ANNO XXXIV -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 -,.-:.ua=���:x -,.-:.ua=���:x ABBONAMENTI ANNO 1982 ANNO L; 22.000 UN NUMERO SEPARATO ...............�.... � 4.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltalv Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu1dlo 1966 (3219205) Roma, 1982 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Franco Favara). . . . . . . . pag.447 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA E INTERNAdel/' avv. Oscar Fiumara) . � > 482 !�ezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Ce1rlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . 490 Sezione quarto: GIURISPRUDENZA CIVILE (a curq degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catricol�) . . . � 50 I Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Baf�le) . . . . . . . � . � . � 568 ~�ezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 606 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) � 621 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI . . . . . . . . . . . . pag. 125 LEGISLAZIONE 152 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari,� Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANn�, Venezia. UN'INTERVISTA DELL'AWOCATO GENERALE SULLE RIFORME ISTITUZIONALI La nostra Costituzione � o no adeguata alla realt� italiana di oggi da un punto di vista politico, sociale, economico e culturale? La mia risposta � positiva. Non nego la profonda diversit� tra la societ� in cui viviamo e quella in cui operarono i costituenti, ma proprio tale trasformazione � il frutto, per quel che concerne la sua parte largamente positiva, di quanto la Costituzione ha voluto, sollecitato o consentito. N� essa ha esaurito il suo potenziale costruttivo ed innovativo: i suoi principi non segnano soltanto i puntL di non ritorno al passato, ma tracciano, in proiezione finalistica, le linee di un disegno di sviluppo ancora inattuato. Occorre portare avanti il processo, ricco di prospettive inesplorate, di � graduale estrazione dai principi costituzionali di ogni loro possibile implicazione� (Sandulli). Si pensi, ad esempio, alla formula di sintesi dell'art. 1 (�Repubblica fondata sul lavoro�). La rivista �Holding� ha dedicato il suo numero di Agosto ad una serie di articoli ed interviste su di un argomento di scottante attualit�: l'adeguatezza della Costituzione repubb.Zicana al mutato assetto politico, economico, sociale e culturale del Paese. Aperta da un messaggio del Presidente della Repubblica, la serie degli scritti pubblicati costituisce un eccezionale panorama delle opinioni espresse in proposito dai pi� qualificati esponenti della politica, della scienza e della pratica del diritto, del sindacalismo e del management pubblico e privato: da De Mita a Perna, da Elia a Giugni, da Berri a Pescatore e Pirrani Traversari, da Storti a Giovannini, da Solustri a Pininf arina, per non citare che alcuni soltanto fra i tanti nomi illustri degli scrittori e degli intervistati. Fra le interviste condotte da Pierluigi Franz figura quella dell'Avvocato generale dello Stato, che la Rassegna ritiene opportuno pubblicare. In essa vengono sottolineati, da un lato, la ricchezza di potenziale evolutivo contenuto nella nostra Carta Costituzionale (il che ovviamente non preclude possibili meditate innovazioni), dall'altro la preoccupante situazione in cui si trova l'Avvocatura, chiamata ad assolvere -con insufficienti mezzi soprattutto di organico -a compiti sempre pi� gravosi ed impegnativi. VI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E stato rilevato (Fanfani) che essa non � un alibi retorico di ipotesi conservatrice, ma esprime l'ipotesi di una democrazia completa non solo politica ma anche economica,� con stretta connessione, sottolineata nell'art. 3, tra quelli che sono stati definiti benefici di libert� istituzionale e benefici di libert� sostanziale (lngrao). Non va quindi trascurata, in primo luogo, la possibilit� di tradurre correttamente la costituzione scritta nel diritto vivente della costituzione materiale con gli strumenti normativi ordinari ed attingendo in profondit� alle indicazioni gi� implicite nella Costituzione. Cos�, ad esempio (senza voler prendere posizione di merito) si pensi all'art. 57, che enunzia il principio dell'elezione del Senato su basi regionali; all'art. 83, che indica il solo scrutinio segreto prescritto, dopo che Aldo Moro ne imped� l'adozione come regola generale, qual'era nello Statuto albertino,� all'art. 97, che sollecita innovazioni strutturali coerenti col pluridimensionalismo istituzionale; eccetera. Del resto anche alcune critiche di fondo, a ben guardare, si risolvono in problemi di corretto sviluppo dei valori di cui � depositario il documento costituzionale. Cos� la critica di chi (Crisafulli) ritiene la Costituzione � datata� perch�, in reazione all'autoritarismo fascista, avrebbe creato situazioni frenanti di garanzia, concedendo troppo alle autonomie e alle libert�. Cos�, in diversa direzione, la critica di chi (Barbera) le imputa di offrire garanzie giuridiche di libert�, senza per� assicurare forme di liberazione. In replica � stato giustamente osservato (Barile) che un � testo � costituzionale pu� garantire solo situazioni di libert�, spettandone l'attuazione allo sviluppo della costituzione materiale. Mi sono soffermato su esigenze e soluzioni pi� immediatamente accessibili alla mia esperienza giuridica. Ma vi sono altri problemi, che non intendo sottovalutare, la cui precisa individuazione e soluzione � affidata eminentemente alla meditazione delle forze politiche. Se queste troveranno ampie intese, anche proceduralmente necessarie (art. 138), la stessa Costituzione offre lo strumento della revisione per superare punti critici dell'assetto attuale. Ritiene adeguato l'attuale organico dell'Avvocatura dello Stato in relazione ai molteplici giudizi in cui deve per 1legge intervenire? La mia risposta � no. Vorrei sottolineare il ruolo che nel sistema della costituzione materiale esercitano gli avvocati dello Stato. Lo Stato che l'Avvocatura difende, come bene precis� l'on. Cossiga, allora Presidente del Consiglio, in occasione del mio insediamento nella carica, non � lo Stato dell'assolutismo, non ha la dimensione autoritaria dell'oligarchia, non corrisponde all'apparato gestionale di una classe dominante: � E lo Stato democratico, la comunit� civile e libera dei NOTA REDAZIONALE vn cittadini eguali, � lo strumento per la pace, la libera convivenza, lo sviluppo del popolo �. L'assistenza alle amministrazioni dello Stato, come quella prestata alle Regioni e agli altri enti pubblici, � assistenza agli interessi, in essi istituzionalizzati, di realizzazione degli obiettivi della Costituzione. Fra questi assume valore primario la realizzazione del fine di giustizia, al cui perseguimento concorre la funzione giustiziale che l'Avvocatura esercita insieme con quella di difesa giudiziale. Malgrado ogni contraria apparenza, difendere i poteri e le prerogative delle istituzioni significa difendere i presupposti concreti della pari dignit� sociale, delle libert� e dei diritti di tutti i cittadini, che trovano nella struttura dello Stato democratico, al di l� di astrazioni utopistiche, il momento primo di loro effettivo riconoscimento. Cos� la difesa, nei giudizi di costituzionalit�, della norma adottata dal Parlamento repubblicano significa, fuori di strumentalizzazioni di parte, raccordarsi alla volont� popolare che si 'esprime, direttamente o indirettamente, secondo il sistema maggioritario della nostra costituzione democratica. Accanto a queste considerazioni � superfluo mettere in evidenza quanto numerosi e importanti siano i giudizi in cui interviene l'Avvoca tura dello Stato, nonch� gli affari nei quali � chiamata ad esercitare la sua funzione consultiva per l'attuazione in via preventiva della giustizia nell'Amministrazione. Per ci� confido che, nell'auspicato sviluppo della Costituzione mate riale, il concorde impegno del Governo e di tutte le forze democratiche consenta anche di risolvere il problema dell'inadeguatezza dell'organico degli avvocati e procuratori dello Stato, insieme a quello, che di molto l'aggrava, della cronica carenza della struttura organica e funzionale del personale di collaborazione amministrativo. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI Un"intervista dell'Avvocato Generale sulle riforme istituzionali . . . . pag. V C. BAFILE, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni nella fase esecutiva I, 592 I. F. CARAMAZZA, Depenalizzazione e decriminalizzazione nel diritto comparato II, 125 E. CIARDULLI, I rapporti tra giurisdizione e pubblica amministrazione e la funzione dell'Avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . . II, 144 A. CINGOLO, Emittenti private locali e difetto assoluto di giuridisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 490 A. DE STEFANO, Funzioni del liquidatore dei beni nel concordato preventivo e legittimazione passiva nei giudizi di accertamento della situazione patrimoniale del debitore concordatario . . . . . I, 544 A. DE STEFANO, Natura giuridica della compravendita in danno II, 136 A. DE STEFANO, Un caso di compera in danno nei confronti di una Societ� in amministrazione controllata . . . . . . . . . . . . . . I, 551 F. FAVARA, Obbligatoriet� dell'azione penale, officialit� dell'azione penale e cosiddetta pregiudiziale tributaria . . . . . . . . . . . I, 460 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Ap.palti di opere pubbliche -ru.serve -Onere generale -Eccemoni -Fatti dolosi o colposi -Condizioni, 606. -Appalti di opere pubbliche -Riserve -Sospensione derivante da fatto colposo -Onere -Sussiste, 600. -Appalti di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Allegazione di falsa causa -Non esclude l'onere della riserva, 606. -Appalti di opere pubbliche -Sospensione -Rapporto tra l'art. 30 d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e l'articolo 16 R.D. 25 maggio 1895 numero 350 -Onere della riserva Sussistenza, 606. � -Appalto di opere pubbliche -R.D. 25 maggio 1895 n. 350 -Natura Regolamento delegato, 607. -Appalto di opere pubbliche -Riserve �e decadenza -Previsione contenuta nel R.D. 25 maggio 1895 n. 350Illegittimit� -Esclusione, 600. - Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Riserva -Tempestivit� -Condizioni, 600. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Zucchero -Esportazione -Prelievi -Data di riscuotibHit�, 485. -Unione doganale -Tariffa doganale comune -Farina di estrazione di soia brasiliana -Voce ex 23.04 -Organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi -Prodotto ivi contemplato, 482. CONTABILIT� PUBBLICA -Contratti della pubblica amministrazione -Conclusione del contratto Approvazione del contratto quale � condicio juris >>, con nota di A. DE STEFANO, 543. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio incidentale -Ordinanza di rinvio -Oggetto del sindacato di costituzionalit� -Onere di individuazione -Incombe sul giudice a quo, 458. DEMANIO -Strada e passaggio a livello -Interruzione o soppressione a seguito di costruzione di opera pubblica Diritto all'indennizzo a favore del propmetanio frontista -AmrnisS!i.bilit� -Valutazione -Limiti, 4%. -Strada � Proprietari frontisti -Posizioni soggettive -Natura, 496. EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Cessione alloggi in propriet�. Determinazione del prezzo � GiurisdiZ! ione ordinaria -Sussiste, 501. -Cessione alloggi in propriet�. Diritto soggettivo all'assegnazione -Sussiste, 501. -"" Cessione alloggi in propriet�. Norme per �la determinazione del prezzo Imperativit� -Violazione -Nullit� del Contratto -Sussiste, 501. -Cessione alloggi in propriet�. Nullit� del contratto � Responsabilit� precontrattuale della P.A. -Non sussiste, 501. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Ablazioni aventi carattere sanzionatorio � Decadenza da concessione mineraria � Indennizzo per l'ablazione delle pertinenze minerarie -Non � garantito, 450. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO X -Costruzione di opera pubblica � InPOSTE E TELECOMUNICAZIONI dennizzo corrisposto ai proprietari del fondo espropriato -Possibili mutamenti futuri dell'opera � Pregiudizio ai proprietari -Configurabilit� di altro diritto all'indennizzo, 496. FALLIMENTO -Amministrazione controllata e concordato preventivo � Divieto di azioni esecutive individuali � Limiti, con nota di A. DE STEFANO, 543. -Amministrazione controllata e concordato preventivo � Principio della cristallizzazione dei crediti � Applicabilit�, con nota di A. DE STEFANO, . 543. -Concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori � Funzione del liquidatore dei beni e giudizi per l'accertamento delle passivit� � Legittimazione passiva del liquidatore e litisconsorzio necessario con il debitore concordatario, con nota di A. DE STEFANO, 543. -Concordato preventivo � Giudizi per l'accertamento dei crediti nei confronti del debitore concordatario � Ammissibilit�, con nota di A. DE STEFANO, 543. - Notifica a societ� in liquidazione � Notifica personale all'ultimo liquidatore � Condizioni � Validit�, con nota �di A. DE STEFANO, 543. FONTI DEL DIRITTO -Decreto legislativo � Disposizione riproduttiva di previgente disposizione -Testo unico -Ha efficacia abrogante, 481. GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento preventivo � Questioni di legittimit� costituzionale � Accertamento � Limiti, 542. PENA -Disposizione sanzionatrice comune a pi� fattispecie -Principio di eguaglianza -Non � violato, 447. -Radiotelevisione � Emittente privata locale -Eseroi:llio d'impresa televisiva in difetto di autorizzazione -Interferenze provocate dalle trasmissioni RAI -Azione possessoria -Tutela in via d'urgenza � Difetto di giurisdizione del giudice ordinario, con nota di A. CINGOLO, 490. PROCEDIMENTO PENALE -Giustizia militare -Officialit� dell'azione penale -Richiesta di autorit� militare -Legittimit� costitu: llionale, con nota di F. FAVARA, 460. -Incidente di-esecuzione -Legittimo impedimento dell'imputato o condannato -Rd'levanza, 478. PROFESSIONI -Sanitario -Farmacista -Prestatore d'opera intellettuale -Convenzione nazionale Inam -Associazione categorfa � Natura � Effetti vincolanti � Nozione, 522. PROPRIET� -Concessioni traslative operate con i decreti marattiani e confermate con i decreti della monarchia borbonica Natura obbligatoria � Conf.igurabifilt� in un modus -Acquisto della propriet� a titolo originario -Effetti, 529. -Usucapione � Possesso solo animo� Intestazione catastale � Rilevanza, 528. REATO - Detenzione e porto d'arma -Pare. ri della commissione amministrativa sulla catalogazione delle armi � Rilevanza ad fim penali -Legittimit� costituzionale, con nota di F. FAVA� RA, 460. