ANNO XXXIV -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1982 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1982 



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ABBONAMENTI ANNO 1982 

ANNO L; 22.000 
UN NUMERO SEPARATO ...............�.... � 4.000 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in ltalv 

Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu1dlo 1966 

(3219205) Roma, 1982 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 

dell'avv. Franco Favara). . . . . . . . pag.447 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA E INTERNAdel/'
avv. Oscar Fiumara) . � > 482 
!�ezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Ce1rlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . 490 
Sezione quarto: GIURISPRUDENZA CIVILE (a curq degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio Catricol�) . . . � 50 I 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Baf�le) . . . . . . . � . � . � 568 
~�ezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 606 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) � 621 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


QUESTIONI . . . . . . . . . . . . pag. 125 
LEGISLAZIONE 152 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari,� Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; 
Giancarlo MANn�, Venezia. 



UN'INTERVISTA DELL'AWOCATO GENERALE 
SULLE RIFORME ISTITUZIONALI 


La nostra Costituzione � o no adeguata alla realt� italiana di oggi 
da un punto di vista politico, sociale, economico e culturale? 

La mia risposta � positiva. Non nego la profonda diversit� tra la 
societ� in cui viviamo e quella in cui operarono i costituenti, ma proprio 
tale trasformazione � il frutto, per quel che concerne la sua parte largamente 
positiva, di quanto la Costituzione ha voluto, sollecitato o consentito. 


N� essa ha esaurito il suo potenziale costruttivo ed innovativo: i suoi 
principi non segnano soltanto i puntL di non ritorno al passato, ma 
tracciano, in proiezione finalistica, le linee di un disegno di sviluppo 
ancora inattuato. 

Occorre portare avanti il processo, ricco di prospettive inesplorate, 
di � graduale estrazione dai principi costituzionali di ogni loro possibile 
implicazione� (Sandulli). 

Si pensi, ad esempio, alla formula di sintesi dell'art. 1 (�Repubblica 
fondata sul lavoro�). 

La rivista �Holding� ha dedicato il suo numero di Agosto ad una 
serie di articoli ed interviste su di un argomento di scottante attualit�: 
l'adeguatezza della Costituzione repubb.Zicana al mutato assetto politico, 
economico, sociale e culturale del Paese. 

Aperta da un messaggio del Presidente della Repubblica, la serie 
degli scritti pubblicati costituisce un eccezionale panorama delle opinioni 
espresse in proposito dai pi� qualificati esponenti della politica, 
della scienza e della pratica del diritto, del sindacalismo e del management 
pubblico e privato: da De Mita a Perna, da Elia a Giugni, da 
Berri a Pescatore e Pirrani Traversari, da Storti a Giovannini, da Solustri a 
Pininf arina, per non citare che alcuni soltanto fra i tanti nomi illustri degli 
scrittori e degli intervistati. 

Fra le interviste condotte da Pierluigi Franz figura quella dell'Avvocato 
generale dello Stato, che la Rassegna ritiene opportuno pubblicare. In essa 
vengono sottolineati, da un lato, la ricchezza di potenziale evolutivo contenuto 
nella nostra Carta Costituzionale (il che ovviamente non preclude 
possibili meditate innovazioni), dall'altro la preoccupante situazione in 
cui si trova l'Avvocatura, chiamata ad assolvere -con insufficienti 
mezzi soprattutto di organico -a compiti sempre pi� gravosi ed 
impegnativi. 



VI 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

E stato rilevato (Fanfani) che essa non � un alibi retorico di ipotesi 
conservatrice, ma esprime l'ipotesi di una democrazia completa non 
solo politica ma anche economica,� con stretta connessione, sottolineata 
nell'art. 3, tra quelli che sono stati definiti benefici di libert� istituzionale 
e benefici di libert� sostanziale (lngrao). 

Non va quindi trascurata, in primo luogo, la possibilit� di tradurre 
correttamente la costituzione scritta nel diritto vivente della costituzione 
materiale con gli strumenti normativi ordinari ed attingendo in 
profondit� alle indicazioni gi� implicite nella Costituzione. 

Cos�, ad esempio (senza voler prendere posizione di merito) si pensi 
all'art. 57, che enunzia il principio dell'elezione del Senato su basi regionali; 
all'art. 83, che indica il solo scrutinio segreto prescritto, dopo che 
Aldo Moro ne imped� l'adozione come regola generale, qual'era nello 
Statuto albertino,� all'art. 97, che sollecita innovazioni strutturali coerenti 
col pluridimensionalismo istituzionale; eccetera. Del resto anche alcune 
critiche di fondo, a ben guardare, si risolvono in problemi di corretto 
sviluppo dei valori di cui � depositario il documento costituzionale. 

Cos� la critica di chi (Crisafulli) ritiene la Costituzione � datata� 
perch�, in reazione all'autoritarismo fascista, avrebbe creato situazioni 
frenanti di garanzia, concedendo troppo alle autonomie e alle libert�. 
Cos�, in diversa direzione, la critica di chi (Barbera) le imputa di offrire 
garanzie giuridiche di libert�, senza per� assicurare forme di liberazione. 
In replica � stato giustamente osservato (Barile) che un � testo � costituzionale 
pu� garantire solo situazioni di libert�, spettandone l'attuazione 
allo sviluppo della costituzione materiale. 

Mi sono soffermato su esigenze e soluzioni pi� immediatamente 
accessibili alla mia esperienza giuridica. 

Ma vi sono altri problemi, che non intendo sottovalutare, la cui 
precisa individuazione e soluzione � affidata eminentemente alla meditazione 
delle forze politiche. 

Se queste troveranno ampie intese, anche proceduralmente necessarie 
(art. 138), la stessa Costituzione offre lo strumento della revisione per 
superare punti critici dell'assetto attuale. 

Ritiene adeguato l'attuale organico dell'Avvocatura dello Stato in 
relazione ai molteplici giudizi in cui deve per 1legge intervenire? 

La mia risposta � no. Vorrei sottolineare il ruolo che nel sistema 
della costituzione materiale esercitano gli avvocati dello Stato. 

Lo Stato che l'Avvocatura difende, come bene precis� l'on. Cossiga, 
allora Presidente del Consiglio, in occasione del mio insediamento nella 
carica, non � lo Stato dell'assolutismo, non ha la dimensione autoritaria 
dell'oligarchia, non corrisponde all'apparato gestionale di una classe 
dominante: � E lo Stato democratico, la comunit� civile e libera dei 


NOTA REDAZIONALE vn 

cittadini eguali, � lo strumento per la pace, la libera convivenza, lo 
sviluppo del popolo �. 

L'assistenza alle amministrazioni dello Stato, come quella prestata 
alle Regioni e agli altri enti pubblici, � assistenza agli interessi, in essi 
istituzionalizzati, di realizzazione degli obiettivi della Costituzione. Fra 
questi assume valore primario la realizzazione del fine di giustizia, al 
cui perseguimento concorre la funzione giustiziale che l'Avvocatura esercita 
insieme con quella di difesa giudiziale. 

Malgrado ogni contraria apparenza, difendere i poteri e le prerogative 
delle istituzioni significa difendere i presupposti concreti della pari dignit� 
sociale, delle libert� e dei diritti di tutti i cittadini, che trovano 
nella struttura dello Stato democratico, al di l� di astrazioni utopistiche, 
il momento primo di loro effettivo riconoscimento. 

Cos� la difesa, nei giudizi di costituzionalit�, della norma adottata 
dal Parlamento repubblicano significa, fuori di strumentalizzazioni di 
parte, raccordarsi alla volont� popolare che si 'esprime, direttamente o 
indirettamente, secondo il sistema maggioritario della nostra costituzione 
democratica. 

Accanto a queste considerazioni � superfluo mettere in evidenza 

quanto numerosi e importanti siano i giudizi in cui interviene l'Avvoca


tura dello Stato, nonch� gli affari nei quali � chiamata ad esercitare la 

sua funzione consultiva per l'attuazione in via preventiva della giustizia 

nell'Amministrazione. 

Per ci� confido che, nell'auspicato sviluppo della Costituzione mate


riale, il concorde impegno del Governo e di tutte le forze democratiche 

consenta anche di risolvere il problema dell'inadeguatezza dell'organico 

degli avvocati e procuratori dello Stato, insieme a quello, che di molto 

l'aggrava, della cronica carenza della struttura organica e funzionale del 

personale di collaborazione amministrativo. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

Un"intervista dell'Avvocato Generale sulle riforme istituzionali . . . . pag. V 

C. 
BAFILE, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni 
nella fase esecutiva I, 592 
I. F. CARAMAZZA, Depenalizzazione e decriminalizzazione nel diritto 
comparato II, 125 
E. CIARDULLI, I rapporti tra giurisdizione e pubblica amministrazione 
e la funzione dell'Avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . . II, 144 
A. 
CINGOLO, Emittenti private locali e difetto assoluto di giuridisdizione 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 490 
A. 
DE STEFANO, Funzioni del liquidatore dei beni nel concordato preventivo 
e legittimazione passiva nei giudizi di accertamento della 
situazione patrimoniale del debitore concordatario . . . . . I, 544 
A. DE STEFANO, Natura giuridica della compravendita in danno II, 136 
A. 
DE STEFANO, Un caso di compera in danno nei confronti di una 
Societ� in amministrazione controllata . . . . . . . . . . . . . . I, 551 
F. 
FAVARA, Obbligatoriet� dell'azione penale, officialit� dell'azione 
penale e cosiddetta pregiudiziale tributaria . . . . . . . . . . . I, 460 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


APPALTO 

-Ap.palti di opere pubbliche -ru.serve 
-Onere generale -Eccemoni -Fatti 
dolosi o colposi -Condizioni, 606. 

-Appalti di opere pubbliche -Riserve 
-Sospensione derivante da 
fatto colposo -Onere -Sussiste, 600. 

-Appalti di opere pubbliche -Sospensione 
dei lavori -Allegazione di 
falsa causa -Non esclude l'onere 
della riserva, 606. 

-Appalti di opere pubbliche -Sospensione 
-Rapporto tra l'art. 30 

d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e l'articolo 
16 R.D. 25 maggio 1895 numero 
350 -Onere della riserva Sussistenza, 
606. � 
-Appalto di opere pubbliche -R.D. 
25 maggio 1895 n. 350 -Natura Regolamento 
delegato, 607. 

-Appalto di opere pubbliche -Riserve 
�e decadenza -Previsione contenuta 
nel R.D. 25 maggio 1895 n. 350Illegittimit� 
-Esclusione, 600. 

- 
Appalto di opere pubbliche -Sospensione 
-Riserva -Tempestivit� 
-Condizioni, 600. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Agricoltura -Zucchero -Esportazione 
-Prelievi -Data di riscuotibHit�, 
485. 

-Unione doganale -Tariffa doganale 
comune -Farina di estrazione di 
soia brasiliana -Voce ex 23.04 -Organizzazione 
comune dei mercati 
nel settore dei grassi -Prodotto ivi 
contemplato, 482. 

CONTABILIT� PUBBLICA 

-Contratti della pubblica amministrazione 
-Conclusione del contratto Approvazione 
del contratto quale 
� condicio juris >>, con nota di A. 
DE STEFANO, 543. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Giudizio incidentale -Ordinanza di 
rinvio -Oggetto del sindacato di 
costituzionalit� -Onere di individuazione 
-Incombe sul giudice a 
quo, 458. 

DEMANIO 

-Strada e passaggio a livello -Interruzione 
o soppressione a seguito 
di costruzione di opera pubblica Diritto 
all'indennizzo a favore del 
propmetanio frontista -AmrnisS!i.bilit� 
-Valutazione -Limiti, 4%. 

-Strada � Proprietari frontisti -Posizioni 
soggettive -Natura, 496. 

EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA 


-Cessione alloggi in propriet�. Determinazione 
del prezzo � GiurisdiZ!
ione ordinaria -Sussiste, 501. 

-Cessione alloggi in propriet�. Diritto 
soggettivo all'assegnazione -Sussiste, 
501. 

-"" 
Cessione alloggi in propriet�. Norme 
per �la determinazione del prezzo Imperativit� 
-Violazione -Nullit� 
del Contratto -Sussiste, 501. 

-Cessione alloggi in propriet�. Nullit� 
del contratto � Responsabilit� 
precontrattuale della P.A. -Non sussiste, 
501. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Ablazioni aventi carattere sanzionatorio 
� Decadenza da concessione mineraria 
� Indennizzo per l'ablazione 
delle pertinenze minerarie -Non 
� garantito, 450. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

X 

-Costruzione di opera pubblica � InPOSTE 
E TELECOMUNICAZIONI 

dennizzo corrisposto ai proprietari 
del fondo espropriato -Possibili 
mutamenti futuri dell'opera � Pregiudizio 
ai proprietari -Configurabilit� 
di altro diritto all'indennizzo, 

496. 
FALLIMENTO 

-Amministrazione controllata e concordato 
preventivo � Divieto di azioni 
esecutive individuali � Limiti, con 
nota di A. DE STEFANO, 543. 

-Amministrazione controllata e concordato 
preventivo � Principio della 
cristallizzazione dei crediti � Applicabilit�, 
con nota di A. DE STEFANO, 
. 543. 

-Concordato preventivo con cessione 
dei beni ai creditori � Funzione del 
liquidatore dei beni e giudizi per 
l'accertamento delle passivit� � Legittimazione 
passiva del liquidatore 
e litisconsorzio necessario con il 
debitore concordatario, con nota di 

A. 
DE STEFANO, 543. 
-Concordato preventivo � Giudizi per 
l'accertamento dei crediti nei confronti 
del debitore concordatario � 
Ammissibilit�, con nota di A. DE 
STEFANO, 543. 

- 
Notifica a societ� in liquidazione � 
Notifica personale all'ultimo liquidatore 
� Condizioni � Validit�, con 
nota �di A. DE STEFANO, 543. 

FONTI DEL DIRITTO 

-Decreto legislativo � Disposizione riproduttiva 
di previgente disposizione 
-Testo unico -Ha efficacia 
abrogante, 481. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Regolamento preventivo � Questioni 
di legittimit� costituzionale � Accertamento 
� Limiti, 542. 

PENA 

-Disposizione sanzionatrice comune 
a pi� fattispecie -Principio di eguaglianza 
-Non � violato, 447. 

-Radiotelevisione � Emittente privata 
locale -Eseroi:llio d'impresa televisiva 
in difetto di autorizzazione 
-Interferenze provocate dalle 

trasmissioni RAI -Azione possessoria 
-Tutela in via d'urgenza � Difetto 
di giurisdizione del giudice 
ordinario, con nota di A. CINGOLO, 


490. 
PROCEDIMENTO PENALE 

-Giustizia militare -Officialit� dell'azione 
penale -Richiesta di autorit� 
militare -Legittimit� costitu:
llionale, con nota di F. FAVARA, 460. 

-Incidente di-esecuzione -Legittimo 
impedimento dell'imputato o condannato 
-Rd'levanza, 478. 

PROFESSIONI 

-Sanitario -Farmacista -Prestatore 
d'opera intellettuale -Convenzione 
nazionale Inam -Associazione categorfa 
� Natura � Effetti vincolanti � 
Nozione, 522. 

PROPRIET� 

-Concessioni traslative operate con i 
decreti marattiani e confermate con 
i decreti della monarchia borbonica Natura 
obbligatoria � Conf.igurabifilt� 
in un modus -Acquisto della propriet� 
a titolo originario -Effetti, 529. 

-Usucapione � Possesso solo animo� 
Intestazione catastale � Rilevanza, 

528. 
REATO 

- 
Detenzione e porto d'arma -Pare. 

ri della commissione amministrativa 
sulla catalogazione delle armi � 
Rilevanza ad fim penali -Legittimit� 
costituzionale, con nota di F. FAVA� 
RA, 460. 

-Reato valutario previsto dall'art. 2 
legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo 
risultante dall'art. 3 della legge 8 
ottobre 1976 n. 689 � Confisca obbligatoria 
prevista dall'art. 1 del decreto-
legge 4 marzo 1976 n. 31 nel 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 
Xl 

testo risultante dall'art. 2 legge 23 
dicembre 1976 n. 863 -Inapplicabi1it�, 
621. 

-Reato valutario previsto dall'art. 2 
della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel 
testo risultante dall'art. 3 della legge 
8 ottobre 1976 n. 689 -Sanzioni 
di carattere amministrativo di cui 
all'art. 8 del decreto-legge 4 marzo 
1976 n. 31 del testo risultante dalla 
legge di conversione 30 aprile 1976 

n. 159 ed in relazione all'art. 2 R.D.L. 
5 dicembre 1938 n. 1928 convertito 
nella legge 2 giugno 1939 n. 739 Inapplicabilit�, 
621. 
-Reato valutario previsto dall'art. 2 
della legge 30 aprile 1976 n. 159 
nel testo risultante dall'art. 3 della 
legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Soggetto 
attivo -� � chiunque� anche 
se non residente, 621. 

- 
Reato valutario previsto dall'art. 2 
della legge 30 aprile 1976 n. 159 
nel testo risultante dall'art. 3 della 
legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Valore 
delle disponibilit� valutarie o attivit� 
di qualsiasi genere superiore 
ai quindici milioni di lire -Non 
costituisce circostanza aggravante 
ma ipotesi autonoma di reato, 621. 

REGIONE 

-Enti pubblici locali operanti in materie 
di competenza regionale -Attribuzioni 
legislative e amministrative 
della regione, 452. 

-Previdenza sociale -Legge regionale 
classificante attivit� lavorative -Illegittimit� 
costituzionale, 449. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Clausole di esonero da responsabilit� 
-Limitazione della responsabilit� 
per dolo o colpa grave -Nullit�, 
539. 

SANITARIO 

-Farmacista -Convenzione nazionale 
Inam -Associazione categoria -Termine 
di durata -Recesso prima della 
scadenza -Compatibilit� -Fattispecie, 
522. 

TRASPORTI PUBBLICI 

-Ferrovie e Tramvie -Incendio sviluppatosi 
nella stazione Termini di 
Roma -Presunzione di responsabilit� 
delle Ferrovie dello Stato per 
danno cagionato da cose in custodia 
-Limiti, 539. 

-Ferrovie � Trasporto per ferrovia � 
Limiti di responsabilit� � Legittimit� 
costiituzionale, 476. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Plusvalenza � Realizzazione nel 
corso di procedura fallimentare Costituisce 
reddito tassabiiile, 574. 

-Imposte fondiarie � Imposta sui fabbricati 
� Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Conformit� 
alla licenza edilizia -� ri-
chiesta, 579. � 

-Soggetti passivi � Capacit� giuridica 
tributaria � Organizzazioni di beni 
e di persone � Attivit� occasionale 
di un gruppo di persone -Sussiste, 

577. 
TRIBUTI ERARIALI INDiiRETTI 

-Imposta di bollo -Copia di atto 
pubblico da presentare all'ufficio del 
registro per la registrazione -Esenz,
ione � Esclusione, 568. 

-Imposte doganali -Accertamento Revisione 
� Nozione � Termine Elementi 
diversi da qualificazione 
valore ed origine -Termine quinquennale, 
581. 

TRIBUTI (IN GENERE) 

-Accertamento divenuto definitivo in 
via amministrativa -Non fa stato 
nei procedimenti penali, con nota 
di F. FAVARA, 459. 

-Contenzioso tributario � Imposte indirette 
� Opposizione all'esecuzione Foro 
dello Stato, con nota di C. 
BAFILE, 592. 

-Contenzioso tributario -Imposte indirette 
� Opposizione all'esecuzione � 
Giurisdizione ordinaria, con nota di 

C. BAFILE, 592. 

xn RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO 

-Contenzioso tributario Procedimenti 
pendenti -Art. 44 d.P.R. 26 
ottobre 1972, n. 636 -Ricorsi presentati 
dopo l'entrata in vigore prima 
dell'insediamento delle nuove 
commissfoni -Non si applica, 589. 

-Contenzioso tributario -Procedimento 
innanzi alle Commissioni -Partecipazione 
all'udienza -Sciopero 
del personale degli uffici tributari Nullit� 
della decisione -Esclusione, 

571. 
-Repressione penale degli illeciti tributari 
in materia di I.V.A. e di imposte 
dirette -Azione penale -Pre


giudiziale necessaria -Legittimit� 
costituzionale -Limiti, con �nota di 

F. FAVARA, 459. 
VENDITA 

-Compravendita in danno -Non costituisce 
forma di esecuzione forzata 
-Sua ammissibilit� in pendenza 
di un procedimento di amministrazione 
controllata, con nota di A. 
DE STEFANO, 543. 

-Compravendita in danno -Requisito 
della tempestivit� -Conseguenze del 
ritardo, con nota di A. DE STEFANO, 
543. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE. 

14 gennaio 1982, n. 1 
16 febbraio 1982, n. 41 
3 marzo 1982, n. SO 
1 aprile 1982, n. 65 
29 aprile 1982, n. 81 
12 maggio 1982, n. 88 
12 maggio 1982, n. 89 
12 maggio 1982, n. 90 
20 maggio 1982, n. 98 
10 giugno 1982, n. 108 
10 giugno 1982, n. 110 
18 giugno 1982, n. 114 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE. 

Sez. Il, 111 marzo 1982, nella causa 129/81 
Sez. I, 27 maggio 1982, nella causa 196/81 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 11 1gennaio 1982, n. 95 
Sez. I, 13 gennaio 1982, n. 168 
Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 230 
Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 231 
Sez. I, 26 gennaio 1982, n. 500 
Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835 
Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 957 
Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 958 . 
Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 999 . 
Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1050 
Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1051 
Sez. I, 5 marzo 1982, n. 1382 . 
Sez. I, 17 marzo 11982, n. 1726 . . 

pag. 447 
)) 449 
)) 450 
� 452 
)) 458 
)) 459 
� 459 
)) 476 
� 478 
� 460 
� 481 
� 460 

pag. 482 
� 485 

pag. 568 
� 571 
� 574 
)) 577 

,. 

579 
� 501 
� 581 
)) 522 
)) 589 
)) 592 
)) 490 
)) 528 

)) 606 


XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
S!!z. III, 20 marzo 1982, n. 1817 . 
Sez. I, l� aprile 1982, n. 2006 
Sez. Un., 11 maggio 198'2, n. 2918 
Sez. Un., 19 maggio 1982, n. 3085 
pag. 
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542 
496 
TRIBUNALE DI BARI 
IV Sezione civile, 20 luglio 1981, n. 1568 � 543 
GIURISDIZIONI PENALI 
TRIBUNALE DI ROMA 
Sez. IV, 28 ottobre 19&1 � 621 

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PARTE SECONDA 

QUESTIONI 

Depenalizzazione e decriminalizzazione nel diritto comparato pag. 125 
Natura giuridica della compravendita in danno . . . . � 136 
I rapporti tra giurisdizione e pubblica amministrazione e la funzione 
dell'Avvocatura dello Stato . . . . . ...... . � 144 

LEGISLAZIONE 

I -Norme dichiarate incostituzionali pag. 152 
II -Questioni non fondate � 154 
III -Questioni proposte � 156 


PARTE PRIMA 



SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1982, n. 1 -Pres. Elia -Rel. Malagugini 
-Saiani (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Azzariti). 

Pena -Disposizione sanzionatrice comune a pi� fattispecie � Principio dii 
eguaglianza -Non � violato. 
(Cost., art. 3; I. 30 aprile 1962, n. 283, artt. S e 6). 

Nella materia penale, nella quale il principio di legalit� impone la 
formulazione di fattispecie ben definite, ciascuna accompagnata dalla 
relativa sanzione, il principio di uguaglianza .non pu� essere inteso nel 
senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa 
da tutte le altre (ci� specie in un sistema quale il nostro, ispirato alla 
preferenza per pene edittali determinate fra un minimo e un massimo); 
detto principio pu� ritenersi violato soltanto in presenza di sperequazioni 
radicalmente ingiustificate. 

(omissis) Il Pretore di Ferrara dubita de1la legittimit� costituzionaile degli 
artt. 5, lett. g) e 6 (quarto comma) della legge 30 aprile 1962, n. 283 
-modificata ed rintegrata con la legge 26 febbraio 1963, n. 441 -prospettandone 
il contrasto con l'art. 3 (primo comma) Cost. Ci� perch� 
il quarto comma dell'art. 6 della legge n. 283 del 1962 -prevedendo una 
unica sanzione per i contravventori alle disposizioni (del presente articolo 
e) dell'articolo precedente -punisce con identica pena l'aggiunta 
tanto di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto 
del Ministro della Sanit�, quanto di additivi chimici autorizzati, ma senza 
J'osservanza delle norme prescritte per hl loro impiego (art. 5 lett. g); nel 
caso di specie, senza l'indicazione dell'additivo usato sul (piombino del) 
prodotto preparato. Il giudice a quo reputa le due fattispecie di cos� 
diversa gravH� da �sigere differenti trattamenti sanzionatori, e dubita, 
perci�, che l'equiparazione quoad poenam operata dal legislatore violi 
il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. 

La questione non � fondata. 

Questa Corte ha gi� avuto occasione di rilevare -risolvendo analoga 
questione avente ad oggetto l'art. 5 lett. f) e l'art. 6 della medesima 
legge n. 283 del 1962 (sent. n. 99 del 1979) -che le disposizioni contenute 
nel testo legislativo anche ora in esame concernono la � disciplina igienica 
della produzione e della vendita delle sostanze aHmentari e delle bevande
�, e che le relative prescrizioni ((tendono a garantire la genuinit�,

1

il buon stato di conservazione, la pulizia, la innocuit� delle manipolazioni 
consentite, dei prodottri a11imentari e impongono, perci�, l'osservanza di 


448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

regole, ritenute generalmente valide, alla stregua dell'esperienza e delle 
conoscenze tecnic0::scientifiche acquisii.te, al fine di scongiurare ogni pericolo 
per la salute. Nello stesso tempo, le norme in esame vogliono consentire 
agli organi di vigilanza, ma anche ai consumatori di conoscere 
immediatamente e facilmente se le sostanze alimentari sono state og. 
getto di manipolazioni... e di quali, per una scelta consapevole anche 
in I'elazione alle condiziond. soggettrive del singolo consumatore �. 

Come con le disposizioni di cui all'art. 5 lett. f) della legge n. 283 
del 1962, cosi come quelle di cui alla successiva lett. g) dell'articolo medesimo 
il legislatore ha fissato ad una soglia anticipata la tutela penale 
della salute, senza prendere in considerazione il pericolo cui concretamente 
pu� dar luogo l'impiego di determinati additivi chimici; pericolo 
che non discende automaticamente e necessariamente dal solo fatto che 
l'uso di uno specifico additivo non sia stato autorizzato dal Ministro per 
la Sanit�, con proprio decreto soggetto a revisione annuale, e viceversa 
non � escluso, quanto meno, con riferimento ad un soggetto determinato, 
dall'uso di un additivo autorizzato. 

Le due fattispeoie contravvenzionali di cui alla lett. g) dell'art. 5 
della legge n. 283 del 1962 non si pongono, quindi, reciprocamente in un 
rapporto di cosi marcata differente gravit� da far ritenere l'uguale 
trattamento sanzionatorio viziato da illegittimit� per contrasto con il 
principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. 

Va, in proposito, ribadito che nella materia penale, nella quale il 
principio di legalit� impone la formulazione di fattispecie ben definite, 
ciascuna accompagnata dalla relativa sanzione, il principio di uguaglianza 
non pu� essere inteso' nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere 
una sanzione diversa da tutte le altre (ci� specie in un sistema quale 
wl nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un 
minimo ed un massimo). 

Perci� -posto che � la configurazione delle fattispecie criminose e 
le valutazioni sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla 
politica legislativa�, implicando scelte di valore -soltanto le �sperequazioni 
che assumono una tale gravit� da risultare radicalmente ingiustificate
� possono concretare un arbitrio del legislatore lesivo del principio 
di uguaglianza (sent. I�. 26 del 1979). 

Quando, come nelle disposizioni di legge denunziate, in vista della 
tutela di un medesimo bene, che si vuole realizzata ad una soglia determinata, 
vengono presi in considerazione comportamenti diversi, ma tutti 
estrinsecantisi nella inosservanza delle prescrizioni poste dal legislatore a 
quel fine, non si pu� certamente ritenere radicalmente ingiustificata e, 
per questo, arbitraria la comminatoria di una pena da determinarsi dal 
giudice nell'esercilJio della propria discrezionalit� (vincolata ex artt. 132 . 
e 133 del codice penale, nonch�, ora, ex artt. 53 e ss. della legge 24 novembre 
1981, n. 689) entro gli stessi limiti minimo e massimo. 


PARTE I, . SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 449 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbraio 1982, n. 41 -Pres. Elia -Rei. La 
Pergola -INAIL (avv. Napolitano) e Regione Toscana (avv. Cheli). 

Regione � Previdenza sociale � Legge regionale classificante attivit� lavora� 
tive -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 117; I. reg. Toscana 2 settembre 1974, n. 55, articolo unico). 

Contrasta con l'art. 117 Cast. la legge regionale che classifichi una 
attivit� lavorativa come agricolo-forestale agli effetti previdenziali. 

(omissis) Nel presente giudizio � censurato l'articolo unico della legge 
Regione Toscana 2 settembre 1974, n. 55 (�Norme transitorie per l'assunzione 
di manQ d'opera ai fini dell'esecuzione in amministrazione 
diretta dei lavori concernenti le opere di bonifica idraulico-forestali, 
idraulico-agrarie e di forestazione�), cos� testualmente formulato: 

�In via transitoria, e comunque non oltre 'L'entrata in vigore delle 
norme per la disciplina organica della gestione di beni agrari e forestali 
della Regione e della delega riguardante le funzioni amministrative in 
materia di foreste e bonifica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 
15 gennaio 1972, n. 11, gli amministratori. incaricati della gestione 
dei suddetti beni e gLi ispettori ripartimenta'Li e distrettuali delle 
foreste possono impiegare, per l'esecuzione in amministrazione d�retta 
dei lavori concernenti le opere di bonifica idraulico-forestali, idraulicoagrarie 
e di forestazione, lavoratori assunti cori contratto di diritto privato, 
nell'osservanza delle norme sul collocamento e delle leggi previdenziali 
in agricoltura e dei contratti ed accordi coHettivi sindacali di categorie
�. (omissis) 

� ben vero che la normativa previdenziaile dello Stato avrebbe, nel 
silenzio del legislatore regionaile, pur sempre regolato il caso in esame. 
Ci� non toglie, tuttavia, che nel campo in cui altrimenti opererebbe fa 
previsione della legge statale s'incontri la norma regiooale, della quale la 
Corte � chiamata ad occuparsi. La disposizione censurata rinvia, certo, 
ailla J.egge dello Stato (e propriamente, si deve precisare, alJa fonte normativa 
statale: dunque, non soltanto alle norme da questa prodotte, ma anche 
alle altre, che possono per l'avvenire derivarne); ma ci�, coo l'ulteriore 
prescriziooe che nell'assunzione della mano d'opera si osservino le norme 
dettate dallo Stato con speci~co riferimento al lavoro agricolo. Tale ultima 
statuizione � appositamente posta per individuare -in seno alla vigente 

o futura legislazione statale, oggetto dfil rinvio -un certo 'regime normativo, 
al quale J.e attivit� lavorative, contemplate �da11a legge regionale, 
restano, quanto aiJ. trattamento previdenziale, necessariamente assoggettate. 
Ai fini della disciplina cos� adottata, la classificazione delle suddette attivit� 
quali agricole o forestali, non va, come vorrebbe la difesa della Regione, 
operata daLl'inteq>rete, alla stregua della legge statale richiamata; essa 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

450 

si trova, invece, gi� testualmente fissata neMa stessa ilegge 'regioo::i:ale: la 
quale ultima, proprio per aver disposto in questo 'senso, � censurata 
davanti alla Corte. 

Nel merito, la questione � fondata. Si deve tuttavia osservaxe che il 

puro e semplice richiamo della legge 'Statale non sarebbe bastato ad inficiare 
la legittimit� dell'impugnata norma regionale. La violazione deLl'art. 117 
Cost., sussiste, nella specie, in quanto, come si � visto, il legislatore toscano 
ha configurato un :autonomo criterio di qualificazione delle attivit� protette, 

I laddove fa disposiziOille rinviante avrebbe dovuto 'lasciarle, senza :residui, 
nell'ambito di applioazione delle norme previdenziali dello Stato: la legge 
regionale viene per questa via sovrapposta alla ilegge dello Stato, ila quale 

I per�, secondo Costituzione, � la 'sola fonte competente a dettare 1a disciplina 
della specie. Va infatti escluso che il qui censurato regolamento dei 
profili previdenziali ed assicurativi del ilavoro agricolo possa, iin virt� di 
alouna connessione o derivazione strumentale, ricondursi alla potest� 
legislativa garantita alla Regione in materia di agricoltura e foreste, 
ex art. 117 Cost. E non ii.mporta poi se, ai fini previdenziali, Je attivit� 
lavorative, delle quailii. si occupa iLa norma in esame, siano, oppur no, oggettivamente 
attivit� agricolo-forestaH: 1sempre ai suddetti fini, la legge regionale 
non poteva, ad alcun titolo, classificarle come tali, e farne comunque 
oggetto di proprie previsioni normative. 

La disposizione censurata va, in conclusione, dichiarata illegittima, 
per la parte in cui, nel richiamare la fogge previdenziale dello Stato, essa 
statuisce: � m agricoltura�; iil che, come si deduce ne11'011dinanza di rinvio, 
concreta, appunto, un'illegittima interferenza ne1la sfera di produzione 
normativa de1la fonte richiamata. 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 marzo 1982, n. 50 -Pres. Elia -Rel. Paladin 
-S.p.A. Miniera Baccarato (n.p.) e Regione Sicilia (avv. Stato Angelini 
Rota). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Ablazioni aventi carattere sanzionarorio 
� Decadenza da concessione mineraria � Indennizzo per l'ablazione 
delle pertinenze minerarie � Non � garantito. 
(Cost., art. 42; I. reg. Sicilia 1 ottobre 1956, n. 54, art. 52). 

La garanzia del �salvo indennizzo� prevista dall'art. 42, terza comma, 
Costituzione non si estende alle ablazioni aventi carattere sanzionatorio, 
quale � l'acquisizione al concedente delle pertinenze minerarie in 
caso di decadenza del concessionario. 

(omissis) U Tribunale di Palermo impugna l'art. 52 della legge regionale 
siciliana 1� ottobre 1956, n. 54, disciplinante la ricerca e la coltiva



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

zione delle sostanze minerali: con particolare riguardo al capoverso dell'articolo 
medesimo, che in tema di decadenza rimanda alle disposizioni 
dell'art. 42, ma non alle disposizioni degli artt. 43 e 44 della legge in questione, 
cUJi fa invece richiamo il primo comma, circa la rinuncia del concessionario 
e la revoca della concessione mineraria. Per conseguenza di 
tali distinti rinvii, nei casi di rinuncia e di revoca � appartengono al concessionario 
cessante � -come prevede il primo comma dell'art. 43 -� gli 
oggetti destinati alla coltivazione che possono essere separati senza pregiudizio 
deHa miniera�, salvo che l'Amministrazione regionale e il concessionario 
subentrante non .intendano �ritenerti corrispondendone il 
valore�; laddove, nel caso della decadenza, vale ad ogni effetto la statuizione 
dell'art. 42, primo comma, in base alla quale � il concessionario deve 
consegnare la miniera e le sue pertinenze all'Amministrazione regionale 

o al nuovo concessionario �. 
Cos� interpretata, coerentemente con ci� che ha ritenuto fa istessa 
Corte di cassazione, la norma impugnata sarebbe per altro lesiva dell'art. 
42 Cost., nella parte in cui si esige che a favore del proprietario 
espropriato per motivi d'interesse generale sia disposto un indennizzo; e 
si porrebbe del pavi in contrasto con l'art. 117 Cost., vtiolando in particolar 
modo j;l principio fondamentaile desumibile dall'art. 43 del 1r.d. 29 luglio 
1927, n. 1443, per cui il nuovo concessionario della miniera che sia stata 
oggetto di decadenza pu� ritenere anche i beill�. separabili senza pregiudizio 
della miniera medesima, � purch� ne corrisponda il prezzo al concessionario 
precedente �. 

La questione � infondata. 

Del tutto improprio si .dimostra, in primo luogo, il riferimento all'art. 
117 Cost. Il limite dei � princ�pi fondamentali stabiliti dalle leggi 
dello Stato�, relativo ad ogni singola materia attribu:ita alla competenza 
legislativa delle Regioni ordinarie, � infatti inestensibile alla � legislazione 
esclusiva� della quale � dotata in materia d:i miniere l'Assemblea regionale 
siciliana, per espresso disposto dell'art. 14 ~ett. h) dello Statuto speciale. 
N� si potrebbe elevare a principio generale dell'oroinamento, per fame 
comunque applicazione nella specie, fa .pretesa regola !in forza del1a 
quale sarebbe riservata al proprietario della cosa accessoria la facolt� 
di far cessare il vincolo pertinenziale. In tema di pertinenze in genere, e 
di pertinenze minerarie in particolare, vale anzi il criterio -fissato dal 
primo comma dell'art. 818 cod. civ. -per cui la cosa accessoria rimane 
assorbita nelle vicende giuridiche della cosa principale; tanto � vero che le 
stesse pertinenze minerarie separabili non possono venir liberamente asportate 
dal concessionario cessante, ma sono in ogni caso suscettibili di acquisizione 
da parte del nuovo concessionario, anche se questi � tenuto al pagamento 
del prezzo (cfr. l'art. 36 della ricordata legge mineraria del 1927). 


452 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

L'ipotesi in esame rimane, d'altra parte, estranea all'ambito di operativit� 
dell'art. 42 Cost., l� dove sd richiede che ogni espropriazione 
venga indennizzata. Vero � che nell'art. 43, primo comma, della legge 
mineraria siciliana si stabilisce in via di principio che le pertinenze 
separabili continuino ad appartenere al concessionario cessante; sicch� 
la contraria prescrizione risultante dal combinato disposto degli artt. 52, 
secondo comma., e 42, primo comma, rappresenta una deroga non connaturata 
al regime delle pertinenze medesime, per quanto esso sia particolare. 
Ma la deroga si giustifica, da:l momento che la decadenza non pu� 
esser pronunciata dall'Amministrazione regionale, se non quando. si accerti 
e si contesti l'inadempimento del concessionario, nei casi puntualmente 
indicati dall'art. 48 della legge regionale e fatta sempre salva la 
forza maggiore. Resta per ci� stesso escluso che ci si trovi in presenza 
di una vera e propria misura espropriativa, inquadrabile nella previsione 
dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Trattasi, al contrario, di una 
ablazione avente un carattere sanzionatorio, giacch� la perdita della 
propriet� privata o del diritto di averne corrisposto il prezzo si ricollega 
ad un comportamento colpevole del concessionario (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 1 aprile 1982, n. 65 -Pres. Elia -Rel. Paladin Regione 
Fniuli Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente del Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Regione -Enti pubblici locali operanti in materie di competenza regionale Attribuzioni 
legislative e amministrative della regione. 

Gli enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza propria 
di una regione (nella specie, a statuto speciale), pur restando distinti 
dagli enti strumentali o �para-regionali�, sono per vari aspetti assoggettati 
ai poteri regionali di supremazia e possono essere riorganizzati 
ad opera della Regione. 

(omissis) Il ricorso in esame investe l'intera legge riapprovata il 
28 settembre 1976 dal Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, per 
disciplinare lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale 
delle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. 

Il Presidente del Consiglio assume che la legge sia viziata per incompetenza, 
in quanto alla Regione Friuli-Venezia Giulia farebbe difetto la 
potest� legislativa in tema di ordinamento delle Camere di commercio 
e di stato giuridico ed economico del personale ad esse addetto. Da un 
lato, cio�, le Camere stesse non potrebbero venir trattate alla stregua di 
enti strumentali della Regione, essendo invece dotate �di un certo grado 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

di indipendenza� nei confronti dell'apparato regionale, implicitamente 
garantito dall'art. 5 della Carta costituzionale. D'altro lato, la circostanza 
che le materie dell'agricoltura, dell'in�iustria, del commercio. e dell'artigianato 
siano tutte attribuite alla Regione Friuli-Venezia Giulia dall'articolo 
4, n. 2, n. 6 e n. 7, del relativo Statuto speciale, non comporterebbe 
uno � specifico riconoscimento della competenza regionale � nel settore� 
considerato dalla legge impugnata: riconoscimento di cui non vi � traccia 
-avverte il ricorrente -nelle disposizioni statutarie, diversamente 
da ci� che si verifica nello Statuto del Trentino-Alto Adige. 

Sotto entrambi gli aspetti, la questione � infondata. 

Non � pertinente, anzitutto, il richiamo all'art. 5 della Costituzione~ 
per cui �la Repubblica... riconosce e promuove le autonomie locali�, adeguando 
� i principi ed i metodi della sua legislazione � -sia essa statale 
o regionale -�alle esigenze dell'autonomia e del decentramento�; 
n� occorre addentrarsi, per: averne la dimostrazione, nella problematica 
riguardante la natura cl.elle Camere di commercio, accertando se sia dato 
assimilarle -ed eventualmente a quali effetti -agli enti territoriali 
minori, puntualmente menzionati dagli artt. 114 e 128 Cast., ovvero agli 
�altri enti locali� di cui si fa cenno negli artt. 118 e 130 della Costituzione. 
Determinante � comunque la considerazione che, allo stato attuale: 
dell'ordinamento, le Camere di commercio non dispongono, quanto ali 
complessivo regime del loro personale, di alcuna autonomia normativa, 
suscettibile di venire lesa dalla legge regionale impugnata. 

Del resto, ben prima che fosse istituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, 
il trattamento del personale delle Camere formava invece l'oggetto 
di regolamenti-tipo, imperativamente dettati -con riguardo a tutto il 
territorio nazionale -per mezzo di decreti interministeriali. Basti infatti 
ricordare il decreto del 1� marzo 1958, che sostituiva il regolamento-tipo 
del 26 maggio 1937 (e successive modificazioni). Ed � significativo che 
questo testo recasse continui e sistematici riferimenti allo statuto degli 
impiegati civili dello Stato, approvato con il d.P.R. n. 3 del 1957, sia per 
fissare il trattamento economico dei dipendenti camerali, sia per regolare 
l'inizio del rapporto d'impiego e le carriere del personale medesimo, 
sia per disciplinare la cessazione del rapporto: senza mai consentire che 
siffatte disposizioni regolamentari fossero autonomamente derogabili da 
parte di ciascuna singola Camera. 

Sostanzialmente identica � anche l'ispirazione del successivo regolamento-
tipo, approvato con d.m. 16 marzo 1970 -in base all'espressa previsione 
dell'art. 3, secondo comma, della legge 23 febbraio 1968, n. 125 ed 
ancora vigente alla data del ricorso in esame, salve alcune modifiche 
non incidenti sui motivi del ricorso stesso. Gli artt. 3, quarto comma, 
4, primo comma, 5, ultimo comma, 11, terzo comma, 12, primo comma, 
21, primo e secondo comma, 25, ultimo comma, 26, secondo comma, 30, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

454 

33, ultimo comma, 37, 38, 39, 48, ultimo comma, 50, 55, ultimo comma, 
60 cpv., 63, primo comma, 65, primo comma, 94, 96, primo comma, 100, 
104 insistono infatti nell'equiparare il personale delle Camere di commercio 
al personale statale; tanto � vero che la norma di chiusura contenuta 
nell'art. 105 richiama, �per tutto quanto non esplicitamente stabilito 
nel presente regolamento, ... le disposizioni vigenti, in materia di 
stato giuridico, per .i dipendenti civili dello Stato�. Ci� che pi� conta, 
il regolamento-tipo del 1970 � ancor pi� dettagliato che il corrispondente 
testo del 1958; e al pari di esso non lascia alle singole Camere significativi 
spazi di autoorganizzazione, interferenti con le norme generali in 
tema di stato giuridico ed economico del personale. N�, sotto questo profilo, 
la situazione muta per effetto del sopravvenuto decreto interministeriale 
2 marzo 1981, approvativo del nuovo regolamento-tipo per il personale 
deHe Camere stesse: sia perch� tale testo riproduce in gran parte 
le disposizioni previgenti, e comunque ripresenta la struttura del regolamento 
del 1970; sia perch� esso continua a rinviare alla disciplina dei 
dipendenti civili deHo Sttao, tanto per mezzo di una nutrita serie di 
specifici disposti, quanto con la norma di chiusura dell'art. 111. 

Cos� stando le cose, � chiaro che l'equiparazione progettata dal legislatore 
del Friuli-Venezia Giulia, per cui il trattamento dei dipendenti 
camerali dovrebbe esser disciplinato -in linea di massima -dalle norme 
concernenti il personale della Regione (secondo i criteri di inquadramento 
fissati dall'art. 2 della legge in questione), non verrebbe a privare 
le Camere di nessuna sfera di competenza e di autodeterminazione, che 
sia loro riservata sul piano nazionale. E non si pu� dire che le Camere 
stesse risultino in sostanza degradate ad enti strumentali della Regione, 
per il solo fatto che lo stato del loro personale venga modellato sull'ordinamento 
dei dipendenti regionali. S'intende, viceversa, che i richiami 
alla legge regionale 5 agosto 1975, n. 48 ( � Stato giuridico e trattamento 
economico del personale della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia�), 
non concretano altro che un punto di riferimento, allo stesso modo dei 
richiami allo statuto degli impiegati civili dello Stato, operati nei predetti 
decreti interministeriali. A loro volta, anzi, le due di'scipline cos� 
richiamate possono considerarsi fondamentalmente affini, dato il principio 
dettato dall'art. 68, secondo comma, dello Statuto speciale del 
Friuli-Venezia Giulia, per cui �le norme sullo stato giuridico ed il trattamento 
economico del personale del ruolo regionale devono uniformarsi 
alle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale 
statale �. 

D'altra parte, non � fondato l'assunto che l'ordinamento delle Camere 
di commercio esorbiti dalle materie elencate nell'art. 4 dello Statuto speciale 
del Friuli-Venezia Giulia. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Vero � che tale Statuto non inserisce le Camere stesse, n� sotto il 
profilo funzionale n� sotto il profilo strutturale, fra gli oggetti della competenza 
legislativa regionale piena o primaria (e nem:rp.eno vi accenna 
nei successivi articoli); sicch�, per il Friuli-Venezia Giulia, manca una 
puntuale attribuzione statutaria, del genere di quella risultante dall'articolo 
4, n. 8, del vigente Statuto per il Trentino-Alto Adige (come pure 
dall'art. 4, n. 13, dell'originario Statuto del 1948). Ma l'espressa previsione 
dell'� ordinamento delle Camere di commercio � rispondeva e risponde, 
nel caso del Trentino-Alto Adige, a ragioni del tutto peculiari, 
che non trovano riscontro nel caso del Friuli-Venezia Giulia. 

Secondo lo Statuto del 1948, le materie in cui agiscono le Camere 
venivano divise fra la Regione e le Province di Trento e di Bolzano, nel 
senso che alla competenza regionale appartenevano l'� agricoltura � e 
1'� incremento della produzione industriale e delle attivit� commerciali�, 
mentre alla competenza provinciale residuava l' � artigianato�; ed un'ulteriore 
sfasatura discendeva da ci� che l'� agricolturn � rientrava fra le 
materie di competenza primaria, mentre l' � incremento della produzione 
industriale... � era fartto ricadere nella competenza ripartita: sicch� risultava 
comunque opportuno chiarire a quale ente autonomo spettasse, ed 
a quale titolo, disciplinare le Camere di commercio. Ma questa esigenza 
si dimostra ancora pi� pressante alla stregua dell'attuale Statuto, che 
affida alle Province sia 1'� artigianato�, sia l'� agricoltura�, sia il �commercio
� e l' � incremento della produzione industriale �: con la conseguenza 
che, per mantenere la competenza regionale sull' � ordinamento 
delle camere di commercio�, si � reso indispensabile continuare ad enuclearlo, 
separandolo nettamente dai settori pertinenti alle varie funzioni 
delle Camere medesime. Il che, viceversa, non si verifica affatto secondo 
lo Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, cui spettano tanto l'� agricoltura
� e l'� artigianato� quanto l'� industria e commercio� (cfr. l'articolo 
4, n. 2, n. 6 e n. 7), senza alcuna distinzione per ci� ch� riguarda il 
tipo della relativa competenza. 

Ne segue che dal silenzio delle disposizioni statutarie per il FriuliVenezia 
Giulia, circa l'ordinamento delle Camere di commercio, non pu� 
trarsi alcuno spunto atto a risolvere la presente controversia. Al contrario, 
vale anche in tal campo la regola -gi� messa in evidenza dalla 
Corte (nelle sentenze n. 62 e n. 178 del 1973) e poi canonizzata dall'art. 13 
del d.P.R. n. 616 del 1977 -per cui gli �enti pubblici locali� operanti 
nelle materie di competenza propria delle Regioni, pur restando concettualmente 
distinti dagli enti strumentali o �para-regionali�, sono in 
vario senso assoggettati ai poteri regionali di supremazia, prestandosi 
dunque a venire riordinati e riorganizzati da parte delle Regioni medesime. 
Ed effettivamente, quanto alle Camere di commercio del Friuli



456 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Venezia Giulia, di questo criterio hanno fatto ripetuta applicazione le 
norme di attuazione statutaria e la giurisprudenza della Corte stessa. 

In un primo tempo, l'art. 8 del d.P.R. n. 1116 del 1965 ha trasferito 
all'Amministrazione regionale la generalit� delle �attribuzioni degli organi 
centrali e periferici dello Stato in materia� di industria e commercio � 
(nonch� in tema di artigianato), con una formula implicitamente comprensiva 
dei poteri relativi all'assetto delle Camere di commercio: com'era 
confermato dall'art. 9 del decreto stesso, secondo il quale i �poteri di 
vigilanza � concernenti i compiti demandati alle Camere � per esigenze 
statali � continuano invece a venire esercitati dal Ministero dell'industria 
e del commercio, ed anche dal successivo art. 10, in cui s'attribuisce 
espressamente alla Regione -ma � entro i limiti massimi previsti dalle 
leggi dello Stato, d'intesa col Ministero dell'industria e del commercio � la 
determinazione dell'� aliquota dell'imposta camerale�, da applicare 
nella circoscrizione di ciascuna Camera. Su questa base, la Corte ha 
potuto -nella sentenza n. 82 del 1970 -definire le Camere di commercio 
del Friuli-Venezia Giulia quali �enti pubblici locali... soggetti alla 
competenza regionale�, sia pure �nei limiti fissati dall.e norme statutarie 
e di attuazione �, per la � tutela di interessi generali �. E ila Regione 
ha conseguentemente stabilito, nel periodo intercorso fra il 1968 
ed il 1975, una serie di disposizioni legislative riguardanti le Camere, 
anche nel senso di dettare provvedimenti a favore del loro personale 
(mediante la legge 22 luglio 1969, n. 16). 

In un secondo tempo, per coinvolgere nel trasferimento alcune residue 
riserve di competenza statale e per troncare i dubbi interpretativi 
precedentemente insorti, l'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 902 del 1975 
ha quindi precisato che � in tutti i casi in cui le norme sull'ordinamento 
delle Camere ,di commercio, industria, artigiam.ato ed agricoltura e delle 
commissioni e degli uffci, costituiti presso le medesime, fanno riferimento 
a funzioni amministrative di organi centrali o periferici dello Stato, 
a questi s'intendono sostituiti gli organi della Regione �. Di fronte ad 
un disposto cos� chiaro, cui non si accompagnano eccezioni di sorta, non 
� dato replicare -come fa la parte ricorrente -che la submateria dello 
stato giuridico ed economico del personale camerale non sarebbe interessata 
dal trasferimento; e che, in ogni caso, il passaggio delle funzioni 
amministrative non implicherebbe l'attribuzione delle corrispondenti potest� 
legislative. 

Da un lato, non � esatto che gli organi centrali dello Stato non siano 
titolari di funzioni amministrative pertinenti ai ruoli delle Camere ed 
al trattamento dei loro dipendenti: va infatti ricordato, nuovamente, che 
il Tegolamento-tipo per il personale in questione � stato approvato e modificato 
per mezzo di decreti interministeriali, in cui si attribuiscono 
-del resto -specifiche funzioni al Ministero competente, sia quanto 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

alle dotazioni organiche delle Camere, sia quanto alle assunzioni nei posti 
disponibili, sia quanto alla cassa pensioni ed alla cassa di previdenza, 
sia quanto a tutte le deliberazioni concernenti il personale � adottate dalla 
Giunta Camerale in veste di Consiglio di Amministrazione� (cfr. gli articoli 
2 cpv., 3~ terzo comma, 75, terzo comma, 80, penultimo.ed ultimo 
comma, 93 del citato d.m. 16 marzo 1970, vigente all'atto dell'entrata in 
vigore del d.P.R. n. 902 del 1975); e nulla consente di affermare che fun. 
zioni del genere siano state complessivamente sottratte al trasferimento, 
tanto pi� che nell'ordinamento di un ente � naturalmente incluso lo 
stato giuridico ed economico del suo personale (come la Corte ha chiarito, 
relativamente ai dipendenti delle Regioni ordinarie, sin dalla sentenza 
n. 40 del 1972). D'altro lato, la Corte ha pi� volte riaffermato (da 
ultimo, nella sentenza n. 70 del 1981) la regola del parallelismo tra funzioni 
amministrative e legislative regionali, senza di che rimarrebbe insoddisfatta 
la stessa esigenza di legalit� dell'amministrazione: regola che 
deve applicarsi nel caso in esame, non essendo in discussione che il 
trasferimento 'disposto dall'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 902 del 
1975 riguardi funzioni amministrative statutariamente proprie della Regione 
Friuli-Venezia Giulia, non gi� funzioni statali delegate. 

N� giova ipotizzare -seguendo le argomentazioni svolte dall'Avvocatura 
dello Stato nella pubblica udienza -che il particolare trattamento 
del personale camerale del Friuli-Venezia Giulia, quale � stato previsto 
dalla legge regionale impugnata, possa violare il combinato disposto 
degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Qualunque sia la fondatezza di questa 
censura, essa non incide sulla competenza regionale in materia di 
ordinamento delle Camere di commercio, ma riguarda solo il modo di 
eser�:izio della competenza stessa, che si assume lesivo -nella specie dei 
citati principi costituzionali. Posta in questi termini, pertanto, si 
tratta di una censura completamente nuova, che la Corte non pu� prendere 
in esame, dal momento che essa non trova corrispondenza nei motivi 
del ricorso, collegandosi anzi a parametri del tutto diversi da quelli 
che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva inizialmente richiamato. 


Fermo rimane, tuttavia; che il ricorso va rigettato alla stregua della 
disciplina legislativa statale attualmente in vigore. � infatti ben noto 
che l'assetto delle Camere di commercio si presenta lacunoso e per diversi 
aspetti provvisorio, da quando le Camere stesse sono state ricostituite, 
in virt� del decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944: 
non ha avuto 'un seguito compiuto il preannuncio di una nuova disciplina 
legislativa sulla costituzione, sul personale e sul funzionamento 
delle Camere, gi� contenuto nell'art. 8, primo comma, del decreto predetto; 
e non � stato neppure adempiuto l'ulteriore impegno di adottare 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

458 

una � legge cli riforma dell'ordinamento camerale e del relativo finanziamento
�, assunto dall'art. 64 cpv. del d.P.R. n. 616 del 1977. 

Ma la Regione Friuli-Venezia Giulia non pu� vedersi precluso, in 
difetto di tale riforma, l'esercizio delle competenze che le spettano in 
materia. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1982, n. 81 -Pres. Elia -Rel. La Pergola 
-Coccia (avv. Baccelli), Turkish airlines (avv. Sparri) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). 

Corte Costituzionale -Giudizio incidentale -Ordinanza di rinvio -Oggetto 
del sindacato di costituzionalit� -Onere di individuazione -Incombe 
sul giudice � a quo �. 

Il giudice a quo ha l'onere, a pena di inammissibilit� della questione 
sollevata, di individuare la disposizione applicabile nella controversia e 
che si intende sottoporre a sindacato di costituzionalit�. 

(omissis) La Corte ritiene di dover preliminarmente osservare che 
nell'ordinanza di rinvio non � nemmeno individuata la norma applicabile 
alla controversia, di cui � investito il giudice a quo: sono infatti 
denunziati, sia il disposto della Convenzione, sia queHo del codice della 
navigazione, ai quali si � fatto sopra riferimento; e si dice da un canto 
che la regola desunta dalla Convenzione di Varsavia � stata impugnata 
dalla parte attrice nel giudizio di merito, dall'altro che la societ� convenuta 
deduce l'applicazione, nella specie, deHa norma del codice. Ma si 
tratta, va subito detto, di norme diverse, che non possono essere coinvolte 
nella censura di incostituzionalit� unitamente e indistintamente 
allo stesso titolo, come si fa nel provvedimento di rimessione. Ciascuna 
delle regole censurate pone, precisamente, un proprio precetto, ed ha 
un autonomo campo cli operativit�. Ch� anzi, l'una pu� ricevere applicazione 
nel caso in esame, solo ad esclusione dell'altra, secondo se la fattispecie 
sia ricondotta nella sfera in cui vengono in rilievo la Convenzione 
cli Varsavia e le successive modifiche, (sempre in quanto, beninteso, 
internamente efficaci), ovvero sia sussunta sotto la generale previsione 
del codice della navigazione. Una simile operazione ermeneutica, 
indispensabile perch� l'oggetto del sindacato ,cli costituzionalit� sia definito 
e la questione possa ritualmente salire innanzi a questa Corte, 
spetta, evidentemente, solo al giudice sottordinato; il Tribunale di Roma 
ha invece trascurato cli compierla, e cos� ha anche mancato di delibare 
-come gli imponeva il vigente ordinamento -la rilevanza del proble



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ma che si prospetta in questa sede, limitandosi ,ad un semplice e inconferente 
richiamo degli opposti assunti difensivi delle parti. iin ordine 
all'individuazione della norma regolatrice della specie. La questione deve 
essere quindi dichiarata inammissibile. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 88 -Pres. Elia -Rel. Reale 
-De Maria (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Angelini Rota). 

Tributi in genere � Accertamento divenuto definitivo in via amministra


tiva -Non fa stato nei procedimenti penali. 

(Cost., artt. 3, 24 e 101; I. 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 21 e 60). 

I limiti al principio del libero convincimento del �giudice penale contrastano 
con l'art. 101, comma secondo, Cast.,� sono pertanto costituzionalmente 
illegittimi gli artt. 60 e 21, terza comma, della legge 7 gennaio 
1929, n. 4, nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta 
e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, 
faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati 
preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 89 -Pres. Elia -Rel. Reale 
-Placucci (avv. Nuvolone e Angelucci) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi in genere -Repressione penale degli illeciti tributari in materia di 

I.V.A. e di imposte dirette -Azione penale � Pregiudiziale necessaria Legittimit� 
costituzionale -Limiti. 
(Cost., artt. 3, 53 e 112; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58; d.P.R. 29 settembre 1973, 
n. 600, art. 56). 
Il principio della obbligatoriet� dell'azione penale, confermato dall'art. 
112 Cast., pu� subire deroghe, purch� non ingiustificate e non irrazionali. 
� costituzionalmente legittimo che l'azione penale abbia corso 
solo dopo che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo, quando 
da tale accertamento dipende se il reato esiste oppure non esiste. � invece 
privo di giustificazione e perci� incostituzionale il divieto di procedere 
penalmente prima del definitivo accertamento dell'imposta quando 
il reato (nella specie, falsa fatturazione ai fini I.V.A. di operazioni inesistenti) 
� formale e di pericolo, e prescinde dalla commissione di un fatto 


RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

�Concreto di evasione. Pertanto, non � fondata la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 56, ultimo comma, in relazione al comma terzo, 
lett. e, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; � invece costituzionalmente 
illegittimo l'art. 58 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nella parte in cui 
.dispone che l'azione penale .ha corso dopo che l'accertamento � divenuto 
.definitivo anche nel caso del reato indicato nel quarto comma dell'art. 50 
.dello stesso d.P.R. n. 633 (1). 

III 

�CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1982, n. 108 -Pres. Elia -Rel. Conso 
-Taddei ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Carafa). 

Reato -Detenzione e porto d'arma � Pareri della commissione amministrativa 
sulla catalogazione delle armi � Rilevanza ai fini penali � Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 24, 25, 70 e 101; 1. 18 aprile 1975, n. 110, art. 2). 

Non contrasta con gli artt. 3, 24, 25, 70 e 101 Cast. l'art. 2, terza comma, 
della legge n. 110 del 1975, nella parte in cui, anche per le armi ad aria 
.compressa sia lunghe che corte, attribuisce alla commissione consultiva 
.di cui all'art. 6 della stessa legge il potere di escludere, in relazione alle 
.caratteristiche proprie di tali armi, l'attitudine a recare offesa alla per.
sana (2). 

IV 

.CORTE COSTITUZIONALE, 18 giugno 1982, n. 114 -Pres. Elia -Rel. Maccarone 
� Ballocco ed altri (n.p.) . 

.Procedimento penale � Giustizia militare � � Officialit� dell'azione penale Richiesta 
di autorit� militare Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 112; cod. pen. mil. pace, art. 260). 

Il principio della obbligatoriet� dell'azione penale non implica un 
principio di necessaria officialit� di detta azione: non contrastano con 
.l'art. 112 Cast. le disposizioni che condizionano il promovimento o la 

prosecuzione di essa anche in considerazione di interessi perseguiti dalla 

pubblica amministrazione (3). 

(1-3) Obbligatoriet� dell'azione penale, off�cialit� dell'azione penale e cosid.
detta pregiudiziale tributaria. Motivi di impaginazione hanno indotto a pubblicare 
l'articolo che segue m questa sede invece che nella parte II, che sarebbe stata 

I 

l 

i 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 461 

I 

(omissis) Come si evince dalla narrativa, la Corte d'Appello di Palermo 
doveva giudicare della responsabilit� penale di un contribuente 
che aveva denunciato nel 1971, con riferimento all'anno 1970, un reddito 
che -secondo le risultanze di un concordato fra un mandatario dello 
stesso contribuente e l'Ufficio delle Imposte -sarebbe stato invece prodotto 
nell'anno 1969 e avrebbe dovuto quindi essere denunciato nell'anno 
1970. Il contribuente aveva chiesto in tribunale (dove era stato condannato), 
e chiedeva in appello, di essere ammesso a provare che in realt� 
il reddito era stato percepito nel' 1970, e quindi la denuncia era stata 
tempestiva. Ma la Corte d'Appello rilevava che l'art. 60 della le~e 7 gennaio 
1929, n. 4, (come interpretato dalla Cassazione), escludendo l'applicabilit� 
alla materia delle imposte dirette dell'art. 22 della stessa legge, 
vincolava � tassativamente il giudice penale all'esito di un procedimento 
amministrativo� e quindi, nella specie, precludeva la prova invocata dal 
contribuente al fine di escludere il fatto-reato imputatogli. La Corte dubitava 
quindi della costituzionalit� del detto vincolo che � costituisce 
deroga a due principi fondamentali dell'ordinamento processuale penale: 
quello che affida l'accertamento dei fatti al libero convincimento del 
giudice, con esclusione assoluta, nel suo ambito, di prove legali; e quello 
che ammette rispetto al giudizio penale vincoli di pregiudizialit� solo 
in rapporto a casi limitati di decisioni di altri giudici �. 

La questione � fondata. 

Occorre preliminarmente osservare che, pur avendo nel dispositivo 
invocato quali parametri soltanto gli artt. 3 e 24 della Costituzione, tutta 
l'impostazione dell'ordinanza, come espressamente risulta dalle proposizioni 
sopra citate, nelle quali si denuncia la vio1azione del principio 
del libero convincimento del giudice, chiama in causa anche l'art. 101, 
secondo comma, della Costituzione. Pertanto, in conformit� di quanto gi� 

la sua naturale. L'articolo stesso, infatti -cos� come pi� in particolare tutti gli 

scritti pubblicati nella parte II della Rassegna -esprime solo il pensiero del suo 

autore, come tale non riferibile a questa pubblicazione di servizio. 

Le questioni deoise con le sentenze in rassegna hanno in comune la tematica 

della collaborazione tra magistratura ordinaria ed altre pubbliiche autorit�, ancor


ch�, come per le commissioni tributarie, reputate giurisdizionali. Tale tematica 

meriterebbe di per s� una attenta analisi, che per� non pu� essere fatta in una 

breve nota; appare peraltro doveroso segnalare come sempre pi� si tenda a 

considerare La repressione penale una � materia � a s� stante affidata alfa 

gestione della magistratura, anzich� un semplice (ed aggiuntivo) strumento per 

raggiungere obiettivi di convivenza civile e politica esterni alla �giustizia� (1). 

Questa tendenza si manifesta anche attraverso una enfiat.izzazione -rinve


nibile n�lle ordinanze su11e quali � stata resa la sentenza Ii. 89 -del significato 

dell'art. 112 Cost. Mediante tale enfatizzazione si cerca di aggiungere al principio 

(1) Questa nota � stata redatta prima dell'emanazione del d.l. n. 429 del 1982. 

462 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

altre volte ritenuto daUa Corte (cfr. sent. n. 1 del 1971), la questione 
deve essere esaminata anche con riferimento all'art. 101, secondo comma, 
della Costituzione. 

Il fatto che U reddito del quale si discuteva fosse stato percepito 
nel 1969 (non nel 1970, come sostenuto dal contribuente) risultava da 
un � concordato al riguardo intervenuto il 17 febbraio 1972 tra l'ufficio 
impositore e un legale da lui (hl contribuente) :incaricato�. 

Esattamente H giudice a quo ha attribuito al concordato il valore 
di un atto amministrativo, contrapponendolo alle � decisioni di altri giudici � 
rispetto alle quali sarebbero ipotizzabil'i � vincoli di pregiudizialit� � per il 
giudice penale. 

In effetti la giurisprudenza della Cassazione e della Commissione Centrale 
Tributaria e la prevalente dottrina, escludendo il carattere transattivo 
del concordato, lo qualificano come un atto di accertamento autoritativo 
cui il contribuente presti adesione; comunque, come � atto amministrativo
�, che esclude ogni connotato del provvedimento giurisdizionale. 

Ora l'art. 60 della legge n. 4 del 1929, escludendo l'applicabilit� ai tributi 
diretti dell'art. 22 della stessa legge, sostanzialmente conferma la disposizione 
del terzo comma dell'art. 21 (� per i reati previsti dalla legge sui 
tributi diretti l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta 
e della relativa sovraimposta � divenuto definitivo a norma delle 
leggi regolanti la materia�), che, secondo la costante giurisprudenza, attribuisce 
a tale accertamento, anche quando si sia gi� verificato in fase 
amministrativa, un'efficacia vincolante per il giudice penale, certamente 
incompatibile con il principio del libero convincimento, tanto pi� rigoroso 

della � obb1igatortlet� dell'azione penale � (art. 1 cod. proc. pen.). La prews1one 
di una fattispecie penale si tradurrebbe, dn sostanza, nell'attribuzione al potere 
giudiziario di una competenza piena su tutta una �serie di �affari �, cos� sottratti 
ad ogni altra potest� pubblica ed aggregatli! alla � materia � penale. 

In realt�, l'art. 112 Cost. enuncia unicamente che �il pubblico ministero ha 
l'obbligo di esercitare l'azione penale�; esso, come chiaramente risulta dagli atti 
della Costituente, si limita a dar forza costituzionale a norme preesistenti . 
(l'art. 74 del codice di procedura penale del 1930 e l'art. 74 dell'ordinamento giudiziario 
del 1941) indirizzate ai magistrati inquirenti, e volte a costituire vincolanti 
obblighi di servizio a loro carico, e non anche a determinare una pienezza 
incomprimibilit� ed esclusivit� delle loro potest� di iniziativa penale. Il costituente 
si � ben guardato dallo stabilire che l'iniziativa penale Ǐ riservata al 
�pubblico ministero e non pu� essere sottoposta a condizioni�. 

Del resto, esistono nel nostro ordinamento istituti -primo fra tutti la 
querela della �parte lesa� -che condizionano l'azione penale e/o la punibilit� 
dell'autore del fatto. E, almeno per la querela, nessuno ha mai dubitato della 
sua costituzionalit�, come nessuno ha sollevato pregiudiziali obiezioni al recente 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 463 

in sede di giudizio penale. E anche l'art. 21, terzo comma, cos� interpretato 
e applicato, deve perci� intendersi compreso nella questione sollevata. 


Tale evidente violazione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione 
si combina con queLla degli artt. 24 e 3. I1l primo � violato in 
quanto l'accertamento amministrativo che fa stato nel giudizio penale impedisce 
l'esercizio del diritto inviolabile della difesa. Il secondo perch� 
la preclusione per il giudice penale, che deriva dall'accertamento amministrativo 
in materia tributaria, differenzia irrazionalmente la condizione 
degli imputati secondo che l'imputazione sia conseguente ad un accertamento 
amministrativo tributario o no e, nell'ambito degli accertamenti 
amministrativi tributari, sia relativa a imposte dirette o indirette. 

II 

(omissis) Come esposto in narrativa, la Cassazione era investita di 
ricorso avverso mandati di cattura spiccati nei confronti di tre imputati 
del reato di cui all'art. 50, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 633 (falsa fatturazione e annotazione nel registro degli acquisti IVA): 
i Ticorrenti, peraltro in libert� provvisoria, deducevano � la nullit� dei 
mandati per il reato tributario per difetto della condizione di procedibilit� 
di cui all'art. 58, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 �, il 
quale stabilisce appunto che � nelle ipotesi previste nell'art. 50 l'azione 
penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta � divenuto definitivo 
ampliamento del suo ambito di applicazione. N� pare messa in discussione la 
costituzionalit� dell'oblazione, che estingue il reato e quindi anche l'azione penale. 

Deve peraltro rilevarsi che in talune sentenze della Corte costituzionale � 
dato rinvenire espressioni che -sul filo di una qualche ambiguit� -operano 
una commistione tra principio di � obbligatoriet� dell'azione penale ,, (che, almeno 
in teoria, non subisce deroghe, ossia non lascia spazio ad una discrezionalit� 
dei pubblici ministeri) e principio di � officialit� dell'azione penale� (che invece 
ben pu� essere sottoposto a condizioni, quali il verificarsi di determinati presupposti). 
Cos�, nella sentenza n. 4 del 1965 �Si legge -e trattasi, per di pi�, di 
un palese obiter dictum -che sarebbero � ecce:z;ionalmente dettati, e da norme 
costit=iona.M, i casi di deroga al pr.incipio dell'obbligatoriet� deM'aziione del 
pubblico ministero... �; e oi� in un caso nel quale era lin discussione la � offdoialit� 
� e non la � obbligatoriet�>>, per la quale ultima del resto non avrebbe avuto 
senso parlare di � deroghe � salvo errore non previste da alcuna norma n� 

costitutlonale n� primaria. L'affermazione riferita � stata ripetuta, per vero 
alquanto tralatiaiamente, nella sentenza n. 84 del '1979, ove peraltro poi sd nega 
che fa Costitu21ione riservi !'!iniziativa penale al pubblico ministero. 

Invero, come riconosciuto esplicitamente nella sentenza n. '114 ora in rassegna, 
la Costituzione non impedisce al legislatore ordinario di configurare l'iniziativa 
penale, in alcuni specifici casi ed anche in assenza di una esplicita auto




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

464 

e la prescrizione del reato � sospesa fino alla stessa data�. La Cassazione, 
respingendo la interpretazione restrittiva del detto ultimo comma dell'art. 
58, secondo la quale esso non � riferibile anche alla ipotesi del quarto 
comma dell'art. 50 (e ci� in ragione del generale rinvio che il richiamato 
ultimo comma dell'art. 58 fa a tutte le ipotesi dell'art. 50), riteneva dubbia, 
relativamente alla ipotesi considerata, la costituzionalit� ex �artt. 3 e 112 
Cost. della norma. 

Negli stessi termini la questione, come si � detto, veniva sollevata 
dal tribunale di Forli, che, nella motivazione, si riferiva all'ordinanza 
dehla Cassazione della quale si � gi� detto. (omissis) 

Giustamente i due giudici a quibus (chiamati ad esaminare casi nei 
quali la disposizione dell'art. 58, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 
aveva, in concreto, paralizzato sin dall'inizio l'azione penale) hanno rilevato 
(la Cassazione con espressa motivazione, richiamata dal tribunale) 
che la detta disposizione opera come una � vera condizione di procedibilit�
� che �impedisce l'esercizio dell'azione penale�. Tale opinione � 
conforme alla prevadente dottrina, a numerose altre pronunzie anche 
della Cassazione nelle quali, sia in relazione alla normativa del 1929 che 
a quella entrata in vigore nel 1974, si afferma che il mancato accertamento 
definitivo �impedisce l'instaurazione (o �l'inizio�) del procedimento 
penale�; ed � infine puntualmente confermata da una pronunzia della 
Cassazione, successiva all'ordinanza di rimessione, nella quale si nega 
l'operativit� della citata disposizione rispetto a:lla ipotesi del quarto 
comma dell'art. 50 proprio sul rilievo che, diversamente, ci si troverebbe 
di fronte a �una mera condizione di procedibilit� �, 

rizzazione del costituente, come subaltern,a e strumentale ad interessi diversi 
da quello -per vero astratto -all'applicazione della legge penale. 

A ben vedere, l'insieme delle norme penali costituisce anche, ed anzitutto, un 
programma delle attivit� di repressione (� gi� stato osservato che � tutto nel 
mondo del dir�.tto � programma� e che � il diritto � traduzione dn termind normativi 
di valutazioni ideologiche e di piani d'azione�). 

Nel formulare tale programma �il legislatore necessariamente formula anche 
previsioni quantitative: e, in funzione di queste, pu� alternativamente: 
-o operare sulla fattispecie dd reato restringendole fino a renderle poco 
frequenti, 
-o subordinare le iniziative del pubblico ministero a stimoli provenienti 
dalle � parti lese � (anche se pubbliche amministrazioni), 
-o lasciare aperto il varco della oblazione, a libito dell'imputato o previa 
discrezionale � ammissione� al beneficio, 

-o ripartire tra pi� ordini giudiziari, per � questioni � o altrimenti, il lavoro 
istruttorio e di decisione, mediante l'istituto della � pregiudiziale necessaria � 
idoneo in pratica ad operare anche come �filtro�. 

In corrispondenza con queste tecniche di � dimensionamento � del flusso 
degli affari possono immaginarsi altrettante aree di intervento (necessario o 
eventuale, immediato o differito) della repressione penale. Un ben calibrato e 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 465 

L'art. 50 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede, come � noto, quattro distinte 
ipotesi di reato: la prima concerne chi si sottrae nel corso di un anno 
solare al pagamento dell'imposta dovuta (IVA) per un ammontare superiore 
a lire cento milioni; la seconda chi, sempre nel corso deH'anno 
solare, consegue un indebito rimborso per un ammontare superiore a 
cinquanta milioni; la terza chi ha sottoscritto la dichiarazione annuale 
nelle due ipotesi precedenti; la quarta chi emette fatture per operazioni 
inesistenti o indica nelle fatture i corrispettivi e le relative imposte in 
misura superiore a quella reale. I quattro distinti reati, dei quali solo 
il terzo � contravvenzionale, sono puniti con distinte pene edittali. Ma la 
differenza fondamentale fra i primi tre e il quarto sta nel fatto che dei 
primi � elemento costitutivo l'ammontare della sottrazione al pagamento 
o dell'indebito rimborso; l'esistenza del quarto, invece, � del tutto 
indipendente dall'ammontare delle false fatture o dalla misura, superiore 
a quella reale, dei corrispettivi indicati. 

� opportuno, a questo punto, ricordare che il disegno di legge di 
delega al Governo per la riforma tributaria prevedeva ai punti ~4 e 15 
dell'art. 11 l'applicazione dei principi di cui all'art. 22 della legge n. 4 
del 1929 ai reati dolosi relativi a tutti i nuovi tributi e la istituzione di 
sezioni specia:lizzate della magistratura ordinaria competenti per i giudizi 
anche penali in materia tributaria. Ma il Parlamento non accolse tale 
previsione e dispose nel senso, poi concretizzato nella legislazione delegata, 
di attribuire alle Commissioni tributarie, organi giurisdizionali (con 
facolt� alternativa di ricorso alla Commissione centrale o alla Corte di 

coordinato dosaggio del ricorso all'una o all'altra delle tecniche indicate appare 
da preferirsi ad opzioni secche e radicali, inevitabilmente troppo semplici, quali 
ad esempio un uso irrazionalmente generalizzato delle � pregiudiziali necessarie�, 
ovvero un � dimagrimento � delle fattispecie sanzionate tanto � sapiente � da rendere 
infrequente il loro realizzarsi. 

Comunque, nel tracciare un programma delle attivit� di repressione penale, 
il legislatore dovrebbe aver sempre ben presente che prevedere una fatti.specie 
penale comportla aprire la �strada: 
a) a:lla �rrogazione di m�sure punitive (� questo per soliito l'unico aspetto 
considerato), 
b) all'esercizio dei poteri istruttori della magistratura inquirente e giudicante 
(poteri che -come � noto -sono molto pi� ampi di quelli attribuiti 
ad altri organi pubblici), 
e) ad una devoluzione di affari ai �palazzi di giustizia� (devoluzione rafforzata 
da obblighi di rapporto, a loro volta penalmente sanzionati) e ad una 
correlata compressione delle potest� amininistrative eventualmente esistenti, 
d) ad una compressione anche delle potest� decisionali delle autorit� giurisdizionali 
non investite del magistero penale. 
In questo quadro va ad inserirsi la sentenza n. 89 ora in rassegna, ove si 

esclude un vulnus al principio della � obbligatoriet� dell'azione penale� non 
gi� -come sarebbe stato lineare ed esauriente -per la preliminare considerazione 
che il regime dei rapporti tra autorit� giurisdizionali diverse, sia esso 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

466 

Appello), la cognizione delle controversie tributarie, sottvaendo quindi al 
giudice penale ogni competenza ad accertare l'ammontare dell'imposta 
dovuta ed eventualmente sottratta all'Erario. Una volta adottato questo 
sistema, si comprende, ed � costituzionalmente lecito, che nei casi in cui 
da quell'acc�rtamento dipende se. H reato esiste oppure no, l'azione penale 
abbia corso solo dopo che l'accertamento sia divenuto definitivo, come 
dispone l'ultimo comma dell'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972. In questi 
casi non pu� nemmeno propriamente parlarsi di una deroga al principio 
dell'obbligatoriet� dell'azione penale, perch� manca al P.M. -n� egli 
ha facolt� di determinarlo -un elemento essenziale della contestazione 
del reato, cio� fa nozione di quell'elemento -il superamento del previsto 
ammontare del tributo evaso o del rimborso indebitamente ottenuto che 
costituisce la soglia oltre la quale il fatto diviene reato. E comunque 
ben potrebbe chiamarsi in causa per giustificare il mancato corso della 
azione penale, in attesa dell'accertamento definitivo del tributo, pure quell'
� esigenza fondamentale di evitare accertamenti 1discordanti anche a 
livello giurisdizionale dell'imposta dovuta�, riconosciuta dalla Cassazione. 

Ma quando, come nel quarto comma dell'art. 50 del d.P.R. n. 633, il 

reato � del tutto indipendente dalla entit� del tributo, perch� si tratta 
della falsa fatturazione di operazioni inesistenti, di indicazione in fattura 
di corrispettivi in misura superiore a quella reale, o delle relative registrazioni; 
quando cio� si tratta, come si esprime la Cassazione, � di un 
�reato formale e di pericolo, indipendente da un fatto concreto di evasione 

regolato dal criterio della pregiudizialit� o da altro criterio, rimane �a monte� 

dell'ambito di operativit� dell'anzidetto principio, ma per la considerazione, per 

cos� dire attinente al merito, della � mancanza � di un � elemento essenziale 

della contestazione del reato �. Come si vede, l'ambiguit� circa l'effettiva portata 

del principio di �obbligatoriet� della azione penale�, lungi dall'essersi dissolta, 

ha prodotto qualche altro guasto (fortunatamente privo di conseguenze pratiche). 

Per il resto, la sentenza n. 89 -che, nella sostanza, fa propria una soluzione 

cui gi� la Corte di cassazione era pervenuta, seppur con qualche audacia -appa


re da condividere, e sul piano giuridico e su quello che genericamente pu� deno


minarsi extra-giuridico. 

Sul piano giuridico, la pronuncia non ha potuto esaminare -perch� costret� 

ta da ordinanze di rimessione abbagliate dalla �rivendicazione � di una inter� 

pretazione lata (e come si � detto non consentita) dell'art. 112 Cost. -una 

ulteriore questione che forse avrebbe potuto essere posta in relazione all'art. 76 

Cost., considerato che la legge delega n. 825 del 1971 non fa parola della �pre� 

giudiziale tributaria� e che le norme previgenti concernevano solo le imposte 

dirette e non anche la I.V.A.; sicch�, la generalizzazione della � pregiudiziale 

tributaria� � stata opera di un legislatore delegato (anche in ci� un po' troppo 

indulgente). 

Sul piano extragiuridico, una criminalizzazione immediata degli illeciti tri� 

butari va inevitabilmente a scapito -per quanto si � detto dianzi -di una 

loro pi� estesa criminalizzazione, ed inoltre pone, ad una efficiente � gestione� 

dei tributi, pi� problemi di quanti non contnbuisca a risolvere (basi pensare, 

~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 467 

e punibile cli per s� a titolo di dolo generico�; quando manca perfino ogni 
riferimento della pena edittale all'entit� dell'evasione: allora certamente 
il divieto cli procedere fino a quando l'accertamento della imposta non 
sia divenuto definitivo integra una deroga, senza alcuna giustificazione, al 
principio dell'obbligatoriet� dell'azione penale consacrato nell'art. 112 
della Costituzione, il che basta a determinare l'illegittimit� della norma 
denunciata e dispensa la Corte dall'esaminare la questione in relazione 
all'art. 3 della Costituzione. 

A questa conclusione la difesa della parte privata oppone una serie 
di considerazioni che si richiamano quasi interamente all'ultimo capoverso 
dell'art. 21 della legge n. 4 del 1929 e alle disposizioni del d.P.R. 

n. 61l0 del 1973, cio� alla materia delle imposte dirette, per poi farne 
applicazione, con un salto logico non consentito, a tutti i reati in materia 
di imposte indirette, quaile � l'IVA. Pertanto � anche impropria e non 
producente la citazione della sentenza n. 32 del 1968 della Corte, la 
quale si riferisce all'art. 252 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 sulle imposte 
dirette e nega che esso abbia violato l'art. 76 della Costituzione per avere 
soppresso l'ultimo comma dell'art. 35 della legge cli delegazione n. 1 
del 1956, che, �in deroga dell'art. 21 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, 
consentiva che per certi reati fiscali l'azione avesse corso senza il preventivo 
accertamento dell'imposta �. 
La stessa difesa cerca conferma alla sua tesi nella tradizione legislativa 
che, invece, Ie � contraria. 

ad esempio, all'eventualit� che si creino accumuli di affari tributari puramente 
e semplicemente � giacenti � nelle segreterie e cancellerie giudiziarie, ed al possibile 
dilagare di segreti istruttori opponibili anche alla amministrazione finan'
iiaria). Il � dimensionamento � ottimale della repressione penale degli illeciti 
\;ibutari � operazione che richiede accorte calibrature e non pu� essere risolta 

~olpi di maglio o, peggio, sotto la pressione di � rivendicazioni �. 

�,N� possono essere sottovalutati il rischio che, ad un elevato numero di rap


\ trasmessi � allo sbando� e per � scarico di responsabilit�� (cio� per il 

..,, neppur remoto, di una imputazione per omissione di rapporto), segua 

~ato numero di pronunce assolutorie � facenti stato � nei processi tribu


\ rischio che le possibilit� di valorizzazione degli indizi, gi� ridotte dalla 

'te riforma tributaria del 1911 e dai decreti delegati che l'hanno attuata, 

?er l'isultiare ulteriormente compresse per effetto delle comprensibili 

~ appliowe sanzioni penald in assenza di prove adeguatamente con


~uti. 

Si � gi� osservato che negli Stati Uniti il fisco federale fa sottoporre a 
processo penale per evasione e frode fiscale mediamente poco pi� di duecento 
persone all'anno, mentre i contribuenti che presentano dichiarazioni sono circa 
90 milioni. Ci�, ovviamente, non perch� quasi tutti gli americani sono in regola 
con i loro obblighi tributari, e neppure perch� in materia le ipotesi di reato siano 
tanto circoscritte da risultare raramente realizzate. 

