ANNO XXXV -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1983 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1983 



ABBONAMENTI ANNO 1983 

ANNO � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 29.000 
UN NUMERO SEPARATO ���� � � � � � � � � � � � 5.300 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in ltal, 
Aucor11ZU!one Tribunale di Roma -De~reto n. 11089 del 13 1...Uo 1966 


(4219246) Roma, 1983 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del


/'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . pag. 433 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
del/'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara) et. . � 458 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) ~ . . . . . '":'-: . . . . � 482 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA 
Antonio CatricJltl�J. 
CIVILE (a cura dell'avvocato 
. . . . . . . . . . . . . . � )) 491 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli 
avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) � 502 

Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Bafife) . . . . . )) 506 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 563 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 580 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 

LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, BaT'i; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GmccIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazi.o Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; 
Giancarlo MAND�, Venezia. 



\

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


L . 
-~


-Appalto d'opere pubbliche � Addizioni 
e variazioni -Opere relative a 
fondazioni -Variazioni in aumento 
contenute .nel sesto quinto dell'itnporto 
totale del contratto, ma eccedenti 
il quinto della quantit� originaria 
-Equo compenso ex art. 13, 
comma 5�, d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063 -Spettanza, 567. 
-Appalto di opere pubbliche � Arbitrato 
-Capitolato generale d'appalto 
per le opere cli competenza del Mi� 
nistero dei lavori pubblici � Facolt� 
cli esclusione della competenza arbi� 
trale � Competenza dell'Avvocatura 
dello Stato � Sussiste, S/7. 
-Appalto cli opere pubbliche � Clausola 
compromissoria � Richiamo alle 
disposizioni contenute nel capitolo 
IV del d.P.R. 16 luglio .1962, n. 1063 � 
Valore, 577. 
-Appalto d'opete pubbliche � Protrazione 
dell'esecuzione oltre il termine 
contrattuale � Per causa itnputa� 
bile all'amministrazione � Risarcimento 
del danno � Diritto all'accredito 
dell'alea scontata in sede cli revisione 
del prezzo � Condizioni, 572. 
-Appalto d'opere pubbliche � Protrazione 
dell'esecuzione oltre il termi� 
ne contrattuale � Per causa itnputabile 
all'amministrazione � Risarcimento 
del danno � Diritto al pagamento 
di somma corrispondente al 
ribasso d'asta � Esclusione, 571. 

ARBITRATO 

-Lodo � Impugnazioni � Revocazione 
� Ammissibilit� � Limiti, 563. 

-Proponibilit� della domanda � Condizioni 
� Collaudo � Necessit� � Li� 
miti, 565. 

ATTO AIMMINISTRATIVO 

-Discrezionalit� � Rifiuto o sospensione 
della patente di guida � Motivazione, 
439. 

COMPETENZA CIVJJLE 

.� 
-Difetto assoluto cli giurisdizione � 
Nozione, 492. 
-Impiego pubblico � Segretariato generale 
della -�Presidenza della Repub� 
blica � Indennit� di fine rapporto � 
Contributi sull'indennit� aggiuntiva 
percepita ai fini del conseguitnento 
di una maggiore base pensionabile � 
Giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo � Sussiste, 492. 

COMUNI 

-Compresi gli amministratori locali � 
Indennit� per speciali compiti � 
Cumulabilit�, 445. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Comunit� europea del carbone e 
dell'acciaio (CECA) � Crediti della 
CECA � Prelievi per la produzione 
d'acciaio � Riscossione � Privilegio � 
Insussistenza, 472. 

-Libera circolazione delle merci � 
Riordinamento del monopolio nazionale 
dei tabacchi lavorati � Determinazione 
dei margini cli commer� 
cializzazione, 476. 

-Unione doganale �.Libera circolazione 
delle merci � Organizzazione comune 
del mercato vitivinicolo � Importazione 
di vino italiano in Fran� 
cia, con nota di I. M. BRAGUGLIA, 458. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione � Sospensione 
dell'atto impugnato � Atto 
della Commissione cli controllo � 
Ininfluenza della sospensione, 414.2. 

-Conflitto di attribuzione � Sospensione 
dell'atto impugnato � Autotutela 
dello Stato nei confronti cli una 
Regione � Recupero graduale � Non 
sussistono le � gravi ragioni �, 442. 

-Conflitto di attribuzione � Sospensione 
dell'atto impugnato � Insuscettibilit� 
di esecuzione dell'atto � Man� 


VI 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

canza di presupposto per la sospensione, 
442. 

-Conflitto di attribuzione -Sospensione 
dell'atto impugnato � :Minore 
redditivit� di disponibilit� finanziarie 
� Non sussistono le � gravi ragioni
�, 441. 

-Ricorso dello Stato avverso delibera 
legislativa regionale riapprovata Motivi 
diversi da quelli del previo 
rinvio governativo -Inammissibilit�, 
438. 

DEIMANIO 

-Acquisto di bene per fini pubblici 1Sospensione 
dell'uso pubblico � Persistenza 
della destinazione potenziale 
del bene a servire all'uso pubblico 
� Mancata perdita della demanialit�, 
con nota di G. STIPO, 491. 

-,Potere di autotutela della P.A. Ingiunzione 
di rilascio -Legittimit� 
anche nel caso di rivendicazione, 
con nota di G. STIPO, 491. 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

-Diritto soggettivo del privato alla 
cessione in propriet� -Alloggi ammessi 
od esclusi dal riscatto -Giurisdizione 
ordinaria, 489. 

Gl'UiRISDIZIONE CIVILE 

-Difetto assoluto -Nozione -Prestazioni 
lavorative ad Ente Pubblico 
non economico � Inserimento nella 
struttura organizzativa dell'Ente Atti 
equipollenti alla noinina � Giurisdizione 
amministrativa, 482. 

-Enti pubblici -Appalto di manodopera 
� Rapporto diretto con l'ente 

:~~~~:n:G. ~=~~~9~cistica, 

-Giudicato -Formazione, 483. 

-Nomina a console in base al d.P.R. 
5 gennaio 1967, n. 18 -Rapporto di 
servizio volontario -Difetto di professionalit� 
e retribuzione predeterminata 
-Servizio onorario -Domanda 
di costituzione di posizione assicurativa 
-Difetto assoluto di giurisdizione, 
483. 

-Pronuncia di merito -Mancata impugnazione 
del capo di sentenza -
Rilevabilit� del difetto di giurisdizione 
dell'A.G.O. in sede di l�gittimit� 
-Preclusione, 488. 

-iRapporto di lavoro di diritto privato 
extra legem -Difetto assoluto 
di giurisdizione -Non sussiste Operaio 
giornaliero assunto ex articolo 
3 legge 26 febbraio 1952, numero 
67 -Natura pubblicistica del 
rapporto -Giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, 483. 

-Sentenza denegativa -Qualificazione 
del rapporto dedotto in lite Giudicato 
endoprocessuale, 483. 

IMPIEGO PUIBiBLICO. 

-Omnicomprensivit� del trattamento 
econoinico -Limiti, 445. 

ISTRUZIONE E SCUOLE. 

-Scuola materna � Insegnanti di sesso 
maschile -Esclusione -IllegittiInit� 
costituzionale, 453. 

LAVORO 

-Applicazione del rito del lavoro a 
controversia cui non si applica � 
Nullit� -Non sussiste, 492. 

-Diritto di sciopero -Coazione della 
pubblica autorit� mediante sciopero 
-Illegittimit� costituzionale J..
imiti, 452. . 

-Messo di conciliazione e pubblica 
amministrazione -Rapporto -Non 
sussiste -1Svalutazione -Risarcimento 
del danno -Non spetta, 492. 

-Rapporti di lavoro -Convenzioni 
enti mutualistici -:Medici esterni Blocco 
tariffe -Nuove convenzioni, 

501. 
PENSIONI 

-Orfano maggiorenne di dipendente 
statale -Decisione della Corte dei 
Conti di riconoscimento del diritto 
a pensione -Efficacia per il periodo 
successivo al provvedimento di 
diniego -Insussistenza, con nota di 

G. STIPO, 502. 

INDICE DBLLA GIURISPRUDENZA 
vn 

PROCEDIMENTO CIVIILE 

-Lavoro -Intervento v9lontario Fissazione 
cli nuova udienza -Necessit�, 
455. 

PROCEDIIMENTO PBNALE 

-Garanzie patrimoniali cli esecuzione 
-Competenza della Procura della 
Repubblica presso il Tribunale a 
richiedere iscrizione cli ipoteca legale 
successivamente al deposito della 
sentenza emessa dal Tribunale e 
fino all'effettiva trasmissione degli 
atti al giudice della impugnazione Sussiste, 
580. 

-Garanzie patrimoniali cli esecuzio� 
ne -iRicorso per cassazione dell'im� 
putato avverso provvedimento emes� 
so dal Tribunale quale giudice del~ 
l'esecuzione in tema cli iscrizione cli 
ipoteca legale -Omessa notifica del 
ricorso alle altre parti del processo � 
Inammissibilit� della impugnazio� 
ne, 580. 

-Reato ministeriale -Messa in istato 
cli accusa � Autonomia delle procedure 
parlamentari, 450. 

-Ricusazione del giudice -Incidente 
di legittimit� costituzionale � Non 
legittimazione del giudice ricusato, 

448. 
PROPR!IETA 

-Usucapione abbreviata -Titolo idoneo 
all'acquisto -Corrispondenza 
tra l'oggetto del titolo e l'oggetto 
del possesso -Deve sussistere, 500. 

-Usucapione abbreviata � Valutazione 
degli elementi costitutivi -Indagine 
cli fatto, 500. 

REATO 

-Reati valutari -Reato previsto dal� 
l'art. 2, primo comma, della legge 
30 aprile 1976, n. 159, sostituito dal� 
l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, 

n. 689 � Inapplicabilit�, in caso cli 
condanna, quale pena accessoria, 
della sanzione amministrativa cli cui 
all'art. 8 del D.L. 4 marzo .1976, n. 31, 
sostituito dall'art. 1 della legge 30 
aprile 1976, n. 159, 582. 
- 
Reati valutari -Reato previsto dal� 
l'art. 2, primo comma, della legge 

30 aprile 1976, n. 159, sostituito dal


l'art. 3 della legge 8 ottobre 197'6, 

n. 689 -Omessa dichiarazione all'Uf� 
ficio italiano dei cambi entro il ter� 
mine previsto cli immobile sito in 
Italia fittiziamente trasferito a societ� 
estera -Sussistenza, 581. 
RESPONSABILITA CIVILE 

-Criteri di imputazione � Risarcimento 
del danno � Limiti, 496. 

-Esteriorizzazione del fatto costituti� 
vo -Conoscibilit� dell'evento dan� 
noso ai fini del decorso della prescrizione, 
496. 

- 
Prova liberatoria � Requisiti, 496. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento tributario -Notificazioni 
-Persona giuridica -Impossi� 
bilit� di notifica presso la sede 
legale -Omessa ricerca della legale 
rappresentante -iDeposito presso la 
casa comunale -Nullit�, 533. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Questione sulla natura 
agricola o edificatoria dei suoli Inammissibilit�, 
5~. 

-Contenzioso tributario -Giudizio cli 
terzo grado� Ricorso alla corte d'Appello 
� Principio della domanda Pronuncia 
di ufficio -Esclusione, 

542. 
-Contenzioso tributario -Procedimento 
innanzi alle commissioni � 
Ufficiosit� -Esclusione -Principio 
della domanda -Si applica, 536. 
-Contenzioso tributario -Ripartizione 
di potest� tra commissioni cli primo 
e secondo grado e corte d'appello � 
questione cli competenza funzionale 
e non di giurisdizione, 552. 
-Prescrizione � Interruzione con effetto 
permanente � Domanda cli insinuazione 
nel passivo fallimentare Interruzione 
fino alla chiusura del 
fallimento, 558. 

TRIBUTI ERARIALI DliRETTI 

-Accertamento -Bilancio -Rettifica 
delle poste attive � Obbligo dell'ufficio 
cli adeguare anche le poste passive 
-Esclusione -Onere della prova 
� Applicazione, 559. 


vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Contenzioso tributario -Rimborso 
di ritenuta � Domanda contro l'Amministrazione 
finanziaria � Giurisdizione 
delle commissioni, con nota 
di C. BAFILB, 506. 

-Contenzioso tributario � Rim'borso 
di ritenuta � Domanda del contribuente 
contro il sostituto � Giurisdizione 
delle commissioni -Esclusione, 
con nota di C. BAFILB, 506. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Plusvalenza -Determinazione Accertamento 
induttivo -Riferimento 
ai valori accertati ai fini dell'im� 
posta di registro -Legittimit�, 545. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Plusvalenza -Operazione di 
speculazione � Trasformazione e lottizzazione 
di terreni � Art. 76 d.P .R. 
29 settembre 1973., n. 597 � Nuova 
fattispecie impositiva -Esclusione, 

545. 
-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Soggetti passivi -Organizzazione 
di persone non costituenti societ� 
� � tale, 545. 
-Imposta unica sul reddito delle persone 
fisiche � Reddito dei fabbricati� 
Regime particolare per il biennio 
1974-75 � Non esclude l'accertamento 
del reddito effettivo, 520. 
-Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati 
� Agevolazioni per le case di 
abitazione non di lusso -Decadenza 
-Eccedenza di volumetria -Volumi 
tecnici -Sono compresi nella 
tolleranza del 2 per cento, 535. 
-Imposte fondiarie -Imposta sui 
fabbricati � Reddito effettivo -:Accertamento 
� Esclusione � Comparazione 
con canoni locatizi di fabbricati 
analoghi � Impossibilit�, 519. 

-Imposte fondiarie � Imposta sui 
fabbricati -Reddito effettivo superiore 
al reddito catastale � Determinazione 
in via di comparazion� 
Ammissibilit�, 520. 

-Imposte fondiarie � Imposta sui fab


bricati � Reddito effettivo superiore 
al reddito catastale -Determinazione 
in via di comparazione � Esclusione 
� Reddito risultante da contratto 
di locazione � � il solo rilevante, 
518. 

TRIBUTI ERARIALI IINDiiRETTI 

-Imposta di registro � Agevolazione 
per le case di abitazione non di 
lusso � Acquisto area � Decadenza Parziale 
violazione di licenza edilizia 
� Corpo di fabbrica indipendente 
� Riduzione proporzionale del valore 
da assoggettare all'imposta, 543. 

-Imposta di successione � Deduzione 
di passivit� -Conto corrente bancario 
� Legge 24 dicembre 1969, 

n. 1038 -Parere di anteriorit� effettiva 
e ammontare del debito, 531. 
-Imposta sulle successioni e donazioni 
-Passivit� ereditarie -Saldo 
passivo di conto corrente bancario Limiti 
di deducibilit�, 433. 

-Imposte di fabbricazione -Respon


I

sabile d'imposta � Dipendente di societ� 
preposto al servizio -Assoluzione 
in sede penale -Esclusione, 


I

538. 
TRIBUTI LOCALI 

-Imposta locale sui redditi -Societ� 
di persona � Accertamento � Notifica 
a socio fallito -Necessit�, 550. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

14 luglio 1982, n. 130 . . . 
21 aprile 1983, n. 103 
21 aprile 1983, n. 107 . . . 
28 aprile 1983, n. 109 . . . 
29 aprile 1983, n. 119 (ord.) 
29 aprile �1983, n. 121 (ord.) 
29 aprile 1983, n..122 (ord.) 
29 aprile 1983, n. 125 (ord.) 
16 maggio 1983, n. �138 . . 
31 maggio 1983, n. 147 (ord.) 
13 giugno 1983, n. 161 
13 giugno 1983, n. 165 
16 giugno 1983, n. 173 
29 giugno �1983, n. 193 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 

22 marzo 1983, nella causa 42/82 . . . . . . . 
17 maggio 1983, nella causa 168/82 
7 giugno .1983, nella causa 78/82 . . . . . . . 


GIURISDIZIONI CIVILI 

COR11E DI CASSAZIONE 

Sez. Il, 18 marzo 1981, n. 1603 
Sez. I, 19 luglio �1982, n. 4237 . 
Sez. I, 30 luglio 1982, n. 4360 
Sez. I, .10 agosto 1982, n. 4473 
Sez. Lav., 2 febbraio 1983, n. 899 
Sez. Un., 17 febbraio 1983, n . .1203 
Sez. Un., 19 febbraio 1983, n. 1295 
Sez. Ili, 24 febbraio 1983, n. 1442 
Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1466 
Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1468 
Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2083 
Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2088 
Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2230 

pag. 445 
� 433 
� 438 
� 439 
� 441 
� 442 
� 442 

.. 442 
� 448 
� 450 
� 445 
� 452 
� 453 

.,, 

455 

pag. 456 

� 472 

� 476 

pag. 491 
� 563 
� 520 
� 565 
� 492 
� 492 
� 506 
� 496 
� 567 
� sn 
� 518 
� 5\31 
� 520 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

X 

Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2232 
Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2237 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2290 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2291 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2296 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2298 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2301 
Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2304 
Sez. Un., 31 marzo 1983, n. 23<50 
Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2449 .. 
Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2451 .. 

Sez. Un., 27 aprile 1983, 
Sez. Un., 2 maggio 1983, 
Sez. Un., 2 maggio ,1983, 
Sez. Un., 2 maggio 1983, 
Sez. Un., 9 maggio 1983, 
Sez. Un., 9 maggio 1983, 

n. 2889 
n. 3000 
n. 3000 
n. 3006 
n. 3146 
n. 3151 
Sez. Un., 16 maggio 1983, n. 3358 
Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3947 . 
Sez. Lav .� 17 giugno 1983, n. 4184 

TRIBUNALE DI ROMA 
Sez. I, 30 aprile 11983. n. 6688 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 
Sez. IV, 27 aprile 1982, n. 264 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI OAISSAZIONE 

Sez. II, Ord. 10 agosto 19&2, n. 2115 
Sez. III, 26 febbraio 1983, n. 1764 . 

pag. 519 
� 533 
� 535 
� 538 
� 542 
� 543, 
� 545 
� 550 
� 552 
� 558 
� 559 
� 506 
� 482 
� 482 
� 483 
� 488 
� 489 
� 489 
� 500 
� 501 

pag. 577 

pag. 502 

pag. 580 
� 581 



PARTE SECONDA 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
LEGiiSLAZIONE 
I. � Norme dichiarate incostituzionali 
II. � Questioni dichiarate non fondate 
III. � Questioni proposte . . . . . . . 
~%1tU..:~~: . pag 
� 
� 
53 
54 
55 


I


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I ! 



PARTE PRIMA 



SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 aprile 1983, n. 103 -Pres. Elia -Rel. Malaigugini 
-Colognesi (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri e Ministero 
delle finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sulle successioni e donazioni -Passivit� 
ereditarie -Saldo passivo di conto corrente bancario -Limiti di 
deducibilit�. 
(Cost., art. 53; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 13). 

Non pu� dirsi che la configurazione di una prova legale rigorosa 
equivalga a dare una base fittizia alla imposizione tributaria: la prova 
legale mira a garantire la certezza dei rapporti giuridici e, in materia 
tributaria, anche a tutelare l'interesse generale alla riscossione dei tributi 
contro ogni tentativo di evasione; e rientra nella discrezionalit� del legislatore 
-il cui apprezzamento, ove non trasmodi in palese arbitrariet� 

o irrazionalit�, sfugge al sindacato del giudice costituzionale -la scelta 
dei meccanismi probatori che si ritengano maggiormente idonei a conseguire 
tale risultato. L'art. 13, terzo e quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 637 non contrasta con l'art. 53 Cost. (1). 
1. -In materia di imposte sulle successioni, Ia deducibilit� dei debiti 
ereditari � regolata dalle norme di cui agli artt. 12 e segg. del d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 637. 
Ai sensi dell'art. 12, i debiti esistenti alla data di apertura de1Jla successione 
costituiscono passivit� deducibili � alle condizioni e nei limiti. 
di cud ai successivi articoli. �. 

L'art. 13, poi, precisa che si considerano esistenti alla data di apertura 
della successione i debiti risultanti da atti scritti che abbiano data 
certa anteriore a quella di apertura della successdone, quelli' la cui esistenza 
per causa anteriore alla data stessa ,risulti da provvedimenti giu


(1) L'importanza del principio affermato dalla Corte Costituzionale e riportato 
nella prima parte della massima � evidente e trascende di molto l'ambito 
della particolare controversia. Il diritto tributario attende ancora una trattazione 
approfondita ed una disciplina organica della prova e delle attivit� istruttorie, 
in grado di operare e per i procedimenti amministrativi di accertamento e 
per il processo tributario (ovvie ragioni -e soprattutto la esigenza di evitare 
che l'intervento della giurisdizione assuma carattere � necessitato� -ostano a 
che vi siano differenze tra istruttoria amministrativa ed istruttoria giurisdizionale). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

risdizionali divenuti definitivi (primo comma) ed i debiti risultanti da 
cambiali o vaglia cambiari, se anteriormente al.la data di apertura della 
successione �,siano stati annotati nelle scritture contabili del debitore 
regolarmente tenute od obbligatorie a norma di legge �, ovvero m quelle 
del trattario o prenditore, qualora il debitore non sia obbligato alla 
tenuta delle scritture contabili (secondo comma). Ai sensi del terzo comma 
dello stesso art. 13, la test� citata disposizione riguardante i debiti 
cambiari � vale anche per gli addebitamenti dipendenti da as,segni emessi 
negli ultimi dodici mesi :in base a contratt:i di apertura di credito in 
conto corrente bancario �. n success:ivo comma quarto dispone, infine, 
che l'ammontare degli assegni emessi dal defunto � computato in diminuzione 
di quello degli accreditamenti effettuati su.11.o stesso conto, a condizione 
che l'assegno sia stato presentato �al pagamento almeno quattro 
giorni prima dell'apertura della successione e che l'avvenuto pagamento 
risulti da un estratto delle scritture contabili obbligatorie dell'istituto, 
dal quale emerga l'integrale svolgimento del conto negli ultimi dodici 
mesi anteriori all'apertura della successione. L'amministrazione finanziaria 
pu� chiedere fa esibizione, m originale o in copia autenticata, degli 

assegni o idi alcuni degili assegni indicati nell'estratto. 

Ai fini della dimostrazione dei debiti, dl successivo art. 16 stabilisce 
poi che per i debiti risultanti da atti scritti o da provvedimenti giurisdizionali 
occorre la produzione del titolo, in originale o in copia autent:
ica (comma primo n. 1); che per i debiti cambiarti occorre produrre 
oltre al titolo, un estratto notarile delle scritture contabi'li obbligatorie 
del debitore o del prenditore o trattario (comma primo n. 2); e che per 
i debiti ne:i confronti di aziende o istituti di credito, oltre alla presentazione 
dell'estratto di cui all'art. 13, quarto comma, ed �alla dichiarazione 
di sussistenza del debito al tempo dehl.'apertura della successione, deve 
essere prodotto anche un certificato dal quale risultino tutti i rapporti 
debitori e creditori in atto tra il defunto e l'istituto di credito alla data 
di apertura della successione (comma terzo). 

Tale essendo la normativa vigente, la Commissione tributaria di secondo 
grado dii Rovigo dubita che contrastino con :il principio della capacit� 
contributiva, di cui all'art. 53 Cost., ~e disposizioni dei commi terzo 
e quarto del citato art. 13 del d.P.R. n. 637 del 1972. 

Ci� perch�, secondo l'interpretazione del giudice a quo -conforme 

peraltro a quella adottata dall'Amministrazione finanziaria, da ultimo 

con la risoluzione ministeriale n. 321052 del 21 dicembre 1976 -, per 

quanto attiene ai contratt:i di apertura di credito in conto corrente ban


cario stipUll.ati dal defunto, le norme denunziate consentirebbero di de


durre dall'attivo ereditario il saldo passivo risultante rispetto ai versa


menti effettuati nel medesimo periodo ai soli assegni emessi ne:i dodici 

mesi anteriori. �all'apertura della successione. Non si potrebbe, quindi, 

tener conto degli addebitamenti dipendenti da assegni emessi :in epoca 

l 

! 

I 

II 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

precedente, n�, conseguentemente, dedurre dalil'attivo ereditario lil saldo 
passivo :risultante dall'integrale svolgimento del conto corrente bancario. 
Anzi, secondo il giudice a quo, di saldo del conto corrente, attivo o passivo 
che sia, verrebbe determinato in termini difformi da quelLi risultanti 
dai �dati .reali � :in base 1ai quali. soltanto pu� rettamente stabilirsi 
la capacit� contributiva degli eredi. 

La questione non � fondata. 

Essa, infatti, presuppone una lettura delle disposi2lioni di legge denunmaite 
che questa Corte, iin conformit� all'opinione espressa, sul punto, 
dalla prevalente dottrina non �ritiene di poter condiviidere. Giova in proposito, 
cos� come ha fatto la difesa degli intervenuti, Presidente del Consiglio 
dei Ministri e Ministro delle finanze pro tempore, prendere le mosse 
dafil'abrogata legge tributaria ,sulle successionii (r.d. 30 �dicembre 1923, 

n. 3270). Il legislatore del 1923, dopo aver posto come 1regola generale 
la deducibilit� dei debiti certi e liqukld. risultanti da atto scritto in data 
certa anteriore all'apertura della successione (art. 45, commi primo, secondo 
e quarto), aveva dettato regole speciali volte �ad attenuare il rigore 
formale della prova :in tal modo richiesta tenendo conto della particolare 
natura dii taluni tipi di passiiwt�. Tra queste �regole viene qui 
in considerazione quella di cui al quinto comma del medesimo art. 45 
che, per la deducibild.t� dei debiti di commercio o � risUJltanti da cambiali 
od altri effettli all'ordine�, stabiliva essere sufficiente che fossero 
annotati nei libri idi commercio, regolarmente tenuti a norma di legge, 
del d,ebitore o del creditore. Questa diisposizione agevolativa non fu in 
giurisprudenza giudicata applicabile all'emissione di assegni in 1c/c, per 
i quailii si riteneva perci� necessal1ia la prova non della sola esistenza 
dell'assegno qUJietrunzato, bens� anche dell'esistenza del rapporto sottostante 
e ci� nei modi previsti dal:la regola generale �di cui ai commi primo, 
secondo e quarto dell'art. 45. Siffatto rigore probatorio fu per� fortemente 
attenuato con l'articolo unico della legge 24 dicembre 1969, 
n. 1038 (contenente �norme interpretative ed integrative� del citato articolo 
45) che sostitu� -rper la deduzione dei �debiti derivanti da saldo 
passivo .di conto corrente bancario, originato da emissione di assegni � alla 
dimostrazione del mpporto contrattuale di base mediante aitto di 
data certa ( � quale che sia iii rapporto contrattuale sottostante �) quella 
�dell'integrale �svolgimento del conto a partire dal 31 dicembre dell'anno 
anteriore aill'apertum della successione o dall'ultimo saldo attivo del conto
�; dimostrazione da darsi mediante 1dichiarazione dell',1stituto di credito 
o estratto notarile sulla base delle registrazioni operate anche per 
riassunto nei libri !inventari e giornale dello stesso istlituto �di credito ed 
integrata con fa produzione degli assegni e con una dichiarazione di sussistenza 
del deblito. 
Rispetto a tale regolamentazione, quella !introdotta con il d.P.R. 

n. 637/1972, da un lato, ha mantenuto sostanzialmente, sul piano della 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

436 

documenta2Jio~e I1ichiesta ai fini probatori, le disposizioni agevolative di 
cui alla legge n. 1038/1969 (peraltro escludendo dal computo glii assegni 
presentati aJl pagamento meno dii quattro giorni prima dell'apertura della 
successione e rendendo solo eventuale la .produzione degli assegni); dall'altro, 
ha limitato l'applicabilit� di tali disposizioni ai sol.i assegni emessi 
mbase a contratti ,di apertura idi credito in conto corrente bancario (con 
esclusione di altri contratti bancari, come il deposito in conto corrente). 

Soprattutto -per quanto qui interessa -la normativa vigente ha 
circoscritto agili addebitamenti da assegni emessi nell'ultimo anno di vita 
del defunto la regola probatoria, meno !Ili!gorosa, della quale si discute. 
Dli conseguenza, mentre ~n base alla legge n. 1038/1969 era sempre possibile 
la 1dimos,trazione dell'esistenza di un saldo passdvo attraverso le 
,scritture contabili delila banca, in quanto J:a ricostruzione delle vicende 
del conto corrente ere lin ogni caso effettuata a partire da un saldo 
attlivo (quello del 31 1dicembre dell'anno anteriore ,all'apertura della successione, 
ove risultasse, appunto, attivo, ovvero il saldo attivo anteriore 
a tale data, in caso contrario), con ila nuova normativa l'idoneit� probatoria 
di tali scritture contabilli � liimtata agli addebitamenti ed accreditamenti 
degli ultimd dodici mesi, sicch� un eventuale saldo passivo preesistente 
non � rpro~abile allo stesso modo. 

Non possono per� ritenersi mutati, rispetto alla disciplina preesistente, 
n� la natura dehle disposizioni dettate nell:a materia esaminata 
n� il tipo dli rapporto strutturale intercorrente tra di esse. Tutte le disposizioni 
contenute nell'art. 13 d.P.R. n. 637/1972 sono, infattli, dirette 
a discip1inare non la rilevanza, ai fini dell'imposta sulle suocessioni, dei 
debiti nelle stesse considerati, bens� fa prova che di taili deblitli occorre 
fornire perch� essi siano deducibi1i dall'attivo ereditario. L'intero art. 13 
contiene, cio�, un s[stema 1di predeterminazione legale dei mezzi di prova 
che il legislatore, al fine di evitare evasioni fiscali e possibili collusioni 
dirette a realizzarile, ritiene necessarii per fa �dimostra2lione della preeslistenza 
del debito all'apertura della ,successione e quindi per la sua deducibilit� 
dall'attivo ereditario. 

In secondo luogo, non � mutato, rispetto alla disciplina prees~stente, 
il rapporto intercorrente tra la regola genemle dettata nel primo comma 
dell'art. 13 (corrispondente al primo comma dell'art. 45 r.d. n. 3270/ 
1923) e Je regole particolari che in materia di debiti cambiari e ,di debitli 
dipendenti da emissione di assegni sono poste dal secondo, dal terzo e 
dal quarto comma del medesimo articolo (corrispondenti rispettivamente, 
al quinto comma del citato art. 45 ed all'articolo unico della il. 1038/ 
1969). Tra la P�rima regola e le successive vi � cio� pur sempre, anche 
in base al1a nuova dli.sciplina, un :rapporto di suss1diariet�, nel senso 
che le seconde, per agevolare l'assolvimento dell'onere probatorio, derogano 
alla prima ponendo requisiti meno rigorosi; il che comporita, ove 
questi uiltimi requisiti non ricorrano, non gi� l'irrilevanza del debli.to, 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ma il suo assoggettamento alla regola pirObatoria generale. T'anto i debiti 
cambiari che quelli dripendenti da emissione di assegni sono, infatti, 
di per s� suscettibili di dimostn1zione attraverso la prova del ,rapporto 
contrattuale sottostante, SI�cch� ove questo sia documentato in un atto 
scritto di data certa anteriore all'apertura della successiione non vi � ragione 
per escluderli dall noveirO di quelli la cui prova pu� essere fornita 
alla istregua della norma generale. Non si tratta, cio�, isotto il profilo 
in esame, di una diversa categoria di debi1li ed il fatto che, a propos[to 
dei debiti cambiari, non sia stata ripetuta nell'art. 13 la locuzione esplicitante 
ti1 rnpporto dii sussliidiarl.et� contenuta nel quinto comma deil citato 
art. 45 r.d. n. 3270 del 1923 (� qualora non si trovino nelle condizioni 
previste nei p:rieoedentii capoversi�) 111.on toglie che in sede di 
irnterpretazione logico-siistematica tale rapporto, secondo la comune opdn!
ione della dottrina, debba essere pur sempre :riiconosduto sussistente. 

Ne consegue che altrettanto deve dirsi per i debiti dipe:ndentii da 
emissione di assegnl� avvenuta in base a contratti di apertum di credito 
in conto corrente bancario, posto che per essi ~"art. 13, terzo comma 
estende espressamente � ~a dliisposizione del comma precedente � dettata 
per i debiti cambiar-i. 

Conclusivamente, non pu� essere condii.visa la iinte:ripretazione delle 
dispoSti.zioni di legge denunziate dalla quale muove la Commissione tributaria 
di secondo grado di Rovigo per sollevare la questione di legittimit� 
costituzionale di che trattarsi. Al contrario, si deve ritenere che, 
ove alla data di apertura della successione, in base a contratto dri apertura 
di credito in conto corrente bancario risulti un sai1do passivo (e cio� 
un debito del defunto verso la banca) derivante -in rutto o iin parte da 
assegni emessi oltre un anno prima, la prova di questi addebitamenti 
potr� essere offerta nei modi prevtism dal primo comma dell'art. 
13, ferma restando rapplioabilit� della ,regola ,di cui ,al quarto comma 
del medesimo art. 13 per gli addebitamentii iinfoannuailii. 

Le suesposte considera:z;iOnl� conducono ad escludere che le norme 
impugnate configurino un presuipposto d'iimposta non corrispondente alla 
effettiva capacit� contributiva degli eredi, dal momento che non precludono 
la computabilit�, 1a finl� ,dJi. deduzione, degli addebitamenti ultrannua1i. 
n fatto che per questi sia richiesta una prova pi� rigoirOsa e, 
che, conseguentemente, l'erede possa non essere m grado ,di fornl�rla 
non si pu� addurre a motivo di incostituzionallit� della norma che la pretende. 
Come fa Co!'te ha gi� avvertito -in riferimento al citato art. 45 

r.d. n. 3270/1923 -nella sentenza n. 50 del 1965, fimpossibiJit� materiale 
di fornire la prova richiesta si risolve in un impedimento di mero fatto, 
come tale estraneo alla problematica costituzionale; e d'altm parte, ove 
tale impossibtiibit� sia inco1pevole torne!'anno applicabili le ,disposizioni 
dettate, in via generale, dall'art. 2724 cod. oiv. N� pu� dirsii. che la 00!11� 
figurazione di una prova legale rigorosa equiv�alga a dare una base fit

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

438 

tizia all':imposizdone tributaria. La prova legale mira a garantire la certezza 
dei raippor1li giuraidici e, in materia tributaria, anche a tutelare 
l'interesse generale aLla riscossione dei tributi contro ogni tentativo di 
evasione; e rientra nella discrezionalit� del legislatore -H oui apprezzamento, 
ove non trasmodi in palese 'arbitrariet� o irrazionalit�, sfugge 
al sindacato di questa Corte -la scelta dei meccarll.sm:i probatori che 
si Titengano maggiormente ~donei a conseguire tale risultato. 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 aprile 1983, n. 107 � Pres. Elia � Rel. Paladin 
-Presidente ConsigLio dei Ministrii (vdce avv. gen. Stato Azza. 
riti) e Regione Lombardia (avv. Pototsching). 

Corte Costituzionale � Ricorso dello Stato avverso delibera legislativa 
regionale riapprovata � Motivi diversi da quelli del previo rinvio governativo 
� Inammissibilit�. 

� inammissibile il ricorso dello Stato avverso delibera legislativa 
regionale riapprovata quando non intercorre, neppure nelle linee essenziali, 
una corrispondenza tra motivi del previo rinvio governativo e le 
censure esposte nel ricorso (1). 

(omissis) Quanto 1ail primo motivo, esso non trova a:lcun riscontro 
nelle vagioni che hanno dspimto il previo rinvio governativo, disposto 
ai sensi dell'art. 127, terzo comma, della Costituzione. 

Dal testo del telegriamma ,di rinvio, trasmesso alla Regione Lombardia 
in data 17 marzo 1979, si ricaVla unicamente che �da rparte Consiglio 
regionale non sunt stati adeguatamente valutati pareri espressi in ordine 
v'ariaziione territoriale da Consiglio comunaJle Trevdolo et Consiglio provinciale 
Bergamo�; ed � appunto �per 1Jale motivo� che �Governo 
habet rinviato legge cui trattasi �. Ora, una tale censura non prean� 
nuncia per nulla quel diifietto 'di consultazione delle popolazioni :interessate, 
per la mancata osservianza della [egge reg:iona:le n. 12 del 1977, sul 
quale il ricorirente fa poggiare la gran parte delle proprie argomentazioni; 
sicch� non 'sussiste, sotto questo aspetto, la necessaria � corrispondenza, 
sia ipure sintetica e n:elle Mnee essenziali, che deve �ntercor


(1) La sentenza in rassegna riafferma in termini molto rigorosi (anche andando 
al di l� di quanto sostenuto dalla difesa della Regione) il principio di 
� corrispondenza� tra motivi di previo rinvio e motivi di ricorso. Tale necessit� 
di � corrispondenza� palesa la necessit� di anticipare il momento di intervento 
dell'Avvocatura generale dello Stato, e di superare in qualche modo la � separatezza 
� da essa dell'ufficio (o dipartimento) addetto al controllo sulla legisla� 
zione regionale. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

rere � -secondo la cos:fJante giumsprudenza di questa Corte (mbadita, da 
ultimo, nelJla sent. n. 212 del 1976) -� tra motiw del rin.Vii.o e censure 
esposte nel successivo ricorso�. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 aprue 1983, n. 109 -Pres. Blia -Rel. Malagugini 
-Ciabatti ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Siconolfi.). 

Atto amministrativo -Discrezionalit� -Rifiuto o sospensione della patente 
di guida -Motivazione. 
(Cost. artt. 3, 4 e 35; d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393, art. 91). 

Il provvedimento del prefetto con cui si nega o sospende la patente 
a soggetti diffidati (o in istato di libert� vigilata) deve enunciare i motivi 
ulteriori che giustificano l'autonoma valutazione del prefetto. 

(omissis) Secondo i giudici a quibus la disposizione di legge in questione, 
conferendo al Prefetto, in tema di sospensione della patente a soggetti 
diffidati, un potere �del tutto discrezionale�, contrasterebbe: 

a) con l'art. 3, comma primo, Cost. in quanto rende possibile un 
trattamento disuguale tra soggetti tutti diffidati o, anche, tra soggetti 
diffidati, da un lato, e non diffidati, dall'altro; 

b) con l'art. 3, comma secondo, Cost. in quanto pone ostacolo allo 
svolgimento di oneste attivit� lavorative, cos� limitando di fatto ila libert� 
e l'uguagHanza dei cittadini; 

e) con l'art. 4 ovvero con l'art. 35, primo e secondo comma, Cost., in 
quanto pu� venirne vanificato il diritto al lavoro {per il quale sia richiesta 
la patente di guida) o eluso l'obbligo della Repubblica di tutelare fil lavoro 
stesso � in tutte le sue forme ed applicazioni � dal momento che la sospensione 
della patente al diffidato non � � subordinata all'accertamento che 
la patente medesima costituisce per il diffidato � stesso � indispensabile 
ed onesto mezzo di lavoro �. 

Le censure proposte dai giudici rimettenti vanno esaminate nel contesto 
della disciplina vigente in materia di guida degli autoveicoli, per esercitare 
la quale -come � risaputo -� necessario ottenere uno snecifico 
titolo abilitativo, da rilasciarsi dal Prefetto. Il conseguimento della patente 
di guida � subordinato all'accertamento dell'esistenza, in capo al soggetto 
interessato, dei requisiti e delle condizioni all'uopo stabilii.ti dalla legge, che 
attengono alla capacit� tecnica, alla idoneit� fisica e a quella morale, dell'aspirante 
alla guida. I � requisiti morali � sono indicati, in negativo, dai 
commi primo e secondo dell'iart. 82 del Codice della strada. Nelle situazioni 
ivi specificate l'esercizio del (preesistente) diritto del singolo a circolare 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

440 

liberamente alla guida di autoveicoli -subordinato, in via generale, all'accertamento, 
da parte dell'autorit�, dell'esistenza, nel soggetto interessato 
dei requrisiti di idoneit� fisica e tecnica -incontra un limite posto a 
tutela della sicurezza pubblica: in termini vincolanti, nei oasi previsti dal 
primo comma dell'art. 82 del Codice della strada; in seguito ad una valutazione, 
negativa, discrezionalmente espressa dall'autorit� prefetti.zia, nelle 
ipotesi di cui al second� comma del medesimo art. 82. 

Si consideri, dunque, la patente di guida una vera e propria autorizzazione 
di polizia, secondo l'opinione prevalente, oppure una abilitazione, ovvero 
ancora un provvedimento di natura mista, � comunque indubbio che 
il potere del Prefetto, di negare o di sospendere la patente stessa ai soggetti 
previamente diffidati dal questore ha carattere discrezionale, concretandosi 
dn un apprezzamento di merito, della situazione del diffidato, con 
riferimento specifico all'uso da parte sua del mezzo automobilistico. 
(omissis) 

Vero � che i giudici a quibus si dolgono proprio della discrezionalit� 
che, nell'ipotesi di cui all'art. 91, secondo comma (nonch� dell'art. 82, secondo 
comma) del Codice della strada, come nell'esercizio di ogni altra 
attivit� estrinsecantesi in una v�alutazione di merito, � connotato naturale 
anche dell'azione amministrativa. Ci� nell'erroneo presupposto che la discrezionalit� 
debba o possa impunemente tradursi in mero arbitrio della 
autorit� prefetti.zia, la quale viceversa, � tenuta a rispettare i canoni della 
razionalit�, dell'imparzialit� e dell'uguaglianza di trattamento, la cui violazione 
� deducibile con tutti i mezzi di gravame esperibili in vJa amministrativa 
e in via giurisdizionale. 

Ora, con la .gi� ricordata sentenza n. 87 del 1971, questa Corte ha rilevato 
che il secondo comma dell'art 91 del Codice della strada considera la 
diffida presupposto necessario, ma non sufficiente di per s� perch� possa 
disporsi la sospensione della patente, a legittimare la quale occorre che 
l'autorit� prefettizia accerti il sussistere di ulteriori elementi dai quali 
emerga l'esigenza di sospendere la patente (ovvero, nell'ipotesi �di cui all'articolo 
82, secondo comma, Codice della strada, di negarne il rilascio) a 
tutela della sicurezza pubblica. 

In altre parole, la mancanza o il venir meno dei � requisiti morali � 
non pu� dedursi in modo meccanico ed automatico, soltanto dalla condizione 
di diffidato del soggetto interessato, ma occorre invece accertare se 
l'esercizio da parte sua del dimtto di circolare alla guida di autoveicoli 
possa ragionevolmente ritenersi in cont:r~asto con esigenze di tutela della 
sicurezza pubblica, cui � preposta la P.A. e della quale appunto le qualit� 
momli -da accertare l!lell'aspivante alla guida -si presume possano ga


�rantire il rispetto. 
Ci� comporta che il provvedimento del Prefetto con cui si nega o sospende 
la patente nelle ipotesi considerate non potr� essere basato sul puro 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

e semplice richiamo alla preesistente diffida del questore, ma, appunto 
perch� facoltativo e discrezionale, dovr� enunciare, sia pure succintamente, 

motivi ulteriori che giustificano l'autonoma valutazione del Prefetto. 
(omissis) 

Quanto alle diverse censure proposte dai giudici a quibus in riferimento 
agli artt. 3, secondo comma, 4 e 35, primo e secondo comma, Cost. 
va preliminarmente osservato che la pretesa violazione deg1i indicati parametri 
costituzionali presuppone l'intangibilit� del diritto a circolare alla 
guida di automezzi, del �diritto a conseguire e conservare la patente, tutte 
le volte che l'eserC�2l�.o di questo diritto appaia strumentalmente necessario 
p�r non porre � ostacoli limitativi di fatto della libert� e dell'uguaglianza 
dei cittadini� e per l'esercizio del diritto al lavoro, tutelato in tutte le sue 
forme e manifestazioni. 

Un siimile modo di argomentare non pu� per� essere accolto perch� 
riconosciuta la legittimit� costituzionale di limitazioni, legislativamente poste, 
nei limiti fissati dalla CostitUZJi.one stessa, ad uno dei diritti fondamentaM 
garantiti dalla Carta, non possono poi giudicarsi invece illegittime le 
conseguenze che da quelle limitazioni legislative abbiano a derivare nell'esercizio 
di altri diritti ai quali sia apprestata uguale garanzia. 

Nelle ipotesi che ci occupanb una volta riconosciuta e ribadita fa legittimit� 
costituzionale delle limitazioni poste dalla legge, in via generale e 
per motivi di sicurezza, ial diritto di guidare autoveicoli -o, se si vuole, 
al diritto di circolare liberamente anche alla guida di autoveicoli -le censure 
ora in esame si dimostrano chiaramente infondate. 

Del resto, n� l'art. 3, secondo comma, n� l'art. 4, n� l'art. 35 Cost. escludono 
che il legislatore possa, per l'esercizio di determinate attivit�, imporre 
modalit� e limiti a tutela di altri interessi ed esigenze di evidente rilievo 
costituzionale, quale � indubbiamente la sicurezza pubblica. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1983, n. 119 (ord.) -Pres. Elia -Rel. 
Paladiin -Regione Sardegna (avv. Guarino) e Pres.idente Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Vittoria). 

Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzione -Sospensione dell'atto 
hnpugnato -Minore redditivit� di disponibilit� finanziarie -Non sussistono 
le � gravi ragioni �, 

La minore redditivit� delle somme destinate a riaffluire nella tesoreria 
statale, rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito, non 
basta a concretare le gravi ragioni di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953. 


442 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 19~3, n. 121 (ord.) � Pres. Elia � Rel. 
Saja -Regione Marche e Presidente Consiglio dei Ministri. 

Corte Costituzionale � Conflitto di attribuzione � Sospensione dell'atto im� 
pugnato � Atto della Commissione di controllo � Ininfluenza della sospensione. 


Non pu� essere disposta la sospensione di un atto di controllo sospensivamente 
condizionante l'efficacia dell'atto cont,rollato. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1983, n. 122 (ord.) � Pres. Elia� Rel. 
Roehrssen -Regione Friuli Venezia Giulia e Presidente Consiglio dei 
Ministri. 

Corte Costituzionale � Conflitto di attribuzione � Sospensione dell'atto im� 
pugnato � Insuscettibilit� di esecuzione dell'atto -Mancanza di presupposto 
per la sospensione. 

Presupposto per la proponibilit� di una istanza di sospensione dell'atto 
che occasiona il conflitto di attribuzione � la suscettibilit� di effettiva esecuzione 
dell'atto stesso. 

IV 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1983, n. 125 (ord.) � Pres. Elia � Rel. 
Gallo -Regione Friuli Venezia Giu1ia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato D'Amato). 

Corte Costituzionale � Conflitto di attribuzione � Sospensione dell'atto im� 
pugnato � Autotutela dello Stato nei confronti di una Regione � Recupero 
graduale -Non sussistono le � gravi ragioni �. 

La rateizzazione del recupero di una somma indebitamente corrisposta 
dallo Stato ad una Regione esclude il sussistere delle gravi ragioni di 
cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953. 

l 

(omissis) ... per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del 
decreto 30 luglio 1981 del Ministro del Tesoro ( � Modificazione alla percentuale 
delle disponibi1it� degld enti che le aziende di credito possono dete



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

nere, nonch� delle modalit� di riafflusso nella tesoreria statale delle eccedenze 
di disponibilit��); 

ritenuto che la Regione Saroegna, con il ricorso indicato in epigrafe, 
ha sollevato confldtto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio 
dei Ministri, impugnando il decreto 30 luglio 1981 del Ministro del 
tesoro, emanato in applicazione dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119; 
ed ha prodotto contestuale istanza di sospensione, adducendo che � l'esecuzione 
dell'atto impugnato in pendenza di ricorso, darebbe luogo ad evidenti 
gravi pregiudizi per l'interesse pubblico, imponendo il trasferimento 
delle disponibilit� finanziarie della Regione Sardegna, nella quasi totalit� 
al tesoro con la perdita per la Regione delle entrate relative ai fondi 
stessi... �; 

considerato che, successivamente alla sentenza n. 95 del 1981, richiamata 
a sostegno del ricorso in esame, la Corte ha dichiarato non fondata, 
con la sentenza n. 162 del 1982, le questioni di legittimit� costituzionale dei 
commi primo, secondo, quarto, quinto e decimo dell'art. 40 della citata legge 

n. 119 del 1981, sollevate -fra l'altro -daUa Regione Sardegna; 
considerato, d'altronde, che la minore redditivit� delle somme destinate 
a riaffluire nella tesoreria statale, rispetto a quella che si avrebbe 
presso le aziende di credito, non basta a concretare le � gravi ragioni � 
di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953. 

II 

(omissis) ...per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, dell'atto 
in data 26 marzo 1982, n. 8069, con cui la Commissione governativa 
di controllo sull'amministrazione della Regione Marche ha annullato la delibera 
n. 3251 del 9 settembre 1981 (nonch� il successivo atto di chiarimenti 

n. 816 del 12 marzo 1982), di attribuzione, da parte della Giunta regionale, 
del trattamento economico al direttore generale dell'Ente di sviluppo delle 
Marche, dopo la precedente approvazione della sua nomina decisa dal presidente 
e assentita dal consiglio d'amministrazione dell'ente stesso; 
ritenuto che l'istanza di sospensione non pu� essere accolta, in quanto 
si tratta �di un atto i(di controllo) che ha annullato un provvedimento 
non immediatamente eseguibile (relativo al trattamento economico di un 
pubblico funzionario), sicch�, anche se fosse disposta la sospensione di detto 
atto, il provvedimento controllato rimarrebbe pur sempre privo �di efficacia, 
non potendo la sospensione sostituire l'atto approvativo da cui dipende 
l'efficacia del provvedimento predetto. 

III 

(omissis) ...ritenuto che il Pretore di Monfalcone ha promosso un giudizio 
penale nei confronti del Sindaco e del presidente dell'Azienda auto



444 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

noma di soggiorno di Grado imputandoli del reato di cui all'art. 1161, n. l, 
cod. nav., entrambi per avere impedito l'uso pubblico del demanio marittimo, 
sottoponendo l'intera spiaggia di Grado ed il lido, gestiti in regime 
di concessione, a recinzione completa e continua, inibendo qualsiasi accesso 
al mare da parte del pubblico; ili1 secondo anche per essersi sostituito 
nella gestione di una spiaggia al concessionario senza l'autorizzazione richiesta 
dall'art. 46 cod. nav.; 

che con sentenza n. 92 del 1982, emessa il 18 marzo 1982, il Pretore 
di Monfalcone ha accertato la sussistenza di detti fatti ed ha ritenuto che 
essi integrino estremi oggettivi di reato, ma ha prosciolto gli imputati per 
carenza � del requisito della coscienza de1l'antigiuridicit� � della loro 
azione; 

che in detta sentenza il Pretore di Monfalcone ha affermato: � Sar� 
tuttavia attendersi per l'avvenire un diverso atteggiamento degli imputati 
e della stessa P. A. concedente, alla quale andr� opportunamente notificata, 
per tutte le determinazioni di competenza, copia della presente sentenza 
passata in giudicato�; 

che con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri 
il 15 giugno 1982, il. Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia 
Giulia, ravvisando nell'affermazione anzidetta una sostanziale intimidazio.


' 

ne a rendere libera la spiaggia di Grado, ha chiesto la sospensione di tale . 

. 

.

intimazione e l'annullamento della sentenza � nella parte in cui contiene 

codesta .intimazione � dichiarando � che non spetta al pretore il potere di 

I

impartire prescrizioni sulle modalit� d'uso della spiaggia di Grado �. 11 

considerato che la suddetta sentenza 18 marzo 1982 del Pretore di 

Monfalcone nella parte in cui contiene la censurata � intimazione � non � 

in alcun modo suscettibile di esecuzione e, quindi, di produrre il danno che 

costituisce il presupposto della richiesta sospensione. 

IV 

(omissis) ...per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del 
provvedimento enunciato nella lettera 26 novembre 1982 n. 2159 (pervenuta 
alla Regione il 6 dicembre 1982) del Ministero delle Finanze -Direzione 
Generale per la finanza locale -; provvedimento con il quale detto Ministero 
ha rilevato che l'IGE all'importazione non andava compresa nella 
previsione dell'art. 49 n. 5 dello Statuto speciale di autonom'�!a del Friuli-
Venezia Giulia; ha accertato la conseguente maggiore corresponsione alla 
detta regione, sugli importi sostitutivi dell'IGE (art. 8 D.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 638) e per il periodo 1973-1982, della somma complessiva di L. 186 
milia1di e 438.158,718; ed ha disposto il recupero di detta somma nei confronti 
della Regione Friuli-Venezia Giulia; cosi violando, secondo ila ricorrente, 
il principio costituzionale del divieto di autotutela nei rapporti fra 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Stato e Regioni, desumibile dall'art. 134 della Costitu~ione, nonch� gli artt. 
65 e 29 dello Statuto speciale di autonomfa della Regione Friuli-Venezia 
Giulia; 

considerato che non sussiste l'obiettiva impossibilit� di restituzione 
in pristino qualora il giudizio di merito dovesse risolversi a favore della ricorrente, 
n� d"altra parte appare irreparabile il danno che la Regione verrebbe 
a subire a seguito del parziale recupero frattanto disposto dal Ministero 
deHe Finanze, posto che -secondo le dichiarazioni rese a verbale 
dall'Avvocato dello Stato in Camera di Consiglio -il recupero � stato programmato 
dal Ministero per il corso di un decennio, attraverso una parziale 
e graduale compensazione annua con le somme che lo Stato sar� via via per 
erogare alla Regione; che, pertanto, non sussistono le gravi ragioni richieste 
dall'art. 40 della ilegge 11 marzo 1953, n. 87. 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 luglio 1982, n. 130 � P,res. Elia -Rel. 
Roehrssen -Frigento ed altri (avv. Schwarzenberg) e Presidente Consdglio 
dei Ministri (vice avv. gen Stato Cavalli). 

Impiego pubblico -Omnicomprensivit� del trattamento economico -Li� 
miti. 
{Cost., art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 12). 

La omnicomprensivit� retributiva non pu� comprendere i compensi 
di attivit� non aventi una connessione oggettiva con la funzione prima� 
ria del dipendente pubblico. Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 12, ultimo 

\ 
comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella parte in cui esclude dal diritto 
ai compensi per la partecipazione alla decisione dei ricorsi in ma� 
teria tributaria i componenti delle commissioni t'ributarie di I e II grado 
che siano impiegati amministrativi dello Stato con trattamento omnicomprensivo. 


Il 

CORTE COSTITUZIONALE, 13 gdugno 1983, n. 161 -Pres. De Stefano -
Rel. Gallo � Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta) e 
Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Paoia). 

Comune � Compresi gli amministratori locali -Indennit� per speciali com� 
piti -Cumulabilit�. 
(Cost., art. 97; Statuto Friuli Venezia Giulia, art. 5; 1. reg. Friuli Venezia Giulia 16 settem


bre 1980 n. 98 bis). 

Agli amministratori di enti locaJ.i della regione Friuli Venezia Giu� 
Zia pu� essere attribuita una indennit� aggiuntiva in relazione agli spe



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

446 

ciali compiti per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 1976; 
la circostanza che una prima indennit� sia corrisposta a compenso di 
attivit� svolte � a tempo pieno � di per s� non determina n� una omnicomprensivit� 
n� una incompatibilit� con altre attivit� qualitativamente 
diverse dalle anzidette. 

I 

(omissis) L'art. 12, ultimo comma, del D.P.R. n. 636 del 1972 esplicitamente 
esclude la corresponsione di compensi per la partecipazione ai 
lavori delle commissioni tributarie agli impiegati dello Stato che fruiscono 
del trattamento onnicomprensivo, partendo ovviamente dal presupposto 
che la onnicomprensivit� abbracci ogni attivit� che venga posta 
in essere dall'impiegato amministrativo nell'ambito della organii.zzazione 
statale. 

Senonch�, come � riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, 
la onnicomprensivit� non pu� razionalmente avere estensione tale da 
comprendere ogni e qualsiasi attivit� che, pure svolgendosi nel quadro 
statale, non abbia una connessione a rapporto oggettivo con la funzione 
primaria del dipendente statale. 

Ci� posto, ad escludere, nella specie, questa connessione � sufficiente 
osservare che l'attivit� delle c�mmissioni tributarie di cui al citato 

D.P.R. n. 636, ha natura giurisd.izionale (cfr. le sentenze n. 287/1974 e 
n. 215/1976 ,di questa Corte): tale qualificazione non pu� non comportare 
che l'impiegato amministrativo, a qualsiasi Amministrazione statale appartenga, 
quando viene inserito nella organizzazione della giurisdizione 
tributaria, � chiamato ad esercitare un'attivit� qualitativamente ben diversa 
da quella che � la sua propria sulla base dell'atto di nomina all'impiego 
statale e che lo stipendio che gli � corrisposto in relazione al 
rapporto d'impiego non pu� coprire l'attivit� che deve essere svolta in 
seno alle commissioni tributarfo. 
Ne consegue, ovviamente, che viene meno il presupposto sulla cui 
base il legislatore ha escluso ogni compenso per i componenti delle commissioni 
tributarie di I e II grado che siano impiegati statali soggetti alla 
onnicomprensivit� e che la diversit� di trattamento economico esistente 
fra costoro ed ogni altro componente le dette commissioni rimane priva 
di ogni giustificazione. L'art. 12, ultimo comma, predetto, viola qu.indi, 
nella parte suddetta, il disposto dell'art. 3, primo comma, della Costituzione 
e va dichiarato illegittimo sotto tale profilo, restanto assorbita la 
questione relativa alla violazione dell'art. 35 Cost. 

II 

Con atto 1� ottobre 1980, notificato fil 3 suceessivo, e depositato presso 
questa Corte il 13 stesso mese, il Presidente del Consiglio dei ministri, 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedeva dichiararsi 
l'illegittimit� costituzionale della l.r. Friuli-Venezia Giulia, riapprovata 
il 16 settembre 1980 nel testo gi� approvato il 23 luglio precedente. 
Tale legge reca norme per la corresponsione di una indennit� 
a taluni amministratori di enti locali � in relazione all'attivit� extraistituzionale 
dagli stessi svolta per conto dell'Amminristrazione regionale 
medesima quali funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari 
compiti di cU!� alle leggi regionali in materia di ricostruzione 
delle zone colpite dagli eventi sismici del 1976 �: e ci� per il� periodo 
!intercorrente dall'attribuzione delle dette funzioni delegate al 31 dicembre 
1978. (omissis) 

� ben vero, infatti, che l'art. 11 dello Statuto regionale prevede com'� 
ovvio -la delegazione a Province e Comuni cli funzioni am~inistrative 
come espressione del normale esercizio delle funzioni regionali. 
Ma � evidente che si tratta delle ordinarie funzioni istituzionali, che le 
Regioni hanno appunto il potere di delegare agli Enti territoriali della 
propI1ia circoscrizione. 

La delega, invece, di cui si parla nell'art. 1 della legge impugnata, � 
di ben altra natura. Essa intanto non si riferisce agli Enti, come quella 
dell'art. 11 ora citato, bens� alle persone preposte a quelli e ad altri enti 
territoriali, e ad attivit� -come si � detto -� extra-istituzionali � che 
gli stessi svolgono � per conto dell'Amministrazione regionale quali 
funzionari delegati all'attuazione degli speciali e straordinari compitli di 
cui alle leggi regionali in materia di ricostruzione delle zone colpite dagli 
eventi s1iismici del 1976 �. 

Quali fossero in concreto siffatte speciali e straordinarie attivit� 
extra-istituzionali che la Regione, gi� prima, ma particolarmente dopo 
la L. statale 8 agosto 1977, n. 546, delegava ai singoli funzionari preposti 
a quegli Enti, risulta dalle �disposizioni legislative richiamate sia nell'atto 
di costituzione della Regione che nella successiva memoria difensiva. 
Si tratta di un servizio singolare di funzionario delegato quale � ordinatore 
secondario di spesa�: servizio che l'amministrazione regionale dovrebbe 
svolgere direttamente a mezzo di propri � agenti contabili � o di 
propri �funzionari delegati� a' sensi dell'art. 56 e s. del R.D. 18 novembre 
1923, n. 2440, ma che eccezionalmente il legislatore regionale ha 
consentito di attribuire anche a funzionari estranei all'organizzazione regionale. 
La possibilit� �di tale deroga, infatti, � prevista dalla lett. h) dell'art. 
1 della citata legge statale 8 agosto 1977, n. 546, dove � sancito che 
� con legge regionale saranno anche determinate le modalit� degl'interventi 
e delle iniziative, nonch� le procedure relative, anche in deroga alle 
norme vigenti, ivi comprese quelle sulla contabilit� generale dello Stato �, 

Ebbene, le dette delegazioni agli ordinatori secondari di spesa sono 
state effettuate mediante aperture di credito a loro nome (e non dunque 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

448 

degli Enti), sulla base di particolari leggi regionali via via emanate, e gli 
ordinatori sono tenuti a risponderne personalmente e a rendere il conto 
direttamente alla Regione. (omissis) 

Non sii tratta, dunque, di duplicazione dell'indennit� di cui alla legge 
regionale n. 31 del 1976 e seguenti. 

Rileva, tuttavia, altres� l'Avvocatura che queste ultime leggi regionali 
hanno elargito un emolumento a compenso di compiti svolti � a tempo 
pieno � il quale, non essendo evidentemente ulteriormente dilatabile, postula 
la ricomprensione nel suo ambito di ogni altra attivit� conferita 
ai detti amministratori.. Tant'� vero -si soggiunge -che le ulteriori disposizioni 
contenute nella legge regionale 18 agosto 1980, n. 36, che detta 
la nuova disciplina dell'indennit� straordiinaria, esplicitamente prescri� 
vono la non cumulabilit� della predetta con qualsiasii altra indennit�, 
proprio perch� corrispettivo di un incarico a tempo pieno. 

Il rilievo � penetrante ma non puntuale. 

A parte, infatti., la considerazione che esso sarebbe esclusivamente 
riferibile agli amministratori che lo hanno avuto conferito, l'ovvia indilatabilit� 
del cosiddetto � tempo pieno � presuppone il confronto con attivit� 
omogenee su di un piano quantlitativo. Ma, quando si tratti di at� 
tivit� qualitativamente diverse, non sussiste incompatibilit� coll'espleta� 
mento di quelle a tempo pieno. La riprova si ha in una pi� attenta lettura 
proprio dell'art. 2 comma secondo della invocata l.r. 18 agosto 1980, 

n. 36, il quale effettivamente di.vieta la cumulabilit� dell'indennit� straordinaria 
con qualsiasi altra indennit�, ma semprech� sii tratti di � in� 
dennit� previste per l'assolvimento di incarichi presso lo stesso Ente o 
presso enti, comunit�, aziende, consorzi cui partecipi l'Ente di appartenenza 
�. S'� visto, invece, che si tratta di incarichi extra-iistituzionali di 
�ordinatori secondari di spesa�, conferiti dalla Regione nell'ambito di 
attivit� sue proprie, di norma riferibili all'area della sua stessa organizzazione. 
Non esiste, pertanto, contrasto della legge impugnata con l'art. 97 
Cost. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1983, n. 138 � Pres. Elia � Rel. Gallo � 
Dovicchi (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Vlice avv. gen. 
Stato Chiarotti). 

