ANNO XXXVI -N. 3 MAGGIO-GIUGNO 1984 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1984 



ABBONAMENTI ANNO 1984 

ANNO � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 29.000 

UN NUMERO SEPARATO � , ������������ � 5.300 

Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postaJe n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Itaty 

Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del .13 luglio 1966 

(5219306) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'
avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . pag. 413 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura de/l'avv. Oscar Fiumara) � 455 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . � 47�1 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Antonio Catricol� e Paolo Cosentino) . . . . . � 490 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli 
avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) � 503 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato 
Carlo Bafile) . . . . . � 521 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 594 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 601 
Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE 
LEGISLAZIONE � 61 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; 
Francesco GUICCIARDI, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio 
Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Francesco .ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; 
Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANo�, Venezia 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

C. 
BAFILE, Decisione di annullamento e decisione di merito nel giudizio 
di terzo grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 578 
O. 
FIUMARA, Della compatibilit� con il trattato CEE di limitazioni 
nazionali all'assistenza farmaceutica ....... . � 457 

PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


AGRICOLTURA 

-Affdtto dei fondi rustici -Determinazione 
del canone -Finalit� di 
� stabilire equi .rapporti sociali � Preminenza, 
444. 

-Rapporti di mezzadria e colonia parziaria 
-Conversione dn rapporti di 
afliitto -Facolt� unilaterale del concessionarfo 
-Distiinzione tra imprenditore 
agricolo e proprietario assenteista 
di terreni agricoli -Necessit�, 
434. 

APPALTO 

-Sopravvenute difficolt� di esecuzione 
-Cause non previste, 594. 

-Sopravvenute difficolt� di esecuzione 
-Notevole maggiore onerosit� Della 
prestazione e non di singoli 
lavori, 594. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Atti autovitativi e paritetici -Criteri 
differenziali per provvedimenti incidenti 
su status pubblrico .impiegato -
Riapporti economici, 503. 

-Convalida -Applicabilit� alle mani� 
festa:m.oni di volont� -Proposta, 511. 
-Convalida -InappLicabilit� ad atto 
annullato, 511. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Libera circolazione delle merci -Disciplrina 
dei prezzi -Prezzi delle 
specialit� medicinali -Poteri degJ,i 
Stati membri, con nota di O. FIU� 
.MARA, 455. 

-Ll.bera circolazione delle merci 
Medicinali -Regime di cassa malat� 
tia -Rimborso deUe spese -Com� 
patibilit� con le norme comunitarie Limiti, 
con nota di O. FIUMARA, 456. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Principio di eguagHanza -Criteri presuntivi 
indicati dal legislatore ord�� 
nario � Ragionevolezza, 453. 

COSA GIUDICATA CIVILE 

-Atto vincolato -Atto difforme Giudizio 
di inottemperanza -Termine 
di dmpugnazione, 515. 

-Dedotto e deducibile -Eff.etto preclusivo 
-Esclusione, 503. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Indennit� di espropriazione e di occupazione 
d'urgenza � Determinazione 
-Applicazdone in via provvisoria 
di disposizioni ritenute incostituzionali 
Illegittimit� costituzionale, 

413. 
FALLIMENTO 

-Provvedimento di ammissione al 
passivo -Notifica di 'atti al curatore 
-Effetti -Sentenza dichiarativa 
del fallimento -Revoca -Oppon~
bi1it� degli atti al debitore tornato 
in bonis -Inammissibilit� -Fattispecie, 
499. 

FONTI DEL DIRITTO 

-Legge -Procedimento l�gislativo Camera 
dei deputati -Maggioranza 
dei presenti -Esclusione degli astenuti 
-Legittimit� costitu:zJionale, 423 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Carenza della titolarit� del rapporto 
giuridico controveriso -Mancata specifica 
impugnazione in appello Conseguenze, 
488. 

-Giudicato esterno -Eccezione in sen'
so proprio -Ril.ievo d'ufficio -Conseguenze, 
488. 

-Questione di giurisdizione -Giudizio 
di ottemperanza -Pvesupposto Sentenza 
passata in giudicato -Mancanza 
-Difetto di posizione tutelabile 
nei confronti della P.A., 477. 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Rapporto di pubblico impiego -Caratteristiche 
-Assunzione di giovani Controversie 
� Giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, 485. 

-Regolamento preventivo di giurisdi� 
2lione � Manacata sospensione del 
processo � Invalidit� degli. atti compiuti 
dal giudice amministrativo per 
temporaneo difetto del potere di 
giudicare � Conferma de1la giu:tiisdizione 
amministrativa da parte del� 
le SS.UU. -Effetti, con nota di 

G. PALMIERI, 471. 
-Sentenza civile � Interpretazione 
Contenuto, 477. 

- 
Sentenza della Cassazione sulla giurisdizione 
-Necessit� di statuiizione 
espI'essa sul rinvio � Non sussiiste 
F,attispeoie in tema d'irregolare composfaiione 
dell'organo giudicante, 477. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Cappellano militare �addetto al servizio 
reliigioso presso ospedale provinciale 
� Sussistenza rapporto impiego 
-Convenzione con ordinario 
diocesano, 518. 

-Equo dndennizzo � Interessi corrispettivi 
-Decorrenza dalla data di 
riconoscimento, 503. 

ISTRUZIONE E SCUOLE 

-IstrUZlione superiore -Comando di 
docenti medi -Abilitazione alla IJbera 
docenza -Necessit� -Eccezioni, 420. 

-Universit� � Consiglio di facolt� � 
Proposta di dncariico � lus superveniens 
� Effetto ostativo per convalida 
� Non sussiste, 512. 

'-Universit� � Giudizio �doneit� per 
�I'iceroatori � Ammissione -Vincitore 
premio per rucerca scientifica � Indipendenza 
da struttura universitaria 
� Carenza di titolo -Ratio legis: 
�sistemazione personale gi� dn servizio, 
520. 

LAVORO 

-Impiegati ed operai -Richiamo alle 
armi . Trattamenti difforenziiati � 
Illegittimit� costituiionale, 433. 

-Medioi convenzionati INAM -Recesso 
ex art. 2237, 1� comma, e.e. � Ammissib�lit� 
� Limiti, 490. 

-Rapporto di lavoro autonomo -Convenzioni 
Enti mutualistici � Godimento 
benefici combattentistici � 
Incompatibilit�, 495. 

LOCAZIONE 

-Immobild urbani destinati ad uso 
non abitativo -Proroga biennale � 
Legittimit� costituzionale in quanto 
ultima proroga, 427. 

PENSIONI 

-Pensione privilegiata � Equo indennizzo 
-Cumulo -Decurtazione per 
pubbLico dipendente � Inapp1icabi1it� 
all'erede, 503. � 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

-Radiotelevisione � Obbligo di pagamento 
del canone da parte di commercianti 
e rivenditori di apparecchi 
radiotelev.isdvi � Disparit� di trattamento 
con l'utente vero e proprio Insussistenza 
� Questione manifesta� 
mente 1infondata di costituzionalit�, 

498. 
-Radio-televisione -Obbligo di pagamento 
del canone eta parte di commercianti 
e rivenddtori di aipparecchi 
radiotelevisivi � Violazione del 
principio di capacit� contributiva � 
Doppia imposi2lione fiscale -Insussistenza 
-Questione manifestamente 
iinfondata di costituzionalit�, 498. 
-Radioteleviisione -Rivenditore di apparecchi 
redio-televisivii -Obbligo di 
pagare dl canone di abbonamento � 
Sussiste, 497. 

PREVIDENZA 

-Malattia � Accertamento mediante 
visita c1i controllo � Impossibilit� 
Sospensione dell'dndennit�, 493. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Procedimento d'ingiunzione � Provvisovia 
esecuzione del decreto ingiuntivo 
� Offerta di cauzione, 434. 

PROCEDIMENTO PENALE 

- 
Artt. 144 bis e 348 bis C.P.P. -Con


trasto con art. 3 della Costitu21ione e 
diritto di ddfesa �dell'imputato � Insussistenza, 
608. 


vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Tribunale della libert� -Richiesta di 
riesame ad opera de1 difensore Termine, 
425. 

REATO 

-Delitti contro Ja personalit� dello 
Stato -Associazione �sovversiva Banda 
armata -Concorso di reati Inammissibilit�, 
610. 

-Reati doganali -Contrabbando -Art. 
216 t.u. 23r gennaio 19713, n. 43 Importazione 
temporanea di imbarcazione 
da diporto straniera -Stazionamento 
in acque italiane per 
oltre un anno pur con frequenti crociere 
all'estero -Violazione della 
Convenzione di Ginevrn 18 maggio 
1956 resa esecutiva in Italia con 
legge 3 novembre 1961, n. 1553 Sussistenza 
del reato dd illecito beneficio 
del regime di tempomnea 
importazione, 601. 

SANIT� 

-Sanitario -Concorso -Sovvertimento 
della graduatoria da parte del G.A. Impossibilit� 
riesame da parte Commissione. 
Nullit� relativa delibera Proclamazione 
vincitore concorso da 
parte G.A. -Commissario, 515. 

TRENTINO ALTO ADIGE 

-Ordinamento de11e aziende di credito 
� Approvazione delle modifiche 
statutarie -Attribuz>ione regionale, 

430. 
TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Competenza dell'ufficio 
-Inderogabilit� -Accertamento 
proveniente da ufficio incompetente Nullit� 
assoluta -Successivo accertamento 
deH'ufficio competente -Legittimit�, 
569. 

-Accertamento -E'Spressione di volont� 
dell'organo �amministrativo -Esclusione, 
583. 

-Accertamento -Motivazione -Metodo 
dnduttivo -Impugnazione -Determina2lione 
del reddito da parte deHa 
commissione, 533. 

-Accertamento -Motivazione -Metodo 
induttivo -Presupposti, 583. 

-Accertamento -Motivazione -Metodo 
induttivo -Reddito di fabbricati Omessa 
dichiarazione -Legittimit� Dimostra2lione 
del reddito -Non attiene 
alla motivazione, 533. 

-Accertamento -Motivazione -Nullit� 
-Eccezione da formulare in primo 
grado -Art. 37 t.u. 29 gennaio 
1958, n. 645 -IUegittirnit� costituzionale 
-Manifesta infondatezza, 583. 

-Accertamento -Notificazione -Nullit� 
-Proposizione del ricorso -Sanatoria, 
569. 

-Imposta di registro -Agevolazioni 
per edilizia -Difformit� da licenm 
edilizia -Volumi del �sottosuolo Sono 
rilevanti, 567. 

-Imposta sui fabbricati -Reddito effettivo 
superiore al reddito catastale Determinazione 
in via di comparazione 
-Reddito risultante dal contratto 
di locazione -� iI solo rilevante, 
575. 

-Imposte sui redditi di ricchezza mobile 
-Condono -Riporto delle perdite 
di esercizi anteriori -Inammissibilit�, 
545. 

-IRPEF -Reddito d'impresa -Plusvalenza 
o minusvalenza -Valore del 
bene cui si I'iferisce -Parametro del 
� valore normale � -Utiliz21abilit�, 

591. 
-Riscossione -Interessi e maggiorazione 
di aliquota per ritardata isol'izione 
a ruolo -Successioni di leggi 
nel tempo -Tributi soppressi -Sostituzione 
degli interessi alla maggiorazione 
di ahlquota con decorrenza 
dal 1� gennaio il974, 556. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-lmpos�a di regi'Strn -Agevola2lione 
per il Mezzogiiorno -Acquisto di terreno 
o fabbricati per il primo impianto 
di stabilimenti industriaH Trasferimento 
di stabilimento gi� 
realizzato -Inapplicabilit�, 525. 

-Imposta di registro -Atti soggetti 
�all'imposta sul valore aggiunto Attivit� 
occasionale di dmpresa -Non 
� soggetta -Avvenuto pagamento 
dell'imposta sul valore aggiunto Irrilevanza, 
531. 

-Imposta di registro -Condebitore 
solidale -Intervento dn appello nel 
giudizio promosso da altro condebitore 
-Inammissibildt�, 565. 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Imposta di registro -Enunciazione Societ� 
di fatto -Acquisto in comune 
di aziende -Insufficienza, 572. 

-Imposta di registro -Trasferimento 
di immobile gravato da dpoteca Base 
imponibile -I:rrHevanm della 
dpoteca, 549. 

-Imposte doganali -Soggetti passivi 
Societ� che ha agiito fraudolentemente 
per tramite di rappresentativdt� 
-� obbligata, 521. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributardo -Appello Domande 
nuove -Contesta:z;ione su 
interessi e maggiorazioni di aliquote 
relative al reddito oggetto dell'accertamento 
-Ammissibilit� -Impugnazione 
separata del ruolo -Non � 
necessaria, 555. 

-Contenzioso trdbutaruo -Poteri delle 
Commissioni -Pronuncia di merito 
sulla sostanza del ropporto, 583. 

-Contenzioso tributario -Prova -Ricorso 
al notorio -Legittimit�, 583. 

-Contenzioso tributario -Ricorso alla 
Commissione centrale -Motivazione 
-Necessit� -Motivazione per 
relationem -Inammisstibilit� -Difetto 
di motivi per l'impugnazione di merito 
-lnammis�sibildt� de11'!impugnazione 
per motivi di rito, con nota 
di C. BAFILE, 577. 

-Repressione delle viola:z;ioni -Sanzioni 
� Societ� avente pernonalit� 
giuridica � Responsabilit� dell'amministratore 
� Esclusione, 539. 

URBANISTICA 

-Opere abusiv.e �Acquisizione gratuita 
al patrimonio comunale -DifDida a 
demolire � Presupposto necessardo 
lmpossiihi.lit� giuridica di esecuzione 
-Inammissibilit� san:z;ione, Sl9. 

-Opere abusive -Acquisizione gratuita 
al �patrimonio comunale -Motivazione 
� Contenuto -Compatibiilit� 
con strumenti urbanistici � Utilizzabilit� 
a fini pubblici, 519. 


7 maggio 1984, n. 138 ....................... . 
7 magg.io 1984, n. 139 . . . . 
16 maggio 1984, n. 141 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 
3 sez., 26 gennaio 1984, nella causa 301/82 ....... . 
7 febbraio 1984, nella causa 238/82 . . . . . . . . . . . 
GIURISDIZIONI CIVILI 
CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. Lav., 14 gennaio 11984, n. 312 
Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 324 
Sez. Lav., 3 febbraio 1984, n. 832 . 
Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1924 . . 
Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1926 . . . 
Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1987 . . . 
Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1994 . . . 
Sez. Un., 27 maTzo 11984, n. 2018 . 
Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2045 . . 
Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2046 . . 
Sez. Un., 2 aprile 1984, n. 2145 . 
Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2194 . 
Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2198 . . 
Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2200 . . 
Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2646 . . 
Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2648 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2649 . . 
Sez. I, 27 apl1ile 1984, n. 2651 . . . 
Sez. I, 3 maggio 1984, n. 2687 . . . 
Sez. Un., 9 maggio 1984, n. 2825 . . 
Sez. Un., H maggio 1984, n. 2884 . 
Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3044 
Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3047 . . 
Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3544 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4049 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
� 434 
)) 444 
� 453 
pag. 455 
� 456 
pag. 
� 
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499 
594 
7 maggio 1984, n. 138 ....................... . 
7 magg.io 1984, n. 139 . . . . 
16 maggio 1984, n. 141 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 
3 sez., 26 gennaio 1984, nella causa 301/82 ....... . 
7 febbraio 1984, nella causa 238/82 . . . . . . . . . . . 
GIURISDIZIONI CIVILI 
CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. Lav., 14 gennaio 11984, n. 312 
Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 324 
Sez. Lav., 3 febbraio 1984, n. 832 . 
Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1924 . . 
Sez. I, 22 marzo 1984, n. 1926 . . . 
Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1987 . . . 
Sez. I, 26 marzo 1984, n. 1994 . . . 
Sez. Un., 27 maTzo 11984, n. 2018 . 
Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2045 . . 
Sez. I, 28 marzo 1984, n. 2046 . . 
Sez. Un., 2 aprile 1984, n. 2145 . 
Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2194 . 
Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2198 . . 
Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2200 . . 
Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2646 . . 
Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2648 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2649 . . 
Sez. I, 27 apl1ile 1984, n. 2651 . . . 
Sez. I, 3 maggio 1984, n. 2687 . . . 
Sez. Un., 9 maggio 1984, n. 2825 . . 
Sez. Un., H maggio 1984, n. 2884 . 
Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3044 
Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3047 . . 
Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3544 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4049 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
� 434 
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565 
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497 
477 
485 
488 
583 
499 
594 
INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
CORTE COSTITUZIONALE 
19 luglio ,1983, n. 223 pag. 413 
22 febbraio 1984, n. 38 . . � 420 
29 marzo 1984, n. 78 ... � 423 
29 marzo 1984, n. 80 . . . . . . . . . . )) 425 
5 aprile 1984, n. 89 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 427 
4 maggio 1984, n. �l35 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 430 
4 maggio 1984, n. 136 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 433 
4 maggio 1984, n. 137 (in cam. cons.) . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 434 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 1� marzo 1984, n. 4. 
Ad. Plen., 9 marzo 1984, n. 5. 
Ad. Plen., li1 marzo 1984, n. 6 . 
Sez. IV, 21 marzo 1984, n. 150. 
Sez. V, 19 marzo 11984, n. 252. 
Sez. VI, 1� marzo 1984, n. 117. 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

Sez. I, 17 marzo 1984, n. 204 .. 
Sez. III, �19 maggio 1984, n. 771 . 

I CORTE DI ASSISE D'APPELLO DI TORINO 

24 marzo 1983 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

GIURISDIZIONI TRIBUTARIE 

COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE 
Sez. VIII, 28 aprile 1983, n. 570 . . . . . . 

pag. 503 
� 511 
� 515 
)) 518 
� 519 
� 520 

pag. 608 
" 601 

pag. 610 

pag. 591 


PARTE SECONDA 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I -Norme dichiarate incostituzionali 
II -Questioni dichirate non fondate 
III -Questioni proposte 
. pag, 
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61 
62 
65 

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PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 luglio 1983, n. 223 -Pres. Elia -Rel. Paladin Russo 
ed altri (avv. Stoppani), Banco di S. Spirito ed altro (avv. Pallottino), 
Comune di Bologna (avv. Stella Richter), Comune di Napoli 
(avv. Peccerillo), Comune di Roma (avv. Marchetti) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� di espropriazione e di 
occupazione d'urgenza -Determinazione -Applicazione in via provvisoria 
di disposizioni ritenute incostituzionali -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost. artt. 3, 24, 42 e 136; L. 29 luglio 1980 n. 385, artt. 1, 2 e 3; L. 25 settembre 1981 

n. 535; L. 29 luglio 1982 n. 481; L. 23 dicembre 1982 n. 943). 
Il legislatore ordinario non pu�, mediante la riproduzione (ancorch� 
in via nominalmente provvisoria) di norme gi� dichiarate costituzionalmente 
illegittime, prolungarne la vita e determinare risultati corrispondenti 
a quelli ritenuti lesivi della Costituzione (1). 

I giudizi hanno tutti per tema la legittimit� costituzionale dell'indennit� 
di espropriazione (o della rispettiva indennit� di occupazione), nelle 
forme e nelle misure provvisoriamente stabilite, quanto alle aree edifi


(11) La pronuncia di illegittimit� costituzionale discende da una considerazione 
di carattere formale-istituzionale; al punto che la pronuncia non si sarebbe 
avuta (o avrebbe dovuto essere altrimenti giustificata) se l'� acconto� 
provvisorio fosse stato commisurato in modo diverso, senza cio� riferimento 
alla normativa eliminita dalla sentenza n. 5 del 1980. 
Una pronuncia di portata sostanziale (nel senso del1a reviviscenza della 
� precedente disciplina delle espropriazioni �) � invece inserita incidentalmente 
nel brano concernente la rilevanza delle questioni sollevate; e con esplicito 
riferimento alla giurisprudenza del giudice ordinario (ed implicita conferma 
che a questo compete di colmare 1a lacuna). 

Quale sia la � precedente disciplina � cui si accenna non � precisato. 
Parrebbe sottinteso un qualche (forse tutto da approfondire) riferimento alla 
normativa del 1865; ma tra quell'anno remoto ed il 1980 tanta acqua � passata 
sotto i ponti, tanta altra � precedente disciplina � s'� venuta accumulando, ed 
anche su punti e materie che rilevano sostanziosamente per la detenninazione 
della indennit� di espropriazione pur senza far parte della � disciplina � in 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cabili, dalla legge 29 luglio 1980, n. 385; legge conseguente, in questa parte, 
alla sentenza 25 gennaio 1980, n. 5, con cui la Corte ha annullato una 
serie di norme gi� dettate in materia dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, 
nonch� dalla legge 27 giugno 1974, n. 247. 

Tutte le ordinanze impugnano l'art. 1 della legge n. 385, con particolare 
riguardo al primo ed al secondo comma dell'articolo stesso: l'uno rivolto 
ad ancorare la predetta indennit� provvisoria al �valore agricolo medio... 
corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare )) ovvero, 
�per le aree comprese nei centri edificati�, alla �coltura pi� redditizia� 
tra quelle. interessanti oltre il 5 per cento della superficie coltivata nella 
regione agraria in questione (previa moltiplicazione di quest'ultimo dato 
per un coefficiente da 4 a 10 o da 2 a 5, secondo che si tratti di comuni 
con popolazione superiore o meno ai 100.000 abitanti); l'altro recante il 
preannuncio di un �conguaglio� da definire entro un anno. dall'entrata 
in vigore della legge in esame, mediante un'ulteriore � apposita legge 
sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale 
con sentenza n. 5 del 1980 �. N� i termini essenziali del problema si modificano, 
per effetto di quelle ordinanze che involgono nelle loro impugnazioni 
l'articolo l, quarto comma (concernente gli �interessi legali�, cui 
l'espropriato potr� avere diritto, �sulla differenza eventualmente risultante 
tra l'indennit� determinata ai sensi del primo comma e quella definitiva
�), l'articolo 2 (relativo ai criteri per determinare l'indennit� di 
occupazione) o l'articolo 3 della legge n; 385 (per cui le disposizioni precedenti 
� non si applicano ai procedimenti in corso, se la liquidazione dell'indennit� 
di espropriazione o di occupazione sia divenuta definitiva, ovvero 
non impugnabile ovvero sia stata definita con sentenza pass!lta in giudicato 
alla data di pubblicazione della sentenza della Corte. costituzionale 

n. 5 del 1980 �); o anche per effetto delle ordinanze che hanno formalmente 
sollevato questione di legittimit� costituzionale dello stesso arti-
modo specifico ed esplicito a ci� rivolta. Si pensi alla medio tempore soprav


venuta prima e potenziata poi efficacia giuridica degli strumenti urbanisti.ci 

(e dei programmi pluriennali di attuazione), che oggi, e da prima del 1980, 

devono ritenersi costitutivi della edificabilit�, s� che ben poco spazio dovrebbe 

residuare per � suscettibilit� edificatorie � opinate o sperate dagli interessati. 

Si pensi altres� alla sostituzione della licenza edilizia rilasciata al costruttore 

per permettergli l'attivit� edificatoria con la concessione edilizia rilasciata 

al proprietario (in quanto tale) per aggiungere al suo diritto reale � qual


cosa � che in assenza tale diritto non avrebbe: sostituzione che ha provocato 

una forte reazione di rigetto ma che � ancora l�, dove �l'ha collocata il legi


slatore del 1977. 

In questo contesto, parlare di � precedente disciplina �, oltre che discuti


bile in termini di diritto intertemporale, �appare forse un po' indeterminato, 

null'altro se non una rimessione al giudice ordinario di un ennesimo com


pito di supplenza (compito al cui espletamento l'Avvocatura dello Stato � a 

sua volta chiamata a collabomre). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 415 

colo unico della legge 25 settembre 1981, n. 535 (per il differimento al 
31 maggio 1982 del termine di emanazione della legge destinata a disciplinare 
la � definitiva � indennit� di espropriazione. 

D'altronde, in parte comuni sono anche le censure che i giudici a 
quibus rivolgono alle norme impugnate. Tutte le ordinanze richiamano, 
infatti, l'art. 42 Cost., facendo sempre riferimento al terzo comma, l� dove 
si richiede la corresponsione di un � indennizzo � a favore dei soggetti 
'espropriati. Ma giova ricordare che un tale richiamo assume, fondamentalmente, 
due . significati diversi: poich� alcune ordinanze mettono in 
dubbio la sola legittimit� costituzionale della dissociazione temporale 
fra l'esproprio e la determinazione del definitivo indennizzo, tanto pi� 
se questo rimane �incerto ed aleatorio�; mentre altre ordinanze sottolineano 
che l'indennit� provvisoria stabilita dalla legge n. 385, oltre ad 
introdurre una � soluzione di continuit� fra pe11dita della propriet� e 
acquisto dell'indennit� � definitiva, � stata puntualmente fondata sui 
criteri 1gi� ritenuti illegittimi dalla pi� volte citata sentenza n. 5 del 1980. 
Nel secondo senso, affiora un implicito richiamo al primo comma dell'art. 
136 Cost., per cui la norma dichiarata costituzionalmente illegittima 
da questa Corte � cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla 
pubblicazione della decisione�. (omissis) 

Nel motivare la rilevanza delle proposte impugnative, quasi tutte 
le ordinanze di rimessione osservano esattamente che la disciplina da 
esse contestata dovrebbe applicarsi per risolvere le rispettive controversie: 
in quanto riguardante gli stessi procedimenti in corso nei quali 
non si sia determinato l'esaurimento del rapporto, ai sensi dell'art. 3 
della legge n. 385 del 1980. E l'influenza che una decisione di accoglimento 
verrebbe ad esplicare nei giudizi a quibus non pu� essere comunque 
messa in dubbio: poich�, una volta annullate le �norme provvisorie 
sulla indennit� di espropriazione di aree fabbricabili �, potrebbe riespandersi 
e ridivenire applicabile -come ha gi� fatto intendere questa Corte, 
nella sentenza n. 13 del 1980, e come ha precisato la Corte di cassazione la 
precedente disciplina delle espropriazioni per causa di utilit� pubblica. 

Ci� non toglie, per�, che non tutte le questioni sollevate dalle ordi


nanze in esame siano rilevanti ai fini dei relativi processi. In particolar 

modo, non viene impugnato a proposito il quarto comma dell'art. 1 

della legge n. 385, il quale si liinita a disporre -come gi� si � ricor


dato -che � sulla differenza eventualmente risultante tra l'indennit� 

determinata ai sensi del primo comma e quella definitiva... l'espropriato 

ha diritto agli interessi legali per il periodo intercorrente tra la corre


sponsione dell'acconto e quella dell'indennit� definitiva�: donde una 

previsione che almeno nell'attuale fase transitoria, in mancanza del


l'apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime dalla Corte 

costituzionale � non concreta alcuna pretesa che le parti attrici possano 

2 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

avanzare fin da ora (ed abbiano effettivamente avanzato nei procedimenti 
dei quali si tratta). Cos� pure, difetta la rilevanza quanto all'impugnazione 
dell'art. 3 della legge n. 385, poich� la premessa da cui muovono 
-espressamente od implicitamente -gli stessi giudici che ne mettono 
in dubbio la legittimit� costituzionale, � che nei rispettivi giudizi la 
liquidazione dell'indennit� di esproprio (o di occupazione) non sia divenuta 
definitiva, ma formi ancora oggetto di controversia. 

Conclusivamente, dunque, questa Corte � tenuta a pronunciarsi sul 
primo e sul secondo comma dell'art. 1 (nonch� sul connesso articolo 
unico della legge n. 535 del 1981) e sull'art. 2 della legge n. 385 del 1980. 

(omissis) 

Va esaminata in via preliminare l'eccezione d'inammissibilit� proposta 
dalla difesa del Comune di Bagno a Ripoli: eccezione che logicamente 
coinvolge la totalit� delle ordinanze in esame. Nella memoria di 
costituzione di quel Comune si assume, infatti, che la questione sarebbe 
inammissibile, avendo l'ordinanza di rimessione omesso di estendere 
l'impugnativa all'articolo unico della legge 25 settembre 1981, n. 535, sul 
differimento del termine per l'emanazione di una nuova disciplina del1'
� indennit� definitiva�; e ci�, sebbene la legge di proroga fosse gi� 
stata pubblicata, alla data dell'ordinanza stessa, ed anzi risulti espressamente 
citata nella motivazione di tale provvedimento. Ma la prima proroga, 
cui fa riferimento l'amministrazione locale interessata, � stata 
seguita da altre due leggi di differimento della prevista riforma -ignote 
per ragioni cronologiche a tutti i giudici rimettenti -che rispettivamente 
hanno spostato il termine al 31 dicembre 1982 (cfr. l'art. 1 del decreto 
legge 29 maggio 1982, n. 298, convertito nella legige 29 luglio 1982, n. 481) 
e al 31 dicembre 1983 (secondo l'articolo unico della legge 23 dicembre 1982, 

n. 943). Se dunque l'eccezione dovesse dirsi fondata, essa verrebbe a ripercuotersi 
su tutte le ordinanze che hanno dato luogo al presente giudizio: 
sia pure nel senso di imporre la restituzione degli atti, affinch� i giudici 
a quibus riconsiderino la rilevanza delle loro impugnative in vista della 
legislazione cos� sopravvenuta, piuttosto che determinare un'immediata 
dichiarazione d'inammissibilit�. 
Senonch� l'eccezione va respinta. Le censure configurate dalle ordinanze 
di rimessione sono rivolte non tanto alla lunghezza del termine 
originariamente previsto (e ripetutamente differito) per la sostituzione 
delle impugnate � norme provvisorie � con una disciplina permanente 
delle indennit� in esame, quanto ai criteri sui quali si fonda l'art. 1, 
primo comma, della legge n. 385 ed alla radicale incertezza delle prospettive 
che il legislatore ha aperto con il secondo comma dell'articolo 
stesso. Ne offre la riprova il fatto che, ove si annullasse il solo termine, 
non sarebbe escluso che le � norme provvisorie � di cui al primo comma 
continuassero ad applicarsi sine die, per lo meno quanto ai procedimenti 

! 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA cosmuzIONALE 

in corso, nei quali i soggetti espropriati non potrebbero pretendere nulla 
pi� dell'� acconto� attualmente stabilito; mentre, all'opposto, ove fosse 
dichiarata l'illegittimit� costituzionale delle �norme prowisorie �, le 
pretese dei proprietari interessati potrebbero venire egualmente soddisfatte, 
pur senza far cadere il preannuncio dell'� indennit� definitiva�. 
Ed � intuitivo, del resto, che la ricordata catena di proroghe, ormai 
protratte fino al 31 dicembre 1983, non ha certo sanato ma anzi ha aggravato 
-in ipotesi -i vizi denunciati dai giudici a quibus. 

Nel merito, la questione � fondata. 

Per giungere a tale conclusione, non � indispensabile verificare se 
la determinazione della definitiva indennit� di esproprio (o di occupazione) 
possa mai venire dissociata, differendola nel tempo, dall'emanazione 
del provvedimento ablativo della propriet� privata. Quale che sia 
la risposta da dare a questo problema generale (ed anche ammesso che 
la soluzione debba essere unitaria ed univoca), l'illegittimit� dell'espediente 
al quale ha fatto ricorso la legge n. 385 discende dalla peculiare 
configurazione delle impugnate �norme provvisorie�: le quali risultano 
comunque divergenti dal modello costituzionale di � indennizzo �, previsto 
nel terzo comma dell'art. 42, ed in pari tempo violano il primo 
comma dell'art. 136 della Costituzione. 

Anzitutto, non pu� essere trascurata o sottovalutata la testuale corrispondenza 
riscontrabile fra l'art. 16, quinto, sesto e settimo comma, 
della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (nel testo modificato dall'art. 14 della 
legge 28 gennaio 1977, n. 10), e l'art. l, primo comma, della legge 29 luglio 
1980, n. 385. Cos� disponendo, la legge n. 385 ha infatti restaurato gli 
stessi criteri di commisurazione dell'indennit� di esproprio �he questa 
Corte aveva dichiarato costituzionalmente illegittimi, mediante la sentenza 
n. 5 del 1980: il che, peraltro, era noto al Parlamento, come risulta 
dai lavori preparatori e, prima ancora, dalla relazione al disegno governativo 
n. 732, comunicato alla Presidenza del Senato il 13 febbraio 1980. 

Ora, � ben vero che tale riproduzione � stata operata sulla base di 

un titolo formalmente diverso da quello che la C�rte aveva preso in con


siderazione, dato il carattere provvisorio e non definitivo dell'indennit� 

che attualmente � in esame; ma chi guardi alla sostanza della disciplina 

denunciata, non pu� essere soddisfatto da questo tipo di giustificazione. 

Al di l� delle denominazioni utilizzate dalla legge n. 385, resta cio� che 

il cosiddetto � acconto � rappresenta per adesso l'unico indennizzo cui 

abbiano diritto i soggetti espropriati; mentre del �conguaglio�, del 

quale si ragiona nel secondo comma dell'art. l, nulla � dato sapere, n� 

in vista delle pretese che i proprietari espropriati potrebbero promuo


vere in tal senso, n� in vista del sindacato che la Corte � chiamata ad 

effettuare. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

418 


In ci� risiede un'ulteriore peculiarit� delle disposizioni impugnate, 
che integra e qualifica il dato consistente nell'aver fatto rivivere norme 
gi� divenute inefficaci, in conseguenza del loro annullamento da parte 
della Corte stessa. Effettivamente, il secondo comma dell'art. 1 non si 
limita a differire l'operativit� del �conguaglio�, ma non ne definisce 
in modo contestuale neppure le caratteristiche essenziali, in quanto trascura 
di prefigurarne gli stessi criteri informatori. Di pi�: dall'art. 1 della 
legge n. 385 non si riesce neanche a desumere, con la necessaria sicurezza, 
se ai soggetti espropriati sia stata comunque garantita una � indennit� 
definitiva � pi� elevata di quella provvisoria, o almeno equivalente 
ad essa (come farebbe pensare, a prima vista, la lettera del quarto 
comma) o se il �conguaglio� non possa addirittura risultare negativo 
(come � stato ipotizzato gi� nel corso dell'approvazione della legge medesima). 
D'altra parte, a tutto questo si aggiunge la mancata previsione 
d'un qualsiasi effetto conseguente all'inutile scadenza del termine indicato 
per l'emanazione dell'� apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate 
illegittime dalla Corte costituzionale�: poich� non � certo ed anzi 
parrebbe smentito dalle parole introduttive dell'art. l, primo comma, che 
alle �norme provvisorie � debbano in tal caso subentrare altre norme 
vigenti, come quelle dettate dalla legge n. 2359 del 1865. E, nel mentre il 
problema dell'� indennit� definitiva� resta aperto, il termine � stato 
pi� volte prorogato: con la gi� ricoridata conseguenza che, a tre anni e 
mezzo dalla sentenza n. 5 del 1980, le Camere non hanno ancora adottato 
-� nelle forme costituzionali � -i provvedimenti di loro competenza, 
previsti dall'art. 136 cpv. della Costituzione. 

Cos� stando le cose, � fuor di luogo appellarsi -come. fa l'Avvocatura 
dello Stato -alla passata giurisprudenza della Corte, per argomentarne 
che resterebbe � sempre affidato all'insindacabile apprezzamento 
del legislatore � stabilire in che momento debbano scadere le discipline 
del tipo in esame, soprattutto ove il termine finale di efficacia risulti 
� approssimativamente e ragionevolmente determinabile nel quando � 
(secondo le indicazioni della sentenza n. 16 del 1968). A parte ogni altra 
considerazione, citazioni del genere non sono appropriate: sia perch� 
la proroga allora sindacata dalla corte non era preceduta da alcuna 
decisione di accoglimento, che avesse dichiarato illegittime le norme 
successivamente prorogate; sia perch�, in ogni caso, la stessa Avvocatura 
ha ritenuto ragionevole -nella specie -una normativa transitoria 
destinata a scadere entro un anno, ma non si � pronunciata sui differimenti 
disposti nel 1981 e nel 1982. 

Ben pi� pertinente � invece il richiamo ad altre decisioni di questa 
Corte, come quelle che hanno chiarito il senso del primo comma del� 
l'art. 136 Cost. In particolar modo, va fatto cio� riferimento alla sentenza 

n. 73 del 1963, in cui si � precisato che il rigore del citato precetto 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

costituzionale impone al legislatore di � accettare la immediata cessa� 
zione dell'efficacia giuridica della norma illegittima�, anzich� �prolun� 
game la vita� sino all'entrata in vigore di una nuova disciplina del set� 
tore; e, nel medesimo senso, va ricordata la sentenza n. 88 del 1966, l� 
dove la Corte ha riaffermato che le decisioni di accoglimento hanno per 
destinatario il legislatore stesso, al quale � quindi precluso non solo il 
disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria 
efficacia, bens� il perseguire e raggiungere, �anche se indirettamente�, 
esiti corrispondenti a quelli gi� ritenuti lesivi della Costituzione. 

� appunto questo il vizio nel quale incorre, specialmente per ci� 
che riguarda i rapporti pregressi di cui si controverte nei giudizi a 
quibus, l'art. 1 della legge n. 385 del 1980. La riproduzione delle norme gi� 
dichiarate illegittime mediante la sentenza n. 5 del 1980, sebbene operata 
in via nominalmente provvisoria, non � stata infatti compensata -come 
gi� si � notato -da alcuna predeterminazione dell'� indennit� definitiva>>, 
che garantisse il serio ristoro dei soggetti espropriati; mentre il quadro 
normativo in cui si � inserito e tuttora s'inserisce l'articolo stesso non 
� per nulla mutato, rispetto a quello in cui si collocava (e dal quale 
traeva argomento) la pronuncia della Corte che ha inciso sulla disciplina 
espropriativa, dettata dalle leggi n. 865 del 1971 e n. 10 del 1977. 

Per questo concorrente insieme di ragioni dev'essere dunque dichiarata 
l'illegittimit� costituzionale dell'art. l, primo e secondo comma, e 
dell'art. 2 della legge n. 385 del 1980 (nonch� dell'articolo unico della 
legge 25 settembre 1981, n. 535). E restano, in conseguenza, assorbiti gli 
altri motivi di denuncia, variamente prospettati ad opera di alcune fra 
le ordinanze in esame. 

Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la predetta pronuncia 
di accoglimento comporta, inoltre, la dichiarazione dell'illegittimit� 
costituzionale derivata delle residue norme della legge n. 385 (e de� 
gli ulteriori provvedimenti legislativi ad essa collegati), che hanno inteso 
fornire una prima risposta alla sentenza n. 5 del 1980: vale a dire, dell'art. 
1, terzo, quarto e quinto comma, e dell'art. 3 della legge medesima, 
nonch� degli articoli unici della legge 29 luglio 1982, n. 481, e della legge 
23 dicembre 1982, n. 943 (sul differimento del �termine di cui all'arti� 
colo 1 della legge 29 luglio 1980, n. 385, in materia di indennit� di espro� 
priazione e di occupazione di urgenza�). 

All'atto di prendere tali decisioni, la Corte � consapevole delle gravi 
difficolt�, di ordine politico, giuridico e finanziario, che hanno finora ostacolato 
il Parlamento nell'approvazione di una nuova e permanente disciplina 
delle indennit� per l'espropriazione di aree edificabili. Ma le 
difficolt� non vengono certo attenuate, ritardando a dismisura la necessaria 
soluzione del problema e lasciando intanto le pubbliche ammini 
strazioni in una situazione di radicale incertezza, quanto ai costi da preventivare 
e da sopportare in materia. 


420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
N� vale replicare che, a questo punto, i costi sarebbero comunque 
420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
N� vale replicare che, a questo punto, i costi sarebbero comunque 
(Cost., art. 3; I. 18 marzo 1958, n. 311, art. 22; 1. 24 novembre 1967, n. 1154, art. 13). 
Non contrastano con il principio di eguaglianza le disposizioni che 
richiedono l'abilitazione alla libera docenza come requisito per il comando 
di insegnanti medi per provvedere ad insegnamenti universitari; 
rimane dunque eccezionale la non necessit� di detta abilitazione per i 
comandi concernenti l'insegnamento di una lingua straniera nelle facolt� 
di scienze economiche, scienze politiche e similari. 
Con l'art. 115 r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, fu stabilito, tra l'altro, che, 
per provvedere temporaneamente ad insegnamenti di livello superiore, 
potevano essere comandati presso le Universit� o Istituti superiori presidi 
o professori di ruolo degli istituti pubblici di istruzione media. 
Tale disposizione di principio venne confermata con l'art. 22 della 
legge 18 marzo 1958, n. 311, col quale peraltro (comma primo) si restrinse 
la facolt� di comando prevedendo che in linea di massima il 
Ministro potesse avvalersene solo se il preside o il professore destinatario 
del comando fosse in possesso di abilitazione alla libera docenza. 
Tale requisito era per� espressamente escluso per l'incarico di insegnamento 
di una lingua straniera nelle Facolt� di Economia e Commercio 
Con l'art. 31 legge 24 febbraio 1967, n. 62, la detta possibilit� di comando 
fu estesa anche a favore del personale docente, direttivo ed ispettivo 
della scuola elementare (comma secondo), sempre a condizione che 
fosse provvisto della abilitazione alla libera docenza, mentre fu allargata 
la possibilit� di comando senza libera docenza per i professori appartenenti 
ai ruoli degli Istituti di istruzione secondaria di primo e di 
insostenibili. La Corte, infatti, non ha mai affermato che l'indennizzo 
richiesto dal terzo comma dell'art. 42 Cost. sia necessariamente pari al 
� giusto prezzo che... avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione 
di compravendita � (secondo il criterio fissato dall'art. 39 della legge 
n. 2359 del 1865); ma ha costantemente ripetuto (come si legge nella 
sentenza n. 5 del 1980) che basta allo scopo un ristoro serio e tale da 
non ledere il principio costituzionale di eguaglianza. 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 febraio 1984, n. 38 -Pres. Elia -Rei. Maccarone 
-Vivan (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Onufrio). 

Istruzione e scuole � Istruzione superiore � Comando di docenti medi Abilitazione 
alla libera docenza � Necessit� -Eccezioni. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

secondo grado per le Facolt� di scienze politiche e presso le Facolt� di 
scienze economiche e bancarie, limitatamente all'insegnamento di lingue 
straniere (comma quarto). 

Con lo stesso art. 13 (comma terzo) si dispose altres� che i comandi 
del personale provvisto di libera docenza potevano essere disposti anche 
presso l'Universit� per stranieri di Perugia, ma con l'articolo unico della 
legge 24 novembre 1967, n. 1154 tale requisito venne eliminato, restando 
cos� aperta la possibilit� di comando del citato personale docente presso 
l'Universit� per stranieri di Perugia anche in difetto di detta abilitazione. 

Infine, con l'art. 1 della legge 30 novembre 1970, 111. 924, furono aboliti 
gli esami di abilitazione alla libera docenza, a partire dalla sessione del 
1970. 

Secondo l'ordinanza del Consiglio di Stato le norme ricordate, nella 
parte in cui non consentono agli insegnanti dell'ordine medio privi della 
abilitazione alla libera docenza di essere comandati per assumere inca� 
richi per materie diverse dalla lingua straniera e presso Facolt� diverse 
da quelle di Economia e Commercio, Scienze politiche, Scienze economi� 
che e bancarie o Universit� diverse da quelle per stranieri di Perugia, 
istituirebbero una irrazionale disparit� di trattamento a danno degli 
esclusi. E ci�, in quanto, sostanzialmente, secondo l'ordinanza di rinvio, 
il requisito come sopra richiesto, assumerebbe il carattere non di un pur 
esigibile titolo preferenziale per l'attribuzione dell'incarico di insegnamento, 
ma di un vero e proprio presupposto per il conferimento dello 
incarico stesso, non razionalmente giustificabile come tale, una volta che 
sono ammessi all'insegnamento presso talune Facolt� universitarie, non 
di minore importanza delle altre, docenti non provvisti della abilitazione 
in parola. 

La questione cos� sollevata non � fondata. E' infatti agevole osservare 
che il legislatore si � indotto alla descritta disciplina del comando uni� 
versitario nell'intento di sopperire alle carenze di personale denunziate 
dall'Amministrazione dell'istruzione superiore, e ci� ha fatto tenendo 
presenti quelli che, a suo giudizio, costituivano �requisiti di base atti a 
garantire appunto che il rimedio utilizzato fosse idoneo allo scopo per 
la qualit� dei docenti designati. Indicando nel possesso della abilitazione 
alla libera docenza la condizione necessaria per il comando, il legislatore 
si � mosso nell'ambito della sua discrezionalit�, certamente comprensiva 
della determinazione dei requisiti idonei a garantire l'attitudine del docente 
allo svolgimento dei compiti affidatigli. Va d'altra parte, ricono� 
sciuto che l'abilitazione alla libera docenza ben poteva essere considerata 
requisito atto allo scopo suddetto; trattavasi invero dell'abilitazione ad 
impartire insegnamenti universitari aventi lo stesso valore di quelli ufficiali, 
conseguita all'esito di un apposito esame condotto su prove impegnative, 
tendenti ad accertare l'idoneit� dell'aspirante. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO ST�TO

422 

N� giova obiettare, come fa l'oroinanza, che la limitazione a certe 
Facolt� della condizione per il comando renderebbe irrazionale la differenziazione 
in vista della pari dignit� scientifica delle Facolt� per le 
quali invece il requisito non � richiesto. 

Invero, anche con riguardo a tale scelta il legislatore non ha creato 
arbitrariamente situazioni di sfavore, ma ha tenuto razionalmente conto 
delle particolari caratteristiche delle Facolt� che, per l'oggetto delle discipline 
o per l'orientamento fondamentale e le caratteristiche didattiche, potevano 
prestarsi per il comando di docenti non provvisti del requisito 
della libera docenza. 

Dette conclusioni sono valide a maggior ragione per quanto riguarda 
l'esclusione del requisito della libera docenza per i comandi presso la 
Universit� per stranieri di Perugia, il cui carattere, anche per le peculiarit� 
del corpo docente, come si legge nella relazione alla legge 24 novembre 
1967, n. 1154, consente che gli insegnanti possiedano una quali� 
ficazione professionale indipendenze dall'abilitazione alla libera docenza. 
(omissis) 

N� infine pu� essere condivisa la censura sollevata dal Consiglio di 
Stato sotto il particolare profilo della lesione del principio di eguaglianza 
che deriverebbe dalla avvenuta abolizione degli esami di abilitazione alla 
libera docenza ex art. 1 legge n. 924 del 1970, ed in virt� della quale gli 
insegnanti che non hanno potuto sostenere gli esami prima dell'abolizione 
si troverebbero nella impossibilit� di conseguire il titolo richiesto 
dalla norma impugnata, e quindi in una situazione di inferiorit� irreversibile, 
ed a loro non imputabile, nei confronti di coloro che, invece, 
avendo goduto del regime precedente, avevano potuto conseguire l'abilitazione. 


In sostanza, secondo il giudice a quo, si dovrebbe affermare il contrasto 
con il principio di eguaglianza delle diverse situazioni conseguenti 
all'evoluzione nel tempo della disciplina dell'istituto giuridico in discorso. 

Al riguardo, peraltro, anche senza entrare nel merito dei motivi che 
indussero il legislatore ad abolire gli esami di abilitazione alla libera 
docenza nel quadro della riforma dell'istruzione superiore, non pu� che 
confermarsi la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale non 
contrasta con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato 
alla stessa categoria di soggetti ma in momenti diversi nel tempo, 
giacch� lo stesso fluire di questo costituisce di per s� un elemento differenziatore 
(sent. 57/73, 92/75, 138/77, 65/79). 

D'altra parte, non si tratta di una disposizione isolata, poich� in numerose 
norme successive alla legge del 1970, soppressiva dell'esame di 
abilitazione alla libera docenza, si � fatto esplicito riferimento a tale 
qualifica accademica come titolo valutabile ai vari fini (v. ad es. art. 4 

d.P.R. 30 dicembre 1971, n. 1252 che approva il regolamento per l'ammis

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

sione al concorso per la carriera diplomatica; art. 64 d.P.R. 31 ottobre 
1973, n. 1145 che approva il nuovo statuto del Politecnico di Torino; art. 4 

d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, convertito in legge 30 novembre 1973, n. 766, 
concernente la nuova disciplina degli incarichi universitari; art. 21 legge 
18 aprile 1975 sull'assunzione del personale sanitario ospedaliero; art. 3 
legge 30 aprile 1976, n. 197 sulla disciplina dei concorsi per trasferimento 
di notai; art. 12 lett. Q 1. 21 febbraio 1980, n. 28 concernente delega al 
governo per il riordinamento della docenza universitaria). 
CORTE COSTITUZIONALE, 29 marzo 1984, n. 78 -Pres. Elia -Rel. Ferrari 
-Arrais ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Carafa). 

Fonti del diritto � Legge -Procedimento legislativo � Camera dei deputati 
� Maggioranza dei presenti � Esclusione degli astenuti -Legittimit� 
costituzionale. 
{Cost., artt. 64 e 72; I. 22 ottobre 1971, n. 865, tutti gli articoli)!. 

Il regolamento di una Camera -e, quindi, l'interpretazione da questa 
data alla Costituzione -spiega efficacia nei confronti dell'altra Camera, 
e viceversa; ognuna delle due assemblee, nella sua discrezionale valutazione, 
pu� stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo 
della maggioranza e, quindi, della validit� delle deliberazioni, il valore 
dell'un modo o dell'altro di manifestare la volont� di non partecipare 
alla votazione. 

(omissis) La legge in parola sarebbe costituzionalmente illegittima, 
perch� in sede di approvazione finale del testo sarebbe stata approvata, 
alla Camera dei deputati, senza la maggioranza prescritta dalla Costituzione. 
Al riguardo di ogni disegno di legge -si osserva nelle ordinanze l'art. 
72, primo comma, Cost. stabilisce che esso dev'essere approvato 
� arti�olo per articolo e con votazione finale�; a riguardo delle deliberazioni 
di �ciascuna� Camera, l'art. 64, terzo comma, Cost. recita testualmente 
che esse �non sono valide... se non sono adottate a maggioranza 
dei... componenti "� Il disegno di legge di che trattasi, invece, alla Camera 
dei deputati fu approvato regolarmente articolo per articolo, ma 
nella votazione finale raccolse solo la maggioranza dei votanti, ma non 
anche quella dei presenti, e tuttavia ne venne proclamata l'approvazione. 
Ci�, in applicazione dell'art. 48, secondo comma, del regolamento di quella 
Camera, a norma del quale, dovendosi considerare � presenti coloro che 
esprimono voto favorevole o contrario '" gli astenuti non vengono compuputati. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

424 

Nella seduta del 26 maggio 1971, infatti -si precisa nell'ordinanza e 
non viene contestato dall'Avvocatura -quando appunto ebbe luogo la 
votazione finale, �erano presenti 473 deputati, dei quali: 198 votarono a 
favore dell'approvazione del testo complessivo del disegno di legge; 191 
contro e 154 si astennero�, mentre il disegno di legge, a sensi dell'art. 64, 
terzo comma, Cost., � per essere approvato, avrebbe dovuto riportare 237 
voti favorevoli (473:2-1) �.Vero � -si soggiunge -che successivamente, 
in seguito alle numerose modifiche apportate dal Senato al testo, la Camera 
dei deputati approv� regolarmente gli articoli emendati dall'altro ramo 
del Parlamento e riapprov� l'intero testo con nuova votazione finale, ma 
vero altres� che � il disegno di legge... non avrebbe potuto essere trasmesso 
al Senato�. 

Dalla prospettazione test� compendiata emerge con tutta nettezza 
che la questione in sostanza � quella del valore dell'espressione � presenti 
�; pi� propriam�nte, del valore che essa assume nella locuzione 
�maggioranza dei presenti�. 

L'art. 64, primo comma, Cost. statuisce che � ciascuna Camera adotta 
il proprio regolamento �. Ed � � secondo le norme del suo regolamento � 
che ognuna delle due Camere esamina i disegni di legge (art. 72, primo 
comma, Cost.); � ancora il regolamento di ognuna delle due Camere che 
pu� persino stabilire � procedimenti abbreviati � (art. 72, secondo comma, 
Cost.); � sempre il regolamento di ognuna delle due Camere che � pu� 
altres� stabilire �, tanto i � casi �, quanto le � forme �, in cui i disegni 
di legge possono addirittura essere approvati in commissione, anzich� nel 
plenum (art. 72, terzo comma, Cost.). 

Dai dati testuali, la cui fedele trascrizione ne mostra l'univocit�, risultano 
la spettanza di autonomia normativa ad entrambi i rami del 
Parlamento e la peculiarit� e dimensione di tale autonomia. � riconosciuta, 
infatti, a ciascuna Camera la potest� di disciplinare il procedimento 
legislativo in tutto ci� che non sia direttamente ed espressamente gi� 
disciplinato dalla Costituzione. Ne consegue che questa lascia un margine 
piuttosto ampio all'interpretazione ed attuazione del pensiero del costituente 
in materia e che l'interpretazione ed attuazione in parola sono di 
esclusiva spettanza di ciascuna Camera. Ci� significa che, relativamente 
alla disciplina del procedimento legislativo, i regolamenti di ogni Camera 
in quanto diretto svolgimento della Costituzione, sono esercizio di una 
competenza sottratta alla stessa legge ordinaria. Ma se l'autonomia normativa 
di ognuno dei due rami del Parlamento costituisce preclusione 
persino nei confronti del legislatore ordinario, si deve a maggior ragione 
ritenere che il regolamento di una Camera -e, quindi, l'interpretazione 
da questa data alla Costituzione -spiega eguale efficacia nei confronti 
dell'altra Camera, e viceversa. 


PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

E allora, comprendere gli astenuti tra i votanti ai fini della validit� 
delle deliberazioni, come secondo antica e consolidata �pratica � accade 
in Senato -il cui art. 107.1, peraltro, recita che �ogni deliberazione... � 
presa a maggioranza dei Senatori che partecipano alla votazione � -ovvero 
escluderli, come dispone il regolamento della Camera, sono interpretazioni 
ed attuazioni senza. dubbio diverse dell'art. 64, terzo comma, 
Cost., che hanno piena spiegazione appunto nella reciproca autonomia 
normativa test� affermata. Dal constatato divario non discende, tuttavia, 
necessariamente che una delle due contrasti con la Costituzione. A 
ben guardare, infatti, dichiarare di astenersi (alla Camera) ed assentarsi 
(al Senato) sono manifestazioni di volont� che si differenziano solo formalmente 
-come una dichiarazione espressa si differenzia da un comportamento 
concludente -ma che in realt� poi si accomunano grazie 
all'univocit� del risultato cui entrambe mirano con piena consapevolezza, 
che � quello di non concorrere all'adozione dell'atto collegiale. In definitiva, 
potrebbe anche dirsi che rientrano fra i modi di votazione. Se cos� 
�, ben pu� allora ognuna delle due assemblee, nella sua discrezionale 
valutazione, stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo 
della maggioranza e, quindi, della validit� delle deliberazioni, il valore 
dell'un modo o dell'altro, di manifestare la volont� di non partecipare 
alla votazione. 

Gli argomenti svolti in ordine al significato della locuzione � maggioranza 
dei presenti�, di cui all'art. 64, terzo comma, Cost. comportano 
la dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimit� costituzionale 
dell'intera legge n. 865 del 1971. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 marzo 1984; n. 80 -Pres. Elia -Rel. Reale Scaletti 
ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Onufrio). 

Procedimento penale -Tribunale della libert� -Richiesta di riesame ad 
opera del difensore � Termine. 

(Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 263 bis). 

Contrasta con l'art. 24 Cast., ed � costituzionalmente illegittimo l'articolo 
263 bis cod. proc. pen., comma secondo, come sostituito dall'art. 7 
della legge 12 agosto 1982, n. 532, nella parte in cui dispone che il termine 
di cinque giorni per la richiesta di riesame da parte del difensore dell'imputato 
detenuto decorra dall'esecuzione del provvedimento, anzich� 
dalla sua notifica al difensore o comunque da quando egli abbia conoscenza 
del provvedimento stesso. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

426 

(omissis) La legge 12 agosto 1982, n. 532 (disposizioni in materia di 
riesame dei provvedimenti restrittivi della libert� personale e dei prov� 
vedimenti di sequestro), ha, tra l'altro, con l'art. 7 modificato l'art. 263 bis 
cod. proc. civ. e con l'art. 8 inserito l'art. 263 ter cod. proc. pen. 

Queste due norme, le quali insieme con l'art. 263 quater introducono 
e regolano l'istituto del riesame dei mandati di cattura e degli ordini di 
arresto, dispongono che contro i detti provvedimenti (nonch� quelli sostitutivi 
della custodia in carcere o di revoca degli stessi) �l'imputato o 
il suo difensore possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito�; 
che la richiesta, quando si tratti di imputato detenuto, deve essere pro� 
posta entro cinque giorni dall'esecuzione del provvedimento; che l'autorit� 
che ha emesso il provvedimento, appena le perviene richiesta di rie� 
same e non oltre ventiquattro ore, la trasmette con gli atti del procedimento 
o copia di essi al tribunale del capoluogo di provincia (correntemente 
definito �Tribunale della libert��) in cui ha sede l'ufficio che ha 
emesso il provvedimento stesso; che il tribunale entro tre giorni dal ricevimento 
dell'atto (prorogabili di altri tre giorni con decreto motivato) 
conferma o revoca il provvedimento, e se non decide entro i termini indicati, 
il mandato o l'ordine di cattura o di arresto cessa di avere efficacia. 


Nel rilevare la novit� di questo istituto dottrina e giurisprudenza, di� 
scordi circa il suo inquadramento, sono concordi nell'escludere che si 
tratti di appello, in ragione dell'effetto totalmente e incondizionatamente 
devolutivo, anche in mancanza di motivi, della richiesta di riesame; mentre 
� pacifico, perch�, come si � ricordato, espressamente indicato dalla� 
norma, che la richiesta di riesame pu� essere proposta dall'imputato o dal 
suo difensore. 

Ora i giudici rimettenti -pi� precisamente il tribunale di Roma impugnando 
il nuovo testo dell'art. 263 bis c.p.p., il tribunale di Cosenza 
impugnando l'art. 7 della legge 12 agosto 1982, n. 532 che lo ha sostituito 
al precedente testo -dubitano che sia conforme al diritto costituzionale 
di difesa nonch� al principio di eguaglianza, che il termine di cinque 
giorni per proporre la richiesta di riesame del provvedimento restrittivo 
decorra anche per il difensore, oltre che per l'imputato, dalla esecuzione 
del provvedimento stesso, del quale il difensore pu� non essere ancora a 
conoscenza. 

La questione � fondata. 

La Corte ha stabilito in molte decisioni (da ultimo nelle sentenze 
nn. 162 del 1985, 125 del 1979, 188 del 1980) l'essenzialit� della difesa tecnica 
ai fini del rispetto dell'art. 24 della Costituzione, anche se ha ritenuto 
che il diritto di difesa, quanto alle modalit� del suo esercizio, possa 
essere dal legislatore � diversamente regolato ed adattato alle speciali 
esigenze dei singoli procedimenti, purch� non ne siano pregiudicati Io 

scopo e le funzioni� (sentenza n. 159 del 1972). 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

427 

Ora, come sostanzialmente osservano le ordinanze di rimessione, l'articolo 
263 bis c.p.p. da una parte ammette il difensore a proporre la richiesta 
�di riesame, dall'altra non gli assicura l'esercizio di questo diritto 
tutte le volte che egli non abbia cogmz1one del provvedimento prima 
della scadenza del termine per la richiesta o che l'abbia in immediata 
prossimit� di essa. (omissis) 

A parte ogni altra considerazione, infatti, sta quella di per s� decisiva 
che � lo stesso legislatore a riconoscere, nel procedimento di cui 
trattasi, il diritto alla difesa tecnica. Non poteva quindi negarne l'esercizio 
in tutte le situazioni nelle quali il difensore non abbia potuto avere 
conoscenza del provvedimento restrittivo prima della scadenza del termine 
fissato o l'abbia avuta in prossimit� della scadenza stessa. Da ci� 
una sostanziale violazione del diritto di difesa e quindi dell'art. 24, secondo 
comma, della Costituzione. 

La riconosciuta fondatezza della questione in riferimento all'art. 24 
della Costituzione esime la Corte dall'esame di essa con riferimento all'art. 
3 della Costituzione, altro parametro indicato nella ordinanza di 
rimessione. 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 1984, n. 89 -Pres. Elia -Rel. Saja -Pettirossi 
ed altri (avv. Zavattaro Ardizzi) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Cosentino). 

Locazione -Immobili urbani destinati ad uso non abitativo -Proroga 
biennale � Legittimit� costituzionale in quanto ultima proroga. 

(Cost., artt. 41 e 42; I. 25 marzo 1982, n. 94, art. 15 bis). 

La disciplina vincolistica sui rapporti di locazione di immobili urbani 
(nella specie, destinati ad uso diverso da quello di abitazione) va confrontata 
con l'art. 42 Cost. (tutela costituzionale del diritto di propriet�) 
e non con l'art. 41 Cost. (tutela costituzionale dell'iniziativa economica 
privata). La proroga biennale stabilita con la legge n. 94 del 1982 non 
contrasta con la Costituzione in quanto ultimo e definitivo anello di congiunzione 
della graduale attuazione della nuova disciplina (1).' 

{1) L'affermazione riportata nella prima parte della massima ha una 
portata che interessa non solamente il regime delle locazioni, ma anche il 
trattamento tributario della propl1iet� immobiliare. La trasformazione di tutti 
i redditi (anche fondiari) conseguiti da societ� in redditi d"impresa � divenuto 
veicolo mediante il quale in pi� modi si tenta di dissolvere la distinzione tra 
immobili oggettivamente strumentali (cfr. art. 25, terzo comma, lett. d, del 

d.P.R. n. 643 del 1972) o addirittura ammortizzabili, da un lato, ed immobili 
diversi dagli anzidetti (ad esempio, destinati �alla locazione abitiativa), d'altro 
lato. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La legge 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), disciplinando 
in via transitoria il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa 
sulle locazioni di immobili urbani, ha considerato nel capo secondo del 
titolo secondo quelle aventi ad oggetto gli immobili destinati ad uso 
diverso da quello di abitazione. Rispetto a questi essa dispose nell'art. 67 
che i contratti sottoposti a proroga secondo la legislazione fino ad allora 
vigente erano prorogati secondo le previsioni delle lettere a), b) e e) e scadevano 
perci� rispettivamente negli anni 1982 (a decorrere dal mese di agosto), 
1983 e 1984; mentre, per quelli non soggetti a proroga, essa previde 
nell'art. 71 una .disciplina tendenzialmente ispirata, quanto alla durata del 
rapporto, alla nuova normativa degli artt. 27 e 42. 
Successivamente l'art. 15 bis legge 25 marzo 1982, n. 94, di conversione 
del d.l. 25 gennaio 1982, n. 9, ha, nel primo comma, ulteriormente prorogato 
di due anni le scadenze delle locazioni di immobili non destinati ad uso 
abitativo limitatamente a quelle gi� soggette a proroga (e cio� le locazioni 
previste dalle lettere a), b) e e) del cit. art. 67), nulla disponendo 
invece per quelle non soggette a proroga, considerate nell'art. 71. (omissis) 
Il giudice a quo dubita della legittimit� costituzionale della norma 
del ricordato art. 15 bis 1. 25 marzo 1982, n. 94, la quale contrasterebbe: 
1) con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione per avere imposto 
un regime di proroga legale incompatibile con i diritti spettanti 
al proprietario di un immobile urbano; 
2) con l'art. 41, primo e secondo comma, della Costituzione, per 
avere imposto un regime di proroga legale in contrasto con la libert� 
di iniziativa economica spettante al locatore; 
3) con l'art. 3, primo comma, della Costituzione per avere riservato 
un trattamento uniforme a situazioni differenziate, come quelle dei commercianti, 
artigiani o lavoratori autonomi titolari di una piccola impresa 
rispetto agli altri conduttori pi� abbienti; 
4) con lo stesso art. 3, primo comma, della Costituzione sotto diverso 
profilo, per ingiustificata disparit� di trattamento tra pi� locatori 
e pi� conduttori di immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione, i 
quali sono soggetti a regime di proroga in base alla sola circostanza che 
il loro contratto sia stato o meno sottoposto al cessato regime di vincolo 
e senza che sia stata considerata l'analoga situazione dei contratti di 
cui al suddetto art. 71 legge n. 392 del 1978. 
Relativamente alla prima questione va rilevato che il problema, 
nelle sue linee generali, � venuto pi� volte all'esame della Corte, la 
quale ha ritenuto la legittimit� costituzionale della disciplina vincolistica 
sulla fondamentale considerazione che essa trovava giustificazione nella 
gravissima ed eccezionale congiuntura del mercato edilizio ed aveva 
perci� carattere di straordinariet� e temporaneit�. 
~ 
I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La Corte, peraltro, ha avvertito che, appunto in dipendenza di tale 
natura, la normativa. de qua non poteva perdurare illimitatamente senza 
trasformare il regime del blocco in una disciplina ordinaria, la quale 
non avrebbe tutelato in maniera adeguata il diritto di propriet�, violando 
cos� l'art. 42 della Costituzione. Conseguentemente con varie pronunce 
(e in particolare con le decisioni nn. 3 e 225 del 1976) essa ha sollecitato 
il 'legislatore ordinario ad approntare, nel pieno rispetto del 
citato art. 42 Cost., una disciplina organica e permanente nella materia; 
d,isciplina che, dopo vari rinvii, � stata emanata mediante la citata legge 
27 luglio 1978, n. 392. Con essa fu instaurato un regime diverso da quello 
del blocco e vennero emanate le necessarie norme transitorie, le quali 
hanno inciso anch'esse sulla durata del rapporto locatizio, in quanto 
dirette a regolare il passaggio necessariamente graduale dalla precedente 
alla nuova disciplina. 

Appunto al profilo di ordine transitorio, ossia a quello considerato 
dall'art. 67, si riferisce la norma impugnata la quale, come si � detto, 
ha ulteriormente prorogato di due anni le scadenze ivi stabilite per le 
locazioni non abitative e gi� soggette a proroga. 

Indubbiamente tale proroga costituisce una non lieve anomalia nel 
quadro normativo conseguente alla citata legge n. 392/78 e va sottolineato 
come trattasi dell'unica volta in cui il legislatore ha ritenuto di 
poter derogare alla nuova normativa con l'introdurre un'ulteriore proroga 
del rapporto locativo: non sono mancate invero successive disposizioni 
legislative per venire incontro alle singole e concrete esigenze dei 
conduttori, ma esse hanno avuto' per oggetto soltanto il termine per 
l'esecuzione del provvedimento di rilascio e quindi si pongono su un 
piano completamente diverso. 

L'anomalia, come opportunamente e con ricchezza di riferimenti ricorda 
l'ordinanza . de qua, venne rilevata in sede di lavori preparatori 
alla Camera dei Deputati e da pi� parti vennero espresse preoccupazioni 
sulla legittimit� costituzionale della norma in relazione alle note 
decisioni di questa Corte. Ci� nonostante, prevalse l'orientamento positivo 
sulla base del determinante rilievo che da quell'anno (1982) avrebbe 
avuto inizio la massiccia scadenza di un notevole numero di locazioni 
di immobili non destinati ad abitazione (art. 67, primo comma lett. a), 
senza che fosse stata predisposta alcuna delle misure indispensabili per 
non turbare l'equilibrio del mercato, il che avrebbe potuto determinare 
pericolose conseguenze sul livello dei prezzi e quindi sul fenomeno inflattivo 
e, in genere, sull'economia nazionale. 

In altri termini, la proroga fu disposta soltanto per adeguare la 
disciplina transitoria che, a contatto con la realt�, si era rivelata insufficiente. 
Di ci� si ebbe piena consapevolezza durante i lavori preparatori, 
nei quali fu chiarito che si trattava di una misura del �tutto ecce



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zionale, dovuta ad esigenze di mera natura temporanea ed inerente quin� 
di ad una situazione assolutamente irripetibile (cfr. l'ordine del giorno 

n. 9/3108/2). E appunto in relazione al ricordato carattere della norma, 
e quindi al fine di bilanciare in qualche modo lo straordinario sacrificio 
imposto al locatore, furono concessi notevoli aumenti del canone, oltre 
al recupero, a partire dal secondo anno, della svalutazione monetaria 
frattanto maturata. 
Tutto ci� considerato, la Corte, pur avvertendo le serie preoccupa


. zioni e perplessit� che la norma impugnata pu� dest�re, ritiene tuttavia 
di escluderne l'illegittimit� costituzionale in quanto essa risulta sostan� 
zialmente diretta a costituire l'ultimo e definitivo anello di congiunzione 
della graduale attuazione della nuova disciplina, senza che possa consen� 
tirsi un ulteriore analogo intervento legislativo. 

Va anche esclusa la fondatezza della seconda questione, con cui il 
giudice a quo deduce che il potere d'iniziativa economica privata, previsto 
dall'art. 41 della C�stituzione, sarebbe stato ingiustificatamente sacrificato 
dalla norma impugnata. 

Premesso, invero, che l'autonomia negoziale non �, come tale, elevata 
a diritto costituzionalmente garantito, salve specifiche previsioni, qui 
non ricorrenti, va osservato che il richiamo all'iniziativa economica privata 
non sembra pertinente, in quanto nella specie non viene dedotta 
alcuna attivit� produttiva del locatore, ma si verte soltanto in tema di 
godimento di un bene, quale l'immobile dato in locazione; sicch� la nor� 
ma applicabile � quella, sopra esaminata, dell'art. 42 Cost., specificamente 
relativo allo statuto della propriet� privata. Il che rende superfluo 
rilevare che, essendo anche !';iniziativa economica ammessa nei limiti 
dell'utilit� sociale, gli argomenti sopra esposti a proposito del diritto 
di propriet� escluderebbero analogamente l'illegittimit� costituzionale 
della norma sotto l'angolo visuale del ricordato art. 41 Cost. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 135 � Pres. Elia � Rel. Paladin 
� Regione Trentino-Alto Adige (avv. Benvenuti) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amico). 

Trentino-Alto Adige -Ordinamento delle aziende di credito � Approvazione 
delle modifiche statutarie -Attribuzione regionale. 
(Statuto regione Trentino-Alto Adige, t.u. del 1972, artt. 4, 5 e 16; d.P.R. 26 marzo 

1977, n. 234, art. 3). 

Non contrasta con lo Statuto della regione Trentino-Alto Adige l'atrribuzione 
a detta Regione del potere di approvare gli schemi di atti co::.titutivi 
e statuti delle aziende di credito a carattere regionale. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Nel corso di due procedimenti relativi all'omologazione di deliberazioni 
assembleari delle Casse rurali di Tuenno e di Darzo, il Tribunale di 
Trento ha sollevato -con ordinanze rispettivamente emesse il 20 gennaio 
e il 24 febbraio 1983 -questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 3, primo comma, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234 (�norme di 
attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in 
materia di ordinamento delle aziende di credito a carattere regionale�), 
per pretesa violazione degli artt. 4, 5 e 13 della legge costituzionale 26 febbraio 
1948, n. 5, nonch� dell'art. 116 Cost. �nella parte in cui si conferiscono 
alla Regione Trentino-Alto Adige poteri di vigilanza e di controllo 
su enti ed aziende di credito�, che avrebbero invece dovuto restare riservati 
alla Banca d'Italia, l'impugnata disciplina di attuazione statutaria 
eccederebbe, infatti, la previsione dell'art. 5 n. 4 dello Statuto speciale: 
per cui quella Regione non � competente se non in materia di � ordinamento 
degli enti di credito ... a carattere regionale�, vale a dire -spe� 
cifica il giudice a quo -in tema di � organizzazione � degli enti medesimi, 
ad esclusione di tutto ci� che riguarda il �contenuto dell'attivit�� 
da questi esercitata. Sicch� sarebbe illegittimo l'avere attribuito alla 
Regione, e non alla Banca d'Italia, l'approvazione delle modifiche statutarie 
di enti come quelli in considerazione nei procedimenti principali. 

(omissis) 

Nel merito, le ordinanze di rimessione argomentano che una norma 
di attuazione statutaria, concernente il passaggio delle funzioni statali 
attribuite alla Regione Trentino-Alto Adige in materia di �ordinamento 
degli enti di credito�, non potrebbe legittimamente derogare all'art. 8 
del r.d. n. 1706 del 1937, l� dove si riservano alla Banca d'Italia l'approvaz.
i.une e la variazione degli schemi degli atti costitutivi e degli statuti, 
nonch� delle loro successive modificazioni, per tutte le Casse rurali 
ed artigiane operanti nel territorio nazionale. In tal campo, la competenza 
legislativa locale sarebbe circoscritta � alla emanazione di norme 
ordinamentali sulla organizzazione delle Casse rurali � e non gi� 
estesa � al contenuto dell'attivit� ed alla specificazione delle operazioni � 
consentite alle Casse medesime (come pure ad ogni altra azienda regionale 
di credito); e lo stesso limite varrebbe -data la regola del parallelismo 
-per le potest� amministrative corrispondentemente suscettibili 
di essere trasferite alla Regione ed esercitate dall'Amministrazione 
regionale. 

Ma la questione non � fondata. Anche ad intendere I'� ordinamen� 
to � delle aziende regionali di credito come puro sinonimo di � organizzazione 
� delle aziende stesse -secondo la tesi del giudice a quo -� 
chiaro che l'approvazione dei loro statuti e delle relative modificazioni 
non pu� non far parte della competenza spettante alla Regione Trentino� 
Alto Adige, senza di che le attribuzioni in esame verrebbero svuotate. 


432 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Certo, in un settore come quello creditizio, � indispensabile che le funzioni 
regionali siano armonizzate con quelle da riservare allo Stato, e in 
particolare alla Banca d'Italia; ma l'art. 1, ultimo comma del d.P.R. 
n. 234 del 1977 soddisfa in pieno una tale esigenza, disponendo appunto 
che � resta ferma fa competenza degli organi dello Stato e della Banca 
d'ltalia per tutto quanto riguarda la disciplina della raccolta del risparmio, 
dell'esercizio del credito, nonch� il relativo controllo e vigilanza 
sugli enti ed aziende di credito... � (mentre l'art. 3, secondo comma, del 
medesimo decreto aggiunge che i provvedimenti regionali di approvazione 
delle modifiche statutarie �vanno adottati dalla regione� sentito 
�il Ministero del Tesoro�). Per contro, l'approvazione delle modifiche 
stesse � stata giustamente trasferita alla Regione, dal momento che 
ci� attiene alla struttura delle aziende di cr�dito a carattere regionale, 
piuttosto che alle peculiari attivit� di esse, considerate nel loro concreto 
esplicarsi. 

N� si pu� dire che la Banca d'Italia dovrebbe comunque approvare 
le modifiche finalizzate alla raccolta del risparmio ed all'esercizio del 
credito da parte delle Casse rurali e delle aziende creditizie in genere; 
laddove alla Regione rimarrebbe -scondo lo Statuto di autonomia -il 
solo compito di provvedere sull'organizzazione interna delle aziende in 
questione, senza alcun riferimento alle specie ed agli ambiti delle loro 
operazioni. Tesi del genere -adombrate dal Tribunale di Trento nell'ordinanza 
20 dicembre 1979, sulla quale la Corte si � pronunciata con 
la predetta sentenza n. 197 del 1982 -non sono state affatto sviluppate 
nelle ordinanze che vengono ora in esame, salvi i generici accenni contenuti 
nei dispositivi. Ma in ogni caso, si tratta di assunti che non trovano 
fondamento nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, poich� 
l'� ordinamento degli enti di credito� a carattere regionale non pu� non 
tener conto di ci� che normalmente inerisce alla sfera delle loro attivit� 
in vista degli scopi peculiari di istituti siffatti, quali sono identificati dalle 
stesse leggi dello Stato (e, in particolare, dal r.d. 26 agosto 1937, 

n. 1706 cit.). Se dunque le norme di attuazione statutaria avessero trasferito 
alla Regione le sole attribuzioni relative all'organizzazione interna 
delle aziende regionali di credito, in quanto istituti equiparati a qualsiasi 
altro tipo di persona giuridica, lo Statuto speciale sarebbe stato 
violato. E, nel contempo, la disciplina in questione si sarebbe posta 
in aperto contrasto con il principale criterio informatore del passaggio 
delle funzioni statali attribuite alle Regioni: criterio costituito -fin 
dall'art. 17, primo comma lett. b, della legge 16 maggio 1970, n. 281 
(cui s'� aggiunto l'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) -dal � trasferimento... 
per settori organici di materie�, anzich� per frammenti di competenza. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 136 -Pres. Elia -Rel. Pa


ladin -Michelini (avv. Ventura) e Presidente Consiglio dei Ministri 

(avv. Stato Laporta). 

Lavoro -Impiegati ed operai -Richiamo alle armi -Trattamenti differenziati 
-Illegittiniit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3 e 52; I. 10 giugno 1940, n. 653; artt. 1 e segg.). 

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la persistente distinzione 
tra impiegati ed operai consente al legislatore di diversificare il trattamento 
spettante a queste due specie di lavoratori dipendenti, purch� la 
differenziazione sia congrua rispetto alla diversit� delle posizioni rispettive, 
f andandosi -in particolar modo -sulla diversa qualit� del lavoro 
prestato; contrastano con l'art. 3 Cost. gli artt. 1 e seg.uenti della legge� 
10 giugno 1940, n. 653 nelle parti in cui si riferiscono ai soli impiegati 
privati e non anche agli operai richiamati alle armi. 

Con ordinanza del 27 gennaio 1977, il Pretore di Genova ha sollevato 
la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1 della legge 10 giugno 
1940, n. 653 (sul trattamento degli impiegati privati richiamati alle 
armi), in riferimento agli artt. 3 e 52 Cost., ed ha argomentato in tal 
senso che la norma impugnata determinerebbe � un ingiustificata... disparit�... 
tra impiegati ed operai�, attribuendo soltanto agli uni e non 
agli altri �una indennit� mensile pari alla retribuzione�, quanto ai primi 
due mesi decorrenti dal richiamo. (omissis) 

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la persistente distinzione 
tra impiegati ed operai consente al legislatore di diversificare il trattamento 
spettante a queste due specie di lavoratori dipendenti, purch� la 
differenziazione sia congrua rispetto alla diversit� delle posizioni rispettive, 
fondandosi -in particolar modo -sulla diversa qualit� del lavoro 
prestato; sicch� le differenziazioni stesse non si risolvono senz'altro 
-com'� stato precisato nelle sentenze n. 18 del 1974 e n. 117 del 1976 in 
violazioni del principio costituzionale d'eguaglianza. Ma ci� non toglie 
che tale principio sia comunque vulnerato, ogni qualvolta non venga in 
diretto rilievo � l'ordinamento attuale delle qualificazioni professionali�, 
ma si tratti di situazioni e di bisogni indistintamente comuni a tutti i 
lavoratori: come nel caso dei criteri di determinazione del grado d'invalidit� 
richiesto per il conseguimento del diritto a pensione (di cui alla 
sentenza n. 160 del 1971) ovvero nel caso dell'assicurazione contro la 
disoccupazione involontaria (di cui alla sentenza n. 177 del 1975). 

Considerazioni analoghe a quelle test� rico!'date valgono anche nei 

riguardi dei lavoratori richiamati alle armi. In questo campo, il legisla


tore era ed � libero di stabilire se debba ancora sussistere l'apposito 

regime previdenziale introdotto dalla legge n. 653 del 1940, mediante 

l'istituzione della �cassa per il trattamento di richiamo alle armi�. Ma, 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

434 

una volta deciso il ricorso a questo tipo di provvidenze, non si giustifica 
che ne beneficino i soli impiegati privati, ad esclusione degli operai, poich� 
il divario riscontrabile fra le due categore non costituisce una causa 
pertinente dell'impugnata discriminazione: la quale non attiene al rapporto 
di lavoro in s� considerato. E l'esigenza di pervenire alle stesse 
conclusioni raggiunte con le citate sentenze n. 160 del 1971 e n. 177 del 
1975 s'impone a fortiori nel caso in esame dato il combinarsi del 
principio generale d'eguaglianza con la specifica previsione costituzionale 
dell'art. 52, secondo comma, per cui l'adempimento del servizio militare 
non pu� mai pregiudicare -quale che sia la specie dei lavoratori interessati 
-� la posizione di lavoro del cittadino �. 