La spiegazione di un cos� limitato intervento repressivo si trova nel fatto 
che l'azione penale � attivata soltanto quando la amministrazione ne fa richiesta. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'IVA, infatti, � una imposta indiretta che ha sostituito l'IGE, vigente 
fino all'entrata in vigore del d.P.R. n. 633 del 1972. Ora la legge istitutiva 
dell'IGE (d.l. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940, 

n. 762) richiamava per l'applicazione delle sanzioni di carattere penale 
la legge n. 4 del 1929, cio�, non trattandosi di imposta diretta, dava via 
libera per il procedimento penale prima all'intendente di finanza, poi, a 
seguito della sentenza n. 60 del 1969 della Corte, al tribunale. 
Infine la difesa della parte privata assume che, se l'azione penale non 
pu� esercitarsi �perch� non sussistono i presupposti per il suo esercizio�, 
non pu� considerarsi violato l'articolo 112 della Costituzione. Senonch�, 
nell'ipotesi di reato in esame, i presupposti sussistono perch� il reato 
� perfetto in tutti i suoi elementi indipendentemente da ogni accertamento 
dell'esistenza ed entit� dell'evasione. 

Le considerazioni che precedono vanno tenute presenti anche per la 
soluzione delle� questioni sollevate dai giudici dstruttori presso il tribunale 
di Napoli, presso il tribunale di Frosinone e presso il tribunale di 
Bologna..., nonch� dal tribunale di Genova. 

Si tratta di questioni tutte relative a reati in materia di imposte 
dirette, riferite nelle tre prime ordinanze a disposizioni del d.P.R. n. 600 
del 1973, nella quarta (quella del tribunale di Genova) al t.u. n. 645 del 
1958 sulle imposte dirette e all'art. 21 della legge n. 4 del 1929. (omissis) 

Risulta pertanto da:L1a sovraesposta identificazione della questione, 
che la Corte � chiamata a decidere se sia costituzionalmente legittimo 
in relazione al reato previsto nella lett. e del terzo comma del-

In concreto, la richiesta viene presentata in pochi casi, accuratamente scelti, in 
esito a procedimenti decisionali complessi cui partecipano i legali dell'ammini� 
strazione, sulla base di tre criteri: 

1) disponibilit� di prove tali da rendere quasi impossibile l'assoluzione 
dell'imputato; 

2) prevedibile risonanza del processo attraverso i mass media, e quindi 
esemplarit� ed efficacia deterrente della condanna per una gran massa di contribuenti; 


3) presenza, nel comportamento illecito, di modalit� particolarmente fraudolente. 


In sostanza, per l'ordinamento statunitense, la repressione penale degli 
illeciti tributari in un sistema fiscale che interessa grandi masse di contribuenti 
deve essere finalizzata non gi� alla astratta attuazione delle leggi, ma ad un 
accrescimento -mediante appropriata � deterrenza � -del gettito delle imposte, 
e quindi deve essere impiegata nella misura e nei modi necessari e sufficienti 
per il raggiungimento di tale obiettivo; e sarebbe poco produttivo e persino 
controproducente far pervenire ai magistrati un flusso non controllato (nella 
quantit� e nella qualit�) di denunce, parte soltanto delle quali finirebbe per 
avere esiti punitivi. Coerente con questa impostazione � la previsione di sanzioni 
penali pesanti per coloro che rimangono nella rete. 

Di qui la scelta di porre l'azione penale al servizio delle pretese tributarie 
e cio�, come suol dirsi, dell'azione civile, e di rifiutare l'opposta raffigurazione di 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 469 

l'art. 56 del d.P.R. n. 600 del 1973 (�fatti fraudolenti al fine di sottrarre 
redditi all'imposta sul reddito�), l'ultimo comma dello stesso articolo 
(�L'azione penale per i reati di cui ai commi precedenti non pu� essere 
iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto 
definitivo�). 

La questione non � fondata. 

Per tutti i reati previsti nel comma terzo l'art. 56 del d.P.R. n. 600 
stabilisce la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da lire 
duecentomila a due milioni. Ma il comma quarto del detto articolo 
dispone che � se i fatti indicati alle lettere a, e ed e del comma precedente 
comportano evasioni di imposta per un ammontare complessivo eccedente 
cinque milioni di lire la multa � applicata in misura pari all'imposta di 
tale ammontare e la reclusione non pu� essere inferiore a due anni. Si 
applica soltanto la multa se i fatti indicati nel terzo comma comportano 
un'evasione di imposta di speciale tenuit��. Il reato � dunque punito 
con pena edittale diversa secondo l'ammontare della evasione. Il che 
comporta che nel caso della lett. e del comma terzo dell'art. 56 del 

d.P.R. n. 600 non solo il processo penale non pu� essere definito, ma la 
stessa accusa non pu� essere contestata prima che sia accertato se 
l'evasione dell'imposta � superiore o inferiore a lire cinque milioni. 
In conseguenza, per le ragioni suesposte al n. 6, in questo caso 
non pu� dirsi che il divieto, disposto nell'ultimo comma dell'art. 56, 
di iniziare o proseguire l'azione penale prima che l'accertamento della 
imposta sia divenuto definitivo, implichi una violazione del principio 
dell'obbligatoriet� dell'azione penale. Che l'azione penale non possa essere 

questa come accessorio e sottoprodotto della repressione penale. Scelta che non 
si riduce ad una enunciazione di principio, ma si concreta in misure atte a 
dotare l'amministrazione di strumenti (norme, apparati, attrezzature) idonei allo 
svolgimento di un'attivit� inquirente persino pi� penetrante ed aggressiva di 
quella solitamente svolta per fini di normale polizia criminale. � noto che non 
pochi boss mafiosi americani, irraggiungibili per fatti di sangue, sono stati 
spediti in galera per frodi fiscali. 

Anche in Italia l'ordinamento tributario ha -forse inopportunamente (ma 
su ci� non � il caso di soffermarsi ora) -costruito una � finanza di massa�: 
anche da noi quindi si � realizzata una situazione oggettiva che dovrebbe consigliare 
un uso non generalizzato ma mirato e selettivo della repressione penale. 
Anzi, nel nostro Paese pi� che negli U.S.A. risultano carenti ed ingolfate le strutture 
preposte a tale repressione; per il che non sarebbe da escludere a priori 
l'introduzione anche nel nostro ordinamento di un meccanismo che -sul presupposto 
della derogabilit� del principio della � officialit� dell'azione penale � lasciasse 
spai:io a selezioni operate dalla � parte lesa� o per conto di essa. Certamente, 
il ricorso a questa tecnica di � dimensionamento � della repressione penale 
pone qualche problema istituzionale e procedimentale, non per� pi� delicato di 
quelli da tempo risolti in relazione alla costituzione di parte civile delle amministrazioni 
statali. 

FRANCO FAVARA 



RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

iniziata o proseguita prima dell'accertamento definitivo dell'imposta, come 
prescrive la norma di legge in esame, e che sia inibito in sede penale 
simile accertamento necessario alla contestazione dell'accusa, deriva dalla 
scelta del legislatore in merito alla definizione degli accertamenti tributari, 
sottratta, appunto, alla sede penale. 

Non esiste, dunque, la violazione dell'art. 112 della Costituzione e 
nemmeno quella, pure denunciata nelle tre ordinanze in esame, dell'art. 3, 
n� quella, denunciata dal solo giudice istruttore di Frosinone, dell'art. 53. 
(omissis) 

Il giudice istruttore di Bologna attribuisce la violazione del principio 
di eguaglianza al fatto che � frequente � che dalla valutazione dei medesimi 
fatti contabili traggano origine tanto reati fiscali che reati di altra natura 
(societari, di falso, di bancarotta). Poich� tuttavia la procedibilit� per 
alcuni fatti � impedita, mentre pu� procedersi per i reati di natura �non 
fiscale, appare del tutto ingiustificata la diversit� che in tal modo si determina
�. 

Ma la denunciata diversit� di trattamento sia che si riferisca a reati 
diversi compiuti dalla stessa persona, sia che si riferisca ad autori diversi 
dd reati diversi, non sussiste perch� non sono eguali le situazioni giuridiche 
poste a confronto. 

Infine il solo giudice istruttore di Frosinone invoca a parametro anche 
l'art. 53 della Costituzione e sostiene che � concedendo la possibilit� di 
procrastinare a lungo il pagamento del dovuto, il soggetto verrebbe a 
locupletare somme su quanto dovuto alla collettivit�, non venendo cos� 
a concorrere alla spesa pubblica in relazione alla propria capacit� contributiva
�. Ora basta osservare (a parte ogni altra considerazione) che la 
possibilit� di procrastinare il pagamento a causa del lungo iter degli 
accertamenti deriva non dalle norme denunciate, ma dal sistema degli 
accertamenti tributari e del suo concreto funzionamento, per escludere 
fa fondatezza della censura. (omissis) 

III 

(omissis) La questione, che chiama in causa una serie cospicua 
di parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, secondo comma, 70, 101, secondo 
comma, Cost.), a reciproca integrazione l'uno dell'altro, in una logica 
di stretta connessione, nasce dal disagio che molti giudici di merito 
provano di fronte alla parte conclusiva dell'art. 2, terzo comma, legge 

n. 110 del 1975: una norma in forza della quale una commissione consultiva 
del Ministero dell'interno, potendo escludere l'attitudine a recare 
offesa alla persona per singoli tipi di arma ad aria compressa, cos� da 
estrometterli da[ novero dehle armi da sparo cui altrimenti apparterrebbero, 
verrebbe ad influire con interventi sporadici ed occasionali sul conte-
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

nuto dei precetti penali in materia di armi da sparo, delimitandone i 
confini a guisa di un legislatore delegato (di qui il riferimento all'art. 70 
Cost.), nel senso di rendere pi� ristretti i loro ambiti di applicazione 
ogni volta che per un tipo di arma sia ravvisata l'inidoneit�; e comunque 
completando di volta in volta tali precetti in violazione del principio 
di legalit� e tassativit� delle norme penali (di qui un primo riferimento 
all'art. 25, secondo comma, Cost.), persino successivamente alla commissione 
del fatto e all'inizio dell'azione penale (di qui un altro riferimento 
all'art. 25, secondo comma, .in quanto vi � sancita l'irretroattivit� della 
legge penale), con conseguente subordinazione della valutazione del giudice 
oJXlinario, che pu� averne dovuto magari sohlecitare l'intervento, alla valutazione 
dell'autorit� 'amministrativa (di qui il riferimento all.'art. 101, secondo 
comma, Cost.), insuperabile aliunde tramite perizia (di qui il riferimento 
all'art. 24 Cost.), e non senza il rischio di gravi disparit� di trattamento 
qualora la commissione consultiva escluda l'idoneit� ad offendere per un 
tipo di arma che gi� abbia formato oggetto di condanna penale irrevoca


bile (di qui il riferimento all'art. 3 Cost.). 

Prima di pronunciarsi sulla fondatezza della questione, occorre verificare 
se la ricostruzione deil significato deHia disposizione lin esame 
cos� come � stato colto dai giudici a quibus ed il suo conseguente inquadramento 
nel nuovo sistema normativo in materia di armi comuni da 
sparo siano frutto di una puntuale interpretazione. 

A tal fine, si rendono necessarie alcune precisazioni, oggi agevolate 

dall'intervenuto assestamento del sistema lungo l'arco di un'ormai ampia 

attuazione. 

I poteri conferiti alla commissione consultiva centrale dalla legge 

n. 110 del 1975 sono idi due tipi: specifici e generici. Poich� questi secondi 
si risolvono nel dare parere � su tutte le questioni ad essa sottoposte 
dal Ministero dell'interno in ordine alle armi ed alle Inisure di sicurezza 
per quanto concerne la fabbricazione, la riparazione, il deposito, la custodia, 
il commercio, l'importazione, l'esportazione, la detenzione, Ja 
raccolta, la collezione, il trasporto e l'uso delle armi� (art. 6, quinto 
comma, legge n. 110 del 1975), cos� da presentarsi con connotati di mera 
eventualit�, a caratterizzare istituzionalmente la cominissione restano i 
poteri specifici, esplicitati dal legislatore attraverso un conferimento 
diretto, non subordinato all'iniziativa del Ministero. Tali poteri, rispettivamente 
previsti dall'art. 2, terzo comma, ultima parte, e dall'art. 6, 
quinto comma, parte prima, legge n. 110 del 1975, e sempre destinati a 
tradursi in un parere al Ministero, riguardano l'uso l'esclusione dell'attitudine 
a recare offesa alla persona per le armi ad aria compressa, in relazione 
alle caratteristiche di esse, e l'altro la � catalogazione delle armi 
prodotte o importate nello Stato, accertando che le� stesse, anche per le 
loro caratteristiche, non rientrino nelle categorie contemplate nel prece

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

412 

dente art. 1 �, eme nella categoria delle armi da guerra o tipo guerra, 
la catalogazione riguardando le sole armi comuni da sparo. 

Quando si tratta di un'arma ad aria compressa [ due poteri risultano 
strettamente collegati, nel senso che l'esercizio del primo ha luogo 
in occasione dell'esercizio del secondo, nell'ambito e nel rispetto delle 
relative procedure, quali puntualmente descritte nell'art. 7 legge n. llO 
del 1975. L'art. 2, termo comma, ultima parte, va, quindi, letto in correlazione 
con gli artt. 6 e 7, e a tale stregua valutato in ordine a:lla sua 
legittimit� costituzionale. 

Poich� il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo � destinato 
a dar conto delle armi e soltanto delle armi � delle quali � ammessa la 
produzione o l'importazione definitiva�, laddove in ordine alle armi non 
pi� oggetto di produzione o di importazione dispone l'art. 37, secondo 
comma, legge n. llO del 1975, ne discende che il potere di escludere la 
idoneit� ad offendere, con conseguente non inclusione dell'arma nel 
catalogo, � esercitabile dalla commissione unicamente nei confronti di 
armi ad aria compressa da produrre o da importare definitivamente. 

Le regole dettate per la catalogazione garantiscono uno svolgimento 
ordinato e coerente delle varie operazioni, sia di quelle che sfoceranno 
nell'iscrizione a catalogo (oppure, qualora l'arma sottoposta all'esame 
della commissione dovesse risultare arma da guerra o tipo guerra, nel 
rifiuto d'iscrizione motivato in tali termini), sia di quelle che sfoceranno 
nell'esclusione dell'idoneit� ad offendere la persona, con conseguente 
riconducibilit� dello strumento ad aria compressa nella categoria delle 
armi giiocattolo (art. 5, quarto comma, legge n. llO del 1975). L'onere di 
avviare la procedura davanti alla commissione spetta al produttore o all'importatore 
interessato, ed � un onere che, da quando ha avuto luogo la 
pubblicazione del catalogo (anteriormente a tale pubblicazione, la produzione 
e l'importazione delle armi comuni da sparo erano liberamente 
ammesse in via transitoria, salve le sole condizioni fissate dall'art. 37, 
primo comma, legge n. llO del 1975), impone al richiedente di soprassedere 
alla produzione o all'importazione sino a che la risposta della 
commissione non sia stata formalizzata. In caso contrario, diventa 
applicabile l'art. 23, legge n. 110 del 1975, che, nel n. 1 del suo primo 
comma, qualifica clandestine le armi comuni da sparo non catalogate ai 
sensi dell'art. 7, con tutti i rischi conseguenti. 

Per le armi ad aria compressa, il rivolgersi alla commissione � un 
atto di parte privata che tende al conseguimento di un preciso titolo 
alla produzione o all'importazione come arma da sparo oppure come 
arma giocattolo, attraverso un meccanismo che si risolve in quel controllo 
preventivo sulla produzione o sull'importazione, ... e che solo pu� 


garantire certezza, anzitutto ma non unicamente ai produttori, agli importatori 
e ai lor~ rivenditori, con determinazioni ufficialmente adottate 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

in sede tecnica prima che abbiano inizio la normale produzione od 
importazione e le conseguenti attivit� commerciali. 

L'interpretazione dei modi tipici d'intervento della commissione recepita 
dai giudici a quibus, nessuno dei quali ha, peraltro, sottoposto a 
censura di legittimit� l'art. 6, quinto comma, legge n. 110 del 1975, se 
deve dirsi esatta per quanto riguarda i significati implicitamente riconosciuti 
agli artt. 6 e 7, non pu� dirsi tale per quanto riguarda l'art. 2, 
terzo comma, ultima parte, anche se non vi � dubbio che alla sfasatura 
di visuale abbiano contribuito le iniziali incertezze di comportamento da 
parte della stessa commissione, e non solo di essa, per la ritardata pubblicazione 
del catalogo e gli equivoci che si erano venuti frattanto a 
creare. 

Istituita assai per tempo, senza che ancora le operazioni di catalogazione 
avessero inizio, la commissione era stata in alcune occasioni 
interpellata, ai fini dell'art. 2, terzo comma, ultima parte, non solo da 
produttori o importatori di armi giocattolo, ma anche da ufficiali di 
polizia giudiziaria e da magistrati circa la supposta idoneit� ad offendere 
di taluni tipi di arma ad aria compressa: erano state fornite risposte 
autonome, variamente divulgate e comunque presentate come vincolanti, 
qualunque fosse il momento in cui la risposta veniva data rispetto 
a:l fatto oggetto di accertamento penale. Una volta avviata la 
catalogazione ed ancor pi� una volta pubblicato il catalogo, gli equivoci 
sono venuti a poco a poco dissolvendosi in seguito alla normalizzazione 
del sistema, al raccordo con le operazioni di catalogazione, all'esigenza 
che ad interpellare la commissione siano i produttori o gli importatori 
interessati ed alfa divulgazione pi� capillare delle conclusioni 
accertate. Anche se a quest'ultimo proposito sarebbe auspicabile che 
tali esclusioni venissero ormai pubblicate nella Gazzetta Ufficiale come 
il catalogo, i suoi aggiornamenti ed i rifiuti di inclusione per essere 
l'arma da sparo risultata arma da guerra o tipo guerra, pu� ritenersi 
forma di pubblicit� sufficiente quella ora in uso, con molteplici destinatari 
(prefetti, questori, ministeri vari, comandi militari e soprattutto 
il richiedente, che avr� tutto l'interesse di fornire copia della delibera 
ad ogni suo rivenditore e, per quel tramite, ad ogni acquirente). 

Naturalmente, la generica possibilit� di far richiedere dal Ministero 
dell'interno alla commissione pareri in ordine alle armi non impedisce 
ad un qualunque privato cittadino o ad un qualunque pubblico 
ufficiale di avvalersi di tale via informale per sollecitare un parere sull'eventuale 
inidoneit� ad offendere di un'arma ad aria compressa. In tal 
caso, per�, al parere che il Ministero ottenesse dalla commissione non 
potrebbe riconoscersi alcuna efficacia vincolante. Del resto, neppure nei 
confronti dei pareri tipici forniti, positivamente o negativamente, in sede 
di catalogazione � precluso al giudice ordinario ogni controllo, data la 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

generale sindacabilit� dell'atto amministrativo illegittimo da parte della 
autorit� giudiziaria. 

Interpretata come si � detto, la disposi:done di cui all'art. 2, terzo 
comma, ultima parte, legge n. 110 del 1975, sfugge a tutte le prospettate 
censure di incostituzionalit�. 

Ed invero, una volta escluso che il giudice penale sia tenuto a rivolgersi 
alla commissione consultiva centrale per risolvere i dubbi eventualmente 
insorti sull'inidoneit� offensiva del tipo di arma ad aria compressa 
cui appartiene lo strumento oggetto del capo di imputazione 
(quanto alla specifica inidoneit� che, in caso di guasto o di parti mancanti, 
potrebbe inficiare quello stesso strumento, mai la commissione 
consultiva centrale sarebbe comunque legittimata a pronunciarsi) ed 
una volta precisato, altres�, che i pareri della commissione sull'idoneit� 
del tipo di �rma, se espressi informalmente, non hanno alcuna efficacia 
vincolante, mentre, se espressi formalmente, non si sottraggono al sindacato 
di legittimit� sull'atto amministrativo da parte del giudice penale, 
vien meno la possibilit� di ravvisare l'esistenza di un contrasto con 
!'.art. 101, secondo comma, Cost., per quanto viguarda la posizione del 
giudice e di un contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., per quanto 
riguarda la posizione dell'imputato. 

Allo stesso modo, non pu� dirsi violato il precetto dell'art. 25, secondo 
comma, Cost., l� dove sancisce !'<irretroattivit� della legge penale. 
Porta a tale conclusione non solo e non tanto il fatto che il giudice penale 
non � obbligato a rivolgersi alla commissione consultiva nel corso 
del processo, quanto e soprattutto il fatto che, prima di mettere in vendita 
un'arma da sparo, produttori ed importatori debbono attendere che 
la commissione si sia pronunciata ai fini dell'eventuale catalogazione. 
La logica del sistema, quando esso sia attuato, cos� come ora � attuato, 
comporta che la situa:ilione normativa risulti sempre ben chiarita nel 
momento in cui, dandosi inizio alle operazioni di vendita, possono cominciare 
a realizzarsi quelle ipotesi di detenzione e di porto d'arma 
cui si riferiscono le ordinanze di rimessione motivate in punto di rilevanza. 
(omissis) 

Non maggiore� fondatezza pu� riconoscersi alla censura sollevata 
sempre in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., ma con particolare 
riguardo al profilo della riserva di legge in materia penale, un 
profilo strettamente connesso al parametro di cui all'art. 70 Cost., ora 
alternativamente ora congiuntamente richiamato e altrettanto privo di 
consistenza. Numerosi precedenti di questa Corte (sentenze n. 58 del 
1975, n. 21 del 1973, n. 9 del 1972, n. 168 del 1971, n. 61 del 1969, ecc.), 
concordi nell'affermare che principio di legalit� ed art. 70 Cost. sono 
violati solo quando non sia la legge � a indicare con sufficiente specificazione 
i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedi



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

menti dell'autorit� non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire 
la pena �, consentono di ribadire il medesimo concetto per quanto 
riguarda non solo gli interventi della commissione consultiva centrale 
per il controllo delle armi che abbiano a sfociare nell'inclusione dell'arma 
�a catalogo (elemento conferente all'-integrazione di diverse fattispecie 
criminose), ma anche gli interventi della stessa che abbiano a 
sfociare nell'accertamento dell'inidoneit� ad offendere (elemento operante 
nel senso di discriminare altrettante condotte aventi ad oggetto l'arma 
risultata inidonea). Infatti, gli articoli l, 2, 6 e 7 della legge n. 110 
del 1975, considerati nel loro insieme, specificano a sufficienza �i presupposti, 
i caratteri, il contenuto ed i limiti � dei pareri tipici previsti. 

IV 

Il Tribunale militare territoriale di Torino sostiene che questa Corte, 
con la sent. n. 84/79, ritenendo l'illegittimit� dell'esercizio esclusivo 
dell'azione penale da parte di organi diversi dal P.M. per contrasto con 
l'art. 112 Cost., avrebbe affermato princ�pi applicabili anche in relazione 
all'art. 260, secondo comma, c.p.m.p., secondo cui i reati per i quali lo 
stesso codice stabilisce la pena non superiore nel massimo a sei mesi 
di reclusione sono puniti a richiesta dell'autorit� amministrativa competente. 


La tesi peraltro non pu� essere accolta e la questione deve essere 

dichiarata non fondata. 

Invero nella ricordata sentenza n. 84/79 questa Corte ha chiaramen


te affermato che l'art. 112 Cost., facendo obbligo al P.M. di esercitare 

l'azione penale �non vuole escludere che ad altri soggetti possa essere 

conferito anallogo potere�, in quanto Ja ratio della norma esclude sol


tanto che al P.M. possa essere sottratta la titolarit� dell'azione penale , 

in ordine a determinati reati, nel senso che l'ordinamento pu� conferire 

la titolarit� dell'azione penale anche a soggetti diversi dal P.M. a condi


zione che non si venga con ci� a vanificare l'obbligo del P.M. mede


simo di esercitarla (salvo che nelle ipotesi costitt121ionalmente previste). 

E se in quella fattispecie la Corte � pervenuta alla dichiarazione di ille


gittimit� della norma allora impugnata, ci� � avvenuto in conseguenza 

della interpretazione della norma stessa da parte dei giudici a quibus, 

che avevano seguitato a ritenere che la formula adottata dall'art. 378, 

terzo comma, delila Jegge 20 marzo 1865, n. 2248 ahlegato F, secondo cui, 

in determinati casi, l'autorit� amministrativa �promuove l'azione pe


na:le � attribuiva all'autorit� stessa la titolarit� esclusiva e l'esercizio di


scvezionale dell'azione penale, anche se la Corte, in precedenti pronun


zie, aveva adottato una interpretazione adeguatrice al riguardo, affer


mando che l'espressione letterale della legge doveva essere intesa nel 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

senso che l'autorit� amministrativa aveva facolt� di portare a conoscenza 
dell'autorit� giudiziaria fatti ritenuti penalmente rilevanti, � senza 
che peraltro ci� potesse valere a limitare o condizionare l'azione 
del P.M.�. 

La norma attualmente impugnata, invece, dispone soltanto che taluni 
reati di lieve entit� sono puniti a richiesta del comandante del Corpo 
o dell'ente da cui il militare dipende. Tale statuizione, come questa 
Corte ha gi� avuto modo di affermare in casi analoghi (sentt. nn. 22/59; 
105/67; 104/74), stabilisce solamente una condizione per il promovimento 
dell'azione stessa, il che, come pure la Corte ha ritenuto con le menzionate 
pronunzie, non contrasta con l'art. 112 Cost., il quale appunto, affermando 
l'obbligatoriet� dell'azione penale, non esclude che l'ordinamento 
stabilisca determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione 
di essa, anche in considerazione degli interessi perseguiti dalla 
pubblica amministrazione che, in ipotesi particolari, possono consigliare 
l'adozione di consimile cautela. La cui ratio nella specie � identificabile. 
nella convenienza che, ai fini dell'apprezzamento delle circostanze tutte 
del fatto, intervenga il comandante pi� direttamente in grado di formulare 
un giudizio sulla riilevanza del fatto medesimo e sulla personalit� 
dell'agente. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 90 -Pres. Elia -Rel. La Pergola 
-Soc. Mazzocca & Co. (n.p.) e Ferrovie dello Stato. 

Ferrovie -Trasporto per ferrovia -Limiti di responsabilit� -Legittimit� 

costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 77; d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50 e 52). 

Il regime del trasporto per ferrovia forma un corpo normativo che 
costituisce una legge speciale rispetto alla disciplina del trasporto dettata 
in via generale dal codice civile; tale specialit� non � arbitraria e 
non contrasta con l'art. 3 Costituzione. N� le limitazioni della responsabilit� 
del vettore ferroviario contraddicono ai criteri direttivi posti dalla 
legge delega 27 febbraio 1960, n. 183. 

(omissis) Formano oggetto del presente giudizio gli artt. 50 e 52 del 

d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197 (�Revisione delle condizioni per il trasporto 
delle cose sulle ferrovie dello Stato�). La prima di dette disposizioni prevede 
che l'Amministrazione � tenuta a corrispondere, per la perdita anche 
parziale delle cose trasportate, ad essa imputabile, oltre al valore 
dell'imballaggio, un'indennit� corrispondente al valore debitamente comprovato 
della cosa perduta (paragrafo 1 lett. c), senza peraltro superare 
lire� 15.000 per ogni chilogrammo di peso netto mancante. Quando 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 477 

la perdita sia causata da dolo o da colpa grave del vettore dispone 
poi il citato art. 52 -l'avente diritto pu� pretendere di essere risarcito, 
ai sensi degli artt. 1223 e 1225 del codice civile, dei danni che provi di 
aver subito, fino alla concorrenza del doppio dell'anzidetta indennit� 
massima. 

Il giudice a quo, nel prospettare la questione, avverte che � proprio 
i!l disposto dell'articolo per ultimo richiamato a venire in considerazione 
nella specie: la convenuta Azienda delle Ferrovie dello Stato si 
era infatti offerta di corrispondere il risarcimento del danno nella misura 
massima consentita per l'ipotesi di colpa grave del vettore, laddove 
la societ� promotrice del giudizio di merito chiedeva di essere 
risarcita oltre detto limite. (omissis) 

In primo luogo, va disatteso l'assunto che l'impugnata norma del 
decreto delegato non trovi supporto in alcuna previsione della legge di 
delegazione. Il giudice a quo, denunziando la violazione degli artt. 70 e 
77 Cost., adombra il radicale difetto, e vuol comunque ipotizzare la violazione, 
della delega, della quale il Governo si � giovato in ordine alla 
normativa censurata. Ora, la legge di delegazione (27 febbraio 1960, n. 183: 
� Delega al Governo ad attuare la revisione delle .vigenti condizioni per 
il trasporto delle cose sulle Ferrovie dello Stato�) contempla, all'art. 2, 
tre criteri direttivi, ai quali il Governo doveva uniformarsi nell'operare 
un'organica revisione delle � condizioni e tariffe per i trasporti delle 
cose sulle Ferrovie dello Stato �. Fra di essi, come si osserva nel provvedimento 
di rimessione, vi �, certo, anche quello che ha riguardo � all'opportunit� 
di abbandonare i residui criteri collegati all'originaria posizione 
monopolistica del vettore ferroviario � e � di instaurare un maggior 
spirito di correttezza e di collaborazione con gli utenti �. Ma il 
dedotto motivo di incostituzionalit� non � suffragato da alcun dato del� 
l'interpretazione testuale o logica della statuizione normativa, in cui � 
posto il criterio che qui si considera; n� dai relativi lavori preparatori 
pu� argomentarsi che :iJl regolamento della specie sia contrario -o, come 
si vorrebbe dal Pretore di Cosenza, estraneo addirittura -alle previ� 
sioni del legislatore delegante. Invero, sia la relazione del ministro proponente, 
sia quelle dei relatori alla Camera e al Senato, nell'illustrare 
il criterio direttivo in parola -sotto il particolare riflesso delle indicazioni 
che avrebbero potuto discenderne per la discipiina del caso in 
esame -si fermano a considerare una serie di ipotesi, le quali richiedevano, 
a loro avviso, la produzione di norme nuove, rispetto a quelle 
poste a suo tempo nel decreto legge n. 9 del 1940 e nella relativa legge 
di conversione n. 674 del 13 maggio 1940 (cfr. artt. 34, 43, 46, 47, SO e 58): 
ma non toccano per alcun verso il problema della limitazione della responsabilit� 
del vettore, n� conducono altrimenti al risultato che la normativa 
censurata contraddice alla direttiva di rivedere i criteri connessi 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con l'originaria posizione monopolistica del vettore ferroviario. Del resto, 
l'esistenza di massimali per il risarcimento dei danni alle cose trasportate 
non trae motivo del pur gravoso regime di responsabilit� incombente 
sul vettore ferroviario, n� dalla sua originaria posizione di monopolista. 
Il legislatore delegante, di fronte alle dimensioni assunte dal 
trasporto ferroviario, che � trasporto di massa, ha semmai tenuto presente 
la necessit� di non esporre l'Azienda Autonoma a insostenibili 
ooeri finanziari; e d'altra parte si � preoccupato di 1disporre che la funzione 
sociale e la natura del pubblico servizio adempiuto da:lle Ferrovie 
non influissero soverchiamente sul livello delle tariffe applicate. (omissis) 

Posto ci�, resta esclusa anche la prospettata lesione del principdo 
di eguaglianza. Il regime del trasporto per ferrovie, quale risulta dal 
decreto delegato n. 197 del 1961, forma un corpo normativo, che costituisce, 
ai sensi dell'art. 1680 del codice civile, una legge speciale, in rapporto 
alla disciplina del contratto di trasporto, dettata, in via generale, 
dallo stesso codice. Le disposizioni di questa legge o normazione speciaile 
vengono, quindi, a derogare lo schema dell'anzidetta disciplina. Ma la 
deroga, che nel caso in esame incide sulla responsabilit� del vettore 
(quanto alla previsione, denunziata come illegittima, dei limiti nei quali 
essa viene contenuta), non � arbitraria, n� comunque lesiva del precetto 
scaturente dall'art. 3 Cost.: sia perch� le peculiari esigenze e condizioni 
del traffico ferroviario giustificano un regime diverso da quello adottato 
dal codice, sia perch� il regolamento della specie si colloca razionalmente 
nel contesto di un apposito assetto normativo del trasporto 
ferroviario, che assicura parit� di trattamento a tutti gli utenti di quel 
servizio. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 maggio 1982, n. 98 -Pres. Elia -Rel. Rossano 
-Cappelletti (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
Stato Carafa). 

Procedimento penale -Incidente di esecuzione -Legittimo impedimento 
dell'imputato o condannato � Rilevanza. 

(Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 630). 

Contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 630, comma secondo, cod. proc. pen. 
nella parte in cui non prevede il rinvio della trattazione dell'incidente 
di esecuzione, ove l'imputato o il condannato, che abbia fatto domanda 
di essere udito personalmente, non compaia per legittimo impedimento. 

(omissis) La questione di legittimit� costituzionale dell'art. 630,. comma 
secondo, cod. proc. pen. -considerata proposta in riferimento al 
comma secondo dell'art. 24 della Costituzione -� fondata. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

H procedimento per incidente di esecuzione in materia penale ha camttere 
sicuramente giurisdizionale; quindi, pur svolgendosi con forme 
semplici e presentando caratteristiche notevolmente diverse da quelle 
del giudizio di cognizione, deve attuarsi con il rispetto delle garamiie 
fondamentali previste per tale giudizio sia per quanto concerne la presenza 
dell'interessato, imputato o condannato, sia per quanto concerne 
l'assistenza del difensore. 

Le norme di cui agli artt. 630 e 631 cod. proc. pen. sono dirette ad 
assicurare le esigenze proprie della difesa. 

Invero il primo di tali articoli, nei commi p!rimo e secondo, considem 
normale l'intervento diretto delle parti, ricon.oscendo cos� la funzione 
eminentemente difensiva dell'audizione personale dell'interessato 
da parte del giudice dell'esecuzione,. ed assicura un contraddittorio perch�: 
impone la comunicazione del giorno stabilito per la trattazione dell'incidente 
al Pubblico Ministero ed a tutti gli interessati almeno cinque 
giorni prima; attribuisce ai privati, che ne hanno fatto domanda, il diritto 
di intervenire ed essere uditi, pevsonalmente o a mezzo� dei difensori, 
in camera di consiglio e di presentare memorie direttamente o a 
mezzo dei difensori. Il comma terzo dello stesso articolo prescrive che 
l'inosservanza delle disposizioni precedenti � causa di nullit�. 

Questa Corte proprio con riferimento al procedimento per incidente 
di esecuzione, con la sentenza n. 69 del 1970, ha ampliato le garanzie previste 
dal citato art. 630 cod. proc. pen. affermando che i11. diritto di difesa 
non solo comprende in s� la facolt� del cittadino di difendersi personalmente, 
ma comporta anche l'obbligo per lo Stato di provvedere d'ufficio 
alla nomina di un difensore, ove a questo non abbia provveduto lo stesso 
interessato, nomina non contemplata dal suddetto articolo. E, con riferimento 
al processo di cognizione, ha precisato, con la sentenza n. 125 
del 1979, che la possibilit� di una piena difesa personale � riconosciuta 
aill.'imputato in tutto il corso del dibattimento ed a conclusione di esso. 
Infine, con la sentenza n. 9 del 1982 ha rilevato che la presenza dell'imputato 
al dibattimento e la libert� ed autonomia di ogni sua scelta in 
proposito sono insostituibili e che l'esclusione aprioristica dell'imputato 
dal prosieguo del dibattimento contro la sua volont�, in �ragione 
della impossibilit� assoluta in cui egli si trova, per legittimo impedimento, 
di presenziare ad una udienza determinata, comporta una compressione 
del diritto di difesa che non pu� ritenersi giustificata dall'esigenza 
che il processo -al fine di garantire un'ordinata amministrazione della 
giustizia -possa progredire verso la decisione finale e se ne impedisca 
findefinito protrarsi. Deve ritenersi egualmente priva di giustificazione 
la mancata previsione del rinvio obbligatorio della trattazione dell'incidente 
di esecuzione nella ipotesi di legittimo impedimento a comparire 
dell'imputato o condannato, che ne abbia fatto domanda. 


RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

Invero la possibilit� di contraddittorio attraverso la presenza delle 
parti interessate, garantita dal menzionato art. 630 cod. proc. pen., comporta 
la necessaria conseguenza che deve tenersi conto di quelle situazioni 
che rendono impossibile tale presenza, senza tuttavia, fare richiamo 
alle disposizioni sulla contwnacia, istituto disciplinato in base a situazioni 
ed esigenze tipiche del processo di cognizione. Ne deriva che l'imputato 
o :il condannato, che ha diritto ad essere udito personalmente a 
seguito di sua domanda, pu� provare che l'assenza � dovuta all'assoluta 
impossibilit� a comparire per legittimo impedimento, e il giudice dell'esecuzione, 
riconosciuta la sussistenza dell'impedimento, deve sospendere 
o rinviare il procedimento. Solo in tal modo si consente l'esplicazione 
efficace del diritto di autodifesa da parte dell'imputato o condannato, 
che deve avere la possibilit� di rappresentare le proprie ragioni 
direttamente al giudice dell'esecuzione, al quale spetta di decidere questioni 
la cui soluzione determina immediate, gravi conseguenze sulla sua 
libert� personale, come nel caso di specie, in cui l'accoglimento della ri-� 
chiesta del Pubblico Ministero comporterebbe l'espiazione defila pena di 
complessivi tre anni di reclusione. 

La non indispensabilit� della presenza dell'interessato troverebbe giustificazione, 
secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, nell'oggetto 
degli incidenti di esecuzione, nei quali si esaminerebbero ordinariamente 
questioni di solo diritto e sarebbe escluso l'accertamento inerente 
a questioni di fatto, che solo potrebbe richiedere l'intervento personale 
dell'interessato, imputato o condannato. 

Al riguardo si osserva che, � come ha precisato autorevole dottrina, 
sussistono varie ipotesi di incidenti di esecuzione nei quali sono prese 
in esame questioni di fatto. Si indicano le ipotesi previste dagli articoli 
590, 601, 655 cod..proc. pen.: revoca della sospensione condizionale 
della pena o della libert� condizionale per trasgressione degli obblighi 
imposti dagli artt. 165 e 177 cod. pen.; accertamento delle prove effettive 
e costanti di buona condotta richieste per la riabilitazione. In tali ipotesi 
la decisione del giudice dell'esecuzione dipende dall'accertamento di questioni 
di fatto concernenti la condotta dell'interessato e, quindi, si impone 
la diretta audizione del medesimo affinch� il giudice stesso possa 
formarsi il convincimento nel modo pi� diretto e completo. 

La previsione del rinvio obbligatorio della trattazione dell'incidente 
di esecuzione, nella ipotesi di legittimo impedimento di chi abbia fatto 
domanda di comparire e di essere sentito personalmente, deve essere 
ristretta all'imputato o al condannato, dato che non sussiste la esigenza 
di garantire l'esercizio del diritto di autodifesa anche a tutti gli altri 
interessati cui fa riferimento lo stesso articolo. In questi limiti va dichiarata 
l'illegittimit� costituzionale dell'art. 630, comma secondo, cod. 
proc. pen., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 481 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1982, n. 110 -Pres. Elia -Rel. Maccarone 
-INAIL (avv. Napolitano) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Fonti del diritto -Decreto legislativo � Disposiziione riproduttiva di previgente 
disposizione � Testo unico � Ha efficacia abrogante. 
(Cast., artt. 76 e 77; t.u. approv. con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 112). 

La disposizione di decreto delegato riproduttiva di previgente disposizione 
pone una norma nuova; un testo unico emanato in forza di delega 
� testo legislativo ed ha efficacia abrogante (1). 

(omissis) Occorre premettere che, secondo l'Avvocatura, sarebbe fuori 
luogo il richiamo alle norme costituzionali in materia di delega legislativa 
giacch�, se mai, nella specie potrebbe ravvisarsi una forma di 
esercizio incompleto della delega, che non potrebbe comportare vi<?lazione 
degli artt. 76 e 77 e non potrebbe quindi dar luogo ad una concreta violazione 
dei principi �e criteri direttivi della delegazione. E ci� tenuto 
anche conto che la norma impugnata si limiterebbe a riprodurre letteralmente 
il secondo comma dell'art. 67 sopra richiamato, mentre ii criteri 
e principi direttivi avrebbero riguardato soltanto le � :innovazioni � 
che il Governo avesse effettivamente apportato nell'esercizio del suo potere 
delegato. 

In contrario peraltro deve obbiettarsi che, se � pur vero che la 
norma impugnata riproduce quella a suo tempo sancita dal secondo 
comma dell'art. 67 del r.d. del 1935, non per questo pu� affermarsi che, 
sul punto, la delega non sia stata esercitata o sia stata esercitata in 
modo incompleto, giacch� la d1sposizione della legge delegata crea una 
norma nuova, anche se riproduttiva di quella precedente. Secondo la 
migliore dottrina, invero, non � dubbio che il testo unico, come le altre 
norme delegate, � testo legislativo ed ha effetto abrogante della disciplina 
precedente nel campo da esso regolato. (omissis) 

(1) La disposizione sub judice � stata abrogata dall'art. 4 della legge 29 febbraio 
1980, n. 33; merita comunque segnalare il brano riportato, e per la distinzione 
tra disposizione nuova e disposizione <innovativa (distinzione coerente alle 
esigenze del processo costituzionale), e per la'fferma2lione in punt odi effiloacia 
dei testi unici. 

SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sez. III, 11 mar� 
zo 1982, nella causa 129/81 � Pres. Touffait -Avv. Gen. Slynn -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dailla Corte �di cassazione 
italiana nella causa Ditta F.lli Fancon (avv. Leone) c. Soc. S.I.A.T. 
(avv. Capelli). Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione 
de1le C.E. (ag. Berardis). 

Co~unit� europee � Unione doganale � Tariffa doganale comune -Farina di 
estrazione di soia brasiliana � Voce ex 23.04 � Organizzazione comune 
dei mercati nel settore dei grassi � Prodotto ivi contemplato. 
(Regolamento e.E.E. del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136, art. 1; Tariffa doganale 

comune -regolamento e.E.E. del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 1/73, voci 12.02, ex 15.17, 
ex 23.04). 


La farina di estrazione di soia deve essere classificata sotto la voce 
ex 23.04 della Tariffa doganale comune ed � quindi compresa fra i prodotti 
elencati nell'art. l, n. 2, del regolamento del Consiglio 22 settembre 
1966, n. 136, relativo all'attuazione dell'organizzazione comune dei mercati 
nel settore dei grassi (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 28 gennaio 1981, pervenuta alla Corte 
il 27 maggio 1981, la Corte suprema di Cassazione, seconda sezione civile, 
ha proposto, in forza dell'art. 177 del Trattato C.E.E., una questione 
pregiudiziale relativa aill'interpretazione dell'art. l, n. 2, del regolamento 
del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136, relativo all'attuazione dell'organizzazione 
comune dei mercati nel settore dei grassi (G.U. n. L. 172, 
pag. 3025). 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia 
tra due imprese italiane, di cui l'una ha acquistato dall'altra farina di 
(1) Solu.Zione conforme a quella proposta dal Governo italiano. La sentenza 
23 gennaio 1975, nella causa 31/74, GALLI, citata in motivazione, pu� leggersi in 
questa Rassegna, 1975, I, 312, con nota di MARZANO. Quanto alla giurisprudenza 
della Corte sui limiti al potere. degli Stati membri di intervenire, con norme 
nazionali adottate unilateralmente, nel meccanismo della formazione dei prezzi 
risultante dall'organizzazione comune, cfr. la nota ad alcune sentenze della Corte 
in questa Rassegna, .1980, I, 41. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 483 

estrazione di soia brasiliana, da consegnare tra fa fine di luglio e il 
settembre 1973. Nel periodo intercorrente fra la stipulazione di detto 
contratto e l'inizio della sua esecuzione, il Governo italiano emanava il 
decreto legge 24 luglio 1973, n. 425 (G.U. della Repubblica italiana n. 189 
del 24 luglio 1973), convertito nell.a legge 4 agosto 1973, n. 494, concernente 
la disciplina dei prezzi di beni prodotti o. distribuiti da imprese 
di grandi dimensioni. La controversia verte sul se il contratto debba 
essere eseguito alle condizioni in esso stabilite o se queste ultime debbano 
essere modificate in fwraione del decreto legge n. 425. 

3. -La soluzione del problema dipende dalla natura del prodotto in 
causa. Infatti, se quest'ultimo rientrasse in un'organizzazione comune 
di mercato, gli Stati membri non potrebbero pi� intervenire, con norme 
nazionali adottate unilateralmente, nel meccanismo della formazione dei 
prezzi risultante dall'organizzazione comune. 
4. -Tale constatazione, basata sulla giurisprudenza della Corte (sentenza 
23 gennaio 1975, causa .31/74, Galli, Racc. pag. 47), ha indotto la 
Corte suprema di Cassazione a sottoporre alla Corte di giustizia la questione 
� se la farina di estrazione di soia sia o non sia compresa fra 
i prodotti elencati nell'art. 1, sub 2, del regolamento CEE n. 136/66 del 
Consiglio del 22 settembre 1966, in particolare nelle voci 12.02, ex 15.17 
ed ex 23.04 della tariffa doganale comune� (TDC). 
5. -Il precitato regolamento n. 136/66 costituisce la normativa base 
comunitaria che ha istituito l'organizzazione comune dei mercati nel 
settore dei grassi. All'art. l, secondo comma, esso elenoa i prodotti del 
settore dei semi e f�rutti oleosi che rientrano in tale organizzazione, classificandoli 
sotto vari numeri della TDC. 
6. -Le tre voci specificate dal giudice nazionale erano, all'epoca dei 
fatti di causa, cos� formulate nel regolamento 19 dicembre 1972, n. 1/73, 
relativo alla TDC (G.U. n. L 1 dell'l gennaio 1973, pag. 1): 
� 12.02: Farine di semi e di frutti oleosi, non disoleate, esclusa la 
farina di senape: 
A. di soia 
B. altre 
ex 15.17: Residui provenienti dalla lavorazione delle sostanze grasse 
o delle cere animali o vegetali: 
A. contenenti olio avente i caratteri dell'olio di oliva: 
I. paste di saponificazione (� soap-stocks �) 
II. altri 
1111-r11a1111�1111111r11111111111111r111~=11rm1111mr11111111:111t11 



484 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
B. altri 
I. morchie o fecce di olio: pasta di saponificazione (� soapstocks 
�) 
II. non nominati 
484 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
B. altri 
I. morchie o fecce di olio: pasta di saponificazione (� soapstocks 
�) 
II. non nominati 
ex 23.04: Panelli, sansa di olive ed altri residui dell'estrazione degli 
olii vegetali, escluse le morchie: 

A. sanse di olive ed altri residui dell'estrazione dell'olio di oliva 
B. altri�. 
7. -Bisogna innanzitutto notare che i semi di soia rientrano in 
quest'organizzazione comune di mercato dei grassi perch� si tratta di 
semi oleosi menzionati, in modo generico, nella voce 12.01 defila TDC, 
richiamata nell'art. 1, secondo comma, del regolamento n. 136/66. 
8. -Occore poi esaminare ciascuna delle voci doganali indicate dal 
giudice naziom1le al fine di accertare se la farina di estrazione di soia 
rientri o meno in una di esse. 
9. -� assodato che il trattamento industriale dei semi d!i. soia consente 
di ottenere svariati prodotti tra cui 1a farina di estrazione di soia 
che � un prodotto ricco di proteine, destinato all'alimentazione del bestiame; 
la sua propriet� nutritiva -utile per la produzione di carne deriva 
da tale caratteristica e dal fatto che la maggior parte dell'olio 
ne � stato estratto mediante spremitura o uso di solventi. 
10. -La voce 12.02 non pu� applicarsi alla farina di estrazione di 
soia in quanto la fabbricazione di questa d� come risultato un prodotto 
disoleato; ora, in questa voce, in base 'al suo testo ed alil.e note esplicative 
contemplate dalla Convenzione sulla nomenclatura per la classificazione 
delle merci, sono comprese solo le farine di semi e di frutti oleosi 
non disoleate. 
11. -Nemmeno la voce ex 15.17, riguardando solo i residui provenienti 
dalla lavorazione delle sostanze grasse, si appl!ica alla farina di 
estrazione cli soia, poich� questa voce si riferisce a residui provenienti 
dalla lavorazione delle sostanze grasse che non possono servire per l'alimentazione 
del bestiame, qualit� caratteristica della farina di estrazione 
di soia. 
12. -Per contro, la voce ex 23.04 riguarda i panelli e altri residui 
che, in base alla citata nomenclatura, sono �i residui solidi dell'estrazione, 
mediante pressione, solvenm o centrifugazione, dell'olio contenuto 
nei semi... oleosi...�, lavorazione effettuata per ottenere la farina di 
estrazione di soia. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

13. -Alla classificazione della farina di estrazione di soia sotto la 
voce ex 23.04, � stato obiettato, in primo luogo, che tale farina non � 
totalmente disoleata e non pu� quindi essere definita come hl residuo 
dell'estrazione di una sostanza grassa, e, in secondo luogo, che essa non 
costituisce un residuo ma il. prodotto principale del procedimento di 
disoleazione. 
14. -Alla prima di queste obiezioni va risposto che l'operazione di 
disoleazione � spinta fino al punto in cui la tecnica lo consente, e che la 
presenza di un quantitativo minimo di olio residuo non modifica la 
qualit� di una farina la cui propriet� principale � costituita dalla presenza 
di proteine di alto valore nutritivo per il bestiame. Alla seconda 
obiezione bisogna rispondere che il termine � residuo � non pu� confondersi 
col termine di scarti, come dimostra la formulazione della 
voce ex 23.04, la quale esclude le � morchie �, sostanze quasi senza valore, 
mentre la farina di estrazione di soia � il residuo dei semi di soia dopo 
la Javorazione industriale di questi ultimi intesa ad ottenere tale prodotto. 
15. -Bisogna concludere che la farina di estrazione di soia deve 
essere classificata sotto la voce ex 23.04 della TDC e che essa � quindi 
compresa tra i prodotti elencati nell'art. l, h. 2, del regolamento del 
Consiglio n. 136/66, relativo all'attuazione dell'organizzazione comune dei 
�mercati nel settore dei grassi. 

16. -Poich� Ia farina di soia � stata cos� classificata, � inutile esaminare 
altre voci alle quali detto regolamento rinvia. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. I, 27 maggio 
1982, nella causa 196/81 -Pres. Bosco -Avv. Gen. Reischl -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Genova nella 
causa Provveditorie marittime S. Giacomo s.p.a. c. Amministrazione 
delle Finanze dello Stato. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia) 
e Commissione delle C.E. (ag. Berardis). 

Comunit� europee � Agricoltura -Zucchero � Esportazione -Prelievi � Data 

di riscuotibilit�. 

(Regolamenti e.E.E. del Consi~lio 18 dicembre 1967, n. 1009, mod. con reg. 23 marzo 

1972, n. 607, art. 16; del Consiglio 10 luglio 1970, n. 1373, art. 15; della Commissione 

25 maggio 1972, n. 1076, art. 3). 

L'espressione �esigibile al pi� tardi� che figura nell'art. 3, n. 2, del 
regolamento della Commissione 25 maggio 1972, n. 1076, che stabilisce 
modalit� di applicazione dei prelievi all'esportazione nel settore dello 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

486 

zucchero e che modifica il regolamento n. 2637/70, non deve essere intesa 
nel senso di implicare una decadenza, ma nel senso di assumere il suo 
significato nel caso in cui il momento della determinazione, e quindi 
dell'esigibilit� del credito, si collochi prima del giorno dell'espletamento 
delle formalit� doganali. Pertanto la liquzaazione e la riscossione propriamente 
detta del prelievo, ossia il suo versamento, possono aver luogo in 
una fase successiva (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 25 maggio 1981, pervenuta alla Corte il 
2 luglio successivo, il Tribunale di Genova ha proposto, ai sensi dell'art. 
177 del Trattato C.E.E., una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione 
dehl'art. 3, n. 2, del r.egolamento della Commissione 25 maggio 
1972, n. 1076, che stabilisce modalit� di applicazione dei prelievi 
all'"sportazione nel settore dello zucchero e che modifica il regolamento 

n. 2637/70 (G.U. n. L 121, pag. 22). 
2. -La causa principale riguarda il recupero del prelievo comunitario 
all'esportazione in Svizzera di alcune partite di zucchero raffinato, effet� 
tuata, fra l'agosto e il dicembre 1974, da!lla ditta Provveditorie Marittime 
San Giacomo, provveditore di bordo delle navi di linea della societ� di 
navigazione � Italia �. La merce era originariamente destinata all'approvvigionamento 
delle navi ed era stata immagazzinata nel deposito franco 
privato dell'attrice a Genova-Rivarolo. 
3. -Tale esportazione non dava luogo alla riscossione del prelievo 
al momento della sua effettuazione, cio� all'atto dell'espletamento delle 
formalit� doganali. In seguito per�, nel gennaio 1975, la dogana di Genova 
ingiungeva all'attrice di corrispondere iil prelievo, sostenendo che la 
mancata riscossione di questo era dovuta ad errore. 
4. -Il regolamento del Consiglio 18 dicembre 1967, n. 1009, relativo 
all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero (G.U. 
(1) La Corte ha accolto la tesi sostenuta dal Governo italiano e dalla Commissione. 
In effetti, malgrado la sua non precisa formulazione, la norma in 
questione (ormai superata) non poteva non essere interpretata che nel senso 
che non fosse intaccato il diritto-dovere dello Stato membro che, per errore, 
non avesse riscosso il prelievo al momento dell'espletamento delle formalit� 
doganali, di riscuoterlo successivamente nel termine di prescrizione eventualmente 
applicabile e previsto dal suo ordinamento mt.erno (prima deLl'entrata 
in vigore, il 1� luglio 1980, del regolamento comunitario 24 luglio 1979, n. 1697; 
per l'attribuzione agli ordinamenti interni degli Stati membri, in mancanza di 
disposizioni comunitarie in materia, del compito di stabilire le modalit� e le 
condizioni di riscossione degli oneri finanziari comunitari in generale, e dei 
prelievi agricoli in particolare, cfr., fra le pi� recenti pronunzie, la sentenza della 
Corte 27 marzo 1980, neHe cause 66, 127 e 128/79, MERIDIONALE IND. SALUMI, in 
Racc, 1980, pag. 1237, e in questa Rassegna, 1980, I, 535). 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

n. 308, pag. 1), stabiliva, all'art. 16, n. 1, modificato dal regolamento del 
Consiglio 23 marzo 1972, n. 607 (G. U. n. L 75, pag. 4), che: 
� Se il prezzo cif dello zucchero bianco o dello zucchero greggio � 
superiore al prezzo d'entrata, all'esportazione del prodotto in questione 
viene riscosso un prelievo pari alla differenza tra tali prezzi. 

�Quando l'approvvigionamento di zucchero dell'insieme o di una 
delle regioni della Comunit� rischia di non essere pi� assicurato a un 
livello di prezzo nel limite del prezzo cli. entrata, pu� es,sere prevista la 
riscossione di un prelievo speciale all'esportazione del prodotto in questione. 
In caso di applicazione delle disposizioni del presente comma, le 
disposizioni del comma precedente non possono essere applicate � (la 
distinzione tra prelievo e prelievo speciale non figura pi� nel regolamento 
n. 3330/74). 

� Sailvo disposizioni contrarie adottate dal Consiglio ,secondo la procedura 
cli cui al paragrafo 3, il prelievo o il prelievo speciale da riscuotere, 
se del caso, � quello applicabile il giorno dell'esportazione�. 

Tali prelievi avevano lo scopo di garantire alla Comunit� un approvvigionamento 
sufficiente ,di zucchero, disincentivando le esportazioni nei 
periodi in cui gli aumenti dei prezzi mondfali le incoraggiassero. 

5. -Inoltre, iJl regolamento dclla Commissione n. 1076/1972, precitato, 
stabiliva le modalit� di applicazione dei suddetti prelievi all'esportazione. 
L'art. 3 disponeva: 
� 1. Salvo nei casi in cui il prelievo speciale all'esportazione � determinato 
tramite gara, i prelievi di cui all'art. 1 sono quelli applicabili il 
giorno dell'espletamento delle formalit� doganali di cui all'art. 8, paragrafo 
2, secondo comma, lettera b) del regolamento (C.E.E.) n. 1373/70. 
2. I prelievi di cui all'art. 1 sono riscossi dall'organismo dello Stato 
membro nel cui territorio sono espletate le formalit� menzionate al 
paragrafo 1. Tali prelievi sono esigibili al pi� tardi al momento dell'espletamento 
delle sopraddette formalit� doganali�. 
6. -A seguito dell'opposizione alle ingiunzioni dell'Amministrazione 
doganale, proposta dalla San Giacomo dinanzi al Tribunale di Genova, 
quest'ultimo ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Quale sia l'.esatto significato della locuzione "al pi� tavdi" e in 
particolare se vada intesa in riferimento al momento di determinazione 
dell'ammontare del prelievo ovvero al momento iniziaile o finale dell'esigibilit� 
in senso proprio (riscuotibilit�) �. 

7. -I prelievi di cui ai suddetti regolamenti erano quelli in vigore 
il giorno dell'espletamento delle formalit� doganali, definito dall'art. 15, 
n. 5, del regolamento della Commissione 10 luglio 1970, n. 1373, che stabilisce 
modalit� comuni d'applicazione per il ,regime dei titoli di impor

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tazione e di esportazione e dei certificati di fissazione anticipata relativi 
a prodotti agricoli soggetti ad un regime di prezzo unico (G.U. n. L 158, 
pag. 1), come quello 

� ...in cui l'ufficio doganale accetta l'atto mediante il quale il dichiarante 
manifesta la volont� di esportare i prodotti in causa... o di mettere 
i prodotti sotto controllo doganale ... �. 

8. -Su.lila base dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 1076/1972, a norma 
del quale �tali prelievi sono esigibili al pi� tardi al momento dell'espletamento 
delle sopraddette formalit� doganali�, e del precitato art. 15, n. 5, 
del regolamento n. 1373/70, l'attrice nella causa principale giunge alla 
conclusione che il prelievo di cui trattasi avrebbe dovuto essere riscosso 
ail. momento della presentazione della domanda della licenza di esportazione. 
Il mancato esercizio, da parte dell'amministrazione doganale, del 
diritto di riscuotere hl prelievo comporterebbe, a norma delle disposizioni 
comunitarie succitate, �la decadenza della stessa da tale diritto. 
9. -L'Amministrazione delle Finanze dello Stato � dell'avviso che la 
riscossione dei dazi doganaiLi o dei prelievii costituisca una fuse posteriore 
all'accettazione, da parte degli uffici doganali, della dichiarazione 
di importazione o di esportazione. Essa esclude che la disposizione comunitaria 
di cui trattasi comporti, per !\autorit� competente dello Stato 
membro, la decadenza dal diritto di esigere l'importo del prelievo non 
riscosso, per erz:ore,� al momento dell'espletamento delle formalit� doganali. 
10. -A parere del Governo italiano e della Commissione, che hanno 
presentano osservazioni alla Corte, l'art. 3, n. 2, del regolamento n. 1076/72 
non pu� essere interpretato nel senso che ponga in essere una decadenza 
che preclude la riscossione successiva nel caso !�.Il culi al momento 
dell'espletamento delle formalit� doganali non sia stato esercitato il diritto 
di riscuotere il prelievo. 
11. -Questa � l'interpretazione da accogliere. Innanzitutto, la lettera 
stessa della disposizione comunitaria di cui trattasi non giustifica la 
conclusione che l'inciso � al pi� tardi � ivi contenuto significhi la decadenza 
dal credito tributario ad un momento determinato. A tale conclusione 
potrebbe pervenirsi soltanto se la disposizione in esame contemplasse 
espressamente la nozione di decadenza e contenesse una statuizione 
chiai:-a ed esplicita in tal senso. 
12. -In secondo luogo, l'espressione �al pi� tardi� si riferisce palesemente 
non alla riscossione del credito, ma alla sua esigibilit�, che 
costituisca la nozione decisiva per comprendere la, disposizione di cui 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 489 

� causa. Il momento della determinazione, e quindi dell'esigibilit� del 
credito, pu� infatti cadere anche prima del giorno dell'espletamento 
delle formalit� doganali. Questa � del resto la norma, come mettono in 
rilievo la Commissione e il Governo italiano. 

13. -L'espressione �esigibile al pi� tardi� che figura nella disposizione 
di cui trattasi non deve essere pertanto intesa nel senso ,di implicare 
una decadenza, ma nel ,senso di assumere il suo significato nel caso 
in cui il momento della determinazione, e quindi dell'esigibilit� del 
credito, cada prima del giorno dell'espletamento delle formalit� doganali. 
Pertanto la liquidazione e la riscossione propriamente detta del prelievo, 
ossia il suo versamento, possono aver luogo in una fase successiva 
(omissis). 
�.� 



SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1051 � Pres. Mi� 
rabelli � Rel. CaturaIJJi. � P. M. Sgroi (parz. diff.) � RAI-TV (avv. 
Zoccoli) c. Soc. Telereporter (avv. Fratterelli) e Ministero Poste 
~avv. Stato Azzariti). 

Radiotelevisione � Emittente privata focale � Esercizio d'impresa televisiva 
in difetto di autorizzazione � Interferenze provocate dalle trasmissioni 
RAI � Azione possessoria � Tutela in via d'urgenza � Difetto di giurisdi� 
zione del giudice ordinario. 

Poich� l'esercizio di una attivit� di teletrasmissioni via etere su 
scala locale � soggetto, in base alla vigente normativa, ad autorizzazione. 
concessione da parte della competente autorit� amministrativa, il privato 
esercente tale attivit�, in difetto o in attesa della detta autorizzazione, 
� titolare di una posizione di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al 
giudice amministrativo. Pertanto, sia l'azione di manutenzione che quella 
in via d'urgenza sono improponibili davanti al giudice ordinario, il quale, 
ai sensi dell'art. 4 della L. 20 marzo 1865 all. E, � carente del potere di 
revocare e modificare atti amministrativi emessi nell'esercizio di poteri 
di cui la P.A � investita (1). 

Con l'istanza di regolamento di giurisdfaione cui ha aderito l'Amministrazione 
delle Poste e delle Telecomunicazioni, la RAI sostiene che 
nel caso in esame va dichiarata l'improponibilit� assoluta della domanda 
per difetto di una norma o di un principio di diritto che tuteli la posizione 
soggettiva .invocata dalla Radioreporter, mancando una legge che 
stabilisca i requisiti soggettivi e oggettivi per l'ottenimento della licenza 
per l'esercizio delle imprese radiotelevisive; comunque la posizione giuridica 
del soggetto che voglia svolgere nei limiti consentiti un'attivit� 

(1) Emittenti private locali e difetto assoluto di giurisdizione. -Questa 
sentenza intende dare piena conferma all'orientamento gi� sancito nelle sentenze 
delle Sezioni Unite n. 5335 e n. 5336 del 1� ottobre 1980 (in Foro It. 1980, I, 2391) 
circa il problema dell'individuazione della situazione giuridica soggettiva del 
privato, il quale, in difetto di autorizzazione, trasmette via etere programmi tele� 
visivi in ambito locale. 
In particolare la decisione n. 5336, prendendo le mosse dalle fondamentali 
pronuncie rese in materia (n. 59 del 13 luglio 1960; n. 225 e n. 226 del 10 luglio 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 491 

di teletrasmissioni via etere, ma che non abbia ancora conseguito il provvedimento 
di assegnazione non � configurabile come diritto soggettivo 
perfetto, ma come interesse legittimo, onde in ogni caso va riconosciuto 
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. 

Il ricorso � fondato nei termini che sono precisati dalle seguenti 
considerazioni. 

Queste Sezioni Unite hanno gi� statuito in fattispecie analoga, che 
� .improponibile l'azione di manutenzione contro la RAI concessionaria 
del servizio pubblico di diffusione radiofonica e televisiva e che, nell'uso 
di una banda di frequenza as'Segnatale dalla p.a. abbia arrecato molestia 
ad programmi trasmessi sulla stessa banda da un privato esercente attivit� 
di trasmissione via etere (sent. 1 ottobre 1980, n. 5335). A sostegno 
di tale conclusione si � osservato che la improponibilit� dell'azione possessoria 
la quale tende ad eliminare gli effetti di un atto amminiistrativo, 
discende dal rilievo che il provvedimento del giudice che accogliesse il 
ricorso importerebbe J:a revoca dell'atto amministrativo in violazione del 
divieto posto dall'art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, 
il che si verifica non solo quando agisca direttamente la p.a. facendo 
uso dei suoi poteri pubblicistici (e non di mero diritto privato, nel qual 
caso la improponibilit� non sussiste), ma anche quando, come nella specie, 
agisca un privato concessionario o comunque un soggetto da esso 
autorizzato nei limiti dell'esercizio deH'attivit� demandatagli. 

Gli accertamenti rilevanti nella specie riguardano quindi: a) l'esistenza 
nella p.a. del potere di regolare, anche a mezzo concessione, le 
trasmissioni televisive anche con l'attribuzione delle relative frequenze; 

1974; n. 202 del 28 luglio 1976) dalla Corte Costituzionale, e dopo aver puntualizzato 
che dal vuoto normativo susseguente alla citata sentenza n. 202 del 1976 non 
discende un diritto assoluto ed incondizionato per il privato alla trasmissione 
di programmi televisivi, n� di contro un interesse di mero fatto, come tale sottratto 
all'esame di ogni giudice, afferma che dall'esegesi dei dati normativi emerge 
la necessit� di autorizzazione, e cos� continua: � di essa (l'autorizzazione) 
costituisce elemento essenziale ed imprescindibile e parte integrante, se non 
addirittura presupposto condizionante, l'assegnazione di una banda di frequenza. 
Infatti l'esercizio di una impresa di teletrasmissioni postula necessariamente la 
possibilit� di avvalersi di una determinata frequenza; ma la scelta od individuazione 
di tale frequenza non rientra tra le facolt� riconosciute al privato: il provvedimento 
di assegnazione quindi inserisce un quid novi nella sfera giuridica 
del medesimo con l'attribuzione di una srpeciffica potest� di cui egli era privo e 
che attiene alle modalit� cli utilizzazione de11'� etere�, inteso come �bene comune 
�; rispetto al quale compete appunto allo Stato il potere-dovere di preservare 
e gestire le correlative utilit� e di disciplinare e controllarne la funzione per 
le esigenze dei pubblici servizi e per quelle dei privati, affinch� nell'interesse 
generale essa risulti ordinata, corretta e proficua. Dai su esposti motivi si 
deduce che nel caso in esame l'autorizzazione, per quanto concerne uno dei 
suoi momenti (assegnazione della banda di frequenza) ha carattere cos1Jitutiivo 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

b) l'esistenza in capo a11a RAI della concessione e dell'atto attributivo 
del canale 40 VHF della zona in cui trasmette la Radioreporter. 

Ora l'esistenza del potere del Governo di provvedere al servizio pubblico 
delle radio e delle televisioni, mediante atto di concessdone risulta 
dall'art. 3 de11a legge 14 aprile 1975 n. 103; quello dell'assegnazione delle 
frequenze radioelettriche risulta dall'art. 183 del d.P.R. 28 marzo 1973, 

n. 156. 
La concessione in el!Clusiva alla RAI del servizio pubblico di diffu. 
sione radiofonica e televisiva circolare � stata conferita con atto 7 agosto 
1975 ed � stata approvata e resa esecutiva con d.P.R. 11 agosto 1975, 

n. 452. Il piano nazionale delle frequenze � stato approvato con D.M. 
3 dicembre 1976 e con atto dell'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni 
19 ottobre 1978 � stato assegnato alla RAI il canale 40 UHF 
(D CSR/3/1/13303/45/4R) in relazione al quale � insorta la controversia 
con la Radioreporter. 
Ne consegue che la proposta azione di manutenzione -comportando 
la necessit� per il giudice ordinario di revocare o modificare atti amministrativi 
emessi nell'esercizio di poteri pubblicistici di cui la P.A. � 
senza dubbio investita, in violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. E -� improponibile. 
N� il ricorso della Radioreporter innanzi al Pretore pu� ritenersi 
proponibile sotto il profilo dell'art. 700 cod proc. civ. invocato in quella 
sede dalla suddetta ricorrente, giacch�, come queste Sezioni Unite hanno 
gi� deciso in fattispecie identica (sentenza 1 ottobre 1980, n. 5336), il 
privato che abbia realizzato e gestisca un impianto di teletrasmissioni 
senza alcuna autorizzazione amministrativa o in attesa. della detta auto-

e sotto questo profilo presenta elementi tipicamente � concessori �, e pi� avanti 

� data l'indeclinabile necessit� di tale momento pubblicistico della fattispecie 

e tenuto conto degli elementi concessori e discrezionali che caratterizzano il 

provvedimento dell'Amministrazione, � evidente che la menzionata situazione 

giuridica non � configurabile come diritto soggettivo perfetto, giacch� tale na


tura essa assume solo in seguito alla emanazione del provvedimento ammini


strativo che integra e completa la fattispecie complessa. 

Si tratta invece, fino a quando cib non si verifichi di una situazione che 

s'inquadra tra quelle che sono variamente definite in dottrina come diritti fievoli 

in origine, o come diritti condizionati o in attesa di espansione, e che nei con


fronti delle P .A. e ai fini della tutela giurisdizionale si atteggiano come interessi 

legittimi �. 

Tale indirizzo giurisprudenziale, che configura quindi come interesse legit


timo la posizione dei privato che utilizza l'etere per emissioni televisive su 

�Scala locale non pu� tuttavia essere condiviso laddove finisce con l'equiparare 

in via di tutela la situazione del privato che abbia richiesto alla P .A. compe


tente l'emissione nei suoi confronti del provvedimento autorizzativo costitu


tivo consistente nell'assegnazione motivata di una specifica banda di frequenza, 

con la situazione del pnivato che invece comunque esercita, di fatto, il preteso 

! 
! 
! 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 493 

rizzazione si trova nei confronti della p.a. ed ai fini della tutela giurisdizionale 
in una posizione di interesse legittimo, con la conseguenza che 
l'interesse di cui lo stesso privato lamenta la lesione per essere stata 
assegnata alla RAI una banda di frequenza in precedenza utilizzata � 
tutelabile dinanzi al giudice amministrativo. Ed il potere cautelare generale 
attribuito al giudice ordinario dall'art. 700 cod. proc. civ. non � esperibile 
rispetto a situazioni giuridiche tutelabili innanzi a quel giudice, 
dal momento che tale potere, per il suo carattere strumentale, spetta ai 
giudici di oiascun ordine giurisdizionale soltanto rispetto alle controversie 
devolute alla loro giurisdizione e pru� esercitarsi nelle forme e nei limiti 
pvevisti dalle norme regolatrici dei rispettivi ordinamenti. 

A sostegno del suddetto indirizzo che queste Sezioni Unite ritengono 
di confermare pienamente, valgano le seguenti ulteriori �considerazioni, 
le, quali, tengano conto anche delle critiche che all'orientamento medesimo 
sono state mosse in dottrina. 

Secondo una tesi di recente sostenuta il diritto soggettivo dei privati 
di installare e gestire impianti radiotelevisivi via etere non eccedenti l'ambito 
locale, in mancanza d! un intervento legislativo, Gleve considerarsi libero 
da vincoli, onde l'imprenditore privato sarebbe titolare di un diritto 
soggettivo perfetto di svolgere la corrispondente attivit�. 

La tesi parte dal presupposto che il potere organizzatorio amministrativo 
-pur previsto dall� Corte Costituzionale per l'esercizio della 
diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale -non potrebbe 
esercitarsi senza l'apposita disciplina normativa che ne specifichi il contenuto 
e le modalit�. 

� diritto di antenna� al di fuori di qualsiasi autorizzazione o quanto meno di 
una richiesta della medesima all'autorit� statale competente. 

In tale evenienza l'azione proposta dall'emittente televisiva privata, sia sotto 
il profilo della molestia possessoria arrecata dalle trasmissioni del concessionario 
di pubblico servizio, sia sotto quello della tutela in via d'urgenza del dirotto 
di installare e gestire impianto radio te1ewsivo via etere non eccedente 
l'ambito locale, non appare suscettibile di alcuna tutela giurisdizionale, tale attivit� 
di irradiazione essendo stata dntrapresa in modo del tutto abusivo ed 
illegittimo senza alcuna preventiva richiesta od istanza, al di fuori di qualsiasi 
provvedimento della P.A., che istituzionalmente gestisce le utilit� inerenti al 
bene comune che l'etere rappresenta. La situazione per la quale viene reclamata 
tutela in via possessoria o cautelare � dunque una situazione di mero fatto, 
al cui mantenimento altro non corrisponde che un interesse di fatto, cui l'ordinamento 
non ricollega alcuna tutela n� diretta n� indiretta, non configurabile 
in altre parole n� �n termini di interesse legittimo n� tanto meno di diritto 
soggettivo. 

Ci� � confermato dalla nota pronuncia n. 202 del 1976 della Corte Costituzionale, 
laddove la medesima, parlando di �diritto di libert�� alla diffusione 
privata via etere, ha Inteso limitarsi a dichiarare illegittima la normativa incriminatrice 
di alcune norme della legge 14 aprile 1975, n. 103. La sua immediata 

5 



RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

Tale indirizzo non considera tuttavia che, ai sensi dell'art. 41 Cost. 
l'iniziativ:a economica privata non pu� svolgersi in contrasto con J'utiUt� 
sociale, mentre fa libert� di manifestare senza limiti li proprio 
pensiero (art. 21 Cost.) non esclude che limitazioni possano sussistere 
circa il concreto uso del mezzo adoperato, specie quando :fil vincolo � 
immanente alla struttura stessa del mezzo. 

Inoltre, se si riconosce che il provvedimento autorizzatorio della p.a. 
abbia in materia :natura costitutiva, importando mfavore del destinatario 
l'attribuzione di un quid navi (l'assegnazione delle bande di frequenza), 
di cui il medesimo prima non aveva disponibilit�, appare difficile conciliare 
questa ammissione con la preesistenza (al provvedimento autorizza. 
torio) di un diritto soggettivo assoluto di procedere al!la diffusione radiotelevisiva 
in ambito locale via etere da parte di chiunque lo desideri. 

In realt�, deve riconoscersi che la stessa connessione esistente tra 
l'iniziativa economica privata ed il servi2lio pubblico radiotelevisivo su 
scala nazionale (essenziale e di preminente interesse nazionafo: Corte 
Cost. 28 luglio 1976, n. 202; 21 luglio 1981, n. 148), pone problemi i quali 
non possono trovare adeguata soluzione ove si trascuri di considerare 
che se il servizio � pubblico e interessa per ci� la generalit� dei cittadini, 
esso, nella valutazione delle concrete fattispecie, non pu� essere collocato 
sullo stesso piano della attivit� economica che i privati svolgono al fine 
di conseguire un proprio individuale interesse. In altri termini la RAI 
non pu� essere considerata sullo stesso piano di qualsiasi emittente 
privata, perch� una tale valutazione contraddirebbe la stessa preminenza 

portata riguarda unicamente la liceit� penale delle radio diffusioni a livello 
locale. Ma ci� non basta certamente per affermare che tali emissioni costituiscono 
oggetto di un diritto, in quanto la semplice inesistenza di un divieto 
penalmente sanzionato non involge automaticamente l'esistenza di una facolt� 
giuridicamente protetta di tenere quel comportamento. 

In definitiva l'effetto della pronuncia della Corte � stato quello di eliminare 
dall'ordinamento una norma repressiva, non quello di inserirvi una norma 
concessoria avente ad oggetto non gi� il generale principio di libert� di manifestazione 
dt.l pensiero (che rimane ovviamente incontroverso), ma il peculiare 
diritto di esercitare tale libert� attraverso la gestione di una impresa. �l. appena 
il caso di aggiungere che la ricordata sentenza della Corte Costituzionale non 
ha dichiarato illegittime le norme denunciate per violazione dell'art. 41 Cost.: 
al contrario ha tenuto a precisare che l'impresa privata di emissione in sede 
locale non pu� essere libera. 

Orbene, il difetto di qualsiasi indicazione normativa cui 'parametrare l'eser


cizio dell'accennata potest� disciplinatrice da parte dell'organo statale rende 

ragione dell'estrema latitudine della discrezionalit� al medesimo spettante, a 

fronte della quale non possono emergere posizioni suscettibili di tutela anche 

soltanto indiretta. 

ANTONIO CINGOLO 

I 


i 


..


. . 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 495 

dell'interesse pubblico sull'interesse privato e la necessit� imprescindibile 
che il secondo debba cedere quando le imperiose esigenze dell'utile pubblico 
lo impongono (art. 41 Cost.). 

D'altra parte se si ammett� che il potere amministrativo esiste secondo 
l'ordinamento giuridico non � poi sostenibile che, non potendo esercitarsi 
in mancanza della disciplina legislativa si verserebbe di fronte ad una 
possibilit� di fatto di trasmettere spettante a chiunque lo voglia, del tutto 
indifferente sotto il profilo giuridico. Invero, se il potere non pu� essere 
esercitato ci� vuol dire che esso giuridicamente non , esiste, mentre se 
un potere amministrativo si riconosce esistente, I�!l medesimo deve pur 
essere in qualche modo esercitato anche in mancanza di una specifica 
normativa, potendo ammettersi soltanto una sua maggiore o minore 
latitudine, alla stregua dei principi ricavabili dall'ordinamento giuridico. 

Infine, a sostegno della tesi accolta da queste Sezioni Unite, pu� osservarsi 
che la stessa necessit� logico-giuridica di una specifica normativa 
pur prevista dalla Corte Costituzionale per dare un assetto definitivo alla 
materia in esame, non pu� condizionare l'esistenza del potere autori~zatorio 
spettante alla p.a. 

La norma giuridica, invero, non potrebbe non prevedere dei criteri 
assoluti ed astratti che necessariamente prescindono dalle particolarit� 
dei casi concreti, mentre la stessa nozione di ambito locale, come parte del 
territorio caratterizzato da fattori socio economici che concorrono a 
delimitarlo, non pu� determinarsi, come fattore ambientale in via astratta 
ma va individuata caso per caso. 

Il che dimostra che la nozione di ambito locale non solo mal si presta 
ad essere definita in via astratta da una norma giuridica, ma richiede 
l'apprezzamento di circostanze ambientali che non pu� non essere devoluta 
alla �discrezionalit� della p.a. 

Invero, gli stessi criteri che devono guidare la scelta amministrativa 
divergono a seconda delle fattispecie concrete, ~n considerazione, tra l'altro, 
non solo dell'estensione territoriale dell'area o della sua importanza e 
del numero dei soggetti che risiedono ~n quell'ambito, ma anche della 
frequenza e della potenza degli impianti che sono nei singoli casi necessari 
e sufficienti per assicurare la bont� delle trasmissioni ed un regolare 
svolgimento dell'attivit� economica, sia considerata in se stessa che in 
rapportq con le altre emittenti private e con il pubblico servizio di 
radiodiffusione. 

In definitiva, ribadendosi in questa sede che la posizione soggettiva 
dei titolari delle emittenti private via etere in ambito locale, deve identificarsi 
di fronte ai poteri spettanti in materia all'autorit� amministrativa, 
in un interesse legittimo, i ricorsi proposti dalla RAI e dall'Amministrazione 
delle Poste e Telecomunicazioni, devono essere accolti. (omissis). 


496 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 maggio 1982, n. 3085 -Pres. Marchetti 
-Est. Sensale -P. M. Sgroi -Bensa (avv. Casavola) c. Ministero 
dei Trasporti (avv. Stato Sernicola) e Comune di Parma (avv. Taranto). 


Demanio -Strada -Proprietari frontisti -Posizioni soggettive -Natura. 

Demanio -Strada e passaggio a livello -Interi,-uzione o soppressione a 
seguito di costruzione di opera pubblica -Diritto all'indennizzo a 
favore del proprietario frontista -Ammissibilit� -Valutazione -Limiti. 

Espropriazione per p.u. -Costruzione di opera pubblica -Indennizzo corrisposto 
ai proprietari del fondo espropriato -Possibili mutamenti 
futuri dell'opera -Pregiudizio ai proprietari -Configurabilit� �di altro 
diritto all'indennizzo. 

I proprietari frontisti hanno, oltre l'uso comune del bene demaniale, 
spettante a qualsiasi cittadino, anche un uso speciale, ritraendo essi una 
particolare utilizzazione del bene demaniale posto a confine con le loro 
propriet� private, non tanto perch� ne usano pi� frequentemente, quanto 
perch�, per effetto della situazione di vicinato esistente fra i loro beni e la 
strada, possono trarre dal bene pubblico utilit� diverse e maggiori di quel


;:..

le consentite agli utenti della strada, quale, fra l'altro, quella di accedere 

i 
i
i; 

ai loro fondi senza dover costituire un diritto di servit� (1). 
La soppressione del passaggio a livello o l'interruzione della strada f:

f

pubblica, che ne era attraversata, sono idonee ad incidere sul diritto di 

! 

propriet� non solo rendendo sensibilmente pi� difficoltoso e disagevole a 
j 
il raggiungimento del fondo e traducendosi in una diminuzione delle nor


~� 
mali possibilit� di sfruttamento dell'intero possedimento secondo la sua ~ 
unitaria destinazione e quindi in un aumento dei costi di gestione e in ! 
una complementare riduzione del reddito come conseguenza di una diminuzione. 
del valore intrinseco dell'immobile, incidente sull'eserc_izio di 

I 

facolt� costituenti il contenuto del diritto di propriet�, ma anche impe


I

dendo quella che di tale diritto costituisce una essenziale esplicazione, 
e cio� la facolt� del proprietario di trasferirsi da una parte all'altra 

I

dell'immobile senza gravi disagi e di mantenere in collegamento le varie 
parti del bene su cui si esercita il suo godimento; �, tuttavia, problema di 

I

j 

(1-3) Le massime sono conformi all'orientamento della giurisprudenza, sei 


!

condo la quale la P.A., se modifica, sia pure nell'interesse pubblico, le condizioni 

I 
di una strada, con l'elevarne o abbassarne il fondo, rendendo pi� difficoltoso I 
i 
l'accesso ai fabbricati che la fronteggiano, � tenuta, in base all'art. 46 legge 
espropriativa, ad indennizzare il privato che dalle avvenute modificazioni abbia 
subito danni: Sez. un. 6 maggio 1971, n. 1981, Foro it., 1981, I, 1484, con nota. 
Per quanto concerne i pretesi danni derivanti dalla chiusura di un passaggio 
a livello cfr. Cass. 25 l~glio 1976, n. 2976. 



PARTE I, SEZ. III, GIURI$. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

merito accertare, oltre alla titolarit� dell'azione dal lato passivo, se la 
soppressione del passaggio a livello e la interruzione della strada abbiano 
concretato una sensibile difficolt� di accesso e di collegamento tale 
da risolversi in un danno derivante dalla menomazione delle facolt� spettanti 
al proprietario (2). 

La legge generale sulle espropriazioni ha come regola quella della 
corrispondenza dell'indennit� al valore del bene (nel caso di espropriazione 
totale) o aUa sua diminuzione di valore (nel caso di espropriazione parziale), 
ed il riferimento al giusto prezzo indica che la situazione da tener 
presente � quella instaurata con l'atto ablativo, totale o parziale, nel 
momento in cui viene fatta l'imposizione, mentre .le modifiche puramente 
eventuali dell'opera pubblica, ancorch� consentite dalla legge, effettuate 
successivamente, se provocano una ulteriore diminuzione del valore dei 
fondi interessati, comportano l'obbligo dell'indennizza. 

(omissis) Il problema, che interessa in questa fase del giudizio, 
investe l'interpretazione e l'ambito di applicazione dell'art. 46 della legge 
25 giugno 1865, n. 2359, il quale riconosce dovuta una indennit� ai proprietari 
che dalla esecuzione di un'opera di pubblica utilit� vengano gravati di 
servit� o, come si � dedotto nel caso, vengano a soffrire un danno permanente 
derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto, precisando 
che la privazione di un utile, al quale il proprietario non abbia diritto, 
non pu� mai essere tenuta a calcolo nel determinal:'e findennit�. 

Sotto la disciplina di questa norma (che ha contenuto indennitario e 
non risal:'citorio e sulla quale � stata costrudta fa teoria della responsabillit� 
per atti legittimi della pubblica Amministrazione) devono ricondursi, anche 
al di fuori della materia delle espropriazioni per pubblica utilit�, 
tutte le ipotesi di danno permanente alle private propriet� immobiliari, 
legato all'opera pubblica da un nesso di causalit� obiettiva (v. sentenze 
1810/60 e 334/64). Peraltro � necessario che si tratti di danno permanente 
derivante dalla perdita e dalla diminuzione di un diritto (nel caso del 
diritto di propriet�, derivante dal sacrificio di talune delle facolt� in 
cui l'esercizio del diritto si esplica), escluso ogni altro pregiudizio economico 
e salvo che, traducendosi taie pregiudizio nel mancato reddito del 
bene, questo sia conseguenza di una reale perdita o diminuzione del valore 
intrinseco dehl'immobile (v. Sez. Un. nn. 2920/68 e 1281/71), che pu� 
anche concretarsi nella menomazione delle normali possibilit� di sfruttamento 
del fondo (cos�, la citata sent. 1281/71). E si � ulteriormente 
precisato che � permanente non solo il danno perpetuo e irreparabile, 
ma anche quello commisurato alla durata dell'azione lesiva che non sia 
transitoria (Sezioni Unite 2920/68) e cio� che si verifichi ininterrottamente 
per tutta la durata di tale azione che, protraendosi nel tempo, determini 
il mancato o diminuito godimento del diritto di propriet� (sent. 1404/71). 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

In questo quadro, dovendosi stabilire se nella situazione prospettata 
sia astrattamente configurabile un danno permanente derivante dalla menomazione 
del diritto di propriet� a causa della chiusura del passaggio 
a livello e della interruzione della strada comunale che ne � attraversata, 
non soccorre, come ha erroneamente creduto la Corte d'appello, la individuazione, 
nella utilizzazione della strada da parte del ricorrente, di un 
uso comune anzi che di un uso speciale, ch� in entrambi in casi non 
esiste un diritto soggettivo in capo al privato ad utilizzare la strada 
e a servirsi del passaggio a livello. 