Procedimento penale � Ricusazione del giudice � Incidente di legittimit� 
costituzionale � Non legittimazione del giudice ricusato. 
(Cost., art. 107; cod. proc. pen., art. 64). 

E inammissibile la questione di legittimit� costituzionale sollevata 
da giudice ricusato in ordine all'incidente di ricusazione che lo riguarda. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) Secondo il Pretore, la soluzione della questione di legittimit� 
si porrebbe come preliminare rispetto agli adempimenti di cui agli 
artt. 66 e seg. cod. proc. pen. Senonch�, nel detto articolo non si leggono 
adempimenti che concernano attivti.t� giurisdizionale del Pretore nell'am� 
bito del~a procedura di ricusazione. L'art. 66 citato prevede soltanto che 
la dichiarazione di ricusazione sia presentata, assieme ai documenti che 
vi si rifeniscono, al cancelliere del Giudice che istruisce o che procede al 
dibattimento o che deve deliberare in Camera di Consiglio. 

Il magistrato ricusato, pertanto, non � destinatario della presentazione 
stessa, e tantomeno dell'atto di ,ricusazione sul quale, a' sensri dell'art. 
68 cod. proc. pen., sono competenti a giudicare organi diversi. 

Quegli adempimenti, 'pertanto, si sostanziano nell'atto dovuto de11a 
mera trasmissione del fascicolo concernente la ricusazione al giudice 
competente, ad iniziativa ed opera del Cancelliere: e non pu� esservi, 
quindi, rispetto ad essi, veruna pregiudizialit�. Questo assunto trova conferma 
proprio nel sistema delineato dal codice di rito che non ammette 
sospensione del processo principale in corso per H solo fatto della presenta2lione 
dell'atto di ricusazione. 

Secondo il disposto di cui all'art. 69 cod. proc. pen., infatti, dopo 
che il giudice competente a giudicare sulla ricusazione ne abbia riconosciuto 
l'ammissibilit�, e ordinato che ne sia avvertito il ,giudice ricusato, 
questi -dopo tale notizia -pu� compiere soltanto atti urgenti 
d'istruzione. Il che significa che, salvo tali atti, solo da quel momento il 
processo prinoipale resta di fatto sospeso, fino a quando l'incidente di 
ricusazione non sia stato comunque risolto. Infatti, se la ricusazione venisse 
accolta, il giudice che l'ha decisa, designerebbe altro magistrato 
a surrogare il ricusato (art. 70, terzo comma cod. proc. pen.). 

Ammettendo il giudice a quo a sollevare questiorni di legittimit� co


stitu2lionale in ordine aWincidente di ricusazione che lo riguarda, gli si 

consentirebbe d'infrangere virtualmente un siffatto sistema, !in quanto 

si farebbe dipendere dalla sua �discrezione la sospensione del processo 

principale, che il legislatore ha invece riservato di fatto all'intervento del 

giudice competente dopo la valutazione dell'ammdssibilit� dell'atto di ri


cusazione. 

Tutto ci�, d'altm parte, � conseguenza dell'autonomia del giudizio 

incidentale di ricusazione rispetto a quello del processo principale. In


fatti, se il giudice del1a ricusazione, favorevolmente valutata l'ammissi


bilit�, ritenesse di sollevare a quel punto la questione di legittimit� co


stituzionale, sarebbe l'incidente di ricusa2tlone a rimanere sospeso. Il pro


cesso principale, invece, resterebbe sospeso di fatto e soltanto indiretta


mente, salvo gli atti indifferibili, sempre a causa della notizia del posi


tivo giudizio di ammissibilit� de11a ricusazione pronun2tlata dal giudice 

competente. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

450 

Anche in tal caso, quindi, la conseguente indiretta sospensione del 
processo principale resterebbe comunque affidata al provvedimento del 
giudice della ricusazione e alla notizia che questi ne fa dare al giudice 
ricusato. 

Del resto, anche a tener conto di quella parte non pacifica della giurisprudenza 
ordinaria secondo cui al giudice ricusato competerebbe la 
delibazione delle palmari cause di inammissibilit� ictu oculi, non pu� di� 
sconoscersi che una questione di legittimit� che coinvolge ardue e contrastate 
problematiche sulla complessa natura dell'attivit� pretorea non 
pu� in alcun modo essere paragonata a quelle situazioni d'intuitiva evidenza. 


Altro �, infatti, dichiarare l'inammissibilit� di un'istanza di ricusazione 
sicuramente presentata fuori .termine, o da chi manifestamente 
non � le~ittimato, per proseguire nel giudizio principale, altro �, invece, 
sospenderlo per investire la Corte Costituzionale a seguito di un giudizio 
di non manifesta infondatezza. 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 maggio 1983, n. 147 (ord.) � Pres. Elia � Rel. 
La Pergola � Presidente Consiglio dei Ministri (wce avv. gen. Stato 
Chiarotti). 

Procedimento penale � Reato ministeriale . Messa in istato di accusa � 

Autonomia delle procedure parlamentari. 

(Cast., artt. 90 e 96; 1. cast. 11 marzo 1953 n. 1, art. 12; 1. 10 maggio 1978 n. 170, art. 4). 

Qualsiasi procedimento instaurato avanti agli organi parlamentari, 
ai fini di un eventuale giudizio di accusa, � del tutto autonomo rispetto ai 
procedimenti penali avanti agli organi giurisdizionali. 

Ritenuto che con ordinanza 30 maggio 1979 il Pretore di Genova ha 
proposto questione d:i legittimit� costituzionale dell'art. 4, prlln.o comma, 
della legge 10 maggio 1978, n. 170, e degli artt. 17, 18 e 26 del relativo regolamento 
parlamentare in rifermento agli artt. 90 e 96 Cost. e 12 legge 
Cost. n. 1 dell'll marzo 1953; 

che detta questione � sollevata dal giudice a quo nel corso di indagini 
da lui condotte sul mancato rinnovo delle cariehe direttive della 
Cassa di Riisparmio di Genova, perch� si configurerebbero indizi di reati 
(mnis,sione ed abuso innotninato di atti di ufficio) in capo ai ministri 
componenti il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio 
all'epoca in cui la Banca d'Italia aveva, in relazione al caso in esame, 
trasmesso gli elementi necessari e sufficienti per l'emanazione dei provvedimenti 
di loro competenza; 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

che, ad avviso del Pretore di Genova, pur trattandosi nella specie 
di un'ipotesi di reato ministeriale, di fronte alla quale egli � � sul punto 
di spogliarsi degli atti� (per trasmetterli al Parlamento), sussiste la rilevanza 
della dedotta questione: le norme denunciate, che disciplinano 
il giudizio in sede parlamentare, si applicherebbero al medesimo fatto, 
� che � stato oggetto del giudizio in questa prima fase�; l'assetto delle 
competenze, sarebbe poi cos� congegnato, che il giudice ordinario, trasmessi 
gli atti in Parlamento, pu� essere successivamente smentito dalla 
Corte Costituzionale -davanti la quale la Commissione inquirente abbia 
intanto promosso conflitto negativo di attribuzioni -e cos� � riavere 
il processo, eventualmente modificato dalle deliberazioni adottate dalla 
Commissione �, anche con riguardo alla riunione o separazione dei procedimenti, 
rispettivamente a carico dei ministri e dei cosiddetti coimputati 
laici; infine, la �rilevata continuit� del processo innanzi agli organi 
parlamentari e al giudice ordinario conferirebbe a quest'ultimo il titolo 
per promuovere il giudizio di costituzionalit� anche �in limine�, come 
accade nella specie, all'instaurazione, in sede parlamentare, delle procedure 
di accusa per gli illeciti ministeriali; 

che la non manifesta infondatezza della questione � sostanzialmente 
argomentata in base al rilievo che l'art. 4 della legge n. 170 del 1978, e fo 
connesse statuizioni del regolamento parlamentare sui giudizi di accusa, 
attribuiscono alla Commissione poteri deliberanti che, secondo Costituzione, 
spetterebbero esclusivamente al P�arlamento in seduta comune; 

che l'art. 26, ultimo comma, di detto regolamento � poi censurato in 
quanto prescrive la maggioranza assoluta per la messa in stato di accusa 
dei ministri, mentre si assume che tale aggravamento procedurale valga 
soltanto per .le accuse elevate nei rigua11di del Capo dello Stato; 

ritenuto altres� che nel presente giudizio ha spiegato intervento il 
Presidente del Consiglio dei Ministri per il tramite dell'Avvocatura dello 
Stato; 

che l'Avvocatura eccepisce in via preliininare l'inaminissibilit� della 
questione, la quale li.nvestirebbe disposizioni, che non possono venir applicate 
nel giudizio a quo, o che addirittura, dove le censure di incostituzionalit� 
riguardano previsioni del regolamento parlamentare, devono 
ritenersi sottratte al sindacato della Corte; 

che l'Avvocatura cos� deduce, nel merito, l'infondatezia della que


stione: a) la disciplina in esame ha sostanzialmente modificato quella in 

precedenza dettata dalla legge n. 20 del 1962, ai sensi della quale la Com


missione disponeva dei poteri del pubblico ministero nell'istruzione e 

dello stesso giudice istruttore, mentre ora risulta accentuata la sua fisio


noinia di organo referente, che pu� soltanto archiviare le notizie mani


festamente infondate o altrimenti riferire al Parlamento, per le delibe


razioni di sua competenza; b) l'aver previsto il suddetto potere di archi



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

452 

viazione, a parte le cautele procedurali che ne circondano l'eserci2iio, non 
urterebbe comunque contro l'art. 12 legge costituzionale n. 1 del 1953, dovendosi 
detta statuizione !intendere nel senso che essa prescriva l'intervento 
del Parlamento in seduta comune solo nel caso in cui la Commissione 
abbia deciso per la messa in stato d'accusa degli inquisiti; c) il parametro 
test� richiamato non sarebbe offeso nemmeno dal disposto 
dell'art. 26 del regolamento parlamentare, che per l'accusa dei ministri 
stabilisce il requisito della maggioranza assoluta: l'invocata statuizione, 
di rango costiituzionale, consentirebbe, invero, la censurata soluzione 
procedurale, del resto non preclusa dagli artt. 90 e 96 Cost., abilitando 
specificamente la fonte regolamentare a prevedere nella specie l'adozione 
di qualsiasi maggioranza, anche aggravata; 

considerato che occorre preliminarmente esaminare le eccezioni di 
inammissibilit� proposte dall'Avvocatura dello Stato; 

che il giudice a quo denuncia norme afferenti alle attribuzioni della 
Commissione inquirente e alle modalit� del procedimento di messa in 
stato �di accusa dei mirnistri; epper� qualsiasi procedimento che, ai fini 
di un eventuale giudizio di accusa, fosse instaurato avanti agli organi 
parlamentari, sarebbe, dive11Samente da come si �asserisce nell'ordinanza 
di rlinvio, del tutto autonomo da quello di cU!�. conosce il Pretore di Genova; 


che � allora evidente come nel giudizio a quo non possano trovare 

applicazione le norme oggetto del presente giudizio; 

che ci� basta ad escludere che la questione sia stata ritualmente 

prospettata alla Corte, e quindi assorbe ogni altro rildevo dedotto, in 

punto di ammissibilit�, dall'Avvocatura. 

CORTE COSTITUZIONALE, 13 giugno 1983, n. 165 -Pres. Elia -Rel. 
Saja -Ardizzone {n. p.). 

Lavoro . Diritto di sciopero -Coazione della pubblica autorit� mediante 
sciopero � Illegittimit� costituzionale -Limiti. 
(Cost., art. 40; cod. pen., art. 504). 

Contrasta con l'art. 40 Cost. l'art. 504 cod. penale nella parte in cui 
punisce lo sciopero avente lo scopo di costringere l'autorit� a dare o ad 
omettere un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di 
essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale 
ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi 
nei quali si esprime la sovranit� popolare. 

Nel corso di un procedimento penale a carico di... imputati del reato 
di coazione della pubblica autorit� mediante sciopero (art. 504 cod. penale), 
essendosi astenuti dal loro lavoro di dipendenti della Banca d'Ita




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

llia per protestare contro l'emissione di un mandato di cattura nei confronti 
del vice direttore generale e del governatore della Banca, il Pretore 
di Enna sollevava questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 
504 cit... (omissis) 

Va ricordato che con sentenza 27 dicembre 1974 n. 290 questa Corte 
ha dichiarato parzialmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 40 
Cast., l'art. 503 cod. penale, il quale puniva lo sciopero per fini non contrattuali, 
nella considerazione che rientra nella previsione dell'art. 40 
della Costituzione anche lo sciopero non avente finalit� economiche, 
a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale 
ovvero ad impedire o ad ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi 
nei quali si esprime la sovranit� dello Stato. 

La medesima ratio ricorre per il reato in esame, previsto dal successivo 
art. 504 cod. penale. .(omissis) 

Intuitivamente, anche nell'ipotesi considerata, li1 diritto di sciopero 
non � ammesso senza limitazioni, ma il suo esercizio va coordinato con 
gli �ltri beni costituzionalmente protetti, sicch� la previsfone dell'art. 504 
risulta illegittima solo parzialmente, come la ricordata sentenza ha ritenuto 
rispetto al cit. art. 503 cod. penale; rimane pertanto illecito lo sciopero 
diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire 
od ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime 
la sovranit� popolare. 

Ed � appena il caso di soggiungere che spetta al giudice ordinario 
accertare, nella multiforme variet� dei casi concreti, quando ricorrano 
tali limiti e pertanto la condotta dell'imputato continui a costituire illecito 
penale. 

dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 504 cod. penale nella 
parte in cui punisce lo sciopero il quale ha lo scopo di costringere l'autorit� 
a dare o ad omettere' un provvedimento o lo scopo di influire sulle 
deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento 
costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio 
dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit� popolare. 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 giugno 1983, n. 173 -Pres. Elia -Rel. La 
Pergola -Orioli (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri. (avv. Stato 
Angelini Rota). 

Istruzione e scuole -Scuola materna -Insegnanti di sesso maschile � 

Esclusione � Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 34; r.d. 5 febbraio 1928 n. 577, artt. 39 e 41; r.d. 11 aprile 1933 n. 1286, 
artt. 1 e 6; l. 18 marzo 1968 n. 444, artt. 8, 9, 10, 11, 18, 19, 20 e 28; !. 9 aprile 1978 n. 463, 
art. 9). 

Anche la scuola materna ha funzioni educative e di formazione; la 
presenza di una componente maschile nel corpo insegnanti pu� arricchire 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

la scuola materna del contributo di pi� varie risorse educative. Sono 
costituzionalmente illegittimi: 

a) l'art. 39 del r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, e l'art. 41 dello stesso 
decreto (come modificato dall'art. 1 del r.d. 11 agosto 1933, n. 1286, e dall'art. 
1 della legge 3 aprile 1958, n. 470), nonch� l'art. 6 del citato r.d. 

n. 1286 del 1933 e l'art. 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444, nella parte in 
cui tali disposizioni escludono gli alunni e candidati privatisti di sesso 
maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai 
relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attivit� 
didattica della scuola statale del grado preparatorio; 
b) gli artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 19, 20 e 28 
della citata legge n. 444 del 1968, nonch� l'art. 9 della legge 9 agosto 1978, 

n. 463, nella parte in cui tali disposizioni si riferiscono alle insegnanti, 
invece che al corpo docente di ambo i sessi. 
(omissis) Ingiustificata, in primo luogo, � l'esclusione degli allievi 
maschi dalla frequenza delle scuole magistrali, giacch� non pu� certo 
presumel'Si che alcun discente sia, in funzione del sesso, inidoneo all'ordine 
o al tipo di studi qui considerato. La norma che determina la censurata 
discriminazione confligge dunque con il principio di eguaglianza, prima 
ancora che con il precetto dell'art. 34 Cost., in forza del quale � la scuola 
� aperta a tutti �. Lesiva dell'art. 3 Cost. � poi, a pari titolo, la statuizione 
che si riferisce alle sole privatiste, e cos� esclude implicitamente dagli 
esami di abilitazione i candidati dell'altro sesso. Essa non trae, va precisato, 
alcun razionale supporto nemmeno dall'essere, come si diceva, intimamente 
connessa con l'altra norma, che per la scuola materna contempla 
soltanto insegnanti donne. Anche la soluzione adottata a quest'ultimo proposito 
dal legislatore �, .infatti, rincompatibile col principio di eguaglianza. 

Quanto si � or ora affermato risulta chiaro, solo che si consideri come 
l'istruzione del grado preparatorio sia collocata nel quadro della scuola 
statale. Il fatto che essa sia vocata ad operare in una sfera, nella quale 
possono riflettersi altri valori costituzionalmente garantiti, diversi da 
quelli che ineriscono alla scuola -quali, per esempio, la famiglia e il 
diritto-dovere dei genitori di educare ed istruire i figli (art. 30, primo 
comma, Cost.), o la tutela dell'infanzia (art. 31, secondo comma, Cost.) nulla 
toglie alla sua (funzione educativa e formatrice: semmai, ne rischiara 
l'importanza, del resto attestata dalla lunga esperienza che anche all'estero 
si � fatta di scuole analoghe alla materna (Ecole maternelle francese, 
Kindergarten statunitense, Nursery o Infant School britannica), e dal 
costante interesse della scienza pedagogica ai problemi de1la corrispondente 
fascia dell'et� infantile. Ai sensi della legge n. 444 del 1968, che 
ne ha configurato l'assetto, la scuola materna statale �accoglie i bambini 
nell'et� pre-scolastica dai 3 ai 6 anni e si propone fini di educazione e di 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

sviluppo della personalit� infantile, di assistenza e di preparazione della 
scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia�. Gli orientamenti 
dell'attivit� educativa, adottati con decreto del Presidente della Repubblica 
(10 settembre 1969, n. 647) in conformit� ed attuazione dell'art. 2 della 
stessa Jegge, stabiliscono che l'insegnante promuove e dirige con libert� 
di metodo lo sviluppo della personalit� del bambino nelle molteplici sfere 
dell'educazione (religiosa, affettiva, morale e sociale, intellettuale, fisica 
e sanitaria), nel gioco, nell'attivit� costruttiva e di vita pratica, e nella 
espressione grafico-pittorica e plastica. Il modello di scuola ivi disegnato 
deve inoltre rispondere agli odierni bisogni della collettivit�. Non occorre 
indagare le basi scientifiche di queste prescrii;ioni, perch� si veda che 
nulla impedisce di affidare i risultati prefigurati dal legislatore anche 
all'opera degli insegnanti maschi: una volta, beninteso, che questi siano 
provv;isti della preparazione specialistica e dell'esperienza professionale, 
prescritte per il conseguimento del relativo titolo abilitante. La presenza 
di un componente maschile nel corpo insegnante pu� anzi arricchire la 
scuola materna del contributo di pi� varie risorse educative e di una 
maggiore apertura di tutta l'attivit� didattica alla realt� sociale. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 giugno 1983, n. 193 -Pres. De Stefano -Rel. 
Andrio1i -Cammarota ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Cavalli). 

Procedimento civile � Lavoro -Intervento volontario -Fissazione di nuova 

udienza -Necessit�. 

(Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. civ., art. 419). 

Contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 419 (sub art. 1 l. 11 agosto 1973, 

n. 533) c.p.c. nella parte in cui, ove un terza spieghi intervento volontario, 
non attribuisce al giudice il potere dovere di fissare -con il rispetto del 
termine di cui all'art. 415 comma quinto (elevabiJe a quaranta giorni allorquando 
la notificazione ad alcuna delle parti originarie contumaci debba 
effettuarsi all'estero) -una nuova udienza, non meno di dieci giorni prima 
della quale potranno le parti originarie depositare memoria, e di disporre 
che, entro cinque giorni, siano notificate alle parti originarie il provvedimento 
di fissazione e la memoria dell'interveniente, e che sia notificato a 
quest'ultimo il provvedimento di fissazione della nuova udienza. 
(omissis) La considerazione della disciplina positiva .degli interventi 
nel rito speciale del lavoro consente di constatare che, mentre gli artt. 416 
e 419 impongono all'interveniente volontario lo stesso termine di dieci 
giorni prima dell'udienza di discussione senza distinguere a seconda che 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

l'interveniente proponga domanda contro tutte le parti originarie (intervento 
principale) ovvero contro il solo attore o il solo convenuto (intervento 
adesivo autonomo) oppure si limiti a sostenere le ragioni di alcuna 
delle parti alla vittoria della quale ha interesse (intervento adesivo semplice 
o dipendente), l'art. 420 prescrive al comma nono che �nel caso 
di chiamata in causa a norma degli artt. 102, secondo comma, 106 e 107, 
il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, 
siano notificati al terzo il provvedimento nonch� il ricorso introduttivo 
e l'atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi 
terzo, quinto e sesto dell'art. 415. Il termine massimo entro il quale deve 
tenersi la nuova udienza decorre dalla pronuncia del provvedimento di 
fissazione �, e al comma decimo che �il terzo chiamato deve costituirsi 
non meno di dieci giorni prima dell'udienza fissata, depositando la propria 
memoria a norma dell'art. 416 �. (omissis) 

Se si riflette sulla ampliatio della cognizione propria dell'originaria 
lite provocata non solo nelle ipotesi di 1iHsconsorzio necessario, di comunanza 
obiettiva tra parti originarie e terzo e di chiamata in garanzia, ma 
anche nelle aree in cui affondano le radici degli interventi volontari. principale 
e adesivo autonomo (aree che -sul piano della legittimazione 
ad agire e a contraddire -si identificano con l'ambiente sostanziale dal 
quale prendono le mosse gli interventi principale ed adesivo autonomo) 
nonch� dello stesso intervento adesivo dipendente non si vede perch� 
il diritto di difesa delle parti principali, contro le quali si appuntano le 
pretese degli iintervenienti volontari e dell'avversario del coadiuvato dall'interveniente 
adesivo dipendente, debbano essere garantite in guisa 
diversa e meno incisiva del modo con cui al legislatore � parso giusto 
assicurarlo allorquando ha plasmato il nono e di decimo comma dell'art. 420. 
Come al terzo, di cui agli artt. 102, 106 e 107, debbono essere notificati 
il provvedimento di fissazione di una nuova udienza nonch� il ricorso introduttivo 
e l'atto di costituzione del convenuto e, in primis et ante omnia 
� d'uopo fissare una nuova udienza, nella quale parti o:riiginarie e interveniente, 
anche sulla base della memoria del terzo, siano posti in grado di 
discutere, nelle nuove sue dimensioni, la causa, cos� allorquando un terzo 
spiega intervento volontario � da attribuire al giudice il rpotere dovere di 
fissare -con d.I rispetto del termine di cui all'art. 415 comma quinto (elevabile 
a quaranta giorni allorquando la notificazione ad alcuna delle parti 
originarie contumaci debba effettuarsi all'estero) -una nuova udienza, non 
meno di dieci giorni prima della quale potranno le parti originarie depositare 
memoria, e di disporre che, entro cinque giorni, siano notificati alle 
parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell'interveniente, 
e che sia notificato a quest'ultimo il provvedimento di fissazione 
della nuova udienza. 


PARTI! I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Cos� giudicando la Corte amplia la declaratoria d'incostituzionalit� del� 
l'l.i:. 419 dalla specie dell'intervento adesivo, dalla quale han preso le mosse 
le ordinanze pretorili, all'altra dell'intervento principale senza operare 
distinzione tra la parte originaria, contro la quale � spiegato l'intervento 
del terzo, e l'altra o le altre parti originarie, sul riflesso che la pretesa 
del terzo, anche se diretta contro una sola parte, non pu� non influire 
sull'.intera vicenda processuale in cui si muovono anche l'altra � le altre 
parti originarie. N� ad escludere dalla declaratoria d'incostituzionalit� 
della norma impugnata la specie dell'intervento adesivo semplice giova 
il rilievo che oggetto ne sia non domanda coinvolgente un diritto sibbene 
il sostegno prestato alle ragioni della parte alla cui vittoria il terzo ha 
interesse, perch� l'attivit� dell'adiuvante non pu� non incidere sulla 
originaria prospettazione delle ragioni della controparte dell'adiuvato. 

Insomma quel che viene in primaria considerazione � non il principio 
di eguaglianza tra le parti, sibbene il diritto di difesa delle parti originarie, 
che deve essere garantito nel contrasto con il terzo interveniente volon� 
tarlo e coatto e con il litisconsorte necessario originariamente preter� 
messo. (omissis) 


SEZIONE SECONDA 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 marzo 1983, 
SEZIONE SECONDA 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 marzo 1983, 
nella causa 42/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn Commissione 
delle Comunit� europee (ag. S�ch�), con intervento adesivo 
del Governo italiano (avv. Stato Braguglia) c. Repubblica francese 
(ag. Museux). 

Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci � 
Organizzazione comune del mercato vitivinicolo -Importazione di 
vino italiano in Francia. 

(Trattato CEE, artt. 30 e 36; regolamenti CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, 
art. 64; 5 febbraio 1979, n. 355, art. 46; 5 febbraio 1979, n. 359, artt. 3, 4 e 8; e della 
Commissione 30 aprile 1975, n. 1153, art. 12). 

Ritardando, con le modalit� di controllo e di regolarizzazione dei 
documenti d'accompagnamento V A 1 ed i controlli sistematici mediante 
analisi, la messa in consumo di vini da tavola importati sfusi dall'Italia 
e limitando cos�, fra l'agosto 1981 ed il marzo 1982, tali importaziani di 
vini da tavola, la Repubblica francese ha trasgredito gli obblighi impostile 
dall'art. 30 del trattato CEE e dalla normativa comunitaria vitivinicola (1). 

(1) Come risulta dalla sentenza in rassegna, i fatti sui quali la Corte � stata 
chiamata a giudicare erano numerosi e di diversa natura. A tali fatti, oggetto 
del ricorso proposto dalla Commissione, si sono aggiunti in corso di causa 
quelli che il Governo francese ha dedotto per tentare di giustificare i �blocchi 
alla frontiera� del vino sfuso in importazione dall'Italia e quelli che l'intervenuto 
Governo italiano ha dovuto addurre per contrastare il tentativo della 
convenuta. 
Esisteva dunque un notevole rischio che la causa si diluisse in una serie 
di accertamenti su fatti e documenti specifici, perdendosi cos� di vista l'insieme 
del comportamento tenuto dalla Repubblica francese, nell'agosto-settembre 1981 
e nel gennaio-febbraio 1982, riguardo alle importazioni di .vino sfuso in provenienza 
dall'Italia. � 

Merito della Corte di giustizia � stato quello di non lasciarsi trascinare in 
questa serie impossibile di accertamenti, su presunti episodi di frodi risalenti 
ad anni addietro ovvero su un notevolissimo numero di documenti di accompagamento 
V A 1 che si pretendevano irregolari. 

Pare infatti che la Corte abbia valutato complessivamente il comportamento 
della Repubblica francese, cogliendo appieno il carattere pretestuoso delle motivazioni, 
che la convenuta intendeva dare, a posteriori, a giustificazione dei 
blocchi delle importazioni. Da un lato infatti la Corte riafferma la necessit� 
del rispetto della regolamentazione viti-vinicola comunitaria, dall'altro per� essa 



PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

459 

(omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 
4 febbraio 1982, la Commissione ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del 
Trattato CEE, un ricorso volto a far dichiarare che la Repubblica francese 
ha trasgredito gli obblighi impostile dalla normativa comunitaria 
vitivinicola e dall'art. 30 del Trattato CEE: 

-sottoponendo le operazioni di sdoganamento dei vini da tavola 
italiani a ritardi che superavano notevolmente il tempo necessario alla 
realizzazione delle operazioni materiali ammissibili e subordinando lo 
sdoganamento a un'analisi sistematica; 

-avendo omesso di intraprendere rapidamente la procedura di regofarizzazione 
dei trasporti di un certo numero di partite di vini italiani, 
non appena i documenti d'accompagnamento erano stati presentati per 
lo sdoganamento ai posti di frontiera; 

-subordinando, in molti casi, la regolarizzazione del trasporto dei 
vini italiani bloccati ai posti di frontiera alla trasinissione da parte delle 
autorit� italiane dei documenti e delle pezze sui quali dette autorit� basavano 
i loro attestati; 

-ritardando lo sdoganamento anche nei casi regolarizzati. 

2. -Secondo la Commissione, sostenuta dal Governo italiano interveniente, 
a causa delle suddette pratiche si sono riscontrati notevoli 
ritardi nella messa in consumo del vino da tavola sfuso importato in 
Francia dall'Italia, dal mese d'agosto del 1981 e 'di nuovo dalla fine di 
gennaio del 1982, e grandi quantitativi di vini da tavola italiani, che superavano 
in certi momenti hl. 1.000.000, sono rimasti bloccati per diverse 
settimane ed anche per parecchi mesi in vari posti di frontiera in Francia. 
mostra di aver ben compreso che le reali ragioni dei blocchi delle importazioni 
nulla avevano a che vedere con detta necessit�. 

Ricostruendo l'intera vicenda nell'ottica indicata, la Corte ha seguito anche 
argomenti addotti e dimostrati da parte del Governo italiano: come quello circa 
la prassi, bruscamente interrotta da parte francese, di tollerare certe irregolarit� 
nella compilazione dei modelli VA 1 (cfr. paragrafi 35/38 della sentenza); quello 
circa i notevoli ritardi, documentati, nella richiesta di regolarizzazione dei modelli 
suddetti (cfr. paragrafi 39/41); quello infine, decisivo, secondo il quale 
� ... da qualche irregolarit� o infrazione accertata in precedenza per singoli casi 
non si pu� desumere un dubbio generalizzato contro tutte le importazioni di 
vino italiano� (cfr. paragrafo 32). 

Evidente era infatti il tentativo francese, non riuscito, di passare da accusato 
ad accusatore, mettendo in dubbio la lealt� e qualit� del vino italiano e 
la stessa efficienza dei sistemi di controllo operanti in Italia. 

Per una precedente controversia relativa alle importazioni di vino italiano 
in Francia, cfr. la sentenza della Corte 20 aprile 1978, nelle cause 80-81/TI, �i.Es 
FILS DE HENRI RAMEL �, in questa Rassegna, 1978, I, 311. 

l.M.B. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

460 


Le pratiche di cui � causa sarebbero state adottate dalle autorit� francesi 
al fine di ostacolare le importazioni dall'Italia di vino da tavola sfuso 
e di ridurne l'entit�, considerata eccessiva rispetto al fabbisogno del mercato. 
Si tratterebbe �quindi di misure d'effetto equivalente a restrizioni 
quantitative all'importazione, vietate dall'art. 30 del Trattato CEE. 

3. -U Governo francese contesta che le pratiche di cui � causa abbiano 
lo scopo di ridurre l'entit� delle importazioni e sostiene che esse 
mirano a garantire l'osservanza della normativa comunitaria in materia 
vitivinicola nonch� la tutela dei consumatori, della salute e della vita delle 
persone contro atti di frode e pratiche vietate e nocive per la salute. 
1. Sugli antefatti e lo svolgimento delle pratiche di cui � causa. 
4. -Prima di esaminare pi� dettagliatamente le pratiche di cui � 
causa, � opportuno ricordare le circostanze connesse alla lqro instaurazione. 
5. -Per 1anni le formalit� da adempiere prima della messa in consumo 
dei vini importati in Fvancia dall'Italia non hanno creato difficolt� 
particolari. 
6. -Fra l'aprile del 1980 ed il 1981, .le autorit� francesi hanno inviato 
alle autorit� italiane alcune comunicazioni relative ad irregolarit� o ad 
infrazioni constatate in trasporti di vini italiani ed, in particolare, a casi 
d'inquinamento di partite di vino dovuti all'uso di mezzi di trasporto 
inidonei. La questione se le autorit� italiane abbiano reagito adeguatamente 
e tempestivamente a tali comunicazioni � controverso fra le parti. 
7. -Nell'estate del 1981, la situazione del mercato vitivinicolo in Francia 
era caratterizzata da un forte aumento delle importazioni di vini da 
tavola dall'Italia. Tale aumento comportava l'abbassamento dei prezzi sul 
mercato. Per protestare contro tale situazione, si sono avute manifestazioni 
violente negli ambienti dei viticultori del Mezzogiorno della Francia. 
8. -Dai documenti esibiti alla Corte dalla Commissione risulta che 
nel luglio del 1981, il Comit� national du commerce communautaire des 
vins et spiritueux, proseguendo una prassi gi� instaurata da parecchi anni, 
proponeva di limitare, con accordi d'autodisciplina, le importazioni di 
vini da tavola italiani ad un volume ritenuto accettabile, fissato in 
hl. 425.000 al mese. La questione se e in quale misura n ministro francese 
dell'agricoltura abbia partecipato e abbia sostenuto tali proposte � rimasta 
controversa fra le parti. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

9. -Dalla met� d'agosto del 1981, le autorit� francesi intensificavano 
i controlli sulle importazioni di vini da tavola italiani. Da un lato, esse 
rifiutavano d'accettare molti documenti d'accompagnamento dei trasporti 
dei vini di cui trattasi e, dall'altro, prima di mettere in consumo le partite 
de quibus, sottoponevano sistematicamente il vino a controlli sanitari 
ed enologici mediante analisi. Tali pratiche avevano la conseguenza di 
bloccare alla frontiera grandi quantitativi di vino .da tavola. 
10. -A causa di tali pratiche, la Commissione instaurava due procedimenti 
di trasgressione nei quali inviava al Governo francese due pareri 
motivati. 
11. -Col primo parere motivato 2 ottobre 1981, la Commissione sosteneva 
che, avendo omesso di avviare sollecitamente la procedura di regolarizzazione 
dei .trasporti di un certo numero di partite, subo1dinando 
in parecchi casi la regolarizzazione all'invio, da parte delle autorit� italiane, 
dei documenti e delle pezze su cui dette autorit� basavano i loro 
attestati, e ritardando lo sdoganamento anche nei casi regolarizzati, la 
Repubblica francese aveva trasgredito gli obblighi impostile dalla normativa 
comunitaria vitivinicola e dall'art. 30 del Trattato. 
12. -Col secondo parere motivato 9 ottobre 1981, la Commissione 
sosteneva che il fatto di sottoporre le operazioni di sdoganamento dei 
vini da tavola italiani a dilazioni che superavano di molto i tempi necessari 
per effettuare le operazioni materiali ammissibili e di subordinarne 
la messa in consumo all'analisi sistematica costituiva una misura d'effetto 
equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, vietata 
dall'art. 30 del Trattato CEE ed una trasgressione degli obblighi imposti 
a1la Repubblica francese dal regolamento del Consiglio n. 337 del 1979. 
13. -Le autorit� francesi provvedevano a liberare i trasporti cosi 
bloccati solo progressivamente, sino alla fine dell'anno, in seguito ad un 
acco1do col Governo italiano concluso il 13 ottobre 1981 a Pisa. Tale accordo 
prevedeva in particolare lo svincolo entro due mesi del vino bloccato 
nonch� l'intervento dei due Governi interessati presso la Commissione 
perch� tale svincolo fosse accompagnato da aiuti comunitari ai contratti 
d'immagazzinamento. Secondo i documenti presentati dalla Commissione, 
parallelamente allo sblocco, veniva effettuato dai membri del 
Comit� national du commerce communautaire des vins et spiritueux, 
nell'ambito dell'accordo di autolimitazione, l'arresto completo delle operazioni 
di carico del vino in Italia. 
14. -Nello stesso periodo, il Governo francese comunicava alla Commissione 
a proposito delle analisi sino ad allora effettuate sistematica

462 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente su tutte le partite di vino importate, che le autorit� .francesi si 
sarebbero ormai accontentate di analisi per campione su una operazione 
ogni dieci. 

15. -Nel gennaio del 1982, le messe in consumo di vino da tavola 
importato dall'Italia raggiungevano di nuovo un livello molto elevato, 
cio� oltre hl. 875.507. Alla fine di gennaio, si verificavano nuove manifestazioni 
violente nell'ambiente vitivinicolo del Mezzogiorno della Francia. 
16. -All'inizio di febbraio, le autorit� francesi intensificavano nuovamente 
i controlli sulle importazioni di vino da tavola italiano, rifiutando 
di accettare documenti d'accompagnamento perch� irregolari o 
sottoponendo ad analisi tre partite su quattro. La comunicazione inviata, 
con telex 2 febbraio 1982, dal Governo francese alla Commissione a proposito 
di tali controlli intensificati contiene in merito, fra l'altro, il brano 
seguente: � Viva preoccupazione � sorta negli ambienti vitivinicoli del 
Mezzogiorno a seguito della forte progressione di importazioni di vino 
dall'Italia nel mese di gennaio 1982, a prezzi molto inferiori a quelli di 
mercato. Di conseguenza, il Governo ha adottato sin dal 30 gennaio i provvedimenti 
necessari perch�, prima dell'immissione sul mercato, siano 
eseguite un maggior numero di analisi qualitative da parte degli uffici 
amministrativi competenti. Contrariamente a quanto affermato da certi 
organi di stampa, le importazioni non sono state fermate, ma rallentate 
in attesa di tornare ad un ritmo mensile normale �. Notevoli quantit� 
di vino da tavola proveniente dall'Italia venivano di nuovo bloccate alla 
frontiera in seguito a detti controlli intensificati. 
17. -Il 4 marzo 1982, la Corte, statuendo in via provvisoria su una 
istanza della Commissione, ha disposto quanto segue: 
� 1. Nelle more della causa principale, la Repubblica francese � tenuta 
ad osservare i limiti di seguito specificati per quanto dguarda le 
pratiche relative alla messa in consumo in Francia di vini importati dall'Italia. 
a) Salvo casi particolari o indizi specifici che possano .giustificare 
il sospetto di frodi, la frequenza delle analisi prima della messa in consumo 
delle partite non deve superare il 15 per cento delle partite presentate 
alla frontiera. 

b) La durata delle analisi effettuate prima della messa in consumo 
delle partite non deve superare i 21 giorni a decorrere dalla presentazione 
delle partite e dei documenti alla .frontiera, a meno che motivi 
particolari giustifichino eccezionalmente analisi specifiche. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

e) La messa in consumo di partite di vino pu� essere rifiutata per 
motivi d'irregolarit� dei documenti d'accompagnamento solo se si tratta 
di irregolarit� sostanziali. 

d) Quando irregolarit� sostanziali sono accertate dalle autorit� 
francesi, queste devono informarne subito, con la documentazione necessaria, 
le autorit� italiane. Le partite il cui documento d'accompagnamento 
sia stato regolarizzato dalle autorit� italiane devono immediatamente 
essere messe in consumo. 

2. Quando la messa in consumo di quantitativi di vino provenienti 
dall'Italia che superino un totale di 50.000 hl. � rifiutata per pi� di 21 
giorni per motivi vuoi di anali:si, vuoi di irregolarit� dei documenti di 
accompagnamento, le autorit� francesi dovranno informare la Commissione 
delle ragioni di tale rifiuto �. 
18. -Dopo questa ordinanza, le importazioni di vino italiano in 
Francia non hanno pi� creato difficolt� particolari. 
2. Sull'oggetto del procedimento di trasgressione. 
19. -Con le quattro censure formulate nel ricorso la Commissione 
mira essenzialmente a far dichiarare che le autorit� francesi hanno limitato 
la quantit� di vino da tavola importato sfuso dall'Italia, ritardando 
la messa in consumo delle partite con i due tipi di pratiche oggetto 
dei pareri mo1Ji.vati 2 e 9 ottobre 1981, cio� rifiutando i documenti d'accompagnamento 
per i trasporti di vino italiano e sottoponendo i vini 
importati a controlli mediante analisi sistematiche. 
20. -Va osservato che una parte dei ritardi contestati, cio� lo sblocco 
progressivo e rallentato delle partite trattenute alla frontiera in seguito 
all'accordo intervenuto il 13 ottobre 1981 fra i Governi francese ed 
italiano e la ripresa delle pratiche di cui � causa all'inizio di febbraio 
e proseguita poi sino al marzo del 1982, si � verificata successivamente 
al parere moth~ato. Tuttavia, � appurato che si tratta di fatti vuoi gi� 
contestati nei pareri motivati e protrattisi ulteriormente, vuoi di fatti 
successivi a detti pareri, ma della medesima natura di quelli considerati 
nei pareri motivati e che costituiscono uno stesso comportamento. 
3. Sul rifiuto dei documenti d'accompagnamento. 
21. -Vanno esamiriati anzitutto i ritardi derivati dall'atteggiamento 
delle autorit� francesi in mer.ito ai documenti d'accompagnamento ed 
alla procedura di regolarizzazione degli stessi. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

22. -La Commissione, sostenuta dal Governo italiano, assume che 
i documenti d'accompagnamento che le autorit� francesi hanno rifiutato 
d'accettare dalla met� d'agosto del 1981 non presentavano effettivamente 
irregolarit� sostanziali che giustificassero tale riifiuto alla luce 
della normativa comunitaria. 
23. -11 Governo francese sostiene che i documenti erano irregolari 
e che esso era quindi autorizzato a rifiutarli. Spetterebbe, inoltre, alla 
Commissione il provare che i documenti rifiutati erano regolari, cosa 
che la Commissione non sarebbe riuscita a dimostrare. 
24. -Secondo il regolamento della Commissione 30 aprile 1975, 
n. 1153, che stabilisce nel settore vitivinicolo i documenti d'accompagnamento 
e gli obblighi dei produttori e dei commercianti diversi dai rivenditori 
al minuto (G.U. n. L 113, pag. 1), ogni trasporto di vino nella Comunit� 
d� luogo alla compilazione di un documento d'accompagnamento 
vitivinicolo su un modulo conforme ai modelli allegati allo stesso regolamento. 
Per i rprodotti comunitari, salvo i vini di qualit� prodotti in 
regioni determinate ed i vini alcolizzati, si tratta del modello VA 1. I documenti 
d'accompagnamento e le loro eventuali copie sono compilati 
dall'ente o dagli enti competenti dello Stato membro nel quale ha inizio 
il trasporto o dall'autorit� abilitata a tal fine, secondo le indicazioni 
fornite dallo speditore e sotto la responsabilit� dello stesso, nella debita 
forma e secondo le disposizioni rigorose di detto regolamento. 
25. -'Da tale normativa si desume che le autorit� francesi avevano 
il diritto di controllare che ogni trasporto di vino sfuso proveniente dall'Italia 
presentato alla frontiera fosse effettivamente accompagnato da 
un documento V A 1 debitamente compilato, emesso dagli uffici italiani 
competenti. 
26. -Tuttavia, le suddette disposizioni vanno interpretate alla foce 
del secondo considerando del regolamento n. 1153 del 1975, secondo cui 
l'esigenza dei documenti d'accompagnamento non deve tradursi in un 
ostacolo per gli scambi o per lo smercio dei prodotti del settore. Ne consegue 
che solo gli errori o le irregolarit� di un documento che hanno 
ca:mttere sostanziale e che sono di conseguenza atti a renderlo inidoneo 
ad adempiere la sua funzione di fornire, sotto forma di documento ufficiale, 
le necessarie informazioni sulla natura del prodotto, possono giustificare 
obiezioni contro il documento stesso e giustificare quindi gli 
ostacoli all'importazione. 
27. -Dal fascicolo si desume che le irregolarit� invocate dalle autorit� 
francesi sono state, secondo i casi, di natura e di rilevanza diversa. 
Cos�, contrariamente a quanto prevede il regolamento n. 1153 del 1975, f 
~� 
.. I: 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

sembra che, in alcuni casi, i documenti non siano stati compilati a macchina 
o in stampatello, pur essendo leggibili, o che siano stati compilati 
in modo .incompleto, pur contenendo indirettamente tutte le informazioni 
necessarie. Irregolarit� del genere non possono per� essere considerate 
sostanziali e non possono giustificare obiezioni contro il documento. 


28. -In altri casi, invece, come � stato ammesso all'udienza dalla 
Commissione e dal Governo italiano, in un certo numero di modelli V A 1 
la mancanza delle indicazioni richieste era atta a rendere tali documenti 
d'accompagnamento inidonei a svolgere la summenzionata funzione. Cos�, 
in alcuni casi, mancava la gradazione alcolica o l'indicazione dell'autorit� 
italiana che aveva emesso il documento, in altri casi detta indicazione 
era illeggibile, in altri ancora il documento non riportava indicazioni 
nemmeno .indirette che consentissero d'identificare lo Stato membro di 
origine. Irregolarit� del genere vanno considerate sostanziali e giusitficano 
obiezioni contro il documento. 
29. -Nel nostro caso, non � stato possibile accertare se tutti i documenti 
contestati fossero irregolari e se tali irregolarit� avessero carattere 
sostanziale, poich� tanto la Commissione, q�anto il Governo francese 
hanno dichiarato di non essere in grado di esibire detti documenti. 
~ tuttavia possibile ammettere che almeno parte dei documenti presentava 
irregolarit� tali da permettere, in via di principio, di sollevare obiezioni 
contro di essi. 
30. -L'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1153/75 dispone che �qualora 
si constati che dei prodotti circolano privi di documento di accompagnamento 
ovvero con un documento irregolare, l'organismo competente 
dello Stato membro nel quale � fatta la constatazione o un altro organismo 
incaricato del controllo adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare 
ed eventualmente sanzionare questo trasporto irregolare �. 
Se ne desume che, per non ostacolare in modo ingiustificato gli scambi, 
le autorit� che accertano delle irregolarit� devono anzitutto provvedere 
a regolarizzarle .. 
31. -Tale regolarizzazione deve essere effettuata applicando il regolamento 
del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 359, relativo alla collaborazione 
diretta tra i servizi incaricati dagli Stati membri di controllare l'osservanza 
delle disposizioni comunitarie e nazionali nel settore vitivinicolo 
(G.U. n. L 54, pag. 136). L'art. 4 di questo regolamento dispone che, in 
caso di dubbio, il servizio competente chieda al servizio competente dello 
Stato membro di origine di verificare i documenti nonch� le annotazioni 
nei registri. A norma dell'art. 3 il servizio competente pu� richiedere 

466 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

qualsiasi .informazione utile ed in particolare la trasmissione di documenti 
e giustificativi, qualora esista un � dubbio fondato � che il prodotto 
non sia conforme alle disposizioni vitivinicole. 

32. -Il � dubbio fondato � ai sensi del suddetto art. 3 che consente 
di chiedere indagini approfondite e la trasmissione dei documenti giusti� 
ficativi deve essere basato su indizi concreti relativi ad un singolo trasporto. 
Contrariamente alla tesi sostenuta dal Governo francese, da qualche 
irregolarit� o infrazione accertata in precedenza per singoli casi non 
si pu� desumere un dubbio generalizzato contro tutte le importazioni 
di vino italiano. In nessun caso, semplici errori di forma nei documenti 
d'accompagnamento possono giustificare un dubbio fondato. In mancanza 
di un dubbio fondato in un caso concreto, le autorit� francesi potevano 
quindi pretendere solo semplici verifiche e conferme da parte delle 
autorit� italiane al fine di regolarizzare i trasporti interessati. 
33. -Dalle v:arie comunicazioni con cui il Governo francese ha fatto 
alle autorit� italiane le richieste relative ai modelli V A 1 irregolari risulta 
che tali domande riguardavano sistematicamente, senza che fosse 
addotto il minimo dubbio fondato, richieste di studi approfonditi e mi� 
I 

ravano essenzialmente ad ottenere i documenti d'accompagnamento uniti 
alla merce durante i precedenti trasporti in Italia, fra il luogo di pro� i ~= 
duzione ed i magazzini dai quali essa era poi stata avviata verso la Fran~ 
cia, in quanto le autorit� francesi si erano rifiutate di considerare sufficiente 
la semplice conferma delle autorit� italiane via telex, a seguito di 
verifica, dei documenti V A 1. 


I 
.
34. -Da ci� consegue che ai fini .della regolarizzazione dei docu.


lr 

menti irregolari le autorit� francesi hanno stabilito condizioni che non 

rientravano nella normativa comunitaria in materia. 

35. -Il Governo italiano ha sostenuto inoltre che, secondo una prassi 
reciproca delle autorit� francesi ed italiane instaurata da molti anni, irregolarit� 
come quelle accertate dalla met� d'agosto del 1981 nella compilazione 
dei documenti V A 1 erano frequenti ed accettate dalle autorit� 
dei due Stati membri. Le autorit� francesi avrebbero modificato, bruscamente 
e senza preavviso, tale prassi in materia di controllo dei documenti. 
A sostegno di detto argomento, il Governo italiano ha presentato 
alla Corte una serie di documenti VA 1 anteriori all'epoca di cui � causa, 
compilati in parte dalle autorit� francesi ed in parte da quelle italiane, 
che, nonostante le irregolarit� del tipo sopra descritto, sono stati accettati 
dalle autorit� dei due paesi senza suscitare contestazioni. Il Governo 
francese non ha addotto alcun argomento tale da mettere in dubbio l'esistenza 
di siffatta prassi. � 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

36. -Al fine d'evitare ostacoli per Je importazioni, J'obbligo di collaborazione 
fra gli Stati membri connesso al sistema comunitario esige 
che in un caso come questo di modifica di una prassi sia dato alle autorit� 
dello Stato membro interessato avviso della nuova procedura, per 
non metterle nell'impossibilit� di prepararsi alla stessa e di tenerne conto 
nella compilazione dei documenti VA 1. 
37. -Inoltre, avrebbe dovuto essere seguita nella fattispecie la procedura 
prevista dall'art. 8 del suddetto regolamento n. 359/79, secondo 
cui i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono regolarmente :in seno 
al comitato di gestione per i vini onde esaminare i problemi sollevati 
dall'applicazione del regolamento stesso ed ogni altro problema concernente 
il controllo �uniforme delle disposizioni comunitarie nel settore vitivinicolo. 
Tale procedura mira infatti ad evitare le difficolt� che possono 
derivare da provvedimenti unilaterali o dalla mancanza d'uniformit� 
nell'applicazione della normativa comunitaria od i conseguenti ostacoli 
per la libera circolazione delle merci. 
38. -Da ci� deriva che modificando bruscamente �la prassi consolidata, 
le autorit� francesi hanno trasgredito un obbligo imposto loro dal 
diritto comunitario. 
39. -La Commissione ed il Governo italiano hanno altres� dedotto 
che le domande rivolte alle autorit� italiane da quelle francesi .in merito 
ad irregolarit� dei modelli VA 1 riguardavano in parte operazioni di 
parecchi mesi o parecchie settimane prima. 
40. -Quando viene accertata un'irregolarit� di documenti d'accompagnamento, 
l'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1153/75, impone alle autorit� 
nazionali competenti l'obbligo di adottare immediatamente i provvedimenti 
necessari per consentire l'eventuale regolarizzazione del trasporto 
irregolare, al fine d'evitare ritardi ingiustificati nella messa in consumo 
del vino di cui .trattasi. 
41. -Nel nostro caso, il Governo francese non ha contestato le allegazioni 
particolareggiate del Governo italiano sui notevoli ritardi nelle 
richieste rivolte alle autorit� italiane in taluni casi. Va quindi ammesso 
che, anche sotto questo profilo, il comportamento delle autorit� francesi 
in materia di controllo dei documenti d'accompagnamento non era, in 
tutti i casi, conforme alla normativa comunitaria. 
42. -La Commissione ed il Governo italiano hanno infine sostenuto 
che, anche nei casi regolarizzati, le autorit� francesi non hanno proceduto 
a mettere in consumo i trasporti di vino bloccati. 

468 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

43. -In proposito, va osservato che lo svincolo dei trasporti blocI 
cati dal mese d'agosto del 1981 � avvenuto, indipendentemente da qualsiasi 
regolarizzazione dei documenti, secondo le modalit� dell'accordo po


I

~:,

litico raggiunto fra il Governo francese e quello italiano il 13 ottobre :: 

1981, a Pisa. 

44. -Le autorit� francesi hanno quindi, anche su questo punto, trasgredito 
l'obbligo, imposto loro dalla normativa comunitaria vitivinicola, 
di regolarizzare i trasporti di vini accompagnati da documenti irregolari. 
45. -Da quanto precede risulta che l'operato delle autorit� francesi 
per quanto riguarda il controllo dei documenti era contrario alla normativa 
vitivinicola. Esso costituisce nello stesso tempo una trasgressione 
dell'art. 30 del Trattato CEE il quale vieta le restrizioni quantitative all'importazione, 
nonch� tutte le misure d'effetto equivalente. 
4. Sui controlli enologici mediante analisi sistematiche. 
46. -Vanno esaminati, in secondo luogo, i ritardi nella messa in 
consumo. determinati dalla prassi delle autorit� francesi di sottoporre sistematicamente 
ad analisi, prima di metterle in consumo, le partite di vino 
italiano. 
47. -Secondo la Commissione ed il Governo italiano, .le autorit� 
francesi avrebbero svolto analisi sistematiche prima della messa in consumo 
per ritardare la stessa e ridurre il volume delle importazioni. Non 
sarebbe comunque necessario ai fini del controllo enologico bloccare 
grandi quantit� di vino alla .frontiera e la durata delle analisi, di parecchie 
settimane, avrebbe di gran lunga superato il termine ammissibile, 
che sarebbe di qualche giorno. 
48. -Il Governo francese sostiene che le analisi hanno avuto lo scopo 
di garantire il rispetto della normativa comunitaria vitivinicola, la tutel� 
dei consumatori e la salute e la vita delle persone. I tempi necessari per 
tali operazioni dipenderebbero dalla natura di dette analisi. 
49. -� assodato che le autorit� francesi hanno sistematicamente 
sottoposto ad analisi il vino da tavola importato sfuso dall'Italia cio�, 
nel primo periodo di cui trattasi, tutte le partite di vino italiano e, dall'inizio 
di febbraio del 1982, in ragione di tre partite su quattro; che esse 
hanno fatto dipendere la messa in consumo di una determinata partita 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

4~9 

dai risultati delle analisi e che tali risultati erano resi noti solo dopo parecchie 
settimane a causa del tempo occorrente per la procedura applicata. 


SO. -In proposito va detto anzitutto che controlli enologici del genere 
sono atti a rendere le importazioni pi� difficili e pi� onerose, a 
causa in particolare degli indugi e delle maggiori spese di magazzinaggio 
che possono determinare per l'importatore. Da ci� consegue che tali 
procedure -sistematiche o meno -costituiscono misure d'effetto equivalente 
a restrizioni quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE, 
vietate da questa disposizione, salve le eccezioni previste dal diritto comunitario 
e, in particolare, dall'art. 36 del Trattato. 

51. -A norma dell'art. 36 del Trattatto, l'art. 30 lascia :impregiudicate 
le restrizioni all'importazione giustificate, in particolare, da motivi di 
tutela della salute e della vita delle persone. Tuttavia, una restrizione del 
genere, in quanto deroga al principio della libera circolazione delle merci, 
� conforme ai trattati solo nella misura in cui � necessaria per raggiungere 
quei dati fini e in cui non costituisce n� un mezzo di discriminazione arbitraria, 
n� una restrizione dissimulata del commercio fra Stati membri. 
52. -Non si pu� escludere che, in certi casi, controlli sanitari mediante 
analisi possano essere un mezzo adeguato per prevenire i rischi 
che derivano, ad esempio, da pratiche enologiche vietate o dall'uso di 
mezzi di trasporto inidonei e possano servire a garantire la tutela della 
salute e della vita delle persone. 
53. -Va aggiunto che varie disposizioni della normativa comunitaria 
in materia vitivinicola, come l'art. 64 del regolamento del Consiglio 5 febbraio 
1979, n. 337, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo 
(G.U. n. L 54, pag. 1) e l'art. 46, n. 2, del regolamento del Consiglio 
5 febbraio 1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione 
e la presentazione dei vini e dei mosti di uve (G.U. n. L 54, pag. 99), 
demandano alle autorit� nazionali la responsabilit� di garantire l'osservanza 
della normativa comunitaria. Anche in questo contesto, controlli 
mediante analisi possono essere un utile mezzo per scoprire infrazioni 
della suddetta normativa. 
54. -Tuttavia, i controlli effettuati devono essere necessari per raggiungere 
i fini perseguiti e non devono comportare ostacoli per l'importazione 
sproporzionati rispetto a tali fini. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

55. -In merito alla frequenza ammissibile dei prelievi per analisi, 
va osservato che essa ha subito molte modifiche durante il periodo considerato. 
Mentre nell'agosto del 1981 tutte le partite di vino erano sottoposte 
a prelievi per l'analisi, dopo l'accordo raggiunto a Pisa nell'ottobre 
del 1981 venivano ritenuti sufficienti controlli per campione nel 10 per 
cento dei casi, frequenza portata successivamente di nuovo al controllo 
di tre partite su quattro alla fine di gennaio deJ. 1982. Il Governo francese 
non ha potuto fornire alcuna giustificazione per tali cambiamenti, che 
non sembrano quindi connessi ad esigenze imperative derivanti dai fini 
summenzionati. Tali prelievi per analisi sono stati effettuati senza che 
vi fossero fatti concreti che giustificassero, nei singoli casi, un sospetto 
di frode o d'irregolarit�. 
56. -La frequenza dei prelievi per analisi era di gran lunga superiore 
ai control�i occasionali effettuati sui trasporti �di vino francese all'interno 
del paese. � assodato che anche le autorit� italiane effettuano 
controlli per garantire sia la conformit� alla normativa comunitaria dei 
vini prodotti in Italia, sia la tutela dei consumatori, della salute e della 
vita delle persone. Le autorit� francesi avevano l'obbligo di tener conto 
dell'esistenza di questi controlli nel paese d'origine del vino. Adulterazioni 
o irregolarit� acce11tate in singoli casi in epoca anteriore a quella di cui 
trattasi non possono assolutamente giustificare un sospetto generalizzato 
nei confronti di tutte le importazioni di vini italiani, n� consentire 
prelievi per analisi sistematiche, dal momento che non esiste alcuna prassi 
analoga per il vino francese. 
57. -Ne consegue che le autorit� francesi non avevano il diritto di 
effettuare controlli sistematici mediante analisi e, in mancanza di qualsiasi 
dubbio fondato su indizi concreti in casi specifici, dovevano ldmitars!
aControlli per campione. 
58. -Lo stesso Governo francese ha dichiarato in seguito al parere 
motivato che erano sufficienti analisi in un caso su dieci. Tenuto conto 
di tale valutazione, le analisi sistematiche effettuate dalle autorit� francesi 
su tutte le partite o in ragione di tre partite su quattro superano 
la frequenza ammissibile dei coilltrolli mediante analisi e costituiscono 
un trattamento discriminatorio rispetto ai controlli a cui � sottoposto in 
Francia il vino di produzione nazionale. 
59. -Per quanto riguarda la durata di qualche settimana delle operazioni 
materiali d'analisi, va osservato che la durata di analisi di questo 
genere per il vino pu� variare a seconda delle circostanze, in particolare 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

secondo la natura delle analisi da effettuare. Nella presente fattispecie, 
la Corte, non dispone di dati sufficienti circa lo svolgimento delle analisi 
nei singoli casi per poter stabilire se il tempo trascorso fra i prelievi 
per le analisi e le comunicazioni dei risultati sia stato pi� lungo del necessario. 


�60. -Va tuttavia constatato che quando i prelievi per le analisi sono 
effettuati sui vini francesi, ci� non comporta automaticamente il blocco 
del vino fino al momento in cui siano noti i .risultati delle analisi in 
quanto la normativa comunitaria sui registri e sui documenti d'accompagnamento 
permette, di norma, una volta conosciuti i risultati delle analisi, 
di ritrovare e di identificare un trasporto di vino. 

61. -In caso d'analisi per campione sui trasporti di vino importato, 
il fatto di trattenere alla frontiera il trasporto di vino finch� non siano 
noti i risultati delle analisi costituisce un ostacolo sproporzionato e discriminatorio 
per le importazioni, poich� tali analisi richiedono tempi 
notevoli, che superano alcuni giorni, ed � inoltre possibile ritrovare ed 
identificare il trasporto di vino. Cos� non sarebbe solo se le analisi fossero 
eseguite in un caso specifico per un dubbio fondato di frode o d'irregolarit� 
del prodotto considerato. Ora, il Governo francese non ha in� 
dicato casi specifici in cui esistesse un dubbio del genere. 
62. -Va inoltre detto che dal summellionato telex 2 febbraio 1982 
e dall'insieme dei fatti si evince che i prelievi per analisi erano volti a 
ritardare la messa in consumo dei trasporti di cui trattasi ed a ridurre 
in tal modo la quantit� di vino importato dall'Italia. 
63. -Ne consegue che sia a causa della frequenza delle analisi, sia 
a causa del fatto che i trasporti cos� controllati venivano comunque trattenuti 
alla frontiera, l'operato delle autorit� francesi in materia di controllo 
mediante analisi sistematiche era contrario alle prescrizioni degli 
artt. 30 e 36 del Trattato CEE. 
64. -Da quanto precede risulta che si deve dichiarare che, ritardando, 
con le modalit� di controllo e di regolarizzazione dei documenti 
d'accompagnamento VA 1 ed i controlli sistematici mediante �analisi, la 
messa in consumo di vini da tavola importati sfusi dall'Italia e limitando 
cos�, fra l'agosito 1981 ed il marzo 1982, le importazioni di detti vini da 
tavola, la Repubblica francese ha trasgredito gli obblighi impostile dall'art. 
30 del Trattato CEE e dalla normativa vitivinicola comunitaria. 
(omissis). 


472 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 17 maggio 1983, 
nella causa 168/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda 
cli pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano 
nella causa fra la Comunit� europea del carbone e dell'acciaio c. Fallimento 
Ferriere Sant'Anna S.p.A. (avv. Luzzatto) -lnterv.: Governi 
italiano (avv. Stato Caramazza) e del Regno unito (ag. Goldsmith) 
e Commissione delle Comunit� europee (ag. Toledano-Lareto, avv.ti 
Ubertazzi e Capelli). 

Comunit� europee -Comunit� europea del carbone e dell'acciaio (CECA) Crediti 
della CECA -Prelievi per la produzione d'acciaio -Riscossione 
-Privilegio -Insussistenza. 
(Trattato CECA, artt. 31, 41, 49, 50 e 92; cod. civ., artt. 1741, 2752 e 2759). 

