissano i criteri distintivi del demanio idrico e del demanio 
marittimo non sono state dettate dal legislatore per la tutela di 
interessi privati, bens� nell'interesse generale della collettivit�. 
Il privato potr� avere un interesse, indirettamente e occasionalmente 
protetto, alla inclusione di uno specchio d'acqua pubblica 
tra le �acque lacuali�, ai sensi dell'art. 1 t.u. 1933, n. 1775, 
anzich� tra le � acque lagunari � o tra i bacini di acqua salsa 

o salmastra ai sensi dell'art. 28, lett. b) cod. nav. -e ci� ai 
fini delle modalit� di esercizio del diritto di pesca (data la diversa 
regolamentazione della pesca lacuale o fluviale rispetto 
a quella marittima) o, come nella specie, ai fini del procedimento 
e dei termini da osservare per il riconoscimento di tale diritto 
-ma non un diritto perfetto. 
Che si tratti di meri interessi legittimi � stato, del resto, gi� 
affermato nel caso in esame dalla Corte d'appello di Lecce, con 
sentenza 7-25 luglio 1960 non impugnata dagli interessati, che, 
confermando la. sentenza 10 febbraio -11 marzo 1959 del Tribunale 
di Lecce, ha ritenuto appunto improponibile per difetto di 
giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordinaria una azione di 
accertamento neg�tivo proposta dai Tamborino e intesa a far 
dichiarare che le acque in questione non appartengono al demanio 
marittimo, bens� a quello idrico. 

Ci� posto, ne segue che non trovano qui applicazione le 


404 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

norme che attribuiscono agli organi di giustizia amministrativa, 
.e in particolare al Tribunale superiore delle acque, la potest� 
di conoscere incidenter tantum di questioni relative a diritti, 
anche se devolute alla competenza dei Tribunali regionali (art. 
197 t.u. 1933, n. 1775); e tanto meno l'art. 5 della legge sul contenzioso 
amministrativo dettato per la giurisdizione ordinaria, 
non per le giurisdizioni amministrative di legittimit�, e non 
applicabile quindi nell'ambito della tutela degli interessi legittimi. 


Obbiettano i ricorrenti che � i diritti di pesca sono diritti 
soggettivi perfetti � e che il Tribunale superiore, � quando si 
;pronuncia sui ricorsi attinenti a tali diritti e attribuiti alla sua 
giurisdizione, agisce quale giudice dei diritti, non diversamente 
dal giudice ordinario o dal Consiglio di Stato, nella sfera della 
sia giurisdizione esclusiva�. Va, peraltro, osservato che l'antico 
utente di acque pubbliche, nelle more della procedura di riconoscimento, 
trovasi s� in una posizione di diritto (e non di fatto), 
produttiva di conseguenze giuridiche specie nei confronti dei 
terzi, ma non pu� ancora considerarsi titolare di un diritto soggettivo 
perfetto (v. Cass. 13 luglio 1951, n. 1948). E appunto 
per ci� le controversie relative alla decadenza dalla facolt� di 
chiedere il riconoscimento di un antico diritto di pesca -a 
differenza di quelle richiamate nell'art. 140, lett. f) t.u. 1933 e 
che concernono veri e propri diritti -sono state devolute al 
Tribunale superiore, anzich� ai Tribunali regionali. Ma anche 
se nel conoscere di tali controversie il Tribunale Superiore fosse 
giudice dei diritti e non di interessi legittimi, la tesi dei ricorrenti 
dovrebbe� essere ugualmente respinta, dato che il Tribunale 
superiore non ha, in materia di diritti di pesca, giurisdizione 
esclusiva e i suoi poteri di cognizione e decision� non sono 
quelli del giudice civile ordinario, bens� quelli di una giurisdizione 
speciale amministrativa di legittimit� e di annullamento. 

D'altra parte, il decreto interministeriale 22 novembre 1955 

e il D.P. 1� febbraio 1956 non contengono alcun provvedimento 

che abbia come oggetto diretto e specifico il diritto esclusivo 

di pesca vantato dai Tamborino; la qualificazione demaniale da 

essi attribuita all' � Alimini Grande � e allo � Strittu � potr� ave


re rilevanza ai fini del riconoscimento di tale diritto, ma solo in 

via mediata e indiretta, e potr� ledere quindi soltanto interessi 

legittimi: i quali (com'� noto) possono farsi valere esclusiva


mente mediante formali impugnative, da proporsi nei termini 

e nei modi di legge innanzi ai competenti organi di giustizia 

amministrativa. 

E' chiaro, pertanto, che della legittimit� di detti decreti il 


PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 405 

Tribunale superiore non pu� conoscere, neppure in via inciden.
tale, e che l'appartenenza dei due specchi d'acqua a� demanio 
marittimo va considerata nel presente giudizio come un punte;> 
fermo, un dato obbiettivo di fatto, non suscettibile di contestazione. 
-(Omissis). 

TRIBUNALE SUP. ACQUE, 11 marzo 1964, n. 8 -Pres. Celentano 
-Est. Daniele -D'Anna c. Cassa per il Mezzogiorno e 
Prefetto di Napoli. 

Acque pubbliche -Costruzione acquedotti -Giurisdizione dei Tribunali 
delle Acque pubbliche -Limiti. 

(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 140 e 143). 
Espropriazione per pubblica utilit� -Mancata prefissione del termine 
per l'esecuzione delle espropriazioni e dei lavori -Successivo provvedimento 
in sanatoria -Illegittimit�. 

O. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 13). 
Criterio discriminatore della competenza dei Tribunali delle 
acque pubbliche, rispetto al Consiglio di Stato o al giudice �ordinario, 
� quello relativo alla utilizzazione diretta ed immediata 
dell'acqua pubblica'. La costruzione della condotta principale di 
distribuzione di un acquedotto � un'opera che realizza tale immediata 
utilizzazione; mentre la costruzione della rete di distribuzione 
agli utenti pone in essere un'utilizzazione indiretta (1). 

L'indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento delle 
espropriazione deve essere espressa nel provvedimento dichiarativo 
della pubblica utilit�, trattandosi di un elemento essenziale, 
che non pu� essere fissato in atto successivo (2).

,, 

(1) Per larghi richiami, cfr.: Cons Stato, Sez. V, 3 giugno 1961 n. 252, 
Foro it. 1961, III, 163. Secondo gli attuali orientamenti giurisprudenziali, 
la competenza speciale del Trib. Sup. AA.PP., in tema di derivazione di 
acque ad uso potabile e di opere relative alla costruzione degli acquedotti, 
si arresta, quando, compiuta la presa ed eseguite le opere, l'acqua 
viene immessa negli impianti. 
(2) In questa Rassegna (retro, 211, nota 2-3) sono stati richiamati 
i precedenti. Con l'occasione si prospettava il dubbio circa la possibilit� 
di fissare, con atto successivo e con efficacia di sanatoria, i termini 
omessi. 
La decisione, che -a quanto risulta -per prima affronta specificamente 
la questione, nega l'accennata possibilit�; sotto il profilo che 
la fissazione dei termini costitu~sc,~ un elemento essenziale, condizionante 
la stessa giuridica esistenza della dichiarazione di pubblica utilit�. 



400 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

TRIBUNALE SUP. ACQUE, 3 aprile 1964, n. 12 -Pres. Reale Est. 
Giannattasio -Ministero LL.PP. c. Soc. Idr. del Carpino. 

Acque pubbliche -Sovvenzioni per costruzione di nuovi impianti Pretesa 
del concessionario -Natura -Diritto soggettivo -Sovvenzioni 
per ampliamento, potenziamento e ricostruzione di impianti 
gi� esistenti � Pretesa del concessionario -Natura -Interesse 
legittimo. 

(1. 29 maggio 1951 n. 457, art. 1). 
La sovvenzione, prevista nell'art. 1, 1� comma, della legge 
29 maggio 1951, n. 457, per la� costruzione di nuovi impianti 
idroelettrici, d� luogo ad un diritto soggettivo perfetto, mentre 
la sovvenzione, prevista dai successivi commi 2� e 3�, per l'ampliamento, 
potenziamento e ricostruzione degli impianti gi� esistenti, 
d� luogo ad interessi legittimi (1). 

(1) La sentenza 14 dicembre 1962, n. 3364, delle Sezioni unite della 
Cassazione, richiamata nel testo, � riportata in Foro it., 1963, I, 32. Quella 
dello stesso Trib. sup. acque 19 maggio 1960, anche richiamata nel testo, 
� riassunta in Foro it., Rep., 1960, voce acque pubbliche, n. 146. Va ricordato, 
a proposito dell'art. 1 della legge 29 maggio 1951, n. 457, il parere 
del Cons. Stato, Sez. II, 23 maggio 1956, n. 365, (ivi, 1958, voce cit., nn. 
70-71), che ha riconosciuto il diritto alla sovvenzione per tutti i nuovi 
impianti, sia che utilizzi.no acque fluenti, che acque raccolte in serbatoio. 
Nel parere citato, si distingue anche tra sovvenzione concessa a norma 
della legge in esame, e contributo accordato ai sensi dell'art. 73 del t.u. 
11 dicembre 1933, n. 1775. 
Il criterio seguito dal Tribunale Sup. per discriminare tra posizione 
di diritto soggettivo (in rapporto a norma di relazione) e posizione di 
interesse (in rapporto a norma di azione) � accolto correntemente. Per 
una approfondita disamina, cfr.: GUICCIARDI, La giustizia amministativa, 
1943, 31 e ss.; nonch�, in Giur. It., 1949, III, 145; 1951, III, 33 e 66. 

LODO 29 gennaio 1964 (Napoli) -Pres. ed Est. Cesaro -Impresa 
Domenico De Luca c. Istituto Autonomo Case Popolari per 
la Provincia di Napoli e Gestione Case per Lavoratori (interveniente 
adesiva). 

Appalto -Appalto di opera pubblica -Dovere della stazione appaltante 
di cooperare con l'appaltatore per rendere possibile la sua tempestiva 
liberazione -Sussistenza. 

(e.e. ,artt. 1175, 1375). 
Appalto � Appalto di opera pubblica -Novazione del termine contrattuale 
di ultimazione dci lavori � Interpretazione del contratto -Ri




PARTE I, SBZ. Vl, GlURlS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 407 

cerca della comune intenzione dei contraenti -Persistenza della 
responsabilit� della Stazione Appaltante per la protrazione della 
durata dei lavori. 
(e.e., artt. 1321, 1322, 1372, 1362, 1175). 


Nel contratto di appalto di opera pubblica l'Amministrazione 
appaltante � responsabile per la mancata cooperazione 
necessaria per render possibile la tempestiva liberazione dell'appaltatore 
(1). 

Qualora il termine contrattuale di ultimazione� dei lavori 
sia consensualmente sostituito da altro termine, pi� lungo, l'interpretazione 
di tale accordo, con la ricerca della comune inten


(1-2) Per gli appalti privati v. RUBINO,' L'appalto, Torino 1954, 176 e 
segg.; per gli appalti d'opera pubblica nega che si tratti di una vera e propria 
obbligazione CIANFLONE, L'avpalto di opere pubbliche, Milano 1950, 
338 e segg. Contro � la semplicistica tendenza, che talora. si manifesta, 
a voler ricondurre la disciplina giuridica dell'appalto pubblico negli schemi 
del corrispondente contratto di diritto privato� e l'erroneit� dell'indiscriminato 
ricorso in materia di pubblico appalto alle norme di diritto 
privato, che costituiscono, in materia, soltanto una fonte sussidiaria di 
diritto, cui � lecito ricorrere solo in caso di lacune della normazione 
speciale e semprech� la norma sussidiaria non contrasti con i principi 
risultanti dall'ordinamento speciale, v. Relaz. Avvocatura dello Stato, 19421950, 
Roma, 1953, 468 e segg. ed ivi giurisprudenza. 

(1-2) Interpretazione invalidante del contratto? 

In caso di ritardo nel compimento da parte della Stazione appaltante 
dell'attivit� indispensabile per l'inizio o la prosecuzione dei lavori si sostiene 
che l'appaltatore di opera pubblica ha diritto di ottenere un prolungamento 
del termine di ultimazione e si parla, in tal caso, di termine 
suppletivo (CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano 1950, 490; 
CuNEO, Appalti pubblici e privati, Padova 1947, 533). Si � anche ammesso 
il diritto dell'appaltatore ad un compenso per la maggior durata dei 
lavori principali, oltre il termine contrattualmente previsto, in caso di 
ritardo dell'Amministrazione appaltante a provvedere alle opere e provviste 
scorporate (lodo 9 aprile 1953, cit. da BoNORA, Il contratto d'appalto 
di lavori pubblici, Frascati, s.d. (ma 1960, 140 e seg.). Diversa �, invece, 
l'ipotesi di c.d. novazione del termine, consistente nella fissazione consensuale 
di una nuova data in cui l'opera deve essere materialmente 
compiuta. In relazione a tale modifica del contratto d'appalto d'opera 
pubblica, lo svolgimento del rapporto avr� luogo come se il termine di 
ultimazione fosse stato ab initio quello successivamente pattuito, poich� 
esso sostituisce quello originario. Appare ovvia, pertanto, la conseguenza, 
scaturente dalla premessa, che in tal caso l'appaltatore non pu� avanzare 
alcuna pretesa di particolari compensi o indennizzi per il prolungamento 
della durata dei lavori: � qualunque possa essere stata la ragione 
del prolungamento del termine (colpa dell'Amministrazione, colpa 
dell'appaltatore, fatti obiettivi), la consensualit� del prolungamento del 



408 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione dei contraenti, mediante la valutazione del loro comportamento 
complessivo, pu� autorizzare l'interprete a desumere 
dalle ragioni che resero necessario il prolungamento del termine ' 

termine fa s� che nessuna azione possa, in tal caso, farsi valere dall'una 
parte e dall'altra� (CIANFLONE, op cit., 489; CUNEO, op. cit., 534). Trattasi 
non gi� di materia opinabile, ma della ovvia conseguenza giuridica 
di una valida mocj.ificazione consensuale del contratto originario (v., infatti, 
lodo 29 giugno 1939, Giur. oo.pp., 1939, I, 658, in particolare pagg. 
686-687; lodo 3 luglio 1940, Id., 1941, 91; lodo 2 aprile 1955, Id., 1955, 
I, 138 e 143). Sicch�, applicando, su tale premessa, il principio fondamentale 
che l'appaltatore deve compiere tutto ci� e non pi� di tutto ci� 
che si rende necessario per l'esecuzione dell'opera secondo i patti contrattuali 
e le regole d'arte, apparir� un fuor d'opera parlar di indennizzo 

o risarcimento per l'aggravarsi delle spese generali, o, comunque, per le 
conseguenze sfavorevoli derivanti dalla maggiore durata dell'appalto. Non 
v'� � maggiore durata � del rapporto, laddove esso si svolga entro il termine 
contrattuale, sia pure consensualmente � novato �. 
Il lodo arbitrale in esame, dopo aver fatto riferimento ad alcune 
richieste di proroga dell'Impresa alla Stazione appaltante, per l'assunto 
ritardo con cui questa provvedeva all'esecuzione delle opere scorporate 
dall'appalto principale, ha dato atto che l'Impresa, successivamente, addivenne 
alla stipulazione con l'Istituto di vari atti aggiuntivi, con i quali, 
oltre alla modifica oggettiva del contratto (esecuzione di parte delle opere 
scorporate; retribuzione di lavori a misura anzich� a corpo, come originariamente 
pattuito; prezzi nuovi), consentiva alla novazione del relativo 
termine di ultimazione dei lavori, che veniva complessivamente 
prolungato di altri 14 mesi. Esso, infatti, ha qualificato � innegabile il collegamento 
funzionale dei vari atti di sottomissione rispetto a quello 
originario � e ritenuto per certo che � i nuovi termini di consegna si 
aggiunsero al primo, nel senso di costituire tutti insieme un termine 
unico, finale, di adempimento �. Ci� stante, ci si sarebbe aspettato il 
rigetto delle domande dell'Impresa, in quanto fondate su una pretesa 
colpa dell'Istituto appaltante nel prolungamento dell'originario termine 
di esecuzione dei lavori, prolungamento, che, viceversa, era stato, come 
s'� visto, liberamente pattuito. Senonch�, il lodo � pervenuto a diversa 
conclusione, affermando che non basta riferirsi all'esistema dell'accordo 
di proroga del termine, perch� cos� facendo si descriverebbe il fenomeno 
� dal punto di vista estrinseco e formale �, mentre il problema 
� invece � diverso, � di struttura, interessando le cause della protrazione 
del termine originario �. Sembra giusto chiedersi, per�, a questo punto, 
quale interesse e rilevanza potevano e dovevano avere le cause che diedero 
luogo ai vari contratti di protrazione del termine, una volta che tali 
contratti esistevano e non ne era stata contestata la validit�, onde essi 
dovevano avere � forza di legge tra le parti � (art. 1372 e.e.). Poich� la 
liberazione dell'Impresa era regolarmente seguita, in relazione al nuovo 
termine di ultimazione, non si vede come potesse ancora parlarsi di 
colpa della Stazione appaltante, la quale, secondo il lodo, non avrebbe, 
tuttavia, impedito che la durata dei lavori � anzi che nei tredici mesi 
prefissi, si fosse irragionevolmente protratta, invece, rispetto al termine 
contrattuale originario, di mesi quattordici, come � infatti avvenuto�. 
Non pare potesse qualificarsi � irragionevole � una protrazione libera




PARTE I, SEZ. VI, G!URIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 409 

una fonte di persistente responsabilit� dell'Amministrazione, per 
la mancata, tempestiva liberazione dell'appaltatore, con riferimento 
al termine contrattuale originario (2). 

mente pattuita. Ch�, anzi, se la Stazione appaltante la avesse, poi, impedita, 
avrebbe, precisamente, violato i patti, mentre, dire che avrebbe dovuto 
impedirla prima, significa sostenere che avrebbe dovuto addirittura 
impedire all'Impresa... di contrattarla. Ma il lodo appare criticabile 
sotto ulteriori profili. Sembra, infatti, pacifico che l'interpretazione di 
un contratto serve a stabilirne il contenuto, non gi� ad invalidarlo, poich� 
� non �... funzione dell'interprete, ma compito della prova, a sostegno 
di una eventuale azione di impugnativa per vizio della volont�, di ricostruire 
la reale volont� � dell'autore (BETTI, Teoria generale del negozio 
giuridico, Torino 1943, 202). Pure consolidato � il principio che � l'applicazione 
del criterio di ermeneutica previsto dal capoverso dell'art. 1362 

e.e. ha per presupposto che l'interpretazione delle clausole pattizie, 
nel loro significato letterale, logico o sistematico, non fornisca da 
sola gli elementi indispensabili al fine di intenderne il contenuto effettivo
� (Cass., 29 agosto 1963, n. 2379, Giur. it., Mass. 1963, 809; v. anche 
Cass., 14 settembre 1963, n. 2520, Ivi, 857; Cass, 8 febbraio 1964, n. 290, 
Id., 1964, 88). Invece il lodo annotato, rifacendosi alle rimostranze della 
Impresa, di cui si � accennato, superate ed assorbite dagli atti aggiuntivi 
(cfr. lodo 17 maggio 1939, Giur. oo.pp., 1939, I, 570) e nonostante il 
chiaro significato letterale e logico delle clausole di protrazione del ter� 
mine dell'appalto in questi contenute, ha �ffermato che la comune intenzione 
delle parti fu quella di non ritenere � preclusa ogni doglianza �. 
Ora, anche a prescindere dall'irrilevanza attribuita, nella specie, alle clausole 
di rinunzia ad eccezioni e riserve, pur sottoscritte dall'Impresa con 
i cennati atti, in quanto, secondo il lodo, �predisposte dall'Amministrazione 
ed ispirate alle proprie esigenze burocratiche � (?), sembra lecito 
chiedersi: come � possibile che la comune intenzione di reiterati patti 
di novazione del termine contrattuale di esecuzione dei lavori fosse 
animus novandi ed in pari tempo volont� di lasciar sopravvivere gli effetti 
del termine originario, di guisa che la protrazione, pur pattuita, potesse 
poi considerarsi ugualmente irragionevole ed imputabile a colpa di una 
delle parti contraenti? Si sarebbe pattuito, allora, un riconoscimento di 
colpa e di responsabilit� della stazione appaltante? Strana intenzione 
comune dei contraenti quella, che, invece di integrare la fattispecie della 
dichiarazione, si ritorce contro di essa e le toglie valore! 
Sarebbe come se la Stazione appaltante e l'Impresa avessero vol�-to 
e disvoluto al tempo stesso, nonostante � la contradizion che noi consente 
�. Ma quale comportamento della Stazione appaltante autorizzava, 
in ogni caso, il Collegio arbitrale a ritenere � comw1e � un'intenzione, 
che appare piuttosto come una riserva mentale dell'Impresa appaltatrice? 
Cos�, in definitiva, il Collegio ha invalidato dei contratti, pur 
senza esserne stato ritualmente richiesto e senza avere avuto la prova 
della sussistenza di una rilevante causa di invalidit� dei medesimi (ed anzi 
disponendo di tutti gli elementi per inferirne che l'Impresa li stipul� 
ed esegu� con sdenza e volont�), ma soltanto... per via di interpretazione. 

FRANCO CARUSI 



410 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

LODO 15 febbraio 1964, n. 6 (Roma) -Pres. Trotta -Impresa 
Bentivoglio c. Ministero LL.PP. e I.A.C.P. per la Provincia 
di Brescia. 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Costruzione di alloggi per pr�fughi 
-Rapporto instaurato tra Stato e Istituti Autonomi Case ~opolari 
-Natura: delegazione amministrativa -Contratto di appalto stipulato 
dagli Istituti -Controversie -Legittimazione passiva dello 
Stato. ;I i 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Esecuzione dei lavori -Riserve 
� -Termine ~ Inosservanza -Effetti. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 53, 54). 
Il rapporto instaurato, ai sensi dell'art. 18, l. 4 marzo 1952, 

n. 137, tra l'Amministrazione dei LL.PP., che ha il compito di 
costruire alloggi per la sistemazione dei profughi, e gli Istituti 
provinciali autonomi delle Case Popolari, cui � affidato l'incarico 
di eseguire la costruzione in nome e per conto dello Stato, 
consiste in una delegazione amministrativa, con la conseguenza 
che l'Amministrazione suddetta � legittimata passivamente alle 
liti promosse dalle imprese appaltatrici, ancorch� il contratto di 
appalto sia stato stipulato direttamente degli Istituti (1). 
(1) La massima e m netto contrasto con il consolidato insegnamento 
della Corte Suprema a Sezioni Unite (11 ottobre 1963, n. 2711, Giust. 
civ., 1963, Mass. Cass., 1271, 20 gennaio 1964, n. 128, Giur. it. 1'964, Mass., 
43), che nell'ipotesi del tutto analoga di lavori previsti dalla legge 
9 agosto 1954, n. 640, ha escluso la possibilit� di utilizzare le nozioni 
privatistiche del mandato e della rappresentanza, per la delega amministrativa 
intersoggettiva. Questa, rispondendo ad esigenze di decentramento, 
e mirando a realizzare una semplificazione o riduzione, sotto il 
profilo strutturale e funzionale, dell'organizzazione amministrativa e 
delle dimensioni dell'ente delegante, pone il delegato -nei limiti della 
delega e per la sua durata -in una posizione pari a quella del delegante; 
il quale viene a trovarsi, rispetto agli atti di esecuzione della 
delega, nella posizione di soggetto investito di funzioni di controllo. 
Ci� comporta, di regola, e salvo che l'atto di conferimento non disponga 
altrimenti in modo esplicito, che il delegato provvede all'oggetto della 
delega in nome proprio, e non in veste di rappresentante del delegante; 
e che nei confronti di terzi � direttamente responsabile, senza che in 
contrario possano avere rilievo le eventuali ripercussioni degli atti 
posti in essere in esecuzione della delega, nell'ambito del rapporto (interno) 
con il delegante. 
In dottrina, cfr.: FRANCHINI, La delegazione amministrativa, Mila 
no, 1950. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 411 

La mancata iscrizione delle riserve nei modi e termini previsti 
dall'art. 54 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, non comporta la 
loro nullit� o in.validit�, riguardando dette prescrizioni esclusivamente 
l'accertamento dei fatti (2). 

(Omissis). -L'Amministrazione dei LL.PP., a mezzo dell'Avvocatura 
Generale dello Stato, eccepisce, in via pregiudiziale, 
il difetto di legittimazione ;passiva nei suoi confronti, assumendo 
che il rapporto si era esclusivamente costituito tra 
l'Impresa Bentivoglio e l'Istituto Autonomo delle Case Popolari 
di Brescia, onde il Ministero dei LL.PP., dovendosi ritenere estraneo 
a un siffatto rapporto, dovrebbe essere estromesso dal giudizio. 


Sostiene, a .tal uopo, l'Amministrazione, che i lavori dei quali 
si discute erano stati finanziati ai sensi della legge 4 marzo 1952, 

n. 137, e, quindi, affidati in concessione al predetto Istituto, onde 
gli alloggi costruiti, di propriet� dello Stato, erano stati, dopo 
il collaudo, trasferiti in gestione all'Istituto medesimo, che soddi(
2 La massima risulta difforme anche dalla pi� benevola interpretazione 
delle norme in materia. E' noto, che, nei pubblici appalti, le richieste 
dell'appaltatore sono subordinate all'osservanza di rigorose formalit�, 
non solo per il modo ed il luogo di formulazione, ma specialmente 
per il tempo nel quale devono essere avanzate. Infatti, corrisponde 
non solo all'esigenza dell'esatto ed aggiornato calcolo degli oneri 
derivanti dall'appalto (al fine di rimanere nei limiti dello stanziamento); 
ma principalmente alla necessit� di immediati controlli (in relazione all'acquisizione 
di elementi di fatto a prova o contro le richieste dell'app�ltatore), 
che le stesse debbano essere avanzate subito dopo l'inserzione in 
contabilit� delle partite di lavoro alle quali si riferiscono (art. 53 e 54 del 
regolamento del 1895). Ad esempio, � evidente che, a distanza di tempo, 
non � pi� possibile controllare in quali condizioni fosse un terreno all'atto 
dell'apertura di uno scavo; in qual modo sia stato esso eseguito; in 
che condizioni di imbibizione fossero le terre trasportate a rifiuto. Si 
tratta di circostanze da accertare durante Io scavo; e per le quali una 
dimostrazione a distanza di tempo � del tutto impossibile, specie se 
affidata alla labile memoria di testimoni: appunto a questo fine, l'art. 54 
del regolamento 25 maggio 1985, n. 350, dispone che, se l'appaltatore non 
abbia formulato riserve, i fatti registrati si intendono accertati, con 
decadenza dal diritto di far valere in seguito domande che ad essi si 
riferiscano. 

In sede arbitrale si � ripetutamente tentato di superare tale preclusione, 
facendo riferimento al concetto dei fatti continuativi, che cio� 
durano nel tempo o i cui effetti si protraggono nel tempo. Per�, la portata 
e l'estensione dell'espressione sono state giustamente definite e circoscritte 
sulla scorta dei seguenti principi: a) il fatto continuativo deve 
essere del tutto indipendente dalle singole partite di lavoro, via via 
iscritte in contabilit�, e deve investire l'appalto nel suo complesso, in 
quanto afferente alla generalit� dell'opera; b) per questa ragione, la 



412 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sfaceva cos� ad una sua istituzionale funzione; nel che, appunto, 
si concreterebbe la differenza fra i due istituti, che integrano il 
caso tipico di sostituzione con trasferimento at sostituto di popoteri 
propri del sostituito: perci� in entrambi i casi il sostituto 
agirebbe per soddisfare in via principale un 'interesse pubblico 
del sostituito, ma il concessionario sarebbe, altres�, titolare di 
interesse proprio, concorrente, e spesso coincidente, con quello 
del concedente, il che non si verificherebbe per il delgato. 

Siffatta eccezione � priva di fondamento giuridico. Come risulta 
dalla documentazione prodotta, il Ministero dei LL.PP., con 
nota 8801 del 22 dicembre 1952, ha affidato all'Istituto Autonomo 
delle Case Popolari della Provincia di Brescia, in applicazione della 
legge 4 marzo 1952, n. 137, l'incarico per la costruzione, in 
Brescia, in nome e per delega dello stesso Ministero dei LL.PP., 
di alloggi destinati ai pr9Jughi, per l'importo di L. 247.600.000. 
Il progetto, redatto-dall'Istituto in data 18 novembre 1954, � 
stato ritenuto ammissibile dal Consiglio Superiore dei LL.PP. 
e il Ministero, con nota 3597 del 27 aprile 1955, ha autorizzato 
il suddetto Istituto ad esperire, in nome e per conto del Ministero 
medesimo, la licitazione privata per l'appalto dei lavori, 
previo adempimento degli incombenti indicati dal cennato Con


nota, che in proposita caratterizza le pretese dell'appaltatore, � che le 
stesse si riferiscano a fatti non registrati, o a fatti che non sono destinati 
ad essere iscritti in contabilit�. Perci�, pi� rettamente, si usa dire 
cl;ie trattasi di pretese di carattere generale; c) qualora in contabilit� 
esistano annotazioni di partite di lavoro, alle quali si riferisce un fatto 
continuativo, o sulle quali il fatto continuativo si ripercuote, l'appaltatore 
non � dispensato dall'onere della tempestiva riserva, ma soltanto 
dall'obbligo di determinare il compenso: infatti, la dispensa da un onere 
non pu� andare oltre la ragione che la giustifica (cfr. CIANFLONE, L'appalto 
di oo. pp., 1957, 787 e ss.; e la giurisprudenza richiamata, ivi, nelle 
note nn. 22, 23, 24, 25, 26 e 27. Cfr. pure: lodo n. 56 del 30 giugno 1960, 
Acque, ecc., 1961, 268; dolo n. 9 del 1959, ivi, 1960, 189, secondo cui: 
� tenuti fermi i dati di fatto iscritti in contabilit� e non contestati, 
(pu�) l'appaltatore dedurre quelle richieste che, o attengano all'interpretazione 
del contratto, fermi restando i fatti quali risultano dai registri 
di contabilit�, o si riferiscano a fatti che nei registri non. vanno 

o non sono stati iscritti o descritti�; lodo 7 dicembre 1958, ivi, 1959, 
312; lodo n. 21 del 1� luglio 1956, ivi, 1958, 438, secondo cui il principio 
della preclusione della riserva, non trova applicazione: �a) quando i 
documenti contabili non consentano all'appaltatore di verificare a quali 
lavori si riferiscano le annotazioni e misurazioni; b) quando la richiesta 
dell'impresa si fondi su fatti nuovi, sopravvenuti dopo la firma del libretto 
delle misure o dopo la chiusura del conto finale, ovvero su fatti 
del tutto indipendenti dalle singole partite di lavoro allibrate, e relativi 
all'andamento complessivo dell'appalto: c. d. riserve di carattere generale)
�. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI AA. PP., APPALTI E FORNITURE 413 

siglio Superiore dei LL.PP. in ordine al perfezionamento del progetto. 