� noto, infatti, che il privato non ha, in relazione alla strada pubblica 

di cui � ammesso a servirsi, alcun diritto soggettivo, poich� la pubblica 
Amministrazione, pu� disporre liberamente della strada medesima, trasformandola 
o sopprimentola, se Jo ritiene d'interesse pubblico (sent. 
1393/69, e a sezioni unite, 1281/71) o -nel caso di passaggi a livello stabilendo 
discrezionalmente le modalit� di sbarramento che ritiene pi� 
rispondenti a tale interesse (Sez. Un. 2976/76) e consentendo oppure 
vietandone .l'attraversamento (Sez. Un. 2619/75), ragione per cui non 
giova, nel caso, il richiamo alla legge n. 315/69, che non disciplina i . 
passaggi a livello rpubblici, ma soltanto quelli in consegna ai privati. 

La qualificazione, come uso comune oppure come uso speciale, della 
utilizzazione de.Ila strada da parte del ricorrente non incide, perci�, sulla 
individuazione della sua posizione soggettiva, ai fini della determinazione 
della giurisdizione, poich� la menomazione permanente che il ricorrente 
lamenta non riguarda, in s�, l'uso della strada e del passaggio a livello, 
ma investe il suo diritto di propriet�. A tal fine, soltanto, occorre precisare 
che, se nella situazione prospettata dal ricorrente, secondo la quale il suo 
possedimento non solo era tenuto in comunicazione immediata e diretta, 
nelle due parti separate dalla linea ferroviaria, per mezzo della strada 

S. Donato e del relativo passaggio a livello, ma era latistante ad essa, 
in analoga fattispecie, avente connotati anche meno pregnanti rispetto a 
quella in esame (poich� in essa si faceva riferimento soltanto alla condizione 
dei proprietari frontisti), si � esattamente osservato che costoro 
hanno, oltre l'uso comune del bene demaniale, spettante a qualsiasi cittadino, 
anche un uso speciale, ritraendo essi una particolare utili,;z;zazione 
del bene demaniale posto a confine con le loro private propriet�, non 
tanto perch� ne usano pi� frequentemente, quanto rperch�, per effetto 
deH.a situazione di vicinato esistente fra li il.oro beni e 1a strada, essi 
possono trarre dal bene pubblico utilit� diverse e maggiori di quelle 
consentite agli utenti dehla strada, quale, fra l'altro, quella di accedere 
ai loro fondi senza dover costituire un diritto di servit� (sent. 785/74). 
Tali considerazioni hanno sicura rilevanza per l'affermazione del 
nesso causale fra l'opera pubblica e il danno subito dal diritto di propriet�, 
del quale si chiede l'indennizzo. Quindi, tutto si riduce a stabilire se nella 

! 

.~ 


-


PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

situazione prospettata sia astrattamente configurabile un danno permanente 
derivante dalla diminuzione del diritto, inteso come sacrificio di 
talune delle facolt� che ineriscono all'esercizio del diritto di propriet�. 

Questa Corte ha costantemente ravvisato l'esistenza di un danno 
avente tali connotati (ed ha quindi affermato la giurisdizione ordinaria) 
nella ipotesi di modificazione delle condizioni di una pubblica strada, 
mediante l'elevazione o l'abbassamento del piano, in modo da rendere 
sensibilmente pi� difficoltoso o meno agevole l'accesso ai fabbricati latistanti 
(sent. 1810/60, 334/64, 1404/71 e, a 1sezioni unite, 2920/68) e in 
genere alila limitrofa propriet� (sent. 1195/74); e neHa ipotesi di soppressione 
della strada pubblica, determinante l'annullamento e la notevole 
menomazione permanente di qualcuna delle facolt� che costituiscono 
il contenuto e l'espressione essenziale del diritto 1di propriet� (sentenza 
1393/69). 

Nell'alveo di questo indirizzo, non pu� dubitarsi che, nel caso concreto, 
sia da affermare la giurisdizione ordinaria, essendosi dedotta una situazione 
nella quale i;l diritto all'indennizzo previsto dall'art. 46 � in astratto 
configurabile. La soppressione del passaggio a livello e l'interruzione 
della strada pubblica, che ne era attraversata, sono infatti idonee ad 
incidere sul diritto di propriet� del ricorrente, non solo rendendo sensibilmente 
pi� difficoltoso e disagevole il raggiungimento dehl.a parte del 
fondo a nord della Jinea ferroviaria e traducendosi in una diminuzione 
delle normali possibilit� di sfruttamento dell'intero possedimento secondo 
la sua unitaria destinazione (anche in conseguenza della ubicazione dei 
fabbricatli. aziendaA.i nella parte a sud) e quindi in un aumento dei costi di 
gestione e in una complementare riduzione del reddito come conseguenza 
di una diminuzione del valore intrinseco dell'immobile, incidente sull'esercizio 
di facolt� costituenti il contenuto del diritto di propriet�; ma 
anche impedendo quella che di tale diritto costituisce una essenziale 
esplicazione, e cio� la facolt� . del proprietario di trasferirsi da una parte all'altra 
dell'immobile senza gravi disagi e di mantenere in collegamento 
le varie parti del bene su cui si esercita il suo godimento. Sar�, 
poi, problema di merito accertare, oltre ailla titolarit� dell'azione dal 
lato passivo, se la soppressione del passaggio a livello e la interruzione 
della strada abbiano concretato una sensibile difficolt� di accesso e di 
collegamento, tale da risolversi in un danno derivante dalla menomazione 
delle facolt� spettanti al proprietario, ovvero se, come si sostiene dai 
controricorrenti, fosse pi� scomodo l'uso della strada, in relazione ai 
lunghi periodi di chiusura del passaggio a Jivello nel corso del giorno, 

o se esistario altre pi� brevi vie di comunicazione (ad esempio, cavalcavia); 
se le due parti del fondo separate dalla linea ferroviaria siano strutturalmente, 
funzionalmente ed economicamente unitarie; se i fabbricati aziendali 
siano posti .realmente nella sola parte a sud. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� pu� negarsi la configurabilit�, nella situazione dedotta dal ricorrente, 
di un suo diritto all'indennizzo, con l'argomento, pure addotto 
dalla Corte d'appello, secondo il quale, con la indennit� corrisposta ai 
proprietari dei fondi colpiti dal provvedimento ablativo all'atto della 
costruzione della ferrovia, venne soddisfatto ogni loro diritto non solo 
in ordine al pregiudizio subito al momento dell'esecuzione dell'opera, 
ma anche in ordine a tutti i possibili mutamenti futuri operati legittimamente. 
Come queste Sezioni unite hanno gi� osservato (sent. 2976/76), 
l'argomento non incide sulla natura della posizione soggettiva dedotta 
in causa. 

La legge generale sulle espropriazioni ha come regola quella della 
corrispondenza dell'indennit� al valore del bene (nel caso di espropriazione 
totale) o ailla sua diminuzione di valore (nel caso di espropriazione parziale). 
E il punto di riferimento al giusto prezzo chiarisce che la situazione 
da tener presente � quella instaurata con l'atto ablativo, totale o parziale, 
nel momento ,in cui viene fatta la imposizione. Le modifiche puramente 
eventuali dell'opera pubblica, ancorch� consentite dalla legge, effettuate 
successivamente, se provocano una ulteriore diminuzione di valore 
dei fondi interessati, comportano l'obbligo dell'indennizzo e ad esso il 
proprietario del fondo gravato o maggiormente gravato ha un diritto 
soggettivo, che dev'essere fatto valere davanti al giudice ordinario. 

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SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835 -Pres. Renda Est. 
Corda -P. M. Fabi -Pastorini (avv. Ricci) c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Mataloni). 

Edilizia Popolare ed Economica -Cessione alloggi in propriet�. Diritto 
soggettivo all'assegnazione -Sussiste. 

Edilizia Popolare ed Economica � Cessione alloggi in :propriet� � Detenninazione 
del prezzo � Giurisdizione ordinaria � Sussiste. 

Edilizia Popolare ed Economica � Cessione alloggi in propriet� � Norme 
per la determinazione del prezzo � Imperativit� � Violazione � Nullit� 
del Contratto � Sussiste. 

Edilizia Popolare ed Economica � Cessione alloggi in propriet� � Nulli.t� 
del contratto � Responsabilit� precontrattuale della P.A. � Non sussiste. 

Le norme che disciplinano l'attivit� �vincolata� di determinazione del 
prezzo di cessione in propriet� degli alloggi sono norme di relazione, 
in base alle quali assumono consistenza di diritti soggettivi sia l'interesse 
del privato richiedente la cessione, che � tenuto al pagamento del prezzo 
in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse dell'ente cedente, cui 
il prezzo � dovuto a ristoro del diritto di credito (1). 

L'assegnatario di un alloggio, ha un diritto soggettivo alla cessione in 
propriet� e conseguentemente un diritto soggettivo alla determinazione del 
prezzo di cessione in conformit� al tipo di alloggio richiesto; pertanto 
ogni contestazione ad esso relativa deve trovare sede naturale davanti al 
giudice ordinario (2). 

(1-4) Sulla configurabilit� dell'interesse all'assegnazione come diritto soggettivo 
perfetto cfr. Cons. Stato Sez. VI, 12 giugno 1963, n. 335 in Foro lt. Rep. 1963, 
voce �Case popolari� n. 21; Cons. Stato, 11 dicembre 1964, n. 948, ibidem 1964, 
voce cit. n. 116 -Sulla giurisdizione v. C. CARBONE -Ancora in tema di assegnazione 
d'alloggio popolare ed economico in relazione alle posizioni tutelabili 
dinanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria, nota a Cass. 18 luglio 1973, n. 2095, in 
questa Rassegna, 1974, I, 141 -Nel senso che la determinazione del canone di 
locazione rientri nell'ambito della giurisdizione amministrativa cfr. Cass. 6 aprile 
1964, n. 750, Foro lt. Rep. 1964, voce �Case popolari>>, n. 127, annotata da PUGLIESE 
in Giust. civ. 1964, I, 1099. 

Per le altre massime cfr. la giurisprudenza conforme citata in motivazione. 



502 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
�Le norme dettate per la determinazione del prezzo di cessione hanno 
carattere imperativo ed inderogabile tanto da parte dell'assegnatario 
quanto da parte dell'ente proprietario. La nullit� che investe la controprestazione 
del trasferimento del bene oggetto del contratto, riguardando 
un elemento essenziale del negozio e non una clausola dotata di autonoma 
assistenza, esclude l'applicazione dell'art. 1419, cod. civ., e comporta 
la nullit� del contratto (3). 

In tal caso, non sorge il diritto a richiedere il risarcimento del danno 
ai sensi dell'art. 1338 cod. civ., quando l'assegnatario aderisce senza contestazioni 
al prezza determinato dall'Amministrazione (4). 

(omissis) 1. Deve essere per prima esaminata l'eocezione di difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario adito, la proposizione della quale, 
da parte del ricorrente, ha determinato l'assegnazione del ricorso alle 
Sezioni Uni.te di questa Corte Suprema. 

Il ricorrente -convenuto, nel giufuio di merito, dall'Amministrazione 
statale interessata a invalidare la convenzione con cui era stata attuata 
la cessione in propriet� dell'alloggio, nell'assunto di un'errata adozione 
del criterio legale di determinazione del prezzo -ha sostenuto, nella 
prima memoria presentata in questa sede, che non potrebbe essere chiesta 
al giudice ordinario alcuna � revisione � del prezzo determinato, appunto, ai 
fini della cessione; e, a sostegno dell'assunto, ha ricordato la pronuncia 
di queste stesse Sezioni Unite (sent. 25 maggio 1965, n. 1026), secondo 
cui il provvedimento di determinazione del prezzo avrebbe natura semplicemente 
amministrativa. 

. A tale eccezione ha resistito l'amministrazione finanziaria osservando 
che la pronuncia predetta aveva riferimento a una fattispecie diversa 
da quella ora all'esame, perch� in quel caso la contestazione era caduta 
sui criteri tecnico-valutativi adottati (ai fini della determinazione del 
prezzo), mentre il caso presente riguarda solo l'individuazione della norma 
in base alla quale deve essere stabilito il criterio legale da seguire per i 
fini predetti. 

Delle due tesi appare, senz'altro, fondata quella prospettata dall'Amministrazione 
che, in definitiva, riallaccia la posizione giuridica delle parti 
al momento iniziale del complesso rapporto, caratterizzato, per quanto ora 
interessa rilevare, da una posizione di diritto soggettivo dell'assegnatario 
di un alloggio che, di quest'ultimo, domandi la cessione in propriet�. 

Per un compiuto inquadramento della fattispecie, occorre ricordare 
che dal d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, dopo le modifiche apportate dalla 
legge 27 aprile 1962, n. 231, erano contemplati tre tipi di alloggi, in relazione 
ai quali sussistevano differenti criteri di determinazione del prezzo. 
In un primo gruppo, erano quelli non contraddistinti da alcuna particolare 
specificazione, per i quali il prezzo di cessione doveva essere determinato 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

in base al valore venale, ridotto del 30 % e di un ulteriore 0,25 % per 
ogni anno di effettiva (precedente) occupazione (a titolo di locazione) da 
parte del richiedente. Nel secondo gruppo erano, invece, compresi gli 
alloggi costruiti con il contributo dello Stato (e ultimati dopo il 1� luglio 
1961), per i quali il prezzo di cessione doveva essere determinato� con 
riferimento al costo di costruzione. Nel terzo gruppo, infine, erano compresi 
� gili alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie 
meno abbienti, nonch� gli alloggi costruiti dall'UNRRA�CASAS, anche 
con i fondi ERP �, per i quali il prezzo doveva essere pari al 50 % del 
costo di costruzione. 

Ai fini, poi, della determinazione concreta del detto prezzo, il sistema 
della legge prevedeva, appunto, un � sub-procedimento � per la valutazione 
del valore venale degli alloggi (artt. 6 del d.P.R. del 1959 e 4 della 
legge del 1962), di competenza di un'apposita commissione istituita a 
livello provinciale. E proprio perch� a tale Commissione era affidata 
la determinazione del � valore venale � degli alloggi, si riteneva, in 
sede ministeriale, che essa avesse competenza solo in relazione al primo 
dei tre gruppi di alloggi sopra indicati; mentre, per quelli il cui prezzo 
doveva essere determinato in ragione del costo di costruzione -ultimo 
comma (aggiunto con l'art. 14 della legge del 1962) del d.P.R. del 1959 si 
riteneva che la determinazione del costo e la ripartizione di esso fra 
i vari alloggi (appartamenti) fossero di competenza degli uffici del Genio 
Civile (in tal senso, la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 30 luglio 
1965, n. 4788), salve le competenze dell'Ufficio Tecnico Erariale in 
ordine alla valutazione dell'area, ai sensi dell'art. 14, primo comma, del 

d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655. 
La Jegge (art. 7 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2) prevedeva, poi, una 
Commissione a livello regionale, competente in materia di �ricorsi � contro 
la determinazione del prezzo�; ed � alle decisioni di tale Commissione 
che si � riferita la ricordata sentenza di queste Sezioni Unite (invocata 
dal ricorrente), allorch� ha parlato di �atto amministrativo� che �non 
� di:r~etto ad attuare un diritto soggettivo dell'ente proprietario, ma si 
inserisce nel procedimento che conduce al trasferimento della propriet� 
agili assegnatari e concorre all'attuazione dei fini istituzionali dell'ente 
stesso e dell'interesse pubblico da essi perseguito �. 

Ora, posta -dalle parti -l'alternativa tra la giurisdizione del giudice 
ordinario e quella del giudice amministrativo, per ci� che attiene alle 
controversie sorte circa la determinazione del prezzo di cessione, non 
resta che stabilire, ai fini della risoluzione del problema, se le parti 
del rapporto � di cessione in propriet� dell'alloggio � versino in posizione 
di diritto sogfi!ettivo ovvero di interesse legittimo; e il criterio pi� sicuro, 
com'� stato ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di queste Sezioni 


504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Unite, � quello volto alla individuazione della �direzione delle norme 
vincolanti�. 
Non v'� dubbio, intanto, c]J.e l'attivit� amministrativa che precede 
la stipulazione del contratto di cessione in propriet� � attivit� vincolata, 
sia perch�, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, la Pubblica 
Amministrazione non pu� rifiutare la cessione, sia perch� anche la determinazione 
del prezzo di cessione deve essere fatta alla stregua dei criteri 
di commisurazione tassativamente previsti dalla legge con riferimento 
504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Unite, � quello volto alla individuazione della �direzione delle norme 
vincolanti�. 
Non v'� dubbio, intanto, c]J.e l'attivit� amministrativa che precede 
la stipulazione del contratto di cessione in propriet� � attivit� vincolata, 
sia perch�, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, la Pubblica 
Amministrazione non pu� rifiutare la cessione, sia perch� anche la determinazione 
del prezzo di cessione deve essere fatta alla stregua dei criteri 
di commisurazione tassativamente previsti dalla legge con riferimento 
alle ipotesi da essa distintamente contemplate. Si tratta, allora semplicemente 
di stabilire se le norme vincolanti sono di azione o di relazione, 
in base al criterio accettato, appunto, dalla giurisprudenza e dalla dottrina 
tradizionale. 

Norma di relazione, com'� noto, � quella che prende in specifica e 
diretta considerazione l'interesse di un (altro) soggetto determinato, anche 
ae ci� avviene, pur sempre, in funzione di un interesse pubblico: in questa 
ipotesi, l'interesse contemplato, �, senz'altro, un diritto soggettivo (proprio 
perch� l'interesse predetto � direttamente considerato dalla norma), per 
cui la giurisdizione in ordine alla controversia su di esso insorta appartiene 
necessariamente al giudice OJ1chlnario. Norma di azione �, invece, 
quella che tutela in modo diretto e specifico l'interesse pubblico che fa 
capo alla Pubblica Amministrazione agente, anche se l'interesse � privato� 
ne risulti, in modo indiretto od occasionale, tutelato. � cio�, que11a !llorma 
che vincola, in qualche modo, l'attivit� della Pubblica Amministrazione 
in funzione del solo pubblico interesse: in questa ipotesi, la posizione 
del �privato �, cui giovi l'osservanza della norma, � configurabile come 
interesse legittimo, e la tutela di esso, da parte del giudice amministrativo, 
trova la sua ratio nel fatto che il comportamento della Pubblica Amministrazione, 
regolato dalla norma predetta (di azione) incide o, comunque, 
si riflette sulla sfera giuridica di altri soggetti, dando luogo, eventualmente, 
a rapporti giuridici con i medesimi. 

� chiaro, quindi, che secondo l'imposizione tradizionale la distinzione 
predetta (tra norme di azione e norme di relazione) ha ragion d'essere 
proprio in correlazione a quella tra diritto soggettivo e interesse legittimo, 
nel senso che se la norma vincolante, per la sua specifica .direzione, � 
di relazion~, si � in presenza di un diritto soggettivo; mentre, se � 
di azione, perch� essenzialmente dettata in contemplazione di un interesse 
pubblico, l'interesse � privato � che si giovi dell'osservanza di essa 
�, invece, un interesse legittimo. 

Applicando, quindi, tale criterio alla fattispeoie considerata, cio� alla 
fase �procedimentale � di pre-cessione in propriet� dell'alloggio, appare 
evidente che le norme regolatrici della materia sono norme di relazione, 

perch� se anche dettate in funzione �di un pubblico interesse mirante 
ad assicurar~, fra l'altro, una �entrata� che consenta il reimpiego delle 

PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 505 

somme nel campo dell'edilizia abitativa, prendono sicuramente in diretta 
e specifica considerazione l'interesse del privato ad acquisire il diritto 
di propriet� dell'alloggio precedentemente detenuto a titolo di semplice 
locazione. 

Anche, per�, nella fase � sub-procedimentale � di quantificazione del 
valore venale o, secondo i casi, del costo di costruzione, demandata alla 
Commissione istituita a livello provinciale e, in sede di reclamo, alla 
Commissione istituita a livello regionale, l'attivit� della Pubblica Amministrazione 
� tale che non implica affatto esercizio di potere discrezionale 
-inteso questo in senso proprio -giacch� consiste in indagini e 
valutazioni obiettive, ancorch� di carattere meramente tecnico. 

Anche qliesta attivit� della Pubblica Amministrazione deve, perci�, 
essere qualificata come attivit� vincolata, essendo indubitabile che il 
comportamento della Pubblica Amministrazione, in tema di determinazione 
del prezzo di cessione, sia interamente vincolato da norme giuridiche, 
per ci� che attiene all'adozione del relativo criterio. Infatti -come 
gi� si � osservato -se l'alloggio richiesto in cessione � da ricomprendere 
fra quelli che non sono contraddistinti da alcuna particolare specificazione, 
l'Amministrazione deve determinare il prezzo in base al �valore 
venale�, ridotto poi, del 30 % e di un ulteriore 0,25 % per ogni anno di 
effettiva (precedente) occupazione (a titolo di .locazione) da parte del 
richiedente. Se, invece, l'alloggio rientra fra quelli costruiti con il contributo 
dello Stato (e ultimati dopo il 1� luglio 1961), il prezzo di cessione 
deve essere determinato in base al � costo di costruzione �. Se, 
infine, rientra fra quelli costruiti a totale carico dello Stato per le categorie 
meno abbienti (o fra quelli costruiti dall'UNRRA-CASAS, anche con 
i fondi FRP), il prezzo deve essere pari al � 50 % del costo di costruzione 
�. Pertanto, essendo tali criteri assolutamente inderogabili, � ovvio 
che in ordine all'adozione di ciascuno di essi difetta ogni potere discrezionale 
di scelta. Il solo apprezzamento (tecnico-discrezionale) che la 
legge concede all'Amministrazione, infatti, � quello relativo alla scelta 
dei criteri di computo utili per la determinazione del � valore venale � 
(ovvero del calcolo del �costo di costruzione�); ed �, proprio, per tale 
lhnitata valutazione che la legge ha istituito Je apposite Commissioni di 
cui gi� si � detto. 

Per quanto, poi, attiene alla � direzione� delle norme che disciplinano 
tale attivit� �vincolata� (di determinazione del prezzo di cessione), 
non v'� dubbio che trattasi di norme che prendono in specifica considerazione, 
sia pure in funzione dell'interesse pubblico, posizioni soggettive 
(reciproche) riferibili ai due potenziali soggetti del costituendo rapporto 
di cessione in propriet� dell'a11oggio sicch� trattasi �di norme di 
relazione, in base alle quali assumono consistenza di diritti soggettivi 
sia l'interesse del privato (richiedente la cessione) che � tenuto al paga


111r1�1111r11111111111f11:1111111~111t111;11111111111111111&1111111111111 



506 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse del506 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse dell'ente 
cedente, cui il prezzo � dovuto e che assume la veste di titolare 
di un diritto di credito. 

Infatti, il diritto soggettivo alla cessione in propriet� dell'alloggio 
gi� assegnato in locazione non ha contenuto circoscritto solo al simmetrico, 
corrispondente obbligo della . Pubblica Amministrazione di esaminare 
positivamente la domanda del richiedente, ma ha un contenuto ben 
pi� ampio, perch� comprende anche la pretesa del richiedente stesso c4 
ottenere la cessione alle � condizioni previste. dalla legge � (sent. 30 marzo 
1972, n. 1015): e non v'� dubbio che fra tali condizioni � compresa quella 
che, con riferimento al � tipo � di aliloggio, determina la scelta del criterio 
legale di quantificazione del prezzo. Infatti, l'interesse all'assegnatario (in 
locazione) a vedere classificato -ai fini della determinazione del prezzo 
-nell'una o nell'altra categori~ l'alloggio di cui ha chiesto la cessione, 
proprio per le riilevai:iti conseguenze che ne derivano in ordine 
alla determinazione del prezzo, deve trovare la stessa tutela che, nell'ordinamento, 
trova il � diritto alla cessione >>. Non sembra, peraltro, inutile 
ricordare ancora che questo ultimo diritto inerisce non gi� a uno qualunque 
degli alloggi di cui l'Amministrazione abbia la disponibilit�, bens� 
all'alloggio di cui il richiedente sia gi� assegnatario (art. 4 del d.P.R. del 
1959, con la sola eccezione stabilita dal secondo comma dell'art. 5); di 
modo che � ovyio che se il richiedente ha diritto a che gli sia assegnato 
proprio quell'alloggio, non pu� certo essergli disconosciuto il diritto a 
che il prezzo di cessione venga determinato in base all'effettiva situazione 
giuridica nella quale l'alloggio stesso si trova. �, in definitiva, lo 
stesso diritto soggettivo alla cessione dell'alloggio che il richiedente 
'.!sercita allorch� pretende che la determinazione del prezzo venga effettuata 
tenendo conto dell'appartenenza dell'alloggio alla categoria che gli 
� propria. Ed � ovvio che, se tale diritto viene leso, la tutela che l'ordinamento 
gli appresta sar� esclusivamente quella della giurisdizione ordinaria. 


Stabilito, quindi, ch� le norme esaminate sono norme di relazione 
(e che, peraltro, all'obbligo del cessionario di pagare il corrispettivo della 
cessione fa riscontro l'interesse, direttamente contemplato e tutelato, del 
medesimo a ottenere che il prezzo sia determinato in conformit� alle 
prescrizioni legali e, quindi, contenuto nei limiti da. esse previsti) resta 
solo da concludere che l'obbligo dell'ente di consentire la cessione ha 
come necessario e giuridico risvolto il correlativo interesse dell'Amministrazione, 
anch'esso direttamente tutelato, di conseguire il giusto prezzo, 
da determinarsi, appunto, alla stregua dei criteri come sopra stabiliti 
dalla legge. 

' Di fronte a tale impostazione, perci�, cadono gli argomenti addotti 
a sostegno della tesi contraria, secondo cui la giusta, esatta e corretta 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

valutazione di tutti gli elementi rilevanti agli effetti della determinazione 
del prezzo sarebbe in funzione non tanto degli interessi patrimoniali 
delle Amministrazioni o degli Enti proprietari o, rispettivamente, 
dei privati assegnatari, quanto, piuttosto, della destinazione delle somme 
ricavate (dalla alienazione) alla costruzione di nuovi alloggi., ai sensi dell'art. 
21 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dall'art. 11 della legge 
27 aprile 1962, n. 231 (destinazione in considerazione della quale era presumibilmente 
prevista in ogni caso, dall'art. 7, secondo comma, del citato 
d.P.R. del 1959, la legittimazione dell'Amministrazione dei lavori 
pubblici alla � impugnazione � delle deterininazioru della cominissione a 
livello provinciale). 

A siffatto rilievo, invero, pu� agevolmente contrapporsi l'osservazione 
che l'inclusione di un alloggio nell'una o nell'altra delle categorie per 
le quali sono stabiliti diversi criteri di determinazione del prezzo � attivit� 
(che, peraltro, compete all'amministrazione attiva, non gi� alle commissioni) 
sicuramente regolata da norme �di relazione�, in base a quanto 
fin'ora si � detto; di modo che, quando si parla di un interesse dell'Amministrazione 
correlato alla destinazione delle somme ricavate, ci si riferisce, 
necessariamente, a un interesse che non esclude la diretta e 
immediata considerazione, da parte del legislatore, dell'interesse del soggetto 
privato. Una situazione di mero interesse legittimo, infatti, sarebbe 
configurablie solo se l'interesse privato fosse tutelato indirettamente, 
occasionalmente, mediante una norma (di azione) che, pur incidendo 
sulle posizioni dei privati (i richiedenti) vincolasse la Pubblica Amministrazione 
in funzione del solo interesse pubblico. Ma tale ipotesi, resta 
sicuramente esclusa dalla considerazione che la norma esaminata, tenuto 
conto della sua ratio, va considerata come essenzialmente volta al, 
diretto riconoscimento dell'interesse del privato richiedente: interesse 
che, perci�, assurge al rango di diritto soggettivo. 

� conseguente, quindi, ritenere che se sussiste un diritto soggettivo 
del richiedente alla determinazione del prezzo di cessione in conformit� 
al � tipo � di alloggio richiesto, ogni contestazione ad esso relativa, da 
parte dell'Amministrazione cedente, deve trovare sede naturale davanti 
al giudice ordinario. 

L'assegnatario -come si � detto -ha un diritto soggettivo alla 
cessione in propriet�, il quale comprende anche l'interesse a che il prezzo 
venga determinato previa adozione del criterio stabilito dalla legge 
(interesse che, giova ripeterlo, trova protezione diretta per ci� che attiene 
alla individuazione della norma regolatrice del prezzo). A tale diritto, 
ovviamente, corrisponde l'obbligo dell'Amministrazione di attuare la cessione 
col rispetto dei limiti o le modalit� stabilite dalla legge, di modo 
che se i limiti o le modalit� predetti non vengono rispettati, nel senso 
che la prestazione dell'Amministrazione (cessione in propriet�) superi 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

per valore la controprestazione (prezzo della cessione), sorge ovviamente 
l'interesse dell'Amministrazione stessa a esperire i possibili rimedi. Cosicch�, 
se l'inadeguatezza del prezzo trova causa nell'erronea individuazione 
del criterio legale di determinazione (in relazione alla quale le 
posizioni dei soggetti interessati sono specificamente e direttamente contemplate), 
anche l'interesse dell'Amministrazione dovr� trovare tutela di_
retta, cio� quella che l'Ordinamento appresta per i diritti soggettivi. 

Irrilevante, perci�, si appalesa il richiamo fatto dal ricorrente alla 
.citata sentenza 9 maggio 1965, n. 1026 di queste Sezioni Unite, perch�, 
.a prescindere da ogni altra considerazione, il richiamo predetto non � n� 
pertinente n� decisivo, in quanto quel �precedente� si riferisce a una 
fattispecie diversa. Infatti, la questione allora dibattuta concerneva non 
:gi� l'individuazione del criterio legale di determinazione del prezzo, bens� 

la concreta applicazione di tale criterio, e cio� la mera quantificazione 
.del valore venale, .e poneva perci� in discussione, a istanza della stessa 
Amministrazione, la determinazione fattane in sede di reclamo dalla 
-Commissione istituita a livello regionale, alla quale -come si � accennato 
-� demandata non la soluzione di questioni giuridiche (anche se 
1a legge istitutiva la dichiara competente a conoscere dei ricorsi �contro 
la determinazione del prezzo �), ma una indagine di mera valutazione 
-che, al pari di quella istituita a livello provinciale, ha mero carattere 
tecnico. 

Pertanto, giacch�, nel caso di specie l'Amministrazione aveva agito 
-per lamentare l'erroneit� del criterio legale adottato ai fini della determinazione 
del prezzo (art. 26 del d.P.R. del 1959, come sostituito dall'art. 
14 della legge del 1962, anzich� art. 6 del d.P.R. del 1959, come 
modificato dagli artt. 4 e 5 della legge del 1962), la relativa domanda 
-doveva essere proposta davanti al giudice ordinario, del quale ultimo 
.deve, quindi, essere riaffermata la giurisdizione. 

L'eccezione proposta dal ricorrente va, quindi, rigettata; e i motivi 
.del ricorso devono perci�, essere esaminati, posto che si riferiscono a 
�statuizioni di merito pronunciate da!l giudice investito di giurisdizione. 

Va, per�, ancora rilevato che -con la seconda de1le memorie illustrative 
presentate in questa sede il ricorrente ha pure sostenuto che la 
<lomanda di nullit� del contratto e la domanda di condanna al pagamento 
del supplemento di prezzo sal:'ebbero, in realt�, due domande 
� conseguenziali >>, rispettivamente correlate � alle vere due domande 
principali (tra di loro alternative): la prima rivolta alla distruzione 
(rectius: annullamento) di un atto amministrativo, e la seconda rivolta 
.alla formazione di un nuovo atto amministrativo �. Si tratterebbe, quindi, 
di domande sottratte alla cognizione del giudice ordinario, al quale, 
invece, l'Amministrazione avrebbe chiesto: a) di affermare che il prov-
vedimento di determinazione del prezzo sarebbe affetto dal vizio di vio-i] 

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PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILI! 

lazione di legge: e il detto giudice non avrebbe giurisdizione � su di una 
domanda siffatta, proposta come oggetto principale d,el giudizio � ( � proprio 
all'accoglimento di tale domanda principale, infatti, dovrebbe ricollegarsi 
la domanda conseguenziale di nullit� del contratto�); b) di � assumere 
una funzione di amministrazione attiva, per stabilire un momento 
necessario e non dissociabile della determinazione del nuovo prezzo da 
valere per il contratto Pastorini, cio� il momento che attiene ai criteri 
-con i quali tale determinazione dovrebbe essere fatta � ( � pertanto, l'accertamento 
oggetto della vera seconda principale, al quale si ricollega 
la domanda conseguenziale di pagamento del supplemento del prezzo, 

non pu� essere conseguito davanti al giudice ordinario�). 

Con la stessa memoria sostiene, infine, che � il difetto di giurisdi


zione del giudice ordinario sarebbe rilevabile anche nell'ipotesi che esi


stesse la determinazione amministrativa del nuovo prezzo, formata dagli 

organi tecnici previsti dalla legge�; e ci� perch� in tale ipotesi �sarebbe 

dato al Pastorini di ricorrere aJ giudice amministrativo entro il termine 

�di sessanta giorni dalla data in cui avesse avuto piena conoscenza di 

detta determinazione (restando parimenti esclusa la giurisdizione del 

giudice ordinario). E quand'anche risultasse che egli ne avesse avuta 

piena conoscenza gi� in tempi remoti, ne conseguirebbe che la determi


nazione sarebbe divenuta ormai inoppugnabile ed esisterebbe, cio�, addi


rittura il titolo definitivo, alla cui formazione � rivolta la seconda vera 

domanda principale. Questa sarebbe, allora, non solo improcedibile, ma 

oltre tutto superflua �. 

Anche siffatti rilievi sono, per�, privi di fondamento. 

L'errore di impostazione in cui cade il ricorrente, com'� ,chiaro,. con


siste nel non avere individuat� nella richiesta dichiarazione di nullit� del 

contratto l'unico oggetto della domanda principale dell'Amministrazione 

(quella subordinata, di condanna al pagamento della somma risultante 

dall'applicazione del diverso criterio di determinazione del prezzo non 

viene in considerazione, non essendo stata neppure presa in esame dai 

giudici di merito). E non v'� dubbio, proprio perch� la domanda atte


neva al contratto, che la stessa non poteva essere proposta se non da


vanti al giudice ordinario. 

Giova, peraltro, ricordare che la giurisprudenza di queste Sezioni 

Unite ha chiarito, in tema di assegnazione (in locazione), che esaurita 

la prima fase (c.d. di � preassegnazione �), caratterizzata �a posizioni di 

interesse legittimo, la fase successiva, che si realizza con la � conven


zione� tra l'ente assegnatario e i<l privato, ha natura privatistica, per 

modo che le parti sono in posizione di parit�, � e quella del privato 

� caratterizzata da una situazione di diritto soggettivo azionabile da


vanti al giudice ordinario �. Ed � chiaro, pertanto, che -se sorge con


testazione in ordine alla validit� del contratto -l'azione esperibile, in 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO

510 

quanto rivolta alla tutela di diritti soggettivi, va proposta davanti al 

giudice ordinario. 

Analoga disciplina, quindi, deve ritenersi prevista in tema di ces


sione in propriet� degli alloggi, in cui, peraltro, la fase �amministra


tiva� � maggiormente circoscritta, essendo appunto limitata -come 

si � visto -al sub-procedimento di valutazione degli elementi indispen-. 

sabili per la determinazione del prezzo. Anche in tema di cessione, per


d�, se la controversia insorge sulla validit� del contratto, la relativa 

domanda -qualunque sia la parte che la propone -� devoluta alfa 

cognizione del giudice. ordinario. In tale fattispecie, ogni eventuale pro


nuncia sulla legittimit� dell'atto ammimstrativo sottostante alla forma


zione del rapporto privato non potr�, perci�, non avere carattere inci


dentale, nel senso che il giudice ordinario, cui � preclusa ogni possi


bilit� di annUJJ.lare o revocare ti:1 provvedimento stesso, si limiter� a rico


noscere l'eventuale non conformit� alla legge, per gli effetti che tale 

illegittimit� produce ai fini dell'illeceit� del comportamento della Pub


blica Amministrazione. 

L'assunto, quindi, che l'Amministrazione avrebbe, di fatto, chiesto 

al giudice (come �domanda principale�) una pronuncia di annullamento 

dell'atto amministrativo e, conseguentemente, di � sostituzione � (nella 

emanazione di un nuovo atto amministrativo) non ha fondamento nella 

realt�. L'Amministrazione delle Finanze, infatti, come si � visto, ha sem


plicemente chiesto una pronuncia di nullit� del contratto, per difetto 

di uno degli elementi essenziali di esso. 

La tesi, infine, secondo cui il provvedimento amministrativo era 

ormai divenuto inoppugnabile non � pertinente, in tema di accertamento 

della giurisdizione del giudice ordinario, oltre che erronea, perch� non 

considera che la domanda giudizia!le non coinvolgeva affatto il provve


dimento amminist:riativo di accertamento del � valore venale � o del � co


sto � dell'immobile, bens� il processo formativo della volont�, in rela


zione, appunto, a uno degli elementi essenziali del contratto. 

2. Col primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 
n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 26 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, 
(nel testo � sostituito� dall'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231) e 14 
. del d.P.R. 
23 maggio 1964, n. 655; nonch� falsa applicazione dell'art. 6, 
del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 (secondo il testo modificato dagli artt. 4 
e 5 della legge 27 aprile 1962, n. 231; e lamenta che la sentenza, accogliendo 
la tesi dell'Amministrazione (attrice-appellante), abbia negato 
che il prezzo di cessione dell'alloggio dovesse essere determinato secondo 
il criterio dndicato dall'art. 14 della legge del 1962 (applicabile 
con riferimento �a tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato 
per le categorie meno abbienti�) e abbia ritenuto, invece, che dovesse 
essere applicato il criterio dndicato dall'art. 6 della fogge del 1959, come 

I' 

I ~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

modificato d�gli artt. 4 e 5 della legge del 1962 (applicabile con riferimento 
a tutti gli altri alloggi, ivi compresi quelli costruiti �con il contributo 
dello Stato�). 

Sostiene che a tale conclusione -che si asserisce erronea -la sentenza 
sarebbe pervenuta per non aver tenuto conto che nella previsione 
dell'art. 14 della legge del 1962 erano compresi tutti gli alloggi �costruiti 
a totale carico dello Stato�; di modo che non sarebbe lecito distinguere 
tra gli alloggi semplicemente �costruiti a totale carico dello Stato� (fra 
cui quello per 11 quale si controverte) e queLli costruiti, sempre a totale 
carico dello Stato, � per le categorie meno abbienti � (assoggettabili alla 
disciplina pi� favorevole, quanto �a determinazione del prezzo, per il. cessionario). 


Deduce che la norma da ultimo citata (art. 14 della legge del 1962) 
avrebbe dovuto, invece, essere interpretata nel senso che, con essa, il 
legislatore aveva inteso prevedere una sola categoria di alloggi, cio� 
quelli costruiti �a totale carico dello Stato�, e che l'aggiunta delle parole 
� per le categorie meno abbienti � sarebbe stata del tutto superflua. 
E ci� per un triplice ordine di considerazioni: 

a) Con l'espressione � per le categorie meno abbienti.�, il legislatore 
aveva inteso indicare semplicemente gli � alloggi di tipo economico 
e popolare�: e sarebbe stata, perci�, ovvia la superfluit� dell'espressione, 
poich� tutti gli interventi dello Stato in materia di edilizia economica 
e popolare sono rivolti a soddisfare le esigenze delle categorie 
�meno abbienti� e tutti gli alloggi di tipo economico e popolare, costruiti 
direttamente o indirettamente con finanziamenti statali, sono, appunto, 
destinati alle categorie � meno abbienti �. 

b) Se dalla categoria degli alloggi �costruiti a totale carico dello 
Stato� si enucleasse una sottocategoria di alloggi diversi da quelli costruiti 
per le categorie �meno abbienti�, Ia determinazione del prezzo 
di tali alloggi sarebbe la meno favorevole per i cessionari, perch� dovrebbe 
essere fatta con riferimento al �valore venale�: di modo che 
si avrebbe un prezzo di cessione superiore a quello degli alloggi costruiti 
semplicemente �con il contributo dello Stato �, per i quali il prezzo va 
detenninato con riferimento al �costo di costruzione �. 

e) La successiva legge (art. 14 della legge 23 maggio 1964, n. 655), 
nel disporre che � per gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato 
restano ferme le norme dell'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231 �, 
non ha ripetuto le parole � per le categorie meno abbienti �, evidentemente 
ritenendo che le stesse erano � superflue� ai fini dell'individuazione 
del tipo di alloggi per i quali veniva riconfermata la precedente 
disciplina. 

Tali censure sono prive di fondamento. 


512 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Dal contesto della norma (art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231), 
infatti, risulta chiaro che il legislatore, d!isponendo che la determinazione 
del prezzo di cessione dovesse essere fatta in ragione della met� 
del costo di edificazione, per gli alloggi � costruiti a totale carico dello 
Stato per le categorie meno abbienti�, ha voluto usare un particolare 
trattamento di favore non gi� agli assegnatari indistintamente considerati, 
che avessero avuto in assegnazione un alloggio costruito interamente 
con i fond!i dello Stato, quanto, piuttosto, in favore degli assegnatari 
�che si fossero trovati, al momento della assegnazione (in locazione) 
in una particolare situazione di bisogno (all'uopo espressamente 
considerata); e, proprio perch� tali, avessero avuto assegnato un alloggio 
fra quelli costruiti, appunto a totale carico dello Stato, � per le categorie 
meno abbienti �. E ci� si ricava, in primo luogo, da un duplice 
ordine di considerazioni. 

Anzitutto, la categoria in quesyone (dei �meno abbienti�) � compresa 
in una pi� ampia previsione che include anche gli occupanti (assegnatari) 
d!i alloggi costruiti per coloro che gi� abitavano case malsane 
(legge 9 agosto 1954, n. 640), ossia persone qualificate da un particolare 
stato di bisogno; e gi� questo solo elemento induce a ritenere che quel 
regime di favore aveva riguardo non tanto al tipo di finanziamento che 
aveva consentito la costruzione, quanto, piuttosto, alle particolari condizioni 
di disagio economico dei richiedenti. 

In secondo luogo, va considerato che da tutto il complesso del sistema 
normativo non si ricava (se, appunto, non si tiene conto di quella 
ratio e di quella limitazione) il perch� dovrebbe sussistere un cos� diverso 
criterio di determinazione del prezzo di cessione per gli alloggi 
costruiti �a totale carico dello Stato� ceduti a categorie di persone diverse 
dai � meno abbienti � e per quelli ceduti alle stesse categorie di 
persone, costruiti � con il contributo dello Stato �. Non si vede, cio�, 
perch� i cessionari degli alloggi compresi nel primo gruppo, pur non 
versando in situazione di disagio economico, dovessero pagare il prezzo 
di cessione in ragione della sola met� del costo di costruzione, mentre 
i cessionari degli aJ.loggi compresi nel secondo gruppo dovessero pagare 
un prezzo pari al costo di costruzione, al netto dei contributi statali 
(sistema, questo, corretto poi dall'ai't. 14 della successiva legge n. 655 
del 1964 nel senso che il prezzo va stabilito in base al costo di costruzione, 
quale risulta dagli atti di contabilit� finale e collaudo, approvato 
dagli uffici competenti, con l'aggiunta del valore dell'area determinato 
dall'U.T.E., degli oneri di gestione e di preammortamento, dedotto il 
ricavato netto effettivo delle annualit� del contributo statale). 

La verit� � che il legislatore -come gi�, in precedenza, si � detto ha 
previsto, ai fini della determinazione del prezzo, tre categorie di 
alloggi. Nella prima, sono compresi gli alloggi costruiti dagli enti pub




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

blici, senza il concorso dello Stato. Nella seconda, quelli costruiti dagli 
enti pubblici, ma con il concorso dello Stato. Nella terza, infine, quelli 
costruiti a totaile carico dello Stato e assegnati (in focazione) a categorie 
di persone caratterizzate da un particolare stato di bisogno economico. 


Per quanto attiene alle due prime categorie di alloggi, individuate 
secondo un criterio �squisitamente obiettivo, in relazione alle quali non 
si � ritenuto di adottare un unico criterio per la determinazione del 
prezzo di cessione (anche perch� il legislatore non ha ritenuto opportuno 
imporre agli enti pubblici lo stesso sacrificio che imponeva alle amministrazioni 
statali), la legge ha, tuttavia, cercato di stabilire criteri che, 
per quanto possibile, conducessero a risultati concreti non eccessivamente 
dissimili fra loro: per una categoria (la prima), infatti," ha stabilito 
la determinazione del prezzo in base al valore venale, ridotto 
del 30 % e, ulteriormente, dello 0,25 % per ogni anno di effettiva (precedente) 
occupazione a titolo di locazione; per l'altra (la seconda), ha 
stabilito la determinazione predetta in base al costo di costruzione, con 
quel particolare meccanismo di aggiunte e di deduzioni del quale si � 
detto (e gi� questo rilievo priva di validit� quella censura che vorrebbe 
vedere un trattamento di sfavore nei confronti degli � abbienti � occupanti 
alloggi costruiti interamente a carico dello Stato che, in caso di 
cessione, dovrebbero pagare un prezzo superiore, determinato in ragione 
del valore venale dell'alloggio). 

Per la terza categoria, infine, il. legislatore ha adottato un oriterio 
totalmente diverso, senz'altro di maggior favore per gli assegnatari-cessionari, 
in quanto il prezzo .di cessione � fissato nella sola met� del costo 
di costruzione. E non si vede perch� un tale criterio di favore dovrebbe 
avere la sua ragione nel semplice fatto che gli . alloggi siano stati costruiti 
�a totale carico dello Stato�, dal momento che non sussiste ontologica 
o_ concettuale differenza tra il fatto del semplice �contributo� statale 
e quello della � totale � spesa di costruzione a carico dello Stato. 

Non resta perci�, che dare spiegazione di tale diverso. riferimento 
alla diversa condizione � economica � dei cessionari delle differenti categorie 
di alloggi: solo quella particolare condizione (di �meno abbienti�), 
infatti, spiega la ragione del diverso trattamento, non potendosi pensare 
a una �rinunzia� dello Stato rispetto alla fattispecie del semplice 
�contributo�, se non correlata ail potere-dovere (tipico dello �Stato 
sociale�) di concedere agevolazione, appunto, alle categorie �meno 
abbienti�, 

Peraltro, l'attenta difesa dell'Amministrazione (che, pure, non omette 
di ricordare che ad analoga conclusione era pervenuto il Consiglio di 
Stato, in sede consultiva, con i pareri 764/1973 e 655/1964) fa giustamente 
notare che un testo normativo (d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2) in cui si 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

514 

parla, nell'art. 1 (oltre che degli alloggi costruiti, sempre a totale carico 
dello Stato, dalle Amministrazioni delle Ferrovie dello Stato, dall'Amministrazione 
delle Poste e Telecomunicazioni e dalJe Aziende di Stato 
per i Servizi Telefonici) di � alloggi costruiti a totale carico dello Stato 
esclusi i ricoveri provvisori� (n. 4) e di �ogni altro alloggio costruito 

o da costruire a totale carico dello Stato... per il quale le vigenti disposizioni 
gi� non prevedevano l'acquisto della propriet� da parte degli 
assegnatari... � (n. 5), la pi� complessa formulazione dell'art. 26, nel 
testo risultante dalla �sostituzione� apportata dall'art. 14 della legge 
27 aprile 1962, n. 231 ( � ... tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello 
Stato per le categorie meno abbienti�) non potrebbe non avere un preciso 
significato limitativo, nel senso di individuare, nell'ambito della categoria 
degli alloggi costruiti a totale carico dello Stato di cui parla il 
citato art. l, una particolare sottocategoria avente una specifica destinazione. 
Vale, del resto, a conforto di tale conclusione, il rilievo della semplice 
interpretazione letterale della norma, apparendo chiaro che se il 
legislatore avesse inteso dettare una norma valida per tutti gli alloggi 
costruiti a totale carico dello Stato avrebbe, sicuramente, adoperato una 
espressione diversa, quale, ad esempio, � tutti gli alloggi costruiti a totale 
carico dello Stato, nonch� quelli costruiti dall'UNRRA-CASAS, anche 
con i fondi ERP, vengono ceduti�. � vero, peraltro, che la successiva 
legge (d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655), nel confermare (art. 14) la precedente 
disciplina non ha ripetuto le parole � per le categorie meno abbienti 
�. Ma fa scarsa consistenza di un siffatto argomento -introdotto 
dal ricorrente -� resa palese dal fatto che la legge in questione espressamente 
ha disposto che � restano ferme � le precedenti disposizioni 
(�per gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato restano ferme le 
norme dell'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231 �): e gi� nel secondo 
dei sopra ricordati pareri il Consiglio di Stato aveva acutamente osservato 
che se intento della norma di richiamo fosse stato quello di � estendere
� (a tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato) la disciplina 
particolare prevista dall'art. 14 della legge del 1962, l'espressione adoperata 
(�restano ferme�) sarebbe risultata assolutamente impropria, perch� 
in realt� si sarebbe disposta una �estensione�, non gi� la conferma 
di una �limitazione�. 

Non risponde al vero, infine, che tutti gli alloggi costruiti a totale 
carico dello Stato sarebbero sempre destinati alle categorie �meno abbienti
�. In contrario infatti, basta ricordare le costruzioni �a carattere 
popolare � fatte a totale carico del Ministero dei Lavori Pubblici, nei 
Comuni particolarmente danneggiati dalla guerra (art. 55 del D.L.C.P.S. 
10 aprile 1947, n. 261), per essere assegnate agli sfollati, ai profughi, ai 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

funzionari dello Stato e altri enti pubblici, ai mutilati e invalidi di guerra, 

ai reduci, ai partigiani e agli ex combattenti. 

Il motivo di ricorso esaminato deve, pertanto, essere respinto. 

Col secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, ri. 3 
cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell'art. 1418 cod. civ. 

Nella premessa che trattasi (al pari di quelle che seguono) di censura 
proposta in via subordinata (subordinata, cio� al mancato accoglimento 
del primo motivo di ricorso), il ricorrente censura la sentenza 
nel punto in cui ha ritenuto che la norma contenuta nell'art. 6 del d.P.R. 
17 gennaio 1959, n. 2, come modificato dag1i artt. 4 e 5 della legge 27 aprile 
1962, n. 231, sia norma di carattere imperativo e che la mancata osservanza 
(in sede di determinazione del prezzo della cessione) delle disposizioni 
in essa contenute sia, pertanto, motivo di nullit� del contratto di 
cessione. 

Sostiene che la norma predetta non avrebbe affatto carattere imperativo, 
� tale da rendere drasticamente vietata e irrimediabilmente invalida 
una pattuizione difforme�. Si tratterebbe, infatti, -secondo l'assunto 
-di una pr~visione normativa �dettata nell'interesse degli assegnatari, 
siccome rivolta a favorire le cessioni mediante contenimento 
del prezzo al di sotto del livello del valore venale�; di modo che, �un 
ulteriore abbassamento del prezzo al di sotto di tale livello potrebbe 
determinare, se mai, una responsabilit� amininistrativa di chi lo avesse 
(ingiustificatamente) disposto, non gi� infirmare la pattuizione attuativa
�. 

Aggiunge poi, che non tutte le norme imperative hanno la medesima 

intensit�, essendovi fra esse anche quelle minus quam perfectae (quale 

la norma in questione, la quale non prevede alcuna espressa sanzione 

di nullit�), la cui inosservanza non inciderebbe sulla validit� di una sti


pulazione difforme. 

Anche questa censura � infondata. 

Il carattere imperativo delle norme dettate per la determinazione del 

prezzo di cessione era stato gi� ritenuto ed esplicitamente affermato 

dalla ricordata sentenza di queste Sezioni Unite (25 maggio 1965, n. 1026), 

la quale aveva osservato che l'attivit� degli organi preposti a tale deter


minazione � regolata non gi� in funzione diretta e immediata di un 

interesse degli enti del quale il legislatore abbia inteso assumere la 

diretta protezione, bens� in funzione dell'equo contemperamento dell'esi


genza pubblicistica di realizzare i cennati fini assistenziali con l'esigen


za, anche essa di pubblico interesse, di contenere (al di fuori di ogni 

intento speculativo) :hl prezzo di cessione entro i limiti TIO!Il ffiferiori ail 

costo reale di produzione degli alloggi, pur procurando di renderlo il 

pi� possibile vantaggioso e ridotto, come particolarmente si evince dal 

raffronto fra gli artt. 4 e 6 della legge 27 aprile 1962, n. 231. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

516 

L'imperativit� di tale norma poi, � stata ribadita da altre pronunce 
cli questa Corte Suprema (sent. 22 settembre 1970, n. 1655 e 10 giugno 1977, 

n. 2392), sul rilievo che, cos� come l'ente proprietario non potrebbe pretendere 
dall'assegnatario-cessionario un prezzo superiore a quello risultante 
dall'applicazione delle norme (in considerazione delle particolari 
finalit� sociali che hanno indotto il legislatore a fissare rigorosamente i 
criteri di determinazione del prezzo. di cessione), cos� l'assegnatario non 
potrebbe pretendere di pagare un prezzo inferiore (e ci� anche perch� 
l'interesse pubblico dello sviluppo dell'edilizia popolare ed economica 
verrebbe ad essere pregiudicato da una mancata reintegrazione delle 
fonti di finanziamento). 
Tale impostazione deve ora essere riconfermata, col conseguente rilievo 
che correttamente la Corte 'di appello ha ritenuto il contratto di cessione 
affetto da nullit� (e non da semplice annullabilit�, come aveva ritenuto 
il primo giudice) per vdolazione di norme imperative. Anche questo 
secondo motivo di ricorso, pertanto, deve essere respinto. 

Col terzo motiv�, il ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, n. 3 cod. 
proc. civ., la violazione degli artt. 1419 e.e. e 4 del d.P.R. 17 gennaio 1959 

n. 2 (nel testo �sostituito� dall'art. 3 della legge 27 aprile 1962, n. 231). 
Censura ancora la sentenza impugnata nel punto in cui ha dichiarato 
la nullit� dell'intero contratto a causa delle nullit� deMa clausola 
relativa alla determinazione del prezzo di cessione. Sostiene che tale 
dichiarazione di nullit� sarebbe erronea, in quanto contrasterebbe: 

b) col principio stabilito dal primo comma dell'art. 1419 e.e., 
poich� l'ipotesi da tale norma prevista � manifestamente non ricorreva 
nella specie e, comunque, non � stata in alcun modo richiamata dalla 
Corte di Appello�; 

b) col principio stabilito dal secondo comma dello stesso articolo 
(ai sensi del quale le nullit� di singole clausole nulle sono sostituite da 
norme imperative), dato che, �nella specie, dalla stessa qualificazione 
data dalla Corte di Appello alla norma concernente la determinazione 
del prezzo discendeva necessariamente che alla clausola difforme era da 
considerarsi sostituita la norma anzidetta, senza alcun pregiudizio per 
la �validit� del contratto�; 

e) col principio enunciato nell'art. 4 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 
(come modificato dall'art. 3 della legge 27 aprile 1962, n. 231), il quale 
escluderebbe che il diritto soggettivo perfetto dell'assegnatario alla cessione 
dell'ahloggio (cui corrisponde un obbligo dell'Amministrazione, tenuta 
alla stipulazione del relativo contratto) possa venir travolto in dipendenza 
di un errore, per di pi� imputabile alla stessa Amministrazione, 
sui criteri da applicare per la determinazione del prezzo. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Anche tali rilievi sono privi di fondamento. 

Prendendo spunto dall'ultima delle censure formulate, va chiarito 
che, secondo l'esatta impostazione della pronuncia impugnata, la dichiarazione 
di nullit� non incide affatto .sul diritto soggettivo (del richiedente) 
alla cessione in propriet�, ma concerne semplicemente il contratto 
di cessione (come atto negoziale). L'art. 4 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, 
infatti, dispone' che � hanno diritto alla cessione in propriet� coloro che 
al momento della pubblicazione dei bandi di cui all'art. 10 sono assegnatari 
di case contemplate dalle presenti norme�; ed � chiaro che tale 
diritto non viene meno per il solo fatto che sia stato commesso un errore 
in fase di stipulazione del contratto e che l'Amministrazione abbia 
chiesto al giudice di porvi rimedio. La formula .dispositiva della sentenza 
impugnata, del resto, non lascia al riguardo dubbi di sorta, essendo 
stato, semplicemente, dichiarato � nullo e inefficace il contratto �. 

Sempre a proposito di tale censura, con Ja prima delle memorie illustrative 
presentate in questa sede, il ricorrente ha sostenuto che, in 
base alla normativa sopravvenuta, risulterebbe �priva di senso la declaratoria 
di nullit� (del contratto), ove questa divenisse definitiva�. Tale 
rilievo ha riferimento al disposto dell'art. 52, primo comma, della legge 
5 agosto 1978, n. 457 che ha aggiunto, al capoverso dehl'art, 27 della legge 
8 agosto 1977, n. 513 il seguente periodo: �Si considera stipulato e concluso 
il contratto di compravendita qualora l'ente proprietario o gestore 
abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il 
relativo prezzo di cessione, se non previsto dalla legge �. E proprio richiamandosi 
a tale disposto normativo, il ricorrente testualmente osserva: 
� Poich�, nella specie, Ja domanda di cessione fu accettata e il prezzo 
comunicato (tanto che si pervenne alla stipulazione e alle volture catastali 
e tavolari), esisterebbe, pur sempre, in ogni peggiore ipotesi, un 
contratto ex lege che renderebbe priva di senso la declaratoria di nullit� 
(ove questa divenisse definitiva): non potendosi distruggere ci� che 
la legge espressamente considera stipulato e concluso �. 

/ 

Siffatta chiave di lettura deHa norma sopravvenuta �, per�, sicuramente 
erronea. 
Dopo che la Corte di Appello aveva pronunciato la sentenza in questa 
sede impugnata, � sopravvenuta la legge 8 agosto 1977, n. 513 che, 
con l'art. 27 (primo comma), ha espressamente abrogato la disciplina 

sancita dal d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e successive modificazioni, nonch� 
dalla legge 14 febbraio 1963, n. 60, concernente la cessione in propriet� 
degli alloggi (del medesimo tipo) appartenenti a1la gestione INACasa 
e assegnati in locazione con patto di futura vendita o in locazione 
semplice, nonch� tutte le disposizioni � che comunque disciplinano il 
trasferimento in propriet� agli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale 
gi� assegnati in locazione semplice�. Col secondo comma, poi, lo 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

stesso articolo ha disposto, in via transitoria, che fo domande per le 
quali non fosse stato stipulato il contratto di cessione in propriet� 
dovessero essere confermate entro sei mesi dalla data di entrata in 
vigore della legge, a pena di �decadenza dell'interessato da ogni diritto
�, 

Dopo la proposizione del ricorso, poi, � sopravvenuta la legge 5 agosto 
1978, n. 457 che, con l'art. 52, ha aggiunto al detto secondo comma del 
citato art. 27 il periodo pi� sopra integralmente riportato. � stato, inoltre, 
prorogato iJ termine di presentazione delle domande ed � stato modificato, 
per le domande non ancora accettate ma confermate, il sistema di 
determinazione del prezzo di cessione, essendosi stabilito che, fermo re� 
stando il riferimento al valore venale (determinato ai sensi del terzo 
comma del citato art. 27, il quale rinvia al successivo art. 28), lo stesso va, 
per�, ridotto dell'art. 1,50 % per ogni anno di effettiva occupazione dell'alloggio 
da parte del richiedente, fino a un limite massimo di venti anni, 
con una ulteriore riduzione del 10 % da applicarsi al caso in cui il richiedente 
fruisca di un reddito annuo non superiore alle L. 4.800.000. Altre. 
modifiche sono state, pur disposte per ci� che attiene alla detrazione, dal 
prezzo, delle migliorie eventualmente apportate dall'assegnatario, la riduzione 
al 15 % della quota in contanti da versare per il caso di acquisto 
rateale da parte dei titolari di redditi inferiori alla misura predetta e al 
30 % per i percettori di redditi inferiori. 

Tale complesso normativo (la cui legittimit� � stata affermata dalla 
Corte Costituzionale con la sentenza 23 luglio 1980, n. 122) implica, come 
� evidente, una completa revisione dei principi di favore precedentemente 
accolti in materia, .ispirata -come risulta dai lavori preparatori -da 
un'incombente crisi economica e strutturaJe del settore, manifestatasi a 
seguito sia delle gravi carenze di disponibilit� per il finanziamento del-
l'edilizia economica e popolare, le cui necessit� assurgevano a valori 
elevatissimi, sia alle disfunzioni dei meccanismi di base dell'investimento 
e della produzione edilizia del settore. Il legisJatore ha ritenuto, perci�, 
di sopprimere praticamente, per l'avvenire, la possibilit� di cessione in 
propriet� degli alloggi di tipo economico e popolare; ha, per�, con la 
norma transitoria, fatte salve alcune situazioni pregresse, stabilendo 
-come si � visto -che � si considera stipulato e concluso il contratto di 
compravendita, qualora J'Ente proprieario o gestore abbia accettato la 
domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di 
cessione, se non previsto dalla legge �. 

Ora, il ricorrente, deducendo che col sopravvenire �di detta normativa 
diventerebbe praticamente inutile una declaratoria di nullit� del contratto 
in questione, sembra, in definitiva, ritenere che, si sia in pratica 
determinata una cessazione della materia del contendere, in quanto, 
quando anche fosse dichiarato nullo il contratto predetto ad esso sa



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 519 

rebbe, ex lege, sostituito un nuovo e diverso contratto, da intendersi 
� come stipulato � per il semplice fatto che, a suo tempo, vi era stata 
la accettazione della domanda e la comunicazione del prezzo, da parte 
dell'ente proprietario o gestore. 

Siffatta impostazione, per�, non pu� essere condivisa, sia perch� la 
norma transitoria in esame non considera affatto l'ipotesi del contratto 
gi� stipulato (ed anzi presuppone proprio la situazione contraria), sia perch� 
la fictio delineata da quella norma, quanto meno nella sua formulazione 
letterale, � in sostanza prevista -come pi� avanti si chiarir� ad 
effetti limitati, e certo non � tale da precludere alla parte interessata 
la possibilit� di far valere gli eventuali vizi della domanda di cessione, 
della correlativa dichiarazione di adesione e della comunicazione del 
prezzo (come, ad esempio, nel caso in cui l'adesione sia stata formulata 
in riferimento a domanda di un soggetto privo di legittimazione, o nel 
caso in cui il prezzo comunicato non sia stato determinato alla stregua 
della normativa vigente) o qualsiasi altro vizio da cui risulti comunque 
inficiato il processo di formazione e di incontro delle due volont�. E 
ancora meno si pu� ritenere che la portata effettuale della norma transicoria 
valga a sanare o neutralizzare i predetti vizi, e le nullit� che ne 
conseguono, perfino nell'ipotesi in cui, essendo stata gi� stipulata la convenzione, 
tra le parti sia gi� insorta controversia sulla validit� di essa. 
� chiaro, infatti, che in tale caso la controversia deve continuare fino alla 
!"Ua completa risoluzione. Il che, peraltro, non e~clude -come osserva 
la stessa Amministrazione resistente -che in altra sede si possa e si 
debba pur sempre vagliare se si siano comunque verificati i presupposti 
per la operativit� della predetta norma transitoria (e cio� l'accettazione 
della domanda e la comunicazione del prezzo) e quindi, se la declaratoria 
di nullit� del contratto possa non pregiudicare il diritto dell'assegnatario 
alla cessione in propriet� dell'alloggio in conformit� della normativa 
abrogata (o se, comunque, la cessione possa e debba essere attuata 
-per quanto attiene alle relative condizioni ed alla determinazione del 
prezzo -in base alle nuove norme dettate dall'art. 28 cit. legge n. 513 
del 1977, cos� come modificato dall'art. 52 legge 45 del 1978: cfr. al riguardo 
la sent. 9 maggio 1981, n. 3062). 

Ma vi � di pi�: in sede interpretativa � senza dubbio decisiva l'osservazione 
-opportunamente suggerita dalla difesa dell'Amministrazione 
-che la norma transitoria in esame non esonera, neppure quando 
ricorrano i presupposti da essa contemplati, da un'effettiva stipulazione 
del contratto. La cessione in propriet�, invero, poteva essere attuata solo 
seguendo un iter iil cui atto terminativo, era appunto, la stipulazione del 
contratto; e poich� la detta norma transdtocia non ha appunto inteso im1ovare 
rispetto ai procedimenti e alle forme di stipulazione dei contratti pirevisti 
dalle singole Jeggi che gi� prevedevano fa soppressa facolt� di riscatto 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

520 

degli alloggi assegnati in locazione (e l'art. 10 del d.P.R. 17 gennaio 1959, 

n. 2, gi� prevedeva, dopo la comUlllicazione del prezzo, ila stipulmone del 
contratto), la stessa deve necessariamente essere interpretata nel senso 
che ha, semplicemente, inteso porre una fictio iuris valida ai limitati fini 
di estendere. la 1sfera delle posizioni sa:lvaguardate dalla norma abrogatrice. 
La norma transitoria, cio�, si limita, in definitiva, a far salvo 
il diritto alla cessione in propriet� di quell'assegnatario che, all'intervenire 
della norma abrogatrice, si fosse trovato in quelle determinate condizioni; 
ma la semplice ricorrenza di queste ultime, a dispetto della terminologia 
del legislatore (�si considera stipulato e concluso il contratto�), 
non � di per s� idonea a creare il vincolo contrattuale, n�, di conseguenza, 
a operare il trapasso della. propriet�, se non intervenga, poi, l'effettiva 
stipulazione del contratto. E poich� la controversia concerne, proprio, la 
'!alidit� del contratto stipulato, appare vieppi� evidente che la 'norma 
transitoria predetta non ha, �affatto, sanato i vizi che inficiano il contratto 
predetto. 
Infondata, �, poi, anche la prima delle riportate censure contenute 
nel motivo di ricorso in esame, dovendosi ritenere fuori della previsione 
dell'art. 1419, primo comma, cod. civ. (il quale pu� trovare applicazione 
solo quando la parte del contratto o la clausola colpita da nullit� abbia 
un'esistenza autonoma e non concerna, invece, un elemento essenziale del 
negozio: sent. 10 gennaio 1975, n. 91), il caso di nullit� che investe la 
controprc:stazione del trasferimento del bene oggetto del contratto, che 
� elemento essenziale del contratto stesso. 

L'operativit� di tale norma, peraltro, � ben difficilmente configurabile 
quando una delle parti sia la Pubblica Amministrazione, la cui attivit� 
contrattuale � interamente regolata dalla legge e nei cui confronti non 
� neppure ipotizzabile quella indagine che Ja norma, invece, presuppone 
come possibile, intesa ad accertare se i contraenti avrebbero, o non, concluso 
il contratto senza quella parte del suo contenuto che � colpita da 
nullit�. � stato, infatti, gi� ritenuto (sent. 14 febbraio 1974, n. 420) che se 
anche dovesse, in aderenza alla suggestione volontaristica della formula 
legislativa, ricercarsi la consistenza dell'orientamento psichico delle parti 
di fronte alla previa conoscenza dell'invalidit�, � certo che la Pubblica 
Amministrazione non potrebbe consapevolmente determinarsi alla stipulazione 
di un negozio contrario a norme imperative. Di modo che, se 
anche una volont� intesa in tal senso si venisse a formare, il negozio 
(residuale) posto in essere risulterebbe esso stesso nullo per contrariet� 
alla legge. Una volont� tesa ail perseguimento di un assetto di interessi contra 
legem, infatti, non potrebbe utilmente essere valorizzata per far 
salvo il contratto depurato della clausola nulla. 

Infondata �, anche, la seconda delle riferite censure, giacch� l'inserzione 
automatica delle norme imperative, in sostituzione delle clausole 
contrattuali <affette da nullit�, pu� verificarsi (a norma deltl'art. 1419, 


PARTl! I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

-:;econdo comma, cod. civ.) solo quando la sostituzione debba avvenire 
di diritto in forza di un'espressa disposizione di legge che imponga, 
appunto, la sostituzione di determinate norme alle clausole contrattuali 
da esse difformi, le quali norme imperative (che si sostituiscono di diritto 
alle clausole difformi) sono sempre dirette ad assolvere, nell'economia 
del contratto, la medesima funzione a cui erano destinate le clausole 
sostituite (sent. 12 luglio 1965, n. 1464). E questa ipotesi, palesemente, 
non ricorre nel caso di specie, dato che, nei contratti di cessione in 
propriet� di alloggi di tipo economico e popolare, alla imperativit� della 
norma che stabilisce il criterio legale di determinazione del prezzo (valore 
venale o costo di costruzione) non 1si accompagna contestualmente 1a 
precisazione dell'importo del prezzo stesso, la quale � invece demandata 
-previa individuazione del criterio applicabile -ad organi (le apposite 
commissioni o gli uffici del genio civile) estranei, oltretutto, all'una parte 
contraente, secondo apprezzamenti o accertamenti tecnico-contabili. 

D'altronde, come gi� � stato osservato con la citata sentenza 25 maggio 
1965, n. 1026, il rapporto tra ente proprietario e assegnatario-cessionario 
non � assimilabile indiscriminatamente agli ordinari rapporti interprivati 
a prestazioni corrispettive, data la connotazione per certi aspetti 
pubblicistica del rapporto medesimo. Mentre, infatti, l'Amministrazione o, 
in genere l'ente proprietario o gestore sono (rectius: erano), comunque, 
obbligati alla cessione, qualunque sia o venga a risultare la misura 
del prezzo, determinato a norma di legge, l'assegnatario pu�, per contro, 
variamente determinarsi, secondo che il prezzo venga a risultare di una 
supposta o di altra maggiore misura, nell'alternativa tra l'acquisto _della 
propriet� o la conservazione dell'alloggio in locazione semplice (art. 10, 
sesto comma, del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, nel testo modificato dal� 
l'art. 7 della legge 27 aprile 1962, n. 231). Ci� che, evidentemente, conferma 
come sarebbe stato oltretutto impossibile dettare una norma (imperativa) 
che si sostituisse, di diritto, alla clausola da essa difforme. 

Col quarto e Uiltimo motivo, infine, il ricorrente, denuncia, ai sensi 
dell'art. 350, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 1338 cod. civ.; 
nonch� ai sensi delJ�art. 360 n. 5 cod. proc. civ., �motivazione insufficiente 
e contraddittoria su un punto decisivo �. 

Censura la sentenza nel punto in cui ha respinto la domanda riconvenzionale 
di risarcimento dei danni per responsabilit� precontrattuale e 
sostiene che a tale condusione la Corte di appello sarebbe pervenuta per 
non avere tenuto conto che il procedimento di determinazione del prezzo, 
nel quadro della normativa considerata, si svolge(va) autoritativamente 
ad �sclusiva cura dell'Amministrazione, la quale, in concreto, ha provveduto 
(appunto, unilateralmente) a tale determinazione, � dissentendo, 
consapevolmente e responsabilmente, dall'erroneo parere reso dal Con~ 
siglio di Stato �. Sostiene quindi, che erroneamente la detta Corte avrebbe 
fatto applicazione, al caso concreto, del principio giurisprudenziale se



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

522 

condo cui non sussiste responsabilit� precontrattuale quando la causa di 
invalidit� derivi da violazione di norme imperative, in quanto entrambi 
i contraenti sono tenuti in eguale misura o conoscerle, usando la normale 
diligenza. 

Anche quest'ultima censura � priva di fondamento. 

La sentenza Jmpugnata, irnvero, ha in modo del tutto corretto fatto 
applicazione della regola, pi� volte enunciata da questa Corte Suprema 
(v., per tutte, le sentenze 11 luglio 1972, n. 2325), secondo cui non pu� 
configurarsi responsabilit� per colpa in contrahendo, quando la causa di 
invalidit�. del negozio, ancorch� nbta a uno dei contraenti e da questi 
taciuta, derivi da una norma di legge che, per presunzione assoluta, deve 
essere nota alla genericit� dei sottoposti all'ordinamento giuridico. 

L'appliabilit� di tale regola, invero, non resta esclusa dal fatto che la 
determinazione del prezzo sia, dalla legge, affidata all'Amministrazione 
(o, in genere, agli enti proprietari o gestori), se non altro perch� come 
ha esattamente osservato la difesa della resistente -prima della 
stipulazione del contratto l'Amministrazione stessa deve (rectius: doveva) 
comunicare all'interessato i valori non ancora definitivi (art. 10 del 

d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, nel testo �sostituito� dall'art. 7 della legge 
27 aprile 1962, n. 231) o il prezzo definitivamente modificato; e in tale 
momento l'assegnatario ha la possibilit� di valutare la congruit� dei 
valori e la conformit� a legge del criterio di determinazione del prezzo 
(in base al valore venale, ovvero al costo di costruzione) e di esperire 
gli appropriati mezzi di tutela, in sede amministrativa o giurisdizionale, 
per far accertare il giusto criterio di determinazione del prezzo stesso. 
Sicch�, quando, stipulando iJ contratto, aderisce senza contestazione al 
prezzo determinato dall'Amministrazione, egli non soggiace affatto a un 
atto autoritativo, ma compie lllil atto del tutto ilii.bero, rne11'autonomo coovincimento 
della sua conformit� al diritto o, comunque, al suo interesse. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 958 -Pres. Mazzacane 
-Rel. Moltese -P. M. Leo -Inam .(Avv. Stato Corti) c. Zarrelli. 

Professioni -Sanitario � Farmacista -Prestatore d'opera intellettuale Convenzione 
nazionale Inam -Associazione categoria -Natura -Effetti 
vincolanti -Nozione. 

Sanitario -Farmacista -Convenzione nazionale Inam -Associazione categoria 
-Termine di durata -Recesso prima della scadenza -Compatibilit� 
-Fattispecie. 

Poich� il farmacista � considerato un professionista sanitario, � appropriato 
l'inquadramento del rapporto intercorrente tra l'Jnam ed il 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 523 

farmacista nella categoria del contratto di prestazione d'opera intellettuale, 
con la conseguenza che il solo fatto dell'appartenenza del farmacista 
all'associazione di categoria comporta nei suoi confronti l'operativit� 
della convenzione normativa esistente con gli enti assistenziali ed il 
sorgere, con la spedizione della ricetta e lo svolgimento degli ulteriori atti 
� dovuti�, del titolo del suo obbligo di consegnare il medicinale agli assistiti 
e del suo diritto ad addebitarne il costo all'ente assistenziale. Pertanto, 
le disposizioni della convenzione, la quale ha natura di accordo 
privato, si traducono, nei confronti del singolo farmacista iscritto alla 
Associazione stipulante, sul contenuto di un contratto preliminare normativo 
(pactum de modo contrahendo) vincolante le parti nei singoli rapporti 
attuativi, che si realizzano, con i prescritti adempimenti fra il farmacista, 
l'Inam e l'assistito, beneficiario della prestazione (1). 

L'apposizione di un termine al contratto di prestazione d'opera intellettuale 
di durata non pu� essere risolta aprioristicamente come preclusiva 
delle facolt� di recesso, essendo la previsione del termine compatibile 
con tale facolt� se ci� pu� desumersi dalla volont�, tacita o espressa, 
delle parti , che, nel prevedere una disciplina delle infrazioni alla convenzione, 
da accertarsi da apposite commissioni, hanno posto una deroga 
implicita all'art. 2237 cod. civ. (2). 

I giudici d'appello, invero, hanno imperniato le proprie argomentazioni 
sull'affermazione della necessaria inerenza al rapporto INAM-Zarrelli 
del termine finale previsto dalla convenzione nazionale del 1959 
e sul conseguente effetto preclusivo, dovuto alla presenza del termine, 
della normale facolt� di recesso ad natum, di cui all'art. 2237 cod. civ., 
nel rapporto di lavoro autonomo avente per oggetto una prestazione d'opera 
professionale, che (com'� riconosciuto dalla giudsprudenza nella parallela 
ipotesi del rapporto intercorrente fra l'I.N.A.M. e il medico convenzionato: 
Cass. 22 ottobre 1972, n. 3284) si instaura fra il singolo farmacista 
e l'I.N.AM. 

In base a tale premessa, la Corte d'appello implicitamente riconosce 
che, ove di un termine siffatto non si potesse parlare, opererebbe fra le 
parti, salvo una speciale disposizione contraria, la regola �generale di 
diritto comune dell'art. 2237 cod. civ. sulla libera facolt� di recesso. 

Ne consegue che solo aderendo al secondo profilo di censura con cui 
si tende ad escludere l'esistenza del termine e quindi a negare una deroga 
tacita all'art. 2237 cod. civ., si porrebbe l'ulteriore problema se nella 
convenzione nazionale del 1959, in mancanza di norme espresse, regola


(1-2) Sulla prima massima cfr. Cass., Sez. Lav., 28 marzo 1974, n. 880; Sez. Un 
10 settembre 1976, n. 3130; sulla seconda, oltre le sentenze citate in motivazione, 
cfr. Cass. Sez. Lav. 6 agosto 1975, n. 2995. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trici in modo autonomo della facolt� di recesso, le disposizioni sulla 
sospensione e sull'esclusione del farmacista dal servizio per effetto di 
determinate infrazioni ivi previste comportino, per altra via, una deroga 
tacita -e dii quale estensione -alla norma generale dell'art. 2237 
cod. civ. 

Tale questione, appunto, viene posta dal ricorrente nello svolgimento 
del primo profilo di censura col rilevare l'assenza, nella convenzione 
del 1959, di una particolare disciplina del recesso, a differenza 
della detta convenzione sanitaria del 1966 (esaminata nella sent. Cass. 
28 settembre 1978, n. 6106), con la conseguenza, a suo dire, della piena 
efficacia fra le parti della disposizione generale citata dall'art. 2237 
cod. civ. 

Osserva questo Collegio che il secondo motivo di censura -pregiudiziale, 
come si � detto, al primo -appare fondato. 

Va premesso che il farmacista � tradizionalmente considerato un professionista 
sanitario, la cui attivit�, seppure indissolubilmente legata alla 
.alienazione dei prodotti medicinali e quindi all'esercizio di una impresa 
commerciale (permeata di caratteri pubblicistici), pur sempre concreta lo 
svolgimento di una professione intelletuale. Perci�, in considerazione 
.di questo preminente connotato qualificante, � appropriato l'inquadramento 
del rapporto intercorrente fra l'l.N.A.M. e il farmacista nella 
categoria del contratto di prestazione d'opera intellettuale. 

Inoltre, per quanto riguarda la correlazione fra la convenzione nazionale 
l.N.A.M.-Associazione di categoria e i concreti rapporti individuali 
fra il medesimo istituto e i singoli farmacisti, � opportuno ricordare 
secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, che il solo fatto dell'appartenenza 
del farmacista alle associazioni stipulanti (rispettivamente la 
spedizione della ricetta e i connessi adempimenti da parte del farmacista 
non iscritto) comporta nei suoi confronti l'operativit� della convenzione 
normativa esistente con gli enti assistenziali e il sorgere, con la spedizione 
della ricetta e lo svolgimento degli ulteriori atti dovuti, del �titolo del 
suo obbligo a consegnare il medicinale agli assistiti e del suo diritto 
ad addebitarne il costo all'ente assistenziale� (sent. 10 settembre 1976, 

n. 3130). 
Pertanto le disposizioni della convenzione, la quale ha natura di 
accordo privato, si traducono, nei confronti del singolo farmacista iscritto 
.all'associazione stipulante e dell'l.N.A.M., nel contenuto di un contratto 
preliminare normativo (p�ctum de modo contrahendo) vincolante le parti 
nei singoli rapporti attuativi, che si realizzano, con i prescritti adempimenti, 
fra il farmacista, l'l.N.A.M. e l'assististo, beneficiario della prestazione 
per conto dell'l.N.A.M. (per analoghe considerazioni, con riferimento 
al rapporto tra l'I.N.A.M. e i medici convenzionati, v. Cass., 
28 marzo 1974, n. 880). 


1"A DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 525 

... �onvenzione nazionale del 1959 -oggi non pi� in vigore 


,,,e�'ogazione delle prestazioni farmaceutiche agli assistiti dall'INAM 
1rti:1ubbiamente conteneva la clausola di tacita rinnovazione, di anno in 
anno, in mancanza di tempestiva disdetta da una delle parti, entro il 
30 giugno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento (art. 37, 

u. co.). Di conseguenza, i singoli contratti normativi che, per le ragioni 
esposte, si costituivano ipso iure nei confronti dei farmacisti iscritti, 
non avrebbero potuto, ovviamente, sopravvivere all'efficacia nel tempo 
de11a convenzione, caducata, in ipotesi, per effetto di una tempestiva 
disdetta. 
Tuttavia, contrariamente a quanto afferma la Corte d'appello, ci� 
riguarda l'esistenza, non il valore, l'efficacia giuridica del termine. 

I giudici d'appello rilevano che secondo la pi� recente giurisprudeI1Z2i 
di questa corte, l'apposizione di un termine al contratto di prestazione 
d'opera !intellettuale di durata comporta una deroga alla facolt� di 
recesso dell'art. 2237 cod. civ., con esclusione di un diritto del contraente 
di recedere ad natum in pendenza del termine (sent. Cass. 6 agosto 1975, 

n. 2995 e 7 ottobre 1976, n. 3325), mentre le decisioni meno recenti riconoscevano 
al termine pattuito la sola funzione di determinare la durata 
massima del rapporto, lasciando immutata la facolt� di recesso (Cass., 
3 aprile 1974, n. 947). 
Ne deducono che, nel caso concreto, il tradursi della previsione di 

un termine fiI~ale nel contenuto vincolante del contratto normativo fra 

le parti di per s� realizzerebbe, per 11 singolo farmacista aderente alla 

convenzione, la stessa ipotesi, esaminata dalla giurisprudenza, dell'appo


sizione convenzionale di un termine al contratto di prestazione d'opera 

intellettuale, escludente -secondo il pi� recente indirizzo -la facolt� 

di recesso, per deroga implicita alla disposizione generale dell'art. 2237 

cod. civ. 

Ritiene, invece, questo collegio che, riconosciuta l'esistenza del ter


mine, la questione del valore, cio� dell'efficacia giuridica di esso, -non 

possa essere aprioristicamente risolta con un'apodittica affermazione di 

principio sulla sua natura di termine di durata minima, prooluSI�vo della 

facolt� di recesso e vincolante le parti. 

Trattasi, pur sempre, di una � quaestio voluntatis �. E ne d� atto, sia 

pure incidentalmente, la stessa giurisprudenza sopra citata, nel rilevare 
.che �il termine di durata massima esige espressioni tendenti a chiarire 
che il rapporto si esaurisce �entro� un certo periodo, in maniera che sia 
prevista l'eventualit� di cessazione del rapporto prima dell'esaurimento 

del termine � (sent. n. 2995 del '75 citata). 

Secondo una formulazione pi� ampia, comprensiva di ogni possibile 
atteggiarsi della volont� delle parti, s� dovr� dire che, per stabilire la 
natura del termine sar� determinante la � ratio � della disposizione che 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lo contempla, rispettivamente di ogni altra norma facente parte del 
sistema della convenzione. 
Ora, per quanto riguarda la disposizione, in s� considerata, dell'art. 37, 

u. co. della convenzione del '59, basta individuarne il fine per rendersi 
conto che, anche trad.ucendosd nel contenuto dei sdngali contratti normativi, 
il termine in essa previsto non poteva assumere significato diverso 
da quello di semplice termine massimo della convenzione e dei vari 
rapporti attuativi. 
La norma, infatti, �veva semplicemente lo scopo di assicurare alle 
parti -I.N.A.M. e associazioni stipulanti -la possibilit� di una revisione 
degli accordi, secondo le nuove prevedibili esigenze del servizio e degli 
assistiti. 

Ognuno dei contraenti, pertanto, rimaneva vincolato per il solo periodo 
massimo di un anno, ailla scadenza del quale poteva, previa tempestiva 
disdetta, imporre il riesame della disciplina fino a quel momento 
in vigore. 