I crediti per prelievi CECA non godono di privilegi di rango uguale 
a quello dei crediti simili degli Stati membri (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 22 aprile 1982, pervenuta alla Corte il 
14 giugno 1982, il Tribunale di Milano, a norma dell'art. 41 del Trattato 
CECA, ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla 
validit� della decisione della Commissione 10 dicembre 1981, n. 1887, nella 
parte in cui, nell'art. 2, stabilisce che i crediti della CECA verso la societ� 
Ferriere Sant'Anna S.p.A. sono crediti priVlilegiati di rango eguale a quello 
dei simili crediti dello Stato. 

2. -La questione � stata sollevata nell'ambito della controversia relativa 
all'iscrizione, come credito privilegiato, al passivo del fallimento della 
societ� Ferriere Sant'anna S.p.A. -fallimento aperto il 14 maggio 1980 
dal Tribunale di Milano -della somma di Lit. 27.383.405 dovuta da detta 
societ� alla CECA a titolo di prelievi sulla produzione d'acciaio e di maggiorazioni 
per il ritardato pagamento degli stessi. 
(1) In corso di causa la Commissione ha precisato che lo scopo e la portata 
della sua �decisione�, con la quale aveva affermato la natura privilegiata del 
suo credito, aveva valore dichiarativo e non costitutivo del privilegio, eliminando 
cos� il dubbio insorto che con la decisione stessa si fosse voluto introdurre una 
nuova normativa del rango dei crediti per prelievi nell'ambito dei sistemi giuridici 
nazionali. Escluso il carattere generale e normativo della decisione, la Corte 
� agevolmente pervenuta al disconoscimento del privilegio, non rinvenendosi nell'ordinamento 
comunitario (oltre che nell'ordinamento nazionale) alcuna norma 
attributiva del carattere privilegiato ai crediti della CECA. 
iLa sentenza della Corte 27 marzo 1980, nelle cause 67, 127 e 128/79, �MERIDIONALE 
INDUSTRIA SALUMI�, citata nella motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 
1980, I, 535, con nota di MARZANO. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

3. -Dopo la dichiarazione di fal1imento della societ�, la Commissione, 
con lettera 19 novembre 1980, ha comunicato al curatore l'importo del 
suo credito chiedendo che lo stesso fosse considerato come credito privilegiato. 
4. -Con decisione del giudice delegato 20 maggio 1981, il credito della 
CECA � stato ammesso al passivo del fal1imento solo in via chirografaria. 
5. -Il 29 giugno 1981, la Commissione, a norma dell'art. 98 della legge 
fallimentare italiana, ha proposto opposizione avverso la decisione del 
giudice delegato e ha chiesto al Tribunale di riconoscere carattere privilegiato 
al suo credito o, dn subordine, di sottoporre la questione alla Corte 
di giustizia delle Comunit� Europee. 
6. -In pendenza del procedimento introdotto a norma dell'art. 98 
summenzionato, la Commissione, in forza degli artt. 49 e 50 del Trattato 
CECA, ha adottato una decisione individuale destinata alla societ� Ferriere 
Sant'Anna S.p.A. L'art. 2 di tale decisione stabilisce che i crediti di cui 
trattasi �sono crediti privilegiati di rango eguale a quello dei simili crediti 
dello Stato �. A richiesta della Commissione, la decisione � stata 
munita della formula esecutiva da parte del ministro italiano competente. 
7. -All'udienza del 4 aprile 1982, dinanzi al Tribunale di Milano, 
la Commissione ha concluso chiedendo, in base alla suddetta decisione, 
che il suo credito fosse ammesso in via privilegiata e, in subordine -in 
caso di reiezione della domanda principale -, che la causa fosse rimessa 
alla Corte affinch� essa, ai sensi dell'art. 41 del Trattato CECA, statuisse 
sulla validit� della decisione stessa. 
8. -Il Tribunale di Milano, a norma del suddetto articolo, ha proposto 
alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Se la decisione 
della Cominissione delle Comundt� Europee 10 dicembre 1981, n. C (81) 
1887 def., sia valida nella parte in cui (art. 2) stabilisce che i crediti della 
CECA verso la societ� Ferriere Sant'Anna S.p.A. (per prelievi CECA 
e relatiVli interessi) debbono essere considerati "crediti privilegiati di rango 
eguale a quello dei simili crediti dello Stato" �. 
9. -Invitata daJ.la Co11te a precisare, prima dell'udienza, �lo scopo 
e la portata della sua decisione 10 dicembre 1981, ed in particolare dell'art. 
2 'della stessa, riguardo al procedimento principale >>, la Commissione 
ha risposto che � la qualificazione del credito come privilegiato ha valore 
dichiarativo e non costitutivo, in quanto il carattere privilegiato deriva dai 
prinoipd e dalle norme di diritto comunitario evocati nella memoria della 
Commissione �. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

474 

10. -Vista tale risposta e le circostanze in cui la decisione di cui 
� causa � stata adottata dalla Commissione, il Governo del Regno Unito 
e fa curatela della Ferriere Sant'Anna S.p.A. hanno messo in dubbio la 
sussistenza stessa dei requisiti di applicazione dell'art. 41 del Trattato 
CECA. Essi hanno osservato in particolare che, se lo scopo dell'atto di 
cui � causa � solo, come �Sostiene la Commissione, quello di dichiarare 
qual � il diritto comunitario in vigore, tale atto deve essere considerato 
come semplice parere della Commissione e non come vera e propria decisione, 
ci� che comporta l'incompetenza della Corte nel procedimento pregiudizliale 
previsto dall'art. 41 del Trattato. 
11. -Tale tesi non pu� essere accettata. L'art. 41 del Trattato CECA 
prevede, infatti, che � soltanto la Corte � competente a giudicare, a titolo 
pregiudiziale, della validit� delle deliberazioni dell'Alta Autorit� e del 
Consiglio, qualora una controversia proposta avanti a un Tr1ibunale nazionale 
metta in causa tale validit� �. Bench� non sia contestato che, a norma 
dell'art. 92 del Trattato CECA, non pu� pi� venir eccepita la validit� della 
decisione di cui � causa, per quanto riguarda l'entit� delle obbligazioni 
pecuniarie che essa comporta, ciononostante, con l'art. 2, essa � diretta 
a produrre, nell'ambito del procedimento fallimentare pendente dinanzi 
al giudice nazionale,. effetti giuridici nei confronti di terzi ed, in particolare, 
degli altri creditori dell'impresa. Poich� detto giudice ha ritenuto 
necessar1io, per poter decidere la causa, di sottoporre alla Corte una questione 
pregiudiziale vertente sulla validit� dell'art. 2 della decisione, sussi� 
stono le condizioni stabilite dall'art. 41 del Trattato CECA. 
12. -La Commissione sostiene che la decisione di cui � causa va 
considerata valida alla luce delle norme e dei principi generali del diritto 
comunitario, in forza dei quali ciascuno Stato membro � tenuto a conce� 
dere ai prelievi CECA gli stessi privilegi riconosciuti ai simili crediti dello 
Stato. 
13. -Essa sottolinea, da un lato, che il Trattato CECA, agli artt. 49 
e SO, legittima l'Alta Autorit� ad esercitare poteri fiscali, nei quali rientra 
la possibilit� di istituire, di determinare entro certi limiti e di percepire 
direttamente dalle imprese un'imposta di cui, ai sensi dell'art. 92, pu� 
ottenere H pagamento anche con esecuzione forzata. Da ci� deriverebbe 
che i prelievi CECA vanno sottoposti ad una regolamentazione che ne 
garantisca l'effettiva riscossione in qualsiasi circostanza e che essi devono 
pertanto fruire degli :stessi privilegi delle imposte statali simili. 
14. -Non si pu� certo negare l'importanza dei poteri fiscali riconosciuti 
all'Alta Autorit� (ora alla Commissione) dagli artt. 49 e 50 del 
Trattato CECA al fine di consentirle di adempiere, nelle migliori condi� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

zioni possibili, la missione affidatale dal Trattato. Non risulta tuttavia 
necessariamente dalla natura e dagli scopi conferiti ai prelievi dai suddetti 
articoli che, in caso di fallimento dell'impresa debitrice, essi debbano 
automaticamente fruire degli stessi privilegi che le legislazioni degli Stati 
membri riconoscono alle imposte nazionali simili. 

15. -Da uno studio comparativo dei diritti nazionali risulta infatti 
che, nella misura in cui, nella Uquidazione di fallimenti, sono riconosciuti 
dei privilegi a determinarti crediti, questi possono risultare solo da disposizioni 
di legge specifiche e prestabilite, in quanto essi pregiudicano 
il principio generale dell'uguaglianza dei creditori. In mancanza di dispo-, 
sizioni particolari relative, nella liquidazione dei fallimenti, all'esistenza 
di un privilegio a favore del1a Commissione per i crediti derivanti dai 
prelievi, un privilegio del genere non pu� essere ammesso. 
16. -La Commissione sostiene, inoltre, che dal principio generale 
di uguaglianza si desume che la CECA non deve essere svantaggiata nel 
recupero dei prelievi rispetto a crediti d'imposta analoghi ai quali gli 
Staiti membri riconoscono un rango privilegiato. 
17. -A sostegno della sua tesi, la Commissione invoca la giurisprudenza 
della Corte, ,specialmente la sentenza 27 marzo 1980 {Meridionale Industria 
Salumi, cause 66, 127 e 128/79, Racc. 1980, pag. 1237), secondo la quale 
gli Stati membri non possono rendere il sistema di riscossione delle tasse 
e degli oneri comunitari meno efficace di quello relativo alle tasse ed 
agli oneri nazionali dello stesso tipo. 
18. -Se � vero che uno Stato membro non pu� sottoponre la ;riscossione 
degli oneri comunitari del debitore a condizioni o a modalit� diverse 
da quelle previste per oneri nazionali analoghi, il principio di uguaglianza 
di trattamento non implica, tuttavia, di per se stesso, che, in mancanza 
di una norma comunitaria chiara e precisa che stabili.sca, fra l'altro, il 
rango del prelievo e l'imposta nazionale a cui esso dev'essere equiparato, 
gli Stati membri sono tenuti, in caso di fallimento del debitore, a concedere 
ai prelievi della CECA gli stessi privilegi riconosciuti ai cred1ti simili 
dello Stato. 
19. -Si deve quindi concludere che, in mancanza di ,una norma come 
quella sopra descritta, adottata dal legislatore comunitario nell'ambito 
di quanto previsto dal Trattato, la Corte di giustizia non pu� per mezzo 
della sua giurisprudenza introdurre un criterio volto a stabilire un privilegio 
del tipo di quello rivendicato dalla Commissione. Come la Corte 
ha avuto occasione di affermare nella sentenza 5 marzo 1980 (Ferwerda, 
causl:!-265/78, Racc. 1980, pag. 617) non � possibile supplire, in via giuri

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

sprudenziale, alla mancanza di una normativa che ha necessariamente 
carattere tecnico e particolareggiato. 

20. -Stando cos� le cose, la questione proposta deve essere risolta 
nel senso che la decisione della Commissione del 10 dicembre 1981 non !I 
� valida nella parte in cui dispone, all'art. 2, che i crediti per prelievi CECA 
nei confronti della societ� fallita sono crediti privilegiati di rango uguale 
a quello dei simili crediti dello Stato. (omissis) 
I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 7 giugno 1983, 

I

nella causa 78/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Roz�s -Commissione 
delle C.E. (ag. Beraud e de March) c. Repubblica ataliana 
(avv. Stato Fiumara). 


Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Riordinamento del 
monopolio nazionale dei tabacchi lavorati -Determinazione dei mar� 
gini di commercializzazione. 
(Trattato CEE, artt. 37 e 90; l. 13 luglio 1965 n. 825; l. 10 dicembre 1975 n. 724). 

Stabilire margini commerciali fissi per la vendita al minuto, in regime 
di monopolio, di tabacchi lavorati (aggio dell'8% ai rivenditori fissato in 
Italia per tutti i prodotti nazionali e di importazione) non costituisce una 
discriminazione nei confronti dei prodotti importati e non pregiudica la 
libera circolazione delle merci in condizioni normali di concorrenza (1). 

(1) La Corte ha pienamente accolto le tesi difensive sostenute dal Governo 
italiano, nelle quali si era sostenuto che non v'� discriminazione, perch� l'aggio 
applicato in modo uniforme, sia al prodotto nazionale sia al prodotto importato, 
non solo non mette alcun operatore in una situazione diversa, ma al contrario, 
essendo rappresentato da una percentuale riferita al prezzo del prodotto ven� 
duto, consente all'operatore di valutare in tutte le sue componenti il prezzo da 
lui liberamente scelto. Le regole cui � soggetto il prodotto importato sono le 
stesse applicabili per il prodotto nazionale e l'Amministrazione nazionale dei monopoli 
� soggetta alla stessa disciplina cui sono soggetti gli altri operatori. L'uni� 
formit� dell'aggio appare la conseguenza pi� logica e pi� corretta dell'esistenza 
di un monopolio di vendita al dettaglio (legittimo perch� riordinato ai sensi dell'art. 
37 del Trattato). L'indispensabile corollario della esclusiva della vendita, 
infatti, non � tanto la liceit� di un margine di remunerazione minimo (come sostenuto 
dalla Commissione), bens� proprio la necessit� di un margine uniforme, 
per evitare che il dettagliante monopolista discrimini il consumatore o il produttore 
che richiedano od offrano il prodotto la cui vendita � remunerata con 
aggio inferiore: e ci� proprio in attuazione della parit� di trattamento che deve 
essere assicurata dal titolare di un monopolio legale (il quale, viceversa, potrebbe 
avvantaggiarsi della sua posizione proprio in un regime di aggi liberi). 
La sentenza citata in motivazione, 3 febbraio 1976, nella causa 59/75, MANGHERA, 
sul riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale, leggesi 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 477 

(omssis) 1. -Con ricorso depositato nella cancelleria della Corte 
il 24 febbraio 1982, la Commissione ha proposto, a norma dell'art. 169 
del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare che, mantenendo 
un sistema di margini fissi per la commercializzazione dei tabacchi lavorati, 
la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti 
in forza dell'art. 37 del Trattato CEE. 

2. -In Ltalia, i tabacchi lavorati costituiscono oggetto di un monopolio 
di Stato che riguarda sia la produzione, sia la distribuzione dei 
prodotti. Per quanto si riferisce in particolare alla vendita al minuto, 
il monopolio consiste nel riservare tale vendita a dettaglianti abilitati 
dall'amministrazione fiscale, il cui numero � di circa 80.000. I dettaglianti 
sono .tenuti a vendere i tabacchi lavorati ai prezzi di vendita al pubblico 
risultanti dalla tariffa stabilita dalla legge. 
3. -La tariffa comprende un'ampia gamma di prezzi di vendita 
al minuto, ciascuno dei quali � ripartito in tre quote, una per coprire 
la retribuzione del fabbricante e la distribuzione all'ingrosso, una spettante 
all'erario ed una spettante al rivenditore. Tale ultima quota � pari all'8% 
del prezzo di vendita al pubblico. L'amministrazione del monopolio, in 
qualit� di fabbricante, e gli importatori scelgono liberamente per ciascun 
loro prodotto uno dei prezzi di vendita al pubblico previsti dalla tariffa 
o anche un prezzo in essa non previsto, che vi viene successivamente 
incluso. 
in questa Rassegna, 1976, I, 199, con nota di BRAGUGLIA, L'art. 37 del Trattato CEE 

ed il monopolio italiano dei tabacchi. Sulla giurisprudenza della Corte riguardo 

a provvedimenti nazionali che disciplinano la fissazione dei prezzi in generale, 

cfr. la nota in questa Rassegna, 1980, I, 41. 

Esaminando contemporaneamente un ricorso presentato dalla Commissione 
contro la Francia, la Corte, con la sentenza 21 giugno 1983, nella causa 90/82, ha 
ritenuto che il potere riservato dalle norme francesi all'autorit� di determinare 

i prezzi di vendita al minuto dei tabacchi manifatturati ad un livello diverso 
da quello stabilito dai produttori o importatori, � incompatibile con il diritto 
comunitario (artt. 30 e 37 del trattato CEE e direttiva 72/464/CEE), in quanto 

influisce sulle relazioni concorrenziali fra il tabacco importato e il tabacco distribuito 
dal monopolio nazionale. Un siffatto sistema, ha osservato la Corte, 
non � giustificato, ai sensi dell'art. 5 n. 1 della direttiva suddetta, n� da esigenze 
di � controllo del livello dei prezzi�, non essendosi in presenza di una normativa 
nazionale di carattere generale destinata a frenare l'aumento dei prezzi, n� 
da esigenze di � rispetto dei prezzi imposti �, in quanto sono prezzi imposti 
quelli (come avviene in Italia) che vanno rigorosamente osservati una volta fissati 
liberamente dal produttore o dall'importatore e approvati dall'autorit�. Ancora 
in tema di prezzi imposti per la vendita al minuto di tabacchi manifatturati, 
per effetto del sistema tributario olandese, cfr. le cause 177 e 178/82, nelle quali 
� imminente la pronuncia della Corte. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

478 

4. -Il 13 novembre 1980, la Commissione ha inviato alla Repubblica 
italiana, ai sensi dell'art. 169, 1� comma, del TD:"attato, un parere 
motivato col quale constatava che la �stessa, mantenendo qeterminate 
modalit� di monopolio, era venuta meno all'obbligo di riordinare il suo 
monopolio di vendita dei itabacchi lavorati in conformit� all'art. 37 del 
Trattato. Una delle modalit� contestate era la fissazione di margini fissi 
per la commercializzazione. In seguito al parere motivato, il Governo italiano 
e la Commissione si accordavano su una serie di adeguamenti del 
monopolio. Il Governo italiano rifiutava invece, di abbandonare il sistema 
di margini commeroiali fissi per la vendita al minuto. 
5. -La Commissione ha quindi proposto il presente ricorso -che 
riguarda esclusivamente il mantenimento dei suddetti margini fissi per 
la commercializzazione -al fine di far dichiarare contrario all'art. 37 
il sistema sopra descritto. 
6. -Secondo l'art. 37, n. 1, del Trattato, �gli Stati membri procedono 
a un progressivo riordinamento dei monopoli nazionali che presentano 
un carattere commerciale, in modo che venga esclusa, alla fine del 
periodo transitorio, qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati 
membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento 
e agli sbocchi�. 
7. -La Commissione sostiene che costituisce un provvedimento discriminatorio 
la fissazione di margini commerciali fissi per la vendita 
al minuto da parte di uno Stato, il cui monopolio si estende anche alla 
produzione dei prodotti considerati. Da un lato, lo Stato sarebbe necessariamente 
portato a preferire i suoi prodotti nazionali a quelli dei concorrenti 
stranieri ed a fissare il margine ad un livello che favorisca lo 
smercio dei 1suoi prodotti. D'altra parte, costituirebbe una discriminazione 
il fatto che il monopolio italiano possa esportare negli altri Stati 
membri scegliendo liberamente la sua politica di promozione-commerciale, 
mentre i produttori stranieri sono tenuti, nelle vendite in Italia, a 
rispettare il margine commerciale fisso stabilito dallo Stato. 
8. -La Commissione sostiene inoltre che il margine fisso � atto a 
falsare le condizioni di concorrenza ed a pregiudicare le possibilit� dei 
prodotti importati da altri Stati membri. Esso avrebbe intrinseco effotto 
anti concorrenziale in quanto impedirebbe ai produttori stranieri 
di concedere premi di penetrazione e li obbligherebbe ad adottare gli 
stessi metodi commerciali del monopolio cli produzione italiano. 

PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

9. -Il Governo italiano sostiene che il sistema di margini commerciali 
fissi non comporta alcuna discriminazione. Si trartterebbe di un provvedimento 
da applicare indifferentemente a tutti i prodotti, nazionali o 
esteri, diretto ad evitare che i rivenditori di tabacchi possano sottoporre 
a discriminazioni i consumatori o i produttori. Il margine dell'8 per 
cento costituirebbe �una retribuzione giusta e sufficiente per i .rivenditori 
di tabacchi e non sarebbe determinato secondo una politica di vendita 
a favore dei prodotti naziona1i. In mancanza di un'organiz2lazione comune 
dei mercati, ciascuno Stato membro potrebbe adottare proprie disposizioni, 
diverse da quelle vigenti in altri Stati membri. 
10. -Il Governo italiano assume inoltre che presunte alteraz�.oni di 
concorrenza non possono essere esaminate nell'ambito dell'art. 37 del 
Trattato. Esso contesta, peraltro, che vi sia una limitazione della concorrenza 
e sottolinea che il provvedimento contestato costituisce sostanzialmente 
un intervento nella formazione dei prezzi al minUJto ammesso dalla 
giurisprudenza della Corte. In via subordinata, il Governo italiano sostiene 
che l'art. 90, n. 2, del Trattato autorizza una deroga a quanto 
disposto dal Trattato, poich� il monopolio italiano di vendita al minuto 
dei tabacchi lavorati � un monopolio fiscale e l'abolizione dei margini 
commerciali fissi osterebbe all'adempimento della sua specifica missione. 
L'invM"iabilit� dei margini garantirebbe la trasparenza dei prezzi, impedirebbe 
la lotta dei margini e contribuirebbe a limitare il 'Contrabbando. 
11. -Va anzitutto ricordato che, come ha affermato la Corte, in particolare 
nelle sentenze 3 febbraio 1976 (59/75, Manghera, Racc. 1976, 
pag. 91) e 13 marzo 1979 (91/78, Hansen, Racc. 1979, pag. 935), l'art. 37 
del Trattato non impone l'abolizione assoluta dei monopoli nazionali che 
presentano carattere commerciale, ma dispone il loro riordinamento in 
modo da escludere qualsiasi discrimina2lione fra i cittadini degli Stati 
membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento. 
Tanto dal testo dell'art. 37, quanto dalla sua collocazione nel sistema 
del Trattato si desume che questo articolo mira a garantire l'osservanza 
del principio fondamentale della libera circolazione delle merci 
in tutto il mercato comune, abolendo in particolare le restrizioni quantitative 
e le misure d'effetto equivalente negli scambi fra gli Stati membri, 
ed a mantenere in tal modo normali condizioni dd concorrenza fra le 
economie dei vari Stati membri qualora, nell'uno o nell'altro di detti 
Stati, un determinato prodotto sia soggetto ad un monopolio nazionale 
di carattere commerciale. 
12. -Trattandosi di una normativa da applicare indifferentemente ai 
prodotti nazionali ed a quelli importati, va quindi considerato se la 
normativa di causa sia cionondimeno atta ad avere effetti discrimina

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tori, a falsare la concora"enza riducendo le importazioni di tabacchi lavorati 
e ad ostacolare in tal modo il commercio intracomunitario. 

13. -La Commissione ritiene che, in considerazione del divieto generale 
di pubblicit� posto dalla legge italiana, nell'impossibilit� per i 
produttori s�tranieri di concedere ai rivenditori ma11gini commerciali 
superiori per incitarli a vendere i loro prodotti, lo smercio dei prodotti 
importati risulti svantaggiato. 
14. -Tale censura non pu� tuttavia essere accolta. L'impossibilit� 
di concedere premi di penetrazione sussiste sia per il monopolio italiano 
di produzione del tabacco, sia per i produttori stranieri. Inoltre, la 
Commissione non ha dimostrato che la concessione di premi di penetrazione 
costituisce il solo metodo commerciale che consenta a prodotti 
stranieri di affermarsi sul mercato, tanto pi� che resta aperta la concorrenza 
sul prezzo di vendita al minuto. Vuoi i dati forniti dalla Commissione, 
vuoi quelli presentati dal Governo italiano -che la Commissione 
non ha contestato pur ,discutendone la interpretazione -in merito alla 
evoluzione delle importazioni di tabacco in Italia ed alla parte di mercato 
tenuta dai prodotti importati rispetto ad altri Stati membri, non sono 
peraltro tali da rafforzare la tesi secondo cui, a differenza dei prodotti 
nazionali, i prodotti importati possono efficacemente� entrare in concorrenza 
sul mercato solo mediante premi di penetrazione per i �rivenditori. 
15. -Va sottolineato inoltre che il margine commerciale stabilito 
dalla legge � da anni rimasto invariato all'8 % del prezzo di vendita 
al minuto. In materia non �sono riconosciuti n� potere decisionale n� 
margine discrezionale all'amministrazione, che non interviene nella determinazione 
del margine commerciale. Nulla consente di affermare che tale 
margine tiene conto delle particolari esigenze dei prodotti del monopolio 
italiano secondo la situazione del mercato. La Commissione non ha pertanto 
dimostrato in che cosa la fissazione di detto margine potrebbe, in 
questo stato di cose, favorire lo smercio dei soli prodotti nazionali. 
16. -Per quanto si riferisce alla questione se la normativa di causa 
riduca le importazioni di prodotti stranieri, � bene ricordare, come ha 
pi� volte ribadito la Corte (v. sentenze 26 novembre 1976, 65/75, Tasca, 
Racc. 1976, pag. 291; 24 gennaio 1978, 82/77, van Tiggele, Racc. 1978, pag. 25; 
6 novembre 1979, 16-20/79, Danis, Racc. 1979, pag. 3327), che provvedimenti 
nazionali che disciplinano la fissazione dei prezzi, da applicare 
indistintamente ai prodotti nazionali ed a queUi importati, non costituiscono 
di per s� una misura di effetto equivalente ad una restrizione 
quantitativa, ma possono tuttavia divenire tali qualora, a causa del livello 
di prezzo stabilito, essi svantaggino i prodotti importati, in particolare 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

perch� il vantaggio concorrenziale che risulta dal minore prezzo di costo 
viene neutralizzato o perch� il prezzo massimo � fissato ad un livello 
talmente basso che -tenuto conto della situazione generale dei prodotti 
importati rispetto a quella dei prodotti nazionali -gli operatori i quali 
intendano importare i prodotti di cui trattasi nello Stato membro considerato 
possono farlo soltanto in per;dita. 

17. -Nella presente fattispecie, la normativa in causa non pregiudica 
la libert� dei produttori di stabilire i prezzi di vendita al minuto dei 
loro prodotti. .La concorrenza pu� svolgersi pienamente nel settore essenziale 
del prezzo di vendita al minuto. I produttori stranieri di tabacchi 
lavorati sono liberi sia di trarre vantaggio dai prezzi di costo pi� concorrenziali, 
sia di ripercuotere integralmente il maggior prezzo di costo. Non 
� contestato che il margine fisso costituisce per .i rivenditori di tabacchi 
una retribuzione sufficiente per la vendita al minuto dei tabacchi lavorati, 
che si tratti di prodotti importati o di prodotti nazionali. 
18. -� vero che la normativa in causa ha l'effetto di vincolare i 
produttori stranieri all'osservanza sul mercato italiano di un margine 
commerciale fisso, mentre non vi � un obbligo analogo per i prodotti di 
monopolio italiano sui mercati stranieri. Una situazione del genere non 
costituisce tuttavia una discriminazione ai sensi dell'art. 37 del Trattato. 
Essa � solo la conseguenza dell'esistenza di un monopolio �vente carattere 
commerciale, che comporta la regolamentazione dei margini commerciali, 
mentre in altri Stati membri non vi sono simili monopoli e simili regolamentazioni. 
Se da questa disparit� delle normative nazionali in materia 
di margini commerciali per la vendita al minuto dei tabacchi lavorati 
dovessero derivare degli inconvenienti per 1a concorrenza sul mercato 
comune, spetterebbe alle istituzioni comunitarie competenti eliminare 
tali inconvenienti, mediante un ravvicinamento delle disposizioni 
legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri. 
19. -Da quanto sopra risulta che la Commissione non ha dimostrato 
che la normativa in causa costituisce una discriminazione nei confronti 
dei prodotti importati e che pregiudica la libera circolazione delle 
merci in condizioni normali di concorrenza. Il ricorso va pertanto respinto 
perch� infondato. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 maggio 1983, n. 3000 � Pres. 
Moscone -Rel. Panzarani -P. M. Corasaniti -Ente di Sviluppo in 
Campania c. Ciriello e altri. 

Giurisdizione civile -Difetto assoluto -Nozione -Prestazioni lavorative 
ad Ente Pubblico non economico -Inserimento nella struttura organizzativa 
dell'Ente -Atti equipollenti alla nomina -Giurisdizione amministrativa. 


Si ha difetto assoluto di giurisdizione solo nel caso in cui la pretesa 
fatta valere in giudizio non sia rapportabile ad alcuna norma o principio 
giuridico che astrattamente la tutelino, sicch� essa si ponga al di fuori 
di ogni rilevanza giuridica in modo tale da non poter essere ricondotta ad 
alcuna fattispecie legale (1). 

Nell'ipotesi di prestazioni lavorative rese da privati nei confronti di 
un Ente Pubblico non economico, ai fini della individuazione della reale 
natura del rapporto, mentre non pu� essere determinante la qualificazione 
che di esso sia stata fatta da una delle parti, � compito precipuo 
del giudice accertare la sussistenza della volont� da parte dell'Ente di inserimento 
del dipendente nella propria struttura organizzativa, risultante da 
atti equipollenti al provvedimento di nomina, anche a prescindere dalle 
espressioni usate e perfino dalla dichiarazione dell'Ente stesso negativa 
della sussistenza del detto rapporto (2). 

(1) Cfr. Cass. Sez. Un. 22 febbraio 1978 n. 863 in questa Rassegna, 1978, 
I, 542. 
(2) La pronuncia, in parte qua, ribadisce l'orientamento gi� espresso, principalmente, 
da Cass. 5 marzo 1977 n. 905 in Foro It., 1977, I, 596 e Cass. Sez. Un. 
26 maggio 1979 n. 3070, in Foro It. 1979, I, 1708 (ambedue con osservazioni 
di C. M. BARONE). Va invece ricordato che in precedenza aveva prevalso l'indi� 
rizzo di ritenei:e indispensabile, ai fini della costituzione del rapporto di pub� 
blico impiego, l'atto formale di nomina (vedi ad es. Cass. 8 febbraio 1977 n. 542, 
in Foro lt., 1977, I, 313). In termini generali sulla questione della rilevanza del� 
l'atto formale di nomina, cfr. � I giudizi di costituzionalit� e il contenzioso dello 
Stato negli anni 1971-1975 �, II, 175 ss. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 483 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez Un., 2 maggio 1983, n. 3001 -Pres. Moscone -
Rel. Onnis -P. M. Corasaniti -Tripalo (avv. Sgueglia) c. Ministero Affari 
Esteri (avv. Sitato Favara). 

Giurisdizione civile -Rapporto di lavoro di diritto privato extra legem Difetto 
assoluto di giurisdizione -Non sussiste -Operaio giornaliero 
assunto ex art. 3 legge 26 febbraio 1952 n. 67 � Natura pubblicistica 
del rapporto -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

L'improponibilit� assoluta deUa domanda � ravvisabile solo nel caso 
di assoluta mancanza di una norma o di un principio di diritto che astrattamente 
tuteli la posizione soggettiva dedotta in giudizio, la quale si ponga 
al di fuori di ogni rilevanza giuridica, cos� da non. poter essere ricondotta 
ad alcuna fattispecie legale (1). 

Nella risoluzione della questione di giurisdizione vale il principio che 
gli atti costitutivi del rapporto debbono essere qualificati ed interpretati 
dal giudice non gi� con riferimento alla denominazione ad essi attribuita 
dalla pubblica amministrazione, ma in base al loro contenuto sostanziale 
ed agli eff ett>i che da esso derivano. 

Ha pertanto natura pubblicistica, e rientra nella cognizione esclusiva 
del giudice amministrativo, il rapporto di lavoro quale operaio giornaliero 
assunto con contratti trimestrali stipulati ai sensi dell'art. 3 della 
legge 26 febbraio 1952, n. 67. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 maggio 1983, n. 3006 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Schermi -P. M. Fabi -Barenghi (avv. Bellini) c. Ministero 
degli Affari Esteri (avv. Stato Carbone) e I.N.P.S. (avv. Picich�). 

Giurisdizione civile -Sentenza denegativa -Qualificazione del rapporto 
dedotto in lite -Giudicato endoprocessuale. 

Giurisdizione civile -Giudicato -Formazione. 

Giurisdizione civile -Nomina a console in base al d.P.R. 5 gennaio 1967, 

n. 18 -Rapporto di servizio volontario -Difetto di professional~t� 
e retribuzione predeterminata -Servizio onorario -Domanda di costituzione 
di posizione assicurativa -Difetto assoluto di giurisdizione. 
La formazione del giudicato sulla giurisdizione non comporta la definitiva 
qualificazione del rapporto dedotto in lite, trattandosi di pronuncia, 
con effetto meramente endoprocessuale, funzionale all'accertamento della 
giurisdizione. 

(1) Cfr. Cass. Sez. Un., 22 febbraio 1978, n. 863 in questa Rassegna, 1978, I, 
542, nonch�, da ultimo, Cass. Sez. Un., 2 maggio 1983, n. 3000. 
5 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

484 

Il giudicato sulla giurisdizione con effetto esterno si forma solo in 
funzione della statuizione delle sezioni unite della Corte di cassazione in 
sede di regolamento preventivo o di ricorso ordinario per motivi attinenti 
alla giurisdizione, ovvero in funzione del passaggio in giudicato di una statuizione 
di merito che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della 
giurisdizione del giudice che l'ha pronunciata. 

La nomina a console, disposta in base al D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, 
d� vita ad un rapporto di servizio onorario, e non, mancando i requis.iti 
della professionalit�, intesa come esclusivit� o prevalenza dell'attivit� lavorativa 
in favore dello Stato, e della retribuzione predeterminata, non 
avendo l'indennit� corrisposta funzione di corrispettivo, a un rapporto 
di pubblico impiego; di tal che, non essendo nella specie configurabile un 
rapporto di lavoro �pubblico o privato che � presupposto necessario dell'obbligo 
della costituzione di posizione assicurativa a favore del prestatore 
di lavoro, questi non � titolare di alcuna situazione soggettiva giuridicamente 
tutelata. 

Il Ministero degli Af�fari Esteri, con l'unico motivo del ricorso incidentale, 
ripropone il suo assunto secondo cui si sarebbe formato il giudicato 
sul punto della decisione del TAR del Lazio in cui fu esclusa la configurabilit� 
di un rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che il 
Tribunale di Roma avrebbe dovuto dichiarare, anzich� il difetto di giurisdizione 
del giudice ordinario, la �inammissibilit� od improponibilit� della 
domanda del Barenghi, basata sulla dedotta esistenza di un rapporto di 
pubblico impiego, esclusa dal giudicato. Assunto, questo, che � infondato. 

La questione della configurabilit� o :meno, nella specie, di un rapporto 
di pubblico impiego fu esaminata e risolta dal TAR del Lazio in funzione 
della questione se la controversia portata al suo esame .rientrasse o meno 
nella sfera della sua giurisdizione. Pertanto, H giudicato, per difetto di 
impugnazione, si form� non sull'accertamento, funzionale a quel fine, 
della non configurabilit� di un rapporto �di pubblico impiego, bens�, e soltanto, 
sulla dichiarazione di difetto di giurisdizione. (}iudicato, questo, 
meramente interno, endoprocessuale, non producente effetti al di fuori di 
quel processo; perci� non preclusivo del riesame, in altri processi, della 
questione di giurisdizione, previa nuova ~ndagine, ad essa finalizzata, della 
natura del rapporto costituito fra il Ministero degli Esteri ed il Barenghi. 
Invero, il giudicato sulla giurisdizione con rilievo esterno, cio� con effetto 
preclusivo in altri processi, si forma soltanto in funzione della statuizione 
delle sezioni unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo 
o di ricorso ordinario per motivi attinenti alla giurisdizione, ovvero 
in funzione del passaggio in giudicato di una statuizione di merito 
che contenga il riconoscimento, sia pure implicito, della giurisdizione del 
giudice che l'ha pronunciata (Cass., s.u., 4 gennaio 1979, n. 4). 



PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

In assenza di preclusione da giudicato, dunque, jJ Tribunale di Roma 
poteva e doveva qualificare il rapporto intercorso tra il Ministero degli 
Affari Esteri ed il Barenghi, in funzione delle due domande proposte da 
quest'ultimo, le quali si ricollegavano entrambe al presupposto che il detto 
Ministero avesse violato l'obbligo, che gli incombeva quale datore di lavoro, 
di costituire una posizione assicurativa ad esso ricorrente. 

a) Con la prima domanda il Barenghi chiese che il Minis�tero fosse 
condannato alla regolarizzazione della posizione contributiva presso 
l'INPS versando la complessiva somma di L. 47.334.380, o quella maggiore 

o minore che fosse risultata dai conteggi dell'INPS. E tale Isti.tuto, chiamato 
anch'esso in causa dal Barenghi, chiese la condanna del Ministero 
a pagargli la complessiva somma di L. 49.233.992 per contributi omessi e 
dovuti per il.dipendente Barenghi e per sanzioni civili. 
b) Con la seconda domanda il Barenghi chiese che H Ministero fosse 
condannato a risarcirgli i danni per la parte di contribuzione assicurativa 
eventualmente prescritta. 

In relazione a �siffatte domande, il Tribunale di Roma ha ritenuto 
che fosse stato costituito e si fosse svolto fra il Ministero degli Affari 
Esteri ed il Barenghi un rapporto di pubblico impiego, traendone la conseguenza 
del difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Del che si duole 
il Barenghi con l'unico motivo del ricorso principale, sostenendo che si 
trattava di controversia previdenziale e pertanto sussisteva la competenza 
del giudice del lavoro (presupponente la giurisdizione del giudice ordinario). 


Ha errato il TJ:"ibunale di Roma nel qualificare di impiego pubblico il 
rapporto volontario di servizio costituitosi e svoltosi tra il Ministero degli 
Affari Esteri ed il Barenghi sol perch� era stata attribuita a questi una 
funzione pubblica (consolare), s� che svolse un'attivit� a favore di detta 
Amministrazione diret�tamente inerente ai suoi fini istituzionali, ed il rap� 
porto aveva avuto origine da decreti ministeriali di � incarico � i quali in 
astratto -ha osservato il Tribunale -avrebbero potuto configurare un 
atto formale di nomina. 

Il rapporto di servizio volontario si configura come �impiego pubblico 
quando un soggetto assume verso lo Stato od un ente pubblico non economico 
l'obbligo, dietro una retribuzione predeterminata, di effettuare, in 
modo continuo e professionale (nel senso di esclusivit� o, quanto meno, 
prevalenza o precedenza dell'attivit� lavorativa del soggetto in favore dello 
Stato o dell'ente pubblico rispetto ad altre attivit� lavorative del medesimo 
soggetto), ed in posizione �di subordinazione gerarchica, determinate 
prestazioni in correlazione con uno o pi� fini istituzionali dello Stato o 
dell'ente. In presenza di tutti questi elementi, configurandosi il rapporto 
di pubblico impiego, il prestatore d'opera � inserito nella struttura orga



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nizzativa .predisposta dallo Stato o dall'ente pubblico non economico per 
la realizzazione dei suoi fini, intesa quale predisposizione del personale 
adibito, in modo continuativo e professionale, all'esercizio delle pubbliche 
funzioni o delle mansioni interne: inserimento, dunque, sul piano strutturale, 
in relazione ed al fine dell'esercizio, da parte dell'impiegato, delle 
funzioni pubbliche o delle mansioni interne ad esso conferite. 

Quando esista, invece, un rapporto di servizio volontario con attribuzione 
di funzioni pubbliche, ma in assenza degli elementi caratterizzanti 
l'impiego pubblico, si ha la figura del funzionario onorario. 

In siffatta ipotesi, manca la professionalit�, .poich� non � fatto obbligo 
al funzionario onorario �di svolgere la sua attivit� in favore dello Stato 
o di un ente pubblico non economico in modo esclusivo o prevalente o 
con precedenza rispetto ad altre sue attivit�; e manca la retribuzione predeterminata, 
essendo pagata al funzionario onorario, se prevista, un'indennit� 
che non ha funzione di corrispettivo per l'attivit� 'Svolta. 

Elemento genetico del rapporto di servizio volontario tra lo Stato od 
un ente pubblico non economico ed il funzionario onorario � il provvedimento 
di conferimento delle funzioni a .titolo onorario (provvedimento di 
�incarico�), che si differenzia dall'atto formale di nomina, originante il 
rapporto di impiego pubblico. Invero, come queste s.u. hanno di recente 
precisato in una analoga vicenda (sent. 7 ottobre 1982, n. 5129), per effetto 
di quel provvedimento, il funzionario onorario � immesso nell'ambito del-
l'organizzazione dello Stato o dell'ente pubblico non economico, ma limitatamente 
al piano funzionale, non anche sul piano strutturale, mancando 
l'inserimento nella predisposta struttura organizzativa. 

Il Barenghi consegu� la nomina a console generale in base al combinato 
disposto degli artt. 264 e 169 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 (e prima 
ancora in base al R.D. 28 gennaio 1866, n. 2084, che conferiva all'AmministraziOiile 
degli Affari Esteri poteri analoghi): a norma dell'art. 264, primo 
comma, per un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del decreto, 
il Ministro degli Affari Esteri poteva, con le modalit� ed alle condizioni 
previste dall'art. 169, cio� per particolari esigenze di servizio e su parere 
favorevole del Consiglio di amministrazione, incaricare persone estranee 
all'Amministrazione, in possesso di idonei requisiti, della direzione �di uffici 
consolari di I categoria (ai quali, per l'art. 42, deve essere preposto un 
funzionario di carriera, mentre agli uffici consolari di II categoria � preposto 
un funzionario onorario); ed a norma dell'ultimo comma dello 
stesso articolo, le persone gi� incaricate della direzione di ufficio consolare 
di I categoria alla data di entrata in vigore del decreto potevano continuare 
nel loro incarico per un. periodo complessivo di sei anni ai sensi 
e con le modalit� dell'art. 169 (situazione, questa, che si verific� per il 
Barenghi). 


PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

La norma transitoria dell'art. 264 parla di � perisone estranee all'Amministrazione 
�, che potevano essere incaricate della direzione di uffici 
consolari di I categoria; e persone estranee all'Amministrazione erano 
quelle gi� incaricate della direzione di un ufficio consolare di I categoria 
alla data di entrata in vigore del decreto, le quali, per l'ultimo comma 
dello stesso articolo, potevano continuare nell'incarico per il periodo suddetto. 
La norma dell'art. 169 � inserita nel titolo VII della parte II del decreto, 
intitolato �Utilizzazione temporanea di persone estranee all'Amministrazione 
degli affari esteri �. 

La stessa legge, dunque, parla di �persone estranee all'Am.min!i.strazione 
degli affari esteri �, La quale espressione non pu� essere mtesa se 
non nel senso che quei funzionari, incaricati della direzione di uffici consolari 
di I categoria, non sono inseriti nella struttura organizzativa dell'Amministrazione 
degli affari esteri predisposta per la realizzazione dei 
relativi fini istituzionali, ma sono immess!� nell'ambito ovganizzativo di 
quell'Amministrazione limitatamente al piano funzionale. 

Per quei funzionari, in quanto persone estranee all'Ammin!�strazione 
degli affari esteri, non esiste una norma, generale o specifica, che imponga 
l'obbligo della professioo.alit�, intesa nel senso suddetto. 

Ed inoltre manoa una retribuzione predeterminata. Il secondo comma 
dell'art. 203 del citato D.P.R. d!i.spone che alle persone estranee all'Amministrazione 
degli affari esteri in servcizio all'estero compete, se incaricate 
delle funzioni di capo �di ufficio consolare di I categoria, il trattamento 
previsto dagl!i. artt. 171, 173, 174, 178, 180, 182, 186, 188, 207 e 208, nonch� 
quello previsto dal titolo II della parte II. L'art. 171 attribuisce l'mdennit� 
di servizio all'estero, precisando che �non ha natura retributiva essendo 
destinata a sopperire agli oneri derivanti dal servizio all'estero ed � ad 
ess!i commisurata �. Le altre norme, poi, riguardano altre indennit� aggiuntive 
e rimborsi vari. 

Si tratta, dunque, �di funzionari onorari. E funzionario onorario fu il 
Barenghi nel periodo in cui sii svolse il detto rapporto volontario dli servizio 
con attribuzione delle funzioni di console, preposto ad uffici consolari 
di I categoria. 

Ed allora, se il rapporto dedotto in giudizio va qualificato, in base 
alle allegazioni della parte, come rapporto di servizio ono:mrio, non sono 
configurabili nella specie, ill astratto, n� un rapporto di impiego pubblico 
n� un rapporto privato di lavoro subo11dinato. E poich� l'esistenza di un 
rapporto di lavoro pubblico o privato � il presupposto necessario dell'obbligo, 
incombente al datore di lavoro, di costituire una posizione assicurativa 
al prestatore d'opera subordinata, ne deriva, in base alla stessa deduzione 
di parte, carenza di azione per non configurabilit�, in astratto, di 


488 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

una situazione soggettiva giuddicamente tutelata. Onde il difetto assoluto 
di giurisdizione, che va, appunto, dichiarato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3148 -Pres. Greco -
Rel. Menichino -P. M. Sgroi -Istituto Poligralf�co dello Stato (avv. 
Stato Fienga) c. Mendolicchio (avv. Diana). 

Giurisdizione civile -Pronuncia di merito -Mancata impugnazione del 
capo di sentenza -Rilevabilit� del difetto di giurisdizione dell'A.G.O. 
in sede di legittimit� -Preclusione. 

I

Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore della giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, non pu� essere rilevato per 
la prima volta in sede di legittimit�, qualora la sentenza di primo grado 
non sia stata investita dell'appello nella parte in cui abbia provveduto 

lI

su una o alcune pretese del dipendente, acquistando cos� autorit� di 
giudicato, implicitamente, anche in ordine alla giurisdizione (1). 

I

Deve poi rilevarsi che, con il rigetto del motivo di ricorso inerente g 
a tale dichiarazione di inammissibilit� dell'appello dello Istituto, va ~ 
riconosciuta l'ormai intervenuta pronuncia definitiva di merito del giudice 
del lavoro del Tribunale sulla spettanza a favore del dipendente del 

I 

preavviso e dei benefici combattentistici. Stante tale giudicato, sul merito 

I 
~ 

di due pretese del medesimo dipendente, si � formato anche il giudicato i= 
sulla giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordinaria quale necessario 
presupposto della decisione adottata su detti capi di sentenza, e quindi, 
sulla spettanza alla stessa A.G.O. a conoscere della controversia. 


Sussiste quindi la preclusione, -per tale pronuncia di merito 
-circa l'esame della questione �di giurisdizione sulla controversia; e ci� 
in conformit� alla costante giurisprudenza idi queste Sezioni Unite per 
la quale il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore della 
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non pu� essere rilevato 
per la prima volta in sede di legittimit�, qualora la sentenza di primo 
grado non sia stata investita dall'appello, nella parte in cui abbia provveduto 
su una od alcuna delle pretese del dipendente, acquistando cos� 
autorit� di giudicato, implicitamente, anche in ordine alla giurisdizione 

(v. per tutte, sent. 2 aprile 1980 n. 2127). 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 489 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3151 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Lipari -P. M. Fabi -Pretto e Indelicato (avv. Dragogna) 

c. Min. Trasporti (avv. Stato Sernicola). 
Edilizia popolare ed economica -Diritto soggettivo del privato alla cessione 
in propriet� -Alloggi ammessi od esclusi dal riscatto -Giurisdizione 
ordinaria. 

L'assegnatario di alloggio di t~po popolare ed economico di cui al 

d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2, risulta titolare nei confronti dell'ente od 
amministrazione concedente di un diritto soggettivo perfetto alla cessione 
in propriet� del medesimo. 
Rientra nella competenza giurisdizionale dell'A.G.O. la controversia 
volta a stabilire se un determinato alloggio sia da annoverare tra quelli 
ammessi o esclusi al riscatto, dal momento che la potest� giurisdizionale 
del G. O. opera non solo in positivo ma anche in negativo e quindi anche 
quando si tratti di accertare se ricorra una ipotesi di esclusione del 
diritto alla cessione in propriet� (1). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 16 maggio 1983 n. 3358 -Pres. Gambogi 
-Rel. Tondo -P. M. Fabi {conf.). -I.N.A.M. (avv. Stato Bruno) 

c. Florio (n.c.). 
Giurisdizione civile -Enti Pubblici -Appalto di manodopera -Rapporto 
diretto con l'ente interponente -Natura pubblicistica. 
(art. 1, I. 3 ottobre 1960 n. 1369). 

Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni lavorative, 
previsto dall'art. 1 l. 3 ottobre 1960, n. 1369, ed applicabile anche 
nei confronti degli enti pubbl~ci sia economici che non economici, in relazione 
alle attivit� di contenuto imprenditoriale da essi svolte, comporta, 
nel caso di trasgressione, che il rapporto di lavoro si costituisce � ex 
lege � con l'ente interponente ed assume la natura propria di tutti gli 

(1) Giurisprudenza consolidata richiamata in motivazione. Cfr. per tutte, 
Cass. Sez. Un., 2 ottobre 1975, n. 3100, Foro lt., 1976, I, 74, con nota di richiami. 
Per il riparto di giurisdizione tra la fase precedente e quella posteriore all'assunzione, 
cfr. Cass. Sez. Un., 5 novembre 1981, n. 5826 in questa Rassegna, 1981, 
I, 729; cfr. anche � I giudizi di costituzionalit� e il contenzioso dello Stato 
negli anni �1971-1975 �, II, ;104, Conforme � la sentenza, di pari data n. 3150. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

490 

altri rapporti originariamente e direttamente da esso posti in essere 
per lo svolgimento di tali attivit� (1). 

Giova premettere che la giurisprudenZ1a di questa Suprema Corte, 
abbandonato un primo indirizzo, del quale costituiscono espressione le 
sentenze S.U. 5 agosto 1974, n. 2330, 3 febbraio 1976, n. 355, 25 maggio 
1976, n. 1883, � ormai costantemente orientata nel senso che il divieto 
di intermediazione ed inte:r.p9sizione nelle prestazioni lavorative, stabilito 
dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 ed applioabile pur nei 
confronti. degli enti pubblici, sia economici, che non economici, in relazione 
alla attivit� di contenuto I�IIlprenditoriale dai medesimi svolte, 
comporta, in ipotesi di trasgressione, che il rapporto di lavoro si costituisce 
�ex lege � con l'ente interponente ed assume la natura propria di 
tutti gli altri rapporti originariamente e direttamente da esso posti in 
essere per lo svolgimento delle dette attivit� (v. per tutte, sent. S.U. 
1� ottobre 1979, n. 5019; 22 ottobre 1980, n. 5684; 25 maggio 1981, n. 3404; 
28 giugno 1982, n. 3897). 

Alla stregua di questi principi -dai quali il Collegio non ha motivo 
di discostarsi -l'istanza dell'I.N.A.M. � fondata, perch� l'ipotizzata violazione 
del divieto di interposizione, in considerazione della indubbia 
natura di ente pubblico non economico dello stesso Istituto, por.rebbe 
in essere un rapporto �di pubblico impiego, devoluto alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo. 

(1) La Cassazione, con questa sentenza, si uniforma ai principi gi� pre� 
cedentemente enunciati in Cass., Sez. Un., 1� ottobre 1979, n. 5019, in Foro lt., 
1980, I, 716 con ampia nota di O. MAzzoTTA; Cass., Sez. Un., 22 ottobre 1980, 
n. 5684, in Mass. 1980; Cass., 25 maggio 1981, n. 3404, in Dir e giur., 1982, 144; 
Cass., 28 giugno 1982, n. 3897, in Mass., 1982. 
Peraltro, con la sentenza n. 5019 cit., la Cassazione ha completamente mutato 
l'orientamento sin allora seguito (e per il quale cfr. Cass., Sez. Un., 5 agosto 
1974, n. 2330, in Foro lt., 1974, I, 3334, con nota di A. TALLARIDA; Cass. 3 febbraio 
1976, n. 355, in Giust. civ., I, 483; Cass., 25 aprile 1976, n. 1883, in Foro lt., 
1976, I, 1462; e nel campo amministrativo cfr. Cons. Stato, V sezione, 6 lu


glio 11979, n. 487, in Cons. Stato, 1979, I, 1063), in base al quale, in ipotesi di 
rapporti di lavoro indiretti, si riteneva si creasse fra l'ente pubblico interponente 
-da un lato -e lavoratori dipendenti dall'intermediario -dall'altro una 
relazione giuridica privatistica e non un rapporto di pubblico impiego. 

Sul problema della giurisdizione cfr. Cass., 22 luglio 1980, n. 4789, in questa 
Rassegna 1981, I, 55, con nota di SERNICOLA. In dottrina cfr. VELA, La giurisprudenza 
della Corte di Cassazione sul rapporto di lavoro presso gli enti pubblici, 
in Riv. giur. lav., 1979, I, 3 e ss., che sostiene il carattere privatistico del rapporto 
conseguente ad assunzione � illecita � presso un ente pubblico; Palermo, 
Lavoro a favore di terzi, interposizione e rapporti indiretti di lavoro, in Dir. lav., 
1967, I, 183 e, infine, MAZZOTTA, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, 1979, 
passim. 

GABRIELLA PALMIERI 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 18 marzo 1981, n. 1603 -Pres. Moscone -
Rel. Iofrida -P. M. Valente (conf.) -Squilla (avv. Materazzi) c. Azienda 

F.S. (avv~ Stato Stipo). 
De"rii��iio': Potere cli autotutela della P. A.� Ingiunzione cli rilascio . Legittimit� 
anche nel caso cli rivendicazione. 

Demanio � Acquisto cli bene per fini pubblici � Sospensione dell'uso pub� 
blico � Persistenza della destinazione potenziale del bene a servire 
all'uso pubblico � Mancata perdita della demanialit�. 

� consentito alla Amministrazione dello Stato procedere per la restituzione 
di un terreno demaniale, attraverso ingiunzione di rilascio, in 
quanto, ai sensi dell'art. 823 e.e. la P.A., per la tutela dei beni che fanno 
parte del demanio pubblico, ha facolt� sia di procedere in via amministrativa 
sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della propriet� e del 
possesso, in essa inclusa l'azione di rivendicazione contro un privato per 
la restituzione di un immobile ritenuto demaniale (1). 

Non vale a far perdere la natura demaniale di un bene ed � quindi 
irrilevante l'eventuale sospensione, anche per lungo tempo, dell'uso pubblico, 
perch� sussista la possibilit� di riviviscenza dell'uso stesso, essendo 
incontestabile che, anche mancando un uso attuale e contingente, pu� 
ognora pers,istere la destinazione, se vi � ancora attitudine potenziale a 
servire all'uso diretto e generale della collettivit� (2). 

(1-2) Le due massime valgono a confermare principi che ormai possono ritenersi 
acquisiti in giurisprudenza. 

Particolare interesse tuttavia presenta la seconda massima, con la quale 
si pone in evidenza come la natura demaniale di un bene non deriva dalla destinazione 
attuale e concreta del bene stesso all'uso pubblico, bens� dalla potenzialit� 
a soddisfare pubbliche esigenze. Pertanto se un'area di propriet� della 
P.A., ancorch� non utilizzata, �, per le sue caratteristiche naturali e di luogo, 

suscettibile di servire e completare una area sulla quale � in concreto esercitato 
l'uso pubblico, il carattere demaniale non pu� essere negato. 

G. STIPO 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

492 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 2 febbraio 1983, n. 899 -Pres. Rubinacci 
-Rel. Chiavetti -P. M. Zema (concl. diff.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Ferri) c. Montesano Michele (avv. Ca:ridillo e 
Quaremba). 

Lavoro -Applicazione del rito del lavoro a controversia cui non si applica 
-Nullit� -Non sussiste. 
(art. 489 c.p.c.). 

Lavoro -Messo di conciliazione e pubblica amministrazione -Rapporto Non 
sussiste -Svalutazione -Risarcimento del danno -Non spetta. 

L'applicazione dell'art. 409 c.p.c. ad un rapporto nel quale non doveva 
applicarsi il rito del lavoro non comporta di per se alcuna nullit� a meno 
che, a seguito dell'applicazione del rito suddeto, non ne derivi una nullit� 
specifica prevista dalla legge (ad es. violazione di norme sulle prove) (1). 

Il risarcimento del danno per svalutazione � previsto dalla legge solo 
per � crediti di lavoro � e non pu� riconoscersi in riferimento ad un 
eventuale rapporto tra messo di conciliazione e pubblica amministrazione 
(2). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un.� 17 febbraio 1983 n. 1203 � Pres. Mira� 
belli P. P. � Rel. Menichino -P. M. Corasaniti (conci. parz. conf.) -Presidenza 
della Repubblica (avv. Stato D'Amato) c. Isidori, Guidi, Caniara, 
Fadda. 

Competenza civile -Difetto assoluto di giurisdizione -Nozione. 

Competenza civile � Impiego pubblico � Segretariato generale della Presidenza 
della Repubblica � Indennit� di fine rapporto . Contributi 
sull'indennit� aggiuntiva percepita ai fini .del conseguimento di una 
maggiore base pensionabile � Giurisdizione esclusiva del giudice am� 
ministrativo � Sussiste. 

L'improponibilit� della domanda per difetto assoluto di giurisdizione 
sussiste solo quando venga invocata l'attivit� giurisdizionale per una 
situazione soggettiva non qualificabile n� come diritto soggettivo, n� 
come interesse legittimo in mancanza nell'ordinamento di una norma che 
astrattamente la tuteli; e non anche, qualora in presenza di una norma 
di tale potenziale contenuto, si controverta sulla portata e sulla interpre


(1) Cfr., in proposito, Cass., 6 novembre 1954, n. 4192. 
(2) Cfr. Cass., 16 gennaio 1979, n. 321. 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 493 

tazione della medesima, per stabilire la riconducibilit� concreta ad essa 
della pretesa azionata (1). 

Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la 
domanda diretta al conseguimento di una indennit� di fine rapporto, 
aggiuntiva a quella a carico dell'E.N.P.A.S. e commisurata alla indennit� 
c.,d. di �comando�, percepita durante il servizio svolto nella qualit� di 
dipendente di una Amministrazione Statale distaccato (nel caso di specie, 
presso il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica) perch� 
trattasi di una domanda inerente alla qualit� di pubblico impiegato chiamato 
a prestare servizio presso un'altra Amministrazione pubblica. 

Rientra altres� nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
in materia di pubblico impiego la controversia inerente all'obbligo 
del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica a versare al 
Fondo Tesoro del Ministero del Tesoro i contributi sull'indennit� aggiuntiva 
percepita, c.d. di � comando�, perch� poi questa possa essere inserita 
nella nuova e maggiore entit� della base pensionab.ile perch� non si 
tratta di questione relativa ai provvedimenti dell'Amministrazione che 
concedono, rifiutano o riducono il trattamento di quiescenza (2). 

L'Amministrazione ricorrente sostiene che i dipendenti intimati erano 
vincolati con rapporti di impiego instaurati e disciplinati sino alla 
loro conclusione dalle varie amministrazioni statali di rispettiva appartenenza 
organica, e che per 1a loro posizione funzionale di � comando � 
presso il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica non era 
sostenibile che si fosse costituito :un secondo loro rappor.to d'impiego con 
tale organo, in quanto il � comando � incide sullo stato giuridico dell'impiegato 
soltanto per l'esercizio del potere gerarchico che � temporaneamente 
esercitato dalla amministrazione presso cui � svolto il servizio, 
diversa da quella di provenienza. 

Pertanto il Segretariato ricorrente deduce, in primo luogo, il difetto 
assoluto di giurisdizione in o:ridine alle domande che presuppongono la 
costituzione di un rapporto di impiego con esso ente, ma ci� in contrasto 
con le stesse allegazioni degli attori. 

(1) Cfr. in proposito le sentenze 13 luglio 1976, n. 2690; 14 ottobre 1977, 
n. 4371; 23 febbraio 1979, n. 1196; 23 maggio 1980, n. 3397; 24 marzo 1981, n. 1678; 
1� luglio 1981 n. 4256. 
(2) In riferimento alla giurisprudenza che afferma sussistere la giurisdizione 
esclusiva della Corte dei Conti soltanto in ipotesi di impugnativa di provvedimenti 
dell'Amministrazione che conced�no, rifiutano o riducono il trattamento 
di quiescenza o in ipotesi di provvedimento gi� intervenuto per il pregresso 
rapporto di impiego del dipendente cfr. le sentenze della Cassazione 29 
ottobre 1974, n. 3246; 28 maggio 1975, n. 2155; 27 febbraio 1976, n. 630; 12 maggio 
1976, n. 1656; 27 ottobre 1979, n. 5507; 7 gennaio 1981, n. 77. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

494 

Inoltre esso Segretariato sostiene che, non essendo configurabile, 
nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, una indennit� di fine rapporto 
diversa dalla buonuscita a carico dello E.N.P.A.S., ugualmente sussisterebbe 
il difetto assoluto di giurisdizione. 

Ove poi la questione relativa alla configurabilit� del preteso diritto 
alla indennit� di comando dovesse essere ritenuta attinente al merito, la 
competenza giurisdizionale a conoscerne spetterebbe al Giudice Amministrativo 
in via esclusiva, vertendosi in tema di pubblico impiego. 

E sussisterebbe invece fa giurisdizione della Corte dei Conti per quella 
parte della domrun:da che si risolve in una richiesta di adeguamento della 
base retributiva ai fini del trattamento di quiescenza. 

La prima questione che deve essere esaminata riguwda l'eccezione 
dell'Amministrazione ricorrente di difetto assoluto di giurisdizione per 
mancanza di una normativa ohe consenta o preveda la costituzione di un 
rapporto di impiego diretto fra il dipendente pubblico che sia distaiccato 
presso un'altra Amministrazione, e questa stessa come beneficiaria delle 
di lui prestazioni; ed inoltre per la mancanza di altre norme che prevedano 
l'erogazione di indennit� di buonuscita ulteriori, rispetto a quella 
a carico dello E.N.P.A.S., per i dipendenti pubblici. 

Tale eccezione non ha fondamento, perch�, secondo il costante orientamento 
di queste Sezioni Unite, l'improponibilit� della domanda, per 
difetto assoluto di giurisdizione, sussiste solo quando venga invocata la

1

attivit� giurisdizionale per una situazione soggettiva non quali.f�cabile n� 
come diritto soggettivo, n� come interesse legittimo in mancanza nell'ordinamento 
di una norma che astrattamente la tuteli; e non anche, pertanto, 
qualora in presenza di una norma di tale potenziale contenuto, si 
controverta sulla portata e sulla intenpretazione della medesima, per 
stabilire la riconducibilit� concreta ad essa della pretesa azionata {sent. 
13 luglio 1976 n. 2690; 14 ottobre 1977 n. 4371; 23 febbraio 1979 n. 1196; 
23 maggio 1980 n. 3397; 24 marzo 1981 n. 1678; 1� luglio 1981 n. 4256). 