Consegue, da quanto esposto, che l'Istituto agiva nel nome e 
per conto del Ministero dei LL.PP., tanto vero che il contratto di 
appalto era stato stipulato dall'Istituto medesimo in� rappresentenza 
del Ministero, onde i rapporti derivanti dal contratto 
anzidetto si erano stabiliti tra l'Impresa appaltatrice e la 
Stazione appaltante, costituita dal Ministero, rappresentato, 
per l'occasione, dall'Istituto dinanzi cennato. Di conseguenza, 
� da escludere l'estraneit� dell'Amministrazione al contratto 
di appalto e quindi la sua estraneit� alla clausola compromissoria 
ed il difetto di giurisdizione nei suoi confronti di questo 
Collegio arbitrale. 

Non pu�, pertanto, il Ministero dei LL.PP. essere estromesso 
dal presente giudizio; poich�, nella specie, ricorre rapporto 
di delega, per l'intervento diretto del delegato nello svolgimento 
dei lavori, appaltati in nome e per conto del delegante, 
secondo il potere conferito con la delega di sostituirsi 
alla Stazione appaltante, il che comporta una diretta partecipazione 
di quest'ultima alla clausola compromissoria, onde la 
legittimazione passiva del Ministero dei LL.PP. non pu� essere 
posta in dubbio, tanto pi� che il medesimo esercitava un continuo 
ed assiduo controllo sullo svolgimento dei lavori a mezzo 
dei propri organi qualificati, per soddisfare un interesse 
pubblico diretto; e, d'altra parte, in virt� della cennata legge 
del 1952, le case vennero costruite a totale carico dello Stato, 
che le diede poi in gestione all'Istituto di Brescia. 

Deve essere, invece, estromesso dal giudizio, perch� estraneo 
al rapporto contrattuale, il suddetto Istituto, che non deve 
.ritenersi, per quanto esposto, legittimato passivamente. 

La stessa Amministrazione dei LL.PP., anche in via pregiudiziale, 
eccepisce la inammissibilit� delle riserve formulate 
dall'Impresa Bentivoglio, perch� sarebbero state sollevate tardivamente, 
oltre i termini stabiliti dall'art. 54 del regolamento 
25 maggio 1895, n. 350. L'Impresa, infatti, non solo avrebbe 
liberamente sottoscritto il contratto di appalto del 2 maggio 
1956, ma avrebbe anche sottoscritto senza riserva per ben 
otto volte il registro di contabilit�, dopo che erano intervenuti 
i fatti sui quali la stessa Impresa fonda le sue pretese. 

Anche tale eccezione � infondata. 

E' vero che l'art. 54 sopra cennato prescrive che le riserve 
vanno annotate di volta in volta, allorch� il registro viene 
sottoposto all'appaltatore, tanto vero che il successivo artico



414 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lo 64 stabilisce che non possono avanzarsi nello stato :finale 
riserve diverse da quelle segnalate in precedenza ,ai sensi dello 
stesso art. 54; ma � anche vero che quando le riserve non vengono 
avanzate tempestivamente, l'inosservanza di tale prescrizione 
non comporta la nullit� o la invalidit� delle riserve stesse 
sollevate all'atto della firma del registro di contabilit�, non 
essendo tale invalidit� o nullit� prevista o comminata da alcuna 
disposizione di legge, e tanto meno dalle disposizione normative 
del Regolamento dianzi menzionato. Pertanto, le riserve 
formulate dall'Impresa Bentivoglio, sia pure tardivamente 
rispetto alla prescrizione stabilita dal cennato art. 54, sono valide 
ed efficaci, e come tali possono essere esaminate nel merito, 
tanto pi� che esse sono stat� deferite all'esame preventivo 
degli organi amministrativi, i quali, presa visione degli 
atti e dei rilievi fatti, hanno prospettato le relative osservazioni 
e dedotte le conclusioni in merito. 

N� ha rilievo la circostanza, per nulla saliente ai fini della 
questione in esam�, che l'Impresa, qualora, nel termine stabiliro 
dal Regolamento non specifichi il contenuto delle riserve 
fatte al momento dalla firma del registro di contabilit�, decade 
dal diritto di far valere ulteriormente le riserve stesse, in quanto 
tale particolare disciplina si riferisce esclusivamente ed uni.
camente all'accertament.o dei fatti, i quali, pertanto, si ritengono 
come gi� acquisiti e certi, se le contestazioni e le relative 
riserve non vengono specificate nel termine anzidetto. Tutto 
ci� non pu� determinare alcuna preclusione in ordine alla fattispecie 
in esame, poich�, come si � gi� precisato, il fatto che 
.l'Impresa non abbia formulato le riserve volta per volta non 
impedisce che la medesima possa avanzare -tali riserve in un 
momento successivo e prima del collaudo delle opere eseguite; 
come � accaduto nella specie. -(Omissis). 

LODO 24 febbraio 1964, n. 11 (Roma) -Pres. ed Est. Granata -
Impresa Martinez c. Ministero P .I. e Gestione case per 
lavoratori. 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Maggior durata dei lavori -Mancanza 
di colpa del committente e dell'appaltatore -lndennizzabilit�. 
(cc., art. 1664, II comma). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Maggior durata dei lavori -Indennizzo 
all'impresa per minore redditivit� dell'appalto -Non � 
dovuto. 

Iti 

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. .

l 



PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA.DI AA. PP., APPALTI E FORNITORI> 415 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Maggior durati dei lavori -Natura 
degli indennizzi dovuti all'impresa. 

Nel caso di ritardo nell'esecuzione dei lavori, se risulti esclusa 
la colpa del committente e il ritardo non sia riferibile al 
comportamento dell'Impresa, alla stessa spetta un indennizzo 
a norma dell'art. 1664, 2� comma, e.e. Ci� anche fuori delle ipotesi 
espressamente previste in tale norma; in forza di interpretazione 
estensiva ed in omaggio al principio della sopravvenienza, 
consacrato in detto articolo (1). 

Negli appalti di opere edilizie, il ritardo non incide in via 
autonoma sulla redditivit� del contratto, in mancanza di necessit� 
tecniche che impongano un determinato e costante ritmo 
produttivo (2). 

Negli stessi, il maggior onere dipendente dal ritardo nella 
esecuzione dei lavori � rappresentato dal maggior dispendio per 
spese generali continuative, dal protratto immobilizzo dei mezzi 
di opera, dell'eventuale, protratta esposizione finanziaria e 
dalla pro�rastinazione nella liberazione della rata di saldo (3). 

(Omissis). -E' certamente indiscutibile che, quando la 
maggior durata de� lavori sia stata cagionata da un comportamento 
colposo (e, quindi, illecito) del committente, questi � 
tenuto all'integrale risarcimento del danno, sotto il profilo dei 
danni emergenti e del lucro cessante. 

Tale responsabilit�, infatti, derivante dalla violazione del


(1) Sulla inapplicabilit�, nei pubblici appalti, del I comma dell'art. 
1664 e.e. non esiste dissenso (cfr. CIANFLONE, L'appalto di oo.pp., 
1957, 664). Ci�, pi� che per il principio dell'invariabilit� del prezzo, per 
essere la materia revisionale compiutamente regolata dalla legislazione 
speciale, sia nei supposti e nei limiti, che nelle forme e nei mezzi di 
tutela. Anzi, pu� aggiungersi, che proprio dalla revisione dei prezzi 
negli appalti .pubblici, � stato riportato nell'ordinamento giuridico la 
clausola rebus sic stantibus ripudiata dal codice del 1865, ed ispira� 
t_rice degli istituti basati sulla sopravvenienza nel codice in vigore ( cfr.: 
Cass., 10 luglio 1952, n. 2116, Giur. it., 1953, I, l, 720). 
. La giurisprudenza arbitrale costantemente riconosce l'applicabilit�, 
invece, del II comma dell'art. 1664 e.e. (cfr.: CIANFLONE, op. cit., 436). 
L'indirizzo non sembra da, ~pprovare, quanto meno senza il conforto di 
una approfondita indagine, fin d'ora non consentita dalle note limita 
zioni alle azioni di impugnazione dei lodi, imposte dall'abrogato capi� 
tolato generale. Infatti, anche qui, la speciale legislazione sui lavori 
pubblici appresta i rimedi per ovviare alle situazioni previste nella 
norma accennata; consentendo gli artt. 21 e 22 del regolamento 25 maggio 
1859, n. 350, la formazione di nuovi prezzi, per �specie di lavoro� non 
previste � in contratto �; ed essendo evidente, che le difficolt� esecutive 
di cui alla norma ripetuta, se non trovano possibilit� di compenso 



416 

RASSEGNA DELI.'AVVQCATURA DELLO STATO 

l'obbligo di cooperazione, che ha non soltanto un contenuto positivo 
(compimento degli atti necessari per porre in grado l'appaltatore 
di ultimare tempestivamente i lavori), ma anche un 
contenuto negativo (astensione dagli atti che possono ritardare 

o comunque i;ntralciare l'attivit� dovuta dall'appaltatore), costituisce 
applicazione dei principi generali in materia di responsabilit� 
contrattuale; � evidente, quindi, che in tali casi gli oneri 
derivati dalla maggior durata dei lavori debbano restare a carico 
del soggetto che vi ha dato causa con il suo comportamento 
antigiuridico. 
Ci� non comporta, peraltro, che l'indennizzo per la maggior 
durata dei lavori possa essere riconosciuto all'appaltatore solo 
nei casi di accertata colpa della Stazione appaltante. 

Vero invece che, quando il ritardo sia stato cagionato dal 
fatto del committente (come nella specie), si pone, indipendentemente 
dall'accertamento della colpa, il problema se l'incidenza 
della causa di maggiore onerosit�, sopravvenuta in corso del1'
opera, debba rimanere a carico dell'appaltatore, o non debba 
piuttosto riconoscersi, anche in questa ipotesi, rilevanza giuridica 
al concetto della sopravvenienza considerato dall'articolo 
1664, secondo comma e.e. 

Orbene, nei casi in esame (escluse, beninteso, le ipotesi di 
colpa dell'appaltatore), si impone la seconda alternativa, dovendosi 
riconoscere l'esistenza della medesima �ratio juris � cui � 
da rapportarsi detta norma, secondo la quale, se nel corso del-

nelle voci di tariffa, necessariamente si risolvono in una �spede di 
lavoro non prevista �. In sostanza: come � esatto che il primo comma 
dell'art. 1664 e.e. ipotizza una situazione giuridica, che � regolata dalla 
legislazione speciale; cos� deve riconoscersi, che questa consente la 
diretta ed autonoma disciplina dei casi previsti nel secondo comma. Ditalch�, 
per identit� di ragione, anche di quest'ultima norma dovrebbe 
essere esclusa l'applicabilit� negli appalti pubblici. 

Di particolare interesse risulta, poi, l'affermazione secondo cui la 
previsione legislativa non sarebbe limitata alle sole cause naturali o 
obbiettive (in questo senso, invece: CIANFLONE, op. cit. 436); ma comprenderebbe 
tutte le cause, comunque estranee ad entrambe le parti, 
e -quindi -anche il fatto del terzo. Tale opinione � sostenuta dal 
RUBINO (L'appalto, 1958, 503),, ma -per quanto risulta -non � giunta 
ancora al controllo della Cassazione. 

(2-3) La massima � di specie, e risponde a principi di ovvia evidenza. 
Anche se una situazione di inadempienza consente di ipotizzare, in 
astratto, l'esistenza di un danno; l'accertamento in concreto non pu� 
essere effettuato che in stretta relazione con le specifiche modalit� della 
prestazione. 

La puntualizzazione delle voci di danno, risultante dalla terza massima, 
risulta anch'essa del tutto esatta. 


PARTE I, SEZ. VI, GIUR. IN MATERIA DI AA. PP. APPALTI E FORNITURE 

417 

l'opera si manifestano difficolt� d'esecuzione derivanti da cause 

geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che ren


dono notevolmente pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore, 

questi ha diritto ad un equo compenso. 

Invero, se la legge riconosce rilevanza giuridica ad una so


pravvenienza dipendente da causa estranea ad ambedue le parti 

contraenti, attribuendo per essa un equo compenso all'appalta


tore, non � lecito poi in sede interpretativa negare rilevanza allo 

stesso evento dannoso, nel caso che esso sia stato determinato 

da causa, estranea bens� all'appaltatore, ma rapportabile al fatto, 

per quanto non colposo, del committente. 

Non pu� infatti applicarsi al committente un trattamento 

giuridico pi� favorevole di quello previsto nel succitato articolo 

per causa estranea ad entrambe le parti, quando in concreto i 

maggiori oneri risentiti dall'appaltatore siano stati causati dal 

fatto del committente stesso. 

Non pu� sostenersi che con ci� si contravvenga al divieto 

della interpretazione analogica per le norme eccezionali, giacch�, 
. a parte la considerazione che l'articolo 1664 e.e. costituisce una 
mera applicazione del principio generale della sopravvenienza, 
nella specie non trattasi di analogia, ma di interpretazione estensiva, 
che � consentita, come � noto, anche per le norme ecce� 


zionali. 

In tali sensi, del resto, si � ormai consolidata la giurispru


denza dei collegi arbitrali, con conseguente enunciazione del prin


cipio, secondo cui � sufficiente che la maggiore durata dei lavori 

non sia stata determinata da fatto imputabile all'Impresa, bens� 

da causa ad essa estranea, come nella specie, perch� si realizzi 

una sopravvenienza, idonea a giustificare l'attribuzione di un 

indennizzo per i maggiori oneri dall'Impresa stessa incontrati; 

n� questo Collegio, sulla base dei principi suenunciati, trova 

ora ragione per andare in contrario avviso. 

Procedendo, quindi, all'esame dei singoli indennizzi richiesti 

dall'Impresa per la detta protrazione dei lavori, il Collegio os


serva che nessuna somma pu� essere riconosciuta, per l'aggravio 

relativo alla � minore redditivit� dell'appalto �. 

Invero, s'econdo i dati tecnici di comune esperienza, convali


dati dalla costante giurisprudenza arbitrale, mentre i maggiori 

oneri derivanti dalla protrazione dei lavori si compendiano in 

altri elementi (che saranno esaminati in appresso, in riferimento 

agli� altri quesiti), deve escludersi, per gli appalti di opere di 

edilizia, una incidenza propria ed autonoma del ritardo sulla 

redditivit� dell'appalto. 

Il fattore temporale, difatti, pu� incidere direttamente sulla 



418 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

redditivit� solo nelle aziende che devono adeguarsi per necessit� 

tecniche a determinati e costanti ritmi produttivi, ma non gi� 

nelle aziende edili per le quali, in mancanza dei summenzionati 

elementi, non � ravvisabile la correlazione fra la causa e l'asse


rito effetto; 1e ci� trova conferma nella considerazione che l'Im


presa, a parte la generica deduzione della necessit� di un armo. 
nico temperamento tra l'utile marginale sul corrispettivo e la 
durata dell'impegno necessario a conseguirlo, non ha dedotto, 
al riguardo, concreti e specifici elementi dimostrativi. 

Vero �, invece, che per gli appalti di opere di edilizia il 

maggior onere dell'Impresa per la protrazione dei lavori si com


pendia nei seguenti elementi : J) nel maggior dispendio inerente 

alle spese generali continuative, erogate in pi� durante il periodo 

di protrazione; 2) nell'onere inerente al protratto immobilizzo di 

mezzi d'opera; 3) negli effetti negativi della protratta esposizione 

:finanziaria; 4) nella procrastinazione della liberazione della rata 

di saldo (decimi di garanzia), per il tempo corrispondente alla 

protrazione dei lavori: 

Procedendo quindi alla valutazione del � quantum � da attri


buirsi per la prima causale, il Collegio rileva che non pu� essere, 

nella fattispecie, adottato il criterio di determinazione proposto 

dall'Impresa, basato sulla nozione di comune esperienza, secondo 

cui l'importo delle spese generali continuative va ragguagliato 

normalmente all'8 per cento del prezzo di appalto depurato del


l'utile. 

Tale criterio, infatti, se pu� ritenersi accettabile per la sua 

approssimazione alla realt� economica, nei casi in cui la protra


zione dei lavori imponga il mantenimento dei cantieri in totale 

o pressocch� completo esercizio, per le opere fondamentali, risulta 
� del tutto inadeguato in riferimento a situazioni che impongono 
soltanto, come nella specie, il mantenimento di un cantiere che 
assorbe una assai ridotta attivit� lavorativa, in riferimento alla 
natura e alla entit� delle opere da eseguirsi. 

E che tale fosse, nel periodo di protrazione dei lavori oltre 
il termine, la situazione dei cantieri del Martinez si evince dagli 
stati di avanzamento e dalle precisazioni rese al riguardo dal 
consulente, secondo le quali nel periodo in esame la maggiot 
parte del lavoro da eseguirsi aveva carattere accessorio e si riferiva 
a finiture interne. -(Omissis). 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZJONE, Sez. III, 12 marzo 1962, n. 3183 -
Pres. Loschiavo -Est. Giorgioni -P.M. Dettori (conf.). -Rie. 
AreJ:?.a Filippo p.c. O.N.I.G. 

Lavoro -Invalidi di guerra -Assunzione obbligatoria al lavoro Facolt� 
di accertamento della qualifica del Iavorafore e del grado 
di capacit� lavorativa da parte del datore di lavoro -Insussistenza. 

I datori di lavoro non hanno facolt� di rifiutare l'assunzione 
ove ritengano che la qualifica del lavoratore ed il residuo grado 
della sua capacit� lavorativa non siano tali, nel loro soggettivo 
apprezzamento, da rendere conveniente per essi l'assunzione (1). 

(1) Con sentenza 12 marzo 1962, pronunziata in esito a giudizio conseguente 
ad opposizione a decreto penale di condanna, il Pretore di 
Messina ritenne la colpevolezza dell'imputato, per la contravvenzione 
di cui agli artt. 14 e 22 della 1. 3 giugno 1950, n. 375, per non avere assunto 
un invalido di guerra, segnalato dall'Opera Nazionale. Invalidi 
di Guerra (ONIG). 
Assumeva l'imputato che l'Ente avrebbe dovuto previamente indicare 
la qualifica del lavoratore ed il grado della sua capacit� lavorativa. 


Dinanzi la Corte Suprema, l'imputato prospett� la non punibilit� 
(art. 51 C. P.), assumendo l'illegittimit� dell'ordine di assunzione, in 
quanto in esso non erano precisati la qualifica ed i limiti della residua 
capacit� lavorativa dell'invalido. Ma il Supremo Collegio, con la sentenza 
che si annota, respinse il ricorso, enunciando la massima sopra 
riferita, cui va prestata adesione. 

E. infatti, la legge (art. 14, comma 1�), dispone che �tutti i privati 
datori di lavoro, i quali abbiano alle loro dipendenze, come operai od 
impiegati, pi� di dieci persone... sono tenuti ad occupare, nella proporzione 
del 6%, invalidi di guerra di cui all'art. l della presente legge, e, 
nella proporzione del 2,50%, invalidi di cui all'art. 2 �; la stessa legge 
(art. 5) dispone che �presso le rappresentanze provinciali dell'Opera 
Nazionale per gli invalidi di guerra sar� formato, per ciascuna delle categorie 
di invalidi previste dagli artt. 1 e 2 della presente legge, un ruolo 
provinciale di invalidi aspiranti al collocamento come impiegati, come 
personale subalterno e come operai presso le Amministrazioni puobliche 
o presso i privati datori di lavoro�; e l'art. 2 d. P. R. 18 giugno 
1952, n. 1176 (Regolamento per l'assunzione obbligatoria al lavoro degli 
invalidi di guerra) dispone che � nell'ambito delle categorie professionali 
previsti dall'art. 5 della legge, gli invalidi aspiranti al cc;i~lq

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

camento saranno iscritti nei relativi ruoli, distinguendoli per sesso, 
per settore di produzione, per qualifica e per specializzazione. Le di


stinzioni di cui sopra hanno mero valore indicativo, ai fini di una oculata 
selezione dei minorati collocabili, in rapporto alle occupazioni cui il 
datore di lavoro intende destinarli. E, pertanto, il datore di lavoro � 
tenuto a far luogo alle assunzioni di legge, anche indipendentemente 
dalle distinzioni predette ... �. 

Da tali disposizioni discende che, per legge, � posto a carico del 
datore di lavoro l'obbligo, puro e semplice, di assunzione di una certa 
percentuale di invalidi di guerra, e tale obbligo non � condizionato in 
alcun modo n� dalla qualifica del lavoratore n� da un particolare grado 
di capacit� lavorativa: con la duplice conseguenza che n� il datore 
di lavoro pu� rifiutare l'assunzione per motivi attinenti alla qualifica 

o alla residua capacit� lavorativa dell'invalido, n�, tanto meno -e 
ci� si rileva con particolare riguardo al motivo del ricorso -pu� rifiutare 
la stessa assunzione, per mancata indicazione di tali elementi, 
indicazione non solo non richiesta dalla legge, ma del tutto superflua, 
per l'insidacabilit�, da parte del datore di lavoro, degli stessi elementi. 
Per altri profili della questione in esame attinenti alla costituzionalit� 
della legge 3 giugno 1950, n. 375, al fine specifico della formazione 
dei ruoli previsti dall'art. 5 della legge stessa, alla tutela� di interessi 
secondari del datore di lavoro, alla giurisdizione ed alla competenza 
esclusiva del giudice penale in ordine ai vari aspetti della questione 
stessa, alla irrilevanza degli artt. 2095 c. c. (categoria dei prestatori di 
lavoro) e 2103 c. c. (prestazione del lavoro), si riporta la parte ,motiva 
della sentenza: � I concetti esposti nella sentenza della Corte Costituzionale 
n. 33 del 15-6-1960, relativa all'esame della legittimit� costituzionale 
n. 292, sull'avviamento al lavoro e collocamento degli invalidi 
del lavoro, non contrastano e non respingono il principio sostenuto 
esattamente nella sentenza pretoria. 

� La formazione dei ruoli delle diverse categorie di invalidi, previsti 
dall'art. 5 della legge, nei quali non possono essere incluse le categorie 
di cui al precedente art. 3, � disposta nell'interesse degli invalidi 
stessi, e per porre l'ente in condizioni di disporre opportunamente, 
e cio� nel modo pi� appropriato, l'occupazione del lavoratore, in base 
alla natura ed al grado della sua invalidit�, alle sue attitudini lavorative, 
alle sue aspirazioni ed alla sua non pericolosit� per i compa


-~

gni di lavoro e la sicurezza degli impianti. 

� D'altra parte il datore di lavoro pu� avere notizia di tutti i dati 

predetti chiedendo al lavoratore, in visione, la tessera personale, .della 

quale lo deve munire la rappresentanza dell'Opera Nazionale presso 

la quale l'invalido � iscritto e dalla quale tutti i predetti dati debbono 

risultare (art. 8 della legge). 

�Inoltre, il datore di lavoro potr� efficacemente tutelare i suoi 

interessi e salvaguardare le sue responsabilit� richiedendo (a norma 

dell'art. 7) la visita collegiale di controllo del lavoratore invalido, per 

accertare le condizioni della invalidit� in rapporto alle disposizioni del 

n. 3 dell'art. 6. 
� Non esiste, infine, alcuna delle questioni pregiudiziali previste 
e disciplinate dall'art. 20 del C.P.P., implicanti controversie che debbono 
essere preventivamente risolte dal giudice civile od amministra


tivo. 


PARTE I, sEZ. VII, GlURlSP~UDENZA PENALE 

� Tutti gli aspetti del fatto e le questioni che insorgono in relazione 
al caso concreto rientrano infatti, contrariamente a quanto il 
ricorrente assume, nella diretta competenza del giudice penale, ilicidendo 
sull'esame che � solo a lui devoluto e sulla decisione che � solo 
a lui spettante. 

�E' appena poi il caso di rilevare, posto quanto sopra, che non 
sussistono le lamentate violazioni degli artt. 2095 e 2103 del codice civile, 
che distinguono le categorie dei prestatori di lavoro e disciplinano 
la prestazione del lavoro stesso �. 

Giova inoltre rilevare che non avrebbe fondamento il rilievo che 
l'ONIG potrebbe -cos� interpretata la legge in esame -disporre 
l'assunzione di invalidi che abbiano perduto ogni capacit� lavorativa. 
Per vero, tale possibilit� risulta esclusa dal combinato disposto degli 
artt. 5 e 3, lett. a) della legge stessa, in forza del quale i detti invalidi 
sono esclusi dall'assunzione obbligatoria, e non possono quindi essere 
iscritti nei ruoli di cui al detto art. 5. D'altra parte, l'art. 20 della legge 
(nel testo modificato con la legge 5 marzo 1963, n. 367) dispone, che 
l'invalido possa essere licenziato, oltre che nei casi previsti dagli articoli 
2118 (recesso del contratto a tempo indeterminato) e 2119 (reces 
so per giusta causa) del cod. civ., anche nel caso di perdita di ogni capacit� 
lavorativa, previo l'esperimento dello speciale giudizio di cui 
allo stesso art. 20. 

Cos� pure � da rilevare che i principi sopra riferiti si affermano 
nei confronti dei privati datori di lavoro e che una disciplina parzialmente 
diversa � invece sancita per le Amministrazioni� dello Stato, le 
Amministrazioni provinciali e comunali, le Aziende municipalizzate, 
gli Enti pubblici in genere, e gli Istituti soggetti a vigilanza governativa 
( v. art. 9-10-11-12 della legge 3 giugno 1950, n. 375, testo modificato 
con la legge 5 marzo 1963, n. 367): disposizioni che condizionano 
l'assunzione degli invalidi, a seconda dei casi, al � possesso dei requisiti 
richiesti dalle vigenti disposizioni�, ovvero alla � compatibilit� 
con le mansioni cui essi dovranno essere adibiti�, oppure ad una 
� apposita prova�. 

Per quanto infine riguarda l'accenno, contenuto in motivazione, 
alla sentenza della Corte Costituzionale 15 giugno 1960, n. 38 (in Foro 
it. 1960, I, 1077) giova precisare che tale sentenza si riferisce al d.l.c.p.s. 
3 ottobre 1947, n. 1222, ratificato con la legge 9 aprile 1953, n. 292, e 
cio� non all'assunzione obbligatoria dei mutilati ed invalidi di guerra, ma 
a quella, anch'essa obbligatoria, dei mutilati ed invalidi del lavoro, 
onde a tale legge erroneamente aveva fatto riferimento il ricorrente, 
e ci� tanto pi� che la sentenza stessa dichiarava infondata la questione 
di incostituzionalit� del predetto decreto legislativo, in relazione 
agli artt. 3, 38, 41 e 42 della Costituzione. 

D'altra parte, la questione di costituzionalit� della legge che andava 
applicata in concreto (1. 3 giugno 1950, n. 375, sull'assunzione 
obbligatoria al lavoro degli invalidi di guerra) � stata anch'essa decisa 
dalla Corte Costituzione con la sentenza 11 luglio 1961, n. 55 (Foro 
it. 1961, I, 1276), che ha dichiarato infondata la questione stessa in 
riferimento agli artt. 38, 41 e 42 della Costituzione, negando che l'assicurazione 
obbligatoria degli invalidi di guerra ponga a carico di determinati 
gruppi di privati cittadini oneri e restrizioni spettanti alla 
collettivit� e che la legge stessa violi il principio della lbert� della ini



422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ziativa economica privata e delle garanzie della propriet� privata: � e 
ci� in quanto la legge riguarda bens� gli invalidi di guerra, ma non 
totalmente inabili .al lavoro, disponendo provvidenze di carattere non 

:~

assistenziale, ma di avviamento al lavoro (onde non sussiste viola:~ 
zione dell'art. 38 Cost.), ed in quanto non incide sull'organizzazione 
economica dell'impresa (onde non sussiste violazione degli artt. 41 e 42 
Cost.). 


R. PETRONI 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 luglio 1963, n. 1638 -Pres. 
Sepe -Est. Peronaci -P.M. Parlatore (conf.) -Rie. Turelli 


p. c. Ministero finanze. 
~eato in genere -Circostanze del reato -Attenuante -Motivi di 
particolare valore morale < sociale. 

(c.p. art. 62, n. 1). 
L'attenuante di cui all'art. 62, n. 1 c.p. non pu� essere concessa 
nella ipotesi in cui il colpevole abbia� agito in stato di 
disoccupazione e di miseria familiare, potendosi l'attenuante 
concedere solo allorch� la spinta a delinquere trovi causa psichica 
�conclusiva in sentimenti altruistici e non assolutamente 
personali, anche se, sotto altri aspetti, considerevoli. 

Il principio contenuto nella massima viene costantemente 
applicato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio. 

In particolare, non costituiscono situazione che legittimi la 
applicazione dell'attenuante lo stato di bisogno e il desiderio 
di aiutare i prossimi congiunti (Cass. III, 7 marzo 1960, Giust. 
pen. 1961, II, 39, n. 19) o la necessit� di curare i familiari (Cass. 
fil, 28 maggio 1962, n. 1897, Riv. pen. 1963, II, 1010) ovvero le 
disagiate condizioni economiche del colpevole (Cass. III, 22 gennaio 
1963, Giust. pen. 1963, II, 918, n. 1322). 

Peraltro, la Corte Suprema ha ritenuto applicabile l'attenuante 
nell'ipotesi in cui sussisteva la necessit� di curare urgentemente 
un congiunto gravemente ammalato (Cass. III, 6 maggio 
1963, Riv. pen. 1963, Il, n. 1157). In tale occasione, pur ribadendo 
il principio di cui alla massima che si annota, e cio� che 
la dedotta situazione di miseria e la necessit� di sostenere la 
famiglia non costituiscono motivi di particolare valore morale .e :� 

' 
..,

o sociale, il Supremo Collegio ha ritenuto l'applicabilit� della 
attenuante " qualora il fatto sia commesso non gi� per sopperire 
ad un generico stato di bisogno dei familiari del colpevole, 
ma per conseguire lo scopo specifico di curare urgentemente 
un congiunto, come il padre, che sia affetto da gravissima malattia 
e versi, pertanto, in una situazione di estremo pericolo". 
A. T. 

423

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 ottobre 1963, n. 1812 -Pres. 
Sepe -Rel. Minerbi -P. G. Parlatore -rie. Lantieri c. sent. 
Pretore di pialermo, 15 marzo 1963. 

Poste e telecomunicazioni -Concessionario per l'accettazione e distribuzione 
di corris1>ondenza -Inosservanza delle condizioni del Capitolato 
d'oneri -Applicabilit� delle sanzioni previste dall'art. 35 

"' 
cod post. 
(cod. post., art. 35). 

Poste e telecomunicazioni -Concessionario per l'accettazione e distribuzione 
di corrispondenza -Corrispondenza con affrancatura ordinaria 
-Reato di incetta di corrispondenza -Ammissibilit� -Rapporti 
fra gli artt. 35 e 37 lett. b) cod. post. 
(cod. post., artt. _35 e 37 lett. b). 