La vicenda, necessariamente pedissequa, dei singoli contratti norma1:
ivi, ne condizionava l'efficacia alla mancata disdetta della convenzione 
e ne assicurava, pertanto, una durata massima non superiore ad un anno. 

Questa soltanto era la portata dell'art. 37 u. co. della convenzione 
del '59. 

Non si pu�, quindi, in contrasto con l'interpretazione della volont� 
delle parti, attribuire ad esso -come giustamente osserva il ricorrente 
-l'efficacia di una clausola istitutiva di un termine minimo di durata del 
rapporto, con deroga tacita alla libert� di recesso. Mentre � necessario 
esaminare le altre norme della convenzione per stabilire come il recesso 
e quindi la durata del contratto di prestazione d'opera intellettuale fossero, 
in realt� regolati. 

Il secondo profilo di censura, pregiudiziale al primo, appare, pertanto, 
fondato e deve essere accolto. Passando all'esame del primo, osserva il 
Collegio che effettivamente non esiste nella convenzione del '59 alcuna 
particolare disposizione esplicita sul recesso che possa valere come deroga 
espressa all'art. 2237 c. civ. 

Ma ci� non basta per riconoscere � sic et simpliciter � l'incondizionata 
operativit� di questa norma, sicuramente derogabile -come regola dispositiva 
-dalla volont�, espressa o tacita, delle parti, com'� ormai riconosciuto 
dalla giurisprudenza, secondo la quale non osta a tale possibilit� la 
natura fiduciaria del rapporto (sent. n. 2995/'75) citata. 

Bisogna,' a tail fine, tener presente le clausole contenute nella conven


zione sulla disciplina delle infrazioni, che rnppresentano il sistema vigente 

fra le parti. 

Tale sistema di certo non � compatibile con una incondizionata e 
immotivata facolt� di recesso dell'I.N.A.M. in danno del professionista. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 527 

Esso, quindi, si pone come deroga implicita all'art. 2237 e.e., per incompatibilit�
� delle norme convenzionali speciali con la regola generale del 
codice. 

Trattasi degli articoli -citati dall'I.N.A.M. nel suo ricorso -3, 15, 
17, 32 e 37 della convenzione nazionale del '59, che dettano precise regole 
di comportamento del farmacista e devolvono alla commissione provinciale, 
di cui all'art. 32, compiti di sorveglianza per la regolare e integrale 
applicazione della convenzione stessa, con facolt� di adottare, �a carico 
delle farmacie inadempienti�, i provvedimenti ritenuti opportuni, che 
possono giungere fino all'esclusione dal servizio -cio� al definitivo 
recesso dell'I.N.A.M. -con possibilit� di ricorso alla commissione CF!ntrale 
di cui all'art. 33. 

Le parti -precisa la nota in calce all'art. 32 -� convengono di 
considerare particolarmente gravi, ai ,fini della convocazione d'urgenza 
della commissione provinciale, Je kregolarit� perseguibili anche penalmente
�. 

Queste disposizioni hanno natura privatistica, avendo la propria fonte 
mun accordo normativo privato. 

Le stesse commissioni, provinciale e centrale, sono da considerare 
non com'� stato affermato, organi pubblici di controllo gerarchico, ma nonostante 
la loro composita formazione, in cui figurano il medico 
provinciale (rispettivamente, un rappresentante del Ministero della Sanit�) 
come presidente e tre rappresentanti dell'I.NA.M. quali membri -veri e 
propri collegi privati, perch� istituiti col detto accordo di natura privata. 

I relativi provvedimenti, qualunque ne sia la natura, decisoria o � 
consultiva, si pongono dunque, nel'.La coniplessa struttura della farmacia 
ove bisogna distinguere l'esercizio soggetto a vigilanza pubblica, l'impresa 
commerciale e la prestazione professionale del sanitario -a presidio 
degli impegni contrattuali assunti dalle associazioni di categoria verso 
l'l.N.A.M. con gli accordi normativi per lo svolgimento del servizio. 

Il sistema della convenzione, che opera su un piano evidentemente 
-:liverso da quello, a carattere strettamente pubblicistico, su cui incidono 
i provvedimenti sanzionatori degli organi pubblici preposti alla sorveglianza 
dell'esercizio delle farmacie (art. 23 t.u. I. sanitarie), � predisposto, 
quindi, per assicurare l'esecuzione degli accordi normativi privati a vantaggio 
degli assistiti dall'I.N.A.M. e, nel contempo, a tutelare l'interesse e 
il prestigio del professionista. 

Proprio a salvaguardia di tali esigenze, le disposizioni dell'accordo 
pongono le precise condizioni di applicabilit� delle sanzioni, che per la 
loro natura negoziale, si inquadrano nella normativa generale del codice 
civile sul contratto di prestazione d'opera intellettuale ed a essa possono, 
quindi, apportare deroga, anche con effetti cautelari di sospensione dal 
servizio, giuridicamente qualificabili -sul piano, appunto, privatistico 



528 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

come atto dell'I.N.A.M. di recesso con offerta contestuale di riassunzione 
al cessare della causa determinante la sospensione. 

Deve ritenersi, peraltro, che le dette disposizioni non siano tassative, 
nel senso che, in generale, la commissione � competente a pronunciarsi, 
oltre che nei casi espressamente previsti, anche in merito ad ogni irregolarit� 
e inosservanza della convenzione da parte del farmacista: ne fa 
fede la disposizione -da ritenere non innovativa -del quarto comma 
dell'art. 29 della successiva convenzione nazionale del 29 marzo 1974 per 
l'erogazione delle prestazioni farmaceutiche agli assistiti dagli enti mutualistici, 
che in questo senso -appunto -testualmente dispone. 

Ci� stante, ogni possibile infrazione 'alle norme convenzionali pu� 
costituire giusta causa del provvedimento (o dei provvedimenti) in questione; 
e la deroga ad una assoluta e discrezionale facolt� di recesso 
dell'I.N.A.M. -che non sarebbe, evidentemente, giustificata secondo la 
logica del sistema -assume, tuttavia, un'estensione idonea ad assicurare 
sotto ogni aspetto la tutela dei contrapposti interessi. 

Per altra via, dunque, che non attraverso l'apposizione, di per s� non 
decisiva, di un termine, si deve ritenere che la regola generale dell'art. 2237 
C-civ. subisca implicita deroga per incompatibilit� col sistema delle 
norme convenzionali dettate per i controlli e [a repressione delle infrazioni, 
a presidio della regolarit� del servizio. 

Si deve ora osservare che l'avere le parti considerato, nella convenzione 
del '59, particolarmente gravi le irregolarit� perseguibili penalmente 
dimostra come per la sola � perseguibilit� � in sede penale, indipendentemente 
da un accertamento giurisdizionale od anche dal rinvio a giudizio 
dell'imputato, possano essere adottati dall'Istituto, con valutazione del 
caso di volta in volta rimesso alla commissione, provvedimenti cautelari 
immediatamente esecutivi nei confronti del farmacista, a carico del quale 
siano comunque � emerse �, a giudizio della commissione, le dette � mancanze 
di particolare gravit��. 

Orbene, su questo punto decisivo della controversia la motivazione 
della sentenza impugnata non � affatto esauriente e giustamente viene 
censurata col primo motivo del ricorso. 

<::ORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 5 marzo 1982, n. 1382 -Pres. Marchetti -
Rel. Corda -P. M. Martino -Ministero delle Finanze e dell'Interno 
(avv. Stato Caramazza) c. Provincia di Chieti (avv. Moscarini). 

Propriet� -Usucapione -Possesso solo animo -Intestazione catastale Rilevanza. 




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 529 

Propriet� -Concessioni traslative operate con i decreti murattiani e confermate 
con i decreti della monarchia borbonica � Limitazioni � Natura 
obbligatoria � Configurabilit� di un modus � Acquisto della propriet� a 
titolo originario � Effetti. 

Ai fini dell'accertamento dell'acquisto della propriet� di un immobile 
per usucapione da parte del �possessore solo animo�, hanno rilevanza 
l'intestazione catastale dell'immobile stesso, dalla data dalla quale decorre 
il termine per l'usucapione, ed il pagamento dei relativi tributi erariali (1). 

Le limitazioni del contenuto delle � concessioni � traslative della propriet� 
operate con i decreti murattiani e confermate con quelli della restaurata 
monarchia borbonica, hanno natura e portata obbligatoria, riconducibili 
in senso lato alla categoria del �modus�. Nel caso di acquisto della 
propriet� per usucapione a titolo originario dei beni oggetto di tali � concessioni
�, lo stesso deve considerarsi svincolato dal modus (2). 

La singolare vicenda attraverso la quale una controversia fra Stato 
e Comune si risolve, in genere, in beneficio della Provincia rappresenta 
una singolarit� storica non priva di qualche interesse (3). 

Formatosi, ormai, iJ giudicato (per acquiescenza delle parti) sui 
punti fondamentali della causa concernenti l'originaria propriet� del 
Comune di Chieti e l'usuoapibilit� dei beni facenti parte del patrimonio 

(1-2) La sentenza dn rassegna sembra concludere una ~unga serie di contro1ersie 
relative alla natura delle � ooncessioni dn uso � ai comuni di beni gfa 
appartenenti a soppressi conventi ed ordini religiosi sancite dai Decreti murattiani 
16 novembre 1808 e 19 novembre 1808 e di quello borbonico 6 febbraio i1816 
(~� prima di essa vedasi SS.UU. 9 luglio 1976, n. 2592). 

(3) Si riporta il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse del Ministero 
delle Finanze: 
1) Violazione e falsa applicazione dei Decreti murattiani 16 novembre 
1808 e 19 novembre 1808, di quello borbonico 6 febbraio 1816, delle 
leggi del Regno delle due Sicilie 8 agosto 1806 n. 132 e 12 dicembre 1816 

n. 570 sull'amministrazione civile del Regno e del decreto 26 maggio 1821 
n. 39, artt. 14 e 15, nonch� degli artt. 174 e 252 legge 20 marzo 1865 n. 2248 
all. A, art. 1 stessa legge all. B, artt. 89, 90 e 110 R.D. 8 giugno 1865 n. 2321; 
artt. 685, 686, 687, 691, 692, 693 e 2106 e.e. del 1865; artt. 1141 e 2697 e.e. 1942. 
Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi 
della controversia. 
Il tutto denunciato ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. 
Con significativa prudenza la Provincia di Chieti ha indicato, in ap


pello, nell'anno 1865 il dies a quo del preteso possesso ad usucapionem, 
retrodatato invece in prime cure ai �primi decenni del secolo�, ed esattamente 
la Corte d'appello de L'Aquila ha rilevato come la legge comunale 
e provinciale del 1865 segnasse la � nascita della Provincia come ente 
autarchico territoriale� (cfr. pag. 27 della sentenza), s� che per l'innanzi 



530 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE!l.O STATO 

dispoDJibile del Comune predetto, :il thema decidendum � ormai ridotto a 
due soli punti: concreta verificazione dell'usucapione da parte della Provincia 
(motivo di ricorso su esposto) e riflessi �di tale usucapione sul 
diritto dello Stato di continuare a detenere l'immobile (secondo e terzo 
motivo di ricorso, i quali saranno pi� avanti esposti ed esaminati). 

Per quanto attiene alla prima e alla terza delle censure contenute 
nel motivo di ricorso ora all'esame (le quali vanno esaminate congiuntamente, 
stante la loro intrinseca connessione), va chiarito, anzitutto, che, 
nella singolare fattispecie di che trattasi, l'Amministrazione provinciale, 
dovendo provare, nei confronti del detentore, il vantato acquisto per usucapione, 
non poteva addurre alcun fatto materiale (cio� �storico�) di 
apprensione del bene, ossia la � detenzione � (intesa, questa ultima, come 
l'elemento pi� idoneo a dimostrare la effettivit� e l'appariscenza del possesso), 
poich� l'immobile era detenuto, per tutta la durata del possesso e 
prima ancora del suo nascere, dallo Stato. L'Amministrazione provinciale, 
infatti, ha sempre affermato, in tutto il corso della causa, di avere posseduto 
solo � animus �; ed � proprio nell'ambito di questa prospettazione 
che i giudici di appello hanno potuto affermare che tale forma di possesso 
pot� essere esercitata, dall'amministrazione predetta, fin dal momento 
della sua nascita, ossia dal momento in cui fu creato l'ente autarch�co 
territoriale, con la legge comunale e provinciale 20 marzo 1865 n. 2248, 
allegato A. Contro questa affermazione si appuntano le censure delle 
ricorrenti, le quali sostengono che un soggetto, se pure pu� nascere come 
�proprietario�, non pu�, invece, nascere �possessore�, se non per effetto 
di successione ad altro soggetto possessore (circostanza, quest'ultima, da 
escludersi nel caso concreto). 

un qualsiasi possesso dell'immobile non sarebbe stato neanche ipotizza':
Jile, per inesistenza di soggetto fornito di capacit� giuridica (cfr. Amendola, 
La Provincia e l'Amministrazione Provinciale, Roma, 1914, 172 e ss.). 

Come la difesa dello Stato confida idi aver dimostrato in prime cure, 
infatti, con il termine �Provincia� nell'ordinamento del Regno di Napoli 
non si individuava certo un ente autarchico territoriale, sibbene: 

a) la circoscrizione territoriale su cui si estendeva la competenza della 
autorit� governativa locale, e cio� l'Intendente, posto a capo dell'amministrazione 
civile, di quella finanziaria e di quella di polizia; 

b) una sorta di associazione o comitato rappresentante degli interessi 
locali, articolato in organismi collegiail.i, facenti capo all'Intendente, sprovvisto 
di personalit� giuridica e fruente soltanto di una modesta autonomia 
contabile (cfr. art. 2, Titolo I, legge 8 novembre 1806 n. 238 e, pi� in 
generale, tutta la legislazione borbonica in epigrafe). 

Per contro, il Comune gi� allora appariva costituito in ente autarchico 
territoriale: ne consegue che il termine � Provincia � contrapposto a quello 
di � Comune � aveva, all'epoca, il significato di Amministrazione statuale 



-


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 531 

Con siffatto assunto, per�, le Amministrazioni ricorrenti mostrano di 
non considerare, in primo luogo, che la sentenza impugnata, nell'affermare 
che il possesso (� animus �) risaliva al momento in cui era stata 
creata la Provincia, non ha affatto inteso configurare il sorgere di tale 
possesso come fatto automaticamente conseguente alla nascita dell'ente 
autarchico territoriale, ma ha semplicemente voluto chiarire che tiil. titolo 
del possesso (art. 692 cod. civile 1865), individuato nell'intestazione catastale, 
datava ai primi periodi di esistenza della Provincia stessa. Che, 
poi, fra i due momenti (nascita dell'ente autarchico territoriale e intestazione 
catastale) non vi fosse perfetta coincidenza cronologica (potendosi 
ipotizzare, in mancanza di ogni accertamento al riguardo, che quella 
intestazione fu fatta in applicazione del r.d. 4 luglio 1897 n. 276, con cui 
veniva approvato il Testo Unico delle disposizioni legislative suhla conservazione 
dei catasti dei terreni e dei fabbricati), appare cosa di ben scarsa 
rilevanza, sia perch� nessuna censura specifica � stata in tal senso mossa 
dalle ricorrenti, sia, soprattutto, perch� i giudici di appello hanno inteso 
stabilire -come si � detto -non gi� una perfetta coincidenza cronologica 
fra i due momenti, quanto, piuttosto, un collegamento logico tra il fatto 
che la Provincia era stata creata come soggetto capace di possedere 
�animo� e il fatto che l'avvenuta intestazione catastale le attribuiva 
titolo per esercitare quel possesso. � rilevante, comunque, constatare a 
tal proposito -che le Amministrazioni ricorrenti non negano, come 
non hanno mai negato, che a partire dalla data di t�le intestazione catastale 
(come, peraltro, degli altri fatti rivelatori del �possesso, di cui sar� 

~udividuata con l'indicazione della sfera competenza dell'organo locale) 

'l,trapposta all'ente autarchico. La documentazione in atti -vedasi 

\i;ltamente il doc. 12 -non lascia dubbi in proposito. 

\1anto sopra appare, d'altronde, pacifico: non contestato ex adverso 

1,jcitamente od implicitamente scontato nella sentenza impugnata. 

'~nte, peraltro, i giudici aquilani non hanno tratto alle logiche 

\ze i pacifici presupposti di fatto e di diritto di cui sopra. 

\~icolare, hanno dato per provata ed, anzi, addirittura per 

\jpgolare circostanza di una coincidenza temporale fra nascita 

'ii diritto (Provincia) in virt� della legge del 1865 e conte


...imento in capo ad esso del possesso dell'immobile de quo. 

��e, se un soggetto pu� nascere gi� proprietario (ad es. per asse


_...me di beni in propriet� da parte della stessa ilegge che Jo istituisce) 
.it>n pu�, per�, nascere gi� possessore se non per effetto di successione ad 
altro soggetto possessore: il che �, peraltro, escluso nella specie, atteso 
che l'ente Provincia nacque ex novo. . 

In tale situazione, mancando da parte della Provincia la allegazione 
(non che la prova) di un titolo di acquisto o di un atto di inizio di possesso 
ex artt. 691 e 692 e.e. 1865 (per non dire, addirittura, che appare dubbia 



532 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

detto pi� ,avanti) possa essersi, ratione temporis, verificata fa prescrizione 
acquisitiva disciplinata dal codice civile del 1865. 

Per quanto attiene al fatto dell'intestazione catastale, le ricorrenti si 
affannano a dimostrare solo ch'essa sarebbe frutto di �animismo burocratico 
�, cio�, in definitiva, dell'equivoco sorto dal fatto che, sotto la 
dominazione borbonica, vi sarebbe stata una intestazione catastale dell'immobile 
a favore della circoscrizione territoriale statale sede dell'Intendenza, 
pur essa chiamata � provincia >>. Siffatto rilievo, per�, ai fini 
della risoluzione de1la questione proposta, � di nessuna importanza pratica, 
poich� la controversia verte non gi� in tema di prop11iet�, bens� di 
possesso e, soprattutto, di �possesso solo animo �: non occorre, quindi, 
in concreto discutere sull'efficacia �indiziante� di quel fatto, dovendosi 
semplicemente accertare, in questa sede, se sfa logica (e non contraria al 
diritto) l'affermazione dei giudici di merito secondo cui la Provincia, in 
virt� di quel � titollo �, cominci� a esercitare iJ. possesso con ~�animus 
possidendi. 

In proposito, la sentenza ha affermato che l'intestazione catastale, 
qualunque fosse stato il motivo che l'aveva determinata, �ha la sua 
rilevanza in quanto dimostra da un lato che la Provincia ha tratto e trae 
da essa motivo di conforto alla convenzione di essere proprietaria dell'immobile, 
del quale, per altro, ha sempre pagato le imposte (v. certificazione 
esibita) e dall'altro, come si vedr� in seguito, che il titolare della 
propriet� non si preoccupava e non intendeva preoccuparsi dell'esercizio 

la esistenza di un possesso attuale) non si comprende come possa affermarsi 
il compimento di una usucapione in suo favore. 

Di pi�, capovolgendo del tutto immotivatamente una puntuale (anche 
se non del tutto esplicitata) intuizione del primo giudice, la Corte d'Appello 
dell'Aquila ha affermato che la Prefettura e la Questura fruirono dei 
locali de quibus ex art. 174 Legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. A e 110 Reg. 
di esecuzione approvato con R.D. 8 giugno 1865 n. 2321 (da ci� traendo 
ulteriori erronee illazioni, attraverso le quali, in via presuntiva viene 
affermata la prova del possesso in capo alla Provincia). 

Il vero �, invece, che g;li uffici relativi e le connesse abitazioni dei 
funzionari allocarono nell'ex convento in virtt1 del combinato disposto 
dei decreti murattiani 16 e 19 novembre 1808, di quello borbonico 6 febbraio 
1816 e dell'art. 252 della gi� citata legge comunale e provinciale del 
1865, che, per quanto concerne le amministrazioni provinciali e comunali 
e la disponibilit� dei loro beni statuisce che: �continueranno ad 
osservarsi le leggi speciali ... in quanto non contrarie alla presente legge�. 

La locuzione si 1attaglia perfettamente aMa specie, in quanto trattasi 
di bene di propriet� del Comune (di Chieti), per esso, peraltro, non disponibile 
in quanto vincolato ad un uso pubblico di utilit� statuale da provve



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 533 

del suo diritto, ben sapendo che il bene non figura~a in catasto al suo 

nome �, L'affermaZJione, come si vede, � sorretta da un rigoroso costrutto 

logico, in quanto ricollega al fatto della intestazione catastale il compi


mento di atti continuativi di possesso (uti dominus), consistenti nell'as


solvimento del carico fiscale, in relazione ai quali, peraltro, non � stata 
� mossa contestazione alcuna. 

Nel ragionamento svolto dai giudici di appello, in definitiva, J'intesta


zione catastale rappresentava il � titolo � in forza del quale -secondo 

il disposto dell'art. 692 cod. civile del 1865 -l'antico possesso poteva 

essere desunto da quello attuale (contestato solo in questa sede e, per di 

pi�, con un'asserzione che, in quanto immotivata, non merita neppure cli 

~ssere presa in considerazione); il fatto del pagamento delle imposte � 

(al pari degli altri che saranno qui appresso esaminati) rappresentava, a 

sua volta, l'effettivit�, oltre che la continuativit�, dell'esercizio del pos


sesso predetto. 

Le esaminate censure, quindi, si appalesano infondate sia sotto il 

profilo della �violazione di legge�, sia sotto il profilo del �vizio di 

rnotivazione �. 

La seconda delle censure contenute in questo primo motivo di ricorso 

aggredisce la sentenza nel punto in cui trae argomento, per dimostrare 

lo animus possidendi, dal fatto che la Provincia non pagasse allo Stato 

la � pigione � prevista dall'art. 110 del Regolamento di Esecuzione della 

dimenti con forza e valore di leggi speciali (Oass. SS.UU. n. 2592 del 

9 luglio 1976) non contrari alla legge comunale e provinciale, in quanto 

per �obbligatoriet� della spesa� deve intendersi, certo, solo indeclina


bilit� di un onere con esonero, in ogni caso, dell'Amministrazione centrale 

dal correlativo peso. IJ che nella specie � stato, appunto, realizzato con 

l'accollo del relativo peso economico in conto capit�le ad un terzo: il 

Comune. 

Ne consegue la inapplicabilit� alla specie dell'art. 110 del Regolamento 

del 1865, in quanto lo Stato non aveva sull'immobile un diritto di pro


priet�, ma solo un diritto reale pubblico di uso previsto da una norma 

speciale previgente e non abrogata da quelle generali successive. 

D'altronde, che l'utilizzazione dell'immobile in parte qua sia avvenuta 

ai sensi della previgente normativa, lo dimostra l'ovvia considerazione 

che venne mantenuto il vincolo di destinazione nella sua interezza con 

modalit� congruenti solo con la normativa preunitaria e che non si atta


gliano, invece, a quella del 1865. 

Come risulta, infatti, dal combinato disposto degli artt. 174 della 

legge del .1865, all. A, e dagli artt. 89 e 90 del successivo Regolamento, la 

spesa obbligatoria della Provincia aveva ad oggetto gli uffici di prefettura 

e sottoprefettura e gli alloggi dei funzionari ad essi preposti, non anche 

gli uffici di questura e gli alloggi dei questori, pure in pari data istituiti 

1r�11a1111111r111111111111,1111'r1111��1�11�1111��� 



534 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge comunale e provinciale 20 marzo 1865 n. 2248, allegato A, approvato 
col r.d. 8 giugno 1865 n. 2321. 

In virt� di tale disposizione di legge, gravava sulle province l'onere 
di spesa per la fornitura allo Stato dei locali da adibire a uffici governativi: 
onere che doveva essere assolto o mediante la fornitura di locali 
propri, o mediante la fornitura di locali di terzi (la cui � pigione � doveva 
essere pagata dalle provincie), ovvero mediante il pagamento diretto della 
� pigione � allo Stato, qualora i locali predetti fossero di sua propriet�. 
E poich�, dii fatto, Jia Provincia di Chieti, non avev�a mai pagato detta 
�pigione.�, n� allo Stato n� a terzi, la Corte di appello ha tratto da ci� 
argomento per � confermare � che la Provincia � si comportava da proprietaria 
dell'edificio �. Le Amministrazioni ricorrenti, per�, censurano 
tale conclusione, assumendo che il fatto del mancato pagamento della 
� pigione � aveva causa nella concreta inapplicabilit� della legge predetta, 
noich� il rapporto doveva intendersi regolato dallo ius singulare costituito 
dal decreto murattiano del 1808 e da quello borbonico del 1816 (il cui 
perdurante vigore era richiamato, per ci� che atteneva alla disponibilit� 
dei beni enti autarchici territoriali, dall'art. 252 della citata legge comunale 
e provincia!le del 1865), in virt� del quale ~'onere deUa fornitura dei 
focali in questione era stato addossato a1 Comune. 

Una siffatta costruzione, per�, potrebbe reggersi -come correttamente 
fa osservare l'attenta difesa della resistente -solo ritenendo che i 
decreti murattiano e borbonico avessero attribuito allo Stato un diritto 
di godimento di natura reale, sopravvissuto, anche in ragione di tale 

(cfr. all. B alla stessa legge del 1865), mentre, come la Provincia di Chieti 
afferma e la Corte di Appello dell'Aquila conferma, fin dal 1865 Questura 
e Questore furono rispettivamente insediata ed alloggiato nell'immobile al 
pari di Prefettura e Prefetto. 

II che sarebbe inspiegabile alla stregua della legislazione italiana ma 
�, invece, pienamente conforme al dettato di quella preunitaria: il vincolo 
di destinazione era, infatti, in favore della �abitazione dell'Intendenza e 
di lei officine �. Il che, tradotto in pi� accettabile lingua, suona come 
�uffici della Intendenza e alloggio dell'Intendente�, 

Orbene, si � visto come l'Intendente napoletano fosse organo a com� 
petenza molteplice: tanto il Prefetto quanto il Questore furono, quindi, 
considerati suoi successori. 

Quanto sopra spiega forse anche -attraverso un curioso fenomeno 
di � animismo buroeratico � -la bizzarra natura delle liti quali quelle 
in esame, in cui un conflitto astratto fra Stato e Comune suole risolversi 
concretamente in favore di un � terzo incomodo�: la Provincia. L'Intendente 
napoletano, come si � visto, oltre che organo locale del Governo 
con competenza plurima sul territorio della Provincia, era anche capo di 
un organismo locale a carattere corporativo (anch'esso denominato Pro



PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 535 

natura, alle innovazioni legislative del Regno di Italia. Nessuna altra 
ultrattivit� di tali norme pre~itarie sarebbe, invero, configurabile, se 
non sotto la specie de1l'attribuzione di un diritto soggettivo; ma anche 
a voler ammettere che tale diritto, di natura reale, fosse sopravvissuto 
al 1sopravvenire della legislazione unitaria, non perci� sarebbe venuto 
meno l'obbligo della provincia di corrispondere ugualmente quella � pigione
� di cui si � detto, la quale, se � dovuta quando l'edificio � di 
propriet� dello Stato, allo stesso modo � dovuta quando, sull'immobile, 
lo Stato ha un altro diritto di natura reale. La situazione descritta dalla 
Corte di appello, pertanto, appare ben pi� aderente alla realt� giuridica: 
la Provincia ometteva il pagamento della � pigione � perch� riteneva di 
P,ssere proprietaria dell'immobile; lo Stato, a sua volta, ometteva di richiederne 
il pagamento, perch� accettava quella situazione di fatto; il Comune, 
infine, non richiedeva il pagamento (quale terzo fornitore dell'immobile), 
evidentemente perch� ignorava che col decreto di � concessione � del 
19 novembre 1808 (di Gioacchino Murat), confermato, poi, dal decreto 
6 febbraio 1816 (di Ferdinando IV di Borbone), gli era stata attribuita la 
propriet� dell'immobile. 

La quarta e ultima censura contenuta nel motivo di ricorso in esame 
si appunta sul Tagionamento della sentenza, secondo il quaile il pacifico 
possesso era dimostrato anche dal fatto che la Provincia aveva effettuato, 
nell'edificio, degli ampliamenti e una sopraelevazione. Le ricorrenti come 
gi� � stato esposto -sostengono che quel fatto non sarebbe 
probante, perch� l'ampliamento (costruzione di una nuova ala del palazzo) 
sarebbe stato effettuato previo un accordo del Demanio dello Stato, come 

vincia), che, per non av.ere personalit� giuridica, svolgeva, nondimeno, 
una serie di attivit� che sarebbero state, poi, nella legislazione unitaria, 
deputate all'ente Provincia. 

Non occorre, dunque, troppo sforzo d'immaginazione per ricostruire 
il passaggio dal vecchio al nuovo regime, un passaggio che deve essere 
avvenuto senza traumi per gli uomini e senza spostamenti per le cose. 
Prooabilmente gJi stessi impiegati, nelle stesse stanze, avranno continuato 
ad occuparsi degli stessi affari, gli uni agilii ordini di un Prefetto o di un 
Questore invece che di un Intendente, gli altri alle dipendenze di una 
� Provincia � ente autarchico territoriale invece che di una � Provincia � 
ripartizione territoriale dello Stato e vaga corporazione. 

� Ci� spiega, tra l'altro, come all'intestazione catastale borbonica dell'immobile 
in capo ahla � Provincia � sia succeduta -con non innocua 
eterogenesi lessicale -l'omonima intestazione catastale sabauda, la cui 
valutazione come indizio ad opera dei giudici di merito appare viziata 
oltre che dall'errore di diritto sopra evidenziato da una conseguenziale 
msufficienza logica di motivazione. Lo stesso dicasi, naturalmente, per 
l'apprezzamento fatto in ordine al significato del mancato pagamento 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esse stesse avrebbero gi� dedotto con la comparsa conclusionale in grado 
di appello. 

In proposito, per�, osserva giustamente la resistente che se veramente 
fosse esistita una � convenzione � con la quale lo Stato, agendo quale 
asserito proprietario dell'ex convento per cui � causa, avesse regolato con 
la Provincia il diritto di operarvi sopraelevazioni e aggiunte, le amministrazioni 
oggi ricorrenti avrebbero avuto il preciso onere non gi� di 
fame semplice e fugace menzione nella comparsa conclusionale di appello, 
bens� di fornire la rigorosa prova, attraverso tempestiva e rituale produzione 
in giudizio del relativo documento. Aggiunge, comunque, fa resistente 
che se ile dette Amministrazioni avevano inteso rirerirsi alla convenzione 
del 1912, allegata agli atti di causa, la censura sarebbe sicuramente 
priva di fondamento, risultando da tale atto che lo Stato intervenne, 
nel negozio stipulato fra la Provincia e una confraternita religiosa 
per l'acquisto della Chiesa adiacente all'immobile in questione (la quale 
doveva essere demolita, al fine di consentire la costruzione della nuova 
ala), solo per concedere alla Confraternita predetta l'uso di un'altra 
Chiesa, di sua propriet�. Lo Stato, cio�, intervenne in quel negozio non 
gi� manifestando l'intendimento di ritenersi, egli, proprietario dell'immobile 
per cui � causa, ma confermando, se mai, il proprio convincimento 
che lla Prov�inda avesse, a quell'epoca, il pacifico possesso uti dominus 
dell'edificio, del cui ampliamento esso Stato si avvantaggiava, per poter 
concedere maggiore spazio agli uffici governativi che vi avevano sede. 
Tutto ci�, peraltro, senza considerare che la convenzione predetta riguardava 
solo l'ampliamento dell'edificio, non anche la sua �sopraelevazione e 

de11a pigione aihlo Stato, erroneamente condotto aHa luce della normativa 
italiana (inapplicabile alla specie) invece che alla stregua di quella preunitaria 
e per le c:onsiderazioni svolte sulla manutenzione dell'edificio, 
affrontata dalla Provincia, considerazioni che non tengono conto dell'onere 
di manutenzione derivante alla Provincia dall'art. 174 del.le [eggi Com. e 
Prov. del 1865, aggiuntivo rispetto a quello di messa a disposizione dell'immobile, 
specialisticamente derogato nella specie. 

L'ultimo elemento presuntivo addotto dalla Corte riguarda gli ampliamenti 
e le sopraelevazioni dell'edificio effettuate dalla Provincia. L'argomento 
appare inficiato da un vistoso vizio di omissione: ampliamento e 
soprne1evazioni furono, infatti, come pacifico fra le parti e mai contestato 
(cfr. conclusionale di 2� grado, pag. 21) regolati da una convenzione del 
1912 cui partecip� il demanio dello Stato. 

In definitiva e per concludere la Corte di Appello dell'Aquila, bench� 
la Provincia attrice non avesse portato alcuna prova del proprio � possesso 
ad usucapionem � sulle porzioni di immobile adibite a Prefettura, 
Questura e relativi alloggi, ha ritenuto provato tale possesso attraverso 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 537 

gli altri miglioramenti che la Provincia ha sempre affermato di avere 
effettuato in quanto riteneva di avere, appunto, titolo per possedere 
pacificamente l'immobile. 

Giova, peraltro, ricordare che, a conferma di ci�, la Provincia aveva 
aggiunto di avere anche, senza opposizione da parte di alcuno, locato a 
terzi una parte dell'edificio; e quantunque anche da questo fatto la sentenza 
impugnata abbia tratto argomento per convalidare la tesi del possesso 
uti dominus, [e ricorrenti Amm�lllistrazioni statali hanno completa� 
mente omesso ogni censura al riguardo, evidentemente perch� ogni opposizione 
era mancata allorch� i relativi contratti furono stipulati. 

Col terzo motivo denunciano, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., 
�violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 3 legge 16 settembre 1960 

n. 1014 �; nonch�, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., �omessa motivazione 
su un punto decisivo�. 
Dopo aver chiarito che questo motivo di ricorso viene proposto in via 
ancora pi� subordinata (cio� per l'ipotesi che venga riconosciuta natura 
obbligatoria al vincolo di destinazione preunitario), sostengono che �all'obbligazione 
in esame � dovrebbe quantomeno riconoscersi � la natura 
di obbligazion.e propter rem gravante per legge in perpetuo (fino a provvedimento 
uguale e di segno contrario, di pari forza e valore) su qualunque 
proprietario dell'immobile �. E ci� escluderebbe -secondo le ricorrenti 
� che possa applicarsi la norma di cui all'art. 3 in epigrafe, che contempla 
i locali di propriet� delle Province distoglibili dalla loro attuale destinazione 
sulla base di una mera intesa fra le parti �. 

Anche tali motivi -che, per la sostanziale unicit� della questione 
trattata, possono essere trattati congiuntamente -sono infondati. 

presunzioni che si sono tutte dimostrate viziate nei modi sopra denunciati 
per falsa applicazione di norme di diritto ed incongruenza o insufficienza 
(quando non per carenza) di motivazione. 

Dalle risultanze di causa emerge, al contrario, una opposta realt�: un 
godimento dell'immobile, da parte della P.A., con modalit� pienamente 
conformi al vincolo di destinazione preunitario e senza soluzioni di continuit�. 


Tale essendo la situazione, ed anche a voler prescindere dal come, 
quando e perch� possa essere sorto l'animus possidendi in capo alla 
Provincia, resta da spiegare a far data da quale giorno e per quali ragioni 
lo Stato italiano sia divenuto -e coscientemente divenuto! -detentore 
nomine alieno in nome e per conto della Provincia (cfr. De Ruggero, 
Istituzioni di Diritto Civile, ed. 1926, pag. 733). 

Mancando tale spiegazione -e addirittura la correlativa conclusiva 
affermazione -� errato il riconoscimento della propriet� acquisita per 
usucapione in capo alla Provincia di Chieti. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

538 

Il prol:ilema giuridico con essi proposto, invero, � gi� stato risolto da 
questa Corte (sent. 9 luglio 1976 n. 2591, delle Sezioni Unite) in senso 
tutt'altro che favorevole alla tesi delle ricorrenti, essendosi ritenuto che 
le limitazioni del contenuto delle �concessioni� traslative ai comuni, 
operate con i decreti murattiani e confermate con quelli della restaurata 
monarchia borbonica; in forza dei quali la concessione della propriet� era 
accompagnata dal vincolo di destinazione degli immobili a sede di uffici 
governativi, hanno natura e portata obbligatoria, riconducibili, in senso 
lato alla categoria del modus apposto a un'attribuzione a titolo� gratuito 
(quali furono, nella sostanza, le predette �concessioni� traslative della 
propriet�), non gi� natura reale. Nel caso, quindi, di acquisto per usucapione 
della propriet�, da parte della Provincia, proprio perch� l'acquisto 
avviene a titolo originario, lo stesso deve considerarsi svincolato dal 
modus che, appunto, era stato posto alla originaria � concessione � a 
favore del Comune. 

Da tale impostazione non sussiste' ragione alcuna per discostarsi, non 
potendo in alcun modo ritenersi (una volta escluso il � diritto reale di 
uso�) che il modus predetto possa essere sopravvissuto all'usucapione 
della propriet� dell'immobile da parte della Provincia. Ci� che, invece, 
pu� ritenersi � sopravvissuta � all'usucapione � la destinazione del bene 
allo specifico uso pubblico; ma il relativo potere lo Stato ha esercitato non 
gi� per una sorta di ultrattivit� dei decreti murattiano e borbonico, 
bens� in virt� della legge comunale e provinciale del 1865 che imponeva 
alla provincia di fornire a esso Stato la sede dei suoi uffici periferici; e, 
dopo �l'innovazione legislativa del 1960, in forza della nuova legge che ha 
espressamente sancito, per d casi in cui i detti uffici siano situati in 
edifici di propriet� delle provincie, i'l diritto dello Stato di mantenerne 
il godimento, con l'obbligo, per�, di pagare alle provincie predette � un 
congruo canone di affitto �. Questa sopravvivenza della destinazione dell'edificio 
a quell'uso, per�, riguarda solo l'aspetto giuspubblicistico della 
indisponibilit� del bene (tanto che lo stesso fa parte del patrimonio indisponibile), 
non certo un potere di natura privatistico-patrimoniale dello 
Stato, avente ad oggetto il godimento del bene. 

Questa stessa considerazione, infine, toglie vaNdit� alla tesi (subordinata) 
dell'esistenza di una obbligazione propter rem, la quale potrebbe 
reggersi -per superare l'ostacolo della tipicit� delle obbligazioni reali solo 
ritenendo sussistente la sopravvivenza dello ius singulare che sarebbe 
.<iorto con i decreti murattiano e borbonico. Una volta, per�, ritenuto che 
la destinazione del bene all'uso pubblico trova fonte giuridica nella legislazione 
unitaria, vale sempre la conclusione che il diritto dello Stato di 
continuare a mantenere il godimento dell'edificio di propriet� provinciale 
deriva, nel momento attuale, dal disposto della Jegge del 1960, al quale 
diritto, per�, fa riscontro l'obbligo del pagamento di �un congruo 
canone di affitto�. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 539 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 20 marzo 1982, n. 1817 -Pres. e rel. 
Lo Surdo -P. M. Cantagneli -Ferrovie dello Stato (Avv. Stato De 
Francisci) c. Societ� Riunione Adriatica di Sicurt� (avv. Spada). 

Trasporti Pubblici -Ferrovie e Tramvie -Incendio sviluppatosi nella stazione 
Termini di Roma -Presunzione di responsabilit� delle Ferrovie 
dello Stato per danno cagionato da cose in custodia -Limiti. 

Responsabilit� civile -Clausole di esonero da responsabilit� -Limitazione 
della responsabilit� per dolo o colpa grave -Nullit�. 

La presunzione di responsabilit� ex art. 2051 e.e. non � applicabile 
nei confronti della P.A. per � quelle categorie di beni demaniali sui quali 
� esercitato un uso generale e diretto da parte dei terzi, giacch�, in 
questo caso, non � possibile un'efficace e continua vigilanza che possa 
impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i cittadini utenti; pertanto, 
tale responsabilit� � configurabile quando il controllo sul bene 
demaniale sia in concreto possibile; e, in particolare, nell'ipotesi in cui 
la P.A. fruisca, in tutto o in parte, del bene stesso con sostanziale esclusione 
della utenza ad opera di terzi estranei alla sua sfera di custodia (1). 

E nullo qualsiasi patto che escluda ovvero limiti preventivamente la 
responsabilit� del debitore per dolo o colpa grave, principio ritenuto operante 
anche nel campo della colpa extracontrattuale (2). 

Col primo motivo del ricorso, nel denunciare violazione dell'art. 2051 
c,c., la difesa dell'amministrazione deduce che la Corte d'Appello ha 
errato nel ritenere che, nella specie, non sussistessero le condizioni per 
escludere l'applicabilit� della presunzione di colpa. sul rilievo che l'incendio 
de quo era sorto nella galleria dei servizi interdetta al pubblico 
mediante un robusto cancello e utilizzabile solo dagli addetti alla 
Azienda delle F.F.S.S. 

Secondo la ricorrente, la Corte non avrebbe considerato che si trattava 
di una zona a diretto contatto con quelle confinanti di libero accesso 
per i terzi concessionari dei locali (la Sommer e la Sanistar), talch� 
era praticamente impossibile l'esercizio di una idonea custodia. 

Il motivo non � fondato. 

Questa S.C. ha affermato il principio che la presunzione di responsabilit� 
ex art. 2051 e.e. non � applicabile nei confronti della P.A. per 
� quelle categorie di beni demaniali sui quali � esercitato un uso generale 
e diretto da parte dei terzi, giacch�, in questo caso, non � possibile 

(1-2) Sulla prima massima cfr. in termini Cass. 27 marzo 1972, n. 976, Foro 
it. 1977, I, 2021; v. anche Cass. 11 maggio 1954, n. 1481, Foro it. Rep. 1954, voce 
Ferrovie, n. 117; Cass. 9 maggio 1960, n. 1048, ivi, voce Responsabilit� civile 

n. 98. La seconda massima � applicazione del principio dell'art. 1229 cod. civ 

'540 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

un'efficace e continua vigilanza che possa impedire l'insorgenza di cause 
di pericolo per i cittadini utenti (cfr. in termini Cass. 1972, n. 976; per 
altri riferimenti sul tema v. Cass. Sez. Un. 3060/1972). 

Ci�, pertanto, comporta che questa responsabilit�. sia, invece, con:
figurabile quando il controllo sul bene demaniale sia in concreto possibile 
e, in particolare, nell'ipotesi in cui la P.A. fruisca, in tutto o in 
parte, del bene stesso con sostanziale esclusione della utenza ad opera 
<li terzi estranei alla sua sfera di custodia. 

Ebbene, con valutazione di merito, adeguatamente motivata, la 
Corte d'Appello ha stabilito, in punto di fatto, che la galleria dei servizi 
.della stazione ferroviaria era interdetta al pubblico, protetta da un can


�ceLlo e con destinazione esclusiva all'uso del personale ferroviario. Essa 
.cio� costituiva una parte della complessa opera demaniale che veniva 
frequentata per i controlli tecnici e per la manutenzione degli impianti 
.esistenti, sicch� era obbligo dell'Amministrazione di vigilare la zona, 
mentre, nel caso concreto, quest'ultima era stata lasciata incustodita o 
.quasi, giacch� il detto cancello spesso era aperto. 
Ne derivava che la ricorrente, essendo investita di un potere fisico 
:sulla cosa, al pari di un titolare di un diritto di propriet� privata, 
.avrebbe dovuto fornire la prova <liberatoria -nella specie mancata .
del fortuito che, com'� noto, ha un'estensione molto ampia, agli effetti 
�dell'art. 2051, perch� comprensivo del fatto del terzo o della colpa del 
<lanneggiato (giurisprudenza costante). 

Parimenti infondato � il secondo motivo (violazione degli artt. 2043 

e 2697 e.e., 41 c.p.) con il quale si deduce che, a torto, i giudici d'appello 

.abbiano ritenuto una condotta dell'Azienda improntata a colpa gravis


�sima ai sensi dell'art. 2043. 

Trattasi, infatti, di censura di merito che risulta resistita dai rilievi 

�contenuti nella consulenza d'ufficio svolta nel giudizio penale e utiliz


�zata dal giudice civile, per la parte in cui aveva accertato: a) che l'im


pianto elettrico, sito neLla galleria ove scoppi� l'incendio, era UIIl coacervo 

�di successive modifiche, ampliamenti e sovrapposizioni, di talch� i cavi 

dell'alta tensione si intersecavano con quelli a bassa tensione; b) che, 

'in caso di corto circuito, era impossibile interrompere il flusso della 

<:orrente; e) che mancava il dispositivo antincendi; d) che l'impianto 

<ii condizionamento d'aria era mal costruito con canalizzazioni in ma


teriale combustibile e, soprattutto, privo di qualsiasi strumento idoneo 

a interrompere il funzionamento �in caso di emergenza con l'effetto che 

.esso continu� a funzionare dopo l'incendio operando da mantice e facendo 

.a interrompere il funzionamento in caso di emergenza con l'effetto che 

.societ� concessionarie. 

Orbene, da questo complesso di fattori, anche Ge la perizia finale 
non aveva � tecnicamente accertato � la causa prima dell'incendio, la 


PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 541 

Corte del merito ha tratto la convinmone, adeguatamente giustificata, 
che il comportamento complessivo della P.A. fosse caratterizzato da 
colpa gravissima e che, nell'economia dehl'accaduto, avesse avuto un 
ruolo importante ai fini dell'aggravamento dell'evento dannoso e, in 
ogni caso, del suo determinismo, convincimento incensurabile in questa 
sede, in quanto scevro da vizi logici ed errori di diritto. 

Col terzo motivo, denunciandosi la violazione degli artt. 1229, 1346, 
1362, 1367 e 1419 e.e. si assume che, erroneamente, la impugnata sentenza 
abbia dichiarato nulle le clausole di esonero di responsabilit� della amministrazione 
contenute nelle convenzioni stipulate con le due societ�, e 
si evidenzia che le clausole erano ben determinate e che non vi era la 
ritenuta inosservanza dell'art. 1346 e.e. 

Nemmeno questa doglianza � fondata. 

Infatti, la Corte del merito ha esattamente concluso che le clausole 
di esonero erano, in ogni caso, nulle perch�, anche ammesso che fossero 
determinate nell'oggetto, esse avrebbero potuto ritenersi valide limitatamente 
alla colpa Heve, ma non anche in relazione alfa ritenuta colpa 
grave o gravissima poc'anzi discussa in sede di esame del secondo 
motivo. 

E cos� decidendo il giudice a quo ha correttamente applicato il 
disposto dell'art. 1229 I comma e.e. secondo cui � nullo qualsiasi fatto 
che escluda ovvero limiti preventivamente la responsabilit� del debitore 
per dolo o colpa grave, principio ritenuto operante anche nel campo 
della colpa extracontrattuale (cfr. Cass. 1968, n. 2240). 

Meritevole di accoglimento �, invece, il 4� motivo con cui si Jamenta 
che la Corte d'Appello -abbia errato nel ritentere debito di valore e non 
di valuta quello azionato in surroga da parte della R.A.S. ai sensi dell'art. 
1916 C.c..Si censura, altres�, la ritenuta decorrenza degli interessi 
legali. 

Di recente la sentenza 1980 n. 383 di questo Supremo Collegio, con


fermando un principio gi� enunciato dalla prevalente giurisprudenza di 

merito, ha statuito che ['indennizzo pagato dall'assicuratore, costituendo 

il limite della surroga dello stesso nel diritto dell'assicurato verso il terzo 

responsabile, integra un debito di valuta e non di valore con la conse


guenza che il limite stesso non pu� essere superato per effetto della 

svalutazione monetaria. automatica afferente ai debiti di valore. 

Gli argomenti addotti a sostegno dell'enunciato principio appaiono 

persuasivi. 

Pu�, sostanzialmente, ritenersi: 

a) che l'assicuratore, il quale eserciti la surroga ex lege, pu� fare 
ci� sino alla concorrenza dell'ammontare dell'indennizzo corrisposto al 
danneggiato -suo assicurato -in quanto egli � un avente causa nel 
credito relativo; 

8 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

542 

b) che, di conseguenza, il diritto di surroga � circoscritto a tale 
indennit� e che essendo questa predeterminata nei limiti del massimale 
di polizza (e quindi monetizzata) essa sostanzia un debito di valuta; 

c) che, per effetto di ci�, non pu� essere operata la c.d. rivalutazione 
automatica prevista per i debiti di valore, ma l'assicuratore potr� 
richiedere, ai sensi dell'art. 1224 e.e., i maggiori danni da svalutazione 
secondo i principi e con i Hmiti enunciati da questa Corte Suprema a 
Sezioni Unite (cfr. Cass. n. 3776, 1979). 

Del resto, va rilevato che, dal momento in cui l'assicuratore ha 
espresso la volont� di surrogarsi al!l.'assicurato, questo, limitatamente 
alla somma erogatagli, non potr� pretendere dal terzo responsabile il 
risarcimento corrispondente all'indennizzo ricevuto e, correlativamente, 
l'assicuratore non potr� chiedere al danneggiante un importo superiore 
a quello pagato al suo dante causa, salvo la riserva di danni ex art. 1224. 

Da ci� consegue che, erroneamente, la Corte di merito ha rivalutato 
con criterio automatico fil credito della R.A.S. da essa considerato di 
valore e non di valuta, e che competer� quind,i al giudice di rinvio 
riesaminare il tutto, mclusa la decorrenza degli interessi, adeguandosi al 
principio ora enunciato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 maggio 1982, n. 2918 -Pres. Tamburrino 
-Rel. Panzarani -P. M. Silocchi -Ente Ospedaliero di Parma 
(avv. De Luca) c. lnps (avv. Romoli) e lnam (avv. Stato Fiengo). 

Giurisdizione civile -Regolamento preventivo -Questioni di legittimit� costituzionale 
-Accertamento -Limiti. 

In sede di regolamento preventivo, possono essere prese in considerazione 
solo questioni di legittimit� costituzionale concernenti precetti 
legislativi la cui applicazione abbia specifica influenza ai fini della 
designazione del giudice investito della giurisdizione; non possono, invece, 
essere prese in esame, perch� spettano al giudice investito del 
merito della controversia, le questioni di legittimit� costituzionale delle 
norme di diritto sostanziali, alle quali sia riconducibile la fondatezza della 
domanda (1). 

(1) Cfr. in tal senso Cass. Sez. Un. 18 luglio 1980, n. 4682. In coerenza con 
la massima ora enunciata � da ritenersi che, qualora sia stata emessa una pronuncia 
che abbia esaminato la rilevanza della questione di costituzionalit� e 
ne abbia riconosciuto la manifesta infondatezza, il regolamento preventivo non 
� pi� ammissibile perch� la pronuncia ha investito gi� un aspetto su cui si 
basa la fondatezza dell'azione (e cio� il merito della causa); altrettanto deve 
ritenersi se la pronuncia abbia escluso la manifesta infondatezza, rimettendo 
cos� la questione alla Corte Costituzionale (Cass. 20 giugno 1977, n. 2567, Foro pad. 
1977, I, 81). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 543 

TRIBUNALE DI BARI, IV Sezione civile, 20 luglio 1981 n. 1568 -Pres. 
rel. Lezza -Ministero detlla Difesa (avv. Stato Latagliata e De Stefano) 
c. Concordato preventivo S.I.C.A. S.p.A. (avv. D'Ippolito), S.p.A. 

S.I.C.A. in liquidazione e Banca Nazionale dell'Agricoltura (contumaci). 
Fallimento -Notifica a societ� in liquidazione -Notifica personale all'ultimo 
liquidatore -Condizioni � Validit�. 

Fallimento -Concordato preventivo -Giudizi per l'accertamento dei crediti 
nei confronti del debitore concordatario -Ammissibilit�. 

Fallimento -Concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori Funzione 
del liquidatore dei beni e giudizi per l'accertamento delle 
passivit� -Legittimazione passiva del liquidatore e litisconsorzio necessario 
con il debitore concol'datario. 

Contabilit� pubblica -Contratti della pubbli.ca amministrazione -Conclusione 
del contratto -Approvazione del contratto quale � condicio 
juris �. 

Vendita -Compravendita in danno -Non costituisce forma di esecuzione 
forzata -Sua ammissibilit� in pendenza di un procedimento di amministrazione 
controllata. 

Fallimento amministrazione controllata e concordato preventivo -Divieto 
di azioni esecutive individuali -Limiti. 

Fallimento amministrazione controllata e concordato preventivo -Principio 
della cristallizzazione dei crediti -Applicabilit�. 

Vendita -Compravendita in danno -Requisito della tempestivit� -Conseguenze 
del ritardo. 

Quando trattasi di citare in giudizio una societ� in liquidazione che 
debba ancora rispondere di precedenti rapporti, ma che non compia 
alcuna nuova attivit� e non conservi pi� la sua sede autonoma, dovr� 
applicarsi l'ultimo capoverso dell'art. 145 cod. proc. civ., e colui che 
rappresenta la societ� sostanzialmente non estinta, cio� l'ultimo liquidatore, 
non potr� che essere ricercato nella sua residenza, domicilio o 
dimora (1). 

L'apertura del procedimento e la successiva sentenza di omologazione 
del concordato preventivo non impediscono l'accertamento dei 
crediti sorti anteriormente al decreto di ammissione al procedimento 
stesso. Tale accertamento potr� essere richiesto mediante l'ordinaria 

(1) Conformi: Cass., 16 maggio 1959, n. 1448, in Giust. civ., 1960, I, p. 383, citata 
in motivazione, e Cass., 13 giugno 1975, n. 2387, in Giur. comm., 1976, Il, p. 3. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

544 

azione giudiziaria, non essendo prevista, nell'ipotesi del concordato pre


ventivo, una procedura con effetti analoghi alla verifica dei crediti in 

sede fallimentare (2). 

Il liquidatore del concordato preventivo per cessione dei beni, a dif � 
ferenza dell'amministratore-liquidatore della cessio bonorum regolata dagli 
artt. 1977 e ss. cod. civ., non � mero mandatario dei creditori, con i soli 
�poteri di realizzare e distribuire i valori sui quali si � concordato, ma 
ha funzioni pi� ampie, che si estendono alla determinazione della situazione 
patrimoniale del debitore concordatario, in guisa che deve affermarsi 
che, in ragione del proprio ufficio, egli ha un autonomo interesse 
ed una distinta legittimazione in qualsiasi azione relativa all'accertamento 
delle passivit�, unitamente al debitore stesso, che pure conserva 
la piena capacit� patrimoniale e la piena capacit� processuale in rela


zione a siffatti giudizi (3). 

I contratti della P. A. devono intendersi compiuti al momento della 

loro stipulazione, e non gi� nel momento dell'approvazione, in �quanto 

il controllo dell'Autorit� tutoria non ha funzione integrativa della vo


lont� e non si inserisce nel procedimento di formazione negoziale, ope


rando invece secondo il meccanismo della condicio juris, la cui efficacia 

implica che il contratto abbia effetto retroattivamente, fin dal momento 

della sua conclusione (4). 

La compera e la vendita in danno regolate dagli artt. 1515 e 1516 

cod. civ., non possono essere ritenute autentiche forme di esecuzione 

forzata, vietate dagli artt. 168 e 188 l.f., ma costituiscono un atto di auto


(2-3) Funzioni del liquidatore dei beni nel concordato preventivo e legittimazione 
passiva nei giudizi di accertamento della situazione patrimoniale 
del debitore concordatario. 

La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che lo strumento 
per ottenere il riconoscimento di un credito vantato nei confronti di un'impresa 
sottoposta a concordato preventivo, � costituito dal normale processo di cognizione, 
tenuto conto della specifica struttura del procedimento in esame. Si ritiene 
infatti che, mancando nel concordato preventivo un sistema di verifica dei 
crediti equivalente a quello previsto in sede fallimentare, non � precluso l'esercizio 
del giudizio ordinario per far valere l'esistenza, l'ammontare, ovvero il 
rango dei crediti vantati nei confronti del debitore concordatario. Tali azioni 
sono anzi esperibili anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, 
in quanto costituiscono l'unica forma di tutela giurisdizionale concessa 
ai creditori (1). 

(1) Cfr. Cass., 12 novembre 1980, n. 6061, in Foro it., Rep. 1980, voce Concordato preventivo, 
col. 498, n. 32; Cass., 19 dicembre 1978, n. 6083, e Cass., 18 dicembre 1978, n. 6042, 
ivi, 1980, I, p. 3073 ss., con nota di D. TEDESCHI; Cass., 2 agosto 1977, n. 3391, in Giust. civ., 
1977, I, p. 1890 ss.; Cass., 19 maggio 1977, n. 2062, in Foro it., Rep. 1977, voce cit., col. 484, 
n. 32; Cass., 22 novembre 1976, n. 4383, ivi, 1977, I, p. 1746 ss.; Cass., 29 maggio 1976, n. 1939, 
ivi, 1976, I, p. 2666 ss., con ampi richiami. 
In senso conforme, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 18 marzo 1976, in 
Giur. comm., 1977, II, p. 539 ss., ed in dottrina R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, 
Milano, voi. Ili, pp. 2143-2144, e M. VASBLU, Concordato preventivo, in Encicl. Dir., 
voi. VIII, Milano, 1961, pp. 512-513. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CI\IILB 545 

tutela contrattuale che consente al creditore il conseguimento immediato 
dell'oggetto della prestazione e la pronta liquidazione dell'ammontare 
del danno, in ragione delle differenze di prezzo e delle spese della operazione 
(5). 

Il divieto di cui agli artt. 168 e 188 l.f., colpisce indistintamente tutte 
le azioni esecutive individuali aventi natura appropriativa; per quanto 
riguarda l'esecuzione degli obblighi di consegna o rilascio, invece, il 
divieto opera nei soli casi in cui tali azioni pregiudichino le regole 
fondamentali del concorso e violino il principio della par condicio, ma 
non pure quando esse non contrastino affatto con le finalit� tipiche della 
procedura concorsuale, come avverrebbe nel caso della compravendita 
in danno, ove fosse considerata una specie di esecuzione forzata (6). 

Le procedure di amministrazione controllata e di concordato preventivo 
importano, al pari del fallimento, la cristallizzazione della posizione 
patrimoniale tanto del debitore quanto del creditore, a far capo dal 
momento del loro inizio, con la conseguenza che da quel momento non 
possono maturare interessi, n� applicarsi penali o rivalutazioni monetarie 
dei crediti, che altererebbero la par condicio creditorum (7). 

Le operazioni di compravendita in danno devono essere eseguite 
� senza ritardo �, con la conseguenza che le differenze di prezzo che 
consentono di liquidare il danno derivato dall'inadempimento andranno 
riferite al momento in cui si sono verificate le condizioni per esercitare 
la procedura coattiva, e non al momento in cui la compera o la vendita 
sono state concretamente eseguite (8). 

St�la base di tale pacifica premessa, si pone il tema pi� complesso della 
legittimazione a contraddire nell� predette azioni. In proposito, viene comunemente 
riconosciuta la legittimazione del debitore concordatario: si ritiene 
infatti che egli conserva non solo la titolarit� dei rapporti giuridici a lui facenti 
capo e, -nel caso di concordato a percentuale, -l'amministrazione dei propri 
beni, ma anche la capacit� processuale, che � invece perduta di regola dal soggetto 
dichiarato fallito (2). 

Appare invece contrastata la questione se anche gli altri organi del concordato 
possano essere considerati legittimi contraddittori nei predetti. gii.udizi, 
.>pecialmente in riferimento alla ipotesi del concordato per cessione dei beni 
ai creditori. Tale questione si inquadra d'altronde nel tema pi� generale delle 
funzioni e dei poteri di tali organi, con particolare riguardo per quelli del liquidatore 
dei beni; e questo tema � a propria volta correlato con lo stesso modo 
di intendere la procedura concordataria mediante cessione liquidativa. 

Il problema pu� riassumersi in questi termini: chi identifica tale cessione 
dei beni con l'istituto civilistico previsto e disciplinato dagli artt. 1977 e segg. 

(2) Cfr., in proposito, Cass., 2 agosto 1977, n. 3391, cit.; Cass., 21 marzo 1977, n. 1098, 
in Foro it., Rep. 1977, voce cit., col. 483, n. 23; Trib. Firenze, 15 settembre 1976, in Giur. 
merito, 1977, p. 252. 
In dottrina,� cfr. D. MAzzoccA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1980, pp. 553 e 
569; P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1976, pp. 729 e 761; G. DB SBMO, 
Diritto fallimentare, Padova, 1968, p. 545; R. PROVINCIAU, op. cit., p. 2050. 



546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

I 

Con contratto in forma pubblica/amministrativa rep. n. 19821 in 
data 1 febbraio 1972 la societ� SICA -Societ� Italiana Cioccolato Affini 
S.p.A., con sede in Bari si obbligava ad eseguire la fornitura di quintali 

I 

1200 di cioccolato, per l'importo complessivo di L. 94.552.800, al Ministero 

I

della Difesa. 

Resasi parzialmente inadempiente fa SICA e scaduto inutilmente il 
termine fissato alla medesima per l'approntamento e la consegna dei 
rimanenti quintali 741 di cioccolato puro, l'Amministrazione della Difesa, 
con fol. 148/1 del 5.2.74, comunicava alla societ� fornitrice che, a norma 
dell'art. 72 delle Condizioni Generali di Oneri facenti parte integrante 

Idel contratto, era decaduta dal diritto di proseguire la fornitura relativamente 
alla consegna di quintali 741 a saldo della provvista e che, 

I

conseguentemente, avrebbe acquistato il predetto quantitativo di merce 
in danno della societ� medesima, a cui carico sarebbero state poste, 

I 

inoltre, le eventuali maggiori spese, salve le penalit� per il ritardo e 
la mancata consegna prevista dall'art. 70 delle citate C.G.O. 

I 

W: 
Andate deserte una licitazione privata in data 28 maggio 1974 e due 

i 
~ 

raccolte d'offerte in data 20.6.74 e 9.7.74, l'acquisto in danno della SICA ~= 
avveniva con contratto n. 23354 di Rep. dell'8.10.74 stipulato a trattativa 
privata con la � S.p.A. De Licia -Compagnia Europea di produzioni Dolciarie
�, con sede in Gorizia, per fornitura di q. 740 di cioccolato puro 


I 

del Codice Civile, tende ad identificare il liquidatore nominato ex art. 182 l.f. ~ 
con il liquidatore della normale cessio bonorum, attribuendogli pertanto la ~ 
niera funzione del mandatario ad amministrare ed alienare i beni ricompresi 
nella cessione e conferendogli di conseguenza i soli poteri processuali che a lui 

I 
competono per questo specifico incarico: e cio�, i soli poteri processuali che 
ineriscono alle azioni di carattere patrimoniale relative ai beni ceduti (arti� 
colo 1979 C.C.), o alle azioni che concernono lo stesso svolgimento . delle opera


Izioni di liquidazione; viceversa, chi tende a distinguere le due forme di cessione 
dei beni, pone implicitamente le premesse per differenziare anche le funzioni 
ed i poteri del liquidatore nelle due ipotesi, in ciascuna delle quali la 
capacit� processuale sar� rapportata alla specificit� del relativo munus. 

II

L'impostazione tradizionale appare chiaramente orientata verso la prima 
soluzione, nel presupposto di fondo che la sentenza omologativa � apre una 
fase di carattere negoziale, sulla quale nessuna influenza possono svolgere gli %

!

organi del procedimento di concordato, oramai esauritosi� (3). Il carattere 

~ 

negoziale della fase post-concordataria della liquidazione consente quindi di 

i 

parificare la cessione dei beni nel concordato preventivo alla cessione dei beni 1 
di cui agli artt. �1977 e segg. C.C., con la conseguente unificazione della figura f: 

~ 

giuridica del liquidatore. Questo indirizzo, -con i suoi logici riflessi sul pro� 

blema della capacit� processuale, che qui specificamente interessa, -� stato 

recentemente riaffermato dalla S.C. di Cassazione, la quale ha ritenuto che 

(3) M. VASELLI, Concordato preventivo, cit., p. 517. 

I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 547 
. .,,co~plessivo L. 137.640.000, ridotto a L. 137.295.900 per 
sul essendo inI, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 547 
. .,,co~plessivo L. 137.640.000, ridotto a L. 137.295.900 per 
sul essendo in
_.,.o �dello 0,25 % prezzo unitario, stata accettata, 

, 
, 
.. :rtfog~ della cauzione, fideiussione bancaria. Per l'esatta copertura dell'acquisto 
in danno della merce non fornita dalla SICA (q. 741), l'Amministrazione, 
avvalendosi della facolt� di cui all'art. 11 del R.D. 18.11.1923 


n. 2440, ordinava alla De Licia, entro il limite del quinto dell'ammontare 
del succitato contratto 23354, la fornitura di un altro quintale di cioccolato 
per il maggiore importo di L. 186.000, ridotto per l'abbuono dello 
0,25 % a L. 185.535. 
Dall'acquisto in danno veniva cos� a risultare una maggiore spesa 
di L. 87.343.965 (di cui L. 79.095.080 per differenza prezzo della merce e 

L. 8.248.885 per IVA) da porsi -per effetto dell'art. 73 delle C.G.O. a 
carico della SICA, tenuta altres� al pagamento delle ulteriori somme 
di L. 6.650.215 a titolo di penalit� per ritardo nella consegna di q. 103 
e per mancata esecuzione dell'approvvigionamento di q. 741 di cioccolato; 
di L. 1.222.025 IGE sull'importo di q. 240 e q. 116 di merce a suo 
tempo consegnati; nonch� di L. 1.411.800 per maggiore spesa risultata 
dall'acquisto in danno di n. 17400 razioni di cioccolato energetico, effettuato 
con ordinativo in economia numero TRM2/7724-7841 Li-2 in data 
8.10.1972 presso la ditta Alemagna a seguito di decadenza della SICA 
dall'intera fornitura della predetta merce, oggetto del contratto n. 18900 i 
di Rep. del 24.8.1971. 
\

l

� la legittimazione, sia attiva che passiva, a tali azioni spetta esclusivamente 

�

al creditore dell'imprenditore e all'imprenditore medesimo, mentre non spetta 
mai n� al liquidatore dei beni ceduti ai creditori, e neppure al commissario 

l 
~ 

giudiziale... Invero, la legge fallimentare, nel prevedere all'art. 182 la nomina 
del... liquidatore, non gli conferisce alcun potere di verifica della esistenza ed 
esigibilit� reale dei crediti ammessi, n�, tanto meno, di rappresentanza della 
massa dei creditori, sicch� il suo compito deve intendersi strettamente limitato 
a realizzare i beni del debitore concordatario e a ripartirne il ricavato secondo 
le modalit� stabilite nella sentenza di omologazione... In tale situazione, se da 
un lato non si pu� dubitare della legittimazione passiva del liquidatore rispetto 
ad un giudizio in cui in sostanza lo si chiama... a rendere conto del proprio 

II

operato di liquidazione, dall'altro lato deve invece escludersi la sua legittimazione 
a proporre questioni che esulano dalla pura e semplice esecuzione della 
sentenza di omologazione del concordato� (4). 

La diversa soluzione adottata dal Tribunale di Bari nel caso di specie, si 
ispira, -coine si � accennato, -ad una concezione alternativa della ces-?.AW 

(4) Cass., 18 dicembre 1978, n. 6042, cit. 
In senso analogo sono orientate Cass., 8 gennaio 1979, n. 78, in Foro it., Rep. 1979, 
voce cit., col. 466, n. 60; Cass., 11 novembre 1970, n. 2346, in Dir. fall., 1971, II, p. 445 ss.; 
Cass., 18 luglio 1960, n. 1994, in Foro it., 1960, I, p. 1948 ss. e Dir. fall., 1960, II, p. 838 ss.; 
Cass., 23 novembre 1959, n. 3440, in Foro it., Rep. 1959, voce cit., eol. 510, n. 13, nonch�, 
nella giurisprudenza di merito, Trib. Firenze, 11 novembre 1978, in Giur. comm., 1980, 
II, p. 644 ss.; Trib. Milano, 20 settembre 1976, in Dir. fall., 1977, II, p. 143 ss.; Trib. Bologna, 

27 dicembre 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, p. 587 ss., ed ivi ampi richiami. 
In favore di questa soluzione si esprime, in dottrina, R. PROVINCIALI, 

p. 2126, n. 62, e pp. 2128-2129, n. 66, con ampi richiami giurisprudenziali. 
Manuale, cit., 

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548 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La complessiva somma di L. 96.528.005 dovuta dalla SICA veniva a 
ridursi a L. 59.732.400 per eseguita compensazione parziale con le minori 
somme spettanti alla cennata societ� di L. 36.653.390 (IVA compresa) per 
la parziale esecuzione del contratto n. 19821 in data 1 febbraio 1972 e di 

L. 142.215 (giuste fatture n. 9028 del 17 luglio 1972 e n. 675 del 27 settembre 
1972) per le provviste effettuate presso l'Aeroporto di Alghero e presso 
il Q.G. Aeroregione di Bari. 
Con atto di citazione 19 maggio 1977 l'Amministrazione della Difesa, 
(Direzione Generale di Commissariato), in persona del Ministro della Difesa 
in carica, premesso quanto innanzi esposto, assumeva che la SICA era 
tenuta al pagamento della somma di L. 59.732.400, nonch�, in solido, per 
la parte afferente .i debiti dall'inadempimento del contratto 19821 in data 
1 febbraio 1972 e limitatamente a L. 9.480.000, la Banca Nazionale della 
Agricoltura, sede di Milano, per l'obbligazione fideiussoria assunta nel 
cennato contratto; aggilllll.geva che la SICA, richiesta del pagamento, nel 
comunicare che, a termdne della procedura di amministrazione controllata, 
aveva proposto concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, 
aveva invocato a suo favore l'applicabilit� dell'art. 168 l.f., e che la Banca 
Nazionale dell'Agricoltura, sollecitata ad eseguire il pagamento, non vi 
aveva provveduto n� vi aveva dato riscontro; riferiva che, con sentenza 
4 giugno 1975, il Tribunale di Bari aveva omologato il concordato preventivo 
proposto dalla SICA il 16 dicembre 1974 ed aveva nominato Commissario 
giudiziale il dr. Rino Formica e liquidatore l'avv. Francesco Troccoli; 

sione dei beni ai creditori nel concordato preventivo. L'istituto, in pratica, viene 
sottratto all'ottica meramente negoziale che caratterizza l'orientamento tradi


. zionale, per essere piuttosto interamente ricondotto nella sfera del procedimento 
concorsuale a cui accede e di cui acquisisce l'impronta pubblicistica. In altri 
termini, la cessione liquidativa � considerata non com~ un'attivit� di attuazione 
del concordato rimessa alla semplice iniziativa privat�, nelle forme previste per 
l'ordinaria cessio bonorum, ma come una fase della procedura concorsuale, 
assoggettata al controllo pubblicistiCo proprio di quest'ultima (5). 

Nell'ambito di questa concezione, la figura del liquidatore concordatario 
acquista ovviamente una sua peculiarit�, con tutte le conseguenze del caso in 

(5) In dottrina, tale impostazione � sostenuta in particolare da C. CELORIA e P. PAJARDI, 
nel Commentario della legge fallimentare, vol. II, Milano-Messina, 1960, p. 957 ss. � Pare 
assurdo �, -si legge nel testo, -� che una procedura che nasce con chiari elementi puoblicistici... 
possa perdere per strada questo suo carattere per tFasformarsi in un semplice 
accordo tra privati, con una intromissione del Tribunale meramente estrinseca. Si cadrebbe, 
attraverso una simile concezione, nell'istituto della cessione dei beni previsto e regolatodagli artt. 1977 e segg. cod. civ., e non sareblie stato necessario creare un doppione. 
Si sarebbe rimasti fuori dall'equivoco di una situazione giuridicamente confusa: una 
procedura che prima � affidata interamente al Tribunale per l'ammissione o la reiezione, 
poi, in caso di giudizio positivo, viene passata al vaglio dei creditori per l'approvazione,
poi ripassata al Tribunale per l'omologa, ed infine rimessa ai creditori e al debitore, con 
l'intromissione del liquidatore (o dei liquidatori). 

Sono invece fermamente dell'opinione... che il concordato preventivo... rimane una 
procedura con forti tinte pubblicistiche. Se il legislatore ha ritenuto di darle una regolamentazione 
particolare e di inserirla tutta quanta nel corpo e nella struttura della leggefallimentar,e, vuol dire che ha ritenuto anche che gli i11teressi dei creditori e del debitore 
non potessero essere racchiusi e risolti in un ambito meramente privatistico, ma dovevano 
essere trasferiti in uno pubblicistico, anche se meno denso di quello del fallimento. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 549 

esponeva che successivamente, con deliberazione dell'assemblea dei soci, 

la SICA S.p.A. era stata sciolta ed era stato nominato liquidatore 

l'ing. Mario Banfi. 

Ci� premesso, al fine di conseguire le somme innanzi precisate, nonch� 

i danni da svalutazione monetaria da precisarsi in corso di causa, conveniva 

in giudizio, dinanzi a questo Tribunale: 1) fa societ� in concordato pre


ventivo SICA Societ� italiana Cioccolato Affi.nd -S.p.A., in liquidazione, in 

persona del suo liquidatore e legale rarppresentante ing. Mario Banfi e 

2) la Banca Nazionale deH'Agricoltura per sentir cosi provvedere: 

a) dichiarare che la SICA S.p.A. in liquidazione � tenuta a corrispon. 
dere all'Amministrazione della Difesa -Direzione Generale di Commissariato 
-per Je causali innanzi spiegate la complessiva somma di lire 

96.528.005 (novantaseimilionicinquecentoventottomilacinque), ridotta, per 
parziale compensazione, a L. 59.732.400 (cinquantanovemilionisettecentotrentaduemilaquattrocento); 
b) dichiarare che la Banca Nazionale dell'Agricoltura � tenuta a corri


spondere alla medesima Amministrazione attrice, in solido con la SICA, 

la somma di L. 9.480.000 (novemilioniquattrocentottantamila); 

e) condannare fa Banca Nazionale dell'Agricoltura al pagamento della 

somma di cui al precedente capo oltre agli interessi, come per legge, dal 

29 maggio 1975 al soddisfo; 

d) condannare la SICA S.p.A. in liquidazione al pagamento della 
somma di L. 59.732.400 (cinquantanovemilionisettecentotrentaduemilaquat


ordine alla sua capacit� processuale. Pi� specificamente, tale figura. acquista 

una precisa impronta ufficiosa, in relazione all'esigenza che sia assicurato un 

efficace controllo sull'esecuzione delle operazioni concordatarie, a garanzia del� 

l'equo contemperamento degli � interessi creditori. 

Ci sembra che questo orientamento, oltre ad essere ispirato da una visione 

pi� coerente del fenomeno in esame e da una sensibilit� maggiore per le fina


lit� che esso tende a realizzare, � confermato, -in via induttiva, -dalla stessa 

disciplina legale, dalla quale si pu� desumere che il liquidatore del concordato 

possiede una funzione del tutto originale e pienamente . conforme alla dedotta 

ufficialit� della propria figura. Egli infatti, -a differenza del liquidatore della 

normale cessio bonorum, -non ha il limitato compito di amministrare ed alie


nare i beni ceduti, in rappresentanza dei creditori che abbiano aderito alla pro


posta liquidativa, ma � investito del pi� ampio e significativo dovere di rea


lizzare le attivit�, di accertare il passivo mediante un procedimento ammini


strativo che �sostituisce l'equivalente procedimento giurisdi:l!ionale previsto per 

il fallimento, e di predisporre e comunicare un piano di riparto delle attivit� 

liquidate, che ha effetto vincolante per i creditori, ivi compresi quelli assenti 

e dissenzienti: tutti compiti, -come ben si vede, -che consentono di para


gonarlo per vari aspetti pi� al curatore fallimentare che al mandatario della 

cessio bonorum. 

Sulla base della ritenuta ufficialit� del proprio munus e della connessa 

pubblicit� delle sue funzioni, non sar� difficile trarre ormai le opportune con




RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

550 

trocento), oltre agli interessi come per legge, salvo a detrarre la somma 
di L. 9.480.000, nell'ipotesi di accoglimento delle conclusioni di cui ai capi 
b) e e); 

e) condannare la SICA -S.p.A. in liquidazione ai danni per svalutazione 
monetaria, da precisarsi in corso di causa; 

f) dichiarare, ove occorra, che l'Amministrazione della Difesa, creditrice 
concorsuale, ha diritto di essere soddisfatta per l'ammontare complessivo 
dei suoi crediti verso la societ� SICA in concordato preventivo nella 
percentuale a risultare a seguito della liquidazione dei beni; 

g) condannare i convenuti alle spese tutte del giudizio. 

La citazione veniva notificata altres� al dott. Rino Formica e all'avv. 
Francesco Troccoli, rispettivamente commissario giudiziario e liquidatore 
nel concordato preventivo della SICA S.p.A., per notizia e legale scienza. 

Dichiarata la contumacia delle convenute, in corso di giudizio il procuratore 
dell'attrice riduceva la domanda nei confronti della SICA a lire 
49.130.375, avendo la SICA corrisposto L. 1.222.025 per IGE sull'importo 
df q.li 240 �e 116 di merce a suo tempo consegnata a fronte del contratto 

n. 19821 idi rep. -del 1� febbraio 1972 ed avendo fa Banca Nazionale dell'Agricoltura 
versato la somma di L. 9.480.000-(59.732.480-1.222.025 -9.480.000) e 
limitava i capi b) e e) al pagamento, da parte della Banca Nazionale 
dell'Agricoltura, degli interessi legaiJ.i sulla somma di L. 9.480.000 dal 29 magseguenze 
applicative con riguardo al tema specifico della legittimazione processuale, 
dal quale siamo partiti e che qui interessa in modo particolare. i;'. infatti 
evidente che su tali basi occorrer� riconoscere la sua autonoma ~d originaria 
capacit� (ad agire e) a resistere nei giudizi attinenti alla situazione patrimoniale 
del debitore C()[]:cordatario, in quanto idonei a modificare la posizione 
dei creditori, alla cui dndifferemii:ata tutela egli � .istituzionalmente tenuto a 
provvedere. Tale soluzione non � d'altronde p11iva di precedenti, ma � anzi 
conforme ad un indiI'izzo che, bench� minm1itario, ha gi� trovato autorevole 
ri.scontro nella giurisprudenza sia di !egiittimit� (6) che idi merito (7). 

Per esaurire l'argomento della capacit� processuale nei giudizi che investono 
la sfera patrimoniale del debitore concordatario, occorre infine considerare 
brevemente la posizione degli altri organi della procedura. A riguardo, non 
dovrebbe sembrare dubbia la legittimazione passiva del garante del concordato 
preventivo (da non confondere per� con il garante dell'obbligazione in 
contestazione, anch'egli d'altronde pienamente legittimato, iure proprio, nel 

(6) Cfr. Cass., 19 dicembre 1978, n. 6083, cit. 
(7) Cfr. Appello Torino, 12 aprile 1974, in Giur. it., 1974, I, 2, p. 679 ss., Trib. Bologna, 
13 dicembre 1969, ivi, 1970, I, 2, �p. 587 ss., e Trib. Bologna, 7 febbraio 1963, ivi, 1963, I, 
2, p. 434 ss. Nel senso che i liquidatori non sono litisconsorti, ma possono comunque intervenire 
volontariamente nel processo, si veda Trib. Firenze, 15 settembre 1976, cit. 
Pi� radicale, in dottrina, la tesi sostenuta da D. MAzzoccA (Manuale, cit., p. 570), 
secondo cui, nel caso di concordato per cessione, � tutti i poteri, anche processualmente, 
per recuperare e far valere ragioni attinenti alla integrit� patrimoniale... passano ... ai 
creditori ed al liquidatore >>. 

t 

! 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 551 

gio 1975 al 2 settembre 1977. La causa veniva quindi rimessa al collegio e 
ritenuta per la decisione all'udienza del 22 gennaio 1979. 

Il Tribunale, con ordinanza collegiale 29 gennaio -6 febbraio 1979, sul 
rilievo che dal progetto analitico 26 settembre 1977 redatto dalla seconda 
sezione della Direzione Generale Commissariato non emergevano con chiarezza 
i procedimenti attraverso cui si era pervenuti ai risultati nello 
stesso indicati, invitava il procuratore dell'Amministrazione Difesa a dare 
chiarimenti in proposito. 

Depositate da parte deU'attrice deduzioni istruttorie datate 4 aprile 
1979, la causa. veniva nuovamente rimessa al collegio che con ordinanza 
28 maggio -8 giugno 1979, al fine di attuare l'economia dei giudizi e di 
evitare contraddittoriet� di giudicati, ordinava l'integrazione del contraddittorio 
nei confronti dell'avv. Francesco Troccoli, liquidatore giudiziale della 
SICA S.p.A., ammessa al concordato preventivo con cessione di beni. 

Costituitosi in giudizio con comparsa 20 ottobre 1979, l'avv. Troccoli, 
nella detta qualit�, deduceva finopponibilit� dell'acquisto in danno alla 
societ� contraente ai sensi degli artt. 168, 1� comma e 188 2� comma, .legge 
fallimentare. 

Subordinatamente, eccepiva la tardivit� dell'acquisto esperito, affetto, 
di conseguenza, da inefficacia e, pi� subordinatamente, che i prezzi da 
considerare avrebbero dovuto essere quelli vigenti al momento dell'inadempimento 
(30 gennaio 1974). 

Ancora pi� subordinatamente, deduceva l'infodatezza della domanda 
di rivalutazione del credito, stante il principio della cristallizzazione dei 

giudizio di cog111z10ne relativo al credito), nonch� quella del terzo assuntore 
del concordato. Non legittimato appare invece il commissario giudiziale, le cui 
funzioni dopo l'omologazione del concordato appaiono limitate alla mera vigi� 
lanza sulla sua corretta esecuzione (8). 

(4) La massima � conforme sia alla dottrina che alla giurisprudenza dominanti. 
Si veda, tra l'altro, A. BENNATI, Manuale di Contabilit� di Stato, Napoli, 
1977, p. 149 ss., e O. SEPE, Contratto (Diritto Amministrativo), in Encicl. Dir., 
vol. IX, Milano, 1961, p. 1010 ss., nonch� Cass., 4 dicembre 1975, n. 4010, in Foro it., 
Rep. 1975, voce Contratti della P.A., col. 602, n. 36; Cass., 27 marzo 1973, n. 839, ivi, 
Rep. 1973, voce cit., col. 609, n. 33; Cass., 28 gennaio 1972, n. 244, ivi, 1972, I, 
p. 600 ss., e Cass., 16 aprile 1970, n. 1061, in Giust. civ., 1970, I, p. 1632 ss. Cfr. altres� 
Avvocatura dello Stato, Il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975, vol. III, 
Roma, 1976, p. 174. 
(.5-8) Un caso di compera in danno nei confronti di una societ� in amministrazione 
controllata. 

La fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Bari, -relativa alla 
ammissibilit� ed ai limiti di validit� di una compera in danno eseguita nei 
confronti di una Societ� posta in stato di amministrazione controllata, -con


(8) Per quanto riguarda tali specifici profili, si rinvia alla nota di D. T�EDESCHI gi� citata, 
le cui osservazioni in merito appaiono pienamente condividibili. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

crediti nei confronti delle procedure concorsuali, nonch� della richiesta 
d'interessi in contrasto con gli articoli 169 e 55 L.F.. 

Concludeva per il rigetto delle domande, perch� inammissibili, infondate 
e comunque ingiustificate. Subordinatamente, chiedeva il contenimento 
delle .domande nei limiti del giusto e del provato. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1) Rileva innanzi tutto il collegio che rettamente � stata dichiarata la 
contumacia delle convenute SICA S.p.A. in liquidazione e della Banca 
Nazionale dell'Agricoltura, ritualmente citate e non costituite. 

In relazione alla SICA, societ� in liquidazione, �vente quale liquidatore 
l'i.!ng. Mario Bainfi, cop:i!a dell'atto di citazione venne diall'UfficiaJe Giudooarrfo 
dapprima portato, Jl 23 maggio 1977, nella sede della predetta societ� alla 
Vii.a Postiglione n. 26, ma non venne consegnata perch�, come si legge nella 
relata, � omessa notifica perch� cessata la sua attivit� �. Altra copia venne 
portata nell'abitazione dell'ing. Mario Banfi, nella qualit� di liquidatore 
della SICA, sita in Bari alla Via De Nicol� n. 37, � quivi consegnandola a 
mano del portiere Massaro Domenico, tale si qualifica, capace, per la sua 
precaria assenza e dei familiari. Bari 23 maggio 1977 �. Il portiere Massaro 
provvedeva a firmare l'originale dell'atto di citazione. 

Altra copia venne portata nell'ufficio dell'ing. Mario Banfi (sempre 
nella qualit�) sito in Bari alla P.zza Aldo Moro (Roma) n. 54, quivi conse


sente di verificare criticamente una lunga serie di interessanti questioni che 
attengono alla disciplina di entrambi gli istituti. 