Orbene, nella presente fattispecie, la pretesa degli odierni intimati � 
quella diretta ad ottenere, quali dipendenti pubblici distaccati presso il 
Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, il trattamento 
economico, per la indennit� di buonuscita e per la base pensionabile del 
trattamento di quiescenza, uguale a quello degli impiegati dello stesso 
Segretariato generale, ai sensi delle norme di legge che .regolano tale 
ultimo rapporto di impiego (art. 9, 1. 9 agosto 1948 n. 1077; art. 17 Regolamento 
approvato con d.P.R. 10 settembre 1956). Pertanto la applicabilit� 

o meno, nei loro confronti, di tale disciplina costituis.ce una controversia 
per la cui decisione deve fairsi riferimento a tali norme, cosicch� essa 
non � del tutto estranea all'ambito della giurisdizione. 
Passandosi, quindi, ad individuare il giudice investito di questa relativamente 
a detta controversia, devesi rilevare che tale � soltanto il Giu




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

dice Amministrativo. Per quanto concerne la spettanza o meno di una 
indennit� di fine rapporto, aggiuntiva a quella a carico dello .E.N.P.A.S., 
e commisurata alla indennit� c.d. di � comando � percepita da ciascuno 
degli intimati durante il servizio, svolto in qualit� di dipendente di una 
Amministrazione statale distaccato presso detto Segretariato generale, 
trattasi di una domanda inerente alla qualit� di pubblico impiegato chiamato 
a prestare servizio presso un'altra Amministrazione pubblica. Pertanto 
la decisione sul punto se la particolare disciplina regolante il rapporto, 
anche circa la misura della buonuscita, fra tale ultima Amministrazione 
ed i propri dipendenti, direttamente assunti ed inquadrati nel 
relativo organico, sia estensibile, ed in quali eventuali limiti, anche ai 
dipendenti estrianei, ma 'distaccati dalle altre di loro provenienza, e di 
rispettivo loro inquadramento organico, concerne lo �status � di pubblico 
impiegato. 

Il presupposto ed il fondamento della pretesa attengono infatti alla 
esistenza del rapporto di pubblico impiego che, essendo sorto, ed essendo 
disciplinato dalle norme regolanti il medesimo neH'ambito della P. A., 
deve pure svolgeI'si ed esaurirsi in conformit� al relativo ordinamento. 

Da quanto sopra consegue che le questioni relative al permanere del 
detto rapporto, e quelle connesse all'eventuale influenza, su di esso, 
della normativa particolare del diveI'So rapporto dei dipendenti dell'Amministrazione 
presso la quale � operato il �distacco�, costituiscono delle 
controversie sul rapporto di pubblico impiego che rientrano nella giurisdizione 
esclusiva del Giudice Amminis.trativo (art. 6 Legge 6 dicembre 
1971 n. 1034). 

Altrettanto deve statuirsi sulla ulteriore richiesta dell'obbligo del 
Segretariato generale anzidetto a versare al Fondo Tesoro del Ministero 
del Tesoro i contributi. sull'indennit� aggiuntiva percepita, c.d. di � comando
�, perch� poi questa possa essere inserita nella nuova e maggiore 
entit� della base pensionabile. Trattasi, invero, di una questione che non 
comporta una controversia relativa ai provvedimenti dell'Amministrazione 
che concedono, rifiutano o riducono il trattamento di quiescenza, e che 
non concerne il provvedimento gi� intervenuto per il pregresso rapporto 
di impiego di ciascuno dei dipendenti, odierni intimati, con l'Amministra2lione 
di provenienza nei sensi gi� ipredsati. Al contrairio la questione 
inerisce ad una nuova obbligazione contributiva della diversa e distinta 
Amministrazione presso fa quale i medesimi dipendenti avevano prestato 
servizio, in virt� del provvedimento di relativo �distacco�, e che perci� 
presuppone pur sempre l'esistenza di un ulteriore, distinto rapporto con 
questa, ovvero la modifica di quello con l'Amministrazione di appartenenza 
per effetto dell'applicabilit� della ,diveI'sa disciplina di impiego 
presso la Amministrazione di � distacco �, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

496 

Orbene soltanto in ipotesi di impugnativa dei provvedimenti del primo 
tipo, come gi� detto, pu� sussistere la giurisdizione esclusiva della Corte 
dei Conti (sent. 29 ottobre 1974 n. 3246; 28 maggio 1975 n. 2155; 27 febbraio 
1976 n. 630; 12 maggio 1976 n. 1656; 27 ottobre 1979 n. 5507; 7 gennaio 
1981 n. 77). Ma tale ipotesi non ricorre 111el caso in esame, a differenza 
di quanto prospettato nel ricorso e nella discussione dalla Amministrazione 
ricorrente, e di quanto pure sostenuto nelle proprie conclus�.oni 
dal Procuratore Generale. E ci� perch� una pretesa -come quella in 
esame -inerente all'obbligo contributivo di una P. A., per la successiva 
declaratoria di pensionabilit� di una indennit� a carico di essa, 
involge sempre un giudizio sulla configurabilit� di un rapporto fra le 
parti che, incidendo su quello di p'li.bblico �.mpiego gi� esistente fra un 
dipendente ed un'altra Ammln1strazione, richiede la definizione e la individuazione 
dell'eventuale disciplina applicabile. 

Anche tale tipo di controversia, perci�, appartiene alla giurisdizione 
esclusiva del G.A., in materia di pubblico impiego. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1442 -Pres. Lo 
Surdo -Rel. Ruperto -P. M. Sg.roi (conf.) -Istituto Tecnico Industriale 
�A. Panella � (avv. Stato Catrical�) c. Orlando Giuseppe (avv. 
Grillo Zappia -avv. Fresa) -Falcomat� Gaetano (avv. Pannuccio). 

Responsabilit� civile -Esteriorizzazione del fatto costitutivo -Conoscibilit� 
dell'evento dannoso ai fini del decorso della prescrizione. 

Responsabilit� civile -Prova liberatoria -Requisiti. 

Responsabilit� civile -Criteri di imputazione -Risarcimento del danno Limiti. 


La responsabilit� extracontrattuale sorge quando il fatto costitutivo 
si esteriorizza, e, quindi, il dies a quo della prescrizione, ai sensi del1'
art. 2947, primo comma, cod. civ., decorre dal momento in cui si esteriorizza 
e diventa conoscibile l'evento dannoso {1). 

La prova liberatoria, di cui all'ultimo comma dell'art. 2048 cod. civ., 
consiste nella prova � di non aver potuto impedire il fatto �; se si � in 
presenza, quindi, di una prova che miri a dimostrare dati evidentemente 

(1) Il principio di diritto era gi� stato pi� volte enunciato dalla precedente 
giurisprudenza in materia: cfr., da ultimo, Cass. 24 marzo 1979, n. 1716; con 
la sentenza 6 maggio 1971, n. 1282 la Cassazione aveva puntualizzato inoltre, 
che, ai fini della prescrizione, l'aggravarsi di precedenti lesioni personali o il 
verificarsi di nuove lesioni rende possibile l'esercizio di azioni autonome rivolte 
ad ottenere il risarcimento del nuovo danno. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE .f97 

inidonei ad integrare una totale impossibilit�, a giudizio insindacabile 
della Corte del merito, la prova liberatoria si considera come � non 
offerta � (2). 

Nel caso in cui l'incapace subisca un danno in conseguenza di un 
fatto illecito altrui che concorra eziologicamente col suo fatto colposo, 
l'indagine del giudice va limitata all'esistenza della serie causale concorrente 
alla produzione dell'evento dannoso, a prescindere dalla non imputabilit� 
del soggetto danneggiato, ed il risarcimento � dovuto dal terza 
danneggiante solo nella misura in cui l'evento medesimo possa farsi 
risalire a colpa di quest'ultimo, restando esclusa la parte di danno ascrivibile 
al comportamento dell'incapace (3). 

Col primo motivo di entrambi i ricovsi si denunzia violazione dell'art. 
2935 e.e., censurandosi l'impugnata sentenza per aver disatteso la 
eocezione di prescrizione sull'erroneo argomento che questa decorresse, 
nella specie, non dal momento del verificarsi dell'infermit� conseguita 
alla pretesa azione dannosa, bens� da quello successivo dell'aggravamento 
dell'i111fermit� medesima. 

La censu["a � infondata. 

La Corte del merito � partita da un'esatta premessa giuridica, nel 
motivare il suo convincimento in ordine al dies a quo della prescrizione: 
applicando il principio pi� volte enunciato da questo Supremo Collegio, 
secondo cui la responsabilit� extracontrattuale sorge quando il fatto costitutivo 
si esteriorizza, in particolare quando si esteriorizm e diventa conoscibile 
l'evento dallllloso (v., da ultimo, Cass. 24 marzo 1979 n. 1716). 
All'uopo essa ha tenuto a sottolineare che, ai fini della prescrizione, non 
ha rilevanza un successivo aggravamento del danno, � salvo il caso che 
le ulteriori conseguenze dannose del fatto lesivo si manifestino in epoca 
posteriore come un'entit� nuova e autonoma�. Affermazione, quest'ultima, 
aderente a quanto puntualizzato dalle Sezioni unite civili con sentenza 
6 maggio 1971 n. 1282. 

� ben vero che, poi, nello svolgimento �ulteriore della motivazione la 

Corte del merito � incorsa in qualche apor�a, che giustifica le critiche del 

{2) Cfr., in senso conforme, Cass., 13 febbraio 1973, n. 449; Cass., 2 ottobre 
1976, n. 3725. 

(3) In senso conforme Cass., Sez. Un., 17 febbraio 1964, n. 351 e, da ultimo, 
Cass., III Sez. Civ. 11 febbraio 1978, n. 630. 
La Corte del merito, invece, contrariamente al principio di cui in massima, 
aveva sostenuta la tesi secondo la quale il comportamento della persona 
incapace si traduce sostanzialmente, anche rispetto all'agente, in un fortuito, 
cio� in un fatto puramente fisico, insuscettibile di essere attribuito a 
titolo di colpa a chi lo pone in essere (la Cassazione aveva, peraltro, sostenuto 
siffatta tesi con la sentenza n. 1650 del 3 giugno 1959 e n. 291 del �10 febbraio 
1961). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ricorrente Falcomat� sotto il profilo logico. Ma trattasi di vizio che non 
infirma la sostanziale esattezza del giudizio reso, comportando soltanto 
la necessit� di una correzione ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c. 
All'uopo � da rilevare che la stessa Corte ha precisato in punto di fatto 
che l'Or.lando rimase ingessato, a seguito dell'incidente occorsogli, per 
duecento giorni. n che significa che, quantomeno per tutto tale periodo, 
successivo alla data del 13 novembre 1961, il danno permanente fatto 
valere c�n la domanda giudiziale non si esteriorizz� s� da rendersi conoscibile; 
e che tale rpot� divenire non prima dello spirare del periodo 
medesimo, coincidente con la rimozione della ingessatura. E dUil!que la 
decorrenza del termine prescrizionale non sarebbe comunque potuta 
!iniziare prima .del giugno 1962; con la conseguenza che a;l momento della 
notificazione dell'atto introduttivo del giudizio (20 gennaio 1967) non era 
sicuramente trascorso il quinquennio previsto dall'art. 2947, primo comma, 
codice civile. 

Tale constatazione, ricavabile -si dpete -dalla parte motiv.a della 
stessa impugnata sentenza, rende inconferente tutto il ragionamento della 
Corte d'appello che si rivela viziato sotto il profilo logico; bastando da 
sola a dimostrare l'esattezza della decisione, a stregua del suesposto 
principio di diritto. Principio, che questo Supremo Collegio ancora una 
volta intende ribadire, non potendosi ovviamente connettere rilevanza 
giuridica, quale elemento generico di una relazione intersoggettiva, ad 
un evento dannoso, il quale, pur oggettivamente esistente, non si sia 
esteriorizzato e quindi non si sia reso conoscibile a chi della relazione 
stessa debba avvalersi. 

Col secondo motivo del suo ricorso il Falcomat�, sempre in tema di 
rigetto de1l'eccez;ione di prescrizione, denunzia alm-es� violazione dell'art. 
2942, n. l, e.e., censurando ancora la Corte d'appello perch�, nonostante 
abbia dato atto che il minore Orlando all'epoca del sinistro non 
era privo di rappresentante legale per cui erroneamente il T["ibunale aveva 
escluso la decorrenza del termine prescrizionale nei suoi confronti, ha 
tuttavia omesso di pronunciare sulla doglianza dn proposito mossa alla 
prima sentenza con l'atto d'appello. 

La censura � inconsistente, giacch� risulta manifesto che fa Corte 
d'appello, disattendendo quanto ritenuto dal Tribunale in ordine alla 
sospensione ex art. 2942, n. l, e.e., ha implicitamente accolto la doglianza 
dell'appellante, peraltro senza un utile risultato per quest'ultimo, giacch� 
l'eccezione �di prescrizione � stata poi �come sopra respinta per altra 
ragione. 

Col secondo motivo del ricorso dell'Istituto � Panella � e col quarto 
del ricorso di Falcomat� si denunzia violazione dell'art. 2948 e.e., nonch� 
dell'art. 345, secondo comma, c.p.c., censurandosi l'impugnata sentenza 
per aver ritenuto � non offerta � nella speaie la prov.a liberatoria, quando 


PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRuDENZA CIVILE 

invece era stata ritualmente formulata in grado d'appello una specifica 
prova testimoniale sul punto. 

Anche tale censura � infondata. 

La prova '.liberatoria di cui all'ultimo comma dell'art. 2048 e.e., 
infatti, consiste nella rprova �di non aver potuto imrpedire il fatto�; 
mentre quella articolata ne1l'atto d'arppello del Falcomat� mirava a dimostrare 
dati evidentemente inidonei ad integrare una totale impossibilit�, 
a giudizio insindacabile della Corte del merito, che quindi non scorrettamente 
ha parlato di prova liberatoria � non offerta �. , 

Fondati sono, invece, il terzo motivo del ricorso dell'Istituto � Panella 
� ed il quinto del rico11so di FaJcomat�, con i quali si denunzia violazione 
degli artt. 2048 e 2055 e.e., in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c., 
censurandosi l'iimpugnata sentenza per aver completamente omesso di 
valutare la corresponsabilit� del danneggiato, in subordine dedotta dai 
convenuti. 

La Corte del merito, infatti, non ha per nulla esaminato la precisa 
doglianza contenuta al riguardo nell'atto d'appello. N� tale omissione 
pu� giustificarsi, 'SOtto U profilo giuridico, rifacendosi alla tesi, secondo 
cui il comportamento della persona incapace si traduce sostanzialmente, 
anche rispetto all'agente, in un fortuito, cio� in un fatto puramente fisico, 
insuscettibi!le di essere attribuito a titolo �di colpa a chi lo pone in essere. 
'tale tesi, infatti, accolta in passato da due sentenze (la n. 1650 del 3 giugno 
1959 e la n. 291 del 10 febbraio 1~61) innovativa rispetto ad una 
costante tradizione giurisprudenziale, � stata definitivamente abbandona:
ta dalla Suprema Corte con la sentenza 17 febbraio 1964 n. 351 delle 
Sezioni unite civili, in cui � stato enunciato un principio (ribadito da 
ultimo con 1sentenza 11 febbraio 1978 n. 630 di questa Sezione), che la 
Corte di Reggio Calabria avrebbe appunto dovuto applicare prendendo in 
esame fa cens�ura del Falcomat� avverso la sentenza di primo grado. Ed 
invero, quando l'incapace subisca danno in conseguenza di un fatto illecito 
altrui che concorra eziologicamente col suo fatto colposo, l'indagine 
del giudice va 1imitaita all'esistenza della serie causale concorrente alla 
produzione dell'evento dannoso, a prescindere dalla non imputabilit� del 
soggetto danneggiato, ed il risarcimento � dovuto dal terzo danneggiante 
solo nella misura in cui l'evento medesimo possa farsi risalire a colpa 
di quest'ultimo, restando esclusa la parte di danno ascrivibile al comportamento 
dell'incapace. 

L'impugnata sentenza � quindi da cassare, sul rpunto, con rinvio per 
nuovo esame ad altro giudice, che dovr� conformarsi a detto principio di 
diritto. 

Pure fondato � il terzo motivo del ricorso di Falcomat�, col quale si 
denunzia �violazione dell'art. 4 r.d. 17 agosto 1935 n. 1765 e del T.U. approvato 
con d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 �, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELl.O STATO 

c.p.c., per non avere la Corte d'appello � speso neppure una parola � e 
� fornito alcuna motivazione in merito alle richieste di prova .testimoniale � 
relative al fatto dedotto da esso Falcomat�, che ~'infortunio dell'Orlando 
era coperto da assicurazione obbligatoria presso l'l.N.A.l.L., il quale 
aveva infatti indennizzato i periodi di invalidit� totale. 
All'uopo va osservato che effettivamente l'Istituto � Panella � in primo 
grado ed anche il Falcomat� in appello avevano dedotto quel fatto per 
contrastare la domanda di risarcimento proposta nei Joro confronti, senza 
ottenere che i giudici del merito esaminassero la relativa questione, 
di cert.o rilevante ai fini del giudizio. Non �v'� dubbio, invero, che l'Orlando 
fosse compreso a pieno titolo nella assicurazione obbligatoria con


tro gli infortuni sul lavoro, a norma dell'art. 4 D.P.R. 30 giugno 1965, 

n. 1124 (sul tema v. Cass., 26 foglio 1974 n. 2245): assicurazione, di cui 
peraltro risulta pacifico che egli abbia in certa misura goduto i benefici. 
Ora, in linea di massima, tale assicurazione esonera il datore di lavoro 
(nefila specie, l'Istituto � PaneHa � e, di riflesso, il prof. Fakomat�) dalla 
responsabilit� civile, a norma dell'art. 10 del citato provvedimento legislativo, 
che tuttavia fa sa:lvo il caso in cui sussista responsabilit� penale per 
iJ fatto dal quale l'infortunio � derivato ed il reato non sia procedibile solo 
a querela. I giudici del merito, dunque, essendo ormai sicuramente estinta 
per prescrizione l'eventuale azione penale, av.rebbero dovuto accertare 
se �in concreto sussistessero le condizioni come sopra legislativamente 
previste rper l'esistenza d'una responsabilit� civile pur in presenza d'un 
fatto dannoso coperto da assicurazione obbligatoria: mancando Je quali 
condizioni, essi avrebbero dovuto rigettare la domanda dell'attore. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I � 9 giugno 1983, n. 3947 -Pres. Granata -
Rel. BoJogna -P. M. Benanti (conf.) -Falzone (avv. lacona e Grande) 

c. A.N.A.S. (avv. Stato Cingolo). 
Propriet� -Usucapione abbreviata -Valutazione degli elementi costitutivi 
� Indagine di fatto. 

Propriet� -Usucapione abbreviata � Titolo idoneo all'acquisto -Corrispondenza 
tra l'oggetto del titolo e l'oggetto del possesso � Deve sussistere. 


L'accertamento dell'esistenza e la valutazione della rilevanza degl.i elementi 
della fattispecie delineata dall'art. 1159 e.e. (acquisto a non domino, 
buona fede, titolo idoneo a trasferire il diritto, trascrizione), che, con il 
decorso del decennio, legittimano l'acquisto del diritto a mezza di usucapione 
abbreviata, costituisce una indagine di fatto demandata al giudice 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 501 

di merito e, pertanto, incensurabile se basata su corretta e congrua motivazione 
(1). 

Al fine della legittimazione all'acquisto del diritto per usucapione ab� 
breviata � necessaria la perfetta corrispondenza tra l'oggetto del titolo 
(bene acquistato anche se a non domino) e l'oggetto del possesso da parte 
di colui che deduce l'usucapione decennale (2). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, 17 giugno 1983, n. 4184 � Pres. 
Afel1lra � Est. P.icazio -P. M. (concl. conf.) Leo � Ministero del Tesoro 
ufficio liquidazioni <(avv. Stato Caraanazza) � Cernigliaro (avv. Paolo 
Camassa). 

Lavoro � Rapporti di lavoro � Convenzioni enti mutualistici � Medici esterni 
. Blocco tariffe � Nuove convenzioni. 

L'art. 8 sesto comma della L. 17 agosto 1974, n. 386, modificativo dell'art. 
8 D.L. 8 luglio 1976, n. 264, comprende il blocco delle tariffe stabilite 
nel richiamato accordo sindacale del 13 luglio 1973 nella loro globalit�, e 
quindi sia per quanto riguarda la misura che nell'accordo stesso sia fis� 
sata, sia per quanto concerne il meccanismo di indicizzazione delle tariffe 
(3). 

L'art. 11 L. 29 giugno 1977, n. 349 prevede la soppressione del blocco 
delle tariffe posto dall'art. 8 L. 386 del 1974, sempre che siano sopravvenute 
le nuove convenzioni e tariffe previste dalla stessa L. 349 del 1977 (4). 

(1) Nel senso della massima cfr., oltre la sentenza citata nel testo, Cass., 
26 luglio 1966, n. 2077, in Giust. civ., Mass. 1966, 1188; Cass., 10 aprile 1970, 
n. 988, ivi, 1970, 550; Cass., 15 novembre .1973 n. 3047 ivi, 1973, 1587. 
(2) La giurisprudenza � ormai consolidata nell'affermare il principio enunciato 
� Cfr. per tutte, Cass., 16 luglio 1966, n. 1923, in Giust. civ., Mass. �1966, 1093; 
Cass., 20 dicembre 1969, n. 4012, ivi, 1969, 2017; Cass., 3 aprile 1971, n. 965, ivi, 
1971, 516; Cass. 15 novembre 1973, n. 3047, ivi, 1973, 1587). 
In dottrina cfr. per tutti: Massimo FRANCESCO, Manuale di Diritto civile 
e commerciale, Milano, Giuffr�, 1965, p. 400 e autori ivi citati. 

(3) In senso conforme Cass., sez. lav., 111 giugno 1981, n. 3087, in Mass. 
Foro lt., 1981; Cass. Sez. Lav., 5 giugno 1981 in Foro It., 1981, I, 513. 
(4) In senso sostanzialmente conforme Cass., Sez. Lav., 11 dicembre 1982 in 
Rep. Giur. lt., 1982, n. 2424, 308; Cass., Sez. Lav., 25 novembre 1982, n. 6390 
in Rep. Giur., 1982, cit. n. 309; Cass., Sez. Lav., 12 giugno 1982, in Rep. Giur. It., 
cit. 309. 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 aprile 1982, n. 264 -Pres. Mezzanotte Est. 
Santoro -Manganaro (avv. Giiallombardo) c. Azienda F.S. (avv. 
Stato Stipo). 

Pensioni � Orfano maggiorenne di dipendente statale � Decisione della 
Corte dei Conti di riconoscimento del diritto a pensione � Efficacia 
per il periodo successivo al provvedimento di diniegQ � Insussistenza. 

L'Amministrazione nel dare esecuzione al giudicato della Corte dei 
Conti che riconosce il diritto a pensione in favor.e di orfano ma&giorenne 
di dipendente statale, legittimamente liquida le rate m�turate fino alla 
data di adozione del provvedimento negativo di pensione, con riserva di 
corrispondere le mte successive non appena l'interessato ha prodotto la 
dichiarazione che le condizioni di nullatenenza sono sussistenti anche nel 
periodo successivo (1). 

Con decreto del 6 aprile 1979, n. 3895 del Ministero dei Trasporti � 
stata respinta la domanda di pensione di riversibilit� proposta dalla signora 
Caterina Manganaro. 

Contro detto decreto l'interessata ha proposto ricorso alla Corte dei 
Conti, sezione III giurisdizionale, e quest'ultima, con decisione n. 45734 
del 2 giugno 1980 ha accolto il ricorso, riconoscendo in capo alla ricorrente 
la sussistenza di tutti i requisiti di legge per il riconoscimento del diritto 
al1a chiesta pensione di riversibilit�, assegnando all'Amministrazione il 
termine di 90 gg. per l'esecuzione della decisione suindicata. , 

La ricorrente agisce ora per l'esecuzione del giudicato, ai sensi dell'art. 
27 n. 4, T.V. 26 gennaio 1924, n. 1054 assumendone l'inesecuzione, nonostante 
il termine fissato ne:tla decisione della Corte dei conti, deposi


(1) Il T. U. 29 dicembre 1973, n. 1092 sul trattamento di quiescenza dei dipendenti 
statali riconosce la pensione di riversibilit� � agli orfani maggiorenni 
inabili a proficuo lavoro o in et� superiore a sessanta anni, conviventi a carico 
del dipendente o del pensionato e nullatenenti � (art. 82). 
:� inoltre stabilito che � le condizioni soggettive per il conseguimento del 
diritto al trattamento di riversibilit� devono sussistere al momento della morte 
del dipendente o del pensionato �, aggiungendosi poi che � qualora dette condizioni 
vengano meno, la pensione di riversibilit� � revocata� (art. 86). 

Orbene � sorta questione se, qualora l'orfano ha impugnato un decreto 
negativo di pensione ed ottenuto una sentenza favorevole, il trattamento pen



PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 503 

tando altres� in questo giudizio copia di tale decisione e la diffida per il 
pagamento di quanto dovutole in forza della medesima, diffida notificata 
in data 24 febbraio 1981. 

Il Mlltlstero dei Trasporti ha depositato in questo giudizio una relazione 
del 16 ottobre 1981 nella quale si afferma che, in seguito alla predetta 
decisione della Corte dei conti, � stato emanato un :provvedimento 
di liquidazione della pensione di riversibilit� a favore della ricorrente dal 
primo giorno della domanda (1� maggio 1973), fino alla data di adozione del 
provvedimento negativo impugnato dalla ricorrente dinanzi la Corte dei 
Conti (6 aprile 1979), e ci� perch� essendo il diritto artla pensione di riversibilit� 
ordinaria revocabile per il venir meno delle condizioni richieste 
per il suo conseguimento, non era pervenuta dall'interessata fa dichiarazione, 
di cui all'art. 24 L. 13 aprile i977, n. 114, dei redditi conseguiti nel 
periodo successivo a quello dell'impugnato decreto dalla medesima, al 
fine di dimostrare il possesso del requisito della null�tenenza. 

Con successiva memoria depositata il 5 novembre 1981 la ricorrente 
ha �Sostenuto che il decreto di liquidazione della pensione a suo favore, 
con l',anz~detto limite � ad quem �, � sostanzialmente elusivo e parzialmente 
esecutivo del giudicato della decisione della Corte dei Conti, la quale 
avrebbe accertato definitivamente la sussistenza del requisito della nullatenenza 
in capo alla ricorrente. 

Come risulta dall'esposizione in fotto, dopo la proposizione del �ricorso 
per ottemperanza in esame, l'Amministrazione ha liquidato a favore della 
ricorrente il trattamento pensionistico di rivel'ISibilit�, al quale questa 
aveva diritto in forza della sentenza di cui qui si chiede l'esecuzione. 

L'Amministrazione, peraltro, in tale provvedimento di liquidazione 
pensionistica, ha posto quale termine finale per la corresponsione del re-

sionistico debba comunque competere nel periodo tra la data del decreto e 

quella della sentenza. 

:B noto che il procedimento giurisdizionale difficilmente si esaurisce entro 

l'anno, anzi normalmente la sentenza interviene a distanza di pi� anni dalla 

impugnazione. 

:B evidente pertanto che durante la pendenza del processo, le condizioni di 

reddito dell'interessato possono mutare e quindi verificarsi la perdita del re


quisito della nullatenenza. 

La decisione del Consiglio di Stato in rassegna ha voluto pertanto evitare 

che potesse aver luogo un indebito arricchimento in favore dell'interessato, il 

quale, accogliendosi la tesi contraria, si troverebbe a percepire il trattamento 

pensionistico anche dopo la data del venir meno del requisito della nullatenenza. 

In mancanza di una espressa statuizione, non si pu� attribuire alla sen


tenza una efficacia per un periodo successivo a quello esaminato; anche se 

la decisione � intervenuta a distanza di tempo dal decreto impugnato, tuttavia 

il giudice ha esaminato e giudicato quel decreto, ma non ha esteso oltre la sua 

indagine e la sua valutazione. 

G. STIPO 

504 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

lativo trattamento, quello della data di adozione del provvedimento di rifiuto, 
originariamente opposto alla ricorrente, della pensione di riversibilit�, 
impugnato dalla ricor.rente alla Corte dei conti. 

L'Amministrazione, inoltre si � anche riservata di corrispondere alla 
ricorrente le rate di pensione maturate successivamente a quel termine, 
non appena le pervenga la dichiarazione sostitutiva del certificato dei 
redditi della ricorrente medesima, dal quale risulti che essa non gode di 
un reddito imponibile superiore a L. 900.000 ru.mue, come richiesto -a 
pena �di revoca del beneficio pensionistico de quo -dall'art. 86 del T.U. 
29 dicembre 1973, n. 1092. 

Ci� premesso, la Sezione osserva che, contrariamente a quanto sostenuto
� dalla ricorrente nella memoria del 5 novembre 1981, il provvedimento, 
adottato dalllamministrazione in seguito alla proposizione del 
ricorso in ottemperanza, non ha carattere elusivo del giudicato nascente 
dalla decisione della Corte dei Conti. 

Invero, in tale decisione � riconosciuta la sussistenza in capo alla 
ricorrente di tutti i requisiti per ottenere la pensione di riversibilit�, 
compreso quello delle condizioni economiche di cui all'art. 85 t.u. n. 1092 
del 1973. 

L'accertamento delle condizioni economiche della ricorrente, compiuto 
nella decisione, non pu� tuttavia, sostituirsi a quello per il quale 
l'art. 24, primo comma, L. 13 aprile 1977, n. 114 (recante modificazioni alla 
disciplina dell'I.R.P.E.F.), prevede la dichiarazione sostitutiva ex L. 4 gennaio 
1968, n. 15, da parte dell'interessato. 

Se si accedesse, infatti, all'opposta interpreta:llione, sostenuta dalla 
ricorrente, si produrrebbe l'iillogica conseguenza in base alla quale il riconoscimento 
del requisito delle condizioni economiche, ad opera della decisione 
della Corte dei Conti di accoglimento della domanda di pensione 
di riversibilit�, diverrebbe intangibile ed insensibile all'eventuale successivo 
miglioramento delle condizioni economiche del beneficiario della 
pensione, e ci� in evidente contrasto con il capoverso dell'art. 86 del 

T.V. n. 1092 del 1973, che dispone invece la cessazione del beneficio qualora 
venga meno anche solo quel requisito. 
Opportunamente, pertanto, l'amministrazione ha dato esecuzione alla 
decisione della Corte dei conti sino alla data di adozione del provvedimento 
negativo dinanzi a questa impugnato, ritenendo esattamente che 
-l'accertamento delle condizioni economiche della ricorrente, compiuto in 
quella sede giurisdizionale, non potesse che limitarsi al periodo di tempo 
del quale la Corte medesima era in grado di conoscere, cio� sino al 
momento dell'adozione del provvedimento impugnato. 

Ed opportunamente, inoltre, l'amministrazione si � riservata di dare 
corso alla liquidazione del trattamento pensionistico per il periodo successivo 
�a quella data, non appena l'interessata produrr�, sotto la propria 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIV~ 

responsabilit� rpenale, la dichiarazione .sostitutiva del prorp.rio reddito 
imponibile annuo, di cui ag:li artt. 24 primo comma, L. n. 114 del 1977 
ed 85, iterzo comma, T.U. n. 1092 del 1973. 

Ne consegue che il provvedimento di liquidazione della pensione di 
riversibilit�, adottato daill'amministrazione nei confronti della ricorrente, 
non � elusivo, ma � invece attuativo del giudicato della decisione della 
Corte dei Conti in epigrafe indicata e che il ricorso per l'esecuzione di 
quest'ultimo � divenuto, per il sorprnggiungere di ta:le provvedimento, 
improcedibile iper sopravvenuto difetto d'interesse. 


SEZIONE SESTA 
GIURISPRUDENZAj TRIBUTARIA 
I 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1983, n. 1295 � Pres. Greco SEZIONE 
SESTA 
GIURISPRUDENZAj TRIBUTARIA 
I 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1983, n. 1295 � Pres. Greco Est. 
Corda -P. M. Corasanniti (conf.) Ministero delle Finanze (avv. 
D'Amato) c. I.N.P.S. (avv. Petrina) e Calitri (avv. Tucci). 


Tributi erariali diretti -Contenzioso tributari.o -Rhnborso di ritenuta � 
Domanda contro l'Amministrazione finanziaria � Giurisdizione delle 
commissioni. 

La giurisdizione delle commissioni tributarie � generale anche per 
quanto concerne i rimborsi di somme pagate senza accertamento. Cortseguentemente 
appartiene alla giurisdizione della commissione la domanda 
di ripetizione contro l'Amministrazione di imposte versate dal sostituto 
guentemente appartiene alla giurisdizione della commissione la domanda 
proposta dal contribuente contro il sostituto (1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 aprile 1983, n. 2889 -Pres. Greco Est. 
Zappulli -P. M. Corasanniti (conf.) Banca del Lavoro (avv. Gallo) 

c. Da Rios (avv. Da Rios) e Ministero delle Finanze (avv. Stato 
D'Amato. 
Tributi erariali diretti � Contenzioso tributario � Rimborso di ritenuta � 
Domanda del contribuente contro il sostituto � Giurisdizione delle 
commissioni � Esclusione. 

Sulla domanda di rimborso di ritenuta rivolta all'Amministrazione, 
sia essa proposta dal contribuente o dal sostituto, la giurisdizione spetta 
alla commissione tributaria la quale non ha per� potere per decidere 
sulla domanda del contribuente sostituito contro il sostituto diretta ad 
ottenere il pagamento di somme che si assumono illegittimament~ � 
ritenut.e (2). 

(l-2) Sull'assai importante problema della giurisdizione sulle controversie di 
rimborso delle ritenute le Sez. Unite sono intervenute due volte a breve intervallo, 
riportando entro pi� rigorosi confini la tematica che si era avviata verso 

PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 507 

(omissis) 1. -Con il primo motivo (deducendo, ai sensi dell'art. 360, 

n. l, cod. rproc. civ., � difetto di giurisdizione; violazione degli articoli l, 
16 e 43, comma quinto, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nonch� degli 
ulteriori principi su:l contenzioso tributario�) l'Amministrazione Finan� 
ziaria sostiene: a) che il Tribunale avrebbe dovuto tener distinte la causa 
promossa dal dipendente contro l'I.N.P.S., 1avente ad oggetto fintegrale 
pagamento della pensione, e quella promossa dal predetto Istituto contro 
essa Amministrazione Finanziaria, avente ad oggetto la ripetizione di 
somme che erano state {legittimamente) versate a titolo di imposta di 
ricchezza mobile, in base all'originario titolo della prestazione pensionistica; 
b) che questa seconda causa poneva un problema di natura tributaria, 
poich� si controverteva sulla opponibilit�, o meno, alla Finanza dei 
successivi mutamenti convenzionali dei titoli dei pagamenti (erogazioni 
pensionistiche) tassati, n� '1a natura di essa causa poteva restare influen� 
zata dall'azione proposta dal dipendente deJl'I.N.P.S., il quale, peraltro, 
non aveva avanzato alcuna domanda nei confronti di essa Amministrazione 
Finanziaria; e) che, pertanto, la giurisdizione andava stabilita non gi� 
tenendo conto che H rimborso dell'imposta versata era giustificato da un 
asserito difetto dello ius impositionis, ma semplicemente tenendo conto 
che si trattava di una controversia tra il sostituto d'imposta (che aveva 
trattenuto le somme sui ratei di pensione e le aveva versate all'Erario a 
titolo di imposta di ricchezza mobile) e l'Amministrazione Finanziaria: 
si trattava, cio�, di una controve11sia che andava decisa secondo la disci� 
plina prevista dal vigente sistema del contenzioso tributario. 
L'eccezione � fondata. 
Come risulta dalla parte espositiva, J'I.N.P.S., convenuta in giudizio, 
davanti al giudice del lavoro, da un dipendente che ne aveva chiesto la 

pericolosi indirizzi. In passato era stato affermato che tanto la domanda (c.d. 

di adempimento) del contribuente sostituito contro il sostituto diretta a con� 

testare la legittimit� della ritenuta, tanto la domanda del sostituto contro l'Am


ministrazione diretta al rimborso della imposta versata (che spesso assumeva 

forma di azione di garanzia alla prima domanda) non avevano natura tribu� 

tarla e restavano deferite al giudice avente giurisdizione sul rapporto sostan� 

ziale che ha occasionato la ritenuta (Cass. 10 febbraio 1975, n. 511 in questa Ras


segna, 1975, I, 724; 16 febbraio 1978, n. 747 in Dir. Prat. Trib., 1979, II, 320 con 

nota di TESAURO; 27 marzo 1979, n. 1776 in Foro lt., 1979, I, 1972 che, sia pure 

implicitamente, conferma l'indirizzo con riferimento alle norme successive alla 
riforma tributaria). Venivano cos� ad essere investiti della controversia sull'obbligo 
di ritenuta tutti i giudici (e perfino gli arbitri) e principalmente, sulla 
materia che pi� frequentemente alimenta la questione -il lavoro subordinato 
privato e pubblico -il pretore e il TAR, due giudici tradizionalmente estranei 
alle controversie di imposta. 
Da questo orientamento oggi ci si discosta decisamente: la domanda di 
rimborso dei versamenti diretti rivolta all'Amministrazione sia dal contribuente 
sostituito che dal sostituto da origine a una controversia di imposta sicura




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

508 

condanna al pagamento di somme trart:tenute a titolo di imposta di rie� 
chezza mobile sui ratei di pensione, aveva proposto azione di garanzia 
impropria nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria, affermando che 
le trattenute, effettuate nella qualit� di sostituto d'imposta, erano state 
eseguite erroneamente. Dopo avere ricordato che Je pensioni a carico 
del Fondo pensione lavoratori dipendenti (assicurazione generale obbligatoria) 
non erano soggette all'imposta di ricchezza mobile (art. 124 
del r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827), mentre lo erano, invece, quelle a carico 
del Fondo interno di previdenza; e dopo avere premesso che, nel caso 
concreto, la pensione del dipendente era stata inizialmente caricata sul 
Fondo interno di previdenza (per cui era stata effettuata la trattenuta per 
imposta di Ticchezza mobile, il cui importo era stato successivamente 
versato arJ.l'Erario), ma era stata, poi, con effetto .retroattivo, posta a carico 
del Fondo pensione lavoratori dipendenti, l'I.N.P.S. aveva sostenuto che, 
in caso di sua condanna nei confronti del dipendente, aveva diritto di 
essere �rimborsata dall'Amministrazione Finanziaria. 

Da c�� si evince che la causa, come instaurata davanti al Pretore di 
Bari, aveva ad oggetto due :distinte domande: a) una, proposta dal dipendente 
nei confronti dell'I.N.P.S., avente ad oggetto la richiesta del pagamento 
integrale della pres1tazione previdenziale dovuta; b) l'altra, proposta 
dall'I.N.P.S. nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria, avente 
ad oggetto la ripetizione di somme versate (quale sostituto d'imposta) a 
titolo di ricchezza mobile. sui pagamenti effettuati prima che il carico di 
pensione venisse (retroart:tivamente) gravato sul Fondo pensione lavoratori 
dipendenti, imperniata sull'assunto che il versamento era avvenuto in 
difetto �di un potere impositivo. 

mente appartenente alla giurisdizione (generale) delle commissioni; ci� � desumibile 
non tanto dall'art. 16 del d.P.R. 636/1972, sul quale maggiormente si 
sofferma la prima sentenza (che era stata preceduta dalla sent. 11 aprile 1981, 

n. 21.18 in Foro lt., 1981, I, 2206), ma soprattutto dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973. 
E cade molto opportuna la precisazione che una residua giurisdizione dell'A.G.O. 
su una tale domanda non pu� essere ricercata con l'espediente dell'indebito 
oggettivo, escluso per altra via e in termini pi� generali con la sent. 10 marzo 
1982, n. 1544, (in questa Rassegna, 1982, I, 816). 
La prima sentenza, pur senza approfondire l'argomento, presuppone che 
sia invece deferibile al giudice del rapporto sostanziale la domanda di adem� 
pimento del contribuente contro il sostituto. Di ci� si occupa specificamente 
la seconda sentenza che esclude, in modo ineccepibile, che tale controversia, 
alla quale � estranea l'Amministrazione, sia deferibile innanzi alle commissioni. 

Le due sentenze, certamente esatte sulle due essenziali statuizioni, non han� 
no per� risolto in modo completo il problema e soprattutto non si sono preoc� 
cupate della grave situazione in cui viene a trovarsi il sostituto d'imposta che, 
pur non avendo un interesse proprio, resta esposto alla domanda di adempi� 
mento del contribuente; se esegue la ritenuta, ed all'accertamento e all'iscri� 
zione a ruolo se la omette, con il rischio di rimanere soccombente in ambedue 
le diverse sedi e senza la possibilit� di collegare le due liti per ottenere un 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 509 

Ora, mentre non sussisteva dubbio che la prima di tali domande 
appartenesse alla giurisdizione del giudice o~dinario (e alla competenza del 
giudice del 'lavoro), per la seconda era'stato, fin dall'inizio, posto dall'Am� 
ministrazione Finanziaria il ,problema della giurisdizione del giudice adito, 
nell'assunto che, :trattandosi di una controversia di natura tributaria, la 
stessa, per effetto d.ella riforma, rimaneva devoluta alla giurisdizione delle 
Commissioni istituite col d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. 

Il problema, per�, � stato 'risolto in maniera errata (nel senso di 
avere ritenuto .la giurisdizione del giudice ordinario) dai giudici di primo 
e di secondo grado, sul rilievo che la controversia non aveva natura tributaria, 
avendo ad oggetto una semplice ripetizione di indebito, correlata a 
un denunciato difetto del potere impositivo. I giudici di secondo grado, 
in particolare, hanno giustificato codesta loro affermazione richiamandosi 
alla giurisprudenza �di questa Corte Suprema, la quale aveva costan� 
temente affermato {da ultimo, sent. 18 ottobre 1978, n. 4668) che spettava 
al giudice ordinario di conoscere della azione promossa dal sost~tuto 
d'imposta contro fa Amministrazione Finanziaria per il rimborso di somme 
pagate in carenza del potere impositivo (e, nel caso della sentenza 
citata, si trattava, proprio, di imposta di ricchezza mobile). 

Senonch�, ai giudici di appello � totalmente sfuggito che quella giurisprudenza 
si era formata nel vigore dell'art. 188 del d.P.R. 29 gennaio 1958, 

n. 645, e dell'art. 22 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639; e che, invece, nel caso 
sottoposto al foro esame, la giurisdizione doveva essere regolata a:lla stregua 
di un diverso ordinamento positivo, in quanto il d.P.R. n. 645, del 1958, 
giudicato che faccia stato sia verso il contribuente che verso l'Amministra� 

zione. 

Certamente per superare questa situazione non si pu� tornare indietro a 

riproporre una unificazione delle giurisdizioni o nel senso di assorbire nella 

giurisdizione del giudice comune del rapporto sostanziale anche la lite tribu� 

tarla o in quello della attrazione nella giurisdizione speciale tributaria della 

controversia tra sostituito e sostituto. Le due sentenze che si commentano 

hanno ormai in modo definitivo escluso ambedue queste possibilit�. 

Occorre per� riflettere sulla proponibilit� dell'azione di sostituito contro il 

sostituto. Questa, che non pu� essere considerata una domanda di adempi


mento dell'obbligazione sottostante, � anch'essa una controversia tributaria che 

ha per oggetto esclusivamente il rimborso dell'imposta versata e che attiene 

al rapporto tributario. 

Trattasi di una domanda di rimborso proponibile soltanto contro il sog


getto che al rimborso pu� essere tenuto (l'Amministrazione) e che, se non 

accolta in sede amministrativa pu� essere devoluta soltanto alle commissioni 

tributarie; ci� si deduce chiaramente dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 che di


sciplina compiutamente il procedimento di rimborso. 

Il contribuente che ha sub�to la ritenuta ed ha ricevuto il relativo certifi


cato, se non ritiene di imputare il versamento in conto dell'imposta dovuta sul 

suo reddito complessivo e se assume che la ritenuta non doveva essere ese


guita, pu� domandare soltanto contro l'Amministrazione il rimborso, e in caso 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

510 

per la parte concernente Ja riscossione delle imposte dirette, � stato 
sostituito dal d.P.R. 29 settemhre 1973, n. 602, e il r�dl. n. 1639, del 1936, 
� stato sostituito dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. 

Peraltro, gi� prima dell'instaurazione del presente giudizio (cio� anche 
prima dell'instaurazione della causa davanti al giudice di primo grado) 
queste stesse Sezioni Unite avevano chiarito (sent. 8 marzo 1977, n. 942) 
che il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sulla revisione del contenzioso tributario, 
regola compiutamente iJ sistema del contenzioso predetto, onde 
la tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente si esplica esclusivamente 
mediante i ricorsi alle Commissioni, contro specifici atti (dell'Amministrazione 
Finanziaria) di accertamento, di imposizione, ovvero di 
:rifiuto 'di restituzione di somme riscosse (e proprio dalla premessa della 
esistenza di un tale sistema organico di tutela, quella sentenza aveva 
tratto la conseguenza che ['azione del contribuente per ottenere in via 
preventiva l'accertamento negativo del debito d'imposta, fn quanto non 
previsto dalla disciplina legislativa del contenzioso dinanzi le Commissioni, 
non era proponibile neppure davanti l'autorit� giudiziaria ordinaria). 

~ chiaro, quindi, che gi� in tale enunciato della giurisprudenza esisteva 
quanto sarebbe stato sufficiente per far intendere, ai giudici predetti, 
che una volta operata la doverosa distinzione fra le due domande (nel 
senso che si � prima precisato), avrebbero dovuto negare la foro competenza 
giurisdizionale in ordine alla seconda, anche tenuto conto del principio, 
pure enunciato da queste stesse Sezioni Unite (sent. 28 ottobre 
1976, n. 3939), secondo cui un rapporto di garanzia impropria non pu� 
modificare la �competenza� del giudice (poich�, in quel caso, si trattava 
di questioni attinenti alla competenza; ma � ovvia l'applicabilit� di tale 
principio anche, e a fortiori, nel caso in cui si discuta della giurisdizione), 

cli rifiuto (o di silenzio) ricorrere alla commissione ..Questa azione riconosciuta 

da una norma espressa, non � cumulabile o alternativa con altra azione di 

eguale contenuto in altra sede e contro altro soggetto. Si deve cio� ritenere 

improponibile la c. d. domanda cli adempimento contro il sostituto innanzi al 

giudice comune per difetto di legittimazione passiva e per difetto di giuri


sdizione. 

Saranno cos� superate varie altre incongruenze che diversamente si veri


ficherebbero quali la possibilit� di scelta della giurisdizione lasciata alla parte 

che assume l'iniziativa, il superamento della decadenza stabilita nel menzio


nato art. 38, la variabilit� del termine di prescrizione in ragione del rapporto 

sul quale la ritenuta accede, e soprattutto la eventualit� che la controversia 

sul diritto al rimborso della ritenuta sia discussa tra parti estranee al rapporto 

tributario dopo che la ritenuta � stata in concreto imputata in conto dell'ob


bligazione del contribuente. 

Ad eguale conclusione dovrebbe pervenirsi ex art. 37 d.P.R. n. 602/1973 per 

la ritenuta diretta. 

CARLO BAFILE 


PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ma pu� solo consentire la riunione delle cause, � se queste sono di competenza 
dello stesso giudice �. 

Nelle more del ricorso (proposto, come si � detto, daH'Amministrazione 
Finanziaria) �, poi, intervenuta fa sentenza 11 aprile 1981, n. 2118, 
sempre di queste Sezioni Unite, la quale, risolvendo un caso del tutto 
analogo a quello ora all'esame {anche in quel caso, infatti, si trattava 
della domanda ;proposta, al Pretore di Bari, quale giudice del lavoro, da 
un gruppo di dipendenti dell'I.N.P.S. che avevano negato la legittimit� 
della trattenuta per imposta di riochezza mobile, per analoga ragione; 
nonch� della domanda di garanzia impropria esplicata dall'I.N.P.S. nei 
confronti della Finanza), ha negato la griurisdizione del giudice ordinario 
(nella specie, del lavoro) a conoscere la predetta domanda di garanzia 
impropria. 

Tale sentenza, ribadendo la validit� del principio affermato dalla sentenza 
n. 942 del 1977 {pi� sopra citata), ha dichiarato i seguenti due punti 
fondamentali. 

Il primo � che la regolamentazione introdotta dal D.P.R. n. 636 
del 1972 contempla, espressamente, anche l'ipotesi :di azione di ripetizione 
di somme al cui rimborso il contribuente {e, perci�, anche il sostituto 
d'imposta) ritenga di avere diritto: l'art. 16 del decreto, infatti, 
dopo avere ancorato alla data della notifica dell'avviso di accertamento, 

o dell'ingiunzione, o del ruolo (cartella esattoriale), ovvero del provvedimento 
che irroga .Je sanzioni pecuniarie, il ,termine per la rproposirione 
del ricorso alle Commissioni, stabilisce (terzo comma) che qualora il 
contribuente affermi essere sopravvenuto il diritto al rimborso, � si considera 
imposizione �, ai fini del decorso del termine :predetto, il rifiuto 
della restituzione della somma, ovvero il silenZl�o dell'Amministrazione 
per novanta giorni dalla intimazione fa provvedere. E gi� iJl rilievo dell'esistenza 
di questa norma fa giustizia -nel caso ora all'esame -deldell'affermazione 
dei giudici di merito secondo cui la sopravvenuta (come 
asserito dall'I.N.P.S. e dal suo dipendente) mancanza dello ius impositionis 
avrebbe fatto veniT meno la competenza giurisdizionale delle Commissioni 
predette: tale competenza, infatti, � dalla norma affermata con 
rifenimento a ogni e qualunque ipotesi in cui il contribuente affermi 
� essere sopravvenuto il diritto al rimbor�so �. 
Il secondo punto -parimenti rilevante nel caso concreto -� che 
il ;principio generale pi� sopra espresso vale anche per l'imposta di ricchezza 
mobile, bench� la stessa non sia compresa nella elencazione delle 
imposte .Je cui controversie sono devolute alle Commissioni tributarie 
contenuta nell'art. 1 del D.P.R. n. 636 del 1972 (e, in realt�, l'imposta d1 
ricchezza mobile � stata abolita, a decorrere dal 18 gennaio 1974, dall'art. 
82, lettera a, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, istitutivo dell'im� 
posta sul reddito delle persone fisiche), poich� l'o1"dinamento positivo 


512 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

mostra chiaramente di voler assoggettare alla giurisdizione delle Commissioni 
anche le controversie in materia di rimborso di somme pagate 
a titolo di imposta di ricchezza mobile. In via generale, infatti, l'instaurazione 
di un sistema organico, e in s� compiuto� di tutela giurisdizionale 
per tutte le imposte le cui controversie erano precedentemente 
attribuite alla cognizione, variamente ar.ticolata, delle Commissioni e 
dell'Autorit� giudiziaria ordinaria, persegue l'iintento di razionalizzare e 
rendere pi� efficace il contenzioso tributario; e queste finalit� sarebbero 
sicuramente frustrate, sia pure in parte, ove permanesse una diversa giurisdizione 
per le controversie concernenti le imposte soppresse, con le 
conseguenti deplorevoli incertezze del contribuente in ordine all'identificazione 
del giudice cui rivolgersi per ottenere giustizia. Conclusione, 
questa, che trova indiretta conferma nel disposto del quinto comma 
dell'art. 43 del D.P.R. n. 636 del 1972, il quale dispone che, dopo la data 
di insediamento delle (nuove) Commissioni, le norme deil decreto si applicano 
anche alle controversie relative ai tributi soppressi, .gi� di competenza 
delle Commissioni distrettuali, provinciali e centrale. Infatti, se 
anche la norma si riferisce, nella sua focmulazione testuale (solo) alle 
controversie concernenti tributi soppressi che fossero pendenti avanti 
le Commissioni costituite secondo la precedente disciplina, essa certamente 
tes1limonia dell'intenzione del legislatore di concentrare tutte le 
controversie presso gli organi appositamente previsti da:l decreto n. 636. 
Appare chiaro, del resto, come una diversa soluzione, per i procedimenti 
promossi successivamente all'insediamento di tali organi comporterebbe 
-nell'ambito della medesima categoria di controversie (relative a 
tributi soppressi) -una disparit� di trattamento di cui non sarebbe 

agevole 1rendere ragione. 

Nella propria memoria illustrativa, la attenta �difesa dell'Amministrazione 
non ha, certo, omesso di citare la sentenza predetta come 
� precedente giurisprudenziale � che risolve il caso in senso favorevole 
alla tesi da essa sostenuta. L'l.N.P.S., per�, replica (nella propria memoria) 
che quello arresto non sarebbe pertinente al caso di specie, posto 
che: a) nel caso precedente si trattava di giudicare di una domanda di 
rimborso autonomamente proposta dall'l.N.P.S. contro la Finanza, dopo 
che l'Istituto predetto era stato condannato al conguagilio della pensione 
corrisposta al proprio dipendente, mentre nel caso �n esame la domanda 
di rimborso � stata proposta, come domanda di garanzia impropria, nello 
stesso giudizio promosso dal d~pendente verso l'l.N.P,S.; b) una volta 
stabilito che la domanda contro la Finanza era stata proposta (nella 
presente causa) come domanda � di garanzia�, la sua cognizione non potrebbe 
che appartenere al giudice della domanda principale, essendo 
tale principio applicabile non solo al caso in cui fra la causa principale 
e quella accessoria vi sia identit� di titolo, �ma anche quando fra le 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

due domande ricorra una connessione obiettiva di titolo, nel senso che 
l'uno � concatenato all'altro, ovvero quando sia unico il fatto generatore 
della responsabilit� prospettata con l'azione principale e_ con quella di 
garanzia�. 

In contrario �, per�, agevole osservare quanto segue. 

a) Nel caso definito con Ja sentenza n. 2118 del 1981, l'I.N.P.S. aveva 
proposto la domanda di garanzia impropria nell'ambdto della stessa causa 
principale; ed era stato il Pretore a rilevare che, in ordine alla predetta 
domanda di garanzia impropria, sussisteva il difetto della propria � competenza
� (ritenendo che la materia rientrasse nella competenza del tribunale, 
ai sensi dell'art. 9 cod. proc. civ.). P.roposto, quindi, dalla Finanza 
il ricorso per regolamento di giurisdizione, queste Sezioni Unite 
hanno accolto il ricorso predetto enunciando i principi di diritto pi� sopra 
riferiti e attribuendo, quindi, la competenza giurisdizionale alle Commissioni 
tributarie. Il caso, perci�, concerneva una fattispecie del tutto 
analoga a quella ora in esame. 

b) Il principio di attrazione, nella causa principale, della causa 

accessoria introdotta con la domanda di garanzia impropria opera, come 

si � in precedenza accennato, quando entrambe ,le domande rientrano 

nella competenza del giudice adito; laddove � chiaro che se fa domanda 

di garanzia impropria appartiene alla competenza, o alla competenza 

giurisdi:monale, di un altro giudice, la ragione di connessione cede neces


sariamente alle normali regole di determinazione della competenza o 

della giurisdizione. 

L'assunto, infine, sostenuto dai giudici di merito, e ripreso dal resistente 
I.N.P.S. nel controricorso, che la controversia fra il predetto 
Istituto e l'Amministrazione Finanziaria non avrebbe natura �tributaria
� (di modo che cadrebbe la necessit� di affermare Ia competenza giurisdizionale 
delle Commissioni Tributarie), in quanto avrebbe ad oggetto 
semplicemente la ripetizione di un indebito oggettivo, non tiene conto 
(oltre quanto gi� si � detto a proposito dell'art. 16, secondo comma, del 

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) che allorch� si agli.sce contro l'Amministrazione 
Finanziaria per ottenere il rimborso di una somma che si era 
{indebitamente) pagata, ci� che vale a qualificare come � tributaria� la 
controversia � il titolo in base al quale il pagamento era stato effettuato. 
Di modo che se quella somma era stata pagata a titolo di tributo, la 
controversia avr� sempre natura tributaria, qualunque sia la ragione 
della domanda di ripetizione (e, quindi, anche nel caso che questa sia 
imperniata su11'assunto di una pretesa sopravvenuta carenza dello ius 
impositionis). 
In conclusion~, ql.li�ndi, deve essere accolto il primo motivo del ricorso 
proposto dall'Amministrazione Finanziaria e, conseguentemente, 


514 I

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ti 

deve essere cassata senza rinvio (art. 382, terzo comma, cod. proc. civ.) i" 
-l'impugnata sentenza nel capo relativo all'accoglimento della domanda !.I 
di rimborso dell'imposta di �ricchezza mobile, proposta dall'l.N.P.S. nei 
confronti dell'Amministrazione .Finanziaria, perch� in relazione ad essa 
il giudice 011dinario difettava di giurisdizione. (omissis) 

II 

(omissis) 1) La banca ricorrente, con il primo motivo del ricorso, ha 
censurato la sentenza iimpugnata per violazione dell'art. 64 del D.P.R. 
29 settembre 1973, n. 600 e ha dedotto che non era manifestamente infondata 
l'eccezione �di illegittimit� costituzionale di quella norma per 
contrasto con gli art. 3 e 53 della Costituzione. 

Essa ha, inoltre, sostenuto che ha errato il giudice di merito nell'affermare 
che a causa della sostituzione personale di imposta prevista 
dalla citata norma, unico soggetto passivo di quel rapporto tributario 
� H sostituto (la banca) in capo al quale esso sorge direttamente con 
conseguente natura privatistica �di quello di ammiruistrazione tra il sostituto 
medesimo e il soggetto sostituito (il correntista Da Rios). 

Secondo la ricorrente, invece, l'art. 64, attraverso la sostituzione da 
esso regolata, pone in essere solo un congegno giuriddco diretto a facilitare 
all'Amministrazione finanziaria l'accertamento e la riscossione del 
tributo senza alterare la situazione sostanziale per la quale il debito di 
imposta so~ge in capo al soggetto al quale si riferisce il presupposto, 
tenuto a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacit� 
contributiva ai sensi dell'art. 53 della Costituzione. Da ci� consegue per 
la ricorrente che quest'ultimo (hl sostituto) � legittimato a prendere parte 
al procedimento di accertamento, per il quale la controversiia � di competenza 
delle commissioni tributarie mentre, diversamente, vi � violazione 
dei suddetti art. 53 e 3 della Costituzione per la diversit� del soggetto 
di imposta .rispetto al titolare del reddito e per la disparit� di 
trattamento tra i diversi contribuenti. 

Il motivo non pu� essere accolto mentre l'eccezione di illegittimit� 
costituzionale della citata norma appare manifestamente infondata. 

Infatti, � pur vero che il principio secondo il quale il rapporto di 
imposta sorge in capo al sostituto � diretto a facilitare l'accertamento 
e la riscossione del tributo ma esso non esclude che quest'ultimo incida 
in sostanza e definitivamente sul reddito del soggetto sostituito, e non 
pu� negarsi che anche costwi � adeguatamente tutelato dal legislatore 

attraverso mezzi e possibilit� di difesa attribuiti a entrambi. 
Il legislatore, pur avendo assicurato una maggiore efficacia 
dit� all'azione finanziaria, attraverso la particolare disciplina, 

e rapi-
non ha ~ i: 
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~ f:;: 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

disconosciuto quella duplicit� di soggetti passivi nel rapporto tributario 

al quale si riferisce la sostituzione regolata dal citato art. 64. 

In primo luogo, fo stesso concetto di �rivalsa�, secondo la menzione 

di tale norma, presuppone una diversit� di .soggetti e una prima e im.. 
mediata tutela � attribuita al sostituito dal secondo comma di quell'articolo, 
in virt� del quale egli �ha facolt� di intervenire nel procedimento 


di accertamento dell'imposta �. 

Questa tutela � integrata ed estesa, inoltre, dagli artt. 37 e 38 del 

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sulla riscossione delle imposte sui redditi, 
per i quali anche il � percipiiente delle somme assoggettate a ritenuta 
� pu� presentare istanza all'intendenza di finanza di rimborso dell'imposta 
pagata con la previa ritenuta �per inesistenza totale o par1


ziale dell'obbligo di versamento �, come il soggetto che l'ha effettuato 

a suo carneo, entro diciotto mesi dalla data del medesimo, con successi


vo eventuale ricorso � alla commissione di primo grado secondo le di


sposizioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 �. A sua volta l'art. 16 di 

quest'ultimo decreto, nel regolare le richieste di rimborso per il paga


mento di tributi avvenuto senza imposraione e la proponibilit� del suc


cessivo ricorso alle commissioni tributarie non pone distinzioni tra i 

due soggetti. 

Si evince chiaramente da tale disciplina legislativa che anche il so


stituto ha propri ed autonomi mezzi di difesa secondo le regole generali, 

pur se gli stessi sono comuni, con indubbio vantaggio di entrambi, al 

sostituto. Costui, anzi, come affermato da questa Suprema Corte, � !inte


ressato ail'accertamento dell'imposta da pagare in sostituzione dell'ef


fettivo soggetto passivo ed � obbligato a compiere tutti gli atti relativi, 

con la conseguenza che ove egli non adempia a tale obbligo pu� essere 

ritenuto responsabile nei confronti del � sostituito (Cass. 11 novembre 

1969, n. 3670). Pertanto, l'eccezione di illegittimit� costituzionale del citato 

art. 64 appare manifestamente infondata, per quanto concerne il dedotto 

contrasto con l'art. 3 e 53 della Costituzione a causa delle rilevate uguali, 

se non maggiori, possibilit� di difesa e tutela, rispetto agli altri contri


buenti, e per l'effettiva incidenza della imposta sul destinatario dei red


diti ad essa assoggettati. 

Conseguentemente, attraverso tale regolamentazione delle impugna


zioni e delle richieste di r�nborso per le ritenute indibite e a causa della 

legittimit� costituzionale del citato art. 64, non pu� dubitarsi che ogni 

pretesa di rimborso, ove disattesa dagli uffici finarraiari, di entrambi i 

soggetti considerati deve essere proposta nei confronti dell'Amministra


zione Finanziaria solo attraverso i ricorsi alle commissioni tributarie, la 

cui competenza in tal materia � stata inderogabilmente e in linea asso


luta loro assegnata con norma fondamentale dall'art. 1 del D.P.R. 26 ot


tobre 1972, n. 636. 


516 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Giova osservare, a conferma di tale regola, che in virt� della organica 
e autonoma disciplina processuale introdotta per il contenzioso tributario 
da quel decreto, il quale lo regola compiutamente nel quadro 
della complessa riforma tributaria, � rimasta esclusa, nei confronti dell'amministrazione 
finanziaria, come ritenuto da questa Suprema Corte 

(S.U. 8 marzo 1977, n. 942), ogni azione dii. accertamento negativo, finanzi 
al giudice ordinario, presupponendo il ricorso a quelle commission,
i ~'impugnativa di un atto degli uffici tributari, che non pu� essere 
proposta innantl H suddetto giudice ordinario a causa di quella devoluzione 
totale per legge. 
Tale competenza esclusiva delle commissioni tributarie � stata pur 
recentemente riaffermata anche per '1e domande di rimborso, comprese 
quelle per le imposte soppresse (S.U. 11 aprile 1981, n. 2118). 