Poste e telecomunicazioni -Reato di incetta -Carattere abituale del 
reato -Inapplicabilit� dell'amministia alle singole violazioni. 
(cod. post., art. 35; reg. 18 aprile 1940, n. 689, artt. 22 e 150). 

Il titolare di una concessione per la raccolta e la distribuzione 
di corrispondenza, qualora non osservi le condizioni di cui 
al capitolato d'oneri, viene ad assimilarsi a qualsiasi altro privato 
che violi il monopolio statale ed � quindi passibile delle 
sanzioni previste nell'art. 35 del cod. post. (1). 

(1-3) II reato abituale nella sua struttura giuridica 

(1) Circa la sussistenza della violazione da parte del concessionario 
del diritto di est!Iusivit� postale per i servizi di raccolta, trasporto e distribuzione 
della corrispondenza, in caso di inosservanza del capitolato 
d'oneri relativo all'obbligo di apporre le marche postali, la giurisprudenza 
della S.C. � costante cfr. Cass. Sez. III 6 marzo 1957, rie. Zordan (Giust. 
pen. 1957, lJ, c. 723); id. 5 novembre 1962, rie P.M. c. Gelati (Giust. pen. 
1%3, II, c. 713). 
Per la sussistenza dello stesso reato nel caso in cui il concessionarie) 
inoltri, in un unico plico affrancato con una sola marca, pi� lettere, an� 
corch� ricevute dallo stesso mittente e dirette allo stesso destinatario, 
si � pronunciata la S.C. con sentenza 27 aprile 1962, rie. Limoncelli 
(Giust. pen. 1963, II, col. 145). 

(2) Per quanto riguarda la sussistenza del reato di cui all'art. 35 cod. 
post. nell'ipotesi di recapito di corrispondenza con affrancatura ordinaria 
a mezzo. del servizio postale, con sentenza 13 giugno 1961 ,n. 887, 
Pres. Macaluso, P.M. De Gennaro, (cond. diff.) rie. Frazza Luigi la 1" Sez. 
della Cassazione aveva ritenuto che, giusta l'art. 37 lett. b) del cod. post. 
le disposizioni del precedente articolo 35 che prevedono e puniscono le 
violazioni all'esclusivit� postale, non sono applicabili nelle ipotesi di trasporto 
e recapito di corrispondenza per cui siano stati soddisfatti i diritti 
postali. 

424 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La corrispondenza eventualmente recapitata dal concessionario 
a mezzo del servizio postale e con affrancatura ordinaria 
non esclude la sussistenza del reato di � incetta� della corrispondenza 
stessa. _ 

I destinatari della norma di cui all'art. 37 del cod. post. 
sono soggetti diversi dal titolare di un'agenzia autorizzata al 
recapito di espressi in loco, con la conseguenza che tra le particolari 
previsioni di quella norma (trasporto e recapito occa-... 
sionale e sporadico di corrispondenza) non rientra quella di 
� incetta � di corrispondenza per cui sia stato soddisfatto il diritto 
postale. 

L'art. 150 del regolamento contempla le infrazioni del capitolato 
d'oneri che disciplina la concessione _ed, essendo norma 
regolamentare �infra legem �, rimane nell'ambito della disposizione 
dell'art. 35 del cod. post. che vieta l'incetta della corrispondenza 
(2). 

Il reato di � incetta � � inscindibile nella sua configurazione 
ontologica in episodi distinti; � un reato unico, collettivo o abituale 
ad esecuzione complessa, non scomponibile agli effetti dell'amnistia 
in pi� fatti criminosi autonomi e distinti; non � 
quindi configurabile in detto reato la continuazione (3). 

A tale statuizione la S.C. era pervenuta rilevando che l'art. 150 del 
regolamento approvato con R.D. 8 aprile 1940, n. 689, che prevede una 
presunzione juris di responsabilit� del concessionario per gli espressi 
muniti di francobolli ordinari trovati presso l'Agenzia o comunque recapitati, 
sarebbe illegittimo perch� contrario al citato art. 37 lett. b), in base 
al principio della gerarchia delle fonti normative, nondl.� per contrasto 
con il divieto di cui al 2� comma dell'art. 25 Cost., non potendo una disposizione 
regolamentare attribuire carattere di reato ad atti di cui la 
legge ha escluso espressamente. l'illeceit� penale. 

Con l'annotata sentenza, invece, la stessa r� Sezione della S.C., riesaminata 
la questione, anche a seguito delle discordanti pronuncie dei giudici 
di merito, ha ritenuto che esiste ugualmente la violazione dell'esclusivit� 
postale sotto il profilo della � incetta � nel fatto del concessionario 
che inoltri la corrispondenza a mezzo del servizio postale con affrancatura 
ordinaria, e ci� perch� gli articoli 1 e 35 del Cod. Post. riservano 
esclusivamente allo Stato il servizio della corrispondenza epistolare nei 
tre distinti momenti della raccolta, trasporto, e distribuzione della corrispondenza 
stessa, onde l'art. 37 lett. b), nello escludere il reato solo 
per il trasporto e recapito (o distribuzione) di corrispondenza per le 
quali sia stato soddisfatto il servizio postale, non comprende la violazione 
della esclusivit� postale sotto il profilo dell'� incetta�. E' bene chiarire 
che tale attivit� consiste, secondo quanto � precisato nell'art. 22 del 
regolamento approvato con r.d. 18 aprile 1940, n. 689, nella raccolta o accettazione 
di corrispondenze di pi� mittenti per essere spedite comunque, 
anche a mezzo posta, o per essere trasportate, distribuite o fatte 

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425

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

(Omissis). -I motivi di ricorso sono i seguenti: 

1) nullit� del decreto di citazione a giudizio, in conseguenza 
della violazione degli artt. 407, n. 3 e 412 c.p.p. per non 
essere stato nominato all'imputato un. difensore di ufficio. 

2) errata applicazione degli artt. 1 e 35 del Codice. Postale 
in relazione agli artt. 19 e 37 dello stesso, e agli artt. 22 
e 150 del Regolamento del 1940 e all'art. 25 della Costituzione 
per essere stato dichiarato colpevole di incetta di corrispondenza, 
ai sensi dell'art. 35 codice postale. 

3) violazione dell'art. 42 c.p. per difetto dell'elemento psicologico, 
costitutivo anche del reato contravvenzionale. 

4) violazione dell'art. 47 c.p. per non essersi riconosciuto 
l'errore di fatto, nell'interpretazione degli artt. 1 e 35 codice postale 
ed 8 del capitolato d'oneri. 

5) violazione degli artt. 1 e 35 codice postale, per non 
avere il Pretore ritenuto, nella fattispecie, la sussistenza di un 
illecito amministrativo. 

6) nullit� dellp sentenza, per non avere il Pretore esaminato 
verbali di ispezione, verbale di sequesto di corrispondenza, 
deposizione dell'Ispettore postale e per avere negato il 
diritto di acquisizione agli atti dei verbali originali e delle risul


distribuire entro o fuori il territorio della Repubblica. 

Pertanto, nessun contrasto pu� ravvisarsi fra la nonna dell'art. 37 
lett. b) della legge postale e quella dell'art. 150 del citato regolamento, 
che riferendosi esclusivamente ai concessionari, impone loro l'obbligo di 
applicare e di �nnullare la marca postale, stabilita come canone nell'atto 
di concessione, al momento dell'accettazione di ogni espresso da recapitare, 
con la conseguenza che ogni corrispondenza trovata presso l'agenzia 
o presso i fattorini o comunque recapitata senza la marca postale, 

o con marca non annullata, s'intende accettata, trasportata o recapitata 
in violazione dell'esclusivit� postale. 
(3) Di notevole rilievo � poi la sentenza annotata nella parte in cui 
ha ravvisato nella fattispecie legale esaminata il carattere di reato abituale, 
e ci� per la disciplina giuridica di tale reato in rapporto agli istituti 
dell'amnistia e della prescrizione. 
La questione venne una prima volta esaminata dalla Cassazione, Sezione 
III, con sentenza 6 marzo 1957, rie. Zordan (Giust. pen. 1957, II, 

c. 723). Osserv� 
la S.C. in detta sentenza che: 
�L'art. 35, 1� comma del r.d. 27 febbraio 1936, n. 645 dispone testualmente: 
� 
chiunque faccia incetta trasporti o distribuisca, direttamente o a 
� mezzo di terze persone, corrispondenze in contravvenzione all'art. 1 del
� la presente legge � punito con l'ammenda eguale a venti volte l'importo 
�della tassa di francatura, col minimo di lire venti�. 

Si stabilisce poi col secondo comma: � Alla stessa pena soggiace 
� chiunque abitualmente consegna a terzi corrispondenze epistolari per il 
� trasporto o il recapito�. 



426 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tanze della commissione che esamin� la materia alla denunzia. 

7) nullit� della sentenza, per avere il Pretore sovvertito 
il principio generale della prova, facendo carico all'imputato 
di dimostrare la propria innocenza. 

8) nullit� della sentenza, per non avere ritenuto il Pretore, 
che, nella specie, trattavasi di reato continuato e pertanto 
amnistiabile, e non di reato abituale; violazione degli artt. 81 e 
.151 c.p. nonch� degli artt. 152, 591, 592 c.p.p. in relazione all'art. 
35 del codice postale e agli artt. 1 e 8 del D. P.. 24 gennaio 
1963, n. 5. 

Sul primo motivo. La censura � inconsistente. A norma de


� Data la particolare struttura della fattispecie, descritta nella prima 
�parte della norma, sembra lecito concludere che il fatto della incetta, 
� trasporto o distribuzione di corrispondenze, commesso dal privato in 
� contrasto col principio della esclusivit� statale, viene di regola conce
� pito dal legislatore sotto forma di attivit� continuativa, e pertanto in 
� modo non frammentario in altri termini, pur potendo in astratto la fi
� gura contravvenzionale tipica realizzarsi anche wediante il compimento 
�di un unico episodio (recapito di una sola lettera), la ripetizione di pi� 
� fatti non d� luogo ad una somma di pi� illeciti, eventualmente unifica
� bili quoad poenam in figura di reato continuato, ma integra invece una 
�previsione a struttura persistente o continuativa, dotata ad ogni effetto 
� giuridico-penale di natura omogenea ed unitaria. Ricorre quinai nella 
� specie esaminata una ipotesi di reato eventualmente abituale, la cui ca
� ratteristica � segnata dal fatto che ogni successiva infrazione compiuta 
� dall'autore si riallaccia a quella di eguale natura gi� in precedenza rea
� lizzata, saldandosi strettamente con essa. Da codesto processo di unifi
� cazione emerge allora una figura di illecito strutturalmente compatto, 
�non pi� suscettibile di segmentazione (ad es. relazione adulterina ex 
� art. 559 c.p., relazione incestuosa ex art. 564 cod. pen.). 

" 11 carattere eventualmente abituale della ipotesi, prevista nella pri
� ma parte dell'art. 35, � confermato dal disposto del comma successivo. 
� Invero, S� il fatto di chi consegna corrispondenze ad abusivi distribu
� tori, in modo non sporadico integra una fattispecie a struttura abituale 
�(come � reso palese dal tenore della norma), egual natura deve avere 
� il fatto di chi, in maniera continuativa, provveda al recapito del pre
�detto materiale, non potendosi ovviamente ammettere che in una figura 
� criminosa a struttura plurisoggettiva, la condotta plurima di una parte 
� integri un illecito abituale, e quella dell'altra sfoci invece in una plura
� lit� di infrazioni, indipendenti e autonome. Stabilito pertanto che la con
� travvenzione di cui al primo comma dell'art. 35 ha natura eventualmente 
�abituale, la pena deve fissarsi in rapporto al numero delle corrispon
� denze irregolarmente affrancate, e secondo la proporzione aritmetica al
� l'uopo indicata. 

� I diversi criteri, previsti dalle norme in vigore con riferimento alla 
�ipotesi del reato continuato, che profondamente si differenzia dal reato 
� abituale, non possono per conseguenza trovare applicazione nella specie 
� qui presa in esame �. 

Successivamente la stessa III" Sezione andava in avviso contrario con 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

427 

gli artt. 407, n. 3, 409, 412 c.p.p. la nomina del difensore di 
ufficio deve essere fatta, a pena di nullit�, se l'imputato ne � 
privo, mentre nel caso di specie, il Lantieri aveva un proprio 
difensore di fiducia, l'avv. Giovanni Finazzo. Si evince dagli atti 
che il decreto di citazione fu ritualmente emesso con la nomina 
del difensore di ufficio, avv. Oreste Natoli: non risulta 
che sia stato fatto l'avviso al difensore di ufficio, ai sensi dello 
art. 410, ma questa Corte ha gi� altra volta ritenuto che la 
mancata notifica dell'avviso di dibattimento al difensore di 
ufficio, che sia stato sostituito con altro difensore all'udienza, 
non importa effettivo pregiudizio all'assistenza dell'imputato e 

sentenza 26 febbraio 1962, n. 637 (Giust. pen. 1963, II, c. 322) statuendo 
quanto segue: 
(Omissis). -Fondata � invece la richiesta difensiva circa la prescrizione 
per gli episodi anteriori al novembre 1959. 

�La difesa di parte civile, in contrario, ha richiamato la precedente 
�decisione di questa Corte in data 6-3-1957, la quale, nella contravvenzio
� ne prevista nella prima parte dell'art. 35 c. postale, ha ravvisato una 
�ipotesi di reato eventualmente abituale, osservando che il fatto dell'in
� cetta, trasporto e distribuzione di corrispondenza, commesso dal privato 
�in contrasto con il principio dell'esclusivit�, viene di regola concepito 
�dal Legislatore sotto forma di attivit� continuativa e pertanto in modo 
� non frammentario. � 

� Detta sentenza ammette che la figura tipica della predetta contrav
� venzione pu� realizzarsi anche mediante il compimento di un unico epi
� sodio, ma soggiunge che la ripetizione dei fatti non d� luogo ad una 
�somma di pi� illeciti, eventualmente unificabili quoad poenam nella fi
� gura del reato continuato, dotata -ad ogni effetto giuridico penale 
�di natura omogenea ed unitaria. 

� Non pare, per�, alla Corte di confermare tale indirizzo. 

� Come � noto, la caratteristica del reato eventualmente abituale � 
� data dal fatto che la condotta pu� essere costituita sia da un singolo 
� atto che da pi�: in .questo secondo caso il reato presenta carattere 
�abituale. 

� Ora dalla fattispecie descritta dalla prima parte dell'art. 35 in esa
� ;me, si desume che un unico fatto costituisce reato, ma non � dato ri
� cavarne che i successivi si riallacciano a quelli di natura eguale in pre
� cedenza realizzati, saldandosi con essi in una struttura unitaria. 

� Anche nell'ipotesi dell'incetta e della distribuzione il reato si con
� suma con il primo fatto. I singoli atti (quando non si tratta di uno 
�solo), ancorch� successivi, costituiscono una unica attivit� di d�stribu
� zione o d'incetta, quando siano compiuti nel medesimo contesto d'azione. 

� Il carattere abituale del reato ricorre, invece, nella fattispecie con
� travvenzionale del secondo comma dell'art. 35 codice postale laddove la 
� consegna a terzi di corrispondenze epistolari per il .trasporto o il reca
� pito � punita solo quando trattasi di attivit� abituale �. 

� Il rigetto del primo motivo importa l'accertamento della appli
� cabilit� della amnistia concessa con d.p.r. 24 gennaio 1963, n. 5, e, 
� altres�, l'accertamento della unicit� e pluralit� del reato contestato 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

428 

non dentra, pertanto, nelle nullit� insanabili di cui all'art. 185, 
n. 3 c.p.p. 
Sul secondo motivo. Premessa la definizione di � incetta � 
in senso tecnico-giuridico quale risulta dall'art. 22 p.p. del 
regolamento di esecuzione, approvato con R.D. 18 aprile 1940, 
n. 689, assume il ricorrente che in nessun caso potrebbe essere 
chiamato a rispondere di incetta, per violazione degli artt. 1 
e 35 del codice postale, il titolare di un'agenzia di recapito 
espressi per citt�, il quale, in virt� della concessione prevista 
dall'art. 19 dello stesso codice, �, per l'appunto, autorizzato a 
raccogliere, ad accettare e a recapitare la corrispondenza episto
� alla Bianchini ai fini di determinare se sia o meno intervenuta pre
� scrizione. I fatti addebitati all'imputata risultano commessi nel periodo 
�dal 1� febbraio 1960 al 13 febbraio 1961, cos� che se ognuna delle infra
� zioni accertate dovesse essere considerata reato a s� stante, parte sa
� rebbe prescritta e parte sarebbe coperta da amnistia. Tratterebbesi, in
� fatti, di tante contravvenzioni distinte che, per la inapplicabilit� della 
�legge 7 gennaio 1929, n. 4, disposta dall'art. 116 del r.d. 27 febbraio 1936 
� n. 645, si sarebbero prescritte nel termine normale di ventisette mesi 
�o, se non prescritte,, rientrerebbero nel sopra citato provvedimento di 
�amnistia. 
" @, 1 
:-: 
' 
, 
Con la sentenza annotata, che segue a breve distanza di tempo ~ 
~?altra 
analoga decisione della I sez. pen. della Cassazione in data 8-2-1963 
n. 244, Pres. Vista, P.M. Dettori (conci. conf.), rie. Bianchini, � stato 
riaffermato il carattere abituale, del reato in esame, con particolare 
riferimento all'attiv�t� illecita della � incetta� della corrispondenza in I'. 
' 
violazione dell'esclusivit� postale. ~-~ 
La pronuncia � senza dubbio esatta e costituisce la puntuale applicazione 
di principi giuridici gi� elaborati nella dottrina (cfr. il fondamentale 
lavoro del LEONE: Il reato continuato, abituale e permanente, Ed. 
Iovene, 1933). 
Caratteristica del reato abituale, come � noto, � una pluralit� di 
azioni con pluralit� di eventi, senza che, per�, ciascuna azione dia luogo 
alla realizzazione del reato. 
Esso si distingue nettamente e dall'abitualit� nel reato e dal reato 
continuato. L'abitualit� nel reato costituisce una circostanza aggravante 
prevista negli art. 102 e 104 cod. pen. e presuppone u� determinato numero 
di condanne riportate dal giudicabile per delitti non colposi o per 
contravvenzioni, tutti della stessa indole, intendendosi per tali quei reati 
che, ancorch� siano preveduti da diverse disposizioni, presentino, tuttavia, 
sia per la natura dei fatti e sia per i motivi che li determinarono, 
caratteri fondamentali comuni (art. 101 cod. pen.). 
Rispetto al reato continuato, il reato abituale ha alcuni caratteri in 
comune: la pluralit� di azioni nonch� l'antigiuridicit� e la colpevolezza 
delle singole azioni. Invero, senza questi due requisiti non sarebbe concepibile 
che possa aver vita qualsiasi specie di reato, e tanto meno 
quello cosidetto abituale, che non � che la risultante (se non la somma) 
delle singole azioni. 
La differenza sostanziale, invece, sta nell'evento come giustamente � 


429

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

. 
lare di pi� emittenti: egli non commetteva, quindi alcun reato, ritirando 
la corrispondenza da enti o banche, se tale corrispondenza 
era diretta entro il perimetro della zona di concessione. Senonch� 
il fondamento di tale assunto � solo apparente, essendo innegabile 
(e questo Supremo Collegio lo ha altra volta ritenuto, 
che il titolare di una concessione per la raccolta e per la distribuzione 
di corrispondenza, qualora non osservi le condizioni 
di cui al capitolato d'oneri, viene ad assimilarsi a qualsiasi 
altro privato che violi il monopolio statale, e solo in questa 
qualit� egli agisce, ai fini della responsabilit� penale. N� il ri


stato rilevato in dottrina (LEONE, op. cit., 22), il concetto di azione postula 
quello di evento, come il concetto di causa postula quello di effetto. 

Tuttavia, se ci� � vero da un punto di vista che potrebbe dirsi fisico, 
non � ugualmente vero da un punto di vista giuridico, essendo ovvio che 
allora si avvera il reato quando si verifica, come conseguenza dell'azione 
del colpevole, quel determinato evento previsto dalla norma punitiva. 

Sicch�, mentre nel reato abituale l'evento, inteso in senso giuridico, 
si verifica solo quando sia compiuta una pluralit� di azioni, nel reato 
continuato, invece, alla pluralit� di azioni corrisponde una pluralit� di 
eventi giuridici e quindi una pluralit� di reati, che darebbero luogo ad 
un cumulo materiale di pene, se il legislatore non ne avesse attenuato 
il rigore attraverso la figura del reato continuato. 

Quindi pluralit� di azioni ma unicit� di evento giuridico (di lesione o 
di pericolo) nel reato abituale; pluralit� di azioni e pluralit� di eventi 
giuridici nel reato continuato, in cui i diversi reati sono autonomi in tutti 
i loro elementi costitutivi, ma vengono unificati, quoad ad poeam, allorch� 
siano stati determinati da uno stesso disegno criminoso e consistano 
nella violazione di un medesimo interesse protetto dalla legge (Cass. 19-51952 
Giust. pen.; 1952, II, c. 911, id. 31-3-1952 ibid., col 74; Cass. 28-51953, 
rie. Zoccoli Giust. pen., 1954, II, c. 429 nonch� le numerose sentenze 
citate nella Rassegna di Giur. sul Cod. Penale, diretta da LATTANZI in 
nota all'art. 81 Cod. pen.). Ma, se l'evento che consegue ad ogni singola 
azione non ha alcuna rilevanza giuridica agli effetti del reato abituale, 
in quanto l'esistenza di questo � condizionata all'evento previsto dalla 
norma penale, che interviene solo nel momento finale conseguente alla 
serie delle azioni commesse, tuttavia vi sono dei casi in cui non � sempre 
necessario che si verifichi una pluralit� di azioni per dar luogo alla 
figura del reato abituale. 

La differenza � resa evidente dalla distinzione che la dottrina fa fra 
reati necessariamente e reati accidentalmente o eventualmente abituali, 
intendendosi per reati della prima specie quelli costituiti sempre da una 
pluralit� di azioni mentre i reati della seconda specie possono consistere 
tanto in un unico fatto, quanto in pi� fatti. 

Allorch� si verifica l'ipotesi di un reato eventualmente abituale non ha 
alcuna rilevanza, sotto il profilo della sussistenza del reato, che si tratti 
di una sola azione commessa dal colpevole o di una pluralit� di azioni, 
in quanto si applica sempre la stessa disciplina giuridica del reato necessariamente 
abituale con particolare riguardo agli istituti della pre


. scrizione e dell'amnistia. 



430 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO . 

corrente, in relazione alla sua difesa di avere, per necessit� o '�� 
per altri motivi, recapitato corrispondenza con il servizio postale 
e con l'affrancatura in via ordinaria, pu� invocare l'art. 37 
lett. b, che dichiara l'inapplicabilit� della disposizione dello 
art.� 35 al trasporto e al recapito di corrispondenze epistolari 
per le quali sia stato sodisfatto il diritto postale. Invero, i destinatari 
della norma di cui all'art. 37 del codice postale, sono 
soggetti diversi dal titolare di un'agenzia autorizzata al recapito 
di espressi in loco, con la conseguenza che tra le particolari 
previsioni di quella norma (trasporto e recapito occasionale 
e sporadico di corrispondenza), non rientra anche quel-


Passando all'applicazione di tali concetti in materia di violazione 
dell'esclusivit� postale, si rileva che l'art. 35 del Cod. Post. stabilisce: 

� Chiunque faccia incetta, trasporti o distribuisca, direttamente o a 
� mezzo di terze persone, corrispondenze in contravvenzione all'art. 1 
� della presente legge, � punit� con l'ammenda eguale a venti volte l'im" 
porto della tassa di francatura, col minimo di lire venti. 

� Alla stessa pena soggiace chiunque abitualmente consegna a �terzi 
� corrispondenze epistolari per il trasporto o il recapito �. 

Ora, come � stato gi� rilevato, la violazione del diritto di esclusiva, 
in riferimento alle corrispondenze epistolari, si estrinseca nei tre distinti 
momenti dell'incetta, del trasporto e della distribuzione di dette corrispondenze. 
Poich� l'attivit� dell'incetta consiste nella raccolta di corrispondenza 
di pi� mittenti, � evidente che occorre, per la sussistenza di 
tale reato, quella .pluralit� di azioni che costituis.ce l'essenza. del reato 
necessariamente abituale. Lo stesso pu� dirsi per la distribuzione delle 
corrispondenze ai destinatari, in quanto � nel concetto stesso di distribuzione 
quella pluralit� di azioni concepita nella struttura della speciale 
figura giuridica in esame, nonch� per l'ipotesi prevista nel primo comma 
del citato art. 35. 

Diversamente deve opinarsi per il trasporto, giacch�, in via di ipotesi, 
anche un unico trasporto, di uno o pi� oggetti di corrispondenza, pu� 
dar vita al reato previsto nel citato art. 35. � � 

Perci� tale reato dovr� definirsi eventualmente abituale. 

Un'ultima osservazione potrebbe farsi in riguardo alla pena prevista 
dall'art. 35 del Cod. Post.. Se il reato abituale � unico, nonostante sia 
strutturalmente costituito da una pluralit� di azioni, unica � la pena che, 
generalmente, � prevista dal legislatore per detto reato, onde non si spiegherebbe 
come nella citata disposizione � stabilita una pena per ciascun 
oggetto di corrispondenza accettato, trasportato o distribuito in violazione 
dell'esclusivit� postale. 


Ma l'obbiezione, a nostro avviso, � facilmente superabile, in quanto 
la pena � un elemento estrinseco del reato e, d'altra parte, il rapportare 
la sanzione al numero degli oggetti di corrispondenza non rappresenta 
che una modal�t� per la determinazione in concreto della sanzione 
da applicare, in rapporto alla gravit� della violazione commessa dal colpevole 
desunta dagli elementi obbiettivi del numero delle corrispondenze 
sottratte all'esclusivit� postale. 
:~ 

R. BRONZINI 

PARTE 1, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

la di incetta di corrispondenza epistolare per cui sia stato soddisfatto 
il diritto postale, mentre l'art. 150 del regolamento 
contempla, per l'appunto, le infrazioni del capitolato l'oneri che 
disciplina la concessione, ed, essendo norma regolamentare in,
fra legem, rimane nell'ambito della disposizione dell'art. 35 del 

codice postale, che vieta l'incetta della corrispondenza. 

Sui motivi terzo, quarto e quinto, oppone il ricorrente il 
difetto, nella specie, delle condizioni soggettive di punibilit�. 
Ma, per l'applicabilit� dell'art. 47 c.p. si esige che l'errore cada 
su una condizione di fatto che sia elemento essenziale di un 
reato, mentre il ricorrente non pu� invocare a sua difesa lo 
errore sulla liceit� del fatto addebitatogli, essendo interdetto 
dall'art. 5 c.p. di invocare a propria scusa l'ignoranza della legge 
penale. Osservasi, poi, che dovendosi determinare l'importo 
del canone annuo dovuto dal concessionario all'Amministrazione 
in base al numero delle marche consumate, moltiplicato 
per il corrispettivo unitario prestabilito, la presunzione di frode, 
che � normalmente inerente alle leggi fiscali e finanziarie 
e che discende dall'infrazione all'art. 35 addebitata al titolare 
dell'agenzia, non � facilmente vincibile dalla prova contraria, 
come nel caso di specie. 

Sul sesto e sul settimo motivo. E' noto che � stato pi� 

volte ripetuto eh~ il ricorso in Cassazione non riapre un'ulte


riore� fase del giudizio di merito, cosicch� gli errori in proce


dendo possono essere denunciati con ricorso per cassazione, 

solo quando si riferiscano a norme stabilite dal codice di rito 

a pena di nullit� di inammissibilit� o di decadenza. 

Sull'ottavo motivo. Sostiene il ricorrente che il reato di 

cui al 1� comma dell'art. 35, per sua natura istantaneo, pu� es


1sere rip�tuto, ma non pu� mai considerarsi permanente, n� 

qualificarsi abituale, poich� l'abitualit� dell'azione non rientra 

nella sua fattispecie legale: d'altra parte, devesi evitare la con


fusione tra � il reato abituale �, costituito da pi� fatti che iso


latamente considerati sono penalmente indifferenti, e � l'abi


tualit� � nel reato; collegandosi con il vincolo della continua


iZione i singoli reati di incetta, esso ricorrente potrebbe bene


ficiare del recente provvedimento di clemenza. 

Ma se la raccolta di corrispondenze epistolari da parte di 

un titolare di agenzia �, per necessit� di cose, effettuata mat~


rialmente in pi� riprese, tuttavia il reato di incetta, qualificato 

come tale nei suoi confronti, per la violazione dell'art. 35 e 

dell'art. 8 del capitolato d'onere, � inscindibile nella sua confi


gurazione ontologica in episodi distinti; � un reato unico, col



432 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
lettivo o abituale, e l'assimilazione delle diverse ipotesi del 
. I e del II comma dell'art. 35, agli effetti della irrogazione della 
pena, � ulteriormente argomento per ritenere la sostanziale 
natura giuridica e la stessa qualit� politica delle due contrav.
venzioni. Se il reato continuato � costituito da pi� fatti cri;
rninosi autonomi e distinti, che sono giudicati congiuntamente 
per essere esecutvi di uno stesso disegno criminoso, il reato 
~ollettivo o abituale � un unico reato ad esecuzione complessa, 
;anche se risulti da una attivit� materiale discontinua; � escluf>
O, quindi, che esso possa essere scomponibile in infrazioni di~
tinte ai fini dell'applicazione dell'amnistia ai sensi degli art. 1 
e 4 lett. b del D.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5 (Omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 11,14 novembre 1963, n. 1885 -
Pres. Santoro -Est. Laurino -P.M. Velotti (conf.) -Rie. 
;Marino ed altri -p.c. Ministero Tesoro. ~ Proc~dimento penale -Sostituzione o revoca del difensore di ufficio -
Ammissibilit�. 
(C.p.p., artt. 125, 128). 
Procedimento penale -Mancato avviso al difensore di ufficio sostiI' 
. 
, 
tuito -Nullit� insanabile -Insussistenza. 
(c.p.p., artt. 125, 128, 185 n. 3). 
Furto -Furto di cose esistenti in campi A.R.A.R. -Aggravante speciale 
dell'aver commesso il fatto su cose esistenti in stabilimenti 
pubblici -Applicabilit�. 
(C.p., art.' 625 n. 7; d.1.1. 23 novembre 195 n. 793). 
Reato in genere -Attenuanti comuni -Tenuit� del danno -Criterio 
sussidiario della situazione economica del danneggiato -Applicabilit� 
in ipotesi di danno di obiettiva rilevante entit� Esclusione. 
(c.p., art. 62 n. 4). 
La nomina del difensore di ufficio � un atto del giudice, per 
sua natura revocabile; �pertanto l'avviso del dibattimento viene 
rettamente notificato al difensore di ufficio nominato nel decreto 
di citazione anzich� a quello nominato in una precedente 
udienza (1). 
(1) In tema di efficacia nel tempo della nomina del difensore di 
ufficio la sentenza annotata ha fatto preciso richiamo al principio gi� 
affermato dal Supremo Collegio in altra occasione ( Sent. 15 novembre 
1958, Sicilia, in Giu.st. pen. 1959, III, 166, n. 209). 
In materia di notifica dell'avviso di deposito dell'estratto della 
sentenza contumaciale nel caso in cui si proceda secondo le forme 
previste per gli imputati irreperibili, l'avviso va notificato al difensore 
nominato nel giudizio e non a quello nominato precedentemente 

-~ 



433

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

La mancata notifica dell'avviso di dibattimento al difensore 
di ufficio, che sia stato sostituito con altro difensore alla udienza, 
non importa effettivo pregiudizio alla assistenza dell'imputato 
e non rientra, pertanto, nelle nullit� insanabili di cui all'art. 185, 

n. 3 c.p.p. (2). 
I campi dell'A.R.A.R. sono da qualificare come stabilimento 
pubblico e ci� sia per il fine di pubblico interesse cui tali stabilimenti 
erano destinati sia per l'appartenenza dei campi ad 
un ente pubblico (3). 