All'annullamento dell'impugnato art. 1 deve poi conseguire -in 
applicazione dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 -la dichiarazione di 
illegittimit� costituzionale di ogni altra norma della legge n. 653 del 
1940, che si riferisca ai soli impiegati privati, con ci� stesso escludendo 
gli operai. 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 137 (in cam. cons.) -Pres. 
Elia -Rel. Andrioli. 

Procedimento civile -Procedimento d'ingiunzione -Provvisoria esecuzione 
del decreto ingiuntivo -Offerta di cauzione. 
(Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. civ., art. 648). 

Contrasta con gli artt. 3 e 24 Cast. l'art. 684 comma secondo c.p.c. 
nella parte in cui dispone che nel giudizio di opposizione il giudice 
istruttore, se la parte che ha chiesto l'esecuzione provvisoria del decreto 
d'ingiunzione offre cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, 
spese e danni, debba e non gi� possa conced�rla sol dopo aver delibato 
gli elementi probatori di cui all'art. 648 comma primo e la corrispondenza 
dell'offerta cauzione all'entit� degli oggetti indicati nel comma 
secondo dello stesso art. 648. 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 maggio 1984, n. 138 -Pres. Elia -Rel. 
Saja -Pezzi ed altri (avv. Orlando Cascio, Giorgianni e Guarino), 
Timoncini ed altri (avv. Romagnoli, Rescigno e Galgano) e Presidente 
C~nsiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). 

Agricoltura -Rapporti di mezzadria e colonia parziana -Conversione 
in rapporti di affitto -Facolt� unilaterale del concessionario -Di� 
stinzione tra imprenditore agricolo e proprietario assenteista di ter� 
reni agricoli -Necessit�. 
(Cost., artt. 3, 41 e 43; I. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 30 e 34). 

L'art. 41 Cast. tutela la posizione dell'imprenditore, ossia di colui che 
effettivamente esercita un'attivit� economica organizzata, non anche la 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDE..'ilZA COSTITUZIONALE 

poszzwne del proprietario � assenteista�. Gli artt. 25, 30 e 34, primo 
comma lett. b, della legge 3 maggio 1982, n. 203 contrastano con l'art. 41 
Cost. nella parte in cui, nel prevedere la facolt� di richiedere la � conversione 
� dei rapporti di mezzadria e colonia parziaria, non distinguono il 
caso di concedente il quale sia imprenditore a titolo principale ai sensi 
dell'art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153 o comunque abbia dato un 
adeguato apporto alla condirezione dell'impresa. 

(omissis) La prima questione concerne la disposizione, di portata 
generale, dell'art. 25 legge 3 maggio 1982, n. 203, contenente norme sui 
contratti agrari, nella parte in cui essa prevede la c.d. conversione automatica 
in affitto, ossia senza il consenso del concedente, dei contratti di � 
mezzadria e colonia parziaria se la conversione stessa � chiesta dal 
mezzadro o colono (in prosieguo, per brevit�, si far� esplicito riferimento 
soltanto al primo, con formula comprensiva anche del secondo); mentre, 
se la richiesta proviene dal concedente, la trasformazione del contratto 
non ha luogo senza il consenso del mezzadro (art. 26 legge cit.). 

Alcune ordinanze si riferiscono poi alla disposizione dell'art. 30 legge 
cit., relativa alla conversione nel caso in cui il concedente sia imprenditore 
a titolo principale ai sensi dell'art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153: 
disposizione che contiene una disciplina speciale, ma che comunque, in 
definitiva, privilegia pur sempre la volont� unilaterale del mezzadro. 
Naturalmente il riferimento, contenuto nelle dette ordinanze, formerebbe 
oggetto di distinta considerazione esclusivamente nell'ipotesi di non fondatezza 
della questione generale, mentre in caso contrario, per evidenti 
esigenze di carattere logico, esso rimarrebbe necessariamente coinvolto 
nella decisione dell'impugnativa principale. (omissis) 

Mentre nel codice civile del 1865 la mezzadria (cos� come la colonia 
parziaria) era considerata un contratto di scambio ed era inquadrata 
nell'istituto della locazione, nel codice del 1942 essa venne qualificata 
come contratto associativo, dando luogo al sorgere dell'impresa agricola 
la cui direzione fu attribuita al concedente (artt. 2145 secondo comma 
e 2169). 

A seguito di un ampio movimento di natura economico-sociale e 
politica, che aveva radici lontane ma trov� nel dopoguerra motivi di 
notevole accelerazione, venne ad affermarsi e prevalere un orientamento 
di disfavore verso l'istituto, che non fu ritenuto pi� idoneo ad assicurare, 
da un lato, il migliore sviluppo dell'agricoltura e, dall'altro, il superamento 
degli inevitabili conflitti sociali tra concedenti e coltivatori. 

Fra le ragioni dell'insorto disfavore qui particolarmente rileva l'inerzia 
(spesso riscontrabile) del concedente, il quale, trascurando i propri 
doveri di direzione, .comprometteva il buon andamento dell'impresa, con 
grave danno dell'agricoltura in genere e con specifico pregiudizio del 


436 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mezzadro, ridotto a trarre modesti utili dalla sua attivit� lavorativa. Da 
ci� l'acuirsi della tensione nei rapporti tra le parti e il correlativo disinteresse 
del coltivatore, non pi� disposto a sopportare gli oneri per la 
cura del fondo, previsti a suo carico, ma incline a procurarsi la somma 
di denaro necessaria per l'acquisto di un proprio fondo al fine di sottrarsi 
alla soggezione al concedente e, in tal modo, diventando proprietario, di 
poter provvedere autonomamente alla conduzione dell'azienda. 

Una tappa di grande rilievo � rappresentata dalla legge 15 settembre 
1964, n. 756, della quale, per quanto qui interessa, � sufficiente ricordare 
il divieto di stipulare nuovi contratti di mezzadria (art. 3) nonch� l'attribuzione 
al mezzadro della contitolarit� della direzione dell'impresa (art. 6). 

Il suddetto divieto venne ribadito dalla legge 4 agosto 1971, n. 592, 
la quale tuttavia consider� efficaci quei contratti mezzadrili instaurati 
di fatto dopo la legge del 1964. 

La suindicata normativa nazionale trov� motivi di conforto in alcuni 
atti della Comunit� Economica Europea (come il secondo piano Mansholt 
e le due direttive nn. 159 e 160 del 1972) in cui tendenzialmente si mostrava 
preferenza per il contratto d'affitto (la mezzadria, peraltro, era 
praticata in maniera molto limitata nell'ambito comunitario e prevalentemente 
in alcune zone dell'Italia e della Francia). 

La legge n. 203 del 1982, oggetto di questo giudizio, viene ad innestarsi 
in tale complesso normativo e, nel solco delle precedenti scelte, ribadisce 
il divieto di instaurare nuovi rapporti di mezzadria, imperativamente 
statuendo che l'unico schema utilizzabile per il contratto agrario (salvo 
le modeste eccezioni degli artt. 30 e 36, e probabilmente dell'art. 45, il 
cui contenuto � variamente inteso in dottrina) � quello dell'affitto. Tale 
scelta legislativa non viene limitata ai contratti futuri, ma � estesa anche 
a quelli in corso, ed appunto a tale estensione si collega la conversione, 
prevista dagli artt. 25 e segg. legge cit., del rapporto di mezzadria in 
quello di affitto. Naturalmente, sarebbe del tutto fuori luogo soffermarsi 
st�le discussioni dottrinali circa la correttezza dell'espressione usata 
(�conversione�), in quanto viene qui in considerazione il contenuto dell'istituto 
e risulta invece priva di rilievo la terminologia alla quale il 
legislatore ha fatto ricorso. 

Ci� posto, osserva la Corte come non sia in discussione la scelta 
operata con la cit. legge 15 settembre 1964, n. 756 e successivamente 
ribadita anche con la legge in esame, scelta di netto disfavore verso la 
mezzadria, non pi� ritenuta idonea, come si � gi� accennato, n� all'incremento 
della produttivit� agricola, n� al mantenimento dei buoni rapporti 
sociali tra le categorie interessate. 

Il punto in questione consiste invece nella conversione in affitto di 
contratti associativi agrari in corso, collegata dal cit. art. 25 ad un mero 
atto unilaterale del mezzadro: conversione della cui legittimit� costitu� 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

zionale le ordinanze di rimessione dubitano prospettando il contrasto 
con gli artt. 3, 4, 41, 42, 43, 44 e 46 della Costituzione. 

Si assume anzitutto che il principio di eguaglianza sancito con l'articolo 
3 della Costituzione � leso per il fatto che, mentre la richiesta del 
mezzadro trasforma senz'altro la mezzadria in affitto, l'analoga richiesta 
del concedente � operativa soltanto se vi � l'adesione dell'altra parte. 

La questione non � fondata, non ricorrendo il presupposto fondamentale 
del principio di eguaglianza, che esige la stessa disciplina per situazioni 
identiche o sostanzialmente analoghe (mentre richiede un regolamento 
differenziato per quelle che siano caratterizzate da intrinseca 
eterogeneit�). 

� vero che in base al cit. art. 6 legge n. 756 del 1964 il mezzadro, 
avendo ottenuto la contitolarit� (insieme al concedente) del potere di 
direzione dell'impresa, ha assunto la posizione di imprenditore, posizione 
che gli � stata riconosciuta dalla consolidata giurisprudenza ordinaria. 
Ma ci� non impedisce che il legislatore possa tenere conto degli effettivi 
contenuti dei rapporti sociali, i quali, se pure in precedenza unificati e 
confluenti in un'analoga qualifica giuridico-formale, pur tuttavia nella 
realt� fenomenica metagiuridica conservano una loro intrinseca diversit�, 
alla quale la legge su�cessiva, in base a mutati orientamenti, intende dare 
rilievo: ed � evidente come alla comune condirezione (nel cui ambito 
non � peraltro pacifico che i poteri delle due parti siano identici) il 
mezzadro aggiunge il lavoro manuale e con esso un vincolo pi� intenso 
e diretto con il fondo, elementi questi che non irrazionalmente possono 
determinare nei suoi confronti una maggiore attenzione e una pi� spiccata 
considerazione da parte del legislatore. 

E di ci� pu� trarsi conferma dalla stessa legge n. 756 del 1964, la 
quale, pur disponendo la coimprenditorialit�, ha infranto definitivamente 
il criterio della ripartizione al 50 per cento degli utili e dei prodotti (che 
pur dovrebbe conseguire, secondo un criterio logico-~ormale, all'analoga 
posizione conferita ai due soggetti), privilegiando il mezzadro (art. 4) al 
quale ha attribuito il 58 per cento (come ha anche privilegiato il colono: 
artt. 9 e 10 legge cit.). E tale trattamento di maggior favore risulta 
ribadito nella legge impugnata (artt. 30 e 37), la quale ha aumentato in 
misura ancora maggiore la quota del mezzadro per i contratti non convertiti, 
confermando cos� ulteriormente una tendenziale preferenza per il 
coltivatore. 

Conseguentemente il migliore trattamento riservato al mezzadro in 
tema di conversione non pu� ritenersi, sotto il profilo qui considerato, 
ingiustificato ed arbitrario, ma trova fondamento in una scelta economico-
sociale e politica che, come tale, � riservata al legislatore. 

Neppure regge l'altra denunzia, con cui si lamenta la violazione 
dello stesso art. 3 Cost. per intrinseca irragionevolezza delle norme: 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

irragionevolezza dedotta anzitutto con un'argomentazione di carattere 
generale e poi suffragata cbn singoli, specifici motivi. 

A) L'argomentazione generale si fonda sul fatto che la conversione 
non ha carattere universale, ma � rimessa alla volont� delle parti, le 
quali possono non chiederla, protraendo cos� il rapporto di mezzadria 
per il tempo previsto dall'art. 38: il che, secondo le ordinanze di rimessione, 
priverebbe l'istituto di qualsiasi fondamento razionale, non essendo 
compatibile il potere dispositivo attribuito ai soggetti interessati con 
il carattere automatico (o coattivo) della trasformazione richiesta dal 
mezzadro. 

Sebbene questo argomento sia ampiamente sviluppato anche negli 
scritti difensivi dei concedenti, non sembra alla Corte che esso sia 
convincente. 

Indubbiamente il legislatore del 1982, come gi� rilevato, ha inteso 
perseguire l'interesse �superiore della produzione e nello stesso tempo 
comporre i conflitti tra le categorie interessate, creando un sistema di 
effettivo e perdurante equilibrio; a ci� egli ha provveduto, tendenzialmente 
inclinando per il contratto di affitto e ulteriormente ribadendo il 
suo giudizio sfavorevole per la mezzadria: giudizio sfavorevole dovuto 
non tanto al carattere associativo di essa, perch� gli art. 30 e 36 consentono 
negozi associativi di altro tipo (e lo stesso art. 45 � interpretato da 
parte della dottrina nel senso che autorizza tali negozi, sia pure con 
l'assistenza delle organizzazioni sindacali), quanto per la ricordata sua 
intrinseca inidoneit� funzionale a realizzare, di regola, il modello agrario 
pi� conveniente. 

Ci� posto, sembra eccessivo accusare la legge di irrazionalit� sol 
perch� essa, sui contratti in corso, non � intervenuta autoritativamente 
e drasticamente, ma ha voluto utilizzare la cooperazione delle parti, 
lasciando al loro giudizio di stabilire se l'inidoneit� funzionale della 
mezzadria, generalmente riscontrabile, si riveli insussistente nel singolo 
caso, sicch� esse possano decidere di proseguire il rapporto in corso. La 
scelta legislativa non poteva certo non essere incondizionatamente obbligatoria 
per i futuri contratti; per quelli in corso, invece, non sembra 
irragionevole aver consentito nei singoli casi concreti, in base alle precedenti 
esperienze, il giudizio delle parti interessate sul funzionamento 
dello strumento giuridico scelto e la facolt�, loro accordata, .di perdurare 
nel rapporto in atto. 

B) Per quanto concerne poi le singole norme invocate come tertium 
comparationis, osserva brevemente la Corte che da esse non pu� ricavarsi 
alcun elemento degno di rilievo. 

Non � invero illogico che la conversione sia stata esclusa per le 
unit� produttive insufficienti (art. 31), in quanto l'inidoneit� del fondo 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

non permetterebbe di conseguire il potenziamento e miglioramento dell'agricoltura, 
che � uno dei due obiettivi fondamentali a cui � preordinato 
l'intervento del legislatore in tema di conversione. 

Fuori di proposito -e senza alcuna motivazione -vengono poi 
indicati gli artt. 28, 32 e 33, i quali prevedono casi particolari di conversione, 
rispettivamente relativa ad aziende pluripoderali o richiesta da pi� 
concessionari, mentre completamente estranea alla materia in esame � 
la disposizione dell'art. 37, concernente modificazioni delle quote di riparto 
dei prodotti e degli utili. Si deve pertanto concludere che la censura 
mossa in riferimento all'art. 3 Cost. si presenta, sotto tutti gli aspetti, 
priva di giuridico fondamento. 

Brevi rilievi sono sufficienti per confutare la censura riferita all'articolo 
43 Cost., mossa dai giudici a quibus sul presupposto che la conversione 
importi, a carico del concedente, espropriazione dell'impresa. 

Tale norma, la quale consente che la legge possa prevedere -a favore 
dello Stato, o di enti pubblici, o di comunit� di lavoratori o di 
utenti -la riserva, mediante espropriazione e salvo indennizzo, di imprese 
di preminente interesse generale attinenti a servizi pubblici essenziali, 
a fonti di energia e a situazioni di monopolio, sarebbe stata violata, 
sempre secondo i detti giudici, sotto diversi aspetti: precisamente perch� 
la conversione sarebbe prevista senza il rispetto della riserva di 
legge, dato che le parti, come si � detto, possono escluderla, e sarebbe 
prevista altres� senza indennizzo, nonch� a favore di soggetti diversi da 
quelli indicati nella stessa norma costituzionale citata. 

In contrario � sufficiente obiettare che nell'ipotesi in esame non si 
configura un trasferimento dell'impresa agricola, ma soltanto una limitazione 
dell'autonomia negoziale, sostituendosi al rapporto originario di 
mezzadria quello di affitto: il titolare del fondo mantiene integro il 
diritto, generalmente reale, che aveva sui beni, e continua a goderne 
sia pure attraverso un tipo di contratto che, se anche diverso rispetto 
a quello precedentemente stipulato, � pur sempre preordinato al razionale 
sfruttamento del suolo e trova nella pratica degli affari larga applicazione 
(quantitativamente persino maggiore, secondo le statistiche ufficiali, 
della mezzadria). Alla scadenza. dell'affitto il concedente riprende 
poi la libera disponibilit� dei beni aziendali e ci� conferma come nella 
fattispecie non sia ravvisabile alcun trasferimento. (omissis) 

Proprio su questa norma (art. 41 Cost) le ordinanze di rimessione 
fondano la principale censura, ampiamente e insistentemente sviluppata 
dalla difesa dei concedenti, i quali deducono che la disposizione impugnata 
ha soppresso l'iniziativa economica privata o, comunque, ne ha 
ridotto il contenuto al di l� dei limiti costituzionalmente consentiti. 

In proposito osserva la Corte che il cit. art. 41, dopo aver proclamato 
la libert� di iniziativa economica, ammette che la legge ordinaria 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(veramente la riserva di legge non � enunciata espressamente, ma viene 
comunem�nte ritenuta sussistente) ponga delle limitazioni per ragioni 
di utilit� sociale: e tale finalit�, trattandosi di propriet� fondiaria, risulta 
definita dalla stessa Costituzione nell'art. 44, il quale ha per obiettivo il 
conseguimento del razionale sfruttamento dei suoli e l'instaurazione di 
equi rapporti sociali. 

Prima per� di esaminare se l'istituto della conversione possa effettivamente 
giustificarsi secondo il disposto del cit. art. 44 (e cio� in base 
all'utilit� sociale come definita da tale norma), deve la Corte soffermarsi 
su alcuni rilievi pregiudiziali formulati dalla difesa dei concedenti e ampiamente 
sviluppati nella discussione orale. 

Si � eccepito in proposito che l'art. 41 pu� bens� imporre delle limitazioni 
al potere di iniziativa privata per utilit� sociale, ma che tali limitazioni 
non possono spingersi sino al punto di mutare, in aperto contrasto 
con la libera volont� delle parti, la natura e la causa del contratto, e a 
conforto sono state citate le decisioni di questa Corte nn. 53 del 1974 
e 181 del 1981. 

Non sembra per� che il richiamo alle predette decisioni sia pertinente 
e che l'invocato principio possa trovare qui applicazione. 

Nelle fattispecie da tali decisioni considerate, invero, il legislatore 
era intervenuto rispetto ad un regolamento negoziale che viveva nella 
realt� esattamente come le parti lo avevano voluto, e aveva sostituito 
ad esso autoritativamente un diverso rapporto giuridico il quale, in un 
caso (quello della sent. n. 53 del 1974), importava addirittura la sostituzione 
di un diritto reale ad un diritto di obbligazione. 

Nell'ipotesi qui in esame, al contrario, il legislatore si � mosso in 
altro senso, e precisamente per adeguare la disciplina normativa ad una 
situazione in cui, nella normalit� dei casi, la collaborazione imprenditoriale 
tra concedente e mezzadro era solo apparente -per circostanze 
originarie ovvero sopravvenute alla costituzione del rapporto -mentre 
in effetti l'impresa mezzadrile era gestita solo dal secondo, essendosi il 
primo trasformato di fatto in un puro percettore di reddito. Il che fa 
perdere consistenza anche ai rilievi formulati sull'ammissibilit� della 
conversione di un contratto associativo in contratto commutativo: senza 
dire che sulla natura associativa della mezzadria sono state mosse in 
dottrina alcune riserve, ravvisandosi in essa da qualche autore piuttosto 
una contrapposizione di interessi che una comunanza di scopo. 

La ratio legis, cos� individuata, risulta inequivocabilmente dai. lavori 
preparatori e, in particolare, dalla relazione di maggioranza al Senato 
della Repubblica, con cui venne giustificata la conversione forzosa sul 
rilievo appunto che � nella grande maggioranza dei casi nelle imprese 
mezzadrili di fatto l'unico imprenditore � il mezzadro � perch� il conce



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dente ha trascurato i doveri inerenti alla condirezione dell'impresa, disinteressandosi 
di essa e percependo quindi la sua quota alla stregua di un 
canone di affitto. 

N� pu� accedersi alla tesi, svolta in alcuni scritti difensivi delle parti 
concedenti e condivisa da un'esigua corrente dottrinale, secondo cui la 
semplice destinazione di un capitale a fini produttivi � espressione di 
iniziativa economica e perci� deve godere della tutela di cui all'articolo 
41 Cost., ancorch� il titolare, mantenendo una posizione passiva o 
un comportamento omissivo, assuma la figura comunemente definita di 
�assenteista�. In realt� l'art. 41 cit. tutela la posizione dell'imprenditore, 
ossia di colui che eserciti un'attivit� economica organizzata al fine della 
produzione o dello scambio di beni e servizi e quindi, per quanto concerne 
specificamente la questione in esame, di chi si adoperi efficacemente 
per la coltivazione del fondo; solo quest'ultimo quindi pu� considerarsi 
partecipe dell'attivit�. imprenditoriale e, perci�, destinatario della tutela 
dell'art. 41 Cost. 

In base a tutti i superiori rilievi deve ritenersi che la richiamata 
ratio, a cui si � ispirato il legislatore per introdurre l'istituto della conversione 
automatica, merita, in linea di principio, di essere condivisa, 
non essendo certo irrazionale che egli abbia voluto impedire, non solo 
la nascita, ma anche la prosecuzione del rapporto in esame. 

Per� -e qui risiede il vizio della disciplina legislativa -non essendo 
il fenomeno dell'assenteismo assolutamente generalizzato (tenuto conto 
che il relatore al Senato lo rifer� alla �grande maggioranza dei casi�), 
non pu� ritenersi rispondente all'imprescindibile requisito dell'utilit� 
sociale, voluto dall'art. 41 ed esplicato per la propriet� fondiaria dall'art. 
44, una conversione indiscriminatamente disposta anche per i casi 
in cui il concedente abbia adempiuto i suoi oneri, e in cui quindi, funzionando 
il rapporto normalmente, risulta senza dubbio ingiustificata la 
trasformazione forzosa disp'!sta dal legislatore. 

Al riguardo � certamente esemplare il caso dell'imprenditore agricolo 
a titolo principale, ossia di colui che dedica alla coltivazione della terra 
almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che !I'icava 
dall'attivit� medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da 
lavoro risultante dalla propria posizione fis�ale (art. 12 legge 9 maggio 
1975, n. 153). Tale figura, individuata dapprima in sede comunitaria (Di� 
rettive nn. 159 e 160 del 1972) e quindi accolta nella legislazione nazionale, 
� stata giustamente considerata pienamente rispondente ai requisiti sog� 
gettivi per la proficua gestione del fondo agricolo. Infatti sono stati previsti 
nei confronti dell'imprenditore predetto agevolazioni e incentivi 
idonei al proseguimento dell'attivit� di un settore generalmente depresso 
(vedasi legge n. 153 del 1975 cit.). Pertanto non consentito, in base ai 


442 

OlVlS 011!!0 Vl!IllV::>OMV,11!IO VND!ISSW 

parametri degli artt. 41 e 44 Cost., deve ritenersi il trattamento riservato 
al detto imprenditore dall'art. 30 della legge impugnata, il quale contiene 
una disciplina contorta e contraddittoria che, in definitiva, permette la 
estromissione di lui dall'impresa, equiparandolo in tal modo al concedente 
�assenteista�. 

Analogamente non pu� ritenersi consentita la conversione forzosa 
nei confronti dei concedenti che osservano in maniera adeguata i doveri 
inerenti alla condirezione dell'impresa mezzadrile, pur non possedendo 
i rigorosi requisiti prescritti dal citato articolo, resi pi� rigidi dalla legislazione 
nazionale rispetto alla normativa comunitara, che indica il 50 per 
cento (in luogo dei due. terzi) dell'attivit� lavorativa e del reddito da 
lavoro. 

La corretta osservanza dei doveri del concedente, secondo i pi� elementari 
canoni di esperienza e di logica, non pu�, invero, non far ritenere 
l'efficace funzionalit� dell'impresa mezzadrile, sicch� in questo caso 
la conversione automatica non trova razionale fondamento. 

Il fine di stabilire equi rapporti sociali, prescritto dall'art. 44 della 
Costituzione, impone al legislatore ordinario di intervenire per un superiore 
fine di giustizia, ossia per stabilire un equilibro sostanziale fra le 
diverse categorie interessate e rimuovere cos� gli ostacoli che impediscono 
il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei 
coltivatori all'organizzazione economica del Paese: equilibrio che chiaramente 
rimane escluso in presenza di una normativa che privilegia 
smisuratamente e senza alcun valido fondamento razionale una parte a 
danno dell'altra (cfr. per riferimenti sent. 5 aprile 1974, n. 107). (omissis) 

Le gravi conseguenze dell'indiscriminata conversione non sono sfuggite 
alla difesa dei mezzadri, la quale ha sostenuto che esse possono 
essere impedite con l'esercizio del diritto di ripresa previsto dall'art. 42 
legge n. 203 del 1982 in esame e che comunque i concedenti hanno diritto 
al �premio� previsto dall'art. 42 lett. g) legge n. 153 del 1975 cit. 

Tali allgomenti peraltro non sembrano convincenti. 

Per quanto concerne il primo di essi, � sufficiente osservare che il 
diritto di ripresa (mutuato dalla legislazione francese, nella quale per�, 
come s1 e detto, la conversione � stata ragionevolmente limitata) � 
subordinato a tutte le condizioni elencate nelle lettere a), b), e) e d) del 
cit. art. 42, tra cui primeggiano quella di essere coltivatore diretto o 
equiparato e l'assunzione dell'obbligo di coltivare per nove anni il fondo 
direttamente o a mezzo dei propri familiari. Al riguardo va osservato che 
queste condizioni non sono ammissibili nei confronti del concedente che 
ha correttamente osservato i propri doveri e intende mantenere le proprie 
posizioni di imprenditore senza assumere l'impegno o avere la possibilit� 
di coltivare direttamente il fondo: sono evidenti per vero le 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

irrazionalit� ed iniquit� del sistema verso chi, adeguatamente cooperando 
al buon funzionamento dell'impresa agricola, d� il suo contributo per lo 
sviluppo e il potenziamento del settore e quindi non pu� essere allontanato 
per la mera scelta del mezzadro, il quale, peraltro, di tale partecipazione 
si � in precedenza giovato. 

Relativamente al secondo argomento difensivo, � sufficiente replicare 
che l'art. 42 legge n. 153 del 1975 (e cio� molto anteriore all'entrata in 
vigore della legge n. 203 del 1982) non prevede un indennizzo finalizzato a 
compensare una limitazione coattiva, bens� un semplice premio diretto 
ad incentivare il volontario ricorso all'affitto: sicch� non � possibile n� 
sotto il profilo giuridico della qualificazione n� sotto quello economico 
(ossia della sua entit�), la pretesa equiparazione, che, peraltro, � semplicemente 
affermata senza che sia stata data alcuna valida dimostrazione. 

Conclusivamente deve dichiararsi l'illegittimit� costituzionale dell'articolo 
25 legge 3 maggio 1982, n. 203 nella parte in cui prevede che, nel 
caso di concedente il quale sia imprenditore a titolo principale ai sensi 
dell'art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153, ovvero abbia comunque dato un 
adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti associativi 
previsti nel primo comma del cit. art. 25, la conversione richiesta 
dal mezzadro abbia luogo senza il consenso del concedente stesso. Ovviamente 
spetta al giudice del processo civile accertare la concreta adeguatezza 
nei singoli casi dell'attivit� svolta dal concedente nella conduzione 
dell'impresa. 

Tale dichiarazione di illegittimit� determina anche quella dell'art. 30 
relativo all'imprenditore a titolo principale, la cui posizione risulti compresa 
nell'ora indicata pronuncia. 

La pronuncia stessa assorbe poi la censura relativa all'art. 4 della 
Costituzione -il quale tutela ogni forma di lavoro -perch� il concedente, 
il quale ha adeguatamente contribuito alla conduzione dell'impresa 
agricola trova, a seguito di essa, quella piena tutela che, invece, non 
spetta al concedente � assenteista �. 

Di conseguenza va presa in considerazione la posizione del mezzadro 
che non ottiene la conversione per il mancato consenso del concedente, 
non prevista dalla normativa in esame: perci�, in applicazione dell'art. 27 
legge n. 87 del 1953, va altres� dichiarata l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 34, primo comma, lett. b) della legge impugnata nella parte in 
cui non comprende anche il caso di non avvenuta conversione per mancata 
adesione del concedente che sia imprenditore a titolo principale o 
che comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa 
mezzadrile di cui ai contratti associativi previsti nel primo comma 
dell'art. 25 della stessa legge: sicch� anche in tali casi il contratto di 
mezzadria in corso avr� la durata di dieci anni ivi stabilita. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

444 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 maggio 1984, n. 139 -Pres. Elia -Rel. Saja -
Cimarosti (avv. Comporti e Scalari) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Onufrio). 

Agricoltura � Affitto dei fondi rustici � Determinazione del canone � Finalit� 
di � stabilire equi rapporti sociali � -Preminenza. 
(Cast., artt. 3, 42 e 44; I. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 8, 9, 10, 13 e 15; I. 10 maggio 

1978, n. 176, art. 1). 

In presenza di una � riserva rinforzata di legge �, che per di pi� f� 
riferimento anche ad un criterio equitativo (art. 44 Cost.: � di conseguire 
il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali�), 
la linea di demarcazione fra il compito del legislatore ordinario e quella 
della Corte Costituzionale risulta tenue ma non insussistente. Il giudizio 
deve essere invece correttamente circoscritto a stabilire se il canone 
sia talmente basso, non solo da svuotare ovvero comprimere enormemente 
e irrazionalmente il diritto di propriet�, ma anche da impedire 
l'instaurazione di equi rapporti sociali, in modo che risultino violate le 
norme, indicate quale parametro, degli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione. 
Nei rapporti di affitto di fondi rustici deve essere privilegiata (anche 
per l'influsso degli artt. 35 e 36 Cost.) l'equa remunerazione dell'affittuario 
e della sua famiglia. 

Le sette ordinanze in epigrafe, oltre a sollevare alcune questioni specifiche, 
muovono tutte dubbi sulla legittimit� costituzionale della normativa 
concernente la determinazione del canone nel contratto di affitto dei 
fondi rustici, disciplinato dalla vigente legge 3 maggio 1982, n. 203; data 
la comunanza della questione fondamentale, i relativi giudizi vanno riuniti 
per essere decisi con unica sentenza. 

� bene premettere, tralasciando di ricordare precedenti provvedi


menti normativi, i quali pure avevano inciso notevolmente sull'autonomia 

negoziale in ordine al canone di affitto dei fondi rustici, che la legge 

12 giugno 1962, n. 567, a cui comunemente viene collegata l'istituzione 

dell'equo canone, disponeva nell'art. 3: �Per ciascuna provincia la Com


missione tecnica determina ogni due anni, almeno nove mesi prima del


l'inizio dell'annata agraria e per il biennio successivo, la tabella dei canoni 

di affitto, nella misura minima e massima, da considerarsi equi per zone 

agrarie omogenee, per qualit� e classi di terreni e per tipi aziendali, tenu


to conto dello stato di produttivit� dei fondi, dell'esistenza e delle condi


zioni dei fabbricati rurali, delle attrezzature aziendali, degli oneri a carico 

dei pFOprietari locatori, degli apporti dell'affittuario, dei costi e degli 

oneri gravanti sull'impresa, al fine di assicurare una equa remunerazione 

per il lavoro dell'affittuario e della sua famiglia e la buona conduzione 

dei fondi�. 

I


I 


! 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE H5 

Successivamente il legislatore ritenne la disciplina ora ricordata non 
soddisfacente in quanto le commissioni provinciali e quella centrale, di 
cui al successivo art. 5, seguendo di norma i corrispettivi del libero mercato, 
venivano sostanzialmente ad eludere la precipua finalit� economicosociale 
della disciplina stessa. 

Pertanto con la legge 11 febbraio 1971, n. 11 venne abbandonato il 
criterio della produttivit� del fondo per ancorare il canone a quello convenzionale 
del reddito dominicale determinato in base al r.d.l. 4 aprile 
1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976; reddito dominicale 
che, dato il notevole periodo di tempo trascorso dal momento del suo 
accertamento (oltre trenta anni), andava opportunamente adeguato: al 
che si ritenne di provvedere conferendo alla commissione tecnica provinciale 
il p�tere di applicare coefficienti di moltiplicazione compresi tra un 
mini:i;no di 12 ed un massimo di 45 volte (art. 3 legge cit.). 

Tale disposizione venne dichiarata costituzionalmente illegittima da 
questa Corte con sentenza 14 luglio 1972, n. 155, la quale consider� il 
canone come sopra stabilito talmente basso da annullare sostanzialmente 
il diritto di propriet�, con conseguente violazione dagli artt. 42 e 44 Cost. 
Il legislatore ritenne di conformarsi alla predetta decisione con la legge 
10 dicembre 1~73 n. 814, elevando nell'art. 3 i coefficienti di moltiplicazione 
da un minimo di 24 a un massimo di 55 volte e introducendone 
al�uni aggiuntivi, i quali consentivano un aumento complessivo di quin� 
dici punti; ma questa Corte, con sentenza 19 dicembre 1977, n. 153, dichiar� 
l'illegittimit� costituzionale anche di tale disposizione sostanzialmente 
per il medesimo motivo della pronuncia precedente. 

� sopravvenuta infine la legge 3 maggio 1982, n. 203, che ha riordinato 
la materia dei contratti agrari anche per quanto riguarda il canone: ed 
appunto contro quest'ultima normativa si rivolgono le critiche ~ei 
giudici a quibus, i quali denunciano specificamente gli artt. 8, 9, 10 e 13, 
in sostanza ripetendo la medesima censura delle ordinanze che hanno 
dato luogo alle decisioni di questa Corte nn. 155/72 e 153/77, e cosl 
affermando che la nuova legge sarebbe incorsa in difetti analoghi a quelli 
delle leggi precedenti, con la conseguente violazione degli artt. 3, 42 
e 44 Cost. 

Ci� posto, osserva la Corte che da un'attenta comparazione emerge 
come le disposizioni impugnate presentino caratteri marcatamente eterogenei 
rispetto a quelle precedentemente dichiarate incostituzionali. 

Anzituto l'art. 9 ha aumentato i coefficienti di moltiplicazione elevandoli, 
rispetto alla disciplina precedente (24 volte nel minimo e 55 nel 
massimo), da un minimo di cinquanta ad un massimo di centocinquanta 
volte; la stessa norma ha altres� quadruplicato quegli aggiuntivi da quindici 
a sessanta punti, mentre l'art. 13 ha delegato alle Regioni il potere 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di determinare altri coefficienti aggiuntivi fino ad un massimo di trenta 
punti. 

In tal modo gli elementi moltiplicatori a disposizione delle commissioni 
possono arrivare sino a 240 volte in luogo delle 70 consentite dalla 
legge precedente. 

Inoltre la nuova legge (art. 10, primo comma) ha ridotto ad un anno 
la periodicit� dell'adeguamento del canone, che in quella anteriore 
(legge n. 814 del 1973) era biennale, cos� dimostrando maggiore aderenza 
alla mutevole realt� economica. 

Essa ha previsto, ancora, i miglioramenti, addizioni e trasformazioni 
eseguiti dal locatore, prevedendo in tal caso un congruo aumento del 
canone, diversamente determinato a seconda che sia intervenuta o no 
una nuova classificazione del fondo (art. 17, primo comma, e art. 18). 

Merita, infine, di essere ricordato che l'art. 8 legge cit. consente, nell'ultimo 
comma, alle commissioni provinciali di applicare, fino a quando 
non si sia provveduto alla revisione di ufficio dei dati catastali, in relazione 
alla produzione media della zona, coefficienti di moltiplicazione diversi 
(e quindi ovviamente anche maggiori) rispetto a quelli previsti 
dall'art. 9 oppure, addirittura, criteri differenti (e perci� anche pi� 
favorevoli al locatore) da quelli indicati dalla stessa legge. Tale norma, 
com'� evidente, d� una certa elasticit� al sistema, consentendo di impe


dire gravi incongruenze e sperequazioni che, altrimenti, potrebbero 
verificarsi. 

Al riguardo non � superfluo aggiungere che in un corretto procedimento 
ermeneutico non � consentito sopravvalutare la formula letterale 
(�Fino a quando non sia stato provveduto alla revisione d'ufficio dei 
dati catastali...�), dovendosi invece ritenere, in base a quanto imprescindibilmente 
impone l'elemento logico, che il ricordato potere cesser� non 
gi� per il semplice fatto che entrino in vigore ai fini tributari le nuove 
tariffe di estimo (ci� avverr�, come si dir� in prosieguo, il 1� gennaio 
1985), ma soltanto quando tali dati saranno utilizzati anche dal legislatore 
ai fini della determinazione dell'equo canone, sicch� soltanto allora, cessato 
il suo fondamento, risulter� esaurita la previsione normativa. 

In conseguenza dei dati e rilievi ora esposti, la Corte non pu� concludere 
che la situazione normativa � rimasta immutata rispetto a quella 
presa in considerazione dalle due ricordate sentenze. 

A parte quanto sar� osservato in prosieguo sul perdurante riferimento 
al reddito dominicale, � invece indubitabile che il legislatore, come 
chiaramente e ripetutamente risulta anche dai lavori preparatori, ha 
inteso, almeno in linea di tendenza, accogliere i rilievi formulati da 
questa Corte con le due sentenze suddette e attenersi cos� al disposto 
costituzionale e, in particolare, all'art. 44 Cast. secondo cui, relativamente 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

alla propriet� terriera, la legge deve tendere all'obiettivo �di conseguire 
il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali �. 

Tale norma contiene, com'� evidente, una � riserva di legge rinforzata
� in quanto indica al legislatore ordinario determinati scopi (che 
vanno altres� strettamente e teleologicamente collegati e non considerati 
tra loro indipendenti), sicch� questi � obbligato ad operare rigorosamente 
nel senso da essa indicato. Pertanto la legge ordinaria deve anche regolare 
secondo equit� i rapporti suddetti, disciplinandoli, cio�, in base 
ad un principio di superiore giustizia economico-sociale, e stabilire cos� 
un effettivo equilibrio tra le varie categorie interessate, nell'armonica 
tutela dei valori costituzionalmente protetti: tra i quali viene in rilievo 
anzitutto, come dispone anche l'art. 9 quinto comma legge cit., la tutela 
del lavoro dell'affittuario, dovendosi escludere altres� che possa esistere 
nel nostro ordinamento un settore, comunque definito secondo qualificazioni 
giuridico-formali, in cui possano non trovare applicazione i princ�pi 
solennemente proclamati anzitutto nell'art. 1 e poi negli artt. 35 e 36 
della Costituzione. 

In presenza di una �riserva rinforzata di legge�, che per di pi� 
fa riferimento a un criterio equitativo, la linea di demarcazione tra il 
compito del legislatore ordinario e quello della Corte risulta estremamente 
tenue, ma ci� non pu� indurre a negarne la sussistenza. Invero, per 
quanto penetrante possa (e debba) essere il controllo del giudice delle 
leggi per accertare che la normazione ordinaria si sia effettivamente conformata 
al precetto costituzionale, un limite pur tuttavia sussiste, non 
essendo consentito alla Corte procedere a scelte economico-sociali e politiche 
e sostituire in tal modo quelle effettuate dal Parlamento. 

Da ci� discende come la Corte non possa oltrepassare la sua funzione 
di controllo e non possa quindi invadere, come invece con variet� 
di argomentazioni si sollecita in alcuni atti di parte, l'ambito di compe� 
tenza riservato al legislatore. 

Non possono pertanto trrovare ingresso in questa sede critiche e 
censure relative all'entit� del canone, che si fondano su valutazioni 
intrinsecamente e largamente opinabili e su conseguenti scelte riservate 
nel nostro sistema costituzionale al potere legislativo. 

Il giudizio deve essere invece correttamente circoscritto a stabi


lire se il canone sia talmente basso, non solo da svuotare ovvero com


primere enormemente e irrazionalmente il diritto di propriet�, ma 

anche da impedire l'instaurazione di equi rapporti sociali, in modo che 

risultino violate le norme, indicate quale parametro, degli artt. 3, 42 

e 44 della Costituzione. 

In proposito, sia le ordinanze di rimessione sia gli iscritti difensivi 

dei locatori deducono sostanzialmente un solo argomento, consistente 

nel riferimento alla svalutazione monetaria (a conferma del quale ne 


448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

aggiungono un altro di natura tributaria, di cui la Corte si occuper� pi� 
oltre). Si sostiene precisamente che il reddito dominicale, cui � collegata 
la determinazione del canone fissato in relazione ai valori del 1939, dovrebbe 
essere rivalutato in proporzione alla perdita di valore della moneta 
verificatasi suocessivamente a quella data: risulterebbero cos� enormemente 
e irrazionalmente modesti i coefficienti di moltiplicazione stabiliti 
dalle disposizioni impugnate, che, per rispondere a criteri di equit�, 
avrebbero dovuto aumentare di cinquecento volte il predetto reddito 
dominicale. 

Tale tesi non pu� essere condivisa. 

Al riguardo va anzitutto precisato, in linea di princ1p10, che non � 
possibile, come invece qualche volta � avvenuto, riferire il canone al 
solo reddito dominicale, il quale per contro fornisce esclusivamente 
l'elemento base per la sua determinazione. Invero secondo la lewge impugnata 
(come anche per quelle precedenti) il canone � dato dalla risultante di 
vari fattori ed appunto, come dispone il gi� citato art. 9 quinto comma, 
le commissioni tecniche provinciali debbono aver presente nella determinazione 
dei coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale 
-entro l'ambito del minimo e del massimo stabilito dalla legge 
�la necessit� di assicurare in primo luogo un'equa remunerazione del 
lavoro dell'affittuario e della sua famiglia � e devono tenere anche conto 
� degli apporti di capitali dell'affittuario, dei costi di produzione, della 
esigenza di riconoscere un compenso ai capitali investiti e degli _altri 

apporti del locatore�. 

Vero � che l'art. 10, primo comma, per l'adeguamento del canone 
negli anni successivi a quello di inizio del rapporto, richiama, oltre i 
ricordati elementi previsti nel precedente art. 9, anche il �mutamento di 
valore della lira secondo gli indici Istat per i prezzi alla produzione dei 
prodotti agricoli �. Ma, nell'indispensabile coordinamento logico-giuridico 
delle due disposizioni e nell'intero quadro disegnato dal sistema, la formula 
va necessariamente riferita ai prezzi �al netto� (e non gi� �al 
lordo �) in modo che vengano in considerazione anche i �costi di produzione
� espressamente indicati nel cit. art. 9. Se cos� non fosse, la 
disciplina normativa risulterebbe viziata da una gravissima frattura 
logica in quanto introdurrebbe, ai fini dell'adeguamento periodico, up 
elemento addirittura sconvolgente del fondamentale criterio accolto, ponendo 
l'intero onere della svalutazione monetaria a carico dell'affittuario: 
il quale dovrebbe covrispondere un canone sempre maggiore in 
proporzione al costante aumento del prezzo � al 101do � dei prodotti agricoli, 
senza che si debba tener conto del notevole, e anch'esso costante, 
aggravamento dei costi di produzione. Il che potrebbe sensibilmente ridurre 
e, al limite, perfino annullare la remunerazione del lavoro dell'affittuario 
e della sua famiglia, alla quale, invece, il pi� volte ricordato 
art. 9 della legge, in applicazione dell'art. 36 Cost., d� la maggiore tutela. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Peraltro, tanto le ordinanze di rimessione quanto la difesa dei locatori 
non espongono precise argomentazioni a favore della tesi suddetta, 
ma sostanzialmente affidano le censure alle precedenti decisioni di 
questa Corte n. 155 del 1972 e n. 153 del 1977, il cui contenuto intendono 
-come si � gi� detto -nel senso che il canone dovrebbe corrispondere 
al reddito dominicale aumentato in proporzione alla svalutazione 
monetaria. 

Ma tale interpretazione non � accettabile, in quanto la Corte in 
dette sentenze ha fatto s� riferimento alla svalutazione monetaria, ma 
non per dare ad essa quel rilievo meccanico ed unilaterale che si pretenderebbe, 
bens�, al di l� di qualche espressione letterale, per richiamare 
gli effetti indotti dalle oscillazioni del valore della moneta sull'intero 
settore dell'agricoltura e quindi sia sui prezzi di prodotti, sia sui 
costi di produzione. E va ricordato come parte della dottrina abbia 
correttamente interpretato il contenuto delle sentenze ora citate, rilevando 
che la Corte aveva inteso soltanto correggere gli � eccessi � delle 
leggi precedenti ma non aveva alterato la validit� dei nuovi orientamenti 
legislativi e neppure aveva inteso restaurare una ormai superat� 
tutela del contenuto del diritto di propriet� privata della terra. In conclusione, 
deve perci� escludersi che la svalutazione monetaria possa 
agire direttamente nel senso preteso dai locatori: ci� importerebbe 
l'aperta violazione delle norme relative alla tutela del lavoro (artt. 35 
e 36 Cost.) in applicazione delle quali, nei rapporti d'affitto di fondi 
rustici, viene privilegiata -giova ripetere ancora -l'equa remunerazione 
dell'affittuario e della sua famiglia. 

N� ha consistenza l'argomento secondo cui l'irragionevolezza della 
disciplina discenderebbe dalle circostanze che i coefficienti di moltiplicazione 
del reddito dominicale dei terreni, previsti dall'art. 24 d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 597 ai fini tributari e ogni biennio rivalutati, sarebbero 
superiori a quelli stabiliti per l'affitto dei fondi rustici, sicch� 
l'imposta avrebbe una base imponibile maggiore del canone percepito 
dal locatore. 

Se pur l'affermazione fosse esatta, il vizio di costituzionalit� dovrebbe 
colpire non gi� la norma relativa alla determinazione del canone, 
bens� quella tributaria che, in violazione dell'art. 53 Cost., non terrebbe 
conto della capacit� contributiva. Risulta per� assorbente e decisivo 
osservare, come gi� rilevato in dottrina in base a quanto � lecito ermeneuticamente 
ricavare dagli artt. 24 e 25 d.P.R. ult. cit., che nel caso 
di canone coattivamente imposto perch� relativo a fondi dati in affitto, 
il reddito imponibile � correlato al canone fissato dalla legge: il che 
� stato accettato espressamente anche dall'Amministrazione finanziaria, 
la quale ha avuto cura di formulare in proposito un'esplicita avvertenza 
nelle istruzioni allegate al modello per la denuncia dei redditi 
ai fini dell'irpef. 


450 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La infondatezza della questione ora esaminata non impedisce alla 
Corte di riconoscere che nel sistema possano riscontrarsi insufficienze 
e disarmonie le quali, se non sono idonee, allo stato, a far dichiarare 
l'illegittimit� costituzionale delle norme impugnate, devono pur sempre 
essere eliminate dall'ordinamento. 

Esse discendono principalmente dal fatto che, a base della determinazione 
del canone, sono ancora presi in considerazione i dati catastali 
del 1939, i quali, per il lungo periodo trascorso, perdono sempre pi� la 
idoneit� a rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli. 
Questa corte con le due sentenze pi� volte ricordate ha consentito l'utilizzazione 
provvisoria di tali dati in mancanza di altri elementi a cui 
ricorrere. Ma, adesso che i nuovi dati catastali sono stati elaborati e 
stanno per entrare in vigore (il che avverr� il 1� gennaio 1985, come 
disposto dal decreto del Ministro delle finanze 7 febbraio 1984 sulle 
nuove tariffe di estimo), non pu� essere pi�. razionalmente giustificabile 
l'ulteriore protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio 
e la mancata utilizzazione di elementi che sono invece idonei 
a rappresentare la realt� attuale e quindi a porre i rapporti tra concedente 
e affittuario su un piano ad essa pi� rispondente. Il mancato 
impiego dei nuovi dati catastali ai fini dell'equo canone porrebbe un 
problema ben diverso da quello deciso con questa sentenza: quello cio� 
della intrinseca razionalit� di una norma fondata su elementi ormai 
superati da altri ufficialmente acquisiti che, essendo rispondenti alla 
situazione agricola attuale, risultano idonei, essi soltanto, alla corretta 
determinazione del canone di affitto. 

Esaurito cos� l'esame della prima questione, la Corte deve occuparsi 
dell'impugnativa dell'art. 9 I. cit., disposizione che � censurata sotto diverso 
profilo. (omissis) 

B) La Corte di appello di Cagliari impugna il quarto comma dello 
stesso art. 9, che prevede un canone provvisorio, ottenuto moltiplicando 
per settanta volte il reddito dominicale, nel caso di ritardo, annullamento 

o sospensione delle tabelle; detta norma, secondo il giudice a quo contrasterebbe 
con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di eguaglianza 
e per intrinseca irragionevolezza, in quanto: a) il successivo art. 15, 
primo comma, lett. b, prevede il coefficiente settantacinque per il lon-. 
tano triennio 1971-1974; b) non c'� differenza di trattamento, come in 
altre parti della legge n. 203, tra coltivatore diretto e coltivatore non 
diretto; e) non v'� nesso tra il criterio ,di determinazione del canone 
provvisorio ed il canone pagato in precedenza; d) non v'� alcun riferimento 
alle condizioni economiche del creditore; e) la durata del canone 
provvisorio dipende da elementi variabili e accidentali, quali l'efficienza 
e la solerzia delle commissioni provinciali. Al riguardo va per� osservato 
che le norme della legge n. 203/1982 indicate come tertium comparationis 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 451 

riguardano situazioni assai diverse, come inequivocabilmente si evince dal 
loro contenuto sopra richiamato, sicch� non torna applicabile l'invocato 
principio di eguaglianza di cui all'art. 3, che ha per presupposto 
indefettibile l'identit� o, quanto meno, l'omogeneit� delle situazioni giuridiche 
comparate. E deve ancora dirsi che, trattandosi di un acconto, 
e quindi di una misura provvisoria, peraltro contenuta mediamente tra 
il minimo e il massimo previsti dal secondo comma dell'art. 9 (e notevolmente 
aumentata rispetto alla normativa del 1973, che la limitava a 
42 volte) deve escludersi che il potere discrezionale spettante al legislatore 
sia stato esercitato al di l� dei limiti di ragionevolezza. (omissis) 

Fondata � invece la denuncia -mossa in riferimento all'art. 3 Cost. dell'art. 
15, secondo comma, il quale dispone che per le annate agrarie 
1977-1978 e per quelle in corso all'entrata in vigore della l. n. 203 in 
esame si applicano i coefficienti stabiliti negli artt. 9, 10, 13 e 14, diminuiti 
del trenta per cento. 

Esattamente invero il giudice a quo osserva che per le annate 19771978 
e successive � possibile il determinarsi di una situazione in cui il 
canone risulta in concreto inferiore a quello delle annate precedenti: 
cos�, a titolo esemplificativo, per l'annata agraria 1980-1981 si potrebbe 
-in base alla nuova legge -avere il coefficiente di cinquanta volte il 
reddito dominicale, mentre per la remota annata 1970-1971 il coefficiente 
sarebbe addirittura maggiore perch� corrispondente a 55 volte lo 
stesso reddito dominicale. 

Senza indugiare in altri esempi, che risulterebbero altrettanto macro


scopici, osserva questa Corte che ci� evidenzia l'intrinseca irrazionalit� 

della disposizione limitatamente alla previsione della ricordata riduzione. 

Eliminata la quale, la parte principale della disposizione conserva la sua 

validit�: infatti essa ha una propria autonomia poich� si riferisce ai 

coefficienti gi� presi in considerazione dal Parlamento nel corso del


l'ottava legislatura e poi lasciati sostanzialmente inalterati durante tutto 

l'iter di approvazione -della legge in questione, essendosi rivelate stazio


narie, quando non addirittura peggiorate, le condizioni dell'agricoltura 

italiana. 

In tal modo la previsione relativa alla ricordata riduzione del trenta 

per cento risulta estrinsecamente giustapposta a una disposizione (quella 

principale) gi� in s� conclusa e indipendente, sicch� la dichiarazione di 

illegittimit� costituzionale della prima non incide sulla validit� della 

seconda. (omissis) 

Infine, la Corte di appello di Napoli ha sollevato questione di legittimit� 
costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 1, terzo 
comma, l. 10 maggio 1978, n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, 

1. n. 203/82, il quale dispone che sono definitivi i pagamenti dei canoni 
effettuati, senza contestazione del locatore, prima del 29 dicembre 1977 

452 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

e quindi esclude detti pagamenti dal conguaglio disposto dalla legge in 
dipendenza delle ricordate pronunzie di incostituzionalit� di questa Corte. 

La questione � fondata. Le sentenze di accoglimento, in base al 
disposto dell'art. 136 Cost. confermato dall'art. 30 1. 11 marzo 1953, n. 87, 
operano ex tunc perch� producono i loro effetti anche sui rapporti sorti 
anteriormente alla pronuncia di illegittimit� sicch�, dal giorno successivo 
alla loro pubblicazione, le norme dichiarate incostituzionali non possono 
pi� trovare applicazione (salvo quanto discende dall'art. 25 Cost. per la 
materia penale). 

Il principio, che suole essere enunciato con il ricorso alla formula 
della c.d. �retroattivit�� di dette sentenze, vale per� soltanto per i rapporti 
tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i 
quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida. Per rapporti 
esauriti debbono certamente intendersi tutti quelli che sul piano processuale 
hanno trovato la loro definitiva e irrretrattabile conclusione 
mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non vengono intaccati 
dalla successiva pronuncia di incostituzionalit� (salvo quanto disposto 
per la materia penale dal cit. art. 30). Secondo l'orientamento 
talvolta emerso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. n. 58 
del 1967) e il prevalente indirizzo dottrinale, vanno considerati esauriti 
anche i rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione 

o di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad essi 
relativi. Ma quando, come nell'ipotesi considerata dalla normativa denunciata, 
detto termine � pendente e quindi il creditore, secondo i prindpi 
generali, pu� pretendere quanto ancora gli � dovuto, non � consentito al 
legislatore ordinario limitare la portata dell'art. 136 Cost., sia pure 
ricorrendo, come nella specie, all'espediente di introdurre un nuovo 
onere, non previsto al momento dell'avvenuto pagamento parziale, e di 
escludere perci� l'acquisto del diritto successivamente riconosciuto dalla 
legge che ha sostituito quella dichiarata invalida. Cos� operando, il 
legislatore, in realt�, fa in modo che il rapporto oggetto del giudizio 
principale e non ancora esaurito rimanga illegittimamente regolato dalla 
norma annullata, riducendo indebitamente l'operativit� dell'art. 136 della 
Costituzione. (omissis) 
p. q. m. 
(omissis) 4) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1, terzo 
comma, 1. 10 maggio 1978, n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, 

1. n. 203 del 1982 cit., limitatamente alle parole: � senza contestazione 
giudiziaria 
da parte del locatore, o�; 
5) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 15, secondo comma, 

1. n. 203 del 1982 cit., limitatamente alle parole: � diminuiti del trenta 
per cento�; (omissis) 
Ii 

I i 

I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 453 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1984, n. 141 -Pres. Elia -Rel. Gallo Fortunati 
(avv. Miele) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Chiarotti). 

Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Criteri presuntivi indicati 
dal legislatore ordinario -Ragionevolezza. 

(Cost., art. 3; d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, artt. 4 e 6}. 

Ogni qualvolta il legislatore deve ricorrere necessariamente a tipizzazione 
non p�� �che attenersi a criteri generali ed astratti, con ovvi caratteri 
di presuntivit�, che ben possono dar luogo, nella concreta applicazione, 
a situazioni di discriminazione; in sede di controllo di legittimit� 
costituzionale deve valutarsi se il sacrificio imposto a taluni casi particolari 
rientri nella regola discendente della imprenscindibile astrattezza 
della norma, oppure se, eccedendo tali limiti, la norma determini situazioni 
di irragionevole disparit�. 

(omissis) La Corte non ha difficolt� a riconoscere che oggettivamente 
la ratio che � alla base della ostativa disposizione impugnata 
debba essere ravvisata nella pi� recente dimostrazione di pericolosit� 
offerta da chi ha riportato condanna non lieve per delitto doloso in 
prossimit� della data di entrata in vigore del decreto. � anche vero, 
inoltre, che il criterio adottato, e cio� il riferimento alla data della sentenza 
definitiva di condanna, sposta la considerazione del sintomo di 
pericolosit� dal dato obbiettivo sostanziale della commissione del reato a 
quello puramente formale del passaggi� in giudicato del suo accertamento 
giudiziale. Ma evidentemente il legislatore ha ritenuto che, nel corso di 
un quinquennio, almeno i giudizi relativi a reati di non rilevante gravit�, 
che tuttavia comportassero pene superiori a due anni di reclusione, 
avessero grande probabilit� di pervenire al giudicato. Ci� non toglie 
che, attesa anche la situazione di difficolt� in cui versa attualmente 
l'amministrazione della Giustizia, possano darsi casi di reati, commessi 
nel detto quinquennio, il cui definitivo accertamento, specie se molto 
gravi, va a cadere oltre la data di entrata in vigore del decreto; e, per 
converso, ipotesi in cui reati commessi prima dell'inizio del quinquennio 
ricevono sanzione definitiva nel corso di esso. 

Ogni qualvolta. il legislatore deve ricorrere necessariamente a tipizzazione 
non pu� che attenersi a criteri :generali ed astratti, con ovvi 

~1) Le affermazioni riportate nella massima hanno valenze che vanno ben 
al cli l� della vicenda legislativa con riguardo alta quale sono state fatte. Si 
pensi, ad esempio, a disposizioni che stabiliscono criteri presuntivi per l'applicazione 
cli tributi o di contributi previdenziali. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

454 

caratteri di presuritivit�, che ben possono dar luogo, nella concreta 
applicazione, a situazioni di discriminazione che rappresentano il costo 
dell'istituto. Il problema, per quanto concerne il controllo di legittimit� 
esercitabile da questa Corte, � quello di valutare se il sacrificio imposto 
a taluni casi particolari rientri nella regola discendente dalla imprenscindibile 
astrattezza della norma, oppure se, eccedendo tali limiti, la 
norma determini situazioni di irragionevole disparit�. Ma, nel procedere 
a siffatta delicata valutazione, la Corte non pu� non tener conto anche 
delle possibilit� tecniche, a "disposizione del legislatore, di ricorrere a 
criteri diversi che, ferma restando l'esigenza di porre la norma cos� come 
l'avvertiva necessaria nella sua discrezionalit�, limitassero al minimo le 
situazioni di disparit�. 

Orbene, se il legislatore avesse prescelto -come si suggerisce nelle 
ordinanze di rimessione -il criterio della data di commissione del 
reato, altre disparit� non meno inique si sarebbero verificate. (omissis) 

Certo, l'ordinamento processuale conosce anche l'istituto dell'amnistia 
condizionata che ha per effetto di sospendere i procedimenti in corso o 
l'esecuzione della sentenza di condanna fino alla scadenza del termine 
stabilito dal decreto o, se non fu stabilito termine, fino alla scadenza 
del sesto mese dal giorno della pubblicazione del decreto. (art. 596 cod. 
proc. pen.). Ma -come si vede, e come meglio s'intende dalla lettura 
dei 'Successivi cinque commi del citato articolo -si tratta di una sospensione 
a termine fisso perch� la previsione concerne condizioni il cui 
adempimento dipende esclusivamente dalla volont� dell'.imputato. Quale 
termine potrebbe apporre il decreto nell'ipotesi che si va esaminando, 
una volta che -come pur si sostiene dai primi giudici -il passaggio 
in giudicato della sentenza � evento dipendente da molteplici fattori, 
nessuno dei quali � temporalmente valutabile nella sua verificazione? 

Oppure si dovrebbe disporre semplicemente la sospensione a tempo 
indeterminato: il che, per�, comporterebbe H rischio di lasciare pendente 
per molti anni un procedimento, con effetti comprensibilmente 
negativi, anche prescindendo da quelli concernenti la prescrizione che 
sarebbe fatta salva dalla disposizione di cui all'art. 159 cod. pen. 

Solo nei confronti dell'indulto, il legislatore avrebbe potuto, senza 

gravi difficolt� tecniche, prendere in considerazione la data del com


messo reato, subordinando l'indulto a revoca qualora fosse seguita con


danna passata in giudicato per reato commesso nel quinquennio prece


dente all'entrata in vigore del decreto: cos� come, del resto, analogamente 

gi� dispone l'art. 9 del decreto per i reati commessi nei cinque anni 

successivi. Ma se cos� il legislatore avesse disposto, avrebbe determi


nato una situazione interna di disuguaglianza fra le condizioni stabilite 

per l'applicazione dell'amnistia e quelle fissate� per l'applicazione del


l'indulto. (omissis). 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3 sez., 26 gennaio 
1984, nella causa 301/82 -Pres. Galmot -Avv. Gen. Mancini � 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato 
del Regno del Belgio nella causa s.a. Clin-Midy c. Stato belga. Interv.: 
Governi belga (avv. Cambier e Andersen) e italiano (avv. Stato 
Braguglia) e Commissione delle C.E. (sig. van Aekers). 

Comunit� Europee � Libera circolazione delle merci � Disciplina dei 
prezzi � Prezzi delle specialit� medicinali � Poteri degli Stati membri. 

(Trattato CEE, art. 30; direttiva CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, art. 21). 

La direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, per il ravvicinament� 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
relative alle specialit� medicinali, deve essere interpretata nel senso 
che essa concerne unicamente le disposizioni nazionali aventi ad oggetto 
la tutela della sanit� pubblica. L'art. 21 della direttiva deve essere interpretato 
nel senso che l'autorizzazione a mettere in commercio una specialit� 
medicinale pu� essere negata, sospesa o revocata soltanto per 
motivi inerenti alla tutela della sanit� pubblica perseguita dalla direttiva: 
ci� non osta a che gli Stati membri che istituiscano un sistema 
di controllo dei prezzi delle specialit� medicinali ne garantiscano l'osservanza 
con mezzi specifici di detto sistema e conformi al trattato CEE, 
in particolare all'art. 30 di questo (1). 

(1-2) Trattasi di due interessanti pronunzie, con le quali la Corte di 
Giustizia ha disatteso in linea di principio le tesi di alcune case farmaceutiche 
secondo le quali avrebbero dovuto ritenersi incompatibili con <le norme comunitarie, 
sotto valli profili, disposizioni nazionali che disciplinano :il prezzo 
dei medicinali e limitano in qualche modo la somministrazione di essi in 
regime di cassa malattia o il rimborso agli assistiti delle spese sopportate 
per il loro acquisto. 

Con riferimento, in entrambe le sentenze, alla direttiva 26 gennaio 1965, 

n. 65/65 (e nella seconda sentenza anche alla successiva direttiva 20 maggio 
1975, n. 319), per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative relative alle specialit� medicinali, si � chiarito che 
essa, concernendo i prodotti farmaceutici solo in relazione alla tutela della 

456 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 7 febbraio 1984, 
nella causa 238/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini � 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Presidente dell'Arrondissementrechtbank 
dell'Aja, I;tella causa Duphar B.V. ed altri 

c. Stato olandese. Interv.: Governi olandese (ag. Italiener), danese 
(ag. Mikaelsen) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle 
C.E. (~g. Wagenbauer e van Rijn). 
Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci -Medicinali -Regime 
di cassa malattia -Rimborso delle spese -Compatibilit� con le 
norme comunitarie -Limiti. 
(Trattato CEE, artt. 5, 30, 34, 36, 85, 86; direttive CEE del Consiglio 26 gennaio 1965, 

n. 65/65 e 20 maggio 1975, n. 319). 
Le disposizioni adottate nell'ambito di un sistema nazionale di assicurazione 
obbligatoria contro le malattie allo scopo di negare agli assicurati 
la fornitura, a carico dell'ente assicuratore, di determinati medicinali, 
sono compatibili con l'art. 30 del Trattato CEE se la scelta dei 
medicinali esclusi � operata senza discriminazione per quel che riguarda 
l'origine dei prodotti, secondo criteri obiettivi e controllabili, come la presenza 
sul mercato di altri prodotti che hanno la stessa efficacia terapeutica, 
ma sono meno costosi, il fatto che si tratta di prodotti liberamente 
posti in vendita senza vincolo di ricetta medica o di prodotti 
non rimborsabili per motivi di natura farmaco-terapeutica giustificati 
dalla salvaguardia della pubblica sanit�, purch� sia possibile modificare 
l'elenco ogniqualvolta ci� � reso necessario dall'osservanza dei criteri 
seguiti; se tali criteri non sono rispettati, l'art. 36 del Trattato non pu� 
giustificare un provvedimento che mira soprattutto al pareggio del 
bilancio, cio� intende ridurre le spese di esercizio di un sistema previdenziale 
contro le malattie. Gli artt. 5, 34, 85 e 86 del Trattato e le disposizioni 
delle direttive del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65 e 20 mag-. 
gio 1975, n. 319, non ostano ad un sistema di questo genere (2). 

salute pubblica, non contiene alcuna disposizione che limiti il potere degli 
Stati membri di disciplinare i prezzi di tald prodotti, n� alcuna disposizione 
che disciplini il consumo dei prodotti stessi. � 

I problemi della contestata compatibilit� delle disiposizioni nazionali rn 
questione con la normati\'a comunitaria sono stati risolti, quindi, con riferimento 
alla normativa genera:Le del tvattato. 

E sotto questo profilo � interessante notare che, nella seconda sentenza, 
la Corte ha ritenuto le misure nazionali compatibili, a determinate condizdoni, 
con l'art. 30 del trattato, come sostenuto dal Governo dtaliano nelle osservazioni 
che di seguito si riportano in parte, anzich� le misure stesse giustificate 
dalla ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 36 del trattato stesso. 

f 

f 


PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

457 

I 

(omissis) In diritto. 1. -Con sentenza 22 ottobre 1982, pervenuta in 
cancelleria il 3 dicembre 1982, il Consiglio di Stato belga ha sottoposto 
a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, talune questioni 
pregiudiziali vertenti sull'inte11pretazione della direttiva del Consiglio 
26 gennaio 1965, n. 65/65, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative relative alle specialit� medicinali 
(G.U. n. 22 del 9 febbraio 1965, pag. 369), onde poter valutaTe la 
conformit� con questa direttiva del decreto ministeriale 10 febbraio 1976 
che 'dispone il blocco dei prezzi delle specialit� medicinali e fissa, per 
questi prodotti, i margini massimi d'utile dei grossisti, dei farmacisti e 
degli enti ospedalieri. 

2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di un ricorso 
proposto dinanzi al giudice di rinvio da quattordici case farmaceutiche, 
fra cui la societ� Clin-Midy, per l'annullamento del summenzionato 
decreto ministeriale. A sostegno della domanda le ricorrenti hanno dedotto, 
in particolare, che la normativa impugnata contrasta con il diritto 
comunitario e in specie con la direttiva n. 65/65. In questo contesto il 
giudice nazionale ha sottoposto a questa Corte le seguenti questioni: 
1) Se la direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, per il 
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, 
relative alle specialit� medicinali, produca effetti diretti fra gli Stati 
membri e i loro amministrati e questi possano lamentarne la violazione 
dinanzi al giudice nazionale. 

Della compatibilit� con il trattato CEE di limitazioni nazionali 
all'assistenza farmaceutica 

1. -Il Governo italiano -si era detto nelle osservazioni presentate alla 
Corte -ritiene che l'art. 30 del trattato non osti a che uno Stato membro, 
nell'intento di fare economia nel� settore dell'assistenza fa.rmaceutioa, emani 
norme unilaterali con cui si privano gli assistiti dcl diritto alla somministrazione 
di determinati medicinali, se la determinazione di includere o escludere 
un determinato prodotto dal regime �assistenziale � fatta con criteri obiettivi, 
senza discriminazione fra prodotti nazionali e prodotti importati. Le !l:estrizioni 
quantitative all'importazione o alla esportazione e le misure di effetto 
equivalente sono vietate, in quanto discriminatorie, ma le norme appaiono 
invocate fuori luogo in presenza di una misura nazionale che non ha intenti 
discriminatori, ma, pur avendo indubb~amente effetti negatiV1i per il commercio 
dei prodotti esclusi dal regime assistenziale, colpisce indifferentemente 
prodotti nazionali e prodotti importati sulla base di considerazioni assolutamente 
obiettive. Sotto questo profilo, quindi, non � neanche necessario 
invocare l'art. 36 del Trattato. 
2. � Anche in Italia -si era precisato -esiste un sistema che pone limiti 
all'assistenza farmaceutica, con la predisposizione di un prontuario forma

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2) Se la direttiva 26 gennaio 1965, n. 65/65, riguardi solo il ravvicinamento 
delle disposizioni aventi come scopo la salvaguardia della 
sanit� pubblica oppure riguardi anche il ravvicinamento di altre disposizioni 
relative alle specialit� medicinali, ed in particolare quelle emanate 
per il controllo dei prezzi. 

3) Se l'art. 21 della direttiva n. 65/65 vada interpretato nel senso 
che l'autorizzazione a mettere in commercio una specialit� medicinale 
possa essere rifiutata, sospesa o revocata per inosservanza della disciplina 
dei prezzi. 

Sulla prima questione. 

3. -Con questa questione il giudice di rinvio chiede in sostanza se 
la direttiva n. 65/65 abbia efficacia diretta nell'ordinamento giuridico 
nazionale degli Stati membri e se, di conseguenza, i singoli possano invocarla 
dinanzi ai giudici nazionali. 
4. -Detta questione si porrebbe soprattutto nell'ipotesi in cui uno 
Stato membro negasse l'autorizzazione alla messa in commercio per motivi 
divers� da quelli contemplati dalla direttiva, ad esempio per garantire 
l'osservanza della sua normativa sui prezzi. A questo proposito, si 
deve constatare che le disposizioni della direttiva che stabiliscono le 
condizioni per il rilascio, la sospensione o la revoca dell'autorizzazione 
alla messa in commercio, in particolare l'art. 21, sono incondizionate e 
sufficientemente precise per poter essere invocate dalle persone inteceutico 
che indica i medicinali ammessi al regime assistenziale e con la fissazione 
di una quota di partecipazione a carico degli assistiti per alcuni degli 
stessi medicinali ivi indicati. Il sistema, peraltro, garantisce obiettivit� nella 
scelta, perch�, ai sensi dell'art. 30 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, sul 
servizio sanitario nazionale, nella formazione del prontuario devono essere 
applicati i princ�pi dell'efficacia terapeutica, della economicit� del prodotto e 
della semplicit� e chiarezza della classificazione. E il Comitato di esperti che 
propone, a norma di legge, il prontuario, -il quale non � un elemento statico 
e �immutabile, ma continuamente variabile e quindi dinamico, per le possibHit� 
di un continuo aggiornamento -, ha da tempo elaborato criteri 
oggettivi di valutazione. 

a) Per quanto riguarda l'efficacia terapeutica si considerano efficaci 
quei farmaci di provata utilit� terapeutica nell'uomo dotati di un rapporto 
rischio-beneficio, accettabile in relazione alle indicazioni ed anche in confronto 
con altri medicamenti' avent:i analoghe indicazioni. Laddove sussistono 
dubbi sull'attivit� terapeutica, la valutazione dell'efficacia � fatta in base 
all'esame critico della documentazione clinica comparsa in letteratura. Gli 
studi clinici devono risultare rispondenti a criteri scientificamente accettabili; 
occorre, inoltre, che i dati s1ano riferiti a un numero sufficiente di 
pazienti; che esistano gruppi di controllo appropriati; che i parametri rilevati 
siano clinicamente pertinenti; che le tecniche di analisi statistica siano cor



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 459 

ressate dinanzi ad un giudice nazionale contro qualsiasi disposizione 
legislativa, regolamentare od amministrativa del diritto nazionale non 
conforme alla direttiva. 

Sulla seconda questione. 

5. -Nel preambolo della direttiva si dichiara che ogni normativa 
concernente la produzione e la distribuzione delle specialit� medicinali 
deve mirare essenzialmente a tutelare la sanit� pubblica. Il ravvicinamento 
delle disposizioni nazionali in materia, voluto dalla direttiva, ha 
la funzione di eliminare le disparit� tra di esse esistenti in quanto 
abbiano l'effetto di ostacolare gli scambi di specialit� medicinali. La 
direttiva costituisce per� soltanto la prima fase dell'armonizzazione e 
mira a sopprimere innanzitutto le disparit� che possono compromettere 
in maggiore misura il funzionamento del mercato comune. A tale scopo 
essa stabilisce condizioni comuni per l'autorizzazione a mettere in commercio 
specialit� medicinali, per la sospensione e la revoca di questa 
autorizzazione e, infine, per l'etichettatura dei prodotti da lei contemplati. 
6. -Risulta pertanto che la direttiva � intesa soltanto a ravvicinare 
le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati 
membri che concernono i prodotti farmaceutici in relazione alla sanit� 
pubblica. Essa non contiene alcuna disposizione che limiti il potere degli 
Stati membri di disciplinare i prezzi di questi prodotti. Nel silenzio della 
direttiva, tale limitazione non si pu� presumere. 
rettamente applicate e che esista una descmzione dettagliata del protocollo 
sperimentale. In particolare si tiene conto anche delle seguenti considerazioni: 
la collo~one delle sostanze nella terapia delle affez.ioni per le quali 
� indicata, in rapporto alle alternative terapeutiche; l'u1Ji.lizzaz.ione del farmaco 
per una patologia di scarsa rMevanza per fo stato di salute dell'indi� 
viduo o della comunit�; J.a possibile !introduzione di vincoli alle prescmzioni 
nell'ambito del prontuario -in ordine a1 rapporto rischio-beneficio -per 
alcuni farmaci che presentino util�zzazioni terapeutiche particolari per Ila 
riarit� o la gravit� dell'affezione a cui si rivolgono o per H livello di conoscenza 
necessario 'ai f�llli di un loro corretto e sicuro dmpiego. 

Questi criteri di efficacia corrispondono sostalrai.almente a quelli adottad 
dagli organi tecnici del Ministero della sanit� in sede di esame della domandadi 
autorizzazione all'immissione in commercio (artt. 4 e 5 della sopracitata 
direttiva CEE del Consiglio n. 65/65 del 26 gennaio 11965) e se in alcuni casi 
se ne discostano, ci� dipende dalla necessit� di indivFduare, tra tutte le specialit� 
medicinali, que1le aventi particolare efficacia, pi� consona agJ.d indirizzi.i 
del servizio sanitario nazionale. In molti casi la mancata inclusione di specialit� 
medicinali � stata segnalata al Ministero della sanit� perch� tali specialit� 
fossero sottoposte all'esame di revisione da parte degli organi tecnici 
a ci� preposti, ai fini dell'eventuale revoca della registrazione. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

460 

7. -Di conseguenza la seconda questione va cos� risolta: la direttiva 
del Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, per il ravvicinamento delle disposizioni 
legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialit� 
medicinali, dev'essere interpretata nel senso ch'essa concerne unicamente 
le disposizioni nazionali aventi ad oggetto la tutela della sanit� pubblica. 
Sulla terza questione. 

8. -Il Consiglio di Stato chiede in sostanza se l'art. 21 della direttiva. 
n. 65/65 vada interpretato nel senso ch'esso impedisce agli Stati membri 
di negare, sospendere o revocare l'autorizzazione a mettere in commercio 
specialit� medicinali per l'inosservanza della normativa in materia di 
prezzi. 
9. -A questo proposito occorre sottolineare che l'espressione � autorizzazione 
all'immissione in commercio � ai sensi della direttiva si riferisce 
unicamente all'autorizzazione avente come scopo la tutela della 
sanit� pubblica e che l'esistenza di tale autorizzazione non implica che 
siano soddisfatte le altre condizioni alle quali � subordinata la legittima 
messa in commercio della merce. 
10. -L'art. 21 della direttiva dispone che l'autorizzazione alla messa 
in commercio pu� essere negata, sospesa o revocata solo per i motivi 
indicati dalla direttiva. Dalla lettura degli artt. 3-10 di questa, che trattano 
dell'autorizzazione alla messa in commercio, e degli artt. 11 e 12, 
b) Il prmc1p10 dell'economicit� del prodotto trova dl suo fondamento 
nell'esigenza delfimpiego razionale delle risorse che perv�ade l'iintera 1egge 
sul servizio sanitario nazionale. 

La legge, nel suo complesso, manifesta la preoccupazione del conteni� 
mento dei costi o, pi� in generale, della massimizzazione del rapporto benefici-
costi: cfr., ad es., l'art. 2 n. 7, che si rifedsce esplicitamente alla economicit� 
del prodotto; l'art. H, 2� comma, lett. c), che sottolinea l'esigenza 
della cordspondenza tra costi e benefici; il titolo I, capo V, in cui sono 
contenute norme sui controlli, contabilit� e finanziamento; il titolo Il, airtt. 53 
e 56, dove ci si occupa del piano sanitario na:zfonale cUI� sono subordinati i 
piani s�anitari regionali: e ancora l'art. 28 3� comma, che tende �a eliminare 
i margini di iintemneclia:zfone; l'art. 29, 2� comma, che si preoccupa di evitare 
che i prezzi si discostino troppo dai costi di produzione. 

Il conoetto di economicit� :implica un rapporto tra risultati ottenuti e 
risorse impiegate. Nel caso del prontuario terapeutico, tirattandosi di una 
funzione pubblica, � neoessario considerare tutti d costi e tutti d benefici da 
chiunque sopportati o goduti. Si parla cos� di costi e benefici sociali. 

La misurazione dei benefici sociali in genere non � agevole. In materia 
di 1assistenza farmaoeutica essi comunque devono riflettere l'efficacia terapeutica 
1sociale dei medicinali (dove l'aggettivo � sooiale � implica la considerazione 
di elementi quali la qualit� della malattia, la sua durata, la sua diffusione, 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 461 

che concernono la sospensione e la revoca della stessa, risulta che il 
Consiglio 11.a voluto che il diniego, la sospensione o la revoca della suddetta 
autorizzazione possano giustificarsi con i soli motivi di sanit� 
pubblica espressamente contemplati dalla direttiva. 

11. -La terza questione va pertanto risolta come segue: l'art. 21 della 
direttiva dev'essere interpretato nel senso che l'autorizzazione a mettere 
in commercio una specialit� medicinale pu� essere negata, sospesa o 
revocata soltanto per motivi inerenti alla tutela della sanit� pubblica 
perseguita dalla direttiva. 
12. -Ci� non osta a che gli Stati membri che istituiscano un sistema 
di controllo dei prezzi delle specialit� medicinali ne garantiscano l'osservanza 
con mezzi specifici di detto sistema e conformi al Trattato, in 
particolare all'art. 30 di questo. (omissis) 
Il 

(omissis) In diritto. 1. -Con ordinanza 16 settembre 1982, giunta alla 
Corte il successivo 29 settembre, il presidente dell'Arrondissementsrechtbank 
dell'Aia ha sottoposto, in virt� dell'art. 177 del Trattato CEE, 
dive:vse questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 3, 5, 
30, 34, 36, 85 e 86 del Trattato e della direttiva del Consiglio 26 gennaio 
1965, n. 65/65 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, 
regolamentari e amministrative relative alle specialit� medicinali (G.U. 

le sue conseguenze sull'attivit� lavorativa, i. gruppi sociali maggiormente 
esposti, le capacit� del f�armaco di prevenire forme di morbosit� ad elevato 
costo per fa societ�). 