2) Essendo stato cos� riaffermato il difetto di giurisdizione del giudice 
ordinario nei confronti dell'amministrazione finanziaria per il tributo 
iin questione, deve esaminarsi il secondo motivo del ricorso, ,relativo 
alla domanda del iDa Rios nei confronti della banca. 

Quest'ultima ha lamentato la violazione, da parte del giudice di me


rito, del gi� menzionato art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dell'art. 

34 c.p.c., nonch� del principio del doppio grado di giurisdiziione, per es


sere stata qualificata controversia civilistica quella relativa all'imposta 

in questione, sebbene l'art. 64 del D.P.R. 600 del 1973 conferisca al sosti


tuto di imposta il diritto di rivalsa con indisponibilit� per la stessa e 

con carattere tributario del relativo credito. Ha dedotto, inoltre, la banca 

che eventualmente nella residua controversia tra essa e il Da Rios sus


sisteva la competenza del tribunale prevista dall'art. 9 c.p.c., trattandosi, 

in ogni caso, di causa � in materia di imposte e tasse � attribuita alla 

competenza funzionale di quel giudice collegiale. 

Il motivo � infondato. 

Invero, l'attribuzione alle commissioni tributarie disposta dal men


zionato art. 1 del D.P,R. n. 636 del 1972 ha valore solo per le controversie 

proposte nei confronti dell'ente impositore e in quanto diretto ad impu


gnare i provvedimenti dei suoi uffici finanziari, compresi quelli relativi 

alle richieste di rimborso, mentre la controversia in esame � sorta tra 

sostituto di imposta e sostituito nell'ambito dei loro rapporti bancari, in 

�relazione al credito dedotto dalla banca a titolo di rivalsa, e non nei 
confronti dell'amministrazione finanziaria. Questa, infatti, non aveva 
compiuto alcun atto impositivo n� ha mai sostenuto nel giudizio, nel 
quale � stata chiamata successivamente, di avere diritto all'imposta versata 
dal sostituto. 
In base a tale situazione deve farsi una previa e necessaria distinzione 
tra la potenziale controversia tributaria con l'Amministrazione Fi




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nanziaria, come tale regolata dalla citata norma e sottoposta, anche per 
il rimborso, esclusivamente alla competenza delle commissioni tributa� 
rie, e quella tra privati che, pur traendo origine dal pagamento di una 
imposta, erroneo o no, non � diretta a sindacare un atto impositivo, del 
tutto mancante, dell'ente impositore e mantiene il suo carattere privatistico 
perch� rientrante nell'ambito dei rapporti contrattuali tra gli 
stessi. 

Il fatto che il credito sia costituito dal diritto al rimborso dell'im� 
posta formante oggetto della ritenuta non importa che parte nella relativa 
controversia divenga l'ente impositore, estraneo a quel rapporto, o 
che il sostituto abbia fa rappresentanza di quest'ultimo, onde il relativo 
credito non assume un carattere tributario. Pertanto, questa Suprema 
Corte ha gi� affermato che la causa in cui si discuta della legittimit� 
della ritenuta fiscale tra sostituto e sostituito non ha carattere tributario 
onde, quando la ritenuta sia stata effettuata in un rapporto di la� 
voro, la controversia appartiene alla competenza del Pretore (Cass. 16 
febbraio 1978, n. 747). 

Resta da osservare, per quanto concerne la competenza per materia 
prevista dall'art. 9 c.p.c. per le cause relative a imposte e tasse, che anche 
per la stessa, attribuita originariamente al giudice collegiaile per una 
maggiore garanzia del contribuente, va considerata controversia di imposta 
solo quella nei confronti dell'ente impositore, salva per i tributi 
elevanti nel citato art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 la esclusivit� 
della giurisdizione delle commissioni tributarie. Infatti, una volta negato 
il carattere tributario per il credito relativo alla contestata ritenuta a 
causa della natura dei soggetti .contrapposti e del rapporto tra loro intercorrente, 
non vi � ragione di applicazione di quella particolare norma 
sulla competenza per materia. 

3) Con il terzo motivo, connesso ai precedenti, da banca ha lamen� 
tato la violazione del priincipio del contraddittorio e l'omissione di pronunzia 
nella sentenza impugnata, ripetendo l'eccezione di difetto di giu� 
risdizione del giudice ordinario. Ha dedotto la ricorrente che essa aveva 
chiesto al medesimo che fosse dichiarata la cessazione della materia del 
contendere per avere l'amministrazione finanziaria riconosciuto che non 
era dovuta l'imposta ritenuta sugli interessi spettanti al Da Rios in con� 
formit� a�lle istruziioni ministeriali 25 maggio 1974 successivamente revocate 
con quelle 16 gennaio 1976, onde era stato � stornato� il relativo 
addebito, agendosi sempre secondo gli ordini dell'ente impositore. Ha so� 
stenuto, perci�, che, per la sua funzione meramente servente avrebbe 
dovuto essere estromessa da quel giudizio mentre su tale sua richiesta 
il giudice non aveva provveduto omettendo anche di respingere le richieste 
del Da Rios nei suoi confronti. 


518 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il motivo � infondato. 

Invero, � pacifico che non vi � stato alcun atto impositore da parte 
dell'amministrazione finanziaria, tale non potendosi considerare per la 
loro genera!Lit� alcuna delle menzionate istruzioni ministeriali, onde � 
mancato fatto contro il quale, nei termini e forme di fogge, avrebbe dovuto 
essere proposto l'eventuale ricorso alle commissioni tributarie. Circa 
la ritenuta effettuata, va osservato che il sostituto d'imposta, -vi sia 

o meno un atto di imposizfone -, ha i diritti e gli obblighi del contribuente 
sostituito e, come pu� e deve, secondo la giurisprudenza citata, 
compiere tutti gli atti relativi all'accertamento, compresi queLJ.i a tutela 
del sostituito, cos� non � tenuto, per la sua posizione di contribuente autonomo, 
ad osservare istruzioni e disposizioni di carattere generale ohe 
siano contra legem. Non si ipu�, perci�, definirlo organo servente dell'amministrazione 
finanziaria ed � concepibile una chiara distinzione tra 
l'azione proposta dal contribuente sostituito nei suoi confronti per opporsi 
alla � riva:lsa � di quanto indebitamente ritenuto pur se versato 
all'amministrazione finanziaria e quella proposta contro quest'ultima con 
la previa richiesta e la successiva impugnativa innanzi le commissioni 
per la crestituzione di quanto versato a suo nome. 
Solo fa domanda diretta nei confronti. dell'amministrazione, come gi� 
rilevato, rientra nella giurisdizione delle commissioni tributarie mentre 
quella del sostituito verso il sostituto per contestazione defila legittimit� 
della ritenuta non richiede la partecipazione dell'amministrazione stessa 
e rientra nella disciplina dei foro rapporti di dare ed avere, permanendo 
nel campo del giudice ordinario senza che vi sia ,alcuna impugnazione 
di provvedimenti degli uffici f�inanziari. 

Conseguentemente non vi sono state n� la dedotta violazione di legge 
n� l'emissione di decisione su una domanda ohe non era di competenza 
del giudice adito. {omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2083 -Pres. Mazza. 
cane -Est. Ruggiero -P. M. Oantagalli (conf.). Ministero delle Finanze 
(Avv. Stato Angelini Rota) c. Zeppieri. 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie � Imposta sui fabbricati � Red� 
dito effettivo superiore al reddito catastale � Determinazione in via 
di comparazione � Esclusione � Reddito risultante da contratto di 
locazione � li: il solo rilevante. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 74; 1. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). 
Con l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 deve rite� 
nersi abrogato l'art. 74 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, con la conseguenza 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 519 

che il reddito effettivo di cui all'art. 2, che deve costituire la base imponibile 
ove sia superiore di almeno un quinto al reddito catastale, � soltanto 
quello risultante da contratto di locazione e non pi� quello determinabile 
comparativamente con i canoni locativi di mercato per fabbricati 
in analoghe condizioni; resta salvo il potere dell'ufficio di accertare anche 
in via induttiva l'effettivo reddito ricavato con il contratto di locazione 
(1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2232 -Pres. Mazzacane 
-Est. Battinelli -P. M. Catelani (conf.). Fabbri (avv. Valentini) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 
Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Reddito 
effettivo � Accertamento � Esclusione -Comparazione con 
canoni locatizi di fabbricati analoghi -Impossibilit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 74; 1. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2). 
Per la determinazione del reddito dei fabbricati, che la legge stabilisce 
attraverso parametri fissi e preordinati, non si pu� far ricorso ad 
un accertamento induttivo vero e proprio ma piuttosto ad un sistema 
di accertamento, anche d'ufficio, degli elementi che la legge stabilisce 
come criteri di determinazione del reddito. E poich� il reddito dei fabbricati 
dopo l'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 pu� 
essere determinato, ove si discosti nei limiti previsti dal reddito catastale, 
soltanto in base al canone di locazione, e non in base a comparazione 
con i canoni di mercato corrente per fabbricati in analoghe condizioni, 
l'accertamento del reddito effettivo si risolve nella dimostrazione della 
simulazione della locazione (occultamento di prezzo) (2). 

(1-4) Le prime due sentenze, concordanti nella sostanza della decisione ma 
diversamente motivate, nettamente escludono che il � reddito effettivo� di cui 
all'art. 2 della legge 23 febbraio 1960, n. 131 possa essere desunto da elementi 
diversi dal contratto di locazione e, pi� specificamente, che sia ancora in vigore 
l'art. 74 del T.U. delle imposte dirette che consente la determinazione del reddito 
per comparazione con i canoni correnti per fabbricati in analoghe condizioni. 
Ne consegue che in tutti i casi di fabbricati non locati o locati per un 
canone inferiore a quello corrente l'ufficio non pu� discostarsi dal reddito catastale. 
L'unica verifica possibile che, come precisa meglio la seconda sentenza, 
non ha contenuto di accertamento ma piuttosto di prova della simulazione 
relativa del contratto di locazione � la dimostrazione che il canone di locazione 
effettivamente �corrisposto � superiore a quello dichiarato e risultante dal contratto. 


In netto contrasto � la terza sentenza che, argomentando soprattutto sulla 
portata testuale della legge 17 maggio 1969, n. 254, d� una diversa nozione del 



520 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

III 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1982, n. 4360 -Pres. Miele Est. 
Gualtieri -P. M. Ianne11i (diff.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Dipace) c. Scotti. 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati 


Reddito effettivo superiore al reddito catastale -Determinazione in 
via di comparazione -Ammissibilit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 74; I. 23 febbraio 1960 n. 131, art. 2; I. 17 maggio 1969 
n. 254). 
Poich� l'art. 74 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 non � stato abrogato 
con la legge 23 febbraio 1960, n. 131, � consentito all'ufficio accertare il 

reddito lordo effettivo, diverso dal canone di locazione, attraverso la 
comparazione dei canoni locativi di mercato di fabbricati in analoghe 
condizioni (3). 

IV 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2230 -Pres. Sandulli Est. 
Maltese -P. M. IanneHi (conf.). Castellani (avv. Ferretti) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali diretti -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Reddito 
dei fabbricati -Regime particolare per il biennio 1974-75 Non 
esclude l'accertamento del reddito effettivo. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 88; d.!. 6 luglio 1974 n. 259; I. 23 febbraio 1960 
n. 131, art. 2). 
Il D.L. 6 luglio 1974, n. 259, ha disposto soltanto per il biennio 1974-75 
la rivalutazione del reddito catastale, senza nulla innovare sul secondo 
comma dell'art. 88 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che richiama 
l'art. 2 della legge 23 febbraio 1960, n. 131, per la determinazione del reddito 
effettivo se difforme, oltre un determinato limite, da _quello catastale 
(4). 

reddito effettivo, che pu� essere desunto, in mancanza di locazione o in con


trasto con essa, dai valori correnti di mercato. 

La questione, come testimonia la quarta sentenza, che risolve con evidente 

esattezza una questione pi� specifica, si trasferisce al periodo successivo alla 

riforma avendo l'art. 88 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 mantenuto prov� 

visoriamente (ma la provvisoriet� sembra destinata a durare) in vigore la legge 

n. 131 del 1960. 
f' 

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PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

I 

(omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Amministrazione, denunciando 
la violazione degli artt. 1 e 2 delila legge 23 febbraio 1960, n. 131; 
74 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 e 1 della legge 4 novembre 1951, n. 1219, 
in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., sostiene che la fogge n. 131 del 
1960, pur avendo introdotto il sistema catastale per la determinazione del 
reddito imponibile ai fini dehl'imposta sui fabbricati, ha altres� stabilito 
all'art. 2 che, quando H reddito effettivo tlordo dell"immobile superi determinati 
parametri, debba tenersi conto di quest'ultimo e non del reddito 
catastale, e per l'accertamento e la dimostrazione del reddito effettivo, 
ai fiini dell'applicazione del predetto art. 2 delJa legge, ben sarebbe 
tuttora possibile far ricorso al criterio della comparazione con i canoni 
correnti per fabbricati similari posto dall'art. 74 del testo unico del 1958, 
che non potrebbe ritenersi neppure implicitamente abrogato, essendo, al 
contrario, necessario presupposto per la corretta applicazione dell'art. 2 
della legge del 1960. 

Il ricorso � infondato. 

Nel sistema del testo unico n. 645 del 1958, l'imposta sui fabbricati, a 
norma dell'art. 73, era commisurata al reddito netto dei fabbricati medesimi, 
il quale era determinato deducendo dal reddito lordo Je detrazioni 
previste dall'art. 75; l'art. 74 del T.U. stabilisce poi, al primo comma, 
che il reddito tlordo dei fabbricati � costituito dai canoni di locazione 
risultanti dai relativi contratti, aggiungendo, al secondo comma, che se 
il fabbricato non � locato o non risulta il canone di locazione o questo 
� inferiore ai canoni correnti per 1 fabbricati in analoghe condizioni, ~l 
reddito � determinato comparativamente a questi ultimi. 

Deve essere subito rilevato che, con il riferimento al reddito determi


nato mediante compamzione di canoni correnti per fabbricati similari, 

la norma del 1958 non stabilisce un criterio di accertamento del reddito 

effettivo, m,a bens� proprio un criterio di determinazione del reddito 

imponibile, tanto � vero che il predetto :reddito comparativo, che costi


tuiva il reddito meramente presuntivo, potenzialmente ritraibile dall'af


fitto del fabbricato secondo llandamento del mercato locatizio, immobi


liare, era posto a base della tassazione non solo quando l'immobile non 

fosse locato o, se locato, non risultasse hl canone cli locazione, ma anche 

quando tale canone, vale a dire il reddito effettivo in concreto conseguito 

dall'utilizzazione locativa dell'immobile, pur essendo noto, risultasse infe


riore a quello che se ne sarebbe potuto ricavare sul mercato. 

In altri termini nella disciplina del testo unico del 1958 il reddito 

imponibile, ai fini dell'imposta sui fabbricati, era costituito non dal 

sol reddito effettivo, realmente conseguito dal possessore dell'immobile, 

ma anche, in alternativa, ove questo mancasse o fosse inferiore, del 


522 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

reddito potenziale, teoricamente realizzabile nel mercato locatizio corrente, 
in base alla comparazione con altri immobili similari dati in 
locazione. 

Diverso � il sistema introdotto con la legge 23 febbraio 1960 n. 131, 
e sostanzialmente mantenuto, sia pure in regime transitorio, con la 
sopravvenuta riforma tributaria, dail d.P.R. 27 settembre 1973 n. 597. 
L'art. 1 della legge 1%0, invero, in concomitanza con l'entrata in vigore 
del nuovo catasto edilizio urbano istituito con r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652, 
convertito nella Jegge 11 agosto 1939 n. 1249, stabilisce che il reddito imponibfile 
delle unit� immobiliari urbane � determinato applicando ane 
rendite catastaili, definite con riferimento agli elementi economici del 
triennio 1937-1939, i coefficienti di aggiornamento che, per le singole categorie 
,di unit� immobiliari, saranno stabiliti annualmente dal Ministero 
delle Finanze, sentita la commissione censuaria centrale. L'art. 2 deHa 

II 

stessa legge consente poi di determinare il reddito imponibile con riferimento, 
invece che a11a rendita catastale aggiornata, a1 � reddito lordo 
effettivo�, quailora questo, ridotto del 25 per cento, risulti superiore a 
quello per oltre un quinto (o, in senso inverso, per g1i immobili locati in t 
regime di blocco, inferiore ad essa ne1la stessa misura). 

Orbene, � evidente che in tale nuovo compiuto sistema non trova pi� 

I

spazio, come reddito imponibile dei fabbricati, il reddito presunto o .. 
potenziale determinato comparativamente secondo i criteri del mercato 
locatizio corrente, l'ailtemativa essendo posta, a 1quel fine, solo tra rendita 
catastale aggiornata, che �, s�, un reddito medio, o presunto per 
definizione, ma definito e :fissato in J:inea generale per categorie e classi 
di fabbricati di ciascun comune secondo i criteri propri della legge sul 
catasto, e reddito lordo effettivo (ove superi gli mdicati parametri), che, 
secondo quanto risulta, come si � visto, dallo stesso art. 74 del testo 
unico del 1958, � concetto ben diverso da quello di reddito potenziale, che 
sarebbe stato, cio�, possibfile ricavare dall'affitto dell'immobile. Da ci� 
consegue che all'Amministrazione non � rpi� possibile ricorrere a quest'ultimo 
sistema di determinazione del reddito imponibile dei fabbricati, 
essendole solo consentito di procedere alla tassazione o della rendita 
catastale aggiornata, ovvero, alla condizione indicata daH'art. 2 della 
legge del 1960, del reddito effettivo lordo, che non pu� intendersi se non 
quello realmente e concretamente ricavato dalla locazione dell'immobile. 

N� in contrario pu� trarsi argomento dalla mancata espressa abrogazione 
dell'art. 74 del testo unico del 1958 ad opera della legge n. 131 
del 1960, poich� questa ha regolato in maniera nuova l'intera materia 
della determinazione della bast: impornbile dell'imposta sui fabbricati, e 
ci� importa, ai sensi dehl'art. 15 delle preleggi, l'implicita abrogazione 
della precedente disciplina. ! 

f

f 

f 

I 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Le conclusioni cui � pervenuto il collegio coincidono in pieno con i 
principi gi� affermati da questa Suprema Corte con le sentenze n. 3244 
del 1979 e 2002 del 1982, d quali vanno, perci�, senz'altro confermati. 

Va solo precisato in questa sede che pu� anohe convenirsi che il 
reddito lordo effettivo di un immobile dato in locazione possa essere 
accertato dall'ufficio, ai fini dell'applicazione dell'art. 2 della legge n. 131 
del 1960, con i normali criteri, eventualmente anche avvalendosi, come 
mezzo presuntivo e integrativo di prova, della comparazione con i redditi 
prodotti da immobili similari; ma proprio perch� tale criterio non attiene 
pi� alla determinazione del reddito imponibile, da porre a base della tassazione 
indipendentemente dall'effettivo reddito ricavato, se a questo 
superiore, ma potrebbe costituire soltanto un parametro presuntivo di 
accertamento del :predetto reddito lordo effettivo, � certo che un siffatto 
accertamento non potrebbe essere fondato sulla pura e semplice circostanza 
che i:l reddito che, in base alla comparazione, sarebbe stato possibile 
ritrarre dall'immobile sia diverso, ed in particolare superiore, rispetto 
a quello dichiarato dal contribuente o risultante dai contratti di locazione, 
essendo, invece, necessario che l'ufficio preventivamente deduca, e 
dimostri, che quest'ultimo reddito sia simulato, inesatto, o comunque 
inalterabile. Il che nella specie � da escludersi ohe sia avvenuto, avendo 
l'Amministrazione fondato fa sua pretesa sulla mera applicazione dell'art. 
74 del testo unico del 1958. (omissis) 

II 

(omissis) La questione fondamentale da risolvere attiene ai criteri 
di tassazione del reddito dei fabbricati, ai fini della relativa imposta, 
dopo la entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131 (come 
modificata dailla legge 17 maiggio 1969, n. 254, applicabile nella fattispecie, 
data l'epoca in :cui i redditi di cui si discute furono prodotti), e prima 
dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 597 del 1973. 

In �particolare, il rpunto controverso � se, in forza della suddetta 
normativa, fosse possibile, dopo l'entrata in vigore della 1. n. 131/1960, 
tassare il reddito dei fabbr.icati indipendentemente dalla rendita catastale, 
applicando il. primo comma dell'art. 2 della suddetta legge, come modificato 
dalla legge n. 254 del 1969, ritenendo sussistere un reddito effettivo 
superiore alla rendita catastale, e ci� non in base alle risultanze dei 
contratti ,di locazione, ma in v:ia presuntiva, accertando cio� �l reddito 
�effettivo� mediante comparazione con i redditi prodotti da fabbricati . 
analoghi, come previsto dal primo comma dell'art. 74 del t.u. delle imposte 
dirette n. 645 del 1958. A questo quesito la difesa del ricorrente d� 
una risposta negativa, sostenendo, sostanzialmente, l'abrogazione tacita 
della normativa dell'art. 74, sul punto, mentre la difesa dell'amministra



524 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione d� una risposta positiva, sostenendo la sussistenza del potere del 
fisco di accertare comunque il reddito, anche col sistema presuntivo 
della comparazione con altri redditi, per accertare se questo dovesse 
ritenersi superiore alla rendita catastale nella misura prevista dal citato 
art. 2 della Jegge n. 131, al fine di disapplicare le �risultanze catastali; ci� 
in ogni caso sarebbe possib~le, come ha sostenuto in discussione detta 
difesa, in mancanza di dichiarazione del reddito, il che renderebbe legittimo 
un accertamento presuntivo a sensi deH'art. 37 del suddetto testo 
unico n. 645. 

Questa Corte osserva, anzitutto, che un accertamento induttivo, anche 
in caso di mancata dichiarazione del reddito, era possibile, in base alla 
normativa del t.u. del 1958, in tutti i casi in cui fosse possibile, anche 
in presenza di dichiaTazione, un accertamento di maggior reddito, per i 
redditi la cui determinazione non fosse legata a parametri previsti dalla 
normativa dello stesso t.u., ma fosse liberamente effettuabirle in base 
alle pi� svariate prove e indizi suHe possibili componenti del reddito 

I ~ 

(come, ad es., in caso di imposta di r.m. o complementare), non anche 
quando, in ogni caso, il reddito doveva accertarsi in forza di parametri 
fissi e preordinati, previsti dalla stessa normativa, come nel caso del


~ 

l'imposta sul reddito agrario e sul reddito dei fabbricati, in relazione 

fil: 

ai quali venivano fissati precisi e determinati criteri di accertamento, ai 

fil~ 

quali non era possibile derogare. 

r

In questi casi il ricorso al metodo induttivo non era possibil.e in 
conseguenza di semplice omessa denuncia, dovendo in ogni caso il fisco 
ricorrere, sia in presenza di dichiarazione che in mancanza, ai criteri 
previsti dalla norma e, in particolare, per quanto attiene all'imposta fabbricati, 
all'accertamento del reddito catastale, e alle Tisultanze dei contratti 
di locazione o alla comparazione con il reddito ricavabile da edifici 
analoghi; il ricorso a quest'ultimo criterio di tassazione non costituiva, 
pertanto, un accertamento induttivo vero e proprio, bens� l'adozione di w 
uno specifico � sistema � di accertamento, e ci� non a libito dell'ufficio 
accertatore, ma in presenza di specifici presupposti indicati dalla ID.orma; 
s� che, in sostanza, escluso che -l'Ufficio potesse in via induttiva determi


I 

nare liberamente i:l reddito, il problema si riduce a verificare se a detto 
�sistema� potesse comunque ricorrersi, ossia torna in questione l'accer


I

tamento della possibilit� della permanenza della normativa dell'art. 74, ~ 
primo comma, del t.u., dopo l'ent!rata in vigore della legge n. 131 ~[

r

del 1960. 

f: 
Al quesito questa Corte ha gi� risposto con precedenti pronuncie che 
~: 
1:'

vanno riconfermate. 

t

La legge del 1960, invero, ancor� definitivamente fa tassazione del 

e:: 

reddito dei fabbricati alle rendite catastali, mediante determinazione del ~-� 

I L 

reddito in base alla rendita del fabb11icato, ove gi� accatastato, o alla 

~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

rendita di fabbricati similari (in caso di non accatastamento), permettendo 
una dero,ga a tale sistema solo quando il reddito effettivo fosse superiore 
a quello accertabile col sistema catastale nella misura prevista dall'art. 2. 
Tutto il problema sta pertap.to (posto che non pu� disconoscersi che 
un'abrogazione del primo comma dell'art. 74 del t.u. n. 645 poteva avvenire 
anche in modo non espresso, ma per semplice incompatibilit� fra le sue 
disposizioni e quelle della nuova legge che regolava espressamente la 
materia) nel definire che cosa il legislatore del 1960 intendesse per 
� reddito effettivo�; e non vi � dubbio che, anzitutto �in base all'interpretazione 
letterale, detta dizione debba interpretarsi come stante ad indicare 
il reddito effettivamente percepito in concreto, in modo certo e indiscutibile, 
non il reddito astrattamente ricavabile, desunto da semplici 
presunzioni basate sui prezzi di mercato. 

L'interpretazione letterale, d'altronde, � confortata dal principio generale 
secondo cui, nei casi dubbi -il che peraltro � gi� da escludersi per 
lo specifico e inequivocabile aggettivo adoperato -ogni legge va interpretata 
nel senso conforme al dettato costituzionale, anzich� in queHo 
contrastante; e non pu� dubitarsi che l'interpretazione qui data sia in 
armonia col principio dell'effeJtiva capacit� contributiva sancita dall'art. 
53 de11a Costituzione, mentre l'adozione di un �diverso criterio di 
tassabilit� su mere presunzioni comporterebbe il pericolo (in mancanza 
di altri elementi di prova e di convincimento sull'ammontare concreto 
del reddito percepito) di sottoporre il contribuente a tassazione di una 
ricchezza inesistente. 

In aggiunta a ci�, va ricordato (il che questa Corte ha gi� fatto con 
le sue precedenti pronuncie) che gi� l'originario sistema della tassazione 
del reddito dei fabbricati (art. 6 della I. n. 2136 del 1965) distingueva il 
reddito � effettivo�, risultante dai contratti in corso, da quello � presunto 
�, ricavabile dall'affitto e determinato comparativamente; e cos� 
pure il r1d11. n. 652 del 1939 contrapponeva il reddito effettivo alla rendita 
catastale; solo il t.u. del 1958 accomun� i due concetti, prevedendo un 
reddito <lordo determinabile anche presuntivamente, a sensi del primo 
comma dell'art. 74, ma tale eccezione alla regola deve ritenersi superata 
dalla legge del 1960, che, all'art. 2, contrapponeva il reddito effettivo alla 
rendita catastale, determinata anche comparativamente, ossia ad un 
reddito non realmente percepito, bens� comunque presunto, dal che 
deve desumersi che la contrapposizione dovesse ritenersi come posta fu'a 
un reddito presunto ed un reddito reale, riJevante, quest'ultimo, solo se 
superiore, in concreto, a quello calcolato, in modo uguale per la generalit� 
dei contribuenti, in base a11a rendita catastale. 

E che per effettivo debba intendersi il rreddito realmente percepito, 
a conferma dei criteri desumibili dall'indagine storica, pu� desurp.ersi 
anche dal rispetto di tale tendenza da� parte del legislatore del 1973, in 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quanto l'art. 35, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, 
espressamente stabilisce che il reddito lordo effettivo � quello costituito 
dai canoni di locazione risultanti dai .relativi contratti, e solo in mancanza 
di contratti pu� essere determinato comparativamente ai canoni di 
locazione di unit� immobiliari, entro un ambito ben !ristretto e definito. 

H che non significa, peraltro, che non possa, in determinati casi, 
accertarsi un �reddito diverso; ma ci� pu� avvenire solo qualora l'amministrazione 
possa provare Ja simulazione relativa dei contratti di locazione, 
nei casi cio� in cui, anche in sede di tassazione per imposta di registro, 
possa provarsi un occultamento di prezzo; ma anche in tali casi viene 
!in sostanza comunque a colpirsi un reddito �effettivo�, di cui sia certa 
l'esistenza, non un reddito presunto. 

In definitiva, deve ribadirsi che dopo la entrata in vigore della legge 

n. 131 del 1960 non era pi� possibile, ai fini della tassazione per imposta 
fabbricati, determinoo:-e il reddito imponibile mediante Ja sempJ.ice presunzione 
desumibile, anche in presenza di contratti di locazione, dalla 
comparazione con redditi di edirf�ci similari, dovendosi ritenere, sul punto, 
i.mplicitamente �abrogato H primo comma dell'art. 74 del t.u. n. 645 del 
1958, e che la tassazione su di un imponibile diverso dalla rendita catastale 
(gi� determinata e stabilita comparativamente) poteva avvenire, ai sensi 
dell'art. 2 deUa suddetta legge, solo se fosse stato accertato, in modo 
diverso dalla semplice comparazione con i prezzi di mercato, la reale 
esistenza di un reddito maggiore. 
Ne consegue che H secondo e quarto motivo di ricorso, che �investono 
specificamente detta questione, vanno accolti e che, conseguentemente, va 
accolto anche il terzo motivo, dovendosi effettuare la tassazione, basata 
sulla rendita catastale di singole unit� immobiliari o sulla esistenza di 
un determinato specirf�co maggior reddito effettivamente percepito, in 
relazione a ciascuna unit� tass�ata, per cui � illegittimo un accertamento 
presuntivo globale del reddito di pi� unit�. (omissis) 

III 

(omissis) Con unico motivo, denunziando violazione e falsa applicazione 
degli artt. 74 t.u. 1.1.D.D. 29 gennaio 1958, n. 645, 2 1. 23 febbraio 1960, 

n. 131, l'Amministrazione deduce che la sentenza impugnata � errata 
poich� si fonda sulla considerazione -contrastante con le norme di legge 
�di cui si denuncia la violazione -che per i fabbricati censiti in catasto 
�l'accertamento di un imponibile diverso dalla rendita catastale sia possibile 
solo in presenza di canoni di locazione comportanti un reddito lordo 
effettivo superiore alla rendita catastale, laddove anche per gli immobili 
censiti in catasto -e non solo per quelli non ancora censiti -vige il 
principio che il reddito lordo effettivo costituente la base imponibile, se 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

superiore alla rendita catastale diminuita del 25 %, pu� accertarsi comparativamente 
al reddito di fabbricati in analoghe condizioni, e non 
soltanto attraverso il riscontro dei canoni di locazione, qualora questi 
risultino inferiori ai canoni covrenti. 

La censura � fondata. 
Ai sensi deWart. 74 del t.u. I.I.D.D. del 1958, il rnddiito lordo dei fabbrfoati 
costituente la base amponibile a norma dell'art. 1 della legge 

n. 1219 del 1951 prima, e dello stesso t.u., poi, era costituito dai canoni 
di locazione risultanti dai relativi contratti, salvo ad essere determinato 
comparntivamente ai fabbricati in analoghe condizioni �se il fabbricato 
non � locato oppure non risulta il canone di locazione e questo � inferiore 
ai canoni correnti per i fabbricati in analoghe condizioni �. 
Tale possibilit� di accertare lliil reddito lordo effettivo diverso dai 
canoni ,di locazione non verme meno, per gli immobili censiti in catasto, 
a seguito dell'entrata in vigore della legge 23 febbraio 1960, n. 131, la 
quale introdusse l'applicazione della imposta fabbricati sulla base delle 
rendite del nuovo catasto edilizio urbano. 

All'art. 1 fu posto il principio, avente carattere generale, che il 
reddito imponibile per l'imposta anzidetta era determinato in base alle 
rendite catastali; ma all'art. 2 la stessa legge stabil� che l'imponibile era 
determinato dall'art. 1 della legge n. 1219 del 1951 (e, quindi, in base al 
reddito lordo di cui al citato airt. 74 del t.u. del 1958), qualora tale reddito, 
ridotto di un quarto, fosse stato superiore alla rendita catastale, con la 
conseguenza che, per gli immobili censiti in catasto, l'imposta fabbricati 
era dovuta in base al reddito lordo, quando tale reddito, ridotto di un 
quarto, fosse stato superiore alla rendita catastale, e, per la determinazione 
di tale reddito lordo, non dovevasi tener conto soltanto dei canoni 
di locazione, ma dovevasi considerare il reddito comparativamente ritratto 
da altri fabbricati in analoghe condizioni, quando il canone di locazione 
fosse risultato inferiore ai canoni correnti. 

Tutto ci� trova conferma nella normativa introdotta con la legge 
17 maggio 1969, n. 254, in materia di imposta fabbricati per le unit� non 
ancora iscritte nel nuovo catasto edilizio urbano; essa, infatti, stabil�, 
all'art. l, che per tali unit� � il reddito imponibile � determinato, fino a 
quando non sar� avvenuta la loro iscrizione, comparativamente alla 
rendita catastale aggiornata attribuita alle unit� immobiliari similari gi� 
censite in catasto � e, all'art. 2, che l'imposizione andava peraltro effettuata 
in relazione al reddito lordo, se inferiore alla rendita catastale de1le 
unit� similari, nonch�, all'art. 3, che tale reddito lordo doveva essere 
accertato anche ai sensi delle disposizioni dell'art. 74 t.u. del 1958, cio� 
in base alle stesse disposizioni vigenti per la determinazione del reddito 
lordo dei fabbricati censiti in catasto. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Devesi, pertanto, escludere, cont,rariamente a quanto ritenuto dalla 
decisione impugnata, che con l'art. 3 della legge n. 254 del 1969 sia stata 
introdotta una normativa diretta a consentire che soltanto per i fabbricati 
non censiti in catasto il reddito lordo fosse costituito, ai fini dell'imposta 
fabbricati, in presenza di canoni di locazione non allineati a quelli 
correnti, dai canoni corrisposti per altri immobili in analoghe condizioni. 

� ben vero che questa Corte, con decisione 8 giugno 1979, ha ritenuto 
che sia inibito al1a Amministrazione finanziaria ricorrere all'accertamento 
induttivo, previsto dall'art. 74 del t.u. del 1958, in ordine al reddito immobiliare, 
in contrasto con quello catastale, stante il carattere innovativo 
della legislazione successiva al t.u. suindicato, in particolare della legge 

n .131 del 1960, che avrebbe abrogato il medesimo art. 74 per incompatibilit� 
tra le rispettive normative, nonch� della legge n. 254 del 1969. 
Questo Collegio, ;peraltro, ritiene, per le suesposte ragioni, di non 
poter condividere la itesi anzidetta e di dover precisare che con la norma 
dell'art. 3 della legge n. 254 del 1969 il legislatore, lungi dall'eliminare la 
disposizione dell'art. 74, comma secondo, t.u. del 1958, ha inteso soltanto 
rendere applicabile, ai fini dell'accertamento dei redditi sui fabbricati 
non censiti in catasto la stessa normatiya prevista dal citato art. 74, gi� 
applicabile ai fabbricati censiti in catasto. (omissis) 

IV 

{omissis) Con l'unico mezzo la Castellani denuncia la violazione dell'art. 
2 d.l. 6 luglio 1974, n. 259, conv. in L 17 agosto 1974, n. 384, e la falsa 
applicazione degli artt. 88, comma secondo d.P.R. 29 settembre 1973, 597 e 
2, I. 23 febbraio 1960, n. 131, nonch� il difetto assoluto di motivazione in 
relazione aU'art. 360, ID.Il. 3 e 5 cod. rproc. civ., e 111 Costituzione. 

Erroneamente la Commissione centrale avrebbe circoscritto alla sola 
modifica del coefficiente di aggiornamento della rendita catastale le innovazioni 
introdotte, per il biennio 1974-1975, dall'art. 2 decr. n. 259 del 1974. 

Si sarebbe trattato, invece, di una modificazione legislativa pi� profonda, 
incidente -sempre nei limiti del biennio 1974-1975 -sulle 
caratteristiche dello stesso sistema impositivo, poich� non solo il primo 
comma dell'art 88 decr. 597 del 73 sui coefficienti di aggiornamento, ma 
anche il secondo comma dello stesso articolo sulla tassabilit�, alle condizioni 
ivi previste, del reddito effettivo, sarebbe stato sostituito dall'art. 2 
del decr. n. 259 del 1974. 

Si sarebbe avuta, dunque, per hl. biennio in questione, una novazione 
legislativa totale, con la conseguente inapplicabilit� non solo del primo 
ma ,anche del secondo comma del previgente art. 88 decr. n. 597 del '73. 

Da cui l'illegittimit� della decisione impugnata, che ha ritenuto rilevante, 
ai fini della determinazione delila base imponibile, la differenza tra 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

valori del reddito lovdo effettivo e della rendita catastale aggiornata. 

Il ricorso � infondato. 

Bisogna premettere che, secondo il criterio generale enunciato dall'art. 
34 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, l'imposizione sul reddito dei 
fabbricati avviene su base catastale, con revisione delle tariffe d'estimo 
per sopravvenute variazioni di carattere permanente e, comunque, almeno 
ogni dieci anni. 

Il decreto contiene un regime provvisorio intermedio, che prevede, 
nelle more della prima revisione delle tariffe d'estimo, l'aggiornamento 
annuale, con provvedimento ministeriale, dei coefficienti della rendita 
catastale (art. 88, comma primo), .in alternativa {art. 88, comma secondo) 
con l'applicazione delle norme anteriori (art. 2, I. n. 131 del 1960, richiamato 
dall'art. 88 comma secondo), che, per la determinazione dell'imponibile, 
si riferiscono ail. reddito effettivo se, pur ridotto del 25 % , esso superi 
per oltre un ,quinto la rendita catastale aggiornata {lo stesso principio 
vale per le differenze in meno). 

Tale regime temporaneo � stato modificato, per il biennio '74-'75, 

con il decreto in esame n. 259 del 1974, che, in deroga alla regola della 

revisione annuale, considera i soli coefficienti di aggiornamento, stabiliti 

con decreto ministeriale 10 settembre 1973) per l'anno 973, da moltipli


care -maggiorati del 50 % -per le cifre di rendita del nuovo catasto 

edilizio urbano {art. 2). 

Tale essendo i1l sistema introdotto con le nuove disposizioni, corretta


mente la Commissione tributaria centrale ha ri>tenuto, con la decisione 

impugnata, che l'art. 2 del decreto n. 259 del '74 non abbia abrogato la 

disposizione del secondo comma dell'art. 88, n. 597 del '73, che richiama, 

a sua volta, ~'art. 2, 1. 26 febbraio 1960, n. 131, applicabile quando sussista 

un determinato divario fra il reddito effettivo e la rendita catastale 

aggiornata. 

A tale conclusione, invero, si perviene in base ai principi che discipli


nano fa successione delle leggi nel tempo. 

Dispone l'art. 15 disp. prel. cod. civ.: � Le leggi non sono abrogate 

che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per 

incompatibilit� tra Je nuove disposizioni e le precedenti o perch� la nuova 

legge regola l'intera materia, gi� regolata dalla legge anteriore �. 

Escluso, nel caso in esame, che la nuova legge abbia regolato l'intera 

materia, gi� regolata dalla legge anteriore, ed escluso che sia rinvenibile 

in essa un'esplicita norma abrogativa della disposizione contenuta nel 

comma secondo, art. 88 decr. n. 597 del 1973, resta solamente da stabilire 

se la disposizione medesima risulti tacitamente abrogata per incompati


bilit� con quella attuale. 

Ritiene il Collegio che tale incompatibilit� non sussista. 


I

530 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

Secondo la giurisprudenza �il disposto dell'art. 15 delle disposizioni 
sulla legge in generale consente di configurare ~'abrogazione implicita di 11. 

una legge quando si riscontri fra 'le nuove disposizioni e le precedenti 
un'incompatibilit� evidente, una contraddizione di tal grado da renderne 
impossibile l'applicazione contemporanea; di guisa che dall'osservanza e 
dall'applioazione de1la nuova legge derivi inevitabilmente l'inosservanza 
e la disapplicazione dell'altra� (Cass., 12 novembre 1973, n. 2979). 

Ora, mentre fra l'art. 2, decr. n. 259 del 1974 ed i:l iprimo comma 
dell'art. 88 decr. n. 597 del 1973 sussiste una contraddizione tale da renderne 
impossibile l'applicazione contemporanea, talch� dalla legge posteriore 
risulta abrogata la precedente (primo comma, art. 88 citato) sui 
coefficienti di aggiornamento delila rendita catastale per il biennio 1974-1975, 
viceversa, dall'osservanza e dall'applicazione delle nuove norme non deriva 
affatto una inevitabile inosservanza e disapplicazione delle regole contenute 
nel secondo comma del'.l'art. 88 dello stesso decreto e nell'art. 2, 

1. 23 febbraio 1960, n. 131, al quale esso rinvia. 
Tali disposizioni, come si � detto, stabiliscono che, per la determinazione 
dell'imponibile, si deve tener presente iil .reddito lordo effettivo quando 
esso, seppur ridotto �di un quarto, superi per oltre un quinto la rendita 
catastaile aggiornata; e rimane fermo, a tal fine -come espressamente 
dispone l'art. 88, comma secondo -l'obbligo del possessore di dichiarare 
il reddito effettivo. 

Ricorrendone le premesse, pertanto, a questi valori deve essere commisurato 
il calcolo della base imponibiJle, in deroga alla nuova disposizione, 
dettata dall'art. 2 decr. n. 259 del '74 al solo scopo di aggiornare, secondo 
una diversa formula e nei limiti del biennio '74-75, i coefficienti per la deteT� 
minazione della rendita catastale, nelle more della prima revisione delle 
tariffe d'estimo. 

A tale interpretazione -adottata daHa Commissione centrale -non 
osta la lettera della norma e neppure la 'sua �ratio�, che consiste soltanto 
nell'esigenza di adeguare ancor meglio l'accertamento delfimponibile al 
reddito effettivo. 

Si deve ritenere, pertanto, ohe con l'entmrt:a in vigore dell'art. 2 

d.P.R. 6 luglio 1974, n. 259, sia stato sostituito e abrogato, per il biennio 
1974-1975, soltanto il primo comma dell'art. 88 d.P.R. 29 settembre 1973, 
n. 597, non il secondo; e sia, pe:rtanto, sempre applicab�!le, quando ne 
ricorrano le premesse, l'art. 2, 11. n. 131 del 23 febbraio 1960, in esso 
richiamato. 
In tal senso ha provveduto l'Ufficio Imposte di Livorno con iJ.'accertamento 
del maggior imponibile a carico della Castellani. 
Appare, pertanto, conforme ai principi di diritto sopra enunciati la 
decisione della Commissione centrale, nella quale si afferma che col decreto 

�


I 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 531 

del 1974 � stata introdotta una semplice variazione, per il detto biennio, 
dei coefficienti di aggiornamento, senza alouna modifica dei criteri impositivi. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2088 -Pres. Tamburrino; 
Est. Corda -P. M. Grima:ldi {conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Linda) c. Croce. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Deduzione di passivit� 
-Conto corrente bancario -Legge 24 dicembre 1969, n. 1038 Parere 
di anteriorit� effettiva e ammontare del debito. 

(1. 24 dicembre 1969 n. 1038). 
Poich� per l'ammissibilit� delle passivit� deducibili dall'asse ereditario 
risultante da saldo passivo di conto corrente bancario � necessario dimostrare 
anteriorit�, effettivit� e ammontare del debito non � sufficiente .la 
prova offerta alternativamente con uno dei mezzi elencati nell'art. unico 
della legge 24 dicembre 1969, n. 1038, ma � necessaria la dimostrazione ottenuta 
con tutti i mezzi voluti dalla legge (integrale svolgimento del conto, 
assegni, dichiarazione di sussistenza) (1). 

(omissis) Tale secondo motivo di ricorso � fondato. 

Con la sentenza 21 luglio 1978 n. 3616 (richiamata dalla Commissione 
Tributaria Centrale) questa Corte ha affermato che, ai fini dell'applicazione 
dell'imposta di successione, i mezzi di documentazione richiesti dall'articolo 
unico della legge 24 dicembre 1969, n. 1038, ;per la deduzione 
dall'asse ereditarrio dei debiti (del de cuius) derivanti dal saldo passivo di 
un conto corrente bancario, originati dalla emissione di assegni, sono 
prescritti in via alternativa, nel senso che il mezzo di prova prescritto da 
ciascun � numero � delJa disposizione predetta � sufficiente, da solo, a 
dimostrare la anteriorit� del debito rispetto a1l'apel'tura della successione. 
Con riferimento, quindi, al caso in quella sede deciso, ha ritenuto che fosse 
idonea, agli effetti predetti, la produzione (da parte del contribuente) del 
solo estratto notarile dell'integrale svolgimento del conto corrente redatto 
sUJlla base delle rregistrazioni operate sui libri dell'istituto di credito (n. 1 

(1) Decisione evidentemente esatta che corregge l'affermazione scappata di 
mano con la sentenza 21 luglio 1978, n. 3616 (in Riv. Leg. fisc. 1980, 274). � appena 
necessario ricordare che la imprescindibilit� della produzione degli assegni 
� ribadita sotto altro criterio giacch� non sono affatto deducibili i saldi passivi 
risultanti da mezzi di utilizzazione del conto diversi dagli assegni (Cass. 
19 dicembre 1979, n. 6593, in questa Rassegna, 1980, I, 615 con richiami di 
precedenti). 
8 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

532 

dell'articolo citato), pur se privo di ogni riferimento specifico alle annotazioni 
operate nei libri giornale e inventario della banca. 

Tale impostazione non �, per�, condivisa dal Collegio. 

L'articolo unico della citata ilegge n. 1038 del 1969 stabilisce che, ai 
fini dell'1applicazione dei tributi successori, sono ammessi in deduzione 
dall'asse ereditario i debiti derivanti da saldo passivo di conto corrente 
bancaa:fo, originato da emissione di assegni, quale che sia il rapporto 
contrattuale sottostante, purch� giustificati dalla seguente documentazione 


1) dimostrazione dell'integrale svolgimento del conto a partire dal 
31 dicembre dell'anno anteriore all'apertura de1la successione o dall'ultimo 
sa1do attivo del conto; itale dimostrazione. deve risultare da dichiarazione 
dell'istituto di credito autenticata, o da estratto notarile, .redatti sulla base 
delle registrazioni operate anche ;per riassunto sui libri inventari e giornale 
dello stes.so istituto di credito; 

2) originale, o copia autentica, degli assegni emessi con indicazione 
degli estremi delle annotazioni operate sui libri di commercio dell'istituto 
di credito anche per riassunto; 

3) �dichiarazione rilasciata da tutti gli eredi e dal legale rappresentante 
dell'istituto di credito, co1111:rofirmata dal capo del servizio o dal 
contabile addetto al servizio, attestante l'effettiva sussistenza del debito, 
in tutto o in parte, all'epoca di apertJUra della successione, con ila specificazione 
delle eventuali garanzie prestate. 

Dall'esame di tale disposizione di legge appare chiaro che per risolvere 
il problema proposto dalla ricorrente occorre stabilire a quale specifica 
funzione adempia la produzione dei documenti indicati in ciascuno 
dei �numeri� di cui la stessa si compone: occorre, cio�, verificare la gi� 
enunaiata tesi della � altemativit� � stabilendo se ciasouna di quelle singole 
produzioni sia, da sola, idonea a fornire la prova richiesta. Prova che, 
ad avviso del Collegio, concerne non solo la a1111:eriorit� del debito rispetto 
al:l'apertura della successione, ma altres� la effettiva sussistenza dello stesso 
e il suo esatto ammontare. 

La citata sentenza � pervenuta alla conclusione sopra riferita partendo 
dalla premessa che scopo della prescrizione normativa � unioamente quello. 
del sicuro accertamento dell'anteriorit� del debito rispeitto alla data dell'apertura 
della succes�sione: e non v'� dubbio che se lo scopo deHa legge� 
fosse unicamente quello, la conclusione della � alternativit� � dei tre mezzi 
di prova sarebbe sicuramente accettabile. 

Se invece si ritiene -come al Collegio pare doveroso -che scopo 
della norma � anche l"accertamento della effettivit� del debito e del suo 
esatto ammontare, quella conclusione non pu� pi� essere accettata. �, infatti, 
chiaro che la semplice produzione degli assegni (n. 2) non dimostra 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 533 

l'effettiva esistenza del debito, cos� come la sola dichiarazione rilasciata 
dagli eredi e dal legale rappresentante dell'd.stituto di credito (n. 3) non 
dimostra l'esatto ammontare del debito predetto. La conclusione, quindi, 
� che dovendosi dimostrare la contemporanea ricorrenza dei tre requisiti 
(anteriorit�, effettivit�, e ammontare), la deducibilit� potr� essere operata 
solo se il contribuente avr� prodotto tutta la documentazione richiesta 
dalla commentata disposizione di legge. Questa conclusione, del resto, sembra 
gi� presupposta daMa sentenza di questa Corte 5 dicembre 1978, n. 5708 
(successiva, quindd., a quella prima ricordata), la quale, pur dovendo pronunciare 
solo su un circoscritto caso di anteriorit� del debito rispetto 
all'apertura della successione, ha tuttavia trovato modo di rilevare .come 
la legge richiede non solo che sia acce11tata J:a � rkostruzione del movimen� 
to di vialuta �, ma, altres�, che sii.a stabilito � il'esclusivo collegamento del 
prelevamento all'emissione di assegni in favore di terzi. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1983, n. 2237 -Pres. Mazzacane Est. 
Battimelli -P. M. Dettori (diff.). Esposito (avv. Caprotti) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Srtato Mari). 

Tributi in genere � Accertamento tributario � Notificazioni -Persona giuridica 
-Impossibilit� di notifica presso la sede legale � Omessa ri� 
cerca della legale rappresentante -Deposito presso la casa comunale 
� Nullit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 38; c.p.c. art. 145 e 148). 
Per la notificazione degli atti del procedimento tributario alle persone 
giuridiche sono applicabili gli ar~t. 145 e 148 c.p.c., con la consegu.enza che 
ove la notifica non possa eseguirsi pr�sso la sede legale essa, deve essere 
effettuata presso la persona fisica che rappresenta l'ente, se risulta dall'atto, 
eseguendo le ricerche necessarie, non solo anagrafiche, per rintracciarla 
anche ove vi sia stata variazione di domicilio nell'ambito dello stesso comune; 
solo all'esito negativo di tali tentativi � legittima la notifica eseguita 
a norma dell'art. 140 c.p.c. (1). 

(1) In tema di notificazione degli atti dei procedimenti tributari la giurisprudenza 
continua ad oscillare fra posizioni estremamente rigoristiche, come 
nel caso, ed altre che pi� realisticamente non premiano il contribuente che 
sfugge e rende praticamente impossibile il risultato. Certo � difficile ammettere 
che di fronte ad una persona giuridica introvabile (non sono poche le societ� 
fantasma) diventi un obbligo rigoroso quello che secondo l'ultimo comma dell'art. 
145 cod. proc. civ. � soltanto una facolt�, esercitabile soltanto ove nell'atto 
sia indicata la persona fisica del rappresentante e semprech� tale indicazione 
sia ancora esatta al momento, e, pi� ancora, che la persona fisica del 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Il primo motivo di ricorso va accolto. 

Ed invero, per quanto attiene alla notificazione di atti a persone gforidiche, 
la disciplina dell'art. 38 del T.U. n. 645 del 1958 in nulla differisce 
da quella comune, posto ohe il suddetto articolo dichiara non applicabili, 
per la notificazione di atti ai contribuenti, solo gli artt. 142, 143, 146 e 150 
c.p.c., non anche, quindi, l'airt. 145, e neppure l'art. 148. 

Ne consegue che 1anche in materia di notil�icazione di avvisi di accer


tamento vanno applicati i principi stabiliti da una costante giurisprudenza 
di questa Corte, secondo cui, per la notificazione di atti ad una persona 
giuridica, ove la notifica non possa effettuarsi a sensi del primo comma 
dell'art. 145, per non essere rinvenuta nella sede del destinatario una delle 
persone legittimate a ricevere l'atto, e se nell'atto � indicata la persona 
fisica che rappresenta l'ente, la notificazione deve effettuarsi a quest'ultima 
con le modalit� prescritte per le notificazioni a persone fisiche, a sensi 
degli artt. 138, 139 e 141. 

Inoltre, poich� anche per le notifilcazioni a persone giuridiche � applicabile 
la normativa dell'art. 148 c;p.c., nehl'effettuare la notifica devono 
compiersi dall'ufficiale procedente tutte 1e ricerche (non solo anagrafiche) 
necessarie per reperire il destinatario dell'atto (persona giuridica o persona 
fisica che la rappresenta), e deve darsi atto nella relazione di notificazione 
di dette ricerche, dei motivi della mancata consegna e delle notizie 
raccolte sulla reperibilit� del destinatario: il che significa che il notificante 
deve compiere ogni possibiile ricerca per reperire uno dei dm~ destinatari 
(persona giuridica e rappresentante) dell'aitto, e che, solo all'esito 
di dette ricerche, ove nessuno sia stato reperito, pu� procedere 
a notifica a sensi deH'art. 140 c,p.c. 

N� all'obbligo di dette ricerche il messo notificatore pu� ritenersi sottratto 
Li.n conseguenza di mutazioni di indirizzo nell'ambito dello stesso 
comune, posto che l'ultimo comma dell'art. 38 del T.U. attribuisce rilevanza 
particolare, quanto al sistema delle notificazioni, esclusivamente 
aHe variazioni di domicilio fiscale non disposte dall'autorit� amministrativa, 
ossi�, per fimplicito richiamo in tal modo fatto al disposto dell'art. 

10 in relazione ,al quinto comma dell'art. 9, unicamente alle variazioni di 
domicilio da un comune all'altro, non anche ai trasferimenti di domicilio 

rappresentante debba essere ricercata con diligenti indagini nella sua vita 
privata. 

Pi� in generale resta il non risolto problema se la notifica possa essere 
validamente eseguita nel domicilio fiscale dichiarato quando non siano state 
comunicate le variazioni (da ultimo Cass. 16 giugno 1980, n. 3824 in questa 
Rassegna, 1981, I, 369) ovvero se il contribuente non abbia alcun obbligo di 
dichiarare il domicilio e spetti sempre all'Amministrazione accertarlo (Cass. 
18 luglio 1979, n. 4297, ivi, 1979, I, 770). 

f 


PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nell'ambito dello stesso Comune, facilmente riJ.evabili, quanto alle persone 
giuridiche, attraverso le risUJl.tanze del regiistro delle imprese e, quanto 
alle persone fisiche, attraverso le risultanze anagrafiche, e per entrambi 
comunque attraverso notizie da raccogliersi sulla reperibilit� del destinatario. 


Ne consegue che non pu� ricorrersi alla notiiiicazione a sensi dell'art. 
140 c.p.c., nei confronti di una persona giuridica se prima non si siano 
effettuate opportune e diligenti ricerche sull'esistenza di una sede, ufficio 

o azienda della persona giuridica o di abitazione, ufficio o azienda del legaile 
rappresentante, e che sOilo all'esito negativo di tali ricerche l'atto pu� 
essere depositato nella casa comunale in applicazione della Jettera f) dell'art. 
38 del T.U., non senza, peraltro, dare atto, nella relazione di notifica, 
di tutte le ricerche effettuate inutilmente. 
La decisione impugnata non appare essersi conformata a questi principi, 
posto che ha ritenuto regoJatre la notificazione per non essere stata 
rinvenuta la societ� destinataria dell'atto nel domicilio fiscale (non � chiaro 
se pe;r aver trasferito la sede in raltro comune o unicamente per aver mutato 
sede nell'amb:ito del comune di domicilio fiscale) n� in quello dell'amministratore 
unico; irreperibilit�, quesil:a, che da sola non giustificava 
il ricorso alla notifica ex art. 140 c.p.c. e lettera f) dell'art. 38 del T.U. 

n. 645; ci� sia perch� avrebbero doV!llto effettuarsi ricerche dell'eventuale 
nuova sede della societ�, il che ben avrebbe potuto effettuarsi attraverso 
l'esame dei r"egistri presso �la cancelleria commerciale del tribunale, sia 
perch�, essendo indicato nell'atto fil Jegale rappresentante della societ�, 
l'atto ben avrebbe potuto e dovuto notificarsi a costui, giusta il disposto 
dell'ultimo comma dell'art. 145 c.p.c., nei modi indicati dagli artt. 138, 139 
e 141 stesso codice; comunque, anche della persona fisica avrebbero dovuto 
effettuarsi opportune ricerche anagrafiche e d'a1tro genere e, in ogni 
caso, nella relazione .di notifica avrebbe dovuto darsi atto di tutti i tentativi 
effettu�ti, in adempimento del disposto dell'art. 148, secondo comma, 
c.p.c. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2290 -Pres. Brancaccio Est. 
Battimehli -P. M. Miccio (diff.). Lombardi c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Dipace). 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati Agevolazioni 
per le case di abitazione non di lusso -Decadenza Eccedenza 
di volumetria -Volumi tecnici -Sono compresi nella tolleranza 
del 2 per cento. 

(1. 6 agosto 1967 n. 765, art. 15). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle 

commissioni -Ufficiosit� -Esclusione -Principio della domanda -Si 

applica. 

(c.p.c. art. 112). 
La decadenza dall'agevolazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949, 

n. 408 prevista dall'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (che introduce 
l'art. 41 ter alla legge 17 agosto 1942, n. JJSO) � stabilita per le violazioni 
(nella specie) di cubatura che eccedono il 2 % della misura prescritta; in 
detta tolleranza sono ricompresi i c.d. � volumi tecnici�, da intendersi 
come le parti esterne alla copertura comunque estranee alla utilizzazione 
abitativa diretta o indiretta (vano per l'accesso al tetto, vano di alloggiamento 
dei motori dell'ascensore, prolungamento canne fumarie e simili) 
che per la loro minima incidenza sulla volumetria complessiva non possono 
essere computati separatamente e in aggiunta dalla tolleranza stabilita in 
percentuale generale r(l). 
Il procedimento innanzi alle Commissioni tributarie non ha natura ufficiosa 
e inquisitoria tale da consentire al giudice, sia di primo grado che 
di impugnazione, di pronunciare su questioni non proposte dalle parti (2). 

(omissis) Il primo motivo di ricorso, che pu� essere esaminato solo in 
relazione alle questioni di diritto, non anche ai profili :ii fatto, in cui si 
articola, va riconosciuto infondato. 

A parte, invero, fa motivazione sul punto della decisione impugnata, 
che non pu� totalmente condividersi, sia perch� ha negato di ;poter esam1nare 
in punto di fatto la questione, che pur rientrava nella sua competenza 
per ifil disposto :dell'art. 26 del D.P.R. n. 636 del 1972, riconosciuto 

(1-2) La prima massima, da condividere pienamente, stabilisce criteri pre


cisi per eliminare ogni dubbio sul frequente tentativo di eludere la violazione 

di cubatura con l'espediente dei c.d. �volumi tecnici �. 

La seconda massima � indubbiamente esatta sul punto della applicabilit� 
al processo tributario del principio della domanda (art. 112 cod. proc. civ.) fondamentale 
in ogni processo, escluso soltanto quello penale. Si pu� invero 
ritenere che il processo innanzi alle commissioni sia ufficioso solo nel senso 
che il procedimento dopo la proposizione del ricorso procede per impulso d'ufficio, 
senza che siano necessarie ulteriori iniziative di parte, anche nel caso 
di traslazione o rinvio da una ad altra commissione (art. 19, 21, 22, 24, 25, 29, 

d.P.R. n. 636/,1972), e inquisitorio nel senso che l'istruttoria � disposta dalla 
commissione con gli stessi poteri conferiti all'ufficio dalle singole leggi di imposta 
(art. 35), mentre le parti hanno soltanto la facolt� di esibire documenti 
(art. 36); ma ben altra cosa � la necessit� della domanda che limita il potere 
del giudice alle regole della corrispondenza fra chiesto e giudicato. Gi� il ricorso 
di primo grado deve contenere a pena di nullit� l'oggetto della domanda 
e i motivi (art. 15); a maggior ragione i motivi dell'impugnazione di secondo 
e terzo grado (art. 22 e 25) delimitano la parte della decisione che si intende 
impugnare. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 539 

(omissis) Si deve pertanto esaminare il primo motivo del ricorso 
principale, ta cui argomentazione fondamentale consiste (con evidente assorbimento 
della questione relativa alla legittimit� del ricorso all'ingiunzione, 
da parte dell'Amministrazione) nel rilevare '1e inesatte conseguenze 
tratte dalla Corte di Milano dalla circostanza che il Giovanzani (che non 
� debitore d'imposta, in quanto semplice impiegato dipendente del debitore 
d'imposta), dopo essere stato tratlto a giudizio per rispondere di ipotesi 
di evasione sanzionate penalmente, era stato assolto nel giudizio penale richiamato 
dalla stessa ingiunzione fiscale -per mancanza di dolo, e cio� 
perch� il fatto non costituisce reato. 

L'argomento coglie nel segno: la Corte di Milano ha costruito una 
singolare categoria di soggetti obbligati al pagamento dell'imposta di fabbricazione 
a titolo di risarcimento del danno conseguente (non da reato, 
perch� il reato � stato escluso dal giudice competente, e di ci� ha dato 
atto la sentenza impugnata), ma dal fatto materiale dell'evasione fiscale 
compiuta dal soggetto passivo dell'obbligazione tributaria (e cio� dal fabbricante, 
dal depositario, dall'acquirente della merce oggetto dell'imposta 
di fabbricazione, secondo ile ipotesi espressamente previste dalle varie 
leggi). 

Tale categoria � stata identificata nei trasgressori in concreto (diversi 
dal debitore d'imposta) e cio� in coloro che, nell'ambito dell'organizzazione 
imprenditoriale dei soggetti passivi dell'imposta, hanno la � responsabilit�
� di assicurare l'osservanza delle disposizioni legislative dirette ad evitare 
le frodi nel campo delle imposte di fabbricazione. 