Nell'ipotesi in cui il danno sub�to appare di rilevante entit� 
non pu� farsi luogo all'applicazione del criterio sussidiario della 
situazione economica del soggetto passivo, che viene in considerazione 
quando il valore della cosa in s� non escbtda la particolare 
tenuit� del danno (4). 

ai sensi dell'art. 170 c.p.p., ma non comparso al dibattimento (Cass. 
II 28 gennaio 1960, n. 523, Restaino, in Riv. pen. 1961, 404). 

(2) La seconda massima, la quale riproduce quella desunta da 
altra sentenza della Corte Suprema (III sez. -16 marzo 1959, in 
Giust. pen. 1959, III, 611, n. 687), sembra non perfettamente in linea 
con il principio affermato nella prima massima: ed invero se vale 
il principio della revocabilit� circa la nomina del difensore di ufficio, 
non appare conseguente l'apprezzamento circa la non effettivit� 
del pregiudizio all'assistenza dell'imputato, con esclusione dalle ipotesi 
di nullit� ex art. 185, n. 3, per la mancata notifica dell'avviso di 
dibattimento al difensore di ufficio che sia stato sostituito con altro 
difensore all'udienza. 
(3) Nulla da osservare sulla qualificazione come stabilimento pubblico 
dei campi A.R.A.R. Sull'organizzazione dell'A.R.A.R. v. Relaz. Avv. 
Stato, 1942-50, III, 372 e segg.; Relaz. Avv. Stato 1951-1955, II, 821 
e segg. 
(4) La massima fa , precisa applicazione del principio contenuto 
nel n. 4 dell'art. 62 c.p. (v. anche Cass. I 22 gennaio 1962, n. 106, Previtera, 
in Riv. gen. 1963, 1011. 
A. T. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1964, n. 84 -Pres. 
D'Aniello -Est. De Mattia -R.M. Biscotti (conf.) -Rie. 
Jacomo -p.c. Ministero Finanze. 

Reati finanziari -Contravvenzioni -Estinzione per oblazione -Ammissibilit�. 


(c.p. art. 162; 1. 7 gennaio 1929 n. , art. 14). 
Impugnazioni penali -Appello avverso sentenze di condanna per 

reati finanziari estinguibili per oblazione -Esclusione. 

Cl. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 14; c.p.p. artt. 512, 513). 



434 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'art. 14 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 ammette la estin-t 
zione per oblazione di qualsiasi contravvenzione punibile soltanto 
con la pena dell'ammenda (1). 

La predetta oblazione pur essendo prevista da una legge 
speciale con effetti in parte diversi da quelli previsti dall'art. 162 
c.p., rientra egualmente negli schemi dell'istituto dell'oblazione 
considerato nella sua fondamentale unit�. Pertanto ai fini della 
impugnabilit� delle sentenze di condanna di primo grado, la 
esclusione dell'appellabilit� di sentenze relative a reati per i 
quali � ammessa l'oblazione riguarda anche le contravvenzioni 
di cui all'art. 14 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (2). 

La Corte Suprema nell'esaminare l'istituto dell'oblazione considerato. 
dall'art. 14 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 ha correttamente interpretato 
il contenuto,dell'art. 162 del codice penale il quale, nel disciplinare 
gli effetti dell'oblazione quale causa estintiva del reato, fa 
riferimento alle contravvenzioni in genere per le quali la legge stabilisce 
la sola pena dell'ammenda, e quindi pone un riferimento in 
via generale a tutte le disposizioni legislative che prevedono fattispecie 
punite con la pena dell'ammenda. 

Risolta, cos�, la questione dei limiti interpretativi dell'art. 162 con 
riferimento in via generale ad ogni specie di oblazione come considerata 
dallo stesso articolo, ne conseguiva l'applicabilit� del principio 
della non impugnabilit� delle condanne di primo grado come stabilito 
dagli artt. 512 e 513 del Codice di procedura penale. 

Sugli aspetti particolari dell'oblazione ex art. 14 citato, Rel. Avv. 
Stato 1951-1955, I, 784, n. 365 (in particolare per quanto riguarda la 
disciplina della posizione dell'Amministrazione in ordine alla richiesta 
di oblazione). 

Per la trattazione cli carattere generale, V. Spinelli, La repressione 
delle violazioni delle leggi finanziarie nella scienza e nel diritto, 1947, 
127 e 291 segg. � 

Sulla non estensione degli effetti dell'oblazione ai coimputati 


v. Cass., I, 13 novembre 1962, n. 1713, Riv. pen. 1963, II, 658; in particolare, 
per quanto riguarda la definizione amministrativa prevista 
dalle leggi finanziarie nel senso della non estensibilit� ai compartecipi, 
v. Cass. 8 marzo 1956, Rep. Foro; 1956, voce Tasse e imposte in 
genere, n. 135. 
Sulla prevalenza della disciplina indicata negli artt. 13, 14 e 46 
della legge 7 gennaio 1929 n. 4 rispetto alla disciplina contenuta nel 
codice penale in materia di obla:z;ione v. Cass. 28 maggio 1951, Arch. 
pen. 1951, II, 634. � 

A. T. 

PARTE SECONDA 


RASSEGNA DI DOTTRINA 


R. 
Al.ESSI, L'illecito e la responsabilit� civile degli enti pubblici, Mi. 
!ano, 1964, pagg. XI-168. 
1. L'Alessi, che al tema della responsabilit� dell'Amministrazione 
pubblica ha sempre dedicato attente cure, ci presenta tma nuova trattazione 
dell'argomento, la quale, per la materia in s� e per la novit� di 
alcune impostazioni e soluzioni indicate dal chiaro autore, � indubbiamente 
destinata a suscitare largo interesse presso gli studiosi. 
E' di introduzione un'ampia premessa, circa �L'illecito e la. responsabilit� 
civile nella teoria generale del diritto privato�, nella quale, 
considerati i vari aspetti che il problema presenta, l'A. esamina tra 
l'altro il fondamento della responsabilit�, osservando che questa, pur 
essendo nel nostro ordinamento improntata in generale al principio 
della imputabilit�, trova la sua base, in alcune ipotesi (responsabilit� 
dal modo di essere di cose e responsabilit�, in alcuni casi, per fatto 
altrui), nel principio del rischio e dell'u.tilizzazione, e, quindi, anzich� 
nell'illecito, nella � garenzia,, che si connette all'utilizzazione medesima. 

Rilevato poi, programmaticamente, che il fondamento della responsabilit� 
dell'a.p., per violazioni della sfera giuridica complementare 
e di quella primaria, risiede, rispettivamente, al pari che per i 
soggetti privati, nelle disposizioni di cui agli articoli 1218 e segg. e 
2043 e segg. del codice civile, l'A. osserva che una differenziazione � tuttavia 
da individuare nel fine � cui si connette l'istituto della responsabilit� concepita 
come sanzione >>, che, nel caso degli enti pubblici, deve ritenersi 
sia quello �di colpire le esplicazioni illegali di potere, che siano fonte 
di lesione di sfere giuridicamente protette pertinenti a cittadini �, 
mentre nel caso del singolo il fine medesimo � quello � di colpire le 
violazio,ni, soggettivamente imputabili, di sfere giuridiche � altrui � 

(p. 34): alla quale conclusione l'A. perviene tra l'altro osservando che 
i privati possono ledere le sfere primarie altrui soltanto con attivit� 
materiale, laddove la p.a. esercita poteri che possono incidere, eventualmente 
producendo danni, nelle sfere dei singoli. 
Gi� in relazione a tale possibilit� lesiva, l'A. individua elementi di 
indagine ai fini del problema della riferibilit� all'ente dell'azione delle 
persone fisiche che per-esso agiscono; e tal problema passa poi, sistematicamente, 
ad inquadrare, confermando la critica della teoria organica 
gi� altrove svolta (ALESSI, L'affermazione costituzionale, ecc. 
Riv. trim. dir. pubb. 1959, 15), ed osservando: che la questione va posta 
con riferimento alla nozione di ordinamento, che implica quella di 
potere, ed ancora quella correlativa di dovere, e, quindi, di un poteredovere, 
di una funzione, anzi di un complesso di funzioni, le quali presuppongono 
altrettanti � centri � predisposti per il loro esercizio, e 
cio� altrettante sfere di poteri e di funzioni, attribuite necessariamente 
a persone fisiche ( � individualit� fisiche, le quali, in quanto investite 
del potere e della funzione dall'ordinamento, possono ben dirsi tito




26 

RA$5EGNA DELL'AVVOCAttJRA D!!LLO StATO 

lari del potere e della funzione ... � p. 40); che detti centri ed i relativi 
titolari, se non possono considerarsi organi, nel senso in cui per organo 
si intenda la manifestazione fisico-giuridica dell'esistenza dello Stato, 
nemmeno possono configurarsi come rappresentanti, non verificandosi 
alcuno spostamento dei poteri, che sono esercitati dal funzionario in 
quanto a lui direttamente attribuiti nell'ordinamento; che lo Stato � 
da considerare come il soggetto creato dall'ordinamento per la necessit� 
di dare un titolare ai rapporti cui d� vita l'esplicazione del potere 
da parte dei costituiti centri; che, conseguentemente, e senza far 
ricorso n� alla teoria organica n� a quella della rappresentanza, deve 
affermarsi la diretta imputazione all'ente dell'azione del funzionario, 
poich� questa � costituisce esplicazione di quel potere, rampollante 
dall'ordinamento statuale, nel cui presupposto, ed in vista dei cui effetti, 
� creata appunto la personalit� statuale� (p. 43). A" guisa di corollari, 
poi, l'A. indica le ulteriori conclusioni: che la diretta riferibilit� 
� da ritenere soltanto per la lesione della sfera primaria altrui �che 
sia direttamente o indirettamente attinente alla esplicazione di un potere 
giuridico dell'ente pubblico�; che, in ogni altro caso di lesioni deila 
sfera primaria, deve, per esclusione, farsi capo ai principi della responsabilit� 
indiretta, la quale andrebbe ammessa anche per fatti 
imputabili al dipendente in via di dolo, limitatamente, per altro, in 
coerenza alle premesse (garenzia per la utilizzazione), ai fatti commessi 
�in intima connessione� col servizio pubblico, che ne costituisca 
la �necessaria occasione�. 

Segue una breve trattazione delle questioni che si pongono in relazione 
all'art. 28 della Costituzione (sembra adombrato l'interrogativo 
d una ribadita affermazione, dalla norma, della diretta responsabilit� 
dell'a.p., in senso generale); e l'A. passa ad esaminare, quindi, gli 
elementi dell'illecito, in relazione allo studio dei quali rileva, tra 
l'altro, che per la risarcibilit� occorre che si abbia una lesione ingiusta, 
evidenziabile tuttavia anche quando, pur essendo concesso all'ente di 
incidere su posizioni soggettive altrui, sia poi l'esplicazione del potere 
--riconosciuta illegittima con l'annullamento del provvedimento -da 
ritenere non pi� idonea a giustificare la lesione medesima, che resterebbe 
�pur sempre lesione di diritto soggettivo� (p. 74). � 

Avverte l'A. che altro discorso � da fare per quanto concerne gli 
interessi legittimi, in relazione ai quali � sicuramente da dire che una 
questione di risarcibilit� delle corrispondenti lesioni nemmeno pu� 
porsi, non sussistendo, in principio, un interesse sostanziale direttamente 
tutelato, e quello strumentale essendo restaurato in pieno con 
la eliminazione del provvedimento illegittimo (pagg. 75-76); e, rilevato 
che ci si deve domandare, piuttosto, se possa darsi risarcimento della 
�lesione del danno patrimoniale che per avventura sia collegato alla 
lesione dell'interesse legittimo�, osserva che al quesito pu� darsi risposta 
affermativa, in via generale, quando sia ipotizzabile autonomamente 
una lesione patrimoniale, dipendente dal meder.imo comportamento 
dell'a.p. lesivo dell'interesse legittimo: lesione da ritenere 
conseguenza diretta della trasgressione del dovere primario di rispettare 
l'integrit� dei patrimoni altrui, e da considerare perci� risarcibile, 
purch� ricorrano gli altri comuni presupposti della responsabilit� 

(p. 
78 segg.). 
Un'ampia indagine compie poi l'A. in ordine all'elemento sogget

27

PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

tivo dell'illecito, la imputabilit�, con particolare riferimento agli aspetti 
attinenti alla ricerca del dolo e della colpa, anche in rapporto alla 
ricorrenza di situazioni in cui rilevino i poteri discrezionali dell'a.p.; 
ed una separata e completa trattazione svolge, ancora, circa l'accertamento 
e gli effetti dell'illecito, e circa la responsabilit� per danni conseguenti 
ad attivit� legittime, dedicando infine un apposito capitolo, 
che chiude il volume, all'approfondimento delle questioni concernenti 
la responsabilit� diretta e personale dd dipendente. 

2. Si � cercato di dar conto, sia pure in rapida sintesi, dello sviluppo 
tematico dell'opera in rassegna, con la quale uno studioso di 
indubbia autorit�, quale l'A., porta un nuovo contributo all'esame delle 
questioni che si presentano nella materia della responsabilit� degli 
enti pubblici: materia di per s� delicata, per la esigenza della ricerca 
del giusto punto di equilibrio, nell'ambito dell'ordinamento, tra gli 
interessi dei singoli e quelli della collettivit�, ed oggi fatta oggetto di 
pi� tormentata indagine, per i nuovi orientamenti che, da alcun tempo, 
una parte della dottrina va esprimendo, anche su punti che sembravano 
non controvertibili o non pi� controversi. 
Si tratta di un contributo particolarmente apprezzabile anche per 
il rigore metodologico della trattazione, che, come del resto gi� � dato 
di rilevare dalla breve esposizione che si � tentata innanzi, � compiuta 
sempre con un attento studio delle singole questioni che vengono in 
rilievo, da una parte, e con uno sviluppo gradato e sistematico, poi, 
nella ricerca concernente i. pi� ampi� temi posti in discussione, per i 
quali le conclusioni scaturiscono conseguenzialmente dall'armonico e 
logico coordinamento delle soluzioni parziali volta a svolta acquisite, 
che si pongono, cos� pu� dirsi riprendendosi una notazione espressa 
dal Carnelutti per il �Sistema istituzionale... � dello stesso A. (Riv. 
dir. proc., 1955,75), come elementi di una architettonica costruzione. 

Ci� non esclude, naturalmente, che in relazione a taluna premessa 

o a taluna conclusione, possano ravvisarsi ragioni di dubbio o anche 
di dissenso. Ma va detto subito che, particolarmente nei punti in cui 
sono additati nuovi profili o indicate nuove impostazioni di un problema, 
� l'A. stesso che, con quel metodo strettamente razionale seguito, 
quasi invita ad un dibattito, o comunque ad una pi� ampia discussione 
dell'argomento: la qual cosa indubbiamente costituisce un ulteriore 
pregio dell'opera. 
Cos�, ad esempio, sembra proposta all'attenzione dello studioso 
l'affermazione dell'A. a proposito del fine che si connette all'istituto 
della responsabilit� dell'a.p.: affermazione che, anche per le conseguenze 
che se ne dovrebbero trarre, pu� dar. luogo a perplessit�, e sollecitare 
ad una ulteriore ricerca, quando si rilevi che la differenziazione 
di base, rispetto alla responsabilit� dei privati (individuata, tra l'altro, 
con riferimento alla potenzialit� lesiva dei considerati soggetti), potrebbe 
diversamente prospettarsi, se si ipotizzino, come sembrerebbero 
ipotizzabili, anche lesioni ad opera di privati non derivanti da un 
comportamento materiale (si pensi, ad es., senza pi� ampiamente considerare 
la teoria pi negozi sul patrimonio altrui, alla responsabilit� per lite 
temeraria), e quando si consideri, sotto altro aspetto, che nella proposta 
formulazione potrebbe non risultare compreso il pur vasto campo 
della responsabilit� dell'a.p. (diretta o indiretta che sia da ritenere) 



~

28 RASS�GNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO -:-: 

per i danni arrecati a terzi nell'esplicazione dell'attivit� materiale o 
tecnico-materiale dei dipendenti: per i quali rilievi, ed� in relazione 
alla individuazione, nella norma di cui all'art. 2043 e.e., di un comune 

denominatore della responsabilit� dell'a.p. e dei privati, potrebbe dirsi 
che non tanto rilevi una distinzione qualitativa e finalistica, quanto di 
misura, nel senso che gli enti pubblici debbano ritenersi responsabili, 
alla pari dei privati, per le trasgressioni al dovere di non ledere la 
sfera primaria altrui, purch� questa non sia limitata dai poteri concessi 
all'a.p.. � 

Sulla questione della riferibilit� all'ente degli atti o dei fatti compiuti 
da persone fisiche che per esso agiscono, o delle conseguenze 
dannose che ne derivino, si � visto come, respinta la teoria organica, 
l'A. pervenga all'affermazione, tuttavia, di una diretta responsabilit� 
dell'a.p. in situazioni attinenti all'esplicazione, illegale, di un potere, e 
invece, per esclusione, all'affermazione, in ogni altra ipotesi di lesione 
di sfere primarie, della responsabilit� indiretta, per altro estesa anche 
ai casi di attivit� dolosa dell'agente. 

Quanto alla prima conclusione, la quale si riallaccia, cos� ci � parso, 
alla teoria dell'imputazione organica, potrebbero non esservi difficolt� 
concettuali a consentirvi, di massima, quando la si consideri, 
come sembra potersi rilevare, soltanto nell'ambito del problema della 
riferibilit�, e non foriera di ulteriori conseguenze ai fini dell'identificazione 
di altri presupposti della responsabilit�, cui potrebbe far pensare 
il richiamo al concetto, nella formulazione inserito, di una illegalit� 
dell'azione amministrativa. 

Appare di pi� difficile intendimento, invece, il corollario che da 
quella impostazione dovrebbe trarsi, della limitazione della responsabilit� 
diretta ai soli casi di danni derivanti da esplicazione di potere, 
giacch�, invero, se alla conclusione prima debba pervenirsi in relazio� 
ne al rilievo secondo cui l'ente � costituito, nell'ordinamento e dall'ordinamento, 
perch� sia il centro dei rapporti che dall'attivit� dei 
centri di potere si originano, e cio� per dare un soggetto ai rapporti 
medesimi, sembrerebbe doversi porre l'alternativa: che all'ente non 
siano riferibili, n� in via diretta n� in via indiretta, rapporti diversi 
da quelli in vista de quali esso istituzionalmente � creato, e cio� diversi 
da quelli dipendenti, nei limiti precisati dall'A., dall'attivit� dei 
ripetuti centri di potere, ovvero che all'ente siano riferibili anche altri 
rapporti, e specificamente anche quelli derivanti da attivit� materiali 
delle persone fisiche agenti, ma ci� soltanto in quanto possa evidenziarsi 
per essi quello stesso collegamento, che l'A. individua ai fini della 
diretta riferibilit� delle attivit�. da esplicazione di potere, e cio� in 
quanto possa dirsi che l'ente sia creato per essere soggetto anche di 
tali rapporti, anch'essi collegabili, sia pure in via strumentale, all'azione 
amministrativa dei centri ridetti, e possa quindi affermarsi la 
ricorrenza di una comune ragione giustificativa della riferibilit�: la 
quale, allora, in vista di quel comune, anzi unico, fine istituzionale, potrebbe 
in ogni caso considerarsi diretta. 

E ragioni di dubbio, d'altra parte, circa la conclusione cui l'A. perviene, 
sembrano doversi esprimere anche con riferimento al criterio 
della utilizzazione, che sia da porre a fondamento della responsabilit� 
indiretta, giacch�, in rapporto alla proposta costruzione, e cos� considerandosi 
il fine dell'ente, che � creato per essere soggetto dei rapporti 


PARTE U, RASSEGNA DI DOTTRINA ~9 

'� 

derivanti dall'attivit� dei centri di potere, potrebbe non individuarsi 
nell'attivit� dei dipendenti una utilit� per l'ente medesimo (essa gioverebbe, 
in ipotesi, ai centri di potere), e potrebbe ritornarsi allora 
all'alternativa di dover escludere, e questa volta per il difetto del presupposto 
della utilizzazione, la riferibilit� anche indiretta dei rapporti 
derivanti da attivit� materiale, ovvero di ammetterla, ma non sotto 
l'indicato profilo, bens�. in vista della natura strumentale dell'attivit� 
medesima rispetto all'esercizio del potere, e quindi per lo stesso tramite 
diretto, per cui si perviene a fare imputazione all'ente dei rapporti 
cui d� vita l'azione amministrativa: il qual rilievo potrebbe, infine, 
indurre alla conclusione che non si possa comunque prescindere, 
nell'indagine sulla riferibilit�, dal principio dell'organizzazione, che si 
confermerebbe perci� di per s� idoneo, rispetto ai centri di potere 
anche, se si vuole, o direttamente rispetto all'ente, a far considerare 
come proprio dei primi, e quindi anche del secondo, o di quest'ultimo 
soltanto, il fatto illecito che sia emanazione, e purch� sia emanazione, 
dell'apparato organizzato. (E, quindi, con esclusione dei fatti dolosi, che 
non possono non essere esclusivamente propri dell'agente). 

E' il caso, infine, di fermare l'attenzione su un altro interessante 
problema esaminato nell'opera in rassegna, quello della pretesa risarcibilit� 
dei danni da lesi�ne di interessi legittimi. 

Va subito detto che � merito dell'A. l'aver riportato la questione 
nei suoi giusti confini, con la basilare precisazione che una questione 
non potrebbe porsi che nell'ambito dei comuni principi in tema di responsabilit�, 
per la lesione di sfere primarie, prescindendosi in ogni 
caso dalla diretta considerazione della lesione dell'interesse legittimo, 
non potendo ipotizzarsi un risarcimento pecuniario quando non vi sia 
una �utilit� sostanziale oggetto di garenzia �. 

Ci� non esclude, per�, secondo l'A., che possa sotto altro aspetto 
configurarsi la risarcibilit� per la lesione di sfere patrimoniali protette, 
che sia da ritenere collegata alla lesione di un interesse legittimo, 
ed in particolare, se bene abbiamo inteso, quando si avveri e sia accertabile 
un pregiudizio patrimoniale, che non si sarebbe verificato se 
l'attivit� amministrativa si fosse legittimamente esplicata. 

Ma, proprio restandosi nell'ambito dei comuni principi (alla stre


gua dei quali, ovviamente, deve anche ritenersi che non sia fatta al


l'a.p. una condizione deteriore rispetto a quella dei privati), non sem


bra si possa senz'altro consentire nel proposto ragionamento, anche 

circa il rapporto di causa ad effetto tra il comportamento dell'a.p. ed 

il pregiudizio economico, essendo quest'ultimo soltanto una compo


nente del danno giuridicamente inteso, il quale presuppone, in primo 

luogo, la esistenza, gi� nel patrimonio del soggetto presunto leso, del


la utilit� che si possa ipotizzare menomata: la quale utilit�, se un dato 

interesse non sia fatto oggetto di immediata tutela anche nei confronti 

dell'a.p., come � a dire originariamente insussistente, cos� dovrebbe 

ritenersi che non possa nemmeno successivamente acquisirsi, o per


dersi, in collegamento ad eventuale illegittimit� dell'azione ammini


strativa. 

N� sembra possa valere all'indicato fine la considerazione di una 

lesione del patrimonio altrui come diretta conseguenza non gi� della 

violazione della norma dettata per il regolare svolgimento dell'atti


vit� dell'ente, bens� di un comportamento autonomamente lesivo ed 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO S'fATO

30 

incidente nella sfera primaria dei singoli, perch�, mentre � nella proposta 
costruzione tuttavia prospettata la necessit� di un collegamento 
alla violazione dell'interesse (e si tratterebbe di un collegarq.ento indiretto, 
che non dovrebbe rilevare, non essendo ammesso risarcimento 
di danni che non siano conseguenza immediata e diretta di una violazione), 
parrebbe comunque da osservare che quel .comportamento 
medesimo non potrebbe i.ncidere che nei limiti della consistenza, della 
sfera dei diritti p,rimari, che sia giuridicamente apprezzabile, e 
cio� di una consistenza che non comprende n� il vantaggio sperato, n� 
la sperata mancata diminuzione patrimoniale (in relazione ad interessi 
legittimi), e rispetto alla quale, quindi, un danno (che --.si colleghi 
a quel mancato vantaggio o all'avveratasi diminuzione), non dovrebbe 
essere comunque ipotizzabile. (Per un ampio esame della questione, 
in genere, della risarcibilit� in rapporto a violazione di interessi legittimi, 
cfr. FOLIGNO, La pretesa responsabilit�, ecc. in questa Rassegna, 
1963, 1 segg.). 

3. Premeva segnalare il lavoro dell'A. anche e particolarmente negli 
aspetti, spesso nuovi, con i quali esso �si inserisce nella rinnovata 
polemica circa il fondamento ed i limiti della responsabilit� della 
Pubblica Amministrazione. . 
Altre, e tutte interessanti, questioni vi sono trattate, come prima 
si � detto, e per esse valga il breve cenno che se ne � fatto innanzi a 
richiamare l'attenzione. dello studioso, che in tutta l'opera, invero, trover� 
spunti utili anche per una ulteriore proficua meditazione dei proposti 
problemi. 

MARIO FANELLI 

V. 
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, voi. IV, Napoli, 
1964, pagg. 936. 
Scrivere di un commentario, e per giunta di un commentario come 
quello dell'Andrioli, non � come� scrivere di un libro. Un libro si legge, 
si studia, un commentario del genere si vive: se ne saggiano, cio�, la 
utilit� e la bont� nella pratica quotidiana, ogni volta che si presenta 
l'occasione. 

Comunque, intanto, l'ausilio di un commentario nella soluzione dei 
molti problemi (spesso assillanti specie in materia di procedura) che si 
pongono a chi opera nel mondo del diritto, meglio ancora di un libro 
per quanto pregevole, pu� essere prezioso; e preziosi, � ormai notorio, 
sono stati i primi tre volumi del commentario dell'Andrioli: riconoscerlo, 
sebbene doveroso, � un portare vasi a Samo. 

Sar� cos� anche per questo quarto volume? Non vi � ragione di dubitarne, 
conoscendo l'A., sia pur solo attraverso le sue opere ed i suoi 
scritti; di pi�, si sa come l'A. si sia dedicato al completamento, tanto 
atteso, di questa sua opera, anzi di questa, che si ritiene la sua Opera. 

Benvero, impostazione e metodo non si differenziano da quelli dei 
precedenti volumi, nella loro ultima edizione; i pregi sono in tutto ana� 
loghi: peraltro, il completamento stesso dell'opera ne accresce il valore. 


PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

Anche qui vanno diminuendo il raffronto con il codice del 1865 e il 
richiamo ai lavori preparatori, giustificatamente dato il trascorrere del 
tempo, che ne attenua forse l'utilit� e consente. il pi� proficuo uso dei 
risultati dell'esperienza, come osserv� il CARNELUTTI, a proposito della 
terza edizione del primo volume dell'opera (in Riv. dir. proc., 1954, I, 130), 
ma la quasi intera eliminazione dell' �analisi dei lavori preparatori... 
unica del genere in Italia� (v. �schedula� non firmata a proposito della 
terza edizione del secondo volume in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1957, 386) 
sar� pi� sentita per questo quarto volume, non potendosi far ricorso a 
precedenti edizioni. 

Si avverte, poi, la mancanza per ciascun capo (e talvolta per ciascuna 
sezione) di quelle bellissime premesse fatte solo per alcuni capi (e per 
alcune sezioni), le quali lungi dallo snaturare il carattere dell'opera riescono 
di grande vantaggio all'inquadramento dei singoli istituti, che peraltro 
si pu� ricavare dall'esegesi articolo per articolo (quasi sempre come 
di consueto ampia e completa o almeno esauriente, ricca di richiami 
ragionati a giurisprudenza e dottrina, e spesso, specie per i primi articoli 
relativi a ciascun istituto, permeata da vasti riferimenti sistematici: 
v., ad esempio, i commenti agli articoli 700 e 796), ma pi� faticosamente 
e meno efficacemente di come l'A. con la sua maestria avrebbe potuto 
offrire ed ha offerto laddove tali premesse si leggono. 

Cos�, la struttura e la natura del procedimento di ingiunzione sono 
sinteticamente chiariti nello sviluppo storico e criticamente esaminati ai 
fini della � costruzione teorica �, nel fruttuoso tentativo di ricondurre 
ad unit� l'istituto sia nel caso di decreto normale sia nel caso di decreto 
provvisoriamente esecutivo, sulla base della disciplina positiva data dal 
legislatore con l'abbandono � delle linee classiche del processo monitorio
� (pagg. 1 e segg.). Cos� pure a proposito del procedimento per convalida 
di sfratto si distingue tra le diverse ipotesi sotto il profilo funzionale, 
negand�si l'utilit� pratica de l'indagine sui rapporti con il procedimento 
monitorio (pag. 117), ed a proposito dei procedimenti di istruzione 
preventiva si pone in luce la sistemazione, la quale rappresenta 
una novit� del codice del 1940 rispondente a sentite esigenze pratiche, 
approvandola giacch� le varie applicazioni, pur differenti per la ratio, 
ben rientrano nella vasta categoria dei provvedimenti cautelari (pagg. 234235). 
Cos� ancora si riconducono i procedimenti per l'interdizione e per 
l'inabilitazione, conformemente all'attuale sistemazione data dal legislatore, 
dopo l'esame della disdplina contenuta nel precedente codice 
e delle fondamentali questioni agitate in merito, tra i procedimenti in 
camera di consiglio (contrapposti ai procedimenti contenziosi, unica di'>
tinzione di rilievo, secondo l'A., per i procedimenti instaurati davanti 
ai giudici nazionali -la qualificazione di giurisdizione volontaria sarebbe 
necessaria solo per assodare i modi di riconoscimento dell'efficacia in 
Italia dei provvedimenti stranieri -); ma con � larghissime... brecce aperte 
nello schema normale� specie per� quanto attiene all'istruzione ed alla 
decisione, onde, malgrado la sistemazione, pu� piuttosto parlarsi di un 
procedimento contenzioso speciale che non di un procedimento speciale 
in camera di consiglio; e si considerano, quindi, i principi applicabili 
indipendentemente dalla accennata bipartizione (pagg. 345 e segg.). Cos�, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

infine, per quanto riguarda le disposizioni comuni ai procedimenti in 
camera di consiglio l'A. a conclusione di un sostanzioso discorso sui precedenti 
fa presente che per l'applicaz�one di esse �lungi dal far leva 
sulla nozione sostanziale di volontaria giurisdizione (dato e non concesso 
che di una, e non di molte e fra loro conflittanti si tratti) o, quanto 
meno, sulla vicenda di una procedura senza contraddittore � l'interprete 
deve fondarsi sugli elementi formali: forma del ricorso per l'atto introduttivo 
e carattere rudimentale del contraddittorio e dell'istruttoria 
anzitutto, senza che ci� possa peraltro consentire di superare ogni difficolt� 
(pagg. 425 e segg.); e, per quanto riguarda il processo di liberazione 
degli immobili dalle ipoteche, l'A. sostiene, nella successione 
dei vari atti con riferimento pure alle norme contenute nel codice civile 
(artt. da 2889 a 2898), l'inquadramento tra i procedimenti volontari, non 
senza svolgere osservazioni di grande interesse sul carattere dell'aggiudicazione 
(non risolutivo ma confermativo del precedente acquisto) e 
sulla legittimazione (pagg. 620 e seg.). 