La realizmzione dell'obiettivo dell'econonrloit� presuppone, acoa.nto ad 
una semplice migliore articolaz;ione del prontuario terapeutico, l'attivazione di 
altri strumenti da parte della pubblica amministrazione: informazione periodica 
su . scopi, caratteristiche e composizione del prontuario, nonch� sulle 
modalit� di. utilizzo dello stesso; diffusione di altre <informazioni rilevanti, 
quali ad esempio il costo di terapie alternative effettuabiM oon i farmaci 
del prontuario; indiividuazione dii altre forme di educazione permanente del 
medico sull'impiego del prontuario medesimo; richieste di relazione dioica 
a corredo della prescrizione di gruppi o di singoli formaci destinati a terapie 
particolari; indiwduazione di strutture e/o operatoili specializzati cui riservare 
la prescrtizione di alcuni gruppi di farmaci; eventuale introduzione di 
controlli statistici (quantitativi) nelle prescrizioni; eventuale dntroduzione di 
oontro1li campione sull'adeguatezza (qualitativa) della prescrtizione alla diagnosi. 


c) Il terzo principio stabilito dalla legge, que1lo della semplicit� e chiarezza 
della classificazione, � chiamato a soddisfare un'esigenza di omogeneit� 
di collocazione dei vari pmnc�pi attivi. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

462 

1965, n. 22, pag. 369) e della direttiva del Consiglio 20 maggio 1975, 

n. 75/319, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative relative alle specialit� medicinali (G.U. n. 147, 
pag. 13) onde poter valutare la compatibilit� con questa disciplina di 
una normativa nazionale sulla fornitura di medicinali e bendaggi a carico 
di una cassa malattia. 
2. -Dette questioni sono insorte nell'ambito di un procedimento 
urgente promosso nei confronti dello Stato olandese (in prosieguo: il 
convenuto nella causa principale) da 23 societ� del ramo farmaceutico 
(in prosieguo: le attrici) onde chiedere che vengano disapplicati, perch� 
incompatibili con il diritto comunitario, specie con gli artt. 3, 5, 30, 34, 
36, 85 e 86 del Trattato, nonch� con le direttive 65/65 e 75/319 summenzionate, 
gli artt. 2 e 3, come pure gli allegati che vi si riferiscono, del 
� Besluit farmaceutische hulp ziekenfondsverzekering 1982 � del 22 luglio 
1982 (decreto sull'assistenza farmaceutica a carico della cassa malattia) (
Staatscourant n. 139 del 23 luglio 1982). 

3. -Questo decreto ha la funzione di migliorare la qualit� delle prestazioni 
farmaco-terapeutiche e di far fronte al rilevante passivo del 
sistema olandese di assistenza previdenziale contro le malattie. A questo 
scopo, l'art. 2 dispone che gli assicurati al regime obbligatorio di cassa 
malattia non potranno pi� ottenere la fornitura dei prodotti farmaceutici 
e dei medicinali limitativamente elencati negli allegati 1 e 2 del decreto; 
all'art. 3 si dispone che gli stessi potranno ottenere la fornitura dei pro-
La sua applicazione ha dato luogo ad un lungo iavoro di riconsiderazione 
di tutti. ii gruppi chimici e k classi terapeutiche di appartenen2)a dei 
farmaci !l!a cui vendita � 'soggetta a prescrizione medica. La claissil�cazione 
adottata necessariamente assume un carattere dinamico, in quanto deve essere 
sottoposta ad un'azione di costante reviisiione ed affinamento in base al progresso 
del1e conoscenze via vfa recepite dn occasione degli �aggiornamenti del 
�prontuario terapeutico, in armonia con l'esigenza �di fare del prontuario 'stesso 
quel dinamico strumento di programma2lione del settore voluto dalla legge. 

3. -Le limitazioni che spesso g1i Stati sono costretti ad apportare 
all'assistenre farmaceutl.oa derivano da esigenre imperative di politica nazionale 
di contenere la spesa pubblica e in particolare la spesa sanitaria. Le 
soluzioni di volta in volta adottate nella scelta dei criteri limitativi possono 
in effetti recare pregiudizio a qualcuno: oi� � ineluttabile, perch� esse devono 
adattarsi �a situazioni contingenti, ,spesso di emergenza, con possibilit� di 
rapidi mutamenti a seconda del mutamento delle ciroostanre. 
Le stesse imprese farmaceutiche che hanno dato corso alle cause dinainzi 
al giudice olandese per s�entir dichiararie illegittimo il decreto nazionale 
-si era concluso -riconoscono tale esigenza e la necessit� di adottare 
misure adeguate. Esse si limitano a sostenere che il sistema delle liste positive 
e negative adottato dall'autorit� olandese non � accettabile, perch� es~stono 
misure alternative che danno riisultati migliora e sono meno doloros�e e discrii-

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 463 

dotti elencati nell'allegato 4 del decreto solo previa autorizzazione della 
cassa malattia, che sar� rilasciata solo se si pu� ragionevolmente ritenere 
che la mancata somministrazione di quel determinato prodotto 
comprometterebbe molto seriamente il risultato della terapia. 

4. -Secondo la motivazione del decreto litigioso, l'inclusione dei 
prodotti nella lista dei medicinali esclusi, di cui ai vari allegati, � stata 
dettata da considerazioni particolari per ciascuna categoria di prodotti. 
I prodotti elencati nell'allegato 1 sono stati esclusi a motivo del loro 
prezzo in quanto -a giudizio di una commissione centrale medicofarmaceutica 
-ciascuno di questi prodotti pu� essere sostituito da altri 
aventi le stesse virt� terapeutiche, ma venduti a prezzo inferiore. I 
prodotti di cui all'allegato 2 sono prodotti di drogheria, che possono 
essere venduti anche fuori dalle farmacie. I medicinali di cui all'allegato 4 
sono stati esclusi in quanto -sempre a giudizio della commissione 
centrale medico-farmaceutica -sono prodotti che, per motivi definiti 
�di ordine farmaco-terapeutico� devono venir prescritti solo in casi 
molto specifici. 
5. -Ritenendo che la soluzione della controversia dipende dall'interpretazione 
di varie norme di diritto comunitario, il presidente dell'Arrondissementsrechtbank 
ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
I) Se il diritto comunitario, contenuto negli artt. 30, 34 e 36 del 
Trattato CEE vada interpretato nel senso che gli articoli in questione 

minanti. Ma qui sta proprio il punto. Vengono indicati come criteri alternativi 
gli interventi sul pJ1ezzo dei medicinali, gli interventi sulle abitudini di prescrizione 
dei medici, l'istitll2lione di quote di partecipazione per gli assistiti. 

.Ebbene non si pu� non rilevare ictu oculi che ciascun sistema pu� 
offrire degli dnconvenienti e pu� portare pregiuddzi a una o pi� persone, a 
una o pi� categorie, a tutta la comunit�. � pi� probabile che un sistema misto 
possa contempevare gli opposti interessi; cos� nel siistema italiano v'� un ,gd. 
sterna misto che pJ1evede da un lato liste positive e, per esclusione, un'implicita 
lista negativa e dall'altro una compartecipazione a1la spesa dell'assistito, 
iii tutto dn un contesto che pu� aveJ1e incidenza nella determinazione del 
prezzo e nella rioerca e nella scelta ocu1ata da parte del medico. 

Ma non v'� dubbio che il sistema non pu� essere uguale in ogni paese 
e, soprattutto, che non pu� esseJ1e uguale dn ogni tempo. Sar� compito di 
ciascuno Stato, nel rispetto delle sue competenze, soegliere La via che ruterr� 
pi� adeguata a seconda delle circostanze, attraverso una scelta economicapolitica 
che tenga conto della .situazione contingente. 

I imiti che la scelta delo Stato incontra sono quelli consueti: oggettivit� 
e non discruminazione. E oertamente oggettivo e non discriminante � un criteruo 
basato suH'efricacia tevapeutica e l'economicit� del prodotto, applicato 
con garanzie procedimentali che evitino qualsiasi arbitro. 

OSCAR FIUMARA 



464 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ostano a che uno Stato membro, nell'intento di fare economia nel settore 
dell'assistenza farmaceutica agli assicurati contro le malattie, emani 
norme unilaterali con cui si privano gli assicurati del diritto alla fornitura 
di determinati medicinali e bendaggi; 

II) Se il diritto comunitario, contenuto nell'art. 5 del Trattato CEE, 
in relazione al combinato disposto degli artt. 21, 11, 12 e 5 della direttiva 

n. 65/65 e 32, 28 e 31 della direttiva n. 75/319, vada interpretato nel senso 
che dette disposizioni hanno efficacia diretta; 
III) In caso affermativo, se quindi dette disposizioni vadano interpretate 
nel senso sopra esposto; 
IV) Se il diritto comunitario, contenuto nel combinato disposto degli 
artt. 3, lett. f), 85 e 86 del Trattato CEE vada interpretato nel senso 
che dette disposizioni hanno efficacia diretta; 

V) In caso affermativo, se dette disposizioni vadano quindi interpretate 
nel senso sopra esposto �. 

I. Sulla prima questione. 
6. -La prima questione mira in sostanza a stabilire se il divieto di 
misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione 
(art. 30) e all'esportazione (art. 34) si applichi ai provvedimenti (come 
quelli test� descritti) con i quali uno Stato membro, onde ridurre le 
spese inerenti l'assicurazione obbligatoria contro le malattie, esclude la 
fornitura -per gli affiliati a questo regime -di determinati medicinali 
e bendaggi espressamente elencati. Il giudice nazionale vorrebbe inoltre 
sapere se, qualora questa parte della questione sia risolta affermativamente, 
l'art. 36 del Trattato consenta di derogare a questo divieto. 
7. -Onde risolvere la prima questione, si deve precisare come vadano 
interpretati gli artt. 30, 34 e 36 del Trattato, in considerazione delle caratteristiche 
della normativa nazionale di cui trattasi. 
A. Sull'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato. 
8. -Le attrici nella causa principale propongono di interpretare l'articolo 
30 nel senso che una disciplina come quella in questione nella fattispecie 
rappresenta una misura d'effetto equivalente a una restrizione 
quantitativa all'importazione poich� comprime gli scambi comunitari e per 
i fornitori rende impossibile la vendita sul mercato in questione di deter� 
minati medicinali importati, dato che la quota di prodotti farmaceutici 
consumati che viene a gravare sulla cassa malattie corrisponde, in realt� 
al 70 per cento del totale. ! 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ,465 

9. -Le attrici nella causa principale osservano che siffatto provvedimento. 
non esula dal divieto dell'art. 30 per il solo fatto che vale indistintamente 
per i prodotti nazionali come per quelli importati. Infatti, 
secondo la giurisprudenza della Corte, anche provvedimenti indistintamente 
applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati dagli altri 
Stati membri, ma che ostacolano gli scambi comunitari, non esulano dal 
divieto di misure d'effetto equivalente salvoch�: 
a) faccia difetto una disciplina comunitaria; 
b) gli ostacoli scaturiscano dalla disparit� tra le legislazioni nazionali 
in materia di vendita di un prodotto; 
e) vi siano gravi motivi connessi, tra l'altro, con l'efficacia dei controlli 
fiscali, con la tutela della pubblica sanit�, con la correttezza delle 
transazioni commerciali o con la tutela del consumatore; 
d) e queste esigenze rendano indispensabili gli ostacoli. 

10. -Secondo le attrici nella causa principale, queste condizioni non 
sussistono per nessunac delle tre categorie di prodotti esclusi specificati 
negli allegati del decreto litigioso. Per quel che riguarda i prodotti 
esclusi in ragione del prezzo (allegato 1), esse osservano che, anche se 
-per ipotesi -il desiderio di ridurre le spese per le cure terapeutiche 
pu� giustificare determinate restrizioni alla norma fondamentale della 
libera circolazione delle merci, un provvedimento nazionale che si risolve 
in un divieto cos� generale sarebbe eccessivo. Lo scopo prefissato potrebbe 
venir perseguito mediante provvedimenti che incidono meno 
sul funzionamento del mercato comune e sul gioco della concorrenza. 
Per quel che riguarda gli articoli di drogheria (allegato 2) esse 
contestano che esista una delle ragioni imperiose, riconosciute dalla 
giurisprudenza della Corte, ed in particolare che l'esclusione sia giustificata 
da motivi di tutela della sanit� pubblica. Quanto ai prodotti farmaceutici 
esclusi per ragioni definite � farmaco -terapeutiche� (allegato 4) 
esse contestano inoltre che sussistano le condizioni specificate in precedenza, 
in particolare l'ostacolo non sarebbe conseguenza di una disparit� 
tra legislazioni nazionali relative alla vendita dei prodotti in questione. 


11. -Lo Stato olandese, convenuto nella causa principale, osserva 
che il divieto dell'art. 30 non pu� estendersi a provvedimenti come quelli 
sui quali verte la controversia di merito. Esso ritiene anzitutto che non 
costituiscono ostacolo agli scambi comunitari. Allorch� la pubblica autorit� 
si accolla in massima parte l'onere dei medicinali e degli altri prodotti 
terapeutici consumati nel paese, agisce come operatore economico 
e come tale ha libert� di scelta -al pari di qualsiasi altro operatore tra 
i prodotti offerti sul mercato e pu� preferire un prodotto piuttosto 

466 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

che un altro. Allorch�, come nella fattispecie -continua il convenuto -� 
l'autorit� nazionale ha compiuto la sua scelta in base a considerazioni 
oggettive ispirate alla preoccupazione di salvaguardare la qualit� dell'assistenza, 
non si pu� parlare di ostacoli agli scambi tra Stati membri. 

12. � Il convenuto nella causa principale aggiunge che, pur se, per 
ipotesi, i provvedimenti come quelli in causa potessero considerarsi idonei 
ad ostacolare gli scambi, non costituirebbero comunque provvedimenti 
d'effetto equivalente a restrizioni quantitative vietate dall'art. 30. 
Questi provvedimenti, indistintamente applicabili ai prodotti nazionali 
e a quelli importati, sarebbero in realt� dettati da ragioni tassative nella 
fattispecie il risanamento e ,di riflesso, la .conservazione di un 
regime nazionale di cassa malattia -che, secondo la sentenza della 
Corte 20 febbraio 1979 (REWE, causa 120/78, Racc. pag. 649) giustificano 
questo genere di ostacoli e li sottraggono al divieto dell'art. 30. Infine 
-in subordine -il convenuto nella causa principale osserva che, anche 
se i provvedimenti in questione dovessero venir considerati misure 

d'effetto equivalente a restrizioni quantitative, fruirebbero delle deroghe 
di cui all'art. 36 del Trattato in quanto restrizioni giustificate da motivi 
di tutela della sanit�. 

13. � La Commissione ritiene che il decreto in questione rappresenti 
una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa. Essa ricorda 
tuttavia che, nella sua sentenza del 20 febbraio 1979 (gi� ricordata), 
la Corte non avrebbe fissato' un elenco limitativo delle ragioni 
tassative che potrebbero giustificare un provvedimento nazionale che 
incide sul volume delle importazioni. Essa ritiene che il decreto, che 
mira a sanare la gestione finanziaria di un regime di cassa malattia, si 
potrebbe ritenere compatibile con l'art. 30, anche se incidesse sugli scambi 
commerciali. Il provvedimento vale indistintamente per i medicinali 
fabbricati� nei Paesi Bassi quanto per quelli importati. Non vi sarebbe 
disparit� di trattamento in funzione dell'origine dei prodotti. Inoltre, 
non sarebbe stato adottato alcun provvedimento che possa pregiudicare 
direttamente la vendita propriamente detta dei prodotti. Detta vendita 
rimane perfettamente libera, sicch� ciascu.Ilo � in grado di procurarsi 
i medicinali in questione -se necessario -in virt� di una ricetta medica. 
Tuttavia, per l'ipotesi in cui la Corte dichiarasse l'incompatibilit� 
dei provvedimenti litigiosi con l'art. 30 del Trattato, la Commissione ritiene 
che i giustificativi enunciati dall'art. 36 non valgono nella fattispecie. 
14.. Il Governo danese ha dichiarato di ritenere che una disciplina 
nazionale che contempla -per ragioni sociali e in funzione di criteri 
obiettivi -un'assistenza pubblica in campo farmaceutico, non � incompa-

I ! 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

tibile con gli artt. 30 e seguenti del Trattato, a condizione che, nell'operare 
la selezione delle specialit� farmaceutiche rimborsate dal sistema 
assistenziale, si tenga conto esclusivamente -secondo una valutazione 
obiettiva e imparziale� -del loro valore terapeutico e delle spese ine� 
renti una terapia sanitaria normale e indispensabile. 

15. -Onde determinare la portata del divieto sancito all'art. 30 del 
Trattato nei confronti delle misure nazionali come quelle in questione, 
� opportuno, in primo luogo, osservare che la disciplina di cui il giudice 
deve sindacare la compatibilit� con il diritto comunitario, presenta 
la particolarit� di garantire, in linea generale, il rimborso, a una rilevante 
percentuale della popolazione, del prezzo di tutti i prodotti farmaceutici 
che possono venir prescritti ai pazienti dai sanitari iscritti 
all'albo. Sotto questo profilo, la disciplina si differenzia da quella di altri 
Stati membri ove valgono elenchi limitativi dei medicinali o prodotti 
assimilati per i quali � concesso il rimborso. E' questo particolare che 
spiega la decisione, adottata per ridurre i costi di esercizio, di modificare 
la normativa elaborando elenchi limitativi dei prodotti esclusi. 
16. -Pur se non � possibile -come sostiene il convenuto nella 
causa principale -assimilare l'autorit� competente di uno Stato membro 
che, nell'ambito di un sistema previdenziale contro le malattie finanziato 
dai �contributi degli assicurati e da partecipazioni finanziarie della 
pubblica autorit�, adotta una disciplina che riduce e limita il rimborso 
dei prodotti farmaceutici, ad un operatore economico che per ogni operazione 
sceglie liberamente le merci che acquista sul mercato, si deve 
ammettere che il diritto comunitario non scalfisce la competenza degli 
Stati membri ad impostare i loro sistemi previdenziali e ad adottare, 
in particolare, norme miranti a disciplinare il consumo dei prodotti far� 
maceutici salvaguardando l'equilibrio finanziario dei loro sistemi previdenziali 
contro le malattie. 
17. -Analogamente si deve riconoscere che, in un regime che si 
fonda -come quello vigente nei Paesi Bassi -sul rimborso di tutti i 
medicinali che pos,sono essere prescritti, non �, in linea di principio, incompatibile 
con il diritto comunitario il fatto che lo Stato membro interessato 
elabori, onde realizzare economie di bilancio, elenchi limitativi 
escludendo dal rimborso determinati prodotti. 
18. -Nonostante provvedimenti quali quelli in esame non abbiano 
relazione diretta con l'importazione di medicinali prodotti negli altri 
Stati membri, non si pu� negare, nel contempo, che possono avere, a 
seconda della loro impostazione e della loro applicazione, un'incidenza 

468 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sulle possibilit� di vendita dei prodotti e che, sotto questo aspetto, possono 
indirettamente incidere sulle possibilit� di importazione. 

19. -E' opportuno ricordare a questo proposito che 1'80 per cento 
dei medicinali consumati in Olanda sono importati e che la percentuale 
dei prodotti che vanno a carico del sistema previdenziale pubblico � 
pari al 70 per cento del consumo totale di medicinali. Ci� implica che, 
allorch� un prodotto non � rimborsato dall'ente previdenziale, diminuisce 
il suo volume di vendite, con il rischio della sua esclusione dal mercato 
nazionale. 
20. -Tuttavia, tenuto conto della specificit�, sotto questo aspetto, 
del mercato dei prodotti farmaceutici, nel quale gli enti previdenziali si 
sostituiscono ai consumatori nell'accollarsi l'onere della spesa per i 
prodotti farmaceutici, una normativa quale quella in esame non pu� 
considerarsi di per s� come restrizione alla libert� di importazione garantita 
dall'art. 30 'del Trattato, a condizione che sussistano alcuni presupposti. 
21. -Si deve sottolineare, a questo proposito, che la conformit� di una 
simile disciplina con il Trattato implica che, nella scelta dei prodotti da 
escludere non 'Si operi alcuna discriminazione a danno dei prodotti importati. 
Per questo motivo, gli elenchi dei prodotti esclusi devono essere 
compilati secondo criteri obiettivi, indipendenti dall'origine dei prodotti 
e controllabili da parte di qualsiasi importatore. Se sussistono questi 
presupposti, un importatore avr� accesso al mercato olandese se � in 
grado di offrire un prodotto che, a parit� di valore terapeutico, avr� 
prezzo inferiore ad un altro prodotto disponibile sul mercato. Questa disciplina 
non pregiudicherebbe minimamente la libert� di vendita di qualsiasi 
prodotto conforme a questa definizione, che non si riferisce alla 
natura del prodotto, bens� soltanto al suo prezzo. 
2. -Si deve dunque risolvere la prima questione dichiarando che le 
disposizioni adottate nell'ambito di un sistema nazionale di assicurazione 
obbligatoria contro le malattie allo scopo di negare agli assicurati 
la fornitura, a carico dell'ente assicuratore, di determinati medicinali, 
sono compatibili con l'art. 30 del Trattato se la scelta dei medicinali 
esclusi � operata senza discriminazione per quel che riguarda 
l'origine dei prodotti, secondo criteri obiettivi e controllabili, come la 
presenza sul mercato di altri prodotti che hanno la stessa efficacia terapeutica, 
ma sono meno costosi, il fatto che si tratta di prodotti liberamente 
posti in vendita senza vincolo di ricetta medica o di prodotti 
non rimborsabili per motivi di natura farmaco-terapeutica giustificati 
dalla salvaguardia della pubblica sanit�, purch� sia possibile modifi

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 469 

care l'elenco ogniqualvolta ci� � reso necessario dall'osservanza dei criteri 
seguiti. 

23. -Qualora il giudice nazionale constatasse che il provvedimento 
del quale deve valutare la conformit� con il diritto comunitario non 
presenta i requisiti cui � subordinata la conformit� stessa, � opportuno 
ricordare, per quel che riguarda l'applicazione dell'art. 36 del Trattato, 
come la Corte ha ripetutamente affermato (vedasi, ad esempio, sentenza 
19 dicembre 1961, Commissione c/ Italia, causa 7 /61, Racc. pag. 639), che 
l'art. 36 contempla provvedimenti di natura non economica. Questa 
disposizione non pu� quindi giustificare un provvedimento che mira soprattutto 
al pareggio del bilancio, cio� intende ridurre le spese di esercizio 
di un sistema previdenziale contro le malattie. 
B. Sull'interpretazione dell'art. 34 del Trattato. 
24. -La prima questione mira pure a far stabilire se l'art. 34 del 
Trattato vada interpretato nel !?enso che vieta una disciplina nazionale 
come quella di cui trattasi. Le attrici nella causa principale sostengono 
che il decreto litigioso rappresenta una misura d'effetto equivalente ad 
una restrizione quantitativa all'esportazione ai sensi di detto articolo. 
25. -Come la Corte ha gi� affermato nella sentenza dell'8 novembre 
1979 (Groenveld, causa 15/79, Racc. pag. 3409), l'art. 34 riguarda i 
provvedimenti nazionali che hanno per oggetto o per effetto di restringere 
particolarmente le correnti di esportazione e di provocare cos� una 
disparit� di trattamento tra il commercio interno di uno Stato membro 
e il suo commercio d'esportazione, in modo da avvantaggiare particolarmente 
la produzione nazionale o il mercato interno dello stato interessato. 
26. -Si deve perci� risolvere negativamente la prima parte di questa 
questione. 
IL Sulla seconda e sulla terza questione. 

27. -La seconda e la terza questione sottoposte dal presidente dell'Arrondissementsrechtbank 
mirano in sostanza a stabilire se il combinato 
disposto degli artt. 5 del Trattato e 5, 11, 12 e 21 della direttiva del 
Consiglio 26 gennaio 1965, n. 65/65, nonch� il combinato disposto dell'art. 
32 e degli artt. 28 e 31 della direttiva del Consiglio 20 maggio 1975 
abbiano efficacia diretta (seconda questione) e -in caso di soluzione 
affermativa -se essi ostino ad una disciplina del tipo di quella litigiosa 
ora in esame (terza questione). 
llllllllllJllllllllllllBlllllJlllllilllllllllllllllllll11111 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

470 

28. -Come giustamente ha osservato la Commissione, il decreto in 
questione non riguarda l'accesso al mercato ai sensi delle direttive summenzionate, 
poich� la validit� delle autorizzazioni concesse in applicazione 
di dette direttive non viene messa a repentaglio. I nuovi prodotti 
immessi sul mercato olandese possono fruire di un'autorizzazione se 
rispondono alle condizioni poste per il rilascio della stessa. La terza questione 
va quindi risolta in senso negativo. Alla luce di queste considerazioni, 
la seconda questione si svuota di contenuto. 
III. Sulla quarta e quinta questione. 
29. -Con la quarta e la quinta questione, il presidente dell'Arrondissementsrechtbank 
chiede se il combinato disposto dell'art. 3, lett. f), 
e degli artt. 85 e 86 del Trattato abbiano effetto diretto e ostino ad una 
disciplina come quella litigiosa ora in esame. 
30. -Si deve osservare a questo proposito che gli artt. 85 e 86 del Trattato 
fanno parte delle norme sulla concorrenza �applicabili alle imprese� 
e quindi non entrano in linea di conto per la valutazione della conformit� 
con il diritto comunitario di una legislazione come quella sulla quale 
verte la causa principale. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 aprile 1984 n. 2145 -Pres. Gambogi -
Rel. Colasurdo -P. M. Miccio (concl. diff.). -Soc. S.1.0.T. (avv. Piras) 

c. Ente Autonomo del Porto di Trieste (avv. Pacia) e Ministero delle 
Finanze (avv. dello Stato D'Amato). 
Giurisdizione civile -Regolamento preventivo di giurisdizione -Mancata 
sospensione del processo -Invalidit� degli atti compiuti dal giudice 
amministrativo per temporaneo difetto del potere di giudicare Conferma 
della giurisdizione amministrativa da parte delle SS.UU. Effetti. 
(Artt. 41, 156, 159, 353, 367, 383 c.p.c.; art. 30 legge 6 dicembre 1971 n. 1034). 

Gli atti compiuti dal giudice amministrativo durante il periodo compreso 
tra la proposizione e la definizione della questione di giurisdizione 
sono invalidi perch� il giudice stesso � temporaneamente privo di potestas 
iudicandi e, di conseguenza, la conferma della giurisdizione da parte 
delle SS.UU. della Corte di Cassazione, in sede di regolamento, comporta 
non solo la rimozione della pronuncia di appello, che non ha riconosciuto 
l'invalidit� della decisione di primo grado del T.A.R., ma anche la 
necessit� di rimettere le parti davanti al primo giudice perch� il processo 
riprenda il suo corso, arrestatosi per il sopravvenire della sospensione ex 
art. 367 c.p.c. a norma del terza comma dell'art. 383 in relazione al primo 
comma dell'art. 353 c.p.c. (1). 

(1) Ancora una pronunda che analizza le conseguenze scaturenti dalla 
mancata sospensiione del processo da paTte del giudice adito in relazione 
al1a proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione. 
I punti ,saldenti della decisione possono essere individuati in: 1) proponibilit� 
del regolamento preventivo ili giurisdizione anche in procedimenti 
pendenti innanzi a giudici di ordine diverso (cfr. come immediato precedente 
Cass., 20 dicembre 11972, n. 3632, in Foro it., 1973, I, 34 con nota di V. ANDRIOLI, 
Un caso di carenza temporanea di giurisdizione; in dottrina cfr. G. VERDE, 
Profili del processo civile, Napoli, Jovene, 1978, pp. 44-45; F. CIPRIANI, Il regolamento 
di giurisdizione, Napol.i, Jovene, ,1981; V. ANDRIOLI, Diritto processuale 
civile, vol. I, Napoli, Jovene, 1979, p. 131; 2) sospensione automatioa 
de iure del processo pendente nel quale s1a proposta (valida) istanza di regolamento 
preventivo di giurisdizione, nel quadro generale disdplinato dall'art. 
48, secondo comma, e dagli artt. 295 e ss. c.p.c., con la caratteristica, 
nell'ipotesi de quo rispetto alle altre, di sottrarre al giudice la cognizione 
della questione pregiudiziale che l'ordinamento riserva alle SS.UU., quale 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

472 

Con il primo mezzo la ricorrente deduce che la decisione, attraverso 
un'interpretazione abrogativa, nella sostanza, della disposizione contenuta 
nell'art. 30 u.p. legge 6 dicembre 1971 n. 1034, sarebbe venuta a 
equiparare il regolamento preventivo della giurisdizione a un'impugnativa, 
sovvertendo con questo ogni principio e norma in materia, per attribuire 
efficacia sanante dell'invalidit� della pronuncia -emessa indebitamente 
dal primo giudice in pendenza del regolamento stesso -alla 
sentenza delle Sezioni Unite sopravvenuta, che aveva riconosciuto la giurisdizione 
amministrativa. 

Il motivo � fondato, e inutilmente, per quanto si dir�, l'Amministrazione 
resistente eccepisce il difetto di interesse a sollevare la questione, 
e l'esorbitanza di questa dai limiti esterni della giurisdizione deducibili 
in questa sede. 

Superato definitivamente il problema dell'ammissibilit� del regolamento 
preventivo in discors� nei giudizi che si svolgono davanti a giudici 
diversi da quello ordinario, quello della sua incidenza si � gi� presentato 
all'esame di queste Sezioni Unite, che lo hanno risolto riconoscendo 
che anche davanti a tali giudici opera il principio della sospensione 
obbligatoria prevista dall'art. 367 c.p.c., dovendosi ugualmente accettare 
in -via preventiva l'ordine giudiziario che deve conoscere delle 
controversie (sent. 20 dicembre 1972, n. 3632 e 6 maggio 1978, n. 2163, 
principalmente). 

La necessariet� della sospensione di diritto, e la sua automatica operativit�, 
che deriva direttamente dal fine al quale l'istituto � preordinato, 
sono state riferite, tuttavia, alla concreta idoneit� dell'istanza ad assolvere 
la sua funzione, dato che sarebbe ispirato a un ossequio puramente 
formale della legge, e contrario a ogni principio di economia dei giudizi, 
farle derivare in modo meccanico dalla proposizione del ricorso. Al giudice 
di merito � stato riconosciuto, quindi, il potere di svolgere l'accerta


organo supremo di giuni.sdizione (cfr. sent. 3632/72 cit., ribadita dalla recente 
Cass., 12 gennaio 1984, n. 222, in Foro it., 1984, 1242, con nota di C.M. BARONE; 
contm >in dottrina, per l'operativit� ope iudicis CIPRIANI, op. cit., p. 283 e ANDRIOLI, 
op. cit., pp. 130 e 1136). Da ci� il potere per il giudice di non sospendere 
il processo 'se il regolamento proposto sia inammissibile o ~mprocedibile 
(cfr. Cass., 20 giugno .1973, n. 1822, in Foro it., 1973, I, 2418; Cass., 6 maggio 
:1978, n. 2164, ivi, 1978, I, 1363; id., 3 giugno 1978, n. 2773 e 2774, ivi, 1978, 
I, 2900; id., 3 ottobre 1977, n. 4180, ibidem, 11408; per 1a ~urispruden2la amministrativa 
cfr. Cons. Stato, V 'sez., 30 settembre 11975, n. 1233, in Cons. Stato, 
1975, 1018); 3) se dal tempomneo difetto della potestas iudicandi deriva la 
invalidit� degH atti compiuti dal giudice, ai� non comporta, per�, che fa 
senten:m conf.ermati'.'a della giurisdi2lione sani l'iUegittimit� della pronuncia, 
sia per�h� il giudiZJio incidentale per natura si innesta su quello di merito 
sen2la rifluirvi direttamente, sia perch� la viiolazione dell'obbligo di sospensione 
frustra la finalit� istituzionale del regolamento preventivo (evitare giudizi 
inutili) 1e, quindi, non vale applicare il caso all'iart. ,156 c.p.c., �Sia perch� 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

473 

mento relativo, che pu� anche non limitarsi alla delibazione dei presupposti 
formali (S.U. 12 gennaio 1984, n. 222 e prec.). 

Su questo piano, il Consiglio di Stato ha insindacabilmente accertato 
che il primo giudice aveva proceduto in tale indagine in modo del tutto 
erroneo, sicch�, non trovando fondamento la mancata sospensione del 
processo, il proseguimento di questo costituiva violazione dell'art. 30 u.p. 
legge 1034/1971. 

La disposizione invero, sancisce tale obbligo e, richiamando genericamente 
l'art. 41 c.p.c., lascia intendere che il richiamo si estende alla 
intera disciplina del regolamento preventivo, quale espressione di un 
principio generale che ha fatto riconoscere estesa all'istituto la norma 
dell'art. 48 cpv c.p.c., dettata per il regolamento di competenza, al pari 
di quelle degli artt. 295 e 699 stesso cod. che vi sono correlate (sent. 
3632/1972 cit.). 

La sospensione che, secondo il preciso dettato dell'art. 367 c.p.c., consegue 
necessariamente alla proposizione della (valida) istanza di regolamento 
preventivo della giurisdizione, operando di diritto in vista della 
finalit� del mezzo, rimane indifferente all'adozione di un formale provvedimento 
che la disponga e cos� anche alla violazione dell'obbligo di rispettarla, 
dato che nel periodo compreso tra la proposizione e la definizione 
della questione giurisdizionale, il giudice di merito � privo di 
potestas iudicandi, secondo quanto ha riconosciuto la gurisprudenza di 
queste Sezioni Unite pi� recente (sent. 3632/1972 cit. e segg.). 

La decisione impugnata nega che ci� avvenga ritenendo che un tale 
difetto, sia pure temporaneo, di potere decisorio, parallelo alla sospensione 
di diritto del processo, non si concili con la possibilit� di adottare 
provvedimenti urgenti, o di sospendere l'esecuzione del provvedimento 
impugnato, riconosciuta dall'art. 30 legge 1034/1971 pi� volte citato al 
tribunale amministrativo regionale, e che l'annullamento senza rinvio che 
ne deriverebbe a norma dell'art. 34 della stessa legge, come la cassazione 

il regolamento de quo non � un mezzo di impugna:llione. Contra Cons. Stato, 
V sez., 28 agosto 1981 n. 379, in Cons. Stato, 1981, 927; cfr. Cass., 3 giugno 1978, 

n. 2774, cit.; 4) distinzione dell'ipotesi del sopravvenuto riconosoimento della 
competenza giurisdiZJionale da parte delle SS.UU. (dove il processo � stato 
validamente inoardii;nato, ma � indebitamente proseguito, e si applica J'art. �159 
c.p.c. (f.atl!ispecie in esame) da quella del suo diniego (dove la decisione emessa 
da un giudice pnivo fin dall'origine di poteri cognitivi risulta viiziata in tutto 
lo svolgimento dell'iter processuale e t'ende necessaria la cassazione senza 
rinvio). 
Sull'art. 35 1. n. 1034/71 cfr. CIPRIANI, op. oit., pp.� 289-91. In dottrina sull'argomento 
cfr. da ultimo, A. PROTO PISANI, Problemi e prospettive in tema 
(di regolamenti) di giurisdizione e di competenza, in Foro it., .1984, V, 89. 

GABRIELLA PALMIERI 



474 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della: pronuncia, si porrebbe in contrasto con il principio dell'economia 
dei giudizi. 

Questo non appare esatto perch�, secondo quanto hanno riconosciuto 
i precedenti di questa Corte sopra citati e la sentenza 6 giugno 1973, n. 73, 
della Corte Costituzionale, che la motivazione della sentenza qui impugnata 
richiama, anche in materia di regolamento preventivo della giuririsdizione 
vale, come si � detto, il disposto dell'art. 48 comma secondo 
c.p.c., che consente il compimento degli atti urgenti, compresi quelli di 
istruzione preventiva considerati dall'art. 697 stesso cod., che non siano 
connessi con la questione di competenza giurisdizionale. 

Nei riguardi delle altre questioni, che non presentano le stesse esigenze 
indifferibili di tutela, occorre invece che si soprassieda alla decisione 
per il tempo necessario all'esaurimento della fase incidentale, che 
comporta un ritardo, ma non certo privo di giustificazione, visto che lo 
stesso ordinamento lo impone. 

La situazione, del resto, non � diversa da quella che si determina in 
seguito alla necessit� di risolvere una qualsiasi questione incidentale 
riservata alla cognizione di un giudice diverso (incidente di falso, ad es.) 
da risolvere preventivamente, o di adottare provvedimenti cautelari indifferibili, 
com'� per la sospensione del provvedimento impugnato che 
la legge istitutiva riconosce, come si � detto, ai tribunali amministrativi. 

La sospensione in esame, quindi, si riconduce nel quadro generale 
disciplinato dagli artt. 295 e segg. del codice di rito, che non consente di 
compiere atti del procedimento (art. 298 stesso cod.) se non nei casi eccezionali 
sopra considerati. 

Rispetto all'ipotesi normale di sospensione, quella in esame presenta, 
piuttosto, la caratteristica di sottrarre al giudice la cognizione della questione 
pregiudiziale, che l'ordinamento riserva alle Sezioni Unite quale 
organo supremo della giurisdizione, posto in materia extra ordinem rispetto 
all'ordinaria disciplina del giudizio (sent. 222/1984 cit.). 

Il temporaneo difetto del potere di giudicare che ne deriva, e che 
nel passato aveva fatto ritenere che la decisione emessa in pendenza del 
regolamento preventivo fosse soggetta a condizione risolutiva se la giurisdizione 
fosse stata negata (S.U. 31 marzo 1950 n. 1877) o fosse radicalmente 
nulla per carenza di potestas iudicandi (sez. II, 11 dicembre 1950 

n. 2705), � stato successivamente ritenuto soltanto invalidante, come si 
� anticipato, cos� da consentire alla pronuncia di passare in giudicato 
anche sul capo relativo all� giurisdizione, o di essere rimossa se impugnata, 
indipendentemente dall'esito della decisione sul regolamento in 
parola. 
Tutto ci�, peraltro, non comporta la possibilit� di ravvisare nella 

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sentenza confermativa della giurisdizione una sanatoria dell'invalidit� della 

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pronuncia, come ha ritenuto invece il Consiglio di Stato, sia perch� il giu-

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI D1 GIURISDIZIONE 475 

dizio incidentale, per sua natura, si innesta su quello di merito senza 
tuttavia influire direttamente su questo, sia perch� la violazione dell'obbligo 
di sospensione che qui interessa viene ad annullare la finalit� istituzionale 
del regolamento preventivo, che � quella di evitare giudizi inutili 
individuando previamente l'ordine giudiziario competente. 

L'attivit� processuale svolta indebitamente � illegittima per sua essenza, 
e tale rimane cos� da non poter trovare una convalida nella risoluzione 
positiva della questione giurisdizionale, che � estrinseca al giudizio 
di merito. 

Anche sotto il profilo della sanatoria degli atti processuali la conclusione 
non pu� essere diversa, dato che la nullit� di un atto pu� essere 
sanata dal conseguimento dello scopo al quale � preordinato (art. 156 
c.p.c.), mentre nell'ipotesi di esame risulta elusa proprio la finalit� di 
prevenzione per la quale � stato dettato il regolamento. 

Questo, d'altronde, non � un'impugnativa, n� si surroga, sia pure in 
parte, ai mezzi di impugnazione, per anticiparne in qualche modo gli 
effetti, tanto che consente la formazione del giudicato pure nei riguardi 
della giurisdizione, implicitamente affermata con la decisione di merito, 
nonostante che sia poi negata alle Sezioni Unite. 

Su tale base si � ritenuto da queste Sezioni Unite che il riconoscimento 
dell'invalidit� della pronuncia, una volta impugnata ritualmente, 
comporti la cassazione senza rinvio del provvedimento, senza riguardo 
all'esito del regolamento di giurisdizione proposto in via preventiva (sentenza 
6 maggio 1978 n. 2163 e prec.). 

Ma un ulteriore approfondimento del delicato problema, reso necessario 
dalla particolarit� del caso presente (in cui � stata riaffermata 
la giurisdizione che nei casi precedenti era stata, invece, riconosciuta 
insussistente) induce a temperare il rigore di questa affermazione, distinguendo 
l'ipotesi del sopravvenuto riconoscimennto della competenza 
giurisdizionale rispetto a quello del suo diniego, essendo diversa la situazione 
processuale sulla quale viene ad incidere la sentenza delle Sezioni 
Unite. 

Fermo restando che la pronuncia sulla giurisdizione rimane estranea 
a quella di merito, la decisione emessa da un giudice privo fin dall'origine 
di poteri cognitivi risulta viziata in tutto lo svolgimento dell'iter 
processuale, cos� da rendere necessaria la cassazione senza rinvio del 
provvedimento. 

Nella seconda ipotesi, invece, la sussistenza del potere istituzionale 
del giudice ad�to viene ad essere confermata, solo che questo potere 
risulta esercitato, al momento della decisione, in un periodo nel quale 
gli era stato sottratto temporaneamente, per essergli restituito con la 
sentenza che definisce il regolamento. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel primo caso, dunque, l'accertamento definitivo del difetto assoluto 
di potestas iudicandi viene a travolgere il giudizio di merito nel 
suo complesso, e la decisione nella quale � culminato; nell'altro, invece, 
viene a cadere su un processo che � stato validamente incardinato, ma 
� indebitamente proseguito, per cui occorre avere riguardo alla sola 
fase del processo nella quale il potere decisorio � venuto meno. 

Da questo momento, infatti, e non anche prima, l'attivit� processuale 
� divenuta praeter legem, non potendo l'invalidit� essere fatta retroagire 
agli atti posti in essere in precedenza, per i limiti che incontra 
l'efficacia esterna dei vizi (art. 159 cod. proc. civ.). 

Il processo, invero, come indica la parola stessa, � costituito da una 
concatenazione di atti rivolti alla definizione della lite, ma la progressione 
nella quale si sostanzia, pur facendo convergere le diverse componenti 
nella funzione unitaria di affermare il diritto nel caso da decidere, 
non toglie individualit� ai singoli atti, cos� da non consentire che 
il vizio di uno di essi si trasmetta agli altri, se questi non trovano nell'atto 
viziato il loro presupposto condizionante. 

L'invalidit� in discussione, conseguentemente, sopravviene alla regolare 
instaurazione del giudizio, che ha segu�to il suo corso normale fino 
a che non � divenuta operante la sospensione che ha precluso al giudice 
di procedere ulteriormente nel giudizio. 

Necessaria conseguenza di tutto questo � che, nella specie, la conferma 
della giurisdizione comporta non solo la rimozione della pronuncia 
di appello, che non ha riconosciuto l'invalidit� della decisione di 
primo grado, ma anche la necessit� di rimettere le parti davanti al primo 
giudice perch� il processo riprenda il suo corso, arrestatosi per il sopravvenire 
della sospensione imposta dall'art. 367 cod. proc. civ., a norma 
del terzo comma dell'art. 383 in relazione al primo comma dell'art. 353 
cod. proc. civ. 

Questa soluzione trova conforto nei precedenti dello stesso Consiglio 
di Stato che, nell'ipotesi inversa del difetto di giurisdizione affermato 
dal tribunale amministrativo e negato, invece, da quello di appello, 
hanno riconosciuto l'esigenza di disporre un nuovo giudizio di 
prima istanza per sopperire alla mancata definizione di questo da parte 
del primo giudice (Ad. plen. 30 giugno 1978 n. 18; Sez. V, 6 novembre 
1981, n. 538). 

La situazione non � diversa nel caso in esame, dato che la riconosciuta 
invalidit� della prima decisione viene a risolversi nel riconoscimento 
della mancanza di una effettiva cognizione da parte del primo 
giudice, al quale deve essere rinviata la causa in aderenza al principio 
generale del doppio grado di giurisdizione. 

Risultano assorbite, conseguentemente, le altre doglianze, che sollevano 
le questioni necessariamente subordinate del difetto di un inte



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 477 

resse giuridicamente rilevante che legittimasse l.'intervento dell'ente portuale, 
e il difetto di legittimazione dello stesso ad appellare autonomamente 
la decisione, essendo intervenuto soltanto in via adesiva. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1984, n. 2825 -Pres. Maz� 
zacane -Rel. Sgroi -P. M. Fabi (concl. conf.) -Di Giovanni (avv. Ra 
stelli e Mazzarella) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). 

Giurisdizione civile � Sentenza civile � Interpretazione � Contenuto. 

Giurisdizione civile � Sentenza della Cassazione sulla giurisdizione � Necessit� 
di statuizione espressa sul rinvio � Non sussiste � Fattispecie 
in tema d'irregolare composizione dell'organo giudicante. 

(Artt. 360, n. 1 e 382 c.p.c.; artt. 1 e 2 d.P.R. 5 aprile 1978 n. 204). 

Giurisdizione civile � Questione di giurisdizione � Giudizio di ottemperanza 
� Presupposto � Sentenza passata in giudicato � Mancanza � 
Difetto di posizione tutelabile nei confronti della P A. 

(Art. 37, I. 6 dicembre 1971 n. 1034). 

Alle sentenze civili non possono applicarsi i canoni interpretativi 
fissati dagli artt. 1362-1371 cod. civ., perch� non si tratta di accertare il 
c�ntenuto della volont� delle parti in ordine al regolamento di interessi 
nell'esplicazione della autonomia privata, ma il contenuto del comando 
del giudice nell'esplicazione della sua funzione di valutazione ed appli


. cazione delle norme che regolano il caso concreto (1). 

Non vi � necessit� di statuizione espressa sul rinvio quando il vincolo 
della pronuncia sulla giurisdizione emessa dalla Corte di Cassazione 
si estrinseca nella individuazione del giudice che ne � fornito in 
concreto; pertanto, il rilievo della nullit� per vizio di costituzione del 
giudice si risolve in un rinvio allo stesso giudice regolarmente costituito 
al quale va riconosciuta la giurisdizione, nullamente esercitata nella 
composizione illegittima (2). 

(1) Cfr. Cass. 22 febbraio .1982, n. 1102, in Giur. it., 1982, I, 1, 1007, rispetto 
alla quale non risultano precedenti specifici, che definisce inammissibile l'azione 
di mero accertamento diretta esclusivamente all'interpretazione del giudicato; 
Cass., 26 gennaio 1979, n. 601, in Mass., .1979, che considera l'interpretaziione 
del giudicato esterno alla stregua di un apprez.mmento di fatto incensurabile 
in sede di legittimit� se adeguatamente motivato. 
(2) Cfr. Cass., S.U., 19 ottobre 11983 n. 6125, in Foro it., 1983" I, 2693: l'irregolare 
composi2fone del collegio giudicante s'inquadra nel difetto dli giurisdizione 
quando riveli carenza totale di legittimazione dell'organo; dd., 15 dicembre 
1977, n. 5465, in questa Rassegna, 1978, 321. 
Cass., 12 giugno 01980, n. 3737, !in Foro it., 1980, I, 1860, con nota d� C.M. 
BARONE e in Giust. civ., 1980, I, 1472, a curi sono seguite, dn senso parzialmente 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

478 

Attiene alla giurisdizione la questione relativa alla mancanza del presupposto 
del giudizio di ottemperanza e, cio�, del passaggio in giudicato 
della decisione, senza il quale non vi � posizione giuridicamente tutelabile 
nei confronti della P. A. (3). 

Con l'unico motivo il Di Giovanni deduce il VIZIO del radicale ed 
assoluto difetto di giurisdizione della decisione del Consiglio di Giustizia 
Amministrativa per la Regione Siciliana, osservando che le Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione con sentenza n. 3737 del 1980 avevano cassato 
senza rinvio la precedente decisione del 2 giugno 1978, nonostante 
che ci� non fosse stato detto espressamente, in quanto non lasciava adito 
a dubbi il successivo univoco ed esplicito comportamento delle Sezioni 
Unite in casi identici (per esempio, Cass. 29 ottobre 1981, n. 5690) nel 
senso che, a seguito di riconosciuto difetto di giurisdizione del C.G.A.R.S. 
per irregolare sua composizione, la cassazione della sentenza viene pronunciata 
senza rinvio. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, nonostante 
che il rinvio mancasse (e non per semplice dimenticanza o errore 
materiale, ma per precisa e consapevole decisione) aveva ritenuto di 
potersi di nuovo occupare della causa, interpretando la pronuncia ablatoria 
� senza rinvio � allo stato delle cose e cio� condizionata al permanere 
dell'irregolare composizione del giudice che aveva pronunciato la 
sentenza cassata. Invece, secondo il ricorrente, che il processo in tal 
caso non possa n� debba proseguire, � dimostrato dal caso deciso da 
Cass. n. 5690 cit. e da altri, in cui la Corte aveva condannato e liquidato 
le spese dell'intero processo, anche di quello svoltosi davanti al Consiglio 
di Giustizia Amministrativa. Non poteva quindi profila11si una terza 
ipotesi di cassazione, accanto a quella con rinvio ed a quella senza 
rinvio. 

Premesso che non veniva violato il principio del doppio grado di 
giurisdizione (del resto costituzionalmente non garantito) perch� il secondo 
grado si era svolto, con una sentenza invalida, ma non inesistente; 
e che non � contrario all'ordinamento il porre a carico della 

difforme id., 7 ottobre 1981, n. 543'2, Mass . .1981; id. 29 ottobre 11981, n. 5690, in 
questa Rassegna, 1981,_ I, 721J e dn Foro it., 1981, I, 2661 con nota di C.M. BARONE; 
id., 7 novembre 1981, n. 5885, in Mass., 1981; id., 24 settembre 1982, n. 4935, ivi, 
1982; id., 29 marzo 11983, n. 2248, ivi, .1983. 

Cfr. inoltre Cons. giust. amm. 11eg. Sic., 17 giugno 1982, n. 24, in Cons. 
Stato, 1982, 1034 e Corte Costituzionale, 22 gennaio 1976, n. 25, iin Foro it., 11976, 
I, 1. Cfr., inoltre, 1a � Relazione� 11975-1980, vol. Il, p. 155. 

(3) Cfr. per tutte, Oass., Sez. Un., 7 novembre 1973 n. 2897, dn Mass., 1973, 
per cui l�a mancanza del passagglio in giud:ioato della sentenza comporta l'esercizio 
del potere giurisdizionale oltre i limiti segnati da11a norma e determ!ina 
l'invasione della srl.�em di azione riservata agli organi della p.a.; Cons. Stato, 
sez. VI, 4 luglio 1972, n. 411, iin Cons. Stato, 1972, I, �14311. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 479 

parte il rischio dell'irregolare composizione del giudice, il ricorrente 
sostiene che la pronuncia senza rinvio contenuta nella sentenza n. 3737 
del 1980 era stata determinata da obiettivi fattori. 

La natura della pronuncia sulla giurisdizione in sede di ricorso ord�� 
nario per cassazione non consente alcun provvedimento remissorio da 
parte della Corte; infatti, a seguito della pronuncia sulla giurisdizione, 
sia che la si affermi, sia che la si neghi, non si d� luogo ad alcun .rinvio, 
estrinsecandosi la normativit� della pronuncia nella fissazione vinco� 
lante del giudice fornito di giurisdizione (ed eventualmente nelle indicazioni 
del giudice competente), ma non certo in quell'atto di investitura 
tipica che � il rinvio perch� il processo prosegua; ci� tanto pi�, 
in quanto la Cassazione non ha alcun potere di regolare all'interno lo 
svolgersi di un processo avanti ad un giudice speciale; il processo pro� 
seguir� o dovr� essere iniziato ex novo a seconda delle specifiche norme 
che lo regolano, non per effetto di una pronuncia remissoria della Corte, 
ma a seconda del positivo portato delle norme proprie del processo nel 
quale fu pronunciata la sentenza cassata. 

Inoltre, secondo il ricorrente, nella specie il processo non poteva 
proseguire, a norma dell'art. 383 cod. proc. civ., non soltanto dinanzi al 
Consiglio nell'irregolare composizione rilevata, ma in senso assoluto, in 
quanto si era ormai consumato, con la pronuncia nel merito del giudice 
d'appello, ogni potere giurisdizionale di decidere la causa. Il vizio 
di irregolare composizione presenta due aspetti: uno � quello della nullit� 
della sentenza; l'altro � quello del difetto di giurisdizione del giudice 
irregolarmente composto che abbia pronunciato; ma alla Cassazione 
interessa soltanto il secondo, in quanto si tratta di sentenza di 
un giudice nei cui confronti ~l sindacato di legittimit� pu� esercitarsi 
solo per motivi attinenti alla giurisdizione; pertanto, la sentenza nulla 
� emessa al di fuori delle ipotesi in cui la legge consente ad un organo 
l'uso della giurisdizione, con conseguente improseguibilit� del processo. 
Il Consiglio ha invece postulato la nascita di s� stesso come nuovo 
giudice, a seguito della propria regolarizzazione quale evento successivo 
alla cassazione della sentenza. 

Pertanto -conclude il ricorrente -si � avuto l'inizio di un nuovo 
processo di fronte al nuovo giudice recentemente sorto, ed il C.G.A., 
in difetto di apposita remissione da parte della Corte di Cassazione che 
consentisse -secondo l'ordinamento vigente -la riapertura del processo, 
difettava radicalmente di potere giurisdizionale a conoscere dell'appello 
che ex novo l'Amministrazione aveva proposto; il che era anche 
precluso dall'avvenuta consumazione sia dell'azione che del potere giurisdizionale 
per effetto del principio del � ne bis in idem � dal momento 
che sul merito era gi� stata pronunciata sentenza. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

480 

In realt� l'appello dell'Amministrazione non si sarebbe potuto proporre: 
improponibile �, infatti, la domanda ad un organo che a causa 
del difetto della sua composizione organica non occasionale, ma istituzionale, 
non pu� considerarsi un organo giurisdizionale. 

Per le medesime considerazioni -secondo il ricorrente -deve essere 
annullato anche il capo che ha annullato i provvedimenti emessi dal TAR 
di Sicilia in sede di ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza 
di primo grado, non sussistendo l'ipotesi di provvedimento abnorme 
sulla quale il Consiglio ha fondato la propria giurisdizione. 

Il ricorso � infondato. 
L'Amministrazione Finanziaria ha eccepito che il Di Giovanni si 
duole della violazione del giudicato, per essere stato adito il C. di 

G.A.R.S. per l'impugnazione di una sentenza di primo grado sulla quale 
si era formato il giudicato a seguito della precedente sentenza n. 3737 
del 1980 di questa Corte. Il ricorso -secondo l'Amministrazione � 
inammissibile perch� non deduce motivi inerenti alla giurisdizione, 
ma soltanto violazioni delle norme riguardanti lo svolgimento del processo 
nelle sue varie fasi, fino al giudicato, e non attinenti ai limiti 
esterni della giurisdizione. 
L'eccezione suddetta � infondata. Si tratta, invece, di stabilire se 
il C. di G.A.R.S. fosse ancora fornito di giurisdizione o se la sentenza 

n. 3737 avesse determinato l'esaurimento della giurisdizione stessa. Anche 
se tale accertamento passa attraverso l'interpretazione della sentenza 
n. 3737, non per questo solleva un problema di giudicato, perch� tale 
interpretazione deve essere condotta tenendo presenti le norme in base 
alle quali la Corte Suprema pronuncia sulla giurisdizione con riguardo 
alle sentenze del Consiglio di Stato (o del Consiglio di G.A.R.S.). In proposito 
possono ipotizzarsi tre conclusioni. 
Se, in base alla normativa vigente, si dovesse riconoscere che il 
predetto Consiglio, avendo gi� pronunciato in illegittima composizione, 
non avesse pi� il potere di giudicare la controversia fra il Di Giovanni 
e l'Amministrazione a cui apparteneva (rientrante per materia nelle 
sue attribuzioni) neppure in composizione legittima, ne conseguirebbe 
l'attribuzione di cosa giudicata alla sentenza del T.A.R. annullata dalla 
precedente decisione del Consiglio del 1978, a sua volta annullata per 
difetto di giurisdizione con la sentenza n. 3737. Il giudicato sarebbe 
l'effetto e non il presupposto del difetto di giurisdizione del Consiglio, 
che sarebbe affermato in virt� di altre norme attinenti alla giurisdizione. 


La seconda ipotesi � quella secondo cui la normativa vigente investe 
il Consiglio del potere di decidere in regolare composizione e che, in 
contrasto con essa, la sentenza n. 3737 abbia invece ritenuto che il Consiglio 
avesse esaurito la propria giurisdizione, pronunciando in irregolare 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 481 

composizione. In tal caso, non avrebbe valore l'eventuale diversa interpretazione 
data dal Consiglio alle norme applicabili ed alla portata 
della pronuncia dichiarativa del difetto di giurisdizione, e quindi il sindacato 
della Corte Suprema in questa sede non riguarderebbe la violazione 
da parte dei giudici amministrativi delle norme processuali interne� 
al loro ordine. L'indagine riguarderebbe sempre i limiti esterni della 
loro giurisdizione, fissati nel processo dalla precedente pronuncia vin


colante, per la forza attribuita dal sistema alle sentenze della Cassazione, 
ex art. 382 cod. proc. civ., a prescindere dalla loro esattezza. 

Infine, l'ultima ipotesi � che la normativa vigente configuri la sentenza 
di Cassazione dichiarativa del difetto di giurisdizione per irregolare 
composizione dell'organo che ha pronunciato, come una sentenza 
che necessariamente attribuisce la giurisdizione al medesimo organo, in 
regolare composizione (cfr., in tal senso, Sez. Un. 11 ottobre 1952, n. 3008). 

Quest'ultima ipotesi deve ritenersi esatta (Sez. Un. 19 ottobre 1983, 

n. 6125), non essendovi l'ostacolo della precedente pronuncia di segno 
diverso, come ritenuto dal ricorrente. 
Per suffragare la propria tesi la difesa del Di Giovanni ha sostenuto 
nella discussione orale che la sentenza n. 3737 deve essere interpretata 
alla luce del principio di buona fede, in base all'esame letterale (da cui 
risulterebbe la mancanza di un provvedimento positivo di rinvio) corrispondentemente 
all'intenzione del decidente, quale risulta dal suo comportamento 
successivo. Infatti, da un lato nelle _sentenze successive alla 

n. 3737 (le n. 5432, 5690, 5885 del 1981; la n. 4935 del 1982, la n. 2248 del 
1983 ed altre) � stato espressamente escluso il rinvio; e poich� tali sentenze 
si inquadrano nel medesimo filone giurisprudenziale iniziato proprio 
cori la sentenza n. 3737, l'annullamento senza rinvio dovrebbe ritenersi 
contenuto anche in questa. Dall'altro lato, la sentenza n. 6125 
del 1983 ha espressamente innovato rispetto al precedente indirizzo, indicando 
le ragioni per le quali doveva pronunciarsi la cassazione con rinvio. 
Il suddetto assunto � infondato. Alle sentenze civili non possono 
applicarsi direttamente i canoni interpretativi fissati dagli artt. 1362-1371 
cod. civ., perch� non si tratta di accertare il contenuto della volont� 
delle parti in ordine al regolamento di interessi nell'esplicazione dell'autonomia 
privata, ma il contenuto del comando del giudice nell'esplicazione 
della sua funzione di valutazione ed applicazione delle norme 
che regolano il caso concreto. � evidente che esiste un momento di individuazione 
del significato delle parole usate, nella loro connessione, e 
cio� di intelligenza del testo secondo i canoni linguistici e logici, ma 
non � tale momento (proprio di ogni attivit� volta a riconoscere e ricostruire, 
cio� interpretare, il significato di qualsiasi forma espressiva) che 
si individua il rilievo giuridico dell'interpretazione della sentenza. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

482 

L'aspetto giuridicamente rilevante di essa consiste nell'individuare 
il tipo di comando che vi � contenuto, in relazione a tutti gli elementi 
del processo, a cominciare dalla domanda e dall'oggetto del giudizio, 
per finire -attraverso l'attivit� espletata dal giudice e dalle parti 
nel giudizio stesso -alla motivazione ed al dispositivo della sentenza. 

Superato il momento linguistico-logico, il risultato dell'interpretazione 
della sentenza servir� a stabilire se il giudice ha osservato le norme sostanziali 
e processuali che doveva applicare (se l'interpretazione � fatta in 
sede di impugnazione e di controllo della sentenza rispetto al tipo predeterminato 
dalla legge con riguardo all'oggetto del giudizio); o a stabilirne 
il senso precettivo oggettivo, ai fini dell'esecuzione (Cass. 25 ottobre 
1980 n. 5757) o di altro processo fra le stesse parti (Cass. 26 settembre 
1983 n. 5707; Cass. 22 febbraio 1982 n. 1102). 

Il ricorso ad elementi extratestuali non pu� ammettersi con riguardo 
ad atti di processi diversi i quali non possono avere alcuna influenza 
sugli scopi dell'interpretazione. Non � possibile, in particolare, considerare 
l'organo giudiziario che ha emesso pi� sentenze su casi uguali alla 
stessa stregua delle parti di un contratto che col loro comportamento, 
anche successivo, intendono in un certo modo il contratto stesso e lo 
fanno oggetto di una dichiarazione di accertamento del senso da attribuirgli. 


Una volta individuato il tipo legale di comando che il giudice ha in 
concreto emesso, il suo significato .e cio� la portata della concreta 
volont� di legge che vi � contenuta deve essere stabilito con riguardo 
aUa normativa che, in fase di interpretazione, il giudice ritenga applicabile 
all'oggetto del giudizio, ovviamente con l'osservanza delle diverse 
regole processuali che si impongono a seconda degli scopi del riesame 
(si richiami la giurisprudenza in tema di interpretazione del giudicato 
esterno o interno; di giudicato implicito; di corrispondenza fra il chiesto 
ed il pronunciato; di assorbimento o meno di questioni preliminari; di 
correlazione fra motivazione e dispositivo). 

La suddetta attivit� ricognitiva potr� concludersi col riscontro di 
un errore commesso; errore che non pu� essere corretto in sede interpretativa 
(cfr. Cass. 26 gennaio 1979 n. 601), ma sar� oggetto, eventualmente, 
dei poteri affidati dalla legge all'altro giudice (per esempio, ai 
sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., nelle forme dell'enunciazione del 
corretto principio di diritto o della correzione della motivazione in 
diritto). 

Nella specie, si tratta di stabilire se la precedente sentenza resa in 
questo stesso processo contenesse o meno il rinvio al Consiglio di Giustizia 
Amministrativa (nella composizione legittima nella quale ha poi in 
effetti pronunciato, punto quest'ultimo che non � contestato). 



PAR:rn I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

In relazione ai principi enunciati ed all'orientamento ora accolto 
(Sez. Un., sentenza n. 6125 del 1983) il problema emergerebbe solo nel 
caso di errore commesso con la sentenza n. 3737 del 1980 e cio� di 
pronuncia espressa di annullamento senza rinvio. Tale errore -ovviamente 
-non potrebbe pi� correggersi, con conseguente negazione definitiva 
della potest� giurisdizionale del C. di G.A.R.S. 

Invece, se dovesse ritenersi esatto il dispositivo che � espressamente 
contenuto nelle successive sentenze sopra citate sulla stessa questione 
riproposta in altre cause, la mancanza nel dispositivo della sentenza 

n. 3737 dell'espressione �cassa senza rinvio la sentenza impugnata� 
accanto a quella che unicamente vi � contenuta (�dichiara il difetto di 
giurisdizione per irregolare composizione del Consiglio di G.A.R.S �) 
sarebbe priva di pratico rilievo, perch� l'integrazione del dispositivo in 
tal senso dovrebbe operarsi in sede interpretativa, in forza del diritto 
vivente secondo l'interpretazione giurisprudenziale. 
Non deve affatto meravigliare l'ipotetica possibilit� di diverse interpretazioni, 
in relazione alla funzionalizzazione di esse rispetto all'accertamento 
del concreto comando di legge con non vive in astratto,. ma nel 
processo in cui deve essere emesso. Non si tratta affatto di� � dubbiezze � 

o incertezze interpretative, ma -al contrario -dell'unica certezza raggiungibile, 
che � quella del confronto fra il comando concreto e la norma 
astratta interpretata. Nella specie, si deve interpretare una sentenza che 
ha dichiarato, puramente e semplicemente, il difetto di giurisdizione 
non dell'organo rispetto alla materia della causa, ma dell'o11gano in ragione 
della sua composizione irregolare. 
Il dispositivo espresso, nei suoi limiti letterali e logici (corroborato 
da quella parte nella quale provvede -compensandole -soltanto sulle 
spese del giudizio di cassazione ex art. 385 terzo comma, non applicando 
cio� il secondo comma in tema di regolamento di spese nel caso di 
cassazione ,senza rinvio) non pone pertanto alcun dubbio di interpretazione. 
La pronuncia si modella in modo conforme all'esatta osservanza 
della norma dell'art. 382 secondo cui la cassazione senza rinvio si ha 
soltanto nel caso di difetto assoluto di giurisdizione (art. 382 terzo comma), 
mentre ogni altra statuizione sulla giurisdizione (con determinazione �ove 
occorra" del giudice competente) o � espressa in termini di rigetto del 
ricorso (avverso la sentenza impugnata ex art. 360 n. 1 cod. proc. civ.) 
ovvero, sia nel caso di accoglimento di ricorsi ex art. 360 n. 1, sia nel 
caso di regolamenti di giurisdizione, si estrinseca nella soluzione della 
questione di giurisdizione, mediante la statuizione definitiva su di essa. 
Pertanto, a parte il caso del dictum espresso (che assorbe ogni questione, 
ivi compreso ovviamente l'errore della Cassazione), non vi � necessit� di 
statuizione espressa sul rinvio quando il vincolo della pronuncia sulla 
giurisdizione si estrinseca nella individuazione del giudice che ne � fornito 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

484 

in concreto, mentre il processo proseguir� o dovr� essere iniziato ex novo 
dinanzi a lui, con gli effetti di cui all'art. 386 cod. proc. civ. 

Il rinvio deriva dall'applicazione delle norme che integrano il dictum 
non espresso, ma indubbio, perch� conforme alla logica ed al tipo legale 
della sentenza n. 3737. 

Non pu� ritenersi, infatti, che essa abbia statuito su una consumazione 
dei poteri giurisdizionali del Consiglio di G.A. in irregolare composizione, 
proprio perch� la decisione allora impugnata fu ritenuta 
� nulla � e pertanto, secondo i principi generali, da sostituire con una 
pronuncia valida. � vero che tale nullit� si inquadra formalmente nel 
rilievo del difetto di giurisdizione (altrimenti il ricorso del 1978 sarebbe 
stato inammissibile), ma � anche vero che il vizio rilevato derivava da 
una non conformit� alla legge (quale risultava dopo la sentenza della 
Corte Cost. 22 gennaio 1976 n. 25), del collegio giudicante che avrebbe 
invece dovuto essere composto in conformit� 11:tgli artt. 1 e 2 del d.P.R. 

n. 204 del 1978 (con esclusione dell'art. 3, per i motivi indicati nella 
sentenza n. 5885 del 1981), gi� vigente al momento della pubblicazione 
della sentenza 27 giugno 1978 del Consiglio di Giustizia Amministrativa. 
E pertanto, nell'ordfo.amento esisteva -e soltanto di fatto se ne era procrastinata 
l'o~ganizzazione in concreto -l'organo munito di giurisdizione, 
alla stregua della statuizione della sentenza n. 3737 del 1980 considerata 
nel suo aspetto positivo, inscindibilmente connesso all'accoglimento 
del ricorso, in mancanza di un'espressa contraria disposizione. 
Come nei riguardi delle sentenze nulle degli organi -anche speciali 
-contro cui il ricorso � ammesso anche al di fuori del motivo 
indicato dal n. 1 dell'art. 360 cod. proc. civ., il rilievo della nullit� per 
vizio di costituzione del giudice si risolve in un rinvio allo stesso giudice 
regolarmente costituito (fra le molte altre, Sez. Un., 23 giugno 1971 

n. 1982; id. 22 marzo 1983 n. 2011), cos� al Consiglio di G.A.R.S. -inteso 
non come organo �diverso�, ma come organo conforme a legge sotto 
l'aspetto della sua regolare composizione -, va riconosciuta la giurisdizione, 
nullamente esercitata nella composizione illegittima. I due aspetti 
della pronuncia di annullamento sono inscindibili (salvo, si ripete, l'errore 
commesso in senso contrario). 
L'ultima parte del ricorso dguarda la decisione di annullamento della 
sentenza n. 259/81 resa dal T.A.R. in sede di giudizio di ottemperanza e 
solleva anch'essa un problema attinente alla giurisdizione (cfr. Sez. Un. 
18 settembre 1970 n. 1563; id. 7 novembre 1973 n. 2897, per l'ipotesi 
simmetrica rispetto alla presente). Il ricorso si deve per� respingere, 
perch� esattamente la decisione impugnata ha ritenuto il difetto di posizione 
tutelabile nei confronti della P.A. col giudizio di ottemperanza, 
in assenza di decisione passata in giudicato (art. 37 1. 6 dicembre 1971 

n. 1034), data la pendenza del tennine di riassunzione del giudizio. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 485 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 maggio 1984, n. 2884 -Pres. Greco -
Rel. Chiavelli -P.M. Fabi (concl. conf.) -Giordano (avv. Lanocita) c. 
Ministero del Lavoro e Ministero per i beni culturali (avv. Stato 
Ferri). 

Giurisdizione civile -Rapporto di pubblico impiego � Caratteristiche � 
Assunzione di giovani . Controversie -Giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo. 

(L. 1 giugno 1977, n. 285). 
Non � incompatibile con il rapporto di lavoro pubblico la circo� 
stanza che l'atto di nomina debba essere preceduto da un procedimento 
di reclutamento e selezione analogo a quello previsto per la costituzione 
di un rapporto di lavoro privato, poich� � sufficiente a qualificare il 
rapporto di lavoro come pubblico la natura dell'ente, l'utilizzazione 
della prestazione di lavoro dedotta nel rapporto medesimo e l'atto autoritativo 
di nomina (1). 

Il ricorso non � fondato. 

Esattamente il Pretore ha dichiarato il proprio difetto di giurisdi� 
zione e la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 


Non v'� dubbio, infatti, che il rapporto dedotto in giudizio sia un 
rapporto di pubblico impiego e che la relativa controversia rientri, perci�, 
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

Il ricorrente venne assunto dalla Soprintendenza per i Beni Arti� 
stici e Storici della Campania a partire dal 1� agosto 1978, ai sensi della 

l. 6/1977 n. 285 (recante provvedimenti per l'occupazione giovanile). 
L'art. 26 della citata legge autorizza le amministrazioni pubbliche e 
gli enti responsabili dell'attuazione dei progetti predisposti per il periodo 
di applicazione della legge ad assumere giovani iscritti nella lista di cui 
all'art. 4 della stessa legge, previa presentazione alla sezione di collo


(1) Cfr. 'in termini Consiglio di Stato, sez. VI, 29 settembre 1982 n. 442, 
in Cons. Stato, .1982, I, 1129; Cass., 26 maggio 11979, n. 3070, in Foro it., 1979, 
I, 1708 con nbta di C.M. BARONE, la quale costituisce il punto di arrivo di quel 
prooesso di progressivo ridtimensionamento dell'atto formale dti nomina ai 
fini della qualificazione del rapporto di lavoro come pubblico e di rilievo, 
invece, all'inserimento del soggetto privato all'interno dell'organizzazione funzionale 
dell'ente pubblico; per le c.d. assunzioni contra legem cfr. Cass., S.U., 
2 maggio 1983, n. 3000 in questa Rassegna, 1983, I, p. 482; per la compatibilit� 
con altra attivit� prol�essionale prev�alente cfr. id., 22 marzo 1983, n. 2008, ibidem, 
p. 322. 
Sulla questione cfr. � I giudizi di costituzionaJJit� e il contenzioso dello 
Stato davanti alle giurisdizioni nazionalii, comunit�ade e internaz�ionali �, vol. III, 
1983, pp. 607-611. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

486 

camento competente per territorio di una richiesta numerica, per una 
durata compresa tra un minimo di quattro ed un massimo di dodici 
mesi, avvalendosi a tal fine delle risorse finanziarie di fondi nazionali 
stanziati sul bilancio dello Stato (art. 1-29 legge n. 285/1977). 

Il Giordano, come risulta dal �contratto� esibito, per tutta la durata 
del rapporto, veniva equiparato ad impiegato non di ruolo dello Stato 
di III categoria ed il rapporto di lavoro doveva intendersi � regolato dalle 
norme in vigore per il personale non di ruolo dello Stato �. 

Il Giordano si impegnava, altres�, a frequentare i corsi di formazione 
professionale e di qualificazione indetti dall'amministrazione ove 
ci� fosse ritenuto necessario alle esigenze di servizio. 

La detta attivit�, scaturente dalla instaurazione di un siffatto rapporto 
di lavoro, veniva retribuita in misura pari a quella degli impiegati statali 
non di ruolo di III categoria. 

Il ricorrente, infine, � stato adibito ai compiti che, specificamente, 
la legge indica all'art. 26, venendo cos�� ad essere praticawente inserito 
nella struttura organizzativa della Sopraintendenza. 

Ci� posto, non pu� contestarsi che, nel rapporto come innanzi costituito, 
siano ravvisabili tutti gli elementi che, per costante giurispn1denza 
di questa Suprema Corte, caratterizzano il rapporto di pubblico 
impiego che sono: 

la natura pubblica dell'ente datore di lavoro; la diretta correlazione 
tra i fini istituzionali di questo e l'attivit� spiegata dal dipendente; 
la esistenza di un atto formale di nomina, il quale consista in un provvedimento 
emanato dall'organo che rappresenta l'Ente e contenga la 
manifestazione di volont� di quest'ultimo di inserire il privato nella 
propria organizzazione e di utilizzarne le prestazioni lavorative, svolte 
dietro corrispettivo, con vincolo di subordinazione e con carattere di 
continuit� e di prevalenza, se nqn di esclusivit� (Cass. SS.UU. n. 2806 
del 17 maggio 1979; 11 giugno 1977 n. 2440; 19 marzo 1979 n. 1585). 

Sussistono, infatti, nella specie: la natura pubblica dell'Ente datore 
di lavoro, essendo la Sopraintendenza organo locale del Ministero dei 
Beni Culturali che persegue finalit� di pubblico interesse e che spiega 
attivit� di natura formalmente amministrativa; l'inserimento del Giordano 
nell'organizzazione dell'ente, venendo lo stesso adibito allo svolgimento 
di attivit� che sono proprie dell'Ente e che allo stesso sono commesse 
dalla legge; -l'atto formale di nomina, ra~visabile nel cosiddetto 
� contratto � di assunzione nel quale si evidenzia, al di l� della sua 
formulazione letterale, la dichiarazione scritta della volont� dell'Ammi� 
nistrazione di inserire il ricorrente nella propria organizzazione, ai sensi 
e per i fini enunciati nella legge n. 285/1977. 

N�, in presenza degli elementi suindicati, pu� essere esclusa la 

sussistenza di un rapporto di impiego pubblico per il fatto che la legge 

f 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

(n. 285/1977) abbia previsto, per la costituzione di siffatto rapporto, la 
predisposizione da parte degli Uffici di collocamento di apposite liste 
di giovani disoccupati, da collocare temporaneamente presso Enti pubblici 
o privati datori di lavoro, disponendo altres� il divieto di assunzioni 
nominative (art. 5 ultimo comma). 
Ed, infatti, non � incompatibile con il rapporto di lavoro pubblico la 
circostanza che l'atto di nomina debba essere preceduto da un procedimento 
di reclutamento e selezione, analogo a quello previsto per la costituzione 
di un rapporto di lavoro privato (richiesta numerica e nulla 
osta dell'ufficio di collocamento), dal momento che � comunemente ammessa, 
dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e dalla dottrina, la 
sussistenza di rapporti di lavoro pubblico, ancorch� in tutto o in parte 
retti dalle norme sul lavoro privato, essendo sufficienti a qualificare 
il rapporto la natura dell'ente, l'utilizzazione della prestazione di lavoro 
dedotta nel rapporto medesimo e l'atto autoritativo di nomina. 

N� manca, nel rapporto di cui si tratta, la diretta correlazione tra 
la prestazione di lavoro, richiesta ai giovani collocati con legge n. 285, 
ed i fini istituzionali dell'Ente, per il fatto che detta prestazione debba 
anche avere la finalit� della loro formazione professionale. 

Tale correlazione risulta stabilita proprio in forza dell'art. 26 della 
legge suindicata laddove prevede (titolo IV -recante disposizioni � in 
materia di servizi socialmente utili) che �per il periodo di applicazione 
della presente legge, l'amministrazione centrale e le regioni predispongono 
programmi di servizi ed opere intesi a sperimentare lo svolgimento 
di attivit� alle quali, oltre al personale istituzionalmente addetto, possono 
essere destinati giovani in et� compresa tra i 18 e i 29 anni�. 

Dal che si desume che lo scopo della utilizzazione della prestazione 
lavorativa dei giovani assunti non � costituito solo dalla formazione dei 
giovani stessi ma che l'attivit� degli stessi � finalizzata alla realizzazione 
di servizi ed opere, rientranti nei fif�ni dei vari enti nei settori dalla 
legge previsti (beni culturali ed ambientali; patrimonio forestale, ispezione 
del lavoro e servizi statali dell'impiego etc.) e perseguiti a me�o 
dei contratti di � formazione e lavoro � di cui all'art. 7 della legge, oltre 
che per mezzo del �personale istituzionalmente addetto�. 

Non pu� dirsi neppure che la finalit� di formazione sia prevalente 
rispetto a quella lavorativa vera e propria,� dal momento che a norma 
dell'art. 26 bis della legge � il numero delle ore destinate ai suddetti 
cicli formativi, che non sono retribuite, non pu� essere inferiore al trenta 
per cento delle ore di attivit� lavorativa prevista dal contratto � venendo, 
perci�, ad essere consentita una significativa prevalenza di quest'ultima. 

Anche il Consiglio di Stato (Sez. VI 29 settembre 1982 n. 442) ha ritenuto 
che le controversie aventi ad oggetto il rapporto di lavoro instaurato 
ai sensi dell'art. 7 legge n. 285/77, sono di competenza del giudice ammi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nistrativo, osservando, esattamente, che a differenza di quanto previsto 
per il tirocinio dei medici ospedalieri (legge 18 aprile 1975 n. 148) � l'assunzione 
con contratto di formazione ha principalmente lo scopo di dare 
al giovane un'occupazione anche se a questa si accompagna la frequenza 
obbligatoria a corsi di qualificazione, che favoriscono in futuro la possibilit� 
di un pi� facile inserimento nel mondo del lavoro �. 

Non rileva, infine, che il rapporto di cui si tratta sia stato costituito 
dalla Sopraintendenza della Campania, organo periferico del Ministero 
dei beni culturali, che sarebbe privo di competenza a disporre assunzioni 
in rapporti di pubblico impiego, in quanto, al di fuori dei casi in cui 
debba considerarsi emanato in carenza di potere o sia privo di un requisito 
essenziale per poter essere riconosciuto come un provvedimento 
amministrativo, l'atto di nomina, anche sia affetto da alcuno dei vizi 
tipici di legittimit� dei provvedimenti amministrativi, � pur sempre 
idoneo a dar vita a rapporto di pubblico impiego. (SS.UU. n. 2750 del 
27 giugno 1977). In ogni caso, risulta dagli atti che il Sopraintendente 
ha provveduto alla nomina di cui trattasi, per delega del Ministro per 
i beni culturali. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3044 -Pres. Sandulli -
Rel. Pannella -P.M. Zema (conci. conf.) -Cammaroto (avv. De Salvo 
e Cucinotta) c. Min. Lavori Pubblici (avv. Stato Linguiti). 

Giurisdizione civile -Giudicato esterno � Eccezione in senso proprio Rilievo 
d'ufficio � Conseguenze. 
(Artt. 324 e 112 c.p.c.). 

Giurisdizione civile � Carenza della titolarit� del rapporto giuridico con� 
troverso � Mancata specifica impugnazione in appello . Conseguenze. 
(Art. 2909 e.e.). 

Il giudicato esterno d� luogo ad una eccezione in senso proprio, che 
deve, perci�, essere proposta dalla parte nei modi stabiliti dal codice 
di rito; pertanto il rilievo d'ufficio da parte del giudice comporta la 
violazione del principio fondamentale della corrispondenza fra il � chiesto 
ed il pronunciato" (1). 

(1) GiudsprudenZJa costante. In particolare l'eccezione non pu� essere proposta 
per la prima volta .in sede di Legittimit�: Cass., 10 gennaio 19&1, n. 223, 
in Mass., 1981; e nel rito speo1ale del lavoro va proposta, a pena di decadenza, 
nella memoria difensiva: Pretura Bari, 2 ottobre 1980, in Foro it., .1981, I, 1772. 
Secondo LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, Giuffr�, 1976, 

p. 73, si tmtterebbe di un'ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale. 
rn 

� 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 489 

La carenza della titolarit� del rapporto giuridico controverso deve 
formare oggetto di specifico motivo di impugnazione in appello e non 
pu� essere rilevata d'ufficio in appello; di conseguenza, in mancanza di 
specifica impugnativa, sul punto si forma il giudicato interno (2). 

(2) Giurisprudenza pacif�oa. Cass., 2 apri1e 1981, n. 1881, in Mass., 1981; 
id., 1� luglio 1.981, n. 4267, ibidem; id., 7 dioembre 1981, n. 6484, ibidem. 
In senso critico sulla dicotomia giudicato estevno -eccezione in senso 
proprio -giudicato interno -rilevabile d'ufficio v. LIEBMAN E.T., op. cit., 
vol. II, pp. 447 e ss. 