Questa Corte osserva che una siffatta categoria di debitori fiscali a 
titolo di risarcimento del danno sub�to dall'Amministrazione per il fatto 
oggettivo dell'evasione, � del tutto sconosciuta al nostro ordinamento, al 
di fuori dell'ipotesi di reato. 

n. 4 ed ora art. 6, legge 24 novembre 1981, n. 689 bench� sul punto siano nati 
dubbi di applicazione: v. da ultima Cass. 21 ottobre 1981, n. 5508 in questa 
Rassegna, 1982, I, 352), ma non dell'imposta, nemmeno sotto forma di risarcimento 
del danno. 
A diversa disciplina danno luogo tuttavia le imposte doganali e di fabbricazione 
nelle quali la responsabilit� per l'imposta si estende a soggetti partecipi 
della violazione anche se in posizione diversa dal soggetto passivo vero e proprio. 
E specificamente dell'imposta di fabbricazione risponde non soltanto il 
fabbricante, che pu� rimanere sconosciuto, ma anche ogni altro soggetto che 
abbia sottratto i prodotti all'accertamento (Cass. 26 marzo 1977, n. 1184; 26 aprile 
1982, n. 2554, in questa Rassegna, 1977, I, 322 e 1982, I, 841). 

La sentenza in esame sembra aver dato eccessiva rilevanza all'esito del 
giudizio penale. II giudicato penale non esclude l'obbligazione di imposta, anzi 
pu� costituirne la premessa, quando siano rimasti accertati i fatti costituenti 
la violazione; e nel caso l'assoluzione per mancanza di dolo non poteva avere 
una tanto rilevante influenza sull'obbligazione per l'imposta. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

540 

Si premette che non si tratta di ricercare una responsabilit� del terzo 
per lesione del credito, perch� la tutela aquiliana del credito � ammessa 
quando una perdita definitiva ed irreparabHe renda al creditoce impossibile 
procurarsi una prestazione uguale o equipollente, e nella specie si � 
manifestamente al di fuori di tale ipotesi, non essendovi alcun ostacolo 
a che l'imposta evasa potesse essere richiesta alla debitrice societ� Max 
Meyer. 

Si tratta, invece, di stabilire se il sistema positivo, a tutela della riscossione 
dell'imposta, orea una siffatta categoria di debitori sia in via 
legale che in via di risarcimento del danno. 

La ricerca � autorizzata dalle peculiarit� del sistema fiscale, che pu� 
creare figure 1di debitori di tal genere {si veda, per esempio, la responsabilit� 
dei liquidatori di societ�, responsabili del pagamento delle imposte 
dirette a termini dell'art. 265 del T.U. n. 645 del 1958). 

Ma nella materia delle imposte di fabbricazione la ricerca � negativa. 
In proposito la Corte d'Appello di Milano ha indicato alcune disposizioni 
che non autorizzano per� le illazioni che ne ha tratte. L'art. 18 della legge 
7 gennaio 1929, n. 4 regola la facolt� dcll'Amministrazione nei confronti del 
contravventore che debba rispondere, oltre che deUa contravvenzione, del 
pagamento del tributo: e quindi riguarda la ipotesi di responsabilit� penale 
(nel presente caso, invece, insussistente) e d'altra parte rinvia alle singole 
norme in forza de1le quali si debba rispondere del pagamento del tributo, 
in 1quanto soggetto passivo di esso, qualit� che il dipendente del contribuente 
evidentemente non riveste di per s�). 

L'art. 30 del r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334 non era pi� vigente a11'epoca 

dei fatti 1di cui � causa, in quanto abrogato dall'art. 25 del d.l. 5 maggio 

1957, n. 271 conv. in 1. 2 luglio 1957, n. 474 e regolava, in deroga all'art. 21 

della legge 7 gennaio 1929, n. 4, la �decisione amministrativa� delle vio


lazioni costituenti delitti in materia di imposta di fabbricazione sug;li oli 

minerali, fermo l'obbligo della corresponsione dei diritti fiscali: e cio� 

un'ipotesi peculiare di estinzione del reato, quando risultava escluso il 

proposito di frode. Esso era quindi condizionato alla suddetta definizione 

amministrativa pr.eclusiva delil.'accertamento del reato. 

Si pu� aggiungere che l'art. 136 della legge doganale allora vigente 

(25 settembre 1940, n. 1424), regolava l'obbligazione solidale di alcuni sog


getti per il pagamento dei diritti dovuti dai condannati per i delitti di 

contrabbando. Il delitto di contrabbando � il fatto generatore dell'obbligo 

del pagamento dell'imposta da parte del reo e dell'obbligo solidale di al


cuni soggetti (fra cui l'esercente degli stabilimenti industriali) per il pa


gamento del tributo stesso. 

In sostanza il terzo, non soggetto passivo del tributo, in caso di con


trabbando da lui commesso � anche obbligato al pagamento del tributo; 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

mentre � obbligato in via 1solidale il soggetto passivo (Cass. 5 maggio 1972, 

n. 1359) e cio� colui che gi� in base alle disposizioni generali degli artt. 5 
e 16 della suddetta legge doganale � il debitore dell'imposta. 
Questa Corte ha anche affermato che l'estinzione del reato di evasione 
dell'imposta di fabbricazione non preclude l'indagine, in sede civile, sull'esistenza 
del fatto-reato, da cui dipende l'obbligazione tributaria ~Cass. 9 febbraio 
1980, n. 302; Cass. 23 giugno 1972, n. 2095). L'ipotesi � l'inversa rispetto 
a :que1la della presente causa, nella :qua:le l'accertamento del reato � stato 
compiuto dal giudice competente con pronuncia di proscioglimento, di 
cui il giudice civile ha preso atto. 

In questo secondo caso, non vi pu� essere dipendenza di un'obbligazione 
(civile) tributaria, sia pure a titolo 'di danni, da un fatto-reato che 
non pu� pi� essere accertato e qualificato come tale, per 1difetto dell'elemento 
soggettivo. 

Il proscioglimento del contribuente per mancanza di :dolo non estingue 
la pretesa della Finanza di pagamento del tributo (Cass. 29 ottobre 
1975, n. 3639); ma il proscioglimento di colui che non � contribuente non 
lascia residuare alcun obbligo civile-tributario a suo carico, perch� tale 
proscioglimento comporta che sull'obbligazione tributaria si debba decidere 
soltanto secondo lle regole sue proprie {Cass. 17 aprile 1973, n. 1104; 
Cass. 25 giugno 1977, n. 2718). 

L'evasione dell'imposta di fabbricazione sugli acidi grassi di talloil e 
di cocco era, quindi, regolata dall'art. 29 e dall'art. 38 del d.l. 31 ottobre 
1956, n. 1194. L'art. 29 prevede un delitto punibile con la multa, 
indipendentemente dal pagamento dell'imposta evasa; pagamento che 
quindi � comminato a oarico dell'autore del reato, come obbligazione 
civile del medesimo dipendente. 

L'art. 38 contiene la medesima previsione, per le eccedenze di prodotti 
gravati da imposta di fabbricazione. 

L'art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1954 n. 1217, sui semi oleosi, prevede 
il debito dell'imposta di fabbricazione sulle eccedenze riscontrate rispetto 
ai carichi contabili; e l'art. 38 dello stesso d.P.R. regola il pagamento del 
tributo in dipendenza dell'accertamento del reato, da parte del colpevole. 
(� da notare che il suddetto d.P.R. n. 1217 del 1954 � stato dichiarato 
incostituzionale dalla Corte Cost. 10 aprile 1962, n. 32, s� che si applicano 
le disposizioni contenute nelle norme anteriori trasfuse nel suddetto t.u., 
quali il dJ. 30 ottobre 1952 n. 1323). 

� evidente che l'obbligazione del pagamento delle imposte � collegata 
strettamente con l'accertamento del reato, di modo che non sopravvive 
all'esclusione dello stesso con sentenza irrevocabile, a carico dell'autore 
materiale del fatto che non sia per altro verso debitore dell'imposta, 
in quanto fabbricante, depositario, etc. (omissis) 


542 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983 n. 2296 -Pres. Tambur


rino -Est. Virgilio -P. M. Grossi (conf.). Ministero delle Fina:nze 

(avv. Stato Braguglia) c. Soc. Distilleria Scardina (avv. Guerra). 

Tributi in genere -Contenzioso tributarlo -Giudizio di terzo grado Ricorso 
alla corte d'Appello -Principio della domanda -Pronuncia 
di ufficio -Esclusione. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40; cod. proc. civ., artt. 112 e 342). 
Nel giudizio di terzo grado innanzi alla Corte d'appello vanno osservate 
le norme del rito civile e fra queste anche quelle che riguardano il 
principio della domanda; di conseguenza la corte d'appello non pu� 
pronunciate d'ufficio su questioni non dedotte nei motivi di appello. 

(omissis) Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli 
artt. 112, 342, 345 cod. proc. civ. e 40 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in 
relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e sostiene che la Corte di appello 
ha rilevato di ufficio, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, una pretesa 
irregolarit� formale dell'avviso di accertamento tributario contenente 
l'irrogazione delJa pena pecuniaria, che non era stata eccepita dalla 
contribuente. 

La censura � fondata. 

Secondo l'art. 40, ultimo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, �Nel 
procedimento avanti la Corte di appello si applicano le disposizioni del 
codice di procedura civile sul giudizio di appello, salvo que1le non compatibili 
con fa natura del rapporto tributario�. 

Da questa norma di rinvio si deduce che nella fase del contenzioso 
tributario dinanzi alla Corte di appello il procedimento � modellato 
secondo le regole comuni previste dal codice di rito per il giudizio di 
appello, a meno che la peculiare natura del rapporto tributario non consenta 
,l'applicazione delle dette .regole comuni. 

I

Al di fuori ,di tale ipotesi di deroga (che nella fattispecie in esame 
non ricorre) devono perci� trovare applicazione anche le diisposizioni 

I 

secondo cui il giudice della impugnazione non pu� rilevare di ufficio questioni 
non dedotte dalle parti, dovendo ilimitarsi all'esame dei motivi di 

I 

censura che siano stati proposti contro il procedimento impugnato. 

I 

f! 
f!
1:: 

(1) La decisione, indubbiamente esatta, si basa sul richiamo che � fatto nell'art. 
40 del d.P.R. n. 636/1972 alle disposizioni del codice di procedura civile. 
t. 
l

Ma � evidente che la stessa regola vale anche per il procedimento, in tutti i b 

gradi, innanzi alle commissioni (cfr. la sentenza 30 marzo 1983, n. 2290, in questo 
fascicolo pag. 535). 

538 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di massima, tale incidenza percentuale. ~ da escludersi, pertanto, che, in 
aggiunta al 2% previsto dal legislatore, possa considerarsi, come irrilevante 
ai fini del ,riconoscimento dei benefici fiscali, anche l'ulteriore eccedenza 
di volumi, � tecnici � o non, rispetto alla cubatura complessiva 
autorizzata. 

Anche il secondo motivo va disatteso, sotto entrambi i profili, principa:
le e subordinato, in cui � stato proposto. 

Non pu� infatti ritenersi, come afferma il ricorrente, che il procedimento 
innanzi alle commissioni tributarie abbia natura di procedimento 
ufficioso e inquisitorio, che consentirebbe al giudice non solo la Hbera ricerca 
dei fatti, ma altres� l'esame di questioni di legittimit� della pretesa 
tributaria non proposte dalle parti. La giurisprudenza di questa Corte � 
invero costante nell'affermare !'.applicabilit�, a detto procedimento, del disposto 
dell'art. 112 c.p.c., e comunque va ricordato che J'art. 25, secondo 
comma, del D.P.R. n. 636 del 1972 non solo prescrive che il ricorso alla 
Commissione Tributaria Centrale deve contenere l'esposizione sommaria 
dei fatti ed i motivi dell'impugnazione, ma altres� dichiara applicabili le 
disposizioill del secondo comma dell'art. 15 dello stesso decreto; e quest'ultima 
norma dichiara inammissibile il ricorso di primo grado se risulta 
assolutamente incerto uno degli elementi indicati nel precedente comma 
alle lettere a), b), c) e d), riguardante appunto, quest'ultima, i motivi a sostegno 
del ricorso. Dal che deve desumersi che i motivi debbano essere 
espressamente indicati nel ricorso, s� che essi, se successivamente formulati, 
non possano essere esaminati e, di conseguenza, che ancor meno la 
Commissione possa, di ufficio, esaminare questioni diverse da quelle proposte 
con i motivi di impugnazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2291 � Pres. Sandulli � 
Est. Sgroi -P. M. Benanti (conf.). Giovanzoni (avv. Delitaila) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Braguglia). 

Tributi erariali indiretti -Imposte di fabbricazione -Responsabile d'imposta 
-Dipendente di societ� preposto al servizio -Assoluzione in 
sede penale � Esclusione. 

Non esiste nell'ordinamento la categoria del trasgressore in concreto 
che possa rispondere a titolo risarcitorio dell'imposta .dovuta da altro soggetto 
(nelZa specie la societ� per la quale ha agito materialmente un dipendente 
preposto), quando sia stata esclusa la responsabil.it� penale (1). 

(1) La decisione pu� ritenersi esatta in termini generali. L'autore materiale 
della violazione che abbia agito per conto di altro soggetto identificabile come 
contribuente pu� rispondere delle sanzioni (art. 10 e 12 legge 7 gennaio 1929, 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 537 

I 

~ 

pienamente legit-timo con la recente sentenza della Corte C�stituzionale i:;r= 


n. 57 rdel 25 marzo 1982, sia perch� non ha approfondito l'indagine sul conf. 
I ' 

' 

cetto di �volumi tecnici�, Ia decisione va riconosciuta esatta nel dispositivo, 
per cui, sfa pure in ,applicazione del secondo comma dell'art. 384 
c.p,c., il ricorso, sul punto, va respinto. 

In concreto, il ricorrente solleva, in punto di diritto, due doglianze, 
una attinente al mancato crispetto di una circolare ministeriale, che sarebbe 
stata erroneamente interpretaita, l'altra attinente all'afferma21ione del mancato 
riconoscimento, nella fattispecie, di irrilevanza della eccedenza di cubatura 
.riscontrata, e che, a detta del ricorrente, sarebbe 1Stata male calcolata, 
in quanto dovuta ai cosiddetti � volumi tecnici �. Nessuna delle due 
doglianze pu� essere condivisa. 

Quanto alla prima, a parte, in ogni caso, l'irrilevanza di una circolare 
ministeriale al fine della soluzione di una controversia in materia di veri 
e propri diritti soggettivi quale quello, di cui si discute, della spettanza o 
meno rdi una 1agevoJazione tributaria, sta di fatto ohe la normativa invocata 
dal ricorrente attiene a!lla disciplina di una faittispecie del tutto diversa, 
quale quella della misurazione, a fini driversi da quelli tributari, della superficie 
utilizzabile in rapporto alla volumetria dell'immobile cui essa � 
asservita, ai fini dell'applicazione non dell'art. 15, ma dell'art. 17 della legge 

n. 765, e peritanto in nulla pu� essere utilizzata nella presente causa. 
Quanto alla seconda, va osservato, anzitutto, che per volumi tecnici 
si intendono, nella prassi in materia urbaniistica, solo i volumi delle parti, 
in genere, esterne alla cope11tura dell'edificio, e destinate a completare 
impianti tecnici comunque estranei a diretta o indiretta urt:iliz:mzione abitativa, 
quali il vano necessario per l'accesso al tetto daille scale, il vano di 
alloggiamento dei motori degli ascensori, i prolungamenti delle canne fumarie 
ecc.: il che, mentre gi� di per s� comporta che debba trattarsi di 
eccessi idi volumetria minimi rispetto alla volumetria complessiva, esclude 
che possa conside:mrsi volume tecnico, nel caso di specie, un sottotetto 
di rilevante dimensione (un decimo de11'intero volume dell'edificio), che 
senza dubbio esula dalla definizione qui data. 

Soprattutto, poi, va considerato che la norma in questione (art. 15 della 
legge 6 agosto 1967, n. 765) non accenna affatto ai cosiddetrt:i volumi tecnici, 
ma si Hmita unicamente, senza distinzione, a considerare causa di 
esclusione dal beneficio del!l'esenzione dall'imposta fabbI'icato un contrasto 
che riguardi, fra l'altro, �violazioni di cubatura� che eccedano il 2% 
delle misure prescritte, dal che non pu� affatto dedursi che il raffronto 
possa fa11si fra prescrizioni e volumetria al netto dei volumi tecnici, dovendosi 
piuttosto ritenere che la to11eranza massima del 2% sia dovuta 
proprio alla considerazione defila possibile esistenza di volumi tecnici, la 
cui cubatura, per la modesta �incidenza delle loro dimensioni (conseguente 

i'

alla definizione che 1in precedenza si � data) non pu� appunto superare, 

I ' 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ci� posto, � evidente che nel caso in esame la Corte di appello ha 
violato i limiti. dei suoi poteri perch� ha dichiarato la illegittimit� dell'avviso 
di accertamento tributario per una ragione completamente diversa 
da quella dedotta dalla contribuente. 

Questa aveva contestato che la infrazione accertata a suo carico 
potesse rientrare tra quelle previste dall'art. 43 del d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 633, ed aveva eccepito comunque l'incostituzionalit� della norma per 
eccesso di delega. 
Aveva inoltre eccepito l'incostituzionalit� deil'art. 58 del citato d.P.R., 
sotto hl profilo della 1disparit� di trattamento in ordine aHa possibilit� di 
evitare l'irrogazione della sanzione pagando un sesto del massimo. 

La contribuente non aveva dunque prospettato alcuna questione sulla 
regolarit� formale e sulla legittimit� del procedimento di irrogazione 
della 1sanzione, con la conseguenza che la Corte di appello ha esaminato 
di ufficio una questione diversa, non contenuta nei motivi di impugnazione, 
e perci� sottratta alla sua cognizione. 

N� pu� sostenersi, come adombra la resistente in questa sede, che 
la richiesta �di annullamento deH'avviso di accr:tamento a causa della 
sua illegittimit� contenesse potenzialmente in s� stessa tutte le ipotesi 
di illegittimit�, e dunque, anche il vizio riscontrato daHa Corte d1 
appello: 

L'atto (amministrativo) era stato impugnato per motivi ben determinati, 
e 111on pu� pertanto ritenersi che il generico riferimento alla 
il.legittiniit� deH'atto, peraltro correlata nella specie a ragioni precise e 
determinate, potesse assumere carattere onnicomprensivo rispetto a 
tutti gli eventuali possibili vizi, di sostanza e di forma, dell'atto medesimo. 

Ci� contrasta, oltre tutto, con la regola generale della specificit� dei 
motivi Idi impugnazione di cui all'art. 342 cod. proc. civ. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983 n. 2298 -Pres. Mazzacane Est. 
Virgilio -P. M. Minetti (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Marchetti. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Acquisto area -Decadenza -Parziale violazione 
di licenza edilizia -Corpo di fabbrica indipendente -Riduzione 
proporzionale del valore da assoggettare all'imposta. 
(!. 2 luglio 1949 n. 408; !. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 41 ter). 

Ove sull'area acquistata con un atto sia stato costruito senza licenza 
edilizia un corpo di fabbrica autonomo rispetto ad altro fabbricato conforme 
a licenza, la decadenza prevista dall'art. 41 ter della legge urbani



544 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stica non opera sull'intera area ma sulla porzione interessata dalla costruzione 
senza licenza, da .determinare mediante riduzione proporzionale del 
valore dell'intera area (1). 

(omissis) Neppure il secondo motivo � fondato. 

La Commissione centrale ha ritenuto in punto di fatto che fa costruzione 
eseguita senza Hcenza edilizia � costituita da un corpo di fabbrica 
indipendente dall'edificio progettato ed eseguito in conformit� della licenza 
che era stata concessa. 

Da questa :premessa (che peraltro emergeva, come il contribuente 
aveva dedotto dinanzi alla Commissione centrale, anche da!hle risultanze 
del giudizio penale) la Commissione ha tratto la conseguenza che la sanzione 
di decadenza dai benefici fiscali potesse operare soltanto per la 
par:te di area sulla quale era avvenuta la costruzione abusiva, e non con 
riferimento all'intera supevficie costituente oggetto dell'atto di acquisto 
16 settembre 1969. 

'.Uale criterio � giuridicamente corretto perch� la formulazione dell'art. 
41 ter della legge 17 agosto 1942 n. 1150 non autoriz2ia l'interprete 
a ritenere che sia sufficiente la violazione delle norme edilizie riferibile 
ad una sola costruzione (autonoma rispetto ad altre legittimamente eseguite 
ISU un'area originariamente unica) per importare :la decadenza dei 
benefici tributari con riferimento a tutta l'area e a tutte le costruzioni. 

La norma dispone, infatti, che � le opere... senza licenza o in contrasto 
con la stessa... non beneficiano delle agevolazioni fiscali�, e fa quindi 
espresso riferimento a:Ile �opere� cons~derate nella foro entit� struttu� 
raie e funzionale, sicch� la esclusione dal beneficio non pu� ritenersi 
estensibile anche ad altre opere (aventi carattere di autonomia) e alla 
corrispondente porzione di suolo, neppure nel caso in cui quest'ultima 
porzione faccia parte di un'area originariamente unica. 

In tale situazione non esiste alcun ostacolo concettuale al frazionamento 
dell'area stessa, ai fini dell'applicazione del beneficio !fiscale soltanto 
ad una quotaiJarte di essa (<ipotesi che nel caso in esame ricorre). 

Questa Corte ha infatti ritenuto (sent. 9 dicembre 1977, n. 5327) che 
in tema di acquisto di area edificabile, qualora solo .una porzione del


(1) Il criterio della riduzione proporzionale della superficie (e del valore) 
ai fini della decadenza parziale � stato gi� affermato in relazione ad altre 
ipotesi di diverso regime tributario di porzioni acquistate con pattuizione di 
unico prezzo (Cass. 8 luglio 1974, n. 1980 in Giust Civ., 1975, I, 831; 9 dicembre 
1

l<J77, n. 5327, in questa Rassegna, 1978, I, 239). Il principio dovrebbe essere 
applicato con parsimonia, solo quando l'oggetto del trasferimento presenta 
una omogeneit� tale da consentire una riduzione aritmetica, cosa che non 

sempre si verifica nemmeno per le aree 
che una volta suddivise possono creare 

,. 

edificabili misurate a metri quadrati 

i

porzioni di valore diverso. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 545 

l'area medesima 1sia ammessa a godere dei benefici fiscali di cui all'art. 14 
della legge 2 luglio 1949 n. 408, il valore della res!iidua porzione, al fine 
dell'applicazione dell'illl!Posta ordmar1a, va determinato in frazione proporziona:
le del prezzo o del valore concordato con l'ufficio impositore, 
considerati in modo globale e unitario. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2301 -Pres. Mazzacane Est. 
Baittinelli � P. M. Cantagalli (conf.). -Collodo (avv. Falsitta) 

c. Ministero delle Finanze ~avv. Stato Angelini Rota). 
Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetti 
passivi � Organizzazione di persone non costituenti societ� � 
~ tale. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 8). 
Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza 
-Operazione di speculazione � Trasformazione e lottizzazione 
di terreni � Art. 76 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 � Nuova fattispecie 
hnpositiva � Esclusione. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 81; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 76). 
Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza 
� Determinazione � Accertamento induttivo � Riferimento ai 
valori accertati ai fini dell'imposta di registro -Legittimit�. 

A norma dell'art. 8, t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 potevano assumere 
la qualit� di soggetto passivo dell'imposta di ricchezza mobile, quale 
organizzazione di persone nei cui confronti il presupposto di imposta si 
verifica in modo unitario ed autonomo, i comproprietari di un suolo che 
abbiano compiuto operazioni di valorizzazione, e ci� indipendentemente 
dalla concretizzazione di una forma societaria (1). 

Dava luogo a plusvalenza tassabile in forza dell'art. 81 del t.u. n. 645 
del 1958, indipendentemente dalla qualit� di imprenditore del soggetto, 
una operazione di speculazione consistente nell'incrementare il valore 
degli immobili posseduti attraverso convenzioni urbanistiche, lottizzazioni 
ecc. al fine ,di realizzare un prezza di vendita superiore a quello 

(1-3) Sull'ammissibilit� di una soggettivit� tributaria non individuale e 
tuttavia non societaria (art. 8, t.u. delle imposte dirette; art. 2, lett. b, d.P.R. 

n. 598/1973) la giurisprudenza � costante (Cass. 22 luglio 1980, n. 4784 in questa 
Rassegna, 1981, I, 390, 14 gennaio 1982, n. 231, ivi, 1982, I, 577). 
Peraltro questa possibilit� non dovrebbe distogliere, come invece spesso 
avviene, dalla verifica dell'esistenza di una vera societ� di fatto, sia pure occasionale, 
rispetto alla quale la plusvalenza sarebbe tassabile indipendentemente 
dalla dimostrazione dell'intento di speculazione. Con riferimento alla situazione 



546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Irealizzabile s,enza tale attivit�. N� ci� d� luogo ad una fattispecie impo


I 
!:

sitiva nuova introdotta con l'art. 76 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (2). g 

Nella determinazione dell'entit� della plusvalenza a cui si proceda 
con accertamento induttivo, � legittimo fare riferimento ai valori accertati 
ai fini dell'imposta di registro quando debbano stabilirsi i valori di 
mercato di beni determinati (3). 

(omissis) Il primo motivo di ricorso, che attiene alla dedotta 'impos


i

sibilit� di tassazione 'autonoma e globale nei confronti di rpi� persone 
fisiche, per il solo fatto che esse partecipino ad una comunione ereditaria, 
va disatteso. 

Ai �fini della tassabilit�, infatti, era sufficiente, ai sensi dell'art. 8, primo 
comma, del t.u. n. 645 del 1958, l'esistenza di una organizzoazione di persone 
nei cui confronti il presupposto di imposta si verificasse in modo unitario 
ed autonomo, mentre non era necessario che detta organizzazione si 
concretizzasse in una vera e proprfa forma societaria: la tassabilit� era 
invero possibile allorch� si fosse in presenza di un risultato economico 
di una attivit� svolta in comune, sia pure in relazione ad un solo affare, 
alla cui riuscita avesse contribuito l'apporto personale e patrimoniale di 
pi� persone organizzate (ved. in questi sensi Cass., 27 novembre 1979, 

n. 6211, 11 novembre 1981, n. 5975 e 14 gennaio 1982, n. 231) e questi 
presupposti erano senza dubbio sussistenti nel caso di specie essendo 
pacifico ,che i ricorrenti, mantenendo ferma la comunione dei suoli, stipularono, 
in relazione a questi, congiuntamente ,una convenzione con il 
Comune di Padova, avente ad oggetto la lottizzazione ed urbanizzazione 
di specie, � frequente la evoluzione in via di fatto da una situazione statica 
di godimento, tipica della comunione, ad una attivit� produttiva caratteristica 
della societ� (Cass. 6 agosto 1979 n. 4558 in Giust. Civ., 1980, 2256). 
Di notevole interesse � la seconda massima che individua� una plusvalenza 
da operazioni su immobili non nell'acquisto e rivendita, ma nell'attivit� di 
valorizzazione di beni gi� posseduti (convenzioni urbanistiche, lottizzazioni, 

infrastrutture) al fine di realizzare un prezzo di vendita superiore a quello che 
si sarebbe realizzato senza effettuare nessuna trasformazione. In tal caso 
l'intento di speculazione non deve sussistere fin dal momento dell'acquisto 

della propriet�. 

Questa operazione {che forse non � propriamente definibile come plusvalenza 
in senso stretto, intesa come differenza tra prezzo di acquisto e prezzo 
di realizzo) � oggi dettagliatamente disciplinata nell'art. 76 del d.P.R. n. 597/73) 
addirittura come speculazione presunta, ma era gi� ricompresa nell'ampissima 
previsione del secondo comma dell'art. 81 del t.u. del 1958. 

L'utilizzazione degli accertamenti eseguiti ai fini della imposta di registro 

per determinare l'entit� della plusvalenza � stata ritenuta ammissibile non 

solo quando, come nel caso deciso, debba determinarsi il valore in mancanza 

di una indicazione di prezzo, ma anche per rettificare i valori dichiarati (Cass. 

7 gennaio ,1980, n. 75, 21 marzo 1980, n. 1904; 27 marzo 1980, n. 1908, in questa 

Rassegna, 1980, I, 618 e 958, 1981, I, 357). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dei suoli stessi, curarono la realizzazione delle opere a ci� necessarie 
dando i lavori in appalto (come espressamente riconosciuto a pag. 66 
del ricorso, in relazione al decimo motivo) ed alienarono congiuntamente, 
in pi� riprese, !� lotti -tuttora di propriet� comune ed indivisa -cos� 
realizzati. Queste attivit� senza dubbio eswavano dalla semplice amministrazione 
dei beni in comunione n� erano necessarie ai fini di una 
diV<i.sione, che ben poteva effettuarsi senza la ,realizzazione di alcuna lottizzazione, 
ed erano pertanto compiute, in modo autonomo e congiuntamente, 
anche nei confronti dei .terzi, per la realizzazione di uno scopo 
economico comune, da cui deriv� un comune profitto. E ci� era sufficiente 
a giustificare una tassazione autonoma dei ricavi delle operazioni 
(ved. Cass. 18 marzo 1981, n. 1581), senza che fosse necessario approfondire 
l'indagine ai fini dell'accertamento della sussistenza di una vera e 
propria societ�, non essendo tale requisito richiesto dal larghissimo 
dettato dell'art 8 del t.u. del 1958. 

Quanto iqui osservato basta a disattendere, ailtres� il decimo motivo 
di ricorso, col quale si contesta che potesse configura11Si, nel caso di 
specie, la esistenza di una societ� di fatto esercente una attivit� commerciale, 
non essendo ci� indispensabile ai fini della tassazione autonoma; 
comunque, dall'esame degli aitti, non risulta che una simile questione sia 
stata sottoposta all'esame della Commissione Centrale nei motivi di 
ricorso ad essa diretti, e di conseguenza, trattandosi di una questione 
non di mero diritto, ma involgente accertamenti di fatto, essa non pu� 
essere .sollevata per !la prima volta in sede .di legittimit�, per cui il 
motivo, anche sotto tale profilo, va disatteso. 

Bassando all'esame del secondo motivo, va osservato anzitutto che, in 
forza dell'interpretazione innanzi data dall'art. 8 del t.u., non ha rilevanza 
il fatto che dovesse, nel caso di specie, accertarsi fa qualit� di 
imprenditore nell'organizzazione dei partecipanti alfa comunione, e che 
comunque, a!l fine specifico della tassabilit� delle plusvalenze, non era 
affatto necessario il ricorso all'art. 100 del t.u., regolamentando detta 
norma una delle ipotesi, ma non l'unica, di realizzo di :plusvalenze. 

Detta tassabilit�, invero, era prevista in via generale dal secondo 
comma dell'art. 81 del t.u., secondo cui, oltre ai casi specificamente disciplinati 
dagli artt. 100 e 106 (presupponenti l'esercizio, effettivo o presunto, 
di attivit� tipiche di impresa), erano tassabili altres� le plusvalenze da 
�chiunque� (e quindi anche da un soggetto non imprenditore commerciale) 
realizzate in dipendenza da operazioni speculative; di conseguenza 
appare .uitroneo tutto quanto affermato cos� nel motivo in esame, come 
nel quarto motivo, in merito all'applicabilit� o meno, nel caso di specie, 
delle norme del t.u. ,disciplinanti la tassazione di societ� o di imprese 
commerciali, mentre deve riconoscersi che la tassazione era stata legittimamente 
effettuata in applicazione della previsione generale dell'art. 81. 


548 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

E, sul punto, va disatteso quanto sostenuto cos� nel motivo in esame 
come, soprattutto, ne!La memoria, circa l'impossibilit�, all'epoca, della 
tassazione di una operazione di lottizzazione in forza della norma suddetta. 

Premesso che la previsione della norma � talmente ampia e generica 
da permettere Ja sua applicabilit� a qualsiasi operazione, produttiva di 
reddito, realizzata a tale specifico fine, si osserva che, per quanto concerne 
operazioni effettuate su immobili, la fattispecie non pu� limitarsi alla sola 
ipotesi dell'acquisto al fine di una successiva rivendita (ipotesi nella quale 
il reddito imponibile � dato dall'utile netto della differenza fra prezzo di 
acquisto e prezzo di vendita), ma comprende qualsiasi altra forma di 
operazione compiuta su immobili allo scopo di incrementare il valore di 
mercato, 1al fine di realizzare un prezzo di vendita superiore a quello che 
si sarebbe realizzato senza effettuare nessuna trasformazione dei beni. 
Da ci� consegue, ida un lato, che � irrilevante tutto quanto sostenuto da 
ricorrenti in ricorso e in memoria a proposito del titolo di acquisto, 
della sussistenza di finialit� speculative al momento di tale acquisto, del 
tempo trascorso fra ,l'acquiisto e la vendita, della differenza di valore dei 
beni fra tali due momenti ecc. (trattandosi di considerazioni valide solo 
per la prima delle fattiS1peoie innanzi 1potizzate); d'altro ilato, che nella 
definizione qui data dell'operazione speculativa senza dubbio rientra ogni 
operazione di lottizzazione effettuata non mediante runa semplice divisione 

o .un frazionamento di un suolo, ma mediante la trasfovmazione del suolo 
stesso da agricolo ad edificatorio attraverso il duplice mezzo della attri� 
buzione di tale natura al suolo mediante strumenti urbanistici .(convenzione 
� ad hoc � con il Comune) e mediante opere di trasformazione 
(costruzione di strade, di fognature ecc., che non si nega essere state 
realizzate) necessarie per l'utilizzazione edilizia. 
Va pertanto riconosciuto che esattamente � stato deciiso che i vicorrenti 
hanno realizzato un utile tassabile come plusvalenza dall'attivit� 
da loro posta in essere, utile rappresentato dal maggior valore di mercato 
dei beni comuni, conseguito attraverso la foro frazionata. e pregressa 
alienazione ad un prezzo senza dubbio superiore a quello che sarebbe 
stato realizzato dalla vendita del suolo cos� come esso era loro pervenuto, 
o a quello del valore deHe singole parti del suolo che sarebbero pervenute 
a ciascuno di essi mediante una semplice divisione conseguente 
allo scioglimento della comunione ereditaria di un suoJo agricolo, .n� pu� 
vitenersi, come sostenuto dai ricorrenti, che in tal modo si effettuerebbe� 
una applicazione illegittima, in quanto retroattiva, del disposto dell'art .. 
76 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. 


Non pu� invero condividersi la tesi dei ricorrenti, secondo cui la 
tassabilit� di operazioni di lottizzazione sarebbe stata introdotta per la 
prima volta con la nuova normativa suU'I.R.P.E.F.; al contrario, gi� sotto 


~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

l'impero del T.U. del 1958 non si dubitava affatto, data l'ampia e generica 
dizione del secondo comma de1l'art. 81, che potessero tassarsi le 
plusvalenze dovute ad operazioni di lottizzazione: sul punto la giurisprudenza 
di questa Corte � ormai consolidata (ved. sent. 2 luglio 1977, n. 2880, 
28 aprile 1979, n. 2469, 12 ottobre 1979, n. 5325, 8 settembre 1980, n. 5166, 
14 ottobre 1980, n. 5509), essendosi sempre riconosciuto che pu� rientrare 
nella definizione di �operazione speculativa� ai sensi dell'art. 81 del T.U. 
del 1958 una operazione di trasformazione di suoli e di lottizzazione idonea 
ad incrementare il valore di mercato. Non � esatto pertanto, che 
l'art. 76 del D.P.R. n. 597 del 1973 abbia introdotto una nuova fattispecie 
impositiva, essendosi detta norma limitata a prendere atto di una interpretazione 
giurisprudenziale e di una prassi di tassazione gi� in atto, ed 
avendo specificamente definito un tipo di attivit� di speculazione comunque 
gi� rientrante nella previsione generica della normativa precedente, 
con l'unica innovazione di creare una presunzione iuris et de iure 
di sussistenza di una fattispecie imponibile, il cui accertamento, in precedenza, 
era rimesso, caso per caso, al libero convincimento dell'interprete 
e ai principi generali sull'onere della prova. 

Va disatteso anche il terzo motivo, con cui si lamenta che sarebbe 
stato ritenuto legittimo l'accertamento della plusvalenza sulla base dei 
prezzi di vendita accertati ai fini della tassazione per imposta di registro. 
Come gi� chiarito in precedenza, il calcolo della plusva!lenza, in ipotesi 
come quella di ispecie, va effettuato non gi� in funzione della differenza 
fra prezzo {o valore) di acquisto originario e prezzo di vendita, 
bens� del maggior utile conseguito da ;una vendita 1di beni lottizzati rispetto 
ad una vendita degli stessi terreni non lottizzati: parametro, questo 
secondo, non certamente desumibile da dati certi, ma unicamente da 
una indagine sui prezzi e valori di mercato, il che ben consente l'utilizzazione 
degli stessi dati per l'accertamento del ricavo conseguito, specie 
in caso di accertamento induttivo, come quello di ispecie, legittimamente 
effettuato dall'ufficio impositore a sensi dell'art. 37, terzo comma, del 

T.U. del 1958 in mancanza di dichiarazione �dei redditi in questione. Sul 
punto, inoltre, va osservato che la questione relativa all'incidenza, sull'accertamento, 
della svalutazione monetaria, non era stata proposta alla 
Commissione Centrale nei motivi di ricorso, che la definizione del � quantum
� era stata rimessa, con la decisione qui impugnata, alla Commissione 
di secondo grado competente per materia e che, per i termini di 
rai�fronto innanzi precisati ai fini del calcolo della plusvalenza (ricavo 
dalla vendita di suoli non lottizzati e ricavo dalla vendita di suoli lottizzati), 
la svalutazione � irrilevante, operando su entrambi i termini di paragone; 
comunque, la questione resta impregiudicata, non essendo allo 
stato ancora definito l'imponibi<le, s� che essa ben potr� essere esaminata 

550 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

innanzi alla Commissione di merito, nei limiti dei poteri a questa spettanti 
nella soluzione di quesitioni di estimazione nascenti da un accertamento 
induttivo. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1983, n. 2304 -Pres. Mazza. 
cane -Est. Vivgilio -P. M. Morozzo della Rocca (diff.). Ministero 
deNe Finanze (avv. Stato Sali.mei) c. Fallimento Pelliz2la. 

Tributi locali -Imposta locale sui redditi -Societ� di persona -Accertamento 
� Notifica a socio fallito -Necessit�. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, art. 2; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 40, 41, 42). 
L'accertamento per l'imposta locale sui reddJif.i dovuta da una societ� 
di persone deve essere notificato anche al curatore del socio che sia 
fallito. (1). 

(omissis) Con unico motivo l'Amministrazione deduce che erroneamente 
la Commissione centrale ha ritenuto la nullit� dell'avviso di accertamento 
per imposta locale sui redditi (ILOR) e della relativa iscrizione 
a ruolo, a carico della societ�, per non essere stato il detto avviso, 
riguardante i redditi della societ�, notificato al curatore di un socio 
fallito. 

Sostiene in particolare la ricorrente che a norma dell'art. 5 D.P.R. 29 
settembre 1973, n. 597 le societ� personali non sono pi� soggetti passivi 
ai fini della imposta personale sui redditi (IRPEF e IRPEG), mentre ai 
fini dell'imposta 'locale sui redditi (ILOR) ['art. 2 D.P.R. 29 settembre 

(1) La decisione non pu� essere condivisa. Se soggetto passivo dell'ILOR 
� soltanto la societ� di persone l'accertamento deve essere notificato esclusivamente 
alla societ�, se non altro perch� il socio non � legittimato come tale 
ad impugnare l'accertamento, anche se � illimitatamente responsabile per il 
debito della societ�. Le norme tributarie (art. 5 d.P.R. n. 697/1973, artt. 6 e 40 
d.P.R. n. 600/1973) prevedono l'accertamento unitario nei confronti della societ� 
anche ai fini dell'IRPEF, bench� i redditi prodotti dalla societ� siano imputati 
pro quota ai soci che sono i soli contribuenti; ma ai fini ILOR � di tutta 
evidenza la irrilevanza della posizione dei singoli soci. 
Sembrerebbe che la sentenza intenda basare la necessit� della notifica al 
socio non sulle norme tributarie ma solo sull'intervenuto fallimento; non si 
comprende tuttavia, in base a quale principio di portata generale il fallimento 
modifichi la soggettivit� della societ� e renda necessaria la partecipazione ai 
singoli soci (o al curatore) degli atti diretti alla societ�. Il socio pu� reagire 
contro l'accertamento, e contro ogni altro atto, solo in qualit� di amministratore 
della societ� (cosa che non � pi� il socio fallito e non � di certo il curatore 
del fallimento), ma non ha certo diritto a ricevere personalmente la 
notifica. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

1973, n. 599 annovera le societ� stesse tra i soggetti passivi di tale tributo. 

Poich� le dette societ�, per l'art. 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 
sono tenute a presentare la dichiarazione dei redditi, sia ai fini dell'ILOR, 
da esse dovuta, che dell'IRPEF e dell'IRPEG dovute dai soci, gli accertamenti 
in rettifica o di ufficio vanno fatti � con unico atto � alla societ� 
per tutti tali tributi. 

Nel caso di specie, gli avvisi di accertamento e la iscrizione a ruolo 
della imposta (ILOR) furono quindi effettuati legittimamente nei confronti 
delle sooiet�, mentre non era necessaria la notificazione dei iI'edditi 
delle ,societ� ,stesse anche al curatore, in quanto questo rappresenta soltanto 
il patrimonio del socio fallito e non la societ� della quale faceva 
parte il detto socio. 

Conclude la ricorrente che ritualmente l'avviso di accertamento fu 
notificato alle societ� interessate, con consegna ai singoli soci rappresentanti 
della societ� (art. 2997 cod. civ.), e che fu del tutto superflua la notificazione 
dell'avviso anche al socio fallito, perch� dopo la dichiarazione 
del fallimento egli era rimasto escluso di diritto dalla societ� (art. 
2288 e.e.). 

La questione da risolvere consiste nello stabilire se la rettifica di accertamento 
de1).'imposta ILOR gravante su societ� di fatto deve essere 
notificata, oltre che alla societ� stessa (e per essa ai singoli soci), anche 
al curatore del fallimento di uno dei soggetti gi� partecipe della societ�. 

Le Commissioni tributarie hanno ritenuto che la rettifica dei redditi 
delle due societ� delle qruali faceva parte il Pellizza doveva es:sere notificata 
non soltanto ai soci ma anche al curatore del fallimento del Pellizza 
medesimo, e che !l'omessa notificazione al curatore comportava la inefficacia 
dell'accertamento e la nullit� della iscrizione a ruolo delle imposte 
ILOR. 

La Corte ritiene che i criteri cui � ispirata :la decisione della Commissione 
centrale sono esatti. 

La circostanza che l'aLt. 2 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 comprenda 
tra i soggetti passivi dehl'imposta locale sui redditi anche le societ� 
di ogni tipo, e che queste siano tenute, ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. 
29 settembre 1973, n. 600, alla presentazione della dichiarazione dei redditi 
sia agli effetti ILOR che IRPEF e IRPEG, non esclude che -ove 
intervenga il fallimento di uno dei soci -la notificazione dell'avviso di 
rettifica dei redditi accertati a carico della societ� (e facenti carico, pro 
quota, al fallito) debba essere effettuata anche a� curatore del fallimento, 
il ,quale solo in tal modo � posto in condizione di contestare l'esistenza 

o la misura del reddito gravante sul fallito. 
Vero � che ai sensi degli artt. 40, 41 e 42 del citato D.P.R. n. 600 del 
1973 la rettifica o l'accertamento di ufficio devono essere notificati alla 
societ� con unico atto, sia ai fini ILOR che agli effetti IRPEF e IRPEG, 


552 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ma tali norme, dettate per i casi normali, vanno coordinate con la disciplina 
del faHimento, con la conseguenza che -ove uno dei soci di runa 
societ� di persone sia 1stato dichiarato fallito -la notificazione dell'accertamento 
in rettifica dei redditi prodotti dalla societ� deve essere effettuata 
anche nei �Confronti del curatore, affinch� l'accertamento stesso, 
ai fini del tributo a carico del fallito, diventi opponibile al fa1limento. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 31 marzo 1983, n. 2350 -Pres. Mirabelli 
-Est. Canti:llo -P. M. Miccio (conf.). Strukel c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato D'Amico). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ripartizione di potest� tra 
commissioni di primo e secondo grado e corte d'appello -ti: questione 
di competenza funzionale e non di giurisdizione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 40). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Questione 
sulla natura agricola o edificatoria dei suoli -Inammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, artt. 26 e 40). 
L'attribuzione del potere decisorio sulle questioni di valutazione estimativa 
alle commissioni di primo e secondo grado oppure alla corte d'appello 
d� luogo ad una questione di competenza funzionale e non di giurisdizione 
{1). 

La controversia sulla natura .edificatoria o agricola dei suoli pu� essere 
por.tata innanzi al giudice di terzo grado solo sul punto preliminare 
della interpretazione di atti normativi, amminis-trativi o negozi giuridici 
per stabilirne la rilevanza in relazione al bene oggetto della stima. In 
ogni altro caso il giudizio � rimesso esclusivamente alle commissioni di 
primo e secondo grado anche quando � in riferimento ad atti giuridici o 
a norme di cui non sia controverso il contenuto e la concreta efficacia (2). 

(1-2) Decisione di molto interesse che apporta nuovi contributi al ricchissimo 
tema del giudizio di terzo grado. Sull'argomento della prima massima 
la S.C. si era pronunciata nello stesso senso con una decisione meramente 
enunciativa (4 marzo 1981, n. 1240, in questa Rassegna, 1981, I, 813). Oggi l'argomento 
� affrontato con ampia motivazione che si propone di dare una soluzione 
non solo al quesito se i limiti al potere decisorio diano luogo ad una questione 
di giurisdizione o di competenza (dubbio che viene superato risolvendosi 
in una questione di inammissibilit� dell'impugnazione), ma anche al pi� 
complesso problema della posizione della Corte d'appello in un processo di 
giurisdizione speciale. La indubbia unit� del processo tributario nel quale la 
corte d'appello, non diversamente dalla Commissione centrale, oltre alle decisioni 
di merito, pu� pronunziare decisioni di annullamento con rinvio, esclude 



PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 553 

(omissis) 1. -Con il ;primo motivo, denunziando la violazione dell'art. 
40 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, la ricorrente critica la sentenza impugnata 
per avere dichiarato improponibile l'appello sul rilievo che la determinazione 
del valore dell'immobile trasferito con l'atto del 18 aprile 
1973, oggetto dell'accertamento fiscale, comporta un giudizio di mera 
estimazione, laddove, essendo preliminarmente necessario accertare il regime 
giur1dico del suolo e interpretare il contratto di vendita, si tratta 
di una questione di estimazione complessa, che poteva essere conosciuta 
dalla Corte di Appello. 

La censura non merita accoglimento. 

Occorre anzitutto avvertire che non involge un problema di giurisdizione 
l'indagine diretta a stabilire 1se una data questione di fatto, implicata 
dalla controversia tributaria, sia �relativa a valutazione estimativa
� e perci� sottratta, ai .sensi degli artt. 26 e 40 del D.P.R. cit., ailla 
cognizione della Commissione tributaria centrale e della Corte di appello. 

La soluzione negativa � di intuitiva evidenza rispetto ai ricorsi proposti 
alla Commissione centrale, la quale � organo di giustizia tributaria 
dello stesso ordine di giurisdizione speciale al quale appartengono le 
commissioni tributarie �di primo e di secondo grndo; accertare, quindi, se 
fa questione, a motivo della sua inerenza, o meno, all'area della valutazione 
estimativa, debba ritenersi riservata a tali commissioni o di essa 
possa conoscere la commissione centrale in sede di gravame (di secondo 
grado) � problema che non incide sulla giurisdizione, bens� sulla ripartizione 
della competenza interna tra giudici dell'unica giurisdizione speciale, 
coordinati fra loro per ragioni di grado e di materia (v. sent. n. 3077 
del 1978; n. 5086 del 1977). 

Ma ad uguale conclusione si deve pervenire {secondo l'indicazione 
data dalla sentenza della prima Sezione n. 1240 del 1981) anche quando 
quel problema si presenti, come nella specie, con riguardo a!ll'impugnazione 
della decisione della commissione di secondo grado davanti alla 
Corte di appello, nel qual caso l'appartenenza dell'organo �ad.la giurisdizione 
ordinaria sembra dar corpo all'opinione contraria, potendosi so-

che tra commissioni di primo e secondo grado e corte d'appello esista una 

diversit� di materia e conferma invece la unicit� della giurisdizione sulla stessa 

lite; di conseguenza se rispetto ai diversi organi pu� esservi una diversit� dei 

procedimenti, ci� non influisce sulla unit� oggettiva della giurisdizione ripar


tita (competenza funzionale per gradi) fra organi che, dal punto di vista sog


gettivo, conservano la loro diversit�. 

L'argomento della seconda massima, dopo una isolata pronunzia non 

coerente (Cass. 25 febbraio 1980 n. 1307, in questa Rassegna, 1981, I, 109) � ormai 

risolto pacificamente: stabilire se un suolo abbia natura agricola o edificatoria 

� una questione di valutazione sottratta al giudice di terzo grado anche quando 

influisce sulla valutazione l'applicazione di norme, atti amministrativi o negozi 

giuridici la cui efficacia non sia controversa; come acutamente rileva la sen


tenza in esame, ogni valutazione inevitabilmente investe profili giuridici che 



554 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

stenere -ed � la tesi prospettata in ricorso -ohe l'individuazione della 
natura della questione oggetto della controversia attenga ai limiti della 
competenza giurisdizionale di detto giudice rispetto a quella del giudice 
speciale. 

In tal modo ragionando non si tien conto che -diversamente da 
quanto accadeva nel sistema del contenzioso precedente alla riforma, in 
cui il giudizio davanti �all'autorit� giudiziaria o:rdinaria era del tutto distinto 
da quello che si svolgeva presso le commissioni tributarie (ciascuno 
1sviluppandosi in maniera indipendente, secondo un modello processuale 
compiuto nella struttura e nei suoi gradi) -nel nuovo ordinamento 
della .giustizia tributaria, delineato in conformit� al principio direttivo 
racchiuso nell'art. 10, n. 14, della legge di delega 9 ottobre 1971, 

n. 825, il :riicorso alfa Corte di appe11o non d� luogo ad un'autonoma azione 
giudiziaria ordinaria (oggi ammessa solo per talune imposte diverse 
da quelle elencate nell'art. 1 del D.P.R. n. 636 del 1972), ma configura 
un normale mezzo di impugnazione, previsto nell'ambito dell'unico processo 
tributario come rimedio alternativo di contenuto uguale al ricorso 
alla Com:rnissione centrale. Il giudizio iniziato presso le commissioni tributarie 
continua ad ogni effetto innanzi alla Corte di appello, secondo 
lo schema proprio delle impugnazioni ordinarie; al pari del ricorso alla 
Commissione centrale, il rimedio costituisce un mezzo di gravame illimitato 
della decisione impugnata, proponibile sia per violazione di leggi 
sostanziali e processuali .(compresi, dunque, i vizi in procedendo) che 
per errata risoluzione di questioni �di futto, eccettuate le statuizioni relative 
a mera valutazione estimativa e alla misura delle sanzioni pecuniarie, 
impugnabili solo per violazione di legge; salve le consel�llenze di tale 
limite, vanno riconosciuti alla Corte di appello, quale giudice di un gravame 
sostitutivo, gli stessi poteri decisori che spettano alle commissioni 
dspetto agli atti dehl'amministrazione tributaria; tanto per il ricorso alla 
restano per� meri antecedenti logici della pronunzia estin:iativa. Solo quando 
nasca controversia di diritto sulla validit� o sulla portata di atti o negozi 
giuridici o sulla interpretazione di norme giuridiche influenti sulla valutazione 
� ammessa l'impugnazione in terzo grado (Cass. 8 gennaio 1981, n. 137, in questa 
Rassegna, 19&2, I, :121; 17 dicembre 19&1, n. 6678, ivi, I, 365); ma in tal caso, 

osserva ancora esattamente la sentenza in rassegna, il giudice di terzo grado 
pu� decidere soltanto la questione preliminare di diritto disponendo se del 
caso il rinvio per rinnovare la valutazione. 

Da notare infine che nel definire l'ambito delle questioni sottratte all'impugnazione 
di terzo grado � stato riaffermato che � ricompreso nella valutazione 
estimativa anche l'accertamento della esistenza del presupposto materiale 
del tributo; su questo aspetto di rilevante portata (BAFILE, Il giudizio di 
terzo grado nel processo tributario, Milano, .1982, 66 ss.) la giurisprudenza si 
� ormai attestata dopo qualche esitazione (21 maggio 1981, n. 3329 in questa 
Rassegna, 1982, I, 140; 27 giugno 1981, n. 4185, ivi, 1512; 15 marzo 1982, n. 1674, 

ivi, 819). 

111111ra11m11111+11rililflllfllllt:1:w�11�111a;1111111r1t11:fi:i 



PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

commissione centrale quanto per quello alla corte :di appello talune pronunzie 
di accoglimento comportano il rinvio della controversia alla commissione 
di secondo grado o a quello di primo grado (artt. 25 e 40 cit.), 
ci� che conferma, oltre all'i!dentit� di posizione dei due organi, il carat� 
tere unitario del processo. 

Il ilegisfatore della riforma, cio�, ulteriormente attenuando la specialit� 
della giurisdizione in materia -in precedenza gi� circoscritta alla 
fase di merito, per essere tutte le decisioni definitive dei giudici speciali 
ricorribili in cassazione per violazione di legge, ex art. 111 Cost. -ha 
costruito un processo tributario di merito che non � affidato in modo 
esclusivo agli organi speciali, essendo chiamato a partecipare ad esso, 
sia pure rper un grado e in via alternativa, un organo della :giustizia ordinaria. 


Ora, nel nostro ordinamento la distinzione fra giurisdizione ordinaria 
e <(residue) giurisdizioni speciali � basata anzitutto suMa specialit� della 
materia e derivativamente sulla specialit� degli organi, in quanto quella 
materia sia altres� affidata ad un ufficio o ad un complesso di uffici giudiziari 
diversi da quelli ordinari; un probJema di giurisdizione, quindi, 
come non si pone tra organi dello stesso ordine, i cui compiti siano ri� 
partiti per ragioni di materia (la specialit� rpu� solo dar luogo, nella giurisdizione 
ordinaria, ad un giudice specializzato), cos� non si configura 
tra giudici che, sebbene appartengano ad o:rdini distinti, per disposto 
normativo siano istituzionalmente collegati quali organi di fasi o gradi 
diversi dello stesso processo e preposti, dunque, all'esercizio della med_
esima giurisdizione, intesa in senso oggettivo, come sistema di tutela 
:giudiziaria dei diritti e interessi inerenti ad una determinata materia. In 
tal caso, la diversa collocazione degli uffici pu� conservare valore sul 
piano della .disciplina del procedimento, che nei vari gradi sar� regolato, 
se non sia altrimenti stabilito, dalle norme proprie del� :giudice innanzi al 
quale si svolge, ma pert:le rilievo giuridico ai 1f.ini della qualificazione dei 
rapporti tra gli stessi: le norme che determinano le funzioni degli organi 
in fasi o gradi distinti dello stesso processo sono, per definizione, interne 
a!lla giurisdizione rper la quale esso � istituito e attengono perci� sempre 
alla competenza (nell'accezione ampia, comprensiva della competenza 
funzionale per gradi). 

Appunto .una tale confiluenza di .umici di :giurisdizione ordinaria �e 
speciale si verifica nel processo in esame, nel quale la Corte di appello � 
istituzionalmente inserita, come si � visto, quale giudice di terzo grado, 
collegato aMe commissioni in virt� del rapporto di impugnazione. 

Essa va pertanto considerata organo della stessa :giurisdizione affidata 
nei primi due gradi alle commissioni tributarie; e ci�, sebbene non 
incida n� sulla natura di questi giudici, che non vengono attratti nell'orbita 
della :giustizia o:ridinaria, n� sulla posizione della Corte di appello, 


556 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

che non si trasforma in giurisdizione speciale, conduce a ritenere che i 
rapporti fra tali organi debbano qualificarsi in termini di competenza 
funzionale, tali essen!do quelli tra giudici sottordinati e giudici sovraordinati 
nell'ambito dello stesso processo. 

N� questa organizzazione del processo adottata dalla nuova legge, 
per cui un giudizio iniziato davanti a giudici speciali continua in fase 
di impugnazione innanzi ad U1D. giudice ordinario, pu� considerarsi fenomeno 
del tutto anomalo, posto che gi� nel contenzioso tributario precedente 
alla riforma il giudizio innanzi a11a Corte di cassazione, a seguito 
di ricorso avverso le decisioni della Commissione centrale, veniva considerato 
quale prosecuzione di quello presso le commissioni (cfr., fra 
numerose aftre, S.U. n. 1635 del 1971). 

Si deve conseguenzialmente affermare che la disposizione dell'art. 40, 
la quale definisce l'ambito del giudizio di impugnazione davanti alla 
corte di appello, � norma attinente alla competenza funzionale di tale 
organo interna alla stessa giurisdizione attribuita nei primi due gradi alle 
commissioni tributarie e perci� stabilire se una questione debba ritenersi, 
o meno, inerente a valutazione estimativa non d� luogo a problema 
di giurisdizione, ma concerne l'ammissibilit� dell'impugnazione. E 
questa soluzione � anche la pi� razionale, essendo inconcepibile che lo 
stesso problema possa ritenersi attinente alla giurisdizione ove si prospetti 
nel giudizio davanti alla Corte di appello e alla competenza, invece, 
ove insorga nel giudizio davanti alla Commissione centrale. 

2. -Sullo specifico problema che suscita il ricorso -in quali casi, 
cio�, l'indagine circa la natura agricola o edificatoria di un terreno, allo 
scopo :di determinarne .n valore agli effetti dell'imposta di registro e delINVIM, 
fuoriesca dall'ambito degli accertamenti di fatto inerenti alla 
valutazione estimativa -questa Corte si � ripetutamente pronunziata 
nel senso :che ci� si verifica tutte Je volte che quella qualificazione imponga 
di deliberare profili di diritto in contestazione fra le parti e pertanto 
si renda necessario interpretare atti normativi, amministrativi o 
negoziali ovvero, pi� in generale, stabilirne la rilevanza e l'applicabilit� 
in relazione al bene oggetto della stima, come quando venga in discussione 
l'esistenza, la validit� o la portata di prescrizioni e vincoli imposti 
da uno strumento urbanistico. In ogni ailtra iipotesi si �. in presenza di un 
accertamento demandato esclusivamente a1le commissioni tributarie di 
primo e di secondo grado, sicch� � tale tanto il giudizio espresso in base 
solo ad elementi materiali relativi alle caratteristiche del terreno, alla 
sua ubicazione, all'esistenza di infrastrutture, etc., quanto quello reso 
con riferimento ad atti giuridici o in conformit� a norme che definiscono 
il regime giuridico del suolo, sempre che non siano controversi iJ contenuto 
e ila concreta efficacia di tali atti e norme (v. sent. n. 6678, 6196, 

PARTE I, SEZ. VI, GI'C,JRISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nn. 4285, 3329, e 137 del 1981; n. 3898 del 1980; n. 5881 e 2556 del 1979; 

n. 2553 del 1975). 
Anche nel vigore del precedente contenzioso questa Corte era pervenuta 
alle medesime conclusioni, inquadrando nell'estimazione semplice 
la verifica del:la natura agricola o edificatoria non involgente la risoluzione 
di problemi giuridici. Ma nel nuovo sistema il principio trova diretto 
fondamento nehla legge (artt. 26 e 40 dt.), la quale distingue la valutazione 
estimativa, come attivit� di giudizio consistente nena determinazione 
quantitativa dell'imponibile, dalle questioni che occorre risolvere 
per pervenire a questo risultato e appunto in relazione alla natura di 
tali questioni definjsce il limite dell'impugnazione che pu� essere !Proposta 
in materia alla Commissione tributaria centrafo o alla Corte di appello: 
1sono riservate aille commissioni di primo e di secondo grado la 
valutazione estimativa e le questioni di fatto ad essa inerenti, comprese 
quelle in ordine al:l'accertamento della esistenza del presupposto materiale 
del tributo; iii .gravame � ammesso, invece, per le questioni di diritto, 
in 1quanto si deduca, cio�, l'errore nella soluzione di problemi giuridici 
implicati dool'estimazione, ai quali � altres� ciricoscritta la potestas 
iudioandi del giudice (il rquale anche quando occorra, per effetto dell'accoglimento 
del rico11so, rinnovare iil giudizio di estimazione, non pu� procedervi 
direttamente, ma deve rimetterfo al giudice di secondo grado). 

Ci� significa che una pronuncia di estimazione, :fondata sulla qualifica 
agraria o edificatoria di un suolo, pu� essere impugnata sotto questo 
aspetto solo .se siano controversi i presupposti giuridici della qualificazione, 
per modo che sussista una questione di �diritto in relazione a11a 
quale si possa configuraDe un vizio della statuizione denunciabile al giudice 
di terzo grado, mentre non ha aloun rilievo che l'accertamento della 
quail.ifica sia stato compiuto dalla commissione di secondo grado tenendo 
conto anche di norme relative all'utilizzazione del bene o del contenuto 
di atti giuridici, che, in quanto pacificamente ritenuti applicabili, costituiscono 
meri antecedenti logico-giuridici della pronuncia medesima (la 
qual rcosa si verifica, del resto, in ogni giudizio estimativo, che inevitabilmente 
investe !Profili giUII'idici). 

Nella specie, la Corte di appello ha osservato che fa decisione di secondo 
grado aveva affermata la natura edificatoria del suolo alla stregua 
di apprezzamenti di fatto riguardanti la sua edificabilit� in concreto, essendone 
pacifica l'inclusione tra le aree edificabili secondo i parametri 
stabiliti per quel:le ricadenti nella zona B del piano regolatore di Trieste; 
e che, d'altra parte, anche con l'atto di appelli;> 'non erano stati prospettati 
problemi giuridici al riguardo, sicch� la controversia riguardava 
una questione di mero fatto attinente ahl'estimazione. E questa conclusione 
� corretta, siccome pienamente aderente al principio sopra enunciato. 
(omissis) 


558 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2449 -Pres. Mazza


caine -Est. Maltese -P. M. Grossi (conf.). Merli c. Ministero delle 

Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi in genere -Prescrizione -Interruzione con effetto permanente Domanda 
di insinuazione nel passivo fallimentare -Interruzione fino 
alla chiusura del fallimento. 

(e.e. art. 2943 e 2945). 
La domanda ,di ins,inuazione nel passivo fallimentare interrompe la 
prescrizione con effetto permanente fino alla chiusura del fallimento 
anche nei confronti dei condebito11i solidali (1). 

(omissis) Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa 
applicazione degli artt. 2945, 2943 cod. civ., in rel, all'art. 360, n. 3 c.p.c. 