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 � Confisca obbligatoria prevista dall'art. 1 del decreto- legge 4 marzo 1976 n. 31 nel INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Xl testo risultante dall'art. 2 legge 23 dicembre 1976 n. 863 -Inapplicabi1it�, 621. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Sanzioni di carattere amministrativo di cui all'art. 8 del decreto-legge 4 marzo 1976 n. 31 del testo risultante dalla legge di conversione 30 aprile 1976 n. 159 ed in relazione all'art. 2 R.D.L. 5 dicembre 1938 n. 1928 convertito nella legge 2 giugno 1939 n. 739 Inapplicabilit�, 621. -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Soggetto attivo -� � chiunque� anche se non residente, 621. - Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976 n. 689 -Valore delle disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere superiore ai quindici milioni di lire -Non costituisce circostanza aggravante ma ipotesi autonoma di reato, 621. REGIONE -Enti pubblici locali operanti in materie di competenza regionale -Attribuzioni legislative e amministrative della regione, 452. -Previdenza sociale -Legge regionale classificante attivit� lavorative -Illegittimit� costituzionale, 449. RESPONSABILIT� CIVILE -Clausole di esonero da responsabilit� -Limitazione della responsabilit� per dolo o colpa grave -Nullit�, 539. SANITARIO -Farmacista -Convenzione nazionale Inam -Associazione categoria -Termine di durata -Recesso prima della scadenza -Compatibilit� -Fattispecie, 522. TRASPORTI PUBBLICI -Ferrovie e Tramvie -Incendio sviluppatosi nella stazione Termini di Roma -Presunzione di responsabilit� delle Ferrovie dello Stato per danno cagionato da cose in custodia -Limiti, 539. -Ferrovie � Trasporto per ferrovia � Limiti di responsabilit� � Legittimit� costiituzionale, 476. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza � Realizzazione nel corso di procedura fallimentare Costituisce reddito tassabiiile, 574. -Imposte fondiarie � Imposta sui fabbricati � Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Conformit� alla licenza edilizia -� ri- chiesta, 579. � -Soggetti passivi � Capacit� giuridica tributaria � Organizzazioni di beni e di persone � Attivit� occasionale di un gruppo di persone -Sussiste, 577. TRIBUTI ERARIALI INDiiRETTI -Imposta di bollo -Copia di atto pubblico da presentare all'ufficio del registro per la registrazione -Esenz, ione � Esclusione, 568. -Imposte doganali -Accertamento Revisione � Nozione � Termine Elementi diversi da qualificazione valore ed origine -Termine quinquennale, 581. TRIBUTI (IN GENERE) -Accertamento divenuto definitivo in via amministrativa -Non fa stato nei procedimenti penali, con nota di F. FAVARA, 459. -Contenzioso tributario � Imposte indirette � Opposizione all'esecuzione Foro dello Stato, con nota di C. BAFILE, 592. -Contenzioso tributario -Imposte indirette � Opposizione all'esecuzione � Giurisdizione ordinaria, con nota di C. BAFILE, 592. xn RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO -Contenzioso tributario Procedimenti pendenti -Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Ricorsi presentati dopo l'entrata in vigore prima dell'insediamento delle nuove commissfoni -Non si applica, 589. -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle Commissioni -Partecipazione all'udienza -Sciopero del personale degli uffici tributari Nullit� della decisione -Esclusione, 571. -Repressione penale degli illeciti tributari in materia di I.V.A. e di imposte dirette -Azione penale -Pre giudiziale necessaria -Legittimit� costituzionale -Limiti, con �nota di F. FAVARA, 459. VENDITA -Compravendita in danno -Non costituisce forma di esecuzione forzata -Sua ammissibilit� in pendenza di un procedimento di amministrazione controllata, con nota di A. DE STEFANO, 543. -Compravendita in danno -Requisito della tempestivit� -Conseguenze del ritardo, con nota di A. DE STEFANO, 543. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE. 14 gennaio 1982, n. 1 16 febbraio 1982, n. 41 3 marzo 1982, n. SO 1 aprile 1982, n. 65 29 aprile 1982, n. 81 12 maggio 1982, n. 88 12 maggio 1982, n. 89 12 maggio 1982, n. 90 20 maggio 1982, n. 98 10 giugno 1982, n. 108 10 giugno 1982, n. 110 18 giugno 1982, n. 114 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE. Sez. Il, 111 marzo 1982, nella causa 129/81 Sez. I, 27 maggio 1982, nella causa 196/81 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 11 1gennaio 1982, n. 95 Sez. I, 13 gennaio 1982, n. 168 Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 230 Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 231 Sez. I, 26 gennaio 1982, n. 500 Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835 Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 957 Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 958 . Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 999 . Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1050 Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1051 Sez. I, 5 marzo 1982, n. 1382 . Sez. I, 17 marzo 11982, n. 1726 . . pag. 447 )) 449 )) 450 � 452 )) 458 )) 459 � 459 )) 476 � 478 � 460 � 481 � 460 pag. 482 � 485 pag. 568 � 571 � 574 )) 577 ,. 579 � 501 � 581 )) 522 )) 589 )) 592 )) 490 )) 528 )) 606 XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO S!!z. III, 20 marzo 1982, n. 1817 . Sez. I, l� aprile 1982, n. 2006 Sez. Un., 11 maggio 198'2, n. 2918 Sez. Un., 19 maggio 1982, n. 3085 pag. � � � 539 {iJJ 542 496 TRIBUNALE DI BARI IV Sezione civile, 20 luglio 1981, n. 1568 � 543 GIURISDIZIONI PENALI TRIBUNALE DI ROMA Sez. IV, 28 ottobre 19&1 � 621 ! ! _,,,ari~~ PARTE SECONDA QUESTIONI Depenalizzazione e decriminalizzazione nel diritto comparato pag. 125 Natura giuridica della compravendita in danno . . . . � 136 I rapporti tra giurisdizione e pubblica amministrazione e la funzione dell'Avvocatura dello Stato . . . . . ...... . � 144 LEGISLAZIONE I -Norme dichiarate incostituzionali pag. 152 II -Questioni non fondate � 154 III -Questioni proposte � 156 PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1982, n. 1 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -Saiani (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Pena -Disposizione sanzionatrice comune a pi� fattispecie � Principio dii eguaglianza -Non � violato. (Cost., art. 3; I. 30 aprile 1962, n. 283, artt. S e 6). Nella materia penale, nella quale il principio di legalit� impone la formulazione di fattispecie ben definite, ciascuna accompagnata dalla relativa sanzione, il principio di uguaglianza .non pu� essere inteso nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa da tutte le altre (ci� specie in un sistema quale il nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un minimo e un massimo); detto principio pu� ritenersi violato soltanto in presenza di sperequazioni radicalmente ingiustificate. (omissis) Il Pretore di Ferrara dubita de1la legittimit� costituzionaile degli artt. 5, lett. g) e 6 (quarto comma) della legge 30 aprile 1962, n. 283 -modificata ed rintegrata con la legge 26 febbraio 1963, n. 441 -prospettandone il contrasto con l'art. 3 (primo comma) Cost. Ci� perch� il quarto comma dell'art. 6 della legge n. 283 del 1962 -prevedendo una unica sanzione per i contravventori alle disposizioni (del presente articolo e) dell'articolo precedente -punisce con identica pena l'aggiunta tanto di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro della Sanit�, quanto di additivi chimici autorizzati, ma senza J'osservanza delle norme prescritte per hl loro impiego (art. 5 lett. g); nel caso di specie, senza l'indicazione dell'additivo usato sul (piombino del) prodotto preparato. Il giudice a quo reputa le due fattispecie di cos� diversa gravH� da �sigere differenti trattamenti sanzionatori, e dubita, perci�, che l'equiparazione quoad poenam operata dal legislatore violi il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. La questione non � fondata. Questa Corte ha gi� avuto occasione di rilevare -risolvendo analoga questione avente ad oggetto l'art. 5 lett. f) e l'art. 6 della medesima legge n. 283 del 1962 (sent. n. 99 del 1979) -che le disposizioni contenute nel testo legislativo anche ora in esame concernono la � disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze aHmentari e delle bevande �, e che le relative prescrizioni ((tendono a garantire la genuinit�, 1 il buon stato di conservazione, la pulizia, la innocuit� delle manipolazioni consentite, dei prodottri a11imentari e impongono, perci�, l'osservanza di 448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO regole, ritenute generalmente valide, alla stregua dell'esperienza e delle conoscenze tecnic0::scientifiche acquisii.te, al fine di scongiurare ogni pericolo per la salute. Nello stesso tempo, le norme in esame vogliono consentire agli organi di vigilanza, ma anche ai consumatori di conoscere immediatamente e facilmente se le sostanze alimentari sono state og. getto di manipolazioni... e di quali, per una scelta consapevole anche in I'elazione alle condiziond. soggettrive del singolo consumatore �. Come con le disposizioni di cui all'art. 5 lett. f) della legge n. 283 del 1962, cosi come quelle di cui alla successiva lett. g) dell'articolo medesimo il legislatore ha fissato ad una soglia anticipata la tutela penale della salute, senza prendere in considerazione il pericolo cui concretamente pu� dar luogo l'impiego di determinati additivi chimici; pericolo che non discende automaticamente e necessariamente dal solo fatto che l'uso di uno specifico additivo non sia stato autorizzato dal Ministro per la Sanit�, con proprio decreto soggetto a revisione annuale, e viceversa non � escluso, quanto meno, con riferimento ad un soggetto determinato, dall'uso di un additivo autorizzato. Le due fattispeoie contravvenzionali di cui alla lett. g) dell'art. 5 della legge n. 283 del 1962 non si pongono, quindi, reciprocamente in un rapporto di cosi marcata differente gravit� da far ritenere l'uguale trattamento sanzionatorio viziato da illegittimit� per contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. Va, in proposito, ribadito che nella materia penale, nella quale il principio di legalit� impone la formulazione di fattispecie ben definite, ciascuna accompagnata dalla relativa sanzione, il principio di uguaglianza non pu� essere inteso' nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa da tutte le altre (ci� specie in un sistema quale wl nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un minimo ed un massimo). Perci� -posto che � la configurazione delle fattispecie criminose e le valutazioni sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla politica legislativa�, implicando scelte di valore -soltanto le �sperequazioni che assumono una tale gravit� da risultare radicalmente ingiustificate � possono concretare un arbitrio del legislatore lesivo del principio di uguaglianza (sent. I�. 