BENEDETTO BACCARI . 

AUTORI VARI, Enciclopedia del diritto, val. XII (voci del delitto-diritto), 
Mih:ino, 1964. 

La � enciclopedia del diritto � presenta anche per questo volume 
i ben noti requisiti di completezza, da considerare ovviamente in rapporto 
ai caratteri ed alla funzione dell'opera. Anzi, la natura tipicamente 
composita di essa fa risaltare ancor pi�, per alcune voci, la bellezza 
delle trattazioni, la cui lettura spesso costituisce un vero godimento. 

Alludiamo specialmente a quelle attinenti alla teoria generale e alle 
partizioni del diritto, tra cui ricordiamo: diritto soggettivo (W. CESARINI 
SFORZA, p. 659 e segg.); diritto pubblico e privato (S. PUGLIATTI, p. 696 e 
segg.); diritti (soggettivi) assoluti e relativi (F. SANTORO PASSARELLI, p. 748 
e segg.); diritto amministrativo (M. S. GIANNINI, p. 855 e segg.); diritto 
civile (R. NicoL6, p. 904 e segg.); diritto costituzionale-nozione e caratteri 

(C. MORTATI, p. 947 e segg.); diritto processuale civile (S. SATTA, p. 1100 
e segg.); diritto tributario e diritto finanziario (G. A. MICHELI, p. 1119 
e segg.). 
Accanto a queste ora menzionate sono contenute nel volume altre 
numerose voci, del pari interessanti, pure ai fini di questa rassegna, par� 
ticolarmente su argomenti specifici, talvolta affidate ad autori di chiara 
fama e ricche nella trattazione di impostazioni originali e di spunti feli� 
cissimi (v., ad esempio, la voce �demanio comunale� di A. M. SANDULLI, 

p. 86 e Segg., da notare anche per l'ammirevole sintesi). 
In rapporto agli accennati fini, tenendo conto dello svolgimento degli 
argomenti, anche per l'ampiezza, converr� soffermarsi nei limiti consentiti 
da una recensione del genere su talune voci, guidati pure nella scelta 
dalla pertinenza a temi di maggior �pratica rilevanza, senza con ci� nulla 
voler togliere alla preminenza della teoria e ai riflessi determinanti sulla 
pratica: basti pensare, tanto per fare un esempio, alla tesi riaffermata 

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33

PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

dal Micheli (Dir. trib. e fin., cit., p. 1126-7) -contraddetta, peraltro, 
dalla pi� recente giurisprudenza (v., da ultimo, Cass. 19 aprile 1961, in 
Foro it., 1962, I, 118 e Cass. 28 giugno 1963 n. 1752) -della inapplicabi� 
lit� della interpretazione estensiva alle norme tributarie eccezionali, 
come quelle che stabiliscono esenzioni! 

Eppertanto si considererranno qui partitamente le voci sul demanio 
marittimo, sulla dichiarazione di pubblica utilit�, sulla difesa (beni destinati 
alla). 

F. A. GUERCI, Demanio marittimo, pagg. 92-109. 
Alla nozione del demanio marittimo come complesso di beni destinati 
a soddisfare gli interessi pubblici riguardanti la navigazione ed il 
traffico marittimo, piuttosto ristretta, �invero, laddove sarebbe preferibile 
il riferimento ai fini del pubblico uso' del mare, in genere (v. Cass. 
2 maggio 1962 in Giur. it., I, 1, 795, richiamata, del resto, dallo 
stesso A.), e non solo in rapporto agli ipotizzabili sviluppi di tale uso, 
l'A fa seguire, peraltro, la chiara affermazione della non tassativit� dell'elenco 
di cui all'art. 822 e.e., non si comprende bene tuttavia se solo in 
relazione all'integrazione positiva dell'art. 28 c. nav., il che non pare sostenibile 
almeno in ragione del disposto dell'art. 33 c. nav. (v. Relazione 
Avvocatura Stato per gli anni 1942-1950, voi. I, n. 165, pagg. 346-347). Cos� 
pure, a parte il mancato approfondimento della natura del decreto previsto 
dall'art. 35 c. nav., giustificato per� dai limiti di spazio della trattazione, 
Io stesso � carattere di generale esclusivit� della competenza del!'
Autorit� marittima� (v. pure Cons. di Stato 23 dicembre 1961 in Foro it., 
1962, III, 20 e Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1951-1955, voi. I, 

n. 139, pagg. 312-316) si sarebbe potuto meglio precisare, segnatamente 
in rapporto al pi� recente indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. 2 maggio 
1962 cit.; v., per�, pure Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1942-1950, 
voi. I, n. 165, pagg. 345-346), secondo cui il Giudice ordinario �investito 
della controversia sulla demanialit� o meno di un. bene� potrebbe � accertare 
il concorso o meno in quel bene dei caratteri della demanialit� �. 
Infine, il rinvio per ci� che concerne le vicende del carattere demaniale 
del bene -acquisito, modificazione e perdita -alla voce beni pubblici 
(sebbene l'argomento sia qui magistralmente sintetizzato dal SANDULLI, 
voi. V, pagg. 295 e 297) non avrebbe forse dovuto escludere un utile esame 
delle relative questioni con particolare riguardo al demanio marittimo 
(v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1942-1950, voi. I, n. 164, 
pagg. 344-345). 
Pi� completa la trattazione per quanto attiene alla funzione dei beni , 
del demanio marittimo ed agli effetti di tale demanialit� (uso diretto, 
uso generale, uso. particolare), nonch� specialmente per quanto attiene 
alle concessioni, cui � dedicata, sotto l'aspetto sostanziale (v. pure Cass. 
23 giugno 1962, n. 1637) e procedurale (v. pure Cons. di Stato 23 maggio 
1962, in Foro amm., 1962, I, 1263), la maggior parte dello studio (par. 8-15, 
pagg. 98-109). Anche qui si potrebbero fare qualche rilievo e qualche riser� 
va, ma ai fini di questi brevi cenni sembra sufficiente quanto si � osservato 
sopra, che riguarda in definitiva la parte generale suscettibile di 



34 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

influenzare ogni soluzione dei problemi particolari e per ci� �ritenuta 
meritevole delle esposte considerazioni. 

U. ARDIZZONE, Dichiarazione di pubblica utilit�, pagg_ 391-409. 
Da un giudizio di � perspicuit� � dell'art. 834 e.e., dal rilievo che la 
necessit� della dichiarazione di pubblica utilit� non � prevista nella Co� 
stituzione e dall'affermazione che � l'opera di pubblica utilit� non � l'opera 
pubblica>>, meglio chiarita nel testo di un paragrafo cos� intitolato (par. 2), 
l'A. prende le mosse per una lunga esposizione, la cui prima parte � 
dedicata ad un elenco delle leggi riguardanti la materia e ad un commento 
delle prime disposizioni della legge fondamentale sulle espropriazioni per 
pubblica utilit�. Laddove formula talune considerazioni spesso l'A non 
convince, cos� come quando, accennando alla rilevanza dell'approvazione 
dei progetti ai fini della dichiarazione di pubblica utilit� allorch� la legge 
tale rilevanza stabilisce, afferma che � la formulazione legislativa non � 
quella dell'equivalenza� (espressione che sembra, invece, efficace a ren 
�dere il concetto) �ma quella della conseguenzialit�, per la quale tale 
dichiarazione � implicita nell'atto di approvazione �, mentre � stato giustamente 
osservato che con l'approvazione del progetto l'amministrazione 
� non valuta e, quindi, non dichiara n� esplicitamente n� implicitamente 
la pubblica utilit� della singola opera, la quale � stata gi� dichiarata 
per tutte le opere della categoria del legislatore, che " solo � ha condizionato 
gli effetti di tale dichiarazione alla emanazione di un atto amm1mstrativo 
� (v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1955-1960, voi. III, 

n. 456, p. 280). 
Ampio esame l'A. dedica, poi, all'autonomia del procedimento di dichiarazione 
di pubblica utilit�, nelle varie ipotesi, autonomia generalmente 
ammessa, -peraltro, nel senso di impugnabilit� ex se dell'atto amministrativo 
che lo conclude. Segue una dettagliata descrizione del procedimento, 
puntellata qua e l� da affermazioni che non sempre appaiono 
condividibili, almeno nella loro assolutezza, cos� come quando si esprime 
l'opinione dell'impugnabilit� ex se del decreto prefettizio di autorizzazione 
all'introduzione nelle propriet� private, il quale sembra, invero, un 
atto tipicamente preparatorio e strumentale previsto proprio al fine di 
consentire quell'accertamento di ricorrenza o meno degli estremi di pubblica 
utilit� dell'opera che si voglia intraprendere. 

Non sembra, di contro, adeguatamente trattato il problema del 
termine per l'inizio e per l'ultimazione dell'espropriazione e dei lavori, 
ai cui pi� recenti ed interessanti sviluppi (giacch� riguardano le questioni 
per le quali il problema si pone sostanzialmente) l'A. dedica una nota 

(n. 15), ritrattando, peraltro, ivi, come pare, quanto afferma nel testo 
(a pag. 406). Il problema, cui si -accenna, � quello della dichiarazione 
di pubblica utilit� ex lege senza la pref�ssione di un termine: tale dichiarazione 
conserva la sua efficacia finch� la legge rimane in vigore o la pre� 
fissione dei termini dovr� essere contenuta nel primo provvedimento di 
concreta attuazione della legge (e, quindi, non solo nell'atto di approva� 
iione del progetto, ma finanche nell'atto con il quale si designano i 
beni da espropriare, come afferma l'A_, o, pi� propriamente, nel provve

35

PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

dimento con il quale il Prefetto 'ordina il deposito di quest'atto)? La 
prima soluzion� sembra la pi� corretta, nonostante il contrario orientamento 
giurisprudenziale (per una serrata e convincente critica del 
quale v. Relazione Avvocatura Stato per gli anni 1955-1960, voi. III, n. 466, 
pagg. 311-319), ma un approfondimento delle questioni relative nella 
trattazione in esame non sarebbe apparsa fuori luogo. Cos� pure il rinvio 
alla voce occupazione del problema dei rapporti tra occupazione ed espropriazione 
in relazione alla dichiarazione di pubblica utilit�, con la semplice 
affermazione della necessit� di questa sempre che l'occupazione si 
presenti come un provvedimento �incidentale�, il quale si inserisca nel 
procedimento di espropriazione, non pare del tutto giustificabile, ma si 
sarebbe qui dovuto almeno ribadire, per non ingenerare equivoci favoriti 
dalla surriportata affermazione, la giuridica autonomia dei due procedimenti 
con le logiche conseguenze anche per la dichiarazione di pub


. blica utilit�, da riferirsi soltanto all'espropri�zione ed anzi non necessaria 
come tale ove l'occupazione sia resa definitiva in applicazione 
dell'art. 73 della legge n. 2359 del 1863. 

Con l'accenno a talune espropriazioni (quelle, di cui agli artt. 857 e 
segg. e.e.), ritenute di natura sanzionatoria e non abbisognevoli di preventiva 
dichiarazione di pubblica utilit� (ma non potrebbe configurarsi 
una dichiarazione di pubblica utilit� insita nel complesso delle relative 
nor:me legislative e negli atti ivi previsti per il compimento dell'espro 
priazione?) e con la riaffermazione dell'autonomia del provvedimento mediante 
il quale si dichiara la pubblica utilit�, ai fini della impugnabilit� 
ex se, la trattazione si conclude. 

P. 
PASTORE, Difesa (beni destinati alla), pagg. 441-454. 
Del pari a qualche perplessit� induce fin dalla impostazione iniziale 
anche la trattazione dei � beni destinati alla difesa �. Benvero, a mo' di 
premessa, l'A. afferma che costituisce demanio militare in senso tecnico 
oltre alle �opere destinate alla difesa� �ogni altro bene pubblico, 
pubblico, che pure non essendo destinato direttamente alla difesa dello 
Stato, sia amministrato in quanto interessa la medesima dall'Autorit� 
militare �. Orbene, tale affermazione non pare possa in principio condivi� 
dersi, giacch� il demanio in senso tecnico � appunto e solo caratterizzato 
da una destinazione diretta, come del resto riconosce lo stesso A., poco 
dopo; n� pare possa in concreto giusti:(�carsi attraverso la successiva 
esemplificazione, per cui si ritiene che l'A. voglia indicare con quella locuzione 
� le strade militari, gli aeroporti militari, i porti militari �, giacch� 
tali beni in tanto fanno parte del �demanio militare sempre beninteso nel 
senso tecnico di cui soltanto si discorre qui in quanto rientrino tra le opere 
destinate direttamente alla difesa, pure se suscettibili di altri usi. La 
espressa indicazione di taluni beni nell'art. 822 e.e. tra quelli del demanio 
non ha a che vedere con il demanio militare. Ci� vale altres� per � gli 
acquedotti costruiti dall'Amministrazione militare� e per �le raccolte 
dei musei e delle biblioteche militari�, giacch� del demanio militare pure 
tali beni potrebbero far parte solo in quanto rientrassero (ma per le 
�raccolte� non sembra proprio ammissibile) tra le opere destinate direttamente 
alla difesa. 



36 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In definitiva, cio�, questa formula, volutamente generica per con'sentirne 
la estensione in relazione alle particolari, complesse e mutevoli 
esigenze della difesa, � suscettibile di comprendere una serie di beni, 
la cui elencazione, difficilmente completa (m� peraltro accuratamente 
condotta dal'A. una volta giustamente esclusa � l'enumerazione legisla 
tiva � a � carattere tassativo�), pu� tentarsi con qualche utilit�, semmai 
praticamente, soltanto con riferimento ad un dato momento storico. In 
considerazione di tutto questo di quella formula, mentre non pu� non 
ammettersi l'interpretazione �in maniera razionale�,� del resto criterio 
generale di ermeneutica, non sembra possa condividersi � l'interpretazione 
con <:riteri necessariamente restrittivi �, anche se in ci� come in altri punti 
riecheggia non sempre felicemente sviluppato l'autorevole pensiero dello 
ZANOBINI (Corso di diritto amministrativo, vol. IV, Milano, 1958, p. 105 
e segg.). 

Deve, invece, condividersi il principio, secondo cui taluni beni che 
in s� considerati non rientrerebbero nel demanio militare vi rientrano 
quali pertinenze di altri beni demaniali (restando soddisfatto dato il rapporto 
di pertinenza la rilevata esigenza di destinazione diretta), mentre 
circa la � permanenza � delle opere come condizione della demanialit� 
dei beni in questione potrebbero formularsi delle riserve nel difetto di 
opportune precisazioni; ma ogni ulteriore osservazione condurrebbe ad 
esemplificazioni, che qui si vogliono evitare, intendendo non andare oltre 
a rilievi di carattere pi� generale, riflettentisi ovviamente sulle questioni 
specifiche, dall'A. trattate con diligenza e completezza. 

BENEDETTO BACCARI 

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:-: 

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RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI* 

D.P.R. 13 FEBBRAIO 1964 n. 185: Emanato in virt� della delega conferita 
al Governo con l'art. 14 della legge 31 dicembre 1962 n. 1860, detta 
disposizioni per ia sicurezza degli impianti e la protezione dei lavoratori 
e delle popolazioni in relazione allo svolgimento di attivit� concernenti 
materie nucleari e sostanze radioattive (G.U. 16 aprile 1964, 
n. 95, suppl. ord.). 
LEGGE 1� MARZO 1964 n. 62: Reca modicazioni al R.D. 18 novembre 
1923 n. 2440 sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilit� generale 
dello Stato, tra l'altro disponendo: che l'anno finanziario comincia 
il 1� gennaio e termina il 31 dicembre; che Io stato di previsione della 
entrata e gli stati di previsione della spesa formano oggetto di unico 
disegno di legge; che le spese sono distinte in �spese correnti (o di 
funzionamento)� e �spese in conto capitale (o di investimento)�. (G.U. 
9 marzo 1964, n. 61). 

LEGGE 1� MARZO 1964, n. 113: Eleva a lire 960.000, con decorrenza 
dall'l gennaio 1964, il minimo imponibile agli effetti dell'imposta complementare, 
e modica altre correlative ,disposizioni del T.U. 29 gennaio 
1958, n. 645 {G.U. 25 marzo 1964, n. 76). 

LEGGE 1� MARZO 1964, n. 134: Modifica al�une disposizioni del D.P.R. 
30 giugno 1955, n. 1534 e della legge 12 luglio 1956, n. 735, in tema di 
decentramento dei servizi dell'Amministrazione dei Lavori Pubblici, elevando 
i limiti di valore per la competenza dei Provveditori alle 00.PP. 
e dei Comitati tecnici amministrativi; eleva altres� i limiti di valore 
in tema di pareri obbligatori del Consiglio di Stato sugli appalti e le 
transazioni relative ad opere di competenza della detta Amministrazione 

(G.U. 1� aprile 1964, n. 81). 
LEGGE 12 APRILE 1964, n. 189: Converte in legge, senza modicazioni, 
il D.L. 23 febbraio 1964, n. 25 sul regime fiscale della benzina, degli 
idrocarburi aciclici saturi e naftenici, liquidi, e dei gas di petrolio� liquefatti 
per autotrazione (G.U. 18 aprile 1964, n. 97). 

LEGGE 12 APRILE 1964, Ii. 190: Converte in legge, con modificazioni, 
il D.L. 23 febbraio 1964, n. 26, istitutivo di un'imposta speciale sugli 
acquisti di automobili e natanti (G.U. 18 aprile 1964, n. 97). 

LEGGE 12 APRILE 1964, n. 191: Converte in legge, con modificazioni, 
il D.L. 23 febbraio 1964, n. 27 recante disposizioni temporanee sulla 
ritenuta di acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle societ� e 
norme sulla nominativit� (G.U. 18 aprile 1964, n. 97). 

* Si segnalano quelli ritenuti di maggiore interesse. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

33 

D.L. 24 APRILE 1964, n. 212 (1): Modifica il trattamento fiscale delle 
vendite di merci allo stato estero, abrogando le disposizioni della legge 
16 agosto 1962, n. 1347 e richiamando in vigore quelle della legge 24 
marzo 1959, n. 112 (G.U. 28 aprile 1964, n. 104). 
D.L. 24 APRILE 1964, n. 213 (1): Dispone agevolazioni in materia di 
imposta di bollo e di bollo sui documenti di trasporto, per atti relativi 
al commercio internazionale (G.U. 28 aprile 1964, n. 104). 
(1) Presentato al Parlamento per la conversione. 
DISEGNI E PROPOSTE DI LEGGE 

DISEGNO DI LEGGE N. 366, di iniziativa del senatore Paratore, comunicato 
alla Presidenza del Senato della Repubblica il 22 gennaio 1964 e 
deferito alla prima commissione in sede referente (previo parere 
della quinta commissione) il 4 febbraio 1964: Istituzione del Ministero 
della Presidenza del Consiglio dei ministri e determinazione 
del numero dei Ministeri (*) 

Il disegno di legge, di cui si tratta, esempio mirabile di sinteticit�, 
consta di appena nove articoli, che tuttavia riguardano aspetti fondamentali 
dell'organizzazione amministrativa dello Stato italiano. In esso 
si evidenziano, come risulta dal titolo, due obbiettivi principali: la istituzione 
di un ministero della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di 
cui si indicano compiti ed attribuzioni regolandosi per la parte essenziale 
il funzionamento con qualche innovazione fin dalla prima applicazione 
(costituzione di una ragioneria centrale), nella quale per il resto 
in sostanza si utilizzerebbe l'attuale assetto, e la riduzione a diciotto 
del numero dei Ministeri con la specificazione dei rapporti tra Ministri 
e Sottosegretari (uno per ogni ministero, due per il Ministero del Tesoro 
e tre per il Ministero della Difesa) e delle funzioni di questi; da segnalare, 
poi, la disposizione dell'art. 9, che prevede la presentazione ai 
Presidenti del Senato e della Camera dei documenti relativi alle cosiddette 
spese discrezionali, del risultato del cui esame si darebbe comunicazione 
alle Assemblee, �le quali � ne prenderanno atto senza discussione
�. 

Dall'ampia premessa al disegno di legge, la quale muovendo da 
pertinenti indagini storiche esamina criticamente l'ordinamento vigente 
ed illustra efficacemente � l'ordinamento proposto, si enuclea Io scopo 
� nel definire legislativamente il carattere amministrativo della Presidenza 
del Consiglio�, che �avrebbe materia di amministrare�. 

Prima di svolgere talune brevi considerazioni in proposito, alla luce 

peraltro dei pi� apprezzati orientamenti dottrinali, mentre ci si asterr� 

da ogni osservazione sia per quanto attiene alla riduzione del numero 

dei Ministri e dei Sottosegretari (non senza notare per� che Io stesso 

continuo aumento dei fini dello Stato, ricordato nella medesima richia


mata premessa, e la sentita esigenza di una specializzazione in tutte 

le attivit� del mondo moderno mal si conciliano con un siffatto criterio) 

sia per quanto attiene al controllo delle cosiddette spese discrezionali 

(*) Su due disegni di legge di analogo contenuto presentati nelle 
precedenti legislature cfr. lo scritto di SEPE in Ri:v. trim. dir. pubbl. 1956, 
1077 ed i rilievi di GIANNINI, GUARINO, PREDIERI e di BARILE e SICA in 

Rass. parl., 1959, rispettivamente nn. 1 e 4. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

(la cui delicatezza � del resto largamente avvertita dall'esperti;i. sensibilit� 
dell'illustre parlamentare proponente, il quale adotta conseguentemente 
la soluzione di un controllo non completo, ossia meramente 
informativo, che potrebbe peraltro accomunare agli inconvenienti innegabili 
una dubbia utilit�), converr� rilevare come il disegno di legge 
di cui si tratta si presenti riccamente documentato con allegati circa 
i precedenti pi� importanti {disegno di legge Depretis del 188~), i dati 
tecnico-finanziari (stralcio di previsione della spesa del Ministero del 
Tesoro, esercizio 1964-1965) e la bibliografia. 

Dunque, per quanto attiene alla istituzione del Ministero della Presidenza 
del Consiglio, seppur non pu� disconoscersi l'esistenza di � materia 
da amministrare � da parte di essa, non sembra tuttavia potersi 
escludere la posizione sui generis di tale materia rispetto a quella dei 
singoli Ministeri. In tali sensi le ragioni che indussero la Giunta della 
Camera a respingere l'analoga proposta contenuta nel ricordato disegno 
di legge Depretis, in quanto non riconobbe alla Presidenza del Consiglio 
le funzioni amministrative che giustificano l'idea di Ministero, 
potrebbero essere ancora valide (per un'interpretazione tanto originale 
quanto non motivata di tale deliberazione v. lo studio del PRBDIERI, 

Liineamenti della posizione costituzionale del Presidente del Consiglio dei 
Ministri, vol. I, Firenze,, 1951, p. 49, studio del resto interessante per 
il profilo costituzionale sotto gli approfonditi aspetti storico e comparativo). 


Della opportunit� di una regolamentazione giuridica aggiornata della 
Presidenza del Consiglio dei Ministri come della medesima migliore collocazione 
sistematica dei relativi stanziamenti in bilancio, ove di tutto 
ci� si senta l'esigenza, non � questa la sede per discutere. Quel che 
qui va considerato, nei limiti consentiti dalla presente rassegna, �, invece, 
appunto, la speciale natura delle funzioni amministrative della 
Presidenza del Consiglio dei Ministri e ci� al fine di valutarne la rilevanza 
giuridica agli effetti della sussunzione nel concetto di Ministero 
con le peculiari conseguenze per quanto attiene all'organizzazione (v. in 
proposito il recentissimo e completo scritto del GATTA, voce Ministeri 
e Ministri in Nuovissimo Digesto italiano, vol. X, Torino, 1964, p. 720 
e segg.). 

Intanto giova rammentare che la Costituzione della Repubblica italiana 
nel titolo III della parte seconda riguardante il governo e pm 
precisamente nella sezione prima di tale titolo, riguardante il Consiglio 
dei Ministri, prevede la figura del Presidente del Consiglio (artt. 92 e 
93) e ne fissa le funzioni non solo per quanto attiene alla direzione ed 
alla responsabilit� della � politica generale del governo� ma anche per 
quanto attiene al mantenimento dell'� unit� di indir;zzo politico e amministrativo
�, che si svolge �promuovendo e coordinando l'attivit� dei 
Ministri� (art. 95, comma primo). In particolare, poi, al comma terzo 
dell'art. 95, disponendo che � la legge provvede all'ordinamento della Pre� 
sidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e le orga� 
nizzazioni dei Ministeri�, sembra distinguere (v. pure VITTA, Corso di 
diritto amministrativo, vol. I Torino, 1962, p. 522) tra Presidenza del 
Consiglio dei Ministri e singoli Ministeri, in rapporto anche alla singolare 
funzi_one delineata nel citato comma primo. 

In altri termini, oltre a quanto formalmente pu� desumersi dal 
riportato comma terzo dell'art. 95, proprio il mantenimento della unit� 
di indirizzo amministrativo, adempiendosi attraverso il promuovimento 
ed il coordinamento delle attivit� dei Ministri, sembra sostanzialmente 


40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

indicare per il Presidente del Consiglio (e, quindi, per la Presidenza 
del Consiglio: cfr. CERETI, Corso di diritto costituzionale italiano, Torino 
1964, p. 304) appunto in campo amministrativo attribuzioni che mal si 

concilierebbero con la sussunzione in uno dei tanti Ministeri (v. pure 
RANELLETTI, Istituzioni di diritto pubblico -Il nuovo diritto pubblico 
della Repubblica italiana, parte generale, Milano, 1948, p. 95). 

Benvero, poi, segnatamente gli �organi, istituti e commissioni,, con 
�dipendenza amministrativa� dalla Presidenza del Consiglio, per usare 
le medesime espressioni della premessa al disegno di legge (ma meglio 
si direbbe facenti capo o addirittura collegati per fini limitati alla 
Presidenza del Consiglio: v. BisCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, 
Napoli, 1962, p. 418 e SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 
1959, p. 173) in questa menzionati, mal si inquadrerebbero, anche 
al solo fine di un mero collegamento, nella tipica istituzione ministeriale 
(cfr. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1955, p. 315) 
e piuttosto anzi confermano, attraverso le funzioni esercitate, la caratterizzazione 
dell'attivit� amministrativa di promuovimento e di coordinamento 
delle attivit� dei singoli Ministri: sono nell'ordine di elencazione 
fatto nella richiamata� premessa � l'Istituto centrale di statistica, 
la Corte dei Conti, l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio di 
Stato, e molti altri minori�; mentre gli stessi uffici per i quali il concetto 
di dipendenza appare pi� proprio hanno caratteristiche tali da 
rispondere meglio all'inserimento in un organizzazione speciale diversa 
da quella tipica dei singoli Ministeri (cfr. l'importante studio del CATALDI, 
Nuovi indirizzi nell'organizzazione delle amministrazioni centrali, in Riv. 
trim. dir. pubbl. 1951, p. 453 e segg. ed in particolare p. 470 e segg.). 

Diversa � ovviamente, d'altra parte, la questione se per taluni uffici 
a carattere prevalentemente burocratico convenga operare, come � gi� 
accaduto nel passato recente e meno recente, un'attribuzione di competenza 
a singoli Ministeri (esistenti o da costituire). 

In df'finitiva, proprio come ad � organo coordinatore centralizzato 
responsabile presso il quale affluirebbero e dal quale partirebbero gli 
impulsi ed i controlli dell'attivit� amministrativa non solo degli organi 
direttamente dipendenti ma anche di tutti i Dicasteri, restituendo alla 
figura del Presidente del Consiglio la funzione di... primo coordinatore 
e controllore della gestione amministrativa dell'intero Governo � sembra 
pi� rispondente anche per le direttive della Costituzione un'organizzazione 
formalmente e sostanzialmente diversa da quella dei singoli 
Ministeri (cfr. MARCHI, Il Governo, in Commentario sistematico alla 
Costituzione italiana, diretto da Piero Calamandrei e Alessandro Levi, 
Firenze, 1950, vol. II, p. 133). 

A conforto di che ci piace concludere riportando testualmente l'autorevole 
pensiero dello Zanobini: � il Presidente del Consiglio dei ministri... 
ha anche una serie di attribuzioni esclusivamente proprie, che 
aggiungono alla sua qualit� di presidente di un organo collegiale, quella 
di organo individuale, paragonabile a un singolo ministro, ma distinto 
da questo per la natura delle attribuzioni, che non riguardano una parte 
determinata dell'Amministrazione, ma interessano la generalit� di tutti 
i ministeri � (ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. III, Milano, 
1958, p. 12). 



PARTE II, RASSEGNA D[ LEGISLAZIONE 

PROPOSTA DI LEGGE N. 1267, di iniziativa dei deputati Cacciatore, Ghislandi, 
Minasi, Alini, presentato alla Camera dei deputati il 22 aprile 1964: 
Modifica agli articoli 2748, 2751, 2755, 2770, 2776, 2778 e 2780 del 
codice civile. 