SEZIONE QUARTA 

GlURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 312 -Pres. Rubinacci 
-Est. Afeltra -P. M. Dettori (conci. conf.). Beltramini (avv.ti 
Marchese e Bergamaschi) c. Ministero del Tesoro -Uff. Liquidazione 
INAM (avv. dello Stato Corti). 

Lavoro -Medici convenzionati INAM -Recesso ex art. 2237, t � comma, 

e.e. -Ammissibilit� -Limiti. 
(Artt. 2230, 2237, 1367, 1369, 1371 e.e.). 
L'art. 2237 1� comma codice civile, laddove consente al cliente di recedere 
ad nutum dal contratto avente per oggetto prestazione d'opera intellettuale, 
ben � derogabile anche implicitamente dalla volont� delle parti; 
avendo, pertanto, la convenzione 3 marzo 1955, stipulata tra l'INAM e la 
Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici, minutamente disciplinato 
il regime delle infrazioni e relative sanzioni, non pu� il giudice del merito 
apoditticamente affermare che � in ogni caso salvo il diritto di recesso 
ex art. 2237 e.e., ma deve accertare; alla luce delle norme sull'ermeneu� 
tica contrattuale, se l'effettiva intenzione delle parti contraenti non abbia 
inteso porre una regolamentazione incompatibile con detta previsione (1). 

Col primo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2230 
in relazione all'art. 2222 e falsa applicazione dell'art. 2237 e.e. e si assume 
che la convenzione 3 marzo 1955 stipulata tra l'INAM e la Federazione 
Nazionale dell'Ordine dei Medici regolamenta gli interessi delle parti con� 
traenti in un quadro completo nel quale non soltanto vengono precisati 
compiti e facolt� ma si prevedono le ipotesi conflittuali e dettate le regole 
per la loro risoluzione; che, in tale ambito e proprio a conferma che 
l'Ordine dei Medici aveva proposto e l'INAM aveva accettato di inserire 
organicamente nell'attivit� dell'Istituto la categoria degli specialisti con 
uno speciale rapporto di stabilit� che li sottraesse al regime generale di 
occasionalit� che l'art. 2229 prevede per il rapporto di opera intellettuale, 
venivano pattuite precise regole per.H recesso dall'incarico e che pattuire 
tali regole e ritenere �in ogni caso� operante l'art. 2237 costituiva una 
palese contraddizione in termini. 

(Nel senso dell'applicabilit� del recesso ad nutum nei rapporti tra INAM 
e mediai convenzionati &i rinviene il solo precedente di App. FiI'enze, 14 ottobre 
1966, in Giur. Tosc., 1967, 19. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Col secondo motivo il Beltramini si duole della violazione e falsa applicazione 
degli artt. 1367, 1369 e 1371 e.e. e prospetta che agli artt. 10 e 
11 del Capitolato a) della cennata convenzione si era pattuita una speciale 
regolamentazione del recesso, diversa da quella prevista dall'art. 2237 
perch� in tali norme si prevede che il rapporto possa cessare per rinuncia 
del medico o per revoca dell'istituto; che il primo � tenuto a comunicare 
la sua rinuncia con il preavviso di un mese dalla cessazione dell'incarico 
e l'Istituto con un preavviso di due mesi; che se la revoca non 
avviene di �diritto� e, quindi, con effetto immediato (c.d. �decadenza� a 
causa del venir meno dei requisiti legali che consentono il perdurare dell'incarico 
elencati ai punti a, b, e, d, e dell'art. 11) essa deve essere motivata 
ed il medico ha facolt� di non accettarla ma di ricorrere alla Commissione 
Provinciale di cui all'art. 12; che, all'evidenza si tratta di clausole 
che, qualora dovesse venire applicato l'art. 2237 risulterebbero sfornite 
di qualsiasi efficacia e ci� in netto contrasto con la regola interpretativa 
di cui all'art. 1367 e.e.; che, in ogni caso il contratto andava interpretato 
col rispetto delle regole di cui agli artt. 1369 e 1371 e.e. 

I due motivi innanzi riassunti vanno congiuntamente esaminati perch� 
strettamente collegati tra loro. 

Il giudice di appello, facendo propria la premessa posta dal giudice 
di primo grado, secondo cui sia la convenzione che la lettera di conferimento 
in data 24 novembre 1958 qualificavano espressamente il rapporto 
come di prestazione professionale e richiamavano le norme contenute negli 
artt. 2230 e segg. cod. civ., concludeva che, accanto alla revoca di diritto 
con effetto immediato prevista dall'art. 11 del Capitolato coesistevano 
differenti istituti (revoca definitiva per motivi disciplinari a norma dell'art. 
12, decadenza per incompatibilit� stabilita nell'art. 4 nono comma) 
salvo in ogni caso il diritto di recesso unilaterale ai sensi dell'art. 2237 
cod. civ. 

Osserva questo Supremo Collegio che tali considerazioni sono errate 
sia nelle premesse che nella conclusione. Va ricordato che, secondo le 
risultanze processuali, l'attuale ricorrente, cos� come tutti gli specialisti, 
allorch� si inser� nel sistema mutualistico, firm� apposita dichiarazione, 
apposta in calce alla lettera di conferimento dell'incarico in cui si specificava 
che esso dichiarante accettava l'incarico a rapporto professionale 
di cui alla convenzione �alle condizioni ivi enunciate e a tutte le altre 
contenute nel capitolato del 3 marzo 1955 e successivi accordi�. E lo 
stesso istituto resistente sottolinea che la lettera di conferimento dell'incarico 
precisava tra l'altro che l'incarico stesso �la cui natura giuridica 
� definita dalle disposizioni degli artt. 2230 e segg. cod. civ., � disciplinato 
dal Capitolato e dagli Accordi di cui sopra �. 

Va, poi, rilevato che nella Convenzione e nell'Allegato non vi � alcun 
richiamo esplicito all'art. 2237 cod. civ. e che tale norma � sicuramente 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

derogabile -come regola dispositiva -dalla volont� espressa o tacita, 
delle parti, com'� ormai riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo la 
quale non osta a tale possibilit� la natura fiduciaria del rapporto. 

Bisogna, a tal fine, tener presenti le clausole contenute nella convenzione 
sulla disciplina delle infrazioni, che rappresentano il sistema vigente 
fra le parti, quale risulta minutamente ipotizzato dalle parti negli artt. 10 
e 11 All. 

Tale sistema di certo non � compatibile con una incondizionata e immotivata 
facolt� di recesso dell'INAM, in danno del professionista. Esso, 
quindi, si pone come deroga implicita all'art. 2237 cod. civ., per incompatibilit� 
delle norme convenzionali speciali con la regola generale del 
codice. 

Queste disposizioni hanno natura privatistica, avendo la propria fonte 
in un accordo normativo privato. 

Le stesse commissioni, provinciale e centrale, sono da considerare 
non organi pubblici di controllo gerarchico, ma veri e propri collegi privati, 
perch� istituiti col detto accordo di natura privata. 

I relativi provvedimenti, qualunque ne sia la natura, decisoria o consultiva, 
si pongono dunque a presidio degli impegni contrattuali assunti 
dalle associazioni di categoria verso l'INAM con gli accordi normativi per 
lo svolgimento del servizio. Il sistema della convenzione � predisposto, 
quindi, per assicurare l'esecuzione degli accordi normativi privati a vantaggio 
degli assistiti dell'INAM e, nel contempo, a tutelare l'interesse ed 
il prestigio del professionista. Proprio a salvaguardia di tali esigenze le 
disposizioni dell'accordo pongono le precise condizioni di applicabilit� delle 
sanzioni che, per la loro natura negoziale, si inquadrano nella normativa 
generale del codice civile sul contratto di prestazione d'opera intellettuale. 
Deve quindi, ritenersi che la regola generale dell'art. 2237 cod. civ. subisca 
implicita deroga per incompatibilit� col sistema delle norme convenzionali 
dettate per il controllo e la repressione delle infrazioni, a presidio della 
regolarit� del servizio. 

N� un richiamo all'art. 2237 pu� inferirsi dalla dichiarazione sottoscritta 
dal Beltramini nella lettera-contratto perch� in essa si dice soltanto 
che la natura giuridica dell'incarico � definita dalle disposizioni 
degli artt. 2230 e segg. cod. civ. ed � � disciplinato dal Capitolato e dagli 
Accordi"� Il che in altre parole significa che la normativa del cod. civ. 
� stata tenuta presente dalle parti solo per quanto riguarda la definizione 
dell'incarico (prestazione d'opera intellettuale) per cui quando le parti 
hanno posto l'aggiunta � e seguenti � hanno voluto richiamare soltanto 
gli articoli relativi alla definizione dell'incarico perch�, per quanto riguarda 
la disciplina di esso hanno fatto solo ed esclusivo riferimento al Capi


I.
tolato ed agli Accordi. 

~ 

f: 
! 

1: 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 493 

Sulla base di tali considerazioni, che han formato oggetto anche di 
precedenti meditate decisioni di questa Corte, il giudice di appello non 
poteva quasi apoditticamente affermare -pur in assenza di un espresso 
riferimento all'art. 2237 cod. civ. -che tale norma era stata tenuta sicuramente 
presente dalle parti per cui -cos� testualmente si esprime 
�era salvo in ogni caso il diritto di recesso unilaterale ai sensi dell'articolo 
2237 cod. civ. �. Il giudice di appello avrebbe dovuto, invece, sottoporre 
Convenzione ed Allegato ad una minuziosa analisi se�ondo le 
regole di ermeneutica contrattuale, tenendo presente nella indagine relativa 
all'accertamento della comune intenzione delle parti (art. 1362 cod. 
civ.) il loro comportamento complessivo anche posteriore cercando in 
ogni caso di rispettare la regola della conservazione del contratto (articolo 
1367 cod. civ.). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 14 gennaio 1984, n. 324 -Pres. Monteleone 
-Est. Ramat -P. M. Corasaniti (diff.). Cattani (avv. Agostini) 

c. Ministero del Tesoro, Ufficio liquidazione INAM (avv. dello Stato 
Nucaro). 
Previdenza -Malattia -Accertamento mediante visita di controllo -Im


possibilit� -Sospensione dell'indennit�. 

(Art. 6 legge 11 gennaio 1943, n. 138; art. 38 della Costituzione). 

Sono valide ed efficaci le limitazioni alla erogazione dell'indennit� di 
malattia, anche se poste da fonti di rango inferiore a quello di legge, che 
disciplinano obblighi integrativi del rapporto assicurativo; nel caso di 
sottrazione alla visita di controllo, peraltro, la sanzione non pu� che 
consistere nella sospensione dell'indennit� finch� non sia stato possibile 
compiere detta visita (1). 

(omissis) Riguardo alle altre specifiche doglianze, va ricordato 
come la giurisprudenza di questa Corte abbia in un primo tempo negato 
qualsiasi validit� ed efficacia limitatrice del diritto all'indennit� di ma


(11) In senso con.forme, m una ipotesi ne1la quale l'accertamento de1lo 
stato morboso era stato reso impossibdle da fatto imputabdle al lavoratore, 
cfr. Oass. 12 1aprile 1980, n. 2354, in Assistenza sociale, 11980, II, 163 ,e Cass. 18 giugno 
1980 n. 3889, m Arch. oiv. 1980, 901; Trib. Reggio Emilia, 28 novembre 1979, 
in Previdenza sociale, :1980, 920, ed ivi nota chi Lipa!l'li. 
Nel senso, invece, che fa corresponsione dell'indennlit� sarebbe comunque 
dovuta, Trib. Milano, 30 gennaio .1981, in Lavoro 80, 1981, 566. 

Per iii precedente orientamento giurisrprudenziale, secondo 111 quale solo 
con norma di legge poteva derogal'sli alle disposizioni che prevedono ~a ero� 
gazione della iLndennit� di malattia, si veda Qi,ss. J.7 1ug1io 1979, n. 4218, in 
Rep. F.I., 11979, col. 2064. 



494 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
lattia, tanto all'art. 19 del CCNL corporativo 3 gennaio 1939, quanto all'art. 
4 del Regolamento Interno INAM per le prestazioni economiche; 
affermando, di contro, che limitazioni del genere potevano essere stabilite 
soltanto da norme di legge; e che nell'art. 6 della legge 138/43, unico testo 
di legge in materia, limitazioni del genere non ve ne sono. 
Successivamente, la giurisprudenza ha invece ritenuto afficaci le di� 
sposizioni, di fonte inferiore, che contengono sanzioni in danno dell'assicurato, 
come la sospensione dal diritto all'indennit� di malattia in caso 
di inottemperanza alle prescrizioni mediche e in specie in caso di sottrazione 
alla visita di controllo; il nuovo orientamento riconosce che queste 
limitazioni del diritto dell'assicurato, sono giustificate perch� ineriscono 
all'accertamento del presupposto necessario per la corresponsione dell'indennit�, 
ossia del perdurare della malattia (sent. 2354/80 Sez. Lav.). 

Sotto tale profilo, sostanzialmente riconducibile al criterio dell'in� 
tegrazione del contratto (art. 1374 cod. civ.) il recente orientamento va 
confermato; ma la stessa sentenza ora citata, se da un lato riconosce 
validit� alle limitazioni poste dalle fonti inferiori e non dalla legge, 
e dunque legittima la sospensione del diritto alla erogazione dell'indennit� 
di malattia, a carico del lavoratore assentatosi da casa contro il divieto del 
medico, dall'altro richiama espressamente la sentenza 515/78 Sez. Lav.: 
dove � affermato il principio secondo cui la condotta del lavoratore consi� 
stente nel precludere ai medici dell'INAM un accertamento tempestivo 
dello stato di infermit� invalidante, pu� portare al disconoscimento della 
indennit� fino a quando non sia stato possibile compiere il detto accerta� 
mento con esito positivo. 

Vanno, dunque, ribaditi entrambi i princ�pi: sia il principio che sono 
valide ed efficaci le limitazioni dell'indennit� di malattia derivanti non da 
disposizione di legge ma da normazioni di rango inferiore disciplinanti gli 
obblighi integrativi del rapporto assicurativo in questione, e con specifico 
riferimento al caso di inosservanza delle prescrizioni mediche e, in specie, 
di sottrazione alla visita di controllo; sia il principio che, per�, la corrispondente 
sanzione non pu� consistere nella perdita dell'indennit� per 
una determinata quantit� di giorni, bens� e soltanto nella sospensione 
di essa fino a quando la visita �i controllo si sia potuta compiere. 

Il che implica due conseguenze: la prima, che la visita di controllo. 
dopo un primo inutile tentativo, va replicata entro un termine di ragio� 
nevolezza imposto tanto dalla diagnosi e dalla prognosi della malattia, 
quanto dalla necessit� di contemperare i contrapposti interessi delle parti; 
la seconda conseguenza, che in mancanza della effettiva visita di con� 
trollo (dopo il primo esperimento vanificato per colpa dell'assicurato) 
per inerzia dell'Istituto assicuratore, la sospensione dell'indennit� di ma� 
lattia potr� riferirsi soltanto al giorno in cui l'ammalato si sottrasse 
alla visita. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 495 

Ritiene la Corte che i criteri ora enunciati rappresentino il punto di 
equilibrio tra il diritto, attribuito ai lavoratori dall'art. 38 della Costi� 
tuzione, a che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita 
in caso di maiattia, e il d!lvere di collaborazione, che ai medesimi incombe 
nell'ambito del rapporto di assicurazione sociale al fine di evitare 
erogazioni ingiustificate. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 3 febbraio 1984 n. 832 -Pres. Franceschelli 
-Est. Tridico -P. M. Grossi (Conci. Conf.). Gelli Gastone (avv. 
Dallari) c. INAM e Ministero Tesoro. Uff. Liquidazione INAM (avv. 
Stl}.to Bruno). 

Lavoro -Rapporto di lavoro autonomo -Convenzioni Enti mutualistici Godimento 
benefici combattentistici -Incompatibilit�. 
(d.!. 8 luglio 1974 n. 261, art; 1, I. 14 agosto 1974 n. 355 e.e., artt. 2041 e 2126). 

L'art. 1 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, come convertito dall'art. 1 legge 14 agosto 
1974 n. 355, che prevede il divieto per il personale collocato a riposo 
ai sensi dello stesso decreto di essere assunto con impiego e di ricevere 
incarichi alle dipendenze dello Stato, degli altri enti pubblici e comunque 
di enti e societ� che fruiscano di contributi ordinari dello Stato, si riferisce 
anche agli incarichi che si ricolleghino ad un rapporto di lavoro 
autonomo (1). 

Stante tale divieto, la prestazione lavorativa effettuata successivamente 
non costituisce titolo per la percezione dell'intera retribuzione, non essendo 
applicabile al rapporto di lavoro autonomo l'art. 2126 cod. civ.; conseguentemente 
l'ente datore di lavoro sar� obbligato soltanto nei termini 
dell'indebito articchimento di cui all'art. 2041 cod. civ. (2). 

Il ricorso principale -i cui motivi possono essere unitariamente 
considerati, attesa l'unicit� della questione che viene proposta -non � 
fondato. 

L'art. 1 d.l. 8 luglio 1974 n. 261, recante modificazioni alla legge 24 mag� 
gio 1970, n. 336 in favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex 
combattenti ed assimilati, il quale, nel testo risultante dall'art. 1 legge 
di conversione 14 agosto 1974, n. 355, prevede nei confronti del personale 

(1) Cfr. sul punto, Cass. SS. UU. 19 luglio 1982 n. 4200, in Foro lt., Rep. 1982, 
v. Impiegato dello Stato, n. 764. La eccezione di illegittimit� costituzionale della 
normativa in esame � stata pi� volte ritenuta manifestamente infondata; cfr. 
tra le altre, T.A.R. Lazio, sez. I, 4 luglio 1979 n. 519, in Foro Amm.vo, 1979, I, 
2229. 
(2) Sulla prestazione lavorativa effettuata in ipotesi di espliciti divieti 
legislativi, e sulla sua configurabilit� in termini di � rapporto di servizio di 
fatto�, cfr. A.M. Sandulli, Manuale di dhitto amministrativo, Napoli, 1982, 229. 
7 



RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

collocato a riposo ai sensi dello stesso decreto, il divieto di essere assunto 
in impiego o di ricevere incarichi alle dipendenze dello Stato, degli altri 
enti pubblici, anche economici, di societ� anche a partecipazione statale 
e di enti che fruiscono del contributo ordinario dello Stato e siano sottoposti 
al controllo della Corte dei Conti (eccettuata la partecipazione ad 
organi collegiali ed a commissioni) si riferisce non soltanto agli incarichi 
che creano un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, sia pure 
straordinario o temporaneo, ma anche a quelli che si ricolleghino ad un 
rapporto di lavoro autonomo, � con parasubordinazione � secondo la previsione 
dell'art. 409, n. 3 cod. proc. civ., in quanto la prestazione di opera, 
prevalentemente personale, presenti connotati di continuit� e coordinamento, 
s� da inserirsi nell'ambito dell'organizzazione di detti enti per 
una stabile collaborazione nel perseguimento delle loro finalit� istituzionali 
(nella specie: prestazione professionale di un medico presso ambulatorio 
dell'INAM). 

Con riguardo ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici collocati 
� riposo con i benefici per gli ex combattenti di cui alla legge 24 maggio 
1970, n. 336, l'art. 6, 2� comma d.l. 8 luglio 1974, n. 261, nel testo risultante 
dall'art. 1 legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, il. quale prevede la 
cessazione dell'efficacia, nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della 
legge di conversione, delle assunzioni effettuate e degli incarichi conferiti 
anteriormente all'S luglio 1974, si riferisce (manifestamente non in contrasto 
con gli artt. 2, 4.e 36 Cost.) tanto alle assunzioni ed agli incarichi 
conferiti a dipendenti gi� pensionati, quanto a quelli conferiti prima del 
collocamento a riposo, pure se anteriormente all'entrata in vigore della 
suddetta legge del 1970; tale inefficacia non si verifica ai sensi del 3� comma 
del medesimo art. 6, solo quando, nell'indicato termine di sei mesi 
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, l'interessato 
rinunci al trattamento di quiescenza ottenuto in base alla legge n. 336 
del 1970, e, quindi, resta inderogabilmente operativa rispetto ai collocamenti 
a riposo, con i benefici � combattentistici�, avvenuti dopo la scadenza 
del termine stesso (v. sent. n. 4201 del 19 luglio 1982). 

L'art. 6 d.l. 8 luglio 1974, n. 261, nella formulazione della legge di 
conversione 14 agosto 1974 n. 355 prevede che le assunzioni effettuate e 
gli incarichi conferiti anteriormente all'S luglio 1974 al personale collocato 
in quiescenza a norma della legge 24 maggio 1970, n. 336, cessino di 
avere efficacia nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore 
della legge di conversione; pertanto, unico presupposto per l'applicabilit� 
della norma � il contemporaneo godimento di un qualsiasi trattamento di 
attivit� cumulato con quello pensionistico ottenuto ai sensi della legge 

n. 336 del 1970 cit., indipendentemente, quindi, da ogni considerazione 
sulla 
precedenza del conseguimento dell'uno rispetto all'altro. 
Fondato � invece il ricorso incidentale. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

Rileva il Tribunale che l'INAM, dopo avere nel febbraio 1975 revocato 
l'incarico, sospese successivamente il provvedimento. 
Ora la sospensione del provvedimento importa che questo cess� di 
avere efficacia, e che il rapporto prosegu� come in precedenza. 

� quindi semplicemente peregrina -cos� il Tribunale -la pretesa 
di non corrispondere il trattamento normativo precedente, dovuto in base 
all'Accordo Nazionale. 

Erroneo sarebbe -sempre secondo il Tril:>unale -il richiamo alla 
prestazione di fatto e all'azione d'arricchimento di cui all'art. 2041 cod. civ., 
dinanzi a un contratto di prestazione di opera professionale disciplinato 
dal diritto privato, proseguito ininterrottamente tra le parti senza alcuna 
consensuale modifica. 

Tali affermazioni sono erronee. 

Poich� l'art. 6 del cit. d.l. n. 261 del 1974 contiene un assoluto divieto 
di ricevere � impieghi � o � incarichi �, � evidente che la prestazione lavorativa 
del Gelli viene ad essere privata del suo titolo di legittimazione, 
ossia del contratto, e viene a tradursi in una prestazione meramente 
di fatto. 

N� la situazione pu� essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2126 cod. civ. 
giacch� tale disposizione riguarda soltanto il rapporto di lavoro subordinato, 
mentre, come sopra si � detto, tale non pu� essere definito il rapporto 
del Gelli con l'INAM �. L'ipotesi normativa astrattamente applicabile 
� dunque quella prevista dall'art. 2041 cod. civ., tenendosi presente che 
il fatto materiale dell'esecuzione di una prestazione a vantaggio di un 
ente pubblico non � di per s� sufficiente a creare il credito di cui all'arti� 
colo 2041 del codice civile, essendo altres� necessaria una manifestazione 
di volont� della P. A. diretta al riconoscimento dell'utilit� della prestazione 

o in modo esplicito, mediante un atto formale, oppure implicitamente 
mediante l'utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dagli 
organi rappresentativi dell'ente (utiliter gestum). 
Il Tribunale avrebbe dovuto soffermarsi non soltanto sull'utilizzazione 
da parte dell'INAM, dell'attivit� professionale del Gelli, ma anche sui limiti 
dell'arricchimento in conseguenza della prestazione del servizio reso di 
fatto dal predetto. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 maggio 1984, n. 2687 -Pres. Santosuosso 
-Rel. Corda -P. M. Caristo (conci. conf.). Tajani (avv. La Vella e 
Serpico) c. Min. Finanze (avv. Stato Mari). 

Poste e telecomunicazioni -Radiotelevisione -Rivenditore di apparecchi 

radio-televisivi -Obbligo di pagare il canone di abbonamento 


Sussiste. 

(Art. IO r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917; art. l I. 4 giugno 1938, n. 880; art. 5 d.l.lgt 
1� dicembre 1945, n. 834). 


498 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Poste e telecomunicazioni -Radiotelevisione -Obbligo di pagamento del 
canone da parte di commercianti e rivenditori di apparecchi radiotelevisivi 
-Disparit� di trattamento con l'utente vero e proprio -
Insussistenza -Questione manifestamente infondata di costituzionalit�. 
(Art. 3 Cast.; art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925 n. 1917). 
Poste e telecomunicazioni -Radio-televisione -Obbligo di pagamento del 
canone da parte di commercianti e rivenditori di apparecchi radio� 
televisivi -Violazione del principio di capacit� contributiva -Doppia 
imposizione fiscale -Insussistenza -Questione manifestamente infon� 
data di costituzionalit�. 
(Art. 53 Cast.; art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925 n. 1917; art. 2, u.c., r.d.l. 24 febbraio 
1938, n. 246). 
In base all'art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917, richiamato dall'art. 5 
d.l.lgt. 1 dicembre 1945, n. 834 e, comunque, non abrogato dalla normativa 
del 1938, anche i commercianti ed i rivenditori di apparecchi radiotelevisivi 
sono obbligati al pagamento del canone di abbonamento della radio� 
televisione (1). 
� manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917, in relazione all'art. 3 Cost., 
perch� la parit� di trattamento � in concreto prevista dalla norma � de 
quo � per due situazioni che si presentano uguali, essendo per entrambe 
unico il fatto generatore dell'obbligo: la detenzione di apparecchi atti o 
adattabili alla ricezione di trasmissioni radio-televisive (2). 
� manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 10 r.d.l. 23 ottobre 1925, n. 1917 in riferimento all'art. 53 Cost., 
perch� l'obbligo del pagamento del canone � dalla legge ricollegato alla 
detenzione di apparecchi in luogo determinato, indipendentemente da ogni 
possibile qualificazione soggettiva (�utente� o �commerciante�) (3). 
(1-2-3) Con la sentenza in epigrafe, la Corte ribadisce quell'orientamento 
giurisprudenziale consolidato in base al quale il canone radiotelevisivo ha natura 
di tributo e l'obbligo del suo pagamento scaturisce dal mero fatto della 
detenzione; orientamento dal quale si era discostato Trib. Torino, 8 giugno 1979 
(primo grado fra le stesse parti), in Giur. it., 1979, I, 2, 598 con nota redazionale 
adesiva, precisando che la detenzione andava, invece, intesa come � detenzione 
in vista, sia pure potenziale, del servizio di utenza�. 
Cfr. Cass., 1� febbraio 1983, n. 864, ivi, I, l, 878, che afferma che presupposto 
sufficiente per l'obbligo del pagamento del canone � il semplice possesso di 
un apparecchio idoneo a ricevere trasmissioni indipendentemente dal suo effettivo 
godimento; id., 16 gennaio 1975, n. 164, in Foro it., 1975, I, 563 sulla natura 
tributaria del canone televisivo. In dottrina cfr. da ultimo A. FRANCO, Natura e 
profili costituzionali del canone di abbonamento nel quadro del rapporto di 
utenza radiotelevisiva, in Giur. cost., 1983, p. 1629 e V. ZENO-ZENCOVICH, Legittimit� 
del suggellamento dell'apparecchio radiotelevisivo e natura giuridica del 
cosiddetto canone R.A.l., in Giur. if., 1984, III, 179 entrambi critici verso l'impostazione 
tradizionale della questione. 
GABRIELLA PALMIERI 
1: ir:
' r. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 499 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3544 -Pres. Sandulli -
Rel. Sgroi -P. M. Antoci -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) 

c. Gregorini. 
Fallimento -Provvedimento di ammissione al passivo -Notifica di atti 
al curatore -Effetti -Sentenza dichiarativa del fallimento -Revoca -
Opponibilit� degli atti al debitore tornano in bonis -Inammissibilt� Fattispecie. 


Il provvedimento del giudice delegato di ammissione al passivo esaurisce 
i suoi effetti nell'ambito del processo fallimentare e non fuori del 
fallimento n� produce la cosa giudicata conseguenziale soltanto alla sentenza 
che decide definitivamente la contestazione del credito e che vincola 
il fallimento anche dopo la revoca del fallimento. Pertanto il decreto 
ministeriale emesso in tema di i.g.e., in pendenza del fallimento, doveva 
essere notificato al curatore al fine di rendere opponibile al curatore la 
definitivit� del decreto ministeriale, ma sia tale notifica, sia la mancata 
apposizione hanno rilevanza nell'ambito dell'accertamento del passivo 
fallimentare, con la conseguenza che, una volta tornato in bonis il 
fallito, la p.a., per rendere definitivo il decreto, doveva procedere a 
nuova notifica nei confronti del debitore (1). 

Si deve premettere che in tema di infrazioni alle norme sull'I.G.E., 
la mancata impugnazione, ai sensi e nel termine prerentorio di cui allo 
art. 52 della legge 19 giugno 1940 n. 762, del decreto ministeriale determinativo 
dell'imposta evasa e della relativa pena pecuniaria, preclude 
ogni possibilit� di successiva contestazione della legittimit� della pretesa 
dell'Amministrazione Finanziaria, ivi compresa quella attinente all'eventuale 
pregressa maturazione del termine prescrizionale, con la conseguenza 
che ove l'Amministrazione emetta ingiunzione per il recupero dell'imposta 
e della pena, l'opposizione del contribuente pu� riguardare solo i vizi formali 
di tale atto (Cass. 4 novembre 1980 n. 5913) ovvero fatti successivi 
alla notifica del decreto (Cass. 12 maggio 1979 n. 2736). 

Perch� si verifichi l'effetto preclusivo anzidetto � necessario (quando 
� avvenuta la notificazione del decreto, che costituisce il termine a quo) il 
mancato esperimento del �gravame dinanzi all'Autorit� Giudiziaria in sede 
civile � (art. 52, cit. secondo comma). Ma se la notificazione non � avvenuta, 
ovvero � invalida od inefficace, � evidente che il mancato esperimento del 
gravame � irrilevante perch� il soggetto passivo non � decaduto dal diritto 

(1) Questione di specie, che si inquadra nei principi :ci.chiamati nella motivazione 
della sentenza: cfr. Sez. Un. 27 luglio 1963 n. 2082 e Cass. 21 maggio 
1983 n. 3523. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di proporlo (cfr. Cass. 25 gennaio 1969 n. 233) o potr� far valere, contro la 
successiva ingiunzione notificatagli, i motivi proponibili contro il decreto 
ministeriale. 

� da sottolineare che l'Amministrazione non prospetta nel suo ricorso 
l'efficacia della notifica del decreto a fini diversi da quello della produzione 
dell'effetto preclusivo dei motivi di opposizione colpiti dalla decadenza 
per effetto dell'inutile decorso del termine di sessanta giorni. 

In particolare, non deduce la possibilit� di qualificare la notifica al 
curatore del fallimento come atto interruttivo della prescrizione, nello 
ambito della disciplina dell'art. 21 legge fallimentare, in relazione all'articolo 
94 stessa legge (cfr. Cass. 7 aprile 1983 n. 2449), nonch� all'art. 1310 
cod. civ. Poich� le questioni inerenti all'interruzione della prescrizione non 
sono rilevabili d'ufficio (cfr. Cass. 21 novembre 1981 n. 6197, Cass. 5 febbraio 
1980 n. 800) l'esa!Ile della Corte non si deve estendere a tali profili, 
ma deve limitarsi alla questione sollevata, nella quale l'eccezione di prescrizione 
del credito tributario si presenta non in rapporto alle cause di 
interruzione, ma solamente in relazione alla sua improponibilit� perch� 
non fatta valere con l'opposizione al decreto ministeriale per quanto concerne 
il periodo maturato prima della sua notificazione. 

Si deve precisare che l'Amministrazione non deduce neppure la questione 
dell'effetto non istantaneo, ma permanente dell'interruzione della 
prescrizione fino alla definizione del procedimento amministrativo in materia 
di I.G.E. (cfr. fra le altre conformi, Cass. 26 agosto 1971 n. 3582), in 
relazione anche all'art. 1310 cod. civ. 

Nei limiti in cui il problema � sollevato, esso consiste nello stabilire 
se il suddetto effetto preclusivo si estende al fallito tornato in bonis, in 
dipendenza di una notifica effettuata nei confronti del curatore prima della 
sentenza che ha revocato il fallimento. La risposta, secondo questa Corte, 
� negativa. 

Si premette che la salvezza degli effetti degli atti legalmente compiuti 
dagli organi del fallimento, prevista dall'art. 21 per il caso di revoca della 
sentenza dichiarativa di fallimento, trova applicazione anche nell'ipotesi 
in cui tale sentenza sia dichiarata nulla in esito ad opposizione per mancata 
preventiva audizione del debitore (Cass. 22 giugno 1982 n. 3781). Contrariamente 
a quanto si legge nella sentenza impugnata, la � salvezza � 
riguarda non soltanto gli atti di diritto sostanziale, ma anche gli atti da 
definire � processuali � (per esempio, i provvedimenti emessi dal Giudice 
delegato in sede di liquidazione dell'attivo ex artt. 106-108, i quali sono atti 
esecutivi processuali: cfr. Cass. 17 luglio 1980 n. 4647, in motivazione). 
� pure dubbio, come ha rilevato la prevalente dottrina, che la �salvezza� 
sia posta a tutela dell'affidamento dei terzi, dal momento che non � 
richiesto il requisito della buona fede di costoro (cfr. tuttavia, in senso 
contrario, Cass. 22 aprile 1954 n. 1229). Tutti i suddetti problemi non 


PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

devono per� approfondirsi, perch� occorre preliminarmente stabilire se 
una notifica, effettuata dall'Amministrazione allo scopo di far acquisire al 
proprio provvedimento decisorio sul ricorso amministrativo in materia di 

I.G.E. quel carattere di definitivit� che gli � proprio, possa comprendersi 
fra gli �atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento�. La .lettera 
della disposizione to esclude, al pari della sua ratio. L'art. 21 individua 
un'eccezione, ma il principio generale � quello dell'eliminazione degli 
effetti del fallimento, a seguito della revoca, perch� la sentenza di fallimento 
impugnata con l'opposizione � sostituita interamente dalla sentenza 
di revoca. 
A parte i limiti dell'eccezione (non restano salvi gli effetti degli atti 
non legalmente compiuti dagli organi del fallimento), soggiacciono alla 
revoca gli effetti immediatamente ricollegabili alla sentenza di fallimento. 

Fra gli effetti discendenti dalla dichiarazione di fallimento vi � l'apertura 
del concorso dei creditori che devono far accertare i loro crediti 
secondo le norme stabilite da capo V (art. 53 legge fall.). 

� esatto -come ricorda l'Amministrazione -che il decreto DJinisteriale 
(una volta dichiarato il fallimento ed a prescindere dalla pendenza 
dell'opposizione alla sentenza dichiarativa) doveva essere notificato 
al curatore, perch� il fallito era privo di capacit� (cfr. Cass. 29 aprile 
1983 n. 2976), ma tale necessit� si deve mettere in rapporto con il sistema 
dell'accertamento del passivo. Per rendere opponibile al curatore la definitivit� 
dell'accertamento fiscale in sede amministrativa, l'Amministrazione 
(che non aveva effettuato la notifica al debitore) aveva l'onere della suddetta 
notifica. Si tratta, quindi, di una conseguenza diretta della sentenza 
dichiarativa di fallimento, a cui non si � aggiunto alcun � atto,legalmente 
compiuto dagli organi del fallimento � se non nei limiti di cui subito si 
dir�. � stato osservato da un'autorevole dottrina che il fallito tornato 
in bonis dopo la revoca del fallimento non pu� opporre la sua perdita 
di capacit� durante la procedura fallimentare, se l'effetto di cui si discute, 
pur determinato dalla sentenza di fallimento, si sia inserito in altra fattispecie 
perfezionatasi in osservanza della disciplina sua propria. La Corte 
osserva che, nella specie, alla notifica poteva seguire o l'opposizione del 
curatore, o la sua mancata opposizione. 

� evidente (come osserva l'Amministrazione ricorrente) che l'oppo� 
sizione del curatore sarebbe stata fatta salva ai sensi dell'art. 21 legge fall. 
nonostante la revoca del fallimento, purch� compiuta con l'autorizzazione 
del G.D., e che il fallito avrebbe avuto l'obbligo, una volta tornato in 
bonis, di coltivarla, sostituendosi al curatore. Ma da tale regola non si pu� 
inferire l'esattezza della regola reciproca, e cio� dell'opponibilit� al debitore 
della mancata opposizione. Questa -se deve qualificarsi come 
� atto � -consiste in una � non contestazione� che il giudice del merito 
ha valutato sotto il profilo dell'ammissione del credito tributario oggetto 


502 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di insinuazione tardiva (art. 101 legge fallimentare che al penultimo 
comma, in caso di non contestazione da parte del curatore dell'ammissione 
del nuovo credito, dispone che questo � ammesso con decreto). In 
sostanza, come ha accertato il giudice del merito, la notifica del decreto 
ministeriale al curatore e la sua mancata contestazione da parte del 
curatore medesimo si inquadrano nell'ambito dell'accertamento del passivo 
fallimentare, perch� la notifica non pu� essere considerata (isolatamente 
presa) come un atto compiuto dagli organi del Fallimento; e in 
quanto atto compiuto nei confronti dei suddetti organi non � altro che 
un atto iniziale della sequenza della procedura dell'accertamento del passivo 
fallimentare. 

Poich� nei riguardi di tale sequenza l'Amministrazione non invoca 
l'aspetto dell'interruzione della prescrizione, ma soltanto l'impossibilit� di 
rimettere in discussione il credito, per motivi (anche riguardanti la prescrizione) 
attinenti all'irretrattabilit� della mancata contestazione del 
credito in sede fallimentare, a sua volta conducente al decreto di ammissione 
tardiva del credito, deve richiamarsi la costante giurisprudenza 
secondo cui si tratta di un provvedimento, che, come quello di ammissione 
allo stato passivo, ha efficacia preclusiva soltanto all'interno della procedura 
fallimentare, ma inidoneo ad acquistare autorit� di cosa giudicata 
fuori dal fallimento (cfr. da ultimo Cass. 21 maggio 1983 n. 3523 ed, in precedenza, 
Cass. sez. un. 27 luglio 1963 n. 2082 Cass. 20 luglio 1967 n. 1861: 
Cass. 27 luglio 1967 n. 1995, con estensione del principio anche al caso 
di revoca del fallimento, Cass. 29 aprile 1969 n. 1386; Cass. 9 giugno 1972 

n. 1816; Cass. 6 maggio 1975 n. 1746; Cass. 17 maggio 1979 n. 2825; Cass. 
10 settembre 1980 n. 5217). � da notare che le sezioni unite -nel confermare, 
con la sentenza n. 2082 del 1963 il prevalente indirizzo anteriore hanno 
affermato il principio proprio con riguardo anche all'art. 21 legge 
fall. osservando, in motivazione, che solo il giudicato formatosi a conclusione 
dell'eventuale giudizio di opposizione nell'ammissione dei crediti 
vincola il fallito, ex art. 21 legge fallimentare, dopo la revoca del fallimento. 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO -Ad. Plen. -1� marzo 1984, n. 4 -Pres. Pescatore Est. 
Noccelli -Ministero delle Finanze (Avv. Stato Fiumara) c. Gigante 
(avv. Pizzuti). 

Cosa giudicata civile -Dedotto e deducibile -Effetto preclusivo -Esclusione. 


Atto amministrativo � Atti autoritativi e paritetici -Criteri differenziali 
per provvedimenti incidenti su status pubblico impiegato -Rapporti 
economici. 

Pensioni -Pensione privilegiata � Equo indennizzo -Cumulo. 

Decurtazione per pubblico dipendente -Inapplicabilit� all'erede. 

Impiego pubblico � Equo indennizzo -Interessi corrispettivi -Decorrenza 
dalla� data di riconoscimento. 

La decisione che abbia definito una controversia per motivi processuali 
(nel caso di specie vizio della notifica del ricorso all'Avvocatura invece 
che alla Amm.) non determina soccombenza in senso sostanziale con 
formazione del giudicato sul dedotto ed il deducibile e non ha quindi 
effetti preclusivi esterni rispetto alla riproposizione della pretesa in altro 
autonomo giudizio (1). 

H�mno carattere autoritativo e sono quindi idonei a definire in modo 
irretrattabile le posizioni soggettive solo quei provvedimenti incidenti 
sullo status del pubblico dipendente che impegnano interessi generali 
relativi all'organizzazione dell'ente pubblico e non anche quelli che nel


(1) Sul principio per cui il giudicato copre� dl dedotto ed di deducibile cfr. 
Cons. St. VI 4 luglio 1972 n. 411, secondo cui � necessario a tal fine la sussistenza di 
un rapporto di implicazione che permetta di risalire dalle statumoni della sentenza 
alle questioni necessariamente collegate in via di logica presupposizione. 
L'Adunanza Plenari.a richiama l'insegnamento secondo cui non possono 
costituire giudicato sostanziale le sentenze che decidono solo sul processo e 
non anche sull'azione, rricordando come esso abbia trovato cittadinanza nel 
codice di rito attraverso l'art. 310 co. 1 ed evidenziano come a maggior ragione 
debba valere nel processo amministrativo di tipo impugnatorio quando la 
sentenza non produca annullamento dell'atto senza entrare nel merito della 
questione. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

504 

l'esercizio di poteri non discrezionali determinano il contenuto economico 
di un credito inerente al rapporto d'impiego (2). 

Nei confronti dell'erede avente diritto alla pensione privilegiata di 
reversibilit� non si applica la decurtazione dell'equo indennizzo spettante 
iure successionis, quando l'impiegato non abbia potuto cumulare la 
pensione privilegiata diretta con l'equo indennizzo stesso (3). 

Dalla data del decreto ministeriale che ha riconosciuto l'equo indennizzo 
e ne ha determinato la misura in modo illegittimamente ridotto 
decorrono gli interessi corrispettivi sulla quota di indennizzo non pagata 
(4). 

(omissis) Vanno esaminate preliminarmente le due questioni di rito 
che sono state dalla IV Sezione ritenute di tale complessit� da giustificare 
la rimessione della controversia a �questa Adunanza, onde evitare 
che differenti valutazioni, in proposito, � possano dar luogo a contrasti 
giurisprudenziali �. 

La prima questione, che la IV Sezione solleva di ufficio, concerne 
la portata e gli effetti da riconoscersi alla precedente decisione n. 335/80 
con cui la stessa Sezione aveva annullato una pronuncia del T.A.R. di 
accoglimento del ricorso della qui ricorrente sig.ra Gigante proposto 
avverso il decreto del Ministro delle finanze 11 aprile 1978, n. 1094, nella 
parte in cui tale provvedimento aveva operato una duplice decurtazione 
del 50 % dell'equo indennizzo liquidato ai due figli in conseguenza della 
morte del rispettivo coniuge e padre per causa riconosciuta dipendente 
da causa di servizio. 

(2) La massima ev.idenzia 1a risposta data dalla Adunanza plenaria al dubbio 
proposto con l'ordinanza di rimessione della Sez. IV 26 �aprile 1983 n. 43 circa 
la proponibilit� del ricorso contro il provvedimento d'equo indennizzo entro 
il termine di decadenza o di prescrizione e quindi sulla natura autoritativa o 
paritetica del relativo atto. 
(3) La decisione � conforme alla precedente senteni;a della IV Sez. 10 lu� 
glio 1979 n. 597 ove si affermava gi� la inapplicabilit� dell'art. 50 comma 1 d.P.R. 
3 maggio 1957 n. 696 che prevede la riduzione a met� dell'equo indennizzo nei 
confronti della vedova che percepisce anche la pensione pI'ivilegiata e spiega 
come non si verifichi per l'erede del pensionato quella parmale coincidenza 
della funzione indennitaI'ia dei due istituti consistente nella finalit� della pen� 
sione privilegiata di annullare lo svantaggio della anticipa1la cessazione del servizio 
e quindi della impossibilit� di raggiungere la massima et� pensionabile. 
(4) A monte della statuizione specifica massimata sta il I'ichiamo da parte 
del Consiglio di Stato della propria precedente giurisprudenza circa 1a spet� 
tanza degli interessi quando il debito dello Stato deve considerarsi esigibile 
per essersi verificata la condizione legale della sua scadenza (Ad. Plen. 7 apri� 
le 1981 n. 2) �e I'iguardo la prova che l'Amm. deve dare circa i particolari adem� 
pimenti che hanno giustificato il ritardo ne11a emissione del titolo di spesa in 
conformit� a CASS. 17 gennaio :1980 n. 384. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

L'altra questione, riflettente un'eccezione dall'Avvocatura gi� sollevata 
dinanzi al T.A.R. e qui riproposta con atto di appello, involge il 
dubbio che la pretesa in questa sede azionata si radichi nell'identica 
posizione di interesse legittimo che fu a suo tempo definita con un 
provvedimento dell'Amministrazione di carattere autoritativo (il citato 

d.m. 11 aprile 1978), onde il presente ricorso, secondo l'opinione espressa 
nell'ordinanza di rimessione, essendo in sostanza diretto contro quell'ori� 
ginario e ormai immodificabile atto, dovrebbe ritenersi tardivo. 
Entrambe le questioni sono prive di fondamento. 

Emerge nella documentazione in atti che la sig.ra Gigante, dopo 
aver chiesto in data 30 ottobre 1975 l'equo indennizzo per il decesso 
del marito in seguito ad aggravamento improvviso di preatte soffe. 
renze cardiache gi� riconosciute dipendenti da cause di servizio, aveva 
impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio il decreto del Ministro delle 
finanze 11 aprile 1978, n. 1094 che tale indennizzo aveva liquidato in 
misura doppiamente ridotta, sia a causa del concorso (art. 50 d.P.R. 

n. 686 del 1957) con la pensione privilegiata di riversibilit�, in precedenza 
attribuita alla stessa ricorrente, sia per il fatto che il dipendente 
aveva superato il sessantesimo anno di et� al momento dell'evento dannoso 
(art. 49 del medesimo decreto). La domanda, che poneva in dubbio 
la legittimit� della sola decurtazione operata ai sensi dell'art. 49 del 
d.P.R. n. 686 del 1957, era stata accolta dal T.A.R., ma la sentenza era 
stata poi annullata dal Consiglio di Stato in base al rilievo che la nullit� 
di notifica del ricorso introduttivo, effettuata presso l'Avvocatura in data 
antecedente all'entrata in vigore della legge n. 103 del 1979, non era stata 
sanata per la mancata costituzione in giudizio della difesa erariale. Il 
dubbio espresso dall'ordinanza di remissione -che, cio�, in seguito a 
tali vicende processuali, possa essersi formato il giudicato sul � dedotto � 
e sul �deducibile�, con effetti definitivamente preclusivi di entrambe 
le pretese in questa sede fatte valere dalla Gigante, identiche a quelle 
che furono azionate, o avrebbero potuto esserlo, nel precedente giudizio 
estinto -muove evidentemente da una concezione formalistica del giudicato, 
che non � assolutamente condivisibile. 
Anche a non voler qui richiamare l'insegnamento circa l'inidoneit� a 
costituire giudicato sostanziale �di quelle pronunce le quali incidano 
sul processo e non sull'azione (insegnamento, che, comunque, si riconosce 
aver trovato accoglimento quanto meno nell'art. 310 cod. proc. 
civ.), � agevole scorgere nella natura e nell'oggetto specifico del processo 
amministrativo di impugnazione una particolare ragione per negare alle 
sentenze meramente processuali attitudine a dirimere conflitti intersubiettivi 
con efficacia di giudicato essendo di per s� la sentenza del 
giudice amministrativo intesa all'annullamento di atti, e dovendosi quindi 
ritenere priva, quando annullamento non vi sia, di qualsivoglia contenuto 
di accertamento in ordine all'azione pr:oposta. L'equivoco, che spesso 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

506 


ingenera la commistione tra nozioni eterogenee -come quella di � azione 
� intesa come diritto potestativo � verso � il giudice, e l'altra nozione, 
condizionante la prima ma da non confondere con essa, che individua il 
profilo dinamico del diritto sostanziale attuantesi �attraverso � il processo 
-si dissipa agevolmente ove si consideri che una pronuncia del 
giudice attinente ai soli profili processuali dell'azione non determina 
soccombenza e non pregiudica, quindi, l'oggetto della pretesa cos� come 
postulato in � quel � giudizio; e ci� � tanto vero che -sembra opportuno 
sottolineare -pur nell'ambito dello stesso processo la possibilit� 
di impugnazione � data, alla parte totalmente vittoriosa nel merito e 
soccombente su questioni processuali, solo con il mezzo gravatorio condizionato 
(cfr., per il processo civile, Cass. Sez. Un. n. 832 del 10 febbraio 
1982) e sol perch� l'interesse pregiudicato dalla pronuncia sul rito 
emerge dal protrarsi della contestazione sulla questione di merito, riproposta 
all'esame del giudice con l'appello principale; talch� � agevole 
desumere, dalla logica correlazione tra norme e principi disciplinanti 
profili generalissimi dell'azione, del processo e delle impugnazioni, l'altrettanto 
generale principio secondo cui gli effetti della statuizione meramente 
processuale vanno circoscritti nell'ambito dello stesso processo, 
mentre effetti preclusivi �esterni� (art. 2909, cod. civ.) sono possibili 
soltanto l� dove l'accertamento del giudice, coinvolgendo oltre al fatto 
anche la norma sostanziale da cui questo � (deve ritenersi) regolato, 
travalichi i confini della singola lite per costituire esso stesso norma 
specifica e irretrattabile del caso deciso. 

La seconda eccezione �� agevolmente confutabile alla luce di quell'insegnamento 
dell'Adunanza plenaria che, in presenza di attivit� procedimentali 
legalmente dovute, riconosce carattere autoritativo, e quindi 
idoneit� a definire posizioni soggettive in modo irretrattabile, soltanto 
a provvedimenti i quali indicano sullo status del pubblico dipendente, in 
guisa da impegnare interessi generali attinenti alla complessiva organizzazione 
dell'ente pubblico titolare di poteri di supremazia (cfr. Ad. plen. 

n. 25 del 26 ottobre 1979, non anche, quindi, ad atti che, se pur in funzione 
di accertamento costitutivo, riverberano i loro effetti nella esclusiva sfera 
del destinatario, quali sono certamente quelli che ne individuano e determinano 
il contenuto economico di un credito inerente al rapporto d'impiego 
o da questo immediatamente derivato. Nel caso in esame, la pretesa 
della ricorrente pone in discussione profili non discrezionali dell'accertamento, 
effettuato dalla Amministrazione, della � giusta � misura dell'indennizzo 
gi� ad essa riconosciuto spettante, sicch� il provvedimento, pur 
necessario, che tale misura abbia individuato in modo asseritamente 
illegittimo non appare idoneo per sua natura a degradare il diritto 
azionato, la cui determinazione � dalla legge affidata a presupposti 
obiettivi ed obiettivamente accertabili. � appena il caso di aggiungere, 
poi, che, trattandosi di un diritto sorto in occasione del rapporto d'impiego 

PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

ed a causa di questo, non vi � motivo di dubitare, nella specie, della 
giurisdizione del giudice amministrativo. 
Tanto premesso sulle questioni pregiudiziali, l'appello dell'Avvocatura 
� infondato. 

L'art. 50 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 dispone che �l'equo indennizzo... 
� ridotto della met� se l'impiegato consegue anche la pensione 
privilegiata�; il terzo comma del successivo art. 51 prevede, poi, che la 
domanda di indennizzo possa essere � proposta... anche dagli eredi dell'impiegato 
o del pensionato deceduto �. Dalla logica correlazione tra 
queste due norme si evince che il diritto all'indennizzo non pu� sorgere 
a titolo originario in capo agli eredi, ma costoro possono far valere 
un credito che sia gi� entrato a far parte del patrimonio del de cuius. 

Tale constatazione, per�, non pu� condurre alla conclusione, cui in 
precedenti occasioni era pervenuta la Corte dei conti (cfr. Sez. contr. 
Stato, risol. 31 marzo 1977, n. 755 e risol. 30 gennaio 1980, n. 1034) che la 
�misura� del credito spettante agli eredi non pu� mai eccedere l'entit� 
del diritto in astratto riconoscibile al de cuius, poich� tale opinione, se 
portata alle estreme conseguenze, impo~rebbe di negare addirittura il 
diritto degli eredi quante volte non sia possibile riscontrare, prima della 
morte del dante causa, uno stadio della malattia di s� rilevante entit� 
da configurare � menomazione dell'integrit� fisica � ascrivibile a una delle 
categorie di cui alle tabelle A e B annesse alla legge 10 agosto 1950, n. 648 
(ora sostituite da quelle annesse al d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915). 

La rilevata incongruenza del sistema, che ha indotto la Corte dei 
conti a dubitare della possibilit� di riconoscere l'equo indennizzo agli 
eredi quando la �menomazione dell'integrit� fisica� coincida con l'evento 
morte (ove sia mancato, prima, l'accertamento di un precedente stadio 
della malattia ascrivibile a categoria indennizzabile), si risolve sul piano 
logico, prima ancora che su quello giuridico, considerando che la morte 
anche concettualmente si distingue dalla menomazione fisica e non pu� 
di per s� costituire titolo giuridico dell'indennizzo, ma che, per converso 
se la morte segue a un processo morboso gi� riconosciuto dipendente, 
nel suo momento genetico, da fatti di servizio, deve essere sempre individuabile 
una fase di tale processo, immediatamente antecedente, in cui 
l'aggravamento della malattia abbia prodotto l'invalidit� assoluta eziologicamente 
collegata al successivo evento letale, semprech�, ovviamente, 
alla produzione di quest'ultimo, non abbiano concorso � concause 
esterne�. 

Questa considerazione logica, indispensabile per ricondurre ad organica 
sistemazione le frammentarie norme disciplinanti la materia (essendo 
l'argomento logico strumento di verifica della ratio intrinseca 
di ogni norma e, a un tempo, misura ultima del suo contenuto precet



508 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tivo e della sua concreta capadt� operativa nell'ambito del sistema 
di cui � parte), spiega, da un lato, perch� i criteri di determinazione 
della misura del giusto indennizzo siano dalla legge contemplati con 
riferimento alla sola figura dell'� impiegato�, e, dall'altro lato, la ragione 
per la quale le varie tabelle di infermit� indennizzabili non rechino 
mai l'indicazione della � morte � quale causa a s� stante giustificativa 
dell'indennit�, essendo la morte solo un �fatto� rilevante per la successione 
degli eredi nel diritto gi� sorto (che necessariamente deve essere 
gi� sorto) in capo al de cuius. 

Le osservazioni che precedono convalidano l'esattezza dell'opinione, 
gi� espressa dalla IV Sezione di questo Consesso (dee. 10 luglio 1979, n. S97) 
e alla fine condivisa anche dalla Corte dei conti (risoluz. n. 1217 del 14 gennaio 
1982) secondo cui il parziale divieto di cumulo sancito dall'art: SO 
del d.P.R. n. 686 del 19S7 si giustifica solo quando entrambi i diritti, 
all'indennizzo e alla pensione privilegiata, sorgano contestualmente in 
capo allo stesso soggetto, da identificarsi appunto nell' � impiegato � cui 
espressamente il detto art. SO si riferisce; in tale caso, infatti, non 
soltanto concorrono due crediti traenti titolo da un solo fatto causativo 
di danno, ma si registra anche coincidenza almeno parziale della funzione 
indennitaria cui i due istituti rispondono (parziale, in quanto 
la pensione privilegiata tende non soltanto a rivalere l'impiegato di un 
danno connesso con la perdita di occasioni di ulteriori guadagni, ma 
anche e soprattutto ad annullare, per cos� dire, lo svantaggio dell'anticipata 
cessazione dal servizio, sul presupposto che la continuazione di 
questo avrebbe consentito al dipendente, secondo l'id quod plerumque 
accidit, di raggiungere la massima et� pensionabile). Tale coincidenza 
non si rinviene invece per i corrispondenti crediti dell'erede, in capo al 
quale il diritto pensionistico sorge ex novo, per finalit� essenzialmente 
previdenziali (collegate anche ad esigenze di tutela dell'istituto familiare), 
e il credito per l'equo indennizzo si trasmette, invece, jure successioni.s 
in quanto gi� presente nel patrimonio del dante causa. 

L'argomento logico-sistematico, dunque, confortando la conclusione 
suggerita dalla interpretazione letterale della norr~a in esame, induce a 
ritenere non decurtabile l'equo indennizzo quando, come nella specie, il 
relativo credito sia sorto, in capo all'impiegato di poi deceduto, senza 
subire la concorrenza del diritto al trattamento privilegiato, di cui il 
medesimo impiegato non abbia potuto fruire. 

Infondato, al pari del primo, � il secondo motivo d'appello, col quale 
la difesa erariale censura la sentenza appellata per aver riconosciuto 
spettare alla ricon-ente gli � interessi corrispettivi nella misura legale f 

i'' 

a far tempo dalla data di adozione del decreto ministeriale di attribuzione 
dell'equo indennizzo�, l 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

L'Avvocatura sostiene, in proposito, che la disciplina legale degli 
interessi � derogata dalle norme sulla contabilit� dello Stato, e segnata� 
mente dall'art. 270 del regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924, 

n. 827, per il quale i debiti pecuniari dello Stato diventano esigibili 
solo dal momento dell'emissione del relativo titolo di spesa. 
L'Adunanza osserva preliminarmente che l'art. 270 surrichiamato non 
contiene disposizioni che� espressamente deroghino alle norme del codice 
civile in tema di interessi sulle obbligazioni pecuniarie dello Stato, e 
che, caso mai, � l'insieme dei principi desumibili dal particolare sistema 
giuscontabilistico dello Stato, cos� come elaborati e tramandati da una 
giurisprudenza tralaticiamente formatasi sulla questione, che potrebbe 
indurre ad escludere il requisito dell'esigibilit�, richiesto dall'art. 1282, 
cod. civ., quale condizione di decorrenza ex lege degli interessi corrispettivi, 
tutte le volte che sia riconoscibile all'Amministrazione il potere 
di ritardare il pagamento dovuto in considerazione dell'obbligo ad essa 
imposto dalle norme contabili, di effettuare i dovuti riscontri sulla 
regolarit� dei documenti giustificativi del credito vantato dalla controparte 
privata (cfr. art. 277 del regolamento). 

Va ricordato, in proposito, che la pi� recente giurisprudenza della 
Cassazione � fermissima nel ritenere che le particolari disposizioni contabili 
regolanti il procedimento di accertamento ed erogazione delle 
spese dello Stato non possono essere utilmente invocate ove si faccia 
valere dal privato una fattispecie di inadempimento colpevole, perch� 
la scadenza del debito secondo le norme civilistiche e la susseguente 
responsabilit� dell'Amministrazione per il ritardo nel pagamento, sono 
fatti giuridici costitutivi dell'obbligazione (degli interessi moratori) che 
non possono essere annullati o elusi da un potere amministrativo assolutamente 
discrezionale, e perci� insindacabile, di fissare unilateralmente 
il tempo dell'adempimento; non basta, quindi, al fine di eliminare la 
responsabilit� per il ritardo, che l'Amministrazione adduca di non aver 
emesso il titolo di spesa, ma � altres� necessaria la prova che la 
ritardata emissione del titolo trovi giustificazione in particolari adempimenti 
contabili prescritti dalla legge, idonei ad escludere la mora del 
debitore secondo i principi comuni (cfr., da ultimo, Cass. Sez. I, 17 gennaio 
1980, n. 384; va notato, per inciso, che la citata giurisprudenza 
della Cassazione � stata accolta dalla Corte costituzionale -cfr. sent. 
26 maggio 1981, n. 76 -al fine di negare fondamento alla questione di 
legittimit� costituzionale sollevata in riferimento alla disposizione dell'art. 
270 regol. cont. in quanto intesa come norma dotata di forma 
precettiva primaria secondo il �diritto vivente�). 

Il problema che l'eccezione dell'Avvocatura solleva si porrebbe, quindi, 
per i soli interessi corrispettivi, che una altrettanto sicura e ancor 
pi� antica giurisprudenza della Cassazione ritiene soggetti alla speciale 
disciplina contabile, con la conseguenza di escluderne la decorrenza prima 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

510 

dell'emissione del titolo di spesa (cfr. Sez. Un., 26 aprile 1977, n. 1561; 
Cass., 6 ottobre 1971, n. 2748; 16 maggio 1973, n. 1389; 3 febbraio 1965, 

n. 172); la distinzione tra responsabilit� per fatto illecito, fonte di obbligazione 
risarcitoria a titolo di interessi moratori, e ritardato adempimento 
di obbligazioni pecuniarie ab origine, costituente titolo di esigibilit� 
degli interessi corrispettivi, � tenuta presente in modo particolare 
da Cass., 12 marzo 1974, n. 652, al fine di escludere che il principio di 
inesigibilit� posto dalle norme giuscontabilistiche si estenda alla prima 
ipotesi; cfr. anche, in tal senso, Cass., 4 agosto 1977, n. 3461 e 2 giugno 
1978, n. 2762. Tuttavia va ricordato che questa Adunanza plenaria, 
nel riesaminare funditus l'intera questione, ha gi� avuto occasione di 
riconoscere dovuti gli interessi quando il debito pecuniario dello Stato, 
nonch� certo e liquido (o facilmente liquidabile in base a parametri 
normativamente precostituiti), debba considerarsi altres� esigibile, per 
essersi gi� verificata la condizione legale della sua scadenza, essendo 
l'esigibilit� una qualit� del credito che resta estranea alla fase contabile 
dell'ordinazione di spesa (la quale, anzi, tale qualit� presuppone, restandone 
condizionata, cfr. Ad. plen. 7 aprile 1981, n. 2). 
Dove la domanda relativa agli interessi, individuata nei suoi caratteri 
ontologici e al di l� della prospettazione di parte (cfr. Sez. un. 5 maggio 
1983, n. 3076), non debordi dai limiti della contestazione sul credito 
principale, non presupponga, cio�, l'accertamento di una specifica colpa 
dell'Amministrazione e nel ritardo per la emissione dei titoli di impegno 
e ordinazione della spesa, l'obbligazione degli interessi si riconnette alla 
stessa disciplina del rapporto oggetto di contestazione e ne consegue 
come effetto automatico, in virt� del solo principio che i debiti pecuniari 
scaduti sono ex lege fruttiferi per il creditore a compensazione 
dello squilibrio economico determinato dal semplice � fatto � del ritardato 

pagamento. 

Nella fattispecie in esame, si controverte degli interessi decorrenti 

dal decreto ministeriale che ha riconosciuto il diritto all'equo indennizzo 

e ne ha determinato la misura (in modo, come si � visto, illegittimo). 

Non � stata richiesta dalla ricorrente, e comunque non viene qui in 

contestazione, una diversa e antecedente decorrenza degli interessi, come 

pure avrebbe potuto ipotizzarsi considerando che, per legge (art. 154, 

terzo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312), il momento di liquida


zione dell'indennizzo coincide con quello della domanda, e che, pertanto, 

un eccessivo e non giustificato ritardo nell'accertamento della misura 

del credito avrebbe potuto dedursi quale fonte di responsabilit� risar


citoria (per gli interessi moratori) a carico dell'Amministrazione. 

L'emissione del titolo di � impegno � della spesa, che nella specie 
ha coinciso con il momento di accertamento del debito, da parte della 
Amministrazione, nell'an e nel quantum (art. 273, lett. i, del r.d. 23 mag




PARIE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

gio 1924, n. 827), individua anche il momento di maturazione e scadenza 
del debito stesso, il cui importo, soltanto soggettivamente contestato, 
era tuttavia da considerare s'in da quel momento � ce.rto � e facilmente 
liquidabile nella giusta misura per essere obiettivi e obiettivamente 
accertabili gli elementi legali di identificazione della sua esistenza e della 
sua entit�. Il creditore, quindi, aveva diritto a pretendere l'immediato 
pagamento della � giusta � somma (peraltro gi� richiesta circa tre anni 
prima), non essendo idoneo a spostare il termine legale di scadenza 
dell'obbligazione l'ulteriore adempimento contabile consistente nell'emissione. 
dell'ordinativo di pagamento. 

Consegue da tutte le suesposte considerazioni che anche su tale 
punto la sentenza del T.A.R., ancorch� incompleta nella parte motiva, 
appare conforme a diritto nel dispositivo e merita pertanto conferma.. 

L'altra pretesa della ricorrente, intesa ad ottenere la rivalutazione 
dell'indennizzo ai sensi dell'art. 49, terzo comma, del d.P.R. n. 686 del 
1957, � stata dichiarata infondata dal T.A.R., e su tale punto la pronuncia 
del primo giudice � passata in giudicato stante la tardivit� 
dell'appello � incidentale � dalla medesima ricorrente proposto. L'impugnativa 
infatti (che pu� qualificarsi �incidentale� solo perch� cronologicamente 
successiva a quella principale dell'Avvocatura) risulta notificata 
al Ministero in data 10 marzo 1982, laddove non soltanto la sentenza 
del T.A.R. era stata notificata al Ministero (� da presumere, ad iniziativa 
della ricorrente parzialmente vittoriosa) in data 9 settembre 1981, ma, 
quel che pi� conta, lo stesso appello principale dell'Avvocatura era 
stato a sua volta notificato alla ricorrente jn data 29 ottobre 1981 e 
depositato il successivo 27 novembre (sicch� l'appello incidentale risulterebbe 
tardivo quand'anche volesse ad esso ritenersi applicabile la disciplina 
dell'art. 37 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054). 

Conclusivamente, l'appello principale va respinto, mentre va dichiarato 
irricevibile, in quanto tardivo, l'appello incidentale. 
Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate le 
spese del grado. (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO -Ad. Plen., 9 marzo 1984, n. 5 -Pres. Pescatore Est. 
Lignani -Ministero Pubblica Istruzione (Avv. Stato Tarin) c. 
De Tommasi (Avv. Dodaro) ed altro (n. c.). 

Atto amministrativo -Convalida -Applicabilit� alle manifestazioni di volont� 
-Proposta. 

Atto amministrativo -Convalida -Inapplicabilit� ad atto annullato. 


512 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Istruzione e scuole -Universit� -Consigli di facolt� -Proposta di incarico 
-� Ius superveniens � ~ Effetto ostativo per convalida -Non 
sussiste. 

Mentre � improprio parlare di convalida per le manifestazioni di 
giudizio, essa � invece concepibile per le manifestazioni di volont� e 
quindi anche per la proposta tanto pi� se necessaria e relativamente 
vincolante (1). 

Non pu� essere convalidato un atto che sia stato gi� annullato (2). 

La norma sopravvenuta che vieta ai Consigli di. facolt� di formulare 
nuove proposte in materia di incarichi universitari non impedisce la 
convalida delle proposte gi� formulate, ancora in itinere (3). 

(omissis) Si pu� quindi concludere, sul punto, nel senso che la 
delibera del maggio 1980 dev'essere interpretata (univocamente) come 
espressione della volont� di convalidare la proposta gi� fatta piuttosto 
che di formulare una proposta nuova. 

(1) Sul pI'inc1p>10 generale espresso nella massima non si rinvengono perplessit� 
n� in giurisprudenza n� in dottrina, ov:e, deducendosi il principio stesso 
da quello dell'autotutela che conduce per due strade alternative o alla convalida 
o all'autoannullamento, si d� per scontato che l'atto in questione debba essere 
una manifestazione di volont� (cfr. Saintaniello, Convalida in Enc. del dir.) e 
RAVA, La convalida degli atti amminiStrativi). 
(2) Sull'inammissibilit� della conwiilida di un atto definitivamente annullato 
in sede giurisdizionale cfr. Cons. St. V 14 marzo 1972 n. 168. 
(3) Con la statuizione riportata l'Ad. Plen. risolve piuttosto rapidamente 
il problema posto dalla ordinanza di rimessione (IV 15 giugno 1983 n. 497) 
nella quale non solo si dubitava della ricorrenza dei requisiti di forma della 
convalida (menzione dell'atto da convalidare e indicazione dei vizi da sanare), 
e dell'incidenza del diweto di conferimento di nuovi incarichi sul potere di 
convalidare i precedenti (e ci� in re1azione alla possibilit� di configurare la 
conva�ida come un provvedimento del tutto nuovo con effetto retroattivo in 
contrasto con !orientamento accennato circa l'essere la convalida espressione 
del potere di autotutela), ma altres� dell'idoneit� della convalida stessa ad 
operare riguardo ad un atto preparatocio (quale la proposta di incarico) e 
quindi della possibilit� di utilizzarla da parte di un'autorit� diversa da quella 
dotata del potere di adottare l'atto finale del procedimento. 
In sostanza la Sez. VI poneva questa alternativa: se non si tratta di autotutela 
la delibera del Consiglio di facolt� successiva al divieto legislativo � 
illegittima per il solo rilievo tempora1e, se � autotutela allora deve essere esercitata 
dall'organo che ha il potere di autoannullare l'atto ma non pu� estendersi 
all'organo proponente che pu� solo ritirare la proposta. La questione cos� perspicuamente 
posta non sembra essere stata colta in tutte le sue implicazioni 
dall'Ad. Plen. che ha ritenuto applicabile la convalida a tutti gli atti volitivi 
anche se interni al procedimento. 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

4. -Una successiva, e distinta questione riguarda l'applicabilit� dell'istituto 
della convalida agli atti interni al procedimento e a quelli di 
proposta in particolare. 
Da un punto di vista pi� generale, si osserva, innanzi tutto, che a 
questo proposito si pu� distinguere tra i pareri (manifestazioni di giudizio) 
e le proposte (manifestazioni di volont�). Riguardo ai primi si pu� 
ammettere (ma si tratta di questione �non rilevante in questa sede) che 
rispetto ad essi sia improprio parlare di convalida; riguardo alla seconda, 
invece, la convalida sembra pi� facilmente concepibile, quanto 
meno quando si tratti (come nella specie) di proposta necessaria (in 
assenza della quale, cio�, l'organo decidente non pu� provvedere) e 
relativamente vincolante (tale, cio�, che l'organo decidente pu� solo 
provvedere in senso conforme o respingerla, ma non provvedere in senso 
difforme). 

In tale ipotesi, invero, piuttosto che di mero atto di iniziativa o 
d'impulso, conviene parlare di elemento costitutivo di un atto complesso, 
il cui rilievo anzi � tanto maggiore quanto pi� limitati sono i presupposti 
che possono legittimare il rigetto della proposta da parte dell'autorit� 
decidente. Vi sono infatti dei casi nei quali a quest'ultima appartiene 
solo un riscontro di legittimit�, escluso un (nuovo) giudizio discrezionale 
sul merito della proposta. 

Non pare, dunque, che alle proposte in discorso si possa negare 
il carattere di atti amministrativi volitivi, suscettibili, come tali, di 
convalida. 

Ogni possibile perplessit�, poi, viene superata alla luce del fatto che 
alle proposte d'incarico universitario si riconosce anche una � limitata 
e temporanea � efficacia esterna, tanto che, come si � visto, la legge 

n. 28 del 1980 viene interpretata come riferita alle proposte (ed alle 
relative date) piuttosto che alle nomine. In tale luce, sembra innegabile 
l'applicabilit� dell'istituto della convalida. 
5. -Altr~ questione, ancora, � quella sollevata dall'appellante Ministero 
della pubblica istruzione circa la impossib�it� di convalidare gli 
atti gi� annullati siccome viziati. L'annullamento consisterebbe, secondo 
l'appellante, nella delibera del Senato accademico con cui sono stati 
formulati i rilievi sui quali il Consiglio di facolt� si � pronunciato 
nella seconda adunanza. 
Ora, � vero che un atto annullato, in quanto inesistente nel mondo 
giuridico, non pu� formare oggetto di convalida (n�, del resto, pu� 
formare oggetto di revoca, di proroga, di un secondo annullamento, 
ecc.); sicch� si pu� dire. che la convalida opera come causa ostativa 
di un annullamento futuro e presuppone un atto attualmente efficace 
ed assistito dalla presunzione di legittimit�, ancorch� viziato. Ma si 
deve anche dire che i rilievi del Senato accademico, nella fattispecie, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non esprimono la volont� di annullare, n�, comunque, hanno avuto 
questo effetto; l'efi�cacia provvisoria della proposta si � mantenuta (va 
notato, che la proposta in questione era suscettibile d'impugnazione, 
ma non risulta impugnata), ed anzi, dall'insieme degli atti, ed in particolare 
dalla delibera con cui il Senato accademico ha preso atto della 
intervenuta conferma o convalida, emerge chiaramente che i rilievi erano 
formulati proprio con l'intenzione di provocare un atto del genere, non 
gi� quella di por termine ad uno stato di fatto illegittimo. 

Questo motivo d'appello � dunque infondato. 

6. -Tutti i motivi dell'appello dell'amministrazione risultano, cos� 
infondati; resta per� da prendere in esame una questione non sollevata 
direttamente nell'atto d'appello, ma tuttavia prospettata nell'ordinanza 
di rimessione all'Adunanza plenaria. Si tratta della questione della 
legittimit� di una convalida emanata quando lo jus superveniens ha 
privato l'organo, autore del provvedimento originario, del relativo potere. 
In altre parole, ci si chiede se, venuto meno il potere di provvedere 
nel merito, sopravviva comunque quello di convalidare i provvedimenti 
presi anteriormente. 
Come ipotizzato nell'ordinanza di rimes5ione, il quesito si risolve 
in base alla considerazione che la convalida non � altro che una delle 
possibili espressioni del potere di autotutela. Ora, il poter.e di autotutela 
permane negli organi istituzionalmente preposti ad un certo settore 
amministrativo, anche se il jus superveniens abbia posto il divieto 
di emanare nuovi atti di un certo tipo, mantenendo fermi gli effetti di 
quelli gi� emanati ed i conseguenti rapporti (altro sarebbe da dire se il 
jus superveniens consistesse nella devoluzione della materia alla competenza 
di un altro organo ad ordine amministrativo, ovvero nella totale 
abrogazione delle attribuzioni in una determinata materia). Cos�, anche 
se con l'entrata in vigore della legge n. 28 del 1980 era vietato ai consigli 
di facolt� di formulare nuove proposte, non � dubbio che essi avessero il 
poter.e di annullare d'ufficio o di revocare le proprie proposte ancora 
in itinere; non si pu� dire, cio�, che essi fossero stati spogliati di ogni 
attribuzione in materia di incarichi universitari, mentre, al contrario, 
si pu� dire che essi le mantenessero tutte, tranne che per la formazione 
di �proposte nuove (tanto che si � posto anche il problema, risolto peraltro 
negativamente dal Consiglio di Stato in sede consultiva, se tra i 
poteri superstiti vi fosse anche quello di sostituire il candidato). 

In questa luce, si pu� dunque concludere che il jus superveniens non 
impediva la convalida delle proposte gi� formulate, e ancora in itinere. 

7. -La sentenza appellata merita dunque conferma, e l'appello dell'Amministrazione 
va respinto. Tuttavia vi sono giusti motivi per compensare 
le spese del giudizio in questo grado. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 515 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 11 marzo 1984 n. 6 -Pres. Pescatore 


Est. Vacirca -Iraci (avv. Dean) c. USL n. 3 (avv. Migliorini) e 

Casotto (avv. Scoca). 

Cosa giudicata civile -Atto vincolato -Atto difforme -Giudizio di inottemperanza 
-Termine impugnazione. 

Sanit� -� Sanitario -Concorso -Sovvertimento della graduatoria da parte 
del G.A. -Impossibilit� riesame da parte Commissione -Nullit� 
relativa delibera -Proclamazione vincitore concorso da parte G.A. Commissario. 


Quando in ottemperanza al giudicato l'Amm.ne sia tenuta all'adozione 
di un atto a contenuto vincolato, essa � priva del potere di provvedere 
diversamente e gli atti difformi possono essere dichiarati nulli dal G. A., 
anche se impugnati oltre l'ordinario termine di decorrenza, finch� duri 
l'azione di giudicato (1). 

Quando il G. A. abbia stabilito in sentenza il sovvertimento della 
graduatoria con la collocazione puntuale dei candidati nei posti spettanti, 
la Commissione convocata dall'Amm.ne non pu� riesaminare i titoli 
e modificare le posizioni dei candidati; deve quindi dichiararsi nulla 
la relativa delibera e deve procedersi alla nomina del vincitore <J_el 
concorso, risultando superflua la nomina di un commissario (2). 

(omissis) DIRITTO. -1. -Deve preliminarmente esaminarsi l'eccezione 
di inammissibilit� del ricorso per ottemperanza, sollevata dall'Amministrazione 
e. dal controinteressato in riferimento ai provvedimenti 
sopravvenuti, con i quali � stata rinnovata la graduatoria del concorso. 

Tale eccezione appare infondata. 
In generale gli atti emanati dall'Amministrazione, dopo un annullamento 
in sede giurisdizionale, sono soggetti all'ordinario regime d'impu


(1) Una volta ammessa, sulla scia della dottrina (cfr. Caianiello, Lineamenti 
del processo ammin. p. 564) !esperibilit� dell'azione di esecuzione del giudicato 
anche quando la Amm.ne non sia rimasta inerte ma abbia adottato un provvedimento 
lesivo del giudicato, la conclusione relativa al termine per la proponibilit� 
del ri.icorso semora non potersi pi� porre �diversamente dai termillli. puntualizzati 
nella sentenza. 
(2) La statuizione di merito massimata non sembra aver colto le problematiche 
sollevate dalla Sez. V con l'ordinanza di rimessione del 5 rebbraio 1982 
n. 68, al punto che le sue decisioni ad una prima lettura sembrano riguardare 
questioni diverse. Aveva ri.nfatti rilevato la V che l'Ammillli.strazione aveva 
rinnovato le operazioni concorsuali non dopo la sentenza del Consiglio di Stato 
ma bens� subito dopo quella del T.A.R., attenendosi ai criteri da questa enunciati, 
che poi erano stati modificati dal Consiglio di Stato sllil'appello dello stesso 
ricorrente che non si era ritenuto soddisfatto dalla pronuncia di I grado. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

_gnazione anche quando si discostino dai criteri indicati nella sentenza, 
giacch� in tale evenienza � pur sempre configurabile un vizio di legittimit� 
del nuovo provvedimento, da far valere nei modi, nei termini e 
con le garanzie propri del ricorso ordinario. L'esigenza di certezza dei 
rapporti giuridici impone, infatti, che ogni provvedimento autoritativo 
sia suscettibile di annullamento giurisdizionale soltanto se impugnato 
entro un termine di decadenza, mentre lo speciale procedimento ex 
art. 27 n. 4 t.u. n. 1054 del 1924 pu� essere esperito �finch� duri l'azione 
di giudicato �. 

Inoltre la privazione del doppio grado nei casi (come quello in esame) 
in cui la sentenza di un Tribunale amministrativo sia stata riformata 
in sede di appello (art. 37 terzo comma, 1. 6 dicembre 1971, n. 1934), si 
risolverebbe in una deroga di dubbia legittimit� ai principi enunciati, in 
materia di giurisdizione amministrativa, dalla Corte costituzionale (sentenza 
1� febbraio 1982 n. 8), se lo speciale ricorso per ottemperanza si 
ritenesse esperibile anche per l'impugnazione di provvedimenti del tutto 
nuovi, adottati in violazione dei limiti posti da un giudcato all'esercizio 
del potere. 

N� rileva, in sede di esecuzione, l'eventuale carattere esclusivo del 

nuovo provvedimento. 

La nozione di atto elusivo non � univoca in giurisprudenza. Talvolta 

essa � riferita a semplici atti preparatori (Ad. plen., 29 gennaio 1970, n. 1), 

ma in tali casi l'intento perseguito risulta irrilevante, in quanto l'Ammi


nistrazione va considerata inadempiente per l'oggettiva natura degli atti 

adottati. 

Altre volte si parla di atto elusivo in relazione a veri e propri prov


vedimenti (v. Cons. Stato, Sez. VI, 28 luglio 1978 n. 994). Ma riguardo a 

questo secondo ordine di ipotesi, occorre considerare che, quando l'Ammi


nistrazione sia ancora investita del potere di provvedere, l'intento di 

eludere il giudicato d� luogo ad una divergenza fra scopo effettivamente 

perseguito e funzione tipica dell'atto, riconducibile alla categoria generale 

dell'eccesso di potere. 

Si chiedeva quindi la V 'se fosse 1applioabile il pdncipio sancito nell'art. 336 

cpc. secondo cui la riforma con sentenza passata in gii.udicato estende i suoi 

effetti ai provvedimenti dipendenN dalla sentenza riformata, non solo alla 

fattispecie in esame ma al prooesso amministrativo in genere. 