26 del 1979). Quando, come nelle disposizioni di legge denunziate, in vista della tutela di un medesimo bene, che si vuole realizzata ad una soglia determinata, vengono presi in considerazione comportamenti diversi, ma tutti estrinsecantisi nella inosservanza delle prescrizioni poste dal legislatore a quel fine, non si pu� certamente ritenere radicalmente ingiustificata e, per questo, arbitraria la comminatoria di una pena da determinarsi dal giudice nell'esercilJio della propria discrezionalit� (vincolata ex artt. 132 . e 133 del codice penale, nonch�, ora, ex artt. 53 e ss. della legge 24 novembre 1981, n. 689) entro gli stessi limiti minimo e massimo. PARTE I, . SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 449 CORTE COSTITUZIONALE, 16 febbraio 1982, n. 41 -Pres. Elia -Rei. La Pergola -INAIL (avv. Napolitano) e Regione Toscana (avv. Cheli). Regione � Previdenza sociale � Legge regionale classificante attivit� lavora� tive -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 117; I. reg. Toscana 2 settembre 1974, n. 55, articolo unico). Contrasta con l'art. 117 Cast. la legge regionale che classifichi una attivit� lavorativa come agricolo-forestale agli effetti previdenziali. (omissis) Nel presente giudizio � censurato l'articolo unico della legge Regione Toscana 2 settembre 1974, n. 55 (�Norme transitorie per l'assunzione di manQ d'opera ai fini dell'esecuzione in amministrazione diretta dei lavori concernenti le opere di bonifica idraulico-forestali, idraulico-agrarie e di forestazione�), cos� testualmente formulato: �In via transitoria, e comunque non oltre 'L'entrata in vigore delle norme per la disciplina organica della gestione di beni agrari e forestali della Regione e della delega riguardante le funzioni amministrative in materia di foreste e bonifica di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 11, gli amministratori. incaricati della gestione dei suddetti beni e gLi ispettori ripartimenta'Li e distrettuali delle foreste possono impiegare, per l'esecuzione in amministrazione d�retta dei lavori concernenti le opere di bonifica idraulico-forestali, idraulicoagrarie e di forestazione, lavoratori assunti cori contratto di diritto privato, nell'osservanza delle norme sul collocamento e delle leggi previdenziali in agricoltura e dei contratti ed accordi coHettivi sindacali di categorie �. (omissis) � ben vero che la normativa previdenziaile dello Stato avrebbe, nel silenzio del legislatore regionaile, pur sempre regolato il caso in esame. Ci� non toglie, tuttavia, che nel campo in cui altrimenti opererebbe fa previsione della legge statale s'incontri la norma regiooale, della quale la Corte � chiamata ad occuparsi. La disposizione censurata rinvia, certo, ailla J.egge dello Stato (e propriamente, si deve precisare, alJa fonte normativa statale: dunque, non soltanto alle norme da questa prodotte, ma anche alle altre, che possono per l'avvenire derivarne); ma ci�, coo l'ulteriore prescriziooe che nell'assunzione della mano d'opera si osservino le norme dettate dallo Stato con speci~co riferimento al lavoro agricolo. Tale ultima statuizione � appositamente posta per individuare -in seno alla vigente o futura legislazione statale, oggetto dfil rinvio -un certo 'regime normativo, al quale J.e attivit� lavorative, contemplate �da11a legge regionale, restano, quanto aiJ. trattamento previdenziale, necessariamente assoggettate. Ai fini della disciplina cos� adottata, la classificazione delle suddette attivit� quali agricole o forestali, non va, come vorrebbe la difesa della Regione, operata daLl'inteq>rete, alla stregua della legge statale richiamata; essa RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 450 si trova, invece, gi� testualmente fissata neMa stessa ilegge 'regioo::i:ale: la quale ultima, proprio per aver disposto in questo 'senso, � censurata davanti alla Corte. Nel merito, la questione � fondata. Si deve tuttavia osservaxe che il puro e semplice richiamo della legge 'Statale non sarebbe bastato ad inficiare la legittimit� dell'impugnata norma regionale. La violazione deLl'art. 117 Cost., sussiste, nella specie, in quanto, come si � visto, il legislatore toscano ha configurato un :autonomo criterio di qualificazione delle attivit� protette, I laddove fa disposiziOille rinviante avrebbe dovuto 'lasciarle, senza :residui, nell'ambito di applioazione delle norme previdenziali dello Stato: la legge regionale viene per questa via sovrapposta alla ilegge dello Stato, ila quale I per�, secondo Costituzione, � la 'sola fonte competente a dettare 1a disciplina della specie. Va infatti escluso che il qui censurato regolamento dei profili previdenziali ed assicurativi del ilavoro agricolo possa, iin virt� di alouna connessione o derivazione strumentale, ricondursi alla potest� legislativa garantita alla Regione in materia di agricoltura e foreste, ex art. 117 Cost. E non ii.mporta poi se, ai fini previdenziali, Je attivit� lavorative, delle quailii. si occupa iLa norma in esame, siano, oppur no, oggettivamente attivit� agricolo-forestaH: 1sempre ai suddetti fini, la legge regionale non poteva, ad alcun titolo, classificarle come tali, e farne comunque oggetto di proprie previsioni normative. La disposizione censurata va, in conclusione, dichiarata illegittima, per la parte in cui, nel richiamare la fogge previdenziale dello Stato, essa statuisce: � m agricoltura�; iil che, come si deduce ne11'011dinanza di rinvio, concreta, appunto, un'illegittima interferenza ne1la sfera di produzione normativa de1la fonte richiamata. CORTE COSTITUZIONALE, 3 marzo 1982, n. 50 -Pres. Elia -Rel. Paladin -S.p.A. Miniera Baccarato (n.p.) e Regione Sicilia (avv. Stato Angelini Rota). Espropriazione per pubblica utilit� -Ablazioni aventi carattere sanzionarorio � Decadenza da concessione mineraria � Indennizzo per l'ablazione delle pertinenze minerarie � Non � garantito. (Cost., art. 42; I. reg. Sicilia 1 ottobre 1956, n. 54, art. 52). La garanzia del �salvo indennizzo� prevista dall'art. 42, terza comma, Costituzione non si estende alle ablazioni aventi carattere sanzionatorio, quale � l'acquisizione al concedente delle pertinenze minerarie in caso di decadenza del concessionario. (omissis) U Tribunale di Palermo impugna l'art. 52 della legge regionale siciliana 1� ottobre 1956, n. 54, disciplinante la ricerca e la coltiva PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zione delle sostanze minerali: con particolare riguardo al capoverso dell'articolo medesimo, che in tema di decadenza rimanda alle disposizioni dell'art. 42, ma non alle disposizioni degli artt. 43 e 44 della legge in questione, cUJi fa invece richiamo il primo comma, circa la rinuncia del concessionario e la revoca della concessione mineraria. Per conseguenza di tali distinti rinvii, nei casi di rinuncia e di revoca � appartengono al concessionario cessante � -come prevede il primo comma dell'art. 43 -� gli oggetti destinati alla coltivazione che possono essere separati senza pregiudizio deHa miniera�, salvo che l'Amministrazione regionale e il concessionario subentrante non .intendano �ritenerti corrispondendone il valore�; laddove, nel caso della decadenza, vale ad ogni effetto la statuizione dell'art. 42, primo comma, in base alla quale � il concessionario deve consegnare la miniera e le sue pertinenze all'Amministrazione regionale o al nuovo concessionario �. Cos� interpretata, coerentemente con ci� che ha ritenuto fa istessa Corte di cassazione, la norma impugnata sarebbe per altro lesiva dell'art. 42 Cost., nella parte in cui si esige che a favore del proprietario espropriato per motivi d'interesse generale sia disposto un indennizzo; e si porrebbe del pavi in contrasto con l'art. 117 Cost., vtiolando in particolar modo j;l principio fondamentaile desumibile dall'art. 43 del 1r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, per cui il nuovo concessionario della miniera che sia stata oggetto di decadenza pu� ritenere anche i beill�. separabili senza pregiudizio della miniera medesima, � purch� ne corrisponda il prezzo al concessionario precedente �. La questione � infondata. Del tutto improprio si .dimostra, in primo luogo, il riferimento all'art. 117 Cost. Il limite dei � princ�pi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato�, relativo ad ogni singola materia attribu:ita alla competenza legislativa delle Regioni ordinarie, � infatti inestensibile alla � legislazione esclusiva� della quale � dotata in materia d:i miniere l'Assemblea regionale siciliana, per espresso disposto dell'art. 14 ~ett. h) dello Statuto speciale. N� si potrebbe elevare a principio generale dell'oroinamento, per fame comunque applicazione nella specie, fa .pretesa regola !in forza del1a quale sarebbe riservata al proprietario della cosa accessoria la facolt� di far cessare il vincolo pertinenziale. In tema di pertinenze in genere, e di pertinenze minerarie in particolare, vale anzi il criterio -fissato dal primo comma dell'art. 818 cod. civ. -per cui la cosa accessoria rimane assorbita nelle vicende giuridiche della cosa principale; tanto � vero che le stesse pertinenze minerarie separabili non possono venir liberamente asportate dal concessionario cessante, ma sono in ogni caso suscettibili di acquisizione da parte del nuovo concessionario, anche se questi � tenuto al pagamento del prezzo (cfr. l'art. 36 della ricordata legge mineraria del 1927). 452 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO L'ipotesi in esame rimane, d'altra parte, estranea all'ambito di operativit� dell'art. 42 Cost., l� dove sd richiede che ogni espropriazione venga indennizzata. Vero � che nell'art. 43, primo comma, della legge mineraria siciliana si stabilisce in via di principio che le pertinenze separabili continuino ad appartenere al concessionario cessante; sicch� la contraria prescrizione risultante dal combinato disposto degli artt. 52, secondo comma., e 42, primo comma, rappresenta una deroga non connaturata al regime delle pertinenze medesime, per quanto esso sia particolare. Ma la deroga si giustifica, da:l momento che la decadenza non pu� esser pronunciata dall'Amministrazione regionale, se non quando. si accerti e si contesti l'inadempimento del concessionario, nei casi puntualmente indicati dall'art. 48 della legge regionale e fatta sempre salva la forza maggiore. Resta per ci� stesso escluso che ci si trovi in presenza di una vera e propria misura espropriativa, inquadrabile nella previsione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Trattasi, al contrario, di una ablazione avente un carattere sanzionatorio, giacch� la perdita della propriet� privata o del diritto di averne corrisposto il prezzo si ricollega ad un comportamento colpevole del concessionario (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 1 aprile 1982, n. 65 -Pres. Elia -Rel. Paladin Regione Fniuli Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regione -Enti pubblici locali operanti in materie di competenza regionale Attribuzioni legislative e amministrative della regione. Gli enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza propria di una regione (nella specie, a statuto speciale), pur restando distinti dagli enti strumentali o �para-regionali�, sono per vari aspetti assoggettati ai poteri regionali di supremazia e possono essere riorganizzati ad opera della Regione. (omissis) Il ricorso in esame investe l'intera legge riapprovata il 28 settembre 1976 dal Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, per disciplinare lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale delle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. Il Presidente del Consiglio assume che la legge sia viziata per incompetenza, in quanto alla Regione Friuli-Venezia Giulia farebbe difetto la potest� legislativa in tema di ordinamento delle Camere di commercio e di stato giuridico ed economico del personale ad esse addetto. Da un lato, cio�, le Camere stesse non potrebbero venir trattate alla stregua di enti strumentali della Regione, essendo invece dotate �di un certo grado PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE di indipendenza� nei confronti dell'apparato regionale, implicitamente garantito dall'art. 5 della Carta costituzionale. D'altro lato, la circostanza che le materie dell'agricoltura, dell'in�iustria, del commercio. e dell'artigianato siano tutte attribuite alla Regione Friuli-Venezia Giulia dall'articolo 4, n. 2, n. 6 e n. 7, del relativo Statuto speciale, non comporterebbe uno � specifico riconoscimento della competenza regionale � nel settore� considerato dalla legge impugnata: riconoscimento di cui non vi � traccia -avverte il ricorrente -nelle disposizioni statutarie, diversamente da ci� che si verifica nello Statuto del Trentino-Alto Adige. Sotto entrambi gli aspetti, la questione � infondata. Non � pertinente, anzitutto, il richiamo all'art. 5 della Costituzione~ per cui �la Repubblica... riconosce e promuove le autonomie locali�, adeguando � i principi ed i metodi della sua legislazione � -sia essa statale o regionale -�alle esigenze dell'autonomia e del decentramento�; n� occorre addentrarsi, per: averne la dimostrazione, nella problematica riguardante la natura cl.elle Camere di commercio, accertando se sia dato assimilarle -ed eventualmente a quali effetti -agli enti territoriali minori, puntualmente menzionati dagli artt. 114 e 128 Cast., ovvero agli �altri enti locali� di cui si fa cenno negli artt. 118 e 130 della Costituzione. Determinante � comunque la considerazione che, allo stato attuale: dell'ordinamento, le Camere di commercio non dispongono, quanto ali complessivo regime del loro personale, di alcuna autonomia normativa, suscettibile di venire lesa dalla legge regionale impugnata. Del resto, ben prima che fosse istituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, il trattamento del personale delle Camere formava invece l'oggetto di regolamenti-tipo, imperativamente dettati -con riguardo a tutto il territorio nazionale -per mezzo di decreti interministeriali. Basti infatti ricordare il decreto del 1� marzo 1958, che sostituiva il regolamento-tipo del 26 maggio 1937 (e successive modificazioni). Ed � significativo che questo testo recasse continui e sistematici riferimenti allo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il d.P.R. n. 3 del 1957, sia per fissare il trattamento economico dei dipendenti camerali, sia per regolare l'inizio del rapporto d'impiego e le carriere del personale medesimo, sia per disciplinare la cessazione del rapporto: senza mai consentire che siffatte disposizioni regolamentari fossero autonomamente derogabili da parte di ciascuna singola Camera. Sostanzialmente identica � anche l'ispirazione del successivo regolamento- tipo, approvato con d.m. 16 marzo 1970 -in base all'espressa previsione dell'art. 3, secondo comma, della legge 23 febbraio 1968, n. 125 ed ancora vigente alla data del ricorso in esame, salve alcune modifiche non incidenti sui motivi del ricorso stesso. Gli artt. 3, quarto comma, 4, primo comma, 5, ultimo comma, 11, terzo comma, 12, primo comma, 21, primo e secondo comma, 25, ultimo comma, 26, secondo comma, 30, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 454 33, ultimo comma, 37, 38, 39, 48, ultimo comma, 50, 55, ultimo comma, 60 cpv., 63, primo comma, 65, primo comma, 94, 96, primo comma, 100, 104 insistono infatti nell'equiparare il personale delle Camere di commercio al personale statale; tanto � vero che la norma di chiusura contenuta nell'art. 105 richiama, �per tutto quanto non esplicitamente stabilito nel presente regolamento, ... le disposizioni vigenti, in materia di stato giuridico, per .i dipendenti civili dello Stato�. Ci� che pi� conta, il regolamento-tipo del 1970 � ancor pi� dettagliato che il corrispondente testo del 1958; e al pari di esso non lascia alle singole Camere significativi spazi di autoorganizzazione, interferenti