Un problema preliminare, -ancorch� non suscitato in corso di causa, riguarda 
la stessa esigibilit� della prestazione ineseguita, essendo chiaro che 
solo nell'ipotesi affermativa si potrebbe ammettere l'adozione di un rimedio 
quale la compera in danno, che presuppone un diritto attuale all'adempimento. 
Occorre dunque soffermarsi innanzi tutto sugli effetti della apertura del procedimento 
di amministrazione controllata sui rapporti giuridici pendenti, onde 
verificare se la parte adempiente avesse davvero il diritto di esigere la prestazione 
inadempiuta e potesse avvalersi degli strumenti ordinariamente concessi 
per il caso di inadempimento. 

Sotto questo profilo generale, giova preliminarmente puntualizzare che nell'ipotesi 
di apertura del procedimento di amministrazione controllata non pu� 
ritenersi applicabile ai contratti in corso la disciplina dettata per il caso di fallimento, 
tenuto conto delle divergenze di natura e di finalirtl tra i due istituti: 
il primo riguardante il periodo della � temporanea difficolt� ad adempiere � e 
diretto a ricostruire quelle condizioni di solvibilit� dell'impresa che risultano 
momentaneamente compromesse; il secondo riferibile al tempo della definitiva 
� insolvenza � ed avente funzioni liquidative. Pertanto, -come insegna la pi� 
recente giurisprudenza della S.C. di Cassazione, -occorre che nell'ipotesi di 
amministrazione controllata � siano mantenuti... i rapporti gi� costituiti, ... senza 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE 
gnandola a mani del dipendente addetto alla ricezione Martiradonna 
Vittorio. 

Non sussiste, infatti, nella specie in esame violazione dell'art. 145 
cod. proc. civ. (il quale determina la persona cui la copia dell'atto deve 
essere notificata quando la notifica deve essere effettuata nella sede della 
societ�) ricorrendo l'eccezione prevista nell'ultimo capoverso del cennato 
articolo, secondo cui se la notificazione non pu� essere eseguita a norma 
dei commi precedenti e nell'atto � indicata la persona fisica che rappresenta 
l'ente, si osservano le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141. 

Ha, infatti, insegnato il Supremo Collegio, con sentenza 16 maggio 1959 

n. 1448 (Giust. Civ. 1960, I, p. 388), che quando trattasi di societ� in liquidazione, 
che pur dovendo rispondere dei precedenti rapporti non ancora 
estinti, non compie, tuttavia, alcune nuove attivit� e, quindi di regola non 
conserva pi� la sua sede autonoma, stante l'impossibilit� di rinvenire una 
sede separata propria della societ�, dovr� applicarsi l'ultimo capoverso 
dell'art. 145, e colui che rappresenta ancora la societ� sostanzialmente non 
estinta, cio� l'ultimo liquidatore, non potr� che essere ricercato nella sua 
residenza, nel suo domicilio o nella sua dimora. 
Sulla scorta delle cennate osservazioni, pienamente rituale appare la 
notificazione effettuata presso l'abitazione e l'ufficio del liquidatore 
ing. Banfi e, conseguentemente, rettamente � stata dichiarata la contumacia 
della cennata societ� in liquidazione. Nessuna questione sorge in ordine 
alla ritualit� della notificazione effettuata nei confronti della Banca Nazionale 
dell'Agricoltura, onde correttamente � stata dichiarata la contumacia 

che vi sia per il debitore e per il commissario giudiziale una facolt� di scelta, 
come quella prevista per il curatore del fallimento (1) �. 

La ritenuta continuit� delle. situazioni giuridiche pendenti non esaurisce 

tuttavia la nostra indagine, in quanto non si pu� ignorare la necessit� di adat


tarne opportunamente la normativa alle circostanze sopravvenute e di armo


nizzarle con la disciplina dell'amministrazione controllata: disciplina che ancora 

una volta, -nel solito, equivoco silenzio della legge, -dovr� essere ricostruita 

(1) Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, in Dir. fall., 1976, II, p. 698 ss., Foro it., 1977, I, 
p. 477 ss., e Giust. civ., 1976, I, p. 1638 ss. Conformi: Cass., 3 luglio 1980. n. 4217, in 
Giust. civ., 1980, .I, P; 244'.J ss., e Dir. fall., 1980, II, p. 590 ss.;. Cass., 14 febbrai? 19~9, 
n. 973 e n. 974, m Gmr. tt., 1979, I, l, p. 1680 ss.; Cass., 21 aprile 1972, n. 1267, m Dir. 
fall., 1972, Il, p. 578 ss. e Giur. it., 1972, I, 1, p. 1155 ss. 
In dourina, si veda R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, 
vol. III, p. 2306, sec�1ndo il quale �i contratti non ancora eseguiti, in tutto o in parte, da 
entrambi i contraenti, continuano ... �; L. PAZZAGLIA, L'amministrazione controllata. Natura 
giuridica ed effetti. Milano, 1957, p. 145 ss.; S. SAITA, Amministrazione controllata, in 
Encicl. Dir., vol. Il, Milano, 1958, p. 188; D. MAzzoCCA, Manuale di diritto fallimentare, 
Napoli, 1980, p. 592. 

L'individuazione delle predette differenze, -sia sostanziali che di disciplina, -tra 
amministrazione controllata e fallimento, non contraddice l'indirizzo giurisprudenziale iniziato 
con la sentenza della Cassazione del 7 dicembre 1966, n. 2872 (in Foro it., 1977, I, 

p. 756), ed univocamente ribadito successivamente, in merito al rapporto di � continuit� �, 
tra le due procedure, con la conseguente possibilit� di identificare i concetti di � temporanea 
difficolt� ad adempiere � e di � insolvenza � e di far risalire fino al primo momento 
gli effetti giuridici del dissesto fallimentare: tali considerazioni derivano infatti dalla constatazione 
postuma dell'esito negativo del risanamento tentato con l'amministrazione controllata, 
ma non escludono affatto le funzioni ontologicamente � terapeutiche � e sostanzialmente 
differenziate di quest'ultimo istituto. 

554 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di detta convenuta. 

Legittimo, n� per altro contestato dall'attrice, appare l'intervento 
in causa iussu iudicis del liquidatore del concordato preventivo SICA 

S.p.A. al quale va riconosciuta una autonoma legittimazione, cos� 
risolvendo l'antica disputa relativa alla legittimazione del. liquidatore del 
concordato preventivo nelle azioni cognitive che riguardano i crediti ed i 
debiti del debitore in concordato. 
La questione si pone perch� il debitore concordatario, che resta in 
bonis, conserva la piena capacit� processuale attiva e passiva, ed il liquidatore 
del concordato viene ritenuto un mandatario dei creditori con i 
soli poteri di realizzare e distribuire i valori sui quali si � concordato, sia 
nel caso di concordato con percentuale predeterminata, sia nell'ipotesi di 
concordato per cessione di beni, con conseguente esclusione nel liquidatore 
della legittimazione passiva nei giudizi cognitivi sui crediti. 

Un pi� approfondito. esame delle norme fallimentari, quale � possibile 
dopo questi ultimi anni d'intensa sperimentazione dei procedimenti concordatari, 
deve indurre a modificare le sovraesposte tesi. 

Invero, posto che il concordato preventivo � un procedimento di 
ufficio, al quale si attribuisce addirittura carattere inquisitorio (Trib. 
Roma, 8 luglio 1970, in Dir. fall. 1971, II, 89) e che, nell'ambito della ufficiosit�, 
la nomina del liquidatore � riservata al Tribunale (art. 182 L.F.) e che 
esso concordato, una volta omologato, � obbligatorio per tutti i creditori, 
anche se assenti o dissenzienti (art. 184 L.F.), appare di tutta evidenza che 

per mezzo di interpretazione, tenuto sempre conto della natura e delle finalit� 
dell'istituto. 

A questo riguardo, sembra da disattendere la tesi pi� restrittiva, che limita 
al divieto di azioni esecutive individuali le deroghe alla normativa comune in 
tema di obbligazioni determinate dall'apertura della amministrazione control� 
lata, rimanendo cos� invariati gli obblighi dell'imprenditore di adempiere le 
proprie prestazioni alla scadenza pattuita e restando salvi tutti gli ordinari 
effetti previsti dalla legge o dal contratto per il caso di inadempimento. Viceversa, 
costituisce insegnamento costante della Corte Suprema che � la tutela 
dei crediti, considerati non singolarmente, ma nel loro insieme, � il fine comune 
di tutti gli istituti previsti dalla legge fallimentare e, quindi, anche della 
procedura della amministrazione controllata, e che la realizzazione di tale 
tutela, postulando la rigida applicazione della par condicio creditorum, esclude 
la possibilit� che siano compiuti atti che alterino, a vantaggio di un creditore, 
la situazione esistente al momento dell'apertura della procedura e, in particolare, 
esclude che siano soddisfatti i crediti anteriori all'inizio della procedura 
stessa. E quanto a questo principio, non sembra dubbio che il divieto di pagamento 
di debiti preesistenti e venuti a scadenza in costanza della procedura 
concorsuale realizzi il duplice scopo di mantenere intatte le garanzie per tutti 
i creditori, inalterata la loro posizione ed aperta la via della solvenza per 
l'imprenditore... L'inammissibilit�, invero, in pendenza della procedura di amministrazione 
controllata dei pagamenti dei debiti... scaturisce dalla natura 
stessa e dalle finalit� dell'istituto, i quali... devono evitare che il patrimonio 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 555 

la natura e la funzione del liquidatore del concordato preventivo sono 
diverse e pi� ampie della natura e della funzione degli amministratoriliquidatori 
della cessio bonorum regolata dagli artt. 1977 e seg. cod. civ., 
ai quali le tesi innanzJi esposte e non condivise da questo Tribunale parificano 
la figura del liquidatore del concordato. 

Tale parificazione, gi� contestata da qualche autore, a parere di questo 
Collegio, non sussiste perch�, mentre il liquidatore della cessio bonorum 
di cui agli artt. 1977 e segg., che � nominato dal debitore, deve compiere 
due sole operazioni costituite dalla realizzazione dell'attivo e dalla distribuzione 
del relativo ricavato tra i creditori che hanno aderito alla cessio, 
collocandosi e qualificandosi con .i loro crediti gi� accertati negozialmente, 
il liquidatore del concordato, sia per percentuale che per cessione dei beni, 
ha funzioni pi� ampie e tutte di natura ufficiosa,, che si estendono, nel 
concordato per cessione, all'accertamento dell'attivo e del passivo ed al 
realizzo dell'attivo. 

Il liquidatore poi, al pari del curatore fallimentare, ha l'obbligo di 
predisporre e comunicare un piano di riparto dopo aver portato a termine 
il complesso delle operazioni di liquidazione delle attivit�, nonch� dell'accertamento 
delle passivit� (Cass., 6 settembre 1974, n. 2423, in Dir. Fall. 1975, 
II, 530). 

In proposito va ricordato che il concordato preventivo non ha la fase 
ufficiosa dell'accertamento delle passivit�, come nel fallimento, onde tale 
compito � demandato ufficiosamente al liquidatore. 

del debitore subisca manomissioni o ulteriori ingiustificate perdite... In questo 
sistema di garanzie, l'ammettere che il debitore possa a suo piacimento soddisfare 
i debiti precedentemente contratti, costituirebbe un'aperta contraddizione 
perch�, da un lato, si impedirebbe ai creditori muniti di titolo esecutivo 
di realizzare in via forzata il loro diritto e di acquistare posizioni di 
privilegio, dall'altro si consentirebbe all'imprenditore una libert� di pagamento 
dei debiti preesistenti, con sovvertimento di ogni principio di eguaglianza 
delle posizioni dei vari creditori (2) �. 

Alla luce delle precedenti considerazioni, si deduce che il problema della 
disciplina dei rapporti giuridici pendenti al momento della apertura del procedimento 
di amministrazione controllata, consiste in sostanza nella conciliazione 
del principio della loro continuit� con il divieto di pagamenti che alterino 
la par condicio creditorum. Ai fini di tale conciliazione, ci sembra 
co~retto ritenere che siano inesigibili le obbligazioni con prestazioni a carico 
della sola impresa controllata, che importino soddisfazione dell'altrui credito 

(2) Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, in Foro it., 1969, I, p. 1709 ss. Analogamente, sostengono 
che l'impresa di amministrazione controllata goda di una moratoria e che i pagamenti 
eseguiti siano inefficaci rispetto agli altri creditori: Cass., 24 luglio 1980, n. 4798, in 
Foro it., 1981, I, p. 117 ss., e Cass., 8 aprile 1959, n. 1024, in Giust. civ., 1959, pp. 598-599. 
Conforme, in dottrina, R. PROVINCIALI, op. cit., p. 2283. 
Costituisce applicazione di tale principio il divieto di compensare debiti preesistenti 
con crediti divenuti esigibili nel corso della procedura di amministrazione controllata. Sul 
punto, cfr. Cass., 24 luglio 1980, cit.; Cass., 14 febbraio 1979, n. 975, in Giur. it., 1980, I, 
1, p. 136 ss., con nota di RAGUSA MAGGIORE; Cass., 14 febbraio 1979, n. 974, cit.; Cass., 2 agosto 
1977, n. 3421, in Giur. it., 1978, I, 1, p. 1572 ss., ed ivi note di richiami; Cass., 5 giugno 1976, 

n. 2037, cit. In dottrina, R. PROVINCIALI, op. cit., pp. 2302-2303, con note di richiami. 

556 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Orbene, se � vero ohe il concordato non priva il debitore della propria 
capacit� patrimoniale e processuale e perci� � vero che, in caso di controversia 
circa l'esistenza e l'ammontare di un credito, non pu� negarsi la sua 
legittimazione al relativo giudizio, non � men vero che il <liquidatore � 
anch'egli legittimato in qualsiasi azione relativa all'accertamento del 
passivo, accertamento al quale � obbligato in ragione del suo ufficio. 

Pu� affermarsi che, come il debitore concordatario, che conserva le 
sue capacit�, ha interesse all'accertamento del debito, del pari i;l liquidatore, 
che possiede le capacit� che gli provengono dal. munus, ha il correlativo 
ed uguale interesse all'accertamento del debito, che � un momento 
dell'accertamento del passivo. 

Se il concordato preventivo costringe tutti i creditori, anche dissenzienti, 
� d'obbligo che la legge -e perci� l'ufficio -debba dare una 
garanzia ufficiosa in relazione alla esattezza delle operazioni di liquidazione, 
delle quali uno dei due momenti indispensabili � raccertamento del 
passivo. Tale garanzia non pu� essere che quella della iniziativa o della 
partecipazione del liquidatore in relazione alle cause aventi per oggetto 
crediti da collocare nel passivo. 

Da quanto innanzi si ricava che alle azioni giudiziarie relative all'accertamento 
del passivo hanno interesse -e perci� sono ,legittimati -tanto 
il debitore concordatario, quanto il liquidatore del concordato, al Punto di 
doversi affermare la necessit� del litisconsorzio. 

a discapito della massa. Nel caso di rapporti a prestazioni corrispettive, invece, 
l'adempimento da parte dell'imprenditore per un verso � necessitato dalla 
perdurante efficacia del negozio costitutivo, e per un altro verso � giustificato 
dall'esigibilit� dell'obbligazione reciproca, che garantisce, -sul pjano giuridico, 
-l'adeguata compensazione dei costi sostenuti con le utilit� attese in 
cambio. N� in tale ipotesi sar� possibile attribuire rilevanza alle concrete 
conseguenze economiche del rapporto e subordinare l'adempimento alla cir� 
costanza che si realizzi un saldo attivo o si garantisca comunque il bilanciamento 
degli oneri finanziari per l'impresa controllata, poich� altrimenti si 
finirebbe per reintrodurre quella facolt� di scelta tra conservazione e sciogli� 
mento del negozio che abbiamo gi� visto negata nel caso di specie, o si ver� 
rebbe comunque a configurare una facolt� di sospendere l'efficacia del rapporto 
che non trova alcun fondamento nel sistema normativo (3). 

Sulla base di queste considerazioni di carattere generale, non ci sembra 
difficile trarre le debite conclusioni in relazione al problema specifico da noi 

(3) La dottrina pi� autorevole ci sembra orientata nel senso da noi sostenuto: pertutti, si veda ancora R. PROVINCIALI, il quale sostiene che � i contratti non ancora eseguiti, 
in tutto o in parte, da entrambi i contraenti... vanno ordinariamente adempiuti � (op. cit., 
p. 2306), e che, nell'ipotesi specifica del contratto di compravendita, � il rapporto continua, 
e l'imprenditore dovr� far fronte alle obbligazioni che gli incombono, sotto pena di tro� 
varsi esposto alle azioni ordinariamente spettanti alla parte adempiente � (op. cii., p. 2307).
Similmente, la giurisprudenza insegna che � erronea la tesi che collega la consegna della 
merce venduta ad un atto di autonomia del commissario giudiziale e che riconduce i debiti 
(o i crediti) nascenti da tali atti all'ufficio concorsuale, poich� �i contratti non ancora eseguiti, 
in tutto o in parte, da entrambi i contraenti debbono ricevere esecuzione �, ed � i rap� 
porti gi� costituiti esigono l'adempimento, salvo che questo non consista nel pagamento 
di un creditore � (Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, cit.). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 557 

Non senza rilevare che se si dovesse escludere la necessaria partecipazione 
del liquidatore alle azioni relative all'accertamento del passivo, 
riducendo le sue funzioni soltanto al prender nota delle azioni giudiziarie 
inter alias actae, l'intera liquidazione (il liquidatore come il ceto dei creditori) 
sarebbe esposta inerme agli effetti di quelle decisioni: effetti tra i 
quali � necessario considerare quelli che possono derivare dall'incuria del 
debitore, o, peggio, quelli che possono discendere dalla collusione tra 
debitore in concordato e creditore (magari privilegiato) litigioso. 

Invero � caratteristico del concordato, oltre il carattere ufficioso, del 
quale si � detto innanzi ponendo in rilievo il fenomeno della obbligatoriet� 
nei confronti dei debitori e della complessit� delle operazioni del liquidatore, 
il fenomeno che il debitore, pur restando in bonis, perde la disponibilit� 
dei beni ceduti, i quali -va sottolineato -d�bbono essere tutti 
i suoi beni e non possono esserne solo una parte. Sicch� nella procedura 
di concordato si formano una massa attiva ed una situazione passiva che 
acquistano una rilevanza giuridica autonoma per cui esse permangono ben 
distinte dalla sfera patrimoniale del debitore cedente. In relazione a tale 
autonomia dehla massa attiva e della situazione passiva � inevitabile che 
la logica del sistema giuridico attribuisce al liquidatore il potere-dovere 
di disporre come dei diritti cos� delle azioni che in qualilnque modo siano 
relative alla massa attiva o alla situazione passiva. 

L'opinione esposta trova sostegno in qualche autore e nella sentenza 
della Suprema Corte 15 novembre 1958 n. 3722 (in Dir. Fall. 1959, II, 37). 
Quasi vicina alla tesi cennata � la Corte d'Appello di Torino con sentenza 

proposto; e se il criterio di soluzione � rappresentato dalla incidenza o meno 
delle facolt� nascenti dal rapporto negoziale sulla condizione di parit� istituita 
tra i creditori, tali conclusioni non potranno che essere coerenti con quelle 
egregiamente ritenute dal Tribunale adito. La compravendita coattiva, infatti, 
comunque la si voglia astrattamente configurare, non altera lo stato patrimoniale 
dell'impresa co11trollata, n� determina alcun indebito vantaggio del creditore 
procedente a discapito della massa dei creditori, ma si limita, nella sua 
sostanza, a portare ad esecuzione una prestazione dovuta e pienamente esigibile, 
del cui adempimento spontaneo nessuno avrebbe avuto ragione di dolersi. 
N� giova osservare in contrario che da tale procedura pu� derivare un 
debito monetario. a carico dell'impresa in difficolt�, -cos� come � effettivamente 
avvenuto nel caso di specie, -in conversione dell'obbligazione originaria 
ed in ragione delle differenze tra il prezzo concordato e quello concretamente 
realizzato o corrisposto. � chiaro infatti che tale circostanza non 
contrasta con la natura e le finalit� della procedura concorsuale, sia perch� i 
predetti crediti residuali non vengono soddisfatti, ma solo opportunamente 
liquidati, sia perch� essi rimangono strettamente contenuti entro l'ambito delle 
obbligazioni originarie. In altri termini, i conguagli eventualmente dovuti per 
un verso rimangono legati al principio del concorso dei creditori, e per un 
altro verso, -lungi dal modificare le posizioni contrattuali, -costituiscono 
al contrario lo strumento necessario ad impedire che si verifichi una tale modificazione 
in danno della parte adempiente e ad assicurare che la situazione 

9 



558 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

12 aprile 1974 (in Giur. It. 1974, 1, 2, 680), che migliora un discorso accennato 
da App. Firenze 1� dicembre 1966 (Dir. Fall. 1967, II, 644), in cui si comincia 
a intravedere nella cessio del concordato � un patrimonio separato con 
vincolo di destinazione al pagamento dei debiti �. 

Parte di queste considerazioni sono riportate nella sentenza Aldegro/ 
Mennoia della Cassazione in data 11 ottobre 1978 n. 4551 (esibita in copia 
informe) dove si afferma: �non ha fondamento l'eccezione preliminarmente 
avanzata dai controricorrenti in ordine alla carenza di legittimazione attiva 
del liquidatore giudiziale... Non vi � dubbio, infatti, che pur conservando 
il debitore, ammesso alla procedura di concordato preventivo e nel corso 
di essa, l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, ai sensi 
dell'art. 167 p.p. legge fallimentare, tuttavia, bene si giustifica la presenza 
nel giudizio del liquidatore o del commissario giudiziale, per l'esercizio 
dei poteri di vigilanza espressamente previsti dalla disposizione citata ed 
ai quali il ricorrente ha fatto espresso riferimento nell'epigrafe del ricorso
�. 

Sicch�, proseguendo il discorso iniziato dalla Cassazione nella riportata 
sentenza e concretando il concetto espresso dal Supremo Collegio con riferimento 
ai generici poteri di vigilanza, ai precisi doveri ed alle concrete funzioni 
del liquidatore riguardo alla autonoma massa attiva ed all'autonoma 
massa passiva che fa capo a lui, � possibile affermare che il liquidtore del 
concordato de1la SICA S.p.A., intervenuto iussu iudicis io::t questo processo, 
vi sta in forza di un'autonoma legittimazione, con diritto di dedurre, contraddire, 
chiedere ed eccepire a titolo proprio. 

giuridica finale rifletta quella iniziale, anche ove non si tratti di una situazione 
di equilibrio economico tra le prestazioni dedotte; e ci� si realizza, 
-nel caso della vendita coattiva, -mediante l'addebito del supplemento tra 
il prezzo dovuto e la somma percepita, in guisa che il venditore consegua il 
compenso pattuito ed il compratore sopporti i costi insiti nelle condizioni del 
suo acquisto, e, -nel caso della compera, -mediante l'addebito della somma 
pagata in pi� rispetto a quella concordata, cos� da riportare gli oneri del 
compratore entro i termini preventivati e da commisurare quelli del venditore 
al valore effettivo degli obblighi da lui assunti. 

A queste considerazioni si contrappone l'eccezione sollevata dalla liquidatela 
del concordato preventivo succeduto alla amministrazione controllata, secondo 
cui la esperita compravendita in danno, identificandosi con una forma 
di esecuzione fon;ata degli obblighi di fare, ricadrebbe sotto il divieto di compiere 
azioni esecutive individuali in pendenza di una procedura esecutiva concorsuale. 


Dopo avere gi� altrove discusso e disatteso il presupposto di questa eccezione, 
consistente nella assimilazione della compravendita coattiva ai mezzi di 
esecuzione forzata (4), converr� ora analizzare le conseguenze desumibili nella 
contraria ipotesi in cui tale assimilazione si ritenesse fondata. Pur ammesso 
infatti che la compera in danno costituisca una speciale forma, di esecuzione 

(4) Si veda a riguardo il nostro articolo: Natura giuridica della compravendita in 
danno, in questa Rassegna, 1982, II, p. 136 ss. 
-------.-.-.-.-.-.�.-.-.-.-.-.-----�� �--�..-.......--. ' 



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE 559 

2) Sull'ammissibilit� delle domande attrici, sia nei confronti della 
soc. SICA sia nei confronti della Banca Nazionale dell'Agricoltura, non 
sorge alcuna questione, ove si consideri che: 

a) -l'apertura del procedimento e la successiva sentenza di omologazione 
del concordato non preoludono l'accertamento dei crediti (sia per 
l'an sia per il quantum) sorti anteriormente al decreto di ammissione al 
procedimento; e ci� sia che i titolari di tali crediti abbiano, sia che non 
abbiano preso parte al procedimento. Infatti, a norma dell'art. � 184 l.f., il 
concordato preventivo omologato � obbligatorio per tutti i creditori concorsuali, 
anteriori. cio� al decreto idi ammissione alla procedura di concordato 
preventivo, con la conseguenza che, non essendo previsto in tale 
procedimento un accertamento dei crediti con effetti analoghi alla verifica 
in sede fallimentare, il creditore che in detta procedura non abbia fatto 
valere il proprio credito non incontra alcun pregiudizio alle proprie ragioni, 
con il solo limite, valido per tutti i creditori, dell'obbligatoriet� del concordato, 
abbiano essi o non presentato domanda di ammissione al passivo 
(in tal senso: Cass. 22 novembre 1976, n. 4383, in Mass. Giust. It. 1976, 1036). 

b) l'apertura del procedimento e l'omologazione del concordato preventivo 
non esplicano alcuna influenza sui diritti spettanti ai creditori 
concorsuali verso i coobbligati ed i fideiussori del debitore concordatario, 
diritti che restano integri, onde l'ammissibilit� della domanda proposta nei 
confronti della Banca Nazionale dell'Agricoltura per l'adempimento della 

in forma specifica, si dovr� ancora verificare se essa rientri ipso facto nel 
generale divieto di azioni esecutive individuali, o se questo divieto non incontri 
piuttosto eccezioni e limiti che ne escludano comunque l'applicabilit� al caso 
di specie. 

Il favore dimostrato dal Tribunale di Bari per questa seconda soluzione 

�merita di essere ampiamente condiviso, in quanto evita impostazioni di tipo 
rigoristico e tende piuttosto a temperare �la lettera della norma con la sua 
intima 'ratio. Il divieto di cui agli artt. 51, 168 e 188 l.f., infatti, si spiega e si 
giustifica per lo scopo di assicurare la posizione di parit� dei creditori; di 
conseguenza, allorquando l'azione esecutiva individuale non � tale da alterare 
tale equilibrio, il divieto stesso non avr� ragione di operare, rimanendo privo 
della sua finalit� essenziale. 

Risulteranno perci� vietate indistintamente tutte le procedure di esecuzione 
forzata che abbiano natura � espropriativa � e tendano a realizzare la 
singola pretesa creditoria sul patrimonio che costituisce la massa fallimentare 
e che � destinato, -come tale, -alla soddisfazione di tutti i crediti ammessi 
al concorso. Per quanto riguarda invece l'esecuzione degli obblighi di consegna 

o rilascio, ovvero di quelli di fare o non fare, giover� prudentemente distinguere 
a secondo del contenuto di tali procedure, in riferimento alla loro compatibilit� 
o meno con la natura ed i fini della esecuzione concorsuale (5): compatibilit� 
che non si potr� certo negare nel caso della compera in danno, per 
(5) Conformi, in dottrina; le autorevoli opinioni di S. SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, 
Roma, 1957, p. 160; G. BAVETTA, La liquidazione coatta amministrativa, Milano, 
1974, p. 194; D. MAZZOCCA, Manuale, cit., p. 230. 

560 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

obbligazione assunta con la fideiussione prestata in relazione al contratto 
di fornitura 1� febbraio 1972 ,rep. 19821. 
3) Passando al merito sono pacifiche in punto di fatto, relativamente 
al contratto 1� febbraio 1972, le circostanze inerenti: 

a) all'avvenuta stipulazione di un contratto in data 1� febbraio 1972 
tra l'Amministrazione della Difesa e la soc. SICA S.p.A. per la fornitura 
di quintali 1200 di cioccolato; b) alla successiva ammissione della societ� 
venditrice dapprima alla procedura di amministrazione controllata, con 
decreto 25/27 aprile 1972 e con la proroga di tale procedura con successivi 
decreti 26 novembre 1973 e 26 maggio 1974, e, successivamente, con decreto 
16 dicembre 1974, alla procedura di concordato preventivo con cessione dei 
beni, omologato con sentenza 21 aprile -4 giugno 1975, tuttora in corso; 
d) al parziale ina~empimento del contratto ed al ricorso all'acquisto in 
danno da parte dell'Amministrazione acquirente, a norma dell'art. 72 
delle Condizioni Generali Oneri; e) alle fasi del procedimento di acquisto 
in danno, conclusosi con la stipulazione di un nuovo contratto di acquisto 
per la partita insoluta stipulato il giorno 8 ottobre 1974 con la S.p.A. 
De Licia ed approvato con decreto 22 marzo 1975; f) all'avvenuta stipulazione 
di un contratto in data 24 agosto 1971 tra la SICA e l'Amministrazione 
della Difesa per la fornitura di n. 17.400 razioni di cioccolato 
energetico, non consegnato nei termini, ed all'acquisto da parte dell'Ammi


i rilievi gi� svolti in merito alla sua coerenza con i princ�pi della cristallizzazione 
della situazione patrimoniale del debitore e della par condicio creditorum. 

Altro genere di discorso occorre fare invece per gli altri possibili crediti 
derivanti dall'inadempimento del contratto di vendita, come quelli per il risarcimento 
dei maggiori danni subiti o per le penali previste in contratto. In tal 
caso, infatti, si tratta non gi� di conseguire l'adempimento nei termini concordati, 
ma piuttosto di esigere la riparazione del pregiudizio causato dalla tardivit� 
dell'adempimento, a differenza di tutti gli altri creditori, costretti invece 
a sottostare agli effetti della moratoria concessa all'imprenditore in difficolt�. 
Appare pertanto corretta la decisione di rigetto del relativo capo di domanda, 
conformemente all'insegnamento deUa S.C. di Cassazione, secondo cui � la disciplina 
inderogabile delle norme sulla concorsualit� non ammette danno, n� 

risarcimento, n� penali, e n� qualsivoglia altra forma di ristoro che addossi 

alla massa fallimentare il pregiudizio che il singolo creditore possa aver subito 

per effetto diretto del fallimento, anche se lo abbia previsto e determinato 

preventivamente in sede contrattuale (6) �. Per analoga ragione, si deve esclu


dere altres� la possibilit� di rivalutare i crediti ammesS!i, ivi compres�i i creditti 

di lavoro (7). 

(6) Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, cit. 
(7) Per la rivalutazione dei crediti di lavoro in pendenza di procedure concorsuali si 
erano espressi, da ultimo, Cass., 23 agosto 1979, n. 4679, in Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro 
e previdenza (controversie), col. 1493, n. 243; Cass., 16 luglio 1979, n. 4137, ivi voce Fallimento, 
col. 918, n. 274, annotata, insieme a quella appresso citata, da A. CAIAFA, Operativit� della rivalutazione 
monetada dei crediti di lavoro nell'ambito delle procedure concorsuali, in Dir. lav., 
1979, II, p. 284 ss.; Cass., 25 ottobre 1973, n. 4838, in Foro it., 1978, I, p. 2691 ss., con nota 
di richiami. Analogamente, con specifico riferimento alla procedura di concordato preventivo, 
cfr. Cass., 3 marzo 1980, n. 1408, ivi, 1980, I, p. 952 ss., con nota di richiami. Della dubbiosit� 
delle soluzioni accolte con queste ultime sentenze, si � per� resa conto la stessa Corte 
Suprema a Sezioni Unite, che, con ordinanza 13 ottobre 1980, n. 492 (ivi, 1980, I, p. 2629), 
ha sollevato questione di incostituzionalit� del combinato disposto degli artt. 59 !.f. e 429, terzo 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 561 

nistrazione Difesa,. a seguito di dichiarazione di decadenza della SICA 
S.p.A., con ordinativo in economia 8 ottobre 1972, dell'intera partita di merce 
presso la S.p.A. Alemagna con la maggiore spesa di L. 1.411.800. 

Quanto innanzi premesso in punto di fatto, la questione da risolvere 
� se i due acquisti in danno eseguiti dall'Amministrazione della Difesa 
costituiscano valido fondamento del credito azionato in questa sede o, 
per diI'lo in altre parole, se siano opponibili o meno alla societ� contraente, 
sostenendo il liquidatore del concordato preventivo la tesi che le esecuzioni 
coattive della compravendita possono ritenersi autentiche esecuzioni 
forzate vietate dagli artt. 188 e 168 legge fallimentare e negando l'attrice 
la fondatezza di tale tesi. 

Precisato ohe, come � pacifico tra le parti, la questione non si prospetta 
in relazione all'acquisto in danno (quello relativo al contratto 
24 agosto 1971 per la fornitura di n. 17400 razioni di cioccolato) avvenuto 
1'8 ottobre 1972, circa un mese innanzi alla prima procedura concorsuale, 
ossia all'amministrazione controllata ammessa con decreto 25-27 novembre 
1972, il problema si pone per l'acquisto in danno (que~lo relativo al 
contratto per la fornitura di q. 1200 di cioccolato) avvenuto con contratto 
8 ottobre 1974, approvato con decreto del Ministero deJila Difesa in data 
22 marzo 1975, essendo la SICA alla prima delle due date in amministrazione 
controllata ed alla seconda in concordato preventivo. 

Va precisato che l'acquisto in danno deve intendersi compiuto al 
momento della stipulazione del contratto di acquisto con la S.p.A. De 
Licia -e quindi alla data 8 ottobre 1974 -e non gi� nel momento 
de1l'approvazione di tale contratto, avvenuta il 22 marzo 1975, in quanto 

Per quanto concerne infine il problema degli interessi, si pu� condividere 

� la tesi de.ila infruttuosit� dei crediti in pendenza della procedura di concordato 
preventivo, tenuto conto del richiamo dell'art. 55 da parte dell'art. 169 l.f. (8). 
Meno giustificata sul piano normativo appare invece l'analoga soluzione adottata 
dalla sentenza in esame in riferimento alla procedura di amministrazione 
controllata, contrariamente agli orientamenti prevalenti sia della dottrina (9) 
che della giurisprudenza (10). 

L'ultima questione suscitata dal caso di specie riguarda il requisito legale 
della tempestivit� della esecuzione della compravendita in danno rispetto al 
momento dell'inadempimento. In proposito, mentre appare consolidata l'opinione 
che la valutazione del ritardo costituisce un apprezzamento discrezionale 

comma, c.p.c., interpretato nel senso che i crediti di lavoro non possono essere rivalutati peril periodo successivo alla data di inizio della procedura concorsuale. La questione risulta 
oggigiorno risolta dalla sentenza della Corte Costituzionale in data 21 luglio 1981, n. 139 (inForo it., 1981, I, p. 2347 ss., Cons. St., 1981, II, p. 728 ss., Giust. civ.; 1981, I, p. 2145 ss., Giur. 
cost., 1981, I, p. 1338 ss., Giur. it., 1982, I, 1, p. 150 ss.), che ha dichiarato infondata la normativa 
in esame, in riferimento all'art. 3 Cast., nella parte in cui esclude la rivalutazione dei 
crediti di lavoro fatti valere in procedure concorsuali per il tempo successivo alla data 
della loro apertura. 

(8) In giurisprudenza, arg. ex Cass., 22 novembre 1976, n. 4383, in Foro it., Rep. 1976, 
voce Concordato preventivo, col. 563, n. 30, che ammette al concorso solo i crediti perinteressi sorti anteriormente all'inizio della procedura. 
(9) Cfr. R. PROVINCIALI, Manuale, cit., p. 2302, e S. SATTA, Amministrazione controllata, 
cit., p. 188. 
(10) Cfr. Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, cit., e Trib. Roma, 11 ottobre 1961, in Dir. fall., 
1961, II, p. 835 ss., e Temi romana, 1962, p. 26 ss. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

come ha affermato la Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza 4 dicembre 
1975 n. 4010, (in Foro It., Rep. 75, voce � Contratti della Pubblica 
Amministrazione n. 36 e 602), il controllo dell'autorit� tutoria sui contratti 
degli Enti pubblici non ha funzione integrativa della volont� dell'ente e 
non s'mserisce nel procedimento .di formazione, operando invece secondo 
il meccanismo della condicio iuris, la cui verificazione implica che il 
contratto abbia efficacia retroattivamente, fin dal momento della sua 
conclusione �. Conforme, sul punto citato: Cass. 27 marzo 1973, n. 839, in 
Mass. Giur. It. 1973, col. 305. 

Tanto premesso, sostiene il liquidatore del concordato preventivo che 
l'inopponibilit� della cennata compera in danno discenderebbe dal combinato 
disposto degli artt. 168, primo comma, e 188, secondo comma, L.F., 
secondo cui dalla data di ammissione alla procedura di amministrazione 
controllata, � dcreditori per titolo o causa anteriore al decreto non possOIIlo, 
sotto pena di nullit�, iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul 
patrimonio del debitore �. Tale tesi, fondata da un lato, sulla totale equiparazione 
~!ella c.d. � compera in danno � ai procedimenti di esecuzione 
forzata in forma specifica e, da un altro lato, sulla estensione del divieto 
di cui all'art. 168 L.F. a tutti i procedimenti con natura esecutiva, o ad essi 
equiparati, non � condivisa dal Collegio. 

Invero non � possibile accostare la compera in danno aN'esecuzione in 
forma specifica di un obbligo di consegna, atteso che nel primo caso � 
preso di mira il patrimonio di un terzo, mentre nel secondo viene aggredito 
il patrimonio del debitore. 

del Giudice di merito (11), e che comunque la sollecitudine richiesta non implica 
un'esigenza di immediatezza (12), non appaiono invece univoche le conseguenze 
dell'eventuale ritardo: alla tesi pi� rigoristica che considera l'invalidit� 
della compravendita eseguita fuori termine, agli effetti prev�sti dagli 
artt. 1515 e 1516 cod. civ. (13), si contrappone l'indirizzo pi� liberale accolto 
dalla sentenza annotata, per il quale la compravendita coattiva rimane comunque 
~fficace, salvo a tenere esente la parte assoggettata ad essa dalle conseguenze 
dannose connesse con il ritardo (14). In mancanza di espresse comminatorie 
cii nullit� ed in applicazione del principio utile per inutile non vitiatur, 
ci sembra che la soluzione adottata costituisca quella pi� conforme a diritto 
e meriti, ancora una volta, la nostra convinta adesione . 

.ALESSANDRO DE STEFANO 

(11) Cfr. Cass., 7 marzo 1955, n. 667, in Giur. cass. civ., 1955, II, p. liO ss., con nota 
di G. SAVORELLI, e Cass., 16 giugno 1952, n. 1740, ivi, 1952, II, p. 1799 ss. 
(12) Cfr. Cass., 15 dicembre 1972, n. 3613, in Foro it., Rep. 1972, voce Vendita, col. 3086, 
n. 125, e Cass., 20 settembre 1954, n. 3080, in Giust. civ., 1954, p. 2115 ss. 
(13) Cfr. Cass., 13 febbraio 1973, n. 437, in Foro it., Rep. 1973, voce cit., col. 2795, 
n. 82, e Cass., 26 febbraio 1965, n. 319, in Giur. it., 1965, I, 1, pp. 1550-1551, e Giust. civ., 
1965, I, p. 1897 ss.; ed ivi ampi richiami di �giurisprudenza.
(14) Nello stesso senso, App. Firenze, 5 febbraio 1962, in Giur. tosc., 1963, p. 60, e Trib. 
Firenze, 8 marzo 1960, ivi, 1960, p. 962. Conforme, in dottrina, D. RUBINO, La Compravendita, 
nel Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di C1cu e MESSINBO, Milano, 1952, p. 709, 
secondo il quale � la soluzione pi� corretta teoricamente, e pi� opportuna praticamente, 
perch� meglio concilia gli opposti interessi, � quella che la ricompera, se avviene con ritardo, 
vale pur sempre; ... solo che, nei conteggi tra le parti, se nel frattempo il prezzo corrente 
� aumentato rispetto a quello del giorno in cui la ricompera avrebbe potuto e dovuto essere 
compiuta, deve tenersi conto non del prezzo effettivamente pagato per essa, ma di quello 
minore che si sarebbe pagato in quel giorno anteriore �. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

N� maggiormente fondata appare la tesi ove si volesse considerare la 
compera coattiva come una forma anomala di esecuzione specifica. ex 
art. 2931 cod. civ., nella considerazione che essa consente la realizzazione 
dell'interesse contrattuale dell'acquirente. Una tale assimilazione si baserebbe 
in sostanza su elementi estrinseci e formali (il conseguimento, in 
entrambi i casi, dell'oggetto della prestazione dovuta), ma giammai su una 
effettiva analogia delle due specie: nella realt�, il divario non potr� 
essere in alcun modo colmato, ove si consideri che in un caso � presupposta 
l'esistenza di un titolo esecutivo, e nell'altro il mero inadempimento; che 
l'esecuzione ~orzata si attua con provvedimento dell'Autorit� giudiziaria, e 
l'acquisto in danno ad iniziativa del creditore insoddisfatto; che l'obbligo 
di fare eseguibile ex art. 2931 cod. civ. si concreta in un facere materiale, 
mentre qui si tratta di acquisire un diritto di propriet� a carico del terzo, 
dismettendo� nel contempo quello gi� conseguito a carico del contraente 
inadempiente. 

La considerazione di� un simile divario appare sufficiente a negare fa 
dedotta a~similabilit� delle due figure giuridiche ed a contraddire l'affermazione 
che alla compera in danno possa essere. immediatamente estesa ila 
disciplina prevista per le procedure esecutive: il che basterebbe a negare 
la fondatezza delle ragioni addotte dal liquidatore. Ma anche l'altra possibile 
prospettiva della natura e della portata del divieto posto dall'art. 168 

l. fall. fa apparire l'infondatezza della tesi del liquidatore. Tale 'divieto, infatti, 
se da un lato tende ad assicurare ed a gaxantire la par condicio dei creditori, 
da un ailtro ilato non pu� essere ragionevolmente spiegato aJ di fuori 
di tale finalit�. Pertanto, si ritiene esattamente in dottrina che il divieto 
in parola colpisca unicamente tutte le azioni individuali aventi natura 
� appropriativa �, che tendono cio� a destinare i;I patrimonio del debitore 
al soddisfacimento delle ragioni di alcuni creditori a danno degli altri, 
mentre per quanto attiene all'esecuzione degli obblighi di consegna o di 
rilascio, o di quelli di fare o non fare, occorrer� � distinguere a secondo del 
contenuto di tali obblighi: se questi non contrastano con le finalit� tipiche 
della liquidazione, allora l'azione � esperibile; in caso diverso il divieto 
deve essere ritenuto operante. In tal senso, infatti non sembra irrilevante 
la considerazione che tutti i divieti e le limitazioni imposti dalle leggi nei 
confronti dei terzi, debbano trovare una concreta e specifica giustif).cazione 
nell'ambito delle particolari finalit� della liquidazione stessa; finalit� che 
sono certamente preminenti rispetto all'interesse del singolo, ma che non 
importano una totale negazione dei diritti di cui sono titolari i privati. E, 
pertanto, tali diritti non sono esercitabili mediante esecuzione forzata, tutte 
le volte che si pregiudichino le regole fondamentali del concorso e si violi 
il principio della par condicio, mentre deve riconoscersi la possibilit� del 
loro esercizio quando nessun nocumento ne derivi a carico della liquidazione 
e dei creditori che vi concorrano �, 


564 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Per effetto di tali principi, dunque, anche nella ipotesi in oui la � compera 
in danno � fosse assimilata quanto agli effetti giuridici ad un procedimento 
di esec;uzione forzata in forma specifica, non si potrebbe sostenere che 
essa rientri nel divieto delle azioni individuali posto dall'art. 168 l.f.: in 
nessun modo essa altera la pari condizione dei creditori in quanto, come 
� ovvio, non solo non ha natura espropriativa, ma neppure realizza la 
pretesa creditoria. Essa consente al creditore solo il conseguimento dell'oggetto 
della prestazione dell'originario rapporto, determinando nel contempo 
una forma di perpetuatio obligationis, mediante la conversione 
dell'obbligo di consegna nell'obbligo di corrispondere il maggior prezzo 
pagato, oltre al risarcimento degli eventuali danni ulteriori. 

In altri termini, �l'esecuzione coatta� non ha alcun carattere espropriativo 
satisfattivo, ma � piuttosto il presupposto per la quantificazione 
del credito in danaro; onde, non ha senso farla ricadere sotto il divieto di 
azioni esecutive individuali, che sono soltanto quelle che alterano !la par 
condicio creditorum, in quanto incidono sul �patrimonio del creditore>>, 
secondo l'espresso disposto dall'art. 168 1. fall. 

Nessuna difficolt�, !Il� d'ordine logico, n� d'ordine costruttivo, incontra 
invece la domanda attrice nell'ovvio presupposto che l'ammissione della 
soc. SICA S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata non ha 
inciso sui rapporti giuridici preesistenti e, in modo specifico, sulla efficacia 
del contratto di compravendita stipulato con l'Amministrazione della Difesa 
in data 1� febbraio 1972. Resasi essa inadempiente all'obbligo di consegnare 
la merce venduta, l'Amministrazione acquirente, avendo la facolt� o di 
ricorrere agli ordinari 1rimedi avverso l'inadempimento negoziale (e quindi 
di ricorrere all'azione d'inadempimento o a quella di risoluzione del contratto, 
oltre al risarcimento dei danni) o di ricorrere alla speciale procedura 
della compera in danno, che, secondo la dottrina dominante, � costituisce 
un atto di autotutela contrattuale che rimpiazza il contratto inadempiuto e 
liquida prontamente l'ammontare del danno in ragione delle differenze di 
prezzo e delle spese dell'operazione�, ha scelto la seconda soluzione, salva 
la necessit� di ricorrere ad una azione di accertamento come la presente, 
nell'ipotesi in cui fossero stati contestati i presupposti del procedimento 

o il quantum della liquidazione. 
Rimane cos� accertata la possibilit� dell'Amministrazione di far ricorso 
a:lJ.a procedura di cui a!ll'art. 72 C.G,d'O., che crune si � chiarito dnnanzi, 
costituisce solo una forma di liquidazione del danno, e giammai una forma 
di realizzazione satisfattiva del credito. 

4) Deve a questo punto il Collegio esaminare la subordinata eccezione 
sollevata dal liquidatore del concordato relativamente agli effetti della 
affermata tardivit� del contratto di acquisto in danno stipulato fra il 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 565 

Ministero della Difesa e la S.p.A. De Licia nei confronti del Concordato 
della SICA S.p.A., considerando che, come si � precisato innanzi, il termine 
perentorio ad adempiere fissato dall'Amministrazione alla SICA ebbe 
a scadere il 30 gennaio 1974 (v. missiva 5 febbraio 1974 prot. 148/1) e 
che l'acquisto in danno deve intendersi compiuto al momento della stipulazione 
del contratto di acquisto con la S.p.A. De Licia, ossia alla data 
8 ottobre 1974. 

Invero, posto che l'Amministrazione della Difesa ha fondato la domanda 
di decadenza della SICA S.p.A. dal diritto di proseguire la fornitura 
relativa alla consegna di q. 741 di cioccolato a saldo della provvista 
prevista dal contratto 1� febbraio 1972 a norma dell'art. 72 delle 
Condizioni Generali d'Oneri, facenti parte integrante del contratto, e che 
� conseguentemente si sarebbe proceduto ad acquistare il predetto quantitativo 
in danno della ditta medesima... �, l'indagine del Collegio deve 
essere diretta ad accertare se la cennata consegna in danno sia tardiva 
e, nell'ipotesi affermativa, quali conseguenze derivino. 

Stabilendo il cennato art. 72 delle Condizioni Generali d'Oneri: � si 
dichiara per patto espressamente convenuto che scaduto il termine utile 
fissato nel contratto per la consegna delle provviste o quello di gg. 10 
specificato al n. 4 dell'art. 69, l'Amministrazione, assegnato all'assuntore 
un termine perentorio che sar� da essa medesima insindacabilmente 
stabilito, anche in relazione alle esigenze di servizio, avr� facolt� (ove 
tale termine sia trascorso, per tutte o parte delle consegne scadute, 
infruttuosamente) indipendentemente dall'applicazione delle multe sopra 
indicate, di dichiarare decaduto il fornitore dal diritto di proseguire 
il contratto e di far eseguire, a conto e a rischio del fornitore stesso, 
anche a trattativa privata o ad economia, le provviste appaltate e non 
eseguite, senza che occorra altro avviso di costituzione in mora o giudiziale 
affidamento�, ritiene il Tribunale che questa compera in danno 
debba essere effettuata con la massima sollecitudine, come appare evidente 
dall'inciso finale innanzi riportato che prevede la possibilit� della 
Amministrazione (verificatesi le condizioni indicate nella prima parte 
dell'articolo in esame), di far eseguire le provviste appaltate e non 
eseguite senza alcun'altra ulteriore attivit� da parte della P.A.. 

D'altronde il requisito della massima sollecitudine, quale risulta dal 
menzionato art. 72 delle C.Gid'O. contenuto nel R.D. n. 35 del 20 giugno 1930, 
trova riscontro nella successiva regolamentazione fatta dal cod. civ. del 
1942 della vendita in danno e dell'acquisto in danno agli artt. 1515 e 
1516, in cui si dispone che la compravendita deve avvenire �senza 
ritardo�, a parte l'osservanza di altre modalit� ivi precisate, e ci� al 
fine evidente, con riferimento alla seconda ipotesi, di evitare che la 
situazione del venditore venga aggravata. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Orbene, sulla �scorta dei oennati rilievi, ritiene !il TribU!llaJ.e che 
l'acquisto in danno fatto dall'Amministrazione m data 8 ottohTe 1974 (ossia 
ad oltre otto mesi dalla scadenza del termine perentorio fissata da essa 
Amministrazione) non possa ritenersi effettuato tempestivamente, chiaro 
essendo che assolutamente irrilevanti rimangono i tentativi fatti dalla 
Amministrazione con la licitazione privata e due raccolte di offerte private 
effettuate in data 28 maggio 1974, 26 giugno 1974 e 9 luglio 1974. 
Ritiene in altri termini il Collegio che, scaduto il termine perentorio, 
l'Amministrazione avrebbe dovuto, se non immediatamente, ma con sollecitudine, 
quale � possibile per una Pubblica Amministrazion�, provvedere 
all'acquisto in danno e non attendere oltre otto mesi, perch� � indubbio 
che cos� comportandosi ha notevolmente aggravato la posizione della 
societ� venditrice, specie in considerazione della circostanza che nei 
primi mesi del 1974, come � notorio, si � verificato un forte aumento 
dei prezzi all'ingrosso. 

5) Deve a questo punto il Collegio affrontare la questione avente ad 
oggetto gli effetti di questa tardiva compera in danno. 

Invero, precisato che detto istituto � una forma privata di autotutela 
che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente H danno 
in ragione delle differenze di prezzo tra l'ammontare della spesa occorsa 
per l'acquisto ed il prezzo convenuto, e posto che tale rimedio, che si 
aggiunge alle ordinarie azioni giudiziali di condanna all'adempimento o 
di risoluzione, costituisce un mezzo sostitutivo dell'ordinaria azione civile 
intesa ad ottenere l'esecuzione o la risoluzione del contratto, � di tutta 
evidenza che la tempestivit� nell'esecuzione della compravendita in danno 
� elemento essenziale di questa figura giuridica. 

La rapidit� dell'esecuzione del contratto, infatti, mentre da un lato 
assolve la funzione di una immediata realizzazione del risultato a favore 
del contraente adempiente, garantisce il contraente inadempiente dagli 
effetti negativi delle variazioni dei prezzi sul mercato che potrebbero 
verificarsi tra la data ultima dell'adempimento ed una lontana data di 
compera in danno. 

Orbene, una volta affermato che la compera m danno ha come 
oggetto la liquidazione anticipata del danno ed una volta accertato ohe 
la stessa, nella specie in esame, � stata effettuata ad oltre otto mesi 
dall'ultima diffida ad adempiere, ritiene il Collegio che i prezzi da considerare 
siano quelli del 30 gennaio 1974... (omissis). 

6) Ci� premesso va precisato, con riferimento alle domande accessori~ 
relative agli interessi, alle penali ed alla rivalutazione, che le stesse 
non possono trovare accoglimento. E principio ormai pacifico, come 
chiarito dalla Suprema Corte con sentenza 8 maggio 1969, n. 1588 (esibita in 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

forma integrale) che le procedure di amministrazione controllata e di 
concoridato preventivo importano, al pari del fallimento, la cristallizzazione 
tanto della posizione. patrimoniale del debitore quanto del creditore 
a far capo del momento del loro inizio (art. 168 e 188 [.f.), con 
la conseguenza che da quel momento non possono maturare penali, che 
altererebbero la par condicio. 

Non �, pertanto, possibile riconoscere le penali. 

La richiesta degli interessi non pu� trovare accoglimento rper il combinato 
1disposto degli artt. 169 e 55 U., per la regola della par condicio 
creditorum. 

La stessa regola rende inutile ogni discorso sulla rivalutazione... 

(omissis). 


SEZIONE SESTA 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 gennaio 1982 n. 95 -Pres. Brancaccio -
SEZIONE SESTA 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 gennaio 1982 n. 95 -Pres. Brancaccio -
Est. Battimelli -P. M. Antoci (diff.). Salice (avv. Viola) c. Ministero 
delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di bollo -Copia di atto pubblico da 

presentare all'ufficio del registro per la registrazione -Esenzione 


Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, tabella B, n. S; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 11 e 17). 
La copia conforme dell'atto pubblico che a norma dell'art. 11 del 

d.P.R. n. 634/1972 deve essere presentata, unitamente all'originale, per 
la registrazione, non ha la funzione di consentire l'accertamento e la 
riscossione dei tributi, bens� quella di pubblicit� e conservazione degli 
atti di cui all'art. 17; non � di conseguenza applicabile a tale copia 
l'esenzione dell'art. 5 tabella B del d.P.R. sul bollo n. 642/1972 (1). 
(omissis) Il ricorso non va accolto, in quanto la sentenza impugnata 
appare corretta nel suo dispositivo, seppure ne vada, come si dir�, 
parzialmente corretta la motivazione a sensi dell'art. 384, 2� comma, 

c.p.c. 
Ed invero, giustamente il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata 
abbia ritenuto di negare l'esenzione dal bollo della prima copia 
certificata conforme traendo argomento dall'art. 11 del nuovo testo 

dell'imposta di registro (D.P.R. n. 634 del 1972), secondo cui la seconda 
copia, da esibire in sede ,di registrazione idi atti compOTtanti trasferimento 
di diritti reali sui beni immobili, va redatta in carta libera, da 
ci� argomentando che detta norma contenga l'implicita e sottintesa 
affermazione che la prima copia (quella da prodursi in via generale per 
la registrazione di tutti gli atti notadli) debba essere redatta in carta 
bollata. 

L'art. 11 suddetto, invero, incluso nel testo di una normativa attinente 
ad una diversa imposta, non pu� essere utilizzato per ricavarne 
una disposizone in contrasto con la generale previsone di esenzione di 
cui aill'art. 5 della nuova legge di bollo (d.P.R. n. 642 del 1972), che specificamente 
disciplina la materia. L'art. 11 della nuova legge di registro, 

(1) Decisione esattissima di cui va segnalata la accurata esegesi delle norme 
esaminate. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

infatti, costituisce niente altro che la materiale trasposizione, effettuata 
dal legislatore delegato (nell'esercizio della funzione di coordinamento 
delle varie norme contenute nella complessa preesistente legislazione 
dell'imposta di registro), dell'art. 6 del r.d.I. 5 marzo 1942, n. 186, norma 
che prevedeva, nel complesso della nuova regolamentazione della procedura 
di accertamento di valore degli atti contenenti trasferimento di 
immobili, l'obbligo della presentazione all'ufficio del registro di una 
seconda copia in carta semplice, copia occorrente per l'invio ai competenti 
uffici ai fini dell'accertamento di valore. 

Non vi � . dubbio, pertanto, che tale copia fosse uno di quegli atti 
� presentati ai competenti uffici ai fini dell'applicazione delle leggi tributarie
�, per la quale, in mancanza di una generale esenzione �ad hoc� 
nella legge di bollo del 1923, in vigore allorch� fu emanato il decreto 
del 1942, fu prevista una particolare esenzione. Detta norma, peraltro, 
non aveva pi� ragione di esistere dopo che, con l'emanazione della legge 
di bollo del 1953, che all'art. 47 soppresse tutte le esenzioni previste in 
leggi diverse da quelle sul bollo, fu istituita, all'art. 9 della tabella 
all. B, una esenzione del tutto corrispondente a quella prevista nell'art. 
5 della tabella B della nuova legge di bollo del 1972, esenzione, 
per quanto detto, pienamente applicabile alla seconda copia esibita ai 
fini dell'accertamento di valore, e cio�, specificamente, ai fini dell'applicazione 
di un'imposta. La relativa disposizione dell'art. 11 della nuova 
legge di registro del 1972, pertanto, � puramente pleonastica e superflua, 
frutto di un difetto di coordinamento da parte del legislatore delegato 
alla emanazione dei nuovi testi in materia tributaria. Non pu�, pertanto, 
trarsi, dal suddetto art. 11, alcun argomento per la soluzione del 
problema che qui interessa. 

Ci� chiarito, ne consegue che il problema va risolto in base all'interpretazione 
dell'art. 5 della tabella B della nuova legge di bollo del 
1972, che prevede ,J'esenzione per gli atti presentati ai competenti uffici 
in funzione dell'applicazione di leggi tributarie, norma da interpretarsi 
in correlazione con l'art. 2 della Tariffa allegata alla stessa legge, secondo 
cui sono soggette a bollo le copie di atti notarili, certificate conformi 
dal notaio rogante; categoria, questa, in cui senza dubbio rientra la 
copia della cui esenzione qui si discute. 

A tal fine, va chiarito che il suddetto art. 2 � del tutto corrispondente 
all'art. 3 della legge di bollo del 1953, norma, questa, a sua volta corrispondente 
alla previsione contenuta nella Tariffa della legge di bollo 
del 1923, e va precisato che ~ in errore il ricorrente allorch� afferma, 
come argomento collaterale a sostegno della propria tesi, che solo la 
legge del 1923 prevedeva espressamente l'obbligo della bollatura per le 
copie conformi esibite agli uffici del registro, mentre tale obbligo sarebbe 
stato soppresso dalle successive normative del 1953 e del 1972; ed 


570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

invero il fatto che la sottoposizione a bollo delle copie conformi fosse 
prevista, nella legge del 1923, in un apposito articolo della tariffa, non 
dipendeva affatto dalla mancata previsione di tassazione in base ad altri 
articoli della stessa tariffa, ma pi� semplicemente dal fatto che, all'epoca, 
erano previsti diversi valori di carta bollata per i vari atti, e che, mentre 
per le copie notarili conformi in genere era prevista una tassazione di 
lire 4 o lire 3, per le copie presentate agli uffici del registro fu 
prevista una minore tassazione di L. 2; soppressa, con la legge di bollo 
del 1953, la previsione di diversi valori di carta bollata, la norma dell'art. 
24 della precedente tariffa non aveva pi� ragione di sopravvivere, 
il che, peraltro, non comport� una generica esenzione dal bollo per le 
copie presentate agli uffici di registro (rientrando esse -come anche 
per la nuova 1legge del 1972 -nella generica previsione di tassabilit� 
di tutte le copie notarili conformi); l'esenzione, peraltro, era ammessa 
qualora ricorresse l'ipotesi di cui al gi� ricordato art. 9 della Tabella B, 
corrispondente all'art. 5 della Tabella nuova legge del 1972 che, su tale 
punto, in nulla ha immutato al precedente regime. 

La questione, pertanto, va risolta senza che !':indagine possa o debba 
essere influenzata da richiami alla precedente normativa, ma unicamente 
in forza dell'interpretazione dell'art. 5 della Tabella della legge di bollo 
del 1972, secondo cui sono esenti da bollo, fra l'altro, le copie presentate 
ai competenti uffici � ai fini dell'applicazione di leggi tributarie �; trattandosi 
di norma di esenzione, che non pu� estendersi, come norma 
eccezionale, oltre i casi da essa espressamente previsti, l'interpretazione 
va fatta approfondendo l'indagine sulle espressioni adoperate dal legislatore, 
il quale non ha gi� detto che l'esenzione spetti qualora le copie 
vengano presentate � in occasione � di una procedura di applicazione di 
una legge tributaria (ossia di una procedura cli �imposizione�), bens� 
che essa spetta quando le copie siano necessarie � ai fini � di tale procedura: 
occorre, cio�, che la funzione specifica della copia presentata 
sia quella di permettere l'espletamento della procedura di tassazione e 
pertanto, sotto tale angolazione, vanno esaminate le norme della nuova 
legge 'di registro del 1972, per accertare quale funzione espJ.ichino gli 
uffici del registro in conseguenza della presentazione della copia conforme, 
e, specularmente, quale funzione abbia detta copia. 

A tal fine, va ricordato che per la nuova legge di registro, come gi� 
per quella precedente del 1923, la registrazione degli atti notarili avviene 
con la presentazione, all'ufficio del registro, dell'originale dell'atto e di 
una copia conforme, in genere; inoltre, per tutti gli atti che possano 
dare origine ad un procedimento di accertamento di valore, � richiesta 
una seconda copia (la cui funzione � quella di essere inviata agli uffici 
accertatori come documentazione necessaria per la procedura di valutazione). 
La registrazione in base alle risultanze dell'atto va effettuata 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 571 

sull'atto originale, sul quale essa viene annotata, ed in base a quanto 
risulta dall'atto stesso. Ne consegue che la copia conforme, appunto 
perch� tale, e quindi di nessun ausilio ai fini della lettura dell'atto 
originale, rispetto al quale non pu� fornire alcun ulteriore utile elemento, 
non ha a.J.cuna funzione ai fini della tassazione: n� per quella 
immediata, per la quale � sufficiente la lettura dell'originale, n� per 
quella eventuale futura, a completamento della registrazione e tassazione 
originarie, per la quale � appositamente prevista una seconda 
copia. La prima copia, pertanto, viene trattenuta dall'ufficio per fini che 
necessariamen.te sono diversi da quelli dell'espletamento di una attivit� 
di tassazione (ossia di �applicazione di leggi tributarie�), fini che si 
ricavano dalla lettura dell'art. 17 della nuova legge di registro; in base 
a detta norma, infatti, l'Ufficio trattiene presso di s� la copia per dieci 
anni, trascorsi i quali la invia all'Archivio notarile, e inoltre rilascia, 
a richiesta �di parte, copie delle note di trascrizione, svolge cio�, una 
funZione vicaria di conservazione e una funzione di certificazione, che 
giustificano l'obbligo di presentazione della copia, a tali fini richiesta. 

Ne consegue che fa sentenza impugnata, seppure ha ritenuto a torto 
che la conservazione della copia serve ai fini di rilasciarne copie (il che 
non � previsto per le copie di atti notarili, ma solo per le copie di 
scritture private, e in tali sensi, in applicazione dell'art. 384 c.p.c., va 
rettificata, anche su tale punto, la motivazione), ha comunque esattamente 
affermato che la presentazione della copia occorre ai fini previsti 
dall'art. 17, ossia a fini che non sono direttamente�connessi alla 
applicazione del tributo, e correttamente, quindi, ha escluso la applicabilit� 
dell'esenzione in questione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 gennaio 1982, n. 168 -Pres: Mazzacane 
-Est. Ricciardelli -P. M. Gazzara (conf.) -Societ� Cooperativa 
Lavoratori Luce (avv. Natoli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Salimei). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle 
. Commissioni � Partecipazione all'udienza . Sciopero del personale degli 
uffici tributari � Nullit� della decisione -Esclusione. 

(r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, artt. 28 e 29; d.l. 21 giugno 1961, n. 498).. La 
mancata comparizione del rappresentante dell'ufficio tributario 
a causa delta sciopero del personale non impedisce di adottare validamente 
la decisione (1). 

(1) Viene confermata, anche a seguito dell'esame di nuovi profili della que� 
stione, la sentenza 4 gennaio 1978, n. 18, in questa Rassegna, 1978, I, 171. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

572 

(omissis) La censura del ricorrente fa esplicito richiamo alla sentenza 
di questa Suprema Corte n. 18 del 4 gennaio 1978, la quale, affrontando 
per la prima volta la questione concernente le conseguenze del 
mancato intervento dell'organo dell'amministrazione finanziaria all'udienza 
di discussione del ricorso innanzi a:lla commissione, a causa dello 
sciopero del personale, ha affermato hl principio che, anche in caso 
di sciopero che blocchi tutta l'attivit� dell'amministrazione, la legge non 
ricollega al mancato intervento del rappresentante dell'amministrazione 
l'assoluto impedimento per la Commissione di decidere. 

Le argomentazioni di quella decisione, integralmente recepite nel 
motivo di censura, riconoscendo che il diritto alla difesa, costituzionalmente 
tutelato, e l'esigenza del contraddittorio, come presupposto dell'esercizio 
della giurisdizione, non si esauriscono nel momento della 
valida instaurazione del rapporto processuale ma si sviluppano, e quindi 
vanno riguardati nella continuit� della vicenda giudiziale, considerano 
tuttavia che la tutela di quelle situazioni si articola in modo diverso 
a seconda delle caratteristiche dei singoli procedimenti, e non si riferisce 
a tutte le possibili facolt� concesse alle parti nei vari procedimenti, 
ma deve tener conto dei diversi poteri e facolt�, nonch� delle conseguenze 
derivanti dal loro mancato rispetto o dal loro mancato esercizio, con 
l'unico limite che la difesa e il contraddittorio non risultino vanificati. 
In questa prospettiva, l'art. 28 del decreto n. 1516 del 1937, il quale 
prevede che la mancata presentazione del contribuente, qualunque ne 
sia la causa, non impedisce alla Commissione di decidere, rivela un 
grado d'importanza non decisiva che la legge annette alla facolt� d'intervento, 
sicch� l'assenza del contribuente, pur determinata da una causa 
giustificata, non produce la nullit� della discussione del reclamo. 

E poich� la difesa dell'amministrazione non pu� ricevere una tutela 
maggiore rispetto a quella del contribuente, in quanto si verrebbe a 
creare una disparit� di trattamento contraria al principio costituzionale 
di uguaglianza, se la rilevanza che la legge conferisce alla presenza 
del contribuente nella fase della discussione � quella pi� sopra delineata, 
non pu� negarsi che il mancato intervento del rappresentante delle 
finanze all'udienza di discussione, qualunque ne sia la causa, non impedisce 
alla Commissione di decidere. 

Questo collegio, facendo adesione al richiamato orientamento giurisprudenziale, 
ritiene che il ricorso � fondato e merita, perci�, accoglimento. 


Invero, le puntuali argomentazioni della sentenza innanzi richiamata, 
ancorch� verificata alla luce delle critiche che le sono state mosse, 

restano tuttora valide e vanno confermate. 

Le posizioni critiche si fondano sostanzialmente su 
primo concerne la disciplina dei termini di prescrizione 

due rilievi; il 
e di decadenza j; 

i: 
~: 

(: 

ji 

!

! 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

e di quelli degli adempimenti e delle formalit� riguardanti imposte e 
tasse a favore dell'Erario, scadenti durante il periodo di mancato o 
ivregolare funzionamento degli uffici a causa di eventi di carattere 
eccezionale. 

Se il d.l. 21 giugno 1961 n. 498 convertito nella legge 28 luglio 1961 

n. 770, proroga i termini e gli adempimenti fino aJ. decimo giorno successivo 
alla data in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 
decreto ministeriale di accertamento del periodo di mancato o irregolare 
funzionamento, la mancata comparizione del rappresentante, verificatasi 
in uno di quei. periodi di irregolare funzionamento dell'ufficio, non costituirebbe, 
secondo questa posizione, l'esercizio di una facolt�, bens� la 
conseguenza di una forza maggiore. 
Il secondo rilievo prende invece le mosse dalle attivit� consentite 
al contribuente nel contenzioso tributario regolato dal decreto n. 1516 
del 1937 e cio�, in particolare, della possibilit� di esporre i motivi del 
gravame cosiddetto interruttivo con le note aggiunte da depositare fino 
a cinque giorni prima della seduta fissata per la discussione, per infe� 
rirne l'importanza che oggettivamente deve annettersi alla partecipazione 
del rappresentante dell'ufficio fiscale alla discussione del rk:orso. 

Procedendo nell'ordine, � appena il caso di rilevare che il regime 
della legge del 1961 riguarda i termini di prescrizione e di decadenza 
e quelli per il compimento delle attivit� dell'amministrazione in materia 
di imposte e tasse e non � dunque applicabile alla materia contenziosa 
e meno che mai. ai termini ordinatori che regolavano le attivit� preordinate 
alla discussione della controversia tributaria, secondo la precedente 
disciplina di cui al decreto n. 1516 del 1937. 

� chiaro, dunque, che, dalla normativa concernente la proroga di 
quei termini, nessun valido argomento gi�ridico possa trarsi a sostegno 
della nullit� della decisione adottata dalla commissione nel periodo 
durante il quale pe1idurava lo sciopero dei dipendenti dell'amministrazione 
finanziaria. 

Altrettanto deve dirsi in ordine al secondo rilievo. 

In realt� il procedimento dinanzi alla commissione tributaria nel 
sistema anteriore alla riforma del 1972, prevedendo espressamente (articolo 
28) che la mancata presentazione del contribuente, � qualunque ne 
sia la causa�, e quindi anche se egli sia legittimamente impedito, non 
preclude alla commissione di decidere, � evidentemente regolato dal 
principio della non essenzialit� del contraddittorio nella fase della di� 
scussione; pertanto anche nei riguardi dell'amministrazione finanziaria, 
qualunque sia la causa della mancata comparizione del suo rappresen� 
tante, l'applicabilit� di quel principio non esclude che la commissione 
possa decidere. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

574 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 230 -Pres. Granata Est. 
Pannella -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Cevaro) c. Quorti. 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Realizzazione nel corso di procedura fallimentare -Costituisce 
reddito tassabile. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 100, 106, 125). 
Costituisce reddito tassabile la plusvalenza realizzata in sede di liquidazione 
dell'attivo fallimentare di una impresa (1). 

(omissis) Col primo motivo di ricorso l'Amministrazione delle Finanze 
lamentando la violazione degli artt. 8, 81, 91, 100, 106 e 125 t.u. 
645/58, dell'art. 2448 cfr. e degli artt. da 2449 a 2457 cod. civ. in relazione 
all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata l� dove 
essa afferma che, cessando con la dichiarazione di fallimento, l'esercizio 
dell'impresa commerciale, mancherebbe l'attivit� produttiva di reddito, 
non potendosi equiparare la liquidazione fallimentare a quella volontaria. 
Sostiene, quindi, che, correttamente interpretando gli arti. 8, 81 
secondo comma, 100 e 106 del t.u. n. 645/58, per i soggetti tassabili 
in base al bilancio, la plusvalenza sarebbe impossibile per il solo fatto 
della sua �realizzazione�, di l� dai concetti di attivit� speculativa o di 
esercizio di impresa; che la realizzazione di plusvalenza in sede fallimentare 
rappresenterebbe la conclusione dell'attivit� commerciale dell'impresa 
e costituirebbe presupposto del tributo. Aggiunge che l'art. 125 
del t.u. n. 645/58, prevede espressamente fa possibilit� di realizzazione 

di � imponibili � puntualmente tassabili nell'ipotesi di liquidazione volontaria 
e non si spiegherebbe la esclus.ione di essa nel caso di liquidazione 
fallimentare, sul rilievo che anche se sussistono differenze tra i 
due tipi di liquidazione tuttavia essi hanno punti di contatto incentrati 
nell'identit� del fine: quale � la conversione dell'attivo in danaro, per 
il soddisfacimento delle ragioni dei creditori. 

Col secondo mezzo di impugnazione la ricorrente amministrazione 
censura la sentenza per violazione degli artt. 81, 91, 100, 106 e 125 t.u. 

n. 645/58 e dell'art. 42 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, in relazione all'art. 360 
n. 3 cod. proc. civ., nel punto in cui essa afferma che, con la perdita 
della qualit� di imprenditore commerciale della societ� dichiarata fallita, 
mancherebbe un presupposto necessario (requisito soggettivo) per 
la tassabilit� della plusvalenza realizzata .in costanza della procedura 
(1) Un'opportuna riconferma della sentenza 19 luglio 1980, n. 4746, in questa 
Rassegna, 1980, I, 387. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 575 

fallimentare. Sostiene, al contrario, che, anche se il fallimento determina 
la cessazione dell'impresa, tuttavia la liquidazione fallimentare costituirebbe 
la fase � conclusiva � della stessa attivit� imprenditoriale e le 
plusvalenze sarebbero tassabili per il solo fatto di essere realizzate, 
indipendentemente dall'esercizio di qualsiasi attivit� imprenditoriale. 

Col terzo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione degli 
artt. 100 e 106 t.u. n. 645/58 in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., 
l� dove essa esclude la tassabilit� della-plusvalenza per difetto dell'intento 
speculativo. Sostiene che tale intento non � richiesto dalla legge 
n� per i soggetti tassabili in base al bilancio (art. 106) n� per le imprese 
commerciali in genere (art. 100). 

Con sentenza n. 4746 del 19 luglio 1980, questa Corte ha gi� avuto 
occasione di prendere in esame una fattispecie analoga a quella di cui 
qui si discute ed a pronunciarsi nel modo riassunto nella seguente massima: 
� Le plusvalenze delle societ� tassabili in base a bilancio, le quali 
sono tassabili per il solo fatto della loro realizzazione, indipendentemente 
dallo svolgimento dell'attivit� speculativa e dall'esercizio di una 
impresa commerciale sono soggette all'imposta di r.m. ai sensi degli 
artt. 106 e 125 del d.P.R. 28 gennaio 1958 n. 645, sia che sopravvengano 
nel corso di una liquidazione ordinaria sia che si realizzino nel corso 
di una liquidazione fallimentare, in quanto il fallimento non fa perdere 
al fallito la propriet� dei suoi beni e pertanto i vantaggi economici, 
realizzati nel corso della liquidazione fallimentare, si riflettono, indirettamente, 
sulla sua situazione patrimoniale �. 

Ebbene, sia per la esistenza di un precedente cos� specifico, dal 
quale non sussistono ragioni di allontanarsi, e sia per l'evidente intreccio 
delle questioni oggetto dei tre motivi, � opportuno esaminare tali questioni 
congiuntamente, focalizzando in una breve sintesi i punti centrali 
di esse. 

� intuitivo, da quanto sopra detto, che tutti e tre i motivi sono 
fondati. 

Va chiarito innanzi tutto che con la dichiarazione di fallimento 

l'imprenrutore commercia:le (persona fisica, societ� di persone, societ� 

di capitali) non perde immediatamente tale sua qualificazione, restando 

proprietario dei suoi beni e conservando la titolarit� di tutti i rapporti 

giuridici, attivi e passivi, anteriori e posteriori a quella dichiarazione. 

Ci� che dismette � ila disponibilit� dei beni stessi la cui amministra


zione � affidata all'ufficio fallimentare. 

Per quanto riguarda le societ�, l'affermazione suddetta si presenta 

ancor pi� aderente e chiara, sul rilievo che la dichiarazione di falli


mento, essendo causa del loro scioglimento (artt. 2308, 2448, 2497 cod. 

civ.), fa sorgere Jo ,stato di iliquidazione con ila sola :rilevante conseguenza 

della mutazione dello scopo sociale: da scopo di realizzazione dell'og




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

getto sociale a scopo di liquidazione dei beni per il soddisfacimento 

delle ragioni dei creditori, con la restituzione dell'eventuale supero alla 

societ� stessa, la quale -ritornata in bonis -potr� distribuire quel 

supero tra i soci o anche riprendere la sua precedente attivit� di ge


stione commerciale. 

Dalla suesposta osservazione si deduce come i due tipi di liquida


zione, volontaria e fallimentare, ovviamente differenti nella disciplina 

giuridica, hanno un'identit� di scopo che li accomuna: sicch� l'attivit� 

dell'organo fallimentare, diretta a trasformare i beni in liquidit� pecu


niaria, sempre entro l'ambito della sfera giuridico-patrimoniale della 

societ� fallita, produce effetti analoghi a quelli derivanti dalla attivit� 

del liquidatore liberamente nominato dall'assemblea dei soci. 

In questa prospettiva si comprende come -rispetto �al Fisco -i 

due tipi di liquidazione non potevano in passato, come non possono 

oggi, non essere considerati alla medesima stregua, soprattutto con 

riferimento alla realizzazione di � imponibili �. Ed invero, se, con lo 

scioglimento della societ�, verificandosi la cessazione dell'attivit� di 

gestione � normale ritenere la mancanza di produzione di redditi di 

impresa, tuttavia non � dato escludere che nella fase della liquidazione 

possono realizzarsi imponibili, come ad es. le � plusvalenze �, conseguen


temente alla vendita di beni immobili. 

Certamente il legislatore con l'art. 125 t.u. n. 645/58, ebbe a tener 
� presente una tale evenienza, riferendosi alla tassazione dei soggetti tas


sabili in base al bilancio e che fossero in istato di liquidazione. N� c'� 

motivo di ritenere che egli ipotizzasse le sole liquidazioni volontarie. 

Con la recente riforma tributaria, il medesimo legislatore ha espres


samente previsto la possibilit� di tassazione di reddito di impresa nel 

caso di fallimento. Art. 10 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 e art. 73 d.P.R. 

29 settembre 1973 n. 597. 

Va sottolineato che la realizzazione di �imponibili� nella fase di 

liquidazione volontaria o fallimentare delle societ� accentua il concetto 

della persistenza dell'imprenditore commerciale, al quale si riannodano 

i � residui � del pregresso dinamismo dell'impresa. 

� evidente che quegli � imponibili � costituiscono una nuova ric


chezza, la quale non pu� ritenersi esclusa dalla tassazione per il ::;olo 

fatto che � destinata, in primo luogo, a soddisfare le ragioni dei creditori 

concorsuali, soprattutto se si tiene presente che tale destinazione non 

muta il fenomeno giuridico immediato, che � quello dell'accrescimento 

del patrimonio sociale. 

L'ultimo argomento riguarda l'intento speculativo. 

Va chiarito che la norma giuridica trascurata dalla sentenza impu


gnata � quella del secondo comma dell'art. 81 del t.u. 29 gennaio 1958 

Fo

n. 645, che distingue tra le plusvalenze indicate dagli artt. 100 e 106 e 
ii fo 
i: 
~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 577 

le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni speculative. 


Tale distinzione pone in evidenza come le plusvalenze, le quali concorrono 
a formare il reddito imponibile delle �imprese commerciali 
(art. 100) e dei soggetti tassabili in base al bilancio (art. 106), non 
sono condizionate, per la loro tassabilit�, dalla verificazione di attivit� 
speculative. 

A conforto di siffatta interpretazione si aggiunge che gli enunciati 
degli artt. 100 e 106 non fanno cenno alcuno dell'intento speculativo. 

Nella fattispecie in esame, essendo la Societ� Immobiliare Urbani 
una societ� a responsabilit� limitata e come tale soggetto giuridico tassabile 
in base al bilancio, per l'accertamento della plusvalenza non si 
richiedeva affatto un'operazione speculativa, attribuibile al curatore del 
fallimento. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 231 -Pres. Marchetti Est. 
Bologna -P. M. Nicita (conf.) -Russo ed altri (avv. Guidi) c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). 

Tributi erariali diretti -Soggetti passivi � Capacit� giuridica tributaria 
Organizzazioni di beni e di persone -Attivit� occasionale di un gruppo 
di persone -Sussiste. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 8). 
Poich� la capacit� giuridica di diritto tributario � pi� ampia di 
quella di diritto privato ed � estesa a soggetti collettivi non personificati, 
legittimamente viene individuato come soggetto passivo un gruppo di 
persone, non costituenti societ�, che abbia compiuto una singola ed 
occasionq.le operazione di mutuo rivelata dal rilascio di una cambiale 
con indicazione congiunta (1). 

(omissis) Con il primo motivo (violazione dell'art. 8 t.u. n. 645 del 
1958) si deduce che erroneamente la Commissione Tributari.a Centrale 
avrebbe ritenuta la legittimit� dell'accertamento unico a carico di tre 
distinti soggetti passivi del rapporto tributario, avendo omesso di consi


(1) Sulla soggettivit� tributaria, come definita nell'art. 8 del t.u. delle imposte 
dirette, in senso pi� ampio di quella di diritto comune non sorgono 
dubbi. Ed anzi quelle anomale (�altre�) organizzazioni di persone o di beni 
cui fa riferimento la norma, sono qualcosa di pi� inconsueto, giacch� l'unione 
di persone costituita con il fine di compiere una operazione di speculazione, 
pu� bene rientrare nello schema tipico della societ�, sia pure occasionale. Per 
una analoga questione cfr. Cass. 22 luglio 1980, n. 4784, in questa Rassegna, 
1981, I, 391. 

578 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
derare che non tutti i rapporti plurisoggettivi danno ongme alle associazioni 
di fatto e/o agli enti previsti dal citato art. 8 ma soltanto quelli 
configuranti un inequivoco centro di imputazione di interessi comuni; 
comunque non dovrebbero essere considerati unico soggetto ai fini tributari 
i prenditori di una cambiale; e per effetto della inesistenza di una 
obbligazione tributaria unica e del vincolo di solidariet� sarebbe da ritenere 
nullo �faccertamento effettuato daill'Uffi.cio di Acireale nei confronti 
del Russo e del Pagani aventi domicilio fiscale fuori della circoscrizione 
dell'Ufficio stesso. 
La censura � infondata. 
La capacit� giuridica nel diritto tributario, nei suoi riflessi sulla 
configurabilit� di soggetti passivi d'imposta, � pi� ampia di quella di 
diritto ..privato, essendo estesa al soggetto collettivo non personificato 
(Cass. 1971 n. 2645, 1964 n. 2808). 
Tale � il significato dell'art. 8 t.u. n. 645 del 29 gennaio 1958, secondo 
cui sono soggetti passivi del rapporto tributario, oltre alle persone fisiche 
e giuridiche, alle societ� ed associazioni, anche le altre organizzazioni di 
persone o di beni prive di personalit� giuridica e non appartenenti a 
soggetti tassabili in base a bilancio, nei confronti delle quali il presupposto 
dell'imposta si verifichi in modo unitario ed autonomo. 
Come risulta dall'ampia e corretta motivazione della Commissione;> 
Tributaria Centrale, sulla base degli elementi di fatto acquisiti nel corso 
del procedimento tributario, era stato posto in essere tra Barbagallo 
Antonino, Gioacchino Russo ed Edoardo Pagani Mamiani Della Rovere 
un rapporto associativo, di fatto ed occasionale, per il compimento in 
comune di un singolo affare (mutuo garantito da cambiali) e risultante 
dalla indicazione congiunta (nelle cambiali) dei nomi dei prenditori e 
dalla inesistenza di una societ� tra i medesimi; da tale rapporto era 
necessariamente derivata un'obbligazione tributaria unica a carico dei 
prenditori delle cambiali ed in solido tra l�ro, in quanto fondata su un 
presupposto unitario ed autonomo non scindibile e non suscettibile di 
distinte valutazioni rispetto ai singoli soggetti ed alle rispettive partecipazioni. 
A giudizio di questa Corte, a conclusione dei rilievi formulati nella 
decisione impugnata, anche il fatto che pi� persone si associno per concedere 
in comune un mutuo con modalit� e risultati identici per tutti, 
d� luogo ad una organizzazione di persone anche .se occasionale; nei 
confronti di dette persone associate nel senso suddetto il presupposto 
dell'imposta si � verificato in modo unitario ed autonomo. 

La conseguente legittimit� dell'accertamento unico a carico dei soggetti 
associati comporta il superamento della questione relativa alla 
diversa individuazione dei domicili fiscali di Russo Gioacchino e di 
Edoardo Pagani. (omissis) 


PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 519 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1982, n. 500 -Pres. Marchetti 
-Est. Bologna -P. M. Sgroi. Reo (avv. Manfredonia) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Dipace). 

Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati � Agevo


lazione per le case di abitazione non di lusso -Conformit� alla licenza 

edilizia � ~ richiesta. 

(1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). 
L'agevolazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408 per le case 
di abitazione non di lusso, richiedendo la ultimazione e la dichiarazione 
di abitabilit�, presuppone la. conformit� della costruzione alla licenza 
edilizia (1). 

(omissis) Con il primo motivo di ricorso (violazione dell'art. 13 della 
legge 2 luglio 1949 n. 408) si deduce che l'esenzione venticinquennale 
dall'imposta sui fabbricati, di cui alla norma richiamata, spetta anche in 
caso di parziale ma definitiva -attuazione nel biennio -della costruzione 
prevista nella licenza di costru:zii.one, non riJevMl!do H raffronto tra 
la costruzione concretamente realizzata e la licenza edilizia. 