L'esame di tale quesHone viene omesso dalla Ad. Plen., Ja quale mostra 

anZJi di ritenere che il comportamento elusivo dell'Amm.ne sia successivo alla 

decisione di appello, rilevando che la decisione del Consiglio di Stato impose 

un vincolo estremamente puntuale che l'Amm.ne avrebbe dovuto rispettare 

pedissequament� invece di provvedere al riesame autonomo dei titoli dci candd


dati. 

Mette conto infine di sottolineare la parte della statuizione con cui il 

Supremo Concesso, rompendo gii indugi, si sost�ituisce direttamente all'Amm.ne 

per provvedere alla nomina senza neppur rucorre11e al Commissario ad acta. 


::;:.:,; . ~ 

�.�. 
PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 517 

Di conseguenza � configurabile pur sempre un vizio di legittimit�, da 
dedurre con ricorso ordinario. 

2. � I princip! suesposti non possono, per�, applicarsi allorquando dal 
giudicato derivi non gi� un semplice vincolo all'attivit� discrezionale, 
ma un obbligo talmente puntuale da non lasciare spazio alcuno all'esercizio 
di poteri dell'Amministrazione. 
In questi casi, infatti, l'ottemperanza al giudicato si concreta nell'adozione 
di un atto, il cui contenuto � integralmente desumibile dalla sen� 
tenza, onde deve ritenersi che l'Amministrazione sia carente del potere 
di provvedere diversamente e che eventuali atti difformi dal giudicato possano 
essere dichiarati nulli, indipendentemente da una impugnazione nel 
termine di decadenza. Inoltre � giustificabile, alla luce dei princip! costituzionali, 
la deroga alla regola del doppio grado, giacch� l'adozione di 
atti nulli pu� essere equiparata ad un contegno puramente omissivo 
dell'amministrazione, il cui accertamento non richiede necessariamente 
le forme e le garanzie di un ordinario giudizio di cognizione. 

3. � Ci� posto, va rilevato che nel caso in esame la Sezione V di 
questo Consiglio impose un vincolo estremamente puntuale all'Amministrazione, 
stabilendo, con la decisione n. 79 del 9 febbraio 1979 che l'accoglimento 
dell'appello determinava (( il sovvertimento definitivo della graduatoria 
di merito del concorso in esame con la collocazione dell'lraci al 
primo posto (punti 60,404/100) e del Casotto al secondo (punti 60,774/100 
-0,713/100 = punti 60,061/100) �. 
Di conseguenza l'Amministrazione avrebbe dovuto limitarsi ad emanare 
�i provvedimenti occorrenti, attenendosi alle indicazioni enunciate 
nella stessa decisione con riferimento ai punteggi, spettanti ai candidati 
proff. Casotto ed Iraci, sulla base riassuntivamente delle conclusioni afferenti 
ai capi passati in giudicato della decisione di primo grado ed 
alla decisione anzidetta d'appello �, cos� come ha esplicitamente disposto 
questa Adunanza plenaria, con decisione n. 18 del 3 dicembre 1982. 

L'Amministrazione, invece, in seguito ad accertamenti sollecitati dal 
controinteressato, ha riconvocato per un riesame dei titoli la commis� 
sione giudicatrice, la quale, a stretta maggioranza, ha diminuito il punteggio 
del prof. Iraci, portandolo a punti 59,404/100, con la conseguenza 
che questi risulta retrocesso al secondo posto. 

Non occorre stabilire -per le ragioni gi� viste -se con questi provvedimenti 
l'amministrazione abbia inteso eludere il giudicato. 

~ sufficiente osservare che nel caso in esame il procedimento con� 
corsuale era gi� concluso e la graduatoria era stata �sovvertita� con 
sentenza passata in giudicato, onde l'Amministrazione non aveva pi� il 
potere di riesaminare i titoli del prof. Iraci, neppure sotto il profilo 
della valutabilit� dell'attivit� operatoria alla stregua del titolo scientifico. 



518 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In tal senso si era, del resto, gi� pronunciata questa Adunanza plenaria 
in occasione del precedente giudizio di ottemperanza, allorch� eia 

~ 

stata presa in esame la delibera 26 marzo 1981 n. 526, con cui il Comitato 1 
di gestione dell'Unit� sanitaria locale aveva proceduto alla riconvoca� 
zione della Commissione giudicatrice: nella decisione n. 18 del 3 dicem� 
bre 1982, questa adunanza aveva ditenuto irrilevante tale delibera, non 
solo per il suo carattere preparatorio, ma anche per il suo oggettivo 

I

contrasto con le indicazioni enunciate nella sentenza della V Sezione. i

! 

4. � Il ricorso �, pertanto, ammissibile e, nel merito, va accolto, non 
essendosi l'Amministrazione conformata, nel termine assegnato, alle 
puntuali indicazioni delle sentenze passate in giudicato. 
Di conseguenza devono dichiararsi nulle le delibere n. 830/82 e I 
I! 
! 
240/83 del Comitato di gestione dell'Unit� sanitaria locai.e e nell'esercizio 
del potere di sostituzione previsto dall'art. 26 secondo comma I. 6 dicem� 
bre 1971, n. 1034, deve procedersi direttamente alla nomina del vincitore 
del concorso, risultando superflua a tal fine la nomina di un commissario. 

I 

Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell' Ammi


t. 
nistrazione e del controinteressato, con vincolo di solidariet�. 

~ 

i

1 

{: 

f: 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 21 marzo 1984 n. 150 -Pres. Paleologo � 

t 

Est. Lignani -Ministero Tesoro (avv. Stato Carbone) c. Boselli (avv. f; 
Contaldi). li 


I

Impiego pubblico � Cappellano militare addetto al servizio religioso pres� 
so ospedale provinciale � Sussistenza rapporto impiego � Convenzione 

I 

con ordinarlo diocesano. 

Sussiste un rapporto d'impiego tra la Provincia ed il cappellano militare 
per il servizio religioso presso un ospedale anche se la Convenzione 

I 

tra l'ente territoriale e l'Ordinario diocesano riserva a quest'ultimo il 
diritto di designare il cappellano (1). � 

I 

(1) La sentenza ha un precedente specifico costituito da Cons. Giust. Amm. 
Reg. Sic. 16 luglio 1983 n. 89 (in Cons. St. 1983, 858) che, in primo luogo richiamando 
il parere della Sez. II Cons. St. 30 gennaio 11973 n. 1992/72 ha escluso Jia 
sussistenza di un !'apporto priviatistico nonpstante la forma contrattuale, in 
secondo luogo facendo 11iferimento all'art. 35 d.p.r 128/1%9 ed amart. 19 1. 
132/1968 ha ritenuto irrileviante la distinzione tra personale religioso con funzioni 
�ini�ermieristiche e personale religtloso con funzioni di culto, ammettendo 
per entrambi il rapporto di pubblico impiego con l'Ospedale; infine ha respinto 
l'eccezione concernente la lesione del principio dii eguagHanza rispetto agli altri 
cittadini per i quali l'accesso al pubblico impiego � condizfonato dal superamento 
del concorso, tenendo oonto della posizfone giuridica del tutto singolare 
del personale religtloso in relazione � alle modalit� .d!i espletamento delle loro 
prestazioni volte ad assicurare l'assistenm morale e religiosa agli infermi �. 

519

PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 19 marzo 1984 n. 252 -Pres. Piga, Est. 
Baccarini -Comune di Milano (avv. Marchese, Lopopolo e Pirocchi) 

c. Soc. Gemini (avv. Maupoi e Pirelli) e Soc. Agrisport (n.c.). 
Urbanistica � Opere abusive � Acquisizione gratuita al patrimonio comu� 
nale � Motivazione -Contenuto � Compatibilit� con strumenti urba� 
Distici � Utilizzabilit� a fini pubblici. 

Urbanistica � Opere abusive -Acquisizione gratuita al patrimonio comu� 
nale � Diffida a demolire -Presupposto necessario � Impossibilit� giu� 
ridica di esecuzione � Inammissibilit� sanzione. 

Il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale 
di opere edilizie abusive � sufficientemente motivato con la considerazione 
della loro compatibilit� rispetto agli strumenti urbanistici e della 
loro utilizzabilit� ai fini pubblici (1). 

Rispetto al provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio 
comunale di opere edilizie abusive la diffida a demolire ha carattere di 
presupposto necessario, per cui quando il proprietario delle ppere non 
sia in grado di dare esecuzione alla demolizione a causa della locazione 
delle opere a terzi non � legittimo il provvedimento sanzionatorio suddetto 
(2). 

(1) Sul contenuto della motivazione del provvedimento di acqms1zrone gratuita 
delle opere al patrimonio comunale si era gi� espressa fa V Sez. con la 
sentenza 19 ottobre 1979 n. 593 nella quale si Wfermav�a la non necessit� di 
motivazione per l'ordinanza di demolizione ex art. :15 I. 110/1977 di opere edilizie 
abusive. 
(2) Non si rinvengono precedenti dn termini, e questo accresce le perplessit� 
suscitate dalla presente decisione la quale finisce col premdare sostanzialmente 
il proprietario del1e opere 1abusiV1e, il quale sira stato tanto avwduto 
da concedere in locazione le stesse, onde rendersi legittlimamente inadempdente 
alla diffida a demolire. 
:t:!: pur vero che la sentenza massr:imata fa salvo per tale ipotesi il potere 
di demolizione previsto dal comma 8 dell'art. 15 I. 10/1977, ma non si vede 
ragione per escludere l'acquisi2'l�one gratuita che, come sr:i ammette, � fa sanzione 
centrale e potremmo d.irie 1a novit� pi� saliente dell'intera disciplina. 

Secondo la presente decisione non si pu� far luogo �all'acquisizione poich� 
questa, comprendendo anche l'area, � pi� gravosa per il proprietario rispetto 
alla demolizione e quindi presuppone l'.eseguibilit� dell'ordine di demolire. 
Ma il mgionamento pu� essere agevolmente rovesciato: il legis1atore ha voluto 
attribuire all'autorit� comunale un potere particolarmente efficace che si spinge 
fino aH'acquisizione dell'area, subordinandolo alla sola diffida; il proprietario 
che non possa ottempemre a questa per rapporti privatistici inerenti l'dmmobile 
sibi imputet tale circostanza e subisca fa sanzione pi� gmvosa per lui e pi� 
favorevole per l'Amm.ne; l'racquisiz.ione pu� escludersi solo quando l'opera 
contrnsta �Con rilevanti inter.essi urbanistici od ambientaJi. 



520 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 1 marzo 1984 n. 117 -Pres. Caianiello -
Est. Noccelli -Ministero pubblica istruzione ed altri (avv. Stato Tarin) 
c. Casuzio (avv. Nespor e Ferrari). 
Istruzione e scuole -Universit� -Giudizio idoneit� per ricercatori -Ammissione 
-Vincitore premio per ricerca scientifica -Indipendenza 
da struttura universitaria -Carenza di fitolo -� Ratio legis �: sistemazione 
personale gi� in servizio. 
� legittima l'esclusione dal giudizio d'idoneit� ai fini dell'inquadramento 
nel ruolo dei ricercatori universitari del vincitore di � premi � 
istituiti nell'ambito di un programma di ricerche scientifiche la cui erogazione 
sia svincolata da ogni rapporto con le strutture universitarie, in 
quanto la finalit� della legge � quella della sistemazione del personale 
gi� in servizio presso l'Universit� con un rapporto costituito per favorire 
la formazione di nuovi docenti (1). 
(1) La decisione trova un preoedente nella sentenza della stessa Sezione 
22 dioembre 1983 n. 921 che, ispi:riandosi agli stessi principi, riconobbe il titolo 
per la partecipazione al giudizio di idoneit� ari titolari di borse di operosit� 
didattica presso la Universit� del Sacro Cuore, rilevando che il loro godimento 
comportava per i vdncitori l'obbligo di attendere con regolarit� alla ricerca 
scientifica, di collaborarie col professore ufficiale della materia nell'attivdt� didattica 
e nell'aiuto agli studenti. In quella pronuncia il ConsigLio di' Stato 
neg� altres� che potesse indurre ad escludere l'applicazione della I. 382/1980 la 
circostanza che le borse di operosit� ,erano cumulabili con i proventi di attivit� 
p~ofessiona1e a differenza degli altri assegni previsti nell'art. 58 I. oit. 
Nella stessa prospettiva la presente decisione attribuisce riUevo preminente 
al secondo comma dell'art. 58 elevandolo a comune denominatorie delle fattispecie 
elencate nel pr,eoedente comma, in quanto evidenziante Io svolgimento 
di attivh� di serviziio nella struttura organizzativa dell'Universit�; alla quale 
regola si sottrae, come eccezione che la conferma, solo la categoria dei 
titolari di assegni fra i perf�ezionandi della scuola normale e della scuola superiore 
di studi universritari e di perfezionamento di Pisa. Nel caso di spede 
la ricorrente era vincitrice di due premi istituiti nell'ambito di un prog:riamma 
di ricerche scientifiche con prevalente fina1it� di applicazione al settore de11e 
pratiche biomediche, la cui erogazione in unica mta doveva avvenire in base 
alla sola verifica dei risultati degli studi compiu1Ji fuori dell'Universit� e prima 
della istituzione dei premi stessL 
520 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 1 marzo 1984 n. 117 -Pres. Caianiello -
Est. Noccelli -Ministero pubblica istruzione ed altri (avv. Stato Tarin) 
c. Casuzio (avv. Nespor e Ferrari). 
Istruzione e scuole -Universit� -Giudizio idoneit� per ricercatori -Ammissione 
-Vincitore premio per ricerca scientifica -Indipendenza 
da struttura universitaria -Carenza di fitolo -� Ratio legis �: sistemazione 
personale gi� in servizio. 
� legittima l'esclusione dal giudizio d'idoneit� ai fini dell'inquadramento 
nel ruolo dei ricercatori universitari del vincitore di � premi � 
istituiti nell'ambito di un programma di ricerche scientifiche la cui erogazione 
sia svincolata da ogni rapporto con le strutture universitarie, in 
quanto la finalit� della legge � quella della sistemazione del personale 
gi� in servizio presso l'Universit� con un rapporto costituito per favorire 
la formazione di nuovi docenti (1). 
(1) La decisione trova un preoedente nella sentenza della stessa Sezione 
22 dioembre 1983 n. 921 che, ispi:riandosi agli stessi principi, riconobbe il titolo 
per la partecipazione al giudizio di idoneit� ari titolari di borse di operosit� 
didattica presso la Universit� del Sacro Cuore, rilevando che il loro godimento 
comportava per i vdncitori l'obbligo di attendere con regolarit� alla ricerca 
scientifica, di collaborarie col professore ufficiale della materia nell'attivdt� didattica 
e nell'aiuto agli studenti. In quella pronuncia il ConsigLio di' Stato 
neg� altres� che potesse indurre ad escludere l'applicazione della I. 382/1980 la 
circostanza che le borse di operosit� ,erano cumulabili con i proventi di attivit� 
p~ofessiona1e a differenza degli altri assegni previsti nell'art. 58 I. oit. 
Nella stessa prospettiva la presente decisione attribuisce riUevo preminente 
al secondo comma dell'art. 58 elevandolo a comune denominatorie delle fattispecie 
elencate nel pr,eoedente comma, in quanto evidenziante Io svolgimento 
di attivh� di serviziio nella struttura organizzativa dell'Universit�; alla quale 
regola si sottrae, come eccezione che la conferma, solo la categoria dei 
titolari di assegni fra i perf�ezionandi della scuola normale e della scuola superiore 
di studi universritari e di perfezionamento di Pisa. Nel caso di spede 
la ricorrente era vincitrice di due premi istituiti nell'ambito di un prog:riamma 
di ricerche scientifiche con prevalente fina1it� di applicazione al settore de11e 
pratiche biomediche, la cui erogazione in unica mta doveva avvenire in base 
alla sola verifica dei risultati degli studi compiu1Ji fuori dell'Universit� e prima 
della istituzione dei premi stessL 

SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 marzo 1984 n. 1924; Pres. Brancaccio Est. 
Sgroi -P. M. Catelani (conf.). Soc. Centralcarni c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Siconolfi). 

Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Soggetti passivi -Societ� 
che ha agito fraudolentemente per tramite di rappresentanti -:il: 
obbligata. 

(L. 25 settembre 1960 n. 1424, art. 5, 16 e 136). 
La responsabilit� del proprietario della merce, in solid() con tutti 
coloro per conto dei quali la merce � stata importata, sancita dall'art. 5 
della legge 25 settembre 1940, n. 1424, sussiste non soltanto nelle ipotesi 
di importazione legittima, ma anche nel caso di contrabbando per il 
quale nell'art. 136 si prevedono ulteriori e pi� ampie responsabilit�. Conseguentemente 
una societ� risponde dell'imposta relativa a merci introdotte 
nel territorio nazionale senza il pagamento del tributo mediante 
la falsificazione di documenti operata da rappresentante della societ� (1). 

(omissis) Con il secondo motivo la ricorrente deduce l'omessa motivazione 
su un punto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 

n. 5 c.p.c., lamentando che l'impugnata sentenza abbia del tutto ignorato 
che la mancata partecipazione della Centralcarni al processo penale 
svoltosi a carico dei due supposti autori del contrabbando, unitamente 
al mancato formarsi di un giudicato penale di condanna, non consentiva 
di affermare la responsabilit� civile prevista dalla legge doganale in 
capo alla proprietaria de'lle merci. La Centralcarni non poteva ricomprendersi 
fra i soggetti passivi dell'imposta menzionati dall'art. 5 legge 
doganale, dal momento che tale norma fa riferimento ai soli casi di importazioni 
legittime. N� poteva -secondo la ricorrente, farsi capo 
all'art. 136 legge doganale, sia perch� il supposto reato non � stato commesso 
nello stabilimento della Centralcarni, bens� al di fuori di esso, 
sia perch� la speciale responsabilit� prevista da tale norma presuppone 
che l'esistenza del delitto da cui scaturisce l'obbligo tributario 
risulti accertata dal giudice penale con sentenza irrevocabile di condanna. 
(1) La decisione � di evidente esattezza. In senso conforme Cass. 5 maggio 
1972 n. 1359, in Giust. Civ., 1972, I, .1844 �e 16 fiebb:mio 1982 n. 956 di cui non 
risulta pubb1icata la motiv,a:lJione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Con il terzo motivo, strettamente collegato al secondo, la ricorrente 
deduce la falsa applicazione degli artt. 5 e 16 (ora 38 e 56) legge doganale 
nonch� dell'art. 185 c.p. con riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c., 
lamentando che l'impugnata decisione abbia ritenuto la Centralcarni proprietaria 
delle merci che sarebbero state illegittimamente introdotte in 
Italia, in conseguenza delle false dichiarazioni formate dal Comelli e 
dal Gandola, per il solo fatto -con evidente riferimento agli artt. 5 e 16 
della legge doganale -che le bollette di importazione risultavano intestate 
alla Centralcarni, senza considerare che i suddetti articoli fanno 
riferimento esclusivo ad importazioni legittime e non gi� alle ipotesi 
di contrabbando, per le quali soccorre l'art. 136, per cui nessun rilievo 
poteva assumere la intestazione formale delle bollette doganali. Parimenti 
errato -secondo la ricorrente -� il ragionamento dei giudici 
bolognesi quando affermano che gli illeciti addebitati al Comelli sarebbero 
stati posti in essere da questo nello svolgimento dei suoi compiti 
di amministratore della societ�, quasi che fra i poteri attribuiti all'accomandatario 
fosse compreso quello di commettere delitti e formare atti 
falsi in nome e per conto della societ�. 

Secondo la ricorrente, il ragionamento finisce con l'introdurre un 
concetto di responsabilit� non preveduto dalla legge doganale, ed esorbitante 
dall'art. 185 c.p. Nella specie non esisteva alcuna delle ipotesi 
di responsabilit� previste dall'art. 185 c.p. e dagli artt. 2043 e ss. c.p., 
non essendo dimostrato che delle merci oggetto di contrabbando e che 
apoditticamente si affermavano essere di propriet� della Centralcarni 
fossero effettivamente entrate nella materiale disponibilit� di quest'ultima, 
mentre risultava dimostrata la sussistenza e l'effettiva destinazione 
data dalla Centralcarni alle merci cos� come pervenute nel proprio stabilimento, 
verificate all'atto dello sdoganamento e risultanti nelle bolle 
doganali di importazione. 

I motivi si devono rigettare perch� in parte estranei alla motivazione 
della sentenza impugnata ed in parte palesemente infondati. La ricorrente 
ha trascurato di considerare che la Corte d'Appello di Bologna 
ha affermato che non esisteva nella specie alcun giudicato penale opponibile 
alla societ� Centralcarni; e che pertanto ha affermato l'esistenza 
del debito tributario della predetta societ� del tutto indipendentemente 
dall'accertamento dei delitti di contrabbando e di falso, alla stregua della 
legislazione doganale sui diritti doganali e di confine. Pertanto, non hanno 
alcun rilievo nella specie n� l'art. 136 della legge doganale del 1940, 
n� l'art. 185 c.p., n� l'art. 2043, c. civile; ed esattamente la Corte del merito 
non li ha applicati. 

Si trattava, infatti di stabilire: a) la qualit� e la quantit� della 
merce introdotta in Italia; b) chi l'avesse introdotta; e) se fossero stati 
pagati tutti i diritti doganali e di confine dovuti dagli obbligati sulla 
merce effettivamente importata. 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

In ordine al primo accertamento, inesattamente la ricorrente sostiene 
che il giudice non potesse discostarsi dalle risultanze formali delle 
bolle doganali di sdoganamento. Invero, con motivazione ispirata ad 
esatti principi giuridici e congruamente giustificata (cfr. l'ultimo motivo 
di ricorso), la Corte di Bologna ha affermato che le bolle, come mere 
certificazioni amministrative, erano superate da altre e pi� tranquillanti 
fonti di prova, accuratamente ed organicamente esposte; e che esse documentavano 
semplicemente l'ammontare dei tributi liquidati, nonch� 
il tipo e la qualit� della merce per la quale essi erano stati liquidati, e 
non gi� i generi ed i quantitativi di carne effettivamente importata ed 
immessa al consumo. 

Pertanto la Corte bolognese ha motivatamente escluso che fossero 
state importate le merci indicate nelle bolle per le quali erano stati 
pagati i diritti; ed ha ritenuto invece provato, sulla base di un ampio 
ed analitico accertamento di fatto, che fossero state importate le merci 
indicate negli elenchi allegati alle ingiunzioni fiscali. 

In ordine al secondo quesitb, le deduzioni della ricorrente si richiamano 
implicitamente (sia pure con una evidente contraddittoriet� della 
impostazione rispetto alla gi� rilevata premessa posta dalla Corte bolognese 
circa il mancato accertamento, per intervenuta prescrizione, dei 
delitti di contrabbando e di falso) a quel passato orientamento di questa 
Corte (sent. 17 novembre 1962 n. 3136, in materia doganale; sent. 19 no� 
vembre 1971 n. 3324, nella materia affine delle imposte di fabbricazione 
sugli oli minerali) secondo cui solo in presenza di un'importazione legittima 
di merce il soggetto passivo dell'imposta si identifica ai sensi degli 
artt. 5 e 16 della legge n. 1424 del 1940. 

Neppure il suddetto orientamento (ribadito, ma soltanto nell'ipotesi 
peculiare della responsabilit� dello spedizioniere non partecipe del delitto 
di contrabbando, da Cass. 19 settembre 1975 n. 3072) gioverebbe alla 
Societ� Centralcarni, di fronte all'accertamento compiuto dal giudice 
del merito che l'importazione illegittima � stata compiuta dalla suddetta 
societ�, tramite i suoi rappresentanti (legale e volontario). Tuttavia, si 
deve rilevare che, sottoponendo ad espressa revisione il principio affermato 
da Cass. n. 3136 del 1962, questa Corte con sentenza 5 maggio 1972 

n. 1359 ha stabilito che nel caso cli contrabbando, i soggetti indicati 
dall'art. 136 legge doganale del 1940 non sono identificati con carattere 
di esclusivit� ed in deroga agli artt. 5 e 16 legge doganale del 1940, ma 
si aggiungono -come debitori di imposta -ai proprietari della merce 
contrabbandata. Questo indirizzo � stato confermato da Cass. 16 febbraio 
1982 n. 956 che ha affermato che in caso di contrabbando di merci 
sono tenuti al pagamento dei diritti doganali non solo il colpevole del 
contrabbando e gli altri soggetti indicati dall'art. 136 legge doganale 
del J940, ma anche il proprietario o detentore della merce e colui per 
cui conto questa sia stata importata o esportata; e ci� anche nell'ipotesi 

524 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in cui i soggetti considerati dall'art. 5 della citata legge presentino la 
merce per le formalit� doganali, ma essa resta sottratta al pagamento 
dell'imposta in tutto o in parte in virt� di certificazioni o altri mezzi 
posti in essere da un terzo e dei quali essi ignorano la natura fraudolenta. 

L'orientamento giurisdizionale pi� recente, basato su una ricostruzione 
pi� rigorosa del sistema, riguarda peraltro le ipotesi di accertamento 
dei reati (per l'ipotesi opposta di esclusione del reato, con sentenza 
irrevocabile, cfr. Cass. 30 marzo 1983 n. 2291). Nel caso -che � quello 
risultante dalla sentenza impugnata -in cui sia mancato l'accertamento del 
reato, per una causa estintiva dello stesso come la prescrizione, non vi 
� pi� luogo per l'applicazione delle norme penali, ma si devono applicare 
quelle strettamente tributarie; nella specie, dato che i fatti sono 
avvenuti fra il 1969 ed il 10 settembre 1971, gli artt. 5 e 16 della legge doganale 
del 1940, nonch� il d.P.R. 2 febbraio 1970, n. 62, ed il d.P.R. 18 nobraio 
1971 n. 18, ratione temporis. L'art. 1 del d.P.R. n. 62 del 1970, 
sostituendo l'art. 4 della legge del 1940, ha fra l'altro disposto che si presume 
immessa in consumo (e cio� soggetta all'obbligazione tributaria) 
la merce o parte di essa che sia stata indebitamente sottratta ai vincoli 
doganali, e che comunque non sia stata presentata alle verifiche o ai 
controlli doganali nei termini prescritti. Il principio era per� desumibile 
anche dalla legislazione anteriore, perch� era fuori dalla logica del 
sistema ritenere che gli artt. 5 e 16 della legge doganale previgente si riferissero 
soltanto alle importazioni legittime e non a quelle illegittime, 
cio� a quelle effettuate senza il completo pagamento dei diritti dovuti. 
Le norme suddette stabilivano le modalit� per identificare i soggetti passivi 
delle imposte comunque dovute, sia in base a dichiarazioni veritiere 
che in base a dichiarazioni inesatte, perch� in ogni caso l'adempimento 
delle formalit� era soggetto a controllo e non poteva porre il dichiarante 
in condizioni privilegiate rispetto a chi non effettuava in tutto o in 
parte le dichiarazioni. 

Nella specie, la Corte del merito ha ampiamente esposto (in una parte 
della motivazione che non � stata neppure censurata) le ragioni per le 
quali il suddetto controllo non � stato operato in sede doganale, permettendo 
la realizzazione della frode (ormai non pi� perseguibile in sede 
penale per prescrizione). Tale mancanza di controllo non esclude per� 
la rilevanza della documentazione secondo cui �al pagamento dell'imposta 
sono obbligati il proprietario della merce, a norma dell'art. 16 e, 
solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce � stata importata 
o esportata; ed � � considerato proprietario della merce. colui che 
la presenta in dogana �. 

Alla stregua dei suddetti esatti principi, la Corte di Bologna ha accertato 
che l'importazione illegittima era stata operata dal Comelli (che 
agiva come rappresentante legale della Soc. Centralcarni) e che la docu


i 

mentazione era stata preparata fraudolentemente o da lui o dallo spedi-

l 
! 

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zioniere Gandola, su �mandato e per conto della Soc. Centralcarni. Esattamente 
la Corte ha r�ferito la merce effettivamente e fraudolentemente 
importata alla societ� Centralcarni sulla base delle formali intestazioni 
delle dichiarazioni doganali e delle bollette di importazione redatte in 
base a dette dichiarazioni. Invero, il rapporto rappresentativo accertato 
dalla sentenza impugnata (e non impugnato dalla ricorrente) poneva una 
relazione fra il soggetto collettivo (societ� in accomandita semplice) e 
le persone fisiche che per suo conto ed in suo nome agivano. Non si 
trattava affatto di stabilire se la Societ� avesse dato un � mandato a 
delinquere� ai suoi rappresentanti; si doveva accertare, invece, la riferibilit� 
dell'obbligazione tributaria (di carattere non penale) ad una 
societ� in accomandita semplice, in base alle importazioni effettuate 
-spendendo la ragione sociale -dal suo rappresentante legale o 
negoziale, e ci�, naturalmente, esaminando non la mera apparenza della 
documentazione formata, ma l'effettiva natura e quantit� delle merci 
importate spendendo quel nome. La ricorrente non deduce una mancanza 
di poteri rappresentativi od un eccesso dai limiti delle facolt� 
conferite ai suddetti rappresentanti, e pertanto esattamente la Corte 
di Appello ha affermato che l'obbligazione tributaria � sorta in capo 
alla Societ� con riguardo alle importazioni effettive (e non soltanto 
a quelle apparenti) perch� la frode fiscale � imputabile al soggetto 
collettivo, tramite quei rappresentanti. 

La Corte del merito, accertata che era stata presentata in dogana 
non la merce indicata nelle dichiarazioni doganali e nelle bolle, ma altra 
merce, ha tuttavia esattamente ritenuto che l'indicazione del soggetto 
importatore (Centralcarni) nella documentazione fraudolentemente formata 
valesse ad identificare il soggetto proprietario, dato che la Centralcarni 
non aveva assolto l'onere della prova contraria (a parte il 
fatto che la presunzione di propriet� della merce stabilita dall'art. 16 
legge doganale del 1940 � di carattere assoluto: Cass. 14 ottobre 1963, 

n. 2738). (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, 22 marzo 1984, n. 1926 Pres. Santuosuosso -Est. 
Lipari -P.M. Pandolfelli (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Zotta) c. Liguori. 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Agevolazione per il Mezzogiorno 
. Acquisto di terreno o fabbricati per il primo impianto di stabilimenti 
industriali � Trasferimento di stabilimento gi� realizzato � 
Inapplicabilit�. 

(t.u. 20 giugno 1967 n. 1423, art. 109). 
L'agevolazione dell'art. 109 del t.u. sul Mezzogiorno riguarda soltanto 
l'acquisto di terreni o fabbricati, autonomamente considerati, destinato al 


526 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

primo e nuovo impianto di stabilimenti industriali; e ci� anche nel caso 
che nuovi acquisti di terreni o fabbricati siano necessari per l'ampliamento, 
la trasformazione, la ricostruzione, la riattivazione e l'ammodernamento 
di impianti gi� esistenti. L'agevolazione non pu� di conseguenza 
essere estesa al trasferimento di un impianto industriale gi� realizzato, 
anche se inattivo (1). 

(omissis) 1. Secondo la CTC i� benefici tributari previsti dal testo 

unico per la industrializzazione dell'Italia meridionale ed insulare si appli


cherebbero nell'ipotesi di trasferimento dell'azienda o dell'impianto indu


striale, considerato come unit� funzionante, anche se effettuato a scopo 

di riattivazione; e poich�, nel caso di specie, sussistevano adeguati indizi 

di tale intento doveva essere riconosciuta la spettanza del trattamento 

agevolato. 

Cos� decidendo si � risolta una questione interpretativa che, pur presentando 
ab origine una certa carica di problematicit�, � stata ormai superata 
dalla giurisprudenza univoca di questo Collegio che, nel ribadire il 
proprio indirizzo, riconosce la fondatezza delle censure mosse con il ri. 
corso in esame dall'Avvocatura dello Stato per il Ministro delle Finanze. 

In effetti con una sentenza del 1971 (Cass. 8 luglio 1971, n. 2144) questa 

Corte stabil� che le agevolazioni previste dalla legge volta a favorire l'~n


dustrializzazione del mezzogiorno spettavano anche nel caso in cui si 

fosse acquistato uno stabilimento industriale da riattivare previa esecu


zione di opere dirette ad assicurarne l'efficacia tecnologica. 

Tale conclusione, pur essendo stata sottoposta a critiche, venne ri


confermata con due successive pronunce (Cass. 17 maggio 1973, n. 1410 e 

27 novembre 1973, n. 3224). A parte i rilievi di carattere tecnico cui dava 

luogo, !'accolta interpretazione comportava, sul piano pratico, gravi diffi


colt� applicative, poich� una volta riconosciuta l'esenzione, in principio, 

anche al trasferimento di uno stabilimento industriale attivo, in relazione 

all'intento di procedere al suo ammodernamento e potenziamento produt


(1) La pronunzia ribadisce con molta chiarezza il pi� recente orientamento 
che ha escluso l'estensione dell'agevolazione al trasferimento di stabilimenti gi� 
attivati, anche se abbandonati e da assoggettare a trasformazioni radicali per 
l'esercizio di una diversa attivit�; in nessun caso uno stabilimento industriale 
(per la cui realizl'lazione si � gi� potuto fruire della stessa agevolazione) ridiventa 
un �terreno o fabbricato� anche se fatiscente. Resta cos� chiarito che 
anche l'ampliamento, la trasformazione, la ricostruzione, la riattivazione e 
l'ammodernamento possono giustificare l'agevolazione quando riguardano nuovi 
ed ulteriori terreni o fabbricati da aggregare allo stabi1imento esistente, ma non 
lo stesso stabilimento. 
Per i precedenti cfr. Cass. 6 dicembre 1974, n. 4032, in questa Rassegna, 
1975, I, 210; 13 dicembre 1975, n. 4098, ivi, 1975, I, 1199; 17 dicembre 1979, ivi, 
1980, I. 396. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tivo, in mancanza di indici obiettivi desumibili dalla legge restavano de! 
tutto indeterminati i criteri distintivi delle opere superflue da quelle effettivamente 
dirette ad aumentare, in misura apprezzabile, la produttivit� a 
prezzi unitari minori. 

Una successiva sentenza (Cass. 6 dicembre 1974, n. 4032) dett� un orientamento 
riduttivo, precisando, in via generale, che la disciplina tributaria 
agevolata restava limitata al primo trasferimento di propriet� di terreni 
e di fabbricati occorrenti per l'attuazione delle iniziative industriali considerate. 


Infine con sentenza 30 ottobre 1978, n. 4952, si � avuto consapevole . 
mutamento di giurisprudenza, enunciandosi il principio che l'art. 109 del 

d.P.R. 30 giugno 1967 n. 1523, nell'estendere i benefici fiscali in materia 
di imposta di registro, previsti dall'art. 5 del d.l. 14 dicembre 1947, n. 1598 
per gli acquisti di terreni o fabbricati diretti alla creazione di un nuovo 
impianto industriale anche. agli acquisti resi necessari per la riattivazione 
di un precedente impianto industriale, e pur con esclusivo riguardo agli 
atti di trasferimento degli indicati cespiti immobiliari, nella loro autonomia 
strutturale e funzionale (terreni e fabbricati), sicch� non pu� essere 
invocato in ipotesi di cessione di azienda nel complesso unitario dei suoi 
elementi patrimoniali, ancorch� l'azienda medesima abbia al momento cessato 
ogni attivit�, e venga trasferita proprio al fine della sua riattivazione. 
Successivamente tale indirizzo � stato costantemente ribadito dalla 
sentenza: Cass. 17 settembre 1979 n. 4790 (la quale fa leva sull'elemento 
letterale riferito al trasferimento di �terreni e fabbricati� diretti alla 
realizzazione di nuovi impianti industriali, ovvero alla riattivazione, ristrutturazione, 
ricostruzione od ammodernamento di impianti industriali gi� 
esistenti); Cass. 6 marzo 1980 n. 1507 (secondo cui i benefici non spettano 
nell'ipotesi di trasferimento di un complesso industriale non funzionante, 
ma munito della capacit� di funzionare, e, quindi, ancora integrante una 
unit� produttiva, non risultando equiparabile, nemmeno nella eventualit� 
che l'acquirente intenda demolire le precedenti strutture e ricostruire 
ex novo un impianto diverso, alla alienazione di � terreni � o � fabbricati � 
diretta alla formazione, od all'ampliamento di una nuova industria); 
Cass. 11 maggio 1981, n. 3098 (nella quale si ribadisce che la norma del� 
l'art. 109 postula, per la sua operativit�, eh.e gli atti di trasferimento sottoposti 
a registrazione, per fruire dell'esenzione, non devono riguardare opifici 
industriali, ma �terreni� o �fabbricati�, considerati nella loro autonomia 
strutturale, a nulla rilevando la pregressa destinazione dei medesiini 
ad una diversa attivit� industriale, cessata in epoca antecedente alla 
alienazione). 

2. A ragione l'Amministrazione sostiene che nel caso di specie, essendo 
stato trasferito uno stabilimento industriale in perfetta efficienza (allo 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stesso soggetto che gi� conduceva l'azienda in affitto) non spettavano le 
agevolazioni previste dall'art. 109 del t.u. n. 1523 del 1967, il cui presupposto 
� rappresentato dal trasferimento di immobili al fine (fra l'altro) di 
procedere alla riattivazione ed ammodernamento di stabilimenti gi� esi� 
stenti. Osserva la difesa dello Stato che l'agevolazione si inquadra nel 
complesso di norme volte a favorire la industrializzazione del Mezzogiorno, 
con conseguente incremento delle disponibilit� di posti di lavoro, 
finalit� che non potrebbero essere realizzate, invece, ove si attui il trasferimento 
di opifici gi� funzionanti. Dal punto di vista formale non 
appare, invece, centrato il secondo mezzo con cui si addebita alla decisione 
del ere l'omessa motivazione sulle argomentazioni giuridiche che davanti 
ad essa erano state svolte per escludere l'applicabilit� delle agevolazioni 
nel caso di trasferimento di stabilimento industriale, ricondotta al paradigma 
dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. che riguarda la motivazione resa 
in punto di fatto. La decisione della ere viene cassata non per vizi in 
procedendo, ma per vizi in iudicando. Rileva, cio�, non la circostanza in s� 
e per s� della mera pretermissione degli argomenti cui l'amministrazione 
finanziaria affidava il proprio assunto, ma la infondatezza giuridica 
delle considerazioni su cui la ere ha basato la soluzione accolta (e che 
verosimilmente non avrebbe ratificato se avesse fermato la propria rifles


sione sui rilievi ermeunetici dell'Avvocatura dello Stato). 

3. Ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. 30 giugno 1977, n. 1327 al trasfer�� 
mento di uno stabilimento industriale funzionante, anche se effettuato con 
il palese intento di ristrutturarlo ab imis, non si applicano le agevolazioni 
previste, non dettate specificamente per i trasferimenti degli opifici industriali, 
ma esclusivamente per i trasferimenti di � fabbricati � e/o � terreni 
� considerati nella loro autonomia strutturale, da utilizzare per la 
creazione o l'incremento di una attivit� industriale. 
La norma in esame, parzialmente innovando la precedente regolamentazione, 
estende la prevista agevolazione tributaria in tema di imposte 
di registro ed ipotecaria, non soltanto agli acquisti di terreni o fabbricati 
in relazione alla realizzazione di un �primo� (e, quindi, necessariamente 
�nuovo�) impianto industriale, ma anche agli acquisti resi ne~ 
cessari per la riattivazione, ristrutturazione e ampliamento, ricostruzione, 
ammodernamento di un impianto industriale preesistente. 

Questo essendo il tenore della norma da interpretare, ne emerge gi� 
ad una superficiale lettura, la dipendenza dal � trasferimento � di terreni 
e/o fabbricati, quale oggetto fondamentale delle previste agevolazioni, concesse 
avendo di mira esclusivamente quei terreni e quei fabbricati che 
dovranno essere utilizzati per il primo impianto di un (nuovo) stabilimento 
industriale ovvero (ed � questo il quid novi introdotto nel testo 
unico) per la realizzazione di scopi che, al pari della costruzione ex novo 
di uno stabilimento, comportino egualmente un incremento della produ



PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zione industriale nel Mezzogiorno. Al riguardo l'attenz.ione al � lessico � 
da parte del legislatore, sembra particolarmente insistita, giacch� si 
parla distintamente di � ampliamento � � trasformazione � � ricostruzione � 
� riattivazione � � ammodernamento � degli impianti esistenti, circostanze 
tutte che vengono in rilievo in quanto per la loro realizzazione occorre 
procedere all'acquisto delle aree o dei fabbricati all'uopo necessari; aree 
e fabbricati considerati nella loro identit� strutturale autonoma, e non 
in quanto conglobati funzionalmente nell'opificio od impianto industriale. 
Gi� quindi, sul piano della esegesi letterale la norma agevolativa, che 
ruota sulle nozioni di �fabbricato� o �terreno� da correlare alle esigenze 
funzionali dello stabilimento industriale, depone con sicurezza nel 
senso della alterit� rispetto alle aree ed agli edifici incorporati gi� nel 
complesso industriale, venendo al riguardo specificamente in considerazione 
le ipotesi della ristrutturazione e dell'ammodernamento che sono le 
sole in astratto suscettibili di realizzazione, indipendentemente dall'allargamento 
dell'area su cui sorge lo stabilimento, o dalla realizzazione di 
nuove costruzioni, essendo chiaro che � possibile modernizzare una vecchia 
fabbrica senza acquistare nuovi terreni, e senza procedere alla costruzione 
di nuovi capannoni ed impianti. Non vi � dubbio (altrimenti non 
avrebbe avuto ragione di manifestarsi il contrasto interpretativo) che in 
una certa ottica anche l'ammodernamento di stabilimenti esistenti rappresenta, 
lato sensu, un incremento della industrializzazione del Mezzogiorno 
che va favorita sopratutto con agevolazioni creditizie (e la fattispecie 
in esame ne rappresenta un evidente esempio). 

Ma il riconoscimento di tale esigenza non comporta che anche il trasferimento 
di un opificio industriale in funzione di rammodernamento o 
ristrutturazione, debba giovarsi della specifica agevolazione in esame il 
cui oggetto non � costituito dagli stabilimenti industriali, ma dai terreni o 
fabbricati �occorrenti� per il raggiungimento delle previste finalit�. 

La ratio legis dell'art. 109 �, infatti, quella di favorire non soltanto 
gli investimenti di primo impianto, ma anche quelli che tendano al potenziamento 
od alla riattivazione, dello stabilimento industriale che abbia 
cessato la sua attivit�, estendendo il beneficio, originariamente circoscritto 
alla provvista del terreno e dei fabbricati necessari per il primo impianto, 
allo acquisto di terreni e/o fabbricati necessari per il conseguimento delle 
ulteriori finalit� precisate. E cos� come era fuori discussione che il trasferimento 
di azienda, come tale, non godeva di alcun trattamento di favore, 
nemmeno il trasferimento finalizzato a scopi grosso modo incrementativi 
d�lla produzione industriale risulta inquadrabile nella disposizione 
agevolativa; la quale ha per oggetto �nuovi� acquisti immobiliari. La mera 
cessione della azienda o impianto industriale non persegue la finalit� del 
potenziamento; ed anche nella ipotesi di perseguimento degli scopi specificamente 
presi in considerazione dalla legge, il riconoscimento del be



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530 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

neficio finirebbe per estendere due volte la stessa agevolazione a contratti 
od atti riguardanti le medesime unit� immobiliari. 

Se il legislatore avesse voluto rendere applicabile il beneficio anche 
alla pura e semplice cessione dell'impianto o dell'azienda industriale, non 
avrebbe impiegato la locuzione sopra ricordata incentrata nel riferimento 
ai � terreni � ed ai � fabbricati � come oggetto specifico cui correlare 
la introdotta agevolazione, ma si sarebbe autonomamente riferito, alla 
stregua di una pi� appropriata tecnica legislativa, al negozio di cessione di 
impianti industriali, non in grado di funzionare, o che avessero definitivamente 
cessato la loro attivit�. In verit� anche nell'ottica dell'agevolazione 
incentrata sull'area o sul fabbricato, anzich� sull'impianto industriale, � 
possibile una corretta lettura della norma, circoscritta alle ipotesi di ammodernamento 
e riattivazione, in quanto se pure � ipotizzabile l'ammodernamento 
(o riattivazione) senza procedere alla acquisizione di nuove 
aree o di nuovi edifici (ed a rigore ci� vale per tutte le ipotesi contemplate 
nella norma, ad eccezione di quella riguardante l'ampliamento), non 
� vero la reciproca, che cio� tali finalit� postulino sempre e comunque 
l'ingrandimento dello opificio. E poich� il centro di gravit� della norma 
sta nella acquisizione di (nuove) aree e di (nuovi) fabbricati, la subordinazione 
della ipotesi integrativa a quella principale si realizza applicando la 
agevolaziont7 solo quando le previste finalit� si realizzino non puramente 
e semplicemente con il passaggio di mano dell'azienda a soggetto dotato 
dei mezzi per incrementarla, ma mediante gli acquisti di terreni e fabbricati 
destinati al potenziamento della azienda preesistente, laddove precedentemente 
detti acquisti non avrebbero potuto avvalersi delle agevolazioni 
perch� non correlati alla creazione di un � primo � impianto industriale. 


Essendosi, quindi, il legislatore riferito a �terreni� c/o �fabbricati 
� nella loro specificit� autonoma, e non gi� nella connessione di ine� 
renza funzionale all'azienda, ne consegue che quando il trasferimento 
non riguarda i beni uti singuli, ma quali parti di una azienda nella sua 
unit� funzionale, non vi � spazio ermeneutico per fare luogo all'esenzione. 

� quindi la strumentalit� dell'acquisto alle finalit� industriali, con 
inerenza all'impianto considerato, e non il trasferimento della azienda in 
s� e per s�, comprensiva di beni mobili o immobili, a godere del beneficio. 

L'elemento di discriminazione � dato dalla considerazione intrinseca 
ed autonoma dell'immobile, ovvero nella sua inerenza alla azienda globalmente 
trasferita (ed � appunto l'ipotesi tipica di specie in cui venne 
assegnato il lanificio nel presupposto della .sua funzionalit�, ratificata dalla 
attualit� del contratto di affitto, essendosi resa aggiudicataria la stessa 
societ� titolare del contratto medesimo). Anzi, secondo la giurisprudenza di 
questa Corte, la circostanza dell'attivit� persistente non � essenziale, do



RASSJlGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

neficio finirebbe per estendere due volte la stessa agevolazione a contratti 
od atti riguardanti le medesime unit� immobiliari. 

Se il legislatore avesse voluto rendere applicabile il beneficio anche 
alla pura e semplice cessione dell'impianto o dell'azienda industriale, non 
avrebbe impiegato la locuzione sopra ricordata incentrata nel riferimento 
ai � terreni � ed ai � fabbricati � come oggetto specifico cui correlare 
la introdotta agevolazione, ma si sarebbe autonomamente riferito, alla 
stregua di una pi� appropriata tecnica legislativa, al negozio di cessione di 
impianti industriali, non in grado di funzionare, o che avessero definitivamente 
cessato la loro attivit�. In verit� anche nell'ottica dell'agevolazione 
incentrata sull'area o sul fabbricato, anzich� sull'impianto industriale, � 
possibile una corretta lettura della norma, circoscritta alle ipotesi di ammodernamento 
e riattivazione, in quanto se pure � ipotizzabile l'ammodernamento 
(o riattivazione) senza procedere alla acquisizione di nuove 
aree o di nuovi edifici (ed a rigore ci� vale per tutte le ipotesi contemplate 
nella norma, ad eccezione di quella riguardante l'ampliamento), non 
� vero la reciproca, che cio� tali finalit� postulino sempre e comunque 
l'ingrandimento dello opificio. E poich� il centro di gravit� della norma 
sta nella acquisizione di (nuove) aree e di (nuovi) fabbricati, la subordinazione 
della ipotesi integrativa a quella principale si realizza applicando la 
agevolazion�1 solo quando le previste finalit� si realizzino non puramente 
e semplicemente con il passaggio di mano dell'azienda a soggetto dotato 
dei mezzi per incrementarla, ma mediante gli acquisti di terreni e fabbricati 
destinati al potenziamento della azienda preesistente, laddove precedentemente 
detti acquisti non avrebbero potuto avvalersi delle agevolazioni 
perch� non correlati alla creazione di. un � primo � impianto indu


striale. 

Essendosi, quindi, il legislatore riferito a � terreni � c/o � fabbricati 
� nella loro specificit� autonoma, e non gi� nella connessione di inerenza 
funzionale all'azienda, ne consegue che quando il trasferimento 
non riguarda i beni uti singuli, ma quali parti di una azienda nella sua 
unit� funzionale, non vi � spazio ermeneutico per fare luogo all'esenzione. 

� quindi la strumentalit� dell'acquisto alle finalit� industriali, con 
inerenza all'impianto considerato, e non il trasferimento della azienda in 
s� e per s�, comprensiva di beni mobili o immobili, a godere del beneficio. 

L'elemento di discriminazione � dato dalla considerazione intrinseca 
ed autonoma dell'immobile, ovvero nella sua inerenza alla azienda globalmente 
trasferita (ed � appunto l'ipotesi tipica di specie in cui venne 
assegnato il lanificio nel presupposto della .sua funzionalit�, ratificata dalla 
attualit� del contratto di affitto, essendosi resa aggiudicataria la stessa 
societ� titolare del contratto medesimo). Anzi, secondo la giurisprudenza di 
questa Corte, la circostanza dell'attivit� persistente non � essenziale, do



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 531 

vendosi giungere al medesimo risultato quand'anche momentaneamente 
l'azienda fosse rimasta inattiva. 

In conclusione: non il trasferimento dell'immobile che fa corpo con 
l'azienda, ma il trasferimento autonomo, pur se strumentale, di immobili 
che dovranno accedere all'azienda in funzione delle finalit� cui ha riguar� 
do la legge, gode del previsto beneficio (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1984 n. 1987 � Pres. Sandulli � 
Est. Contu -P. M. Pandolfelli (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Salimei) c. Guadagno. 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Atti soggetti all'imposta 
sul valore aggiunto � Attivit� occasionale di impresa -Non � soggetta 
� Avvenuto pagamento dell'imposta sul valore aggiunto � lrri� 
levanza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, art. 38; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 4). 
Perch� possa trovare applicazione l'art. 38 d.P.R. sul registro, � necessario 
che sussistano i presupposti per l'assoggettamento dell'operazione 
all'imposta sul valore aggiunto e che di conseguenza la cessione del bene 
sia effettuata nell'esercizio di impresa, intesa come attivit� commerciale o 
agricola esercitata per professione abituale, ancorch� non esclusiva. Ai 
fini dell'art. 38 deve essere stabilita l'oggettiva soggezione dell'operazione 
all'imposta sul valore aggiunto, non rilevando che l'imposta sia stata concretamente 
pagata (1). 

(omissis) Con l'unico motivo, l'Amministrazione Finanziaria dello 

Stato denunzia falsa applicazione dell'art. 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e 

violazione dell'art. 4 d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, nonch� insufficiente moti


vazione su punto decisivo, ai sensi dell'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ. 

Deduce che nel ritenere applicabile alla fattispecie la norma dell'art. 38 

del d.P.R. n. 634 del 1972 sull'imposta di registro, il quale prevede l'appli


cazione dell'i:rnposta fissa, in luogo di quella proporzionale, nelle ipotesi di 

operazioni soggette ad imposta sul valore aggiunto, la Commissione Tri


butaria Centrale avrebbe erroneamente attribuito al venditore dei beni 

in questione la qualit� di imprenditore, e del pari erroneamente ritenuto 

che la cessione dei beni fosse soggetta all'imposta sul valore aggiunto 

perch� posta in essere da un imprenditore. In particolare l'errore sarebbe 

insito nell'avere ritenuto che potesse considerarsi imprenditoriale un'atti


(1) La decisione � ~ndubbiamente esatta; essa tuttavia non approfondisce 
il difficile concetto di abituallit�. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vit� svolta non in via prevalente ed esclusiva, ma anche occasionalmente, 
senza considerare che la norma di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 � 
stata modificata, con effetto dal 1� gennaio 1973, dal d.P.R. 29 gennaio 1979, 

n. 24 la quale ha richiesto, per l'assoggettabilit� all'imposta sul valore 
aggiunto, che le operazioni imponibili vengano svolte nell'ambito di una 
attivit� economica non occasionale. 
La censura � fondata. 

Fermo restando il principio, stabilito dall'art. 38 della nuova legge di 
registro (d.P.R. 26 ottobre 1972, n; 634), che lo stesso atto non � assoggettabile 
contemporaneamente all'imposta proporzionale di registro ed a 
quella sul valore aggiunto, occorre stabilire se nelle fattispecie la vendita 
effettuata a favore di Andrea e Franco Guadagno fosse soggetta all'imposta 
sul valore aggiunto, poich� nell'ipotesi negativa non potrebbero sorgere 
dubbi sull'obbligo di corrispondere l'imposta proporzionale di registro. 


Al riguardo l'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 -nella sua formulazione 
originaria -stabiliva che rientrassero nell'esercizio di impresa le cessioni 
di beni e le prestazioni di servizi compiute nell'ambito dell'attivit� 
propria dell'impresa. Tale generica disposizione � stata poi modificata dall'art. 
1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, il quale ha sancito che �per esercizio 
di imprese si intende l'esercizio .per professione abituale, ancorch� 
non esclusiva, delle attivit� commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 
e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa�. 
E la norma nella sua attuale formulazione � indubbiamente applicabile 
alla fattispecie poich� l'atto di cui trattasi venne posto in essere il 22 settembre 
1973, cio� dopo la data del 1� gennaio 1973, che costituisce il dies 
a quo per l'applicazione della nuova normativa (art. 3 del d.P.R. n. 24 
del 1979). 

Il criterio della professionalit� nell'esercizio dell'attivit� economica 
cui � collegato l'insorgere del presupposto per l'applicazione dell'imposta 
sul valore aggiunto, appare perci� del tutto differente da quello della 
occasionalit�, che la Commissione Tributaria Centrale ha ritenuto sufficiente 
per l'imposizione fiscale ed al quale ha collegato l'obbligo di corrispondere 
il tributo. 

Alla stregua delle considerazioni che precedono la decisione impugnata 
appare viziata da errore giuridico, in quanto si � applicata la norma 
dell'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 senza tener conto delle modifiche ad 
essa apportate con successivo provvedimento legislativo. Tale errore ha 
determinato, a sua volta, un vizio di motivazione, in quanto � mancata 
l'indagine tendente a stabilire se l'atto di cui trattasi rientrasse fra quelli 
soggetti all'imposta sul valore aggiunto perch� posto in essere nell'ambito 
di un esercizio d'impresa svolto per professione abituale, secondo la definizione 
della nuova normativa. \ 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 533 

� inoltre da disattendere l'argomentazione della Commissione Tributaria 
Centrale, secondo cui l'assoggettamento dell'atto all'imposta� sul valore 
aggiunto era dimostrato dall'avvenuta fatturazione e dal conseguente 
pagamento dell'imposta. Non pu� infatti ritenersi dovuta un'imposta, 
anzich� un'altra, per il semplice fatto che sia stata corrisposta, poich� 
l'insorgenza dell'obbligazione tributaria � regolata dalla legge e non pu� 
essere rimessa alla volont� del contribuente, il quale ha l'obbligo di corrispondere 
i tributi dovuti, ma non pu�, nei casi di imposizione alternativa, 
scegliere quello da pagare a seconda della sua convenienza od in 
base a considerazioni del tutto soggettive. � perci� irrilevante che nella 
fattispecie l'imposta sul valore aggiunto sia stata pagata, perch� ai fini 
della corresponsione dell'imposta di registro in misura fissa anzich� proporzionale 
quel che conta � l'assoggettabilit� dell'atto al suddetto tributo 
e non la circostanza di fatto che esso sia stato erroneamente corrisposto, 
potendo essa determinare solo la restituzione di quanto indebitamente 
percepito dall'Amministrazione Finanziaria (Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 marzo 1984 n. 1994; Pres. Virgilio -Est. 
Sgroi -P. M. Leo (conf.) Ministero delle Finanze (avv. �Stato Mari) c. 
Tortorella (avv. Spaziani Testa). 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Motivazione . Metodo induttivo . 
Reddito di fabbricati � Omessa dichiarazione . Legittimit� . Dimostrazione 
del reddito � Non attiene alla motivazione. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 37). 
Tributi erariali diretti � Accertamento -Motivazione � Metodo induttivo . 
Impugnazione � Determinazione del reddito da parte della commissione. 


(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 art. 37; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 35). 
L'accertamento con metodo induttivo � legittimo, in mancanza di 
una dichiarazione analitica! anche se riferito al reddito di fabbricati non 
individuati per ciascuna unit�. La motivazione dell'accertamento, che � 
un requisito di legittimit� formale, va tenuta distinta dalla dimostrazione 
del reddito che attiene alla prova che pu� essere data anche in sede giurisdizionale 
(1). 

(1-2) La prima massima, sulla base di una giurisprudenza ormai consolidata, 
afferma fa legittimit� dell'accertamento induttivo anche se �riforito al 
rnddtito di un complesso di fabbricati non indiv-iduati in oglll� singola unit� 
oatastale. Ma sopr.attutto importante � la riafferma2lione (v. Cass. 3 maggio 
19711, n. 1271, in questa Rassegna, 1971, I, '1076), molto esplicita, della distinzione 
tna mottlvazione dell'accertamento che attiene alla � legittimit� formale dell'av




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

534 

Ove l'accertamento induttivo sia stato impugnato, e viene riconosciuto 
formalmente legittimo quanto alla motivazione, spetta alla commissione 
tributaria verificare la fondatezza della pretesa e determinare in concreto 
il reddito (2). 

(omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione Finanziaria deduce la 
violazione e falsa applicazione dell'art. 37 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 
(art. 360 n. 3 c.p.c.) ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, 
osservando che il giudice d'appello aveva omesso di considerare 
che nella fattispecie non si versava in una ipotesi di accertamento ai fini 
dell'imposta sui fabbricati, ma ai fini dell'imposta complementare progressiva 
sul reddito, in relazione alla quale (perch� sia esclusa la necessit� 
di una motivazione analitica con indicazione dei singoli cespiti cui il reddito 
afferisce) � sufficiente che il contribuente abbia omesso di dichiarare 
il reddito in questione. 

L'Amministraz!one deduce poi che, anche a volere ritenere che essa 
avrebbe dovuto indicare analiticamente i singoli cespiti immobiliari, tale 
esigenza non poteva non essere correlata con l'esigenza che il contribuente 
potesse approntare un'adeguata difesa avverso l'accertamento; e sotto 
tale profilo la Corte d'appello aveva obliterato che non era stato hnpedito 
al contribuente di contestare analiticamente l'accertamento, tanto � 
vero che proprio in relazione alle unit� immobiliari alle quali l'Ufficio 
genericamente si era riferito (i dodici appartamenti di nuova costruzione 
in via R. De Martino) la parte aveva avuto la possibilit� di contestare 
la pretesa fiscale, esibendo le denuncie di contratto verbale di locazione. 

Il ricorso � fondato. L'art. 37 del t.u. delle imposte dirette del 1958 
� stato costantemente interpretato da questa Corte nel senso che qualora 

viso che funziona da presupposto deHa sua legittimit� sostanziale >>, e la dimostra21ione 
del reddito che concerne la fondatezzia sostanziale della pretesa. Il 
difetto di motivazione comporta li;t nullit� dell'accertamento nella sua interezza 
e preclude una valutazione di �merito; l'insuffilcienza della prova, pu� 
essere oggetto di discussione di meri.to innanzi alla commissione � suila esistenza 
e la misura del r,eddito mediante gli strumen1li di dstruzione probatoria 
regolati dall'art. 35 e dall'art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 '" discussione 
che non � impedita dal difetto di analiticit� dell'accertamento una volta che 
tale motivazione sia giustificata. La pronunzia opportunamente corregge la 
meno meditata affermazione di Cass. 7 febbraio 1984 n. 932 (in questa Rassegna, 
1984, I, 354). 

Consegue da ci� che, ove l"accertamento venga impugnato, la commis


sione se avr� escluso la nullit� per difetto di motivazione, dovr� determinare 

l'esistenza e la misura del reddito (questione di valutazione estimativa) avva


lendosi anche dei suoi poteri. in ordine alla prova. Su questo punto, sia pure 

schematicamente, la sentenza in esame contiene due importanti ed esatte 

affermazioni: in sede giurisdizionale le parti nell'ambito del sistema probatorio 

processuale possono esercitare tutte le foro difese; da parte sua la Commissione 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 535 

il contribuente presenti una dichiarazione infedele, omettendo di indicare 
parte dei propri redditi, l'amministrazione finanziaria pu� procedere ad 
accertamento induttivo o sintetico, a norma del terzo comma, senza necessit� 
di un riscontro analitico delle singole componenti dei redditi medesimi, 
mentre resta a carico del contribuente, che contesti tale accertamento, 
di fornire la relativa prova (cfr., fra le altre, Cass. 14 aprile 1982 

n. 2230; Cass. 12 febbraio 1981 n. 857; Cass. 10 dicembre 1979, n. 6386). 
Nei casi previsti dal terzo comma dell'art. 37 (tra i quali rientra senza 
dubbio quello di cui � causa) � consentito derogare alla regola dell'analiticit� 
della motivazione, ricorrendo alla motivazione sintetica con metodo 
induttivo che, consiste nel determinare il reddito nel suo complesso, sulla 
base di dati e di notizie indirette, senza cio� ricostruirlo sulla scorta di 
dati specifici. Tuttavia l'accertamento, se pure in modo non analitico deve 
essere sempre adeguatamente motivato e tale requisito � soddisfatto 
quando pone il contribuente in condizione di potere efficacemente contestare, 
nell'an e nel quantum, la pretesa tributaria (Cass. 29 gennaio 1981 

n. 6879; Cass., sez. un., 3 maggio 1971 n. 1271). 
� da sottolineare (mentre il giudice d'appello ha confuso le due 
questioni) che l'adempimento dell'obbligo della motivazione dell'accertamento 
non concerne la dimostrazione del reddito, ma la legittimit� formale 
dell'avviso, che funziona da presupposto della sua legittimit� sostanziale 
(Cass. n. 1271 del 1971 cit.). Un accertamento nullo, perch� non 
motivato, � cosa diversa da un accertamento infondato, ma formalmente 
valido. In questo secondo caso, le parti eserciteranno i loro poteri di 
contestazione e difesa dei �criteri� di accertamento inerenti al singolo 
reddito, nonch� di prova e contestazione dell'esistenza e della misura del 
reddito, mediante gli strumenti di istruzione probatoria regolati dall'art. 35 
e dall'art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636; attivit� probatoria che non 

ha, al pari dcl-l'ufficio, il potere sia istruttorio che decisorio di determinare 
(ovviamente nei limiti dell'oggetto dedotto in giudizio) il reddito concreto, 
riducendo ,eventualmente quello stabi1ito nell'accertamento. 

La prima proposizione si ricollega al ben fermo orientamento della giurisprudenza 
che concepisce il processo innanzi alle commissioni come un giudizio 
di merito (di accertamento del rapporto) e non di annullamento dell'atto 
di accertamento, nel quale il giudice non � chiamato a eliminare (neHa sua 
illterezza) l"atto illegittimo, ma a stabilire il se e il quanto dell'obbligamone e 
nel quale di conseguenza l'ufficio tributario pu�, ano stesso modo del soggetto 
passivo, esercitare il suo dfoitto di difesa, anche in ordine alla prova, non 
esclus,ivamente nei limiti di quanto gi� acquisito nella sede amministrativa. 

La seconda proposizione che � conseguente alla prima, riconosce ,alla 
commissione il potere, anche sul piano probato11io, di accertare nena sostanza, 
eventualmente con iniziativa di ufficio, di rapporto di imposta senza arrestarsi 
ad una valuta:Zlione di legittimit� dell'accertamento; e ci� apre uno spd!mglio 
sulla assai discussa questione dell'istruttoria (inquisitoria o dispositiva) nel 
processo tributario. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

pu� essere affatto preclusa, come erroneamente ha ritenuto la sentenza 
impugnata, dal difetto di analiticit� dell'accertamento, una volta che 
questo sia conforme al modello previsto dal terzo comma dell'art. 37 
del t.u. del 1958. Invero, non si tratta, in tal caso, di integrare una motivazione 
�mancante� ma di dare in giudizio la prova dell'esistenza e della 
misura d~l reddito che l'Amministrazione ha legittimamente accertato 
con la motivazione sintetica autorizzata dall'omissione del contribuente 
in ordine al reddito stesso. 

Parimenti inconferente � l'obiezione del controricorrente, secondo il 
quale il comportamento processuale del contribuente che ha contestato 
nel merito la misura del reddito, producendo la documentazione relativa 
(per gli appartamenti dati in locazione) ed invocando la stima catastale 
(per la villa da lui personalmente abitata) non pu� assurgere a requisito 
integrativo di un elemento mancante nell'accertamento, viziato dall'origine 
dalla non esatta individuazione dei cespiti immobiliari. A parte la facile 
replica che tale obiezione non pu� aver valore per la villa abitata dal contribuente 
(esattamente individuata, per cui non poteva nemmeno sorgere 
un problema dei criteri di tassazione del cespite e della misura del reddito), 
si osserva in linea generale che la valutazione della motivazione sintetica 
come idonea a permettere la difesa del contribuente non � condizionata 
dal suo atteggiamento concreto. Se costui si difende nel merito, il 
problema non si pone neppure, mancando l'interesse ad ottenere una declaratoria 
astratta di nullit� per vizio di motivazione di un accertamento 
che in concreto ha osservato il requisito sopra indicato e cio� quello di 
portare a conoscenza del privato gli elementi della pretesa tributaria. Se 
l'opponente non si difende nel merito, il giudice non � esonerato dal 
compito di valutare la sufficienza della motivazione, con giudizio riferito 
a tutte le circostanze del caso (giudizio che � assolutamente mancato 
nella specie, come esattamente ha rilevato la ricorrente, perch� la sentenza 
impugnata � stata fuorviata dall'errore di diritto di ritenere che 
le Commissioni non abbiano gli stessi poteri di indagine, di richiesta di 
dati e di raccolta di prove attribuita all'Ufficio, in contrasto con l'espressa 
disposizione in tal senso contenuta nell'art. 35 del citato d.P.R. n. 636 
del 1972). 

I suddetti principi valgono anche nell'ipotesi che si debba accertare un 
reddito di fabbricati, sia ai sensi degli artt. 69-75 d.P.R. n. 645 del 1958 
e successive modifiche, sia quale componente, indicata dall'art. 135 lettera 
b) del citato testo unico, del reddito complessivo netto soggetto 
all'imposta complementare progressiva sul reddito delle persone fisiche. 

Invero la legge non distingue e non porta deroga, in tal caso, al 
principio generale fissato dal terzo comma dell'art. 37 che si riferisce a 
tutti �i redditi che il contribuente abbia omesso di dichiarare�. Si deve 
innanzi tutto osservare (accogliendo un rilievo sollevato dall'Amministra



PARTE I, SEZ. H, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zione nella discussione orale) che -contrariamente a quanto si legge 
nella sentenza impugnata -Cass. 3 dicembre 1970, n. 2527 ha confermato 
l'indirizzo generale gi� esposto, perch� ha affermato l'obbligo della motivazione 
analitica dell'accertamento in un'ipotesi in cui era stato omesso 
un cespite immobiliare, ma per un altro era stata presentata regolare 
dichiarazione, di modo che per quest'ultimo sarebbe stato necessario 
procedere ad accertamento analitico, onde consentire al dichiarante di 
conosce~e partitamente quanto era stato valutato il primo cespite e 
quanto il secondo. 

La legge 23 febbraio 1960 n. 131, contenente norme sull'applicazione 
dell'imposta sui fabbricati sulla base delle rendite del N.C.E.U., all'art. 3 
ha statuito: �nella dichiarazione annuale dei redditi, di cui alla legge 
11 gennaio 1951 n. 25, dovranno essere indicati i redditi imponibili determinati 
a norme dei precedenti articoli�. 

L'art. 3 della legge 17 maggio 1969 n. 254 ha aggiunto il seguente 
comma: � per l'accertamento dei redditi di cui al secondo comma dell'art. 
1 (unit� immobiliari non ancora iscritte nel NiC.E.U.) valgono, in 
quanto applicabili, le disposizioni portate dal titolo I, capo IV del t.u. 
29 gennaio 1958 n. 645 e succ. mod. �. 

Il primo comma dell'art. 3 citato rende evidente il collegamento fra dichiarazione 
e determinazione analitica dei redditi delle singole unit� 
immobiliari; il secondo comma richiama espressamente il titolo I, capo IV 
(in cui � compreso l'art. 37) del t.u. sulle imposte dirette proprio in collegamento 
con l'obbligo di dichiarazione sancito dal primo comma, ma 
non per escludere che il capo IV del titolo I riguardi anche le unit� immobiliari 
gi� iscritte in catasto, ma non dichiarate. 

Il controricorrente sostiene che (poich� l'art. 135 secondo comma 
lett. b) del t.u. n. 645 del 1958, in tema di determinazione analitica del 
reddito complessivo netto dispone: � I redditi dei fabbricati ed i redditi 
di R.M. sono valutati in misura pari ai redditi netti determinati ai fini 
delle singole imposte, ovvero se non vi siano soggetti o siano assoggettati 
a tributi sostitutivi, con i criteri valevoli ai fini delle imposte stesse�) e 
poich� la stessa Amministrazione ricorrente ammette che in tema di 
accertamento dei redditi soggetti all'imposta fondiaria sussiste la necessit� 
dell'indicazione da parte dell'Ufficio di ogni singolo cespite immobiliare 
al quale il reddito afferisce anche in caso di omessa dichiarazione o di 
omesso cespite, e dato che la norma in esame equipara a questa prima 
ipotesi la seconda (ovvero quella dei redditi non soggetti alle singole 
imposte, da valutarsi con i medesimi criteri di quelli soggetti), sarebbe 
evidente la violazione di legge commessa dall'Ufficio. 

La tesi non ha pregio, perch� muove da un'affermazione puramente 
concessiva della difesa dell'Amministrazione, la quale pu� essere corretta 
da questa Corte nell'ambito della ricostruzione del sistema. L'accerta



538 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mento induttivo si contraddistingue da quello analitico, non soltanto perch� 
consente all'Ufficio di determinare la base imponibile in via di presunzione, 
ma anche perch� gli consente di presumere l'esistenza di uno o 
pi� redditi. Proprio questo secondo aspetto viene in considerazione, ai 
fini dell'applicabilit� nel terzo comma dell'art. 37, norma che prevede 
due ipotesi (�redditi che il contribuente ha omesso di dichiarare�; �dichiarazione 
che manchi dell'indicazione analitica degli elementi attivi e 
passivi�). 
Se il contribuente ha omesso di dichiarare un reddito di fabbricati, 
l'Amministrazione che ritiene che il contribuente abbia quel possesso che, 
ai sensi dell'art. 69 del t.u. del 1958, costituisce il presupposto dell'imposta, 
pu� effettuare l'accertamento di tale presupposto, senza l'obbligo di 
una motivazione analitica, e cio� di una indicazione specifica delle singole 
�unit� immobiliari�. Necessariamente, pertanto, anche il reddito potr� 
essere accertato dall'Amministrazione in modo induttivo o sintetico, purch� 
la motivazione (sempre necessaria) ponga il contribuente in condizione 
di conoscere tanto la fonte del reddito quanto il suo ammontare e gli 
permetta cos� di contestare sia l'una che l'altro. Soltanto la contestazione 
del contribuente che non ha dichiarato il reddito, (una volta superato il 
problema della validit� puramente formale dell'avviso, cio� della sua conformit� 
al modello legale astratto; problema che non deve assolutamente 
confondersi con quello della rispondenza dell'accertamento alla realt� 
effettiva dei redditi posseduti e del loro ammontare) pu� porre l'esigenza 
di distinguere le singole � unit� immobiliari � che, secondo il sistema 
catastale introdotto con r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 conv. in 1. 11 agosto 
1939 n. 1249, a cui fa riferimento la legge 23 febbraio 1960 n. 131 (cfr., 
per l'interpretazione di tale sistema fra le altre, Cass. 1 aprile 1982 n. 2002; 
Cass. 29 marzo 1983 n. 2231) costituiscono il punto di riferimento dei redditi 
dei fabbricati. L'art. 5 del d.l. del 1939 cit., invero, definisce � unit� 
immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova 
� di per s� stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio "� 
Se, anche in caso di omissione da parte del contribuente della relativa 
dichiarazione, si pretendesse dall'Amministrazione la determinazione della 
�parte� di immobile (e della rendita corrispondente), si imporrebbe 
anche in tal caso una motivazione analitica che l'art. 37 terzo comma non 
richiede. Sar� interesse del contribuente (se ritiene l'accertamento ingiusto) 
di contestare sia il presupposto dell'imposta che il reddito imponibile, 
invocando appunto quella determinazione analitica dei redditi immobiliari 
che risulta dal sistema predetto (ed � da notare che l'art. 74 secondo 
comma del t.u. del 1958 prevedeva anche con riguardo al reddito immobiliare 
quel tipo di determinazione induttiva del reddito che altre norme 
del medesimo testo unico prevedevano per altri redditi; art. 120 per la 
R.M.; art. 137 per l'imposta complementare). 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 539 

La prevalente giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto l'implicita 
abrogazione da parte della 1. n. 131 del 1960 del criterio di accertamento 
induttivo posto dall'art. 74 del d.P.R. n. 645. Il punto non deve essere 
esaminato in questa sede perch� la Corte d'appello l'ha ritenuto assorbito 
dalla dichiarazione di nullit� dell'avviso di accertamento. Tale punto riguarda 
non la nullit� dell'accertamento per difetto di motivazione, ma 
l'eventuale sua illegittimit� per contrasto della determinazione dell'imponibile 
con i criteri di legge. Si tratta di un momento successivo, devoluto 
al giudizio delle Commissioni e dell'A.G.O. nei limiti delle rispettive 
competenze (art. 26 e 40 d.P.R. n. 636 del 1972). La cognizione su tale 
punto � resa possibile, invero, o dalla dichiarazione analitica (art. 3 della 
legge 23 febbraio 1960 n. 131) o, in mancanza di tale dichiarazione, dall'assolvimento 
da parte del contribuente dell'onere della prova in ordine alla 
esclusione in tutto o in parte del presupposto dell'imposizione indicato 
nell'accertamento sintetico. 

Nella specie, posto che era pacifico che il Tortorella era stato proprietario 
di quei � fabbricati di nuova costruzione in via De Martino in 
Salerno� che era l'oggetto dell'accertamento sintetico, egli era abilitato 
a dare la prova di quali � unit� immobiliari � fosse ancora in possesso 
nell'anno a cui si riferiva l'accertamento, nonch� a chiedere alle Commissioni 
la determinazione del relativo reddito imponibile, secondo i criteri 
di legge (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 marzo 1984, n. 2018 -Pres. Mirabelli Est. 
Virgilio -P. M. Miccio (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Braguglia) c. D'Elia. 

Tributi in genere -Repressione delle violazioni -Sanzi.oni -Societ� avente 
personalit� giuridica -Responsabilit� dell'amministratore -Esclusione. 

(1. 1 gennaio 1929 n. 4, art. 3, 9, 10 e 12).. 
Nei confronti delle societ� aventi personalit� giuridica, titolari del 
rapporto di imposta, la violazione delle norme produttive di una sanzione 
amministrativa � direttamente ad esse imputabile; di conseguenza della 
sanzione risponde esclusivamente la societ� e di essa non deve rispondere 
il rappresentante (1). 

(11) Le Sez. Unite rkonfermano la pi� recente giurisprudenza de11a prima 
Sezione (22 luglio 1976 n. 2903, in questa Rassegna, 1977, I, 147; 15 gennaio 1979 
n. 289, ivi, 1979, I, 316; 21 ottobre 1981 n. 5508, ivi, 1982, I, 352), ma non riescono 
ad eliminare ogni incertezza, specie in reLazione alla legisla2lione attuale. 
L'art. :12 � .interpretato piuttosto in ragione dci quel che avrebbe potuto 
essere una corretta normativa ~ispirata al principio che fa persona giuridica 
pu� essere considerata soggetto trasgressore al quale � direttamente �imputata 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

540 

(omissis) La ricorrente deduce: 1) Violazione e falsa applicazione degli 
articoli 9, 10 e 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, in relazione all'art. 360 

n. 3 cod. proc. civ., perch� dalla lettera e dalla ratio delle indicate norme 
risulta che i rappresentanti degli enti forniti di personalit� giuridica 
sono solidalmente responsabili per il pagamento della pena pecuniaria 
irrogata all'ente per infrazioni alle leggi tributarie; 2) Violazione delle 
stesse norme perch� la Corte di appello ha erroneamente escluso che 
l'amministratore D'Elia potesse essere considerato � autore � dell'infrazione, 
non essendo a tale fine sufficiente il rilievo che in sede amministrativa 
non fosse stata adombrata una tale diretta infrazione da parte 
del D'Elia, mentre la Corte avrebbe dovuto tener conto di tutte le risultanze 
processuali per risolvere la questione della diretta responsabilit� 
dell'amministratore. 
Ritengono le Sezioni unite che la tesi sostenuta dalla ricorrente con il 
primo motivo di ricorso, con la quale si sollecita un mutamento d'indirizzo 
giurisprudenziale da parte di questa Corte, non possa trovare accoglimento 
in quanto le argomentazioni esposte, anche se ampiamente elaborate, 
contrastano con il dato letterale e logico della norma in discussione. 

Va ricordato che la questione costituente oggetto di dibattito � stata 
gi� esaminata e decisa in senso uniforme con numerose sentenze di questa 
Corte. 

� stato ritenuto che l'art. 12 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, (in tema 
di repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) il quale, con riguardo 
alle infrazioni non costituenti reato e punite con la sola pena pecuniaria, 
regola ipotesi di solidariet� a carico� di determinati soggetti, opera 
-per il caso di persone fisiche che abbiano la rappresentanza o siano 

la sanzione non penale) che non di quello che la norma ha inteso effettiva


mente statuire nella dire2)ione di una pur possibile affermazione della respon


sabilit� 'solidale della persona fisica agente per la societ� (con una e\'idente 

finalit� repressiva verso le manipolazioni operate sotto Io schermo di una 

societ�). E che l'art. 12, abbia inteso perseguire un tale scopo disciplinando 

la responsabi1it� sussidiania dell'ente per la sanzione civile, analogamente a 

quella per la sanzione penale (ricalcando anche nel testo l'obbligazione oivile 

per l'ammenda degli artt. 196 e 197 C.P., norme queste elaborate contempora


neamente e in collegamento con la legge n. 4 del 1929) � abbastanza evidente. 

Non convdnce soprattutto la netta distinrione che si fa tra enti forniti dd 

personalit� giu:riidi.ca e altri enti pur capaci di essere soggetti passivi del rap� 

porto tributarfo; la societ� di persone � sicu:riamente debitore del tributo e 

capace della trasgressione, secondo il rifenimento che nella sentenza si fa 

all'art. 3, e tuttavia il tenore letterale degli art. 10 e 12 non consente di esclu


dere la responsabilit� dell'amministratore. Ancor pi� f:riagHe � il tentativo di 

dare un signdf.icato all'art. 12 ricercando ipotesi, non specificate, di respon


sabilit� stabilite direttament�e a carico di rappresentanti delle persone giuri


diche o addirittura di infraziioni commesse da dipendenti o rappresentanti 

seil2la potere per le quaLi la prevista responsabilit� dell'ente verrebbe meno 

per interruzione del rapporto di rappresentanza. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 541 

dipendenti di un ente privato fornito di personalit� giuridica -soltanto 
nel senso di implicare la responsabilit� solidale dell'ente medesimo per 
trasgressioni direttamente commesse dal rappresentante, mentre resta 
esclusa la possibilit� di affermare la responsabilit� solidale delle dette 
persone nella diversa ipotesi di infrazioni direttamente addebitabili 
all'ente (Cass., n. 2903 del 1976 -n. 289 del 1979 -n. 4266 del 1979 -n. 1212 
e 5508 del 1981). 