La proposta di legge consiste nella modifica degli indicati articoli 
del codice civile (per gli articoli 2775 e 2770 si tratta pi� precisamente 
dell'aggiunta di altri articoli: il 2775 bis ed il 2770 bis) al fine precipuo 
di� accordare privilegi migliori ai cred�ti per retribuzioni, provvigioni 
ed indennit� dovute ai lavoratori nonch� agli scopi secondari di precisare 
inequivocabilmente i limiti del relativo privilegio e di rendere 
preferiti nel concorso di crediti del locatore con crediti del mezzadro 

o del colono quelli di tali ultimi soggetti. 
Le deficienze e le incongruenze dell'attuale tutela in subiecta materia 
dei crediti dei lavoratori, messe opportunamente ed efficacemente 
in luce dagli onorevoli proponenti, alla stregua dell'esperienza e dei principi 
vigenti nel nostro ordinamento giuridico (v. anche l'art. 1 della 
Costituzione della Repubblica), senza dubbio sussistono. Porvi rimedio 
collocando pi� avanti nell'ordine dei privilegi i crediti di lavoro, consentendo 
l'esercizio dei privilegi anche in pregiudizio del creditore pignoratizio 
(v., peralfro, sul punto, ANDRIOLI, Privilegi in Commentario del 
codice civile, diretto da A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1945, 

p. 83) e precisandone la portata agli effetti della decorrenza, con la 
espressa indicazione nella cessazione del rapporto (v. le recenti difformi 
interpretazioni date in proposito �a Trib. Palermo 6 aprile 1959 in Giur. 
sic. 1959, 496 e Trib. Salerno 20 luglio 1959 in Temi nap. 1959, I, 636), 
� intento da perseguire. Andrebbe, forse, avanzata qualche riserva sull'anteposizione 
dei crediti di cui trattasi ad ogni altro (salvo che a 
quelli per le spese di giustizia previste negli articoli 2755 e 2770 e.e.) 
e ci�, in particolare, sembrerebbe giustificabile per quei crediti che 
rispondenti ad esigenze fondamentali del debitore o dell'azienda di lui 
(e, quindi, anche agli interessi dei lavoratori) potrebbero essere accordati 
con maggiore difficolt�, ove mai venissero posposti nell'ordine dei 
privilegi ai crediti, spesse> consistenti, dei lavoratori. Ma qui � pi� proprio 
ed importante rilevare sul piano tecnico-giuridico come la proposta 
di legge aprirebbe delle brecce nel sistema introducendo tra i privilegi 
� speciali� un privilegio su tutti i mobili (art. 2775 bis), con l'evidente 
intento, difficilmente inquadrabile nei principi, di estendere a 
questo gli effetti propri di quelli (art. 2747 e.e., comma secondo), e tra 
i privilegi (speciali) sugli immobili un � privilegio sugli immobili tutti 
del debitore� (art. 2770 bis), cui si dovrebbe estendere, in disarmonia 
con i principi, la preferenza sulle ipoteche (art. 2748 e.e., secondo comma) 
e sui diritti dei terzi, almeno in quanto posteriormente acquistati 
(v. in proposito GAETANO, I privilegi in trattato di diritto civile, diretto 
da F. Vasalli, Torino, 1948, p. 58-59). 
E' vero che il privilegio generale sugli immobili non � assolutamente 
inconcepibile: lo prevedeva il codice francese, mentre nel codice 
civile italiano, vigente, come in quello del 1865, � concesso ad 
alcune categorie di privilegi generali (sui mobili) un diritto di prelazione 
sul prezzo degli immobili nei confronti dei creditori chirografari 

(v. art. 2776 e.e. e cfr. GAETANO, op.. cit., p. 79). E' vero altres� che non 
� mancata nel recente passato qualche deroga introdotta da leggi speciali, 
che prevedevano appunto un privilegio generale sugli immobili; 
ma si trattava di crediti di natura particolarissima, la cui preferenza 

42 

RASSEGNA DELL1AVVOCATUR<\ DELLO STATO 

peraltro rispetto ai cre�liti garantiti da ipoteca ed ag1i stessi crediti 
chirografari era notevolmente limitata: si allude al D.L.Lgt. 31 maggio 
1945, n. 364 ed al D.L.Lgt. 31 agosto 1945, n. 538, relativi ai profitti di 
regime, ed ai quali, tuttavia, sul punto, non mancarono critiche (v. GAETANO, 
op. cit., p. 163). Qui, invece, addirittura, le accennate brecce con 
le caratteristiche rilevate, per crediti del genere di quelli di cui si 
tratta, meritevoli della pi� ampia tutela ma non certo eccezionali, tro� 
verebbero posto nello stesso codice civile, dove resterebbe l'art. 2746, 
del quale nemmeno si propone una modifica e che testualmente dispone: 
� il privilegio � generale o speciale �; � il primo si esercita su tutti 
i beni mobili del debitore, il secondo su determinati beni mobili o immobili
� (sul punto cfr. ANDRIOLI, op. cit., p. 58-59). 

PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI 
SOTTOPOSTI A GIUDIZIO DI COSTITUZIONALITA' 

DISPOSIZIONI DI LEGGE DELLE QUALI E' STATA DICHIARATA 
L'ILLEGITTIMITA' COSTTTUZIONALE. 

CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 270, secondo comma; Art. 272, 
secondo comma; Art. 280, terzo comma; Art. 392, terzo comma; Art. 395, 
primo comma. 

Di tali disposizioni -per ciascuna nella <;ola parte in cui sono 
previste la rimessione degli atti alla Sezione istruttoria, da parte del 
Procuratore generale cbe abbia assunto o avocato a s� l'istruzione 
sommaria della causa (artt. 272 e 392) e la competenza della stessa Sezione 
a provvedere, sempre nei casi di istruzione assunta o avocata 
dal Procuratore generale, sulle richieste di scarcerazione (art. 270), di 
libert� prowisoria (art. 280) e di proscioglimento (art. 395) -� dichiarata 
l'illegittimit� costituzionale, in riferimento all'art. 25, primo 
comma, della Costituzione (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964 n. 32, 

G.U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). 
D.P.R. 26 APRILE 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento 
della legge 4 aprile 1952 n. 218 sul riordinamento delle pe;,,sioni 
dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit�, la vecchiaia ed i superstiti): 
Art. 21, seconda parte del terzo comma (che escludeva la maggiorazione 
della pensione, anche nel caso di ulteriori versamenti di contributi, 
dopo la richiesta di un primo supplemento della pensione stessa); 

Art. 29, primo comma (che richiedeva, per le prestazioni a favore 
del marito di donna assicurata per la tubercolosi, anche il requisito, 
della vivenza a carico, oltre quello dell'invalidit�), 

sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, in relazione ai limiti 
della legge di delega 4 aprile 1952 n. 218, ed in riferimento all'art. 77 
della Costituzione (Corte Cost., sent. 14 n1arzo 1964, n. 18, per l'art. 21, 



43

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

e sent. 14 marzo 1964, n. 19, per l'art. 29; entrambe in G. U. 21 marzo 
1964, n. 73 ed. spec.). 

D.P.R. 11 DICEMBRE 1961, n. 1642: Art. unico (Notme sul tratt�mento 
economico e normativo degli operai dipendenti dalle imprese edili 
ed affini delle province di Catania, Palermo, Siracusa e Trapani). 
Dell'indicata norma, e nei limiti in cui con essa era da ritenere 
anche disposta l'obbligatoriet� erga omnes della clausola n. 9 dell'accordo 
di lavoro del 30 settembre 1959 per la provincia di Palermo, � 
dichiarata l'illegittimit� costituzionale, in relazione ai limiti della 
legge di delega 14 luglio 1959, n. 741, ed in riferimento agli articoli 
76 e 77, primo comma, della Costituzione (Corte Cost., sent. 2 aprile 
1964, n. 31, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 

DISPOSIZIONI DI LEGGE IN RAPPORTO ALLE QUALI E' STATA 
DICHIARATA NON FONDATA LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA' 
COSTITUZIONALE. 

CODICE PENALE: Art. 151, primo comma (Amnistia); Art. 198 (Effetti 
della estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili). 

La questione, sollevata per le indicate disposizioni, limitatamente 
alla parte in cui escludono che l'amnistia estingua l'obbligazione del 
condannato al pagamento delle spese processuali, � stata, in riferimento 
all'art. 3 della Costituzione, dichiarata non fondata (Corte Cost., 
sent. 2 aprile 1964, n. 30, G.U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). 

CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 488 (Disposizioni della sentenza 
di condanna relative alle spese) -Art. 613 (Recupero delle spese processuali 
anticipate dallo Stato). 

Le questioni, proposte in relazione alle indicate norme nonch� 
ad altre disposizioni in materia di spese nei procedimenti penali 
(tariffa 'penale; diritti spettanti alle Cancellerie; legge del bollo, etc.), 
sono state, in riferimento all'art. 53, primo e secondo comma, della 
Costituzione, dichiarate non fondate (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964, 

n. 30, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 
LEGGE 22 MARZO 1908, n. 105: Artt, 1 e 7, nel testo modificato con la 
LEGGE 11 FEBBRAIO 1952, n. 63, e con la 
LEGGE 16 OTTOBRE 1962, Il. 1498 

(Divieto di lavoro notturno dei fornai). 

La questione, sollevata in riferimento all'art. 41 della Costituzione, 
� stata dichiarata non fondata (Corte Cost., sent. 14 marzo 1964, n. 21, 

G.U. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). 
R.D.L. 20 LUGLIO 1934, n. 1404: Art. 13, primo comma -Art. 18, secondo 
comma. 
-LEGGE 27 MAGGIO 1'935, n. 835 (di conversione del precedente R.D.), 

(Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni). 

Le questioni, sollevate in rapporto alle indicate nonne, concernenti 
le perizie nei procedimenti di competenza del Tribunale per i minorenni, 
sono state, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, 



44 

RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 

dichiarate non fondate (Corte Cost., sent. 23 marzo 1964, n. 25, G.U. 11 
aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 

LEGGE 25 SETTEMBRE 1940, n. 1424: Art. 139, secondo comma (Legge 
doganale). 

La questione sollevata in relazione all'indicata disposizione, la quale 
disciplina la detenzione preventiva, per i r~ati in materia doganale, in 
rapporto alla circostanza che non sia nota l'identit� dell'imputato ovvero 
che si tratti di imputato straniero, che non abbia prestato cauzione o 
malleveria, � stata, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costi. 
tuzione, dichiarata non fondata (Corte Cost., sent. 23 marzo 1964, n. 26, 

G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec). 
D.L.C.P.S. 5 SETTEMBRE 1947, n. 888. 
LEGGE 5 GENNAIO 1949, n. 7 
LEGGE 4 LUGLIO 1950, n. 454 
LEGGE 10 LUGLIO 1951, Il. 541 
LEGGE 26 GIUGNO 1952, n. 664 


D.L. 21 GIUGNO 1953, n. 452, convertito nella 
LEGGE 21 AGOSTO 1953, n. 589 
(Ammasso del grano per contingente). 

In relazione a tutte le indicate disposizioni, in quanto disciplinanti 
gli ammassi del grano, per contingente, � stata dichiarata non fondata 
la questione di legittimit� sollevata in riferimento all'art. 41 della Costituzione 
(Corte Cost., sent. 23 marzo 1964, n. 24, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, 
ed. spec.). � 

LEGGE 2 LUGLIO 1952, n. 703: Art. 6 (Disposizioni in materia di finanza 
locale). 

La questione di legittimit� dell'art. 6, col quale venne istituito a 
favore dei Comuni uno speciale diritto di asporto sulle acque minerali, 
� stata dichiarata non fondata, in riferimento agli articoli 3, 23 e 120 
della Costituzione (Corte Cost., sent. 14 marzo 1964, n. 15, G.V. 21 marzo 
1964, n. 73, ed. spec.). 

D.P.R. 11 GENNAIO 1956, n. 20: Art. 8, ultimo comma -Art. 10, secondo 
comma (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale 
statale). 
In relazione alle indicate disposizioni, disciplinanti rispettivamente la 
decorrenza della maggiore ritenuta in conto entrate del tesoro, per i salariati 
dello Stato, ed il subentro dello Stato nei diritti dei salariati medesimi, 
e dei superstiti, alla pensione o quota di pensione relativa all'assicurazione 
obbligatoria invalidit�, vecchiaia e superstiti, per i servizi 
resi dal 1� gennaio 1926 e valutati per la pensione statale, � stata ritenuta 
non fondata la questione di legittimit� sollevata per dedotto eccesso 
rispetto alla legge di delega 20 dicembre 1954, n. 1181, ed in riferimento 
agli articoli 76 e 77 della Costituzione, nonch�, per l'art. 10 del D.P., anche 
in riferimento all'art. 3 della Costituzione (Corte Cost., sent. 2 aprile 1964, 

n. 29, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec). 
LEGGE 27 DICEMBRE 1956, n. 1423: Art. 1 (Sulle misure di prevenzione 
nei confronti di persone pericolose). 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

La questione di legittimit� della disposizione dell'art. 1, che prevede 
la diffida del Questore a persone pericolose per la sicurezza e la pubblica 
moralit� e determina i criteri di individuazione della pericolosit�, 
� stata esaminata in riferimento agli articoli 3, 13, 25 e 27 della Costituzione, 
e dichiarata non fondata (Corte Cast., sent. 23 marzo 1964, 

n. 23, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 
D.P.R. 26 APRILE 1957, n. 818: Art. 12, primo comma (Norme di attuazione 
e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento 
delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit�, 
la vecchiaia ed i superstiti). 
La questione sollevata in relazione alla disposizione del primo comma 
dell'art. 12, nei limiti in cui dalla stessa � escluso il riconoscimento 
di contributi figurativi agli effetti della pensione, nel concorso di 
date condizioni,. � stata dichiarata non fondata, in riferimento all'articolo 
77� della Costituzione (Corte Cost., sent. 14 marzo 1964, n. 20, G.U, 
21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). 

LEGGE 6 DICEMBRE 1962, n. 1643 (Istituzione dell'Ente nazionale per 
l'energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le 
industrie elettriche). 

D.P.R. 15 DICEMBRE 1962, n. 1670 (Organizzazione dell'Ente nazionale 
per l'energia elettrica). 
D.P.R. 4 FEBBRAIO 1963, n. 36 (Norme relative ai trasferimenti ali'ENEL 
delle imprese esercenti le industrie elettriche). 
Sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimit� della legge 

n. 1643, sollevate in riferimento all'art. 3, all'art. 4, in relazione all'art. 41, 
all'art. 43 ed all'art. 67 della Costituzione (Corte Cast., sent. 7 marzo 1964, 
n. 14, G.U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. spec.). Sono state dichiarate, inoltre, 
non fondate le questioni di legittimit� delle disposizioni degli articoli 1 
e 4 n. 5 e 9 della stessa legge n. 1643, e degli articoli 1 del D.P.R. n. 1670/62 
e 2, 3 e 10 del D.P.R. n. 36/63, tutte sollevate ed esaminate in riferimento 
agli articoli 2, prima parte, 3 lett. d), 4, 7 ed 8 dello Statuto speciale per 
la Valle d'Aosta, ed agli articoli 4, prima parte e nn. 4 e 5, 5 n. 5, 9, 10, terzo, 
quinto e sesto comma e 13, primo comma, dello Statuto speciale per 
il Trentino-Alto Adige (Corte Cost., sent..7 marzo 1964, n. 13, G. U. 14 
marzo 1964, n. 67, ed. spec.; con la quale, inoltre, sono state esaminate e 
dichiarate non fondate, in riferimento alle stesse disposizioni dei detti Statuti 
regionali, le questioni di legittimit� sollevate in relazione a vari decreti 
di trasferimento di imprese elettriche all'ENEL). 
DISPOSIZIONI DI LEGGE IN RAPPORTO ALLE QUALI E' STATO PROMOSSO 
GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 

CODICE DI PROCEDURA CIVILE: Art. 25 (Foro della Pubblica Amministrazione) 


La questione di legittimit� � stata dal Pretore di Pieve di Cadore 
ritenuta non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3 
e 24 della Costituzione (Ordinanza 30 novembre 1963, G.U. 14 marzo 1964, 

n. 67 ed. spec.). 

46 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CODICE PENALE: Art. 62 n. 6 (Circostanze attenuanti comuni) 

Per ritenuto contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, il Pretore 
di Offida ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimit� 
della disposizione "indicata, limitatamente alla parte di essa in cui 
� prevista l'attenuante per integrale risarcimento del danno (Ordinanza 30 
gennaio 1964, G.U. 21 marzo 1964, n. 73 ed. spec.). 

CODICE PENALE: Art. 72 (Concorso di reati che importano l'ergastolo 

e. di reati che importano pene detentive temporanee) 
La disposizione, la quale prevede, nelle dette ipotesi di concorso, 
l'isolamente diurno del condannato all'ergastolo, � parsa, alla Corte di 
Assise di appello di Milano, in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della 
Cos.tituzione (Ordinanza 24 gennaio 1964, G.U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. 
spec.). 

CODICE PENALE: Art. 116 (Reato diverso da quello voluto da taluno 
dei concorrenti) 

Il Tribunale di Livorno ha ritenuto non manifestamente infondata la 
questione di legittimit� dell'indicata norma, in referimento all'art. 27, 
primo comma, della Costituzione (Ordinanza 13 gennaio 1964, G.U. 14 marzo 
1964, n. 67 ed. spec.). 

CODICE PENALE: Art. 402 (Vilipendio della religione dello Stato) 

La questione � stata dal Tribunale di Cuneo ritenuta non manifestamente 
infondata, in riferimento agli articoli 3, 8, 19 e 20 della Costituzione 
(Ordinanza 21 febbraio 1964, G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 

CODICE PENALE: Art. 553 (Incitamento a pratiche contro la procrea. 
zione) 

Il Pretore di Lendinara ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione 
di legittimit� dell'indicata disposizione, (e di quella di cui all'art. 112 
del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, 
nella parte concernente. la propaganda anticoncezionale), per ritenuto contrasto 
con l'art. 21 della Costituzione (Ordinanza 3 febbraio 1964, G. U. 11 
aprile 1964, n. 91 ed. spec.). 

CODICE PENALE: Art. 670 (Mendicit�) 
La questione � stata dal Pretore di Milano ritenuta non manifestamente 
infondata, in riferimento all'art. 38, primo e quarto comma, della Costituzione 
(Ordinanza 13 gennaio 1964, G. U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). La 
questione stessa, in riferimento all'art. 38, ultimo comma, della Costituzione, 
venne dalla Corte Costituzionale (sent. 21 novembre 1959, n. 51, 

G.U. 28 novembre 1959, n. 288, ed. spec.) dichiarata non fondata. 
CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 74, ultimo comma (Esercizio de[. 
l'azione penale da parte del pubblico ministero o del pretore) 

In relazione alla disposizione dell'ultimo comma dell'art. 74 c.p.p., nella 
parte in cui, per la ipotesi che il Pretore abbia dichiarato, con decreto, 
di non doversi promuovere l'azione penale, � prevista la facolt� del Procuratore 
della Repubblica di � richiedere gli atti e disporre invece che si 
proceda�, � stata dal Pretore di Pieve di Cadore ritenuta non manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale, in riferimento 


PARTE II, RASSEGNA Dl LEGISLAZIONE 

agli articoli 101, secondo comma e 107, terzo comma, della Costituzione, 
nonch� in riferimento, in generale, alle norme del titolo quarto, sezione 
prima, della parte seconda della Costituzione medesima (Ordinanza 13 
novembre 1963, G. U. 14 marzo 1964 n. 67, ed. spec.). 

CODICE DI PROCEDURA PENALE: Art. 236 (Arresto facoltativo in flagranza) 

Per ritenuto contrasto con i principi fissati dall'art. 13, comma secondo 
(rectius: comma terzo) della Costituzione, � stata dal Pretore di 
Imola ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimit� 
sollevata in relazione alla norma indicata (Ordinanza 10 febbraio 1964, 

G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 
CODICE DELLA NAVIGAZIONE: Art. 1240, terzo comma (Competenza per 
territorio) 

In relazione. all'indicata disposizione, che, per i reati di competenza 
dell'autorit� consolare, e per il caso che la sentenza di merito non sia 
stata ancora pronunciata prima della partenza della nave o dell'aeromobile 
dal luogo nel quale risiede la detta autorit�, prevede lo spostamento 
della competenza ad altro giudice, il Comandante del Porto di Napoli, 
per ritenuto contrasto con l'art. 25, comma primo, della Costituzione, 
ha rimesso la questione all'esame della Corte Costituzionale (Ordinanza 
24 gennaio 1964, G. U. 14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). 

R.D. 29 NOVEMBRE 1906, n. 660: Art. 49 (Regolamento per l'uso dell'acetilene) 
In relazione alla norma dell'art. 49, che prevede sanzioni penali per 
violazioni all'indicato regolamento, il Pretore di Pontedera, per ritenuto 
eccesso rispetto alla legge di delega 30 giugno 1901, n. 278, ed in riferimento 
agli articoli 70, 76 e 77 della Costituzione, ha rimesso la questione 
all'esame della Corte Costituzionale (Ovdinanza 19 febbraio 1964, G.U. 21 
marzo 1964, n. 73 ed. spec.). 

LEGGE 22 MARZO 1908, n. 105: Art. 1 e segg. (Divieto di lavoro notturno 
dei fornai) 

In relazione alle indicate disposizioni, quali successivamente modificate 
(leggi 11 febbraio 1952, n. 63 e 16 ottobre 1962, n. 1498), il Pretore 
di Barcellona Pozzo di Gotto ha ritenuto non manifestamente infondata 
la questione di legittimit� sollevata in riferimento all'art. 41 della Costituzione 
(Ordinanza 25 gennaio 1964, G.U. 11 aprile 1964 n. 91, ed. spec.). 
La questione era stata gi� in precedenza rimessa alla Corte Costituzionale, 
la quale, in riferimento al medesimo art. 41 della Costituzione, l'ha dichiarata 
non fondata (sent. 14 marzo 1964, n. 21 retro, pag. 43). 

R.D. 31 DICEMBRE 1925, n. 2383: Artt. 18, 19, 20 e 21 (Norme per il 
trattamento di quiescenza dei salariati statali) 
R.D. 28 GIUGNO 1933, n. 704: Artt. 14, 15, 16 e 17 (Norme per il funzionamento 
presso l'Amministrazione dello Stato dei servizi inerenti 
alla liquidazione delle pensioni} 
D.P.R. 11 GENNAIO 1956, n. 20: Art. 8, ultimo comma, Art. 10, primo 
comma 
(Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale) 
Le indicate disposizioni, tutte regolanti, per i salariati statali, il cori-� 


48 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

corso di trattamenti pensionistici dello Stato e delle assicurazioni per 
l'invalidit�, la vecchiaia ed i superstiti, sono parse, al Tribunale di Taranto, 
in contrasto con gli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione (Ordinanza 4 
gennaio 1964, G.U. 14 marzo 1964, n. 67, ed. spec.). In relazione agli articoli 
8 e 10 del D.P.R. n. 20 citato, vedasi la sentenza 2 aprile 1964, n. 29 
(retro, pag. 44), con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato non 
fondate le questioni sollevate in riferimento agli stessi articoli 3, 76 e 
77 della Costituzione. 

R. D. 18 GIUGNO 1931, n. 773: Art. 112 (Testo unico delle leggi di pubblica 
sicurezza) 
In relazione all'indicata disposizione dell'art. 112, nella parte concernente 
la propaganda anticoncezionale, il Pi.�etore di Lendinara ha ritenuto 
non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale, 
in riferimento all'art. 21 della Costituzione (Ordinanza 3 febbraio 1964, 

G.U. 11 aprile 1964, n. 91, ed. spec., con la quale. � stata rimessa anche la 
questione relativa all'art. 553 del codice penale). 
I 

D.P.R. 15 GIUGNO 1959, n. 393: Art. 84 (Testo unico delle norme sulla ~ 
circolazione stradale) ,
I}:. 

La disposizione dell'art. 84, che disciplina le scuole per conducenti 
di veicoli a motore, � parsa al Pretore di Iglesias in contrasto con 
gli articoli 33 e 41 della Costituzione (Ordinanza 30 gennaio 1964, G.U. 
'

I

11 aprile 1964, n. 91, ed. spec.). 

w 

D.P.R. 16 MAGGIO 1'960, n. 570: Artt. 82 e 83 (Testo unico delle leggi per ml!. 
la composizione e la eleZione degli organi delle Amministrazioni comunali) 
In relazione alle disposizioni degli articoli 82 e 83, che disciplinano 
il procedimento innanzi al Consiglio comunale in materia di eleggibilit� e fil 
di regolarit� delle operazioni elettorali, � stata sollevata questione di legittimit� 
costituzionale, dal Consiglio Comunale di Pizzo, in riferimento 

I�;:agli articoli 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione 
(Ordinanza 30 dicembre 1963, G.U. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). ' '

I

D.P.R. 16 MAGGIO 1960, n. 570: �Art. 102, ultimo comma (Testo unico 
delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Ammini� 
strazioni comunali) 
Il Pretore di Mineo ha ritenuto non manifestamente infondata, in riferimento 
all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, la questione di legittimit� 
costituzionale sollevata in relazione all'indicata disposizione del 

t.u. n. 570, ed a quella dell'art. 79 u.c. del t.u. della Regione siciliana 
20 agosto 1960, n. 3, che prevedono, per i reati elettorali, l'inapplicabilit� 
dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione 
della condanna nel certificato del casellario (Ordinanza 23 gennaio 
1964, G. U. 11 aprile 1964, n. 91 ed. spec.). Della questione, in relazione 
all'art 102 t.u. 570, si � gi� altra volta occupata la Corte Costituzionale, 
che ebbe a dichiararla non fondata, in riferimento agli articoli 3 e 27 della 
Costituzione (sent. 7 giugno 1962, n. 48, G.U. 9 giugno 1962, n. 145 ed. spec.). 
D.P.R. 14 LUGLIO 1960, n. 1032:. Art. unico (Norme sul trattamento economico 
e normativo degli operai e degli impiegati addetti alle industrie 
edilizie ed affini) 
, 

" 


49

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

In relazione all'indicata disposizione, nei limiti in cui con la stessa 
si attribuisce efficacia erga omnes alla norma dell'art. 55 del contratto nazionale 
n. 1 del 24 luglio 1959 (che sancisce l'obbligatoriet� del tentativo 
di conciliazione, ai fini della procedibilit� della domanda giudiziale), � 
stata dal Tribunale di Napoli, in riferimento agli articoli 24 e 76 della Costituzione, 
e dalla Corte di Appello di Napoli, in riferimento al solo articolo 
76, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimit� 
costituzionale (Ordinanza del Tribunale: 18 febbraio 1964~ 'G.U. 14 marzo 
1964, n. 67 ed. spec.; ordinanza della Corte di Appello: 27 dicembre 1963, 

G.U. 21 marzo 1964, n. 73, ed. spec.). In relazione allo stesso art. 55 del 
contratto nazionale in questione, si veda la sentenza della Corte Costituzionale 
del 19 dicembre 1962, n. 107 (G.U. 22 dicembre 1962, n. 327 ed. spec.). 
LEGGE 21 DICEMBRE 1960, n. 1521: Art. 2, primo comma, lett. a) (Disciplina 
transitoria delle locazioni di immobili urbani) 

In relazione all'indicata disposizione, nella parte in cui � prevista la 
cessazione del regime vincolistico delle locazioni di immobili considerati 
di lusso ai sensi del n. 2 del D.M. 7 gennaio 1950. e di quelli aventi una 
superficie coperta superiore ai mq. 200, il Tribunale di Venezia ha ritenuto 
non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale, 
in riferimento all'art. 3 della Costituzione (Ordinanza 31 ottobre 1963, G.U. 
14 marzo 1964, n. 67 ed. spec.). 

LEGGE 27 DICEMBRE 1963, n. 1878 (Interpretazione autentica degli articoli 
4 e 6, secondo comma, della legge 19 marza 1955, n. 160, in materia 
di personale insegnante non di ruolo) 

In relazione alle indicate norme, che prevedono la possibilit� di conferire 
supplenze di insegnamento anche a persone munite di titoli di studio 
inferiori a quelli richiesti per l'ammissione agli esami di abilitazione professionale, 
il Pretore di Montegiorgio, per ritenuto contrasto con gli articoli 
3 e 33, quinto comma, della Costituzione, ha rimesso la questione 
all'esame della Corte Costituzionale (Ordinanza 15 gennaio 1964, G.U. 14 
marzo 1964, n. 67 ed. spec.). 



I

QUESTION 

I 

IL NUOVO CAPITOLATO GENERALE E GLI ONORARI DEGLI ARBITRI 

1) Com'� noto, il nuovo Capitolato Generale di appalto per le opere 
pubbliche di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici (d.P.R. 16 
luglio 1%2, n. 1063) non ha riprodotto la norma dell'art. 49, ultimo comma, 
del vecchio Capitolato, per la quale le spese del giudizio arbitrale (ivi compreso, 
secondo la comune opinione, l'onorario degli arbitri) dovevano essere 
anticipate dalla parte che avesse presentato domanda di arbitrato (1). 
La materia delle spese del giudizio arbitrale e del compenso spettante agli 
arbitri � ora regolata dagli ultimi due commi dell'art. 51 C.G., che cos� 
dispongono: 

� Gli arbitri decidono a carico di quale delle parti ed in quale proporzione 
debbano andare le spese del giudizio. -La liquidazione delle 
spese e degli onorari degli arbitri ha luogo nei modi stabiliti dall'art. 814 
del Codice di procedura civile�. 

La corretta interpretazione della nuova disciplina conduce a stabilire 
i seguenti principi: 1) � esclusa la legittimit� di ogni richiesta, da 
parte degli arbitri, di anticipazioni di somme a garanzia del pagamento 
degli onorari; 2) la liquidazione delle spese e del compenso degli arbitri 
non pu� essere effettuata direttamente da essi, n� pu� risultare da 
un accordo intervenuto con le parti: spetta soltanto al Presidente del 
Tribunale provvedere a tale liquidazione. 

2) Va chiarita, anzitutto, la natura del compenso spettante agli arbi-
�~ 

.: 

tri nominati a norma del Capitolato Generale. 

E' opinione dominante, ac�olta anche dalla giurisprudenza, che nel� 
l'arbitrato di diritto comune {disciplinato dalle norme generali contenute 
nel codice di procedura civile) debba ravvisarsi, accanto al negozio compromissorio, 
un rapporto contrattuale di diritto privato (locatio operis, 
o, secondo altri, mandato) fra le parti e gli arbitri. Il compenso dovuto 
a questi ultimi avrebbe perci� natura di retribuzione dell'opera prestata 
in base al coritratto. Ne con:.~gue logicamente che la determinazione quantitativa 
del compenso, come elemento essenziale del contratto d'opera 
professionale, rientrerebbe essenzialmente nella sfera di autonomia delle 
parti contraenti, che potrebbero provvedervi preventivamente (al momento 
della stipulazione del contratto) o successivamente, mediante un 
accordo integrativo atteggiantesi come accettazione, da parte dei com� 
promittenti, della liquidazione effettuata, in via di proposta, dagli arbi� 

(1) Per le ragioni dell'innovazione, cfr. le note pubblicate in questa 
Rassegna, 1962, 64 e 1963, 96. 
.<

;� 



51

PARTE II, QUESTIONI 

tri (art. 814 cpv. c.p.c.). In questa prospettiva, la previsione di una liquidazione 
effettuata mediante ordinanza del Presidente del Tribunale in 
mancanza di accordo fra le parti (art. 814 cpv., ult. parte) si inquadre� 
rebbe in quella serie di ipotesi eccezionali in cui la legge, portando al 
limite l'attuaZione del principio di consenrazione del negozio giuridico, 
attribuisce al giudice un potere di determinazione di elementi contrattuali 
lasciati indeterminati dalle parti (cfr., ad. es., artt. 20992, 2225, 22331 
codice civile). 