Con il secondo motivo (vizi della motivazione) si rileva che la decisione 
impugnata non avrebbe considerato che, sebbene fosse stata data 
parziale esecuzione alla !licenza edilizia, un'opera compiuta era stata 
realizzata nel biennio. 

Con il terzo motivo (violazione dell'art. 15 legge 6 agosto 1967 n. 765) 
si deduce che, poich� l'inizio della costruzione risale all'anno 1957, non 
sarebbe rilevante il contrasto tra costruzione e licenza edilizia, contrasto 
invece che sarebbe stato sanzionato soltanto con Ja [egge !Il. 765 del 1967, 
intervenuta successivamente. 

Le censure, per 1a loro stretta connessione vanno esaminate congiuntamente 
e, debbono essere respinte. 

L'art. 13 della legge n. 408 del 1949 (applicabile alla fattispecie de 
qua riguardante la costruzione di un fabbricato di quattro piani autorizzata 
con licenza edilizia n. 184 del 5 febbraio 1957) disponeva che le 
case di abitazioni, le quali noo abbiano H carattere di abitazioni di 
lusso, la cui costruzione sia ultimata entro il biennio successivo all'inizio, 
fossero esenti per venticinque anni dall'imposta sui fabbricati e relative 
sovraimposte a decorrere dalla data della dichiarazione di abitabilit�. 

(1) Un nuovo indirizzo di rilevante importanza. Era sempre stata ritenuta 
essenziale la licenza di abitabilit� (Cass. 19 novembre 1979, n. 6028, in questa 
Rassegna, 1980, I, 441), ma non si escludeva che questa potesse (o dovesse) 
essere rilasciata per fabbricati rispondenti alle norme igieniche non assistiti 
da licenza edilizia. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La norma esaminata pone l'accento sul fatto, richiesto al fine della 
esenzione venticinquennale dell'imposta sui fabbricati e relative sovraimposte 
della ultimazione della costruzione entro il biennio successivo alla 
data di inizio e fissa l'ini1io del periodo di esenzione dalla data della 
dichiarazione di abitabilit�. 

L'accertamento di tale fatto (ultimazione) presuppone la conoscenza 
delJ'oggetto dei lavori di costruzione (natura, estensione, altezza, caratteristiche 
tecnico-costruttive etc.) in relazione ai quali l'ultimazione rappresenta 
l'evento rilevante ai fini suddetti. 

La conoscenza in questione, necessaria quale termine di .riferimento 
dell'accertamento della ultimazione e quale presupposto del riconoscimento 
del diritto alla esenzione � fornita dalla licenza edilizia e dal suo 

,contenuto, poich� l'ultimazione e l'esenzione non possono riguardare qual


siasi lavoro di costruzione di abitazioni a libito del costruttore (cfr. 

sent. 3505 del 1972 in sede di interpretazione dell'art. 14 della stessa legge). 

H requisito della conformit� tra provvedimento autori.zzativo e costruzione 
realizzata � quindi intrinsecamente postulata dalla norma esaminata, 
con la precisazione che la conformit� stessa deve essere intesa 
anche come sopravvenuta, in quanto dipendente dalla successiva approvazione 
di varianti al progetto costruttivo autorizzato, di provvedimenti 
in deroga od in sanatoria, etc. 

La rilevanza del criterio di conformit� tra licenza e costruzione per 
il riconoscimento del diritto all'esenzione � confermata dai richiamo 
testuale alla dichiarazione di abitabilit� al fine della concreta decorrenza 
della esenzione. 

Invero, la dichiarazione o licenza di abitabilit� ai sensi dell'art. 221 

r.d. n. 1265 del 1934 (testo unico delkleggi sanitarie) per gli edifici urbani 
o rurali di nuova costruzione o sopraelevati o modificati, emessa dall'autorit� 
comunale, quando, previ i necessari controlli tecnici ed ispezioni 
sanitarie, risulti tra l'altro che �la costruzione sia stata eseguita 
in conformit� del progetto approvato�. 
L'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, che ha inserito nel testo 
della legge urbanistica n. 1150 del l7 agosto 1942 l'art. 41 ter, e secondo 
il quale le opere iniziate (dopo l'entrata in vigore della legge n. 765/1967) 
senza la licenza od in contrasto con la stessa ovvero sulla base di licenza 
successivamente annullata non beneficiano delle agevolazioni fiscali, dei 
contributi e provvidenze dello Stato e degli enti pubblici, e secondo 
il quale il contrasto tra licenza e costruzione deve riguardare violazioni 
di altezza, distacchi, cubature o superfici coperte in eccedenza, non � 
applicabile nella specie n� rilevante, contrariamente alla tesi del ricorrente. 

La norma redatta per le agevolazioni in genere ed avente quindi 
carattere generale non pu� derogare ad una norma speciale anteriore, 
quale quella di cui all'art. 13 della legge n. 408 del 1949: ed in tal senso si 

i 

l 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 581 

� gi� espressa quest� Corte con sentenza n. 5722 del 1978, che peraltro 
ha adottato una diversa interpretazione dell'art. 13 citato. 

Inoltre, l'art. 15 in esame riguarda le costruzioni senza licenza e quelle 
contrastanti per eccesso il contenuto della licenza edilizia (in vista di una 
corretta attuazione delle prescrizioni urbanistiche), mentre l'art. 13, inserito 
in una legge diretta a garantire l'incremento delle costruzioni edilizie, 
submdina l'esenzione all'ultima:ZJi.one dei lavori cosi come previsti nella 
licenza edilizia e pertanto idonei a sfruttare le possibilit� costruttive 
,(previste dalla licenza) in vista dell'incremento delle costruzioni edilizie 
considerate. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1982 n. 957 -Pres. La Farina Est. 
Lipari -P. M. Sgroi (conf.). Facondini (avv. Romanelli) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti -Imposte doganali � Accertamento -Revisione � 
Nozione � Termine � Elementi divel."si da qualificazione valore ed ori� 
gine � Termine quinquennale. 

(d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74, 84, 91). 
La revisione dell'accertamento dell'art. 74 del d.P.R. 23 gennaio 1973, 

n. 43, soggetta al termine semestrale di decadenza, ha per oggetto la 
qualit�, la quantit� e l'origine delle merci, ossia le questioni di identifi� 
cazione merceologica o di quantit� e di valore che concorrono a formare 
la base imponibile; tutte le altre rettifiche che, ferma restando la base 
imponibile, hanno riferimento, oltre che ad errori di calcolo, alla interpretazione 
della tariffa ed in genere all'applicazione della legge non sono 
soggette al termine semestrale di decadenza, ma al termine quinquennale 
di prescrizione sia per pretesa di un maggiore tributo (art. 84) sia per 
il rimborso di una somma non dovuta (art. 91) (1). 
(omissis) Con il primo mezzo l'importatore ricorrente, denunciando 
la violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 84, 57 e 91 del t.u. delle 
disposizioni legislative in materia doganale, approvato con d.P.R. 23 gennaio 
1973 n. 43, sostiene relativamente alle bollette doganali di data 
posteriore �all'entrata in vigore del d.P.R. medesimo (nell'implicito, ma 

(1) Sostanzialmente conforme � la sentenza 10 novembre 1981, n. 5951 di 
cui si omette la pubblicazione. Vtiene riconfermato, con ampiezza di argomentazione, 
l'indirizzo di cui alla sentenza 26 febbraio 1980, n. 1330, in questa 
Rassegna, 1980, I, 830. Giova ricordare che la decadenza dell'art. 84 non opera 
nemmeno riguardo a merci non dichiarate, anche se materialmente passata 
attraverso la dogana (Cass. 29 aprile 1980, n. 2836). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

erroneo, presupposto che lo ius superveniens procedimentale non si 
applichi a fatti di esportazione precedentemente verificatasi, e comunque 
introducendo una distinzione non mai adombrata nelle precedenti fasi 
del giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale) che nella specie non si 
poteva prescindere dal procedimento di revisione dell'accertamento di 
cui all'art. 74 del d.P.R. n. 43 del 1973, soggetto al termine decadenziale 
di sei mesi dalla data in cui l'accertamento medesimo era diventato 
definitivo, gi� ampiamente decorso, per operare la rettifica dell'inquadramento 
tariffario delle merci importate (semi di zucca) alla voc� 12.03 
(semi destinati alla semina) anzich� alla voce 12.01 (semi oleosi). 

Secondo hl ricorrente la modifica deHa voce doganale equivale alla 
modifica della qualificazione giuridica della merce, e tale operazione costituisce 
una vera e propria revisione dell'accertamento; la rettifica, a 
prescindere dal procedimento di revisione, sarebbe stata possibile solo 
se rilevata e contestata nella fase compresa fra l'accettazione della dichiarazione 
e la liquidazione dei diritti regolati dall'art. 59 del t.u. 

Nell'accertamento relativo alla qualit� si prendono in considerazione 
le qualit� fiscalmente rilevanti della merce, riconoscendosi da parte della 
dogana l'esistenza, della merce varificata, di caratteristiche merceologiche 
e funzionali idonee a fare inquadrare la merce stessa in una delle 
voci e sottovoci della tariffa, conseguendone fa diretta correlazione fra 
intrinseca qualificazione merceologica ed applicazione della tariffa.� L'articolo 
84 si applica quando l'errore emerge dalla bolletta doganale come 
tale e non anche quando .non attiene alla compilazione della bolletta, 
ma alle valutazioni e classificazioni compiute nel corso dell'accertamento, 
che dovrebbe, pertanto, essere corretto con l'apposito procedimento di 
revisione. 

L'ambito di applicazione dell'ultimo comma dell'art. 84 sarebbe, pertanto, 
circoscritto alla riscossione (rispetto alla voce esattamente indi� 
viduata dall'accertamento) di un diritto previsto per un'altra voce, o, 
nell'ambito della stessa voce, per causale diversa da quella esattamente 
corrispondente alla classificazione, essendo incorsa la dogana nell'errore 
materiale di collegare una determinata voce, o sottovoce tariffaria, a 
diritto diverso. 

Il motivo � infondato. 
Occorre muovere per confutarlo dal riscontro dei testi normativi 
invocati. 

Il capo III del titolo II della vigente legge doganale (d.P.R. 23 gennaio 
1973, n. 43) disciplina la procedura di accertamento che si correla 
alla dichiarazione doganale la quale deve contenere (fra l'altro), ai sensi 
dell'art. 57 lett. d), la descrizione delle merci, per ciascun collo, con 
l'indicazione, secondo le denominazioni della tariffa, della qualit�, com� 
posizione e quantit�, e per le voci di tariffe che siano determinate con 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

decreto del Ministro per le finanze, con la :indicazione anche delle denominazioni 
commerciali. 

Il successivo art. 59 stabilisce che, accettata la dichiarazione, la 
dogana deve procedere, in contraddittorio con il proprietario, all'accertamento 
della qualit�, della quantit�, del valore e dell'origine delle merci 
che formano oggetto della dichiarazione stessa. Se la merce � riconosciuta 
conforme alla dichiarazione, ovvero se l'operatore non contesta le 
difformit� risultanti dall'accertamento, si procede alla liquidazione di 
diritti e si annota la dichiarazione nel registro, munendola del numero 
e della data (che segna il termine di definitivit� dell'accertamento); la 
dichiarazione r�gistrata assume valore di bolletta. 

Nel corso dell'accertamento possono sorgere contestazioni � circa la 
qualificazione, il valore e l'origine della merce dichiarata� (ovvero circa 
il regime di tara od il trattamento degli imballaggi), disciplinate al 
Capo IV dello stesso titolo, contenente altres� l'art. 74, il quale stabilisce, 
sotto Ja rubrica �Revisione dell'accertamento�, che �la dogana pu� 
procedere alla revisione dell'accertamento divenuto definitivo, ancorch� 
le merci che ne hanno formato oggetto siano state lasciate alla libera 
disponibilit� dell'operatore�, Tale revisione, sia se compiuta d'ufficio, sia 
se sollecitata dall'interessato, � soggetta al termine decadenziale di sei 
mesi dalla data di definitivit� dell'accertamento. Quando dalla revisione 
medesima emergano inesattezza, omissioni od errori, riguardanti gli 
elementi presi a base dell'accertamento, la dogana procede alla relativa 
rettifica e ne d� comunicazione all'operatore interessato, notificandogli 
apposito avviso, e l'operatore pu� contestare tale rettifica entro trenta 
giorni, provocando al riguardo una controversia doganale secondo le 
regole generali. (Sulla genesi ed ambito applicativo dell'art. 74 cfr. l'ampia 
trattazione contenuta nella sentenza n. 2836 del 1980, nonch� la successiva 
decisione n. 4070/81). 

A sua volta l'art. 84 della legge doganale, che disciplina la prescri


zione dei diritti doganali, stabilisce all'ultimo comma, che se il mancato 

pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualit�, 

della quantit�, del valore, o dell'origine della merce, si applicano le dispo


sizioni dell'art. 74, mentre prevede al comma 2 lett. a) che l'azione dello 

Stato per la riscossione dei diritti si prescrive in cinque anni (comma 1�), 

decorrenti dalla data de1la bolletta doganale per i diritti in essa liqui


dati e non riscossi in tutto o in parte per qualsiasi causa �o dovuti in 

conseguenza di errori di calcolo nella liquidazione, o di erronea applica


zione della tariffa �. 

La tesi del contribuente � che nel caso considerato l'inquadramento 

di un dato prodotto in una anzich� in un'altra voce di tariffa, ferma ed 

incontestata la identit� merceologica, integrando una questione coinvol


gente inesattezze, omissioni ed errori riguardanti elementi presi a base 


584 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
dell'accertamento, dovrebbe ricondursi all'ipotesi della revisione ex art. 74 
d.P.R., e non gi� a .quella dell'art. 84 comma 2 lett. a), riguardante esclu� 
sivamente il caso in cui, senza che venga in d.is�cussione l'inquadramento 
tariffario, nell'operare la liquidazione si siano comm.essi errori, vuoi per 
non avere esattamente rilevato l'aliquota corrispondente, vuoi per avere 
operato malamente il relativo calcolo. 
Il ricorrente invoca a conforto del proprio assunto la circostanza che 
l'ultimo comma dell'art. 91 del t.u., in tema di rimborsi, opera esso 
pure un richiamo all'art. 74 se l'indebito pagamento dipende da erroneo 
od inesatto accertamento della qualit�, della quantit�, del valore o dell'origine 
della merce (mentre i precedenti commi circoscrivono la sfera 
di operativit� della norma sui rimborsi alle somme pagate in pi� del 
dovuto per errori di calcolo nella liquidazione, o per l'applicazione di 
un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la merce descritta nel 
risultato dell'accertamento, parlando espressamente di errore di calcolo 
o di tassazione). Ritiene, pertanto, che l'espressione �erronea applicazione 
delle tariffe � usata nell'art. 84 abbia il medesimo significato della 
locuzione � applicazione di un diritto diverso di quello fissato in tariffa � 
che, si legge nell'art. 91, assumendo esclusivamente che la facolt� di 
recupero consentita all'amministrazione dal suddetto art. 84, entro il 
termine di prescrizione, sia limitata all'erronea applicazione di un diritto 
doganale diverso da quello dovuto alla stregua della voce di tariffa cui 
si voleva fare riferimento, restandone esclusa l'ipotesi di inesatta inucleazione 
della congrua voce di tariffa, mediante sostituzione di quella 
risultante dalla bolletta doganale, essendo la correzione di un siffatto 
errore possibile soltanto attraverso la revisione dell'accertamento. 
4. Con molta chiarezza il ricorrente contrappone l'errore di riscossione 
(rispetto alla voce esattamente individuata nell'accertamento) di 
un diriJto� previsto per un'altra voce, o nello ambito della stessa voce 
per causale diversa da quella esattamente corrispondente alla operata 
classificazione (inquadrabile nel genus errore materiale, stante la indebita 
riconduzione di una determinata voce o sottovoce tariffaria a diritto 
diverso), all'errore che incide sulla stessa identificazione della voce tarif.
faria concretamente applicabile, suscettibile di correzione solo in sede 
di accertamento, ovvero con la procedura di revisione. 
Ma � proprio la chiarezza dell'impostazione seguita che ne mette in 
luce la insostenibilit� giuridica, evidenziando l'equivoco di fondo che la 
travaglia: la mancata considerazione, nel novern delle controversie doganali, 
di quelle di classificazione (o di assimilazione) in contrapposizione 
a quelle di qualificazione merceologica e di accertamento del valore. 
Trattasi di nozioni che non hanno riscontro nominalistico nella 
vigente legge doganale, pur mantenendo, cos� come sono state enucleate 
dalla dottrina, una loro attitudine a distinguere il momento fattuale dal ~ 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 585 

momento pm propriamente qualificatorio, in senso tecnico-giuridico, del 
presupposto del tributo gi� accertato nelle sue dimensioni merceologiche 
e valutative. 

Come � noto, intorno agli anni 60, a seguito di una decisione della 
Corte cost. (n. 40 del 1958) che ebbe a dichiarare l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 26 secondo comma del testo unico delle leggi sul Consiglio 
di Stato, si discusse in giurisprudenza sulla tutela giurisdizionale 
spettante a proposito di controversie doganali riguardanti la qualificazione 
delle merci e l'accertamento del valore; e, dopo qualche oscillazione, 
fin� per. prevalere la tesi che postulava la competenza dell'AGO 
sulle questioni di estimazione doganaie sussistendo un diritto soggettivo 
del contribuente alla esatta determinazione del presupposto del tributo 
nelle sue dimensioni fattuali. Ma non si � mai dubitato della competenza 
del giudice ordinario a conoscere delle controversie di classificazione, 
riguardanti l'applicazione a merci di qualificazione merceologica 
e di valore gi� determinato dell'appropriato articolo di tariffa; poich� 
non si compie al riguardo un giudizio estimatorio, ma si tratta di applicare 
al fatto gi� accertato, senza margine di discrezionalit�, la norma, 
attenendo il problema in discussione esclusivamente alla interpretazione 
di tale norma. 

Analoghe alle controversie di classificazione sono quelle di assimilazione, 
riguard;mti la classificazione di merci di qualificazione merceofogica 
gi� determinata che, non essendo considerate specificamente da 
alcuna voce del repertorio o della tariffa, vanno ricondotte a quella 
maggiormente affine. Trattasi, all'evidenza, anche in questo caso, di 
risolvere un problema esclusivamente giuridico, senza alcuna componente 
estimatoria, ravvisabile, invece, nelle controversie di qualificazione merceologica 
ed in quelle di accertamento del valore. 

La enucleazione di pr<;>fili estimatori di merito, ovvero di profili 
qualificatori di puro diritto, si riflette non soltanto sul problema della 
giurisdizione, ma concorre a circoscrivere il � proprium � dell'accertamento 
doganale, in quanto inteso alla determinazione della base imponibile 
alla cui stregua applicare la tariffa. In questo senso prendono 
fondamentale rilievo le norme richiamate dal ricorrente le quali sottolineano 
tutte le componenti del giudizio estimatorio, che si radica sulla 
dichiarazione doganale nella quale deve essere contenuta anche l'indicazione 
della voce di tariffa cui ricondurre le merci importate, ma che 
fondamentalmente deve dare atto della � qualit�, composizione e quantit�
� (cfr. art. 57), mentre l'accertamento di cui � parola nell'art. 59 
riguarda appunto � qualit�, quantit�, valore, ed origine � delle merci 
che formano oggetto della dichiarazione medesima. Su questa linea della 
qualificazione merceologica e della determinazione correlativa del valore, 
si sviluppa coerentemente la normativa che attraverso il prelevamento 

m1�mKfllllltllllfrlllllllllllllrillllllllll1"lllllllllllfll 



586 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

di campioni affida a periti doganali le fondamentali valutazioni merceologiche; 
perci� il procedimento riguardante tali contestazioni, nella sua 
fase amministrativa, � scandito dalla presenza di �periti doganali� il 
cui parere, a tutti i livelli di sviluppo delle contestazioni medesime, 
appare fondamentale. 

All'accertamento, inteso riduttivamente come determinazione della 
base imponibile risultante dalla qualificazione merceologica operata, si 
correla la specifica norma nella �revisione�, implicante, come emerge 
con sicurezza dal comma secondo dell'art. 74, una attivit� ispettiva e 
valutativa da compiersi sulle merci per �accertare� con maggiore esattezza, 
e superando eventuali dubbi, qualit�, quantit� e valore. Scopo 
dell'accertamento in revisione, come risulta testualmente dal comma 
quarto del menzionato art. 74, � la messa in evidenza di � omissioni 
ed errori riguardo agli elementi posti a base dell'accertamento �. 

Quando, invece, l'accertamento si � compiuto senza contestazioni 
circa gli elementi di identificazione deHa base imponibile, ed � assolutamente 
pacifico il � tipo � merceologico cui appartiene la merce, ai fini 
della corresponsione del tributo si tratta di operare il riscontro con le 
indicazioni della tariffa, che il pi� delle volte si risolve puramente e 
semplicemente nel raffronto nominalistico; qualche problema potrebbe 
sorgere quando il tipo merceologico determinato a seguito dell'accertamento 
non figuri nelle tariffe, dovendosi assimilare la merce alla categoria 
nominata con cui ha maggiore affinit� alla stregua della adeguata 
interpretazione della legge e della tariffa doganale. 

Tale giudizio di assimilazione non consiste in una interpretazione 
analogica, dato che il criterio applicativo scaturisce direttamente dalle 
norme positive e non deve essere creato dall'interprete, con strumenti 
ermeneutici integrativi, per colmare un vuoto di cui il legislatore era 
inconsapevole. 

A proposito di tariffe doganali, il legisfatore, anzich� elencare tutte 
le possibili merci tassabili, accingendosi ad un compito sicuramente destinato 
all'insuccesso, pur avendo provveduto a minuziose indicazioni, ha 
avuto cura di precisare, con norma di chiusura del sistema, che in 
ognuna de1le voci espressamente indicate si dovessero ritenere comprese 
anche le merci aventi caratteristiche simili, configurando tutti gli articoli 
delle tariffe come norma e fattispecie non esclusiva, integrabHi, 
quindi, volta a volta alla stregua del criterio dell'assimilazione. L'individuazione 
de11a merce pi� affine a quella in esame pu� richiedere nell'interprete 
nozioni extragiuridiche, presentando una componente tecnica, ed 
il compimento di una operazione logica non diversa da quella richiesta 
per la qualificazione merceologica, nel compiere la quale, peraltro, il 
risultato finale cui si perviene � rigorosamente qualificatorio in senso 
tecnico giuridico, operandosi alla stregua della ratio legis e quindi non 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 587 

soltanto in base al tipo merceologico (facendo leva sulle somiglianze 
fisico-chimiche), ma considerando la merce nella sua dimensione socioeconomica, 
applicando i criteri di politica economica fiscale che hanno 
presieduto alla formazione delle tariffe, e ne hanno ispirato Je statuizioni, 
venendo a configurarsi detta ratio come il fondamentale dato di 
lettura di cui l'interprete deve tenere conto. 

5. Se, quindi, il momento dell'accertamento dei dati di base per 
la tassazione va tenuto distinto da quello dell'applicazione della tariffa 
da effettuare alla stregua della qualificazione merceologica, assume decisivo 
rilievo l'espressione contenuta nell'art. 84 comma 2 Jett. a) il quale,
1

nel riferirsi ad errori di applicazione della tariffa, sottolinea, secondo 
la lettera e lo spirito della locuzione, la cesura fra qualificazione merceologica, 
e riconduzione della specie all'una ovvero all'altra delle voci 
della tariffa medesima; nel campo doganale, invero, l'applicazione della 
tariffa si risolve puntualmente nell'dnquadramento di ogni fattispecie 
concreta, di ogni specifica � merce � presentata alla dogana al modello 
legale suo proprio, mentre fil ricorrente vorrebbe .interpretare riduttivamente 
la norma restringendone la portata alle ipotesi in cui, pur essendovi 
corrispondenza fra qualificazione merceologica e classificazione tariffaria, 
sia stato commesso un errore nel calcolo del tributo. 

La tesi non � sostenibile. Basta leggere al riguardo, nella successione 
delle proposizioni in cui si articola, la norma che distingue � errori 
di calcolo nella liquidazione�, ed �errori di applicazione della tariffa�; 
tale distinzione verrebbe ad essere completamente appiattita se fosse 
esatto l'assunto del contribuente, giacch� sarebbero ipotizzabili soltanto 
errori di calcolo. Quando nel presupposto dell'inquadramento della merce 
in una data voce di tariffa, la dogana impone un'aliquota diversa da 
quella rispondente all'operata classificazione o assimilazione, l'errore non 
riguarda l'applicazione della tariffa medesima come criterio che presiede 
alla classificazione, ma va annoverato fra gli errori materiali per non 
aver tratto dall'effettuato inquadramento gli esatti referenti numerici 
nella individuazione delle aliquote. In altre parole: la applicazione di 
una o di altra aliquota come corollario della classificazione d� origine 
a controversie di classificazione; mentre l'inesatta individuazione della 
aliquota che corrisponde all'operata classificazione comporta errore di 
calcolo (a parte la pi� banale ipotesi di errore di conteggio meramente 
aTitmetico per non rispond~nza del risultato rnggiunto dei dati posti a 
base del calcolo). 

Ma in entrambi i casi si � sicuramente al di fuori del campo della 
revisione dell'accertamento che resta circoscritto alle contestazioni riguardanti 
la determinazione della base imponibile .individuata, nelle varie 
disposizioni della Jegge, con riferimento a:Ha qualit�, alla quantit�, od 

all'origine della merce. 



RASSEGNA DEI.L'AWOCATURA DELLO STATO

588 

Ben si comprende, quindi, che rispetto ad un accertamento definitivo 
per quanto attiene alle connotazioni della merce risultanti dalla 
bolletta doganale le possibilit� di � revisione � siano ristrette ad un 
termine decadenziale. 

quando, invece, si tratta di riesaminare la correttezza dell'operata 
tassazione su merci di indiscussa consistenza merceologica, e di quantit� 
e valore ormai certi, non venendo pi� in considerazione la base 
imponibile, ma la interpretazione della tariffa, sia da parte dello Stato 
(art. 84) sia da parte del contribuente (art. 91) � consentito uno spatium 
temporis di cinque anni per ripristinare la corrispondenza alla legge 
della imposta dovuta, non occorrendo pi� fare riferimento alla � merce � 
per risolvere la controversia. 

L'art. 91 contrappone con chiara evidenza il campo proprio di applicazione 
della norma sui rimborsi a quello della revisione ex art. 7 4 che 
viene in considerazione solo quando si tratta di incidere sulla base 
imponibile nelle sue componenti qualitative, quantitative, di valore e di 
origine: ed ancora una volta il presupposto della correzione della operata 
tassazione (a vantaggio del contribuente nell'ipotesi dell'art. 91) 
viene ad essere individuato non solo nell'errore di calcolo, ma anche 
nella � applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per 
la merce descritta nel risultato dell'accertamento�. 

L'espressione estremamente precisa, conferma l'esattezza della interpretazione 
della dizione pi� sintetica dell'art. 84, mettendo in evidenza 
che l'� accertamento � nella terminologia del t.u. doganale designa esclusivamente 
la determinazione della base imponibile, comportante anche 
la qualificazione merceologica alla stregua della quale (cos� come risultante 
dall'accertamento medesimo) va applicata de plano la tariffa. 

Ora non vi � dubbio che per porre riparo all'erronea applicazione 
della tariffa determinata da una classificazione (od assimilazione) impropria 
l'amministrazione pu� attivarsi imponendo un'obbligazione aggiuntiva 
al contribuente, ed avvalendosi del procedimento dell'ingiunzione 
fiscale, venendo ad essere posticipato il contraddittorio, come � appunto 
avvenuto nella specie, in cui si contesta da un lato il procedimento 
seguito, (e quindi la tempestivit� della richiesta) e si sostiene dall'altro 
che l'originaria classificazione rispondeva alla qualificazione merceologica 
per la determinazione della quale non occorre procedere ad alcun 
!riscontro della merce, essendo incontestato che si tratta di semi di 
zucca destinati alla alimentazione umana per i quali la tariffa non prevede 
una puntuale collocazione, occorrendo conseguentemente operare 
l'assimilazione alla voce pi� vicina (e consistendo il nucleo di merito 
della contestazione, non tradottosi peraltro in tempestive deduzioni, 
nello stabilire appunto se risulta pi� congruo l'inquadramento alla 
voce 12.01 ovvero a quella 12.03 (restando pacifica la consistenza merceologica 
del prodotto .importato). (omissis) 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 589 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 999 -Pres. Granata Est. 
Zappu1li -P. M. Cantagalili (conf.) -Ceci c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimenti pendenti Art. 
44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Ricorsi presentati dopo l'entrata 
in vigore e prima dell.'insediamento delle nuove coJlllllissioni -Non s1 
appli<;a. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). 
La norma transitoria dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 
che prevede l'estinzione dei procedimenti pendenti ove non sia presentata 
istanza per la trattazione, non si applica ai procedimenti introdotti 
dopo l'entrata in vigore del d.P.R. (1� gennaio 1973) ma prima della data 
di insediamento deUe commissioni (1). 

(omissis) Il ricorrente Ceci ha lamentato, con l'unico motivo del 

ricorso, la violazione nella decisione impugnata degli artt. 42, 43 e 44 

del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, deducendo che la decadenza prevista 

dall'art. 44 per la mancata presentazione dell'istanza di trattazione dei 
ricorsi innanzi le commissioni tributarie non poteva applicarsi ai ricor. 
si presentati alle stesse dopo l'entrata in vigore del citato decreto pur 
se prima del loro rispettivo insediamento cos� come ritenuto nella decisione 
della commissione di secondo grado riformata da quella della 


commissione centrale. 

Il ricorso � fondato. 

Invero, come recentemente affermato da questa Suprema Corte (sent. 

11 novembre 1981 n. 5967) pure se l'art. 44 citato, nello statuire che il 

contribuente deve chiedere entro sei mesi dalla data di insediamento 

delle rispettive commissioni la trattazione del ricorso �con istanza di


retta alla commissione competente e presentata all'ufficio finanziario 

competente�, non ha posto una specifica distinzione tra i ricorsi ante


riori alla data di entrata in vigore del decreto medesimo (1� gennaio 1973 

ex art. 47) e quelli presentati nel menzionato periodo intermedio poste


riore. La precisa interpretazione di quell'articolo, in collegamento con 

le altre norme dello stesso capo e con i ben noti fini della norma, induce 

a ritenere che la citata disposizione � applicabile solo ai primi. Invece, 

la decisione impugnata si � limitata, con apodittica affermazione, ad 

affermare che dal combinato disposto degli artt. 42, 43 e 44 si evince 

chiaramente che l'obbligo (melius onere) della presentazione dell'istanza 

si applica a tutti i procedimenti tributari pendenti alla data di inse


(1) Precisazione che invero appare del tutto logica. 
11 



590 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

diamento delle nuove commissioni, senza considerare che la statuizione' 
dell'art. 47 sulla entrata in vigore del decreto alla data del 1� gennaio 1973 
poneva con norma generale, una necessaria distinzione tra i precedenti 
e i nuovi ricorsi, per la quale occorreva un adeguato esame dello stesso 
art. 44 in correlazione con le altre norme e col fine della specifica disposizione. 


Come posto in rilievo nella citata sentenza, una serie di elementi 
concordanti, quali di seguito indicati, inducono a ritenere la dedotta 
inapplicabilit� del citato art. 44 ai ric�rsi presentati nel menzionato 
periodo intermedio. 

A) La specifica istanza di trattazione per i medesimi sarebbe stata 
manifestamente inutile e contraddittoria perch� la eventuale acquiescenza 

o rinunzia del contribuente ricorrente, implicitamente presupposta da 
quella norma, non poteva in alcun modo presumersi, a differenza che 
per i ricorsi precedenti alla nuova legge, per quelli presentati dopo 
l'entrata in vigore della stessa a causa dell'evidente contrasto con la 
intenzione di valersi della tutela giurisdizionale regolata dalla stessa 
manifestata con il ricorso successivamente presentato, tanto pi� che la 
nuova disciplina richiedeva la indicazione dei motivi con una conseguente 
garanzia di maggiore seriet� e precisione dei ricorsi rispetto alla precedente 
disciplina. N� pu� concepirsi la presentazione di un ricorso dopo 
quella data senza la contestuale volont� di farlo trattare, pur in relazione 
alla nuova situazione, rimanendo, in ogni caso, sottintesa e assorbita 
in essi la istanza di trattazione. 
B) La presentazione dei successivi ricorsi destinati ad essere decisi 
proprio secondo la nuova disciplina escludeva che il contribuente si 
trovasse nelle condizioni di dover riesaminare la propria richiesta originaria 
in relazione ai mutamenti apportati dalla stessa e particolarmente 
secondo le nuove norme sulla competenza delle commissioni di 
cui all'art. 43 e che egli, perci�, dovesse effettuare la scelta sulla prosecuzione 
del procedimento in rel!lZione alla sua convenienza o meno in 
base alle nuove norme. 

C) Il noto fine perseguito dal legislatore con la norma dell'art. 44 
di draconiano rigore, tale da aver dato luogo a numerose censure nella 
dottrina, era quello di ridurre l'elevato numero dei procedimenti pendenti 
alla data di entrata in vigore del nuovo testo legislativo, eliminando 
quelli per i quali i contribuenti, per la scarsa fondatezza del 
ricorso o per il suo mero fine dilatorio, non manifestassero l'intenzione 
e l'interesse di ottenerne fa definizione, mentre la gi� rilevata presentazione 
dopo l'entrata in vigore delle nuove norme costituiva di per s� 
una indubbia manifestazione dell'interesse suddetto. Inoltre lo scarso 
intervallo di tempo dalla presentazione non importava quegli inconve


! 


_......__! 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nienti e quelle incertezze per i quali si era voluto lo sfoltimento delle 
precedenti pendenze. 

D) GJi ultimi comma degli artt. 42 e 43 statuivano che i :ricorsi 
diretti alle commissioni non ancora insediate, e pertanto presentati agli 
uffici finanziari, dovevano essere trasmessi con le relative deduzioni di 
questi ultimi alle segreterie delle stesse entro novanta giorni dal loro 
successivo insediamento mentre il termine per la presentazione della 
istanza di trattazione era di sei mesi con uguale inizio della decorrenza. 
A causa di tale diversit� di termini, da un lato, i suddetti uffici non 
avrebbero potuto indicare in quelle deduzioni i propri rilievi sulla 
assenza o irregolarit� delle istanze suddette, per le quali il termine non 
era decorso alla scadenza di quello per il suddetto adempimento dell'ufficio, 
e, dall'altro, la loro attivit� istruttoria sarebbe stata inutile 
in tutti i casi in cui si fosse verificata, necessariamente in �data successiva, 
l'ipotesi di decadenza prevista daH'art. 44 con l'estinzione del procedimento, 
mentre la nuova normativa era diretta ad evitare ritardi e 
inutili attivit� degli uffici ai fini di una maggiore snellezza e rapidit� 
delle procedure. 

E) Inversamente, infine, mentre la citata norma dell'art. 44 � giustificata 
dal mutamento della disciplina intervenuto con vasti effetti 
e conseguenti incertezze per i ricorsi presentati sec�ndo quella precedente, 
non si ravvisa per quale motivo quella disposizione dovrebbe 
essere applicata ai ricorsi proposti dopo l'entrata in vigore della nuova 
legge, e quindi in presunta conformit� alla stessa o, comunque, con la 
sua conoscenza, con una ingiustificata limitazione a quel periodo transitorio 
e con notevole differenza di trattamento e di rischl e oneri 
processuali rispetto ai ricorsi analogamente presentati secondo la nuova 
legge ma dopo la fine di quel periodo. 

N� pu� indurre in diverso avviso l'obiezione posta in udienza dal 
difensore del Ministero resistente, secondo la quale la necessit� della 
nuova istanza deriverebbe pure in questi casi dal secondo comma dello 
stesso art. 44, per il quale essa deve � anche indicare la residenza o 
l'eventuale domicilio eletto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 15 �. 
Invero l'elezione di domicilio �, in ogni caso, un adempimento autonomo 
e distinto dalla istanza medesima, pur se in essa contenuto, tanto che 
pu� essere fatta anche separatamente. D'altra parte, proprio l'art. 15 
citato dal medesimo comma prevede espressamente per il caso di mancata 
indicazione di esso o della residenza non una sanzione di decadenza 

o di inammissibilit� del ricorso ma solo il particolare e diverso effetto 
di attribuire all'amministrazione finanziaria il potere di effettuare le 
comunicazioni o notificazioni � presso la segreteria della commissione �. 
(omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

592 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1050 � Pres. 
Mirabelli -Est. Corda -P. M. Sgroi (conf.) -Vecchione c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Azzariti). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Imposte indirette -Opposizione 
all'esecuzione � Giurisdizione ordinaria. 

Tributi (in gen�re) -Contenzioso tributario -Imposte indirette � Opposizione 
all'esecuzione � Foro dello Stato. 

(t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 8; c.p.c., artt. 25 e 27). 
L'opposizione all'esecuzione, con la quale si contesta il diritto dell'AmministraZione 
finanziaria ad agire esecutivamente per il recupero 
di un credito per imposte indirette, � soggetta alla giurisdizione ordinaria 
e non a quella delle commissioni (1). 

L'opposizione all'esecuzione, se pure estranea alle questioni sull'an 
e sul quantum dell'obbligazione tributaria, integra pur sempre una controversia 
di imposta riservata alla competenza del tribunale del foro 
dello Stato (2). 

(omissis) Nelle date 6 e 25 novembre 1975, l'Amministrazione Finanziaria 
dello Stato procedeva a esecuzione forzata �immobiliare per il 
recupero di somme delle quali era creditrice, per imposta di registro, 
risultanti dai seguenti titoli: 

1) art. 5240 Camp. A.C.: recupero della somma di lire 2.100.430, 
a titolo di imposta di registro, accessori e interessi, relativa all'atto 

pubblico Notaio Martini del 13 ottobre 1966 (registrato iri Pontedera 
il 25 ottobre 1966, n. 2157) col quale Giuseppe Magro aveva venduto un 
immobile (terreno edificabile) alla s.r.l. Niki (l'imposta era dovuta in 

(1-2) Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni nella fase esecutiva. 


(1) La pronunzia delle Sez. Unite, che per la prima volta tocca il problema 
della riemersione della giurisdizione ordinaria, sembra peccare di una (ottimistica) 
semplificazione del problema; essa riesce con-estrema facilit� a tracciare 
una linea di discriminazione apparentemente netta, ma che nella realt� 
non � individuabile. In sostanza tutto il problema si ridurrebbe a questo elementare 
enunciato: le questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione tributaria 
(ovviamente per i tributi elencati nell'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972) sono 
soggette alla giurisdizione delle commissioni; tutte le questioni che attengono 
all'esecuzione, nelle quali non pu� pi� discutersi dell'an e del quantum, sono 
devolute alla giurisdizione dell'A.G.O. 
Ma questa separazione � appunto illusoria, perch� ignora la difficolt� che 
nel processo ordinario in genere e pi� ancora nel processo tributario crea l'opposizione 
all'esecuzione, nella quale riaffiorano o possono riaffiorare questioni 
sull'an e sul quantum e comunque si dibattono questioni che concernono non 

. : 
. . 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 593 

quanto l'acquirente era decaduta dai benefici fiscali concessi � dalla 
legge 2 luglio 1949, n. 408, :avendo a sua volta rivenduto a Salvatore 
Vecchione, inedificato, il detto immobile); 

2) art. 5241 camp. A.C.: recupero della somma di lire 2.823.400 a 
titolo di imposta di registro, accessori e interessi, relativa a un successivo 
atto pubblico Notaio Martini (registrato in Pontedera il 27 ottobre 
1966, n. 2236) col quale la s.r.1. Niki aveva venduto (l'immobile predetto 
a Salvatore Vecchione (l'imposta era dovuta perch� l'acquirente 
era decaduto dai benefici fiscali :di cui alfa legge sopra citata, avendo 
a sua volta rivenduto -con atto del Notaio Salemi, in data 5 dicembre 
1969 -alla s.r.l. Niki, inedificato, lo stesso immobile); 

3) articoli 922, 223, 489 camp. a.e. recupero di somme varie (il cui 
ammontare non risulta dagli atti); a titolo di imposta complementare 
di registro, relativa all'atto pubblico Notaio Salemi, sopra �indicato.

1

In base al secondo e al terzo dei titoli predetti, l'Amministrazione 
procedeva al pignoramento dell'immobile di cui sopra. In pendenza del 
processo di esecuzione davanti al Tribunale di Pisa, Salvatore Vecchione 
-qualificandosi come �terzo possessore>? dell'immobile (che sarebbe 
stato pignorato dall'Amministrazione in virt� del �privilegio� di cui 
all'art. 97 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269) -proponeva 

soltanto il modo dell'esecuzione, ma il diritto di agire esecutivamente e quindi 
un diritto che ha gli stessi caratteri di quello fondamentale di credito. 

Se in generale il giudice competente per l'opposizione all'esecuzione non � 
il giudice dell'esecuzione (art. 615 c.p.c.), deve almeno porsi il problema se, 
nel processo tributario, l'opposizione all'esecuzione non consista in una � controversia 
in materia di imposta � della stessa natura della tipica controversia 
sull'an e sul quantum del tributo. 

Evidentemente non pu� persuadere l'affermazione che quando si contesta 
il diritto dell'Amministrazione ad agire esecutivamente, o a sottoporre a pignoramento 
un bene determinato, non si discute affatto (e non si pu� discutere 
affatto) della d~benza del tributo. Nel caso deciso l'opponente sosteneva di non 
essere debitore dell'imposta di registro perch� aveva stipulato l'atto come 
falsus procurator, perch� il contratto era sottoposto a condizione sospensiva 
e perch� il trasferimento doveva beneficiare dell'agevolazione, tutte questioni, 
che saranno state verosimilmente inammissibili e infondate, ma che evidentemente 
riguardano il se e il quanto del tributo. Ma su queste domande deve 
comunque �intervenire una decisione; non si pu� certo ritenere che, in base ad 
una generica e supposta improponibilit�, il giudice ordinario possa considerare 
irrilevanti nella sede dell'opposizione all'esecuzione questioni che riguardano 
l'esistenza dell'obbligazione. Ma infine il Tribunale che a seguito della sen 
tenza della Sez. unite dovr� decidere sulla opposizione proposta, si trover� ad 
affrontare le dette questioni, che non potr� dichiarare improponibili per difetto 
di giurisdizione e dovr� decidere nel merito. 

Questioni di questo genere possono essere dedotte nel giudizio di opposizione 
all'esecuzione non soltanto, come nel caso deciso, per ostinata ripropo




594 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

opposizione ex art. 619 cod. proc. civ., deducendo: 1) che l'Amministrazione 
non aveva pi� titolo (al momento del pignoramento) per far valere 
il �privilegio � di cui al citato art. 97 della legge di registro, in quanto 
ne era �decaduta�: in relazione ai crediti di cui �ai primi due articoli 
di campione�, per averlo esercitato nei confronti di un �terzo possessore
� dell'immobile (diverso, cio�, dalle parti intervenute nel contratto 
e, quindi, dal debitore d'imposta) oltre il termine previsto dalla norma 
citata; in relazione al credito di cui al terzo articolo di campione, �per 
analogo motivo�, posto che, trattandosi di negozio concluso da un 
falsus procurator, anche in relazione ad esso egli aveva assunto la veste 
di �terzo� (cio� di persona diversa dal debitore d'imposta), 2) che in 

relazione aJ predetto terzo articolo di campione (cio� in relazione al � 
contratto di cui all'atto del Notaio Salemi, da intendersi -in quanto 
compiuto dal f alsus procurator -come sottoposto a condizione sospensiva) 
era insussistente il presupposto dell'imposizione (art. 17 della 
legge di registro); 3) che, sempre in relazione all'atto notarile da ultimo 
citato, non si era verificata l'asserita decadenza dal beneficio fiscale 
di cui alla legge 2 luglio 1949, n. 408, in quanto l'inedificazione del ter


reno er:a da attribuire a causa di forza maggiore. 

Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione Finanziaria eccepiva: 1) che 
l'opposizione proposta non poteva essere qualificata come � di terzo � 

sizione di una domanda gi� proposta e decisa in altra sede, ma anche in modo 
del tutto corretto quando non esista ancora un titolo irrefutabile per la esecuzione 
o quando l'atto di natura esecutiva (ingiunzione e ruolo) non � stato 
preceduto dall'accertamento. 

Ma anche le questioni diverse dall'an e dal quantum con le quali si con


testa il potere di promuovere l'esecuzione danno luogo a controversie tribu


tarie sottratte alla giurisdizione dell'A.G.O. Tutte le volte che si afferma che il 

titolo esecutivo non poteva essere formato in quel momento, per quell'am


montare e nei confronti di quella persona, si propone una questione che, se 

pure non rientra nell'an e nel quantum del rapporto tributario, � pur sempre 

una controversia di applicazione della norma tributaria. 

Queste semplici cons1derazioni sono �suffilcienti per constatare come l'af


fermazione della sentenza in esame sia inaccettabile tanto sul punto conclusivo 

che i giudizi di opposizione all'esecuzione sono soggetti alla giurisdizione or


dinaria, quanto sul punto argomentativo che in questi giudizi non possono 

!

entrare questioni tipicamente tributarie. t 

(2) Passando ad un esame pi� completo, possiamo rilevare che, come ! 
emerge dall'art. �16 del d.P.R. 636/1972, le controversie devolute alle commissioni 
I 

sono di due tipi fondamentali: controversie di accertamento dell'obbligazione, [
che sono occasionate da un atto di accertamento in senso ampio (compresi in 

l

questa categoria l'ingiunzione e il ruolo non preceduti da altro atto, che hanno 

quindi funzione di accertamento); controversie relative alla riscossione, occa


sionate dall'emissione dell'atto con funzione di titolo esecutivo (ingiunzione o 

I

ruolo preceduti dall'accertamento) nelle quali ordinariamente non sono propo


i 

nibili le questioni del primo tipo. 1 

! 
I 



PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 595 

poich� il Vecchione non aveva agito per �reclamare la propriet� del 
bene sottoposto a esecuzione (egli, infatti, risultava � esecutato quale 
terzo proprietario del bene dal cui trasferimento aveva avuto origine 
l'obbligazione tributaria�); 2) che non sussisteva la giurisdizione del 
giudice ordinario, essendo la materia delle controversie tributarie devoluta 
alle Commissioni; 3) che (in subordine) non sussisteva la competenza 
del Tribunale adito, sussistendo, invece, la competenza del Tribunale 
di Firenze, ossia quella del giudice del luogo in cui aveva sede 
l'ufficio dell'Avvocatura Distrettuale; 4) che, in ogni caso, era inammissibile 
l'opposizione per carenza di legittimazione attiva o di interesse 
dell'opponente; 5) che, infine, l'opposizione era infondata nel merito. 

Con sentenza del 1 � marzo -2 maggio 1980, il Tribunale di Pisa 
dichiarava la propria incompetenza funzionale, in base alle seguenti� 
osservazioni: 

1) L'opposizione proposta dal Vecchione avrebbe potuto essere 
qualificata come � di terzo � solo rispetto al rapporto di cui all'art. di 
campione n. 5240 (il primo di quelli sopra indicati), in quanto relativo 
a un contratto di compravendita al quale l'opponente era rimasto del 
tutto estraneo: ma ci� era in pratica irrilevante, poich� l'Amministrazione 
non aveva agito esecutivamente (anche) per il credito di cui 
all'articolo di campione predetto. 

Meritano una particolare attenzione le controversie del secondo tipo, quelle 
che nel linguaggio dell'art. 16 sono le controversie per � vizi propri � dell'ingiunzione 
e del ruolo. 

Di questa categoria di controversie sembrerebbe che la sentenza in ras


segna non riconosca l'esistenza. Se � vero che il ricorso contro l'ingiunzione 

o il ruolo preceduti dall'accertamento non pu� rimettere in discussione le 
questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione, e se � vero che le questioni 
diverse da queste, riguardanti necessariamente la fase esecutiva, rientrano 
nella giurisdizione ordinaria, se ne dovrebbe dedurre che non esiste nel sistema 
l'idea del ricorso per vizi propri dell'ingiunzione e del ruolo. 
Essendo superfluo ogni commento su questo paradosso, sar� pi� opportuno 
tentare di definire i caratteri di questo tipo di controversia. I vizi propri 
dell'atto esecutivo vanno soprattutto individuati nei vizi sostanziali; questi si 
risolvono nel difetto di potere ad emettere l'atto esecutivo in quel momento, 
per quell'ammontare e contro quella persona; ma il tutto indipendentemente 
da questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione, comunque dedotte o deducibili 
contro un precedente atto di accertamento (in senso ampio). I detti 
vizi sostanziali non riguardano problemi attinenti al processo esecutivo come 
tali riconducibili nell'ambito del processo ordinario, ma sono all'evidenza materia 
della controversia di imposta. 

Pu� essere utile qualche esemplificazione. Riguardo al momento della formazione 
deli'atto, si pu� denunziare come vizio la prescrizione del credito gi� 
accertato definitivamente o la decadenza stabilita per la formazione dell'atto, 
ovvero, al contrario, il mancato compimento del termine minimo (ad esempio 
il termine per adempiere di 60 giorni decorrente dall'avviso di liquidazione). 



596 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2) Con riferimento agli altri titoli per i quali era stata effettivamente 
iniziata l'esecuzione (ossia le ingiunzioni relative agli altri due 
articoli di Campione), l'opposizione predetta doveva essere qualificata 
come �opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. del debitore o del terzo 
ritenuto per legge debitore�. 

3) Era �irrilevante� l'eccezione di difetto di giurisdizione, in 
quanto: a) per alcune delle questioni sollevate con J'opposizione (e, 
in particolare, quella relativa alla negata decadenza dai benefici fiscali), 
le Commissioni erano state a suo tempo adite e avevano emesso ila 
foro pronuncia, ormai rdivenuta denitiva; b) per ,fo ,aJtre questioni (e, 
in particolare, quella dell'opponibilit� al terzo possessore del credito 
tributario), erano ormai scaduti i termini per adire le Commissioni 
stesse. 

4) Era, invece, fondata l'eccezione d'incompetenza, poich� l'opposizione 
si sostanziava in � una controversia sulla esigibilit� del tributo 
nei confronti del Vecchione, sia esso considerato debitore principale, 
sia esso considerato debitore per legge�: di modo che doveva trovare 
applicazione la disposizione .contenuta nell'art. 8 del irid. 30 ottobre 1933, 

n. 1611, ai sensi del quale appartiene al tribunale del luogo ove risiede 
l'ufficio deH'Avvocatura dello Stato (nel cui distretto trovasi l'ufficio che 
Riguardo all'ammontare, l'impugnazione pu� riguardare o la totale mancanza 
(o la nullit~) dell'atto di accertamento che � dato per presupposto o la difformit� 
tra la somma portata nell'atto esecutivo e quella dell'accertamento o 
la eseguibilit� !in via provv!i1soria del credito (come quando si discute se dn 
relazione alla natura suppletiva o complementare dell'imposta il ricorso contro 
l'accertamento abbia o meno prodotto effetto sospensivo o si discuta della 
esatta determinazione della frazione per la quale � consentita la riscossione in 
pendenza del giudizio) o anche la definitivit� dell'accertamento ove si discuta 
dell'esistenza di una impugnazione validamente proposta e coltivata. Infine 
quanto alla persona contro la quale l'atto di riscossione � formato possono 
nascere questioni sulla esistenza del vincolo di coobbligazione o di responsabilit� 
o di successione nel rapporto. 

Come ben si vede vi � uno spazio ampissimo tra le questioni sull'an e 
sul quantum, o pi� propriamente di accertamento dell'obbligazione, e le questioni 
propriamente esecutive, per loro natura non conciliabili con la giurisdi� 
zione speciale delle commissioni; quella che la sentenza in esame considera 
una linea nett� � un ampio territorio. 

Questo territorio, sicuramente rientrante nei poteri decisori delle commissioni 
sotto la forma del ricorso per vizi propri (sostanziali) dell'atto di 
riscossione, si identifica per l'appunto con l'opposizione all'esecuzione del processo 
ordinario, o almeno con un rilevante settore di essa. 

(3) !testa ancora uno spa2lio per la g;iurisdfaiione ordinaria nella fase esecutiva? 
Il problema pu� risultare pi� facile iniziando l'esame delle imposte dirette 
per le quali non � ammessa n� l'opposizione all'esecuzione in sede ordinaria 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ~97 

ha liquidato la tassa o la sovratassa controversa) �la decisione delle 
controversie giudizia:li :riiguardanti le tasse e sovratasse, anche se insorte 
in sede di esecuzione�. 

Contro tale sentenza, il Vecchione ha proposto ricorso per regolamento 
di competenza. 
L'Amministrazione Finanziaria ha resistito per riproporre la questione 
di giurisdizione. 

Il P.G. presso questa Corte -richiesto delle conclusioni scritte 
sulla questione di competenza -ha sollecitato l'assegnazione del ricorso 
a queste Sezioni Unite, stante la pregiudizialit� de1la questione di giurisdizione. 


MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -Con l'istanza per regolamento di competenza, il ricorrente 
Veochione sostiene che il Tribunale di Pisa avrebbe errato nel dichiarare 
Ja propria incompetenza (ex art. 8 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), 
in quanto non avrebbe tenuto conto che l'opposizione all'esecuzione (cos� 
qualificata dallo stesso Tribunale di Pisa) riguardava �solo l'estraneit� 
del ricorrente aHa procedura esecutiva ,instaurata dall'Amministrazione 
(art. 54 capov. d.P.R. n. 602/1973) n� l'opposizione agli esecutivi dell'esattore 
(art 53 d.P.R. cit.). Esiste soltanto il ricorso contro il ruolo (art. 39) e il 
ricorso amministrativo all'intendente di finanza; si omette ogni approfondimento 
su questo problema sul quale a fugare dubbi di legittimit� sono intervenute 
autorevoli pronunzie delle Sez. Unite (5 marzo 1980, n. 1471, in questa 
Rassegna, 1981, I, 345), e della Corte costituzionale (1� aprile 1982, n. 63). 
Quel che importa ora notare � che il ricorso contro il ruolo assorbe tutte le 
questioni che comunque influiscono sul potere dell'Amministrazione di emettere 
il ruolo; tutte le questioni successive alla notifica del ruolo (cartella dei 
pagamenti) riguarderanno gli atti esecutivi dell'esattore (l'Amministrazione � 
ormai estranea) sottratti al controllo giurisdizionale. Non esiste dunque una zona 
intermedia per l'inserimento del giudice ordinario; tutto ci� che esorbita dal 
ricorso contro il ruolo � materia di opposizione (non consentita) agli atti 
esecutivi. Resta soltanto al giudice ordinario la cognizione sulle opposizioni 

di terzo (art. 52 d.P.R. n. 602/1973), con l'avvertenza, per�, che non sono 
considerati terzi il coniuge ed i parenti e affini entro il terzo grado relativamente 
ai beni mobili pignorati nella casa di abitazione del debitore. Naturalmente spetter� 
al giudice ordinario la giurisdizione sull'azione di risarcimento del danno 
contro l'esattore proponibile dopo il compimento dell'esecuzione (art. 54, terzo 
comma), essendo questa un'azione oivile ord~naria. 

Il criterio ispiratore di questo tradizionale sistema di guarentigie � dunque 
quello di devolvere allo stesso giudice della controversia tributaria tutte le 
questioni inerenti al potere dell'Amministrazione di emettere e consegnare al� 
l'esattore il ruolo e di riservare alla stessa Amministrazione, in via di ricorso 
amministrativo, salvo l'ulteriore tutela innanzi al giudice amministrativo, le 
contestazioni contro gli atti dell'esattore. Si pu� vedere in ci� una ripartizione 



598 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Finanziaria per la riscossione dell'assunto suo credito �, Non si sostanziava, 
cio� in una di quelle � controversie giudiziali riguardanti le tasse 
e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione�, per le quali la 
norma citata prevede la competenza del �foro erariale�; di modo che 
la competenza avrebbe dovuto essere stabilita secondo il disposto dell'art. 
27 cod. proc. civ. che, per le cause di opposizione all'esecuzione 
forzata di cui agli articoli 615 e 619, prevede la competenza del giudice 
del luogo dell'esecuzione. 

Con la propria �scrittura difensiva� l'Amministrazione finanziaria 
sostiene che sarebbe insussistente la giurisdizione del giudice ordinario, 
poich� � le controversie in materia di imposta di registro � apparten� 
gono alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie, ai sensi dell'art. 1 
del d.P.R. 26 ottobre 1972, n._ 636. Censura la sentenza del Tribunale nel 
punto in cui ha dichiarato �irrilevante� l'eccezione predetta (che anche 
in quella sede era stata proposta), facendo notare che sarebbe erronea 
l'affermazione -contenuta, appunto, nella sentenza, -secondo cui 
alcune delle questioni sollevate dal Vecchione erano state decise dalle 
Commissioni, mentre altre delle predette questioni non potevano pi� essere 
proposte in detta sede, per avvenuta decorrenza dei termini. Chiarisce 
che un giudizio siffatto sarebbe spettato alle Commissioni tributarie, 
non gi� al giudice ordinario. 

che se pure non coincide perfettamente corrisponde in grandi linee alla distin� 
zione tra opposizione alla esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi. 

(4) Non molto dissimile � il criterio seguito nelle imposte inddrette. H ricorso 
contro l'ingiunzione per vizi propri � un'opposizione all'esecuzione diretta a 
contestare il potere di procedere esecutivamente emettendo l'ingiunzione. Nelle 
imposte indirette � ammessa tuttavia l'opposizione agli atti esecutivi e per questa 
(ma per questa soltanto) riemerge la giurisdizione dell'A.G.O. 
� piuttosto diffusa la convinzione che successivamente alla decisione delle 
commissioni, o in pendenza del relativo giudizio, l'ingiunzione possa essere 
impugnata innanzi al tribunale; ma questa eventualit�, alla quale la sentenza 
in esame d� esca, deve essere vivacemente contrastata, non essendo pensabile 
un rinserimento del giudice ordinario per decidere una questione sostanziai� 
mente tributaria. 

Non potrebbe trarsi argomento dal fatto che per le imposte iindirette manca 

una norma, corrispondente all'art. 54 del d.P.R. n. 602/1973, che espressamente 

vdeta l'opposizione all'esecumone. Questa norma � .invero superflua e si ritrova 

oggi nel testo legislativo solo perch� negli articoli 52, 53 e 54 del d.P.R. n. 602 

sono stati trasportati gli articoli 207, 208 e 209 del t.u. del 1958; una volta 

stabilito che le due giurisdizioni, ordinaria e delle commissioni, non si sovrap� 

pongono come un tempo ma si escludono, quando con il ricorso contro fingiun� 

zione per vizi propri viene attribuita alla commissione la cognizione dell'oppo


sizione all'esecuzione, quella stessa materia viene sottratta al giudice ordinario. 

� peraltro evidente il parallelismo che l'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 pone 
fra ruolo e ingiunzione e quindi il risultato non pu� essere che analogo quanto 
alla esclusione dalla giurisdizione dell'A.G.O. per queste controversie. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 599 

2. -Per risolvere le due questioni, di giurisdizione e di competenza, 
occorre per primo definire l'azione che, in concreto, era stata 
proposta dall'attuale ricorrente, proprio perch� da tale definizione possono 
discendere conseguenze diverse, con riferimento sia alla giurisdizione 
che alla competenza. 
Tale definizione compete, ovviamente, alla Corte di Cassazione, come 
sempre avviene quando dalla definizione predetta discendono conseguenze 
rilevanti per la giurisdizione e per la competen.za. A ci�, pertanto, non 
contraddice la regola, ripetutamente espressa con riferimento alle controversie 
in materia di esecuzione civile, secondo cui l'individuazione della 
domanda concretamente proposta (individuazione che, norma1mente, assume 
rilevanza allorch� debbasi stabilire quale sia il mezzo di impugnazione 
esperibile in concreto contro fa pronuncia giudiziale che ha deciso sulla 
domanda predetta) compete esclusivamente al giudice di� merito (cfr. fra 
le tante, la sent. 17 dicembre 1980, n. 6531). Tale regola, infatti., ha riguardo 
ai poteri, istituzionalmente limitati, che la legge attribuisce alla Corte 
di Cassazione, quale giudice della stretta legittimit�; essa, perci� non trova 
applicazione quando la Corte di Cassazione � investita di questioni attinenti 
alla giurisdizione o alla competenza, proprio perch� in detta materia 
la Corte predetta � giudice anche �del fatto � nel senso che ha H poteredovere 
di accertare anche i presupposti di fatto della propria pronuncia. 

Solo l'opposizione sulla regolarit� formale dei singoli atti dell'esecuzione 
ridiventa una comune opposizione soggetta a tutti gli effetti alle regole normali. 

(5) Ftin qui si � parlato dei viri propri sostanziafil dell'atto di esecuzione. 
Qualche difficolt� incontra la disamina sui vizi propri di natura formale. Secondo 
le regole comuni la cognizione di questi vizi (regolarit� formale del titolo 
esecutivo e del precetto) sarebbe oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi. 
Nelle imposte dirette esiste una netta scissione fra il ricorso contro il ruolo, 
che � ancora rivolto contro l'ufficio dell'Amministrazione, e il ricorso contro gli 
atti dell'esattore subentrato nel momento in cui l'ufficio ha esaurito �ogni sua 
funzione; consegue da ci�, poich� la legittimazione passiva non pu� essere 
scavalcata, che con il ricorso alla commissione contro il ruolo sono deducibili 
tutti i vizi, ed anche quelli formali, imputabili all'ufficio; con il ricorso all'intendente 
che � diretto contro l'esattore potranno essere impugnati soltanto gli 
atti da questi emanati. In questi sensi l'impugnazione contro il ruolo � pi� 
ampia de1l'opposi�one all'esecuzione; ed i.n tal modo anche per i vi2li formali del 
ruolo � assicurata una tutela giurisdizionale innanzi alle commissioni. 
Nelle imposte indirette � sempre lo stesso ufficio tributario che conserva la 
legittimazione per ogni tipo di opposizione: per di pi� esiste una tutela giurisdi2Jionale 
in ogni fase de1l'esecu2lione, cosicch� � meno sentito l'dnteresse a ricomprendere 
nel ricorso per vizi dell'atto anche i vizi formali. Per queste ragioni non 
sembra ragionevole che le questioni sulla validit� formale dell'ingiunzione siano 
decise dal1a commissione (a meno che !llon sd tratti di vizi tanto radicali da 
ri;olversi in un difetto di potere all'azione esecutiva), mentre pi� apprezzabile 
sembrerebbe il proposito di far decidere dallo stesso giudice tutte le questioni 
di eguale natura riguardanti la regolarit� formale di tutti gli atti dell'esecuzione, 
compresa l'ingiunzione. In favore di questo orientamento giova la considerazione 



600 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ora, nel caso concreto, non vi � dubbio che l'azione a suo tempo esperita 
dall'attuale ricorrente debba essere definita come � opposizione all'esecuzione 
proposta, ex art. 615 cod. proc. civ. da un debitore di imposta escusso 
dall'Amministrazione creditrice�. Analoga definizione, peraltro, ne aveva 
sostanzialmente dato il Tribunale con la pronuncia (sulla competenza) impugnata 
in questa sede, allorch� ha escluso che l'opposizione proposta potesse 
(per gli effetti previsti dall'art. 7 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611) essere 
qualificata come � di terzo�. 

In realt�, si � accertato (dal Tribunale) che in relazione al solo 
rapporto tributario nel quale il Vecchione assumeva effettivamente la 
veste di �terzo� (cio� que1lo riferibile all'ingiunzione fiscale di cui al 
primo degli articoli di campione pi� indietro ricordati) l'Amministrazione 
non aveva agito esecutivamente. La circostanza, quindi, che in relazione a 
tale rapporto il Vecchione potesse effettivamente assumere la veste di 
� terzo possessore� dell'immobile, oggetto dell'esecuzione, era assolutamente 
irrilevante. 

L'Amministrazione predetta, invero aveva agito esecutivamente in base 
alle ingiunzioni relative agli altri due articoli di campione, ,1e quali 
concernevano un rapporto di imposta di registro nel quale il Vecchione 
aveva assunto la veste di debitore d'imposta (rectius: di condebitore 
solidale). Occorre, peraltro, ricordare -per meglio chiarire l'assunto 

che l'ingiunzione, come � pacifico, ha anche valore di precetto, si che sarebbe 
arduo sostenere la giurisdizione delle commissioni sui vizi formali di tale atto. 
Vi � allora una coincidenza. pressoch� assoluta con 1a distinzione tra opposizione 
all'esecuzione e opposizione agli atti esecutivi, e questa costituisce il criterio 
discriminatore della giurisdizione delle commissioni e dell'A.G.O. nelle imposte 
indirette. 

Naturalmente sono sempre soggette alla giurisdizione ordinaria le opposizioni 
di terzo non aventi natura tributaria. 

Si deve per� predsare che l:e opposiZI�orn del debitore sulla pignorabildi� 
dei beni vanno sempre ricomprese fra l'opposizione agli atti esecutivi e saranno 
quindi deducibili innanzi all'A.G.O. nelle imposte indirette e con ricorso 
all'intendente nelle dirette. 

(6) Esatta � la seconda massima. Secondo fermissima tradil'Jione, cont�roversia 
di imposta, ai fini della competenza del foro dello Stato, � quella che 
si svolge fra i due soggetti del rapporto tributario ed ha per oggetto, anche 
se insorta in sede di esecuzione, sia la sussistenza dell'obbligazione (oggi per� 
sottratta alla giurisdizione dell'A.G.0.), sia l'estensione dei privilegi, sia la regolarit� 
formale del procedimento di riscossione, anche se non vengono in discussione 
norme e principi di carattere tributario. Non vi � ragione per modificare 
questo indirizzo. Se pure Ja giurisdizione ordinaria si � di� molto ristretta, ci� 
non toccale regole della competenza. E non vi � ragione nemmeno per mutare indirizzo 
sul punto che la competenza funzionale del foro dello Stato nelle controversie 
cli imposta (art. 8 del t.u. 30 ottobre 193~, n. 1611) prevale su quella, 
anch'essa fu=ionale, del foro de1l'opposizione all'esecuZI�one (art. 3 t.u. 14 aprile 
11910, n. 639). 
CARLO BAFILE 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dell'odierno ricorrente -che per l'esazione delle imposte di registro lo 
Stato ha azione personale contro il contribuente e, di conseguenza, azione 
sui beni del debitore, nonch� azione reale sui beni oggetto della contrattazione 
colpita da imposta, in forza del privilegio di cui agli articoli 97 della 
(veochia) legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, !Il. 3269), 2758 (booi mobili) 
e 2772 (beni immobili) cod. civile. E il Vecchione, tenendo a base del proprio 
assunto tali disposizioni ,di legge, aveva sostenuto che fa Finanza si era 
concretamente avvalsa del potere di esercitare l'azione reale e che tale 
azione non fosse pi� esperibile (e questo egli deduceva come �terzo possessore
� dell'immobile gravato dal privilegio) essendosi verificata l'estinzione 
dell'azione, ai sensi del secondo comma dell'art. 97 da ultimo citato. 

La realt�, per�, � che fa Finanza aveva agito esecutivamente per il 
recupero di una imposta della quale il Vecchione era diretto debitore: 
avesse, quindi, o meno, la Finanza fatto esplicito riferimento al disposto 
dell'art. 97 della (vecchia) legge di registro, � certo che essa esercit� in 
concreto non gi� l'azione reale, bens� quella personale, proprio perch� ag� 
esecutivamente contro un bene del debitore di imposta. L'azione di opposizione 
proposta da quest'ultimo, perci� non avrebbe mai potuto essere 
definita come �di terzo�; si trattava, infatti, della tipica opposizione del 
debitore proposta, ex art. 615 cod. proc. civ. per contestare il diritto della 
Finanza (il titolo) di agire esecutivamente (la questione, poi, se la Finanza 
potesse o meno pignorare il bene predetto riguardava esclusivamente il 
merito dell'opposizione, non gi� la definizione giuridica dell'azione di 
esecuzione proposta). 

3. -Definita in tal modo l'opposizione in concreto proposta, deve anzitutto 
essere risolta, per ovvie ragioni di logica giuridica, la questione di 
giurisdizione. Questione che, come � evidente, va risolta con la negazione 
che la controversia possa considerarsi rientrante nella categoria delle 
controversie in materia di imposte di registro di cui all'art. 1 del d.P.R . 
.26 ottobre 1972, n. 636 (legge istitutiva delle nuove Commissioni tributarie). 

Tale norma, infatti, ha evidente riferimento alle controversie sull'an e sul 

quantum del tributo; mentre nel caso concreto non si discute affatto del 

rapporto giuridico d'imposta, ma solo del diritto dell'Amministrazione di 

agire esecutivamente, o meglio di sottoporre a pignoramento un bene 

determinato. 

Ad analoga conclusione, del resto, era gi� pervenuto il Tribunale, allor


�ch� ha dichiarato �irrilevante� l'eccezione di difetto di giurisdizione che, 
anche in quella sede, era stata sollevata dalla Finanza. La motivazione 
della sentenza di detto Tribunale (per la verit� espressa in termini che si 
prestavano all'equivoco) � stata, in realt�, equivocata dall'Amministrazione, 
la quale in definitiva sostiene (in questa sede) che un'eccezione di 
difetto di giurisdizione potrebbe, bens�, essere respinta, ma non dichiarata 
�irrilevante�. La realt� per� � che la detta eccezione � stata, proprio, 


602 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

respinta dal Tribunale, il quale ha, in definitiva dichiarato che in sede di 
opposizione all'esecuzione non potevano pi� essere sollevate questioni 
attinenti all'an del tributo, di modo che � �irrilevante� eccepire che le 
questioni a ci� relative hl contribuente avrebbe dovuto proporle davanti 
alle Commission~ (come peraltro, aveva fatto, senza successo). In altri 
termini, se in alcune delle questioni sollevate dall'opponente l'Amministrazione 
intravedeva il tentativo di rimettere in discussione problemi 
relativi alla debenza dell'imposta, ci� era assolutamente irrifovante, dal 
momento che le questioni predette non avrebbero mai potuto avere ingresso 
in quella sede, ove si discuteva solo del diritto della Finanza di 
sottoporre a pignoramento quel bene determinato. 

Per compiutezza d'indagine va, peraltro, osservato che l'eccezione di 
giurisdizione (della cui infondatezza si � gi� detto) era in concreto proponibile 
in questa sede anche in difetto di uno specifico gravame contro la 
statuizione del Tribunale, essendosi gi� ritenuto, da queste stesse Sezioni 
Unite, che in sede di regolamento di competenza, ritualmente proposto a 
norma dell'art. 43 cod. proc. civ. in relazione a una pronuncia di primo 
grado che abbia deciso anche sulla giurisdizione, la Corte di Cassazione ha 
il potere-dovere di statuire sulla giurisdizione del giudice adito, tenuto conto 
che la relativa questione � rilevabile, anche di ufficio, in qualunque stato 
e grado del processo ~sent. 18 �luglio 1980, n. 4682). Non pu� quindi, <ritenersi 
che l'omessa proposizione di uno specifico ricorso sul capo della sentenza 
relativo alla statuizione sulla giurisdizione, da parte dell'Amministrazione, 
abbia determinato .una preclusione, perch� se tale regola vate per i ricorsi 
�ordinari�, non pu� certo valere in tema di ricorsi per regolamento di 
competenza. E ci� perch�, quando viene (da una delle parti) impugnato il 
capo sulla competenza, deve intendersi che l'impugnazione coinvolga, 
implicitamente, anche hl capo di pronuncia sulla giurisdizione, proprio per 
l'impossibilit� di determinare la competenza se non viene, prima, ritenuta 
la giurisdizione del giudiee della cui competenza si discute. In tale fattispecie 
quindi, se la questione di giurisdizione � riesaminabile di ufficio, 
a fortiori pu� .essere riproposta dalla parte che resiste al ricorso per regolamento 
di competenza. 

Tuttavia, per concludere, anche ammessa la concreta proponibilit� 
dell'eccezione.predetta, la stessa deve essere respinta in virt� del principi0 
(sostanzialmente enunciato anche dal Tribunale) secondo cui .m tema di 
opposizione all'esecuzione, anche nell'ipotesi in cui questa sia iniziata dalla 
Amministrazione Filnrunzfaria per hl ["ecupero di un credito d'imposta, fa 
giurisdizione appartiene sempre al giudice ordinario (giudice dell'esecuzione). 


4. -Affermata, dn tal modo, fa giurisdizione del 1giudice ordinario, 
occorre ora risolvere Ja questione di competenza: occorre, cio� stabilire se 
il foro dello Stato (art. 25 cod. proc. civ.) prevalga su quello delle opposi

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zioni alla esecuzione (art. 27 dello stesso codice). Ci� � stato negato dal 
ricorrente, ma le ragioni del convincimento che lo hanno determinato a sollevare 
la questione non sono state chiaramente enunciate, se non nel limite 
che, al cospetto di due competenze stabilite entrambe in modo inderogabile, 
prevalga quella che ha riferimento alla specialit� della materia. Ma 
un'impostazione siffatta non pu� essere condivisa. 

L'art. 25 � integrativo deHe leggi speciali sulla rappresentanza dello 
Stato in giudizio, dallo stesso ,richiamate: occorre, quindi, fare specifico 
rifer�mento (per stabilirne l'applicabilit�, o meno) alla norma contenuta 
ne11'art. 8 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (che ha il suo corrispondente 
nell'art. 147 della citata legge di registro) ai sensi del quale appartiene alla 
competenza (territoriale inderogabile, cio� funziona:le) del giudice ove ha 
sede l'Avvocatura distrettuale (nel cui distretto trovasi l'ufflicio che ha 
liquidato la tassa o la sovratassa controversa) la � controversia giudiziale 
riguardante le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione �. 

Per risolvere la questione di competenza, quindi, occorre stabilire se la 
controversia in atto (opposirione all'esecuzione promossa dalla Finanza per 
il recupero di un credito d'imposta) rientri fra quelle indicate nel predetto 
art. 8. 

A tale fine � indispensabile, anzitutto, osservare che la norma � stata 
dettata quando vigeva la regola della �competenza� (giurisdizionale) del 
giudice ordinario in tutte le controversie di imposta (con le vecchie Commissioni, 
infatti, non si ponevano problemi di giurisdizione, essendo principio 
pacifico che contro la ingiunzione fiscale l'opposizione potesse essere 
proposta tanto in via amministrativa che in via giudiziale, con l'unica 
conseguenza che, in caso di omissione del procedimento amministrativo, 
l'Amministrazione non potesse essere condannata alle spese di lite, ancorch� 
soccombente: Sez. Un. 12 gennaio 1951). Istituite, per�, le nuove 
Commissioni, le cui decisioni hanno natura giurisdirionale, la portata della 
norma va sicuramente ridimensionata, poich� deve ritenersi che le � controversie 
giudiziali � da essa menzionate sono soltanto quelle che non 
rientrano nella categoria delle � controversie � devolute alle Commissioni 
dall'art. 1 del citato d.P.R. n. 636 del 1972. Residuano, in sostanza, le controversie 
in materie eventualmente diverse da quelle menzionate da tale 
norma (sempre che possano esistere, come ad es. in materie di imposte non 
specificamente menzionate dalla norma, ovvero di nuova istituzione, per le 
quali non fosse stabilita la competenza giurisdizionale delle Commissioni 
sulle relative controversie). Ora � sicuro che non compete alle Sezioni Unite, 
in questa sede (cio� nella sede della risoluzione dell'attuale controversia), 
di individuare tutte le possibili controversie che fossero rimaste devolute 
al giudice ordinario: basta, infatti, per decidere la questione di competenza 
qui proposta, stabilire se le controversie sorte � in sede di esecuzione � 
circa il diritto della Finanza di agire (esecutivamente) per il recupero di un 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

604 

credito d'imposta rientrino fra quelle indicate nel predetto art. 8. Occorre, 
in altri termini, iiaffrontare l'azione proposta dal contribuente, (pi� sopra 
definita come � opposizione all'esecuzione promossa dalla Finanza per il 
recupero di un credito relativo a un'imposta di registro�) con le controversie 
indicate da tale norma (anche sorte in sede di esecuzione) come 
appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario e per le quali � 
stabilita la competenza del foro erariale. 

Ora, non vi � dubbio che, dal raffronto, emerge una sicura corrispondenza 
tra i due tipi di controversia: entrambe, infatti, concernono un giudizio 
di cognizione (che, nel caso concreto, � una �opposizione all'esecuzione
�) inserito in un processo esecutivo che ha ad oggetto il recupero 
di un credito di imposta. 

Tutto ci�, del resto, non sembra, in via di principio, essere negato dal 
ricorrente, il quale sembra solo sostenere che la competenza inderogabile 
del giudice dell'opposizione all'esecuzione (art. 27) debba prevalere, per la 
specialit� della materia, sull'altra competenza, pure inderogabile (art. 25) 
del foro dello Stato. Ma una tesi siffatta non sembra in alcun modo 
sostenibile, se non altro per l'evidente ragione che si fonda su un macroscopico 
paralogismo. 

� esatta la premessa maggiore del ragionamento (posta per implicito 
dal ricorrente) secondo cui occorre, per dirimere l'apparente conflitto fra 
le due norme, stabilire quale di esse sia � generale � e quale invece sia 
� speciale � (per farne �discendere che la norma concretamente applicabile 
� quella che stabilisce l'eccezione alla regola enunciata come generale). 
Palesemente erronea �, per�, la premessa minore della predetta costruzione 
logica, la quale individua come regola generale la norma che stabilisce il 
foro dello Stato e come norma speciale quella che individua il foro delle 
opposizioni alla esecuzione. 

La verit� �, invece, che nelle cause di cognizione (in tutte le cause di 
cognizione) la speciale competenza del foro erariale � posta come eccezione 
alle regole generali, appunto, sulla competenza (sent. 17 marzo 1978, 

n. 1337). Il contrario assunto, infatti, potrebbe avere base solo sull'inconsistente 
rilievo che nella topografia del codice di rito la regola del foro 
dell'esecuzione � posta dopo quella del foro erariale. Ma questo semplice 
argomento di collocazione della norma cade, sicuramente, di fronte al 
riJievo che l'art. 8 del rid. 30 ottobre 1933, n. 1611 (di cui l'art. 25 del codice 
di rito � -come gi� si � detto -solo norma �integrativa�), nel distinguere 
per quali controversie, proprio in materia esecutiva, si applica il 
foro dello Stato, ovvero quello stabilito dalle regole generali, chiaramente 
rivela la sua natura di � norma ~pedale � applicabile, quindi, come � eccezione 
alla regola generale �. E non vi � dubbio, allora, che se la regola 
generale stabilisce il foro dell'opposizione alla esecuzione e l'eccezione � 
quella del foro dello Stato, la corretta costruzione sillostica non pu� con! 


~



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 605 

durre che a conclusione opposta a quella rappresentata dal ricorrente. 
Sarebbe, peraltro, ben difficile scorgere la ragione per cui, in mancanza di 
una espressa esclusione (e l'art. 8 citato prevede, proprio, determinate 
esclusioni), dovrebbe ritenersi che per tutte le cause di cognizione vale la 
regola del foro erariale, ad eccezione di quelle che la [egge definisce cause 
di �opposizione all'esecuzione� e che sono, incontestabilmente, cause di 
cognizione. La specifica questione, del resto, ha gi� trovato soluzione, nella 
giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo la sent. 5 marzo 1979, n. 1365), 
proprio nei sensi sopra indicati, per cui trova scarsa giustificazione la 
riproposizione di essa, in difetto di valide argomentazioni che tengano 
conto dei precedenti arresti giurisprudenziali. 

L'istanza di regolamento di competenza, deve, pertanto, essere respinta, 
con la conseguente dichiarazione di competenza del giudice del foro erariale 
(Tribunale di Firenze). (omissis) 

12 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 17 marzo 1982, n. 1726 -Pres. Brancaccio -
Rel. Borruso -P. M. Zema (cont.) -S.r.l. Strade Ponti Acquedotti Edile 
Romana SPAER (avv. Ambrosio) c. A.N.A.S. (avv. Stato Cosentino). 

Appalto -Appalti di opere pubbliche -Sospensione -Rapporto tra l'art. 30 

d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e l'art. 16 R.D. 25 maggio 1895, n. 350 Onere 
della riserva � Sussistenza. 
(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 26 e 30; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16 e 89). 
Appalto -Appalti di opere pubbliche -Riserve -Onere generale -Eccezioni 
-Fatti dolosi o colposi � Condizioni. 

Appalto -Appalti di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Allegazione 
di falsa causa -Non esclude l'onere de119 riserva. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16). 
La disciplina degli effetti della sospensione dei lavori, contenuta nell'art. 
30 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, non � incompatibile con quella 
delle forme da osservare per documentare i provvedimenti che ordinano 
la sospensione e ripresa dei lavori, quale � contenuta nell'art. 16 del r.d. 
25 maggio 1895, n. 350. Pertanto la prima non pu� ritenersi aver abrogato la 
seconda e, a norma dell'art. 26 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, resta fermo 
l'onere dell'appaltatore, di formulare le riserve che ritenga di proprio inte:
t!sse, all'atto della firma dei verbali di sospensione e ripresa dei lavori (1). 

Il principio per cui l'onere della riserva non sussiste quando le pretese 
dell'appaltatore si ricollegano al fatto doloso o gravemente colposo della 
Amministrazione opera solo con riguardo a fatti che non si inseriscono in 
un momento preciso della cronologia dei lavori registrati e non ne condizionino 
tempi modalit� e spese (2). 

La circostanza che le ragioni poste a base dell'ordine di sospensione dei 
lavori, e per le quali non spetti all'appaltatore alcun compenso o indennizza, 
non corrispondono alla realt�, non esclude l'onere dell'appaltatore di opporre 
la propria riserva per far valere la illegittimit� della sospensione 
stessa siccome ricollegantesi a fatto imputabile a dolo o colpa dell'Amministrazione 
(3). 

(1-6) Sulla prima massima non constano precedenti; sulla seconda, cfr. da 
ultimo, Cass. 2 luglio 1981, n. 4285, in questa Rassegna 1981, I, 828 con nota di 
ri.chiami, e Sass. il4 maggio 1981, n. 3167, ivi, 1981, I, 421. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 607 

II 

COR'.fE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1982, n. 2006 -Pres. Marchetti -
Rel. R. Sgroi -P. M. Paolucci (cont.) -S.p.A. Edilbeton (avv. Giordano) 

c. A.N.A.S. (avv. Stato Carbone). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -R.D. 25 maggio 1895, n. 350 -Natura Regolamento 
delegato. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350; I. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, artt. 346 e 364). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve e decadenza -Previsione 
contenuta nel R.D. 25 maggio 1895, n. 350 -Ulegittimit� -Esclusione. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 37, 53, 54, 64 e 89; I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, 
artt. 346 e 364; cod. civ., artt. 2966 e 1322; Cost., art. 24). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Riserva -Tempestivit� � 
� Condizioni. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 53, 54 e 89). 
Appalto -Appalti di opere pubbliche -Riserve -Sospensione derivante da 
fatto colposo -Onere -Sussiste. 

Il regolamento per la direzione, contabilit� e collaudazione dei lavori 
dello Stato, che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici, 
approvato con il r.d. 25 maggio 1895, n. 350, ha natura di regolamento delegato, 
la sua emanazione essendo stata prevista dagli artt. 346 e 364 della 
legge 20 marzo 1865, n. 2248 aU. F (4). 

Le disposizioni che nel regolamento 25 maggio 1895, n. 350, disciplinano 
l'istituto della riserva e la correlata decadenza rientrano nel contenuto della 
delega conferita al Governo con gli artt. 346 e 364 della legge 20 marza 1865, 

n. 2248 all. F; non contrastano con l'art. 2966 cod. civ. secondo cui la decadenza 
pu� essere prevista dalla legge o dal contratto, perch�; non sussistendo 
nella materia una riserva di legge, nessun contrasto � configurabile tra la 
norma generale sopravvenuta, di rango ordinario, ed un precedente regolamento 
in materia specifica, emanato in forza di una legge anteriore, non 
abrogata da quella posteriore; non ledono il principio dell'autonomia contrattuale, 
perch� il primo comma dell'art. 1322 cod. civ. pone alla libert� 
di determinazione del contenuto del contratto i limiti fissati dalla legge, 
non limitano la tutela giurisdizionale del contraente privato, perch� n� 
richiedono adempimenti irrazionali o non adeguati al modo di svolgimento 
(2-3-7) Sui rapporti tra onere della riserva e pretese ricollegantesi a fatto 
doloso o colposo dell'Amministrazione, cfr. Cass. 1� aprile 1980, n. 2097 in questa 
Rassegna 1980, I, 967. 



608 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

del rapporto considerato n� impongono di esercitare il diritto in termini 
cos� ristretti da vanificare ogni media diligenza (5). 