Per una corretta impostazione del problema bisogna muovere dalla 
premessa che nel sistema normativo risultante dal contesto della legge 

n. 4 del 1929 � delineata una netta distinzione tra violazioni delle leggi fi. 
nanziarie costituenti delitto o contravvenzione (art. 2) e violazioni comportanti 
soltanto obbligazione, di carattere civile, di pagamento di una 
somma (art. 3), con eventuale aggiunta, nell'un caso e nell'altro, di una 
sopratassa avente anch'essa carattere civile (art. 5). 
La distinzione si riflette sulle disposizioni degli articoli 9, 10 e 12, nei 
quali � prevista la responsabilit� anche di altri soggetti, sia nell'ipotesi di 
violazioni costituenti contravvenzioni (cio� reati), sia nell'altra ipotesi 
di semplici obbligazioni aventi carattere civile. , 

Nelle fattispecie di cui agli artt. 9 e 10, trattandosi di responsabilit� 
derivante da reato, e dunque di responsabilit� tipicamente personale dell'agente, 
il legislatore ha inteso stabilire anche la responsabilit� sussi 
diaria della persona investita dell'autorit� o incaricata della direzione o 
vigilanza sul soggetto che abbia �commesso>>, la contravvenzione (come 
testualmente si esprime la norma) per il pagamento di una somma pari 
all'ammontare dell'ammenda inflitta al colpevole (ipotesi configurata 
nell'art. 9); inoltre, per le contravvenzioni relative ai tributi da enti 

� comunque rilevante verificare la portata della pronunzia con riferimento 
1a11a normativa pi� �recente. Come &i ricorda nella sentenza, per eviden;
darne una differenza solo appar-ente, l'art. 98 del d.P.R. 29 settembre 1973 

n. 602 stabilisce espressamente la responsabi1it� del rappresentante (e qui la 
rappresentanza � intesa in senso ampio) in so1ido con il soggetto passivo o 
il soggetto inadempiente. Questa norma riguarda le sanzioni in sede di riscossione, 
previste nel d.P.R. n. 602; una norma analoga non sii trova n� nel 
d.P.R. n. 600/1973 sull'accertamento, n� nel d.P.R. n. 633/1972 sull'IVA. Se 
ne dovrebbe dedurre che per queste ultime, e pi� gravi, violazioni resta sempre 
esclusa la responsabdlit� degli amministratori. Tuttavtla la norma pi� generale 
dell'art. 6 della legge 24 novembre 1981 n. 689, con un ritorno alla [spirazione 
originaria, torna ad enundare la regola che della violazione commessa 
dal .rappresentante o dal d~pendente nell'esercizio delle proprie funzioni o 
incombenze risponde in solido l'ente, anche se privo di personalit� giuridica. 
Non si pu� certo dire che anche questa norma generaliss�ima ed unica contempla 
solo J'ipoteSl:i di 1sanzioni stabilite direttamente a carico del rappresentante; 
ancor meno pu� affermarsi che ove esista un rapporto organico in 
forza del quale l'infrazione � imputata direttamente all'ente � sempre esclusa 
la responsabHit� dell'amministratore anche rispetto alle sanzioni originariamente 
penali oggi depenal~zzate. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

forniti di personalit� giuridica -con esclusione degli enti pubblici -il 
legislatore ha inteso stabilire la medesima responsabilit� (pagamento di 
una somma pari all'ammontare dell'ammenda inflitta) in caso di condanna 
pronunciata contro chi abbia la rappresentanza degli enti o sia 
con essi in rapporto di dipendenza (ipotesi configurata nell'art. 10). 

L'art. 12 riguarda invece la diversa ipotesi di violazioni per le quali sia 
stabilita soltanto �la sopratassa o la pena pecuniaria�. 

La intrinseca differenza tra gli illeciti previsti nelle indicate norme 
(di natura penale quelli di cui agli artt. 9 e 10, di carattere civile le infrazioni 
considerate nell'art. 12) ha determinato, sul piano della formulazione 
della norma contenuta nel detto art. �12, una diversa angolazione anche 
sul punto della individuazione del soggetto direttamente responsabile. 

Nella sfera delle violazioni rientranti nell'art. 12 -non trattandosi 
di responsabilit� penale e non operando perci� il principio della responsabilit� 
personale dell'agente -nessun ostacolo concettuale sussisteva 
per la riferibilit� dell'illecito alla persona giuridica, la quale ben poteva 
essere considerata come soggetto �trasgressore� della legge finanziaria 
(nel senso indicato nell'art. 3), in relazione alla sua qualit� di titolare 
del rapporto giuridico d'imposta. 

A tal fine nessun rilievo poteva avere la considerazione che la persona 
giuridica non potesse operare se non per il tramite della persona fisica 
chiamata ad attuarne la volont�, in quanto la riconosciuta capacit� dell'ente 
di commettere infrazioni comportanti sanzioni civili rendeva imputabile 
direttamente ed esclusivamente all'ente stesso il comportamento 
del rappresentante, sicch� non esisteva alcuna esigenza, nel caso di addebito 
contestato all'ente, di disporre estensioni di responsabilit�. 

In altri termini, la disposizione dell'art. 12 -muovendo proprio dal 
presupposto che di regola l'ente risponde in via esclusiva, quale soggetto 
passivo del rapporto tributario, delle relative infrazioni -ha avuto di 
mira una differente ipotesi, e cio� quella della eventuale non operativit� 
del principio generale di imputazione all'ente dell'operato dei suoi rappresentanti, 
e per tale ipotesi ha stabilito che alla responsabilit� dell'autore 
dell'illecito si aggiunge la responsabilit� solidale della persona 
giuridica. 

Infatti, anche per le infrazioni aventi carattere civile possono ricorrere 
casi di responsabilit� stabilite direttamente a carico dei rappresentanti 
legali delle persone giuridiche (i quali sono in tali casi considerati 
�autori� dell'illecito); come possono verificarsi ulteriori ipotesi 
di dipendenti delle persone stesse (l'art. 12 richiama le situazioni indicate 
nella prima parte degli artt. 9 e 10 e dunque anche quella derivante 
dal rapporto di dipendenza tra un determinato soggetto e l'ente) 
che nel commettere le infrazioni di cui si discute abbiano agito senza 
i necessari poteri per conto dell'ente medesimo. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

In queste situazioni, se non esi~tesse la speciale disposizione del� 

l'art. 12, gli enti ivi menzionati non sarebbero tenuti in solido al paga


mento delle sopratasse o delle pene pecuniarie, in quanto non potreb


be farsi ricorso al principio dell'imputabilit� dell'operato dei soggetti 

suindicati (rappresentanti e dipendenti) alla persona giuridica. 

A questi casi pu� aggiungersi quello del rappresentante che, agendo 

al di fuori dei suoi pot~ri ovvero contro la volont� legittimamente espres� 

sa dall'ente, commetta una delle infrazioni considerate, con la conse� 

guenza che l'ente potrebbe invocare la verificatasi interruzione del 

rapporto di rappresentanza, al fine di sottrarsi alle conseguenze del� 

l'operato del proprio organo-rappresentante. 

Tutte le situazioni alle quali si � fatto cenno valgono a dimostrare 

che l'art. 12 trova nel sistema una sua logica spiegazione, e non pu� 

dunque considerarsi privo di significato concreto, come sostiene la ri� 

corrente, se interpretato nel senso accolto dalla giurisprudenza di que� 

sta Corte. 

Va inoltre sottolineato che alle ragioni esposte si aggiunge l'assoluta 

inconciliabilit� della tesi interpretativa propugnata dalla ricorrente con 

il significato proprio delle parole usate dal legislatore, che pur deve 
� costituire il principale supporto dell'attivit� ermeneutica. 

L'art. 12 chiaramente stabilisce che �l'ente� � obbligato in solido 

� con l'autore della violazione �, e tale espressione non pu� essere dal


l'interprete ribaltata a1 punto da intenderla in senso perfettamente op


posto, e cio� che siano invece il rappresentante legale o uno degli altri 

soggetti rientranti nella previsione (richiamata) della prima parte de� 

gli articoli 9 e 10, a dover rispondere solidalmente insieme con l'ente. 

Un siffatto capovolgimento del contenuto sostanziale della norma 

(nei termini in cui tale contenuto risulta dalla struttura sintattica di essa 

e dall'analisi filologica) si risolverebbe in una radicale modificazione di 

quanto effettivamente voluto ed enunciato dal legislatore. 

Qualche imprecisione terminoligica riscontrabile nell'art. 12 -ri� 

spetto a una rigorosa concezione del rapporto organico . esistente tra 

l'ente e il soggetto che agisce per esso -non vale a spostare i termini del 

problema, perch� all'epoca della emanazione della legge n. 4 del 1929 la 

teoria della cosiddetta immedesimazione organica tra persona giuridica e 

soggetto rappresentante non era ancora compiutamente sviluppata, sicch� 

non pu� meravigliare che nel testo legislativo siano usati termini ed 

espressioni non sempre coerenti con le figure concettuali elaborate suc


cessivamente dalla dottrina. 

A titolo di convalida dell'esattezza della interpretazione della norma 

in esame (art. 12) nel senso avanti indicato valgono anche ulteriori con� 

siderazioni. 


544 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Un dato testuale si desume proprio dalla legge del 1929, in quanto 
l'art. 55, che riguarda le violazioni delle norme finanziarie per cui sia 
stabilita la pena pecuniaria, dispone che la infrazione deve essere noti� 
ficata � al trasgressore �. Ci� conferma che per le violazioni indicate nell'art. 
12, soggetto responsabile � di regola il trasgressore gi� menzionato 
nell'art. 3 in riferimento alle violazioni non costituenti reato, ossia il 
soggetto-titolare del rapporto d'imposta, e dunque anche la persona giuridica 
se a questa si riferisce tale rapporto; ma conferma anche che la 
estensione della responsabilit� solidale all'ente per il pagamento della soprattassa 
o della pena pecuniraia (finalit� che il legislatore ha inteso perseguire) 
non pu� che riguardare le ipotesi di infrazioni poste direttamente 
a carico del rappresentante, ovvero le altre ipotesi avanti menzionate. 
Per tali ipotesi particolari, l'art. 59 dispone infatti che le notificazioni da 
farsi al trasgressore debbono essere eseguite anche alle persone o enti 
indicati nell'art. 12, qualora debbano rispondere del pagamento della 
pena pecuniaria. 

Va infine rilevato che nel caso in cui il legislatore ha inteso stabilire 
per le sanzioni di carattere civile (soprattassa e pena pecuniaria) la responsabilit� 
solidale degli amministratori, ha adoperato espressioni chiare 
e precise in tal senso, come risulta dall'art. 98 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602 (sulla riscossione delle imposte sul reddito), il quale � cos� 
formulato: 

�Al pagamento delle soprattasse o delle pene pecuniarie sono obbligati 
in solido con il soggetto passivo o con il soggetto inadempiente 
coloro che ne hanno la rappresentanza �. 

N� pu� ritenersi che la puntuale formulazione letterale di tale norma 
(art. 98) dipenda soltanto da un maggiore affidamento del linguaggio tecnico 
del legislatore, in quanto la diversit� delle espressioni usate, rispetto 
a quelle dell'art. 12 della legge del 1929, non consiste in semplici differenze 
di modalit� espressive, ma rivela invece diversit� di contenuto 
sostanziale tra le due disposizioni. 

Neppure il secondo motivo � fondato. 

La Corte del merito ha ritenuto in punto di fatto che la violazione 
fu ascritta soltanto alla societ�, nei confronti della quale fu redatto il 
verbale di accertamento ed emesso il decreto ministeriale per il pagamento 
dell'imposta evasa. 

Ha quindi ritenuto, anche in considerazione della circostanza che 
neppure in sede amministrativa era stata prospettata la eventualit� che 
le infrazioni fossero state concretamente e direttamente commesse dal 
D'Elia, che nel caso di specie non ricorresse una ipotesi di responsabilit� 
diretta dell'amministratore quale autore dell'illecito. (omissis). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 545 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 marzo 1984 n. 2045 -Pres. Sandulli; 

Est. Finocchiaro -P. M. Sgroi (conf.). Credito Navale c. Ministero 

delle Finanze (Avv. Stato D'Amico). 

Tributi erariali diretti � Imposte sui redditi di ricchezza mobile -Condono 
-Riporto delle perdite di esercizi anteriori -Inammissibilit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 112; d.!. 5 novembre 1973 n. 660, art. 2). 
La definizione automatica del reddito accertato in base alle norme 
sul condono � incompatibile con il riporto delle perdite accertate negli 
esercizi anteriori (art. 112 del T.U. sulle imposte dirette) da operare sul 
reddito gi� ridotto (1). 

(omissis) Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione 
dell'art. 112 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 e dell'art. 2 lett. a) del 

d.l. 5 novembre 1973 n. 660, convertito con modificazioni nella legge 
19 dicembre 1973 n. 823, nonch� errata ed insufficiente motivazione in 
relazione agli artt. 111 Cost. e 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere 
ritenuto la Commissione Tributaria Centrale che l'art. 112 � operante 
soltanto nel caso in cui si proceda alla definizione degli imponibili nei 
modi ordinari, mentre resta escluso allorch� si proceda alla definizione 
degli imponibili con il meccanismo automatico del condono, senza tener 
presente che nessuna disposizione del d.l. n. 660 del 1973 porta deroga 
al predetto art. 112. 
Secondo il Credito Navale ricorrente, poi, la Commissione Tributaria 
Centrale avrebbe travalicato il vero oggetto della controversia negando 
l'efficacia di quest'ultima disposizione in sede di condono, dal momento 
che entrambe le parti, nelle loro contrapposte posizioni, non 
avevano mai negato l'operativit� del citato art. 112. 

Il provvedimento di condono ha derogato ai criteri ordinari di definizione, 
ammettendo che alla determinazione dei redditi e delle perdite 
degli esercizi per i quali si � fatta richiesta di avvalersi delle disposizioni 
da esso recate si addivenga attraverso conteggi prestabiliti, ma 
ci� influisce soltanto sulla determinazione degli imponibili, ma non 
anche sulla compensabilit� o meno delle perdite fiscalmente definite 
con gli utili pure fiscalmente definiti nei successivi esercizi, dal momento 
che la compensazione fra perdite ed utili fiscali non influenza 
la determinazione dell'imponibile, ma attiene alla fase di liquidazione 
dell'imposta. 

La compensazione delle . perdite non �, come quella prevista dall'art. 
8 d.l. n. 1089 del 1968, norma di agevolazione tributaria tempo


(1) Questione nuova risolta con ineccepib.ile motivazione. 

546 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ranea, ma disposizione istituzionale che attiene alla determinazione del


l'imponibile da iscrivere a ruolo e alla correlativa liquidazione delle 

imposte, che vanno calcolate sul reddito fiscale dell'esercizio al netto 

delle eventuali perdite di esercizi precedenti. 

Dal momento, poi, che la stessa Amministrazione ha sempre riconosciuto 
che le perdite degli esercizi precedenti -una volta che ne sia 
fatta richiesta dal contribuente -vanno a diminuire il reddito definitivamente 
accertato, non si vede, secondo il ricorrente, perch�, nell'ipotesi 
di definizione degli imponibili con i conteggi automatici di condono, 
le perdite degli esercizi precedenti dovrebbero andare a diminuire soltanto 
i redditi dichiarati e non gi� quelli definiti. 

La domanda di condono costituisce condizione per poter fruire del 
particolare sistema di definizione degli imponibili previsto dalla relativa 
legge, ma non comporta rinuncia ad avvalersi della richiesta compensazione 
ex art. 112 t.u. cit. atteso che le perdite degli . esercizi precedenti 
costituiscono importi da sottrarre in sede di liquidazione delle imposte, 
attraverso il congegno della compensazione, nell'ambito temporale precisato 
dalla norma, in modo che il contribuente possa beneficiare di una 
minore tassazione complessiva con il recupero delle perdite. 

Con il secondo motivo si deduce il vizio dell'errata e insufficiente 
motivazione, dal momento che la Commissione Centrale si � limitata a 
richiamare l'art. 2 Jett. a) d.l. n. 660 del 1973, senza accertare se tale 
norma fosse stata correttamente applicata dall'Ufficio, non essendo sufficiente 
l'affermazione che il ricorso al meccanismo automatico del condono 
esclude l'operativit� dell'art. 112 t.u. cit. 

Pa~imenti erronea, poi, secondo il ricorrente, � l'affermazione secondo 
cui le definizioni intervenute con il sistema automatico del condono non 
possono, ai sensi dell'art. 11 d.l. n. 660 del 1973 formare oggetto di contestazione 
se non per errore di legge o per violazione del decreto stesso, 
dal momento che, anche in caso di violazione delle norme sulla legge 
del condono, unico strumento che si offriva al contribuente era il ricorso 
contro il ruolo. 

I due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, in quanto 
logicamente connessi, sono infondati, anche se la motivazione della decisione 
impugnata va corretta ai sensi dell'art. 384, comma 2 c.p.c. 

Il problema proposto � se, in presenza di accertamenti definiti in via 
ordinaria con il riconoscimento di perdite fiscali per gli esercizi precedenti 
e di domanda del contribuente per la definizione automatica (c.d. condono) 
delle pendenze relative agli anni successivi, in un momento in 
cui alla dichiarazione (negativa) del contribuente per tali esercizi si 
contrapponga l'accertamento di un reddito imponibile da parte dell'Ufficio, 
l'imposta dovuta debba essere determinata solamente attraverso 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

il meccanismo di riduzione dell'imponibile accertato dall'Ufficio secondo 
i criteri fissati dall'art. 2 lett. a) d.l. n. 660 del 1973 o se, invece, a tal 
fine si debba tener conto dell'art. 112 comma 1, t.u. n. 645 del 1958 per il 
quale � la perdita di un esercizio, determinata con le stesse norme valevoli 
per la determinazione del reddito, pu� essere portata in diminuzione 
dai redditi degli esercizi successivi, ma non oltre il quinto esercizio
�. 

Si tratta cio� di stabilire se il meccanismo del citato art. 112 possa 
operare in pr�senza di un imponibile determinato in via automatica. 

Allo scopo di dimostrare l'applicabilit� di tale norma il Credito 
Navale rileva che, in mancanza di una esplicita norma derogativa contenuta 
nel d.l. n. 660 del 1973, l'art. 112 t.u. citato agisce all'esterno e 
cio� in diminuzione degli imponibili automatici definiti, in quanto le 
perdite degli esercizi precedenti non costituiscono elementi detrattivi ,del 
reddito di esercizio, ma entit� negative da compensare con quelle eventualmente 
positive dei cinque esercizi successivi. 

La tesi, non pu� essere condivisa. 

Il d.l. n. 660 del 1973, con le modifiche apportate dalla legge di conversione 
n. 823 del 1973, con riferimento ai periodi di imposta in ordine 
ai quali, anteriormente al 31 ottobre 1973, sia stato notificato l'accertamento, 
prende in considerazione, ai fini della determinazione dell'imposta 
-qualora alla detta data non sia stata notificata alcuna decisione 
in sede contenziosa, come nella specie -l'imponibile dichiarato 
dal contribuente e quello accertato dall'Ufficio e, sulla base di tali elementi, 
indica il sistema con il quale procedere alla relativa determinazione 
dell'imposta (art. 2 lett. a) d.l. citato). 

Il contribuente, il quale chiede la definizione agevolata sulla base 
del citato decreto, non pu� evidentemente contestare gli elementi sulla 
cui base si addiviene alla liquidazione dell'imposta (reddito dichia� 
rato, anche se negativo, e imponibile accertato dall'Ufficio), cos� come 
analoga facolt� � negata all'Ufficio, in quanto il sistema di definizione 
automatico delle pendenze tributarie, inteso alla sollecita definizione 
delle controversie tributarie, comporta, come � stato recentemente affermato 
(Cass. 22 giugno 1983 n. 4280), che, una volta presentata la domanda 
di condono, operano automaticamente i rigidi criteri da esso fissati per 
la liquidazione dell'imponibile senza possibilit� per il contribuente di 
sollevare contestazioni sulla base della maggiore onerosit� del carico 
tributario a seguito dell'applicazione degli indicati criteri e senza che 
in ci� sia ravvisabile alcuna violazione dell'art. 53 Cost., dal momento 
che la normativa di cui al d.l. n. 660 del 1973 confizyra una transazione 
fra fisco e contribuente sottratta a qualsiasi discrezionalit� del primo 
e postulante la spontanea adesione del secondo, che poteva optare per 
i normali accertamenti. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

548 

La domanda diretta ad ottenere l'applicazione dell'art. 112 comma 1�, 

t.u. citato e quindi la compensazione dei redditi accertati con le perdite 
dei pre~edenti esercizi tende a mettere in discussione l'imponibile accertato 
dall'Ufficio e quindi non � pi� proponibile -e se proposta perde 
ogni valore -ove il contribuente anzich� impugnare l'imponibile con i 
mezzi ordinari abbia preferito optare per la definizione agevolata dell'imponibile 
stesso. 
Seppure si pu� convenire con la tesi del Credito Navale secondo 
cui la compensazione fra perdite ed utile fiscale non influenza la determinazione 
dell'imponibile, ma attiene alla fase della liquidazione dell'imposta 
dovuta, � da rilevare che tale meccanismo opera con riferimento 
al sistema di determinazione normale dell'imponibile e non 
anche quando l'imponibile � stabilito sulla base dei rigidi criteri fissati 
dal d.l. n. 660 del 1973. 

N� al fine di inficiare queste conclusioni � valido l'argomento secondo 
cui l'applicabilit� dell'art. 112 t.u. n. 645 del 1958 non sarebbe derogata 
dalle norme sul condono, dal momento che siffatta inapplicabilit� 
discende proprio dal complesso di tale normativa. 

� sufficiente infatti rilevare che, ai fini della liquidazione agevolata, 
il legislatore prescinde dai calcoli attraverso cui il contribuente sia giunto 
ad un determinato reddito dichiarato (anche se negativo) o l'ufficio abbia 
proceduto all'accertamento di un diverso reddito imponibile; si tratta 
cio� di dati che sono assunti nella loro oggettivit�, con la conseguenza 
che, potendosi essere giunti a tali valori anche eventualmente operando 
la compensazione di cui all'art. 112 t.u. n. 645 del 1958, un autonomo 
rilievo di tale disposizione, dopo la determinazione dell'imponibile effettuata 
con i criteri di cui al d.l. n. 660 del 1973, potrebbe portare ad una 
duplice inammissibile operativit� del meccanismo di compensazione, senza 
che sia possibile distinguere -al fine di affermare la perdurante 
applicabilit� dell'art. 112 cit. -a seconda che al reddito dichiarato dalla 
parte o a quello accertato dall'Ufficio si sia giunti tenendo o meno 
conto di tale norma, attesa la gi� rilevata impossibilit� di accertare 
i criteri Con i quali si sia giunti ai dati di base per far luogo alla definizione 
agevolata. 

Pertanto correttamente, la Commissione Tributaria Centrale ha rilevato 
che il contribuente posto di fronte alla possibilit� di scegliere una 
volta che abbia optato per la definizione agevolata, non pu� pi� richiedere 
l'applicazione dell'art. 112 t.u. del 1958, in quanto, come in precedenza 
rilevato, tale applicazione � possibile solo attraverso l'impugnazione 
ordinaria dell'accertamento. 

Si deve, pertanto, concludere che una volta presentata domanda di 
definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 660 del 1973, l'imposta dovuta 
va determinata secondo le disposizioni degli artt. 2, 3 e 4 del citato d.l. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 549 

senza che si possa tener conto dell'art. 112 t.u. n. 645 del 1958, e, quindi, 
senza poter compensare il reddito imponibile in siffatto modo determinato 
con le perdite accertate in esercizi precedenti, in quanto l'applicabilit� 
di una tale disposizione -modificando l'imponibile automaticamente 
determinato -comporterebbe violazione delle norme del d.l. 

n. 660 (art. 11, comma 2�). (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 marzo 1984 n. 2046 -Pres. Santosuosso 
-Est. Lipari -P. M. Pandolfelli (diff.). Ministero delle Finanze 
(Avv. Stato D'Amico) c. Liucci. 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Trasferimento di immobile 
gravato da ipoteca � Base imponibile � Irrilevanza dell'ipoteca. 

(r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, art. 30 e 43). 
Nel determinare la base imponibile dell'imposta di registro relativa 
al trasferimento di un immobile gravato di ipoteca, occorre far riferimento 
al valare venale del bene secondo� le regole comuni senza alcuna 
riduzione per l'esistenza dell'ipoteca (1). 

(omissis) 2. Il ricorso � fondato. 

Trattandosi di imposta applicata ai sensi della legge di registro del 
1923 vengono in considerazione gli artt. 30 e 43 del r.d. 30 dicembre 
1923 n. 3269. 

La regola fondamentale in tema di valutazione dei beni, quando occorre 
tassare il trasferimento della propriet� dei beni medesimi, � data 
dal criterio del loro valore venale in comune commercio, che si deve 
ricercare rispetto a tutti i contratti traslativi o dichiarativi di diritti 
reali su beni immobili (salva la limitazione per alcuni beni degli elementi 
in base ai quali va accertato tale valore), non avendo rappresentato 
una modificazione del diritto positivo preesistente la norma di cui 
all'art. 15 della legge 7 agosto 1936 n. 1639. 

�Valore venale in comune c�mmercio � � quanto si pu� ricavare 
dalla vendita di un determinato bene in condizioni normali, prescin


(1) Decisione da condividere pienamente. Alle numerose argomentazioni 
della motivazione della sentenza si pu� aggiungere che l'ipoteca non � collegata 
al bene �in modo specifico, esclusivo e proporzionato (l'ipoteca pu� essere iscritta 
su un complesso di immobili mentre uno soltanto viene trasferito e pu� assistere 
un credito di un ammontare che non ha alcun rapporto col valore del bene) 
e non ha un valore determinabile in relazione al rischio di dover subire l'esecuzione 
su iniziativa del creditore; lo stesso rischio si incontra nell'acquisto di 
un bene gravato di privilegio speciale, ma non si � mai pensato che l'esistenza 
del privilegio (nascente anche dallo stesso atto di trasferimento) possa influire 
sul valore. 

550 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dendo da qualsiasi condizione subiettiva inerente alla qualit� dei contraenti. 
Si intende, tuttavia, che se in relazione a particolari rapporti 
con il bene il contraente lo acquista ad un prezzo superiore al valore, 
l'imposta si applica sul prezzo (e non sulla minore aestimatio di � comune 
� commercio). Ma ci� non comporta la rilevanza di quell'intento, 
della componente soggettiva, sibbene la piena applicazione della norma 
la quale di fronte ad una divergenza fra prezzo e valore, stabilisce che 
debba prendersi come base della tassazione la componente maggiore (e 
cio�, nel caso esemplificativo, il prezzo d'affezione). 

L'art. 30 (coordinato con l'art. 15 del r.d.) va posto in relazione con 
l'art. 43 della medesima legge di registro, la quale stabilisce che nei 
trasferimenti a titolo oneroso della propriet� (dell'usufrutto, dell'uso e 
del godimento del bene o di altro diritto reale) l'aliquota proporzionale 
� applicata in ragione dei prezzi e degli altri corrispettivi convenuti 
fra le parti, compresi gli oneri che � passano � a carico dell'acquirente 
o cessionario. Sulla sostanziale equivalenza delle due espressioni 
e sulla individuazione della ratio legis che tiene conto della prassi di 
non denunciare negli atti l'effettivo corrispettivo, non sono ipotizzabili 
dubbi di una qualche rilevanza giuridica. 

Da tempo la giurisprudenza ha messo in chiaro che l'imposta di 
registro non colpisce il valore considerato in se stesso, ma il prezzo 
di mercato di un bene avente le stesse caratteristiche intrinseche: il 
valore effettivo che si sarebbe realizzato, cio�, mediante lo scambio 
attraverso il passaggio di una quantit� di moneta adeguata a quel valore; 
giovando il divario fra prezzo inferiore e superiore valore ed ancorare 
l'accertamento tributario al valore medesimo (Cass. 2654/68, 2572/72, 
3755/75). 

Proprio perci� si legge correntemente in dottrina che se le parti 
nulla occultassero fra il corrispettivo indicato nell'atto e il valore venale 
dei beni trasferiti, dovrebbe esistere una differenza minima, e che il 
tributo non grava il corrispettivo in s�, ma la ricchezza che si trasferisce, 
venendo in considerazione il corrispettivo soltanto come elemento di estimazione 
del valore. 

Ma per determinare l'entit� della ricchezza che effettivamente vi trasferisce, 
attraverso il passaggio di propriet� ex art. 43, occorre considerare 
anche gli oneri che � passano � a carico dell'acquirente cessionario, 
sembrando in prima approssimazione che si potrebbe dare rilievo all'ipoteca 
annoverandola fra tali oneri (non necessariamente reali). 

Sulla relativa nozione tuttavia esiste uno ius receptum di cui non 
hanno tenuto c�nto n� la Corte d'appello di Bari, n� il resistente, n� il 
Procuratore Generale, postulando apoditticamente che un bene gravato 
da ipoteca sia meno appetibile di un bene libero; il che non significa che 
il valore, la ricchezza da esso rappresentata, e che si trasferisce, sia diminuita 
(e men che mai in misura pari al credito cui si riferisce la garan


-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zia). In effetti sin da una remota sentenza (Cass. Roma 13 marzo 1893) 
si � precisato in giurisprudenza che gli oneri sono detraibili dal valore 
tassabile soltanto se risultano � inseparabili � dalla cosa stessa, in modo 
da determinare un deprezzamento oggettivo, passando ipso iure dallo 
alienante all'acquirente, con la cosa stessa, come componente negativa 
di questa. Se, invece, per il trasferimento dell'onere occorre una manifestazione 
di volont� ad hoc la deducibilit� resta esclusa. 

Si � osservato al riguardo, secondo altra terminologia, ma in realt� 
esprimendo il medesimo concetto, che sottostanno all'imposta di registro 
gli oneri � personali � e non anche gli oneri � reali � (e si indicano 
esemplificativamente al riguardo, come oneri �reali�: l'imposta fondiaria, 
la servit�, le decime ecclesiastiche o dominicali, i contributi consorziali 
etc.) salvo che i suddetti oneri personali siano stati accollati 
al compratore costituendo l'accollo il momento genetico per il sorgere 
della obbligazione (riconosce~dosi che tale accollo non deve essere necessariamente 
espresso e formale, potendo anche risultare per implicito). 
Questa distinzione fra oneri reali e non, rapportata alla qualificazione 
della ipoteca come diritto reale di garanzia potrebbe indurre 
a ritenere erroneamente che l'ipoteca rientri nel novero dei suddetti 
oneri reali e quindi concorra al deprezzamento del valore del bene in 
misura pari al suo ammontare; ma cos� non � ove si rifletta che l'ipoteca 
non diminuisce obiettivamente il valore dell'immobile, ma aggancia 
a quel valore un credito e quindi in definitiva attiene alla ripartizione 
fra due diversi soggetti del valore medesimo che in s� e per s� resta 
sempre uguale, a prescindere dal diritto di sequela, rappresentando il 
parametro intrinseco della garanzia. La discriminazione tra qualit� intrinseche 
del bene, che ne circoscrive definitivamente il valore, e credito 
da soddisfare, a discapito del proprietario, comporta, con assoluta 
evidenza, che la realt� sui generis del diritto di garanzia non � una 
qualitas fundi, una caratterizzazione del bene stesso. Molto pi� semplicemente 
nell'ottica della (abrogata) legge di registro l'ipoteca � soltanto 
la garanzia di un debito che l'acquirente resta libero di accollarsi o meno. 

Se, dunque, nel determinare il valore venale del bene va tenuto 
conto di tutti gli oneri che lo gravano (Cass. Roma 30 aprile 1917), e che 
ne diminuiscono oggettivamente il valore, deve trattarsi, pur sempre, 
di oneri che ineriscono alla cosa (anche se non riconducibili necessariamente 
alla categoria tecnica dell'onere reale). 

Non si possono prendere in considerazione, perci�, i debiti personali 
dell'alienante, sia pure garantiti sulla cosa e collegati ad essa dal 
rapporto di sequela (cfr. Cass. Roma 3 ottobre 1903 e 24 marzo 1911, 
nonch�, pi� di recente, Cass. 31 gennaio 1948 n. 146 per il rilievo che 
l'imposta si applica non solo in ragione del prezzo pattuito fra le 
parti, ma altres� degli oneri che l'acquirente si accolla, dato che nelle 


552 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

vendite, e nelle cessioni in genere, l'acquirente deve corrispondere il 
valore convenuto ed a tal fine pu� o pagare il prezzo, o prestare gli 
altri corrispettivi, o assumere su di s� particolari oneri di cui viene 
liberato il venditore, dovendosi escludere dai corrispettivi che vanno 
aggiunti ai prezzi i soli oneri oggettivamente connessi alla cosa alienata, 
come le servit�, i tributi reali, ecc.). 

Acquista, pertanto, essenziale rilievo la automaticit� o meno dell'accollo 
poich� se un tale trapasso si verifica solo per effetto di una convenzione 
all'uopo intervenuta fra le parti sembra evidente che il valore del 
bene non viene ad essere inciso e che di tale accollo non pu� tenersi conto 
ai fini della liquidazione della imposta di trasferimento che non resta 
influenzata dai debiti personali del proprietario, sia pure garantiti 
dalla cosa che in s� e per s� non viene incisa dall'ipoteca la quale opera 
nel senso solo di dirottare talune utilit� del bene che resta indenne come 

I 

tale, dall'uno all'altro soggetto. 

I 

3. Sembra al Collegio che il ragionamento della Corte d'appello di 
Lecce sia inficiato da considerazioni di carattere economico che non 
sono, tuttavia, rilevanti dal punto di vista giuridico. 
I

In questa prospettiva l'accento va posto, come la difesa dello Stato 

~ 

ha cura di mettere in luce, sulla circostanza se vi sia stato o meno 

I ~ 

accollo del debito garantito da ipoteca; in caso positivo si verifica puntualmente 
l'ipotesi dell'art. 43 della legge di registro del 1923 (come 
riconosce nel corso della motivazione, la ricordata sentenza di questa 
Corte n. _146 del 1948), essendo palese che il pagamento del debito da parte 
dell'acquirente, in luogo del debitore liberato, costituisce pagamento di 

i 

parte del prezzo, e cio� uno degli altri �corrispettivi� menzionati nelf: 
la norma. 

D'altra parte ove non sia stato convenuto l'accollo, si applica la 

I 

norma dell'art. 2866 cod. civ. e quindi il venditore sar� tenuto a rivalere 

I

il compratore di quanto questi dovesse eventualmente sborsare al terzo 
creditore per evitare la subastazione del bene ipotecato. 

Del resto che il valore del bene sia indipendente dall'ipoteca che su 
di esso grava risponde, oltre che a principi giuridici, alla realt� economica. 
Proprio perch� il bene ha un determinato valore, che potr� essere 
realizzato coattivamente in caso di inadempimento del debitore, esso � 
idoneo ad offrire una garanzia �reale�, n� la realt� di tale garanzia, 
con la possibilit� di rischio che essa comporta per l'acquirente, incide 
su quel valore, scomponendosi, se mai, in fattori destinati ad operare 
ciascuno nel mondo del diritto secondo i delineati istituti e schemi giuridici, 
incidendo sul patrimonio dei soggetti coinvolti. 

A differenza degli oneri legati alla cosa da un nesso inscindibile, e 
che facendo corpo con essa ne diminuiscono intrinsecamente il valore 
all'atto del trasferimento (indipendentemente dalle manifestazioni di vo



PARTE I; SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

lont� degli interessati), l'ipoteca viene in considerazione per la possibilit� 
che ne consegue di aggredire il bene da chiunque posseduto, realizzandone 
il valore a favore di un determinato soggetto, ma non incide 
sul valore in s� e per s�, a prescindere dal soggetto titolare del diritto 
dominicale sul bene. Si spiega, quindi che l'ipoteca, sotto questo aspetto, 
\'ada inquadrata fra gli oneri � personali �, e non fra quelli � reali �, 
sia pure intesi in senso lato. Proprio perch� l'accollo della ipoteca da 
parte dell'acquirente non viene in considerazione come evento suscettibile 
di incidere sul valore, che non concorre a diminuire nella sua 
oggettivit�, l'ipoteca, come diritto reale di garanzia (distinto ontologicamente 
dal diritto reale di god�mento), non si presenta, in corrispondenza 
del debito personale da garantire, quale onere riduttivo della consistenza 
del bene. Le ipoteche non influiscono sul valore, giacch� rappresentano 
soltanto il debito del proprietario dell'immobile sul quale sono 
iscritte. 

Non � producente argomentare che nella realt� delle contrattazioni 
si tiene conto della circostanza che l'immobile � gravato dall'ipoteca. 
Il ragionamento prova troppo giacch� condurrebbe alla conclusione, contro 
il preciso tenore della legge, che nessun onere, nemmeno quelli reali 
in senso stretto potrebbe � passare all'acquirente � ed essere pertanto 
considerato in diminuzione del valore del bene compravenduto. 

Giova al riguardo, sottolineare, come bene � stato posto in evidenza 
dalla dottrina, a proposito della imposta fondiaria, che sul mercato 
in una certa misura incidono non soltanto gli oneri personali, ma anche 
quelli reali. 

Chi si accinge ad acquistare un immobile considera non solo il prezzo 
che dovr� pagare al venditore ed eventualmente il debito che dovr� 
corrispondere al debitore ipotecario, ma anche l'imposta fondiaria che 
dovr� pagare allo Stato; essendo disposto a pagare di pi� per acquistare 
un fabbricato che goda di esenzione. Opera al riguardo il fenomeno della 
traslazione (all'indietro) della imposta per cui l'acquirente scinde il 
prezzo in due componenti ed � disposto a corrispondere al vecchio proprietario, 
che in definitiva subisce il danno, solo l'ammontare in capitale 
pari alla componente depurata dall'ammontare della imposta, accantonando 
a tal fine la parte del prezzo la cui rendita corrisponde appunto 
all'imposta. Ma ai fini della imposta di registro, come si � gi� rilevato, 
quando si verifica una discrasia fra prezzo e valore si tiene conto 
del valore superiore al prezzo; e quindi la esistenza della garanzia reale 
sul bene non influisce sul valore, perch� si tratta di fenomeno circoscritto 
al prezzo ed insuscettibile di incidere sul valore medesimo. 
L'acquirente acquista infatti un bene di un determinato valore, a fronte 
del quale sta da un lato un prezzo diminuito, alla stregua del ragionamento 
che ha tratto in inganno la Corte d'appello, dell'ammontare del



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

554 

l'ipoteca; ma, dall'altro, l'ammontare della ipotec!l in sorte capitale ed 
interessi, essendovi una scissione, nella ipotesi dell'accollo tra i destinatari 
del corrispettivo, espressione del valore del bene che mantiene il 
suo valore intrinseco indipendentemente dalla esistenza dell'ipoteca. 

Il valore intrinseco di uno stabile infatti non muta solo perch� il 
bene stesso risulti gravato da ipoteca, la cui costituzione diminuisce il 
patrimonio del titolare del diritto di propriet� gravato dalla suddetta 
ipoteca, ma non il valore oggettivo che si scinde nella imputazione del 
prezzo che lo esprime, venendo in rilievo l'eventuale accollo da parte 
dell'acquirente del debito ipotecario. 

4. Nel caso dell'accollo, l'acquirente, come� contropartita dell'ipoteca 
gravante sul bene, corrisponde all'alienante la differenza; ma ci� non significa 
che il trasferimento ha colpito un bene di valore ridotto, comportando 
semplicemente che il bene, nel suo valore intrinseco ed oggettivo, 
� stato trasferito mediante un pagamento scisso in due tronconi, 
con modalit� che prevedono un esborso immediato e parziale al venditore 
ed un esborso futuro al creditore ipotecario del venditore. 
Se poi non vi sia l'accollo sembra chiaro che i rapporti di credito 
che si instaurano fra le parti, a seguito dell'eventuale esborso ulteriore 
dell'acquirente che paghi l'ipoteca per conservare il bene (pu� rivalersi 
sul venditore, a parte l'alea di non trovare beni su cui soddisfarsi) determinano 
per quest'ultimo una� vicenda personale sua propria, che non si 
riflette sul valore del bene, e meno ancora sul prezzo effettivamente 
pagato, il quale, atteso il sistema della legge, in tanto potrebbe venire 
in considerazione in quanto risultasse superiore a quel valore calcolato 
a prescindere dai debiti personali del proprietario, sia pure garantiti 
sulla cosa. 

N�, per contrastare la accolta soluzione, ratificata unanimemente 
da dottrina e giurisprudenza, gioverebbe obiettare che se il bene � gravato 
da ipoteca, avendo la finanza gi� percepito il tributo sull'atto costitutivo, 
si giustificherebbe la tassazione del trasferimento del bene ipotecato 
in ragione del valore depurato dall'ammontare del credito cui la 
suddetta ipoteca si riferisce (cos� sembrando di dover ricostruire l'unica 
argomentazione contenuta nel controricorso riecheggiando la tesi adombrata 
in sentenza) e ci�, perch�, come � noto, il tributo di registro � 
imposta d'atto che colpisce lo stesso bene tante volte quante si pongono 
in essere � atti � ad esso riferiti. Non � pertanto ipotizzabile, in 
difetto di una apposita e derogatoria statuizione della legge di registro, 
un ingranaggio in certo modo analogo a quello che la legge del 1923 
prevedeva per la consolidazione di usufrutto, enucleando usufrutto e 
nuda propriet� come componenti di una unica tassazione che colpiva 
al loro ricongiungersi il valore unitario del bene, anche perch� un ingranaggio 
siffatto, a parte la sua mancata corrispondenza al paradigma 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

legale; sarebbe intrinsecamente irrazionale dal momento che, come si � 
visto, la ipoteca non scorpora una parte del valore del bene nella sua oggettivit�, 
ma lo riserva al soddisfacimento prioritario di un dato creditore, 
secondo la graduazione risultante dai registri immobiliari. 

In definitiva si presenta l'alternativa: o il credito garantito da ipoteca 
si presenta come corrispettivo e concorre a formare il valore o (prezzo) 
secondo la duplice delineata per cui il prezzo, inferiore al valore, si 
eleva al valore medesimo ed il prezzo superiore al valore si tassa nella 
misura di valore che esprime (anche se non coincidente con i valori di 
mercato); ovvero non si verifica l'accollo ed allora la base imponibile 
viene considerata avendo riguardo al prezzo pagato o al suo valore secondo 
l'alternanza appena richiamata, poich� la circostanza che il bene 
venduto sia gravato da ipoteca non comporta la diminuzione di valore del 
bene secondo una componente oggettiva e reale, non trattandosi di un 
peso del bene che ne diminuisce intrinsecamente il valore a prescindere 
dalla titolarit� del diritto dominicale in capo ad un determinato soggetto, 
operando sempre e comunque rispetto alla generalit� dei consociati, ma 
di un diritto reale sui generis (quale diritto reale di garanzia) che crea 
una particolare posizione di vantaggio ai fini del soddisfacimento della 
ragione di un determinato creditore e di esso solo. 

5. In conclusione il ricorso deve essere accolto e la causa va rinviata 
per nuovo esame alla Corte d'appello di Bari la quale si uniformer� al 
seguente principio di diritto: � Ai sensi degli art, 30 e 43 dell'abrogata 
legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269) per la determinazione del 
valore dell'immobile compravenduto, ai fini dell'applicazione della imposta 
di trasferimento la circostanza che il bene stesso sia gravato da ipoteca 
non spiega influenza nel senso di comportare una riduzione del 
valore di mercato del bene pari all'ammontare del credito cui la garanzia 
reale si riferisce, non potendosi detta ipoteca considerare onere oggettivamente 
inerente all'immobile nella sua essenza, diminuendone il valore, 
e presentandosi, all'opposto, l'ipoteca medesima come un credito personale 
di un determinato soggetto (sia pure garantito sulla cosa secondo 
l'ingranaggio della realit�). (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2194 -Pres. Mazzaca


ne -Est. Rocchi -P. M. Ferraiuolo (diff.). Ministero delle Finanze 

(Avv. Stato Angelini Rota) c. Duse Masin (avv. Compagno). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello -Domande nuove Contestazione 
su interessi e maggiorazioni di aliquote relative al 
reddito oggetto dell'accertamento � Ammissibilit� � Impugnazione separata 
del ruolo -Non � necessaria. 

(c.p.c. art. 345). 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

556 

Tributi erariali diretti � Riscossione � Interessi e maggiorazione di aliquota 
per ritardata iscrizione a ruolo � Successioni di leggi nel tempo 
. Tributi soppressi � Sostituzione degli interessi alla maggiorazione 
di aliquota con decorrenza dal 1� gennaio 1974. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 184 bis; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 20, 
104 e 105). 
Nel giudizio di appello contro l'accertamento del reddito pu� essere 
contestata la debenza degli interessi e delle maggiorazioni di aliquota 
iscritte a ruolo dopo la decisione di primo grado, non essendo a tal 
fine necessaria una autonoma impugnazione del ruolo (1). 

Relativamente ai tributi diretti soppressi, iscritti a ruolo dopo la 
riforma tributaria, sono dovuti la maggiorazione di aliquota per il periodo 
anteriore al l� gennaio 1974 e gli interessi per il periodo successivo 
(2). 

(omissis) Con il primo motivo di annullamento, l'Amministrazione 
ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e segg. 
22 e segg. del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, nonch� del principio generale 
dell'inderogabilit� dei gradi di giurisdizione, con riferimento all'articolo 
345 cod. proc. civ. il tutto in relazione dell'art. 360 n. 3 cod. proc. 
civ., censurando l'impugnata decisione per aver ritenuto ammissibile il 
ricorso del contribuente in ordine all'applicazione delle maggiorazioni 
ed interessi per ritardata iscrizione a ruolo, sebbene la questione fosse 
stata proposta per la prima volta in appello e fosse stata esattamente 
trascurata dalla Commissione di 2� Grado. 

Si sostiene, in sostanza che la detta questione aveva natura e contenuto 
del tutto diversi dall'accertamento della base imponibile, per cui 
doveva essere proposta con autonomo ricorso contro il ruolo, a nulla 
rilevando che la stessa non fosse ancora sorta al momento dell'impu


(1-2) La sentenza, con argomentazione molto approfondita, ha affrontato 

due rilevanti prob1emi. 

Sul primo � lecita qualche perplessit�. 

GH interessi per ritardata dscr.izione a ruolo, come la maggiorazione di 

aliquota, che sono calcoLati. dall'ufficio e, senza un separato accertamento, sono 

direttamente iscritti a ruolo, non possono considerarsi alla stessa stregua di 

quelli contemplati nell'art. 345 c.p.c. come un quasi automatico accessorio; per 

di pi� gli �interessi per ritardata .iscrizione a ruolo non sono maturati dopo la 

sentenza impugnata, ma sono relativi a tutto il tempo decorso dalla data in 

cui sarebbero stati riscossi se la dichiarazione fosse stata comp1eta e fedele. 

Inoltre gli :interessi non vengono �domandati� dalla parte nel giudiziico di 

appello, come accessorio di una domanda principale, ma vengono pretesi dal


l'ufficio con .l'iscrizione a ruolo; il soggetto passivo pertanto deve contestare ila 

pretesa dell'ufficio ricorrendo contro l'atto che tale pretesa contiene. Ci� � par� 
ticolarmente evidente quando, come nel caso, la debenza degli iinteressi non 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 557 

gnazione degli accertamenti e si fosse, invece, configurata soltanto con 
l'iscrizione a ruolo avvenuta in pendenza del ricorso in 2� Grado, perch� 
ci� stava anzi, a confermare l'autonomia della questione e del relativo 
contenzioso. N� poteva avere rilievo la norma sulla deducibilit� di 
nuovi motivi ed eccezioni fino a dieci giorni precedenti la prima udienza 
davanti alla commissione di 2� grado, dovendosi pur sempre trattare 
di motivi ed eccezioni proponibili con l'atto di appello, cio� afferenti 
alla controversia in corso. 

Con il secondo motivo di annullamento, l'amministrazione ricorrente 
deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 20 d.P.R. 26 settembre 
1973 n. 602 in relazione all'art. 184 bis del T.U. 29 gennaio 1958 

n. 645, nonch� contraddittoriet� di motivazione, il tutto ai sensi dell'art. 
360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. 
L'Amministrazione ricorrente censura la statuizione riguardante l'applicabilit� 
degli interessi di cui all'art. 20 d.P.R. 602/1973 solo nei limiti 
in cui erano applicabili le maggiorazioni di cui al soppresso art. 184 bis 
del T.U., sostenendo in proposito che nella specie non si pone un problema 
di retroattivit� della legge (come ritenuto dalla C.T.U.), poich� 
la nuova norma non incide sull'obbligazione tributaria, ma solo sugli 
effetti di essa, che si protraggono nel tempo (r.itardo nel pagamento dell'imposta). 
Pertanto, la nuova disciplina avrebbe dovuto essere applicata, 
nella sua interezza, dalla data della sua entrata in vigore, senza poter 
conferire alla disciplina precedente una ultrattivit� che non le compete. 

Con il ricorso incidentale si deduce, sulla base di un unico, articolato 
motivo, violazione e falsa applicazione dell'art. 184 bis del T.U. 29 
gennaio 1958 e dell'art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all'art. 
360, n. 3 cod. proc. civ., sotto il riflesso che l'art. 20 del d.P.R. 

� una conseguenza necessaria e quasi meccanica della decisiione della lite 
principale (come !ipotizzato nell'art. 345 c.p.c.), ma discendono da!J.'applicazione 
di una norma sopravvenuta la cui interpretazione � assai controversa e d� 
luogo ad una lite del tutto .indipendente da quella sull'accertamento e che non 
� ragionevole introdurre in grado di appello. Se la debenza degli interessi si 
ri'solvesse, come mero accessorio, in una semplice liquidazione, l'impugnazione 
non sarebbe nemmeno necessaria, perch� rliducendosi Ja base .imponibile per 
effetto del ricorso contro l'accertamento, si ridurrebbe conseguentemente 
l'obbligazione dd interessi tanto che la somma a tale titolo riscos,sa, in forza di 
iscrizione a ruolo provvisoria, verrebbe rimborsata di ufficio (art. 40 d.P.R. 

n. 602/1973). Ma quando si presenta una questione autonoma e non accessoria, 
inerente alla Hqulidazione opemta dall'ufficio e comunicata con la notdfilca del 
ruolo, sembra che il riico11so debba essere proposto contro il ruolo. 
Va ancora considerato che il ricorso contro il ruolo ha contenuto di opposizione 
all'esecuzione; � volto a contestare il potere di 'riscuotere, lin tutto o in 
parte la somma ii.scritta a ruolo. Ora se nei rapporti dd diritto comune il creditore 
sulla base di sentenza esecutiva, bench� appellata, procede all'esecuzione 
e liquida nel precetto interessi che il debitore reputa non dovuti, deve pro




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n. 602/73, disponendo la decorrenza degli interessi in relazione al ter-~: 
mine di presentazione della dichiarazione del contribuente ed essendo i:: 
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entrato in vigore dal 1� gennaio 1974, non pu� trovare applicazione che !: 
rispetto alla dichiarazione il cui obbligo di presentazione � sorto sue-fil 
cessivamente alla predetta data e, quindi, non pu� riguardare che le fo 
nuove imposte sul reddito. 

I 

Il primo motivo del ricorso principale -che va trattato autono-I"�; 
mamente per il suo carattere potenzialmente assorbente -� infondato. . 

Il problema � del se costituisce � questione nuova � -la cui proposizione 
in sede di ricorso dinanzi la Commissione tributaria di se-I~� 
condo grado debba ritenersi inammissibile per l'estensione al procedimento 
tributario della previsione di cui all'art. 345 cod. proc. civ. quella 
relativa alla contestazione (da parte del contribuente) in ordine ~ 
all'~pplicazione delle maggiorazioni ed interessi per ritardata iscrizione I 
a ruolo (penalit� iscritte suppletivamente soltanto nelle more del giu-.' 
dizio di secondo grado), nel riflesso che detta questione presuppone : 
una tematica diversa dall'accertamento della base imponibile, da sot-1j 
toporsi con autonomo ricorso contro il ruolo dinanzi la commissione ~ 
tributaria territoriale di primo grado. ,_. 

Orbene, va considerato, in linea preliminare, che le soprattasse, e !i 
le maggiorazioni previste nel sistema preesistente alla riforma tributaria ~--' 
hanno natura di prestazioni integrative dei tributi ai quali si riferi-r 
scono (Cass. n. 864/81) e sono conseguentemente assoggettate allo stesso !! 
regime normativo. Ne consegue che alla controversia avente ad oggetto ~ 
l'an ed il quantum dell'obbligazione tributaria principale appartiene in ~ 
nuce anche la questione relativa all'applicazione ed alla misura delle g 
penalit� conseguenti. !! 

I: 
r ~ 
I ~ 

porsi l'opposizione all'esecuzione piuttosto che formulare una eccezione nel 
giudizio di appello. 
IJ secondo problema � assai complesso. Certamente non avieva il minimo 
fondamento la pretesa che con l'abrogazione dell'art. 184 bis del t.u. dell'im~ 


� 
poste dirette e finapplicabUit� dell'art. 20 del d.P.R. n. 600/11973, la ritardata !

�

iscrizione a ruolo fosse priva di conseguenze successivamente al 1� gennaio f 
1974. Non s1 poneva una questione di �retroattivit� della :legge ,sopravvenuta, 
perch� gld interessi gravano sull'effetto pei:idurante, de die in diem, del mancato 
adempimento e non sul fatto generatore del rapporto; ci� � stato insegnato 
da dnnumerevoli pronunzie che hanno affermato la debenza degli interessi dalla 
data di entrata in vigore della legge 26 gennaio 1961 n. 29 per d rapportd tribuItari. 
sorti anteniormente (v. Relazione Avv. Stato, 11971, II, 632). E ci� � da 
solo sufficiente a fondare la conclusione che le norme della riforma prendono !

I 

il posto di que1le anterfori nel regolare gli effetti dell'ulteriore ritardato ,adem


1 
pimento. Per la stessa rngione, gli interessi su dmposte relative a pe11iodi ante


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ruori hanno pacificamente subito, dalla dam di entrata dn vigore dei rispettivi 

1

provvedimenti normativi, gli inasprimenti di tasso introdotti con il d.l. 6 luglio 

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1974, n. 260 e con il d.l. 5 marzo 1976 n. 30. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Nella specie, dunque, correva, tra l'oggetto principale dell'accertamento 
devoluto alla Commissione di secondo grado e la � questione � 
delle � maggiorazioni conseguenti �, un nesso di evidente accessoriet� 
(di quest'ultima questione a quell'oggetto) che qualifica la resistenza 
espressa dal contribuente sul punto in esame come mera eccezione (e 
non come domanda nuova) sicuramente ammissibile a sensi dell'art. 345 
cod. proc. civ. 

Vale, d'altra parte, ulteriormente sottolineare il fatto che, essendo 
stata impugnata dal contribuente l'intera pretesa tributaria, la questione 
dell'irrogazione delle maggiorazioni gi� apparteneva al processo, risultando 
espressa negli avvisi di accertamento anche la richiesta di 
� applicazione delle penalit� previste per legge �. 

Il secondo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso 
incidentale vanno trattati congiuntamente, attenendo entrambi ai limiti 
di applicazione dell'art. 20 del d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'articolo 
184 bis del T.U. del 29 gennaio 1958, n. 645. 

Le incrociate censure sollevate nei confronti della decisione della 
Commissione tributaria centrale di � applicazione delle maggiorazioni 
od interessi soltanto sui redditi soggetti a sovrattassa, come specificati 
dalla Commissione di secondo grado �, nel riflesso che � l'art. 20, subentrato 
al soppresso art. 184 bis, non pu� spiegare efficacia che nei 
limiti di applicazione di detto art. 184 bis �, propongono, in sostanza, 
la questione vessata dei limiti di applicabilit� delle maggiorazioni di 
imposte dovute per iscrizione a ruolo ritardata su tributi esistenti prima 
della riforma tributaria, ma posti in riscossione successivamente all'entrata 
in vigore della stessa e, in particolare della � portata � dell'art. 104 
del d.P.R. n. 602/1973, abrogativo delle disposizioni contenute nei titoli 
X e XI, capo II del T.U. n. 645 del 1958. 

Si �, dunque, in presenza della successione nel tempo di due leggi 
tributarie relative alla riscossione dei tributi (art. 184 bis del testo unico 
e art. 20 del d.P.R. n. 602/1973) la seconda parzialmente modificativa 
e innovativa rispetto alla prima, onde la necessit� di stabilire il momento 
preciso da cui si applica il nuovo sistema e la sorte che subi� 
scono situazioni e fattispecie sorte antecedentemente e sviluppatesi successivamente 
all'entrata in vigore della riforma. 

Il raccordo tra il sistema nuovo e quello precedente � regolato, 
per quel che interessa in questa sede, dagli artt. 104 e 105 del decreto 
del 1973, dei quali il primo dispone che, a partire dal 1� gennaio 1974, 
sono abrogate le disposizioni di cui al titolo X del T.U. del 1958 (titolo 
in cui � compreso l'art. 184 bis) e il secondo fissa correlativamente 
l'entrata in vigore dello stesso decreto del 1973 al 1� gennaio 1974. 

Secondo il contribuente tali disposizioni vanno interpretate letteralmente 
e restrittivamente, nel senso. che quando l'iscrizione a ruolo 
delle sovrattasse e delle maggiorazioni relative a riscossione di tributi 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

anteriori al 1974 avviene dopo il 1� gennaio 1974, non pu� pi� applicarsi 
l'art. 184 bis del testo unico, perch� relativo ai tributi maturati successivamente 
al 1� gennaio 1974: di guisa che vi sarebbe una mancata 
previsione transitoria che darebbe luogo ad una vera e propria vacatio 
legis. 

Secondo l'amministrazione finanziaria, invece, la nuova disciplina 
deve essere applicata in tutta la sua portata, dalla data della sua entrata 
in vigore, anche in relazione ai tributi soppressi, incidendo essa non 
sulla obbligazione tributaria, ma soltanto sugli effetti della stessa, che, 
protraendosi nel tempo, non danno adito a problemi di retroattivit�. 

Va, innanzitutto, precisato che sia la maggiorazione prevista dalla 
normativa abrogata, sia gli interessi contemplati dall'art. 20 della nuova 
normativa integrano previsioni accessorie, di natura risarcitoria, tendenti 
a compensare l'amministrazione finanziaria del pregiudizio derivante 
dalla ritardata iscrizione a ruolo del tributo; con la conseguenza 
che maggiorazioni e interessi, ancorch� inerenti ad un rapporto tributario 
gi� sorto, rappresentano autonomi effetti del medesimo, trovando 
fondamento in un fatto successivo e distinto dalla originaria obbligazione 
tributaria, quale, appunto, il ritardo nella riscossione dell'imposta. 


D'altro canto, l'obbligazione accessoria, ancorata all'indicata situazione 
di ritardo, � suscettibile in funzione del suo stesso divenire, di 
essere regolata, diversamente, se la normativa vigente all'epoca in cui 
il ritardo ha avuto inizio venga successivamente innovata. 

Invero, nelle ipotesi di norme tributarie che si succedono nel tempo 
occorre distinguere tra norme che attengono alla realizzazione della 
fattispecie impositiva (la quale deve essere regolata in base alla legge 
vigente nel momento in cui si attua) e norme relative ~le modalit� di 
riscossione, che attenendo, invece, al procedimento tributario ed essendo 
di pronta applicazione, debbono necessariamente regolare, all'atto della 
loro entrata in vigore, rapporti sostanziali sorti con la disciplina precedente. 
La soluzione contraria porterebbe, ad un tempo, all'inaccettabile 
conseguenza della ultrattivit� delle precedenti norme procedurali 
(come erroneamente ritenuto dalla Commissione centrale) ormai abrogate, 
e ritarderebbe nel tempo l'applicazione delle nuove norme, fino 
al momento in cui i rapporti sostanziali non siano regolati completamente 
dalla nuova normativa (Cass. n. 4555/79). 

In detta prospettiva deve dedursi, in primo luogo, che per il periodo 
anteriore al 1 � gennaio 1974 risulta indubbia l'operativit� dell'art. 184 bis 
del testo unico e che la maggiorazione prevista da detta norma rimane 
collegata, come in precedenza ,ad un comportamento illecito del contribuente 
giuridicamente qualificato da dichiarazioni omesse, incomplete 
od infedeli e da condotta dolosa o colposa nell'eludere o nel rap



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

presentare una situazione materiale o contabile non conforme alla verit� 
dei fatti. 

In secondo luogo, deve dedursi che, quanto alla fase cronologica 
successiva all'entrata in vigore della riforma fiscale, trova applicazione 
la nuova sistematica di riscossione, la quale, siccome attinente al procedimento 
tributario, deve necessariamente regolare, all'atto della sua 
erttrata in vigore, anche i rapporti sostanziali sorti con la disciplina 
precedente, risultando, in difetto, l'applicazione delle nuove norme inammissibilmente 
ritardata nel tempo, fino al momento in cui i rapporti 
sostanziali non risultino regolati completamente dalla nuova normativa. 

Va, peraltro, verificato se le conclusioni, predette ispirate ai principi 
generali che regolano la successione nel tempo delle leggi tributarie, 
possano essere confermate alla stregua delle disposizioni transitorie 
del d.P.R. n. 602 del 1973, e, ancora, in riferimento all'intera normativa 
di riforma. 

La risposta si presenta agevole, in senso affermativo, quanto al se, 
sopravvenuta la nuova normativa, per il ritardo verificatosi anteriormente 
all'entrata in vigore della stessa, sia ancora applicabile la maggiorazione 
prevista dall'art. 184 bis. 

Infatti, se � vero, che l'art. 104 sopracitato ha abrogato espressamente, 
come rilevato, le disposizioni di cui ai titoli decimo e undecimo 
del T.U. del 1958, tra le quali ricade l'art. 184 bis, va, peraltro, considerato 
che la detta abrogazione produce effetti dalla data di entrata in 
vigore della nuova normativa e non pu�, quindi, influire sulle situazioni 
concretatesi in forza del T.U. del 1958, tra le quali il diritto alla 
maggiorazione ex art. 184-bis, maturatosi a mano a mano che si protraeva 
il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione fiscale. 

Consegue che l'applicazione della maggiorazione nel vigore della 
nuova normativa non implica l'ultrattivit� della normativa abrogata, ma 
comporta semplicemente la quantificazione di un'obbligazione sorta nel 
vigore del precedente regime. 

N� vale argomentare che l'art. 184 bis non risulta richiamato dall'art. 
100 delle disposizioni transitorie, che fa esplicitamente salvi gli 
artt. 174, 175, 180 e 183 del T.U., in quanto, ai fini dell'iscrizione a ruolo 
dei vecchi tributi, l'art. 100 ha previsto un sistema misto, disciplinato 
in parte dalla vecchia normativa, in parte dalla nuova (artt. 15 e 18) ed 
a questo scopo ha conservato in vita alcune disposizioni del T.U. relativo 
al procedimento e comportanti attivit� altrimenti precluse agli 
uffici senza tale salvezza. 

Non occorreva, pertanto, alcuna espressa previsione per le maggiorazioni 
maturate, trattandosi di un obbligo sostanziale del contribuente 
e, corrispondentemente, di un diritto dell'amministrazione gi� concretatisi 
alla data di entrata in vigore della legge, al pari della prestazione 
accessoria per interessi sul tributo complementare, onde il mancato 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

562 

richiamo dell'art. 184 bis nella disposizione in esame, se vale a confermare 
l'inapplicabilit� delle maggiorazioni in essa previste per il ritardo 
successivo alla nuova legge, non influenza il problema relativo alla 
loro spettanza per il periodo precedente, che deve essere risolto, per 
le ragioni esposte, nel senso che dette maggiorazioni vanno applicate 
in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 184 bis. 

Certamente pi� articolata si prospetta la questione del se la ritardata 
iscrizione di tributi soppressi, con riferimento alla mora verificatasi 
successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa, sia regolata 
dall'art. 20, ovvero non dia luogo ad alcuna conseguenza giuridica. 


Va avvertito, in limine, che il problema non coinvolge la tematica 
della retroattivit� della nuova normativa, trattandosi, in sostanza, della 
sua applicabilit� a ritardi verificatisi nella vigenza del regime innovatore. 
E neppure assume rilievo l'argomento derivato dalla diversit� dei 
presupposti della nuova disciplina rispetto a quelli (infedelt� della dichiarazione) 
previsti dall'art. 184 bis, in quanto la caratteristica assorbente 
di entrambe le prestazioni accessorie rimane quella della natura 
risarcitoria e compensativa correlata al decorso del tempo. 

In particolare, su questo ultimo punto, va ribadito che la nuova 
disciplina non incide sul fatto generatore del rapporto tributario, ma 
soltanto su un momento del medesimo, derivato da un distinto presupposto 
di carattere continuativo (ritardo nell'iscrizione a ruolo) e come 
tale suscettibile di essere diversamente regolato nel tempo in cui si 
verifica. 

Sar�, pertanto, naturale conseguenza dell'illustrato regime della successione 
delle leggi tributarie nel tempo, il fatto che l'obbligazione accessoria 
in esame, per i ritardi maturati successivamente al 31 dicembre 
1973 sia connessa a presupposti parzialmente diversi dai precedenti 
e che, quindi, la maggiorazione per interessi sia determinata, a 
partire dal 1� gennaio 1974, indipendentemente dall'infedelt� della dichiarazione. 


D'altronde, nessun precetto contrario all'applicabilit� dell'art. 20 in 
parola ai vecchi tributi pu� trarsi dal sistema transitorio previsto dalla 
nuova disciplina, n� dall'intrinseco contenuto dello � stesso art. 20. 

Sotto il primo profilo, non appare, infatti, fondata la tesi, secondo 
la quale le norme relative alla riscossione alle imposte sul reddito, di 
cui al d.P.R. 602/73, sarebbero applicabili a detti tributi solo in presenza 
di un'espressa disposizione in tal senso. 

� pacifico, infatti, come sopra rilevato, che, con l'unica salvezza 
della previsione espressa di una disposizione contraria, le imposte si 
riscuotono secondo le regole e il procedimento vigenti al momento della 

' 


~



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

riscossione, e non in base alla legge del tempo in cui si � verificato il 
presupposto impositivo. 

In tale prospetto, cio� nella direttiva che la nuova disciplina deve 
ritenersi tendenzialmente applicabile ai precedenti tributi in difetto di 
espressa disposizione contraria, va ribadito che l'art. 100 delle norme 
transitorie regola le iscrizioni a ruolo dei vecchi tributi, mantenendo in 
vita talune disposizioni della vecchia normativa e � dichiarando applicabili 
altre disposizioni della nuova. Detti riferimenti, peraltro, assumono, 
un diverso rilievo, nel senso che solo il primo di essi, sancendo l'ultrattivit� 
di norme abrogate, assume carattere tassativo, mentre il secondo, 
in quanto costituisce espressione della regola tempus regtt actum e 
giustificandosi con la necessit� di rendere esplicita l'applicabilit� delle 
nuove norme ad attivit� procedimentali transitoriamente regolate dalla 
pregressa normativa, non assume tale carattere. 

In sostanza, il sistema misto adottato dal legislatore non esclude 
che possa farsi ricorso ai principi generali sopra ricordati per g11 aspetti 
procedimentali di riscossione dell'imposta non espressamente regolati in 
via transitoria. 

Ed � appunto il caso del ritardo dell'iscrizione a ruolo, che, in 
entrambe le normative, si qualifica come produttivo di conseguenze 
risarcitorie a favore dell'amministrazione finanziaria. Invero, nell'ipotesi 
che la mancanza di un'apposita norma transitoria potesse comportare 
l'esclusione di quelle conseguenze per la ritardata iscrizione dei 
vecchi tributi, si verrebbe a sancire una esenzione assolutamente non 
razionale al punto da dover far ricorso al concetto del tutto atipico 
della vacatio legis. 

Quanto al secondo punto, vale osservare che l'intrinseco contenuto 
dell'art. 20 �, di per s�, estensibile ai detti tributi. Nella sua pi� naturale 
e coerente lettura, infatti, la norma appare pienamente suscettibile 
di essere applicata alle imposte pregresse, in quanto non si sottrae 
-sia pure con gli opportuni, ma non devianti, adattamenti -alle finalit� 
e ai presupposti previsti con riferimento a tali imposte. 

Le superiori conclusioni trovano conforto nella disposizione dell'art. 
26 della legge 13 aprile 1977, n. 114, di modifica alla disciplina 
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, la quale -prevedendo 
la rimessione in termini del contribuente per la presentazione della 
dichiarazione dei redditi dell'anno 1973, nell'ipotesi di domande per la 
determinazione delle imposte dovute per lo stesso anno ai sensi dell'art. 4 
del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, senza che ricorresse la condizione richiesta 
nel medesimo articolo -reca, all'ultimo comma, testualmente: 
�Si applicano le disposizioni degli artt. 8 e 12 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600, nonch� dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e 
successive modificazioni �. 


564 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Orbene, � evidente che il comma riportato ritiene espressamente 
applicabile l'art. 20 del decreto del 1973, n. 602 alle fattispecie tributarie 
afferenti all'anno 1973, ci� ad un'epoca anteriore alla riforma: 
tale riferimento, pur non potendo evidentemente avere significato di 
interpretazione autentica, assume, comunque, valore nel sottolineare l'intento 
specifico del legislatore, nel senso dell'estensione dell'applicabilit� 
della nuova sistematica di riscossione anche ai tributi soppressi. 

Va pertanto enunciato il seguente principio: l'art. 184 bis del T.U. 

n. 645 del 1958 trova indubbia operativit�, per il periodo anteriore al 
1� gennaio 1974, pur in presenza del nuovo sistema tributario e delle 
abrogazioni che ne sono conseguite, e le maggiorazioni applicabili dovranno 
sempre collegarsi ad un comportamento illecito del contribuente 
giuridicamente qualificato da dichiarazioni omesse, incomplete ed 
infedeli e da condotta dolosa o colposa nell'eludere o nel rappresentare 
una situazione materiale o contabile non conforme alla verit� dei fatti; 
l'art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973, a sua volta trova applicazione, dal 
1� gennaio 1974, anche nei confronti di (L;crizioni a ruolo ritardate 
su) tributi esistenti prima della riforma tributaria, e posti in riscossione 
successivamente all'entrata in vigore della stessa. 
In termini riassuntivi, deve, dunque, affermarsi che: a) la normativa 
dell'art. 184 bis T.U. 645/1958 � applicabile in ordine ai ritardi di 
imposizioni maturati fino al 31 dicembre 1973, essendo sino a tale data 
detta disposizione ancora vigente rispetto ad eventi allora prodottisi; 
b) successivamente a tale data va applicato l'art. 20 d.P.R. 602/1973, 
affatto compatibile con i vecchi tributi e non comportando tale applicazione 
problemi di retroattivit�; e) per i ritardi maturati sino al .31 
dicembre 1973 resta, peraltro, presupposto necessario della maggiorazione 
l'infedelt� o l'incompletezza della dichiarazione. 

Sembra opportuno segnalare che questa Corte si � gi� espressa in 
analogo senso con la sentenza del 4 luglio 1983, n. 4463, trattando delle 
maggiorazioni per prolungata rateazione dei tributi soppressi. Nella detta 
sentenza viene, infatti, affermato che � errato ritenere che la nuova 
normativa sulla riscossione contenuta nel d.P.R. n. 602 del 1973 sia 
applicabile soltanto alle nuove imposte e non anche a quelle dovute 
in forza del T.U. del 1958, dovendosi, invece, ritenere il contrario, nel 
riflesso che questa ultima conclusione �risulta espressamente dalla disciplina 
contenuta nell'art. 100 del d.P.R. n. 602 e che la mancata elencazione, 
fra le norme mantenute in vigore, dell'art. 184 ter del T.U. del 
1958 dimostra che, in relazione alle imposte soppresse poste in riscossione 
dopo il 1� gennaio 1974, si applica la disciplina del d.P.R. n. 602 
citato�. 

Alla luce dei principi affermati va rigettato il ricorso incidentale, 
tendendo lo stesso ad escludere, nel profilo indicato, l'applicabilit� del-

I 

. I 



565

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

l'art. 20 del d.P.R. del 1973, n. 602 ai tributi soppressi; va, invece, accolto, 
per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso principale, sollevando 
lo stesso, fondatamente, sempre secondo le affermate enunciazioni, 
specifica censura avverso l'interpretazione della Commissione di 
secondo grado, che restringe l'applicazione dell'art. 20 in parola ai 
tributi soppressi, per i quali la relativa iscrizione a ruolo risulti successiva 
al 1� gennaio 1974, nei limiti di cui all'art. 184 bis del testo unico 
del 1958, con conseguente ultrattivit� di detta norma. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2198 � Pres. Santosuosso 
-Est. Contu -P. M. Amirante (conf.). Ospedali Riuniti di 
Messina c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Linguiti). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro � Condebitore solidale � 
Intervento in appello nel� giudizio promosso da altro condebitore � 
Inammissibilit�. 

(c.p.c. art. 344; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 93). 
Il condebitore solidale per l'imposta di registro, titolare dello stesso 
rappprto tributario, non � legittimato ad intervenire in appello nel �giudizio 
promosso da altro condebitore (1). 

(omissis) Con il primo motivo, gli Ospedali Riuniti denunziano violazione 
degli artt. 344 cod. proc. civ. e 93 della legge 30 dicembre 1923, 

n. 3269, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ., deducendo che 
l'ente ospedaliero, pregiudicato dalla sentenza di primo grado, sarebbe 
titolare di un autonomo interesse all'intervento nel giudizio di appello 
a' sensi dell'art. 93 della abrogata legge di registro (applicabile alla 
fattispecie), il quale sancisce il principio della solidariet� passiva tributaria 
per i debitori d'imposta, con la conseguente opponibilit� della 
sentenza a tutti i debitori. 
La censura non � fondata. 
Nella sentenza impugnata � stato giustamente posto in rilievo che, 
a norma dell'art. 344 cod. proc. civ., nel giudizio d'appello � ammesso 

{11) Bench� riferita all'ordinamento abrogato, la pronunzia � �rilevante anche 
nel regime vigente. n condebitore dell'imposta, che abbia rioevuto la notifica 
dell'atto di accertamento, deve autonomamente proporre il ricorso alta Commissione, 
essendo esso titolare ~n via principale del mpporto di 1imposta; ove 
ci� non abbia fatto non pu� dntervenh�e, nemmeno in prima istanza, nel giu� 
dizio promosso da a:ltro condebitore. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

solo l'intervento di coloro che potrebbero proporre opposizione a' sensi 
del successivo art. 404, e che tale qualit� non poteva essere riconosciuta 
all'ente ospedaliero. 
Tale decisione � pienamente conforme alla costante giurisprudenza 
di questa Corte Suprema, con la quale � stato precisato che il terzo 
legittimato ad intervenire nel giudizio d'appello � colui che sia titolare 
di un diritto indipendente da quello oggetto di contesa fra le parti ori� 
ginarie, pregiudicato dalla sentenza di primo grado, o pregiudicabile dall'emananda 
sentenza d'appello, ovvero che, in qualit� di avente causa o 
creditore di una delle parti, sia titolare di un diritto leso dalla sentenza 
di primo grado, per essere questa effetto di dolo o collusione in suo 
danno (Cass. 1299/83 � 6474/79 � 2143/78). Ed � palese che all'ente ospedaliero 
non pu� essere riconosciuta una posizione giuridica tutelabile 
con l'intervento nel giudizio d'appello, non essendo configurabile nei 
suoi confronti la titolarit� di un diritto autonomo ed incompatibile con 
quello in discussione, poich� la sua qualit� di debitore d'imposta gli 
attribuiva la soggettivit� del rapporto tributario e gli conferiva la legit� 
timazione ad impugnare nei termini di legge l'ingiunzione fiscale notifi� 
cata a lui cos� come all'altro soggetto passivo dello stesso rapp�rto. 
Deve perci� escludersi che l'intervento mirasse ad evitare un pregiudizio 
derivante da una sentenza resa in un giudizio svoltosi senza 
che l'ente ospedaliero fosse stato posto in grado di esercitare il suo 
diritto di difesa, ed � invece da ritenere che lo scopo della partecipa� 
zione al giudizio d'appello sia stato quello di supplire, con un inter 
vento adesivo, alla mancata impugnazione dell'ingiunzione. In tal modo 
si � tentato di contestare, nel proprio interesse, la pretesa tributaria della 
Finanza, utilizzando un mezzo processuale, non consentito e chiaramente 
inammissibile, poich� la legittimazione all'intervento non poteva sorgere 
per effetto dell'inerzia mantenuta dall'interessato in ordine alla 
tutela del suo diritto di contestare tempestivamente la legittimit� dell'imposizione 
tributaria. 
Deve inoltre rilevarsi che l'ente ospedaliero, essendo debitore solidale 
dell'imposta ipotecaria, non poteva subire gli effetti dannosi di 
una sentenza pronunziata nei confronti del condebitore solidale (art. 1306 
cod. civ.), talch�, in difetto di un pregiudizio potenziale ai suoi diritti, 
mancava chiaramente una delle condizioni cui � subordinata l'ammissibilit� 
dell'intervento in appello. 
L'accertato ,difetto di legittimazione a stare in giudizio, sia pure in 
qualit� di interveniente, rende inammissibili gli altri motivi di ricorso, 
con i quali l'ente ospedaliero ha contestato la fondatezza della pretesa 
tributaria. Al loro esame deve, per�, procedersi ugualmente, essendo 
essi comuni all'altro ricorrente. (omissis). 
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PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

567 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1984, n. 2200 -Pres. Santosuosso 
-Est. Zappulli -P. M. Pandolfelli (conf.). Soc. Valle Aurelia 
(avv. Romanelli) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). 

Tributi erariali diretti -Imposta di registro -Agevolazioni per l'edilizia Decadenza 
-Difformit� da licenza edilizia -Volumi del sottosuolo Sono 
rilevanti. 

(1. 6 agosto 1967, n, 767, art. 15). 
Ai fini della decadenza dalle agevolazioni, sancita dall'art. 15 della 

l. 6 agosto 1967, n. 767 (legge poste), le difformit� dalla licenza edilizia 
sono rilevanti anche se relative a volumi ricavati dal sottosuolo (1). 
(omissis) La societ� ricorrente ha dedotto, con l'unico motivo del 
ricorso, la violazione nella sentenza impugnata dell'art. 15 della I. 6 agosto 
1967, n. 767 per avere la corte di merito erroneamente ritenuto essersi 
verificata la condizione, ai fini della revoca dei benefici tributari 
della I. 2 luglio 1949 n. 408, prevista da quella norma, per un ampliamento 
dell'autorimessa interrata del fabbricato al quale si riferiva la 
licenza di costruzione rispetto al volume indicato in quest'ultima, attribuendo 
al termine di � cubatura � contenuto nella citata norma, un 
significato improprio, in -quanto esteso alla parte sottostante al piano 
di campagna, mentre la volumetria degli edifici va considerata per la 
parte realizzata fuori dal suolo. Secondo la ricorrente tutte le prescrizioni 
di legge che pongono limiti o divieti in materia urbanistica, come 
quella del volume consentito, hanno vigore esclusivamente per la parte 
sovrastante al medesimo. 

Il motivo � infondato, anche se pu� riconoscersi che agli effetti 
delle lhnitazioni edilizie nei confronti dei proprietari di immobili vicini, 
cos� come nelle limitazioni di volume ai fini della concessione della 
licenza edilizia, la posizione sotterranea di una parte dei fabbricati, e 
cio_� sottostante al piano di campagna importa una valutazione meno 
rigorosa per le stesse, ma, tuttavia, tale principio, per la diversit� delle 
norme e degli interessi, da queste tutelati, non ha rilevanza nella specie. 

Invero il citato art. 15 della I. 6 agosto 1967, n. 765, nota come legge 
ponte, ha un predominante carattere fiscale rper avere imposto la revoca 
dei benefici tributari in materia edilizia nel caso di inosservanza della 
licenza di costruzione, o di assenza della stessa, ma, nella scelta del legislatore 
� stato posto e formulato per una maggiore e pi� rigorosa tutela 
dei fini perseguiti con le norme edilizie, per prevenire e reprimere, con la 

(l) Decisione da condividere pienamente. Si rileva che sull'argomento l'orientamento 
della S.C. � molto rigoroso. Per una defindzione, affatto permissiva, 
dei c.d. volumi tecndci esterni alla copertura v. Cass. 30 marzo ,1983, n. 2290 in 
questa Rassegna, 1983, I, 535. 

568 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
suddetta revoca, i troppo facili abusi in quella materia per ragioni che 
568 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
suddetta revoca, i troppo facili abusi in quella materia per ragioni che 
vanno fuori e �oltre i fini tributari. 