Sostiene che, contro la 'lettera dell'art. 2945 e.e., involgente nozioni 
come quella di � gtudizio �, � sentenza definitiva� e �passaggio in giudicato 
�, la corte d'appello avrebbe riconosciuto il carattere permanente 
dell'interruzione della prescrizione -nel corso dell'intera procedura fallimentare 
-per effetto della domanda di ammissione al passivo del credito, 
cui non seguirebbe, ,invece, secondo il rico!1rente, fa pronuncia di 
una sentenza e la formazione del giudicato. 

La censura � infondata. 

La gturisprudenza, invero, � ormai orientata nel senso che la domanda 
,di insinuazione al passivo fallimentare va qualificata come causa 
interruttiva con effetto permanente della prescrizione sino alfa chiusura 
del fallimento {Cass., 7 novembre 1973, n. 2913; 29 gennaio 1979, n. 634; 
19 giugno 1981, n. 4014), con la stessa efficacia verso i coobbligati in solido, 
normalmente derivante dalla proposizione della domanda giudiziale 
<Cass. S.U. 10 novembre 1973, 2970; Cass., 11 novembre 1974, 3541; 
25 gennaio 1978, 333; 24 marzo 1979, 1708). Questi principi sono stati 
ribaditi fra le 1stesse parti del presente giudizio dailla citata sentenza del 
19 giugno 1981, n. 4014, che ha ricordato come l'istanza di ammissione 
al passivo integri g}i estremi di una domanda � non soltanto di accerta


1

mento ma sostanzialmente di condanna alla soddisfazione del credito 
(nei modi :propri del procedimento fallimentare) �. La relativa decisione 
acquista autorit� di cosa giudicata; e l'effetto inteI1I"Uttivo, prosegue la 
sentenza, � si estende per intero agli altri debitori in solido � e va riferito, 
nel tempo, non al :semplice provvedimento che decide sulla ammissibilit� 
del credito (essendo lo stesso limitato all'accertamento del diritto) 
ma al provvedimento di chiusura della procedura fallimentare. 

(1) Giurisprudenza pacifica secondo il diritto comune applicabile anche ai 
rapporti tributari. 

PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 559 

Si deve ritenere, pertanto, che correttamente i giudici di appello, nel 
distinguere il duplice oggetto della domanda di ammissione ail passivo accertamento 
del credi,to e partecipazione ailla ripartizione dell'attivo abbiano 
riconosciuto la necessaria permanenza dell'effetto mterruttivo 
della prescrizione oltre i limiti temporali della dichiarazione di esecuto\
l'iet� dello stato passivo, fino alla ripartizione dell'attivo ed alla chiusura 
delle operazioni 1faillimentari. 

Le considerazioni svolte esauriscono anche il tema trattato nella seconda 
rparte del secondo motivo del ricorso, ove si denuncia la violazione 
dell'art. 1310 cod. civ., sostenendo che per il condebitore solidale l'effetto 
interruttivo della prescrizione sarebbe <limitato all'accertamento del credito, 
con esclusione del successivo momento processuale della ripartizione 
dei beni. 

Tale fatevpretazione, come si � detto, � in contrasto con la giurispru� 
denza, che, proprio in considerazione della natura e dell'oggetto della domanda 
di insinuazione al passivo, ha enunciato l'op[posto principio della 
permanente efficacia dell'effetto interruttivo anche nei confronti del condebitore 
solidale, fino al compimento dell'intera procedura concorsuale. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 �aiprile 1983, n. 2451 -Pres. Tamburrino 
-Est. Caizzone -P. M. Grossi (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Salimei) c. Soc. Comedil Gru. 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Bilancio -Rettifica delle poste 
attive -Obbligo dell'ufficio di adeguare anche le poste passive -Esclusione 
-Onere della prova -Applicazione. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 91 e 119). 
Quando l'ufficio procedendo legittimamente ad accertamento abbia 
rettificato in aumento le poste attive, non ha il dovere di adeguare anche 
le poste passive; ci� � contrario al principio dell'intangibilit� del bilancio 
e non risponde alle regole dell'onere della prova (1). 

(1) Conforme � la coeva sentenza n. 2452. Decisione di rilevante interesse 
indubbiamente esatta. Certamente l'ufficio non ha, oltrech� il dovere, la materiale 
possibilit� di modificare il bilancio nelle poste passive ogni volta che 
abbia rettificato in aumento le poste attive. Ci� � particolarmente evidente 
nel caso in cui l'accertamento sia stato eseguito a norma dell'art. 119 del t.u. 
delle imposte dirette, quando cio� siano state rettificate, anche induttivamente, 
alcune voci di un bilancio che resta come base di un accertamento sostan� 
ziale analitico (conf. fra le numerose in termini 6 marzo 1980, n. 1500, in 
questa Rassegna, 1981, I, 125); in tal caso l'intangibilit� del bilancio non pu� 
essere superata. Potrebbe tuttalpi� tenersi conto dell'incidenza di costi e oneri 

560 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con l'unico mezzo del ricorso, l'Amministrazione ricorrente 
deduce violazione degli artt. 81, 91 e 119 del T.U. 19 gennaio 1958, n. 645 
sulle imposte dirette, in relazione aH'art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la C.T.C. 
ritenuto incombesse alla Finanza un onere, quello di integrare le impostazioni 
di bilancio relative aHe spese necessarie per ottenere i ricavi 
lordi omessi, che �non era previsto da alcuna disposizione di legge. 

La censura � fondata. 

Invero, l'Ufficio non aveva alcun obbligo di integirazione o correzione 
induttiva delle poste passive, anzitutto perch� un tale obbligo � espressamente 
previsto daUa legge (art. 119, .c�mma terzo, [egge n. 645 del 1958) 
solo nel oaso di indicazione di � spese e perdite inesistenti o superiori 
a quelle effettive � e non certo in quello �diametralmente opposto �) di 
denuncia in bilancio di spese inferiori a quelle effettivamente sostenute 
(correlativamente a ricavi lo~di maggiori di quelli indicati). 

Tale precisa delimitazione legale dell'obbligo dell'Ufficio �, del resto, 
conseguente ai principi generali vigenti in materia che la costante giurisprudenza 
di questa Suprema Corte non ha mancato di enunciare. 

Deve premettersi che la definizione di �reddito netto� enunciata 
dall'art. 91 dell'abrogato T.U. n. 645 del 1958 (differenza tra l'ammonta.re 
dei ricavi lordi che compongono il reddito soggetto all'imposta e l'ammontare 
delle spese e passivit� inerenti alla produzione di tale reddito) 
� una regola di carattere sostla:nziale che -come tale -sul piano contenzioso 
va integrata dalle regole ordinarie sulla ripartizione dell'onere 
della prova ai sensi dell'art. 2697 e.e. 

Applicando questo principio, deve ritenersi incombere all'Amministrazione 
la prova del fatto costi1lutivo della pretesa fiscale, sia per 
il'� an � che per il �quantum debeatur �, ed al contribuente l'eventuale 
analoga prova di fatti impeditivi, modificativi ed estintivi di tale pretesa. 

adeguati ai proventi lordi solo quando si procede all'accertamento totalmente 
analitico a norma dell'art. 120, specie se si seguono parametri di reddittivit� 

o altri indici per la determin(l.Zione indiretta del reddito; ma anche in questo 
caso l'ufficio non � tenuto a sostituirsi alla negligenza del contribuente. 
Sotto l'aspetto della prova � del pari esattissima l'affermazione che spetta 
al contribuente dare la dimostrazione dei fatti ad esso favorevoli, che riducono 
l'ammontare del reddito, fatti che l'ufficio non pu� conoscere o ricercare 
senza una allegazione di parte. Come � noto, oggi non sono ammessi in deduzione 
costi ed oneri di cui � prescritta la registrazione in apposite scritture se 
questa sia stata omessa (art. 74, 4� comma, d.P.R. n. 597/1973) e non imputati 
a conto dei profitti e delle perdite (art. 74, 3� comma) ed � inibito al soggetto 
passivo dare la prova di circostanze omesse nelle scritture o in contrasto sulle 
loro risultanze (art. 61, d.P.R. n. 600/1973). 

Dell'art. 74 � stata sospettata la legittimit�, ma la questione � stata dichiarata 
infondata (Corte Cost. '17 novembre 1982, n. 186, in questa Rassegna, 1982, 
I, 872). 

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PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Orbene, ricordato che secondo giurisprudenza costante di questa Suprema 
Corte (1454/66; 30/1968; 3075/68; 3098/68; 2754/69; 1855/70; 5709/78; 
1503/80; 4013/81), per i soggetti tassabili in base a bilancio, questo � assistito 
da una presunzione (iuris tantum) di veridicit� e che � sufficientemente 
motivato l'accertamento che si limiti all'indicazione delle 
singole voci di reddito omesse nel bilancio e all'individuazione, sia pur 
sintetica, dei fatti da cui scaturiviano (cfr. in particolare 5709/78), si appa!
lesa evidente il diverso interesse del fisco e del contribuente nei confronti 
del superamento di tale presunzione � juris tantum� per prove che 
includono anche le presunzioni semplici. 

Ed, infatti, l'interesse del fisco � tutelato {�ad infringendum �) mediante 
la prova di ricavi lordi maggiori e di costi minori di quelli figuranti 
in bilancio, mentre l'interesse del contribuente { � ad corroborandum 
�) si attua con prove di fatti impeditivi, modificativi {�quanti minoris 
�) ed estintivi della maggior pretesa fiscale. 

Se, dunque, come afferma la C.T.C., non pu� negarsi che a maggiori 

ricavi lordi occultati corrispondano contabilmente anche maggiori spese 

di produzione della parte di reddito oocultato, tuttavia � arbitrario e giu


ridicamente erroneo, spostare l'onere di allegazione delle maggiori passi


vit� (necessariamente occultate insieme ai maggiori ricavi omessi in bi


lancio) dal contribuente al fisco, perch� ci� altro non significa che in� 

firmare il principio della presunzione di veridicit� del bilancio fino a 

prova contraria. 

InfattJi, 1tale principio comporta l'estensione di detta presunzione ad 

ogni posta (attiva e passiva) del bilancio stesso, se non vinta dalla parte 

oui incombe l'onere dell'allegazione e della prova. 

� vero che vi sono fatti impeditivi, estintivi e -come nel caso di 

specie -modificativi che possono (e debbono) essere ,rilevati d'ufficio 


in via extraprocessuale dall'Amministrazione attiva e nel processo dal 

giudice -qui costituendo oggetto della c. d. � eccezione in senso 'lato �. 

Ma anche in quest'ultimo ,caso, rimane a carico della parte che vi ha 

interesse l'onere dell'allegaziione dei fatti che debbono essere valutati 

dalla P.A. ed eventualmente dal giudice e su cui, se si intende offrire 

prova per presunzioni, deve pronunciarsi il relativo giudizio di gravit�, 

precisione e concordanza, necessario affinch� dli presunzione semplice 

possa parlarsi. 

Nel caso di specie, come ha anche rilevato la decisione della Com


missione di 2� grado, fa contribuente ha avuto tutte le possibilit� per 

controdedurre e correggere, sia in sede di formazione del verbale di 

constatazione, sl.a lin sede di ricorsi, ma non ha mai chiesto la rettifica 

delle poste passive. 

E ci� significa che non ha assolto aH'onere dell'allegazione analitica, 

posta per posta, di importi di spese per la produzione del reddito diversi 


562 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

da queNi risultanti in bilancio, in modo da rendere possibile il necessario 
controllo amministrativo e giudiziario sulla idoneit�� di fatti (moclificativi 
della pretesa fiscale) a superare la presunzione dii veridicit� delle 
poste passive di bilancio. 

Onde non poteva pretendersi una integrazione di ufficio dei dati denunciati 
con altri che solo l'impulso di parte, almeno quanto all'allegazione, 
avrebbe rpotuto mlevare e deve concludersi che legittimamente l'ufficio 
ha limitato la sua opera di accertamento al recupero delle omesse 
mdicazioni dei ricavi lordi, da cui sono state dedotte le spese e le passivit� 
inerenti a11a produzione del reddito, in quanto detraibili perch� 
figuranti nelle poste passive non contestate di bilancio, ai fini della determinazione 
del reddito netto ~ant. 91 Leg.ge citata n. 645/1958). (omissis) 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 luglio 1982, n. 4237 -Pres. Brancaccio 
-Rel. Virgii!lio -P. M. Martinelli {conf.) -Trasmondi (avv. Zaccaria) 
c. Soc. Coop. r.l. Cantina Sociale Colli Albani (avv. Nostini e 
Piccarozzi). 

Arbitrato -Lodo -Impugnazioni -Revocazione -Ammissibilit� -Limiti. 

(c.p.c. art. 831). 
L'art. 831 c.p.c. -che esclude l'impugnazione per revocazione delle 
sentenze arbitrali tanto per i motivi di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 395 
codice procedura civile, quanto per le sentenze per le quali sia� sperimentabile 
l'impugnazione per nullit� -comporta che una sentenza arbitrale 
soggetta ad impugnazione per nullit� non � suscettibile di revocazione, 
nonostante che i motivi di revocazione non possano farsi valere nel giudizio 
di nullit�, ammesso solo per i casi previsti dall'art. 829 codice procedura 
civile tra cui non sono compresi quelli dell'art. 395 citato. Pertanto, 
qualora si sia esperita l'azione di nullit�, l'unico rimedio � quello di impugnare 
per revocazione la sentenza che ha pronunziato su detta azione, 
sentenza da considerarsi come emessa in grado di appello, ai sensi del 
menzionato art. 395, e, come tale, impugnabile per tutti i motivi. previsti 
in quest'ultima disposizione (1). 

(omissis) Ha carattere pregiudiziale .l'esame del ricorso incidentale, 
con H quale la Societ� Cantina Sociale Colli Albani insiste nell'eccezione 
di inammissibilit� della istanza di revocazione di cUJi all'art. 831 cod. 
proc. civ. 

Deduce al -riguardo che tale istanza pu� essere rivolta esclusivamente 
nei confronti dei lodi arbitrali non pti.� impugnabiH per nullit�, mentre, 

(1) Nello stesso senso Cass. 7 maggio 1952, n. 1275, Foro it. 1952, arbitramento, 
122, 123 e 124; Cass. 13 maggio 1949 n. 1169, pure richiamata in moti� 
vazione, � riassunta in Foro it. 1949, arbitramento, 110, ma dalla massima non 
risulta abbia attinenza al tema. 
In dottrina, l'argomento � stato affrontato con diversit� di soluzioni: 
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1964, IV, pag. 934, 
ritiene che domanda di nullit� e revocazione straordinaria possano essere 
invece proposte cumulativamente, subordinando la seconda al rigetto della prima 
e che, proposta la domanda di nullit�, applicando analogicamente l'art. 398 
cod. proc. civ., il termine per proporre la revocazione straordinaria avverso 
il lodo arbitrale resti sospeso sino alla comunicazione della sentenza resa sulla 

10 



564 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nella diversa !ipotesi in cui l'impugnazione sia stata senza successo sperimentata, 
l'azione di revocazione pu� essere rivolta soltanto contro la 
sentenza emessa dalla Corte di appello sulla querela nullitatis. 

Aggiunge che nei confronti della sentenza qui impugnata, la quale 
ha rigettato anche la domanda di revocazione della precedente sentenza 
sulla querela nullitatis, la revocazione non poteva comunque essere richiesta 
perch� tra l'altro, la pretesa nullit� della perizia espletata dinanzi 
agli arbitri non � opponibile alla societ� ora ricorrente e, inoltre, perch� 
la sentenza sulla querela nullitatis non � affatto fondata sulle risultanze 
della perizia stessa. 

Le deduzioni sono fondate. 

Sul primo punto (esperibilit� dell'azione di revocazione nei confronti 
di un Jodo arbitrale assoggettato a giudizio di. nullit� ex art. 828 e seguenti 
cod. proc. civ.) va osservato che la tesi accolta dalla Corte di 
appello con la decisione ora in esame contrasta con la disposizione dell'art. 
831 stesso codice, secondo fa quale �quando non pu� proporsi la 
impugnazione per nullit�, la sentenza (arbitrale), nonostante qualunque 
rinuncia, � soggetta a revocazione nei casi indicati nei numeri l, 2, 3 
e 6 dell'art. 395 �. 

Sulla specifica questione costituente oggetto di dibattito nel presente 
giudizio esiste un non recente precedente giurisprudenziale di questa Corte 
Suprema (sent. 7 mawgio 1952 n. 1275), nel quale � stata appunto esclusa 
la possibilit� di impugnazione per revoca2lione delle sentenze arbitrali 
sia per i motivi di cUJi ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 (non contemplati nell'articolo 
831 cod. proc. civ.), sia per le sentenze in o~dine alle quali sia 
sperimentabile l'impugnazione per nullit�. 

� stato precisato su questo secondo aspetto (che nel caso in esame 
interessa) che la revocazione non � ammessa, ancorch� i motivi di revocazione 
non possano farsi valere nel giudizio conseguente alla querela 

domanda di nullit�; CARNACINI, Arbitrato rituale, Novissimo digesto italiano, 
Torino 1958, I, 2, pag. 922, esaminando il rapporto tra domanda di nullit� e 
revoc�zione straordinaria, esprime l'avviso che, non potendo la seconda esser 
decisa sino a tanto che possa pronunciarsi il giudice dell'impugnazione, dovrebbe 
disporsene la sospensione a norma dell'art. 295 cod. proc. civ. In altri termini, 
la revocazione straordinaria potrebbe e andrebbe proposta in termini anche 
in pendenza de�a domanda di nullit�, ma non potrebbe esser conosciuta dal 
giudice prima che egli abbia pronunciato su tale domanda; ScHIZZEROTTO, L'arbitrato 
rituale nella giurisprudenza, Padova 1969, 409 ss., � del parere che, potendo 
esperirsi la revocazione straordinaria, quando non pu� proporsi l'azione di 
nullit�, quante volte i fatti preveduti dall'art. 395 n. 1, 2, 3 e 6 vengano scoperti 
in pendenza del termine per l'azione di nullit�, o la parte non la propone 
e potr� valersi della revocazione straordinaria nel termine decorrente dalla 
scadenza di quello assegnato per l'azione di nullit�, o la parte propone quest'ultima 
ed allora la revocazione andr� esperita nei confronti della sentenza pro


nunciata dal giudice dell'impugnazione. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 565 

nullitatis, il quale � consentito soltanto per i casi previsti dall'art. 829, 

nel cui ambito non sono compresi ,quelli indicati nell'art. 395, in quanto 

l'unico rimedio possibile -qualora sia stata esperita l'azione di nul


lit� -� quello di impugnare per revocazione la sentenza che ha pro


nunciato su tale azione; sentenza da considerarsi emessa in grado di 

appello, nel senso richiesto dall'art. 395, e come tale impugnabile per 

turtti i motivi previsti nello stesso articolo. 

Il richiamato precedente di questa Corte, che si ricollega ad ana


logo principio affermato con la sentenza del 13 maggio 1949 n. 1169, va 

conformato anche nella fattispecie ora in esame. 

La disposizione dell'art. 831 cod. proc. civ., chiaramente limitativa 

del diritto di chiedere l:a �revocazione del lodo (sia nel senso che consente 

['esercizio di tale diritto soltanrto per le sentenze arbitrali contro le quali 

�non pu� proporsi l'impugnazione per nullit��, sia perch� l'azione di 

revocazione � ammessa non in tutti i casi previsti dall'art. 395 ma esclu


sivamente rper quelli indicati sotto i numeri 1, 2, 3 e 6) non autorizza 

l'interprete a ritenere, in contrasto con il chiaro tenore della norma, 

che sia ammissibile la domanda di revocazione del lodo anche se questo 

sia assoggettabile, o sia stato gi� assoggettato, al giudizio di nullit�. 

In tale situazione, come � stato gi� ritenuto con la menzionata sen


tenza n. 1275 del 1952 di questa Corte, l'azione per revocazione, in tutta 

fa sua ampiezza, diventa esperibile unicamente contro la sentenza pro


nunciata >sulla querela nullitatis. 

Lo stesso odierno ricorrente si � sostanzialmente uniformato a questo 
principio perch� ha proposto cumulativamente, dinanzi alla Corte di appello 
di Roma, istanza di revocazione sia nei confronti del lodo, sia nei 
. confronti della sentenza emessa in precedenza sulla impugnazione per nul


lit�, facendo valere per entrambi i casi il medesimo motivo. 

In conclusione, dunque, su questo primo punto, deve essere accolto 

per quanto di ragione il ricorso incidentale, con declaratoria di inam


missibilit� dell'istanza di revocazione del lodo arbitrale. {omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 agosto 1982, n. 4473 -Pres. Sandulli -
Rel. Zappulli -P. M. Paolucci (conf.) -Soc. Betonstrade (avv. Ciabattini, 
Lucifero e Oar!'llla) c. Comune di Camruiore (avv. Colacino). 

Arbitrato -Proponibilit� della domanda -Condizioni -Collaudo -Necessit� 
-Limiti. 

(d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, artt. 44, 46 e 47; r.d. 25 maggio 1895 n. 350, art. 27; 
I. 20 marzo 1865 n. 2248 al!. f, art. 340). 
Il collaudo, richiesto dall'art. 44 del capitolato generale per le opere 
pubbliche approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, costituisce presupposto 
dell'azione giudiziaria solo se esso possa essere compiuto, e 


566 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cio� se l'opera sia stata terminata e vi sia stata la relativa approvazione, 
e non anche quando la controversia, insorta nel corso dei lavori, ne abbia 
prodotto la sospensione e addirittura l'esecuzione da parte di terzi, con 
cons.eguente impossibilit� di chiedere, disporre ed ancor meno approvare 
il collaudo (1). 

(omissis) Con il primo motivo del ricorso la Societ� Betonstrade ha 
lamentato la violazione, nella sentenza impugnata, del d.P.R. 16 luglio 
1962 n. 1063 e del Regolamento per le Opere Pubbliche 25 maggio 1895 

n. 350, deducendo che le contestazioni e g~i addebiti da :parte del Comune 
avrebbero dovuto essere proposti in sede di collaudo o prelliminarmente 
in sede di contabilit� e che la-domanda dell'Amministrazione comunale 
committente poteva essere proposta solo dopo il collaudo medesimo e con 
il rispetto dei termini fissati dal citato decreto del 1962 negli artt. 46 e 47. 
Ha sostenuto, iinoltre, che, indipendentemente dal fatto che il collaudo non 
ammette equipollenti, il verbale 30 ottobre 1970 non poteva sostituirlo. 
Il motivo � infondato. 

Invero, non � dubbio che pur sotto la disciplina del capitolato di 
appalto per le opere pubbliche del Ministero dei Lavori Pubblici approvato 
con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e richiamato nel contratto stipulato 
tra il Comune e l'impresa, � per tutte le controversie la domanda di 
arbitrato deve essere proposta dopo l'approvazione del collaudo�, ma � 
evidente che tale norma presuppone che quest'ultimo possa essere compiuto, 
e cio� che l'opera sia stata terminata e che vi sia stata la relativa 
approvazione. V!iceversa, non pu�, certamente, chiedersi e disporsi e ancor 
meno �approvarsi il collaudo stesso quando la controversia, insorta nel 
corso dei lavori, ne abbia prodotto la sospensione e addirittura l'esecuzione 
ad opera dei terzi. Ovviamente, una estensione di quella norma nel 
senso d.ndicato dalla ricorrente precluderebbe eternamente ogni azione 
per entrambe 1e parti con vantaggio di quella che ha dato luogo all'inadempimento. 


Del resto l'art. 42 dello stesso decreto del 1962 statuisce espressamente 
che quando sorgono contestazioni fra il direttore dei lavori e l'appaltatore 
si procede alla loro risoluzione in via amministrativa a norma 
del regolamento appovato con il r.d. 25 maggio 1865 n. 350, il cui arti� 

(1) In dottrina, nello stesso senso, cfr. CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, 
Milano, 1976, pag. 991 ss., il quale osserva che la temporanea improcedibilit� 
derivante dalla mancanza del collaudo non si estende alle controversie 
� che per il loro stesso contenuto sono oggettivamente inconciliabili o 
incompatibili con l'attesa del collaudo (ad es. l'azione di risoluzione per ina� 
dempienza dell'amministrazione, l'azione di nullit� del contratto di appalto, 
l'azione per far fissare dal giudice il termine per il collaudo); ed in genere alle 
azioni che altrimenti si renderebbero inutili o impossibili o che diversamente 
non potrebbero sperimentarsi �. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 567 

colo 27, tra 1l'altro, prevede la .rescissione dei contratti e la esecuzione 
d'ufficio, come effettuata nella specie, per grave negligenza o contravvenzione 
ai ipatti, le quali non possono avere luogo se non nel corso del 
contratto stesso. 

In tal materi.a questa Suprema Corte ha affermato che l'esercizio 
del potere di autotutela, -riconosciuto alla pubblica amministrazione 
committente dall'art. 340 della l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. f e concretantesi 
nella facolt� di risolvere d'autorit� il contratto di appalto quando l'appaltatore 
si renda co1pevole di frode o di grave negligenza o di contravvenzione 
agli obblighi ed �alle condizioni stipulate -, non :preclude alla 
stessa amministrazione la facolt� di chiedere al giudice ordinario o agli 
arbitri la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento dell'appaltatore, 
nell'eventualit� che l'atto di esercizio del potere di autotutela 
sia riconosciuto illegittimo, trattandosi .di due rimedi aventi diversa 
natura giuvidica e caratterizzati da rpreslliPPOsti e modalit� �di attuazione 
differente (Cass. 19 settembre 1975 n. 3063). Non pu� dubitarsi, perci�, che 
� .stata, implicitamente ma necessariamente, esclusa nella suddetta pronunzia 
la esigenza del previo collaudo per fa proposizione di un giudizio 
da parte dell'amministrazione committente diretto alla risoluzione del 
contratto, la quale, nella specie, � stata richiesta con la domanda di 
rimbovso delle anticipazioni e di pagamento delle spese di esecuzione in 
danno. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1466 -Pres. Tamburrino 
-Rel. Sensaie -P. M. M~netti. (conf.). A.N.A.S. (avv. Stato Vittoria) 
c. Impresa Edilbeton (avv. Giordano). 

Appalto -Appalto d'opere pubbliche -Addizioni e variazioni -Opere relative 
a fondazioni -Variazioni in aumento contenute nel sesto quinto 
dell'importo totale del contratto, ma eccedenti il quinto della quantit� 
originaria -Equo compenso ex art. 13, comma 5�, d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063 -Spettanza. 

(I. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. f, art. 344; d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, artt. 13 e 14). 
L'art. 14, comma settimo, del capitolato generale di appalto per le 
opere pubbliche, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, stabilisce, in 
deroga al comma primo e secondo dello stesso articolo, che delle variazioni 
ordinate dall'amministrazione com.mittente per opere relative a 
fondazioni non si tiene conto agli effetti della determinazione del sestoquinto 
dell'importo totale dell'appalto, oltre il quale l'appaltatore ha 
diritto di recedere dal contratto, ma che, ove tale limite sfo superato in 
conseguenza delle predette variaz;ioni, lo stesso appaltatore ha diritto ad 
un .equo compenso per la parte eccedente; tale disposizione non si pone 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

568 

in rapporto di specialit� con la normativa dell'art. 13, comma quinto, del 
citato capitolato generale, con la conseguenza che la disciplina del comma 
quinto dell'art. 13 trova applicazione anche per le variaioni concernenti 
le fondazioni se queste, pur rientrando nei limiti del quinto dell'importo 
totale del contratto, superino per� di un quinto la corrispondente 
quantit� originaria della stessa categoria di lavori singolarmente 
considerata, e con quella ulteriore del ,diritto ad un equo compenso (non 
superiore al quinto dell'importo dell'appalto) a favore dell'appaltatore, ove 
esse siano tali da produrre al medesimo un notevole pregiudizio economico 
(1) . 

. (omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Anas denunzia la violazi:
ione e falsa aipplicazione degli artt. 13 e 14 del d.P.R. 16 luglio 1962 

n. 1063, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha giudicato 
fondata la pretesa di cui alla riserva n. 3, concernente l'equo compenso 
che la societ� Edilbeton aveva chiesto, sostenendo d'avere subito un 
notevole pregiudizio per le variazioni ordinate dall'Anas. 
Sostiene la .ricorrente che 1a fattispecie contemplata nell'art. 14, 
comma settimo alinea 2 (equo compenso dovuto all'appaltatore per fa 
parte eccedente, quando gli aumenti rispetto alle previsioni contrattuali 
delle opere relative a fondazioni superino il quinto dell'imiporto totale 
del contratto), ove la norma non fosse stata 'dettata, avrebbe Ticevuto la 
sua 1disdplina dall'art. 13, comma quinto, in base al quale, per le variazioni 
che importino, nelle <quantit� delle varie specie di opere, modifiche 
tali da produrre un notevole :pregiudizio economico all'appaltatore, � 
dovuto a quest'ultimo un equo compenso non superiore al quinto deH'importo 
dell'appalto, salvo che le quantit� derivanti dalle modifiche singolarmente 
considerate non superino il quinto in pi� o in meno delle corrispondenti 
quantit� originarie Vi sarebbe, cio�, un rapporto di specialit� 
tra le due norme, con la conseguenza che la previsione contenuta nell'art 
14, settimo comma alinea 2, dovrebbe condurre ad escludere la 
possibilit� che alla fattispecie in essa contemplata trovi applicazione il 
comma quinto dell'art 13, avendo -la prima norma -inteso isolare la 
disciplina delle opere relative a fondazioni e valutarne con diverso metro 
la sog1ia al di fa della quale una loro variazione giustifichi un compenso 
ed avendo in tal modo escluso la possibilit� di tenere in considerazione 
le stesse opere ai fini dell'aipplicabilit� dell'art. 13. 

Aggiunge, fra l'altro, la ricorrente che la ragione di tale disciplina 
risiede nel fatto che ['esatta quantit� delle opere di fondazione non � 
sempre prevedibile e d'altro canto la sua eventuale variiazione in aumento 

(1) Sulla questione decisa dalla sentenza in rassegna non consta esistano 
precedenti. 

PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 569 

dipende da necessit� esecutive e non da valutazioni di opportunit� o 
convenienza, necessit� che giustificano la esclusione dei congegni del 
recesso o della contrattazione rd!i nuove condizioni e impon:gono che i 
costi non divengano per� imprevedibili. 

Il ricorso � iinfondato. 
L'art. 13 del capitolato generale d'appalto per le opere di C0111[>etenza 
del Ministero dei lavori pubblici approvato con d.P.R. 16 1lug1io 1962 

n. 1063, dopo aver affermato il generale obbligo dell'appaltatore di sottostare 
alle variazioni disposte dall'Amministrazione appaltante, nei limiti 
indicati nel successivo art. 14, stabilisce che, qualora le variazioni regolarmente 
ordinate importino -nelle quantit� delle varie specie di opere modifiche 
tali da produrre un notevole pregiudizio economico dell'appaltatore, 
si deve far luogo a un equo compenso a favore dell'appaltatore 
stesso. La norma precisa, poi, che le modifiche di cui sopra non si considerano 
influenti � ai fini del presente comma �, quando le quantit� derivanti 
dalle modifiche smgolarmente considerate non superino il quinto 
in pi� o, in meno delle corrispondenti quantit� originarie; e che il compenso 
non pu� in nessun caso superare il quinto dell'importo dell'appalto. 
L'ultimo comma dell'articolo in esame stabilisce che, in caso di 
controversia sul compenso, l'appaltatore pu� promuovere il giudizio arbitrale 
anche durante l'esecuzione dei lavori. 
Poich� dopo ['affidamento dell'aippalto l'Amministrazione pu� ravvisare 
la necessit� o l'opportunit� di apportare al progetto variazioni che 
garantiscano fa migliore realizzazione dell'opera pubblica, l'appaltatore 
(che ha formulato le proprie offerte in base al rpri.ncipio della media 
remunerativit� dei prezzi dell'appalto) potrebbe vedersi aumentll!"e le quantit� 
delle categorie di lavoro compensate con prezzi meno remunerativi e 
diminuire, invece, quelle compensate con prezzi pi� remunerativi. Quindi, 
la norma, ,se da un lato lascia libera l'Amministrazione appaltante di 
esercitare il suo ius variandi, dall'altro attribuisce all'appaltatore �i1 diritto 
a.Id un equo compenso che riconduca in equilibrio economico H rapporto. 
Ma si tratta di un diritto che l'appaltatore pu� esercitare con rigua1do a 
singole specie di opere,. per le quali la variazione implichi un aumento o 
una diminuzione superiore al quinto delle corrispondenti quantit� originarie, 
e solo nel caso in cui egli, dalle varianti disposte dall'Amministra


1

zione, ~ubisca un notevole pregiudizio economico, che ha 11'onere di dimostrare. 
Inoltre, la no:mna, allo scopo di non peJ:1Petuare fino al termine 
dei lavori e alla loro collaudazione il notevole pregiudi:cio economico 
denunciato dall'appaltatore, consente esipTessamente la immediata risoluzione 
della controversia mediante arbitrato in corso d'opera, in deroga 
a.Ha regola generale, secondo la quale le domande ,di� arbitrato devono 
proporsi dopo l'approvazione del collaudo (art. 44 del Cap. gen.). 


570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Diversa � l'ipotesi contemplata nel successivo art: 14. Questo, infatti, 
s'inquadra nel princiipio sancito dall'art. 344 della legge sui lavori pubblici 
20 marzo 1865 n. 2248, all. F, secondo il quale l'appaltatore deve 
assoggettarsi, alle stesse condizioni del contratto, a un aumento o ad una 
diminuzione delle opere {considerate nella loro globalit�) fino alla con� 
correnza del quinto dell'importo dell'appalto: limite, al di l� del quale 
l'appaltatore ha diritto alla risoluzione del contratto. 

Questa disposizione, che � recepita nell'art. 14, nel quale H diritto 
alla risoluzione del contratto viene qualificato come recesso dell'appaltatore 
e nel quale � enunciata una regola di carattere generale, attiene al 
contratto d'appalto nella sua interezza, come prestazione di risultato per 
il corrispettivo pattuito; e prevede una specifica eccezione che riguarda la 
determinazione dei sei quinti agli effetti sopra indicati, qualora l'aumento 
sia riferito aJlle fondazioni. 

Invero, il settimo e l'ottavo comma della norma in esame stabiliscono 
che nella determinazione del sesto quinto agli effetti dell'art. 344 

II della legge sui lavori pubblici non sono tenuti in conto gli aumenti 
rispetto alle :previsioni contrattuali deHe opere relative a fondazioni e 
che tuttavia, ove tali aumenti rispetto alle quantit� previste superino il 
quinto dell'importo totale del contratto, l'appaltatore pu� chiedere un 
compenso 1per la parte eccedente, senza che peraltro le opere stesse siano 

i 

tenute in conto nella determinazione del sesto quinto agli e:l�fetti del primo 
comma. In caso cli dissenso sulla misura del compenso -aggiunge la 
norma -� accreditata in contabilit� la somma riconosciuta dall'Amministrazione, 
salvo all'appaltatore il diritto d'inserire in contabilit� ordinaria 
!riserve per l'ulteriore richiesta. 

Se il settimo comma dell'art. 14 ha carattere manifestamente derogatorio 
del primo comma dello stesso articolo (ha, cio�, carattere di norma 
speciale rispetto al primo comma) quando l'aumento rispetto alle previsioni 
contrattuali si riferisca alle opere �relative a fondazioni, deve 
escludersi che esso sia in rappo11to di specialit� con il quinto comma 
dell'art. 13 e che, in conseguenza, le �specie di opere�, secondo la previsione 
di quest'ultima norma, non possano essere costituite da quelle 
irelative alle fondazioni, oggetto iCli. varianti, in pi� o in meno, delle comspandenti 
quantit� originarie; ovvero che, quando concorrano i diversi 
presupposti indicati nelle due norme con dguardo alle diverse situazioni 
in esse considemte, tali norme non possano comulativamente opeiraire, 
secondo il modo lom :proprio, nell'ambito di applicazione e sul piano peir 
ciascuna di esse pirevisto. 

L'art. 14, imatti, regola la sola ipotesi in cui l'aumento delle opere 
irelative alle fondazioni superi non il quinto della quantit� prevista dal 
contmtto (come nella ipotesi disciiplinata dall'airt. 13), ma il quinto dell'importo 
totale del contratto. E in tal caso la norma non riconosce 


PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 571 

all'appaltatore il diritto di recedere dal contratto, ma d� facolt� -all'appaltatore 
di chiedere e all'Amministrazione di concedere -U1D. equo 
compenso per fa quantit� eccedente -per le fondazioni -il quinto dell'importo 
totale dell'appalto: facolt� per il cui esercizio non occorre la 
dimostrazione dell'effettivo pregiudizio economico ricevuto dall'appaltatore 
(com'� richiesto, �invece, dal quinto comma dell'art. 13), essendo 
presunto tale pregiudizio anche se il prezzo delle fondazioni sia remunerativo, 
quando il foro importo abbia superato il quinto dell'importo 
totale dell'appalto, m quanto pu� incidere 'sulla organizzazione dell'impresa 
e sui relativi oneri, in rapporto sia alla durata dei lavori sia alla 
maggiore ampiezza dei mezzi necessari. 

La diversit� tra le due norme, quanto al loro campo di applicazione, 
ai rispettivi presupposti ed al loro modo di operare, si traduce poi nei 
diversi limiti in ciascuna .di esse indicate in ordine all'equo compenso 
(l'art. 13 pone un limite massimo, statuendo che il compenso m nessun 
caso pu� superare il quinto dell'importo dell'appalto; l'art. 14 stabilisce, 
al contrario, un limite minimo, in quanto ammette il compenso solo per 
la parte delle fondazioni eccedente il quinto dell'importo totale) e, come 
si � visto, si Tiflette sul momento confHttuale, in quanto l'art. 14 non 
consente l'arbitrato in corso d'opera ma attribuisce all'aippaltatore la 
facolt� d'inserire riseTVe in contabilit� ordinaria. 

Ne consegue che, come esattamente si � affermato nella sentenza 
impugnata, il quinto comma dell'art. 13 trova applicazione anche quando 
le varia2lioni importino, nelle quantit� delle opere concernenti le fondazioni, 
modifiche tali da produrre un notevO!le pregiudizio all'aippaltatore, 
quando le modifiche di cui sopra, singolarmente considerate, superino il 
quinto delle corrispondenti quantit� originarie, con il limite che l'equo 
compenso, cui l'appaltatore in tal caso ha diritto, non sll[peri il quinto 
dell'importo all'appalto. 

H ricorso dell'Anas deve essere, pertanto, ;rigettato, con [a condanna 
della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a 
favore della parte resistente. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1983, n. 1468 -Pres. Granata -
Rel. Maltese -P. M. Dettori (conf.) -Opera Sila (avv. Stato Vittoria) 

c. S.p.A. I.C.L.A. (avv. Majolo). 
Appalto -Appalto d'opere pubbliche -Protrazione dell'esecuzione oltre 

il termine contrattuale -Per causa imputabile all'amministrazione 


Risarcimento del danno -Diritto al pagamento di somma corrispon


dente al ribasso d'asta -Esclusione. 

(e.e., artt. 1223, 1226, 1453 e 1458). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Appalto -Appalto d'opere pubbliche -Protrazione dell'esecuzione oltre 

il termine contrattuale -Per causa imputabile all'amministrazione 


l Il

Risarcimento del danno -Diritto all'accredito dell'alea scontata in ~ 
sede di revisione del prezzo -Condizioni. 
(e.e., artt. 1223 e 1226; d.l.C.p.S. 6 cllcembre 1947 n. 1501, art. 1). 

In materia di pubblici appalti, la base d'asta costituisce la mera 
indicazione iniziale, da parte della pubblica amministrazione, per l'avvio 
della gara, ma rimane al di fuori del contratto e non rappresenta n� un 
maggior prezza convenzion�le per il caso di mora dell'appaltante, n� 
un'indicazione convenzionale per la liquidazione forfettaria dei relativi 
danni a favore dell'appaltato. Pertanto, in caso di azione risarcitoria dell'appaltante 
per ritardo nella esecuzione dei lavori, dovuto a mora dell'amministrazione 
appaltante, l'importo corrispondente al ribasso d'asta non 
pu� essere, di per s�, automaticamente rimborsato all'impresa appaltatrice 
a titolo risarcitorio, ma pu� costituire, nella liquidazione del dovuto 
maggior danno, in relazione ai valori emergenti dal mercato, soltanto uno 
dei possibili indici per una valutazione equitativa di quel danno (1). 

In tema di appalto di opere pubbliche, se l'esecuzione dei lavori sia 
stata ritardata per colpa dell'amministrazione appaltante, all'appaltatore 
pu� essere accreditato, a titolo di risarcimento del danno, l'importo 
corrispondente alla quota percentuale di alea sul prezza dell'opera detraibile 
dai maggiori costi, se e nella proporzione in cui l'incremento dei 
costi si sia verificato nel periodo di protrazione dei lavori imputabile 
alla mora della amministrazione (2). 

r(omissis) Col primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli 
articoli 1 e seguenti del d.l. 6 dicembre 1947, n. 1501 e degli artt. 1453 e 
1458 codice civile. 

Sostiene ,che arbitrariamente la corte d'aippe[lo nell'effettuare la 
revisione del prezzo, avrebbe accreditato all'attrice l'importo corrispondente 
al ribasso ,q'asta, mentre, non essendo stato risolto, neppure in 
parte, il contratto d'appalto, ne sarebbe rimasto necessariamente immutato 
il prezzo originario anche nel periodo idi mora. Ad esso, pertanto, si 
sarebbero dovute commisurare e limitare le variazioni del prezzo revisionale. 


Afferma, inoltre, che la corte d'appello non avrebbe .potuto accreditare 
all'attrice l'importo corrispondente alla quota dell'alea, se non dimostrando 
che l'aumento dei costi si era tutto verificato dopo la scadenza 
del termine contrattuale. 

(1-2) Le questioni decise nella sentenza in rassegna non hanno precedenti 
nella giurisprudenza della Corte di cassazione. 


~ 



PARm I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 573 

La societ� resistente eccepisce in via pregiudiziale la inammissibilit� 
del motivo d'impugnazione, perch� basato su elementi nuovi, non 
prospettati nel corso del giudizio. 

Nel merito, ne chiede il rigetto, sostenendo di aver proposto una 
domanda di .risarcimento del danno, volutamente limitata, per facilitare 
e semplificare la liquidazione, al rimborso delle quote di ribasso d'asta e 
dell'alea. Pertanto non ,sarebbe censurabile la sentenza impugnata, che, 
pur senza una esplicita affermazione, avrebbe, in concreto, effettuato non 
un semplice aggiustamento del prezzo -adeguando al maggior costo il 
corrispettivo� d'appalto, attraverso il meccanismo legale deUa revisione bens� 
la [iquidazione del danno, provocato dal ritardo della controparte, 
entro i limiti segnati dalla domanda giudiziale. 

Ritiene innanzitutto il Collegio che il motivo di censura sia ammissibile, 
perch� gi� dedotto in appello, come chiaramente risulta dall'esposizione 
del fatto e dalla motivazione della sentenza impugnata. Nel 
merito, esso appare fondato e deve essere accolto, rimanendo assorbito il 
secondo mezzo, attinente al computo degli interessi legali. 

Va premesso che, nel presupposto della mora dell'amministrazione 
appellante -da ritenere un dato pacifico in .causa -l'attrice, in effetti, 
ha avanzato non una semplice domanda di revisione del prezzo, bens� 
una .pretesa risarcitoria, per ottenere, seppure in misura volutamente 
ridotta, la liquidazione dei danni provocati dal ritwdo nell'esecuzione 
dell'opera, in relazione ari quali aveva formulato la riserva n. 16. 

Secondo il comune insegnamento, l'azione risarcitoria dell'appaltatore 
si distingue dalla domanda di revisione del prezzo, disciplinata dal 

d.l. 6 dicembre 1947, n. 1501 e successive modificazioni, sia nel presU1pposto, 
pe11ch� si fonda sulla colpa dell'appaltante, sia nell'oggetto, perch� comprende 
il maggior danno da Titardo, sia nel procedimento, perch� importa 
la formulazione iniziale della corrispondente riserva, sia -infine -neilla 
forma di tutela, perch� si realizza con l'esercizio dell'azione ordinaria 
davanti all'a;g.o., anzich� con il ricorso all'autorit� amministrativa (ricorso 
divenuto, .peraltro, facoltativo dopo l'entrata in vigore della legge 21 dicembre 
1974, n. 700). 
Neil caso concreto, la societ� I.C.L.A., facendo valere davanti al 
tribunale di Cosenza la pretesa al rimborso del ribasso d'asta e della 
quota dell'alea, ha formulato tali domande a titolo di risarcimento, del 
maggior danno rispetto al prezzo revisionale. Su di esse -pur senza 
definirne formafmente la natura -si �, quindi, legittimamente pronunciata 
la autorit� adita. 

Ma l'opera Sila fondatamente censura, nel suo ricorso, i criteri adottati 
dalla corte d'appello nella liquidazione del preteso maggior danno 
sub�to dall'appaltatrice. 


574 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Per quanto riguarda, .invero, la statuizione di condanna dell'odierna 
ricorrente al pagamento, a favore dell'attrice, deH.a ,somma corrispondente 
a1l. ribasso d'asta nei singoli stati di avanzamento d'epoca posteriore alla 
scadenza contrattuale, i giudici del gravame non hanno tenuto presente 
che, costituendo oggetto della controversia il risarcimento del danno 
per il colpevole ritardo dell'amministrazione committente, e non essendo 
stata, quindi, neP!Pure richiesta la risoluzione del contratto d'appalto, 
interamente eseguito ventisei mesi dopo la scadenza del termine pattuito, 
permaneva immutato fra le parti J'originario rapporto negoziale, anche 
durante il periodo di mora, nei suoi elementi costitutivi, compreso il 
prezzo fissato al netto del ribasso d'asta. 

L'importo sul quale il Tibasso era stato praticato rappresentava, 
invero, la mera indicazione iniziale, da parte della p.a., per l'avvio della 
gara, non certo un maggior prezzo convenzionale in caso di mora dell'appaltante. 


Si trattava, pertanto, di adeguare il prezzo contrattuale, in concreto 
formatosi col ribasso d'asta, ai maggiori costi sopravvenuti nell'intero 
arco di tempo dell'esecuzione dell'opera: adeguamento da effettuare, per 
il periodo di mora, non secondo i criteri delia revisione ~egale, che prescindono 
dalla considerazione della colpa dell'appaltante (e, a differenza 
del regime degli aippa1ti privati -art. 1664 cod. civ. -dalla stessa 
prevedibilit� delle nuove circostanze), ma 1secondo i principi del risarcimento 
del danno che la presuppongono. 

A rigore, come la stessa controricorrente ammette, alla liquidazione 
si sarebbe do"lruto procedere � con l'aggiornamento, per il periodo di 
protrazione dei lavori, di tutti i prezzi d'appalto, in base alla situazione 
emergente del mercato, a partire dalla scadenza del termine contrattuale 
originario �. Pi� precisamente -secondo le indicazioni del consulente 
tecnico d'ufficio -attraverso l'analisi e il computo delle effettive spese e 
degli onorari sopportati dall'impresa appaltatrice nel periodo � extra 
contratto�: spese ed oneri che, insieme all'utHe dell'impresa, rappresentavano 
il compenso dovuto per tale periodo. 

Indubbia essendo l'estrema difficolt� -riconosciuta dal citato t.u. 


di eseguire i detti accertamenti, ben avrebbe potuto il giudice, trattan


dosi di ,una 1liquidazione di maggioc costi e del mancato utile a titolo di 

risarcimento del danno e non a titolo di ,semplice corrispettivo revisionale, 

determinare in via equitativa l'oggetto della {limitata) richiesta risarci


toria dell'attrice. Ma non senza osservare la regola sancita dall'art. 1226 

cod. civ., secondo la quale �se il danno non pu� essere provato nel suo 

preciso ammontare, � liquidato dal giudice con valutazione equitativa�; 

regola notoriamente .interpretata dalla giurisprudenza nel senso che � il 

potere riconosciuto al giudice dall'art. 1226 di 1iquidare il danno con 

valutazione equitativa non esonera la parte interessata dall'obbligo di 


PARTE I, SEZ. VII, GIVRIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 575 

offrire al giudice gli elementi probatori circa la sussistenza del danno, 
esaurendosi l'apprezzamento equitativo del magistrato nella necessit� di 
colmare quelle che sono Je lacune inevitabili nella determinazione del 
preciso ammontare del danno� (Cass. 16 ottobre 1965, n. 2115); e nel 
senso che �il giudice non pu� procedere alla liquidazione equitativa del 
danno senza prima vagliare tutti gli elementi di prova raccolti in ordine 
all'ammontare di esso, al fine di rendere la liquidazione, per quanto 
possibile, corrispondente aa:Ia reale entit� del pregiudi~io economico 
sofferto dal danneggiato, e pu� fare ricorso alla liquidazione equitativa 
solo quando, pur risultando l'esistenza del danno, riesca impossibile o 
sommamente difficile dare la prova della concreta entit� del pregiudizio 
sofferto '( ...) � ,(Cass., 18 gennaio 1969 n. 108). 

Nel caso in esame, la corte d'appello (e, prima ancora, il tribunale) 
non ha compiuto alcuna indagine sul maggior danno dovuto alla mora 
dell'amministrazione appellante, e si � limitata a recepire la personale 
opinione del consulente d'ufficio, il quale, dopo aver constatato la detta, 
grave difficolt� nell'accertamento del danno secondo i criteri tecnici enunciati, 
ha soggiunto che si sarebbe dovuto corrispondere all'impresa appal� 
tatrice il richiesto rimborso del ribasso d'asta sull'importo dei lavori 
eseguiti dopo la scadenza del termine contrattuale d'appalto; ed ha motivato 
tale parere come espressione di una propria valutazione, essendosi 
chiaramente accertata la mancanza di responsabilit� dell'impresa per il 
protrarsi dei lavori oltre il termine convenuto. Nel tentativo di rivestire 
questa afi�ermazione di una appropriata forma giuridica, la corte d'appeHo 
ha sostenuto che il prezzo originario d'appalto, costituendo oggetto 
di volont� negoziale, non sarebbe praticabile con riferimento al periodo 
cli mora, con conseguente automatico accredito all'appaltatlrice del ribasso 
d'asta per gli stati di avanzamento successivi alla scadenza contrattuale. 
Ma, come si � detto, la corte non ha tenuto presente che, in costanza del 
rapporto .giuridico intercorso e mai risolto fra le parti, permanendone 
immutati gli essenziali elementi costitutivi, si trattava di adeguare foriginario 
corr.ispettivo contrattuale ai costi; e, data la colpa delta committente, 
di liquidare il maggior danno in base ai valori emergenti di mercato, 
non sostituibili �a priori� dal prezzo d'asta, come se si trattasse di un 
prezzo addizionale pattuito per l'eventuale periodo di mora dell'amministrazione 
committente o di una clausola convenzionale per la liquidazione 
forfettaria dei relativi danni a favoce dell'appaltatrice. 

Soio �a posteriori�, nel contesto di un'adeguata motivazione in 
esito alle indagini svolte, l'importo iniziale, cui andava commisurato il 
ribasso d'asta, avrebbe potuto rappresentare uno dei possibili indici parametrici 
per la Hquidazione del danno in via equitativa (entro i limiti, 
ovviamente, della proposta domanda giudiziale): indagini non compiute 
dalla corte e motivazione inesistente nella sentenza impugnata. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tale decisione, pertanto, non si sottrae alla censura della ricorrente, 
che, per la mancata applicazione, da parte dei giudid d'appello, delle 
regole indicate, si rivela, nella prima parte, fondata. Alle stesse conclusioni 
bisogna pervenire nell'esame ddla seconda parte, concernente 
l'accredito a favore dell'attrice della quota dell'alea per il periodo di mora. 

Posto, invero, che l'alea detraibile non pu� superare, nel suo totale 
ammontare, [a quota fissa ;prestabilita -nel caso cODJCreto, il 5 % -del 
costo complessivo dell'opera {v. art. 1 d.l. 6 dicembre 1947 e s�ucc. modif.), 
l'importo, a questo titolo rimborsabile all'impresa appaltatrice per risarcimento 
del danno dovuto a ritardo colpevole dell'amministrazione appaltante, 
deve essere determinato in proporzione all'aumento del costo verifi� 
catosi nel periodo di mora. Deve crisultare, cio�, che i:l livello del 5 % 
nell'aumento del costo � stato raggiunto dopo la scadenza del termine 
contrattuale, per essersi l'incremento stesso del 5 % verificato, in tutto 

o in parte, nell'arco di tempo compreso nel detto periodo di protrazione 
dei lavori per colpa dell'amministrazione. 
Onde, in ipotesi, nulla sarebbe dovuto all'appaltatore, per effetto 

di un incremento del 5 % interamente verificatosi prima della scadenza 

contrattuale; mentre ili rimborso dovrebbe essere integrale per un 

aumento del 5 % verificatosi interamente dopo la scadenza stessa, e pro


porzionale nel caso intermedio (e comune) di una progressiva lievita


zione dei .costi, fino alla soglia del 5 %, in tutto l'arco di tempo compreso 

:lira 'l'inizio e ii compimento dell'opera, attraverso la fase esecutiva ordi


naria e il successivo periodo di mora. 

Dalla motivazione della sentenza impugnata nessuna indagine, in 

merito, risulta compiuta. 

E di tale omissione fondatamente si duole <l'Opera Sila nel suo ricorso, 

per esserne ingiustificatamente derivata la statuizione di condanna al 

pagamento a favore della Soc. I.C.L.A. dell'intera somma corrispondente 

all'alea detratta. 

Anche sotto questo profilo, pertanto, il primo motivo di censura si 

rivela fondato e deve essere accolto, rimanendo assorbito il secondo, atti� 

nente al computo degli interessi legali. 

Ne consegue che fa sentenza della corte d'appello di Catanzaro deve 

essere cassata, con il rinvio della causa, anche per la decisione sulle spese, 

alla corte d'appello di Messina, che si atterr� ai �Seguenti principi di 

diritto: 

1) in materia di pubblici appalti, nel caso di ritardo nell'esecuzione 
dei lavori, dovuto a mora dell'amministrazione appaltante, l'importo 
corrispondente al ribasso d'asta non �, 1di per s�, rimborsabile all'impresa 
appaltatrice a titolo risarcitorio, ma potr� rappresentare soltanto uno 
dei possibili indici per una valutazione equitativa del danno stesso, aHe 
condizioni stabilite dall'art. 1226 cod. civ.; 


PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 577 

2) nello stesso rpresupposto della mora de1I'amministrazione appaltante, 
pu� essere accreditato all'appaltatrice, ano stesso titolo di risarcimento 
del danno, l'importo dell'alea detraibile, che risulti proporzionale 
all'incremento dei costi verificatosi nel periodo di mora. (omissis) 

TRIBUNALE DI ROMA, Sez. I, 30 aprile 1983, n. 6688 -Pres. e Est. 
Zucchini -S.p.A. Sogene (avv. A. Pallottino) c. A.N.A.S. {avv. Stato 
Onufrio). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Arbitrato -Capitolato generale 
d'appalto per le oper1e di competenza del Ministero dei lavori pubblici 
-Facolt� di esclusione della competenza arbitrale -Competenza 
dell'Avvocatura dello Stato -Sussiste. 

(d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, art. 47, secondo comma; r.d. 30 settembre 1933 n. 1611, 
artt. 1 e 13). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Clausola compromissoria -Richiamo 
alle disposizioni contenute nel capitolo IV del d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063 -Valore. 

(d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, artt. 43 e ss.). 
Nell'ambito della disciplina della derfinizione delle controversie prevista 
dagli artt. 43 e ss. del Capitolato generale d'appalto approvata con 
il d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, l'esclusione della competenza arbitrale 
costituisce attivit� meramente processuale, che, come tale, rientra nella 
disponibilit� tecnica del procuratore legale e quindi dell'Avvocatura dello 
Stato, secondo le funzioni e i poteri ad essa pertinenti in virt� degli 
artt. 1 e 13 del t.u. 30 s.ettembre 1933 n. 1611 (1). 

La clausola compromissoriia che deferisca tutte le controversie nascenti 
da un contratto d'appalto .d'opere pubbliche ad un giudizio arbitrale � a 

(1) Cass. 22 dicembre 1969 n. 4022, richiamata in motivazione e che costituisce 
precedente in termini, pu� leggersi in questa Rassegna 1969, I, 1182 
nonch� in Foro it. 1970, I, 31, Giust. civ. 11970, I, 1426, Riv. giur. edilizia, 1970, 
I, 260 e Giur. it. 1971, I, 1, 459 con nota contraria di SCHIZZEROTTO, A proposito 
di arbitrato negli appalti di opere pubbliche, di esercizio del potere di scelta 
del processo avanti il giudice ordinario in luogo del processo arbitrale, e di 
poteri dell'Avvocatura dello Stato a tale riguardo. 
In senso contrario � orientata la giurisprudenza arbitrale: cfr. Lodo 16 novembre 
1981, n. 56 in Arch. giur. op. pubbl. 1981, III, 269; Lodo 15 maggio 1980 

n. 26, ivi, 1980, Ili, 172; Lodo 31 marzo 1979 n. 26, ivi, 1979, Ili, 168; Lodo 
17 luglio 1978 n. 59; ibidem 1978, III, 640. 
In un caso analogo a quello deciso con la sentenza in rassegna, Cass. 
28 giugno 1975 n. 2565, in Foro it. 1976, I, !)1 ha affermato che la parte che 
notifica la domanda arbitrale, ove ritenga non valida la declinatoria della 
competenza arbitrale formulata dall'altra parte, se non intende rinunciare all'ar




578 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

termini delle disposizioni contenute nel capitolo IV del d.P.R. 16 luglio 
1962 n. 1063 � vale a richiamare anche il disposto dell'art. 47 che prevede 
la declinatoria della competenza arbitrale (2). 

(omissis) Con citazione del 26 settembre 1973 la S.ip.A. SOGENE, 
premesso che nel corso e al termine dell'esecuzione dell'appalto per la 
costruzione del III lotto dell'autostrada Palermo"Catania aveva riscritto 
e ripetuto in cqntabilit� due riserve relative alla ermta o omessa contabilizzazione 
di alcune opere eseguite e premesso altres� che tali riserve 
erano state rigettate e che la committente ANAS aveva, ai sensi dell'art. 
47 del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, escluso la competenza arbitrale 
prevista in contratto, conveniva detta committente dinanzi a questo 
Tribunale per sentir dichiarare l'illegittimit� della intervenuta declaratoria 
arbitrale e rper sentir condannare la convenuta, in difetto di accoglimento 
deHa pregiudiziale, al pagamento dell'ammontare delle riserve 
per L. 64.138.588, oltre .gli interessi su tale somma e su quelle altre che 
dovevano essere pagate, restituite o svincolate e che non ilo furono nei 
termini previsti a causa del ritardo con cui avvenne il collaudo. 

La convenuta Azienda, costituitasi, eccepiva l'infondatezza della pregiudiziale 
e l'inammissibilit� della domanda di merito per irntempestivit� delle 
riserve nonch� !la sua infondatezza. 

Esperita quindi una consulenza tecnica ed acquisita agli atti varia 
documentazione, la causa, all'udienza collegiale del 15 aprile 1983, veniva 
assegnata a sentenza sulle conclusioni come in epigrafe trascritte. 

DIRITTO 

Con riferimento alla pregiudiziale, la declinatoria di competenza 
arbitrale fatta dall'Azienda convenuta � pienamente legittima. 
Avuto xiguarido ai rilievi in proposito fatti valere dalla societ� attrice, 
va infatti osservato: 

bitrato, deve promuovere la costituzione del collegio, ma non pu� adire il 

giudice ordinario e a questo chiedere di dichiarare la propria incompetenza, 
giacch� l'incompetenza del giudice per essere la cognizione della causa devoluta 
ad arbitri costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, pu� cio� essere 
rilevata dal g:iudice solo su eccezione del convenuto. Nello stesso senso, in un 
caso in cui si controverteva sul se la clausola compromissoria prevedeva o meno 
la facolt� di escludere la competenza arbitrale, Cass. 12 luglio 1978, n. 3515, in 
Foro it. 1979, I, 404. 

(2) In senso contrario, con riguardo a clausola identicamente formulata, 
Lodo 3 luglio 1980 n. 38, in Arch. giur. op. pubbl. 1980, III, 258; Lodo 31 marzo 
1979 n. 26, ivi 1979, III, 168. 



PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI 579 

1) che l'esclusione degli arbitri, manifestata dall'Avvocatura Generale 
dello Stato con atto notificato all'odierna istante in 4ata 8 agosto 
1973, costituisce attivit� meramente processuale che, come tale, rientra 
nella �disponibilit� tecnica del procuratore legale e, quindi, anche 
dell'Avvocatura dello Stato, secondo le funzioni e i poteri ad ess�a pertinenti 
in virt� degli artt. 1 e 13 t.u. 30 settembre 1933 n. 1611 (Cass. 
22 dicembre 1969 n. 4022); 

2) che l'aver previsto, all'art. 70 del contratto di appalto, il deferimento 
di tutte le controversie ad un giudizio arbitrale � a termini delle 
disposizioni contenute nel capitolo IV del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 � 
vale a richiamare anche il disposto dell'art. 47 di tale testo legislativo, 
che prevede la declinatoria che ne occupa e che, per la sua collocazione 
nel capitolo VI, non pu� non applicarsi al caso di specie . .(omissis) 

Il 


SEZIONE OTTAVA 
GIURISPRUDENZA". PENALE 
SEZIONE OTTAVA 
GIURISPRUDENZA". PENALE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, Ord. 10 agosto 1982, n. 2115 -Pres. e 
Rel. Calcagni -Rie. Archibusacci -Parte civile A.l.M.A. (avvocato 
dello Stato Nicola Bruni). 

Procedimento penale � Garanzie patrimoniali di esecuzione � Competenza 
della� Procura della Repubblica presso il Tribunale a richiedere iscrizione 
di ipoteca legale successivamente al deposito della sentenza 
emessa dal Tribunale e fino all'effettiva trasmissione degli atti al 
giudice dell'impugnazione � Sussiste. 

Procedimento penale � Garanzie patrimoniali di esecuzione � Ricorso per 
cassazione dell'imputato avverso provvedimento emesso dal Tribu� 
nale quale giudice dell'esecuzione in tema di iscrizione di ipoteca 
legale � Omessa notifica del ricorso alle altre parti del processo � 
Inammissibilit� dell'impugnazione. 

Competente a richiedere l'iscrizione di ipoteca legale successivamente 
al deposito della sentenza emessa dal Tribunale e gravata di appello �, 
fino all'effettiva trasmissione degli atti al giud.ice ad quem, la Procura 
della Repubblica presso il Tribunal.e e non la Procura Generale presso 
la Corte di Appello. 