La domanda di indennizzi da sospensione dei lavori � tardiva se, formulata 
all'atto della firma dello stato di avanzamento� immediatamente 
successivo alla ripresa dei lavori, non sia stata preceduta da riserva iscritta 
nel verbale di ripresa (6). 

La domanda con cui l'appaltatore chieda la condanna al risarcimento 
del danno rappresentato dal maggior costo dell'opera, che l'Amministrazione 
gli avrebbe cagionato sospendendo i lavori dopo la consegna per non 
essersi prima procurata la disponibilit� delle aree, � correttamente rigettata 
ove la relativa riserva sia tardiva, senza che occorra stabilire se il fatto 
sia imputabile a colpa della stessa Amministrazione, perch� l'onere della 
riserva si estende anche ai fatti dolosi o gravemente colposi della stazione 
appaltante che abbiano diretta incidenza sull'esecuzione dell'opera (7). 

I 

(omissis) Col primo motivo di ricorso e con la prima parte del secondo 
l'Impresa lamenta che la Corte d'Appello abbia completamente omesso di 
prendere in considerazione un punto decisivo della controversia costituente 
uno dei motivi dell'atto di gravame e che, cio�, l'art. 16 del r.d. 25 maggio 
1895, n. 350 era stato abrogato implicitamente e sostituito dall'art. 30 
del capitolato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 con cui si 
disciplina � ex novo � il caso della sospensione e della ripresa dei lavori 
e che tale ultima disposizione entrata in vigore prima della stipulazione 
del contratto d'appalto � de quo � -[imitandosi a prevedere che detta 
sospensione e ripresa debbano essere attuate dall'amministrazione committente 
mediante oni.ini di servizio -non commina alcuna preclusione, n� 
alcuna decadenza in danno dell'appaltatore che non iscriva riserve in siffatti 
provvedimenti. 

Il motivo � infondato, anche se � vero che esso era stato gi� formulato 
nell'atto d'appello e che nella sentenza impugnata ne � stato omesso 
l'esame. Invero, come costantemente � stato ritenuto nella giurisprudenza 
di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. sent. n. 1536 e 3179 dell'81) l'omesso 
esame di una questione � rilevante in sede di legittimit� soltanto se, 
qualora detto esame fosse stato compiuto, avrebbe potuto portare il 
giudicante a decidere la causa in modo diverso. 

(4-5) La natura cli regolamento delegato del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, 
� stata affermata da Cass. 6 maggio 1972, n. 1355 in questa Rassegna, 1972, I, 508, 
che ha anche affrontato il tema della legittimit� delle norme in materia di 
decadenza. 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Ma questo non � certamente il caso della questione de qua perch�, 
se anche essa fosse stata esaminata dai giudici di merito, avrebbe dovuto 
essere respinta per le seguenti due ragioni che si integrano a vicenda: 

I) l'art. 26 dello stesso d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -la oui sopravvenienza 
il ricorrente indica per ritenere tacitamente abrogato l'art. 16 del 

r.d. 25 maggio 1895, n. 350 -stabi.Usce che: �I documenti contabili sono 
tenuti secondo le prescrizioni del regolamento approvato con r.d. 25 maggio 
1895, n. 350. 
Le osservazioni dell'appaltatore sui predetti documenti... .devono essere 
presentate ed iscritte, a pena di decadenza, nei termini e nei modi stabiliti 
dal regolamento di cui al precedente comma �. 

Ora non v'� dubbio che anche i verbali di sospensione o di ripresa dei 
lavori debbano essere considerati �documenti contabili�, sia perch� il 
citato art. 16, che li concerne, prevede che in essi possano essere inserite 
riserve dell'appaltatore richiamando a tal fine il successivo art. 89 che 
riguarda proprio le eccezioni dell'appaltatore nei documenti contabili, sia 
perch� a norma dell'art. 36 del medesimo r.d. n. 350 del '95 formano oggetto 
di contabilit� tutti i fatti producenti spesa per l'esecuzione dell'opera� e la 
esistenza stessa della presente controversia � la prova pi� irrefutabile 
che la sospensione dei lavori disposta dalila stazione appaltante potr� essere 
fonte di spesa per la medesima. 

Conseguentemente deve ritenersi che, per quanto riguarda � le osservazioni
� alle quali � tenuto l'appaltatore al momento della firma dei verbali 
di sospensione o di ripresa dei lavori (cio�, chiaramente, le sue eccezioni 
consistenti in domande o riserve), la disciplina dettata dall'art. 16 del 

r.d. n. 350 del 1895 rimane in vigore per espressa disposizione dell'art. 26 
del d.P.R. n. 1063 del '62. 
Il) L'oggetto dell'art. 16 del vecchio regolamento del '95 e quello dell'art. 
30 del nuovo capitolato generale del 1962, anche se recano la medesima 
rubrica(� sospensione dei lavori�) non � affatto identico: nella prima 
norma, infatti, si stabiliscono quali atti, con quali finalit� e con quali 
effetti vadano redatti al momento della sospensione o ripresa dei lavori; 
tale materia, invece, non � affatto presa in considerazione daJJ.a seconda 
norma volta esclusivamente a distinguere la sospensione dovuta a causa di 
forza maggiore da quella dovuta a ragioni di pubblico interesse o necessit� 
e a precisare in quali casi possa essere preteso un indennizzo. , 

Pertanto, non essendo verosimile immaginare che il legis:latore del '62 
abbia voluto sopprimere qualsiasi formalit� per documentare un provvedimento 
cos� grave per entrambe le parti nell'economia del contratto 
d'appalto, quale la sospensione dei lavori, non resta che concludere anche 
sulla base del puro confronto testuale delle due citate norme, che la <lisci



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

plina degli atti da redigere al momento della sospensione e della ripresa 
dei lavori resti quella prevista nell'art. 16 del regolamento del 1895. 

Con la seconda parte del secondo motivo e con il terzo la SPAER torna 
a_ sostenere che, anche ammettendo la vigenza dell'art. 16 del r.d. n. 350 
del 1895, esso nella specie non avrebbe potuto mai essere applicato perch� 
la sospensione dei lavori era stata determinata da un fatto doloso (in 
quanto simulato) che, come tale, l'Impresa aveva il diritto di contestare 
anche successivamente alla formazione dei verbali d:i sospensione e di 
ripresa dei lavori nonostante l'acquiescenza prestatavi in un primo momento. 
l:�.vero, l'onere di immediata contestazione delle ragioni della 
sospensione sarebbe potuto scattare solo in relazione a quelle vere, qualora 
fossero state esposte in un nuovo verbale di sospensione dei lavori. Rispetto 
a quelle simulate, invece, la SPAER non poteva non avere gravi incertezze 
circa l'eventuale necessit�, il tempo utile, la forma e la sede della formulazione 
delle proprie contestazioni e riserve. 

Anche il suesposto motivo � infondato. 

� ben vero, infatti, che in materia di appalti pubblici l'onere della 
11iserva non sussiste quando le pretese dell'appaltatore si ricolleghino aJ 
comportamento doloso o gravemente colposo dell'Amministrazione; ma ci� 
soltanto quando non incidano direttamente sull'esecuzione dell'opera nel 
senso che non si inseris�ano in un momento preciso della cronologia dei 
lavori registrati e non ne abbiano condizionato quindi tempi, modalit� e 
spese. Soltanto in tale situazione, infatti, non ha pi� ragione di operare 
il principio della generalit� e della tempestivit� delle riserve (in tal senso 
giurisprudenza costante: cfr. Cass. 5300 dell'81, 2841 e 1458 del 75, 78 del 
74, 717 e 677 del 73, 1384 del 71). Ma questo non � certamente !iJ oaso del 
dolo o della colpa grave consistita nell'aver fatto apparire falsamente la 
sospensione dei lavori dovuta ad una causa di forza maggiore (quali le 
condizioni climatologiche) -per le quali non spetta all'appaltatore alcun 
compenso o indennizzo (art. 30 ultimo comma) -perch�, come espressamente 
previsto nel terzo comma dell'art. 16 del r.d. n. 350 del '95, le ragioni 
della sospensione dei lavori devono essere indicate nel relativo verbale al 
fine di costituire materia di contraddittorio eventuale tra le parti e quindi 
di verifica da parte degli organi di controllo essendo decisive ai fini del 
diritto o meno all'indennizzo. 

Ci� spiega perch�, in perfetta aderenza con i principi sovraesposti 

questa Corte abbia sempre ritenuto che l'onere dell'appaltatore di formu


lare tempestiva riserva in ordine alle maggiori pretese avanzate a causa 

della sospensione dei lavori sussista anche nel caso di illegittimit� della 

sospensione stessa per dolo o colpa dell'amministrazione appaltante (cfr. 

Cass. sent. n. 476 dell'81, 2097 dell'80, 1337 del '76). 

A tali considerazioni di puro diritto non pu� farsi a meno di aggiungere t 

per completezza di esame che, nella fattispecie, non sembra neppure che ~ 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

possa ritenersi sussistente un fatto doloso o gravemente colposo della 
Amministrazione appaltante in quanto lo stesso ricorrente ammette, riconoscendo 
la � simulazione � della causa di forza maggiore cui nei verbali 
venne attribuita la sospensione dei lavori, di esserne stato perfettamente 
consapevole e di avervi consentito, n� adduce di averlo fatto per esservi 
stato costretto o per essere stato indotto in errore. 

Le spese seguono 'la soccombenza (omissis). 

II 

(omissis) La ricorrente sostiene che, in via pregiudiziale rispetto all'esattezza 
o meno della pronunciata decadenza delle proprie domande, si 
impone il riesame della legittimit� dell'istituto delle riserve e della correlata 
decadenza nelle ipotesi previste dal regolamento del 1895, in quanto: 

a) nessuna espressa e specifica delega a comminare decadenze da 
diritti soggettivi del contraente privato � contenuta nella fogge fondamentale 
sui lavori pubblici del 1865; 

b) il e.e. del 1942 ha ribadito che '1e decadenze possono essere vali-� 
damente poste o dal contratto o dalla legge; 

e) l'istituto delle riserve e correlativa decadenza previsto dal Regolamento 
n. 350 del 1895, prescindendo dalla consensuale adesione dell'interessato, 
vulnera il principio dell'autonomia contrattuale, crea una situazione 
di privilegio per il contraente pubblico, attenta alla pariteticit� del 
rapporto e limita la piena tutela giurisdizionale del contraente privato. 

Il Collegio osserva che, nell'ipotesi di illegittimit� di un regolamento, 
l'autorit� giudiziaria ordinaria � tenuta a riconoscerla in osservanza dell'art. 
5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E sul coo.tenzioso amministrativo, 
che fa obbligo all'autorit� giudiziaria di applicare i regolamenti 
solo in quanto siano conformi alle leggi. Se il giudice ritenga illegittimo 
il regolamento deve applicare, anzich� la normativa da esso dettata, 
quella della legge con la quale contrasta; ma vi sono dei casi in cui la 
disapplicazione del regolamento illegittimo rimuove un ostacolo all'accoglimento 
della domanda, perch� in luogo di quell'ostacolo pregiudiziale 
posto dal regolamento non ne esistono altri nella legge, e pertanto la 
domanda potr� essere esaminata in base alle altre (diverse) norme che 
regolano la fattispecie dedotta in giudizio. Quando il privato promuove la 
azione denunciando una lesione del proprio diritto soggettivo prodotta 
da un rifiuto d1 pagamento della Pubblica Amministrazione basato su una 
norma regolamentare contraria alla legge, la dichiarazione incidentale di 
illegittimit� dell'atto amministrativo (regolamento) costituisce il mezzo 
adeguato a garantire la tutela del diritto soggettivo. Si applica la regola 


612 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

normale della legge del giudizio, secondo cui il giudice deve qualificare la 
fattispecie in base alle norme che riconosce vigenti ed applicabili. In 
tale scelta il giudice procede di ufficio, nei limiti dei fat!i dedotti e delle 
domande proposte. 

Una questione concernente la vigenza ed applicabilit� delle norme 
non pu� dar luogo ad una eccezione proponibile soltanto dalle parti (a 
cui possa applicarsi il divieto posto dall'art. 112 cod. proc. civ.) perch� 
non � un'eccezione in senso proprio (art. 2697 comma secondo cod. civ.), 
ma una mera difesa. 

Trattandosi di applicare norme giuridiche senza alcun nuovo accertamento 
di fatto (per tale ipotesi di illegittimit� dell'atto amministrativo, 
non deducibile per la prima volta in cassazione cfr. invece le sentenze 
12 marzo 1959, n. 724; 31 luglio 1957,.n. 3242), non esiste alcuna preclusione 
all'esame della questione, non solo in quanto dedotta per la prima volta 
con un motivo di ricorso (cfr. la sent. 22 settembre 1977, n. 4051), ma anche 
d'ufficio per la prevalenza del principio jura novit curia. 

Essendo impugnata integralmente la pronuncia di merito, non pu� 
essersi formato alcun giudicato implicito sull'accertamento incidentale 
della legittimit� di un atto amministrativo che costituisce anche una norma 
giuridica, e cio� una fonte del diritto. 

Le deduzioni della ricorrente sono, peraltro, infondate. 

a) n r;d. 25 maggio 1895, n. 350 (contenente hl regolamento per la direzione, 
contabilit� e collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle 
attribuzioni del Ministero dei Lavori Pubblici) � un regolamento delegato, 
fondato cio� su un'espressa attribuzione di potest� normativa da parte 
della legge, che non conferisce al Governo il potere di emanare atti aventi 
forza di legge, ma attua una c.d. �delegificazione�, consentendo al regolamento 
di dettare una disciplina pi� articolata della materia regolata 
dalla legge di delega, nei limiti di essa, ed anche conferendo wn.a possibilit� 
di deroga, nel rispetto delle norme costituzionali (cfr. Sez. Un. 15 febbraio 
1978, n. 701). 

Tale delega era contenuta nella legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F sulJe 
opere pubbVche, che dispone all'art. 346: � il regolamento determina le di� 
scipline da osservarsi in ovdine all'esecuzione dei lavori ed al modo di 
regolarne la contabilit� e la liquidazione loro � ed all'art. 364: � un regolamento 
determina le norme e la procedura di collaudazione e degli atti 
relativi per garanzia della perfetta esecuzione delle opere e dell'adempimento 
degli obblighi e delle condizioni dei contratti, per la liquidazione 
dei crediti dell'impresa e per 'la risoluzione delle contestazioni che insorgessero 
colla impresa stessa �. 

L'ampiezza della delega, comprendente tutta la materia della contabilit�, 
della liquidazione dei crediti dell'impresa e della risoluzione delle 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

controversie, si estendeva anche alla possibilit� di comminare decadenze, 
tenendo conto anche della circostanza che i codici allora vigenti (cod. civ. 
del 1865 e c. comma del 1882) non avevano una disciplina generale della 
decadenza, ma soltanto norme specifiche su diritti da esercitarsi entro 
certi termini, di cui si discuteva se realizzassero ipotesi di prescrizione 
(regolata invece con norme generali) o di decadenza. Pertanto, si trattava 

. di materia non specificamente regolata da altre leggi, per cui la legge 
di deiega non doveva contenere un'espressa previsione di deroga ad un'ine: 
sistente disciplina diversa. 

b) Nessun contrasto � ipotizzabile con l'art. 2966 cod. civ., da cui 
risulta che la decadenza pu� essere prevista �lalla legge (o dal contratto). 
Poich� la materia non riguarda un'ipotesi di riserva di legge costituzionalmente 
fissata con la Costituzione del 1948 (ipotesi in cui si pongono delicati 
problemi, variamente risolti: vedi per es. la sent. 5 febbraio 1975, 

n. 427), non pu� esservi contrasto fra la norma generale s�pravvenuta, di 
rango ordinario, ed un precedente regolamento su materia specifica, emanato 
in forza di una legge anteriore, non abrogata da quella posteriore; 
regolamento che attinge la sua efficacia dalla conformit� alla legge anteriore. 
In altri termini, tanto sotto il profilo della� legittimit� della produzione 
del regolamento, da verificarsi alla stregua dell'ordinamento costituzionale 
vigente nel 1895 (Costituzione �flessibile�), quanto sotto il profilo 
del contenuto intrinseco della norma regolamentare allora emanata, non 
pu� sorgere alcun problema di verifica alla stregua di una legge sopraordinata, 
quale � la Costituzione attualmente vigente, e resta in vigore la 
�delegificazione�, come attuata nel 1895, che consentiva la disciplina della 
materia in forma regolamentare. 
e) Non vi pu� essere, per le stesse ragioni appena esposte, alcuna 

. lesione del principio dell'autonomia contrattuale, perch� il primo comma 
dell'art. 1322 cod. civ. pone alla libert� di determinazione del contenuto 
del contratto, i limiti imposti dalla legge (e dalle norme secondarie da 
essa autorizzate e conformi a legge), che nella specie si preoccupa proprio 
di tutelare la P.A. contraente. 

Infine, la limitazione della tutela giurisdizionale del contraente privato 
(profilo di contrasto con l'art. 24 Cost. che deve essere preso in considerazione 
dal giudice ordinario, trattandosi appunto di norma regolamentare) 
potrebbe essere concretata da un ostacolo che renda pi� difficoltoso il 
diritto di agire in giudizio, imponendo adempimenti irrazionali, non 
adeguati alle circostanze del caso, che si .manifestino da un fato come 
vuote formalit� e dall'altro si debbano porre in essere in termini cos� 
ristretti, da risultare vana ogni media diligenza. Invece, non � illegittimo, 
in assoluto, �imporre congrue limitazioni temporali all'esercizio di poteri 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

processuali o subordinarli al compimento di oneri diretti a salvaguardare 
interessi generali (Corte cost. 29 marzo 1972, n. 57; 5 luglio 1973, n. 106). 

Nella specie, la stessa difesa della ricorrente ammette -nel ricorso 
e nella prima memoria -che il sistema delineato dagli artt. 53, 54 risponde 
a principi di sana e corretta amministrazione e pu� es�sere agevolmente 
osservato dall'appaltatore, e contesta soltanto la sua estensione al caso 
dei danni dipendenti da sospensione illegittima: il che pone, all'evidenza, 
non un problema di illegittimit� costituzionale, ma di interpretazione 
delle norme. 

Passando, finalmente, alla questione di interpretazione, � opportuno 
prendere le mosse da un'analisi letterale delle norme, nei limiti dell'esame 
delle osservazioni del ricorrente che non siano superate dalla giurisprudenza 
di questa Corte, la quale � giunta ad affermare che, per risultare 
tempestiva, la riserva dipendente dalla sospensione dei lavori deve essere 
formulata al pi� tardi nel verbale di ripresa dei lavori, che segna la cessazione 
della continuit�, evidenziando sicuramente la rilevanza causale dei 
fatti. Infatti, il verbale di ripresa dei lavori costituisce un documento 
idoneo per la deduzione della riserva da parte dell'appaltatore, da trascrivere 
successivamente nel registro di contabilit�. L'onere di riserva 
riguarda ogni fatto produttivo di spesa e non va circoscritto alfa contestazione 
degli accertamenti compiuti dalla stazione appaltante, e cio� -nel 
caso dell'art. 16 del regolamento -della enunciazione delle ragioni poste 
a fondamento dei provvedimenti che diventerebbero incontestabili in caso 
di omessa iscrizione, ma si deve estendere alla richiesta di indennit� e 
compensi (sent. 20 gennaio 1981, n. 476, ove � contenuta un'esposizione 
della giurisprudenza precedente). 

Sul piano letterale, il terzo comma dell'art. 16 rinvia all'art. 89, che 
prevede che le riserve iscritte in atti diversi dal registro di contabilit�, 
per produrre effetto, devono essere ripetute nel registro di contabilit� nei 
termini e modi indicati nei precedenti artt. 53 e 54. La previsione di tale 
ripetizione confermerebbe che l'unica sede valida per l'apposizione delle 
riserve sia il registro di contabilit�. 

La suddetta opinione � infondata, perch� priverebbe di qualsiasi significato 
tutta la normativa del terzo comma dell'art. 16 e quella dei primi 
tre commi dello stesso art. 89. Se, infatti, col termine �ripetizione� il 
regolamento avesse inteso alludere all'irrilevanza delle riserve iscritte 
nei documenti diversi dal registro di contabilit� ed alla decisivit� solo 
di ci� che risulta da quest'ultimo, la proposizione della riserva di cui 
all'art. 89 primo comma sarebbe priva di efficacia alcuna, essendo indifferente 
che essa sia proposta o meno. Infatti, con l'opinione qui combattuta, 
la riserva nel registro di contabilit� avrebbe lo stesso effetto suo proprio, 
tanto se sia preceduta dalla riserva ex art. 89 primo comma, quanto se 
questa manchi, il che potrebbe sostenersi solo a patto di concepirla come 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

un atto puramente facoltativo, nel senso che sarebbe consentito alla 
libert� di determinazione dell'appaltatore o di formulare subito la riserva 

o di provvedervi solo in seguito, quando le scritture (a cui si riferisce 
l'art. 89) siano riportate nel registro di contabilit�. Ma ci� non pu� sostenersi: 
il termine �facolt��, letteralmente, pu� significare anche �potere� 
di riserva; e il potere, quando deve essere esercitato in un certo modo 
o entro un certo termine, � collegato con un onere posto a pena di decadenza. 
Per sostenere ohe si tratti di semplice �facolt� libera�, non collegata 
ad un onere, si deve sostenere, come fa la ricorrente riportandosi 
ad una corrente dottrinaria, che gli artt. 16 e 89 prevedono due sole ipotesi 
in cui (astrattamente) pu� verificarsi una decadenza: -che l'appaltatore 
abbia rifiutato di firmare i documenti contabili; -che ile ,rJserve e domande 
proposte nei documenti firmati dall'appaltatore non siano ripetute nel 
registro di contabilit�. Ma anche tale assunto � infondato. 
� evidente, infatti, che gli artt. 16 ed 89 prevedono anche il caso della 
semplice firma (diverso dal rifiuto di firma e dalla firma con riserva), 
dato che parlano di � documenti che devono essere firmati � e che la 
mancanza pura e semplice di riserve realizza un'ipotesi di inesistenza di 
�eccezioni dell'appaltatore� (ofr. la rubrica dell'art. 89) che deve essere 
trattata alla stessa stregua dell'ipotesi fondamentale dell'art. 54, il quale 
� formulato secondo la medesima tecnica. Invero, premesso ohe l'art. 54 
primo comma prevede la firma �con o senza riserva�, il quinto comma 
commina espressa decadenza soltanto per le due ipotesi di mancanza di 
firma nel termine prefissogli a norma del secondo comma e nel caso in 
cui, avendo firmato con riserva l'appaltatore non l'abbia poi esplicata nel 
termine e nel modo di cui al terzo comma. Eppure, non si dubita menomente 
che anche la terza ipotesi di firma senza riserva realizza un'ipotesi 
di decadenza dalle domande che avrebbero dovuto proporsi e che non sono 
state proposte, nel momento identificato secondo le ben note regole generali 
fissate dalla giurisprudenza. 

In entrambi i casi, pertanto, il regolamento non ha avuto ragione � 
di comminare un'espressa decadenza, perch� l'ipotesi di �assenza di domanda, 
di indennit� e compensi � esaurisce la sua disciplina nella presa 
d'atto che l'appaltatore non fa alcuna domanda, a norma dell'art. 53, 
all'atto della firma del registro di contabilit�, i quindi non si mette in. moto 
il meccanismo che pone la stazione appaltante nell'obbligo di esaminare 
la domanda stessa. Ci� posto, il termine � facolt� � di cui all'art. 89 non 
pu� avere lo stesso significato della espressione �domande che l'appaltatore 
crede di fare� usata nell'art. 53, e cio� indica un potere dell'appaltatore 
il cui mancato esercizio implica l'assenza della domanda (termine contenuto 
anche nell'art. 89) e non pu� che dar luogo alle stesse conseguenze 
che unanimemente si riconoscono a tale assenza nell'ipotesi dell'art. 54, 
vale a dire il non poter far valere successivamente la domanda che avrebbe 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dovuto esser fatta, in che consiste l'essenza della decadenza. Dal fatto che 
l'ultimo comma dell'art. 89 prevede l'onere di ripetizione delle riserve e 
domande (contenute in documenti diversi dal registro di contabilit�) nO!Il 
pu� trarsi l'illazione che l'efficacia � conferita ad esse solo da tale ripetizione, 
perch� la norma � chiara nel senso che tal�' ripetizione � ulteriore 
condizione per la rilevanza delle riserve gi� fatte nei documenti diversi, 
tanto da ripetere due volte lo stesso concetto ( � non avranno efficacia � 
e �saranno considerate come non avvenute�), che descrive, in negativo, la 
qualificazione di rilevanza data alle riserve gi� fatte. In una fattispecie a 
formazione progressiva, gli effetti non sono prodotti dall'ultimo atto della 
procedura, anche se questo � previsto come condizionante, perch� la condizione, 
da sola, non pu� produrre l'effetto che � collegato a tutta la fattispecie. 
Non si pu� ripetere ci� che non � stato gi� scritto, in antecedenza, 
ma ci� non significa che -quandq la riserva � iscritta per la prima volta 
nel registro di contabilit� -si prescinda del tutto dai precedenti documenti: 
infatti il concetto di ripetizione implica una riproduzione e cio� 
una reiterazione di una dichiarazione gi� emessa, ciascuna delle quali 
ha un proprio effetto, non potendosi confinare nena irrilevanza la prima 
dichiarazione: ch�, anzi, la seconda, a parte l'effetto confermativo che le � 
proprio, � priva di autonomia rispetto alla prima. L'impossibilit� di ripetiziO!
Ile non � quindi soltanto fenomenica, e cio� di fatto, ma si converte 
in una impossibilit� giuridica, nel senso della irrilevanza di una dichiarazione 
successiva che avrebbe dovuto essere meramente riproduttiva ed 
-invece, contro il sistema delle norme -� di carattere primario. 

Che soltanto il registro di contabilit� sia la sede per l'apposizione delle 
riserve, non risulta nemmeno dalla diversit� di contenuto delle dichiarazioni 
dell'appaltatore. 

Infatti, anche l'art. 89, come l'art. 54, parla sia di riserve che di domande. 
La riserva � una contestazione delle risultanze delle scritturazioni; 
la .domanda � la richiesta avanzata sulla base della contestazione, ma non 
pu� confondersi con la prima, perch� una causa petendi senza il petitum 
priva di rilevanza la contestazione. Anche l'art. 89 vuole che siano formulate 
entrambe, disponendo soltanto che esse siano inscritte �in succinto�, 
il che non equivale per� a genericit�, perch� la concisione implica anzi 
la precisione e la chiarezza della richiesta. L'art. 54, all'atto della riserva, 
non prevede la necessit� di una immediata esplicazione, con indicazione 
precisa delle cifre di compenso e delle ragioni di alcuna domanda, perch� 
tale �esplicazione� pu� avvenire nei successivi 15 giorni. Nell'art. 89, 
dopo non esiste possibile differenziazione fra riserve e domande e loro 
esplicazione, la motivazione di esse � immediata ed � sufficiente che sia 
� succinta � appunto perch� � prevista la loro ripetizione nei modi e termini 
degli artt. 53, 54. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Che, poi, la riserva nel verbale di cui all'art. 16, che rinvia all'art. 89, 
sia diretta soltanto a contestare le circostanze di fatto od i motivi addotti 
dalla stazione appaltante, in occasione della sospensione o della ripresa 
dei lavori, ma non le loro conseguenze, � smentito dalla gi� rilevata 
distinzione fra riserva, intesa come contestazione, e domanda, intesa come 
richiesta. Se dal verbale risulta che la sospensione � stata disposta nell'interesse 
della st~ione appaltante, le conseguenze di essa non possono 
essere implicite, se non sono formulate. Trarre le conseguenze dalle scritturazioni, 
se~za una formulazione scritta di tali conseguenze, � contrario a 
tutto un sistema basato sulla forma scritta. Non vi � alcuna necessaria 
illazione (dal fatto che la decadenza consegua dalla mancata ripetizione 
nel registro di contabilit�) nel senso che la stessa sanzione non possa 
essere prevista per l'omissione della riserva e delle conseguenti domande 
nei documenti a cui si applica l'art. 89, perch� l'onere dalla cui mancata 
osservanza dipende la decadenza pu� essere fissato in relazione ad una 
pluralit� di adempimenti, tutti concorrenti alla preservazione del diritto 
che si vuol fare valere, come � dimostrato proprio dall'art. 54, che prevede 
la decadenza da una domanda iscritta, ma non espHcata. 

Sulla base delle osservazioni che precedono � possibile contestare 
l'argomentazione di fondo della prima parte del motivo, secondo cui soltanto 
gli stati di avanzamento contenuti nel registro di contabilit� sono 
la sede per dedurre le domande dell'appaltatore, concretate da cifre, perch� 
nel verbale di sospensione e di ripresa di lavori non esistono soritturazioni 
contabili che possano essere contestate. A parte il fatto che tale 
tesi urta contro il richiamo all'intero art. 89, contenuto nell'art. 16, e 
quindi contro la gi� rilevata sussistenza dell'onere di formulare non solo 
le riserve, ma anche le conseguenti domande, si osserva che -facendo 
leva sulle espressioni contenute nell'art. 16 (� ragioni che hanno indotto 
a sospendere i lavori�) si potrebbe sostenere un'interpretazione ri,duttiva 
del suddetto richiamo, nel senso che le riserve sui verbali di sospensione 

o di ripresa dei lavori possono avere ad oggetto solo Ja contestazione dei 
fatti che hanno indotto a disporre la sospensione o a riprendere i lavori 
ovvero dei fatti che hanno portato a far qualifica � illegittima � una sospensione 
originariamente legittima. Ma anche con tale interpretazione non 
si giungerebbe affatto ad escludere la decadenza, nel caso di omissione 
delle riserve, la quale discende de plano anche da un'interpretazione 
meramente letterale e riduttiva dell'art. 89 in rela~ione all'art. 16. Infatti, 
se la decadenza colpisce la riserva riguardante il limitato oggetto descritto, 
e cio� la causa petendi delle successive richieste, questa causa petendi non 
potr� essere ripetuta nel registro di contabilit�, ex artt. 53 e 54 e rende 
pertanto irrilevante anche il petitum formulato in base ad essa con la 
specificazione delle richieste di indennit�, danni e compensi. Per arrivare 
a salvare dalla decadenza le suddette richieste bisognerebbe, in altri termini, 

618 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

eliminare qualsiasi rilevanza delle riserve di cui al combinato disposto 
degli artt. 16 ed 89, il che si potrebbe sostenere solo a patto di accogliere 
la tesi della facolt� libera dell'appaltatore di formulare o meno, come 
semplice memoria o preavviso: ma ci� significa privare di qualsiasi serio 
significato le suddette norme, perch� non si vede che ragione ci sarebbe 
di regolare degli adempimenti che possono essere sostituiti dall'assoluto 
silenzio dell'appaltatore, con uguali conseguenze. 

Che, poi, i verbali di sospensione o di ripresa non siano documenti 
contabili, non serve a sostegno della tesi della ricorrente, di fronte all'estensione 
ad, essi di una norma posta sotto il capo V, che detta le norme generali 
per la tenuta dei documenti contabili. Asserire che la quantificazione 
della riserva non � possibile, nei verbali di sospensione o di ripresa, e 
che inoltre la stazione appaltante non pu� esercitare quel controllo che 
costituisce la finalit� della riserva, perch� non � possibile confrontarla 
con la spesa quale risulta soltanto dal registro di contabilit�, non � 
obiezione decisiva, di fronte al fatto che tale obiezione, evidentemente, 
dovrebbe valere anche per le riserve espressamente regolate dall'art. 89 con 
riguardo alle eccezioni dell'appaltatore contenute in documenti contabili 
diversi dal registro di contabilit�, perch� solo in quest'ultimo si d� contezza 
della spesa complessiva, in concomitanza con il suo svolgimento. 
Pertanto, l'obiezione prova troppo, lasciando alla �discrezione dell'appaltatore 
(che vi proceder� per mera utilit� sua, al fine di precostituirsi la 
prova, per esempio) l'apporre o meno la riserva, sicuro che la sua omissione 
non pregiudicher� il diritto di formulare la riserva stessa all'atto 
della sottoscrizione del registro di contabilit� in occasione del primo stato 
di avanzamento successivo. La tesi urta contro tutto il sistema del regolamento, 
ispirato alla tutela della Stazione appaltante, come risulta dall'art. 
37, posto sotto la sezione prima (�scopo e forma della contabilit�� 
che tende all'accertamento e registrazione dei fatti di pari passo al loro 
avvenimento). La possibilit� di esporre le ragioni della domanda e, almeno 
in succinto, la domanda stessa, a norma del combinato disposto dell'art. 16 
e dell'art. 89 non pu� essere esclusa in astratto: nella stessa narrativa 
della citazione della presente causa si afferma che le richieste di maggiori 
compensi furono formulate in una lettera inviata nel corso del 
periodo di sospensione, ed ancor prima della ripresa dei lavori, il che 
significa che l'impresa riteneva di avere gli elementi per quantificarli. 

Sar� quindi questione da risolvere caso per caso, quella della possibilit� 
di addurre oneri anche proiettati nel futuro, ma che si assumono 
sicuri, in dipendenza della sospensione. A sua volta, la Stazione appaltante 
a parte le � controsservazioni � di cui al secondo comma dell'art. 89, potr� 
procedere alla verifica ed al controllo della spesa in occasione della ripetizione 
delle domande nel registro di contabilit�, proprio in ragione del 
fatto che quest'ultimo � l'unico documento che rispecchia il costo com


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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

plessivo. In tale momento, infatti, � possibile la piena esplicazione degli 
effetti della riserva per i maggiori oneri dipendenti dalla sospensione, ma 
ci� non significa che ogni atto anteriore � privo di effetti, dato che si 
tratta di un procedimento che acquista rilevanza solo in quanto sia iniziato 
e terminato, per cui ogni atto di esso � dotato dell'efficacia propria 
del suo inserimento nella successione degli atti dal cui complesso deriva 
l'efficacia definitiva. Si sostiene che, in tale modo, la riserva ex artt. 16 
ed 89 acquista il significato di� un semplice preavviso di un costo o di un 
danno che possono essere anche futuri ed incerti (ma si � gi� visto che la 
collocazione nel futuro non � sintomo di incertezz~ e ohe la sospensione 
pu� produrre anche danni ed oneri durante il su� corso); preavviso che 
non avrebbe rilievo decisivo, perch� anche la stazione appaltante � in 
grado, a prescindere da esso, di rilevare l'efficacia causativa di maggiori 
oneri. 

Questa obiezione � priva di significato, in un sistema nel quale i fatti 
contano solo in quanto registrati nei documenti. � evidente, infatti, che 
in mancanza di una richiesta dell'appaltatore la stazione appaltante non 
potrebbe riconoscere d'ufficio dei compensi o delle indennit� di cui abbia 
-per altro verso -piena consapevolezza, perch� la stazione appaltante 
non � un privato che ha disponibilit� del suo debito, ma una Pubblica 
Amministrazione che deve sottostare ai sistemi di controllo dell'erogazione 
della spesa (cfr. la giurisprudenza di questa Corte a partire dalla 
fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 1968 del 20 giugno 1972). 

Per tutte le suddette considerazioni, deve riconfermarsi fa giurisprudenza 
di questa Corte, esattamente applicata dalla Corte di Appello di 
Roma, posto che non � contestata l'affermazione della sentenza impugnata 
secondo cui l'appaltatrice, nel momento della ripresa dei lavori era in 
grado di percepire e denunciare una situazione ormai esaurita, che aveva 
avuto diretta ed immediata incidenza nella esecuzione dell'opera e le aveva 
prodotto un pregiudizio; ovvero era un sicuro e diretto fattore causale di 
danni futuri (e cio�, sotto il primo profilo, i danni derivati dall'immobilizzazione 
del cantiere e del personale; e, sotto il secondo profilo, il 
prevedibile aggravio della �residua prestazione, che sarebbe venuta . a 
cadere in stagione sfavorevole). Esattamente, pertanto, la Corte di Appello 
ha ritenuto l'esistenza dell'onere di apporre le riserve e di formulare in 
succinto le domande conseguenti nei verbali di ripresa dei lavori (cfr., in 
tale senso sent. 14 maggio 1981, n. 3167). 

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione 
degJi artt. 5, 53 e 54 del �r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e dei principi 
generali che disciplinano l'istituto della riserva nei pubblici appalti; violazione 
e falsa interpretazione dei principi generali in tema di colpa e 
responsabilit� contrattuale ed extracontrattuale; manc_anza, insufficienza 
e contraddittoriet� della motivazione, lamentando che la sentenza abbia 


620 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO 

respinto la tesi che, nella specie ci si trovasse di fronte ad un comportamento 
colposo dell'Amministrazione, circostanza che escluderebbe ogni 
onere di riserva, insufficientemente motivando sulle circostanze di fatto 
che portavano a ritenere che l'ANAS aveva violato l'art. 5 del r.d. n. 350, 
in quanto all'atto della redazione del progetto non aveva la disponibilit� 
dei terreni su cui i lavori dovevano essere eseguiti, di modo che erano 
stati necessari circa tre anni per concludere i necessari accordi con le 
altre Amministrazioni interessate. Tale comportamento colposo aveva provocato 
dei danni, che dovevano essere risarciti, a prescindere dalla riserva, 
non avendo influenza la distinzione fatta dalla Corte d'appello fra comportamento 
colposo avente influenza o meno sull'esecuzione dell'appalto. 
Infatti, secondo la ricorrente, i comportamenti colposi della stazione 
appaltante che possono formare oggetto di controversia sono appunto 
solo quelli che influiscono sulla gestione o sull'esecuzione dell'appalto, 
di modo che la distinzione pu� farsi solo in base al comportamento del1'
Amministrazione ed alle conseguenze che ne sono derivate. 

Il motivo � infondato. Non esiste, in primo luogo, il difetto di motivazione 
in ordine all'accertamento della colpa dell'Amministrazione, dato 
che la Corte di Appello ha esattamente ritenuto giuridicamente irrilevante 
detto accertamento di fatto, perch� -. ammesso che il comportamento 
dell'Amministrazione fosse colposo -tuttavia, esso aveva avuto una incidenza 
diretta nell'esecuzione dell'opera ed era stato causa di perturbamento 
della normale esecuzione della prestazione, e quindi permaneva 
l'obbligo della riserva. 

La valutazione suddetta � concretata dalla motivazione secondo cui 
il comportamento dell'ANAS, determinando l'arresto dell'attivit� del cantiere, 
aveva impedito all'app~ltatore di utilizzare la sua organizzazione 
in modo continuativo per l'esecuzione dell'incarico ed aveva avuto quindi 
diretta ripercussione sfavorevole nella sua prestazione, aggravandone il 
complessivo onere economico. Tale motivazione non � contestata dalla 
ricorrente, la quale non afferma affatto che, invece, doveva essere accertato 
se i danni di cui essa aveva chiesto il ristoro fossero indipendenti 
dall'esecuzione del contratto, in quanto colpivano la propria attivit� come 
impresa impegnata in altri lavori (a prescindere, ovviamente, dalla risarcibilit� 
di tali danni), ma anzi ribadisce che si trattava di riserve di danni 
e di indennit� riguardanti l'esecuzione dell'opera. Ci� posto, la questione 
doveva essere risolta solo sotto il profilo giuridico, affermando l'estensione 
della necessit� della riserva anche in relazione a fatti dolosi o 
gravemente colposi della Stazione appaltante (da ultimo Cass. n. 476 
del 1981, cit.; Cass; 1� aprile 1980, n. 2097) (omissis). 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

TRIBUNALE DI ROMA -Sez. IV, 28 ottobre 1981 -Pres. ed est. Muscar� -
Imp. Pofferi ed altri -Parte civile Ministero del Tesoro (Avv. Gen. dello 
Stato) (1). 

Reato � Reato valutarlo previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 
nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Soggetto 
attivo E' � chiunque � anche se non residente. 

Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile "1976, n. 159 
nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Valore 
delle disponibilit� valutarle o attivit� di qualsiasi genere superiore 
ai quindici milioni di lire -Non costituisce circostanza aggravante ma 
ipotesi autonoma di reato. 

Reato� Reato valutarlo previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 
nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Sanzioni 
di carattere amministrativo di cui all'art. 8 del decreto-legge 4 marzo 
1976, n. 31 nel testo risultante dalla legge di conversione 30 aprile 1976, 

n. 159 ed in relazione all'art. 2 R.D.L. 5 �dicembre 1938, n. 1928 convertito 
nella legge 2 giugno 1939, n. 739 -Inapplicabilit�. 
Reato -Reato valutarlo previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 
nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Confisca 
obbligatoria prevista dall'art. 1 del decreto-legge 4 marzo 1976, 

n. 31 nel testo risultante dall'art. 2 legge 23 dicembre 1976, n. 863 -Inapplicabilit� 
(2). 
Soggetti attivi del reato previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, 

n. 159 nel testo risultante dalla sostituzione operata dall'art. 3 della legge 
8 ottobre 1976, n. 689, sono tutti (�chiunque�) coloro i quali, anche se non 
residenti, alla data del 6 marzo 1976 avevano la cittadinanza italiana ed 
erano possessori all'estero di attivit� costituite anteriormente a tale data 
in violazione delle norme valutari~ vigenti al momento del fatto. 
(1) Questa Rassegna prosegue nella pubblicazione di pronunzie di merito 
in materia penale valutaria. 
La complessa problematica posta dalla normativa penale valutaria -che 
ebbe, come noto, una gestazione tormentata (nell'anno 1976 vennero emessi tre 
decreti legge e tre leggi di conversione), e che non rappresenta in verit� un 
esempio di perfezione di tecnica legislativa, dovuto anche alla notevole peculiarit� 
e al carattere alquanto ostico della materia (cambi e valute) e alla 
esigenza di fare presto al fine di contrastare, con urgenza e con maggiore 

13 



622 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nell'ipotesi di omessa dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi entro 
il 3 dicembre 1976 di disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere 
(art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dalla sostituzione 
operata dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976, n. 689), il valore di detta disponibilit� 

o attivit� superiore ai quindici milioni di lire d� vita ad ipotesi autonoma 
di reato e non costituisce circostanza aggravante, con la conseguente inammissibilit� 
del giudizio di comparazione con eventuali attenuanti. 
Al reato di omessa dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi di disponibilit� 
valutarie o attivit� di qualsiasi genere costituite anteriormente al 
6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del 
fatto non sono applicabili, quale pena accessoria, le sanzioni di carattere 
amministrativo di cui all'art. 2 del R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928, convertito 
nella legge 2 giugno 1939, n. 739. 

Al reato di omessa dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi di disponibilit� 
valutarie o attivit� di qualsiasi genere costituite anteriormente al 
6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del 
fatto, non � applicabile la misura di sicurezza della confisca obbligatoria 
di cui all'ottavo comma dell'art. 1 del R.D. 4 marzo 1976, n. 3L nel testo 
risultante dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863 (2). 

(omissis) La difesa del Pofferi ha sostenuto l'inapplicabilit� della normativa 
valutaria, nelle fattispecie contestate, fil quanto l'imputato avrebbe 
uno status di �non residente�. 

Ad avviso del Tribunale l'elemento della �residenza effettiva� non 
acquista rilevanza in relazione alle fattispecie di reato ascritte al Pofferi. 

Invero con riferimento agli addebiti di omessa dichiarazione all'UIC 
delle partecipazioni azionarie possedute all'estero -capi a), c), d), f) il 
Tribunale osserva: 

La fattispecie criminosa che interessa � contemplata dall'art. 2 legge 
30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dalla sostituzione operata dall'art. 
3 legge 8 ottobre 1976, n. 689. Il primo comma di tale articolo prevede 
che chiunque possiede� all'estero, direttamente o indirettamente, disponi-

efficacia, stante la grave situazione economica e monetaria del Paese, l'emorragia 
di capitali, e di agevolare il rientro di quelli gi� trasferiti -non ha ancora 
trovato un'esauriente elaborazione nella dottrina e nella giurisprudenza del 
Supremo Collegio, per cui si ritiene che la diffusione di sentenze di merito possa 
costituire un utile contributo all'approfondimento e alla soluzione delle molteplici 
questioni, sovente alquanto delicate, da affrontare nei procedimenti penali 
per infrazioni valutarie. 

(2) L'affermazione del Tribunale non pu� essere condivisa. Ci riportiamo 
a quanto sul punto � stato espresso nella nota alla sentenza 5 marzo 1981 della 
Corte di Appello di Genova pubblicata nel precedente numero di questa Rassegna 
(I, pag. 407). 
I 

! 

. I 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

bilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere, costituite anteriormente al 
6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del 
fatto, � tenuto con le modalit� stabilite dall'UIC a farne dichiarazione 
all'Ufficio stesso entro il termine del 19 novembre 1976 (tale termine � stato 
poi sostituito con quello del 3 dicembre 1976 dall'art. 1 del d.l. 19 novembre 
1976, n. 759 convertito in legge dall'art. 1 della legge 23 dicembre 1976, 
ri'. 863), nonch� a provvedere ad altri adempimenti consistenti, per quanto 
concerne ��. titoli azionari, nel deposito dei titoli stess�i, entro iJ. 19 febbraio 
1977, presso la Banca d'Italia o una banca agente (art. 11 decreto 22 dicembre 
1975 del Ministro per il commercio con l'estero), con obbligo invece 
di vendere, entro il 19 novembre 1977, quei titoli azionari che non costituiscono 
investimenti diretti ai sensi delle disposizioni valutarie. 

Il deposito dei titoli nel termine previsto per la dichiarazione (3 dicembre 
1976) fa ritenere assolto '1'obbligo della diohiarazione (quarto comma 
dell'-art. 2). 

L'ultimo comma cosi dispone: � Le disposizioni del presente articolo 
non si applicano alle persone fisiche che, alla data del 6 marzo 1976, non 
avevano la cittadinanza italiana �. 

Soggetti attivi del reato sono pertanto tutti(� chiunque�) coloro i quali 
alla data del 6 marzo 1976 avevano la cittadinanza italiana ed erano possessori 
all'estero di attivit� costituite anteriormente al 6 marzo 1976 in violazione 
delle norme valutarie vigenti al momento del fatto. 

Indubbiamente il Pofferi alla data del 6 marzo 1976 era cittadino italiano 
e indubbiamente la costituzione all'estero delle varie societ� di comodo 
avvenne in violazione della norma valutaria di cui all'art. 5 d.l. 6 giugno 
1956 n. 476 in quanto l'imputato, all'epoca sicuramente � residente �, non 
richiese la prescritta autorizzazione ministeriale n� rese la prescritta dichia� 
razione alla Banca d'Italia. 

L'art. 2 della legge n. 159/1976 � stato sostituito, dall'art. 3 della legge 

n. 689/1976, con gli artt. 2, 2-bis e 2-ter. 
L'art. 2-bis prevede che i residentL che, tramite l'interposizione di non 
residenti o la partecipazione in societ� estere, possiedono in Italia attivit� 
di qualsiasi genere costituite anteriormente al 6 marzo 1976 possono entro 
il 19 maggio 1977 rendersene cessionari senza corrispettivo, previo adempimento 
degli obblighi di cui al primo comma del precedente art. 2 dei 
quali ricorrano i presupposti. 

Tale norma offre quindi ai residenti, possessori di attivit� fittiziamente 
intestate a enti esteri, la possib1lit� di rendersi cessionari di quell'attivit� 
in alternativa all'obbligo di vendere entro il 19 novembre 1977 i titoli azionari 
delle societ� estere di comodo, obbligo sussistente ai sensi dell'art. 2 
primo comma lett. b in quanto quei titoli non costituiscono, all'evidenza, 
investimenti diretti ai sensi delle disposizioni valutarie. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Peraltro i soggetti che si trovano nelle condizioni previste dall'art. 2-bis 
restano in ogni caso obbligati -come espressamente previsto -all'adempimento 
degli obblighi di cui al primo comma dell'art. 2 e cio� alla dichiarazione 
all'UIC la cui omissione sar� sanzionata con le pene previste nello 
stesso art. 2 al quinto comma. 

La tesi difensiva secondo la quale la violazione del disposto di cui 
all'art. 2-bis non pu� essere assimilata alla violazione del disposto di cui 
all'art. 2 si basa sull'erronea considerazione che l'art. 2-bis imponga prescrizioni 
distinte da quelle previste dall'art. 2: la norma invece si limita 
a concedere a determinati soggetti, che abbiano adempiuto ai prescritti 
adempimenti, una possibilit� in alternativa alla vendita dei titoli. azionari 
esteri. 

Per completezza d'indagine suhle fontri. normative � appena da rilevare 
che l'art. 1-bis del dJ. 4 marzo 1976, n. 31, quale risulta nel testo della legge 

n. 863/1976, prevede indubbiamente la qualit� di �residente� per il soggetto 
attivo del reato di fittizia intestazione a persone giuridiche o enti 
esteri di beni o attivit� esistenti in Italia. Ma tale norma all'evidenza riguarda 
condotte successive alla data d'entrata in vigore della legge mentre le 
situazioni esistenti a quella data trovano regolamentazione nelle disposi-. 
zioni gi� esaminate. 
Per quanto poi riguarda il problema della residenza in relazione agli 
addebiti di illecita costituzione di disponibilit� all'estero (capo e) il Tribunale 
osserva: 

L'art. 1d.l.4 marzo 1976, n. 31, nel testo finale contenuto nell'art. 2 legge 
23 dicembre 1976, n. 863, prevede, nel primo e secondo comma, due distinte 
fattispecie di reato: l'illecita esportazione di valuta, titoli azionari od obbligazionari, 
titoli di credito ovvero altri mezzi di pagamento; l'illecita costl.tuzione 
fuori del territorio dello Stato di disponibilit� valutaria o attivit� 
di qualsiasi genere. 

Soggetto attivo del reato pu� essere � chiunque � secondo la formulazione 
letterale della norma. 

Trattasi per� solo in apparenza di un reato c.d. comune: invero la condotta 
dell'agente diviene illecita solo quando sussiste la necessit� dell'autorizzazione 
prevista dalle norme in materia valutaria. � di tutta evidenza, 
ad esempio, che non potrebbe ritenersi responsabile di illecita costituzione 
di disponibilit� valutarie lo straniero residente all'estero che nella propria 
patria tale costituzione attui. La ratio della normativa valutaria � chiaramente 
quella di impedire il trasferimento all'estero di denaro o beni derivanti 
da una qualsiasi attivit� produttiva di ricchezza esistente in Italia. 
Invero anche lo straniero che esporti dall'Italia valuta deve essere ritenuto 
responsabile del reato previsto dal primo comma dell'art. 1 qualora l'esportazione 
avvenga senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia 
valutaria. 

I 

I 


1: 

PARIB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Dalla necessit� di previsione di autorizzazione perch� la costituzione 
all'estero di disponibilit� valutarie o attivit�, avvenuta senza autorizzazione 

o con autorizzazione indebitamente concessa, costituisca reato deriva la 
conseguenza che soggetti attivi del reato possano essere soltanto i �residenti
� quali definiti, trattandosi di reati valutari, dall'art. 1 d.l. 6 giugno 
1956, n. 476 e dal decimo comma,dell'art. 1 dJ. n. 31/1976 nel testo sostituito 
dall'art. 2 legge n. 863/1976. 
In base a tali norme sono da considerarsi � residenti � le persone fisiche 

di nazionalit� italiana: 
a) aventi la residenza nel territorio della Repubblica; 
b) aventi la residenza all'estero limitatamente ,all'attivit� produttrice 

di redditi esercitata nel territorio della Repubblica. 

Devono peraltro ritenersi residenti all'estero le persone fisiche di nazionalit� 
italiana che, pur conservando la residenza anagrafica in Italia, hanno 
svolto lavoro dipendente o artigianale all'estero, limitatamente per� alle 
disponibilit� ed attivit� ivi costituite durante tale periodo con i proventi 
del lavoro medesimo. 

Emerge pertanto in modo indubbio la qualit� di � residente � del 
Pofferi, nella definizione prevista dalla normativa valutaria, in quanto trattasi 
di persona fisica di nazionalit� italiana la quale, ammesso e non concesso 
che al momento del fatto non avesse pi� la residenza nel territorio 
della Repubblica, ebbe a costituire a proprio favore, fuori del territorio 
dello Stato, disponibilit� valutarie provenienti da attivit� produttrice di 
redditi esercitata nel territorio della Repubblica (omissis). 

Venendo quindi alla determinazione della pena da infliggere agli imputati 
il Tribunale deve preliminarmente risolvere il problema relativo alla 
qualificazione da attribuire all'ipotesi di reato concernente l'omessa dichiarazione, 
entro il 3 dicembre 1976, all'UIC di disponibilit� valutarie o attivit� 
di valore superiore ai 15 milioni di lire: si tratta cio� di stabilire se tale 
fattispecie integri un'ipotesi autonoma di reato o se invece sia da ritenersi 
circostanza aggravante del reato base costituito dall'omessa dichiarazione 
di disponibilit� o attivit� di valore non superiore ai 15 milioni. 

La soluzione di tale problema � di piena rilevanza nel caso in esame 
in conseguenza dell'avvenuta concessione al Fantoni di attenuanti e, idi 
conseguenza, della necessit� del giudizio di comparazione tra le concesse 
attenuanti e le aggravanti eventualmente sussistenti. 

Il Tribunale non ignora che la giurisprudenza, sia di merito che della 

S.C., � orientata nel senso di ritenere come fattispecie aggravate le previ


sioni normative dei vari provvedimenti legislativi riguardanti la materia 

valutaria succedutisi nell'anno 1976 l� dove viene prevista una pena superio


re, ed anche di specie diversa, in dipendenza del maggior valore dei beni 

oggetto del reato. Si � in particolare ritenuto che configuri un'aggravante 


626 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
la previsione del terzo comma dell'art. 1 del d.l. n. 31/1976, convertito con 
legge n. 159/1976, peraltro nel testo anteriore alla sostituzione contenuta 
nell'art. 2 della legge n. 863/1976 (Cass. sez. III, 18 giugno -7 novembre 1979, 
mancardi). 
Si sostiene infatti che la diversit� nell'entit� del valore dei beni, alla 
quale corrisponde diversit� di sanzione, non pu� ritenersi, rispetto al reato 
base, un elemento specializzante, idoneo quindi a configurare un reato autonomo, 
in quanto non comporterebbe alcuna� variazione rispetto alla conformazione 
tipica del reato ma solo una variazione quantitativa della lesione 
del bene protetto. 

L'omessa dichiarazione all'UIC delle disponibilit� estere � stata per 
la prima volta prevista come reato dall'art. 2 della legge n. 159/1976 e sanzionata 
con rinvio alle punizioni previste nell'art. 1 del d.l. n. 31/1976. 

L'art. 2 della legge n. 159/1976 � stato poi sostituito integralmente dall'art. 
3 della legge n. 689/1976. Nella nuova formulazione la sanzione � prevista 
in modo espresso: �Chi non osserva le prescrizioni stesse � punito 
con la multa fino a lire 500 mila ovvero, se la violazione si riferisce a 
disponibilit� o attivit� di valore superiore a 15 milioni di lire, con la 
reclusione da uno a sei anni e con la multa fino al quadruplo del predetto 
valore�. 

Non risultano al Tribunale precedenti giurisprudenziali concernenti 
espressamente l'interpretazione di tale normativa. 

Osserva il Tribunale, in via generale, che l'interpretazione della legge 
deve essere effettuata sulla base dei due canoni previsti dall'art. 12 delle 
disposizioni �sulla legge in generale: il significato proprio delle parole 
secondo la connessione di esse e l'intenzione del legislatore. 

Costituisce pertanto inaccettabile petizione di principio il ritenere in 
ogni caso elemento aggravante e non specializzante 'l'entit� del valore 
dei beni prescindendo dall'applicazione dei canoni obbligatori nell'interpretazione 
della legge. Tale rilievo assume particolare rilevanza in relazione 
al testo l~gislativo in esame.. 

Invero, con riguardo al significato proprio delle parole, il Tribunale 
rileva che � ovvero � � congiunzione che serve ad opporre al discorso precedente 
ed � sinonimo di � o al contrario �~ � o invece �. La norma in 
esame pu� e deve pertanto essere letta in questa formulazione: �Chi non 
osserva le prescrizioni stesse � punito con la multa fino a lire 500 mila 

o al contrario, se la violazione si riferisce a disponibilit� o attivit� di 
valore superiore a 15 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni 
e con fa multa fino al quadruplo del predetto valore �. 
Appare quindi evidente che il maggior valore, superiore ai 15 milioni, 
si pone come elemento in opposizione a quello inferiore ai 15 milioni 
e pertanto di piena rilevanza ai fini di una specifica caratterizzazione della 
fattispecie criminosa. 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

D'altra parte l'enorme divario di pena esistente tra la prima ipotesi multa 
fino a 500 mila lire -e la seconda -reclusione da uno a sei 
anni e multa fino al .quadruplo del valore dei beni -costituisce elemento 
univocamente sintomatico della volont� del legislatore di una diversa 
punizione tra fattispecie criminose essenzialmente diversificate tra loro 
proprio in relazione alla diversa entit� della lesione cagionata all'economia 
nazionale. 

Su1la effettiva intenzione del legislatore depone anche un altro ordine 
di considerazioni: l'art. 2 della legge n. 863/1976 ha modificato la disciplina 
delle sanzioni quale prevista nel precedente art. 1 d.l. n.. 31/1976 
per i reati di illecita esportazione ed illecita costituzione di attivit� all'estero; 
per il reato � base � � in ogni caso prevista la pena della reclusione 
da 1 a 6 anni e della multa dal doppio al quadruplo dei beni; se il valore 
dei beni non supera i 5 milioni la pena � della multa dalla met� al triplo. 
La dottrina e la giurisprudenza (cfr. gi� citata sentenza della Cass. sez. III) 
concordano nel ritenere che, in virt� di tale modifica legislativa, il valore 
dei beni abbia perduto il ruolo di elemento circostanziante ed assunto 
quello di base per la determinazione della multa congiunta in ogni caso 
alla reclusione. 

Quello che importa rilevare in questa sede � l'opinione comune, sia 
in dottrina che in giurisprudenza, che il legislatore sia stato indotto 
a quella modifica proprio per opporsi all'orientamento giurisprudenziale, 
affermatosi nel vigore della precedente normativa, che consentiva il giudizio 
di comparazione tra le attenuanti e l'aggravante del valore superiore 
ai cinque milioni; il che sostanzialmente equivale a riconoscere che, anche 
in precedenza, l'intenzione del legislatore era quella di considerare il 
reato � pi� grave � come fattispecie a se stante. La considerazione assume 
tanto maggior rilievo se si tien presente che la norma che stiamo 
esaminando (�Chi non osserva... ovvero... �) � stata emanata in una data 
(ottobre) di poco anteriore a quella (dicembre) della norma ritenuta innovatrice. 


In base alle esposte considerazioni il Tribunale ritiene di affermare 
che l'omessa dichiarazione di disponibHit� valutarie o attivit� superiori 
ai 15 milioni di lire, come prevista dall'art. 2 legge 159/1976 nel testo 
sostituito dall'art. 3 legge 689/1976, costituisce un'ipotesi autonoma di 
reato e non una circostanza aggravante: non � pertanto aminissibile 
il giudizio di comparazione con [e ,attenuanti concesse al Fantoni (omissis). 

Ai fini della quantificazione della pena pecuniaria da infliggere agli 

imputati il valore delle attivit� pu� essere convenientemente ritenuto 

corrispondente al valore nominale delle azioni delle societ� italiane delle 

quali le societ� estere erano apparenti titolari, valore gi� indicato nei capi 

d'imputazione. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

TrattandosJ di infrazioni punite con pena proporzionale il valore delle 
attivit�, pur nella ritenuta continuazione tra i vari reati ascritti al Pofferi, 
deve essere determinato ai fini della pena in base alla somma degli 
importi indicafil nei capi d'imputazione. Il minimo edittale della multa 
con riferimento ai capi a), e), d) � pertanto di lire 2.873.128.900; con rifer�� 
mento ai capi e) ed alla prima ipotesi di reato contestata sub f), � di 
lire 63. 977.474 tenuto conto che per i reati oggetto di tali capi il minimo 
della multa � pari al doppio del valore delle disponibilit� costituite 

o 
esportate all'estero. 
Complessivamente pertanto il minimo della multa risulta pari a 
lire 2.937.106.374. 
Tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. -in particolare 
della rilevante gravit� dei reati e della loro pluralit� e delle condizioni di 
vita sociale dell'imputato -ritenuto in concreto come reato pi� grave 
quello di cui al capo e), il Tribunale considera di giustizia condannare il 
Pofferi alla pena di anni quattro di reclusione (a. 2 m. 6 pi� 81 cod. pen. 
uguale a. 4) e di lire 3 miliardi di multa; il Fantoni alla pena di un anno 
di reclusione e di lire 260.000.000 di multa (a. 2-62 n. 6 cod. pen. uguale 

a. 1 m. 6-62-bis uguale a. 1; 575.000.000-62 n. 6 uguale 390.000.000-62-bis uguale 
260.000.000). 
I reati di omessa dichiarazione all'UIC entro il 3 dicembre 1976 delle 
attivit� estere sono da ritenersi reati di omissione istantanei: l'obbligo 
della dichiarazione doveva essere adempiuto entro quel termine scaduto 
il quale il reato � da ritenersi perfetto. I reati di cui ai capi e) ed f) -prima 
ipotesi -devono ritenersi consumati al momento dell'acquisita disponibilit� 
all'estero delle somme e della esportazione delle azioni e cio� nel 
corso dell'anno 1977. Ne consegue l'applicabilit� del d.P.R. 4 agosto 1978, 

n. 413: deve pertanto dichiararsi condonata la pena inflitta al Pofferi nei 
limiti di due anni di reclusione e di lire 2.000.000 di multa; totalmente 
condonata la pena detentiva e, nel limite dei due milioni, quella pecuniaria 
inflitte al Fantoni. 
Venendo quindi al problema concernente l'applicabilit� delle sanzioni 
di carattere amministrativo quale pena accessoria il Tribunale osserva 
che non � prevista l'irrogazione di tali sanzioni per il reato di omessa 
dichiarazione all'UIC di disponibilit� o attivit� costituite all'estero. 

Invero l'art. 1 della Jegge 30 aprile 1976, n. 159 (legge di conversione 
con modificamoni del d.1. 4 marzo 1976, n. 31), tra l'altro, cos� 1dispone:

1

�l'art. 8 (del d.I. n. 31) � sostituito dal seguente: �Art. 8 -Ai fatti previsti 
come reato dal presente decreto legge, si applicano anche dal giudice 
penale, quale pena accessoria, le sanzioni di carattere amministrativo 
previste dalle disposizioni vigenti �. 

Nel dJ. 4 marzo 1976, n. 31 non era ancora stata formulata fa previsione 
della fattispecie criminosa costituita dall'omessa dichiarazione 

! 


! 

~ 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 629' 

all'UIC introdotta proprio dalla legge n. 159/1976 con J'art. 2. In tale 

articolo l'inosservanza dell'obbligo della dichiarazione � sanzionato con 

rinvio alle punizioni previste nell'art. 1 del d.l. n. 31 e si prevede anche 

l'applicabilit� degli artt. 2, 4 e 5 del d.l. ma non anche dell'art. 8 cio� di 

quella norma che impone al giudice l'irrogazione, quale pena accessoria, 

delle sanzioni amministrative. 

In ogni caso l'art. 2 della legge 159/1976 nel testo attuale (quale cio� 

risultante dalla sostituzione operata dall'art. 3 della legge n. 689/1976} 

prevede, senza alcun rinvio, le sanzioni applicabili al reato di omessa 

dichiarazione all'UIC; non prevede per� l'applicabilit� di sanzioni di 

carattere amministrativo. 

Tali sanzioni sono invece indubbiamente applicabili per i reati di 

illecita esportazione e costituzione di disponibilit� all'estero previsti dal�� 

l'art. 1 del d.l. n. 31/1976 quale sostituito dall'art. 2 della legge n. 863/19'76 

(capi e ed f prima ipotesi) trattandosi appunto di fatti previsti come reato 

da quel d.l. 

Sostiene la difesa del Pofferi l'avvenuta prescrizione di tali sanzioni 

amministrative per decorso, dal giorno della commessa violazione, del 

termine dei 5 anni previsto dall'art. 17, primo comma, della legge 7 gen


naio 1929, n. 4. 

La tesi difensiva � palesemente infondata in quanto l'irrogazione delle 

sanzioni amministrative � effettuata dal giudice penale, come espressa


mente enunciato nell'art. 8 del d.l. n. 31, a titolo di pena accessoria. 

� pertanto evidente che la prescrizione prevista per le sanzioni aminini


strative, come tali, non pu� ritenersi applicabile attesa la diversa natura 

-di pena accessoria -che tali sanzioni vengono ad assumere al momen


to dell'applicazione da parte del giudice penale. 

Nella fattispecie pertanto devono essere applicate, a titolo di pena 

accessoria, le sanzioni amministrative in relazione all:a 'ritenuta responsa


bilit� del Pof:feri per i reati sub e) ed f) -prima ipotesL 

Per le violazioni deHe norme irn materia valutaria l'art. 2 ir.dJ. 5 dicem


bre 1938 n. 1928 -convertito 'con Jegge 2 giugno 1939 n. 739 -prevede una 

pena pecuniaria, non superiore ru quintuplo del valore dei beni che costi


tuiscono l'oggetto deHa viiolazione. 

Nella fattispecie il valore dei beni ammonta complessivamente a 

lire 31.988.737. Ritiene il Tribunale di determinare nella somma di lire 

60.000.000 l'importo della pena pecuniaria da applicare quale pena accessoria. 
Venendo quindi all'esame del problema concernente l'eventuale confi. 
sca dei titoli in sequestro il Tribunale osserva che non � prevista la confisca 
obbligatoria per il reato di omessa dichiarazione all'UIC di disponibilit� 
valutaria e attivit� costituite all'estero. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'art. 2 della legge n. 159/1976, nell'originaria formulazione, sanzionava 
l'omessa dichiarazione, come gi� notato, con rinvio alla punizione 
prevista nell'art. 1 del dl. n. 31/1976. In tale articolo era prevista -e lo � 
tuttora nella nuova formulazione ex art. ~ legge 863/1976 -la confisca 
obbligatoria. 

Non par dubbio al Tribunale che, in base a quel rinvio, la confisca 
obbligatoria fosse applicabile all'omessa dichiarazione all'UIC dovendosi 
ritenere ricompresa nell'espressione� � ... �. punito a norma dell'art. 1 del 
decreto legge... � ogni previsione sanzionatoria, sia come pena principale 
che come misura di sicurezza, contemplata in detto articolo. 

L'art. 2 della legge 159/1976 � stato per� sostituito integralmente 
dall'art. 3 della' legge n. 689/1976. Nel nuovo testo non � prevista la confisca 
obbligatoria e non � contenuto alcun rinvio ad altre norme s� da consentire, 
in via indiretta, un tale provvedimento. 

Osserva peraltro il Tribunale che potrebbe trovare applicazione nella 
fattispecie, in relazione alle azioni delle quali � stato disposto il sequestro, 
il provvedimento di confisca facoltativa, quale previsto dall'art. 240 
cod. pen. 

Invero, l'omessa dichiarazione all'UIC ha consentito agli imputati 
di conservare, attraverso la titolarit� delle azioni delle societ� estere 
� di comodo � -azioni che invece avrebbero dovuto essere vendute entro 
il 19 novembre 1977 -fa propriet� nelile partecipazioni azionarie delle 
imprese italiane. � quindi indubbio che tali partecipazioni azionarie, che 
sono quelle in sequestro, debbano essere considerate come il profitto del 
commesso reato. 

Non ritiene comunque il Tribunale di adottare il provvedimento di 
confisca facoltativa sia tenuto conto della possibilit� prevista per gli 
imputati, ex art. 2-bis legge 159/1976, di rendersi cessionari dei beni (sempre 
che il Pofferi avesse dimostrato quel che attualmente si affanna 
a negare e cio� lo status di �residente�); sia perch� trattandosi di una 
misura di sicurezza, cio� di provvedimento diretto a prevenire la commissione 
di nuovi reati, non sembra che il possesso di quelle azioni 
potrebbe aver l'effetto di mantenere viva negli imputati l'idea e l'attrattiva 
per azioni delittuose (omissis). 


PARTE SECONDA 



QUESTIONI ** 


DEPENALIZZAZIONE E DECRIMINALIZZAZIONE 
NEL DIRITTO COMPARATO(*) 


SOMMARIO: 1) Premessa. -2) La legge 689/81 come legge di riforma. 
-3) Riforme penali e crisi della societ� e de11o Stato: A) l'et� della 
criminalizzazione ... -4) ... B) L'et� della decriminalizzazione. -5) Le 
grandi linee della decriminalizzazione e le relative filosofie. -6) Decriminalizzazione 
de facto e de iure. Sistemi sostitutivi. -7) Considerazioni 
conclusive. 

1) Ringrazio, innanzitutto, il Presidente Sargentini per l'invito a partecipare 
a questa Tavola rotonda, dedicata ad un problema di cos� viva attualit�. 
Subito dopo, credo di dover dare due chiarimenti preliminari ai miei 
cortesi ascoltatori: il primo � terminologico, in quanto, in tema di depenalizzazione 
e di decriminalizzazione, vi � grande confusione di lingue. 
Il nostro legislatore, con scarso rispetto per il valore semantico dei termini, 
attribuisce a quello di depenalizzazione il significato di sostituzione di una 

sanzione penale con una sanzione amministrativa. 

Per la dottrina dominante la decriminalizzazione comporterebbe, invece, 
la sola elisione della sanzione penale, mentre la depenalizzazione implicherebbe 
la piena liceizzazione del comportamento decriminalizzato. 

Secondo il Consiglio d'Europa, infine, la decriminalizzazione comporterebbe 
la soppressione della sanzione penale (segua o meno una sanzione sostitutiva) 
mentre la depenalizzazione comporterebbe un � addolcimento � 
nell'ambito del sistema penale (1): riduzione quantitativa o qualitativa della 
sanzione o derubricazione del reato (ad es. da delitto a contravvenzione). 

Io seguir� il legislatore italiano, parlando di decriminalizzazione 
quando non venga pi� irrogata la sanzione penale per un fatto che in 
passato era penalmente perseguito e, pi� in generale, per ogni contra


(*) Il presente scritto � la trascrizione -arricchita di note a pi� di pagina della 
relazione svolta alla Tavola Rotonda intitolata alle � Sanzioni amministrative 
-Nuovi aspetti e procedure introdotti dalla legge n. 689 del 24 novembre 
1981 � tenutasi a Roma, 1'8 luglio 1982, ad �iniziativa della Camera di commercio, 
industria, artigianato e agricoltura di Roma. 

(1) Consiglio d'Europa: Report on decriminalisation, Strasburgo, 1980, 13 ss. 
(**) Questa seconda parte della rivista -istituzionalmente destinata alla 
pubblicazione di articoli che esprimono solo il pensiero dei loro autori, come 
tale non riferibile alla pubblicazione di servizio -� aperta al graditissimo contributo 
di colleghi dell'Avvocatura o del libero foro, di docenti, di magistrati e di 
ogni altro operatore del diritto. 

Ogni volta che ci� risulter� utile e possibile si provveder� anche a mettere a 
confronto diverse opinioni ed a segnalare quella dell'Istituto con nota di commento 
o� con la pubblicazione di scritti difensivi che enuncino le tesi sostenute in 

giudi2lio. 



1.26 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione del sistema repressivo penale; di depenalizzazione quando a ci� 
si accompagni l'istituzione di una sanzione non penale. 

Il secondo chiarimento � metodologico, ed � un chiarimento sul titolo 
della mia Relazione che sembra indicare un approccio alquanto vago, 
lontano ed ampio rispetto al tema della Tavola rotonda. 

Dico tutto questo non certo per fare una premessa di carattere dogmatico-
classificatorio -me ne guaiiderei bene! -ma solo per confessare 
un mio peccato di presunzione. 

Quando mi � stato chiesto di riferire sull'argomento ho pensato che 
avrebbe .potuto essere interessante una valutazione globale della legge, 
nella sua interezza di �corpus�, normativo ed in tal senso ho preso 
il mio impegno. 

Poi, passato ad analizzare pi� da vicino i problemi che questa comportava, 
mi sono reso conto che un discorso unitario su di essa, per 
quanto sommario e descrittivo, sarebbe andato ben oltre i limiti 'di ogni 
pur benevola capacit� di ascolto. 

Come accade quando si voglia rimpicciolire un oggetto di grandi 
dimensioni per abbracciarlo con un solo colpo d'occhio ho dovuto, quindi, 
arretrare il punto di osservazione, cercando di cogliere fra le varie 
parti della legge il momento unificante, il comune denominatore, per collocarlo 
in un quadro di insieme. 

Naturalmente un approccio di questo tipo, a grande distanza, deve 
rinunciare a dettagli e sfumature, privilegiare il generale sul particolare 
e contentarsi, molte volte, di semplificazioni, schematizzazioni ed approssimazioni. 
Se~plificazioni ed approssimazioni di cui vi chiedo sin d'ora 
di scusarmi. 

2. Il momento unificante della legge non � d'altronde difficile da trovare 
e, come non sempre accade, � felicemente sintetizzato dal suo 
titolo: �modifiche al sistema penale�. 
Si tratta di modifiche assai incisive, perch� il testo si presenta come 
un ampio e ben articolato ventaglio di scelte legislative. Vi � in primo 
luogo una imponente depenalizzazione, estesa tendenzialmente a tutte 
le infrazioni punite con la sola pena pecuniaria. . 

Il legislatore si � posto, cos�, sulla scia dei precedenti del '67 e del 

'75 (leggi 3 maggio 1967, 111. 317 e 24 dicembre 1975, n. 706). 

Se una critica pu� essere fatta in proposito � quella di un certo qual 
pigro tradizionalismo: invece di operare �selettivamente, individuando i 
reati da depenalizzare secondo indici differenziati di disvalore attuale, 
il legislatore si � mosso su di un piano quantitativo e formalistico, avallando 
praticamente valutazioni comparative di disvailore non pi� consone 
con i tempi (1). 

(1) S. LuuzZA: Profili critici della politica di depenalizzazione, Riv. it. dfr. 
proc. pen. 1981, 62. 

PARTE II, QUESTIONI 127 

Seconda importante innovazione � la contestuale introduzione di un 
sistema sanzionatorio amministrativo altamente procedimentizzato che 
costituisce la prima disciplina organica della materia nel diritto italiano 
e che si pone come un vero e proprio sottosistema punitivo. 

Importantissima in proposito la puntualizzazione dei princ�pi che 
reggono l'illecito amministrativo e che sono, in via tendenziale, desunti 
da quelli dell'ilileoito penale, quali il principio di �legalit�, di irretroatti� 
vit�, di riserva di legge, ecc. con marginali differenze ed una sostanziale 
diversit�: l'ammissione di una possibile responsabilit� oggettiva da rischio 
d'impresa, modellata sulla falsariga dell'art. 2049 cod. civ. Il che risponde, 
da un lato, ad una precisa linea evolutiva che prevede, nel diritto civile 
della nuova societ�, il progressivo emergere di un principio di responsabilit� 
oggettiva accanto od in luogo di quella per colpa (1). Contrasta, 
dall'altro, con il carattere genuinamente �punitivo� della sanzione amministrativa. 
Pi� coerentemente, infatti, nel sistema tedesco -che costituisce 
il modello pi� completo di sistema sanzionatorio amministrativo la 
responsabilit� oggettiva � esclusa (2). 

Altra grande innovazione � la introduzione di sanzioni sostitutive 
alla detenzione, quali la semidetenzione (che consiste nel trascorrere 
parte della giornata in apposito istituto) e la libert� controllata (assai 
simile nei contenuti alla libert� vigilata) al fine di eliminare le detenzioni 
brevi che sono ad un tempo causa del sovraffollamento carcerario 
(il 40 % dei detenuti sconta pene lievi), inutili sotto il profilo della prevenzione 
generale e dannose sotto quello della prevenzione speciale. 

L'innovazione � chiaramente ispirata da felici esperienze straniere, 
quali fa � probation � dei paesi di cultura anglosassone, consistente in 
una condanna sospesa condizionatamente all'osservanza di spe<?iali obblighi, 
sorvegliata da un � probation officer �; la � diversion �, sorta negli 

U.S.A. nei primi anni '70, consistente nella sospensione dell'azione penale 
dietro l'impegno di partecipa�re a programmi di. riabilitazione; il � Community 
Service � inglese, introdotto nel 1972 e consistente nella sostituzione 
di una pena detentiva con lavori di utilit� sociale (3); la � transac(
1) S. Rooor�: Il problema della responsabilit� civile, Milano, 1964; G. ALPA: 
Teorie e ideologie nella discplina dell'illecito, Riv. trim. dir proc. civ. -1977, 811 ss.; 
P. TRIMARCHI: Rischio e responsabilit� oggettiva, in Atti del Convegno sulla 
responsabilit� del produttore e la tutela dell'ambiente, 17-18 dicembre 1976; 
Corte di Appello di New York 8 aprile 1976, Micallef v/ Miehle co., in Foro it., 
1977, IV, 460 con nota di G. ALPA; Cass. 25 maggio 1964, n. 1270; G. ALPA e M. 
BESSONE: La responsabilit� del pro�uttore, Milano, 1976. 
(2) E. DoLCINI-C. PALIERO: I principi generali dell'illecito amministrativo nel 
disegno di legge: � modifiche al sistema penale�, in Riv. it. dir. proc. pen. 80, 
1154 ss. 
(3) G. GUARNIERI: Riflusso nell'evoluzione del diritto penale in Italia ed 
all'estero, in Riv. it. dir. proc. pen. 1981, 1271. 

:128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tion � francese consistente nella rinuncia all'azione penale dietro paga.
mento di somma di denaro o .assunzione di un obbligo di fare (in materia 
di reati forestali) (1). 

Ancora pi� rivoluzionario, se possibile, il regime del � patteggiamento
� introdotto dall'art. 77 sulla falsariga dei sistemi anglosassoni, che 
.consente all'imputato di chiedere, prima del giudizio, l'applicazione di 
una misura sostitutiva. L'istituto sconvolge non pochi dei princ�pi del 
nostro ordinamento, primi fra tutti quello .di indisponibilit� del processo 
penale, il principio �nulla poena sine judicio �, e la regola di giudizio 
.stessa del nostro processo penale. 

Si tratta di un � trapianto � piuttosto brusco di un istituto quanto 
mai lontano dalla nostra tradizione che rischia forse di generare de1le 
reazioni di rigetto. 

Altro contenuto importante della legge � l'estensione del numero dei 
reati perseguibili a querela, che rappresenta un classico strumento di 
.decriminalizzazione di tipo processuale e l'introduzione di nuove effica
�cissime pene accessorie, quali l'interdizione dagli uffici direttivi delle 
persone giuridiche e delle imprese, l'incapacit� di contrattare con la pubblica 
amministrazione e l'interdizione daU'emissione di assegni. Si tratta 
..cli misure che hanno una rilevante efficacia di prevenzione speciale e che, 
.in alcuni Paesi, come in Francia, sono adottati addirittura come pene 

principali (2). 

Si tratta quindi, come pu� vedersi anche da tale sommarissimi accenni, 
di una radicale riforma che si muove, nel senso della storia, nell'alveo 
�di un generale processo di decriminalizzazione. N� con ci� contrasta la 
modesta criminalizzazione disposta dal Capo Il, in quanto trattasi soprattutto 
della ricriminalizzazione di ipotesi di reati economici depenalizzati 
nel '75 e poco avvedutamente, perch� riconoscibili come �delitti dei colletti 
bianchi � di qualche gravit�. 

3. La riforma mira, dunque, a curare quella che fu felicemente definita 
.dal Frank l'� ipertrofia del diritto penale�, comune, in certo periodo 
storico, a tutti i paesi dell'occidente industrializzato, molto pi� legati 
fra loro nei grandi corsi e ricorsi del mutare delle istituzioni di quanto 
.spesso non si pensi. 

La sanzione penale -ha detto il Packer -� ad un tempo la principale 
garanzia e la principale minaccia della libert� umana. 
II diritto penale, sostanziale e processuale, � infatti espressione di un 
bilanciamento, di un punto di equilibrio fra principio di autorit� e prin


(1) C.E. PALIERO: Note sulla disciplina dei reati � bagatellari �, in Riv. it. 
..dir. proc pen. 1979, 976. 
(2) M. SINISCALCO: Dalla depenalizzazione di illeciti penali alla formazione 
..di un sistema, in Riv. it. dir. proc. pen. 1981, 3 ss. 

PARTE II, QUESTIONI 129 

c1p10 di libert�: punto di equilibrio in continuo spostamento e assestamento 
secondo il mutare della societ� e delle sue strutture economiche 
e politiche (1), di cui � un �indicatore� quanto mai preciso. 

Le sue sostanziali variazioni -e quella introdotta dalla legge 689/81 
lo � certamente -rispondono, quindi, sempre alle � grandi crisi � della 
societ�; alle radicali trasformazioni dello Stato e del diritto. 

Orbene, dopo due grandi crisi di trasformazione che, pur diverse fra 
loro, hanno condotto allo stesso risultato di una imponente criminalizzazione, 
proseguita senza sosta per circa un secolo e mezzo, ne attraversiamo 
adesso una che vede muovere il pendolo nel senso inverso, prevalendo 
la linea di pensiero che vuole il ri.corso alla sanzione penale solo come 

extrema ratio. 

La prima grande crisi cui mi riferisco � quella che port� al passag� 
gio dallo stato assoluto allo stato liberale e che fu caratterizzata -con 
apparente contraddittoriet� -da un imponente fenomeno di � criminalizzazione. 


Ci� f.u dovuto a due concomitanti ragioni: la prima fu la giurisdizionalizzazione 
degli illeciti di polizia, come conseguenza (( garantista � dell'abolizione 
del potere punitivo dell'Amministrazione e attribuzione al 
giudice penale di tutta una serie di cause prima trattate da corti ammi� 
nistrative (2). La seconda fu la creazione dell'istituto penitenziario e della 
pena della detenzione. 

Nell'Ancien R�gime, infatti, le sanzioni criminali -a parte le minori 
pene corporali -erano la morte e la deportazione: la prigione come isti� 
tuzione nasce con i lumi del '700 come sanzione ragionevole, umanitaria 
e filessibile (3). 

Ci� comport� l'assoggettamento a ~anzione penale di molti comportamenti 
prima esenti da pena perch�, anche in tempi non certo teneri, non 
erano considerati tanto gravi da poter flSSere puniti con l'esilio o la 
morte. Fu. allora che nacquero -per non citarne che alcuni -i reati di 
truffa, falso, falsa testimonianza, diffamazione; fu allora che si deline� 
nella sua attuale fisionomia il reato di furto, in una ondata di intensa 
criminalizzazione non certo compensata dalla decriminalizzazione di 
comportamenti come la stregoneria e la lesa maest� (4). 

La seconda grande crisi � quella �he port� al passaggio dallo Stato 
liberale allo Stato sociale. 

(1) W. MILLER: ldeology and Criminal Justice Policy, in Alternatives to 
prison; Goodyear pub., 1975, Pasadena, pag. 26 ss. 
(2) C.E. PALIERO: Note sulla disciplino 4.ei reati � bagatellari >>, in Riv. it. dir. 
proc. pen., 1979, 920. 
(3) L. EMPREY, Correctional History in Alternatives to Prison, cit., 124 ss. 
(4) Consiglio d'Europa, in Report... cit., 55-56. 
14 



130 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

L'intervento sempre pi� incisivo del pubblico potere in speciali set� 
tori, soprattutto economici, comport� il sorgere di normative speciali 
la cui osservanza si trov� comodo garantire con fa sanzione penale (1), 
a volte solo per pigrizia mentale del legislatore, a volte per la pi� o meno 
confessata ragione -da condannare per la sua visione grettamente monetaristica 
-che il garantire l'effettivit� di un precetto con la comminatoda 
di sanzioni penali non comporta �nuove o maggiori spese� (2), per far 
fronte alle quali occorra reperire nuovi mezzi finanziari. Comporta, per�, 
dei costi elevatissimi in termini sociali: con felice immagine il sistema 
penale � stato, infatti, paragonato ad una lama senza manico, che ferisce 
per primo chi ['impugna. 

4. L'ondata montante della criminalizzazione si � finalmente fermata 
ai tempi �nostri e l'ora attuale vede trionfare l'opposta tendenza, come 
risposta del diritto penale a quella terza grande crisi ancora in corso 
di svolgimento, il cui inizio possiamo datare alla fine degli anni 'SO 
o all'inizio degli anni '60 e che, con terminologia alla moda (anche se 
scarsamente significativa) possiamo indicare come quella del passaggio 
dalla societ� del benessere alla societ� �postindustriale �. 
Si tratta di una crisi gravissima, autorevolmente individuata in termini 
pessimistici dalle segu�nti caratteristiche: degradazione della convivenza 
a mera coesistenza e degenerazione del pluralismo in particolarismo, 
in una societ� in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit� 
ed il rifiuto del formalismo all'irrazionailit� (3). L'umanit� appare 
dunque minacciata dai mostri generati dal sonno della ragione, in una 
situazione inquietantemente simile nelle prospettive a quella degli anni '30. 