con le norme generali in tema di stato giuridico ed economico del personale. N�, sotto questo profilo, la situazione muta per effetto del sopravvenuto decreto interministeriale 2 marzo 1981, approvativo del nuovo regolamento-tipo per il personale deHe Camere stesse: sia perch� tale testo riproduce in gran parte le disposizioni previgenti, e comunque ripresenta la struttura del regolamento del 1970; sia perch� esso continua a rinviare alla disciplina dei dipendenti civili deHo Sttao, tanto per mezzo di una nutrita serie di specifici disposti, quanto con la norma di chiusura dell'art. 111. Cos� stando le cose, � chiaro che l'equiparazione progettata dal legislatore del Friuli-Venezia Giulia, per cui il trattamento dei dipendenti camerali dovrebbe esser disciplinato -in linea di massima -dalle norme concernenti il personale della Regione (secondo i criteri di inquadramento fissati dall'art. 2 della legge in questione), non verrebbe a privare le Camere di nessuna sfera di competenza e di autodeterminazione, che sia loro riservata sul piano nazionale. E non si pu� dire che le Camere stesse risultino in sostanza degradate ad enti strumentali della Regione, per il solo fatto che lo stato del loro personale venga modellato sull'ordinamento dei dipendenti regionali. S'intende, viceversa, che i richiami alla legge regionale 5 agosto 1975, n. 48 ( � Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia�), non concretano altro che un punto di riferimento, allo stesso modo dei richiami allo statuto degli impiegati civili dello Stato, operati nei predetti decreti interministeriali. A loro volta, anzi, le due di'scipline cos� richiamate possono considerarsi fondamentalmente affini, dato il principio dettato dall'art. 68, secondo comma, dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, per cui �le norme sullo stato giuridico ed il trattamento economico del personale del ruolo regionale devono uniformarsi alle norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale statale �. D'altra parte, non � fondato l'assunto che l'ordinamento delle Camere di commercio esorbiti dalle materie elencate nell'art. 4 dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Vero � che tale Statuto non inserisce le Camere stesse, n� sotto il profilo funzionale n� sotto il profilo strutturale, fra gli oggetti della competenza legislativa regionale piena o primaria (e nem:rp.eno vi accenna nei successivi articoli); sicch�, per il Friuli-Venezia Giulia, manca una puntuale attribuzione statutaria, del genere di quella risultante dall'articolo 4, n. 8, del vigente Statuto per il Trentino-Alto Adige (come pure dall'art. 4, n. 13, dell'originario Statuto del 1948). Ma l'espressa previsione dell'� ordinamento delle Camere di commercio � rispondeva e risponde, nel caso del Trentino-Alto Adige, a ragioni del tutto peculiari, che non trovano riscontro nel caso del Friuli-Venezia Giulia. Secondo lo Statuto del 1948, le materie in cui agiscono le Camere venivano divise fra la Regione e le Province di Trento e di Bolzano, nel senso che alla competenza regionale appartenevano l'� agricoltura � e 1'� incremento della produzione industriale e delle attivit� commerciali�, mentre alla competenza provinciale residuava l' � artigianato�; ed un'ulteriore sfasatura discendeva da ci� che l'� agricolturn � rientrava fra le materie di competenza primaria, mentre l' � incremento della produzione industriale... � era fartto ricadere nella competenza ripartita: sicch� risultava comunque opportuno chiarire a quale ente autonomo spettasse, ed a quale titolo, disciplinare le Camere di commercio. Ma questa esigenza si dimostra ancora pi� pressante alla stregua dell'attuale Statuto, che affida alle Province sia 1'� artigianato�, sia l'� agricoltura�, sia il �commercio � e l' � incremento della produzione industriale �: con la conseguenza che, per mantenere la competenza regionale sull' � ordinamento delle camere di commercio�, si � reso indispensabile continuare ad enuclearlo, separandolo nettamente dai settori pertinenti alle varie funzioni delle Camere medesime. Il che, viceversa, non si verifica affatto secondo lo Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, cui spettano tanto l'� agricoltura � e l'� artigianato� quanto l'� industria e commercio� (cfr. l'articolo 4, n. 2, n. 6 e n. 7), senza alcuna distinzione per ci� ch� riguarda il tipo della relativa competenza. Ne segue che dal silenzio delle disposizioni statutarie per il FriuliVenezia Giulia, circa l'ordinamento delle Camere di commercio, non pu� trarsi alcuno spunto atto a risolvere la presente controversia. Al contrario, vale anche in tal campo la regola -gi� messa in evidenza dalla Corte (nelle sentenze n. 62 e n. 178 del 1973) e poi canonizzata dall'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977 -per cui gli �enti pubblici locali� operanti nelle materie di competenza propria delle Regioni, pur restando concettualmente distinti dagli enti strumentali o �para-regionali�, sono in vario senso assoggettati ai poteri regionali di supremazia, prestandosi dunque a venire riordinati e riorganizzati da parte delle Regioni medesime. Ed effettivamente, quanto alle Camere di commercio del Friuli 456 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO Venezia Giulia, di questo criterio hanno fatto ripetuta applicazione le norme di attuazione statutaria e la giurisprudenza della Corte stessa. In un primo tempo, l'art. 8 del d.P.R. n. 1116 del 1965 ha trasferito all'Amministrazione regionale la generalit� delle �attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato in materia� di industria e commercio � (nonch� in tema di artigianato), con una formula implicitamente comprensiva dei poteri relativi all'assetto delle Camere di commercio: com'era confermato dall'art. 9 del decreto stesso, secondo il quale i �poteri di vigilanza � concernenti i compiti demandati alle Camere � per esigenze statali � continuano invece a venire esercitati dal Ministero dell'industria e del commercio, ed anche dal successivo art. 10, in cui s'attribuisce espressamente alla Regione -ma � entro i limiti massimi previsti dalle leggi dello Stato, d'intesa col Ministero dell'industria e del commercio � la determinazione dell'� aliquota dell'imposta camerale�, da applicare nella circoscrizione di ciascuna Camera. Su questa base, la Corte ha potuto -nella sentenza n. 82 del 1970 -definire le Camere di commercio del Friuli-Venezia Giulia quali �enti pubblici locali... soggetti alla competenza regionale�, sia pure �nei limiti fissati dall.e norme statutarie e di attuazione �, per la � tutela di interessi generali �. E ila Regione ha conseguentemente stabilito, nel periodo intercorso fra il 1968 ed il 1975, una serie di disposizioni legislative riguardanti le Camere, anche nel senso di dettare provvedimenti a favore del loro personale (mediante la legge 22 luglio 1969, n. 16). In un secondo tempo, per coinvolgere nel trasferimento alcune residue riserve di competenza statale e per troncare i dubbi interpretativi precedentemente insorti, l'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 902 del 1975 ha quindi precisato che � in tutti i casi in cui le norme sull'ordinamento delle Camere ,di commercio, industria, artigiam.ato ed agricoltura e delle commissioni e degli uffci, costituiti presso le medesime, fanno riferimento a funzioni amministrative di organi centrali o periferici dello Stato, a questi s'intendono sostituiti gli organi della Regione �. Di fronte ad un disposto cos� chiaro, cui non si accompagnano eccezioni di sorta, non � dato replicare -come fa la parte ricorrente -che la submateria dello stato giuridico ed economico del personale camerale non sarebbe interessata dal trasferimento; e che, in ogni caso, il passaggio delle funzioni amministrative non implicherebbe l'attribuzione delle corrispondenti potest� legislative. Da un lato, non � esatto che gli organi centrali dello Stato non siano titolari di funzioni amministrative pertinenti ai ruoli delle Camere ed al trattamento dei loro dipendenti: va infatti ricordato, nuovamente, che il Tegolamento-tipo per il personale in questione � stato approvato e modificato per mezzo di decreti interministeriali, in cui si attribuiscono -del resto -specifiche funzioni al Ministero competente, sia quanto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE alle dotazioni organiche delle Camere, sia quanto alle assunzioni nei posti disponibili, sia quanto alla cassa pensioni ed alla cassa di previdenza, sia quanto a tutte le deliberazioni concernenti il personale � adottate dalla Giunta Camerale in veste di Consiglio di Amministrazione� (cfr. gli articoli 2 cpv., 3~ terzo comma, 75, terzo comma, 80, penultimo.ed ultimo comma, 93 del citato d.m. 16 marzo 1970, vigente all'atto dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 902 del 1975); e nulla consente di affermare che fun. zioni del genere siano state complessivamente sottratte al trasferimento, tanto pi� che nell'ordinamento di un ente � naturalmente incluso lo stato giuridico ed economico del suo personale (come la Corte ha chiarito, relativamente ai dipendenti delle Regioni ordinarie, sin dalla sentenza n. 40 del 1972). D'altro lato, la Corte ha pi� volte riaffermato (da ultimo, nella sentenza n. 70 del 1981) la regola del parallelismo tra funzioni amministrative e legislative regionali, senza di che rimarrebbe insoddisfatta la stessa esigenza di legalit� dell'amministrazione: regola che deve applicarsi nel caso in esame, non essendo in discussione che il trasferimento 'disposto dall'art. 20, primo comma, del d.P.R. n. 902 del 1975 riguardi funzioni amministrative statutariamente proprie della Regione Friuli-Venezia Giulia, non gi� funzioni statali delegate. N� giova ipotizzare -seguendo le argomentazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato nella pubblica udienza -che il particolare trattamento del personale camerale del Friuli-Venezia Giulia, quale � stato previsto dalla legge regionale impugnata, possa violare il combinato disposto degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Qualunque sia la fondatezza di questa censura, essa non incide sulla competenza regionale in materia di ordinamento delle Camere di commercio, ma riguarda solo il modo di eser�:izio della competenza stessa, che si assume lesivo -nella specie dei citati principi costituzionali. Posta in questi termini, pertanto, si tratta di una censura completamente nuova, che la Corte non pu� prendere in esame, dal momento che essa non trova corrispondenza nei motivi del ricorso, collegandosi anzi a parametri del tutto diversi da quelli che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva inizialmente richiamato. Fermo rimane, tuttavia; che il ricorso va rigettato alla stregua della disciplina legislativa statale attualmente in vigore. � infatti ben noto che l'assetto delle Camere di commercio si presenta lacunoso e per diversi aspetti provvisorio, da quando le Camere stesse sono state ricostituite, in virt� del decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944: non ha avuto 'un seguito compiuto il preannuncio di una nuova disciplina legislativa sulla costituzione, sul personale e sul funzionamento delle Camere, gi� contenuto nell'art. 8, primo comma, del decreto predetto; e non � stato neppure adempiuto l'ulteriore impegno di adottare RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 458 una � legge cli riforma dell'ordinamento camerale e del relativo finanziamento �, assunto dall'art. 64 cpv. del d.P.R. n. 616 del 1977. Ma la Regione Friuli-Venezia Giulia non pu� vedersi precluso, in difetto di tale riforma, l'esercizio delle competenze che le spettano in materia. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 29 aprile 1982, n. 81 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Coccia (avv. Baccelli), Turkish airlines (avv. Sparri) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Corte Costituzionale -Giudizio incidentale -Ordinanza di rinvio -Oggetto del sindacato di costituzionalit� -Onere di individuazione -Incombe sul giudice � a quo �. Il giudice a quo ha l'onere, a pena di inammissibilit� della questione sollevata, di individuare la disposizione applicabile nella controversia e che si intende sottoporre a sindacato di costituzionalit�. (omissis) La Corte ritiene di dover preliminarmente osservare che nell'ordinanza di rinvio non � nemmeno individuata la norma applicabile alla controversia, di cui � investito il giudice a quo: sono infatti denunziati, sia il disposto della Convenzione, sia queHo del codice della navigazione, ai quali si � fatto sopra riferimento; e si dice da un canto che la regola desunta dalla Convenzione di Varsavia � stata impugnata dalla parte attrice nel giudizio di merito, dall'altro che la societ� convenuta deduce l'applicazione, nella specie, deHa norma del codice. Ma si tratta, va subito detto, di norme diverse, che non possono essere coinvolte nella censura di incostituzionalit� unitamente e indistintamente allo stesso titolo, come si fa nel provvedimento di rimessione. Ciascuna delle regole censurate pone, precisamente, un proprio precetto, ed ha un autonomo campo cli operativit�. Ch� anzi, l'una pu� ricevere applicazione nel caso in esame, solo ad esclusione dell'altra, secondo se la fattispecie sia ricondotta nella sfera in cui vengono in rilievo la Convenzione cli Varsavia e le successive modifiche, (sempre in quanto, beninteso, internamente efficaci), ovvero sia sussunta sotto la generale previsione del codice della navigazione. Una simile operazione ermeneutica, indispensabile perch� l'oggetto del sindacato ,cli costituzionalit� sia definito e la questione possa ritualmente salire innanzi a questa Corte, spetta, evidentemente, solo al giudice sottordinato; il Tribunale di Roma ha invece trascurato cli compierla, e cos� ha anche mancato di delibare -come gli imponeva il vigente ordinamento -la rilevanza del proble PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ma che si prospetta in questa sede, limitandosi ,ad un semplice e inconferente richiamo degli opposti assunti difensivi delle parti. iin ordine all'individuazione della norma regolatrice della specie. La questione deve essere quindi dichiarata inammissibile. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 88 -Pres. Elia -Rel. Reale -De Maria (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere � Accertamento divenuto definitivo in via amministra tiva -Non fa stato nei procedimenti penali. (Cost., artt. 3, 24 e 101; I. 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 21 e 60). I limiti al principio del libero convincimento del �giudice penale contrastano con l'art. 101, comma secondo, Cast.,� sono pertanto costituzionalmente illegittimi gli artt. 60 e 21, terza comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette. II CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 89 -Pres. Elia -Rel. Reale -Placucci (avv. Nuvolone e Angelucci) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere -Repressione penale degli illeciti tributari in materia di I.V.A. e di imposte dirette -Azione penale � Pregiudiziale necessaria Legittimit� costituzionale -Limiti. (Cost., artt. 3, 53 e 112; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56). Il principio della obbligatoriet� dell'azione penale, confermato dall'art. 112 Cast., pu� subire deroghe, purch� non ingiustificate e non irrazionali. � costituzionalmente legittimo che l'azione penale abbia corso solo dopo che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo, quando da tale accertamento dipende se il reato esiste oppure non esiste. � invece privo di giustificazione e perci� incostituzionale il divieto di procedere penalmente prima del definitivo accertamento dell'imposta quando il reato (nella specie, falsa fatturazione ai fini I.V.A. di operazioni inesistenti) � formale e di pericolo, e prescinde dalla commissione di un fatto RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO �Concreto di evasione. Pertanto, non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 56, ultimo comma, in relazione al comma terzo, lett. e, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; � invece costituzionalmente illegittimo l'art. 58 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nella parte in cui .dispone che l'azione penale .ha corso dopo che l'accertamento � divenuto .definitivo anche nel caso del reato indicato nel quarto comma dell'art. 50 .dello stesso d.P.R. n. 633 (1). III �CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1982, n. 108 -Pres. Elia -Rel. Conso -Taddei ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Carafa). Reato -Detenzione e porto d'arma � Pareri della commissione amministrativa sulla catalogazione delle armi � Rilevanza ai fini penali � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 25, 70 e 101; 1. 18 aprile 1975, n. 110, art. 2). Non contrasta con gli artt. 3, 24, 25, 70 e 101 Cast. l'art. 2, terza comma, della legge n. 110 del 1975, nella parte in cui, anche per le armi ad aria .compressa sia lunghe che corte, attribuisce alla commissione consultiva .di cui all'art. 6 della stessa legge il potere di escludere, in relazione alle .caratteristiche proprie di tali armi, l'attitudine a recare offesa alla per. sana (2). IV .CORTE COSTITUZIONALE, 18 giugno 1982, n. 114 -Pres. Elia -Rel. Maccarone � Ballocco ed altri (n.p.) . .Procedimento penale � Giustizia militare � � Officialit� dell'azione penale Richiesta di autorit� militare Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 112; cod. pen. mil. pace, art. 260). Il principio della obbligatoriet� dell'azione penale non implica un principio di necessaria officialit� di detta azione: non contrastano con .l'art. 112 Cast. le disposizioni che condizionano il promovimento o la prosecuzione di essa anche in considerazione di interessi perseguiti dalla pubblica amministrazione (3). (1-3) Obbligatoriet� dell'azione penale, off�cialit� dell'azione penale e cosid. detta pregiudiziale tributaria. Motivi di impaginazione hanno indotto a pubblicare l'articolo che segue m questa sede invece che nella parte II, che sarebbe stata I l i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 461 I (omissis) Come si evince dalla narrativa, la Corte d'Appello di Palermo doveva giudicare della responsabilit� penale di un contribuente che aveva denunciato nel 1971, con riferimento all'anno 1970, un reddito che -secondo le risultanze di un concordato fra un mandatario dello stesso contribuente e l'Ufficio delle Imposte -sarebbe stato invece prodotto nell'anno 1969 e avrebbe dovuto quindi essere denunciato nell'anno 1970. Il contribuente aveva chiesto in tribunale (dove era stato condannato), e chiedeva in appello, di essere ammesso a provare che in realt� il reddito era stato percepito nel' 1970, e quindi la denuncia era stata tempestiva. Ma la Corte d'Appello rilevava che l'art. 60 della le~e 7 gennaio 1929, n. 4, (come interpretato dalla Cassazione), escludendo l'applicabilit� alla materia delle imposte dirette dell'art. 22 della stessa legge, vincolava � tassativamente il giudice penale all'esito di un procedimento amministrativo� e quindi, nella specie, precludeva la prova invocata dal contribuente al fine di escludere il fatto-reato imputatogli. La Corte dubitava quindi della costituzionalit� del detto vincolo che � costituisce deroga a due principi fondamentali dell'ordinamento processuale penale: quello che affida l'accertamento dei fatti al libero convincimento del giudice, con esclusione assoluta, nel suo ambito, di prove legali; e quello che ammette rispetto al giudizio penale vincoli di pregiudizialit� solo in rapporto a casi limitati di decisioni di altri giudici �. La questione � fondata. Occorre preliminarmente osservare che, pur avendo nel dispositivo invocato quali parametri soltanto gli artt. 3 e 24 della Costituzione, tutta l'impostazione dell'ordinanza, come espressamente risulta dalle proposizioni sopra citate, nelle quali si denuncia la vio1azione del principio del libero convincimento del giudice, chiama in causa anche l'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Pertanto, in conformit� di quanto gi� la sua naturale. L'articolo stesso, infatti -cos� come pi� in particolare tutti gli scritti pubblicati nella parte II della Rassegna -esprime solo il pensiero del suo autore, come tale non riferibile a questa pubblicazione di servizio. Le questioni deoise con le sentenze in rassegna hanno in comune la tematica della collaborazione tra magistratura ordinaria ed altre pubbliiche autorit�, ancor ch�, come per le commissioni tributarie, reputate giurisdizionali. Tale tematica meriterebbe di per s� una attenta analisi, che per� non pu� essere fatta in una breve nota; appare peraltro doveroso segnalare come sempre pi� si tenda a considerare La repressione penale una � materia � a s� stante affidata alfa gestione della magistratura, anzich� un semplice (ed aggiuntivo) strumento per raggiungere obiettivi di convivenza civile e politica esterni alla �giustizia� (1). Questa tendenza si manifesta anche attraverso una enfiat.izzazione -rinve nibile n�lle ordinanze su11e quali � stata resa la sentenza Ii. 89 -del significato dell'art. 112 Cost. Mediante tale enfatizzazione si cerca di aggiungere al principio (1) Questa nota � stata redatta prima dell'emanazione del d.l. n. 429 del 1982. 462 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO altre volte ritenuto daUa Corte (cfr. sent. n. 1 del 1971), la questione deve essere esaminata anche con riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Il fatto che U reddito del quale si discuteva fosse stato percepito nel 1969 (non nel 1970, come sostenuto dal contribuente) risultava da un � concordato al riguardo intervenuto il 17 febbraio 1972 tra l'ufficio impositore e un legale da lui (hl contribuente) :incaricato�. Esattamente H giudice a quo ha attribuito al concordato il valore di un atto amministrativo, contrapponendolo alle � decisioni di altri giudici � rispetto alle quali sarebbero ipotizzabil'i � vincoli di pregiudizialit� � per il giudice penale. In effetti la giurisprudenza della Cassazione e della Commissione Centrale Tributaria e la prevalente dottrina, escludendo il carattere transattivo del concordato, lo qualificano come un atto di accertamento autoritativo cui il contribuente presti adesione; comunque, come � atto amministrativo �, che esclude ogni connotato del provvedimento giurisdizionale. Ora l'art. 60 della legge n. 4 del 1929, escludendo l'applicabilit� ai tributi diretti dell'art. 22 della stessa legge, sostanzialmente conferma la disposizione del terzo comma dell'art. 21 (� per i reati previsti dalla legge sui tributi diretti l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovraimposta � divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia�), che, secondo la costante giurisprudenza, attribuisce a tale accertamento, anche quando si sia gi� verificato in fase amministrativa, un'efficacia vincolante per il giudice penale, certamente incompatibile con il principio del libero convincimento, tanto pi� rigoroso della � obb1igatortlet� dell'azione penale � (art. 1 cod. proc. pen.). La prews1one di una fattispecie penale si tradurrebbe, dn sostanza, nell'attribuzione al potere giudiziario di una competenza piena su tutta una �serie di �affari �, cos� sottratti ad ogni altra potest� pubblica ed aggregatli! alla � materia � penale. In realt�, l'art. 112 Cost. enuncia unicamente che �il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale�; esso, come chiaramente risulta dagli atti della Costituente, si limita a dar forza costituzionale a norme preesistenti . (l'art. 74 del codice di procedura penale del 1930 e l'art. 74 dell'ordinamento giudiziario del 1941) indirizzate ai magistrati inquirenti, e volte a costituire vincolanti obblighi di servizio a loro carico, e non anche a determinare una pienezza incomprimibilit� ed esclusivit� delle loro potest� di iniziativa penale. Il costituente si � ben guardato dallo stabilire che l'iniziativa penale Ǐ riservata al �pubblico ministero e non pu� essere sottoposta a condizioni�. Del resto, esistono nel nostro ordinamento istituti -primo fra tutti la querela della �parte lesa� -che condizionano l'azione penale e/o la punibilit� dell'autore del fatto. E, almeno per la querela, nessuno ha mai dubitato della sua costituzionalit�, come nessuno ha sollevato pregiudiziali obiezioni al recente ..~I- ~ -~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 463 in sede di giudizio penale. E anche l'art. 21, terzo comma, cos� interpretato e applicato, deve perci� intendersi compreso nella questione sollevata. Tale evidente violazione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione si combina con queLla degli artt. 24 e 3. I1l primo � violato in quanto l'accertamento amministrativo che fa stato nel giudizio penale impedisce l'esercizio del diritto inviolabile della difesa. Il secondo perch� la preclusione per il giudice penale, che deriva dall'accertamento amministrativo in materia tributaria, differenzia irrazionalmente la condizione degli imputati secondo che l'imputazione sia conseguente ad un accertamento amministrativo tributario o no e, nell'ambito degli accertamenti amministrativi tributari, sia relativa a imposte dirette o indirette. II (omissis) Come esposto in narrativa, la Cassazione era investita di ricorso avverso mandati di cattura spiccati nei confronti di tre imputati del reato di cui all'art. 50, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (falsa fatturazione e annotazione nel registro degli acquisti IVA): i Ticorrenti, peraltro in libert� provvisoria, deducevano � la nullit� dei mandati per il reato tributario per difetto della condizione di procedibilit� di cui all'art. 58, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 �, il quale stabilisce appunto che � nelle ipotesi previste nell'art. 50 l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta � divenuto definitivo ampliamento del suo ambito di applicazione. N� pare messa in discussione la costituzionalit� dell'oblazione, che estingue il reato e quindi anche l'azione penale. Deve peraltro rilevarsi che in talune sentenze della Corte costituzionale � dato rinvenire espressioni che -sul filo di una qualche ambiguit� -operano una commistione tra principio di � obbligatoriet� dell'azione penale ,, (che, almeno in teoria, non subisce deroghe, ossia non lascia spazio ad una discrezionalit� dei pubblici ministeri) e principio di � officialit� dell'azione penale� (che invece ben pu� essere sottoposto a condizioni, quali il verificarsi di determinati presupposti). Cos�, nella sentenza n. 4 del 1965 �Si legge -e trattasi, per di pi�, di un palese obiter dictum -che sarebbero � ecce:z;ionalmente dettati, e da norme costit=iona.M, i casi di deroga al pr.incipio dell'obbligatoriet� deM'aziione del pubblico ministero... �; e oi� in un caso nel quale era lin discussione la � offdoialit� � e non la � obbligatoriet�>>, per la quale ultima del resto non avrebbe avuto senso parlare di � deroghe � salvo errore non previste da alcuna norma n� costitutlonale n� primaria. L'affermazione riferita � stata ripetuta, per vero alquanto tralatiaiamente, nella sentenza n. 84 del '1979, ove peraltro poi sd nega che fa Costitu21ione riservi !'