Ravvisata la natura del compenso agli arbitri in una comune retri� 
buzione contrattuale di un'opera professionale, non sussisterebbero, d'al� 
_tro lato, ostacoli all'applicazione dell'art. 2234 cod. civ., che sancisce 
l'obbligo di anticipare al prestatore d'opera le spese occorrenti al compimento 
dell'opera e di corrispondere, secondo gli usi, acconti sul 
compenso. 

Orbene, appare chiaro che questa costruzione (del resto, tutt'altro 
che appagante anche sul terreno del diritto comune (2) ) non pu� assolutamente 
essere trasportata nell'ambito dell'arbitrato regolato dal Capitolato 
Generale. Gli arbitri nominati a norma dell'art. 45 non sono legati 
da alcun rapporto contrattuale con le parti: la loro investitura nell'uf. 
ficio consegue ad un procedimento di nomina, disciplinato in maniera 
inderogabile c'(alla norma regolamentare, nel quale non � assolutamente 
ravvisabile un incarico contrattuale conferito dalle parti e accettato dagli 
arbitri dietro corrispettivo. Le parti possono declinare la competenza 
arbitrale, ma se dell'arbitrato intendono valersi non possono. affidare a 
chi vogliono il potere di decisione, ma si trovano vincolat.e da una norma 
di diritto oggettivo che, in vista del preminente interesse pubblico della 
materia, direttamente attribuisce a determinate persone, scelte in modi 
tassativamente previsti, la veste di arbitri. Se si prescinde dal membro 
nominato dall'appaltatore (che tuttavia, si noti, deve essere scelto fra 
i liberi professionisti iscritti nel relativo albo professionale), la partecipazione 
al collegio arbitrale non forma oggetto di impegno liberamente 
assunto, ma rientra -in virt� della norma regolamentare dell'art. 45 fra 
i doveri d'ufficio di determinati magistrati e pubblici funzionari, i 
quali, se nomJnati, non possono certo esimersi dal prestare la propria 

opera. 
Dal carattere di munus publicum che l'arbitrato dei pubblici appalti 
viene ad assumere in ragione della particolare qualificazione degli� arbitri, 
delle modalit� della loro nomina e del titolo in virt� del quale essi 
sono legittimati ad esercitare le loro funzioni (che in passato, come � 
noto, ha fatto sorgere il dubbio se non si fosse in presenza di una vera 
e propria giurisdizione speciale: cfr., da ultimo, Cass. Sez. Un. 22 novembre 
1958, Giust. civ., 1958, 1627) discendono le seguenti conseguenze: 
a) la illegittimit� di una norma di capitolato che imponga alla parte 
istante di prestare cauzione per le spese e per gli onorari agli arbitri. 
E' noto, infatti, che l'istituto della cautio pro expensis � stato dichiarato 

(2) Cfr., ad es., SPERI, in Annuario dir. comp., val. XIV, 1942, pag. 
52 ss. 

52 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

incostituzionale con decisione della Corte Costituzionale del 23 novem� 
bre 1960 n. 67. 
Per tale ragione l'obbligo del deposito per le spese ed onorari, gi� 
consacrato nell'art. 49 del Capitolato Generale del 1895, � stato soppresso 
nel nuovo. 

E' appena il caso di soggiungere che, se sarebbe da ritenersi illegittima 
una norma che imponesse alla parte attrice l'obbligo di versare una 
cauzione per le spese ed onorari, altrettanto � a dirsi, a maggior ragione, 
per l'atto col quale gli arbitri, senza esservi in alcun modo autorizzati, 
ritenessero di dover imporre alla parte attrice, o ad ambedue le parti, 
il versamento della cauzione. 

Del resto, la richiesta di versamento della cauzione oltre che illegittima 
sarebbe da ritenersi inutile negli arbitrati relativi ai pubblici appalti. 
Infatti, disponendo l'art. 814 c.p.c. che le parti sono tenute solidalmente 
al pagamento dell'onorario, gli arbitri sono pienamente garantiti dalla 
solvibilit� delle Amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici 
ai quali il Capitolato Generale si applica. � 

b) Il diritto al compenso non pu�, in alcun modo, fondarsi su un 
inesistente e inconcepibile contratto d'opera (o di mandato) fra parti 
e arbitri. Esso nasce direttamente dalla norma regolamentare istitutiva 
dell'ufficio arbitrale e assume la figura di una indennit� spettante per 
l'espletamento di un � munus � imposto dalla legge: indennit� posta 
a carico degli interessati. Se un parallelo si vuol fare, occorre riferirsi 
non all'onorario del libero professionista, ma, ad es., al compenso spettante 
al consulente tecnico nominato dal giudice (cfr. art. 24 disp. att. 
c.p.c.) e ad analoghe forme di indennit� dovute per legge al di fuori di 
ogni vincolo contrattuale fra l'avente diritto e l'obbligato. 

Tutte le norme e i principi attinenti al contratto di opera professionale 
(come anche al mandato) sono, comunque, certamente inapplicabili: 
non trovano quindi applicazione, ad es., le varie tariffe di compensi 
spettanti ai liberi professionisti (3). 

3) Se si tengono presenti queste premesse, appare chiaro il signifi. 
cato del rinvio operato dall'art. 51 C.G. all'art. 814 c.p.c. per la liquidazione 
delle spese e degli onorari degli arbitri. 

In primo luogo, l'applicazione dell'art. 814 presuppone indubbia� 
mente che il giudizio arbitrale sia stato concluso con l'emanazione del 
lodo, ossia che il compito affidato agli arbitri sia stato completamente 
espletato (si parla, infatti, nell'art. 814, di un diritto degli arbitri al 
rimborso delle spese e all'onorario � per l'opera prestata�). Se pure si 
volesse ammettere (il che, come si � detto, non va esente da gravi dubbi) 
che nell'ambito dell'arbitrato di diritto comune l'art. 814 non escluda la 
applicazione dell'art. 2234 cod. civ., ci� si deve senza dubbio negare per 
l'arbitrato previsto dal Capitolato Generale. Riferendosi all'art. 814 c.p.c., 

(3) In applicazione di tale principio, l'art. 61 delle condizioni generali 
per l'appalto dei lavori del Genio Militare (r.d. 30 marzo 1932, n. 355) 
prescrive, ad es., che la retribuzione degli arbitri � liquidata per � vacazioni 
� e che ogni vacazione � fissata in un terzo dell'indennit� di missione. 

PARTE II, QUESTIONI 

l'art. 51 ha inteso proprio escludere che una liquidazione (sia pur prov� 
visoria) delle competenze degli arbitri possa aver luogo prima che si 
verifichino i presupposti per l'applicazione di quella norma, ossia prima 
che il giudizio arbitrale sia concluso. Il diritto all'indennit� riconosciuto 
agli arbitri si perfeziona .soltanto con l'emanazione del lodo: pri� 
ma di questo momento non sussiste n� pu� sussistere, data la qualit� 
degli arbitri, alcuna legittima pretesa al versamento di somme a titolo 
di acconto o di deposito cauzionale per il pagamento del compenso. 
Trattandosi, infatti, di un diritto d'indennit� nascente dalla legge (in rela� 
zione ad incarico conferito nell'ambito dei doveri attinenti al rapporto 
di pubblico impiego), i suoi limiti e le sue garanzie non possono che 
dedursi dalla stessa norma che lo riconosce, senza che possa farsi appli� 
cazione di altre disposizioni destinate a regolare ipotesi diverse. In particolare, 
non pu� qui venire minimamente in discussione, come si � 
detto, l'art. 2234 cod. civ., mancando del tutto quel rapporto contrattuale 
che tale norma presuppone. 

In definitiva, � da escludere che gli arbitri possano chiedere depositi 
preventivi di somme o anticipi sul compenso. Soltanto negli stretti 
limiti degli art. 90 c.p.c. e 38-39 disp. att. potr� essere OI'dinato un deposito 
per la carta bollata e le spese del processo alla parte attrice o alla 
parte chr; richiede il compimento di determinati atti istruttori. 

4) In secondo luogo, deve ritenersi che la determinazione delle spese 
e degli onorari degli arbitri debba avvenire in ogni caso mediante ordinanza 
del Presidente del Tribunale su ricorso degli arbitri e sentite le 
parti. 

Si � gi� visto come non esista un rapporto contrattuale liberamente 
stipulato fra le parti e gli arbitri: l'ufficio arbitrale � direttamente istituito 
dal Capitolato Generale e agli arbitri � riconosciuto il diritto ad 
una indennit�, a carico delle parti, per l'opera prestata. In quest'ambito 
l'autonomia privata non pu� operare se non � ammessa espressamente 
da una norma di diritto oggettivo. Vale a dire che, mentre nell'arbitrato 
di diritto comune (ammessa la configurazione di un rapporto contrattuale 
privatistico fra parti e arbitri) la determinazione del compenso 
-in funzione di corrispettivo dell'opera contrattualmente dovuta � 
naturalmente rimessa all'autonomia degli interessati, salvo l'eccezionale 
intervento succedaneo di una determinazione imparziale rimessa 
al Presidente del Tribunale, nel nostro caso solo una espressa disposizione 
del Capitolato potrebbe attribuire efficacia ad un accordo stipu� 
iato per la determinazione dell'indennit� dovuta agli arbitri, �mentre in 
linea di logica -tale determinazione non potrebbe che essere rimessa 
ad un. accertamento imparziale dell'obiettiva rilevanza e difficolt� dell'opera 
prestata in attuazione dell'ufficio conferito dalla norma di diritto 
oggettivo del Capitolato (e� non dalla volont� delle parti interessate). 
Come sarebbe assurdo ammettere -in difetto di una norma in tale 
senso -che il consulente tecnico possa accmdarsi con le parti sulla mi� 
sura del suo compenso, cos� sarebbe inammissibile una liquidazione consensuale 
del compenso degli arbitri nominati a norma del Capitolato 
Generale, in difetto di una disposizione che espressamente ammetta que



54 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

sta eccezionale efficacia dell'autonomia privata in un campo che non le 
� proprio (4). 

N� questa norma autorizzativa della liquidazione consensuale potrebbe 
ravvisarsi nel semplice rinvio che l'art. 51 C.G. fa all'art. 814 c.p.c. 
�Quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese 
e dell'onorario -dispone il capoverso dell'art. 814 -tale liquidazione 
non � vincolante per le parti se esse non l'accettano�. E' evidente che 
il significato di questa disposizione � solo negativo: essa esclude la possibilit� 
di una liquidazione unilaterale ed inoppugnabile delle spese e del 
compenso, anche se preventivamente consentita dalle parti. La determi 
nazione degli arbitri non pu� avere altro valore che quello di una proposta 
rivolta alle parti : e tale valore assumer� se e in quanto sia ammessa 
una liquidazione contrattuale del compenso. Orbene, tanto se si 
ritiene che questa liquidazione contrattuale, nell'ambito dell'arbitrato di 
diritto comune, sia ammessa sempre (come logicamente ritiene chi fa 
capo ad un contratto d'opera fra le parti e gli arbitri), quanto se, invece, 
si reputa necessaria una espressa previsione contenuta nel compromesso 

o nella clausola compromissoria (come pure potrebbe fondatamente 
sostenersi in base a una diversa qualificazione del rapporto parti-arbitri), 
in ogni caso, comunque, il fondamento dell'efficacia dell'accordo di liquidazione 
del compenso non potrebbe ravvisarsi nell'art. 814, che si limita 
a prevedere particolari modalit� per la conclusione dell'accordo (presupposta 
la sua ammissibilit� ed efficacia) in una determinata ipotesi. 
Se cos� �, risulta chiaro che il richiamo all'art. 814 da parte dell'art. 
51 C.G. non vale a conferire efficacia a quell'accordo per la determinazione 
del compenso che non � previsto (n� potrebbe esserlo, come in 
seguito si dir�) da alcun'altra disposizione del Capitolato. Del resto ove 
quel valore volesse darsi al richiamo dell'art. 814, dovrebbe ritenersi efficace 
soltanto un accordo concluso nei modi previsti da tale norma (liquidazione 
effettuata direttamente dagli arbitri e successiva adesione delle 
parti) e non ogni altro accordo: il che, � evidente, non pu� non apparire 
assurdo. 

In definitiva: la determinazione dell'ammontare delle spese e dell'onorario 
effettuata dagli arbitri non ha n� il valore di una pronuncia 

(4) N� si invochi la natura pubblicistica dell'attivit� demandata al 
consulente tecnico in contrapposto alla natura privatistica dell'attivit� 
degli arbitri per giustificare una diversa soluzione nei due casi. Anzitutto 
gli arbitri dell'arbitrato dei pubblici appalti adempiono anche in 
qualit� di arbitri ai doveri inerenti alle pubbliche funzioni che esercitano 
(siano essi magistrati o funzionari dello Stato). Ma, anche a prescindere 
da ci�, � ben sostenibile (e un'autorevole corrente dottrinale � in 
questo senso) che l'attivit� degli arbitri, destinata a sfociare in una pronuncia 
giurisdizionale, non possa costringersi negli schemi del diritto privato. 
E poi; non � tanto la natura dell'attivit� (che, anche se pubblica, 
non escluderebbe, per s�, la configurabilit� di un distinto rapporto di 
diritto Qrivato, accessorio e strumentale, avente ad oggetto il compenso), 
quanto n titolo (non contrattuale) d'investitura nell'ufficio (sia esso di 
diritto pubblico o di diritto privato) che esclude, nei due cas.i, che il 
regolamento del rapporto, in ogni suo aspetto, possa essere rimesso, in 
via normale, all'autonomia negoziale delle parti. 

PARTE II, QUESTIONI S5 

autoritativa che possa imporsi alle parti, n� quello di una semplice proposta 
contrattuale, essendo esclusa, nel nostro caso, l'efficacia di una 
liquidazione consensuale del compenso. In armonia con lo spirito dell'istituto 
disciplinato dal Capitolato Generale, il compenso degli arbitri 
sar� perci�, sempre e in ogni caso, liquidato, con valutazione imparziale 
e obiettiva, dal Presidente del Tribunale, esclusa ogni possibile liquidazione, 
anche in via di semplice proposta, da parte degli arbitri (5). 

5) Alla stessa conclusione si pu�, del resto, giungere seguendo un 
diverso ordine di considerazioni. 
Una pura e semplice adesione alla liquidazione effettuata dagli arbi


tri non potrebbe certamente aversi da parte dell'Amministrazione parte 
in causa. Essa sarebbe, infatti, in assoluto contrasto con le norme della 
legge di contabilit� (che, ovviamente, non possono essere derogate dalle 
disposizioni regolamentari del Capitolato). Trattandosi di un impegno 

di spesa, la volont� qell'Amministrazione dovrebbe essere espressa nelle 
forme tassativamente previste e l'atto dovrebbe assoggettarsi alle appro� 
\razioni e ai controlli inderogabilmente stabiliti dalla legge, che, come 
� noto, non si riferiscono soltanto all'an ma anche al quantum dell'impegno 
stesso. 

E' appena il caso di avvertire, infatti, che nessun rilievo in contrario 
assume il fatto che l'obbligo generico di corrispondere il compenso agli 
arbitri nasce dalla norma regolamentare del Capitolato. E' indubbio che 
anche per la liquidazione di un debito dell'Amministrazione gi� sorto 
in base ad altro titolo (si pensi, ad es., ad una sentenza di condanna 
generica) occorra pur sempre o un atto giurisdizionale o un formale contratto 
stipulato e ~pprovato nei modi previsti dalla legge di contabilit�. 

La liquidazione convenzionale del compenso non potrebbe perci� 
mai avvenire per via di semplice � accettazione � della determinazione 
degli arbitri. Dovrebbe procedersi, invece, alla stipulazione di un formale 
contratto nei modi previsti dall'art. 17 L. Cont. per i contratti con� 
elusi a trattativa privata (escluse le forme previste nei due ultimi com� 
mi, evidentemente non applicabili); il contratto dovrebbe poi esser sottoposto 
ai controlli previsti nel successivo art. 19. 

Il che val quanto dire che la liquidazione effettuata direttamente 
dagli arbitri non pu� avere, nel nostro caso, nessun valore: neppure 
quello di una mera propost� suscettibile di dar luogo ad un impegno 
contrattuale attraverso una pura e semplice accettazione delle parti. 

Tutto ci�, com'� evidente, ci porta fuori dalle previsioni dell'art. 51 

C.G. Un formale contratto stipulato ai sensi dell'art. 17 L. Cont. non 
rientra certo fra � i modi stabiliti dall'art. 814 c.p.c. � che l'art. 51 vuole 
siano seguiti per la liquidazione del compenso degli arbitri. 
L'art. 814 condiziona il potere determinativo del Presidente del Tri


(5) E' chiaro che questa conclusione convalida sotto altro profilo 
quanto abbiamo detto circa l'esclusione del diritto degli arbitri di ottenere 
acconti sul compenso: essendo esclusa . ogni liquidazione unilaterale 
o consensuale di questo, e non potendosi chiedere la liquidazione al Presidente 
del Tribunale se non dopo la conclusione del giudizio arbitrale, 
viene a mancare ogni possibilit� di liquidazioni provvisorie del compenso. 

56 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bunale alla mancata accettazione della liquidazione effettuata dagli arbitri. 
Non potendo mai, nel nostro caso, tale' accettazione aver luogo, deve 
ritenersi che quel potere sia incondizionato e che, quindi, non possano 
adottarsi altri procedimenti di liquidazione dell'onorario che quello previsto 
dall'ultima parte del capoverso dell'art. 814 c.p.c. 

LA REDAZIONE 

IN TEMA DI RESPONSABILITA' CIVILE PER I PROVVEDIMENTI CONTINGIBILI 
ED URGENTI DEL SINDACO 

Una recente giurisprudenza (1) della Suprema Corte ha riproposto 
la dibattuta questione della responsabilit� civile per i provvedimenti con� 
tingibili ed urgenti del sindaco. Le molte pagine scritte non esimono 
--per la� estrema gravit� pratica delle conseguenze che discendono dal� 
l'accoglimento dell'una o deli'altra tesi -da alcune riflessioni in merito. 

Lo schema logico, per cui si fa risalire allo Stato la responsabilit� 
per �i provvedimenti del sindaco, pu� cos� riassumersi -con tutte le 
imperfezioni e imprecisioni di una schematizzazione-: il sindaco, quando 
agisce ex art. 153, legge com e prov. 1915, � ufficiale di Governo, quindi 
organo dello Stato; presupposto come base della responsabilit� della P.A. 
un rapporto organico... ; anche i dipendenti del Comune, che collaborano 
nell'esecuzione di siffatti provvedimenti del sindaco, operano per lo Stato, 
quindi... 

Sulla veste giuridica del sindaco nell'esercizio della funzione di cui 
in narrativa, ci sembra ancora possibile formulare dei dubbi. L'art. 151 
e l'art. 152 legge com. e prov. contengono rispettivamente un elenco delle 
attribuzioni spettanti al sindaco, ora come capo dell'amministrazione, 
ora come ufficiale di governo. Se le funzioni in questione fossero volute 
e intese come governative, la trattazione in altro separato articolo risuo� 
nerebbe, quantomeno, topograficamente innaturale. 

Il n. 7 dell'art. 152 nel modo in cui si esprime -� ed in generale 
di compiere gli atti che gli sorto dalla legge affidati � -, assume un valore 
di chiusura. Ancora, mentre l'art. 152, nell'enunciare l'attivit� governa� 
tiva del sindaco l'assoggetta alla direzione delle autorit� superiori, ossia 
afferma un rapporto gerarchico (anche se eminentemente funzionale), 
l'art. 153 tratteggia i compiti del sindaco come indipendenti (2). 

Dal punto di vista sostanziale non pu� disconoscersi che la materia 
oggetto dei provvedimenti contingibili e urgenti non � di esclusiva competenza 
dello Stato, cos� come non sono solo o principalmente dello 
Stato gli interessi che con essi si tutelano (3). Appartiene, infatti, istituzionalmente 
al Comune di fare regolamenti, fra gli altri, in materia 
di polizia locale 'e di edilit�. N� pare si possa dubitare che nella specie 

(1) Cass. 9 giugno 1959, n. � 1718, Arch. resp, civ., 1960, 344; Cass. 11 
agosto 1962, n. 2563, Giust. civ., Mass., 1962. 
(2) Cass. Napoli 20 agosto 1879, Riv. amm. XXX, 114; Cass., Roma 18 
marzo 1904, Foro it., 1904, I, 467. 
(3) In senso contrario: Cass. 24 luglio 1954, n. 2667, Giust. civ., 1954, 
1834; id. 26 giugno 1953 n. 1978, ivi, 1953, 2155; Cass. 9 giugno 1959, cit. 

PARTE Il, QUESTIONI 

57 

vengano protetti �in primis � gli interessi locali (4). Non deve dimenticarsi 
inoltre, che la giunta, avendo il compito di eseguire i regolamenti, 
pu�, con una normale ordinanza, prendere provvedimenti analoghi a 
quelli che il sindaco � tenuto ad adottare ex art. 153, se manca il regolamento 
ed incombe l'urgenza. La contingibilit� e l'urgenza possono, dun� 
que, determinare una qualificazione soggettiva della funzione? 

Va ancora accennato che, contro i provvedimenti contingibili ed ur� 
genti, si ritiene ammesso il ricorso, anche in merito alla G.P.A., il che, 
per lo pi�, implica un attributo di � provincialit�� nella materia oggetto 
del ricorso (5). 

Passando pi� direttamente alla trattazione della responsabilit� civile, 
vanno tenute nella dovuta considerazione le peculiarit� strutturali e funzionali 
che sono proprie dell'ente �comune� e che incidono sullo sviluppo 
giuridico del rapporto in oggetto. Non sembra, cio�, . sufficiente, 
nella specie, soffermarsi sulla linearit� concettuale del � rapporto organico
� della � riferibilit� dell'operato� degli � interessi protetti� (su cui, 
peraltro, permangono non pochi dubbi), per individuare il soggetto pas� 
sivo su cui grava la responsabilit� patrimoniale dell'illecito. 

Nelle disposizioni normative concernenti i Comuni, in modo particolare 
nel t.u. del 1915, non � difficile riconoscere l'intento di dare realizzazione 
ad un decentramento fortemente autarchico (storicamente congenito 
all'istituto comunale) consistente nel passaggio di alcune funzioni 
dello Stato in altro organismo giuridico (6). Ora, proprio in materie come 
quelle dell'edilizia, della polizia locale,. in materie, do�, dove il Comune 
esprime la sua autonomia, dovrebbero sorgere non pochi dubbi sull'esattezza 
della tesi che scorge nell'attribuzione al sindaco dei compiti ex art. 
153 la realizzazione di un decentramento burocratico anzich� autarchico. 
E' noto, inoltre, come il t.u. ponga a carico del Comune tutti gli oneri 
patrimoniali per l'attivit� del sindaco, anche quando agisce in veste di 
ufficiale di governo (determinante la disposizione sulle spese -funzioni 

(4) Il BORSI -Le funzioni ..., in Trattato per l'Orlando, vol. II, 2�, 199 nel 
sostenere la responsabilit� del Comune per i provvedimenti contingibili 
ed urgenti del sindaco, sottolinea che questi � curatore degli interessi 
locali e, quando lo � dei generali, ci� avviene soltanto perch� questi 
ultimi coincidono con i primi. 
(5) In questa sede non si vuole disconoscere il valore letterale contenuto 
negli articoli 155 e 156, i quali richiamano, in tema. di funzioni 
affidate al sindaco nella sua qualit� di ufficiale di governo, l'art. 153, ma 
ci si limita a non considerarlo determinante, do� a consentire quei dubbi 
cui si faceva cenno all'inizio. Non mancano, peraltro, scrittori che distin� 
guano, in seno all'art. 153, tra funzioni e funzioni, ritenendole talune 
proprie del capo dell'Amm.ne, altre dell'ufficiale di governo, superando 
con ci� automaticamente l'ostacolo letterale degli articoli citati. V. FORTI, 
Sulle attribuzioni del sindaco quale ufficiale di governo, Foro it., 1905, 
I, 1, 16. 
Neppure si intende svalutare la gravit� delle argomentazioni che 
fanno leva sul concetto di sicurezza pubblica (anche se, nel caso, circoscritta 
oggettivamente e geograficamente) o che richiamano al rispetto 
della propriet� privata. Anche in questo caso sarebbe proficua un'elaborazione, 
e relativo adattamento, della figura giuridica dell' �Organo supplente
�. 

(6) ZANOBINI, L'Amministrazione locale, 145. 

58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

obbligatorie, ma assai significativo anche l'art. 274 che recita: � salvo 
che non sia disposto altrimenti i comuni... sono tenuti a compiere senza 
corrispettivo gli atti che siano loro commessi dalla legge nell'interesse 
generale�.); decentramento finanziario, dunque, nel senso e nel modo 
pi� ampio. 

Le peculiarit� accennate, il cui rilievo � appena il caso di sottolineare, 
non possono non movimentare quella linearit� che si diceva -rapporto 
organico, individuazione dell'ente responsabile -; tacerle, significherebbe 
non tener conto non solo di situazioni diverse, ma di disposizioni legisla� 
tive diverse, che spostano la responsabilit� patrimoniale da un soggetto 
(Stato) all'altro (Comune). Le disposizioni del t.u. che impongono, per 
talune funzioni di interesse generale, lo sgravio finanziario dello Stato, 
non consentono di discriminare tra responsabilit� patrimoniale da atti� 
vit� lecita e responsabilit� patrimoniale da attivit� illecita. La condizione 
� solo questa: che si eserciti una delle funzioni demandate dalla legge 
al sindaco unitamente al Comune. Lo sforzo della dottrina inteso a 
porre in risalto il valore giuridico di questa imposizione patrimoniale 
del Comune, legislativamente voluta, non sembra aver avuto buona fortuna 
(7). 

L'obiezione mossa dalla giurisprudenza, avere, cio�, la norma che im� 
pone l'onere patrimoniale al Comune carattere meramente contabile, non 
ci trova consenzienti. Una interpretazione cos� concepita degrada il va� 
lore sostanziale della norma (determinazione di un obbligo ed individua� 
zione del soggetto obbligato) in valore �formale� di imputazione contabile, 
qualcosa di simile ad una partizione interna di un bilancio, Pet 
convincersi del contrario pu� essere sufficiente riflettere su di una fatti� 
specie del genere : il sindaco emette una ordinanza di demolizione di un 
edificio pericolante, 1'011dine non viene eseguito; in mancanza o nell'in. 
disponibilit� immediata di appositi uffici comunali, il sindaco commetta 
l'esecuzione dell'opera ad un appaltatore. Il rapporto che si instaura �, 
incontestabilmente, fra il committente Comune e l'appaltatore; l'obbligazione 
che ne nasce, di pagare il corrispettivo pattuito, fa capo al 
Comune. Il valore della norma � qui ben lungi dall'essere contabile; da 
essa, infatti, discende il potere del sindaco di impegnare il Comune in 
un rapporto oneroso per fini di interesse generale (dato per ammesso 
che siano soprattutto gen~rali siffatti fini). 

Le disposizioni concernenti gli oneri finanziari, a ben riflettere, ri


(7) La dottrina ha correttamente ritenuto speciale la legge che impone 
al Comune l'aggravio finanziario per le funzioni esercitate nell'interesse 
generale e ne ha tratto conseguenze precise sul punto della responsabilit�. 
Si veda: ZANOBINI, L'amministrazione locale. cit.; PRESUTTI, Istituzioni di 
diritto amministrativo, voi. II, 107; FORTI, Sulle attribuzioni del sindaco, 
cit., Giur. it., 1905, I, 1, 16; id., Foro it.,. 1937, I, 1246; TELCHINI, Su un 
caso di negata responsabilit�, Foro it., 1956, I, 1008; LA TORRE, Provvedimenti 
del sindaco �e responsabilit� dello Stato, Amm. it., 1959, 889; CAnusr, 
Sulla pretesa responsabilit� dello Stato per le esecuzioni di ordinanze 
sindacali contingibili e urgenti in materia di edilizia, Foro it., 1959 
IV, 265, con ampi richiami di dottrina e di giurisprudenza. 
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PARTE II, QUESTIONI 

59 

velano tutto il loro peso sostanziale anche sotto un altro rilevantissimo 
aspetto: la distinzione tra funzioni obbligatorie e facoltative del Comune in 
spese obbligatorie e spese facoltative (8). 

Ritornando alla responsabilit� civile per gli illegittimi provvedimenti 
del sindaco, acutamente � stato osservato dal CARUSI (9) che non � sufficiente 
l'esercizio di funzioni obbiettivamente statali a determinare l'imputazione 
degli effetti direttamente allo Stato. Questo binomio -funzioni 
statali, responsabilit� dello Stato -, indubbiamente spontaneo e per lo 
pi� vero, va colto come criterio indicativo e non di applicazione; basta 
riflettere sui casi, tutt'altro che infrequenti, di esercizio privato di funzioni 
pubbliche. 

La Suprema Corte ha inteso estendere la responsabilit� dello Stato 
anche nel caso di illecita esecuzione dei provvedimenti sindacali da parte 
degli organi comunali. 

I principi posti a sostegno della tesi possono sinteticamente riassumersi: 
il decentramento funzionale in materia ex art. 153 non � fatto alla 
sola persona del sindaco, ma alla Amministrazione comunale nel complesso, 
on�e i dipendenti del Comune devono assistere il sindaco nella 
sua attivit� di ufficiale di governo; in questa� veste di collaboratori agiscono 
per lo Stato, al quale vanno riferiti gli effetti della loro attivit�. 

La tesi appare alquanto ardita, soprattutto l� dove ammette un �ecentramento 
funzionale al Comune nel suo complesso anzich� al solo sindaco. 
In questo modo, infatti, si viene implicitamente a dar corpo al 
concetto di ente-organo (10), concetto di indubbio interesse e di grande 
rilievo, ma che difficilmente sar� stato presente al legislatore del 1915. 
Il vero ostacolo, per�, a nostro avviso, si trova nella. lettera della legge: 
�appartiene pure al sindaco di fare... �, che non lascia dubbi sull'attribuzione 
personale delle funzioni in esame. Se si pone attenzione al carattere 
eccezionale (come eccezionali sono le funzioni regolate} dell'articolo 
153, non si pu� non considerare con il dovuto sospetto ogni estensione 
applicativa che vada al di l� della mera interpretazione della lettera della 
fogge. La disposizione segue nell'ordine gli articoli 151 e 152, che contengono 
l'elenco delle funzioni spettanti al sindaco, in quanto tale, nella 
sua duplice qualit�; la disposizione si apre con una espressione di appartenenza 
che non sembra. lasciar dubbi sulla sua esclusivit�; in tutto il 
contesto non � possibile trovare un solo addentellato che consenta di 
arrivare alle conclusioni del Supremo Collegio. 