Ne consegue che, se da un lato il carattere fiscale di quella norma 
importa, come affermato nella sentenza impugnata, la stretta osservanza 
di essa, dall'altro va considerato che il legislatore non ha voluto sostituire 
la valutazione e l'indagine della autorit� finanziaria, e successivamente 
del giudice, a quella dell'autorit� comunale. Al contrario, egli ha 
ancorato �il diritto dell'amministrazione finanziaria� al recupero di 
quelle imposte alla segnalazione del Comune e al � contrasto � della costruzione 
con la licenza rilasciata dal medesimo o alla sua assenza, 
con la limitazione e specificazione che il contrasto stesso �deve riguardare 
violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta �. 

Pertanto, � chiaro che non � la violazione dei limiti posti dalla legge 

o regolamenti autonomamente considerati a determinare la revoca dei 
benefici tributari, ma solo ed esclusivamente il menzionato � contrasto � 
con la licenza o la mancanza della stessa, che nella specie � stata regolarmente 
concessa senza impugnazioni, e quindi con carattere definitivo. 
Ci� premesso -essendo incontestata e costantemente affermata da 
questa Suprema Corte in sede penale l'obbligatoriet� della licenza pure 
per le parti interrate della costruzione (Cass. Pen. 3 giugno 1980 ACCO; 
21 giugno 1978 Casseri; 3 maggio 1978 Bassino; 14 dicembre 1976 Terpin) 
-, non pu� dubitarsi che anche per quelle parti la licenza, ai fini 
dell'applicazione del citato art. 15 della legge ponte, deve sussistere ed 
essere osservata nel suo specifico contenuto, comprese le limitazioni 
-della cubatura. 

Non � da trascurare che, pur se, in ipotesi, pu� ammettersi la irrilevanza 
di quelle costruzioni sotterranee nei confronti dei diritti soggettivi 
dei proprietari dei fondi vicini, le stesse possono ben incidere sulla 
disciplina del territorio nei suoi profili urbanistici, alterandone la destinazione 
e le condizioni ambientali nella zona circostante. Indubbiamente 
una assenza di limiti delle costruzioni usque ad inferos, secondo la 
tradizionale e superata dizione, pu� alterare con la formazione di blocchi 
interrati sia il regime delle acque sotterranee, e cio� di quelle freatiche, 
frequenti in varie citt� tra le quali Roma, sia la possibilit� di collocazione 
di impianti e condutture sotterranee per molteplici servizi pubblici 
(acqua, gas, telefoni, trasporti, ecc.) sia l'uso e il traffico nella zona interessata 
per la maggiore frequenza e affollamento conseguente a centri 
d'affari e culturali o di .altro genere sistemati in mastodontiche costruzioni 
sotterranee. Non pu� negarsi, in via ipotetica, che la assenza 
dell'obbligo di licenze o del computo dei volumi per le costruzioni sotto 
il piano di campagna potrebbe condurre alla formazione di veri e propri 
grossi edifici sotterranei, le cui conseguenze dannose per la ordinata 
sistemazione urbanistica appaiono evidenti. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

569 

Sotto questi aspetti, il volume delle parti interrate delle costruzioni 
pu� incidere seriamente su quegli interessi pubblici che si sono 
voluti tutelare con il regime delle licenze, reso pi� rigoroso con la norma 
fiscale in questione, e sarebbe contrario ai principi e fini della legislazione 
urbanistica lasciare piena libert� di sfruttamento del sottos�olo 
attraverso la esclusione di efficacia dei limiti di volume stabiliti nelle 
singole licenze anche per le parti sotterranee. 

Pu� pure ammettersi che in tale tutela l'autorit� comunale, nel rilascio 
delle licenze, ha la facolt� di tenere conto, in relazione ai limiti posti 
da leggi e regolamenti, solo dei volumi delle parti soprastanti al piano 
di campagna. Ma, una volta che essa abbia indicato il volume massimo 
dell'edificio al quale si riferisce la licenza anche in eccedenza a quei 
limiti per esservi stati compresi i locali interrati, pure questi ultimi devono 
essere calcolati per controllare se sia stato rispettato il limite 
posto dalla licenza medesima, essendo la conformit� alla stessa l'elemento 
fondamentale e necessario per escludere la revoca dei benefici 
fiscali, e ci� per la tutela dei menzionati interessi di carattere pubblico 
sopra menzionati, senza alcun sindacato da parte dell'autorit� finanziaria 
o del giudice del contenuto della licenza stessa. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984 n. 2646 -Pres. Santosuosso 
-Est. Tilocca -P. M. Amirante (conf.). Cantoni (avv. Marone) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Cosentino). 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Notificazione � Nullit� -Proposizione 
del ricorso � Sanatoria. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 60). 
Tributi erariali diretti � Accertamento � Competenza dell'ufficio -Inderogabilit� 
� Accertamento proveniente da ufficio incompetente -Nullit� 
assoluta � Successivo accertamento dell'ufficio competente � Legittimit�. 


(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 12 e 58). 
La notifica dell'accertamento eseguita a persona non avente abitazione, 
ufficio o azienda nel luogo di domicilio fiscale, eseguita mediante 
consegna a persona di famiglia nella casa di ultima dimora �. nulla (in 
quanto non eseguita a norma dell'art. 60 lett. e) del d.P.R. n. 600/1973), 
ma la nullit� � sanata dalla proposizione del ricorso (1). 

(:1-2) La prima massima � importante perch� avverte la necessit� di ammettere 
1a sanatori,a deHa notifica dell'accertamento quando la notifica siia 
stata tentata ed abbia raggiunto un oerto 11isultato con la consegna a pel'Sona che 
abbia un rifedmento con dl destinata11io. � da segnalare l'applioabildt� in tale 



570 MSSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
La competenza dell'ufficio tributario � inderogabile e di conseguenza 
l'accertamento eseguito da ufficio incompetente � radicalmente nullo, 
ma proprio a causa di tale nullit�-inesistenza � legittimo il successivo 
accertamento eseguito dall'ufficio competente (2). 
(Omissis) Con il primo motivo il ricorrente d~nuncia la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 38, lett. f), d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, 
60 lett. E), d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, degli artt. 139, 140 e 148 c.p.c. in 
relazione all'art. 360 c.p.c., nonch� difetto di motivazione (art. 360, n. 5 
c.p.c.). Deduce, precisamente, il ricorrente che la notifica dell'accertamento, 
per essere stata effettuata alla madre e nel di lei defmicilio senza 
l'osservanza delle formalit� previste dall'art. 38, lett. f, d.P.R. n. 645 del 
1958, trasfuso nell'art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, deve intendersi inesistente 
e non meramente nulla. 
Il motivo � infondato. 
� esatta l'affermazione del ricorrente secondo la quale l'atto di accertamento 
dell'Ufficio imposte dirette di Modena doveva essere notif�cato 
secondo le modalit� previste dall'art. 60, lett. e, del d.P.R. n. 600 
del 1973 � gi� stabilite dall'art. 38, lett. f) del d.P.R. n. 645 del 1958, non 
avendo egli a Modena, sede del suo domicilio fiscale, abitazione n� ufficio 
n� azienda. Stabilisce precisamente la predetta norma che in tale ipotesi 
l'avviso di deposito prescritto dall'art. 140 c.p.c. si affigge nell'albo 
del comune, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per 
ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di 
affissione. 
Nella specie, l'accertamento suindicato venne notificato al ricorrente, 
s�mpre a Modena, ma mediante consegna alla madre, nella casa di abitazione 
della medesima, sita in via Solini, 16, della quale egli era comproprietario 
e nella quale aveva abitato sino al suo trasferimento all'eipotesi 
degli a~tt. 21 e 24 del d.P.R. 636/11972, ai quali, dopo la modifica, si � 
a volte attvibuito un significato restrittivo (v. Relazione Avv. Stato, 1976-80, 
Il, 477). 
L'mderogabilit� della competenza dell'ufficio ormai ripetut,amente affermata 
lin giurisprudenza (2 giugno 1980, n. 3596; 5 luglio 1980 n. 4277; 9 dicembre 
1983, n. 7301, dn questa Rassegna, 1981, I, 366 e 378; 1984, I, 334); desta lin vero 
perplessit� l'affermazione di nullit� assoluta dell'accertamento, perfino rileV
�abile d'uEffoio dn ogni stato e grado, anche quando all'errore di individuazione 
dell'ufficio abbia oonoorso il contribuente con la presentazione della dichiarazione 
(v. annotazione delle :sentenze citate). Comunque corollacio di questa affermamone 
� che fa dichiarazione presentata ad uffdcio incompetente assume rilevanza 
giuridica al momento in cui perviene (ma non esiste uno specifico dovere 
di trasmissione) all'ufficio competente (art. 112, d.P.R. 600/1973) e se v:i. perviene 
oon oltre un mese di ritardo si considera omessa (iart. 9). Partendo dalla 
premessa della nulhlt� assoluta dell'accertamento proveniente da uffilcio ;incompetente 
� inecoepibile la conseguenza che tale accrtamento (tamquam non 
esset) non preclude un successivo accertamento da parte dell'ufficio competente. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

stero. La notificazione � certamente invalida; ma si tratta di invalidit� 
riconducibile nella categoria delle nullit� sanabili, in base al complesso 
normativo di cui agli artt. 160, 156, 157 e 291 c.p.c. e artt. 21-24 d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 636 (su~essivamente sostituito dagli artt. 13 e 15 

d.P.R. n. 739 del 1981) e non, come invece sostiene il ricorrente, in 
quella dell'inesistenza giuridica della notificazione, insuscettibile di sanatoria. 
Questa Corte ha avuto occasione di precisare ripetutamente che la 
ipotesi dell'inesistenza giuridica della notificazione ricorre quando questa 
ultima sia effettuata in modo non assolutamente previsto dalla normativa, 
tale, cio� che non possa essere sussunta nel modulo legale della 
figura e che, di contro, si ha mera nullit� allorch� la notificazione sia 
stata eseguita nei confronti del destinatario mediante consegna in luogo 
e a persona diversi da quelli stabiliti dalla legge, ma che abbiano pur 
sempre qualche riferimento con il destinatario della notificazione stessa 
(2 maggio 1977, n. 1670; 26 gennaio 1981, n. 572). 

Nella specie l'operazione notificatoria presenta vari ed indubbi riferimenti 
con il ricorrente, da far ritenere, sia pure in astratto e a priori, 
che essa, per quanto invalida, .avrebbe, cio�, determinato nel destinatario 
la piena e compiuta conoscenza dell'atto. 

Una volta che l'invalidit� del procedimento di notificazione s'inquadra 
nell'ambito della nullit�, essa deve ritenersi sanata con l'impugnazione 
dell'atto notificato, proposta, peraltro entro il termine di decadenza 
dal destinatario. 

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 9 
del t.u. n. 645 del 1958 e dell'art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1958. Egli sostiene 
precisamente che la competenza degli uffici fiscali sia derogabile e 
che, pertanto, il nuovo accertamento, effettuato dall'Ufficio delle imposte 
dirette di Modena posteriormente a quello eseguito dall'Ufficio � di Milano, 
sia radicalmente nullo. 

Anche questo motivo va respinto. 

L'art. 12, comma IV, del d.P.R. n. 600 del 1973 dispone, riproducendo 
la norma gi� contenuta nell'art. 29 del t.u. n. 645 del 1958, che la presentazione 
della dichiarazione ad ufficio diverso da quelli indicati nei commi 
precedenti si considera avvenuta nel giorno in cui la dichiarazione � 
pervenuta all'ufficio competente. Da tale norma si evince chiaro il principio 
dell'inderogabilit� della competenza per territorio degli uffici 
delle imposte dirette; principio, del resto, ripetutamente affermato da 
questa Corte (15 dicembre 1980 n. 6492; 19 ottobre 1977 n. 462; 5 luglio 
1980 n. 4277). Difatti, la competenza territoriale degli uffici in parola 
� determinata dall'interesse generale che gli accertamenti degli imponibili 
siano compiuti da quegli organi dell'amininistrazione tributaria 
che, secondo le presunzioni derivanti dalle norme di legge in materia, 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

sono i pi� idonei per lo svolgimento dell'attivit� accertatrice (Cass., 
se,nt. n. 6492 del 1980). Dal principio dell'inderogabilit� della competenza 
territoriale degli uffici delle imposte discende la nullit� assoluta dell'accertamento 
eseguito dall'ufficio incompetente (Cass., sent. n. 4462 
del 1977; n. 4277 del 1980) e il conseguente potere-dovere dell'ufficio 
competente a procedere ad un nuovo e valido accertamento. Il ricorrente, 
nonostante avesse il domicilio fiscale a Modena, present� la dichiarazione 
all'Ufficio delle Imposte dirette di Milano e tale dichiarazione non 
risulta mai pervenuta all'ufficio competente di Modena, che legittimamente 
e doverosamente ha proceduto all'accertamento impugnato, una 
volta rilevato che ad esso non era stata presentata la dichiarazione 
dei redditi. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984 n. 2648 -Pres. Santosuosso Est. 
Contu -P. M. Pandolfelli (diff.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Stipo) c. Pettinicchio. 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Enunciazione � Societ� di 
fatto � Acquisto in comune di aziende � Insufficienza. 

(r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, art. 62). 
Il solo fatto dell'acquisto in comune di un'azienda non � sufficiente 
per la enunciazione di una societ� di fatto, in quanto non rivela l'intento 
di gestire, con attivit� di impresa, l'azienda acquistata (1). 

(omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione Finanziaria dello 
Stato denunzia violazione degli artt. 1350, 1362, 2248 cod. civ., 1, 8, 9, 
62 e 81 della tariffa allegato A della abrogata legge di �registro (r.d. 
30 dicembre 1923, n. 3269), e 37 n. 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nonch� 
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. 

Nel censurare la decisione impugnata, sostiene che la Commissione 
tributaria centrale non avrebbe considerato che -secondo la sua stessa 
giurisprudenza -non � tassabile la semplice dichiarazione che un bene 
appartiene a pi� soggetti, in quanto non rivela l'esistenza di un'impresa 
esercitata in forma sociale, e che, inoltre, per trasformare una comunione 
in societ� occorre la volont� dei comunisti, espressa nella forma 
richiesta dalla legge. Deduce altres� che con la scrittura privata del 

(1) Decisione corretta. La sola compropriet� non basta a far emergere, 
sotto l'aspetto dinamico, l'esercizio in comune di un'attivit� ecoQornica. 
. I 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

3 ottobre 1963 si sarebbe avuta per la prima volta la costituzione della 
societ� con fissazione. di durata, senza riferimento all'acquisto di cui al 
precedente atto pubblico. Afferma infine che se anche' una societ� 'di 
fatto fosse stata in precedenza costituita, essa si sarebbe dovuta ritenere 
estinta a far tempo dalla regolamentazione e costituzione della nuova 
societ�. 

Le censure sono sostanzialmente fondate, anche se le tesi svolte dal 
ricorrente possono essere condivise solo in .parte. 

Nella fattispecie si discute se nell'atto di acquisto in comune di una 
azienda commerciale possa ravvisarsi, agli effetti dell'accertamento dell'imposta 
di registro, una enunciazione di societ� di fatto. Al quesito la 
commissione tributaria centrale ha dato risposta affermativa, ma la 
decisione non � immune da censure. 

:�. noto che ai fini della tassabilit� di una convenzione enunciata 
nell'atto presentato per la registrazione (art. 6 r.d. n. 3269 del 1923), pu� 
ravvisarsi l'enunciazione di societ� se l'atto contenga elementi rivelatori 
ed individuanti del rapporto enunciato, con particolare riferimento 
all'esercizio in comune di un'attivit� imprenditoriale ed agli estremi 
essenziali del rapporto di societ�, in ordine sia alle persone dei soci, 
sia all'oggetto dell'attivit� sociale, sia infine ai conferimenti. Ed � stato 
chiarito da questa Suprema Corte che l'enunciazione va intesa con 
riguardo al significato letterale e logico del testo, senza che sia consentito 
ricavare da fattori estranei la volont� dei dichiaranti; e, altres�, che 
ai fini della sottoposizione ad imposta di registro occorre considerare la 
potenzialit� dei soli effetti giuridici di cui ogni singolo atto � oggettivamente 
capace (cfr. motiv. delle sentenze n. 554 del 1973 e 2897 del 1980). 

La .Commissione tributaria centrale non si � attenuta a tali principi 
e non ha motivato adeguatamente il proprio convincimento, secondo cui 
il rogito Varcasia del 1963, relativo all'acqtiisto dell'azienda, conteneva 
l'enunciazione della societ� di fatto. Ha infatti confuso l'intento degli 
acquirenti di attuare una trasformazione dello stabilimento per renderlo 
tecnicamente organizzato al fine della produzione di latte e derivati, con 
la volont� di esercitare in comune un'attivit� imprenditoriale, equiparando 
cos� erroneamente, l'aspetto statico di un rapporto a quello 
dinainico. 

In realt� i fratelli Pettinicchio manifestarono chiaramente la volont� 
di creare un complesso aziendale destinato alla produzione di beni, 
ma ci� non � sufficiente per ritenere che essi si fossero accordati anche 
per gestirlo direttamente in proprio ed in forma societatja, essendo 
ipotizzabile, ad esempio, un affitto di azienda ad altra persona per il 
concreto esercizio dell'attivit� economica. 

Per affermare la costituzione della societ� sarebbe stata necessaria 
un'approfondita indagine che avesse consentito di stabilire in modo non 


$74 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

equivoco che l'atto conteneva la manifestazione di volont� delle parti di 
dar vita ad un rapporto societario per gestire lo stabilimento dopo la 
sua ristrutturazione, ma a tale riguardo la decisione impugnata � palesemente 
manchevole poich� ha individuato l'enunciazione della societ� 
di fatto in dichiarazioni negoziali che, se correlate a tal fine, non sono 
affatto decisive e si appalesano piuttosto equivoche. 

N� pu� giovare alla tesi sostenuta dalla Commissione tributaria centrale 
la considerazione che, in seguito alla stipulazione del rogito Varcasia, 
gli acquirenti avessero l'astratta possibilit� di gestire in societ� 
l'azienda, poich� agli effetti della ravvisabilit� nell'atto di una enun


I

ciazione tassabile a' sensi dell'art. 62 dell'abrogata legge di registro, � 
necessario fare riferimento alle possibilit� emergenti in modo concreto 

I 

! ~ 

dall'atto, secondo il principio che sono tassabili le convenzioni verbali 
enunciate nell'atto presentato alla registrazione e non registrate, purch� 

I

abbiano una connessione. diretta con le disposizioni dell'atto in cui sono 
enunciate. Non pu� perci� valorizzarsi la mera possibilit� astratta dell'atto 
a dar vita ad un rapporto societario, poich� in tal modo verrebbe 

I!

vanificato il riferimento normativo alla connessione diretta sopra menzionata, 
che postula, ovviamente, una relazione concreta e non sem


I 

plicemente astratta. i 

2

� pertinente, a tale riguardo, il rilievo del ricorrente, secondo cui 
l'acquisto di un'azienda commerciale pu� certamente convertirsi in un 
rapporto societario, ma a condizione che sussista il consenso degli acf 
f 
quirenti a continuare in nome e per conto comune l'esercizio dell'azien~ 


' 

da. A tale principio si � sempre ispirata, del resto, 'la giurisprudenza 

I 

delle commissioni tributarie, le quali hanno costantemente affermato 
che il semplice acquisto di un'azienda, quando dall'atto non emerga la 
concreta possibilit� del suo esercizio da parte di pi� acquirenti, non � 

I

sufficiente a far ritenere l'enunciazione di un contratto di societ�, e d� 
luogo semplicemente ad una comunione di beni. 
Alla stregua delle considerazioni svolte non pu� dubitarsi che la deci


I

i

sione impugnata sia pervenuta a ravvisare l'enunciazione della societ� 
di fatto nel rogito Varcasia del 3 giugno 1963, in base ad una errata 
applir,azione di principi giuridici e con motivazione inadeguata e, comunque, 
non corretta sul piano logico. � quindi necessario che la questione 
venga nuovamente esaminata al fine di stabilire se al momento della 
regfrtrazione della scrittura privata del 3 ottobre 1963, contenente incontest?.
tamente una costituzione di societ�, il diritto dell'Amministrazione 
Finanziaria di percepire l'imposta di registro con i relativi accessori si 
foss~ estinto per effetto del decorso del termine prescrizionale da una 
precedente enunciazione della stessa societ� in un atto sottoposto a 
registrazione. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 575 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2649 -Pres. Virgilio Est. 
Pannella -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Angelini), c. Leva. 

Tributi erariali diretti � Imposta sui fabbricati � Reddito effettivo superiore 
al reddito catastale � Determinazione in via di comparazione � 
Reddito risultante dal contratto di locazione � n il solo rilevante. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 74; L. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). 
In base all'art. 2 della legge 23 febbraio 1960 n. 131, che ha abrogato 
l'art. 74 del T.U. delle imposte dirette, il reddito effettivo, eventualmente 
superiore al reddito catastale, che deve costituire la base imponibile � 
soltanto quello risultante da contratto di locazione; in mancanza di locazione 
� rilevante il reddito catastale e non � ammessa una determinazione 
per comparazione del reddito ritraibile (1). 

(omissis) Passando all'esame dell'unico motivo di esso, la ricorrente 
amministrazione finanziaria, denunciando la violazione degli artt. 1 e 2 

1. n. 131/60, 74 T.U. 645/58, 1. 4 novembre 1951 n. 1219, in relazione 
all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., sostiene che -contrariamente a quanto 
ritenuto nella sentenza impugnata -la disposizione dell'art. 2 della 
1. n. 131/60 prevale su quella dell'art. 1 della stessa legge nel senso che 
per l'accertamento del � reddito imponibile � l'Ufficio della Finanza deve 
procedere innanzitutto all'accertamento del � reddito lordo effettivo � 
ritraibile da ciascuna unit� immobiliare, ricorrendo anche al criterio 
presuntivo previsto dall'art. 74 T.U. 645/58, non abrogato dalla 1. 131/60 
ma costituente addirittura � presupposto � per la corretta applicazione 
dell'art. 2 di essa 1. 131/60. Aggiunge: 1) che l'enunciato: �reddito lordo 
effettivo � deve ritenersi identico a quello di � reddito lordo >>, dato che, 
in mancanza di una definizione legislativa, occorre risalire all'espressione 
di � reddito effettivo � di cui all'art. 35 r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 
(sulla formazione del N.C.U. entrato in vigore il 1� gennaio 1962 giusta 
il d.m. 4 dicembre 1961) nonch� a quella di � reddito lordo � dj cui 
all'art. 15 del d.P.R. 1� dicembre 1949 n. 1142 (approvazione del Regolamento 
per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano); 2) che, 
non potendo il regolamento di esecuzione contraddire la legge autorizzativa, 
il concetto di �reddito lordo� -ai fini catastali -si identifica 
(1) Dopo il contrasto manifestatosi con Je sentenze 25 marzo 1983 n. 2083, 
29 marzo 11983 n. 2232 e 30 lugldo 1982, n. 4360 (in questa Rassegna, 1983, I, 
518), la S.C. accogMe la ,soluziione favorevole all'abrogazione dell'art. 74 del 
t.u. del 1958, come gi� aveva fatto con J.a sentenza 22 marzo 1984 n. '1925 (ivi, 
1984, I, 385). 
12 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con quello di � reddito effettivo �, Perci�, tanto il primo reddito quanto 

il secondo possono desumersi per presunzione. 

La censura non ha fondamento. 

Questa Corte ritiene di dover ribadire il principio gi� affermato in 
diverse pronunce (sent. 3244/79 -sent. 2002/82 -sent. 2083/83 -sent. 
2231/83), secondo cui il sistema di determinazione del �reddito imponibile 
�, per l'applicazione dell'imposta sui fabbricati, ha subito una 
radicale trasformazione con la 1. 23 febbraio 1960 n. 131 entrata in vigore 
in concomitanza con il nuovo catasto edilizio urbano (1� gennaio 1962). 

Con tale nuovo sistema non � consentito pi� all'Amministrazibne 
finanziaria di procedere per ogni singola unit� immobiliare alla determinazione 
del � reddito lordo � mediante � comparazione � con i canoni 
correnti per i fabbricati in analoghe condizioni, per poi calcolare il 
�reddito netto� o �imponibile� con la detrazione di 1/4 del reddito 
lordo (artt. 73, 74 e 75 1. 645/58), perch� il �reddito imponibile� va 
determinato con l'applicazione alla rendita catastale di ciascuna unit� 
immobiliare (definita con riferimento agli elementi economici del triennio 
1937-1939), dei coefficienti di aggiornamento stabiliti annualmente 
con decreto ministeriale (art. 1 1. 131/60). 

La rendita catastale -a sua volta -riferita a tutte le unit� immobiliari 
di identiche classi, appartenenti alla stessa categoria (art. 8 

d.l. 652/39), va determinata in base al �reddito lordo�, che costituisce 
il � reddito potenziale � delle singole unit� immobiliari aventi uguali 
classi e categoria (artt. 9 d.l. 652/39 e 15 e 19 d.P.R. 1 dicembre 1949 
n. 1142). 
Con questo sistema si � inteso sostituire al criterio di determinazione 
del reddito lordo caso per caso (art. 74 1. 645/58) quello di una 
determinazione generalizzata del reddito lordo rispetto ad unit� immobiliari 
ricadenti in una medesima situazione giuridico-tributaria. 

Fissato il suddetto criterio di ordine generale, la legge poi (art. 2 

1. 131/60) ha previsto il caso in cui una singola unit� immobiliare abbia 
un � reddito lordo effettivo � che, ridotto del 25 per cento, sia superiore 
o inferiore per oltre 1/5 alla rendita catastale aggiornata. 
In tale ipotesi il � reddito imponibile � viene determinato secondo 
le disposizioni dell'art. 1 1. 4 novembre 1951 n. 1219. (Detrazione del 
reddito lordo effettivo, ridotto di 1/4, di una somma pari a 4 volte e 
mezzo il reddito imponibile accertato per l'anno 1938 ai fini delle 
imposte dirette). 

Alla stregua di quanto sopra si deduce: 1) che la regola generale per 
la determinazion~ dell'imponibile � quella prevista dall'art. 1 1. 131/60; 
2) che la rendita catastale si basa sul reddito lordo annuo rappresentato 
dal canone annuo di fitto, �ordinariamente ritraibile � dell'unit� 
immobiliare (artt. 19 e 15 d.P.R. 1� dicembre 1949 n. 1142; 3) che la 


PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

regola eccezionale per la determinazione dell'imponibile in maniera 
diversa dal ricorso alla rendita catastale � quella prevista dall'art. 2 

I. 131/60; 4) che, perch� si verifichi una tale eccezione, occorre che 
l'unit� immobiliare produca un certo � reddito lordo effettivo �; 5) che 
tale � reddito lordo effettivo � sia diverso da quello � lordo � che, desuInibile 
anche per presunzione, sia posto a fondamento della rendita 
catastale; 6) che -conseguentemente -il � reddito lordo effettivo �, 
non potendo essere accertato alla stessa maniera del � reddito lordo �, 
non pu� essere se non quello realmente percepito per la locazione 
dell'immobile. 
Da quanto innanzi rilevato deriva l'infondatezza dell'assunto della 
ricorrente circa l'identificazione tra � reddito lordo effettivo � e � reddito 
lordo�, in quanto una tale identificazione �. esclusa appunto dal 
raffronto tra la disposizione dell'art. 25 d.d.l. 13 aprile 1939 n. 652, che 
adotta il termine di � reddito effettivo �, e la disposizione dell'art. 15 del 
Regolamento (d.P.R. 1142/49), che chiarisce il concetto di �reddito 
lordo�. 

Le due disposizioni tendono a finalit� diverse, e la loro interpretazione 
non pu� che condurre a risultati diversi. 

�L'art. 15 riguarda infatti un � reddito lordo � determinabile anche 
presuntivamente per la fissazione della rendita catastale, mentre l'art. 25 
si riferisce ad un � reddito effettivo � per procedere a � verifica � di una 
unit� immobiliare gi� classata con una data rendita catastale e richiede 
che tale reddito sia inferiore di almeno 1/5 alla rendita catastale stessa. 

Il rapporto esegetico della diade normativa in esame, quindi, non pu� 
che condurre a una diversit� fra �reddito effettivo� e �reddito lordo�, 
non potendo il primo essere accertato alla stessa stregua del secondo 
n� identificarsi con esso, stante la contrapposizione fissata dalla legge. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1984, n. 2651 � Pres. Battimelli 
� Est. Contu � P. M. Martinelli (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Vittoria) c. Giordano. 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Ricorso alla Commissione 
centrale � Motivazione � Necessit� � Motivazione per � relationem � � 
Inammissibilit� � Difetto di motivi per l'impugnazione di merito � 
Inammissibilit� dell'impugnazione per motivi di rito. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 25, 26 e 29). 
Premesso che il ricorso alla Commissione centrale deve essere motivato 
a pena di inammissibilit� e che non soddisfa tale onere una motivazione 
per relationem, e poich� il giudizio della Commissione centrale 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

� di merito in terza istanza, � inammissibile il ricorso diretto a censurare 
una decisione che dichiara l'inammissibilit� dell'appello quando 
non siano proposti anche motivi di merito, in quanto mancando la possibilit� 
di emettere una decisione viene meno l'interesse a decidere sulla 
questione pregiudiziale di rito (1). � 

(omissis) Con testamento olografo, Pietro Occhipinti -deceduto in 
Messina il 23 luglio 1960 -lasci� a sua moglie Maria Giordano, a soddisfazione 
della quota ereditaria ad essa spettante, un appartamento in 
Messina, altri beni immobili e la met� dell'usufrutto di quattro botteghe 
pure site in Messina, disponendo, poi, che da tutto il suo restante patrimonio, 
costituito da un'azienda commerciale, dalle suddette quattro 
botteghe e da altri beni, venisse prelevata la quota di legittima spettante 
a suo padre Luigi Occhipinti e che l'eventuale differenza venisse attribuita, 
a titolo di legato; ai figli nati e nascituri di sua sorella Adele 
Occhipinti, in Samarelli. 

Con successivo atto pubblico del 7 marzo 1961 registrato a Messina 
il 13 marzo 1961, la vedova del defunto, Maria Giordano, il padre Luigi 
Occhipinti, il cognato Mario Samarelli e la sorella Adele Occhipinti 
-questi ultimi due in rappresentanza, rispettivamente, dei figli nati 
(tutti minori) e di quelli nascituri, regolarono i loro rapporti nel modo 
seguente: la Giordano, � onde agevolare � le successive pattuizioni tra 
Luigi Occhipinti ed i coniugi Samarelli-Occhipinti, rinunziava all'usufrutto 
sulle quattro botteghe; il legato � de residuo � disposto dal testatore 
a favore dei nipoti veniva determinato transatt:ivamente nelle suddette 
quattro botteghe con riserva dell'usufrutto, in ragione della met�, 
a favore di Luigi Occhipinti. 

(1) Decisione di annullamento e decisione di merito nel giudizio di terzo 
grado. 
Questione nuova di molto interesse risolta con motivazione non appagante. 

La situazione processuale, che potrebbe anche veriiiicarsi fu-equentemente, 
em in questi termini. Viene proposto ricorso alla commissione di primo grado 
(non importa che nel caso deciso il giudizio si era incardinato prima della 
riforma) per questioni di applicazione della :legge in punto ad imposta di 
sucoessione; il ricorso viene accolto. Propone appello l'ufiiicio, ma fa commissione 
di secondo grado lo dichiara !�nammissibile. 

L'uffilcio ricorre alla Comrmssione centrale e deduce motivi specifici. sul 
punto dell'inammissibilit� e per il merito rlnv.ia ai motivi dell'appello rimasti 
assorbiti dalla pronunciata inammissibilit�. 

Si afferma nella sentenza dn esame che Ja Commdssione centrale, che nella 
materi-a estranea alla valutazione estimativa � -giudice del merito, avrebbe 
dovuto decidere definitivamente la controversia sulla -sussistenza dell'obbMgazione 
tributaria, senza mai poter �rinvdare al secondo grado; ma pod�h� una 
tale decisione non poteva essere emessa per difetto di motivazione del ricorso 
sul merito (la motivazione per relationem non � consentita), diventava inutile 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

579 

L'Ufficio del Registro di Messina ritenne che l'atto di cui sopra 
contenesse due disposizioni tassabili, e precisamente una di cessione di 
usufrutto e l'altra di divisione, ed in data 12 marzo 1962 notific� alle 
parti un avviso di accertamento con il quale determinava sia il valore 
imponibile della cessione, sia quello di ciascuna delle quote attribuite 
con la divisione. 

Contro tale accertamento i contribuenti proposero ricorso alla competente 
commissione tributaria, sostenendo che la rinuncia all'usufrutto 
da parte della Giordano non poteva configurarsi come negozio traslativo 
e che mancavano le condizioni per la tassazione di conguagli poich� ai 
condividenti era pervenuto esattamente quanto ad essi spettava per 
testamento. 

Il ricorso venne accolto dalla sezione di diritto della Commissione 
Provinciale e contro la relativa decisione l'Ufficio del Registro propose 
impugnazione alla Commissione Centrale, quale giudice di secondo 
grado. In virt� delle sopravvenute norme di modifica del contenzioso 
tributario, il gravame venne poi devoluto alla nuova commissione tributaria 
di secondo grado, la quale lo dichiar� inammissibile senza esaminarlo 
nel merito, avendo accertato che l'atto notificato ad una delle 
parti era privo dei motivi di impugnazione ed avendo ritenuto che tale 
vizio si estendesse anche alle altre parti, stante l'interdipendenza del 
rapporto in contestazione. 

Avverso tale decisione l'Ufficio propose ricorso alla Commissione 
tributaria centrale, la quale, con la decisione ora impugnata, lo rigett�. 

decidere l'impugnazione di rito su11'a:mmissibildt� dell'appello che sarebbe rimasta 
priva di ogni effetto se non 'seguita da una decisione sul merito. 

La sentenza conHene indubbiamente molte proposizioni esatte in termini 
generali, ma che potevano dar luogo almeno a qualche dubbio nella particolare 
situazione. 

Bisogna intanto chianire che l'impugnazione innanzii alla Commissfone centrale 
proponeva due distinte questioni: una di rito ed una di merito. Se ordinariamente 
ne11'dmpugnazione di menito sono irrilevanti gli errores in procedendo, 
perch� la decisione del gdudice di impugnazione sostituisce quella gravata 
e ne assorbe gli eventuali vizi, nella situazione sopra riassunta era necessario 
prima riformare la decisione di appello sul punto dell'inammissibilit� (in 
ipotesi negativa 'Si doveva ritenere passata in giudicato la decifilone di primo 
grado) e poi passare all'esame di merito. Si presentava cio� un giudizio di legittimit� 
preliminare a quello di merito, anche se ambedue ti giudizi restavano 
affidatd allo stesso giudice. Questa partdcolarit�, che sti rinviene non raramente 
in un giudizio in tre gradi, deve far considerare con pi� attenzione l'afferma2lione, 
pur esatta in termini generali, che la motivazione dell'impugna2lione limitata 
a denunziiare l'errore commesso nel dichiarare inammissibile l'appello 
poteva essere sufficiente per una impugnazione di legittimit�, ma non per una 
impugnazione di merito; si era infatti in presenza di una impugnazione di 
legittimit�, anche ,se il giudizio iSul merito non postulava un rinvio. 



580 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Detta commissione, pur ritenendo che l'inammissibilit� dell'impu� 
gnazione verificatasi nei confronti di una delle parti non avesse effetto 
estensivo verso le altre, afferm� che il ricorso era da un lato inammis� 
sibile e dall'altro infondato. A suo avviso, infatti, l'Ufficio, dopo aver 
trattato dell'ammissibilit� del precedente gravame alla commissione di 
secondo grado, si era limitato a fare riferimento, per il merito, a quanto 
esposto nel rapporto inviato il 22 maggio 1962 alla vecchia commissione 
centrale, violando cos� il costante principio giurisdizionale secondo cui 
le censure rivolte contro la decisione impugnata devono risultare specificamente 
dal ricorso e dal suo contenuto, senza possibilit� di formularle 
� per relationem �. A sostegno della tesi dell'infondatezza asserl, 
comunque, che: 

a) non era dimostrata la difformit� tra la divisione operata dal 
testatore e la volont� espressa dalle 'parti nell'atto pubblico registrato 
il 13 marzo 1961, non potendo desumersi tale difformit� dalla specificazione 
dell'oggetto del legato disposto dal testatore, in forma generica, 
a favore dei nipoti, dal momento che la specificazione rispettava 
la volont� dello stesso testatore; 

b) quanto alla rinunzia all'usufrutto da parte della vedova, i motivi 
di essa dovevano considerarsi irrilevanti e inidonei ad attribuirle natura 
di cessione, tanto pi� che la quota di usufrutto sulle botteghe, costituente 
oggetto di detta rinunzia, era andata in tutto od in parte a 
riunirsi alla nuda propriet� attribuita ai nipoti. legatari de residuo, sem� 
pre nel pieno rispetto della volont� del testatore. 

Su tale premessa desta perplessit� l'affermata inammissibilit� della mo


tivazfone per relationem. La motivazione del ricorso alla CommissiO!Ile centrale 
� ineliminabile quando vd sia stata :in secO!Ildo grado una pronunzia di merito, 
che abbia consumato i relativi motivi, e debba quindi essere determinato il 
campo del giudizio di impugnazione, devoluto attraverso i moti'V~ al giudice 
superiore. Quando per� il giudi2lio di merto in secondo grado non sia esistito 
(e di ci� si espone censura nel rdcorso) si d()[Ilanda alla Commissione centrale, 
se come nel caso � competente, la decisione sull'appello ingiustamente omessa. 
Non si pu� nemmeno parlare di motivazione per relationem perch� � lo stesso 
appello, ancor vergine, che vdene devoluto al giudice dii terzo grado, dopo che sia 
stato rimosso l'ostacolo prelimilllal"e di rito. 

La necessit� della motivazione dell'impugnazione presuppone un quid-novi 
dntervenuto con la deois!ione che 1si impugna, una nuova valutazione della situazfone 
processuale dalla quale deve emergere la parte (o eventualmente anche 
la totaldt�, ma sempre a seguito di una nuova valutazione) del decisum che si 
intende gravare, unitamente all'esposizione delle ragioni della lamentata ingiustizia 
della decisione. 

Ma quando il quid novi � soltanto una pronuncia prelimiriare di rito, l'dmpugna2lione 
riguarda solo questo oapo; per il resto si domanda fa decisione, 
omessa dal giudice inferiore, di quella stessa domanda gi� formulata e non 
esaminata e non sd propone una impugnazione contro una decisJ.one, eventual



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 581 

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'Amministrazione 
Finanziaria dello Stato, deducendo quattro motivi. 

Gli intimati non hanno svolto attivit� difensiva. 

Motivi della decisione 

Con il secondo motivo, che ha carattere preliminare per ragioni logiche, 
l'Amministrazione Finanziaria dello Stato -denunziando violazione 
dell'art. 25, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e 
dei principi in tema di motivi d'impugnazione, con riferimento all'art. 360 
nn. 3 e 4 c�d. proc. civ. -censura la decisione impugnata sul punto 
della ritenuta inammissibilit� del ricorso per mancata formulazione dei 
motivi di merito. Sostiene al riguardo che, avendo la commissione tri� 
butaria di secondo grado dichiarato inammissibile il gravame ad essa 
proposto senza esaminare il merito della controversia, l'Ufficio non aveva 
l'onere di riproporre le censure gi� formulate contro la decisione di 
primo grado, ed il ricorso proposto contro la pronunzia di inammissibilit� 
dell'appello escludeva qualsiasi acquiescenza ed implicava manifestazione 
della volont� che l'impugnazione fosse esaminata nel merito 
in base ai motivi dedotti a sostegno del gravame dichiarato inammissibile, 
mentre dipendeva dal rientrare o meno le questioni nell'ambito 
della competenza della commissione tributaria centrale se questa dovesse 
conoscerne direttamente oppure rinviare ad una commissione di 
secondo grado. 

Tale censura � destituita di fondamento. 
Occorre considerare che, avendo la commissione tributaria di secondo 
grado dichiarato inammissibile l'appello dell'Ufficio, si era venuta a 

mente coincidente con la domanda originaria. ~ del resto pacifico che la -riproposizione 
"1elle domande ed eooezioni rimaste assorbite o comunque non esaminate 
non richiede una motivazione specifica e pu� ben consistere in un 
rinvio, appunto perch� non trattasi di una vera e propria impugnazione, ma di 
una istanza conseguenziale all'dmpugnazione (su un driverso capo), validamente 
proposta dalla stessa o dalla altra parte. 

L'importanza del problema non risiede nella suffficienza della motivazione 
(che non vi �sarebbe ragione per dndulgere sulla necessit� della motivazione 
del ricorso in terzo grado), ma nella particolarit� del �giudi&o dd terzo grado 
in situazioni come quella in esame che bench� di merito presuppone una questione 
di legittimit�. 

Talvolta la decisione della Commissfone centrale � stata confiigurata come 
una pronunma dri annullamento senza rinvio seguita dalla decisione di merito 
(Cass. 18 luglio 1979 n. 4262, Riv. Leg. Fisc., 1980, 506). Questa costruzione � 
errata rispetto all'ipotesi normale dell'dmpugnazfone di merito (C. BAFILE, L'impugnazione 
di terzo grado nel processo tributario, Milano 1982, 93), ma � calzante 
nella situazione parllicolare dn cui prima di affrontare il giudizio di merito 
deve essere rimosso un ostacolo processuale, che faf,Iuisce sull'ammissibilit� 
dell'impugnazione nel grado inferiore. 

CARLO BAFILB 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO'

582 

creare una situazione in cui, al fine cli affermare il diritto all'imposizione 
tributaria, l'Ufficio aveva l'onere di impugnare la decisione per 
ottenere una pronunzia sul merito e non soltanto per rimuovere quella 
relativa all'inammissibilit� dell'appello. 

Un'impugnazione limitata a denunziare l'errore commesso nel dichiarare 
inammissibile l'appello nei confronti cli tutti i contribuenti, sarebbe 
stata sufficiente se la Commissione tributaria centrale fosse giudice cli 
sola legittimit�, perch� in tal caso avrebbe potuto e dovuto limitarsi, 
riformando la decisione impugnata, a dichiarare ammissibile l'appello, 
con conseguente rinvio alla commissione di secondo grado per la pronuncia 
sul merito. Siffatta prospettiva urta, peraltro, contro l'ordinamento 
del contenzioso tributario; il rinvio al giudice di secondo grado 
non era infatti possibile, a' sensi degli artt. 26 e 29 del d;P.R. n. 636 del 
1972, perch� non vertendosi in materia di valutazione estimativa, la commissione 
tributaria centrale era sicuramente giudice di merito cli terza 
istanza ed era direttamente competente a decidere le questioni controverse, 
il che, per�, presupponeva e rendeva necessario che ne fosse 
stata legittimamente investita mediante una regolare impugnazione contenente 
anche motivi cli merito. 

In realt� l'Ufficio si adegu� -almeno formalmente -a tali principi 
e, dopo avere sviluppato i motivi contro la pronuntla cli inammissibilit� 
dell'appello, sul merito si limit� a richiamare i motivi dedotti 
a suo tempo con il ricorso proposto alla commissione centrale -secondo 
il vecchio rito -contro la decisione di prima istanza. Senonch� tali 
motivi erano chiaramente inammissibili, non essendo consentita la formulazione 
cli censure per relationem, e nella sostanza, il gravame investiva 
solo la pronuncia di inammissibilit� dell'appello. 

Esattamente, perci�, la commissione tributaria centrale dichiar� la 
inammissibilit� del ricorso, posto che l'impossibilit� giuridica di emettere 
una pronunzia cli merito faceva venir meno l'interesse dell'Ufficio 
ad una decisione limitata alla questione dell'ammissibilit� dell'appello 
proposto contro la decisione cli primo grado, non essendo la stessa 
idonea a decidere la controversia relativa alla sussistenza dell'obbligazione 
tributaria. 

N� pu� avere rilevanza che il contenuto finale della decisione attualmente 
impugnata sia cli rigetto e non di inammissibilit� del ricorso, 
poich�, dovendo il dispositivo essere correlato con la motivazione, occorre 
ricercare l'intrinseca natura del provvedimento, che in effetti pu� 
essere interpretato solo come pronunzia cli inammissibilit� -indipendentemente 
dal tenore letterale del dispositivo -poich� i motivi addotti 
a suo sostegno giustificano una decisione del genere ma non una 
diversa. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 583 

Alla stregua di tali considerazioni deve ritenersi che la commissione 
tributaria centrale abbia affrontato a torto e inutilmente anche il 
merito della controversia, che le era in realt� precluso, data la rilevata 
inammissibilit� dell'i~pugnazione, da cui derivava ineluttabilmente la 
definizione del giudizio. La pronunzia sorretta da questa successiva 
parte della motivazione � perci� sicuramente inutiliter data e contro di 
essa non � possibile, quindi, l'impugnazione in questa sede. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3047 -Pres. Falcone Est. 
Battimelli -P. M. Catelani (conf.). Anconetani (avv. Vitaliani) 

c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Salimei). 
Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione -Nullit� � Eccezione 
da formulare in primo grado -Art. 37 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 Illegittimit� 
costituzionale -Manifesta infondatezza. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 37). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario -Poteri delle Commissioni Pronuncia 
di merito sulla sostanza del rapporto. 

Tributi in genere � Contenzioso tributario -Prova -Ricorso al notorio � 
Legittimit�. 
(cod. proc. civ., art. 115). 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Espressione di volont� dell'organo 
amministrativo -Esclusione. 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione � Metodo induttivo 
Presupposti. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 117). 
� manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� costituzionale 
dell'art. 37 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645 che impone che l'eccezione di 
nullit� dell'accertamento non motivato analiticamente debba essere sollevata 
a pena di decadenza nel ricorso in primo grado (1). 

(1-5) Una sentenza di grande riMevo che merita piena adesione. 

La prima massima non ammette perplessit�. Non � di certo una limitazione 
al diritto di difesa la prescrizione, che non va al di l� del principio stabilito 
nell'iart. 345 c.p.c,, che la 111ullit� dell'accertamento non motivato analiticamente 
debba essere eccepita in primo grado. Si pu� anzi affermare che la norma � 
addirittura inutile perch� l'appello � regolato dai principi generali del cod. 
proc. civ., in base ai quaM una domanda nuova, quale � certamente l'impugnazione 
di nullit�, � dnammissibile in appello. Ma ancor pi� si gi.ustiiiica la decadenza 
nel caso specifico, perch� se � stato impugnato l'accertamento,� senza 
eccepirne la nullit�, contestando quindi il merito della quantit� imponibile si 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Le commissioni tributarie non sono giudici dell'accertamento in s� 
e per s�, ma giudici della fondatezza, anche quanto alla congruit�, della 
pretesa tributaria;. la giurisdizione delle commissioni non � di annullamento 
ma di merito (e quindi all'accertamento non possono applicarsi 
I principi propri degli atti amministrativi discrezionali), s� che l'unico 
limite all'esercizio di detta giurisdizione in materia di estimazione semplice 
� quello fissato rispettivamente dal reddito dichiarato dal contribuente 
e da quello accertato dall'ufficio (2). 

Nel procedere alla determinazione del reddito con criteri anche 
diversi da quelli indicati dalle parti, la commissione pu� anche fare 
legittimamente ricorso al notorio (3). 

Il criterio seguito dall'ufficio per l'accertamento induttivo non � 
espressione di una volont�, tipica ed esclusiva dell'organo amministrativo, 
bens� uno strumento tecnico per il raggiungimento di un risultato, 
che esula dalla volont�, soggetto ad integrazione e modificazione da 
parte del giudice (4). 

La motivazione dell'accertamento con metodo induttivo � legittima 
quando il contribuente non abbia risposto esaurientemente al questionario 
inViiato dall'ufficio e non abbia fornito i dati necessari al controllo della 
completezza e veridioit� della dichiarazione (5). 

(omissis) Preliminare a quello degli altri motivi di ricorso � l'esame 
del secondo motivo, con cui si risolleva l'eccezione di illegittimit� costituzionale 
dell'art. 37, secondo comma, del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, 
questione che, se ritenuta rilevante e fondata, precluderebbe, allo stato, 
ogni altra indagine sul merito del ricorso, in quanto l'eventuale dichiarazione 
di illegittimit� costituzionale della norma comporterebbe la 
possibilit� del riesame di una eccezione di nullit� radicale degli accer


� ammesso che 1'acoertamento fosse suffiioientemente motivato e tale da mettere 
il ricorrente nella condizione di esercitare la sua difesa. 

La norma originaria dell'art. 37, capov. del t.u. delle imposte dirette aveva 
una �diversa ratio; poich� al tempo era consentito il c.d. ricorso inter�ruttivo 
(senza dedU2Jione di motiv~), <la prescrizione che la nuUit� dovesse essere eccepita 
� nel ricovso alla commissione di primo grado � stava a significare che 
l'eccezione non potesse essere eccepita successivamente, nemmeno in primo 
grado con� la memovia prima dell'udienza. Sul punto era nota una disputa dn 
giuvisprudenza che sd era per� conclusa con l'affermazfone che l'eccezione deve 
essere rsollevata non solo in primo grndo ma con dl rko11so introduttivo (Oass. 
3 dicembre 1970 n. 2527, rin questa Rassegna, 1971, I, 1115; 115 novembre 1973, 

n. 3040, ivi, 1974, I, 458). Attualmente J'art. 61 del d.P.R. n. 660/1973 disponendo 
che la nullit� deve essere eccepita in primo grado (re non con il ricorso alla 
commissdone di pl'imo grado) poteva riaprire la discussione; senonch� essendo 
stato elriminato il 11icorso interruttivo (nuovo testo dell'art. 15 del d.P.R.
1


PARTE I, SBZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTAR�A 585 

tamenti, che ne resterebbero completamente travolti, con conseguente 
superamento di ogni indagine di merito. 

Sul punto, questa Corte ritiene di dover confermare l'opinione 
espressa dalla sentenza impugnata, che ha ritenuto la questione manifestamente 
infondata, non potendosi ravvisare, nella decadenza sancita 
dalla norma in questione, un ostacolo serio all'esercizio delle facolt� di 
difesa del contribuente. 

In proposito va anzitutto evidenziato che, a seguito della riforma 
del contenzioso tributario e alla riconosciuta natura giurisdizionale delle 
commissioni tributarie, con conseguente applicazione al contenzioso tributario 
dei principi informatori del giudizio ordinario civile, bene � 
compatibile colla esplicazione del diritto di difesa, in genere, un principio 
che fissi un termine oltre il quale determinate questioni non possono 
pi� sottoporsi all'esame del giudice, principio, comunque, largamente 
applicato nell'ordinario rito civile, quanto alla proposizione di 
nuove domande, in forza dell'art. 184 cod. proc. civ., per cui non si vede 
perch� mai in sede tributaria il diritto di difesa dovrebbe essere maggiormente 
tutelato che non in sede ordinaria, consentendo la proposizione 
di nuove domande, fuori della formulazione dell'atto introduttivo 
del giudizio. 

N� pu� ritenersi, come sostiene la difesa dei ricorrenti, che il termine 
per eccepire la nullit� dell'avviso di accertamento impedisca, per 
la sua brevit�, l'esercizio della difesa, sia perch� per l'impugnativa 
dell'accertamento � concesso un termine uguale a quello concesso, per 
il rito ordinario, per il ricorso per cassazione e doppio di quello previsto 
per l'appello (termini, questi, la cui congruit�, ai fini costituzio


n. 636/,1972 modificato con il diP.R. 739/;1981) non .vi � dubbio che l'eccezione 
debba essere contenuta nel rkorso in prl.mo grado. 
La seconda, terza e quarta massima, in stretta concatenazione riconfermano 
e chianiscono il pensiero, ormai soMdissimo de1la S.C., sulla natura delraccertamento 
e la struttura del processo tributario.. Non. � nuova l'affermazione 
che il processo tributario non � di annullamento dell'atto amministrativo di 
accertamento (�in s� e per s��), ma di merito o di accertamento del rapporto 
tributario (fra le pi� recenti v. Cass. 19 aprile 1982 n. 2407, mquesta Rassegna, 
1982, I, 836 e l'importantissima delle Sez. Un. 5 marzo 1980 n. ;1471, ivi, 1981, 
I, 345 alla quale si affianca Corte Cost. ,1� �aprile ,1982, n. 63, ivi, I, 277). Importanti 
sono gli ulteriori corollari, eviden2'li:atd nella sentenza ora intervenuta, 
che ,al processo tributario sono estranei ,i pl1inc�pi propri del processo ammri� 
nistrativo dvi compresa � tutta la casistica sull'eccesso dd potere� e, parallela� 
mente, che oggetto del processo non � l'accertamento quale atto amministrativo 
discrezionale di cui debba essere verdfioat� da legittimit�; 

Ma dalla pronunzia emergono ulteriori conseguenze applicative. 
Il criterio seguito dall'ufficio nel procedere all'accertamento induttivo non 
� una mandfestazione di volont�, riservata esclusivamente all'organo ammini� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nali, non � mai stata posta in dubbio), sia perch� la difesa da esplicare, 
in concreto, � talmente semplice da non richiedere nessun ampio spazio 
di tempo per prepararla. 

Contrariamente a quanto rappresentato dai ricorrenti, invero, non si 
tratta di eccepire la nullit� dell'accertamento per difetto di motivazione 
(il che potrebbe, in ipotesi, comportare la necessit� di una indagine sul 
contenuto e sulla validit� della motivazione posta a sostegno dell'ac� 
certamento), bens�, pi� semplicemente, di formulare una eccezione me� 
ramente formale, quale quella attinente non al difetto di motivazione, 
ma unicamente alla mancanza di una motivazione �analitica�: difetto, 
questo, rilevabile �ictu oculi � e quindi facilmente ed immediatamente 
eccepibile e motivabile nello spazio di tempo a disposizione per ricor1.'
ere alle Commissioni tributarie. 

Nessun rilievo hanno poi gli elementi di contorno a sostegno dell'eccezione: 
non quello della non obbligatoriet� della difesa tecnica innanzi 
alle commissioni (sia perch� un argomento del genere prova troppo, 
essendo comunque necessaria una certa preparazione tecnica per quasi 
tutte le questioni sollevabili con un ricorso contro un accertamento, 
sia perch� la non obbligatoriet� di una difesa del genere non equivale al 
suo divieto, dipendendo dalla mera discrezionalit� del contribuente il 
farsi assistere o meno da un difensore); neppure quello della gravit� 
di preclusioni I�il un procedimento regolamentato d�l principio dell'inversione 
dell'onere della prova, argomento questo irrilevante nel caso 
di specie, in cui non ricorrono le condizioni di cui all'art. 118, 2� comma, 
e all'art. 121, 2� comma, del T.U. n. 645 del 1958. 

Ci� posto, e passando quindi all'esame del primo motivo di ricorso, 
va preliminarmente osservato che esso sottintende alcuni principi che 
non possono assolutamente condividersi, e cio�: che le commissioni 
tributarie siano giudici dell'accertamento in s� e per s�, e non piut


strativo, di fronte alla quale il giudice pu� soltanto verificare i requisiti di 
Jegittimit�, ma � semplicemente uno strumento tecnico per U raggiungimento 
del risultato di determinare il reddito, che pu� ,es,sere indagato nella sostanz�� 
dal giudice che, per raggiungere lo stesso risultato, pu� usare gU ,stessi mezzi 
e, se del caso, integrar.e o moddficare l'accertamento deH'uffioio seguendo anche 
diversi criteri. Non esiste dunque un diaframma tra l'atto di volont� dell'ufficio 
e di giudizio del giudice; l'oggetto e til fine del giudizio � quello stesso del P'J.'Oce� 
dimento di accertamento, ossia la determinazione, con effotto ,dichiarativo, 

del rapporto tributario. � 

La conclusione che ne discende � che il giudice, a1Ssumendo l'accertamento 
come semplice presupposto, determina '1'obblrigazione autonomamente, rivalutando 
le prove e, quanto a11a misura dell'estiroa2iione, stabilisce la base imponibile 
inddpendentemente da quanto statuito dall'ufficio con il limite, ovviamente, 
del principio della domanda (art. 112 c.p.c.) rappresentato per un verso 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 587 

tosto, come lo sono, giudici della fondatezza, anche quanto alla congruit�, 
della pretesa tributaria (sul punto, esattamente l'amministrazione 
resistente osserva che si � in presenza non di una giurisdizione 
di annullamento, ma di una giurisdizione di merito, il che comporta, 
va aggiunto, che l'unico limite all'esercizio di detta giurisdizione, in 
materia di estimazione semplice, � quello fissato, in applicazione dell'art. 
112 c.p.c., rispettivamente dal reddito dichiarato dal contribuente 
e da quello accertato dall'Ufficio, e in questi limiti il giudice tributario 
ben pu� dare alla pretesa tributaria un contenuto quantitativo diverso 
da quello sostenuto dalle parti contendenti); che il ricorso, da parte 
delle commissioni tributarie, a determinati criteri per la quantificazione 
del reddito, eventualmente diversi da quelli indicati dalle parti, costituisca 
attivit� amministrativa di nuovo accertamento, e non piuttosto, 
come �, esercizio dei poteri propri, in questioni di semplice valutazione, 
di ogni giudice al pari, ad es., di quelli propri del giudice ordinario 
in materia di determinazione del contenuto di un obbligo di 
valore; che m ogni caso in cui il giudice tributario faccia ricorso a 
diversi criteri di valutazione si abbia una violazione dell'art. 115 c.p.c., 
il che invece avviene solo quando il giudice si serva di elementi di 
� prova � non forniti. dalle parti, non anche quando, ad es., faccia ricorso 
al concetto di � notorio �, espressamente consentito come elemento di 
giudizio dal secondo comma del medesimo art. 115; che l'indicazione 
del criterio seguito dall'Ufficio per un accertamento induttivo costituisca 
espressione di una � volont� � tipica dell'organo amministrativo, non 
integrabile n� modificabile dal giudice, o non costituisca piuttosto, detto 
criterio, nient'altro che uno strumento tecnico per il raggiungimento di 
un risultato, strumento che esula dal campo della volont�, la quale � 
sempre, qualunque sia il metodo adottato per quanti.ficame gli effetti, 
quella pura e semplice di assoggettare il contribuente ad una maggiore 

dall'accertamento dell'ufficio e per fa:ltro ver�so dalla dichial'azione del contribuente, 
anzi, occom:e precisare, da.I r.icovso dntroduttivo che pu� ben essere 
limitativo rispetto alla dkhiaraziione. Nel far ci� dii giudice non esegue un 
nuovo accertamento, ma semplicemente decide la controversia sul diritto soggettdvo. 
Per questa parte la pronunzia si affianoa all'altra recentissima 26 marzo 
1984, n. 1994, in questo fascicolo pag. 553. 

~ poi evidente che il giudice nell'emettere la sua pronunzia di merito valuta 
tutte le prove, ne assume .se occorra di nuove e si avvale legittimamente del 
notorio. Si pu� anzi ossennare che sul piano della valutazione estimativ�a dl 
notorio del quale il giudice si avvale, :specie nell'accertamento induttiivo, per 
stabilire parametri di redditivit�, indici di riferimento ecc., non attiene tanto 
a!lla prova, ma piuttosto ad una esperienza tecnica che ila commissione, quale 
giudice 1specia1izzato, deve possedere e che non si confonde con la scienza 
propria. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

imposlZlone; che agli atti di accertamento, in un campo, quale quello 
tributario, strettamente ed esclusivamente disciplinato dalla legge, in 
quanto attinente alla tutela di diritti soggettivi, possano applicarsi 
principi, ivi compresa tutta la casistica sull'eccesso di potere, propri 
degli atti amministrativi discrezionali. 

In forza di quanto qui chiarito, � da riconoscersi corretta, quanto 
meno nel suo dispositivo; il che � ci� che rileva in questa sede (art. 384, 
secondo comma, c.p.c.), la sentenza impugnata, che ha riconosciuto legittima 
la quantificazione dei redditi effettuata dalla Commissione di secondo 
grado, sul cui operato la Corte di Appello non aveva pieno potere 
di controllo di merito, dovendo limitare il proprio esame solo a questioni 
di legittimit�, dati i limiti imposti dall'art. 40, primo comma, 
del d.P.R. n. 636 del 1972. 

Ed invero, le critiche sollevate sul punto dai ricorrenti possono 
essere facilmente superate, osservando che, in mancanza di un accertamento 
analiticamente motivato (ossia privo dell'indicazione del calcolo 
iin base al quale, partendo da certi dati -ricavi lordi, unit� lavorative 
impiegate, ecc. -l'Ufficio era giunto alla determinazione di un 
certo reddito netto) la Commissione tributaria, dovendo verificare la 
congruit� o meno dell'accertamento (che essa Commissione ben poteva 
ridurre, sia pure in misura superiore al reddito dichiarato, essendo, 
come gi� detto, giudice del merito della congruit� della pretesa tributaria, 
non solo giudice della validit� o meno dell'accertamento, potendo 
questo essere modificato quanto al suo contenuto), ben poteva effettuare 
un proprio calcolo, servendosi di un criterio largamente diffuso e della 
notoriet� di determinati indici di redditivit�. N� in ci� essa poteva trovare 
limiti nella motivazione dell'avviso di accertamento, il quale doveva 
comunque, non potendo esser~ dichiarato illegittimo per la preclusione 
di cui all'art. 37 del T.U. del 1958, essere esaminato criticamente, 
servendosi di tutti i mezzi a disposizione del giudice (come in precedenza 
chiarito): il che non significava introdurre nella controversia 
nuovi elementi di fatto n� tantomeno nuove ((prove�, essendo l'indice 
di redditivit� stato applicato ai dati di fatto gi� esistenti in atti ed 
indicati, seppur non analiticamente quantificati, nell'avviso di accertamento. 
Si tratt� pertanto, in un certo senso, di una operazione di controllo 
della congruit� dell'accertamento, operazione che comunque non 
port� ad una conferma del reddito accertato, ma ad una sensibilissima 
riduzione della pretesa tributaria (aumento medio, come risulta dai dati 
indicati nel ricorso, del 30 % del reddito dichiarato di fronte ad un 
aumento, nell'accertamento, di oltre il 100 %), e ad una conferma integrale 
di una delle decisioni di primo grado e ad un modestissimo 
aumento del reddito accertato dalle altre, che erano giunte al risultato 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 589 

di aumentare i redditi dichiarati in misura molto minore di quella 
pretesa dall'Ufficio in base a criteri di valutazione diversi da quelli 
adottati in secondo grado: il che conferma la validit� del ricorso all'elemento 
del �notorio�, ricorso pienamente consentito dall'art. 115 c.p.c. 
(applicabile nel giudizio innanzi alle Commissioni a sensi dell'art. 39 del 

d.P.R. n. 636 del 1972). 
Un simile procedimento, che non costituiva � nuovo accertamento �, 
ma unicamente quantificazione -diversa da quella effettuata dall'Ufficio 
-della pretesa tributaria, e che ben rientrava, per quanto fin qui 
chiarito, nei limiti dei poteri della Commissione, bene � stato rkonosciut� 
legittimo nella sentenza impugnata, anche se � irrilevante l'affermazione, 
contenuta nella sua motivazione (che in questa sede � stata 
integrata e completata a sensi del secondo comma dell'art. 384 c.p.c.), 
sulla presunzione del ricorso, anche da parte dell'Ufficio accertatore, al 
criterio dell'indice medio di redditivit�, affermazione che non inficia la 
legittimit� sostanziale del dispositivo della sentenza impugnata. 

E passando all'esame del terzo motivo di ricorso, va riconosciuto 
che esattamente la sentenza impugnata ha affermato la legittimit� del 
ricorso, da parte dell'Ufficio, al metodo di accertamento induttivo. 

Premesso che in questa sede non possono prendersi in considerazione 
tutti i rilievi in fatto, contenuti nel ricorso e nella successiva 
memoria, relativi ai risultati di una ispezione compiuta dalla Polizia 
Tributaria, e che nemmeno rilievi del genere potevano essere valutati 
dalla Corte di Appello, per i limiti imposti al suo giudizio dal primo 
comma dell'art. 40 del d.P.R. n. 636 del 1972 (n� comunque risulta, dall'esposizione 
dei motivi di appello -contenuta nella sentenza impugnata 
e nelle pag. 8 e 9 del ricorso qui proposto -:-che dette questioni 
siano state sottoposte specificamente a sostegno dell'atto di appello), 
va anzitutto disattesa la parte del motivo di ricorso con cui si denunzia 
omesso esame di un punto decisivo, quali sarebbero appunto le risultanze 
della suddetta ispezione della Guardia di Finanza, trattandosi di 
questioni di fatto su cui la Corte non poteva portare il proprio esame. 

Per il resto, e in punto di mera legittimit�, non sussiste, nella sentenza 
impugnata, violazione o falsa applicazione degli artt. 117 e 118 
del T.U. n. 645 del 1958, essendo stato correttamente riconosciuto legittimo 
il ricorso, da parte dell'Ufficio, all'accertamento induttivo. Esclusa 
invero l'applicabilit� dell'art. 118 (invocato a torto dai ricorrenti, in 
quanto esso prevede il caso di mancata tenuta dei libri obbligatori o 
la mancata esibizione di essi, ipotesi questa che non ricorre nel caso 
di specie), va osservato che, ai sensi dell'art. 117, l'accertamento deve 
essere effettuato analiticamente solo nel caso in cui il contribuente 
�abbia fornito tutti i dati ed esibito tutti i libri, scritture e documenti 
necessari per il controllo della completezza e veridicit� della dichiara



RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

zione �: il che, come la Corte di Appello ha correttamente affermato, 
non si era verificato nel caso di specie, non avendo i contribuenti, come 
� pacifico, risposto esaurientemente al questionario inviato dall'Ufficio 
e non avendo fornito i dati relativi alle giacenze e agli ammortamenti. 

Correttamente la sentenza impugnata ha quindi riconosciuto che un 
tale comportamento giustificava il ricorso all'accertamento induttivo, 
evidenziando la rilevanza, in astratto, dei dati di cui sopra ai fini di 
un controllo della veridicit� della dichiarazione, ed aggiungendo altres� 
che erano stati accertati dati e fatti non indicati nelle dichiarazioni, 
quali l'acquisto di un rilevante quantitativo di legname e l'esercizio, 
per due delle annualit� in contestazione, di un'attivit� diversa da quella 
cantieristica, ed a questa secondaria e sussidiaria, quale il commercio 
di legna da ardere. Non ha alcuna rilevanza, sul punto, quanto sostenuto 
dai ricorrenti circa l'esiguit� dei dati suddetti, la cui entit� non 
poteva certo essere valutata dall'Ufficio al momento. in cui ne rilev� la 
mancata indica2li.one (che da sola bastava al ricorso all'accertamento 
induttivo); l'incidenza o meno di detti dati ai fini della rettifica in 
aumento della dichiarazione attiene, invero, non alla legittimit� del metodo 
usato, ma alla congruit� dell'accertamento effettuato, e sotto tale 
secondo profilo va osservato che in concreto, come innanzi gi� evidenziato, 
la rettifica in aumento, apportata dalle Commissioni Tributarie, 
fu di molto inferiore a quella effettuata dall'Ufficio, giungendosi cos� 
allo stesso risultato cui si sarebbe pervenuti se si fosse analiticamente 
corretta solo in parte la dichiarazione (metodo, questo, che a torto, 
per quanto gi� detto, i ricorrenti indicano come l'unico cui si potesse 
far ricorso nel caso di specie). 

Il rigetto dei motivi fin qui esaminati comporta anche il rigetto 
del quarto e del quinto motivo di ricorso; il primo di questi, infatti, 
ripropone, come risulta dall'esposizione fattane in narrativa, sotto diverso 
profilo, la stessa questione sollevata col primo motivo di ricorso; 
quanto all'ultimo motivo, premesso che una contradittoriet� -di motivazione 
� denunciabile in questa sede, a sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., 
solo in relazione all'omesso esame di un punto di fatto decisivo, va 
comunque osservato che i ricorrenti erroneamente pongono a confronto, 
per trarne una denunzia di contraddittoriet� (che, esclusa l'ipotesi dell'art. 
360 n. 5, ben pu� comunque trovare rimedio in questa sede a sensi 
dell'art. 384, secondo comma, c.p.c.), due parti della motivazione che 
trattano questioni diverse e quindi non comparabili, una. attinente alla 
illegittimit� formale della mancata motivazione analitica dell'accertamento, 
l'altra al presupposto della indicazione (non omessa, ma al massimo 
non completa) di elementi di fatto necessari per il controllo della 
sua congruit�, per cui la denunzia � del tutto infondata. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA S91 

COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE, Sez. VIII, 28 aprile 1983, 

n. 579 -Pres. Angeloni -Rel. Sinopoli. 
Tributi erariali diretti � IRPEF � Reddito d'impresa � Plusvalenza o mi� 

nusvalenza � Valore del bene cui si riferisce � Parametro del � valore 

normale� � Utilizzabilit�. 

Nell'accertamento del reddito d'impresa, l'ufficio legittimamente utilizza 
il parametro del � valore normale � del bene di cui una plusvalenza 

o minusvalenza si riferisce. (1) 
(omissis) L'anzidetto difetto (di motivazione della decisione impu� 
gnata) appare presente riguardo alla valutabilit� della minusvalenza 
dichiarata dal contribuente e derivante dall'alienazione di un camion, 
argomento riguardo al quale viene offerta l'unica motivazione che l'Uffi� 
cio finanz:iario non avrebbe titolo a sindacare i modi in cui si � esplicata 
l'autonomia negoziale del contribuente. 

Sembra al contrario alla Sezione, sulla base delle disposizioni di 
cui al titolo quarto del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed in particolare 

(1) La pronuncia merita di essere segnalata perch� afferma un princ1p10 
di notevole importanza. Come noto, l'iart. 54, comma secondo, d.P.R. n. 597 
del 1973 (il successivo art. 57 lett. e) ad esso rinvia) parla di � maggior valore 
realizzato�. 
� indubbio che (cfr. ranche art. 43, secondo comma, d.P.R. anzidetto) l'uffi. 
cio delle imposte non � tenuto ad assumere come vecit� insindacabile il prezzo 
di cessione (o di 1acquisto) ddchiarato dal cont11ibuente e relativo al bene cui 
la plusvalenza o minusvalenza �Si rifer~sce. Il punto � se l'ufficio, per procedere 
a � rettifica� della posta conseguente (previa sostituzione del prezw dichiarato 
con altro ritenuto effettivo), possa utilizzare lo strumento del valore normale 

(nella specie, risultante da mercuriali) o debba invece fornire prova puntuale 
(e... ddabolica) dell'occultamento �dd parte del prezzo. 

H milieu dci giustributaristi privati reclamizza da ddeci anni una tesi, che 
in pvatica condurrebbe a tmsformare 1a cosiddetta � presunzione dd verit�� 
dei conti profitti e perdite dn un grande cappello, iatto a coprire anche i fatti 
e contratti � a monte� dei conti: �si vorrebbe, in sostanza, che tutte le � !inibiZlioni 
� all'attivit� 1istruttoma degli uffici contenute nell"art. 39 d.P.R. n. 600 del 
1973 (e nel precedente art. 32) debbano operare anche nel senso di circoscrivere 
le possibi1it� di ricostruire induttivamente (cio� mediante dndizd) �l'effettivo 
contenuto dei contratti privati (e si tratta sovente non solo di camion, ma di 
pacchetti azionari, di royalties, etc.). Trattasi di tesi che -ove venisse seguita 
(ed in parte lo �, molto intenso essendo dl � favaggio� del cervello� compiuto 1sui 
fiunzionari del fisco) -consentirebbe agli imprenditori di portare a compimento 
la � lunga marcia� verso una auto-determinazione pressoch� insindacabile dei 
propri redditi imponibili. 

La Commissione centrale, nella pronuncia che si segnala, ritiene utilizza� 
bile lo strumento del � valore normale�, strumento -\Slia detto per inciso poco 
amato daii molti giuristi che si affannano a ridurre sempre pi� quella 

u 



592 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

degli artt. 37, 38 e 39 dello stesso decreto, che sia preciso dovere degli 
Uffici finanziari accertare ogni ipotesi in cui possa apparire l'inesistenza 
di passivit� dichiarate, tanto pi� che ai fini dell'accertamento delle minusvalenze, 
come pure delle plusvalenze, deve tenersi conto, ex artt. 57 
e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, del minore o maggiore �valore
� del bene oggetto della cessione. E nella fattispecie, trattandosi 
dell'alienazione di un camion con rimorchio, trasformato in cisterna ed 
adibito a trasporti internazionali, acquistato nell'anno 1973 al prezzo 
di lire 20.700.100, che risulta essere stato alienato l'anno successivo al 
prezzo di lire 8.500.000, non potevano i giudici di merito ignorare del 
tutto la rilevante circostanza che il prezzo anzidetto si allontanava di 
molto dal valore dell'automezzo quale indicato dai listini dei prezzi 

� valutazione estimativa� che non possono sindacare. Ed in effetti un cospicuo 

ed evidente scostamento dal � valore normale� � di per s� indizio sufficiente 

di infedelt� del contribuente, cui al pi� potrebbe concedersi la facolt� di pro


v:are -egli e non il fisco -che lo scostamento � giustificato da partiicolari 

circostanze. 

Una di:sposizione di legge che recepisse la decisione in �rassegna dovrebbe 

avere grosso modo ;il seguente testo: 

� I corrispettivi de1la cessione di beni, comprese le quote azioni ed altri 

diritti di partecipazione in societ� enti ed organizzazioni, e della prestazione di 

servizi si presumono non inferiori �al valore normale dei beni o serv:izli medesimi, 

risultante in modo certo da opera2Ji.oD!i omogenee, ,se il contribuente non prova 

i fatti o le circostanze che hanno giustif�icato corrispettivi dnferiori; si conside


rano omogenee le operazioni che hanno per oggetto beni o servim del medesi


mo tipo e qualit� e �sono effettuate dn situazioni di tempo e di luogo contigue. 
� I.;a disposizione contenuta nel presente comma non sd appliica nei procedimentd 
penali�. 
Non sarebbe male che il'dndicazione proveniente dalla Commissione centrale 
ventisse inserita nell'ipotizzato testo unico che dovrebbe sostituire il d.P.R. 

n. 600 del 11973; l'auspicio � per� probabilmente ottimdstico. Comunque, la disposizione 
ipotizzata fornirebbe solo un umle chiarimento, a livello d'interpretaz�.
one autentica. Meno efficacemente qualche risultato nella stessa direziione 
potrebbe essere prodotto da istruzioni ministeriali le quali precisassero che: 
1) nelle istruttorie fiscali per l'imposizione sui redditi, i corrispettiiVli 
indicati in fissati bollati, fatture pur formalmente regolari, ed altri scritti 
similari formati dai privati non rilevano come indizi a favore di chi J:i ha posti 
(o ha contribuito a porli) tin essere, non sono assistiti da alcuna �presunzione 
di verit��, non entrano in alcun modo nel giudizio (non di rado complesso) 
di valutazione del materiale indimartio; la forma documentale del conto profiittd 
e perdite, ed dl I1ilievo ad es.so dato dall'articolo 52 del d.P.R. n. 597 del 1973, 
non possono costituire �copertura� per tutto ci� che rimane � a monte" di 
detto �conto, non possono essere invooati per sostenere il sussistere di speciali 
oneri probatori a carico d@l fisco; 

2) gli uffici II.DD. possono 'sttimare l'entit� dei corrispettivi ottenuti per 
l'alienazione dei beD!i (compresi le partecipazioni e i diritti d.i opzione) tenendo 
conto -quando pos�sibile -anche dei � prezzi fattii � per gli stessi beni ovvero 
per beni � omogenei� nel corso dell'esercizio o in esercizio � �adiacente"� ante


l

riore o posteriore; ovvdaa:nente altrettanto deve dirsi per Je prestazioni di servim. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

all'epoca vigente (lire 16.500.000). Occorreva pertanto al riguardo adeguata 
motivazione, che nella fattispecie � mancata. Non potendosi d'altra parte 
presupporre -in alternativa alla contraria ipotesi -comportamenti 
del contribuente non conformi ai suoi interessi economici, sembra legittimo 
affermare che la vendita sia avvenuta a prezzo non inferiore a 
quello medio di mercato; corrente per beni similari al momento della 
vendita medesima. 

Ben avrebbe potuto il contribuente far valere le particolari circostanze, 
concrete e verificabili, a causa delle quali quanto precede non 
sarebbe avvenuto, ma ci� egli non ha fatto, avendo solo controdedotto 
in termini generici ed astratti, e senza fornire alcuna prova. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4049 -Pres. Santosuosso 
-Est. Di Salvo -P. M. Iannelli (diff.) -Sincies Chiementin e C. 
(avv. Nicol� e Vacchelli) c. Anas (Avv. Stato Del Greco). 

Appalto � Sopravvenute difficolt� di esecuzione � Cause non previste. 
(Cod. civ., art. 1664, secondo comma). 

Appalto � Sopravvenute difficolt� di esecuzione � Notevole maggiore onerosit� 
� Della prestazione e non di singoli lavori. 
(Cod. civ., art. 1664, secondo comma). 

Sono da considerare non previste dalle parti, ai fini dell'applicazione . 
dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ., le cause che esse abbiano previsto 
di non incontrare o escluso di incontrare. Dovendosi fare riferimento 
alla rappresentazione che ambedue le parti si siano fatte del 
contenuto contrattuale, nel caso sia da escludere che il committente 
abbia preveduto l'insorgere della causa di maggiore difficolt�, per sta� 
bilire se essa sia stata preveduta o fosse prevedibile dall'appaltatore va 
ricercato se egli potesse, senza tenere con ci� un comportamento negligente, 
fare affidamento nella completezza ed esattezza dei dati forniti 
dallo stesso committente. (1) 

L'incidenza del rischio sulla difficolt� dell'opera � commisurata dal� 
l'art. 1664, secondo comma, cod. civ. all'intera prestazione dell'appalta� 
tor e e non ai lavori in cui viene a manifestarsi n� rileva che il corrispettivo 
ne sia determinato dal contratto separatamente dagli altri (a 
corpo, e non a misura). (2) 

(.1) La decisione segue l'ordine di idee esposto da RUBINO, L'appalto, Torino 
1980, IV ed. con note di E. Moscati, pag. 731 ss. 
Sul punto cfr. CAGNASSO, Appalto e sopravvenienza contrattuale, Milano, 
1979, pag. 93 ss. e Ul. 

(2) La massima applica ad un caso di specie un principio costantemente 
affermato: sul punto cfr. Trib. Roma, 10 �settembre .1982 dn Arch. giur. op. 
pubbl. 1983, Il, 405; App. Roma 6 ottobre 1980 e Trib. Roma 30 settembre 1977, 
in questa Rassegna 11981, I, .134 e 133; Lodo arb. 27 marzo 1979 n. 21 in 
Arch. Giur. op. pubbl. 1979, III, 1117; Cass..18 febbraio 1972 n. 434 in Foro it. Rep. 
1972, opere pubbliche, H8. 
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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 595 

(omissis) 1) Con il primo motivo la ricorrente (denunciando violazione 
e falsa applicazione d�i princ�pi vigenti in tema di onerosit� e 
difficolt� dell'esecuzione dell'opera da parte dell'appaltatore, dell'art. 1664, 
secondo comma, cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., 
nonch� omissione, insufficienza e contraddittoriet� della motivazione in 
relazione all'art. 360, nn. 3, 4, 5, cod. proc. civ.) sostiene che, a seguito 
del bando emesso dall'A.N.A.S. per l'appalto-concorso relativo alla esecuzione 
dei lavori di costruzione del lotto II, tronco IV, dell'autostrada 
Salerno-Reggio Calabria, nei quali erano compresi la progettazione esecutiva 
e la costruzione. dei due viadotti rispettivamente attraversanti i 
valloni del Rago e del Caballa, fu prescelto il progetto presentato da 
essa ricorrente; che il contratto successivamente stipulato riguardava, 
oltre la costruzione dei due suddetti viadotti, anche lavori stradali per 
cui esso, pur essendo documentalmente unico, si configurava in effetti 
come un contratto plurimo oggettivamente ed economicamente, dando 
cos� luogo ad un appalto-concorso con sistema misto: a forfait per la 
costruzione dei viadotti Rago e Caballa, per i quali il prezzo era stato 
stabilito a corpo; ed a misura per gli altri lavori stradali; che la controversia 
ora in esame concerne unicamente le questioni sorte relativamente 
ai maggiori lavori richiesti per la costruzione del viadotto sul 
Vallone Rago, con particolare riferimento ai lavori (scavi) di sbancamento 
che hanno preceduto le opere di fondazione vere e proprie. 