Non a caso, in termini quasi millenaristici, Massimo Severo Giannini 
ha parlato di fine dello Stato nazionale, giunto al termine del suo ciclo 
vitale e pronto a cedere il passo -dopo un travaglio di guerre e rivolu2lioni 
prossime venture -alla Repubblica Universale (4). Crisi profonda, 
dunque, e di difficile definizione perch�, se per le prime due che abbiamo 
indicato � possibile guardare come punti di riferimento -sia pure con 
approssimazione e semplificazione riduttiva -rispettivamente alla rivoluzione 
francese ed alla rivoluzione russa ed alle idee-forza relative, per 
questa attuale fatti specifici come i moti dell'universit� di Berkeley o il 
maggio francese non sembrano sufficientemente rappresentativi, ed appaiono 
piuttosto sintomi di un grande rholgimento generale. Tentando 

(1) C.E. PALIERO, op. loc. ult. cit. 
(2) Consiglio d'Europa, in Report... cit., pag. 60. 
(3) A. FALZEA, Relazione introduttiva al Convegno di Messina del 3-8 novembre 
1981, Giuffr�, Milano 1982. 
(4) M. S. GIANNINI, Esperienza scientifica -Diritto amministrativo, Relazione 
al Convegno di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr�, Milano, 1982. 

PARTE II, QUESTIONI 131. 

di �descriverla empiricamente ed in termini meno pessdmistici, potremmo 
notare come la combinazione dell'ideale politico dello Stato del benessere 
con un fenomeno economico di crescita vistosa e prolungata, grazie 
soprattutto a lunghi anni di energia disponibile a basso costo, abbia 
portato alla civilt� consumistica di massa e, subito dopo, alla sua crisi (1). 
L'accesso di un numero enorme di persone (praticamente di tutti) a 
tutti (o quasi) i beni artificiali di consumo ha paradossalmente sottratto 
a tutti quei beni naturali che erano considerati una volta fuori commercio 
perch� � res communes omnium �: il verde, l'aria pura, il mare 
limpido (2). 

Di qui l'avvio di una reazione di recupero dei valori profondi della 
persona umana, in una forma di nuovo umanesimo che vede in ciascun 
uomo, affrancato dai bisogni materiali e dai rischi il consapevole membro 
di una societ� sostanzialmente egualitaria, partecipe dalla sua costruzione 
e del suo divenire politico ed economico (3). 

Ci� ha comportato riflessi imponenti sul piano giuridico che sarebbe 
qui fuor di luogo anche solo elencare. Limitandoci ad alcuni aspetti 
soltanto del mutamento del diritto penale, giova rilevare che la crisi 
ha determinato, da un lato, il sorgere di nuove forme di criminalit� 
economica (i c.d. delitti dei colletti bianchi, tra i quali vanno ricompresi 
anche quelli contro l'ambiente e la salute); dall'altro ha portato ad una 
ventata di rinnovamento che ha soffiato in tutti i Paesi nella direzione 
della decriminalizzazione, della depenalizzazione, dell'adozione di nuove 
tipologie sanzionatorie che muovono nella linea di tendenza di eliminare 
la reclusione di breve durata (4). In proposito da taluno si � addirittura 
proclamato che l'istituto penitenziario ha ormai fatto il suo tempo e 
dovr� presto essere totalmente sostituito con trattamenti di riabilitazione 
(5). 

Per non citare che akuni Paesi ed alcune leggi a titolo meramente 
esemplificativo, ricorderemo i nuovi codici penali' tedesco e austriaco 
entrati in vigore il 1.1.1975, la legge di riforma francese dell'll luglio 1975 
e le attuali imponenti modifiche mitterandiane in gestazione, il � Model 
penal Code� americano del 1962 e le nuove leggi penali che, sulla sua 
base, si sono dati quasi tutti gli Stati della Confederazione, il Criminal 

(1) G. MANZARI, L'Avvocatura dello Stato -esperienza professionale. Relazione 
al Congresso di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr�, Milano, 1982. 
(2) A. CESSAR!, Aspetti della crisi del diritto del lavoro, in � Sulla crisi 
del diritto� a cura di E. Simonetto, Padova, 1973; S. RooOT�, Introduzione a 
�Il controllo sociale delle attivit� private�, Bologna, 1977, 20. 
(3) G. MANZARI, op. Zoe. cit. 
(4) J. ANDENAES, Punishement and deterrence, University of Michigan Press, 
1974, 154. 
(5) M. G. RECTOR, Prefazione a � Prison inside out� di B. Alper, Bollioger 
Publishing Co. 1974, Cambridge Mass. 

132 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

~ 


Justice Act ingiese del 1972 che, tra l'altro, ha sostituito in certi casi 
la pena detentiva con lavori di utilit� sociale, il progetto di codice giapponese 
del 1974, i lavori del � Codigo penal tipo� per l'America Latina, 
la cui parte generale fu approvata a San Paolo nel 1971 (1). 

Tutto ci� sembra il riflesso di un mutato approccio p�litico e filosofico 
nei confronti della criminalit�, concepita non pi� come fenomeno marginale 
di patologia della societ� ma come manifestazione di un conflitto 
sociale razionalmente spiegabile e che razionalmente va combattuto. Di 
fronte ad esso la societ� deve reagire con i mezzi strettamente necessari 
alla tutela dell'ordine sociale (2), senza gravare n� il colpevole n� il 

Ii 


sistema pi� di quanto non sia mdispensabHe (3) sia da un punto di 
vista individuale che da quello sociale del rapporto costi-benefici, e 
soprattutto senza utilizzare lo strumento della pena per la tutela di 
valori diversi da quem della difesa sociale. 

5. Ne consegue una serie di spinte sinergiche verso una accentuata 
decriminalizzazione di quattro grandi gruppi di reati: quello in cui la 
sanzione penale si poneva a presidio di concezioni etico-religiose (segnatamente 
in tema di morale sessuale); quello in cui la sanzione mirava 
a proteggere un sistema sociale rigorosamente ordinato alla tutela di 
una classe dominante, intollerante di qualsiasi minima devianza (come 
per i casi di vagabondaggio o mendicit�); quello in cui la sanzione 
mirava a proteggere il colpevole da s� stesso (c.d. reati senza vittime, 
come il consumo di droga o il gioco d'azzardo); quello, infine, relativo 
alla criminalit� economica minore, fondato su di una configurazione non 
pi� attuale dell'istituto proprietario. 
Le relative filosofie di decriminalizzazione sono facilmente individuabili:. 
da quella pi� generica dell'umanitarismo, che esige l'eliminazione 
di afflizioni non necessarie, a quella di razionalit� che vuole punibili 
sc:Jilo fattispecie ben definite (si pu� ricovdare aJ. riguavdo l'abolizione 
del delitto di plagio in Italia). Dall'approccio medico sociale, che vede 
neM'accattonaggio e nel vagabondaggio sintomi di una malattia da curare 
e nel drogato un soggetto innanzitutto da proteggere contro gli 
effetti perversi �di un sistema punitivo inadeguato, ad un principio Hbertario 
di �secolarizzazione� del diritto penale (4), che deve svincolarsi 


da presupposti etici e religiosi, e che ha portato alla decriminalizzazione di 

(1) Cfr. H. HANS H. JESCHECK, Il significato del diritto comporato per la 
riforma penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, 803. 
(2) Consiglio d'Europa, Report... cit., 56. 
(3) H. JEsCHECK, cit. 
(4) M. ROMANO, Secolarizzazione, diritto penale moderno e sistema dei reati 
in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 477. 

PARTE II, QUESTIONI 131 

adulterio, omosessualit�, incesto, prostituzione, pornografia e simili tipi di 
reato. Da un principio di protezione della credibilit� del sistema, infine (1), 
che non pu� continuare a perseguire come reato un comportamento 
posto in essere da un numero troppo alto di consociati (come � avvenuto 
per l'aborto) ad un mutamento degli istituti di riferimento, come l'istituto 
proprietario, che ha portato in taluni sistemi, come quello tedesco 
e francese, alla decriminalizzazione di reati mdnori contro il patrimonio 
(piccoli furti nei grandi magazzini, assegni a vuoto di modesto importo, 
ecc.). 

Nell'attuale travaglio di trasformazione appare, infatti, gravissima 
la crisi del diritto di propriet�, istituto inidoneo alla tutela della sempre 
pi� importante categoria degli interessi diffusi (2) e sempre meno importante 
in un mondo in cui la vera grande ricchezza non � pi� quella 
immobiliare, ma � rappresentata da titoli azionari (3) ed � manovrata 
da soggetti diversi dai proprietari (4). Il che �rende drammaticamente 
inadeguato un sistema, quale il nostro attuale, che dedica quasi altrettanta 
attenzione al furterello della spigolatrice di spighe dopo la trebbiatura 
o al raspollatore di acini di uva dopo la vendemmia (art. 626 

c. p.) di quanta non dedichi all'autore di imponenti manovre di aggiotaggio 
(art. 501 c. p.). 
6. L'imponente ondata di decriminalizzazione de iure -cio� di espresso 
intervento del legislatore per eliminare dall'ordinamento norme penali 
-che si va cos� svolgendo, � stata preceduta (e in certa misura 
anche causata) da una decriminalizzazione �de facto�, consistente nel 
comportamento del corpo sociale nelle sue varie espressioni, ferma la 
legge vigente: omessa denuncia dei cittadini agli organi di polizia o alla 
magistratura, omesso attivarsi degli organi di polizia iri relazione a fattispecie 
minori, esercizio di un potere discrezionale cli non prosecuzione 
da parte del P.M. quando il $istema -come ad es. negli Stati Unit.i, 
in Francia ed in Belgio, con iJ � classement sans suite � -lo consente, 
adozione di interpretazioni evolutive della legge da parte del giudice (si 
pu� ricordare in proposito quella giurisprudenza italiana che derubrica 
in insolvenza fraudolenta il furto nel supermercato). 
(1) H.C. PACKER, I limiti della sanzione penale, in E. Dolcini, I limiti della 
sanzione penale -a proposito del vo~ume di H. C. Packer in Riv. it. dir. proc. 
pen., 11980, 458. 
(2) S. RooorA., Introduzione, cit. 
(3) G. KoLKO, La concentrazione del potere nelle societ� anonime in Il 
dirtto privato nella societ� moderna, a cura di S. Rodot�, Bologna, 1975, 355 ss. 
(4) R. DAHRENOORF, Propriet� e controllo: la scomposizione del Capitale in 
�Il diritto privato �, cit., 367 ss. 

' ffi

. ... .. . I 


134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A met� strada fra le due forme di decriminalizzazione, � quella 
operata nei sistemi in cui, come nel nostro, operi una Corte Costituzionale 
che possa dichiarare l'illegittimit� costituzionale di norme incriminatrici: 
oltre al caso del plagio possiamo ricordare quelli, famosi, delle 
infedelt� coniugali. 

Nella decriminalizzazione de iure, poi, possiamo distinguere tre �diverse 
ipotesi. Quella in cui il comportamento decriminalizzato non solo 
ha perso il suo originario connotato di disvalore sooiale, ma ne ha 
acquistato, anzi, uno di segno opposto, di meritevolezza; � il caso, ad 
es:, della propaganda di metodi contraccettivi, un tempo incriminata 
in molti Paesi, oggi considerata fatto auspicabile in altrettanti. 

La seconda ipotesi � quella in cui la decriminalizzazione segna il 
passaggio da un giudizio di disvalore ad un giudizio di ~ndifferenza: 
pu� essere questo il caso dei Paesi in cui � stato depenalizzato il rap


I 

porto omosessuale fra adulti consenzienti e comunque tutti i casi in 
~ 

I

cui il sistema penale stesso preveda l'assoluzione quando un comportamento, 
pur astrattamente previsto come reato, non raggiunga certe ~ 
soglie di dannosit�, pericolosit� sociale, colpevolezza, riprovevolezza e 
simili, come accade negli ordinamenti austriaco, tedesco, cecoslovacco, 
polacco e statunitense, che contengono vere e proprie � clausole gene


I

,. 
rali� di decriminalizzazione per i fatti penalmente meno rilevanti (1). 
La terza ipotesi risponde, invece, al caso in cui il comportamento 
decriminalizzato rimanga � indesiderabile � per la societ�, che deve quindi 
apprestare adeguati strumenti (non penali) di prevenzione, di controllo 
e di repressione. 
La prevenzione ed il controllo possono spesso essere attuati senza 
bisogno di inglobare i comportamenti in questione in � sistemi giuridici 
~ostitutivi >>, attraverso riforme di servizi pubblici quali l'istruzione, la 
sanit�, l'organizzazione del lavoro o attraverso sistemi di tecno-prevenzione, 
quali i sistemi di controllo elettronico nei grandi magazzini, 
sistemi antifurto in genere, sistemi di sicurezza nelle autovetture. 
Si verificano in proposito, talvolta, curiosi effetti collaterali imprevisti, 
cos� ad es., in Olanda l'imposizione del casco ai motociclisti ha 
vidotto �di oltve !H quaranta per cento i furti idi motoveicoli. 
Altre volte � necessario invece -specie per realizzare il momento 
repressivo -ricorrere a sistemi giuridici sostitutivi di quello penale: 
il sistema a cui si fa talvolta ricorso � quello civile, pi� spesso quello 
amministrativo. 
L'inconveniente maggiore della trasformazione dell'illecito penale in 
mero illecito civile �, infatti, il maggior costo deJila �reazione per fa 
vittima dell'illecito, che dovr� individuarne l'autore, anticipare le spese 

i 

(1) C.E. PALIERO, Note, cit., 956 ss. 
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I 

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PARTE II, QUESTIONI 135 

di un processo, fornire le prove del suo diritto, affrontare il rischio 
di una soccombenza. 

Ci� non accade in caso di depenalizzazione in senso stretto, cio� in 
caso di sostituzione della sanzione amministrativa a quella penale che 
appare indubbiamente la soluzione pi� appagante e completa del problema, 
caratteristica della tradizione mitteleuropea e che � stata realizzata 
con la creazione di veri e propri � sotto-sistemi punitivi � di notevole 
completezza ed organicit�, in Svizzera, Austria e, soprattutto, in 
Germania (1), e da cui il legislatore italiano ha tratto non poche ispirazioni. 


7. La legge 689/81 ha dunque adottato sincreticamente, come si � 
visto, istituti elaborati in sistemi giuridici diversi ed in svariati settori 
del sistema penale, muovendosi in sintonia con le leggi di tutti i Paesi 
civili, nella direzione di un �addolcimento� o �ammorbidimento� della 
giustizia punitiva, e ci� non solo per sfollare le carceri e smaltire l'arretrato 
giudiziario -come pure purtroppo � -ma anche perch� la risposta 
del diritto penale sia pi� adeguata alla mutata coscienza sociale, quale � 
venuta ,evolvendo nel travaglio di quella Junga crisi � interepocaJ.e � (2) 
che abbiamo vissuto e forse stiamo ancora vivendo. 
Naturalmente nulla � immutabile e presto o tardi il pendolo della 
storia riprender� vichianamente il moto in senso opposto, in coincidenza 
con altri mutamenti sociali, economici e politici. Anzi, secondo alcuni 
studiosi, questa inversione di tendenza starebbe proptio verificandosi ai 
giorni nostri (3), 'aminsegna del �riflusso�. Ma questa, come direbbe 
Kipling, � un'altra storia. 

IGNAZIO F. CARAMAZZA 

(1) E. DoLCINI-C. PALIERO, L'illecito amministrativo nell'ordinamento della 
Repubblica federale di Germania, in Riv. it. dir. pen., 1980, 1134; e.E. PALIERO, 
Il � diritto penale amministrativo �: profili comparatistici, in Riv. trim. dir. 
pubbl., 1980, 1254. 
(2) A. FALZEA, Relazione cit. 
(3) G. GuARNIERI, op. loc. cit. 

136 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

NATURA GIURIDICA DELLA COMPRAVENDITA IN DANNO 

1. La compravendita coattiva come forma di esecuzione forzata... 
2.... e come ipotesi di risoluzione contrattuale. Critica. 3. Gli orientamenti 
della giurisprudenza. 4. La compravendita coattiva come fattispecie di 
autot1J,tela privata e come mezza di adempimento della prestazione dedotta 
in contratto. 
1. Il problema della natura giuridica della � compravendita coattiva � 
disciplinata dagli artt. 1515 e 1516 cod. civ., non sembra ancora risolto 
in maniera soddisfacente dalla dottrina, sebbene le analisi sin qui compiute 
facciano registrare pluralit� di orientamenti e variet� di punti 
di vista. 
La tesi che appare prevalente tende a configurare tale istituto come 
una forma di esecuzione forzata in senso proprio, probabilmente per 
la suggestione esercitata dalla rubrica delle norme che ci interessano 
(�esecuzione coattiva per inadempimento del compratore�, ovvero 
�per inadempimento del venditore�). L'immediatezza e la spontaneit� 
di tale assimilazione non reggono tuttavia ad un pi� approfondito vaglio 
della critica. 

Per quanto riguarda la vendita in danno, infatti, non pu� parlarsi 
di una vera e propria forma di �espivpriazione mobiliare� ex art. 513 
e ss. cod. proc. civ., sia perch� il venditore agisce non gi� per conto 
proprio, ma piuttosto per conto dell'altro contraente, sia perch� mancano 
del tutto i requisiti del titolo esecutivo e del prescritto controllo 
giurisdizionale, sia perch� il venditore avr� sempre bisogno di procurarsi 
un titolo esecutivo al fine di realizzare, sul patrimonio del debitore 
inadempiente, la differenza tra il prezzo dovuto e la somma ricavata (1). 

Per quanto concerne la compera in danno, invece, � agevole convincersi 
che non si tratta di una forma speciale di esecuzione forzata 
per consegna operata per autorit� privata, perch� il compratore non 
aggredisce un bene del venditore, n� si fa consegnare cose di propriet� 
di costui, ma si procura altrove l'oggetto della sua pretesa. Ma neppure 
sembra corretto affermare -secondo una pur autorevole opinione 


(1) Per la vendita, ha per� sostenuto che si tratta di una forma di esecuzione 
forzata per espropriazione. F. FERRARA JR., Esecuzione coattiva della vendita 
commerciale, Milano, 1937, p. 75 ss., (a differenza della compera di rimpiazzo, 
che realizzerebbe un adempimento in forma specifica). Ma la tesi non ha 
avuto seguito. 

PARTE II, QUESTIONI H7 

che la compera in danno costituisce �una particolare applicazione della 
forma di esecuzione forzata specifica prevista per gli obblighi di fare 
(in senso stretto)�, regolata dallo stesso �meccanismo di quest'ultima 
figura, previsto dagli artt. 2931 cod. civ. e 612-614 cod. proc. civ. (1) �. 
Osta infatti ad una ,simile configurazione la circostanza che nella ipotesi 
della espropriazione forzata � richiesta l'esistenza di un titolo esecutivo, 
ed in quella della � compera in danno � il mero inadempimento; che 
l'esecuzione forzata si attua con provvedimento dell'autorit� giudiziaria, 
e quella coattiva ex art. 1516 cod. civ. ad iniziativa del creditore insoddisfatto; 
che l'obbligo di fare eseguibile ex art. 2931 cod. civ. si concreta 
in un facere materiale, mentre la � compera in danno� mira alla acquisizione 
di un diritto di propriet� (2). Oocorre inoltre rilevare che l'oridinamento 
processuale non prevede affatto l'eseguibilit� in forma specifica 
degli obblighi dii consegna di una cosa generica -n� ai sensi degli 
artt. 605 e ss. cod. proc. civ., n� ai sensi degli artt. 612-614 cod. proc. civ., in 
guisa che il titolo esecutivo eventuailmente costituito a riguardo si 
deve convertire in un altro avente ad oggetto l'obbligo di dare la aesti


matio rei (3); ragion per cui appare ancor meno giustificato che una 
tale possibilit� possa configurarsi proprio quando il titolo esecutivo 
manchi del tutto, e possa essere perseguita mediante le forme di esecuzione 
previste per gli obblighi di fare, piuttosto che di consegnare. 

2. In alternativa alla tesi che identifica la compravendita in danno 
con una forma di esecuzione, si � manifestata in dottrina una distinta 
opinione, secondo la quale si tratterebbe di un mezzo particolare di risoluzione 
del contratto, comprendente un modo preventivo ed automatico 
di accertamento e di liquidazione dei danni. In particolare, si sostiene 
che l'effetto risolutivo emerge dalla circostanza che la parte adempiente 
trasferisce la cosa a terzi, ovvero si procura da un terzo la cosa dedotta 
(1) In tali termini, D. RUBINO, La compravendita, nel Trattato di Diritto 
civile e commerciale, diretto da C1cu e � MEssINEO, Milano, 1952, p. 704. La tesi 
della esecuzione coattiva � stata altres� sostenuta, con varie argomentazioni, 
sotto il vigore del codice abrogato, da G. AULETIA, in Foro it., 1940, I, p. 715 ss., 
e S. PUGLIATII, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 204 ss., 
e, sotto quello vigente da F.U. DI BLASI Obbligazioni (parte speciale), Milano, 
1950, p. 111 ss., e A. FALZEA, Offerta reale, Milano, 1947, pp. 355-356. 
(2) In tal senso, R. LUZZATO, La compravendita, Torino, 1961, p. 372 ss. 
(3) Cfr. Cass., 4 aprile 1950, n. 910, in Riv. dir. comm., 1951, II, pp. 22, e 
Cass., 21 maggio 1949, n. 1293, in Foro it., 1950, I, p. 197. Conformi, nella giurisprudenza 
di merito, App. Torino, 30 ottobre 1957, in Giust. civ., Rep. 1958, 
voce Esecuzione per consegna e rilascio, p. 1115, n. 2, e Trib. Ori:stano, 30 marzo 
11962, in Rass. giur. sarda, 1982, p. 230. 
Contra: Cass., 21 luglio 1949, n. 1924, in Foro it., 1950, I, '.J?. 560, con osservamoni 
di P. PASCALINO e note di T. iPACIFICI, entrambe critiche. 



138 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in contratto, in guisa che l'unica conseguenza giuridica dell'originario 
rapporto sarebbe 1costituita dall'obbligo di risarcire ii danni, identificati 
in sostanza nel minor prezzo conseguito o nel maggior prezzo pagato, 
salvi gli eventuali danni ulteriori (1). 

Neppure questa tesi si presenta per� immune da critica. In primo 
luogo, occorre osservare che l'istituto, cos� considerato, finirebbe per 
perdere la sua singolarit� e la sua specifica funzione rispetto alla speciale 
forma di risoluzione disciplinata dai successivi artt. 1517-1518 cod. civ. 
Ma l'ipotesi risolutiva risulta poi positivamente esclusa in base aJ.J.o 
stesso disposto normativo: nel caso della vendita coattiva, perch� la 
sua esecuzione � per conto del compratore� presuppone ed implica l'avvenuta 
traslazione della propriet� del bene compravenduto; nel caso 
della compera coattiva, perch� il conseguimento della propriet� del bene 
acquistato da parte del compratore � a spese del venditore� si rivela 
incompatibile con ilo scioglimento del vincolo contrattuale (2) (3). 

3. Il panorama giurfaprudenziale non si rivela maggiormente utile 
ai fini della corretta individuazione della natura giuridica dell'istituto 
in esame. � vero infatti che le decisioni e fo massime edite sembrano 
avvalorare in prevalenza il concetto di � forma speciale di esecuzione 
forzata�: per � espropriazione �, nel caso della rivendita; � degli obblighi 
(1) In questo senso, cfr. F. CARNELUTTI, Processo di esecuzione, Padova, 1929, 
p. 13; T. AscARELLI, Appunti di diritto commerciale, Catama, 1931, I, p. 200 ss., 
ed in Foro it., 1932, I, p. 93; G. GoRLA, La compravendita e la permuta, nel 
Trattato di diritto civile, diretto da VASSALLI, VII, I, Torino, 1937, p. 202; N. 
DISTASO, Natura giuridica, forma, contenuto, luogo e tempo dell'esecuzione coattiva 
nella compravendita, in Giur. compl. Corte Cass., �1948, 3, p. 390; R. LuzZAro, 
La compravendita, cit., p. 372 ss. 
Una posizione intermedia assumono P. GRECO e G. Corrrno, Della vendita, 
nel Commentario del Codice Civile, a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna--Roma, 
J.962, p. 320 ss., secondo i qualii. il!a compravendita in da!Ilno avrebbe carattere 
�complesso '" avendo elementi sra dell'esecuzione forzata, sia della risoluzione. 

(2) A questo proposito, non rileva il fatto che nel secondo caso -a 
differenza che nel primo -il creditore insoddisfatto agisce per conto proprio, 
piuttosto che della controparte. La differenza non dndde infatti suhla natura 
giuridica de1le due fattispede, ma dipende dail!1a drcostanza meramente � tecnica 
� che neUa compera in danno Il compratore acquista per s�, e non pu� 
quindi agfre in rappresentanza c:Le1l'altro, mentre nehla vendita coattiva fil 
creditore aLiena una cosa gi� passata dn propriet� dcl compratme madempiente, 
e deve quindi agire ne1 suo nome. 
(3) Per quanto riguarda i corollari derivanti dalla critica esposta nel testo 
suil!la natura giuridica dei conguagi1i monetari che residuano alla esecuzione 
de11a compravendita coattiva, sii. veda infra, � 4. 
:. 


PARTE II, QUESTIONI 119 

di fare�, 111el caso deHa compera coattiva (1) �. � per� altrettanto vero 
che le formule solitamente adottate appaiono tralatizie, poco motivate 
e generalmente prive dri immediate conseguenze applicative, e non sono 
comunque in grado di superare i rilievi critici innanzi evidenziati. 

Nella insufficienza di tali profili rico~truttivi, maggiormente apprezzabile 
si rivela dunque una diversa tendenza giurisprudenziale, che mira 
ad anteporre agli aspetti astrattamente definitori l'analisi funzionale e 
strutturale dell'istituto. In quest'ottica, si � cos� posto in evidenza che 
� le disposizioni degli artt. 1515 e segg. cod. civ. non prevedono ipotesi 
di esecuzione forzata propriamente detta, sebbene un procedimento coattivo 
commesso all'autonomia privata, un procedimento cio� con cui si 
attua il soddisfacimento del credit�re mediante sostituzione di costui 
a!l debitore inadempiente, allo scopo di realizzare una pi� compiuta ed 
immediata tutela del primo, senza necessit� del titolo esecutivo e senza 
autorizzazione del magistrato (2) �. Con a:nalogo atteggiamento idi immediata 
proiezione verso la disciplina positiva, la Cassazione ha osservato 

� altres� che � l'esecuzione coattiva... di cui all'art. 1515 cod. civ., in quanto 
si concreta nella realizzazione del diritto alla prestazione nascente dalla 
vendita a favore del venditore... non risolve l'obbligazione originaria, 
sostituendola con una diversa obbligazione (3) �. E la giurisprudenza 
di merito, sviluppando ulteriormente questo concetto, ha puntualizzato 
che la compravendita coattiva costituisce �un atto di autotutela contrattuale 
che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente 
l'ammontare del danno in ragione delle differenze di prezzo e delle spese 
dell'operazione,... �salva la necessit� di ricorrere ad una azione (giudiziaile) 
di accertamento,... nell'ipotesi in cui fossero contestati i presupposti 
del procedimento o il quantum della liquidazione �. Pi� in particolare, 
essa � consente al creditore il conseguimento dell'oggetto della prestazione 
dell'originario rapporto, determinando per� nel contempo una 
forma di perpetuatio obligationis, mediante la conversione dell'obbligo 
di pagamento o di consegna in quello di corrispondere la differenza 
di prezzo conseguito o pagato, oltre al risarcimento degli eventuali danni 
ulteriori (4) �, 

(1) Si vedano, per un verso, Cass., 21 luglio 1953, n. 2422, in Giust. civ., 
[953, I, p. 2564 ss.; Cas1s., 26 febbraio 1965, n. 319, ivi, 1965, I, p. 1897 ss. e Giur. it., 
I, ;l, :pp. 1550.1551; Oass., l3 febbraio 11973, n. 437, in Foro it., Rep. 1973, voce 
Vendita, col. 2795, nn. 82-83, nonch�, per un altro verso, Cass., 1.1 agosto 1961, 
n. 11958, ivi, Mass. 1961, p. 504. 
(2) App. Brescia, 19 novembre 1948, in Foro pad., 1949, II, p. 1. 
(3) Cass., 18 ottobre 1958, n. 333!.5, dn Foro it., Rep. 1958, voce Vendita, col. 28182819, 
n. 207. 
(4) Tmb. Bari, 20 luglio 1981, dn questa Rassegna, 1982 I, sez. IV, p. 543 ss. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

140 

4. Nonostante la pertinenza e la propriet� di questi ultimi rilievi giurisprudenziali, 
rimane comunque insoluto il problema dogmatico che ci 
siamo proposti, che consiste nel comprendere e definire l'intima natura e 
la funzione sostanziale che la vendita e la compera in danno realizzano 
ne11'011dinamento giuridico. La soluzione -a nostro modo di vedere pu� 
essere facilitata adottando un criterio di interpretazione sistematica 
delle norme che ci interessano. Gli articoli del codice civile compresi 
tra il. 1515 ed il 1518, sembrano costituire infatti una puntuale specificazione 
-riferita al contratto di ve'.O!dita -dehla normativa generale 
disposta da:ll'art. 1453 cod. civ. per il caso di inadempimento .ella obbligazione 
contrattuale; e come questa norma concede al creditore insoddisfatto 
l'alternativa tra l'adempimento e la risoluzione, cos� le disposizioni 
speciali in esame intendono consentire l'esercizio della stessa 
scelta, concedendo per ciascuna delk due possibilit� un procedimento 
sommario, rimesso alla iniziativa dello stesso creditore insoddisfatto, 
salvo eventuailmente il successivo controllo giurisdizionale sulla correttezza 
del suo esercizio. Se questa impostazione � corretta, potremo ritenere 
che alla particolare fattispecie di 11isoluzione prevista dagli artt. 15171518 
cod. civ., si contrapponga l'ipotesi disciplinata dagli artt. 1515-1516 
cod. civ., che appare quindi, di converso, uno speciale mezzo di adempimento 
dell'obbligazione. 
Sotto questo profilo, la compravendita in danno assorbe le finalit� 
ed .i contenuti dell'azione esecutiva, ma non si �identifica con essa, e 
neppure le somiglia, almeno dal punto di vista strutturale; costituisce 
piuttosto una forma sintetica �di actio adimplendi contractus -comprensiva 
sia della fase di accertamento che di quella di esecuzione la 
cui specialit� � costituita dalla sua jntegrale rimessione alla potest� 
del creditore insoddisfatto. 

L'analisi funzionale dell'istituto sembra convalidare simile ricostruzione, 
in quanto consente di individuare la presenza di tutti gli elementi 
che caratterizzano la generale azione di adempimento di cui all'art. 1453 
cod. civ.: l'.iniziale inadempimento di un contraente, il conseguimento 
coattivo dell'oggetto della prestazione per volont� dell'altro, il persistente 
diritto alla parte di obbligazione rimasta eventualmente� insoddisfatta, 
i!l diritto al ristoro dei costi dell'operazione ed al risarcimento dei danni 
ulteriori. 

Evidente � in primo luogo, nella compravendita in danno, l'elemento 
pregiudiziale dell'inadempimento di una parte, cos� come � ugualmente 
evidente l'obiettivo di conseguire l'oggetto del contratto (il prezzo della 
cosa venduta, ovvero fa cosa comperata). 

Il diritto alla prestazione residuale e a~ rimborso delle spese -che 
costituisce altro elemento essenziale dell'azione di adempimento -viene 
poi realizzato, nel caso di specie, mediante l'addebito della differenza tra 



PARTE II, QUESTIONI 141 

il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, ovvero tra l'ammontare 
dehla 1spesa occorso per l'acquisto ed il. prezzo convenuto. Contrariamente 
alle opinioni pi� diffuse, .infatti, tali conguagli non costituiscono 
propriamente � una forma di liquidazione automatica del danno derivante 
dall'inadempimento�: tale concezione, in verit�, � collegata alla teoria 
della natura risolutiva della compravendita in danno e cade logicamente 
insieme con essa. In effetti, gli addebiti residuali o identificano una parte 
della obbligazione originaria non soddisfatta coattivamente -(nella 
vendita eseguita per un prezzo inferiore a, quello concordato) -ovvero 
costituiscono �i costi dell'azione cli adempimento -(che comprendono 
sia il prezzo pagato per l'acquisto in danno, detratto per compensazione 
il prezzo convenuto negozialmente, sia le spese di procedura occorse) che 
per loro natura gravano �sul patrimonio del debitore� (1). 

Questi conguagli, quindi, da un lato avranno l'effetto di esonerare la 
parte adempiente dalle perdite o dai maggiori oneri derivati dall'operazione 
rispetto al profitto divisato o alla obbligazione assunta, e da un 
altro lato -sommati agli ulteriori costi che la vendita o la compera in 
danno hanno gi� prodotto a carico dell'inadempiente (rispettivamente: la 
perdita del valore della cosa acquistata o del prezzo convenuto), produrranno 
come risultato finale esattamente il costo complessivo della prestazione 
assunta dal debitore. In altri termini, sia pure come sintesi aut-0matica 
di un procedimento complesso, si realizza anche nella fattispecie 
in esame l'effetto naturale dell'azione di adempimento, consistente nella 
conservazione delle reciproche obbligazioni nei termini originari e nell'addebito 
degli oneri relativi alle parti che ne avevano assunto la responsabilit�. 
Avr� invece carattere propriamente risarcitorio l'ulteriore sanzione 
per i maggiori danni subiti in conseguenza del ritardato conseguimento 
dell'oggetto della prestazione: sanzione prevista dall'ultimo 
inciso degli artt. 1515 e 1516 cod. civ., la quale costituisce una volta di 
pi� un'applicazione specifica della previsione normativa posta in via 
generale daU'art. 1453, primo comma, cod. civ., per il caso di ricorso 
all'ordinaria azione di adempimento. 

Un pi� approfondito esame del nostro tema ci consentit� a questo 
punto di evidenziare e cli apprezzare meglio, sotto il profilo stmtturale, 
gli elementi di specialit� insiti nel procedimento della �compravendita 
in danno �. In particolare, ci sembra opportuno porre in ampio rilievo la 
circostanza che in questo caso la tutela giuridica � realizzata ad iniziativa 
dello stesso creditore insoddisfato, senza la mediamone del processo, 
salva l'eventualit� del sindacato giurisdizionale nel caso in cui fossero 
contestati i presupposti o le modalit� di svolgimento dell'operazione. 

(1) L'opinione espressa trova riscontro nella lettera della norma, che 
di!Spone che 1a compravendirta coattiva sia eseguita � a spese � della parte inadempiente. 

142 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il meccanismo attraverso il quale � consentito il raggiungimento 
di un simile risultato, si direbbe costituito da un particolare effetto naturale 
del contratto di compravendita: il conferimento, ope legis, a beneficio 
di entrambi i contraenti, di una vera e propria potest� di soddisfarsi autoritativamente 
in caso di inadempimento della controparte, salvi i gi� 
richiamati diritti ail ristoro per i minori utili conseguiti o i maggiori oneri 
sostenuti ed al risarcimento degli eventuali danni. � possibile per tale via 
perseguire con efficacia e con sollecitudine l'interesse dedotto in contratto, 
sintetizzando in un unico contesto le due fasi normali dell'ordinaria 
azione di adempimento (giudizio di accertamento e successiva azione di 
esecuzione). Inoltre, nel caso della compera in danno, sar� possibile 
perseguire un risultato specifico (il conseguimento della propriet� del 
bene acquistato), che l'azione giurisdizionale non � normalmente in grado 
di assicurare, tenuto conto del gi� richiamato orientamento giurisprudenziale 
che nega l'eseguibilit� in via forzata delle obbligazioni di dare una 
cosa di genere (1). 

In definitiva, dal nostro tentativo di ricostruire dogmaticamente l'istituto 
della compravendita in danno emergono da un lato -dal punto di 
vista funzionale -la tendenza alla tempestiva soddisfazione dell'interesse 
creditorio, e da un altro lato -sotto il profilo strutturale -la realizzazione 
di tale interesse al di fuori degli schemi del giudizio, merc� il conferimento 
in favore del creditore della potest� di. incidere sulla sfera 
patrimoniale del debitore, in forme che possono essere comunque assoggettate 
al successivo controllo giurisdizionale. Questi elementi, tuttavia, 
potrebbero essere ritenuti indici significativi di una pi� ampia categoria 
giuridica, nella quale la compravendita coattiva sarebbe conseguentemente 
inquadrata e della quale costituirebbe anzi un esempio paradigmatico: 
la categoria della cosiddetta �autotutela privata�, caratterizzata 
dalla rimessione della tutela giuridica alla potest� dello stesso creditore, 
per vie che esulano dai meccanismi dell'azione processuale (2). 

(1) V. supra, nota 4. 
(2) In verit�, la dottrina ha gi� da tempo evidenziato la collocazione 
dell'istituto della � compravendita in danno � nella categoria dell'� autotutela 
privata�, senza per questo contribuire efficacemente aHa precisazione deMa sua 
natura giuridica. In proposito, si vedano C.M. BIANCA, Vendita (Diritto vigente); 
in Noviss. Dig. It., vol. XX, Torino, 1975, p. 634, e La vendita e la permuta, nel 
Trattato di diritto civile, diretto da VASSALLI, vol. VII, Torino, 1972, p. 957 ss.; 
V. DENTI, Esecuzione in forma specifica, MUano, 1953, p. 32 ss.; G. TATARANO, nel 
Codice Civile annotato, a cura di P. I'ERLINGIERI, vol. IV, sub. art. 1515-1516, 
Torino, 1980, p. 758 ss.; D. RUBINO, La compravendita, cit., p. 676. In giurisprudenza, 
parlano della compravendita in danno come di una forma di autotutela 
privata, App. Brescia, 19 novembre 1948, cit.; Cass., 11 luglio 1%8, n. 2444, in 
Foro it., 1969, I, p. 112 ss.; Trilb. Bar.i, 20 lugHo 1981, cit. 

PARTE II, QUESTIONI 143 

In tale prospettiva, i caratteri dell'istituto qm m considerazione ed i 
risultati dell'analisi fiino ad ora svolta potrebbero ritenersi applicabili, 
quanto meno in via di ipotesi, anche ad altre situazioni giuridiche analoghe, 
che siano tutte riconducibili nell'ambito del medesimo genere. 
Conseguentemente, l'indubbio interesse che la presente fattispecie riveste 
-in relazione ai profili di praticit� ed insieme di garantismo che la 
tipicizzano -potrebbero incoraggiare il tentativo dottrinario di meglio 
definire i lineamenti ed i contenuti della categoria cui essa appartiene che 
in verit� appaiono ancora alquanto incerti ed iindeterminati -in 
guisa da tradurre in una regola pi� generale quehla che oggigiorno pu� 
essere ritenuta soltanto un'ipotesi specifica (1). 

Avv. ALESSANDRO DE STEFANO 

(1) Tra i pi� recenti tentativi di definire i profili della � autotutela privata � 
nell'odierno ordinamento giuridico si vedano E. BETII, Autotutela (Diritto privato), 
in Encicl. Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 529 ss., che riunisce in un'unica 
categoria varie ipotesi tra loro eterogenee, e L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici 
dell'autotutela privata, I, Milano, 1971, che esclude la possibilit� di individuare 
un principio generale in ordine alla realizzazione personale e diretta dell'interesse 
creditorio. 
Sul tema si vedano altres�, in vda generaile, M. GIORGIANNI, Il negozio di 
accertamento, Mhlano, 1939, p. 23 ss.; F. MEssINEO, Manuale di diritto civile e 
commerciale, I, Milano, 1957, p. 162; S. ROMANO, Autonomia privata, Milano, 
1957, p. 52 ss, 75; In. Ordinamento sistematico del diritto privato, I, Napoli, 

p. 163 ss., 215 ss.; SANTI ROMANO, Frammenti di un dizionario giuridico, Mhlano, 
1947, p. 179. 

I RAPPORTI TRA GIURISDIZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 
E LA FUNZIONE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (*) 

SOMMARIO: 1) I rapporti tra i poteri. dello Stato nell'ottica odierna. 
-2) Il dibattito sulle cause del deterioramento. -3) La crisi del 
rapporto tra potere esecutivo e potere giurisdizionale. -4) I perkoli 
e i rimedi. -5) La p�sizione dell'Avvocatura delJ.o Stato nel rapporto 
tra P.A. e giurisdizione. -6) La funzione equilibratrice dell'Avvocatura 
dello Stato. -7) L'Avvocatura dello Stato come produttrice di giusti.zia. 
-8) Come collaboratrice di giustizia. -9) Come riparatrice di 
giustizia. -10) Conclusioni. 

1) L'evoluzione dei rapporti tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione 
appare, nell'ottica odierna, intimamente correlata alla situazione 
generale di instabilit� in cui versa da alcuni anni a questa parte 
l'azione pubblica ed Jmplica un'analisi complessa, sotto certi aspetti 
inquietante. 

Alla trasformazione profonda che ha subito la realt� sociale del nostro 
Paese nell'ultimo ventennio, sotto la spinta degli impulsi storico-
politici di carattere interno ed internazionale, e delle esJgenze dell'economia, 
ha corrisposto una crisi, non meno profonda, delle strutture 
pubbliche. Tale crisi, determinata in gran parte da una sorta di immobilismo 
ordinamentale e, per altro verso, dalla incapacit� di adeguare 
gli apparati pubblici e la loro funzione alle sempre pi� complesse istanze 
della societ�, ha finito per appannare il quadro di coesistenza istituzionale 
tra i vari poteri dello Stato, per corroderne gradualmente i confini 
ed il reciproco rispetto: il ricorso, sempre pi� frequente al decreto-legge, 
aI).corch� non sussistano le ragioni di straordinaria necessit� ed urgenza 
indicate nell'art. 77 della Costituzione d� un'eloquente dimostrazione della 
tendenza dell'Esecutivo a voler superare la crisi profonda in cui versa 
il Parlamento, espropriandolo di attribuzioni sue proprie. Mentre, dalraltro 
verso, una dilagante proliferazione di norme interpretative di 
disposizioni di legge emanate in precedenza, esprime chiaramente la 
diffidenza del legislatore verso i non sempre uniformi e talvolta inaspettati 
processi interpretativi e l'intendimento di interferire, sia pure legittimamente 
attraverso la cosiddetta interpretazione autentica, con la vocazione 
istituzionale del giudice, che � appunto quella di interpretare la 
legge. 

E cos�, ancora, vanno ricordate le frequenti previsioni legislative di 
funzioni consultive o di vigilanza, affidate ad organi di estrazione parla


(*) Relazione dell'avvocato dello Stato, Enzo Ciardulli, al XVII Congresso 
. Nazionale dei Magistrati. 

-



PARTE II, QUESTIONI 

mentare ma destinati ad operare nell'ambito di poteri, quale ad esempio 
quello regolamentare, o di aree, come quella deJ.l'informazione, tradizionalmente 
riservati all'Esecutivo, con evidente sconfinamento delle at� 
tribuzioni proprie del Parlamento. 

In campo giudiziario, l'espansione del sindacato giurisdizionale verso 
settori riferibili fino a ieri alle funzioni legislative ed amministrative 
� fin troppo evidente: basti pensare, quanto al primo aspetto, a certe 
decisioni di cos� detta giurisdizione domestica che, a prescindere da 
ogni altra apprezzabHe valutazione, sono state emanate per finalit� perequative 
onde supplire a carenze e ad inerzie legislative in materia di 
pensioni, o di perequazione economica tra le magistrature, o nell'equiparazione 
dei magistrati a questa o quella categoria dirigenziale; e quan� 
to al secondo aspetto, alla crescente tendenza giurisprudenziale al sempre 
minor riconoscimento dei margini di �dis�rezionalit� nell'azione 
amministrativa e della insindacabilit� dei poteri discrezionali della Pubblica 
Amministrazione. Sintomatica appare a questo proposito ;l'istanza, 
tutt'ora in itenere, di un nuovo ordinamento del processo amministrativo 
che vorrebbe esteso l'attuale sindacato giurisdizionale sull'atto 
impugnato anche al rapporto che tale atto ha determinato; e certe decisioni 
di taluni giudici di merito, modificative se non addirittura sostitutive 
di atti della Pubblica Amministrazione; e infine, la moltiplicazione 
delle inchieste preliminari o dei procedimenti penali su fatti inerenti 
al funzionamento della Pubblica Amministrazione o in ordine ai quali 
la Pubblica Amministrazione � titolare di una propria funzione di tutela 

o vigilanza. 
2) Si � fatto un gran parlare, negli ultimi tempi, sulle ragioni di questa 
sintomatologia patologica dell'esercizio dei poteri dello Stato; taluni ritengono 
di doverle focalizzare nella inadeguatezza dei sistemi di democrazia 
parlamentare di tipo europeo a corrispondere tempestivamente 
alla complessit� delle esigenze e dei fermenti della societ� odierna, altri 
in una profonda crisi istituzionale del nostro Paese, soffocato dalla sua 
realt� partitocratica, o nelle spinte a carattere corporativo in cui tendono 
a degenerare i movimenti di massa, e che finiscono per estendersi 

ai vertici dello Stato, o nel ruolo di supplenza che � portato tendenzialmente 
ad assumere un poteie, nella latitanza degli altri con i quali � 
titolare part-time dell'esercizio della sovranit�, o infine, e ci� riguarda 
particolarmente l'ordine giudiziario, nella atomizzazione del potere giurisdizionale 
e nella con,,t:guente dissociazione della politica giudiziaria 
dalle scelte politiche dell'Esecutivo. 

Non mi sembra che, in questa sede, si possano superare i limdti dell'informazione 
storica sul dibattito sopraccennato ed affrontare un pro 
blema che ci porterebbe assai lontano dalla tematica della nostra tavola 


146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rotonda. � certo, per�, che una corretta analisi dei rapporti tra giurisdizioni 
e Pubblica Amministrazione non pu� che ricollegarsi al quadro 
di generale deterioramento sopraccennato, non fosse altro che per l'esigenza 
di considerare la realt� odierna per quel che essa �, e misurarne 
l'ambito di conduzione in ogni risvolto dell'intervento pubblico. 

3) Che il rapporto di convivenza tra l'attivit� pubblica amministrativa 
e quella giur,isdizionale versi in una fase particolarmente difficile 
mi sembra fuori di discussione: la tendenza dell'indagine giudiziaria ad 
espandersi verso settori di pertinenza della Pubblica Amministrazione 
rischia di porre una mina vagante suHa strada delle scelte discrezionali 
spettanti agli organi amministrativi; mentre certe decisioni giurisdizionali, 
soprattutto se discordi e ancor peggio l'abuso del provvedimento 
d'urgenza ex art. 700 c.p.c., spesso adottato quale espediente per modificare 
o correggere atti della P.A. tendono a provocare un clima di incertezza 
nell'azione pubblica, con effetti talora paralizzanti. 

D'altra parte occorre considerare che l'esigenza prioritaria della 
Pubblica Amministrazione -che � essenzialmente operativa perch� richiede 
soluzioni immediate di problemi della vita sociale sempre pi� 
mutevoli e complessi -rischia quotidianamente di naufragare nel dedalo 
delle sue stesse strutture e delle leggi, per lo pi� vecchie entrambe ed 
inadeguate; ci� che spinge gli organi amministrativi a privilegiare a 
volte la scorciatoia della forzatura interpretativa, se non dei voli pindarici, 
che non sempre � dato al giudice di comprendere o di connettere 
con l'interesse pubblico tutelabile. Constatazione, questa, che ripetendosi 
nel tempo accumula un dato negativo di esperienza e determina negli 
organi giurisdizionali il convincimento che l'oggettivazione propria del 
potere amministrativo sia portata spesso a non corrispondere all'oggettivazione 
giuridica, propria dell'ordinamento al quale, invece, l'esercizio di 
tale potere avrebbe dovuto ispirarsi. 

Amministrazione e giurisdizione divengono in tal modo partecipi di 
una realt� i cui connotati divaricanti comportano una potenziale conflittualit� 
nella tensione verso i rispettivi fini istituzionali: che nel primo 
caso consistono nel conseguimento del risultato amministrativo, e nel 
secondo nella verifica che tale risultato sia conforme all'ordinamento 
giuridico e sia stato ottenuto in osservanza dei principi di legalit� e 
di imparzialit�. 

4) Ho accentuato volutamente il rilievo sui segnali di un'antitesi 
in atto tra Pubblica Amministrazione e giurisdizioni perch� questo aspetto 
patologico del rapporto suona come un campanello d'allarme sui pericoli 
di una sua generalizzazione che, ove si verificasse, finirebbe per 
travolgere l'intero sistema. Ma vorrei anche dire, con una punta d'ottimismo, 
che il recupero alla condizione fisiologica del rapporto in que




PARTE II, QUESTIONI 

stione sarebbe facilmente ottenibile, non soltanto se si maturi finalmente 
una volont� politica tendente ad adeguare in modo organico ordinamenti 
amministrativi, giurisdizionali e relative strutture alle esigenze del divenire 
sociale, quanto se si determini una comune presa di coscienza sui 
limiti invalicabili dell'azione amministrativa e di quella giurisdizionale, 
nella ricomposizione dell'unit� dello Stato; una presa di coscienza che 
liquidi il sistema della contrapposizione dei poteri, riaffermando nella 
osservanza dei principi della compartecipazione nel potere pubblico e 
nella identit� dei suoi fini, la fondamentale condizione per la realizzazione 
dello Stato di diritto al quale il disegno costituzionale ci ispira. 

5) Il difficile rapporto che attualmente si evidenzia tra giurisdizione 
e Pubblica Amministrazione chiama �necessariamente in causa l'Avvocatura 
dello Stato che, appunto per il ruolo assegnatole dall'ordinamento 
istituzionale si presenta in tale rapporto come un'interlocutrice necessaria 
e privilegiata. 

Non � certo questa la sede per fare riepiloghi e tanto meno per 
condurre un'indagine storico-giuridica sull'evoluzione dell'Avvocatura dello 
Stato nell'ordinamento italiano. 

Basti solo ricordare -per quanto qui interessa -che l'Istituto, 
nato nel 1876 da una scissione degli Uffici del Pubblico Ministero per 
corrispondere alle esigenze di difesa in giudizio degli interessi erariali, 
� andato via via evolvendo le sue funzioni, in parallelo con la trasformazione 
della nostra societ�. 

Il graduale passaggio di questa dal modello agri�olo -fondato 
essenzialmente sulla tutela dell'istituto proprietario -a quelli pi� avanzati, 
propri della societ� industriale e neo-capitalista e la conseguente 
progressiva espansione dell'ingerenza dello Stato nei rapporti economici 
e sociali, ispirava infatti alle esigenze di questo la istituzione di un 
proprio organo legale capace di concorrere, in via generale ed in piena 
autonomia funzionale, alla legalit� dell'azione amministrativa e di difendere 
gli interessi dello Stato in giudizio. Fu cos� che, con il R.D. 30 novembre 
1933, n. 1611, l'allora esistente Avvocatura Erariale venne trasformata 
nell'Avvocatura dello Stato, accedendo pi� che a mutamento di 
carattere meramente nominalistico, all'acquisizione di pi� ampie funzioni 
che ne facevano, alla pari del Consiglio di Stato e della corte dei Conti 
un organo ausiliario dello Stato con compiti di consulenza generale in 
materia giuridico-amministrativa e di rappresentanza delle Pubbliche 
Amministrazioni, anche se ad ordinamento autonomo, nelle controvresie 
giudiziali. 

Non � importante stabilire qui il come ed il perch� la legge istitutiva 

dell'Avvocatura dello Stato avesse garantito, malgrado l'ispirazione auto


ritaria dei tempi; la piena autonomia funzionale dell'Istituto, pur inqua


drandolo amministrativamente nell'ambito della Presidenza del Consiglio. 


148 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO fil 

I

Quello che conta rilevare, invece, � che la suddetta trasformazione permise 
di precisare il carattere giustiziale della funzione esercitata dall'Avvocatura 
dello Stato; carattere che gi� affiorava nel patrocinio innanzi 

I

le istituite sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ma che la visione 

" 

globale dell'interesse pubblico consentita dal potenziamento dei suoi 11 
compiti e la vocazione istituzionale al richiamo alla legalit� dell'azione 
amministrativa rendevano ormai indubbio. 

L'avvento della Costituzione repubblicana, i profondi mutamenti 

II

apportati alla forma istituzionale dello Stato ed alle sue strutture organizzative, 
ed i nuovi e pi� impegnativi compiti derivati all'Istituto -che, 

I 
~ 

per comune accezione, ne hanno fatto un organo di rilevanza costituzionale 
-non hanno modificato il prevalente aspetto di giustizialit� della 
funzione dell'Avvocatura dello Stato che, anzi, proprio nel nuovo e pi� 
significativo suo rango appare confermata ed accentuata; la partecipazione 
ai giudizi di legittimit� costituzionale in rappresentanza del Presidente 
del Consiglio dei Ministri, il patrocinio dello Stato innanzi alla 

I 
I
f:

Corte di giustizia delle Comunit� europee, alla Corte Europea dei diritti {: 
dell'uomo e dinanzi a varie Commissioni di conciliazione e Collegi Arbitrali 
internazionali -procedimenti tutti in cui l'investitura dell'Istituto 

I

non � limitatamente rappresentativa dello Stato-Apparato ma va riferita 

I ~ 

allo Stato-Comunit� -esaltano i connotati della funzione di collaboratrice 
di giustizia che gi� si desumevano dai compiti tradizionali dell'Avvocatura 
dello Stato. ~ 


f 
6) � da questa rapidissima ma necessaria sintesi delle funzioni e 
~ 

I f 

del ruolo dell'Istituto -le quali hanno trovato nella recente relazione 
fatta dall'Avvocato Generale al Convegno tenutosi a Messina dal 3 al1'
8 no_vembre dello scorso anno una eloquente quanto approfondita illustrazione 
-che si desume la rilevanza dell'attiv.it� dell'Avvocatura dello 

I 

Stato nel rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. 
L'attivit� consultiva e contenziosa che l'Istituto svolge quotidiana


I

mente a cagione dei suoi compiti viene infatti a porsi come un elemento 
di equilibrio tra i due poteri ed acquista un rilievo determinante, a I 
volte risolutivo, nel potenziale conflitto in cui l'attuale confusione nella 
quale versa la funzione pubblica tende a coinvolgerli. In tali attivit� 
l'Istituto utilizza infatti l'esperienza che gli deriva dalla sua contestuale 
e costante partecipazione alla realt� della Pubblica Amministrazione ed 
a quella della macchina giudiziaria, trasmettendo alle prime le indicazioni 
che vanno man mano scaturendo dalla evoluzione giurisprudenziale, 
ed alla seconda i fermenti del divenire sociale che la Pubblica Amministrazione 
via via raccoglie nell'adempimento della funzione esecutiva. 

Non a caso � stato affermato che l'Avvocatura dello Stato ricopre 
un ruolo di � cerniera � tra il potere esecutivo e quello giurisdizionale, 
assumendo una posizione intermediaria che tende a fare ritrovare nella 



PARTE II, QUESTIONI 

comune subordinazione alla legge, il momento ricompos.itivo della loro 
unit�. 

Per quanto qui interessa rilevare, si pu� aggiungere che tale posizione 
ha anche carattere originale e totalizzante: originale perch� mantiene 
connotati di autonomia tal.i da renderla inconfondibile, totalizzante 
in quanto presenzia all'intero arco del rapporto, nella sua triplice caratterizzazione 
di produttrice di giustizia, di collaboratrice di giustizia e di 
riparatrice di giustizia. 

7) Indubbiamente l'Avvocatura dello Stato � produttrice di giustizia 
per l'Amministrazione., 

Il problema della giustizia nei confronti della Pubblica Amministrazione 
� infatti solo un aspetto di quello pi� ampio e complesso della 
giustizia nell'Amministrazione, che si realizza sollecitando o verificando 
l'osservanza del principio di legalit� nell'azione dell'apparato amministrativo. 


La funzione consultiva svolta dall'Istituto nella generalit� delle competenze 
che si desumono daLl'art. 13 del T.U. del 1933, !Il. 1611 e la sua 
vocazione giustiziale concorre, in parallelo all'analoga attivit� del Con. 
siglio di Stato, a potenziare se non a sostituire la cos� detta giustizia 
interna dell'Amministrazione che con la istituzione dei Tribunale Regio� 
nali Amministrativi ed il correlativo nuovo regime di impugnazione 
degli atti, si � sostanzialmente vanificata. 

L'estensione di tale funzione a tutto il complesso dell'attivit� del 
potere esecutivo, compresa quella normativa e contrattuale, la competenza 
a pronunciarsi su reclami e materie di possibile litigio, su componimenti 
stragiudiziali nonch�, per effetto delle pi� ampie funzioni 
attribuite dall'art. 15 della legge di riordinamento n. 103 del 1979, su 
eventuali carenze legislative, si traducono in altrettanti ammonimenti 
all'osservanza della legalit�; e questi seppure non producono effetti 
costitutivi, rappresentano manifestazioni di giustizia sostanziale, la cui 
inosservanza rischia di coinvolgere la responsabilit� amministrativa, 
contabile e politica dei suoi destinatari. 

Si viene cos� a delineare un modello giustiziale di cui l'Avvocatura 
dello Stato � protagonista, che sta per cos� dire a monte del rapporto 
tra giurisdizione ed Amministrazione ma vi appare intimamente connesso 
non fosse altro che per Ja sua potenziale capacit� di escludere 

o di pervenire lo svolgimento di tale rapporto. 
Basta citare esemplificativamente -tanto per fare cenno a qualcuno 
degli ultimi pronunciamenti -la consultazione n. 11460 del 1982, 
ben nota per la sua eco di stampa, con cui il Comitato Consultivo dell'Avvocatura 
ha affrontato il problema dell'assoggettabilit� dei� Buoni 
Ordinari del Tesoro ai tributi successori suggerendo altres� un chiarimento 
legislativo di tale problema; o la consultazione n. 8458 del 1982, 


150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURX DELLO STATO 

con cui l'Istituto si � espresso per l'ammissibilit� degli allievi di sesso 
maschile negli Istituti Tecnici femminili; o ila consultazione n. 16651 
del 1981, con cui si � invitata l'Amministrazione finanziaria a prestare 
acquiescenza all'indirizzo giurisprudenziale -che si � condiviso -relativo 
alla estensione degli effetti del condono ex legge n. 823 del 1973 a 
tutti i condebitori solidali; o ancora la consultazione n. 1652 del 1981 
con cui si � preso atto dell'orientamento della giurisprudenza della 
Autorit� Giudiziaria ordinaria ed amministrativa in tema di inclusione 
tra le componenti della retribuzione dei dipendenti pubblici, ai fini 
della liquidazione del compenso per Javoro straordinario, delle mensilit� 
aggiuntive e di altre indennit� aventi i caratteri della obbligatoriet�, 
della corrispettivit�, della continuit� e della determinatezza o determinabilit� 
e si � determinato l'abbandono dei giudizi in corso; basti ricordare 
infine le varie recenti consultazioni sulla controversa problematica 
dei porti e degli approdi turistici, ed in materia di opere pubbliche in 
generale o di disciplina espropriativa, per rendersi conto della tendenziale 
connotazione della attivit� consultiva dell'Avvocatura dello Stato 
alla risoluzione dei rapporti di pubblica amministrazione su piani giustiziali 
che si muovono al di fuori del terreno dello scontro giudiziario. 

8) Non occorrono molte parole per illustrare il ruolo di collaboratrice 
di giustizia che l'Avvocatura dello Stato assolve ogni qualvolta sia parte 
in giudizio un'Amministrazione dello Stato e che attiene, d'altronde, alla 
sua vocazione tradizionale ed originaria. 

Il fatto che, in tale ipotesi, l'Istituto ripeta direttamente dalla legge 
la sua investitura rappresentativa che la rende partecipe del rapporto 
processuale, consente di individuare gli aspetti particolari che, nell'esercizio 
di questa sua funzione si riflettono sul rapporto tra giurisdizione 
e Pubblica Amministrazione. 

Si � esattamente osservato che l'attivit� contenziosa dell'Avvocatura 

dello Stato �, in un certo senso, la prosecuzione ed il completamento 

dell'attivit� consultiva perch�, con l'insorgere di una controversia, l'am


bito della legittimit� viene, per cos� dire, portato fuori dall'Amministra


zione ed � devoluto agli organismi giudiziari. Questo trasferimento, 

attributivo della competenza giurisdizionale ed istitutivo del rapporto 

tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione, � altres� operante di una 

specifica attribuzione dell'Avvocatura dello Stato, che � quella di svol


gere il suo compito difensivo nella visione costante dell'interesse pub


blico. E come lo Stato, pur comparendo in giudizio quale parte tuttavia 

si distingue dalle altre perch� titolare di interessi pubblici e generali, 

cos� l'Avvocatura dello Stato, pur svolgendo in giudizio compiti profes


sionali alla stregua degli altri difensori, si distingue tuttavia rispetto 

ad essi perch� portatore e tutore a sua volta di quegli interessi pubblici 


PARTE II, QUESTIONI 

e generali che lo obbligano a far rispettare, nell'ambito dello stesso 
rapporto processuale, come al di fuori di questo i limiti derivanti dall'osservanza 
dei principi di legalit� e di imparzialit�. 

In questa visione delle cose l'apporto collaborativo di giustizia dato 
dall'Istituto nell'espletamento del suo ruolo difensivo acquista un significato 
del tutto particolare scaturendo dal delicato compito di orientare 
per una soluzione conforme a leggi le vicende sottoposte al vaglio giuri� 
sdizionale, e soprattutto i rapporti tra potere esecutivo e potere giudiziario, 
e tra gli stessi giudici. 

Le innumerevoli tesi prospettate dall'Avvocatura dello Stato agli 
organi di giurisdizione sia ordinaria che amministrativa, e da questi 
condivise e confermate in ripetute decisioni -si ricordano per gli 
aspetti che qui interessano, i temi portati a tutela della sfera di autonomia 
della Pubblica Amministrazione e quindi dell'insindacabilit� dell'azione 
amministrativa, le questioni relative ai limiti di competenza 
giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo, e sulla 
improponibilit� assoluta o relativa, delle azioni giudiziarie nonch� ai 
limiti di legittimit� del giudizio amministrativo, ed i contributi portati 
nella problematica dell'interesse tutelabile e del rapporto tra diritto ed 
interesse -testimoniano l'incidenza dell'azione dell'Istituto sulla linea 
di frontiera esistente tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. 

9) Resta da esaminare -sempre nei limiti del tema del dibattito l'ultimo 
degli aspetti propri del ruolo cui assolve l'Avvocatura dello 
Stato: quello di riparatric edi giustizia. 

In questo suo ruolo si inquadra l'iniziativa di elevare il conflitto di 
attribuzioni e proporre il regolamento preventivo di giurisdizione ogni 
qualvolta si determini da parte di un organo del potere giudiziario o 
di quello esecutivo un'usurpazione di campo. Un'iniziativa che evidenzia 
una finalit� ripristinatoria dell'ordine costituzionale nella sua visione 
pluralistica e democratica dell'organizzazione dello Stato, e che mira 
perci� a recuperare nel rapporto tra giurisdizione ed Amministra21ione 
gli alti contenuti di giustizia che risultano violati. 

� tardi e vorrei concludere. 

Nel clima di tensione che va sfociando in una schermaglia sempre 

pi� vistosa e spesso inelegante tra potere esecutivo e giudiziario, la 

ricerca di un momento di mediazione pu� rappresentare il punto di 

partenza per la ricomposizione del conflitto. 

Il quadro funzionale dell'Avvocatura dello Stato pu� prestarsi a 

questo scopo. Ma occorre soprattutto che a tale astratta idoneit� corri


sponda una volont� politica che se ne renda conto e la valorizzi. E che 

ci sia, a monte, una effettiva volont� di coesistenza. 

Non � tutto, ma sarebbe gi� abbastanza. 

ENZO CIARDULLI 


LEGISLAZIONE 


I � NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

codice di procedura penale, art. 630, secondo comma, nella parte in cui non 
prevede il rinvio della trattazione dell'incidente di esecu_zione, ove l'imputato 

o il condannato, che abbia fatto domanda di essere udito personalmente, non 
compaia per legittimo impedimento. 
Sentenza 20 maggio 1982, n. 98, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. 

codice penale militare di pace, art. 186, secondo comma, limitatamente alle 
parole � e la reclusione da sette a quindici anni, se il superiore non � un 
ufficiale �. 

Sentenza 27 maggio 1982, n. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, limitatamente alle 
parole � con la reclusione militare non inf�riore a cinque anni se il superiore 
� un ufficiale e con la stessa pena da tre a dodici anni se il superiore non � 
un ufficiale �. 

Sentenza 27 maggio 1982, 11. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, limitatamente alle 
parole � con la reclt1sione militare da tre a sette anni, se il superiore � un 
ufficiale, e da uno a cinque anni, se il superiore non � un ufficiale �. 

Sentenza 27 maggio 1982, 11. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

legge 9 gennaio 1929, n. 4, artt. 21, terzo comma, e 60, nella parte in cui 
prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta, div�nuto 
definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali 
per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di im� 
poste dirette. 

Sentenza 12 maggio 1982, n. 88, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla 
legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3], nella parte in cui prevede che i posti 
riservati ai magistrati di Cassazione possano essere assegnati a � magistrati che 
abbiano conseguito la rispettiva nomina, ancorch� non esercitino le rispettive 
funzioni�. 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 87, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a), nella parte in 
cui esclude per i titolari di pensione diretta dello Stato l'integrazione al mi� 
nimo della pensione di riversibilit� INPS, qualora per effetto del cumulo sia 

superato il trattamento minimo garantito. 
Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 


150. 
I 
I 


I 

I 

I

I 


PARTE II, LEGISLAZIONE 1f3 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude 
per i titolari di pensione diretta dello Stato l'integrazione al minimo della 
pensione di invalidit� erogata dal fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri 
e coloni, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo 
garantito. 

Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui esclude 
per i titolari di pensione diretta statale l'integrazione al minimo della pensione 
di invalidit� erogata dalla gestione speciale commercianti, qualora per 
effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo. garantito. 

Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, nella parte in cui dispone che l'azione 
penale ha corso dopo che l'accertamento � divenuto definitivo anche nel caso 
del reato indicato nel quarto comma dell'art. 50 dello stesso decreto del Presidente 
della Repubblica n. 633. 
Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 7, nella parte in cui prevede che la 
conseguita valutazione favorevole comporti la nomina a magistrato di Cassazione, 
indipendentemente dal conferimento delle relative funzioni, anzich� la 
sola attribuzione del corrispondente trattamento economico e la dichiarazione 
dell'idoneit� ad essere ulteriormente valutato, ai fini della successiva nomina. 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U; 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 10, relativamente alle parole � secondo 
l'ordine di collocamento in ruolo � e nella parte in cui non prevede che la 
nomina a magistrato di Cassazione, quanto ai magistrati dichiarati idonei ai 
sensi dell'art. 7, sia contestuale al conferimento delle relative funzioni. 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 16, nella parte in cui si riferisce ai 
magistrati di Cassazione che raggiungano una anzianit� di otto anni dalla 
nomina a tale categoria, anzich� ai magistrati che raggiungano una anzianit� di 
otto anni dalla dichiarazione di idoneit�, di cui all'art. 7. 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 17, nella parte in cui prevede che la 
dichiarazione di cui al precedente articolo comporti, in difetto di vacanze, 
la nomina alle funzioni direttive superiori, indipendentemente dal conferimento 
di un corrispondente ufficio, anzich� la sola attribuzione del .trattamento 
economico previsto per i magistrati di Cassazione nominati a tali funzioni e 
la idoneit� ad essere ulteriormente valutato, ai fini della successiva nomina. 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio �1982, n. 137. 

16 



RASSEGNA .OBLL'AVVOCATURA .DBI,LO STATO 

legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 19, secondo comma, relativamente alle 
parole �assegnandovi i magistrati, anche dopo la nomina, secondo� l'ordine di 
collocamento in ruolo >>, e nella parte in cui non prevede che la nomina alle 
funzioni direttive superiori, quanto ai magistrati dichiarati . idonei ai sensi 
dell'art. 16, sia contestuale al conferimento del relativo ufficio. 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge regione Emilia-Romagna 8 marzo 1976, n. 10, art. 5, secondo comma. 

Sentenza 12 maggio 1982, n. 91, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

II � QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

codice penale, art. 688 (artt. 3, 32 e 27, secondo oomma, della Costituzione). 

Sentenza 27 maggio 1982, n. 104, G.U. 2 giugno 1982, ri. 1150. 

codice di procedura penale, art. 51 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 77, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

codice penale militare di pace, art. 260, secondo comma (art. 112 della 
Costituzione). 

Sentenza 18 giugno 1982, n. 114, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. 

legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 21, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7 (nn. 2, 3 e 4), 34, 36 e 40 (art. 42, terzo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 12 maggio 1982, n. 92, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 21 marzo 1958, n. 267, art. 5, secondo comma (artt. 3, 10, primo comma; 
11 .e 53 della Costituzione). 

Sentenza 20 maggio 1982, n. 96, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. 

legge 24 marzo 1958, n. � 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla 
legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, primo comma, 104, quarto comma, 
e 107, terzo comma, della Costituzione). 

Sentenza 10 maggio 1982, n. 87, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50, n. t, lettera e) e 52, prime comma 
(artt. 3, 70, 77, primo �comma, e 28 della Costituzione). 
Sentenza 12 maggie 1'982, n, 90, G.U. 20 maggio ,J:982, n. U7. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 1Jf 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, secondo comma (artt. 24, 76 e 77 
della Costituzione). 
Sentenza 10 giugno 1982, n. 110, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. 

legge 19 novembre 1968, n. 1187, artt. 1, 2 e 5 (artt. 3, 42, terzo comma, 
136 della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, primo comma, lettera c) (art. 3 
della Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 84, G.U. 5 maggio 1982, n. ,122. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 29 aprile 1982, n. 84, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

dl. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 31 [come modificato dalla legge 18 dicembre 
1970, n. 1034] (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 78, G.U. 5 maggio-1982, n. 122. 

dP.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3, 53 e 112 
della Costituzione). 

Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge regione Sicilia 5 novembre 1973, n. 38 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 
della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n . .122. 

legge 30 novembre 1973, n. 756, art. 1 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della 
Costituzione, e art. 14 statuto� regione Sicilia). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge regione Lazio 2 luglio 1974, n. 30, artt. 1, lett. a) e b), 2, 3 e 8 
(artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 83, G,U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costi~u::ione). 
Sentenza 10 giugno 1982, n. 109, G.U. 16 giugno 1982, n. 164." 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 24, secondo comma, 
25, secondo comma, 70 e 101, secondo comma, della Costituzione). 

Sentenza 10 giugno 1982, n. 108, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo� comma (artt. 13 e 25 della 
Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 


1f6 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (artt. 13, terzo comma, 
17, primo comma, e 25 della Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (art. 25 della Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo e terzo comma (artt. 3 e 25 della 
Costituzione). 

Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1, 3, 4, 6, 11, 12 e 13 (art. 42, terzo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 12 maggio 1982, n. 92, G.U. 20 maggio .1982, n. 137. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma [modificati 
dalla legge 29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Udine, ordinanza 12 novembre 1981, n. 35/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. 129. 

codice di procedura civile, art. 152 disposizioni di attuazione (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 2 gennaio 1982, n. 71, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. 
Pretore di Roma, ordinanza 29 dicembre 1981, n. 72/82, G.U. 9 giugno 1982, 

n. 
157. 
Pretore di Roma, ordinanza 28 dicembre 1981, n. 83/82, G.U. 23 giugno 1982, 
n. 171. 
codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 novembre e 31 ottobre 1981, nn. 33 
e 34/82, G.U. 12 maggio 1982, n. ,129. 

codice penale, art. 314 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 

Tribunale di Asti, ordinanza 26 novembre 1981, n. 39/82, G.U. 20 maggio 1982, 

n. 137. 
codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Tribtmale di Venezia, ordinanza 25 novembre 1981, n. 96/82, G.U. 30 giugno 
1982, n. 178. 


ff'l

PARTE II, LEGISLAZIONE 

codice di procedura penale, artt. 88 e 497 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 15/82, G.U. 5 maggio 
1982, n. 122. 

codice di procedura penale, art. 387 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 29 settembre 1981, n. 63/82, G.U. 2 giugno 
1982, n. 150. 

codice di procedura penale, artt. 441, 423, 424 e 426 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale di Venezia, ordinanza 30 novembre 1981, n. 93/82, G.U. 23 giugno 
1982, n. 171. 

codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 67/82, G.U. 26 maggio 1982, 

n. 143. 
codice di procedura penale, artt. 553, primo comma, n. 1, e 554, primo com� 
ma, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 116 ottobre 1981, n. 47/82, G.U. 5 maggio 1982, 

n. 122. 
codice di procedura penale, art. 596 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 16 giugno 1981, n. 26/82, G.U. 12 maggio 1982, 

n. 129. 
codice di procedura penale, art. 63S e segg. [in relazione artt. 231, 233 e 234, 
ultimi commi, codice penale] (art. 3, primo comma, della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 
10 dicembre 1981, n. 75/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. 

codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale militare di Padova, ordinanza 4 settembre 1981, n. 838, G.U. 
5 maggio 1982, n. 122. 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 25 settembre 1981, n. 839, G.U. 
26 maggio 1982, n. 143. 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 25 settembre 1981, n. 840, G.U. 
26 maggio 1982, n. 143. 

codice penale militare di pace, artt. 186, ultimo comma, e 189, primo comma 
(art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 23 settembre 1981, n. 841, G.U. 
12 maggio 1982, n. 129. 


118 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice penale militare di pace, art. 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale militare di Padova, ordinanza 11 settembre 1981, n. 842, G.U. 
5 maggio 1982, n. 122. 

r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29, n. 1, e 39 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 1982, 

n. 
157. 
Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno 1982, 
n. 164. 
r.d.I. 12 marzo 1936, n. 375, artt. 1 e 25 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 
Tribunale di Asti, ordinanza 26 novembre 1981, n. 39/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 

r.d. 
16 marzo 1942, n. 267, art. 100 (art. 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Messina, ordinanza 15 ottobre 1981, n. 101/82, G.U. 
30 giugno 1982, n. 178. 

r.d. 
16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 21 ottobre 1981, n. 265/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. 129. 

legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 novembre e 31 ottobre 1981, nn. 33 
e 34/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. 

legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 18 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Potenza, ordinanza 17 novembre 1981, n. 84/82, G.U. 
23 giugno 1982, n. 171. 

legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 8 [modificato dal d.l. 1� giugno 1974, n. 236, 
art. 2-quinquies, convertito in legge 12 agosto 1974, n. 351] (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 27 novembre 1981, n. 87/82, G.U. 
30 giugno 1982, n. 178. 

legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25, secondo comma, della 
Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Grosseto, ordinanza 4 dicembre il981, n. 54/82, 

G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 
legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla 
legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, 104 e 107 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 14 gennaio 1982, n. 284, G.U. 16 giugno 1982, 

n. 164. 
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..~ 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, sesto e ottavo comma (artt. 3 e 27, 
secondo comma, della Costituzione}. 
Pretore di Gubbio, ordinan7..a 16 ottobre 1981, n. 38/8~. G.U. 12 maggio 1982, 

n. 129. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma [come modificato dalla 
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della 
Costituzione). 
Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 7 maggio 1981, n. 53/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Prato, ordinanza 14 dicembre 1981, n. 45/82, G.U. 20 maggio 1982, 

n. 
137. 
Pretore di Teramo, ordinanza 13 gennaio 1982, n. 85, G.U. 23 giugno 1982, 
n. 171. 
legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (artt. 3. e 38, secondo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Viterbo, ordinanza 3 novembre 1981, n. 50/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 

legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 90/82, G.U. 2 giugno 
1982, n. 150. 
Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 91/82, G.U. 2 giugno 
1982, n. 150. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'appello di Lecce, ordinanza 11 dicembre 1981, n. 49/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 

dP.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 16, quinto comma (art. 24 della Costituzione). 


Pretore di Genova, ordinanza 22 dicembre 1981, n. 86/82, G.U. 30 giugno 
1982, n. 178. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Fermo, ordinanza 20 maggio 1981, n. 844, G.U. 5 maggio 1982, 

n. 122. 
legge 9 ottobre 1967, n. 973 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Tribunale di L'Aquila, ordinanza 18 novembre 1981, n. 60/82, G.U. 26 maggio 
1982, n. 1143. 


160 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 1� marzo 1968, n. 188, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 90/82, G.U. 2 giugno 
1982, n. 150. 

Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 91/82, G.U. 2 giugno 
1982, n. 150. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 19!32, 

n. 
157. 
Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno 1982, 
n. 164. 
legge 25 maggio 1970, n. 364, art. 19 (art. 81, quarto comma, della Costituzione). 


Tribunale di Bologna, ordinanza 20 ottobre 1981, n. 52/82, G.U. 20 mag


If.: 

gio 1982, n. 137. 

f:
legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (art. 3 della f: 
Costituzione). 

Corte dei conti, ordfoanza 2 luglio 1981, n. 65/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

I 

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f.f� 

legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (artt. 5 e 97 
della Costituzione e 1 e 14 statuto speciale re11:. siciliana). 

Corte dei conti, ordinanza 2 luglio 1981, n. 65/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2 e 7. secondo comma <artt. 3, 24 e 25 

I 
~ 

della Costituzione). 

ii 

Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 1982, 

n. 
157. 
Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno ,1982, 
n. 164. 
I 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo 
periodo, e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 1� dicembre 1981, n. 76/82, G.U. 23 giugno 
1982, n. 171. 

I 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 24 novembre 1981, n. 97/82, G.U. ! 
30 giugno 1982, n. 178. !

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!

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, ordinanza 5 dicem


I 

bre 11981, n. 29/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. 
~ 

I

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 3 luglio 1981, n. 58/82, G.U. 26 maggio 1982, 

n. 
143. !
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I 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, secondo comma (artt. 3, 53 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo 2rado di Modena. ordinanza 27 novembre 
1981, n. 94/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 [modificato dalla legge 12 gennaio 1980, n. 2, 
art. 15] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, ordinanza 16 luglio 
1981, n. 836, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 

legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma 
[come modificato dalla legge prov. di Trento 23 ottobre 1974, n. 33] (artt. 3 
e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 10 novembre 1981, n. 89/82, G.U. 
30 giugno 1982, n. 178. 

dl. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito nella legge 
4 agosto 1973, n. 495] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Messina, otdinanza 7 dicembre 1981, n. 99/82, G.U. 30 giugno 
1982, n. 178. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 42 e 61 (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Udine, ordinanza 24 novembre 1981, n. 28/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. 129. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
22 ottobre 1981, n. 92/82, G.U. 16 giugno 1982, n. ,164. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 68 (art. 25 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 8 gennaio 1982, n. 95, G.U. 30 giugno 1982, 

n. 178. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 51 e 87 (artt. 3, 24, 97 e 113 della 
Costituzione). 
Pretore di Stradella, ordinanza 9 dicembre 1981, n. 55/82, G.U. 26 maggio 
1982, n. 143. 

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanza 18 luglio 1981, n. 56/82, G.U. 26 maggio 1982, 

n. 143. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 10 ottobre 1980, n. 43/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 
Tribunale di Sondrio, ordinanza 2 ottobre 1981, n. 44/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 


162 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25 della Costituzione). 

Tribunale di Udine, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 51/82, G.U. 20 maggio 
1982, n. 137. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 101 della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanza 24 novembre 1981, n. 88/82, G.U. 30 giugno 
1982, n. 178. 

legge 8 luglio 1975, n. 306, art. 11 (artt. 11 e 10, primo comma, della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 20 giugno 
1980, n. 64/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. 

legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 27 giugno 
1981, n. 48/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 

legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 28 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Corte d'appello di Milano, ordinanza 3 novembre 1981, n. 32/82, G.U. 12 mag� 
gio 1982, n. 129. 

d.P.R. 23 dicembre 1975, n. 685, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 3 novembre 1981, n. 32/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. 129. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 21 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 13 novembre 11981, n. 16/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. 129. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 24 e 25 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Fornovo Taro, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 103/82, G.U. 30 giugno 
1982, n. 178. 


legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1-quater (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 13 novembre 1981, n. 16/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. ,129. 


legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione) 
. 


. Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 2 maggio 
1978, n. 31/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. 


legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1 e 17, lettera b) (art. 117 della Costituzione). 


Pretore di Alatri; ordinanza 10 giugno 1981, n. 61/82, G.U. 26 maggio 1982, 
Il. 143. 


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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 8 febbraio 1977, n. 16 (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 27 giugno 
1981, n. 48/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137� 

. legge. 8 agosto 1977, n. 583, art. 4, terzo comma (artt. 3, primo comma, e 38 
della Costituzione). 

Pretore di Venezia, ordinanza 19 novembre 1981, n. 30/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. �129. 

d.I. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [convertito in legge 27 febbraio 1978, 
n. 41] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Aosta, ordinanza 27 ottobre 1981, n. 42/82, G.U. 12 maggio 1982, 

n. 129. 
legge 27 dicembre 1977, �l. 968, art. 8, quarto capoverso (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Ravenna, ordinanze (cinque) 2 e 14 dicembre 11981, nn. da 77 a 
81/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Biella, ordinanza 19 novembre 1981, n. 62/82, G.U. 26 maggio 
1982, n. 143. j 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 24 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 27 novembre 1981, n. 68/82, G.U, 9 giugno 
1982, n. 157. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, terzo comma, 67, 69, sesto e settimo 
comma, e 71 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Montefiascone, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 105/82, G.U. 
16 giugno 1982, n. 164. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69, secondo e terzo comma, e 71, primo e 
secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Lucera, ordinanza 12 ottobre 1981, n. 14/82, G.U. 5 maggio 1982, 

n. 122. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 73 e 61 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Gubbio, ordinanza 18 settembre 1981, n. 36/82, G.U. 
12 maggio 1982, n. 1129. 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 21 ottobre 1981, n. 37/82, G.U. 12 maggio 
1982, n. 129. 


164 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1981, n. 22/82, G.U. 5 maggio 
1982, n. 122. 

Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1981, n. 23/82, G.U. '12 maggio 
1982, n. 129. 

d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, terzo comma [convertito in legge 
6 febbraio 1980 n. 15 art. 1] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale per i minorenni di Trento, ordinanza 27 maggio 1981, n. 66/82, 

G.U. 26 maggio 1982, n. 143. 
d.l. 30 dicembre 1979 n. 663 art. 23-quater [convertito in legge 29 febbraio 
1980 n. 33] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 74/82, G.U. 23 giugno 1982, 

n. 171. 
d.l. 1� luglio 1980, n. 286, art. 1, primo e terzo comma [convertito in legge 
13 agosto 1980, n. 444] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 74/82, G.U. 23 giugno 1982, 

n. 171. 
legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (art. 42, della Costituzione). 

Corte d'appello di Potenza, ordinanza 11 novembre 1981, n. 73/82, G.U. 
23 giugno 1982, n. 171. 

d.P.R. 24 marzo 1981, n. 216, articolo unico, primo, terzo e quinto comma 
(artt. 3, 22 e 29 della Costituzione). 
Pretore di Bolzano, ordinanza 28 settembre 1981, n. 57/82, G.U. 5 maggio 
1982, n. 122. 

legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 27, primo e quarto comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 74/82, G.U. 23 giugno 1982, 

n. 171. 
d.l. 20 novembre 1981, n. 663, art. 8, primo, secondo, terzo, quarto, quinto 
e sesto comma (artt. 3, 9, 41, 42, 101 e 104 della Costituzione). 
Pretore di Padova, ordinanza 5 dicembre 1981, n. 82/82, G.U. 23 giugno 
1982, n. 171. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 15 dicembre 1981, n. 59/82, G.U. 26 maggio 
1982, n. 143. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 54 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 40/82, G.U. 5 maggio 

n. 122. 
d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 6, 7, 8 e 9 [convertito in legge 25 marzo 1982, 
n. 94] (art. 3, lett. f), statuto speciale regione Sardegna). 
Ricorso regione Sardegna 30 aprile 1982, n. 25, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. 

legge approvata dal consiglio regionale Friuli-Venezia Giulia il 19 marzo 
1982 e riapprovata il 18 maggio 1982. 

Ricorso Presidente Consiglio dei ministri 15 giugno 1982, n. 28, G.U. 23 giu� 
gno 1982, n. 171. 

legge 29 aprile 1982, n. 187, art. 1 [nella parte in cui sostituisce il d.l. 
27 febbraio 1982, n. 57 art. 23] (artt. 117, 118 e 128 della Costituzione). 

Ricorso regione Campania 5 giugno 1982, n. 27, G.U. 23 giugno 1982, n. 171.