Il ricorso per cassazione dell'imputato avverso provvedimento emesso 
dal Tribunale quale giudice dell'esecuzione in tema di iscrizione di 
ipoteca legale, deve essere notificato, a pena di .inammissib.ilit�, alle altre 
parti del processo. 

(omissis) ...La Corte ... osserva che il Procuratore Generale ha concluso 
per l'inammissibilit� del ricorso ai sensi dell'art. 202, secondo comma, 
codice di procedura penale perch� il gravame, avendo riguardo ai 
soli interessi civili, doveva essere notificato a pena di decadenza alle 
altre parti del processo, adempimento non eseguito dai ricorrenti. 

La censura � fondata: infatti, la norma citata, di carattere generale 
in quanto dettata dalla evidente necessit� per fini di giustizia sostanziale 
di assicurare la integrazione del contraddittorio neHe controversie 
civilistiche inserite nel procedimento penale, deve ritenersi per fo stesso 
fine applicabile, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel 
processo di esecuzione e quindi alle impugnazioni relative ai provvedimenti 
adottati, come l'ordinanza impugnata, con le forme previste per 
gli incidenti di esecuzione. 

A diversa conclusione non pu� poi pervenirsi considerando che nella 
citata norma si parla di � parte � che propone impugnazione, mentre 
nell'art. 631 codice di procedura penale, dettato in tema di impugnazione 



PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PBNALB 

della decisione nel procedimento esecutivo, si parla di �interessati� a 
proporre ricorso. 

La diversa espressione � stata ovviamente consigliata dal diverso 
ambito che pu� assumere il procedimento esecutivo; comunque va rilevato 
che un argomento di carattere puramente letterale non pu� incidere 
su quanto discusso circa l'estensione della regola dell'art. 202 secoIJldo 
comma codice di procedura penale, estensione imposta da esigenze 
sistematiche di generale validit�. 

Per ultimo va rilevato che i ricorrenti hanno dedotto la vidlazione 
dehl'art. 616 codice di procedura penale perch� la richiesta dell'iscrizione 
dell'ipoteca legale � stata effettuata dal P.M. presso il Tribunale di Viterbo, 
organo non pi� competente in quanto il giudizio di co~izione di 
primo grado 'si era concluso con il deposito della sentenza e fa presentazione 
dei motivi di appello, e che perci� la richiesta doveva essere consi!
derata giuridicamente inesistente con la conseguenza che la Cassazione, 
chiamata ad emettere una pronunzia dichiarativa sulla esistenza giuridica 
di una iscrizione ipotecaria avanzata da organo �sfornito di [egittima~
ione, poteva pronunciarsi senza la necessaria partecipazione di tutti i 
soggetti interessati. 

La deduzione non pu� per� essere condivisa. 

Secondo i ricorrenti l'organo competente, a norma dell'art. 616 codice 
.di procedura penale, doveva essere il P. M. presso la Corte di Appello 
territorialmente competente. Questa Corte ritiene per� che organo 
competente, sulla base dell'art. 208 codice di procedura penale, in quanto 
non ancora avvenuta la trasmissione degli atti conseguente all'impugnazione, 
doveva essere proprio il magistrato che ha proceduto. La questione 
non � per� di assorbente rilievo nella fattispecie perch� la richiesta di 
iscrizione di ipoteca legale in questione non introduceva comunque un'attivit� 
abnoI1lll.e della Autorit� Giudiziaria, e cio� un'attivit� del tutto 
fuori del sistema, dando invece vita in ipotesi, secondo la tesi dei ricorrenti, 
ad un atto di organo incompetente e cosi eliminabile soltanto mediante 
gli opportuni mezzi predisposti dalla legge (ricorso per cassazione 
nel caso in esame), mezzi cui si doveva iricorrere con l'osservanza di tutte 
le norme concernenti la loro disciplina. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 26 febbraio 1983, n. 1764 -Pres. De 
Martino -Rel. Fazio -Rie. Paganoni (parte civile Ministero del Tesoro: 
avvocato dello Stato Fienga). 

Reato -Reati valutari -Reato previsto dall'art. 2, primo comma, della 
legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dall'art. 3 della legge 8 ottobre 
1976, n. 689 -Omessa dichiarazione all'Ufficio italiano dei cambi entro 
il termine previsto di immobile sito in Italia fittiziamente trasferito 
a societ� estera -Sussistenza. 


RASSEGNA DELL'AVvOCATURA DELLO STATO

582 

Reato -Reati valutari -Reato previsto dall'art. 2, primo comma, della 
legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dall'art. 3 della legge 8 ottobre 
1976, n. 689 � Inapplicabilit�, in caso di condanna, quale pena accessoria, 
della sanzione amministrativa di cui all'art. 8 del D.L. 4 marzo 
1976, n. 31, sostituito dall'art. 1 della legge 30 aprile 1976, n. 159. 

Il residente che ha omesso di dichiarare entro il termine del 3 dicembre 
1976 all'Ufficio italiano .dei cambi immobile sito in Italia fittiziamente 
trasferito a societ� estera, risponde del reato previsto dal primo 
comma dell'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dall'art. 3 
della legge 8 ottobre 1976, n. 689 e integrato dall'art. 3 della legge 23 dicembre 
1976, n. 863. 

Nell'ipotesi di condanna per il reato previsto dall'art. 2 primo cotn� 
ma della legge 30 aprile 1976, n. 159, sostituito dall'art. 3 della legge 8 ot� 
tobre 1976, n. 689, non � irrogabile a carico dell'imputato, quale pena accessoria, 
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 8 del D.L. 4 marza 
1976, n. 31 sostituito dall'art. 1 della legge 30 aprile 1976, n. 159. 

(omissis) La censura mossa alla sentenza impugnata con il primo 
mezzo di gravame pi� che infondata, � inammissibile in quanto con essa 
i ricorrenti, svolgendo una critica all'apprezzamento del fatto, operata 
dai giudici del� merito sulla base degli elementi [egittimamerite acquisiti 
al processo, tendono ad ottenere .un completo riesame del materiaie probatorio, 
non consentito in questa sede di legittimit�. E., invero, compito 
della 'corte di Cassazione, come pi� volte � stato ribadito, solamente 
di controllare se la valutazione da parte del giudice di merito delle prove 
acquisite abbia rispettato o meno le regole della logica e se, quindi, la 
soluzione adottata sia aderente a tale valutazione. 

Orbene sotto questo profilo la sentenza impugnata non appare in 
alcU111 modo censurabile. 

Innanzitutto di tutti gli elementi, ;posti a base della decisione, si da 
nella motivazione la dimostrazione della loro obiettiva esistenza e rilevainza 
con apprez2lamenti di fatto logici ed immuni da errori giuridici, 
e quindi, come tali, insindacabili. 

La valutazione di tali elementi, poi, a carico degli attuali ricorrenti, 

contrariamente a quanto da essi sostenuto risulta effettuata con attenta 

disamina non solo �di quelli di maggiore rilievo, ma anche di quelli mar


ginali, e ci� per una ricerca di verifiche alla complessiva valutazione, 

esente da vizi logici e giuridici, cui non � addebitabile incompletezza 

nella esplorazione di tutti i fatti di causa. 

Ne consegue che dalla motivazione della sentenza impugnata, � age


vole ricostruire l'iter logico seguito dai giudici di merito per pervenire 

all'affermazione di responsabilit� degli imputati nei fatti ad essi addebi


tati, iter che risulta esente da omissioni od errori, ed in ;particolare dal 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

denunciato difetto di motivazione, che, quale vizio di annullamento, si 
ha solo quando sia stato trascurato ogni esame su elementi di decisiva 
importanza (e nella specie, come s'� detto, hanno formato oggetto 
di disamina), ovvero quando il giudice partendo da premesse accettabili 
sia giunto a conclusioni non aderenti al lume della logica comune. 

Ci� premesso, i giudici sono pervenuti al convincimento che l'immobile, 
alienato dai P.aiganoni alla Soc. svizzera DEIV A, fosse rimasto 
nella realt� nel possesso dei previsti alienanti, e ci� (� bene chiarirlo per 
dissipare un equivoco in cui sembrano incorrere i ricorrenti) non per simulazione 
del contratto di vendita ma per la piena ed esclusiva partecipazione 
dei Paganoni stessi �a detto ente, sulla base di una numerosa 
serie di elementi di fatto obiettivamente accertati, sia pure indiziari, ma 
tanto precisi, univoci e concoridanti da nOi!l poter portare ad altra conclusione 
se non a quella adottata. 

In .primo luogo il contenuto del rogito 22 .febbraio 1973, con il quale 
gli imputati vendettero alla Soc. DEIVA di Chiasso per il prezzo di novecentomila 
lire, un terreno, da essi aoquistato tre anni prima per due 
milioni, iJ cui valore sia per la naturale lievitazione dei prezzi, sia, soprattutto, 
per la concessione edilizia, nel frattempo ottenuta, era certamente 
aumentato considerevolmente. 

In secondo luogo, il costante interessamento svolto da parte dei Paganoni, 
e solo di essi (giacch�, � provato che nessun intervento vi fu mai 
dell'amministratore della societ� acquirente) non solo nella fase della costruzione 
dell'edificio ma anche dopo, ne1Jla fase della gestion� di esso. 

Si sottolinea, invero, nella sentenza come furono essi a stipulare il 
contratto di appalto, ad eseguire i lavori, a corrispondere il prezzo pattuito 
all'impresa appaltatrice, come confermato dalla deposizione del titolare 
di tale impresa, certo Maino. Furono essi a denunciare al Comune 
di Faloppio [a ultimazione dei lavori, a richiedere il permesso di abitabilit� 
ed ancor prima all'autorit� militare il nulla-osta per la realizzazione 
dell'opera, ricadendo il terreno in zona militarmente importante, 
nonch� trascrivere presso la Conservatoria dei RR.II. contro di loro ed 
a favore dell'Amministrazione l'esistenza di tale vincolo. 

Risulta ancora in fatto dalla sentenza impugnata che, una volta costruito 
il fabbricato, furono sempre i fratelli Paganoni a locare i singoli 
alloggi ed a riscuotere i relativi canoni: ci�, in base alle dichiarazioni 
concordemente rese dagli inqui1ini in sede d'indagiini di P.G. nel corso 
dell'istruttoria. 

N� pu� censurarsi l'operato dei giudici, che in presenza di un cos� 
imponente complesso di elementi, obiettivamente accertati, hanno disatteso 
la contraddittoria ed inconsistente tesi difensiva, da essi prospettata, 
e cio� di aver agito per mandato ricevuto dal fantomatico amministratore 
della Soc. Deiva (dagli stessi dedotto come teste e non pre



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sentatosi a deporre) o alternativamente di avere costruito l'edificio di 
loro iniziativa sul suolo alienato, di talch� la propriet� dell'edificio medesimo 
apparterrebbe per accessione alla Soc. Deiva, verso la quale essi 
non potrebbero vantare altro iche un diritto di credito ai sensi degli 
artt. 934 e 936 cod. civ. 

Su[la base dei cennati elementi di fatto, sottoposti a puntuale e diffusa 
analisi nella sentenza impugnata, risulta ampiamente e logicamente 
motivato il convincimento dei gfodici del merito, secondo cui con l'alienazione 
al1a Soc. Deiva del terreno e con la successiva costruzione su di 
esso dell'edificio, i fratelli Paganoni hanno inteso dissimulare la titolarit� 
del diritto di propriet� sull'immobile, in modo da far apparire q�esto come 
appartenente ad un soggetto estero. Sicch�, una volta entrata in vigore 
la legislazione penale valutaria, non avendo osservato gli adempimenti 
prescritti dall'art. 2 della L. 30 aprile 1976, n. 159 per ripristinare la reale 
preesistente situazione giuridica, si sono resi colpevoli dell'ipotesi delittuos� 
in tale norma prevista come correttamente hanno ritenuto i giudici 
del merito. 

Non hanno, invero, alcun ~uridico fondamento le tesi sos!enute dai 
ricorrenti con il secondo motivo di ricorso, secondo cui il fatto ad essi 
addebitato non sarebbe previsto come reato, o, comunque, non punibile 
ai sensi dell'art. 2 c.p. 

Per confutare tali tesi � opportuno procedere preliminarmente ad 
una breve esegesi delle norme emanate nel corso dell'anno 1976 con incalzante 
successione (tanto da risultare spesso manchevoli, sotto il profilo 
della tecnica Jegislativa) per porre rimedio, con lo strumento della 
repressione penale, al dilagante fenomeno, lesivo della economia nazionale, 
della cosiddetta fuga dei capitali all'estero e per favorirne il rientro. 

IJ D.L. 4 marzo 1976, n. 31 per primo cre� due ipotesi delittuose: 
l'illegittima esportazione all'estero di �valuta nazionale o estera, titoli 
azionari e obbligazioni, titoli di credito ovvero altri mezzi �di pagamento � 
e l'illegittima costituzione fuori del territorio dello Stato di � disponibilit� 
valutarie o attivtit� di qualsiasi genere�. 

Nuhla prevedeva, invece, per le attivit� patrimoniali gi� costituite all'estero 
in data anteriore all'entrata in vigore del decreto stesso (6 marzo 
1976) in violazione delle leggi valutarie previgenti. A tale lacuna ovvi� 
la legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159, che con l'art. 2 impose l'obbligo 
a chi possedeva all'estero le suindicate attivit� costituite anteriormente 
alla data predetta, di farne dichiarazione all'Ufficio Italiano 
Cambi entro tre mesi e di fare rientrare il corrispondente valore in 
Italia entro i tre mesi successivi alla dichiarazione (ad eccezione degli 
immobili per cui fu fissato il termine di un anno), sanzionando penalmente 
la violazione di tale obbligo. 

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f'-: 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

La legge 8 ottobre 1976, n. 689, di conversione del D.L. 10 agosto 
1976, n. 543, nell'art. 3 modific� fart. 2 della L. n. 159 del 1976 prorogando 
il. termine per la dichiarazione al 3 dicembre 1976 e precisando modalit� 
e termini per gli adempimenti da osservare per la reimportazione delle 
attivit� patrimoniali in iltalia, modalit� e termini differenziati a seconda 
della natura di tali attivit�. Per la, mancata osservanza di tali adempimenti 
fu stabilita .(quinto comma) la pena della multa sino a lire 500.000 
�ovvero, se la violazione si riferisce a disponibilit� o attivit� di valore 
superiore, a 15 milioni di lire con la reclusione da uno a sei anni e con 
la multa fino al quadruplo del predetto valore �. La citata legge introdusse 
l'art. 2 bis che testualmente recita: � I residenti che tramite la 
interposizione di non residenti o la partecipazione in societ� o in enti od 
organizzazioni estere di qualsiasi tipo, possiedono in Italia attivit� di 
qrualsiasi genere costituite �anteriormente al 6 marzo 1976, possono, entro 
H 19 maggio 1977, rendersene cessionari senza corrispettivo, previo 
adempimento degli obblighi .di cui al primo comma del .precedente art. 2 
dei quali ricorrano i presupposti. Negli atti di cessione le parti devono 
dichiarare che gli atti stessi sono stipulati ai sensi e per gli effetti del 
presente articolo. La cessione deve essere comunicata tramite le banche 
agenti all'ufficio italiano dei cambi, con le modalit� stabilite dall'ufficio 
stesso�. 

L'art. 2 della stessa legge previde ancora una ulteriore fattispecie penale 
stabilendo che: � Il residente che, costituendo Enti o persone giu� 
ridiche estere, ovvero partecipando a enti o persone giuridiche estere, 
anche non riconosciute dal1a legge italiana, fa apparire beni siti o attivii.t� 
svolte dn Italia come appartenenti a non residenti, � punito con la re� 
clusione fino a tre anni e con la multa fino a lire 5 milioni �. 

Tale norma fu parzialmente modificata, ma solo nella sua formulazione 
letterale, dall'art. 2 della L. 23 dicembre 1976, n. 863 (l'ultima della 
serie) di conversione del D.L. 17 novembre 1976, n. 759). 

Sostengono innanzitutto i ricorrenti che la condotta ad essi addebitata, 
da inquadrarsi neH'art. 2 bis della L. 8 ottobre 1976, n. 863 non 
costituirebbe reato, in quanto tale norma non stabilisce alcun obbligo 
nei confronti di coloro che hanno costituito societ� o partecipano a societ� 
estere intestatarie di beni siti in Italia n� prevede alcuna sanzione 
penale per coloro che non si avvalgono della facolt�, concessa dalla norma 
stessa. 

L'equivoco che si �annida in siffatta tesi � evidente. 

Invero l'�art. 2 bis non ha creato nessuna nuova ipotesi ,di reato: ma 
non ve ne era bisogno in quanto la previsione in esso contenuta era gi� 
compresa nella fattispecie di cui all'art. 2, primo e quinto comma della 
Legge 30 aprile 1976, n. 159, cos� come modifkato dalla L. n. 689 del 1976. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

586 

In buona sostanza, infatti, le operazioni cosiddette di estero-vestizione 
altro non sono che particolari forme di costituzione di disponibilit� 
valutarie all'estero caratterizzate dal fatto che i beni nei quali si materializzano, 
formalmente appartenenti a soggetti esteri, sono siti in Italia. 

La sottrazione all'economia nazionale di elementi patrimoniali attivi 
(fenomeno, appunto, che il nostro diritto penale valutario intende impedire) 
pu� realizzarsi o attraverso il materiale trasferimento all'estero 

o attraverso la fittizia immutazione della nazionalit� del soggetto proprietario. 
Pertanto gi� ,in base alla norma citata i possessori di beni 
esterovestiti erano tenuti a farne dichiarazione all'Ufficio Italiano dei 
Cambi ed a procedere agli ulteriori adempimenti in essa previsti, con 
la conseguenza che in caso di inosservanza di tali prescrizioni, come � 
avvenuto nella specie, erano soggetti alle pene previste dal quinto comma. 
L'art. 2 bis, quindi, non ha previsto alcuna nuova ipotesi di reato n�, 
come si legge nella sentenza impugnata � criminalizza la omissione di 
chi, possedendo in Italia beni esterovestiti da epoca anteriore al 6 marzo 
1976, non renda all'Ufficio Cambi Italiano la dichiarazione prescritta 
dall'art. 2 e non adempia gli altri obblighi ivi previsti '" ma ha semplicemente 
sostituito ilD via alternativa alla prescrizione della ,lettera C) 
�cedere alla Banca d'Italia o ad una banca agente... le disponibilit� valutarie 
liquide e trasferibili ricavate con la riscossione dei crediti, con 
l'eventuale vendita di beni immobili e con l'eventuale vendita o liquidazione 
delle attivit� costituenti investimenti diretti >>, la facolt� per i possessori 
di dette entit� patrimoniali siti in Italia di eliminare il simulato 
rapporto di esterovestizione rendendosene � cessionari senza corrispettivo
�, in altri termini idi ripristinare il reale rapporto giuridico di propriet� 
o di qualsiasi altro diritto reale, mediante l'intestazione formale 
di quei beni a se stessi, senza necessit� di procedere alla loro alienazione. 

Priva di qua1siasi fondamento wl piano logico, ancor prima che giuridico, 
� la tesi sostenuta in vii.a alternativa dai ricorrenti, secondo la 
quale il fatto ad essi ascritto potrebbe, a tutto concedere, fu.quadrarsi 
nell'ipotesi delittuosa introdotta dall'art. 2 della L. 8 ottobre 1976, n. 689, 
modificato dalla L. 23 dicembre 1976, n. 863, onde, avendo essi trasferito 
l'immobile alla Societ� svizzera, in ipotesi di comodo, nel febbraio 1973, 
avrebbero dovuto essere dichiarati non punibili per il principio della 
irretroattivit� della legge 1penale, sancito dall'art. 2 c.p. e dall'art. 36 
della Costituzione, o, in estremo subordine, come si chiede con il quarto 
motivo di ricorso (richiesta, per altro, che risulta assolutamente incomprensibile) 
essere puniti con le pene stabilite in quelle norme. 

L'articolo in questione ha ipotizzato una fattispecie criminosa completamente 
.diversa ed autonoma rispetto ai reati previsti dalle precedenti 
leggi valutarie (ed in particolare di quella di cui all'art. 2 della 

L. 159 del 1976, pi� sopra illustrato) sanzionando penalmente la condotta 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

del � residente che costituendo persone giuridiche od enti esteri, o assumendo 
partecipazioni in persone giuridiche o enti esteri, fa apparire 
beni siti o attivit� costituite in Italia come appartenenti a non residente
�. 

Trattasi di un reato commissivo di carattere permanente, perdurando 
la sua consumazione sino a tanto che continua ad essere posta in essere 
la condotta antigiuridica, come si evince chiaramente dalla lettera 
della norma � fa apparire �. 

L'elemento materiale invece del reato ipotizzato dall'art. 2 della 

L. 159 del 1976, modificato dalla L. 689 del 1976, reato del quale gli imputati 
legittimamente sono stati ritenuti colpevoli per le ragioni dinanzi 
dette, prevede e sanziona una condotta omissiVla, quella cio�, di colui 
che possedendo alla data del 6 marzo 1976 {prorogata sino al 19 novembre 
1976) attivit� patrimoniali di qualsiasi genere all'estero, o in Italia 
beni apparentemente �intestati a soggetti stranieri, ha omesso di farne 
dichiarazione all'Istituto Italiano dei Cambi, entro il 3 dicembre 1976 ed 
a provvedere agli ulteriori adempimenti presc11itti rper la regolarizzazione 
nel caso di beni esterovestiti entro il 19 ma:ggio 1977 (art. 2 bis). 
Da queste premesse discende che colui che, versando nei casi previsti 
dalla norma suddetta, non ha osservato le prescrizioni con le modalit� 
e nei termini da essa stabiliti continuando a far apparire esterovestiti 
dopo la scadenza di detti termini beni siti in Italia, a lui in realt� 
appartenenti, mediante l'interposizione di societ� ed enti stranieri, oltre 
ad incorrere nella violazione prevista dalla norma stessa, si � reso responsabile 
anche di quella di cui all'art. 2 della L. 8 ottobre 1976, n. 689 
modificata dalla L. 23 dicembre 1976, n. 863, potendo sussistere il concorso 
materiale tra i due reati, data l'assoluta diversit� ed autonomia 
dell'elemento oggettivo. 

Di talch� data la situazione di fatto accertata m sentenza, anche di 
questo .reato avrebbero potuto o dovuto essere chiamati a rispondere 
gli attuali ricorrenti. {omissis). 

Alla stessa conclusione deve pervenirsi per quanto riguarda la decisione 
relativa al mantenimento della misura di sicurezza patrimoniale, 
disposta dai primi giudici, nella specie facoltativa e non obbligatoria non 
versandosi nell'ipotesi di cui all'art. 1, comma ottavo della legge n. 159 
del 1976. 

Orbene si legge nella sentenza impugnata: 

�L'edificio esterovestito costituisce strumento di ulteriore possibile 
attivit� illecita degli imputati, in quanto consente loro di attribuire fittiziamente 
alla societ� svizzera Ja valuta proveniente dai canoni di locazione 
continuando cos� a sottrarre beni aH'economia nazionale. 

L'attuale pericolosit� del cespite patrimoniale giustifica, quindi, l'ap:
plicazione della misura di sicurezza (Patrimoniale, anche al di l� della 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

considerazione del nes,so di strumentalit� necessaria tra esso ed il reato�. 

Ed anche questa decisione appare giuridicamente corretta e fogittimo 
il provvedimento adottato, tri.correndo i casi previsti dall'art. 240, primo 
com.ma c.p. 

Fondato � invece il sesto motivo, dedotto a sostegno del ricorso, con 
il quale i ricorrenti lamentano l'illegittima applicazione della sanzione 
amministrativa, quale pena accessoria, prevista dall'art. 8 del D.L. 4 mar� 
zo 1976, n. 31, modificato dall'art. 1 della L. 30 aprile 1976, n. 159. I giudici 
dell'appeHo hanno rigettato la richiesta di eliminazione di tale pena, 
proposta dagli appellanti con apposito mezzo di gravame, considerando 
che la norma in esame � ha non solo lo scopo di evitare per ragioni di 
economia, l'instaurazione del procedimento di repressione amministrativa 
per le infrazioni valutarie preesistenti alla introduzione della sanzione 
penale, ma anche quello di estendere le sanzioni amministrative a tutti 
i fatti previsti come reato dalle norme penali valutarie �. 

Ma tale tesi � errata sul piano giuridico, basata com'�, su un'interpretazione 
contraria alla lettera ed allo spirito della norma, che, data la 
srua natura di norma penale, per di pi� speciale, non ammette un'applicazione 
estensiva, n� tanto meno analogica, come pare abbiano invece 
ritenuto i giudici del merito. 

Invero l'art. 8 del D.L. 4 marzo 1976, n. 31 recita: 

, � Ai fatti previsti, come reato dal presente decreto-legge, si applicano 
anche dal giudice penale, quale pena accessoria, le sanzioni di carattere 
amministrativo previste dalle disposizioni vigenti �. 

Ora � i fatti previsti dal decreto-legge come reato � sono solamente 
l'illecita esportazione di valuta nazionale ed estera, titoli azionari. ed obb'ligazioni, 
titoli di credito ovvero altri mezzi di pagamento� (art. l, primo 
comma) e l'illecita costituzione fuori del territorio dello Stato di 
� disrponib1lit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere�. Non prevedeva, 
invece, come reato il fatto di colui che possedendo all'estero attivit� patrimoniali 
costitruite alla data anteriore al 6 marzo 1976 (prorogata poi 
al 19 novembre dello ,stesso anno) o posseduto in Italia a quella data beni 
esterovestiti non abbia provveduto agli adempimenti prescritti, n� del 
residente che fa apparire come appartenenti ad enti esteri beni siti in 
Italia da lui posseduti, fattispecie tutte queste crJ.~alizzate dalle leggi 
successive (30 aprile 1976, n. 159; 30 ottobre 1976, n. 689; 23 dicembre 
1976, n. 863), che per tali reati non hanno pi� fatto riferimento alla norma 
dell'art. 8 del D.L. n. 31 del 1976, il quale, � bene ricordarlo, � rimasto 
inalterato nella sua formulazione letterale. 

C'�, poi, da aggiungere {e questa ulteriore considerazione appare 

decisiva) che le ,gi� vigenti disposizioni legislative in materia valutaria 

(D.L. 6 giugno 1956, n. 476, convertito in L. 25 luglio 1956, n. 786) non 
prevedevano le ,ipotesi suindicate come illecito amministrativo; di taich� 

PARTB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

non � td.ato 1sapere quale � sanzione di carattere amministrativo � ed in 
quale misura sarebbe ad esse, oggi sussunte ad illecito penale, applicabile, 
� quale pena accessoria �. 

Essendo, quindi, stata applicata nella specie una pena illegittima, 
per le ragioni anzidette, essa pu� ben essere eliminata da questa Suprema 
Corte in applicazione del generale pr.indpio dell'art. 152 c.p.p. -principio 
che ha trovato applicazione in precedenti decisioni relative a casi 
analoghi -annullando su tal punto la sentenza .impugnata senza neces� 
sit� di rinvio ad altro giudice di merito. 


PARTE SECONDA 



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LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

<':'.f.l.Wdf?f.'..d'-"'"%4'~~.-w~.:>;~~~"~��M'~$:%:~~"i:W~-foo/i:':l:' 

Codice civile, art. 156, sesto comma, nella parte in cui non prevede che 
le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente 
separati. 

Sentenza 31 maggio 1983, n. 144, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. 

..._----fi>l'h;;c,,.-,_,,,,,,WM'>1"i''""""'"'"""" 

codice penale, art. 504, nella parte in cui punisce lo sciopero il quale ha 
lo scopo di costringere l'autorit� a dare o ad omettere un provvedimento o lo 
scopo di influire sulle deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire 
l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero 
esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit� popolare. 

h � Sente!}?;;:t 13 giug1:10)9~, Jt:� i.~5, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. 

!,,~\ :t~f <::d. 3~. ~:~~~br~'�-1~:~.';~~. ~28:. art. 11, nella parte in cui non prevede che 
\fl beneficio del gratuito patrocinio si estenda alla facolt� per le parti di farsi 
assistere da consulenti tecnici. 

Sentenza 8 giugno 1983, n. 149, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. 

r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, artt. 39 e 41 (come modificato dall'art. 1 del 
r.d. 11 agosto 1933, n. 1286 e dall'art. 1 della legge 3 aprile 1958, n. 470). nella 
parte in cui escludono gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile 
rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami 
di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall'attivit� didattica della 
scuola statale del grado preparatorio. 
Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

r.d. 11 agosto 1933, n. 1286, art. 6, nella parte in cui esclude gli alunni e 
candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della 
scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso 
maschile dall'attivit� didattica della scuola statale del grado preparatorio. 
Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. '170. 

r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, primo comma (secondo il testo risultante 
ora dall'art. 24 della legge 3 giugno 1975, n. 160), nella parte in cui non prevede 
che si considera invalido anche l'assicurato la cui capacit� di gUadagno sia 
ridotta a meno di un terzo precedentemente alla costituzione del rapporto assicurativo 
e subisca una ulteriore riduzione nel corso del rapporto stesso. 
Sentenza 13 giugno 1983, n. 163, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. 

legge 18 marzo 1968, n. 444, artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 
19, 20 e 28, nella parte in cui si riferiscono alle insegnanti, invece che al corpo 
docente di ambo i sessi. 

Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 



J4 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 18 marzo 1968, n. 444, art. 9, nella parte in cui esclude gli alunni e 
candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della 
scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso 
maschile dall'attivit� didattica della scuola statale del grado preparatorio. 

Sentenza 16 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

legge 9 agosto 1978, n. 463, art. 9, nella parte in cui si riferisce alle insegnanti, 
invece che al corpo docente di ambo i sessi. 

Sentenza 116 giugno 1983, n. 173, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

II -QUESTIONI NON FONDATE 

Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 5 e 9 [come modificato dalla legge 
14 ottobre 1974, n. 497 art. 8] (artt. 21, 49 e 25 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 126, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 

legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9 [come modificato dalla legge 14 ottobre 
1974, n. 497, art. 8] (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 126, G.U. 11 maggio 11983, n. 128. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, secondo comma (artt. 3, 4 e 35 della 
Costituzione). 
Sentenza 28 aprile 1983, n. 109, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. 

legge 28 marzo 1968, n. 341, art. 6 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 129, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 60, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 
53 
della Costituzione). 
Sentenza 28 aprile 1983, n. 108, G.U. 4 maggio 1983, n. 121. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 2 (artt. 3, 24, secondo comma, e 25, 
primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 13 giugno 1983, n. 164, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1983, n. 137, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. 

legge 10 maggio 1976, n. 314, art. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 13 giugno 1983, n. ,162, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 17, lett. b) e 1 (artt. 42 e 43 della Costituzione). 
Sentenza 5 maggio 1983, n. 127, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 55 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38, 39, 40 e 41 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 128, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 41 e 73 (artt. 3 e 35 della C�stituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 128, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 128, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 

legge reg. siciliana 27 dicembre 1978, n. 71, art. 36 (artt. 42 e 43 della Co� 
stituzione). 

Sentenza 5 maggio 1983, n. 127, G.U. 11 maggio 1983, n. 128. 

legge reg. Friuli Venezia Giulia 23 luglio 1980, riapprovata il 16 settembre 
1980. 

Sentenza 13 giugno 1983, n. 161, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

legge 3 gennaio 1981, n. l, art. 5 (artt. 3, 28 e 112 della Costituzione). 

Sentenza 3 giugno 1983, n. 148, G.U. 15 giugno 1983, n. 163. 

III � QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile art. 1901 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 947/82, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

codice di procedura civile, disposizioni di attuazione, art. 152 (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 952, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 
codice di procedura civile artt. 215, n. 1 e 192 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 13 luglio 1981, n. 948/82, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 
codice di procedura civile, art. 621 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Caltagirone, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 943, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

codice di procedura civile, art. 657 e seguenti (artt. 2, 3, 14, 41, 42 e 
47 della Costituzione). 

Pretore di Casamassima, ordinanza 10 novembre 1982, n. 25/83, G.U. 22 giugno 
1983, n. 170. 


16 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di pr0cedura civile, art. 675 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Palermo, ordinanza 1 ottobre 1982, n. 905, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

codice penale, art. 2, quinto comma (art. 77 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 9 novembre 1982, n. 91/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

codice penale, art. 175, primo comma [introdotto con la legge 24 novem� 
bre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 15 novembre 1982, n. 73/83, G.U. 29 giugno 
� 1983, n. 177. 

codice penale, artt. 215 e 222 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Treviso, ordinanza 27 novembre 1982, 

n. 16/83, G.U. �15 giugno 1983, n. 163. 
combinato disposto codice penale, art. 699, e legge 14 ottobre 1974, n. 497, 
art. 15 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Foligno, ordinanza 15 dicembre �1981, n. 836/82, G.U. 4 maggio 
1983, n. 121. 

codice di procedura penale art. 21 (artt. 2, 24, 25, 27, 101 e 102 della 
Costituzione). 

Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 g;ugno 1983, 

n. 156. 
codice di procedura penale art. 263-bis, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 18 novembre 1982, n. 64/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 
Tribunale di Roma, ordinanza 29 novembre 1982, n. 70/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

codice di procedura penale, a1�tt. 277 e 281 (artt. 3, 24, 27 e 32 della Costituzione). 


Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 94/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

codice di procedura penale, artt. 378, 381, ultima parte e 384, primo com� 
ma, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Catania, ordinanza 28 ottobre 11982, n. 901, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

codice penale militare di pace, art. 191 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 868, G.U. giugno 
1983, n. 149. 


PARTE II, LEGISLAZIONE J7 

codice penale militare di pace, art. 195, primo comma (art. 3 della Co� 
stituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 60/83, G.U. 
29 giugno 1983, n. 177. 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 61/83, G.U. 
29 giugno 1983, n. 177. 

legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 11, ali. T all'art. 39 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 1982, n. 825, G.U. 4 maggio 1983, 

n. 121. 
r.d. 14 luglio 1898, n. 404, artt. 17 e 24 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Oristano, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 147/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 
Pretore di Oristano, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 148/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

Pretore di Oristano, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 269/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

r.d. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Domodossola, ordinanza 21 ottobre 1982, n. 858, G.U. 25 maggio 
1983, n. 142. 

r.d. 16 luglio 1905, n. 646, art. 20 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Lecco, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 873, G.U. 25 maggio 
1983; n. 142. 

r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Enna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 22/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

r.d.-legge 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale per i minorenni di Catania, ordinanza 13 giugno 1977, n. 27/83, 

G.U. 29 giugno 1983, n. 177. 
r.d.-legge 4 giugno 1938, n. 880, artt. 1, 10 e 25 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 14 maggio 1982, n. 914, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 42 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 49/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 2, 24, 25, 27, 101 e 102 della 
Costituzione). 
Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 giugno 1983, 

n. 156. 

f8 
RASSEGNA 'DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione). 
Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. 

r.d. 
16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Fermo, ordinanza 23 giugno 1982, n. 933, G.U. giugno 1983, 

n. 
149. 
Pretore di Fermo, ordinanza 23 giugno 1982, n. 934, G.U. 1 giugno 1983, 
n. 
149. 
Pretore di Fermo, ordinanza 9 giugno 1982, n. 935, G.U. 1 giugno 1983, 
n. 
149. 
Pretore di Fermo, ordinanza 16 giugno 1982, n. 936, G.U. giugno 1983, 
n. 
149. 
Pretore di Fermo, ordinanza 2 giugno 1982, n. 932, G.U. 8 giugno 1983, 
n. 156. 
legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24, 25 e 112 della 
Costituzione). 

Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 18/83, G.U. 18 maggio 1983, 

n. 
135. 
Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 20/83, G.U. 15 giugno 1983, 
n. 163. 
Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 19/83, G.U. 29 giugno 1983, 
n, 177. 

d.lgt. 9 novembre 1945, n. 788, art. 1 (artt. 3, 36 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 21 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Messina, ordinanza 22 aprile 1982, n. 26/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

d.tvo C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 9, penultimo comma (art. 36 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 18 giugno 
1981, n. 921/82, G.U. 25 maggio 1983, n. 142. 

legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. l, 9, 12 e 13 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Corte d'appello di Perugia, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 926, G.U. 4 maggio 
1983, n. 121. 

legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 62, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 30 marzo 1982, n. 880, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. 

decreti presidenziali di esproprio 18 dicembre 1952, nn. 3270 e 3271 (art. 76 
della Costituzione). 

Tribunale di Locri, ordinanza 13 luglio 1982, n. 915, G.U. 1 giugno 1983. 

n. 149. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 3 novembre 1954, n. 1042 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno 1983, 


n. 156. 
legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1 giugno 1981, 

n. 884/82, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. 
legge 29 novembre 1955, n. 1179, .(art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 15 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Trani, ordinanza 5 giugno 1981, n. 902/82, G.U. 25 maggio 
1983, n. 142. 

legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 1 marzo 1982, n. 831, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

legge 2 aprile 1958, n. 322, articolo unico (artt. 38 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 18 novembre 1981, n. 917/82, G.U. 25 maggio 
1983, n. 142. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis [introdotto dall'art. 142 della legge 
24 novembre 1981, n, 689] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Porretta Terme, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 15/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis e 30-ter (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 27 luglio 1982, n. 835, G.U. 4 maggio 
1983, Il. 121. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 923, G.U. 
25 maggio 1983, n. 142. 

t.u. reg. Sicilia 20 agosto 1960, 11. 3, art. 5, 11. 6 (artt. 3 e 51 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 9 novembre 1981, n. 682/82, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 

legge 3 febbraio 1963, n. 77, art. 1 (artt. 3, 36 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 


60 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 8 febbraio 1963, n. 67 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 4 ottobre 1982, n. 39/83, G.U. 22 giugno 
1983, n. 170. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3 e 76 della Costituzione). 
Tribunale di Matera, ordinanza 10 novembre 1982, n. 940, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Enna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 22/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 3 giugno 
1982, n. 922, G.U. :18 maggio 1983, n. 135. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 29 della 
Costituzione). 

Pretore di Cagliari, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 843, G.U. 4 maggio 1983, 

n. �121. 
legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 50, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 30 marzo 1982, n. 880, G.U. 18 maggio 1983, n. 135. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5, quarto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 

legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 (artt. 3, 36 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, quinto comma [nel testo risultante 
dall'art. 26 legge 3 giugno 1975, n. 160] (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. l1 maggio 
1983, n. 128. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 19 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 

di. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 7, secondo e terzo comma [convertito in legge 
11 marzo 1970, n. 83] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 315, G.U. 29 giugno 
1983, n. m. 

legge 25 maggio 1970, n. 364, artt. 19 e 23 (art. 81 della Costituzione). 

Tribunale di Forl�, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 951, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 

d.-legge 26 ottobre 1970, n. 745, art. 28 [convertito dalla legge 18 dicembre 
1970, n. 1034] (artt. 3 e 23 della Costituzione). 

Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 11/83, G.U. 8� giugno 1983, 

n. 156. 

Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 10/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 834, G.U. 11 maggio 1983, 

n. 128. 

Pretore di Bologna, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 856, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 

Pretore di Bologna, ordinanza 4 ottobre 1982, n. 857, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 

Pretore di Parma, ordinanza 5 ottobre 1982, n. 883, G.U. 18 maggio 1983, 

n. 135. 

Pretore di Parma, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 941, G.U. 18 maggio 
1983, n. 135. 

Pretore di Napoli, ordinanza 21 settembre 1982, n. 862, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

Pretore di Verona, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 912, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 
149. 
Pretore di Lecce, ordinanza 21 luglio 1982, n. 804, G.U. 8 giugno ,1983, n. 156. 
Pretore di Roma, ordinanza 26 novembre 1982, n. 41/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 
Pretore di Roma, ordinanza 26 novembre 1982, n. 42/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 
Pretore di Lecce, ordinanza 25 novembre 1982, n. 32/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, secondo comma (art. 81 della Costituzione). 


Pretore di Velletri, ordinanza 18 ottobre '1982, n. 861, G.U. 11 maggio 
1983, n. 128. 


62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (art. 76 della Costituzione). 

C�rnmissione. tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 53/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982,, n. 54/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 55/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tribbutaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 56/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 57/83, G. U. 29 giugno �1983, n. 177. 

legge 6 dicembre 1971, n. 1075 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G. U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 14/83, G. U. 
15 giugno 1983, n. 163. 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 16 novembre 1982, n. 37/83, G. U. 
29 giugno 1983, n. 177. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo 
e secondo periodo, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 
42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 9 novembre 1982, n. 949, G. U. 
8 giugno 1983, n. 156. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 23, 24, 28, e 113 della Costi� 
tuzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 886/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 888/82, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 898/82, G. U. 18 maggio 1983, n. 135. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 887/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 889/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 890/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 891/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 152. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 892/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. 


PARm II, LEGISIAZIONB 6J 

Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 896/82, G. U. 25 maggio 1983, n. 142. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 893/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 894/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 895/82, G. U. il giugno 1983, n. 149. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 897/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 899/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. 
Commissione tributaria di secondo grado di Grosseto, ordinanza 5 maggio 
1981, n. 900/82, G. U. 1 giugno ,1983, n. 149. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 2 novembre 
1982, n. 50/83, G. U. 22 giugno 1983, n. :170. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 14 [come modificato dalla legge 
16 dicembre 1977, n. 9M] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 10 marzo 
1978, n. 913/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 
1981, n. 849/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 
1981, n. 850/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 
1981, n. 851/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 
1981, n. 852/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 
1981, n. 853/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 14 luglio 
1981, n. 854/82, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 

d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 17 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Foggia, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 876, G. U. 25 maggio 1983, 

n. 142. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 20, 28, 48, 91, 93 e 96, lett. f) (artt. 3, 28 e 
113 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 21 aprile 1982, n. 31/83, G. U. 29 giugno 1983, 

n. 177. 

64 RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93 (artt. 3, 28 e 113 della 
Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 29/83, G. U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

Tribunale di Roma, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 30/83, G. U. 22 giugno 1983, 

n. 170. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dall'art. 45 
della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Saluzzo, ordinanza 3 novembre 1982, n. 916, G. U. 25 maggio 
1983, n, 142. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 [modificato 
dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Terralba, ordinanza 16 novembre 1982, n. 40/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [modificato dalla legge 14 aprile 1975, 
n. 103, art. 45] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 33/83, G. U. '1 giugno 
1983, n. 149. 

legge prov. di Trento 26 luglio 1973, n. 18, art. 9 (art. 4 e 9 dello statuto 
reg. Trentino-Alto Adige). 

Pretore di Pergine Valsugana, ordinanza 16 ottobre 1982, n. 879, G. U. 
25 maggio 1983, n. 142. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 24 e 30 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
e 
f: 
Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 18 mar


I

zo 1982, n.79/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46, primo comma, e 48 (art. 36 della 
Costituzione). 
I

Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 21 giugno 
1982, n. 840, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 50, quarto comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Salerno, ordinanza 15 giugno 
1982, n. 71/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 68, ultimo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 58/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 



PARm II, LEGISLAZIONE 6f 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, terzo comma (artt. 3, 24 e 53 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Grosseto, ordinanza 11 giugno 
1982, n. 52/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. da 46 a 57 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 53/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 54/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 55/83, G. U. 29 giugno 1983, n. '177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 56/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 
Commissione tributaria di primo grado di Udine, ordinanza 19 gennaio 
1982, n. 57/83, G. U. 29 giugno 1983, n. 177. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 36 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 21 giugno 
1982, n. 840, G. U. 4 maggio 1983, n. 121. 

d.P.R. 29 settembbre 1973, n. 602, art. 52, secondo comma, lett. b) (artt. 3 
e 24 della Costituzione). 
Pretore di Caltagirone, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 943, G. U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

legge 22 dicembre 1973, n. 903, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Massa, ordinanza 25 agosto 1982, n. 860, G. U. 18 maggio IJ.983, 

n. 135. 
d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, art. 92, sesto comma (artt. 3 e 91 della Costituzione). 
Pretore di Campobasso, ordinanza 5 novembre 1982, n. 946, G. U. 4 maggio 
1983, n. 121. 

legge 14 giugno 1974, n. 270, art. 1 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 23 novembre 1982, n. 24/83, G. U. 
15 giugno 1983, n. 163. 

Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 23 novembre 1982, n. 24/83, 

G. U. 15 giugno 1983, n. 163. 
d. legge 8 luglio 1974, n. 264, art. 4, primo comma [convertito dalla legge 
17 agosto 1974, n. 386] (artt. 3 e 23 della Costituzione). 
Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 11/83, G. U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

Pretore di Prato, ordinanza 19 novembre 1982, n. 10/83, G. U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

., 



66 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 12 maggio 1982, n. 909, G. U. 18 maggio 
1983, n. 135. 

Corte di cassazione, ordinanza 23 aprile 1982, n. 907, G. U. 1 giugno 1983, 

n. 
149. 
Corte di cassazione, ordinanza 5 aprile 1982, n. 908, G. U. 1 giugno 1983, 
n. 
149. 
Corte di cassazione, ordinanza 12 maggio 1982, n. 910, G. U. 1,giugno !1983, 
n. 149. 
legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14, primo comma (art. 117 
della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 5 aprile 1982, n. 911, G. U. 15 giugno 1983, 

n. 
163. 
legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 10 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Vasto, ordinanza 16 giugno 1981, n. 21/83, G. U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

I .� 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 937, G.U. 18 maggio 
1983, n. 135. 
Tribunale di Mantova, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 938, G.U. 18 maggio 
1983, n. 135. 

Tribunale di Enna, ordinanza 1 dicembre 1982, n. 22/83, G.U. 15 giugno 
.1983, n. 163. 

I 
' 

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, primo comma; 2, primo comma, e 45 

i

(artt. 3, 10, 21, 41 e 43 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanza 4 maggio 1982, n. 870, G. U. 
25 maggio 1983, n. 142. 

I

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 4, primo comma, secondo capoverso, e 6 
(artt. 21, 24, 43 e 102 della Costituzione). 


Pretore di Roma, ordinanza 6 novembre 1982, n. 88/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 24 marzo 1981, n. 47/83, G. U. 29 giugno 
:1981, n. 177. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mondov�, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 877, G. U. 8 giugno 
1983, n. 156. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, quarto comma (artt. 3, 24, 27 e 32 
della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 94/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 1 (art. 3, 36 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 9 novembre 1982, n. 66/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (artt. 3 e 
38 della Costituzione). 

Pretore di Trento, ordinanza 12 ottobre 1982, n. 827, G. U. 4 maggio 1983, 

n. 121. 
legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo e quarto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 
della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 20 settembre 1982, n. 882, G. U. 11 maggio 
1983, n. 128. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 11 (artt. 3, 24, 27 e 32 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 94/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9, primo comma e 15, sesto e settimo 
comma (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Crema, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 920, G. U. 25 maggio 1983, 

n. 142. 
legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25, primo comma (artt. 25 e 27 della 
Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 5 aprile ,1982, n. 911, G. U. 15 giugno 1983, 

n. 163. 
dJ. 1 febbraio 1977, n. 12, artt. 2, primo comma, e 4 [convertito in legge 
31 marzo 1977, n. 91] (art. 39 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 24 giugno 1982, n. 918, G. U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 
legge 4 arile 1977, n. 135, art. 22, primo comma (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 20 novembre 
1980, n. 919/82, G. U. 1 giugno 1983, n. 149. 

legge 8 agosto 1977, n. 583, art. 4, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Modena, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 881, G. U. 11 maggio 1983. 

n. 128. 

68 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dl. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1, terzo comma [convertito in legge 
27 febbraio 1978, n. 41] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 5 ottobre 1982, n. 8/83, G. V. 22 giugno 1983, 

n. 170. 
dJ. 29 dicembre 1977, n. 946, art. 6, diciassettesimo, diciottesimo e dician� 
novesimo comma [convertito nella legge rI febbraio 1978, n. 43] (artt. 5, 39, 
97 e 128 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 23 giugno 
1982, n. 885, G. V. 18 maggio 1983, n. 135. 

dJ. 16 giugno 1978, n. 282, art. 1 [convertito in legge 1 agosto 1978, n. 426] 
(art. 11 della Costituzione, regolamenti C.E.E. n. 1079 e 1822/77). 

Tribunale di Venezia, ordinanza �16 settembre 1982, n. 829, G. U. 4 maggio 
1983, n. 121. 
Tribunale di Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 807, G. V. 11 maggio 
1983, n. 128. 

dJ. 16 giugno 1978, n. 282, art. 1 [convertito in legge 1 agosto 1978, n. 426] 
(art. 11 della Costituzione, regolamento C.E.E. n. 1822/77 e artt. 177, 189 del 
trattato di Roma). 

Tribunale cij Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 829, G. V. 4 mag


gio 
1983, n. 121. 

Tribunale di Venezia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 807, G. U. 11 mag


gio 
1983, n. 128. 

legge rr luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3 e 58 (artt. 2, 3, 14, 41, 42 e 47 della 
Costituzione). 

Pretore di Casamassima, ordinanza 10 novembre 1982, n. 25/83, G. U. 22 giugno 
1983, n. 170. 

legge rr luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 42 e 47 della 
Costituzione). 

Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 245, G. V. 22 giugno 1983, 

n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 246, G. V. 22 giugno 11983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 247, G. V. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 248, G. U. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 249, G. V. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 250, G. V. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 251, G. V. 22 giugno 1983, 
n. 170. 

PARTB II, LEGISLAZIONE 

Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 252, G. U. 22 giugno 1983, 

n. 170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 253, G. U. 22 giugno 1983, 

n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 254, G. U. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 255, G. U. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 256, G. U. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 257, G. U. 22 giugno 1983, 
n. 
170. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 258, G. U. 22 giugno 1983, 
n. 170. 
legge '1:1 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 31, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Maddaloni, ordinanza 7 dicembre �1982, n. 3/83, G. U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

Pretore di Maddaloni, ordinanza 7 dicembre 1982, n. 4/83, G. U. 15 giugno 
1983, n. 163. 
Pretore di Maddaloni, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 62, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge '1:1 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Carrara, ordinanza 24 agosto 1982, n. 833, G. U. 11 maggio 1983, 

n. 
128. 
Pretore di Maddaloni, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 63/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Bisceglie, ordinanza 8 novembre 1982, n. 46/83, G. U. 22 giugno 
1983, n. 170. 

legge '1:1 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 65 (artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione). 

Pretore di Recco, ordinaru'a 15 ottobre �1982, n. 828, G. U. 11 maggio 1983, 

n. 
128. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 5 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 924, G. U. 18 maggio 1983, 

n. 135. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Vercelli, ordinanza 28 ottobre �1982, n. 904, G. U. 
giugno 1983, n. 149. 

legge '1:1 luglio 1978, n. 392, art. 65 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Mestre, ordinanza 30 novembre 1982, n. 51/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Messina, ordinanza 19 ottobre 1982, n. 871, G. U. 1 giugno 1983, 

n. 1149. 
legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 12 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Lucca, ordinanza 12 ottobre 1982, n. 875, G. U. 18 maggio 1983, 

n. 
135. 
legge 7 febbraio 1979, n. 29, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Agrigento, ordinanza 28 aprile 1982, n. 837, G. U. 11 giugno 1983, 

n. 149. 
legge reg. Lazio 28 settembre 1979, n. 79, art. 4 (art. 119 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 26 aprile 1982, n. 28/83, G. U. 29 giugno 1983, 

n. 177. 
legge 24 dicembre 1979, n. 650, art. 22, nono comma (art. 24 della Costituzione). 


Tribunale di Crema, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 920, G. U. 25 maggio 1983, 

n. 
142. 
legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3, punto b) (artt. 2, 3 e 53 della Costituzione). 


Pretore di Orvieto, ordinanza 29 novembre 1982, n. 2/83, G. U. 8 giugno 1983, 

n. 
156. 
Pretore di Orvieto, ordinanza 29 novembre 1982, n. 1/83, G. U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

legge 29 febbbaio 1980, n. 33, art. 3, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Verona, ordinanza 12 novembre 1982, n. 939, G. U. 11 giugno 1983, 

n. 
149. 
legge 8 agosto 1980, n. 441, art. IO.bis (artt. 3, 24, 25, 28, 42, 54, 97, 101 e 103 
della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 28 gennaio 1981, n. 844/82, G. U. 4 maggio 1983, 

n. 
121. 
Corte dei conti, ordinanza 28 gennaio 1981, n. 845/82, G. U. 11 maggio 1983, 
n. 
128. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, secondo e quinto comma, e 10, lett. b) 
(art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 5/83, G. U. giugno 1983, 

n. 
149. 
Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 7 /83, G. U. 1 giugno �1983, 
n. 
149. 
Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 6/83, G. U. 8 giugno 1983, 
n. 156. 
~ 

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PARTE n, LBGISLAZIONB 
71. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, ottavo comma, e 10, terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione. 

Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 5/83, G. U. 1 giugno 1983, 

n. 
149. 
Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 7/83, G. U. 1 giugno 1983, 
n. 
149. 
Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 6/83, G. U. 8 giugno 1983, 
n. 156. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22, primo comma (artt. 2, 3 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 26 novembre 1982, n. 43/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 26 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, Il. 5/83, G. U. 1 giugno 1983, 
Il. 149. 
Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, Il. 7/83, G. U. 1 giugno 1983, 
Il. ,149. 
Pretore di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, Il. 6/83, G. U. 8 giugno 1983, 
Il. 156. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 14 ottobre 1982, n. 864, G. U. 1 giugno 1983, 
Il. 149. 
Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 865, G.U. 15 giugno 1983, 

n. 
,163. 
Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 866, G. U. 15 giugno 1983, 
Il. 
163. 
Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1982, Il. 867, G. U. !15 giugno 1983, 

n. 
163. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Palestrina, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 38/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 942, G. U. 4 maggio 1983, 
Il. 121. 
Pretore di Moncalieri, ordinanza 15 novembre 1982, n. 944, G. U. 1 giugno 
1983, n. 149. 
Pretore di Foligno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 9/83, G. U. 8 giugno 1983, 

n. 
156. 
Pretore di Verona, ordinanza 17 novembre 1982, n. 13/83, G. U. 15 giugno 
1983, n. 163. 
Pretore di Padova, ordinanza 12 novembre 1982, n. 59/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. 177. 


72 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3, 24, 101 e 111 della Costituzione) 


Pretore di Torino, ordinanza 2 novembre 1982, n. 945, G. U. 8 giugno 1983, 

n. 156. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). 


Pretore di Palestrina, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 38/83, G. U. 29 giugno 
1983, n. tn. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77, primo e secondo comma, e 81 (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Livorno, ordinanza 18 novembre 1982, n. 931, G. U. 18 maggio 
1983, n. 135. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 78 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Foligno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 9/83, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 92 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 8 ottobre 1982, n. 923, G.U. 
25 maggio 1983, n. 142. 

d.-legg.e 26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito in legge 26 gennaio 1982, 

n. 12) (artt. 3, 32 e 33 della Costituzione. 
Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 34/83, G.U. 
29 giugno 1983, n. 177. 
Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 5 novembre 1982, n. 35/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

d.-legge 26 novembre 1981, n. 678, art. 3, terzo capoverso [convertito in legge 
26 gennaio 1982, n. 12) (artt. 2 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Recanati, ordinanza 26 novembre 1982, n. 17/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

legge 26 novembre 1981, n. 690 (art. 3 della Costituzione) . 

. Pretore di Aosta, ordinanza 15 novembre 1982, n. 44/83, G.U. 8 giugno :1983, 

n. 156. 
d.-legge 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6 [convertito in legge 26 febbraio 
1982, n. 51) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 28 settembre 1982, n. 805, G.U. 8 giugno 1983, 

n. 156. 
legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 12 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 23 ottobre 1982, n. 36/83, G.U. 
1 giugno 1983, n. 149. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 2 novembre 1982, n. 878, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 
Pretore di Terni, ordinanza 15 novembre 1982, n. 12/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 2 ottobre �1982, n. 903, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 15 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 26 ottobre 1982, n. 872, G.U. 1 giugno 1983, 

n. 149. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Ravenna, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 87/83, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Treviso, ordinanza 8 novembre 1982, n. 874, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Grosseto, ordinanza 17 novembre 19,82, n. 950, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 

d.-legge 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 77 e 79 della Costituzione). 

Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 11 ottobre 1982, n. 927, G.U. 
18 maggio 1983, n. 135. 
Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 928, G.U. 18 maggio 
1983, n. 135. 
Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 929, G.U. 
18 maggio 1983, n. 135. 

d.-legge 30 settembre 1982, n. 688, art. 9, secondo e sesto comma (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 15 novembre 1982, n. 45/83, G.U. 1 giugno 
1983, n. 149. 
Pretore di, Padova, ordinanza 19 ottobre �1982, n. 48/83, G.U. 15 giugno 
1983, n. 163. 

disegno di legge approvato dal consiglio regionale d'Abruzzo il '1:1 ottobre 
1982 e riapprovato il 13 aprile 1983, art. 9 (art. 117 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 12 maggio 1983, n. 14, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 


74 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge approvata dal consiglio regionale della Lombardia il 16 dicembre 1982, 
e riapprovata il 19 maggio 1983 (art. 117 della Costituzione e artt. 62 e 82 

d.P.R. n. 616/77). 
Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 18 giugno 1983, n. 26, G.U. 29 giugno 
1983, n. 177. 

d.-legge 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8, primo, secondo e terzo comma, 
S.bis, 9, primo, quarto, sesto, nono e decimo comma, 11, terzo comma,. 27, quarto 
comma, 29, terzo, quarto e quinto comma, 31, primo, sesto, settimo e ottavo 
comma [convertito hl legge dall'articolo unico della legge 26 aprile 1983, 

n. 131] (artt. 5, 117, 118, 119, nonch� 77 e 81, quart� comma, della Costituzione 
e art. 27 legge 5 agosto 1978, n. 468). 
Regione Lombardia, ricorso 6 giugno 1983, n. 23, G.U. 22 giugno 1983, 

n. 170. 
d.-legge 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8, primo, secondo e terzo comma, 
S.bis, 9, primo, quarto e sesto comma, 27, quarto comma, 29, terzo, quarto e 
quinto comma, e 31 [convertito in legge dalla legge 26 aprile 1983, n. 131] 
(artt. 5, 117, 118, 119, nonch� 77 e 81, quarto comma, della Costituzione e art. 27 
legge 5 agosto 1978, n. 468). 

Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 giugno 1983, n. 22, G.U. 22 giugno 
1983, n. 170. 

decreto legge 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 9, 11, 16, 28 e 31 [convertito in 
legge 28 aprile 1983, n. 131] (artt. 117 e 119, nonch� 81 della Costituzione). 

1

Regione Liguria, ricorso 7 giugno 1983, n. 25, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

legge approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta il 24 marzo 
1983 e riapprovata il 4 maggio (artt. 3 e 120 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 31 maggio 1983, n. 21, G.U. 
15 giugno 1983, n. 163. 

legge 29 marzo 1983, n. 93 (art. 4 n. 1 dello statuto speciale di autonomia 
della regione Friuli-Venezia Giulia). 

Presidente giunta regionale Friuli-Venezia Giulia, ricorso 12 maggio 1983, 

n. 15, G. U. 8 giugno 1983, n. ,156. 
legge 29 marzo 1983, n. 93, art. 1 (art. 2 dello statuto speciale della Valle 
d'Aosta). 

Regione autonoma Valle d'Aosta, ricorso 13 maggio 1983, n. 17, G.U. 8 giugno 
1983, n. '156. 

legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 1, primo comma, 9, 10, 12 e 27, quarto 
comma (artt. 117, 118, 119, 121, 124 e 125, 97 e 81 della Costituzione e art. 27 
legge 5 agosto 1978, n. 468). 

Ricorso regione Lombardia 12 maggio 1983, n. 13, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 
7J 

legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 1, secondo comma, e 2 (artt. 3, terzo comma, 
8, n. l, 16, primo comma dello statuto speciale di autonomia prov. Trento 
e art. 3 della Costituzione). 

Provincia di Trento, ricorso 13 maggio 1983, n. 19, G.U. 8 giugno 1983, 

n. 156. 
legge 29 marzo 1983, n. 93 nel suo complesso e, in particolare, gli artt. 1, 
secondo comma; 2; 3; 5, secondo comma; 6, quarto comma; 8; 9; 12, terzo 
comma; 14; 25; 27, quarto comma e 30, terzo comma (artt. 3, 8, n. 1, n. 19 e 

n. 29; 9, n. 10; 16 e 89 statuto aut. della provincia di Bolzano e art. 3 della 
Costituzione). 
Provincia di Bolzano, ricorso 13 maggio 1983, n. 18, G.U. 8 giugno 1983, 

n. 156. 
legge 29 marzo 1983, n. 93, e in particolare artt. 1, 3, 5, 6, 10, 11, 12, 15, 23, 
secondo comma, 24, 25 e 27 (artt. 39, 97, 115, 117, 118, 1'19, 124, 125, 126 e 127 
della Costituzione). 

Regione Liguria, ricorso 16 maggio 1983, n. 20, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. 

legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 1, secondo comma, 8, 9, 10, 12, 26, primo 
comma, e 27, quarto comma (artt. 4, nn. l, 7 e 8, 5, n. 1, 16 -e 65 dello statuto reg. 
aut. Trentino-Alto Adige). 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 12 maggio 1983, n. 12, G.U. 8 giugno 
1983, n. 156. 

legge 29 marzo 1983, n. 93, artt. 10 e 12 (art. 117 della Costituzione) e 27, 
quarto comma (artt. 124 e 125 della Costituzione). 

Regione Veneto, ricorso 12 maggio 1983, n. 16, G.U. 8 giugno 1983, n. 156. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, artt. 4, quinto e sesto comma, 9, terzo, quarto 
e quinto comma, 10, primo comma, e 20, terzo comma (artt. 5, 117, 118, 119, 
nonch� 81, quarto comma, della Costituzione e art. 27 della legge 5 agosto 
1978, n. 468). 

Regione Lombardia, ricorso 6 giugno ,1983, n. 24, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 

legge 26 aprile 1983, n. 131, articolo unico (artt. 5, 117, 118, 119, nonch� 
77 e 81, quarto comma, della Costituzione e art. 27 legge 5 agosto 1978, n. 468). 

Regione Emilia-Romagna, ricorso 6 giugno 1983, n. 22, G.U. 22 giugno 1983, 

n. 
170. 
Regione Lombardia, ricorso 6 giugno 1983, n. 23, G.U. 22 giugno 1983, n. 170. 
legge approvata dal consiglio regionale della Sicilia il 2 giugno 1983, artt. 6 
e 7 (artt. 81 e 97 della Costituzione). 

Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 18 giugno 1983, 

n. 27, G.U. 29 giugno .1983, n. 177.