!iniziativa penale al pubblico ministero. Invero, come riconosciuto esplicitamente nella sentenza n. '114 ora in rassegna, la Costituzione non impedisce al legislatore ordinario di configurare l'iniziativa penale, in alcuni specifici casi ed anche in assenza di una esplicita auto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 464 e la prescrizione del reato � sospesa fino alla stessa data�. La Cassazione, respingendo la interpretazione restrittiva del detto ultimo comma dell'art. 58, secondo la quale esso non � riferibile anche alla ipotesi del quarto comma dell'art. 50 (e ci� in ragione del generale rinvio che il richiamato ultimo comma dell'art. 58 fa a tutte le ipotesi dell'art. 50), riteneva dubbia, relativamente alla ipotesi considerata, la costituzionalit� ex �artt. 3 e 112 Cost. della norma. Negli stessi termini la questione, come si � detto, veniva sollevata dal tribunale di Forli, che, nella motivazione, si riferiva all'ordinanza dehla Cassazione della quale si � gi� detto. (omissis) Giustamente i due giudici a quibus (chiamati ad esaminare casi nei quali la disposizione dell'art. 58, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 aveva, in concreto, paralizzato sin dall'inizio l'azione penale) hanno rilevato (la Cassazione con espressa motivazione, richiamata dal tribunale) che la detta disposizione opera come una � vera condizione di procedibilit� � che �impedisce l'esercizio dell'azione penale�. Tale opinione � conforme alla prevadente dottrina, a numerose altre pronunzie anche della Cassazione nelle quali, sia in relazione alla normativa del 1929 che a quella entrata in vigore nel 1974, si afferma che il mancato accertamento definitivo �impedisce l'instaurazione (o �l'inizio�) del procedimento penale�; ed � infine puntualmente confermata da una pronunzia della Cassazione, successiva all'ordinanza di rimessione, nella quale si nega l'operativit� della citata disposizione rispetto a:lla ipotesi del quarto comma dell'art. 50 proprio sul rilievo che, diversamente, ci si troverebbe di fronte a �una mera condizione di procedibilit� �, rizzazione del costituente, come subaltern,a e strumentale ad interessi diversi da quello -per vero astratto -all'applicazione della legge penale. A ben vedere, l'insieme delle norme penali costituisce anche, ed anzitutto, un programma delle attivit� di repressione (� gi� stato osservato che � tutto nel mondo del dir�.tto � programma� e che � il diritto � traduzione dn termind normativi di valutazioni ideologiche e di piani d'azione�). Nel formulare tale programma �il legislatore necessariamente formula anche previsioni quantitative: e, in funzione di queste, pu� alternativamente: -o operare sulla fattispecie dd reato restringendole fino a renderle poco frequenti, -o subordinare le iniziative del pubblico ministero a stimoli provenienti dalle � parti lese � (anche se pubbliche amministrazioni), -o lasciare aperto il varco della oblazione, a libito dell'imputato o previa discrezionale � ammissione� al beneficio, -o ripartire tra pi� ordini giudiziari, per � questioni � o altrimenti, il lavoro istruttorio e di decisione, mediante l'istituto della � pregiudiziale necessaria � idoneo in pratica ad operare anche come �filtro�. In corrispondenza con queste tecniche di � dimensionamento � del flusso degli affari possono immaginarsi altrettante aree di intervento (necessario o eventuale, immediato o differito) della repressione penale. Un ben calibrato e PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 465 L'art. 50 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede, come � noto, quattro distinte ipotesi di reato: la prima concerne chi si sottrae nel corso di un anno solare al pagamento dell'imposta dovuta (IVA) per un ammontare superiore a lire cento milioni; la seconda chi, sempre nel corso deH'anno solare, consegue un indebito rimborso per un ammontare superiore a cinquanta milioni; la terza chi ha sottoscritto la dichiarazione annuale nelle due ipotesi precedenti; la quarta chi emette fatture per operazioni inesistenti o indica nelle fatture i corrispettivi e le relative imposte in misura superiore a quella reale. I quattro distinti reati, dei quali solo il terzo � contravvenzionale, sono puniti con distinte pene edittali. Ma la differenza fondamentale fra i primi tre e il quarto sta nel fatto che dei primi � elemento costitutivo l'ammontare della sottrazione al pagamento o dell'indebito rimborso; l'esistenza del quarto, invece, � del tutto indipendente dall'ammontare delle false fatture o dalla misura, superiore a quella reale, dei corrispettivi indicati. � opportuno, a questo punto, ricordare che il disegno di legge di delega al Governo per la riforma tributaria prevedeva ai punti ~4 e 15 dell'art. 11 l'applicazione dei principi di cui all'art. 22 della legge n. 4 del 1929 ai reati dolosi relativi a tutti i nuovi tributi e la istituzione di sezioni specia:lizzate della magistratura ordinaria competenti per i giudizi anche penali in materia tributaria. Ma il Parlamento non accolse tale previsione e dispose nel senso, poi concretizzato nella legislazione delegata, di attribuire alle Commissioni tributarie, organi giurisdizionali (con facolt� alternativa di ricorso alla Commissione centrale o alla Corte di coordinato dosaggio del ricorso all'una o all'altra delle tecniche indicate appare da preferirsi ad opzioni secche e radicali, inevitabilmente troppo semplici, quali ad esempio un uso irrazionalmente generalizzato delle � pregiudiziali necessarie�, ovvero un � dimagrimento � delle fattispecie sanzionate tanto � sapiente � da rendere infrequente il loro realizzarsi. Comunque, nel tracciare un programma delle attivit� di repressione penale, il legislatore dovrebbe aver sempre ben presente che prevedere una fatti.specie penale comportla aprire la �strada: a) a:lla �rrogazione di m�sure punitive (� questo per soliito l'unico aspetto considerato), b) all'esercizio dei poteri istruttori della magistratura inquirente e giudicante (poteri che -come � noto -sono molto pi� ampi di quelli attribuiti ad altri organi pubblici), e) ad una devoluzione di affari ai �palazzi di giustizia� (devoluzione rafforzata da obblighi di rapporto, a loro volta penalmente sanzionati) e ad una correlata compressione delle potest� amininistrative eventualmente esistenti, d) ad una compressione anche delle potest� decisionali delle autorit� giurisdizionali non investite del magistero penale. In questo quadro va ad inserirsi la sentenza n. 89 ora in rassegna, ove si esclude un vulnus al principio della � obbligatoriet� dell'azione penale� non gi� -come sarebbe stato lineare ed esauriente -per la preliminare considerazione che il regime dei rapporti tra autorit� giurisdizionali diverse, sia esso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 466 Appello), la cognizione delle controversie tributarie, sottvaendo quindi al giudice penale ogni competenza ad accertare l'ammontare dell'imposta dovuta ed eventualmente sottratta all'Erario. Una volta adottato questo sistema, si comprende, ed � costituzionalmente lecito, che nei casi in cui da quell'acc�rtamento dipende se. H reato esiste oppure no, l'azione penale abbia corso solo dopo che l'accertamento sia divenuto definitivo, come dispone l'ultimo comma dell'art. 58 del d.P.R. n. 633 del 1972. In questi casi non pu� nemmeno propriamente parlarsi di una deroga al principio dell'obbligatoriet� dell'azione penale, perch� manca al P.M. -n� egli ha facolt� di determinarlo -un elemento essenziale della contestazione del reato, cio� fa nozione di quell'elemento -il superamento del previsto ammontare del tributo evaso o del rimborso indebitamente ottenuto che costituisce la soglia oltre la quale il fatto diviene reato. E comunque ben potrebbe chiamarsi in causa per giustificare il mancato corso della azione penale, in attesa dell'accertamento definitivo del tributo, pure quell' � esigenza fondamentale di evitare accertamenti 1discordanti anche a livello giurisdizionale dell'imposta dovuta�, riconosciuta dalla Cassazione. Ma quando, come nel quarto comma dell'art. 50 del d.P.R. n. 633, il reato � del tutto indipendente dalla entit� del tributo, perch� si tratta della falsa fatturazione di operazioni inesistenti, di indicazione in fattura di corrispettivi in misura superiore a quella reale, o delle relative registrazioni; quando cio� si tratta, come si esprime la Cassazione, � di un �reato formale e di pericolo, indipendente da un fatto concreto di evasione regolato dal criterio della pregiudizialit� o da altro criterio, rimane �a monte� dell'ambito di operativit� dell'anzidetto principio, ma per la considerazione, per cos� dire attinente al merito, della � mancanza � di un � elemento essenziale della contestazione del reato �. Come si vede, l'ambiguit� circa l'effettiva portata del principio di �obbligatoriet� della azione penale�, lungi dall'essersi dissolta, ha prodotto qualche altro guasto (fortunatamente privo di conseguenze pratiche). Per il resto, la sentenza n. 89 -che, nella sostanza, fa propria una soluzione cui gi� la Corte di cassazione era pervenuta, seppur con qualche audacia -appa re da condividere, e sul piano giuridico e su quello che genericamente pu� deno minarsi extra-giuridico. Sul piano giuridico, la pronuncia non ha potuto esaminare -perch� costret� ta da ordinanze di rimessione abbagliate dalla �rivendicazione � di una inter� pretazione lata (e come si � detto non consentita) dell'art. 112 Cost. -una ulteriore questione che forse avrebbe potuto essere posta in relazione all'art. 76 Cost., considerato che la legge delega n. 825 del 1971 non fa parola della �pre� giudiziale tributaria� e che le norme previgenti concernevano solo le imposte dirette e non anche la I.V.A.; sicch�, la generalizzazione della � pregiudiziale tributaria� � stata opera di un legislatore delegato (anche in ci� un po' troppo indulgente). Sul piano extragiuridico, una criminalizzazione immediata degli illeciti tri� butari va inevitabilmente a scapito -per quanto si � detto dianzi -di una loro pi� estesa criminalizzazione, ed inoltre pone, ad una efficiente � gestione� dei tributi, pi� problemi di quanti non contnbuisca a risolvere (basi pensare, ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 467 e punibile cli per s� a titolo di dolo generico�; quando manca perfino ogni riferimento della pena edittale all'entit� dell'evasione: allora certamente il divieto cli procedere fino a quando l'accertamento della imposta non sia divenuto definitivo integra una deroga, senza alcuna giustificazione, al principio dell'obbligatoriet� dell'azione penale consacrato nell'art. 112 della Costituzione, il che basta a determinare l'illegittimit� della norma denunciata e dispensa la Corte dall'esaminare la questione in relazione all'art. 3 della Costituzione. A questa conclusione la difesa della parte privata oppone una serie di considerazioni che si richiamano quasi interamente all'ultimo capoverso dell'art. 21 della legge n. 4 del 1929 e alle disposizioni del d.P.R. n. 61l0 del 1973, cio� alla materia delle imposte dirette, per poi farne applicazione, con un salto logico non consentito, a tutti i reati in materia di imposte indirette, quaile � l'IVA. Pertanto � anche impropria e non producente la citazione della sentenza n. 32 del 1968 della Corte, la quale si riferisce all'art. 252 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 sulle imposte dirette e nega che esso abbia violato l'art. 76 della Costituzione per avere soppresso l'ultimo comma dell'art. 35 della legge cli delegazione n. 1 del 1956, che, �in deroga dell'art. 21 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, consentiva che per certi reati fiscali l'azione avesse corso senza il preventivo accertamento dell'imposta �. La stessa difesa cerca conferma alla sua tesi nella tradizione legislativa che, invece, Ie � contraria. ad esempio, all'eventualit� che si creino accumuli di affari tributari puramente e semplicemente � giacenti � nelle segreterie e cancellerie giudiziarie, ed al possibile dilagare di segreti istruttori opponibili anche alla amministrazione finan' iiaria). Il � dimensionamento � ottimale della repressione penale degli illeciti \;ibutari � operazione che richiede accorte calibrature e non pu� essere risolta ~olpi di maglio o, peggio, sotto la pressione di � rivendicazioni �. �,N� possono essere sottovalutati il rischio che, ad un elevato numero di rap \ trasmessi � allo sbando� e per � scarico di responsabilit�� (cio� per il ..,, neppur remoto, di una imputazione per omissione di rapporto), segua ~ato numero di pronunce assolutorie � facenti stato � nei processi tribu \ rischio che le possibilit� di valorizzazione degli indizi, gi� ridotte dalla 'te riforma tributaria del 1911 e dai decreti delegati che l'hanno attuata, ?er l'isultiare ulteriormente compresse per effetto delle comprensibili ~ appliowe sanzioni penald in assenza di prove adeguatamente con ~uti. Si � gi� osservato che negli Stati Uniti il fisco federale fa sottoporre a processo penale per evasione e frode fiscale mediamente poco pi� di duecento persone all'anno, mentre i contribuenti che presentano dichiarazioni sono circa 90 milioni. Ci�, ovviamente, non perch� quasi tutti gli americani sono in regola con i loro obblighi tributari, e neppure perch� in materia le ipotesi di reato siano tanto circoscritte da risultare raramente realizzate. La spiegazione di un cos� limitato intervento repressivo si trova nel fatto che l'azione penale � attivata soltanto quando la amministrazione ne fa richiesta. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'IVA, infatti, � una imposta indiretta che ha sostituito l'IGE, vigente fino all'entrata in vigore del d.P.R. n. 633 del 1972. Ora la legge istitutiva dell'IGE (d.l. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940, n. 762) richiamava per l'applicazione delle sanzioni di carattere penale la legge n. 4 del 1929, cio�, non trattandosi di imposta diretta, dava via libera per il procedimento penale prima all'intendente di finanza, poi, a seguito della sentenza n. 60 del 1969 della Corte, al tribunale. Infine la difesa della parte privata assume che, se l'azione penale non pu� esercitarsi �perch� non sussistono i presupposti per il suo esercizio�, non pu� considerarsi violato l'articolo 112 della Costituzione. Senonch�, nell'ipotesi di reato in esame, i presupposti sussistono perch� il reato � perfetto in tutti i suoi elementi indipendentemente da ogni accertamento dell'esistenza ed entit� dell'evasione. Le considerazioni che precedono vanno tenute presenti anche per la soluzione delle� questioni sollevate dai giudici dstruttori presso il tribunale di Napoli, presso il tribunale di Frosinone e presso il tribunale di Bologna..., nonch� dal tribunale di Genova. Si tratta di questioni tutte relative a reati in materia di imposte dirette, riferite nelle tre prime ordinanze a disposizioni del d.P.R. n. 600 del 1973, nella quarta (quella del tribunale di Genova) al t.u. n. 645 del 1958 sulle imposte dirette e all'art. 21 della legge n. 4 del 1929. (omissis) Risulta pertanto da:L1a sovraesposta identificazione della questione, che la Corte � chiamata a decidere se sia costituzionalmente legittimo in relazione al reato previsto nella lett. e del terzo comma del- In concreto, la richiesta viene presentata in pochi casi, accuratamente scelti, in esito a procedimenti decisionali complessi cui partecipano i legali dell'ammini� strazione, sulla base di tre criteri: 1) disponibilit� di prove tali da rendere quasi impossibile l'assoluzione dell'imputato; 2) prevedibile risonanza del processo attraverso i mass media, e quindi esemplarit� ed efficacia deterrente della condanna per una gran massa di contribuenti; 3) presenza, nel comportamento illecito, di modalit� particolarmente fraudolente. In sostanza, per l'ordinamento statunitense, la repressione penale degli illeciti tributari in un sistema fiscale che interessa grandi masse di contribuenti deve essere finalizzata non gi� alla astratta attuazione delle leggi, ma ad un accrescimento -mediante appropriata � deterrenza � -del gettito delle imposte, e quindi deve essere impiegata nella misura e nei modi necessari e sufficienti per il raggiungimento di tale obiettivo; e sarebbe poco produttivo e persino controproducente far pervenire ai magistrati un flusso non controllato (nella quantit� e nella qualit�) di denunce, parte soltanto delle quali finirebbe per avere esiti punitivi. Coerente con questa impostazione � la previsione di sanzioni penali pesanti per coloro che rimangono nella rete. Di qui la scelta di porre l'azione penale al servizio delle pretese tributarie e cio�, come suol dirsi, dell'azione civile, e di rifiutare l'opposta raffigurazione di ! i I I I I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 469 l'art. 56 del d.P.R. n. 600 del 1973 (�fatti fraudolenti al fine di sottrarre redditi all'imposta sul reddito�), l'ultimo comma dello stesso articolo (�L'azione penale per i reati di cui ai commi precedenti non pu� essere iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo�). La questione non � fondata. Per tutti i reati previsti nel comma terzo l'art. 56 del d.P.R. n. 600 stabilisce la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da lire duecentomila a due milioni. Ma il comma quarto del detto articolo dispone che � se i fatti indicati alle lettere a, e ed e del comma precedente comportano evasioni di imposta per un ammontare complessivo eccedente cinque milioni di lire la multa � applicata in misura pari all'imposta di tale ammontare e la reclusione non pu� essere inferiore a due anni. Si applica soltanto la multa se i fatti indicati nel terzo comma comportano un'evasione di imposta di speciale tenuit��. Il reato � dunque punito con pena edittale diversa secondo l'ammontare della evasione. Il che comporta che nel caso della lett. e del comma terzo dell'art. 56 del d.P.R. n. 600 non solo il processo penale non pu� essere definito, ma la stessa accusa non pu� essere contestata prima che sia accertato se l'evasione dell'imposta � superiore o inferiore a lire cinque milioni. In conseguenza, per le ragioni suesposte al n. 6, in questo caso non pu� dirsi che il divieto, disposto nell'ultimo comma dell'art. 56, di iniziare o proseguire l'azione penale prima che l'accertamento della imposta sia divenuto definitivo, implichi una violazione del principio dell'obbligatoriet� dell'azione penale. Che l'azione penale non possa essere questa come accessorio e sottoprodotto della repressione penale. Scelta che non si riduce ad una enunciazione di principio, ma si concreta in misure atte a dotare l'amministrazione di strumenti (norme, apparati, attrezzature) idonei allo svolgimento di un'attivit� inquirente persino pi� penetrante ed aggressiva di quella solitamente svolta per fini di normale polizia criminale. � noto che non pochi boss mafiosi americani, irraggiungibili per fatti di sangue, sono stati spediti in galera per frodi fiscali. Anche in Italia l'ordinamento tributario ha -forse inopportunamente (ma su ci� non � il caso di soffermarsi ora) -costruito una � finanza di massa�: anche da noi quindi si � realizzata una situazione oggettiva che dovrebbe consigliare un uso non generalizzato ma mirato e selettivo della repressione penale. Anzi, nel nostro Paese pi� che negli U.S.A. risultano carenti ed ingolfate le strutture preposte a tale repressione; per il che non sarebbe da escludere a priori l'introduzione anche nel nostro ordinamento di un meccanismo che -sul presupposto della derogabilit� del principio della � officialit� dell'azione penale � lasciasse spai:io a selezioni operate dalla � parte lesa� o per conto di essa. Certamente, il ricorso a questa tecnica di � dimensionamento � della repressione penale pone qualche problema istituzionale e procedimentale, non per� pi� delicato di quelli da tempo risolti in relazione alla costituzione di parte civile delle amministrazioni statali. FRANCO FAVARA RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO iniziata o proseguita prima dell'accertamento definitivo dell'imposta, come prescrive la norma di legge in esame, e che sia inibito in sede penale simile accertamento necessario alla contestazione dell'accusa, deriva dalla scelta del legislatore in merito alla definizione degli accertamenti tributari, sottratta, appunto, alla sede penale. Non esiste, dunque, la violazione dell'art. 112 della Costituzione e nemmeno quella, pure denunciata nelle tre ordinanze in esame, dell'art. 3, n� quella, denunciata dal solo giudice istruttore di Frosinone, dell'art. 53. (omissis) Il giudice istruttore di Bologna attribuisce la violazione del principio di eguaglianza al fatto che � frequente � che dalla valutazione dei medesimi fatti contabili traggano origine tanto reati fiscali che reati di altra natura (societari, di falso, di bancarotta). Poich� tuttavia la procedibilit� per alcuni fatti � impedita, mentre pu� procedersi per i reati di natura �non fiscale, appare del tutto ingiustificata la diversit� che in tal modo si determina �. Ma la denunciata diversit� di trattamento sia che si riferisca a reati diversi compiuti dalla stessa persona, sia che si riferisca ad autori diversi dd reati diversi, non sussiste perch� non sono eguali le situazioni giuridiche poste a confronto. Infine il solo giudice istruttore di Frosinone invoca a parametro anche l'art. 53 della Costituzione e sostiene che � concedendo la possibilit� di procrastinare a lungo il pagamento del dovuto, il soggetto verrebbe a locupletare somme su quanto dovuto alla collettivit�, non venendo cos� a concorrere alla spesa pubblica in relazione alla propria capacit� contributiva �. Ora basta osservare (a parte ogni altra considerazione) che la possibilit� di procrastinare il pagamento a causa del lungo iter degli accertamenti deriva non dalle norme denunciate, ma dal sistema degli accertamenti tributari e del suo concreto funzionamento, per escludere fa fondatezza della censura. (omissis) III (omissis) La questione, che chiama in causa una serie cospicua di parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, secondo comma, 70, 101, secondo comma, Cost.), a reciproca integrazione l'uno dell'altro, in una logica di stretta connessione, nasce dal disagio che molti giudici di merito provano di fronte alla parte conclusiva dell'art. 2, terzo comma, legge n. 110 del 1975: una norma in forza della quale una commissione consultiva del Ministero dell'interno, potendo escludere l'attitudine a recare offesa alla persona per singoli tipi di arma ad aria compressa, cos� da estrometterli da[ novero dehle armi da sparo cui altrimenti apparterrebbero, verrebbe ad influire con interventi sporadici ed occasionali sul conte- t ~ f.: I I t ' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nuto dei precetti penali in materia di armi da sparo, delimitandone i confini a guisa di un legislatore delegato (di qui il riferimento all'art. 70 Cost.), nel senso di rendere pi� ristretti i loro ambiti di applicazione ogni volta che per un tipo di arma sia ravvisata l'inidoneit�; e comunque completando di volta in volta tali precetti in violazione del principio di legalit� e tassativit� delle norme penali (di qui un primo riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost.), persino successivamente alla commissione del fatto e all'inizio dell'azione penale (di qui un altro riferimento all'art. 25, secondo comma, .in quanto vi � sancita l'irretroattivit� della legge penale), con conseguente subordinazione della valutazione del giudice oJXlinario, che pu� averne dovuto magari sohlecitare l'intervento, alla valutazione dell'autorit� 'amministrativa (di qui il riferimento all.'art. 101, secondo comma, Cost.), insuperabile aliunde tramite perizia (di qui il riferimento all'art. 24 Cost.), e non senza il rischio di gravi disparit� di trattamento qualora la commissione consultiva escluda l'idoneit� ad offendere per un tipo di arma che gi� abbia formato oggetto di condanna penale irrevoca bile (di qui il riferimento all'art. 3 Cost.). Prima di pronunciarsi sulla fondatezza della questione, occorre verificare se la ricostruzione deil significato deHia disposizione lin esame cos� come � stato colto dai giudici a quibus ed il suo conseguente inquadramento nel nuovo sistema normativo in materia di armi comuni da sparo siano frutto di una puntuale interpretazione. A tal fine, si rendono necessarie alcune precisazioni, oggi agevolate dall'intervenuto assestamento del sistema lungo l'arco di un'ormai ampia attuazione. I poteri conferiti alla commissione consultiva centrale dalla legge n. 110 del 1975 sono idi due tipi: specifici e generici. Poich� questi secondi si risolvono nel dare parere � su tutte le questioni ad essa sottoposte dal Ministero dell'interno in ordine alle armi ed alle Inisure di sicurezza per quanto concerne la fabbricazione, la riparazione, il deposito, la custodia, il commercio, l'importazione, l'esportazione, la detenzione, Ja raccolta, la collezione, il trasporto e l'uso delle armi� (art. 6, quinto comma, legge n. 110 del 1975), cos� da presentarsi con connotati di mera eventualit�, a caratterizzare istituzionalmente la cominissione restano i poteri specifici, esplicitati dal legislatore attraverso un conferimento diretto, non subordinato all'iniziativa del Ministero. Tali poteri, rispettivamente previsti dall'art. 2, terzo comma, ultima parte, e dall'art. 6, quinto comma, parte prima, legge n. 110 del 1975, e sempre destinati a tradursi in un parere al Ministero, riguardano l'uso l'esclusione dell'attitudine a recare offesa alla persona per le armi ad aria compressa, in relazione alle caratteristiche di esse, e l'altro la � catalogazione delle armi prodotte o importate nello Stato, accertando che le� stesse, anche per le loro caratteristiche, non rientrino nelle categorie contemplate nel prece RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 412 dente art. 1 �, eme nella categoria delle armi da guerra o tipo guerra, la catalogazione riguardando le sole armi comuni da sparo. Quando si tratta di un'arma ad aria compressa [ due poteri risultano strettamente collegati, nel senso che l'esercizio del primo ha luogo in occasione dell'esercizio del secondo, nell'ambito e nel rispetto delle relative procedure, quali puntualmente descritte nell'art. 7 legge n. llO del 1975. L'art. 2, termo comma, ultima parte, va, quindi, letto in correlazione con gli artt. 6 e 7, e a tale stregua valutato in ordine a:lla sua legittimit� costituzionale. Poich� il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo � destinato a dar conto delle armi e soltanto delle armi � delle quali � ammessa la produzione o l'importazione definitiva�, laddove in ordine alle armi non pi� oggetto di produzione o di importazione dispone l'art. 37, secondo comma, legge n. llO del 1975, ne discende che il potere di escludere la idoneit� ad offendere, con conseguente non inclusione dell'arma nel catalogo, � esercitabile dalla commissione unicamente nei confronti di armi ad aria compressa da produrre o da importare definitivamente. Le regole dettate per la catalogazione garantiscono uno svolgimento ordinato e coerente delle varie operazioni, sia di quelle che sfoceranno nell'iscrizione a catalogo (oppure, qualora l'arma sottoposta all'esame della commissione dovesse risultare arma da guerra o tipo guerra, nel rifiuto d'iscrizione motivato in tali termini), sia di quelle che sfoceranno nell'esclusione dell'idoneit� ad offendere la persona, con conseguente riconducibilit� dello strumento ad aria compressa nella categoria delle armi giiocattolo (art. 5, quarto comma, legge n. llO del 1975). L'onere di avviare la procedura davanti alla commissione spetta al produttore o all'importatore interessato, ed � un onere che, da quando ha avuto luogo la pubblicazione del catalogo (anteriormente a tale pubblicazione, la produzione e l'importazione delle armi comuni da sparo erano liberamente ammesse in via transitoria, salve le sole condizioni fissate dall'art. 37, primo comma, legge n. llO del 1975), impone al richiedente di