Premesse tali considerazioni il ricorrente critica la sentenza della 
Corte di Appello di Roma per avere ritenuto inapplicabile il diritto 
all'equo compenso previsto dall'art. 1664, secondo comma, cod. civ. affermando 
che il maggior quantitativo di scavi di sbancamento aveva preceduto 
e non seguito la sorpresa geologica, la quale aveva imposto maggiori 
oneri soltanto per i successivi lavori di fondazione. Censura in 
particolare, l'affermazione secondo cui, per l'applicabilit� dell'art. 1664, 
secondo comma, cod. civ., occorrerebbe l'ulteriore presupposto dell'imprevedibilit� 
della circostanza, causa o fatto sopravvenuti da cui � derivata 
la notevole maggiore onerosit� della prestazione, e l'affermazione 
secondo cui l'impresa era stata negligente nella predisposizione degli 
opportuni meccanismi istituzionali. 

2) In ordine a tali censure osserva il collegio che gli eventi previsti 
dall'art. 1664 sono tali da rendere pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore, 
pur senza modificare l'opera oggetto del contratto, per cui il committente 
consegue esattamente il risultato pattuito. 

La norma ha, quindi, carattere equitativo ed eccezionale perch� 

tende a riequilibrare il rapporto sinallagmatico tra le prestazioni delle 

due parti. Il primo comma condiziona la rilevanza dell'aumento o della 

diminuzione nel costo dei materiali o della mano d'opera ai presupposti 

che tali fenomeni siano effetto di circostanze imprevedibili e che le va



596 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

riazioni abbiano superato il decimo del prezzo complessivo convenuto. 
Il secondo comma prevede, invece, il manifestarsi di difficolt� di esecuzione 
aventi la propria origine in � cause geologiche idriche e simili � 
e pone come presupposti necessariamente ricorrenti per la loro rilevanza 
che tali cause non siano state previste dalle parti e che abbiano 
reso notevolmente pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore. 

Le due ipotesi descritte hanno, quindi, diversa natura, presupposti 
diversi, conseguenze materiali diverse, ed effetti diversi, in quanto, nel 
primo caso, deve procedersi alla revisione del prezzo, mentre nel secondo 
l'appaltatore ha diritto ad un � equo compenso �; l'ulteriore differenza 
� costituita dalla circostanza che il primo comma conferisce il 
diritto di revisione del prezzo ad entrambe le parti, mentre il secondo 
comma lo conferisce solo all'appaltatore. 

Per quanto attiene al requisito della prevedibilit� delle cause che 
hanno determinato la maggiore onerosit� e difficolt� della esecuzione 
delle opere, i due commi dell'art. 1664 usano due espressioni diverse. 
Infatti, mentre il primo comma esige l'imprevedibilit�; il secondo comma 
richiede che tali cause non siano state � previste � dalle parti. 

Questa differente terminologia (diversa anche da quella adottata 
nell'art. 1467 cod. civ., che parla di avvenimenti straordinari ed imprevedibili) 
ha dato luogo a notevoli difficolt� interpretative. 

Occorre anzitutto considerare che l'imprevedibilit� della sorpresa 
geologica non pu� essere considerata un concetto assoluto ed universale; 
essa, infatti, non pu� risultare tale ad ogni soggetto, sia pure 
dotato di adeguata professionalit� e fornito dei mezzi di indagine pi� 
adeguati; la imprevedibilit�, pertanto, deve concretarsi nella ragionevole 
supposizione da parte di tali soggetti che, in base all'id quod plerumque 
accidit, tali difficolt� non si sarebbero verificate. 

NeWinterpretazione della norma si sono delineati in dottrina due 
distinti indirizzi; il primo di essi -che � stato recepito dalla sentenza 
impugnata -ritiene che tali espressioni ( � imprevedibili � -� non previste
�) abbiano contenuto e significato diversi, in quanto la imprevedibilit� 
si risolve nella impossibilit� di previsione e, poich� essa prescinde 
dalla concreta rappresentazione delle parti, ha carattere obiettivo, pur 
dovendo essere rapportata alla qualit� dei contraenti, alla natura dell'attivit� 
che abitualmente esercitano, alla diligenza ed alla perizia normali, 
nonch� alle singole circostanze del caso concreto; le cause non 
previste, invece, escludono dal rischio a carico dell'appaltatore le difficolt� 
derivanti da una causa che, pur essendo astrattamente prevedibile, 
sia stata nel caso concreto effettivamente non prevista e, quindi, assolutamente 
estranea alla rappresentazione delle parti. 

Altri autori ritengono, invece, che, malgrado la diversit� letterale, 
le due espressioni contengano lo stesso concetto, in quanto, in ogni caso, 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 597 

� richiesto che la causa naturale, oltre a non essere stata in concreto 
prevista, per la sua stessa natura non fosse prevedibile. 

La differenza concettuale fra le due tesi, certamente rilevante, si 
stempera, tuttavia, nella realt�, ove si accerti che una causa naturale, 
in astratto imprevedibile con l'adozione di determinati criteri, sia stata 
in concreto prevista dall'appaltatore; � ovvio che in questo caso nessun 
compenso potrebbe essergli riconosciuto; � appena il caso di chiarire 
che a questo fine non sarebbe rilevante la previsione effettiva da parte 
del committente di una causa imprevedibile e non nota all'altra parte, 
perch� in .tal caso la sua responsabilit� nascerebbe non dal secondo 
comma dell'art. 1664 cod. civ., ma dall'art. 1337 cod. civ. per un comportamento 
contrattuale non ispirato al principio della buona fede. 

Ove poi entrambe le parti non avessero previsto il verificarsi di 
una causa di maggiore onerosit� ed, in particolare, il committente, malgrado 
il progetto fornito . e gli studi geologici effettuati, non l'avesse 
accertata, non potrebbe non ritenersi che essa non fosse anche imprevedibile 
e non potrebbe, quindi, negarsi il diritto all'equo compenso 
previsto per riequilibrare l'onere delle prestazioni in base al principio 
dell'affidamento, perch�, in tal caso, l'appaltatore, confidando nella completezza 
e nella esattezza dei dati fornitigli, potrebbe essere stato indotto 
ad omettere pi� accurate indagini preventive, particolarmente in una 
situazione, come quella in esame, nella quale -come � pacifico -i 
luoghi sui quali dovevano essere compiuti i sondaggi erano accessibili 
solo superando notevolissime difficolt�. 

Pertanto, dovendosi fare necessariamente riferimento alla rappresentazione 
che entrambe le parti si siano fatte del contenuto contrattuale, 
occorre ritenere che se esse avevano previsto che non si sarebbe incontrata 
una causa di maggiore difficolt� -ovvero, a fortiori, se esse l'avevano 
esclusa -l'appaltatore ha diritto all'equo compenso. Appare, quindi, 
necessario esaminare attentamente la rappresentazione che le parti si 
erano formata dei lavori da eseguire attraverso l'esame analitico delle 
clausole contrattuali, la consulenza tecnica ed ogni altro elemento di 
prova acquisito al processo. 

3) Nel caso in esame la sentenza impugnata non ha effettuato un 

esame completo della relazione del consulente tecnico ed, al fine di 

accertare se la natura friabile della roccia fosse prevedibile, non ha 

dato adeguata motivazione in ordine alla rilevanza delle indagini geo


logiche preliminari -effettuate, malgrado le difficolt� di accesso nel 

luogo, con i pi� sofisticati mezzi d'indagine (aereofotogrammetrici, sonde 

leggere e di calibro limitato) -le quali portarono alla redazione di un 

progetto che, tenuto conto dei risultati delle ispezioni della Geosonda, 

fu approvato dalla commissione tecnica dell'A.N.A.S., nonch� dalla Com


missione giudicatrice nominata dal Ministero dei LL.PP.; atti questi do



e �� ~ 

598 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

I

tati di notevole rilevanza al fine di stabilire se vi sia stata negligenza 

i:
da parte dell'impresa appaltatrice ovvero per concludere che la vera 

~ 

natura del terreno, composto di roccia friabile, non poteva non emergere 
-come in effetti � avvenuto -soltanto dopo che la costruzione I{di 
una strada di servizio ha consentito agli escavatori di recarsi sul f: 
posto e di scoperchiare il cappellaccio che ricopriva la millenaria coltre 
rocciosa (p. 9-10 C.T.U.) ponendo in luce la fratturazione che risult� �pro


I 

seguire senza diminuzione di intensit� non solo fino alle quote stabilite 

I

per i piani di posa delle fondazioni, ma anche molto al di sotto di esse � 

(p. 11 C.T.U.). I 
La sentenza impugnata non ha tenuto conto, nell'esaminare il giudizio 
del C.T.U. secondo cui � se i progettisti avessero disposto, sin 

I

dall'inizio, delle informazioni tecniche reali circa la natura del terreno 8 
nel sottosuolo�, che la ragione della mancata acquisizione di tali noti-I 
zie era di natura obiettiva; di conseguenza ne ha tratto erroneamente 
un giudizio di negligenza da parte dell'impresa, non considerando che 

I 

~ 

anche gli organi tecnici dell'amministrazione non erano stati in grado ~ 
di intuire con esattezza l'esatta natura del suolo. ~ 
Definiti i principi che regolano l'incidenza del rischio della sorpresa 

!

geologica, sar� compito del giudice di rinvio accertare se essa si sia 

! 

verificata solo a totale apertura degli scavi di sbancamento e se l'entit� ~: 

i

di questi sia stata da essa causata, stabilendo, di conseguenza, se le 

~ 

cause geologiche hanno imposto maggiori oneri solo per i successivi 

! 

lavori di fondazione e non per gli scavi di sbancamento, cos� come ritef: 


f

nuto dalla sentenza impugnata; ovvero se, al contrario, la predetta sor~ 


!

presa geologica si sia vevificata nel momento iniziale degli scavi stessi 
determinando maggiori notevoli oneri non solo per i successivi lavori ' f: 
di fondazione, ma anche per il compimento degli scavi stessi, come sostiene 

I

la ricorrente. 
4) Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa 
applicazione delle norme dettate dal capitolato generale d'appalto per 

I 

le opere di competenza del Ministero dei LL.PP. (d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063) e dell'art. 1664, secondo comma, cod. civ., in relazione all'art. 360, 
I

n. 3, cod. proc. civ., nonch� omissione insufficienza e contraddittoriet� 
della motivazione in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc civ. 
I

Censura in particolare la sentenza della Corte di Appello di Roma 
per avere ritenuto che la maggiore onerosit� dei lavori dovesse essere 

I

rapportata, al fine di valutarne l'incidenza, all'intera prestazione dell'appaltatore, 
all'intero importo del contratto di appalto e non al prezzo 

I 

a corpo pattuito per il viadotto Rago; sostiene che, essendo il contratto i 
in questione, sin dal bando di concorso configurato a sistema misto, l 

' 

con distinzione delle opere a corpo rispetto a quelle a misura, esso si 
configura come un contratto di natura plurima nel quale i due tipi di 

I 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 599 

opere, diversamente retribuiti, debbono essere tenuti distinti non potendosi 
commisurare due elementi non omogenei, cio� un prezzo fisso 
ed un prezzo variabile. 

Questo motivo di impugnazione deve essere rigettato perch� infondato. 
Invero, la Corte di appello ha esattamente rilevato che l'incidenza 
del rischio sulla difficolt� dell'opera � commisurata dall'art. 1664, secondo 
comma, cod. civ., all'intera prestazione dell'appaltatore e che l'art. 14, 
sesto comma, del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (capitolato generale d'appalto 
per le opere di competenza del Ministero LL.PP.), stabilisce che 
l'importo del contratto � formato dalla somma risultante dall'aggiudicazione 
del contratto, aumentata di ogni altro importo per varianti, lavori 
suppletivi e degli altri compensi assegnati all'appaltatore in aggiunta 
al corrispettivo contrattuale escluse soltanto le variazioni dipendenti da 
revisione prezzi. Questa tesi, peraltro gi� affermata da questa Corte, 
che ha escluso il riferimento a singoli lavori anche nei casi in cui il 
corrispettivo dell'appalto sia a prezzi unitari (72/434), deve essere confermata 
anche nel caso in esame, non ostandovi la circostanza che il 
contratto comprenda sia opere il cui compenso � stabilito a corpo, sia 
opere in cui esso � stabilito a misura. Quando il contratto d'appalto � 
obiettivamente e formalmente unico, il diverso criterio di commisurazione 
della controprestazione non � idoneo a scinderlo in una pluralit� 
di contratti contenuti in un unico documento. La ratio della norma 
citata conferma l'indicata interpretazione letterale perch�, come si � gi� 
detto, l'art. 1664 cod. civ. ha un contenuto equitativo, in deroga al principio 
della immutabilit� del corrispettivo, che � stabilito con criteri tali 
da assicurare un guadagno complessivo dell'imprenditore e da assicurare 
la compensazione anche nei casi in cui un singolo lavoro dovesse risul


tare produttivo di un modesto guadagno o addirittura effettuato in 

perdita; non �, quindi, consentito dare alla predetta norma un'interpre


tazione estensiva. 

Infatti, fino ad un certo limite, l'aumento del costo rientra nell'alea 

normale del contratto, e quindi, deve restare a carico dell'appaltatore; 

il secondo comma dell'art. 1664 esige, per la corresponsione del com


penso suppletivo, che la prestazione sia divenuta � notevolmente pi� 

onerosa�, formula che si differenzia da quella adottata dell'art. 1467; 

in ogni caso richiede un onere di una certa consistenza, con necessaria 

valutazione complessiva e non limitata a singole parti della prestazione 

convenuta. Ed, invero, si ripete, alla maggiore onerosit� di singole parti 

dell'opera pu� corrispondere una sopravvenuta maggiore economicit� 

d'altre parti, determinando una compensazione per cui, a seguito di 

una valutazione complessiva dell'economia del contratto, pu� restare 

esclusa la maggiore onerosit� dell'intera prestazione. In realt�, anche se 

la norma esclude che il committente possa chiedere una riduzione del 


600 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 
prezzo pattuito in conseguenza di una onerosit� dei lavori inferiore a I 
quella pattuita, non � impossibile che tale circostanza possa essere fatta 
valere al pi� limitato effetto di escludere o di ridurre il compenso suppletivo; 
anche questo effetto costituisce un'applicazione del principio 
secondo cui i contratti debbono essere eseguiti in buona fede (art. 1375 

I

cod. civ.). 

Comunque, � da ribadire che la norma di cui all'art. 1664, secondo 
comma, cod. civ., non tende ad una integrale reintegrazione del pregiudizio 
economico sub�to dall'appaltatore, perch� in tal caso non sarebbe 
pi� un equo compenso ma un integrale risarcimento dei danni; il che 
conferma che il criterio di commisurazione deve essere riferito all'intera 
prestazione e non a singole parti di essa. 

La sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo, deve 
essere cassata e rimessa, per l'ulteriore esame, ad altra sezione della 
Corte di Appello di Roma che si atterr� ai princ�pi sopra enunciati e 
provveder� anche in ordine alle spese di questo grado del giudizio. 

(omissis) 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. III, 19 maggio 1984, n. 771 -

Pres. De Martino -Rel. Battimelli -Rie. Ministero delle Finanze 

(avv. Stato Bruni) -Imp. Lotze Richard. 

Reato -Reati doganali -Contrabbando -Art. 216 t.u. 23 gennaio 1973 

n. 43 -Importazione temporanea di imbarcazione da diporto straniera 
-Stazionamento in acque italiane per oltre un anno pur con frequenti 
crociere all'estero -Violazione della Convenzione di Ginevra 
18 maggio 1956 resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961 
n. 1553 � Sussistenza del reato di illecito beneficio del regime di temporanea 
importazione. 
L'art. 216 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (T.U. della legge doganale) 
si applica a tutte le imbarcazioni da diporto,� siano esse iscritte o meno 
in registri e battano o meno bandiera straniera, e la loro destinazione 
al consumo interno si verifica non solo quando esse vengono iscritte 
nelle matricole dei compartimenti italiani, ma anche quando siano di 
fatto destinate al consumo per uso commerciale che di esse faccia il 
proprietario, o quando sia stato superato il termine massimo di un anno 
ammesso per la loro temporanea importazione, pur se uscite frequentemente 
dalle acque territoriali. La normativa si applica anche alle imbarcazioni 
battenti bandiera di Stati che non hanno firmato la convenzione 
di Ginevra del 18 maggio 1956, resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 
1961, n. 1553, e quindi anche alle imbarcazioni battenti bandiera 
degli Stati Uniti d'America. (1). 

(omissis) Il 13 luglio 1978, la Guardia di Finanza di Trieste procedeva 
a sequestro, nelle acque di Monfalcone, di una imbarcazione battente 
bandiera statunitense, temporaneamente importata e non pi� riesportata: 
si iniziava procedimento penale a carico di Lotze Richard, 
cittadino statunitense, nei confronti del quale il Tribunale di Gorizia, 
con sentenza del 26 settembre 1980, emetteva condanna alla pena di 
lire 80.300.000, con confisca del natante, del carburante e delle provviste 
di bordo, ritenendolo responsabile dei reati, uniti dal vincolo della conti


(1) Giurisprudenza ormai costante: v. Cass. 28 novembre 1978, n. 115137 rie. 
Holder, in Foro it., 1979, II, 464; 4 marzo 1983 rie. Rochas, in Giust. pen. �1984, 
II, 14; 14 settembre 1983, n. 7443 cic. Andal�; 16 novembre 1983 n. 9717 rie. Di 
Lorenzo. 

RASSEGNA DllLL'AVVOCATURA DELLO STATO

602 

nuazione, previsti dagli artt. 216 e 292 d.P.R. 23 gennaio 1973_, n. 43, per 
aver usato nel territorio dello Stato un'unit� da diporto battente bandiera 
estera statunitense, essendo venuta a cessare una delle condizioni indicate 
nella Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956, approvata e resa esecutiva 
in Italia con la legge 3 novembre 1961, n. 1553 (in particolare essendo 
decorso il termine di un anno dalla temporanea importazione, entro il 
quale improrogabilmente l'unit� da diporto temporaneamente importata 
doveva essere riesportata); del raato di contrabbando semplice previsto 
dagli artt. 292 e 254, secondo comma, del d.P.R. sopra indicato, modificato 
dall'art. 20 legge 6 marzo 1976, n. 51, per aver sottratto i generi 
costituenti le provviste di bordo del natante in questione � Vrede � al 
pagamento dei diritti di confine dovuti, non sussistendo le condizioni 
previste dalla legge per poter beneficiare del consumo a bordo in esenzione 
doganale; del reato di contrabbando previsto dalla stessa normativa 
sopra indicata, per aver sottratto litri 3.300 di gasolio, importato 
in esenzione doganale, al pagamento dei diritti di confine dovuti, essendo 
venute a cessare le condizioni previste dall'art. 254, secondo comma, 
del d.P.R. n. 43 del 1973; con la stessa sentenza il Lotze veniva condan� 
nato al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese in favore del 
Ministero delle Finanze, costituitosi parte civile. 

Su impugnazione dell'imputato, la Corte di Appello di Trieste con 
sentenza del 24 novembre 1981 assolveva il Lotze da tutte le imputazioni 
perch� il fatto non costituisce reato, ed ordinava la restituzione delle 
cose confiscate in sequestro. 

Ricorre il Ministero delle Finanze deducendo inosservanza ed erronea 
applicazione della legge 3 novembre 1963, n. 1553, e del T.U. n. 43 del 
1973, per avere la Corte di Trieste dato esclusivo risalto al requisito degli 
scopi speculativi, ritenuto insussistente, ignorando del tutto il requTS�to 
della temporaneit� della importazione; rileva che le tesi difensive dell'imputato, 
esposte nei motivi di appello, sono infondate, sia per quanto 
riguarda la inapplicabilit�, pretesa, della convenzione di Ginevra a natanti 
battenti bandiera statunitense, per mancata adesione a detta convenzione 
degli Stati Uniti d'America, sia per quanto attiene alla pretesa 
inapplicabilit� a natanti � immatricolati � o natanti che effettuino riesportazione 
con uscita dalle acque territoriali per farvi successivamente 
rientro, osservando in proposito che occorre un definitivo abbandono, 
con carattere di stabilit�, delle acque territoriali. Chiede pertanto l'an� 
nullamento -ai soli fini civili -della sentenza, con ogni conseguente 
pronuncia sulla sussistenza dei fatti contestati e la condanna risarcitoria 
dell'imputato, come richiesta nei precedenti gradi di giudizio. 

L'imputato ha presentato memoria difensiva con la quale in primo 

luogo eccepisce la inammissibilit� della impugnazione della parte civile, 
le cui istanze risarcitorie non possono trovar ascolto per il principio 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

del divieto della reformatio in peius, in difetto di impugnativa del 

P.M. La sentenza della Corte di merito ha escluso ogni responsabilit� 
di esso imputato sia penale che meramente civilistica, questa non potendo 
essere scissa, nel caso in esame, dalla dichiarazione di sussistenza 
del reato di contrabbando. Aggiunge poi che non � richiesto il requisito 
della temporanea importazione per nave battente bandiera estera, non 
immatricolata, osservando che occorre sempre la immatricolazione ri� 
chiesta per l'art. 36 del T.U. n. 43 del 1973 per ritenere la immissione 
in consumo della nave che, come nella specie, non sia stata usata per 
intenti speculativi. Aggiunge ancora che la convenzione di Ginevra non 
si applica a navi battenti bandiera statunitense, in quanto queste rica� 
dono nella normativa della convenzione intercorsa fra Italia ed U.S.A. 
approvata con legge n. 910 del 1� agosto 1960, ed anche perch� gli Stati 
Uniti d'America non hanno sottoscritto la convenzione di Ginevra; da 
ultimo rileva che -come aveva accertato in punto di fatto la Corte 
di merito -si erano verificate pi� riesportazioni dall'Italia in Jugoslavia. 
Riportandosi ai motivi presentati a sostegno dell'impugnazione avverso 
la sentenza del Tribunale di Gorizia, conclude per la inammissibilit� o 
per il rigetto della impugnazione del Ministero delle Finanze. 
Motivi della decisione 

Va preliminarmente esaminata la eccezione sollevata dalla difesa 
dell'imputato circa la ammissibilit� o meno della impugnazione da parte 
del Ministero delle Finanze, costituitosi parte civile, in presenza di una 
assoluzione con formula ampia che precluderebbe, secondo la tesi posta 
a base della eccezione, ogni possibile ingresso ad una richiesta di risarcimento 
di danni da proporre in sede civile. 

L'eccezione � infondata. Questa Corte ha ormai costantemente affermato 
il principio secondo cui a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale 
n. 1 del 13 gennaio 1970 e 29 del 17 febbraio 1972 la parte 
civile pu�, ai sensi dell'art. 111 Costituzione, ricorrere per Cassazione 
per violazione di legge contro la sentenza che abbia prosciolto l'imputato, 
al fine di ottenere un sindacato di legittimit� nei confronti di tale 
pronuncia limitatamente alle disposizioni concernenti i suoi interessi civili, 
e pu� quindi chiedere un diverso accertamento ed una diversa 
valutazione in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua qualificazione 
giuridica, all'imputabilit� materiale e psicologica, che consentano il pieno 
esercizio ed il proseguimento dell'azione riparatoria dinanzi al competente 
giudice civile, il quale pu�, in sede di rinvio dalla Cassazione, 
qualificare come reato un fatto che tale non sia qualificato nella sentenza 
impugnata o attribuire ad un soggetto la commissione di un reato 
gi� escluso, e cos� via, sempre che tale accertamento abbia effetti sul 
contenuto dell'azione civile promossa dalla parte civile nel procedimento 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

penale. � cio� ammissibile il ricorso in Cassazione della parte civile, 
pur in presenza di una assoluzione perch� il fatto non costituisce reato, 
poich� questa formula � preclusiva dell'ulteriore corso dell'azione civile, 
e la parte civile ha in tal caso un concreto interesse a rimuovere un 
ostacolo altrimenti insuperabile, mediante la sostituzione della formula 
preclusiva con altra che consenta l'esercizio della azione civile. (Cass., 
Sez. III, 10 febbraio 1977, n. 2413, Sez. IV, 17 ottobre 1972, n. 6792, e 
numerose altre conformi). 

Quanto al merito del ricorso, questa Corte ha anche recentemente . 
affermato il principio secondo il quale ricorre il reato di contrabbando, 
a norma dell'art. 216, secondo comma, del. T.U. della legge doganale, 
quando vengono violate le condizioni stabilite dalla Convenzione di Ginevra 
18 maggio 1956, resa esecutiva in Italia con legge 3 novembre 1961, 
n~ 1553, relative alla importazione temporanea di una imbarcazione di 
ogni tipo comunque arrivata via mare, via terra o via laghi, comprese 
quelle sottoposte all'obbligo della iscrizione nel registro navale ed al 
regime di bandiera, indipendentemente dal fatto che tale obbligo sia 
osservato, essendo sufficiente che la imbarcazione sia stata nella effettiva 
disponibilit� del soggetto considerato, con la conseguenza che si verifica 
l'uso di una imbarcazione nel territorio dello Stato, per il quale sono 
applicabili le pene stabilite dal richiamato art. 216 per il reato di contrabbando, 
quando sia stato violato o il divieto di usare l'imbarcazione 
per scopi di lucro, quali che siano, o che sia stato superato il termine 
di un anno previsto per �la importazione temporanea (Sez. III, udienza 
23 novembre 1983, imp. Fiore). 

Nel ribadire questo principio, osserva anzitutto la Corte che non 
pu� condividersi l'opinione del Lotze, che cio� una nave iscritta in un� 
registro, che batte bandiera straniera, se appartiene ad uno straniero 
(come nel caso in esame) non pu� che essere importata definitivamente, 
per il disposto stesso della legge doganale, che all'art. 36 stabilisce, 
appunto, che si presume definitivamente immessa in consumo (ai sensi 
e per gli effetti di cui al primo comma di detto articolo) la nave costruita 
all'estero o proveniente da bandiera estera quando viene iscritta 
nelle matricole di cui all'art. 146 cod. nav. Secondo il Lotze, fino a 
quando la nave straniera non sia stata iscritta in matricola e non abbia 
dismesso la bandiera di origine, resta merce estera, non soggetta alle 
disposizioni sanzionatorie dell'art. 216, e non le si pu� applicare la convenzione 
di Ginevra, restando pertanto ad essa inapplicabili le condizioni 
e regole prescritte in detta convenzione. 

Questa Corte ha gi� affermato, con specifico riferimento al punto 
in esame, che al contrario la Convenzione di Ginevra non si applica soltanto 
alle imbarcazioni da diporto non assoggettate, per le loro parti-, 

colmi caratteristiche (conoe. iole. pattini. mosconi. canotti pneumatici 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 605 

di piccole dimensioni), come le comuni navi, all'obbligo della iscrizione 
nei registri navali ed al conseguente regime di bandiera, ma si applica 
a� tutte le imbarcazioni di qualsiasi tipo, dovendosi ritenere del tutto 
arbitraria la distinzione fra imbarcazioni da diporto non assoggettate 
all'obbligo innanzi richiamato e quelle provviste di bandiera, perch� 
l'art. 216 parla di � imbarcazioni di cui alla convenzione di Ginevra �, 
la quale all'art. 1 fa riferimento a tutti i battelli ed imbarcazioni da 
diporto senza distinzione alcuna (tous bateaux de plaisance et imbarcations 
de plaisance avec ou sans moteur), mentre l'art. 103 del T.U. 
precisa che � sotto la denominazione di navi si intendono le navi di 
qualsiasi specie, le barche ed ogni altro galleggiante atto a percorrere 
le acque per il trasporto di persone o di cose�. (Cass., Sez. III, 2 giugno 
1978, imp. Halder). 

Deve quindi escludersi che la direttiva esegetica prescelta dal legislatore 
sia in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 36 del T.U. 
delle leggi doganali: l'iscrizione della nave nelle matricole tenute dagli 
uffici del compartimento marittimo costituisce il fatto rivelatore della 
destinazione dell'imbarcazione al consumo, ma ci� non vuol dire che 
debba ritenersi non sorta l'obbligazione tributaria se l'iscrizione non sia 
avvenuta, ma di fatto la nave sia stata destinata al consumo, vuoi formando 
oggetto di vera e propria attivit� speculativa entro il territorio 
doganale italiano, vuoi permanendo nelle acque territoriali ininterrottamente 
e stabilmente per un periodo superiore all'anno, termine massimo 
perch� s� possa parlare di temporanea importazione, ai sensi dell'art. 6 
della convenzione. 

Deve pertanto affermarsi che l'art. 216 del T.U. delle leggi doganali 
si riferisce alle imbarcazioni di qualsiasi tipo, che conservano la condizione 
di merce estera in temporanea importazione e possono essere 
nazionalizzati alle condizioni previste per ciascuna categoria dalla legislazione 
italiana; per il loro uso nel territorio italiano, quando manchino 

o siano venute a cessare le condizioni indicate nella convenzione di 
Ginevra, resta ferma la applicabilit� delle pene stabilite per il reato di 
contrabbando. 
La Corte di Trieste, nella sentenza impugnata, ha affermato che 
l'art. 216 contempla le imbarcazioni di qualsiasi tipo, e quindi anche 
quelle iscritte nei registri e battenti bandiera, ma ha fatto riferimento 
alla Convenzione idi Ginevra, espressamente richiamata dall'art. 216, in 
maniera monca, limitandosi a considerare una sola delle condizioni stabilite 
per fruire della esenzione doganale (il non uso per scopi commerciali 
di qualsiasi tipo, nella specie non sussistente, come � pacifico) 
senza soffermarsi neanche a discutere dell'altra condizione, che deve 
pur concorrere ai sensi dell'art. 216, vale a dire la importazione tem� 
poranea, non superiore ad un anno (le eventuali proroghe sono espres


lfS'lfllflfllllfllMlllllllllllllllllf~l-llllllllllllltl 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

samente disciplinate dalla convenzione, e confermano che una nave straniera 
non pu� sostare, senza pagare i tributi previsti dalla legge doganale, 
per pi� di un anno) decorso il quale, quindi, sorge l'obbligo tributario 
con la applicabilit� delle pene relative appunto perch� � venuta a cessare 
una delle condizioni necessarie per la esenzione. 

Questa Corte pertanto non pu� condividere le conclusioni cui � 
giunta la Corte di merito, che si � limitata ad esaminare se sussisteva 

o meno una delle condizioni previste dalla Convenzione di Ginevra, quella 
cio� che fa divieto di usare l'imbarcazione in temporanea importazione 
per scopi di lucro, quali che siano: esattamente la Corte di merito ha 
ritenuto che scopo del legislatore � stato quello di evitare che, attraverso 
mascherati trasferimenti delle imbarcazioni straniere a cittadini 
italiani, si violino le norme doganali, e di favorire nel contempo il 
movimento turistico, ma non ha considerato che tale scopo si raggiunge 
non solo vietando l'uso commerciale di navi con bandiera estera, ma 
anche limitandone la permanenza nel tempo: tutta la convenzione parla 
di �temporanea� importazione, e dall'elemento �tempo� non pu� prescindersi, 
evidente essendo l'interesse dello Stato di sottoporre ai diritti 
doganali quelle imbarcazioni battenti bandiera estera che si soffermino 
nel territorio nazionale per un tempo superiore a quello consentito: 
il legislatore cio� non ha affatto inteso di rinunciare ai tributi di cui 
alle leggi doganali in presenza di imbarcazioni straniere, ma ha solo 
consentito a dette imbarcazioni di trattenersi per un anno nelle acque 
territoriali senza pagare i tributi; decorso l'anno, scatta l'obbligo in 
caso di ulteriore permanenza nel territorio dello Stato italiano. 
Il richiamo che la difesa dell'imputato fa all'art. 10 della Costituzione, 
che sancisce l'applicazione dei princ�pi generali di diritto internazionale, 
nel quale � compreso il diritto consuetudinario che navi straniere 
che inalberano bandiera di altro Stato, quando permangono nei 
porti, non siano importate, non vengano immesse nel consumo dello 
Stato e restino �entit� estranee�, nOIO. trova applicazione al caso concreto, 
che fa riferimento ad una fattispecie ben precisa, di imbarcazione 
da diporto che sosta indefinitivamente, con carattere di permanenza, 
nel territorio dello Stato italiano: nessuno pretende che essa debba 
dismettere la sua bandiera e iscriversi nelle matricole della nostra 
Repubblica; pi� semplicemente, essa � assoggettata all'obbligo tributario 
perch� una legge dello Stato consente l'esenzione dai tributi solo 
a determinate condizioni, e queste, o una sola di queste, � stata violata. 

Quanto alla obbligatoriet� della Convenzione nei confronti anche 
degli Stati non firmatari (e gli Stati Uniti d'America non hanno aderito 
alla Convenzione di Ginevra) baster� osservare che la Convenzione � 
stata recepita in una legge, quella doganale, che fa stato nei confronti 
di tutte le imbarcazioni, indipendentemente dalla loro bandiera, poich� 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 607 

la Convenzione di Ginevra � stata richiamata per determinare il tipo 
di imbarcazioni cui la legge intendeva riferirsi e le condizioni di favore 
che venivano erogate; se si dovesse seguire la tesi del Lotze, si giungerebbe 
all'assurdo che le imbarcazioni di tutti i numerosissimi Stati non 
aderenti potrebbero non solo permanere indefinitivamente nelle acque 
territoriali italiane, ma anche esercitarvi qualsiasi forma di commercio 
(in essa compresa la locazione a cittadini italiani, con il che la lotta 
alle �bandiere ombra� sarebbe completamente vanificata). 

�Che poi sussista fra gli U.S.A. e l'Italia una convenzione, quella del 
2 febbraio 1948, ratificata con legge 18 giugno 1949, n. 385, alla quale 
fece seguito altra convenzione che, nella parte che ora interessa, non 
ha rilievo perch� nulla innov� nella materia esaminata, � circostanza 
che non pu� portare a diversa conclusione, perch� la libert� di circolazione 
delle navi e delle merci dei due Stati contraenti nelle reciproche 
acque territoriali si riferisce agli scambi commerciali, che venivano liberalizzati 
il pi� possibile, fermi restando, nei confronti di ciascuno Stato, 
i limiti da essi imposti in tema di tributi, sempre a condizione che il 
trattamento reciproco non fosse mai meno favorevole di quello pi� favorevole 
convenuto con altri Stati; � pertanto evidente che la convenzione 
ora richiamata non spiega alcuna efficacia ai fini della sottomissione 
della imbarcazione del Lotze ai tributi previsti dalla legge doganale 
italiana. 

Da ultimo, assume il L6tze che egli si � spesso allontanato dalle 
acque territoriali italiane per recarsi in quelle della vicina Repubblica 
Jugoslava, come � dimostrato dalla documentazione rilasciata dai porti 
jugoslavi. Senonch� � facile obiettare che le pur frequenti uscite dal 
porto di Monfalcone, per recarsi a fare una gita in posti viciniori, non 
altro dimostrano se non un uso della nave per lo scopo cui � destinata 
una imbarcazione da diporto, che � quello di fare delle piccole crociere 
di qualche giorno, per poi tornare nel porto di normale residenza, nel 
quale -come nel caso del Lotze -si resta per molti anni, cos� come 
lo stesso imputato lealmente ammette. Con la conseguenza che sono 
indifferenti le uscite dalle acque territoriali, non potendosi ricominciare 
a contare i mesi, per accertare se � passato l'anno di cui alla Convenzione 
di Ginevra, da ciascuna di esse, ma dovendosi al contrario considerare 
quale sia stata la normale, abituale residenza del Lotze e della 
sua imbarcazione, ed accertare se si sia mai verificato un definitivo 
abbandono delle acque territoriali; si pu� affermare che tale abbandono 
non si � mai verificato. 

In conclusione, ritiene la Corte che l'art. 216 si applica a tutte le 

imbarcazioni da diporto, siano esse iscritte o meno in registri e battano 

o meno bandiera straniera, e che la loro destinazione al consumo interno 
si verifica non solo quando esse si iscrivano nelle matricole dei com14 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

partimenti italiani, ma anche quando siano di fatto destinate al consumo 
per un uso commerciale che di esse faccia il proprietario, o quando 
sia stato superato il termine massimo di un anno ammesso per la loro 
temporanea importazione; la normativa si applica anche alle imbarcazioni 
battenti bandiera di Stati che non hanno aderito alla Convenzione 
di Ginevra, ed in ispecie anche alle imbarcazioni battenti bandiera degli 

I 

Stati Uniti d'America. Il ricorso della parte civile appare dunque fon


I

dato: il suo accoglimento comporta il suo diritto a far valere dinanzi 
al giudice civile, al quale il giudizio va trasmesso, gli interessi violati 
della P A. �per essere stata la imbarcazione del Lotze immessa al conI 
sumo in Italia in violazione dell'art. 216 del T.U. 23 gennaio 1973, n. 43. 

I 

(omissis) 

I 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 marzo 1984, n. 204 


I 

Pres. Carnevale -Rel. Piccininni -Rie. Molinero e Palumbo -Parte 

civile Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruni) (1). 

I 

~ 

Procedimento penale -Art. 144 bis e 348 bis C.P.P. -Contrasto con art. 3 i: 
della Costituzione e diritto di difesa dell'imputato � Insussistenza. 

Il 

L'art. 144 bis cod. proc. pen. (acquisizione di atti di procedimenti 1: 
connessi) e l'art. 348bis cod. proc. pen. (interrogatorio libero di per!\\ 
sona imputata di reati connessi) non incidono sul diritto di difesa fil 
dell'imputato n� contrastano con il principio di uguaglianza sancito dalffi 
['art. 3 della Costituzione. 

Ii

(omissis) Con sentenza 23 giugno 1982, la Corte d'Assise di Torino 
dichiarava Carlo Molinero colpevole dei delitti di cui agli artt. 306, secondo 
comma, e 270, terzo comma, cod. pen., unificati ex art. 81 cod. 
pen., e Ulisse Palumbo colpevole del delitto di cui all'art. 270, terzo 
comma, cod. pen., e condannava il primo alla pena di tre anni e otto 

i 

mesi di reclusione ed il secondo alla pena di un anno e quattro mesi 

di reclusione, dichiarando il Molinero interdetto dai pubblici uffici per 

~: 

cinque anni; assolveva il Palumbo dal delitto di cui all'art. 306, secondo 
comma, cod. pen. perch� non punibile a' sensi dell'art. 309 cod. pen. ~~ 


;.;, 

(1) Con tale sentenza la prima semone penale delta Suprema Corte ha 
IIrespinto il ricorso proposto dagli imputati avverso fa sentenza 24 marzo 1983 v 
della Corte di Assiise di appello di Torino. Tale pronuncia, che appresso si 1�::: 
riporta, si era occupata anche del delicato problema del concorso fra i reati v 
di assooiatlone sovversiva (art. 270 c.p.) e di banda armata (art. 306 c.p.), 
concludendo per l'inammissibilit� del concorso, ma sul punto la 'sentemia non 
� stata gravata di ricoDSO dalla Procura Generale. 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

A seguito di gravame del P.M., degli imputati e della parte civile 
Presidenza del Consiglio, rappresentata dall'Avvocatura dello Stato, nei 
cui confronti era stata, nel dispositivo, omessa la pronuncia, la Corte 
d'assise d'appello di Torino, con sentenza 24 marzo 1983, dichiarava il 
Palumbo colpevole del delitto previsto dall'art. ,306, secondo comma, cod. 
pen. e, per entrambi gli imputati, riteneva assorbito in tale delitto quello 
di cui all'art. 270 cod. pen.; concesse quindi sia al Molinero che al Palumbo 
le attenuanti generiche, determinava la pena in due anni di reclusione 
ciascuno, revocava la pena accessoria applicata al Molinero 
e li condannava, in solido, al risarcimento dei danni ed alle spese a 
favore della parte civile. 

Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione. 

Il Molinero deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge 
processuale penale sul rilievo che nei due gradi di giudizio si era proceduto, 
a' sensi degli artt. 348 bis e 144 bis cod. proc. pen., al libero 
interrogatorio di persone imputate di reati connessi ed all'allegazione 
di atti di procedimenti connessi, in accoglimento di specifiche richieste 
del P.M., mentre erano state rigettate le richieste della difesa tendenti 
all'allegazione di tutti gli interrogatori resi da persone che fossero 
comunque imputate di tali reati: si sarebbe perci� verificata, a seguito 
della � scelta � operata dai giudici, una lesione di diritti della difesa. 
Il Palumbo denunzia inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 309 
cod. pen. 

Il ricorso del Palumbo � inammissibile perch� i motivi dell'impu� 
gnazione sono stati sottoscritti dall'avv. Bianca Guidetti Serra che non 
difese nell'ultimo giudizio il ricorrente n� ricevette da questi il relativo 
incarico con la dichiarazione d'impugnazione o successivamente. 

Il ricorso del Molinero non pu� trovare accoglimento. � 

Va innanzi tutto precisato che senza fondamento il ricorrente so� 
stiene che le indicate norme, ponendo il P.M. in condizione di vantaggio 
rispetto all'imputato -poich�, a differenza di questi e per ragione del 
suo ufficio, � in grado di conoscere atti riguardanti procedimenti connessi 
-inciderebbero sul diritto alla difesa sotto il profilo della dispa� 
rit� di trattamento che dalle norme stesse deriva. Non pu�, invero, 
parlarsi di violazione del principio di uguaglianza in quanto il medesimo 
diritto � attribuito dalla legge ad entrambe le parti ed �, quindi, esercitabile 
nell'ambito delle rispettive posizioni processuali, e, d'altra parte, 
per quel che concerne pi� specificamente il diritto di difesa, deve considerarsi 
che il contraddittorio al riguardo � pienamente assicurato dal 
momento che le parti hanno, in dibattimento, ogni possibilit� di solle� 
vare eccezioni in rito o di contestare, nel merito, la validit� dei mezzi 
di prova offerti al controllo del giudice. 

Il Molinero non si duole, in realt�, dell'assunzione degli interroga� 
tori liberi o dell'acquisizione di atti alle quali i giudici di primo e 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

secondo grado hanno proceduto su istanza del P.M., ma sostiene, nella 
prospettiva giuridica della quale si � pi� sopra trattato, che i diritti 
della difesa sarebbero stati violati per il rifiuto di accogliere la corre� 
lativa istanza dei difensori, tendente all'interrogatorio libero di tutti 
coloro che fossero comunque imputati di far parte dei � Nuclei comu� 
nisti territoriali � ai quali, secondo la contestazione, partecipava il Molinero. 


Senonch� non risulta dagli atti che simile istanza -la quale, per 
la sua genericit�, che non consentiva di identificare le persone da interrogare 
e di valutarne la rilevanza ai fini del giudizio, non avrebbe 
potuto, comunque, trovare accoglimento -sia stata esplicitamente pro


.posta e rigettata, essendo stata in proposito mossa soltanto una vaga 
doglianza nei motivi di appello del difensore del Palumbo. Nel giudizio 
di primo grado, invece, lo stesso difensore chiese, in relazione ai verbali 
acquisiti su richiesta del P.M., il libero interrogatorio di tre imputati. 
di reati connessi e la Corte d'assise, con ordinanza emessa all'udienza 
del 18 giugno 1982, accolse la richiesta disponendone la citazione e 
procedendo poi all'interrogatorio. 

La censura �, dunque, priva di fondamento ed il ricorso deve essere 
rigettato. (omissis) 


I CORTE DI ASSI1SE D'APPELLO DI TORINO, 24 marzo 1983 -Pres. 
Ricca Barberis -Rel. Makhiodi -Imp. Molinero e Palumbo -Parte 
civile Presidenza del Consiglio dei Ministri. 


Reato � Delitti contr� la personalit� dello Stato � Associazione sovversiva � 
Banda armata � Concorso di reati � Inammissibilit�. 


Non � ammissibile il concorso fra il reato di associazione sovversiva 
(art. 270 cod. pen.) e quello di banda armata (art. 306 cod. pen.). (1) 


(.1) L'orientamento espresso daUa I Corte di Ass1ise di appello di Torino 
in questa ed :in altre pronunzie (v. 20 marno 11982, pres. Ricca Barberis, est. 
Garavelli, imp. Anelli) e da altri. giudki di merito (v. tra 1e altre Corte di Assise di 
Geno\"a 8 ottobre 1982 dmp. Miglietta, in Foro it. 1983, Il, 41.1; Trib. Padova ord. 
4 settembre 19811, dn Foro it. 1983, Il, 179) � dn contrasto con l'orientamento costante 
del S.C., secondo ~l quale � tra la fattispecie tdpica prevista dall'art. 306 e 
quelle previste daglii artt. 270 e 270 bis c.p. esiiste un :riapporto di mezzo a fine 
e non di specie a genere Jin quanto dl delitto di costituzione di banda armata 
� caratterizzato dalla finalit� di commettere uno dei delitti contro la personalit� 
internazionale o interna dello Stato, di quei delitti cio�, tra i quali rien� 
trano quelli contemplati dagli artt. 270 e 270 bis c.p. Ci� evidentemente 
signifioa che, per la configurabilit� del delitto di costituz1one di banda armata, 
� sufficiente la presenza dell'accennata finalit�, anche se essa non venga 
11aggiuntJa, ma che quando ci� si verifichi, il reato-l�ine non pu� che concorrere 


I 

! 

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I 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 611 

(omissis) 1) I problemi affrontati dai giudici di primo grado sono 
stati i seguenti: 
a) stabilire se Molinero e Palumbo facevano parte dei Nuclei Comunisti 
Territoriali (N.C.T.); 

b) stabilire se i N.C.T. costituivano banda armata; 

e) una volta risposto affermativamente ai suddetti due punti, qualificare 
penalmente la partecipazione ai N.C.T.; 
d) accertare in concreto se Molinero e Palumbo si erano ritirati 
dai N.C.T. �prima dell'ingiunzione dell'autorit� o della forza pubblica� 
(e cio� prima dell'emissione di un ordine di cattura nei loro oonfronti) 
e prima della consumazione del delitto (o dei delitti) contro la personalit� 
dello Stato per cui la banda armata venne formata. 

2) La Corte d'Assise di Torino -con la sentenza n. 16 del 23 giugno 
1982 -ha cos� deciso: 

a) Molinero e Palumbo facevano parte dei N.C.T.; 

' 

b) i N.C.T. sono banda armata costituitasi per sovvertire violentemente 
gli ordinamenti economici-sociali dello Stato, per compiere 
un'insurrezione armata contro i poteri dello Stato e per commettere 
fatti diretti a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato; 

e) la partecipazione di Molinero e Palumbo ai N.C.T. rientra nei 
paradigmi dei reati di cui agli artt. 306 e 270 cod. pen.; 
d) non vi fu ritiro dai N.C.T. di Molinero; vi fu ritiro di Palumbo. 

In conseguenza di ci�: 

-per quanto concerne Molinero, veniva fissata la pena base per 
il delitto di cui all'art. 306, secondo comma, cod. pen. in anni 3 e mesi 6 
di reclusione; per l'altro reato, collegato al primo dal vincolo del concorso 
formale, veniva stabilito un aumento di mesi 2 di reclusione e 
cos� in definitiva la pena irrogata era di anni 3 e mesi 8 di reclusione 
con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni 5; 

con quello di cui all'art. 306 c.p. N� si pu� dire che le ipotesi di cui agli 
artt. 270 e 270 bis c.p. sdano in astratto dncompatibili con quella dell'art. 306, 
perch� al contrario si tratta di ipotesi che possono anche dn concreto rimanere 
distinte sul piano dell'origanizzazione e della componente soggettiva, essendo 
tipico dei movimenti terrori<stici prevedere diversi gradi chi partecipazione alla 
associazione e tenere esclusi, almeno per i periodi iniziali, una parte degli 
aderenti. dall'inserimento nelle strutture mdldtarii � (Cass., I Sez., 30 giugno 1981 
rie. Serve1lo dn Foro it. 1982, II, 1181; 119 ottobre 1981 :rie. Strano in Cass. pen. 
Mass. uff. 19&1, n. 153508; 8 giugno 11~ rie. Chiavolon in Giust. pen. Ll.983, II, 
285, 291; 12 ottobre 1982 rie. Piermarini dn Foro it. 1983, II, 405; 21 marzo 1983 
11ic. Bertolotti in Giust. pen. J984, II, 98, 79; 28 aprile 1983 rie. Alunni, in 
Giust. pen. 1984, II, 98, 78). 

15 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-per quanto concerne Palumbo, veniva fissata la pena per il delitto 
di cui all'art. 270 cod. pen. in anni 1 e mesi 4 di reclusione. 

3) Avverso la sentenza hanno proposto impugnazione il P.G., il P.M., 

due condannati e la P.C. 

Con ordinanza in data 8 ottobre 1982 � stata dichiarata l'inammis� 
sibilit� dell'impugnazione del P.G. (che era stata proposta il 20 luglio 1982) 
per omessa presentazione dei motivi. 

4) Nel giudizio di primo grado si era costituita parte civile la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, nella persona del Presidente pro tempore. 


L'affermazione di penale responsabilit� dei due imputati comportava 
la loro condanna a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali 
a favore della parte civile. 

Per mera dimenticanza la Corte d'Assise ometteva di pronunziare 
la suddetta condanna nella parte dispositiva della sentenza. 

Con il proposto appello (dichiarazione d'impugnazione in data 24 giugno 
1982 e presentazione dell'unico motivo il 12 luglio 1982, lo stesso 
giorno della notifica dell'avviso di deposito della sentenza) l'Avyocatura 
dello Stato si duole appunto della omissione sopraindicata. 

L'impugnazione � fondata �d il dispositivo della presente sentenza 
contiene esplicitamente la condanna al risarcimento dei danni e, conseguentemente, 
al rimborso delle spese processuali. 

5) Prima di esaminare le altre impugnazioni, � opportuno premettere 
alcune considerazioni d'ordine giuridico. 

La lettura dell'art. 306 cod. pen. e degli articoli a cui questo direttamente 
e indirettamente rimanda, rende evidente lo scoordinamento 
tra le varie norme con la conseguente necessit� di giungere ad un'interpretazione 
restrittiva. 

La banda armata si forma � per commettere uno dei delitti indicati 
nell'art. 302 � e cio� � per commettere tmo� dei delitti non colposi per i 
quali la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione� previsti negli articoli 
da 241 a 293. Si � correttamente scritto che non ha senso parlare di 
banda armata costituita per vilipendere la bandiera nazionale (art. 306 in 
relazione all'art. 292) oppure per non adempiere un contratto di fornitura 
in tempo di guerra (art. 306 in relazione all'art. 251) oppure ancora per 
far risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilit� 
degli atti del Governo (art. 306 in relazione all'art. 279). Venendo all'oggetto 
del presente procedimento ci si � chiesto se ha un senso costruire 
l'ipotesi di chi forma una banda armata che abbia come fine il dirigere 
(e cio� impadronirsi con la forza di) associazioni a loro volta costituite 
per sovvertire violentemente gli ordinamenti economico-sociali dello 
Stato (art. 306 in relazione all'art. 270). Questi bizantinismi logici si squa



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALI! 

lificano con la semplice considerazione che una, pur sempre possibile, 
lotta armata tra associazioni sovversive non sarebbe mai stata catalogata 
dal legislatore fra i delitti contro la personalit� dello Stato e 
collocata nel titolo I del libro II del codice penale. 

Donde, come si scriveva, la necessit� di interpretare restrittivamente 
il richiamo contenuto nell'art. 306 cod. pen. ed escludere -per quanto 
interessa ai fini del presente giudizio -che il rapporto tra il reato di 
cui all'art. 306 cod. pen. e quello di cui all'art. 270 cod. pen. sia quello 
di mezzo-fine. 

Ed allor�: quando si forma una banda armata al fine di sovvertire 
violentemente gli ordinamenti economico-sociali costituiti nello stato (come 
� contestato nel capo d'imputazione) e cio� quando si � in presenza 
di un'associazione sovversiva (quale prevista dall'art. 270 cod. pen.) che 
preveda l'uso delle armi, il partecipante risponde di un solo reato 
(306 cod. pen.) oppure di due reati (270 e 306 cod. pen.)? 

Nella sentenza impugnata si � accolta la seconda tesi (concorso 
formale dei due reati) e, superando con un ardito implicito richiamo 
all'art. 477 cod. proc. pen. il fatto che il reato di associazione sovv�rsiva 
non era oggetto di specifica imputazione, ha condannato Molinero per 
entrambi i reati (e avrebbe condannato anche il Palumbo se non avesse 
ritenuto che lo stesso si era ritirato dalla banda armata). Questa Corte 
ha gi� espresso il suo difforme convincimento (v. sent. 20 marzo 1982, 
imp. Anelli ed altri) affermando l'esistenza di un rapporto genus-species 
tra il delitto di cui all'art. 270 cod. pen. e quello di cui all'art. 306 cod. 
pen.: �la banda armata non pu� sorgere al fine di dar vita ad un'associazione 
sovversiva, per il semplice motivo che il primo accadimento 
� tutt'uno col secondo; � quel famoso cerchio concentrico in cui trovano. 
coincidenza le due situazioni di fatto contemplate dall'art. 15 cod. pen., 
con l'elemento specializzante della presenza delle armi, che d� alla � violenza 
� a cui � finalizzata l'associazione sovversiva una coloritura ed una 
connotazione particolari �. 

Dalla lettura della sentenza appellata emerge a prima vista l'illogicit� 
-una volta accertato in fatto il ritiro dalla banda di 'Palumbo -di 
assolverlo dall'imputazione di banda armata e condannarlo per associazione 
sovversiva: �se il legislatore ha voluto mandare esenti da pena 
i transfughi della banda armata, sarebbe assurdo che avesse mantenuto 
la punibilit� dei semplici associati a scopi eversivi non muniti di armi � 

(v. sent. citata). 
La prima conclusione che si pu� trarre � che, se viene confermato 
l'accertamento che Molinero e Palumbo fecero parte dei N.C.T., costoro 
risponderanno di un unico reato: quello previsto dall'art. 306 cod. pen. 

L'altro punto da affrontare � quello della rilevanza di un ritiro dalla 
banda. 


614 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Come gi� s'� scritto, il ritiro deve avvenire prima che sia commesso 
il delitto per cui la banda armata venne formata. Assume il P.M. che 
nell'ipotesi in esame sarebbe inapplicabile la. causa di non punibilit� 
prevista dall'art. 309 cod. pen. in quanto il reato di cui all'art. 270 cod. 
pen. (prima del quale dovrebbe avvenire il ritiro) si � gi� verificato con 
la costituzione della banda. 

Questa corte ha gi� osservato che �se la legge riconosce la causa 
di giustificazione a patto che non siano stati commessi ulteriori reati 
rispetto a quello di banda armata � perch� le altre fattispecie mettono in 
pericolo o cagionano danno a interessi diversi da quelli che sono oggetto 
dell'art. 306 cod. pen.; ora � difficile negare che vi sia coincidenza tra il 
bene giuridico tutelato dall'art. 306 cod. pen. e quello tutelato dall'art. 270 
cod. pen. essendo tale bene ravvisabile in entrambe le ipotesi nella generica 
tutela della compagine statale. 

� Il recesso dalla banda � quindi la stessa cosa del recesso dal 
gruppo associativo che si ripropone la sovversione violenta delle istituzioni 
e non pu� essergli negata efficacia anche alla luce delle recenti 
tendenze legislative>>. 

La seconda conclusione � dunque quella di ritenere non punibile il 
partecipante che si sia ritirato dai N.C.T. (essendo pacifico che gli altri 
due reati cui fa riferimento il capo d'imputazione, l'insurrezione armata 
e la guerra civile, non sono stati commessi). 



PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I� NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette l'opposizione 
di terzo avverso la ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, 
emanata per la mancata comparizione dell'intimato o per la mancata opposizione 
dell'intimato pur comparso. 

Sentenza 7 giugno 1984, n. 167, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. 

codice di procedura civile, art. 648, secondo comma, nella parte in cui 
dispone che nel giudizio di opposizione il giudice istruttore, se la parte che ha 
chiesto l'esecuzione provvisoria del decreto d'ingiunzione offre cauzione per 
l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni, debba e non gi� possa 
concederla sol dopo aver delibato gli elementi probatori di cui all'art. 648, 
primo comma, e la corrispondenza della offerta cauzione all'entit� degli oggetti 
indicati nel comma secondo dello stesso art. 648. 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 137, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 

codice penale, art. 175 [nel testo introdotto con l'art. 104 della legge 24 novembre 
1981, n. 689], nella parte in cui esclude che possano concedersi ulteriori 
non menzioni di condanne nel certificato del casellario giudiziale spedito a 
richiesta di privati, nel caso di condanna, per reati anteriormente commessi, a 
pene che, cumulate con quelle gi� irrogate, non superino i limiti di applicabilit� 
del beneficio. 

Sentenza 7 giugno 1984, n. 155, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. 

codice penale militare di pace, art. 195, primo comma, limitatamente alle 
parole � con la reclusione militare da sei mesi a cinque anni �. 

Sentenza 20 giugno 1984, n. 173, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 

legge 10 giugno 1940, n. 653, art. 1, nella parte in cui si riferisce ai soli 
impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi. 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 136, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 

legge 10 giugno 1940, n. 653, artt. 2 e seguenti, nelle parti in cui si riferiscono 
ai soli impiegati privati e non anche agli operai richiamati alle armi. 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 136, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 

d.I. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, art. 2, nella parte in cui dispone che i 
lavoratori � anteriormente alla chiamata alle armi, siano alle dipendenze dello 
stess<? datore di lavoro da oltre tre mesi�. 
Sentenza 16 maggio 1984, n. 144, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge regionale siciliana 20 marzo 1951, n. 29, art. 10, combinato disposto 
del primo comma, n. 4, e dell'ultimo comma [come modificato dall'art. 1 della 
legge regionale 13 luglio 1972, n. 33, e dall'art. 33 della legge regionale 6 gen� 
naio 1981, n. 6], nella parte in cui � prevista la ineleggibilit� dei componenti 
dei consigli di amministrazione degli enti ospedalieri, i quali non siano cessati 
dalle loro funzioni, in conseguenza di dimissioni o di altra causa, almeno 
novanta giorni prima del compimento di un quinquennio dalla data delle 
precedenti elezioni regionali, ovvero, in caso di scioglimento-anticipato dell'assemblea 
regionale siciliana, entro dieci giorni dalla data del decreto di convo� 
cazione dei comizi. 

Sentenza 20 giugno 1984, n. 171, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 

legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, terzo comma [richiamato dall'art. 15, 
primo comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203], limitatamente alle parole 
� senza contestazione giudiziaria da parte del locatore o �. 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 139, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 15, secondo comma, limitatamente alle parole 
�diminuiti del trenta per cento�. 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 139, G. U. 16 maggio 1984, n. 134). 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25, nella parte in cui prevede che, nel 
caso di concedente il quale sia imprenditore a titolo principale ai sensi 
dell'art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153, o comunque abbia dato un adeguato 
apporto alla condirezione della impresa di cui ai contratti associativi previsti 
nel primo comma dello stesso art. 25, la conversione richiesta dal mezzadro o 
dal colono abbia luogo senza il consenso del concedente stesso. 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 138, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 30. 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 138, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 34, primo comma, lett. b), nella parte in cui 
non comprende anche il caso di non avvenuta conversione per mancata adesione 
del concedente che sia imprenditore a titolo principale o che comunque 
abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti 
associativi previsti nell'art. 25, primo comma, della medesima legge. 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 138, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

II � QUESTIONI DICHIARATE NON !FONDATE 

codice civile, art. 541 [abrogato dall'art. 177 della legge 19 maggio 1975, 

n. 151] (artt. 3 e 30 della Costituzione). 
Sentenza 8 giugno 1984, n. 168, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 

codice di procedura civile, combinato disposto artt. 140, 313, secondo com� 
ma, e 660 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 30 aprile 1984, n. 121, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 61 

Codice di procedura civile, art. 313, secondo comma (art. 24 della Costituzione). 


Sentenza 30 aprile 1984, n. 121, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

codice di procedura civile combinato disposto artt. 648, secondo comma, 
633, primo comma, n. 3, e 636 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 137, G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 

codice penale, art. 114, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1984, n. 143, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 


codice penale, art. 630, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1984, n. 143, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 


co~ce di procedura penale, artt. 277 e 281 (artt. 3, 24, 27 e 32 della 
Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 134, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 105, 109 e 119 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 20 giugno 1984, n. 172, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 
legge 2 aprile 1968, n. 424, art. 6, terzo comma (art. 36 della Costituzione). 
Sentenza 20 giugno 1984, n. 177, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 

legge 2 aprile 1968, n. 482 artt. 10 e 20 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 131, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 2 aprile 1968, n. 482 art. 20 (artt. 3, 4, 32 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 130, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 4 (art. 102 della Costituzione). 
Sentenza 7 giugno 1984, n. 154, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 7, tiltimo comma (artt. 76 e 77 della 
Costituzione). 
Sentenza 20 giugno 1984, n. 178, G. U. 27 giugno 1984, n: 176. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 86, primo comma (art. 3 della Costi 
tuzione). 
Sentenza 16 maggio 1984, n. 142, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, quarto comma (artt. 3, 24, 27 e 32 della 
Costituzione). � 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 134, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

16 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 5 luglio 1975, n. 798, art. 6, penultimo comma (artt. 3, 38, 41 e 42 della 
Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 133, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 11 (art. 3, 24, 27 e 32 della Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 134, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, art. 3, primo comma, lett. d) (art. 116 della 
Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 135, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 4, primo comma lett. b) (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1984, n. 141, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 

d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1984, n. 141, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, sesto comma, e 10, terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 132, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, ottavo comma, e 10, terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 132, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 10, primo comma, lett. b) e 2, secondo 
e quinto comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 132, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 10 e 22 (artt. 3, 31, 33, 35 e 38 della 
Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 132, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 2, 3, 38 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 133, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 3, 38, 41 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 133, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 3, 38, 41 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 4 maggio 1984, n. 133, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, primo comma (art. 2, 3 e 38 della 
Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 133, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

l 

I 


PARTE II, LEGISLAZIONE 6f 

legge. 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, primo comma �e ogni altra norma 
ad esso collegata� (artt. 3, 4, 18 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 132, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 20 settembre 1980 n. 576, art. 26 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 4 maggio 1984, n. 132, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78 (artt. 3, 24, 101, 102 e 111 della 
Costituzione). 

Sentenza 30 aprile 1984, n. 120, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 8, 9, 10 e 13 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 


Sentenza 7 maggio 1984, n. 139, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 (artt. 3 e 24 della Costituzione) 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 139, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 15, primo comma (artt. 3, 42 e 44 della 
Costitqzione). 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 139, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 15, quarto comma (artt. 3, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 139, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3, 4, 41, 42, 43, 44 e 46 della 
Costituzione). 

Sentenza 7 maggio 1984, n. 138, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, art. 263 (art. 30 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza� 8 novembre 1983, n. 214/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

codice di procedura civile, art. 444 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 3 novembre 1983, n. 47/84, G. U. 2 maggio 
1984, n. 120. 

codice penale, artt. 215, secondo e terzo comma, e 222, primo comma (art. 32 
della Costituzione). 

Giudice istruttore presso Tribunale di Torino, ordinanza 31 ottobre 1983, 

n. 8/84, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. 

66 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Thiene,, ordinanza 25 ottobre 1983, n. 1078, G. U. 16 maggio 
1984, n. 134. 

codice di procedura penale, art. 41-bis (artt. 3, 97 e 101 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso il tribunale di Gorizia, ordinanza 19 dicembre 
1983, n. 154/84, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 

codice di procedura penale, art. 281, secondo comma [come sostituito dal� 
l'art. 16 della legge 12 agosto 1982, n. 532] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale per i minorenni di Napoli, ordinanza 18 novembre 1983, n. 31/84, 

G. U.. 23 maggio 1984, n. 141. 
r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, artt. 27, 28, 29 e 30 (artt. 3, 19, 21, 30, 31, 33 e 
34 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 264, G. U. 23 maggio 1984, 

n. 141. 
legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 36 (artt. 3, 19, 21, 30, 31, 33 e 34 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 264, G. U. 23 maggio 1984, 

n. 141. 
legge 24 giugno 1929, n. 1085, artt. 1 e 3 (artt. 3 e 6 della Costituzione). 

Pretore di Gorizia, ordinanza 2 novembre 1983, n. 1070, G. U, 2 maggio 1984, 

n. 120. 
legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28 (art. 25 della Costituzione). 

Pretore di Licata, ordinanze (tre) 27 ottobre 1983, nn. 157-159/84, G. U. 
23 maggio 1984, n. 141. 
Pretore di Licata, ordinanza 20 ottobre 1983, n. 237/84, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 
Pretore di Licata, ordinanze (due) 27 ottobre 1983, nn. 238-239/84, G. U. 
6 giugno 1984, n. 155. 

d.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182, art. 4 (art. 3 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Palermo, ordinanza 9 dicembre 1983, n. 84/84, G. U. 
27 giugno 1984, n. 176. 

legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 11 (art. 44 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 3 giugno 1983, n. 156/84, G. U. 9 maggio 
1984, n. 127. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 11 gennaio 19&4, n. 210, G. U. 27 giugno 1984, 

n. 176. 

67

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Udine, ordinanza 19 ottobre 1983, n. 1092, G. U. 30 maggio 1984, 

n. 
148. 
Pretore di Udine, ordinanze (due) 7 ottobre 1983, nn. 1093 e 1094, G. U. 
6 giugno 
1984, n. 155. 
Pretore di Udine, ordinanza 19 ottobre 1983, n. 1091, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 12 febbraio 1982, n. 251/84, G. U. 6 giugno 
1984, n. 155. 
Tribunale di Bologna, ordinanza 12 maggio 1982, n. 252/84, G. U. 6 giugno 
1984, n. 155. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 134, secondo comma (art. 38 della Costituzione). 
Pretore di Aosta, ordinanza 17 ottobre 1983, n. 6/84, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 
legge 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 18 novembre 1983, n. 61/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Pescara, ordinanza 18 novembre 1983, n. 74/84, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55 (artt. 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 
1981, n. 1080/83, G. U. 30 maggio 1984, n. 148. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Chioggia, ordinanze (tre) 8 novembre 1983, nn. 145-147/84, G. U. 
23 maggio 1984, n. 141. 
Pretore di Chioggia, ordinanza 19 ottobre 1983, n. 148/84, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 
Pretore di �Chioggia, ordinanza 4 ottobre 1983, n. 24/84, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 (art. 3 
della Costituzione). 
Pretore di Prato, ordinanza 10. ottobre 1983, n. 12/84, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 

68 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 185, 195 e 334, primo comma, n. 7 [modificato 
dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Guastalla, ordinanza 18 novembre 1983, n. 212/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195, 213 e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Cant�, ordinanza 23 settembre 1983, n. 75/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 403 [come modif. dall'art. 45 
della legge 14 aprile 1975,, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Rovereto, ordinanza 15 dicembre 1983, n. 149/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 4, 5, 10 e 15 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 
della Cost.ituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanze (undici) 
14 dicembre 1983, nn. 295-305/84, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 cpv. (artt. 3, 38, 53 e 76 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cagliari, ordinanza 9 maggio 1983, 

n. 17/84, G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e), e 46 cpv. (artt. 3, 38, 53, 
"76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (tre) 
27 aprile 1983, nn. 1081-1082 e 1084, G. U. 30 maggio 1984, n. 148. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 26 
gio 1983, n. 1085, G. U. 30 maggio 1984, n. 148. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 27 aprile 
1983, n. 1083, G. U. 6 giugno 1984, n. 155. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (cinque) 
26 maggio 1983, nn. 1086-1090, G. U. 6 giugno 1984, n. 155. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46, primo comma, e 48 (artt. 36 e 53 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanze (quindici) 
7 novembre 1983, nn. 122-136/84, G. U. 16 maggio 1984, n. 134. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 14 dicembre 
1983, n. 295/84, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 


PARTE n; LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23, secondo comma, lett. c) (artt. 3, 
�38, 53, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (tre) 
27 aprile 1983, nn. 1081, 1082 e 1084, G. V. 30 maggio 1984, n. 148. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 26 maggio 
1983, n. 1085, G. V. 30 maggio 1984, n. 148. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 27 aprile 
1:983, n. 1083, G. V. 6 giugno 1984, n. 155. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (cinque) 
26 maggio 1983, nn. 1086-1090, G. V. 6 giugno 1984, n. 155. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34, ultimo comma (artt. 3, 38, 53, 
76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (tre) 
27 aprile 1983, nn. 1081, 1082 e 1084, G. V. 30 maggio 1984, n. 148. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 26 maggio 
1983, n. 1085. G. V. 30 maggio 1984, n. 148. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 27 aprile 
1983, n. 1083, G. V. 6 giugno 1984, n. 155. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (cinque) 
26 maggio 1983, nn. 1086-1090, G. V. 6 giugno 1984, n. 155. 

d.P.R. 29 settembre 1973 ,n. 601, art. 42 (artt. 36 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanze (quindici) 
7 novembre 1983, nn. 122-136/84, G. V. 16 maggio 1984, n. 134. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 36 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 4 agosto 
1983, n. 1079, G. V. 30 maggio 1984, n. 148. 

legge 15 novembre 1973, n. 734, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 17 giugno 1982, 

n. 1072/83, G. V. 23 maggio 1984, n. 141. 
legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 21, sesto comma (art. 3 della Costituzione). 


Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 8 novembre 1983, n. 438/84, 

G. V. 9 maggio 1984, n. 127. 
Convenzione 0.1.L. 24 giugno 1974, n. 132, art. 6 n. (2) [ratificata con legge 
10 aprile 1981, n. 157] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Verona, ordinanza 18 novembre 1983, n. 29/84, G. V. 6 giugno 
1984, n. 155. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 10, sesto e decimo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Tribunale di Lecce, ordinanza 28 novembre 1983, n. 43/84, G. V. 23 maggio 
1984, n. 141. 


70 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 10, nono e decimo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Tribunale di Lecce, ordinanza 28 novembre 1983, n. 43/84, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 18 novembre 1983, n. 61/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 maggio 1983, n. 319/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, primo comma, e 28, primo comma 
(art. 25 della Costituzione). 

Tribunale di Oristano, ordinanza 28 novembre 1983, n. 93/84, G. U. 20 giugno 
1984, n. 169. 

legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1-quater (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Verona, ordinanza 12 ottobre 1983, n. 10/84, G. U. 6 giugno 
1984, n. 155. 

d.l. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [con i commi aggiunti dalla legge di 
conversione 27 febbraio 1978, n. 41] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Savona, ordinanza 24 ottobre 1983, n. 18/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanze (due) 31 agosto 1983, nn. 99 e 100/84, G. U. 
16 maggio 1984, n. 134. 

Pretore di Napoli, ordinanza 18 luglio 1983, n. 101/84, G. U. 16 maggio 
1984, n. 134. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 29 novembre 1983, n. 63/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 27 luglio 1978, 11. 392, artt. 3 e 65 (artt. 2, 3, 30, 31, 32 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Brindisi, ordinanza 17 aprile 1983, n. 77/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 65 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 


Pretore di Brindisi, ordinanza 9 giugno 1983, n. 78/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 
71 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 29, secondo comma, e 73 (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 30 giugno 1983, n. 1075, G. U. 30 maggio 1984, 

n. 148. 
fegge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 7 luglio 1983, n. 1010; G. U. 2 maggio 
1984, n. 120). 

Pretore di Pizzo Calabro, ordinanze (sette) 2 dicembre 1983, n. 270-276/84, 

G. U. 30 maggio 1984, n. 148. 
Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 25 novembre 1983, n. 277/84, G. U. 
27 giugno 1984, n. 176. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanze (due) 14 dicembre 1983, nn. 217 e 218/84, 

G. U. 23 maggio 1984, n. 141. 
Pretore di Aversa, ordinanza 4 novembre 1983, n. 1077, G.U. 30 maggio 
1984, n. 148. 
Pretore di Aversa, ordinanza 7 novembre 1983, n. 1101, G.U. 30 maggio 
1984, n. 148. 
Pretore di Aversa, ordinanze (cinque) 21 dicembre 1983, nn. 225-229/84, 

G. U. 6 giugno 1984, n. 155. 
Pretore di Aversa, ordinanza 7 novembre 1983, n. 59/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Piacenza, ordinanze (tre) 10 gennaio 1984, nn. 307-309/84, G. U. 
27 giugno 1984, n. 176. 
Pretore di Piacenza, ordinanza 18 gennaio 1984, n. 310, G.U. 27 giugno 
1984, n. 176. 
Pretore di Piacenza, ordinanza 27 gennaio 1984, n. 311, G.U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, artt. 16 e 18 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Savona, ordinanza 24 ottobre 1983, n. 18/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 19 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 maggio 1983, n. 319/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

legge 2 aprile 1979, n. 97, art. 15, primo e secondo comma (artt. 3, 36 e 53 
della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 7 ottobre 1983, n. 1097, G. U. 16 maggio 1984, 

n. 134. 

72 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 3 aprile 1979, n. 101, art. 34, secondo comma (artt. 3, 36 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 giugno 1982, 

n. 90/84, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 
d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [convertito in legge 29 febbraio 1980, 
n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 27 settembre 1983, n. 1073, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 
Pretore di Cosenza, 011dinanza 17 novembre 1983, n. 1071, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 

legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 172 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
12 ottobre 1983, n. 21/84, G. U. 13 giugno 1984, n. 162. 

legge 8 agosto 1980, n. 441, art. 10-bis (art. 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 14 gennaio 1983, 

n. 94/84, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 4, 5, 6, 7, 10, 22 e 29 (artt. 3, 38 e 53 
della _Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 12 dicembre 1983, n. 209/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 10 e 22 (artt. 3 codice procedura civile 
e 31, 33, 35 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 21 ottobre 1983, n. 1074, G. U. 16 maggio 
1984, n. 134. 

legge 1� aprile 1981, n. 121, art. 70, n. 8 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 14 luglio 1983, 

n. 89/84, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 
d.l. 23 luglio 1981, n. 402, art. 12 [convertito in legge 26 settembre 1981, 
n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 27 settembre 1983, n. 1073, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 
Pretore di Cosenza, ordinanza 17 novembre 1983, n. 1071, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 

d.P.R. 26 ottobre 1981, n. 737, art. 9 (artt. 27, 76, 77 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 14 luglio 1983, 

n. 89/84, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 
. I 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

' 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Piacenza, ordinanza 23 novembre 1983, n. 62/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

Pretore di Piacenza, ordinanza 30 novembre 1983, n. 169/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77, primo e secondo comma (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Assisi, ordinanza 29 novembre 1983, n. 2/84, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 
Pretore di Assisi, ordinanza 15 novembre 1983, n. 46/84, G. U. 6 giugno 
1984, n. 155. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Trebisacce, ordinanza 21 aprile 1983, n. 33/84, G. U. 6 giugn� 
1984, n. 155. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Rovereto, ordinanza 1� dicembre 1983, n. 44/84, G. U. 23 mag� 
gio 1984, n. 141. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Bergamo, ordinanza 21 ottobre 1983, n. 72/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 
Pretore di Bergamo, ordinanza 14 ottobre 1983, n. 73/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 
24 della Costituzione). 

Pretore di Poggibonsi, ordinanza 31 ottobre 1983, n. 60/84, G. U. 13 giugno 
1984, n. 162. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 92 (artt. 2, 3 e 32 della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Novara, ordinanza 20 maggio 1983, 

n. 91/84, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 98 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Mondov�, ordinanza 7 giugno 1983, n. 5/84, G. U. 6 giugno 1984, 


n. 155. 

74 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 
23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito nella legge 25 marzo 1982, 
n. 94] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 24 luglio 1983, n. 1076/83, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 

Pretore di S. Benedetto del Tronto, ordinanza 3 ottobre 1983, n. 58/84, 

G. U. 13 giugno 1984, n. 162. 
legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Thiene, ordinanza 22 novembre 1983, n. 20/84, G. U. 2 maggio 
1984, n. 120. ' 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 5 novembre 1983, n. 13/84, G. U. 6 giugno 
1984, n. 155. 
Pretore di Roma, ordinanza 29 ottobre 1983, n. 55/84, G. U. 13 giugno 1984, 

n. 
162. 
Pretore di Roma, ordinanza 10 ottobre 1983, n. 54/84, G. U. 13 giugno 1984, 
n. 
162. 
Pretore di Roma, ordinanza 21 novembre 1983, n. 56/84, G.U. 13 giugno 
1984, n. 162. 
Pretore di Roma, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 57/84, G.U. 13 giugno 
1984, n. 162. 
Pretore di Roma, ordinanza 28 dicembre 1983, n. 201/84, G.U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 8 giugno 1983, n. 76/84, G. U. 27 giugno 1984, 

n. 176. 
legge 25 marzo 1982, n. 98 (artt. 32 e 36 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 17 maggio 1983, n. 45/84, G. U. 13 giugno 1984, 

n. 162. 
legge 26 aprile 1982, n. 81, art. 14, quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 27 settembre 1983, n. 1073, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 
Pretore di Cosenza, ordinanza 17 novembre 1983, n. 1071, G. U. 23 maggio 
1984, n. 141. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Fermo, ordinanza 25 novembre 1983, n. 221/84, G. U. 9 maggio 
1984, n. 127. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 25 (art. 41 della Costituzione). 
Tribunale di Pesaro, ordinanze (due) 20 luglio 1983, nn. 196 e 197/84, 


G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 
Tribunale di Pesaro, ordinanza 27 luglio 1983, n. 198/84, G. U. 9 maggio 
1984, n. 127. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 
7f 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Ancona, ordinanze (due) 20 dicembre 1983, nn. 178/84 e 190/84, 

G. U. 2 maggio 1984, n. 120. 
Tribunale di Ancona, ordinanza 29 dicembre 1983, n. 185/84, G. U. 2 maggio 
1984, n. 120. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (sei) 29 novembre 1983, nn. 179-184/84, 

G. U. 2 maggio 1984, n. 120. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (sei) 10 dicembre 1983, nn. 186-189/84 e 
191-193/84, 
G. U. 2 maggio 1984, n. 120. 
Tribunale di Ancona, ordinanze (otto) 14 gennaio 1984, nn. 328-335/84, 

G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43, 44 e 46 
della Costituzione). 

Tribunale di Arezzo, ordinanze (nove) 28 ottobre 1983, nn. 113-121/84, 

G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 9 dicembre 1983, n. 253/84, G. U. 9 maggio 
1984, n. 127. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (art. 41 della Costituzione). 

Tribunale di Pesaro, ordinanza 27 luglio 1983, n. 199/84, G. U. 9 maggio 
1984, n. 127. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (art. 43 della Costituzione). 

Tribunale di Brescia, ordinanza 4 ottobre 1983, n. 1100, G. U. 6 giugno 1984, 

n. 155. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della 
Costituzione). 

Tribunale di Macerata, ordinanze (due) 15 dicembre 1983, nn. 207 e 208/84, 

G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 
Tribunale di Macerata, ordinanze (due) 19 gennaio 1984, nn. 172 e 173, 
G. U. 9 maggio 1984, n. 127. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 35, 37 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1983, 

n. 30/84, G. U. 30 maggio 1984, n. 148. 
d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 25 [convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516) 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Potenza, ordinanze (sei) 30 novembre 
1983, nn. 424-429/84, G. U. 27 giugno 1984, n. 176. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

76 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito 
in legge 27 novembre 1982, n. 373] (artt. 3, 11, 23 e 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 9 dicembre 1983, n. 150/84, G. U. 27 giugno 
1984, n. 176. 

d.l. 24 marzo 1984, n. 37 (artt. 115, 116, 119 e 136 della Costituzione e 2, 12, 
14 e 50 dello statuto reg. Valle d'Aosta). 
Regione autonoma Valle d'Aosta, ricorso 27 aprile 1984, n. 13, G. U. 16 maggio 
1984, n. 134. 

d.l. 17 aprile 1984, n. 70, artt. 1 e 4 (art. 77 della Costituzione). 
Regione Toscana, ricorso 4 giugno 1984, n. 15, G. U. 20 giugno 1984, n. 169. 

legge provincia autonoma di Trento approvata il 2 maggio 1984 (artt. 3, 51, 
97 e 116 della Costituzione e 4 e 8, n. 1, dello statuto speciale Trentino-Alto 
Adige). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 maggio 1984, n. 14, G. U. 20 giugno 
1984, n. 169. 

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