Ma anche le argomentazioni portate a sostegno della tesi, sebbene 
efficaci, ci lasciano perplessi. Si afferma che, non accogliendo la soluzione 
prospettata, si verrebbe a negare la possibilit� in concreto dello 
esercizio delle funzioni decentrate, per l'impossibilit� che il sindaco, in 

(8) CINTOLESI, La responsabilit� per gli atti del Sindaco quale ufficiale 
di governo e per l'attivit� esecutiva degli organi comunali, Foro pad., 
1'960, I, 163. 

(9) CARUSI, Sulla pretesa responsabilit� dello Stato, cit. 
(10) CARBONE, Persone giuridiche-organi ed organi dotati di personalit� 
giuridica, in questa Rassegna 1955, 228. 

60 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

persona propria, compia tutta l'attivit� necessaria per l'attuazione della 
ordinanza. 

Le argomentazioni sembrano basarsi sul presupposto di una necessaria 
identit� fra organo che emana l'ordine e organo che lo esegue. 
Quasi vi fosse alcunch� di patologico nella distinzione soggettiva fra 
l'autore della norma particolare (ordine) e il suo esecutore. Mentre una 
tale distinzione si pone come del tutto naturale non solo nella fattispecie, 
ma anche in altri diversi settori del diritto (si pensi ad una sentenza 
che ordina la riduzione d<;:ll'opera illecitamente compiuta ed alla sua 
materiale esecuzione). 

L'art. 153 attribuisce al sindaco la potest� di emettere provvedimenti 
contingibili ed urgenti e di far eseguire gli ordini relativi a spese degli 
interessati; le modalit� di esecuzione, in modo particolare i mezzi d� 
esecuzione, sono affidati al potere .discrezionale del sindaco (con i soliti 
limiti dettati dalla � buona amministrazione � ). 

Respinta la tesi dell'ente-organo,� ovvero di un decentramento non 
limitato alla persona del sindaco, ma esteso all'amministrazione comunale 
nel suo complesso, la responsabilit� per illecita esecuzione della 
ordinanza va esaminata alla luce del t.u. 1915 e dei principi generali. 

Si � appreso dal t.u. come sia compito del Comune provvedere finanziariamente 
alle funzioni attribuite dalla legge al sindaco; per quanto 
attiene particolarmente all'esecuzione dei provvedimenti sindacali, detto 
compito pu� essere assolto o mediante gli uffici ed il personale del Comune, 
che esplicano l'attivit� materiale necessaria, o attraverso l'assun� 
zione, da parte del comune, di una obbligazione (pagamento del corri 
spettivo) per l'opera prestata da un appaltatore incaricato. 

Nel primo caso, il Comune � responsabile dell'illecita e dannosa esecuzione 
per una duplice ragione: perch� adempie ad un obbligo che gli 
� proprio e che gli deriva non da un ordine particolare (provvedimento 
del sindaco), ma dalla legge (la legge, ponendo a suo carico il peso finan� 
ziario per lo svolgimento di determinate funzioni, gli impone necessariamente 
una serie di obblighi, che si sostanziano nella organizzazione dei 
mezzi e nella esplicazione di attivit�, obblighi che si presentano, quindi, 
come conseguenza pratica o corrispondente funzionale dell'onere finanziario); 
in secondo luogo, perch� l'attivit� esecutiva in parola viene 
svolta da organi o, quanto meno, da dipendenti del Comune per cui, sia 
in applicazione del principio generale dell'immedesimazione organica, 
sia in applicazione dell'art. 28 della Costituzione, la responsabilit� del 
Comune viene sempre in gioco. 

Nell'altro caso, in cui, cio�, l'opera resta affidata ad un appaltatore, 
la responsabilit� per l'eventuale illecita esecuzione ricade esclusivamente 
su di lui per una specie di appartenenza istituzionale di ogni tipo di 
rischio all'appaltatore. 

Da qui l'ultima considerazione contro la tesi della Suprema Corte 
e cio� che l'estensione della responsabilit� allo Stato verrebbe a dipendere 
da circostanze contingenti, quali l'esistenza, l'opportunit�, la volont� 
sindacale di servirsi di mezzi comunali anzich� dell'opera di un appai� 
tatore. 

GIANCARLO FERRERO 


CONSULTAZIONI* 


AGRICOLTURA E FORESTE 

Agricoltori diretti -Vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli 
Se la legge 9 febbraio 1963 si applichi alla vendita al pubblico in 
sede stabile di tutti i prodotti agricoli da parte dei coltivatori diretti 
compreso in questi prodotti anche il vino dei propri fondi (n. 34). 

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA 

ANAS -Condizione giuridica 
1) Se l'A.N.A.S. possa avvalersi del trattamento riservato alle Amministrazioni 
statali per atti e tasse giudiziali (n. 281). 

Stipulazione contratti -C.N.E.N. 
2) Sull'identificazione degli organi competenti a deliberare le convenzipni 
ed i contratti che impegnano il Comitato Nazionale per l'Energia 
Nucleare (n. 282). 

Istituto del Dramma Antico 

3) Se l'Istituto del Dramma Antico abbia diritto al patrocinio dell'Avvocatura 
dello Stato (n. 283). 

Terreni demanio forestale -Costruzione di opere per la difesa nazionale 
4) Se il passaggio di terreni appartenenti al demanio forestale dell'Azienda 
di Stato per le Eoreste demaniali all'Amministrazione militari 
per essere destinati ad opere per la difesa nazionale debba avvenire 
mediante un atto formale che stabilisca i rapporti e fissi la corresponsione 
di un canone (n. 284). 

APPALTI 

Forniture militari 

1) Se l'Amministrazione Militare possa autorizzare, ai sensi dell'articolo 
63 Condizioni Generali per gli acquisti delle Forze Armate, la sostituzione 
della merce gi� rifiutata con decisione della Commissione Centrale 
per i collaudi in appello ( n. 272). 

Variazioni dei lavori 

2) Se l'impresa appaltatrice possa contestare l'applicazione della 
norma del Capitolato speciale che fissa in 3/5 il massimo delle variazioni 
in meno dei lavori di appalto stabilito in 4/5 dal Capitolato 
Generale perch� non approvata espressamente per iscritto ai sensi del


l'art. 1341 e.e. n. 273). 

AVVOCATI E PROCURATORI 

Istituto del Dramma Antico 

1) Se l'Istituto del Dramma Antico abbia diritto al patrocinio dell'Avvocatura 
dello Stato (n. 59). 

*La formulazione del quesito non riflette in alcun modo la soluzione 
che ne �' stata data. 



62 

RASSEGNA DELt.'AVVOCA'fURA DELLO STATO 

Spese di procedura 

2) Quali siano le modalit� di riscossione del contributo a favore 
della Cassa Naz. di Previdenza degli Avvocati (L. 8 gennaio 1952, n. 6) 
nel caso che il provvedimento soggetto al contributo stesso sia esente 
da registrazioni in termine fisso e se -in ipotesi di disposta compensazione 
cfell~ spese -sia legittima la richiesta di pagamento del contributo 
nei confronti della parte istante in giudizio (n. 60). 

BELLEZZE ARTISTICHE E NATURALI 

Regione Siciliana -Tutela artistica e paesistica 

Sulla ripartizione delle competenze tra il Ministero della P.I. ed 
il Presidente della Regione Siciliana nell'esercizio di attivit� statale decentrata, 
ai sensi del d.l. C.P.S. n. 567/1947, in materia di tutela artistica 

e paesistica in Sicilia (n. 9). 

COMMERCIO 

Agricoltori diretti -Vendita� al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli 

Se la legge 9 febbraio 1963 si applichi alla vendita al pubblico in 
sede stabile di tutti i prodotti agricoli da parte dei coltivatori diretti 
compreso in questi prodotti anche il vino dei propri fondi (n. 20). 

COMUNI E PROVINCIE 

Agevolazioni fiscali -Capi di famiglia -numerosa 

Quali siano i criteri per l'applicazione dell'art. 10 della legge 27 giugno 
1961, n. 551 che ha apportato ulteriori agevolazioni fiscali in materia 
di ricchezza mobile in favore dei capi di famiglia numerosa in relazione 
all'imposta sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni 

(n. 110). 
CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO 

Fermo amministrativo 

1) Se possa legittima:giente essere disposto il fermo amministrativo 

previsto dall'art. 69, ultimo comma, 1. Contabilit� generale dello Stato 
sulle dovute dall'Amministrazione ad un privato a garanzia del soddisfacimento 
di un credito vantato da altra P.A. verso il medesimo per il 
quale sia stato ottenuto decreto ingiuntivo e sia pendente il giudizio di 
opposizione (n. 196). 

Norme dei capitolati generali d'appalto 

2) Se le norme regol"!mentari che, nei capitolati generali di appalto 

o forniture, prescrivono un termine per l'effettuazione degli atti amministrativi 
di liquidazione del debito e, conseguentemente, prevedono la 
corresponsione di interessi in caso di ritardo, siano in contrasto con le 
norme ed i principi di cop.tabilit� di Stato (n. 197). 
COSTITUZIONE 

Imposta di successione 

1) Se sia manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
degli articoli 45 e 48 della legge fributaria sulle successioni in 
relazione all'art. 53 Costituzione (n. 20). 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

63 

Imposte e tasse -Ricorso del contribuente 
2) Se l'art. 280 comma 3� del t.u. sulla finanza locale, nel testo 

modificato con l'art. 48 della legge 2 luglio 1952, n. 703, sia da c.onsi


derarsi costituzionalmente illegittimo in contrasto con gli artt. 3, 24, 113 

della Costituzione (n. 21). 

Imposta consumo sul vino 

3) Se il d.P.R. 14 dicembre 1961, numero 1315, emanato in attuazione 
della delega legislativa contenuta nell'art. 8 della legge 18 dicembre 1959, 

n. 1079, sull'abolizione dell'imposta comunale di consumo sul vino, sia 
da considerarsi costituzionalmente illegittimo (n. 22). 
DEMANIO 

Beni gi� appartenenti alla Corona -Cessione in uso 

1) Se le disposizioni della legge 9 agosto 1948 n. 1077 precludano 
la possibilit� di dare esecuzione ad un accordo internazionale che prevede 
la cessione in uso gratuito di beni gi� appartenenti alla dotazione 
della Corona (n. 183). 

Rettorie annesse alle chiese conservate al culto 

2) Se lo Stato sia tenuto, in forza dell'art. 8 legge 27 maggio 1929 

n. 848, a retrocedere alle chiese conservate al culto i locali per rettoria 
acquisiti per effetto della legislazione eversiva, ove sussistano le 
condizioni che avrebbero consentito, ai sensi dell'art. 19 d. Lgt. 7 luglio 
1866 n. 3036 e dell'art. 4 1. 11 agosto 1870, n. 5874, la esclusione 
della devoluzione di tali immobili al Demanio (n. 184). 

Terreni demanio forestale -Costruzione di opere per la difesa nazionale 

3) Se il passaggio di. terreni appartenenti al demanio forestale del1'
Azienda di Stato per le Foreste demaniali all'Amministrazione militare 
per essere destinati ad opere per la difesa nazionale debba avvenire 
mediante un atto formale che stabilisca i rapporti e fissi la corresponsione 
di un canone (n. 185). 

EDiLIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

Alloggi in locazione -Successione 
1) Sulla successione nell'assegnazione degli alloggi in locazione (applicazione 
del 3� comma art. 6 legge 14 febbraio 1963, n. 60) (n. 143). 

Case per lavoratori agricoli -Cessione di credito 
2) Se il riconoscimento delle cessioni effettuate sui fondi erogati 
per la costruzione di abitazioni per lavoratori agricoli dipendenti ai sensi 
della legge 30 dicembre 1960 n. 1676 rientri nella competenza dell'Ente 
realizzatore delle opere o in quella degli Uffici del Genio Civile cui � 
demandato il controllo sulla regolare esecuzione dei lavori e quindi nella 
effettiva destinazione dei finanziamenti agli scopi perseguiti dalla legge 

(n. 144). 
Cooperative edilizie -L. 14 febbraio 1963, n. 60. 

3) Se le Cooperative edilizie ammesse ad usufruire delle provvidenze 

contenute nella legge 14 'febbraio 1963, n. 60 possano qualificarsi come 

cooperative edilizie ammesse a contributo statale ai fini dell'art. 16 

legge 1 marzo 1952, n. 113. 

4) Se, agli effetti dell'applicazione dell'art. 16 legge 1 marzo 1952, 

n. 113, possano qualificai;-si come cooperative edilizie ammesse a con

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64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
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tributo statale anche le cooperative che abbiano conseguito la � prenotazione
� (n. 145). �.

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Cooperative edilizie -Morosit� di socio 

5) Se la Cassa Depositi e Prestiti, per applicare la ritenuta nei confronti 
di un socio moroso di una cooperativa ai sensi dell'art. 65 r.d. 28 
aprile 1938, n. 1165, debba prima attendere una apposita delibera del 

Consiglio di amministrazioi:e della cooperativa stessa (n. 146). 

6) Se la predetta Cassa in mancanza di prove contrarie fornite dal 
socio, possa ritenere le quote dei soci tutte uguali (n. 146). 


7) Se la detta Cassa, nel caso in cui il socio indicato moroso abbia 

segnalato gravi irregolarit� o abusi da parte della cooperativa, debba 

ravvisare l'opportunit� di sospendere la ritenuta e considerare l'esposto 

come denuncia trasmettendola, di conseguenza, alla Commissione di Vi


gilanza perch� dette irregolarit� siano represse ex officio (n. 146). 

ENTI E BENI ECCLESIASTICI 

Rettorie annesse alle chi�se conservate al culto 

Se lo Stato sia tenuto, in forza dell'art. 8 legge 27 maggio 1929 n. 

848, a retrocedere alle chiese conservate al culto i locali per rettorie ac


quisiti per effetto della legislazione eversiva, ove sussistano le condizioni 

che avrebbero consentito,�ai sensi dell'art. 19 d. lgt. 7 luglio 1866 n. 3036 

e dell'art. 4 legge 11 agosto 1870 n. 5784, l'esclusione della devoluzione 

di tali immobili al Demanio (n. 40). 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' 

Indennit� di occupazione -Criteri 
1) Sui criteri per la determinazione della indennit� di occupazione, 
quando questa sia preordinata all'espropriazione e l'espropriazione in 
concreto segua (n. 182). 


Piani regolatori 

2) Se per la esecuzione di opere comprese nel piano regolatore particolareggiato, 
ma non annoverabili tra le c.d. � opere di piano regolatore 
� in senso proprio, sia legittimo il ricorso alla proceduta di espropriazione 
di cui all'art. 11 legge n. 335 del 1932, e in base a quali criteri 
debba essere fissato il prezzo dei beni trasferiti nell'ipotesi in cui, per 
l'adesione dei proprietari all'alienazione, non sia necessario procedere alla 
espropriazione (n. 183). � 


FARMACIA 

Farmacia Comune di Longarone -Indennit� di avviamento 
Se gli eredi del titolare della farmacia andata completamente distrutta 
nel disastro del Vajont possano pretendere dal nuovo titolare 
l'indennit� di avviamento prevista dall'art. 110 legge sanitaria (n. 11). 


FERROVIE 

Passaggi a livello privati 

Se l'Azienda Ferroviaria sia obbligata ad adottare i provvedimenti 
necessari a ripristinare le condizioni di sicurezza di un passaggo a livello, 
dato in consegna agli utenti, nel caso di sopravvenuta pericolosit� 
dell'attraversamento (n. 349). 



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PARTE Il, CONSULTAZIONI 

IMPIEGO PUBBLICO 

�Pubblici impiegati investiti di mandato parlamentare -Procedimento disciplinare 


1) Se possa essere sottoposto a procedimento disciplinare l'impiegato 
che sia parlamentare (n. 555). � 

Responsabilit� dell'impiegg..to verso terzi 

2) Se il dipendente possa richiedere all'Amministrazione il rimborso 
di quanto ha pagato a terzi a titolo di risarcimento del danno provocato 
con la conduzione di un automezzo dell'Amministrazione stessa (n. 556). 

IMPORTAZIONE-ESPORTAZIONE 

Assicurazione crediti all'esportazione 

1) Se il Comitato per l'Assicurazione dei Crediti all'Esportazione, di 
cui all'art. 9 della legge 5 luglio 1961 n. 635 nell'approvare i criteri di 
ripartizione dei recuperi per capitali e interessi pagati non tempestivamente, 
possa disporre ch� venga operata dall'Ente gestore la trattenuta 
dello scoperto obbligatorio per l'eventualit� di un mancato recupero delle 
rate dovute dall'importatore anche nelle ipotesi in cui si sia convenzionalmente 
derogato al sistema legislativo vigente tanto all'epoca della 
stipula dell'assicurazione, quanto a quello del pagamento dell'indennizzo 
(n. 29). 

Importazione zucchero -Rimborso spese di trasporto 
2) Se l'obbligo della Cassa Conguaglio di rimborsare le spese di 
trasporto dello zucchero importato sia condizionato alla destinazione 
delfo zucchero stesso a consumatori diversi dall'importatore (n. 30). 

3) Se l'avviso n. 5 del 8-11-1963 del Comitato Interministeriale abbia 
portato modificazioni sul punto (n. 31). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

Impianti industriali 

Se il primo trasferimento di un impianto' industriale organizzato e 

funzionante, allo scopo, dichiarato dall'acquirente nell'atto di acquisto 

ed attuato nel termine di tre anni, di ampliarlo e trasformarlo e renderlo 

pi� efficiente e meglio rispondente alle necessit� industriali, possa godere 

del beneficio della registrazione a tassa fissa (n. 196). 

IMPOSTA DI SUCCESSIONE 

Costituzione 

Se sia manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
degli articoli 45 e 48 della legge tributaria sulle successioni in 
relazione all'art. 53 Cost. (n. 36). 

IMPOSTA PROGRESSIVA SUL PATRIMONIO 

Concordato tributario 

Quale sia la natura del concordato tributario ed in quale modo 
possa provarsene l'esiste(lza. (n. 11 ). 


66 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IMPOSTE E TASSE 
Agevolazioni fiscali -Capi di famiglia numerosa 

1) Quali siano i criteri per l'applicazione dell'art. 10 1. 27 giugno 
1961 n. 551 che ha apportato ulteriori agevolazioni fiscali in materia 
di ricchezza mobile in favore dei capi di famiglia numerosa in rela


zione all'imposta sulle iqdustrie, i commerci, le arti e le professioni 

(n. 362). 
Benefici fiscali -Retroattivit� 

2) Sulla retroattivit� dei benefici fiscali previsti dalla legge 2 luglio 
1945 n. 408 in relazione all'art. 4 d.l.l. 24 aprile 1946 n. 350 (n .363). 

Imposta concessioni governative -Restituzione -Prescrizione 

3) Quale sia il dies a quo del termine triennale di prescrizione del 
diritto alla restituzione di somme indebitamente corrisposte a titolo 
di imposta sulle concessioni governative (art. 16 T.U. 20 marzo 1953 

n. 112), nell'ipotesi in cui, pagato il tributo per ottenere il rilascio di 
una licenza di commercio, questa venga rifiutata (n. 364). 
Imposta consumo sul vino 

4) Se il d.P.R. 14 dicembre 1961 n. 1315, emanato in attuazione 
della delega legislativa contenuta nell'art. 8 della legge 18 dicembre 
1959 n. 1079 suil'abolizione dell'imposta comunale di consumo sul vino, 
sia da considerarsi costituzionalmente illegittimo (n. 365). 

Ricorso del contribuente -Richiesta di audizione personale 
5) Se l'art. 280, comma 3�, del t.u. sulla finanza locale, nel testo 
modificato con l'art. 48 della legge 2 luglio 1952 n. 703, sia da considerarsi 
costituzionalmente illegittimo (in contrasto con gli artt. !, 24, 113 della 
Costituzione) (n. 366). 

Sequestro conservativo 

6) Se l'Intendente di Finanza possa richiedere e legittimamente 
ottenere il sequestro conservativo di beni immobili ai sensi dell'art. 26 
della legge 7 gennaio 1929. n. 4 (n. 367). 

MANDATO ~ 

Alqrte del mandatario -Estinzione 
Se con� la morte del mandatario si estingua il mandato irrevocabile 
anche nell'interesse del mandatario e dichiarato espressamente non 
caducabile nemmeno per i casi di estinzione di cui all'art. 3722 e.e. 

(n. W). 
MEZZOGIORNO 

Cassa per il Mezzogiorno 

1) Se la Cassa per il Mezzogiorno abbia diritto, come le Amministrazioni 
dello Stato, all'esenzione dai diritti e dalle indennit� spettanti 
agli Ufficiali Giudiziari per la notificazione degli atti (n. 26). 



PARTE II, CONSULTAZIONI 67 

Previdenza ed assistenza 

2) Sul trattamento previdenziale ed assicurativo delle maestranze 
agricole impiegate nei lavori di sistemazione idraulico forestale condotti 
in amministrazione diretta dai Consorzi di Bonifica, a seguito di concessione 
della Cassa per ;il Mezzogiorno (n. 27). 

OPERE PUBBLICHE 

Albo Nazionale dei Costruttori 

1) Se possa essere iscritta all'Albo Nazionale dei Costruttori una 
Societ� il cui direttore tecnico � stato nominato dal Consiglio di Amministrazione 
della societ� e non dall'assemblea dei soci (n. 56). 

Appalti di 00.PP. -Revisione� prezzi contrattuali 
2) Se l'art. 1, secondo comma, della legge 23 ottobre 1963 n. 1481 
che prevede la facolt� di praticare la revisione dei prezzi quando il 
costo dell'opera sia aumentato o diminuito oltre il 6% per successive 
variazioni ctei prezzi correnti, obblighi l'Amm.ne P.:r. ed in generale 

le Amministrazioni autonome ad adottare il sistema analitico, in conformit� 
all'adozione del Ministero dei LL.PP., o consenta l'adozione del 
sistema parametrico (n. 57). 

3) Se l'art. 2 della legge 23 ottobre 1963 n. 1481, che prevede la 
applicazione retroattiva delle norme relative alla revisione dei prezzi, 
si applichi a quelle amministrazioni autonome che in esso non risultino 
menzionate ed in particolare se si applichi all'Amministrazione P.T. 

(n. 57). 
POLIZIA 

Vendite al pubblico in sede stabile dei propri prodotti 

Se la legge 9 febbraio 1963 si applichi alla vendita al pubblico 
in sede stabile di tutti i prodotti agricoli da parte dei coltivatori diretti 
compreso in questi prod�tti anche il vino dei propri fondi (n. 32). 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

Bu�ni postali -Pagamento autorizzato dall'A.G.O. 
1) Se l'Amministrazione Postale debba riconoscere efficacia vincolante 
al provvedimento di un Magistrato relativo al pagamento in favore 
di un istituto di credito dell'importo di un buono postale fruttifero 
rinvenuto in una cassetta di sicurezza intestata al debitore del detto 
istituto (n. 103). 

Servit� telegrafica -Indennizzo 
Se, ai fini della determinazione dell'indennizzo per la imposizione 

di servit� telegrafica, i criteri sanciti nell'art. 182 del codice postale 
possano essere integrati con quelli pi� dettagliati enunciati nell'art. 123 
del t.u. sugli impianti elettrici (r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775) (n. 104). 

Testimonianza dipende111ti P.T. innanzi all'A.G. 

3) Se, ai sensi degli artt. 11 e 12 del Codice postale sia vietato 
al personale p.t. di dare a terzi informazioni scritte o verbali relative ad 
operazioni richieste od es.~guite e di dare in visione copie di telegrammi 
e di altra corrispondenza a persone diverse da� mittenti, destinatari 

o rappresentanti legali . (n. 105). 

C8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

4) Se per le informazioni richieste dal giudice civile, ai sensi dell'art. 
213 c.p.c. all'Amm.ne P.T., l'Amministrazione possa opporre il segreto 
di ufficio sancito nell'art. 11 del Codice Postale (n 105). 

Titoli di risparmio postali -Interruzione della prescrizione 

5) Se gli atti di richiesta o diffida di cui agli artt. 151 e 158 del 
Codice P.T. intesi ad interrompere il corso della prescrizione relativa 
a titoli di risparmio postali siano validi solo se effettuati direttamente 
dall'intestatario del . titolo o dal suo rappresentate, ovvero se il corso 
della prescrizione possa ritenersi validamente interrotto anche se l'atto 
di richiesta provenga da un soggetto diverso dal titolare, che ne ratifichi 
successivamente l'operato (n. 106). 

PREVIDENZA ED ASSISTENZA 

Trattamento previdenziale maestranze agricole 

Sul trattamento previdenziale ed assicurativo delle maestranze 
agricole impiegate nei lavori di sistemazione idraulico-forestale condotti 
in amministrazione diretta dai Consorzi di bonifica, a seguito di concessione 
delia Cassa per il Mezzogiorno (n. 43). 

PRESCRIZIONE 

Titoli di risp�rmio postali 

Se gli atti di richiesta o diffida di cui agli artt. 151 e 158 del Codice 

P.T. intesi ad interrompere il corso della prescrizione relativa a titoli 
di risparmio postali siano validi solo se effettuati direttamente da 
l'intestatario del titolo o dal suo rappresentante, ovvero se il corso 
della prescrizione possa ritenersi validamente interrotto anche se l'atto 
di richiesta provenga da un soggetto diverso dal titolare, che ne ratifichi 
successivamente l'operato (n. 41). 
PREZZI 

Appalti di 00.PP. -Revisione prezzi contrattuali 

1) Se l'art. 1, secondo c;omma, della legge 23 ottobre 1963 n. 1481 
che prevede la facolt� �fi praticare la revisione ~ei prezzi quandQ il 
costo dell'opera sia aumentato o diminuito oltre il 6% per successive 
variazioni dei prezzi correnti, obblighi I'Amm.ne P.T. ed in generale le 
Amministrazioni autonome ad adottare il sistema analitico, in conformit� 
tiella adozione del Ministero dei LL.PP., o consenta l'adozione dd 
sistema parametrico (n. 57). 

2J Se l'art. 2 della legge 23 ottobre 1963 n. 1481, che prevede la -�~ 
applicazione retroattiva delle norme relative alla revisione dei prezzi, 
si applichi a quelle amministrazioni autonome che in esso non risultino 
menzionate e in particolare se si applichi all'Amm.ne P.T. (n. 57). 

PROPRIETA' 

Condominio 

Quali siano le condizioni perch� il condominio possa appoggiare 

al muro comune, prospiciente nel cortile interno dell'edificio, una canna 
fumaria (n. 37). 

PARTE II, CONSULTAZIONI 

REGIONI 

Regione Siciliana -Tutela artistica e paesistica 

Sulla ripartizione delle competenze tra il Ministero della P.I. ed il 
Presidente della Regione Siciliana nell'esercizio di attivit� '�tatale decentrata, 
ai sensi del d.l.C.P.S. n. 567/1947 ,in materia di tm:i::1~ artistica 
e paesistica in Sicilia (n. 110) 

RESPONSABILITA' CIVILE 

Animali in bandita 

1) Se lo Stato sia responsabile per i danni causati ad una autovettura 
in circolare da un animale selvatico tuori�scito da zona in bandita 
demaniale (n. 208). 
Infortuni di militari -Recupero spese da parte della Amministrazione 

2) Se l'Amministrazione militare possa agire contro il terzo responsabile 
dei danni causati a militari in seguito ad incidenti stradali per�l recupero di spese mediche, di cura e di degenza e di assegni particolari 
(n. 209). � 

3) Se l'Amministrazione militare possa agire contro il terzo responsabile 
dei danni causati a militari in seguito ad incidenti stradali per il 
recupero degli assegni e degli stipendi normalmente corrisposti al 
dipendente (n. 209). 

4) Se l'Amministrazione militare possa chiedere la rivalsa delle spese 
di cura mediche di cura e degenza, erogate a favore di un militare di 
leva rimasto infortunato in seguito ad incidente stradale al responsabile 
dell'incidente stesso (n. 209). 

Responsabilit� della P.A. per atti illegittimi 

..........


5) Se l'Amministrazione della P.I. possa essere chiamata in garanzia 
da chi sia convenuto in giudizio per il risarcimento del danno derivante 
da una costruzione compiuta con il nulla osta della Sovrintendenza ai 
monumenti che sia stato annullato dal Consiglio di Stato. (n. 210). 

Responsabilit� dell'impiegato verso terzi 

6) Se il dipendente possa richiedere all'Amministrazione il rimborso di 
quanto pagato a terzi a titolo di risarcimento del danno provocato con 
la conduzione di un automezzo dell'Amministrazione stessa (n. 211). 

SEQUESTRO 

Sequestro conservativo 

Se l'Intendenza di Finanza possa richiedere e legittimamente ottenere 
il sequestro conservativo di beni immobili ai sensi dell'art.� 26 della 
legge 7 gennaio 1929 n. 4. (n. 19). 

SOCIETA' 

Albo Nazionale' dei Costruttori 

Se possa essere iscritta all'Albo Nazionale dei Costruttori una Societ� 
il cui direttore tecnico � stato nominato dal Consiglio di Amministrazione 
della So�iet� e non dall'Assemblea dei soci (n. 104). 


SPESE GIUDIZIAU 

A.N.A.S. 
. . P ,s,lif .1'.4'.~�A.:~� PP~.sa�. ayval~rl'i Q.,el ,t:r,attal')J.ento riservato alle ,Aromiowtrnz1.
�u;n staU!,Jj -p~r ;:ttt~ ,e (>Rei)~ gmdJ?:~ali. (p. J;>): 

�Cassa per il Me:z.?,ogiorno 

2) Se la Cassa per il Mezzogiorno abbia diritto, come le Amministrazioni 
dello Stato, all'esenzione dai diritti e dalle indennit� spettantiagli Ufficiali Giudiziari per la notificazione degli atti (n. 16). 

STRADE 

~e.strage ~ pj.st,q,nZft JJ-rf.. :9 L. 729/1961 . 
Se. il diyieto, i;>revist� da~l'art.� 9. ~e~la legge 24 19-~Q 19;61.. :q.�� 729, ?i 
,�_o~~J"\W:~, ;1'~98~.Irc.e O fl.WJ,?hare c~:fl.(;I ,<;> fl!o;tnufatti ~ru q\la1Sia!)l specie 

~ ,4i~tanza .1..fe,1ore a n;t;etn 25 ,�l<itl Ji.J:p.ite della zona di occupazone del1a.t%
trada, qpe:d solta,ot9 per Je auto_st;rade c~true.nde .o� �o!)tn�ite ~ 
P,<l~ alla, legge Sl,lddet1;a 9 a quella ;�i. 463 clel 19~5, ovv,er.o 9peri anch,e 
per quelle costruite in precedenza (n. 53). � � � � �� � �