soprassedere alla produzione o all'importazione sino a che la risposta della commissione non sia stata formalizzata. In caso contrario, diventa applicabile l'art. 23, legge n. 110 del 1975, che, nel n. 1 del suo primo comma, qualifica clandestine le armi comuni da sparo non catalogate ai sensi dell'art. 7, con tutti i rischi conseguenti. Per le armi ad aria compressa, il rivolgersi alla commissione � un atto di parte privata che tende al conseguimento di un preciso titolo alla produzione o all'importazione come arma da sparo oppure come arma giocattolo, attraverso un meccanismo che si risolve in quel controllo preventivo sulla produzione o sull'importazione, ... e che solo pu� garantire certezza, anzitutto ma non unicamente ai produttori, agli importatori e ai lor~ rivenditori, con determinazioni ufficialmente adottate PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE in sede tecnica prima che abbiano inizio la normale produzione od importazione e le conseguenti attivit� commerciali. L'interpretazione dei modi tipici d'intervento della commissione recepita dai giudici a quibus, nessuno dei quali ha, peraltro, sottoposto a censura di legittimit� l'art. 6, quinto comma, legge n. 110 del 1975, se deve dirsi esatta per quanto riguarda i significati implicitamente riconosciuti agli artt. 6 e 7, non pu� dirsi tale per quanto riguarda l'art. 2, terzo comma, ultima parte, anche se non vi � dubbio che alla sfasatura di visuale abbiano contribuito le iniziali incertezze di comportamento da parte della stessa commissione, e non solo di essa, per la ritardata pubblicazione del catalogo e gli equivoci che si erano venuti frattanto a creare. Istituita assai per tempo, senza che ancora le operazioni di catalogazione avessero inizio, la commissione era stata in alcune occasioni interpellata, ai fini dell'art. 2, terzo comma, ultima parte, non solo da produttori o importatori di armi giocattolo, ma anche da ufficiali di polizia giudiziaria e da magistrati circa la supposta idoneit� ad offendere di taluni tipi di arma ad aria compressa: erano state fornite risposte autonome, variamente divulgate e comunque presentate come vincolanti, qualunque fosse il momento in cui la risposta veniva data rispetto a:l fatto oggetto di accertamento penale. Una volta avviata la catalogazione ed ancor pi� una volta pubblicato il catalogo, gli equivoci sono venuti a poco a poco dissolvendosi in seguito alla normalizzazione del sistema, al raccordo con le operazioni di catalogazione, all'esigenza che ad interpellare la commissione siano i produttori o gli importatori interessati ed alfa divulgazione pi� capillare delle conclusioni accertate. Anche se a quest'ultimo proposito sarebbe auspicabile che tali esclusioni venissero ormai pubblicate nella Gazzetta Ufficiale come il catalogo, i suoi aggiornamenti ed i rifiuti di inclusione per essere l'arma da sparo risultata arma da guerra o tipo guerra, pu� ritenersi forma di pubblicit� sufficiente quella ora in uso, con molteplici destinatari (prefetti, questori, ministeri vari, comandi militari e soprattutto il richiedente, che avr� tutto l'interesse di fornire copia della delibera ad ogni suo rivenditore e, per quel tramite, ad ogni acquirente). Naturalmente, la generica possibilit� di far richiedere dal Ministero dell'interno alla commissione pareri in ordine alle armi non impedisce ad un qualunque privato cittadino o ad un qualunque pubblico ufficiale di avvalersi di tale via informale per sollecitare un parere sull'eventuale inidoneit� ad offendere di un'arma ad aria compressa. In tal caso, per�, al parere che il Ministero ottenesse dalla commissione non potrebbe riconoscersi alcuna efficacia vincolante. Del resto, neppure nei confronti dei pareri tipici forniti, positivamente o negativamente, in sede di catalogazione � precluso al giudice ordinario ogni controllo, data la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO generale sindacabilit� dell'atto amministrativo illegittimo da parte della autorit� giudiziaria. Interpretata come si � detto, la disposi:done di cui all'art. 2, terzo comma, ultima parte, legge n. 110 del 1975, sfugge a tutte le prospettate censure di incostituzionalit�. Ed invero, una volta escluso che il giudice penale sia tenuto a rivolgersi alla commissione consultiva centrale per risolvere i dubbi eventualmente insorti sull'inidoneit� offensiva del tipo di arma ad aria compressa cui appartiene lo strumento oggetto del capo di imputazione (quanto alla specifica inidoneit� che, in caso di guasto o di parti mancanti, potrebbe inficiare quello stesso strumento, mai la commissione consultiva centrale sarebbe comunque legittimata a pronunciarsi) ed una volta precisato, altres�, che i pareri della commissione sull'idoneit� del tipo di �rma, se espressi informalmente, non hanno alcuna efficacia vincolante, mentre, se espressi formalmente, non si sottraggono al sindacato di legittimit� sull'atto amministrativo da parte del giudice penale, vien meno la possibilit� di ravvisare l'esistenza di un contrasto con !'.art. 101, secondo comma, Cost., per quanto viguarda la posizione del giudice e di un contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., per quanto riguarda la posizione dell'imputato. Allo stesso modo, non pu� dirsi violato il precetto dell'art. 25, secondo comma, Cost., l� dove sancisce !'<irretroattivit� della legge penale. Porta a tale conclusione non solo e non tanto il fatto che il giudice penale non � obbligato a rivolgersi alla commissione consultiva nel corso del processo, quanto e soprattutto il fatto che, prima di mettere in vendita un'arma da sparo, produttori ed importatori debbono attendere che la commissione si sia pronunciata ai fini dell'eventuale catalogazione. La logica del sistema, quando esso sia attuato, cos� come ora � attuato, comporta che la situa:ilione normativa risulti sempre ben chiarita nel momento in cui, dandosi inizio alle operazioni di vendita, possono cominciare a realizzarsi quelle ipotesi di detenzione e di porto d'arma cui si riferiscono le ordinanze di rimessione motivate in punto di rilevanza. (omissis) Non maggiore� fondatezza pu� riconoscersi alla censura sollevata sempre in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., ma con particolare riguardo al profilo della riserva di legge in materia penale, un profilo strettamente connesso al parametro di cui all'art. 70 Cost., ora alternativamente ora congiuntamente richiamato e altrettanto privo di consistenza. Numerosi precedenti di questa Corte (sentenze n. 58 del 1975, n. 21 del 1973, n. 9 del 1972, n. 168 del 1971, n. 61 del 1969, ecc.), concordi nell'affermare che principio di legalit� ed art. 70 Cost. sono violati solo quando non sia la legge � a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE menti dell'autorit� non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena �, consentono di ribadire il medesimo concetto per quanto riguarda non solo gli interventi della commissione consultiva centrale per il controllo delle armi che abbiano a sfociare nell'inclusione dell'arma �a catalogo (elemento conferente all'-integrazione di diverse fattispecie criminose), ma anche gli interventi della stessa che abbiano a sfociare nell'accertamento dell'inidoneit� ad offendere (elemento operante nel senso di discriminare altrettante condotte aventi ad oggetto l'arma risultata inidonea). Infatti, gli articoli l, 2, 6 e 7 della legge n. 110 del 1975, considerati nel loro insieme, specificano a sufficienza �i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti � dei pareri tipici previsti. IV Il Tribunale militare territoriale di Torino sostiene che questa Corte, con la sent. n. 84/79, ritenendo l'illegittimit� dell'esercizio esclusivo dell'azione penale da parte di organi diversi dal P.M. per contrasto con l'art. 112 Cost., avrebbe affermato princ�pi applicabili anche in relazione all'art. 260, secondo comma, c.p.m.p., secondo cui i reati per i quali lo stesso codice stabilisce la pena non superiore nel massimo a sei mesi di reclusione sono puniti a richiesta dell'autorit� amministrativa competente. La tesi peraltro non pu� essere accolta e la questione deve essere dichiarata non fondata. Invero nella ricordata sentenza n. 84/79 questa Corte ha chiaramen te affermato che l'art. 112 Cost., facendo obbligo al P.M. di esercitare l'azione penale �non vuole escludere che ad altri soggetti possa essere conferito anallogo potere�, in quanto Ja ratio della norma esclude sol tanto che al P.M. possa essere sottratta la titolarit� dell'azione penale , in ordine a determinati reati, nel senso che l'ordinamento pu� conferire la titolarit� dell'azione penale anche a soggetti diversi dal P.M. a condi zione che non si venga con ci� a vanificare l'obbligo del P.M. mede simo di esercitarla (salvo che nelle ipotesi costitt121ionalmente previste). E se in quella fattispecie la Corte � pervenuta alla dichiarazione di ille gittimit� della norma allora impugnata, ci� � avvenuto in conseguenza della interpretazione della norma stessa da parte dei giudici a quibus, che avevano seguitato a ritenere che la formula adottata dall'art. 378, terzo comma, delila Jegge 20 marzo 1865, n. 2248 ahlegato F, secondo cui, in determinati casi, l'autorit� amministrativa �promuove l'azione pe na:le � attribuiva all'autorit� stessa la titolarit� esclusiva e l'esercizio di scvezionale dell'azione penale, anche se la Corte, in precedenti pronun zie, aveva adottato una interpretazione adeguatrice al riguardo, affer mando che l'espressione letterale della legge doveva essere intesa nel RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO senso che l'autorit� amministrativa aveva facolt� di portare a conoscenza dell'autorit� giudiziaria fatti ritenuti penalmente rilevanti, � senza che peraltro ci� potesse valere a limitare o condizionare l'azione del P.M.�. La norma attualmente impugnata, invece, dispone soltanto che taluni reati di lieve entit� sono puniti a richiesta del comandante del Corpo o dell'ente da cui il militare dipende. Tale statuizione, come questa Corte ha gi� avuto modo di affermare in casi analoghi (sentt. nn. 22/59; 105/67; 104/74), stabilisce solamente una condizione per il promovimento dell'azione stessa, il che, come pure la Corte ha ritenuto con le menzionate pronunzie, non contrasta con l'art. 112 Cost., il quale appunto, affermando l'obbligatoriet� dell'azione penale, non esclude che l'ordinamento stabilisca determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione di essa, anche in considerazione degli interessi perseguiti dalla pubblica amministrazione che, in ipotesi particolari, possono consigliare l'adozione di consimile cautela. La cui ratio nella specie � identificabile. nella convenienza che, ai fini dell'apprezzamento delle circostanze tutte del fatto, intervenga il comandante pi� direttamente in grado di formulare un giudizio sulla riilevanza del fatto medesimo e sulla personalit� dell'agente. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 12 maggio 1982, n. 90 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Soc. Mazzocca & Co. (n.p.) e Ferrovie dello Stato. Ferrovie -Trasporto per ferrovia -Limiti di responsabilit� -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 77; d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50 e 52). Il regime del trasporto per ferrovia forma un corpo normativo che costituisce una legge speciale rispetto alla disciplina del trasporto dettata in via generale dal codice civile; tale specialit� non � arbitraria e non contrasta con l'art. 3 Costituzione. N� le limitazioni della responsabilit� del vettore ferroviario contraddicono ai criteri direttivi posti dalla legge delega 27 febbraio 1960, n. 183. (omissis) Formano oggetto del presente giudizio gli artt. 50 e 52 del d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197 (�Revisione delle condizioni per il trasporto delle cose sulle ferrovie dello Stato�). La prima di dette disposizioni prevede che l'Amministrazione � tenuta a corrispondere, per la perdita anche parziale delle cose trasportate, ad essa imputabile, oltre al valore dell'imballaggio, un'indennit� corrispondente al valore debitamente comprovato della cosa perduta (paragrafo 1 lett. c), senza peraltro superare lire� 15.000 per ogni chilogrammo di peso netto mancante. Quando PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 477 la perdita sia causata da dolo o da colpa grave del vettore dispone poi il citato art. 52 -l'avente diritto pu� pretendere di essere risarcito, ai sensi degli artt. 1223 e 1225 del codice civile, dei danni che provi di aver subito, fino alla concorrenza del doppio dell'anzidetta indennit� massima. Il giudice a quo, nel prospettare la questione, avverte che � proprio i!l disposto dell'articolo per ultimo richiamato a venire in considerazione nella specie: la convenuta Azienda delle Ferrovie dello Stato si era infatti offerta di corrispondere il risarcimento del danno nella misura massima consentita per l'ipotesi di colpa grave del vettore, laddove la societ� promotrice del giudizio di merito chiedeva di essere risarcita oltre detto limite. (omissis) In primo luogo, va disatteso l'assunto che l'impugnata norma del decreto delegato non trovi supporto in alcuna previsione della legge di delegazione. Il giudice a quo, denunziando la violazione degli artt. 70 e 77 Cost., adombra il radicale difetto, e vuol comunque ipotizzare la violazione, della delega, della quale il Governo si � giovato in ordine alla normativa censurata. Ora, la legge di delegazione (27 febbraio 1960, n. 183: � Delega al Governo ad attuare la revisione delle .vigenti condizioni per il trasporto delle cose sulle Ferrovie dello Stato�) contempla, all'art. 2, tre criteri direttivi, ai quali il Governo doveva uniformarsi nell'operare un'organica revisione delle � condizioni e tariffe per i trasporti delle cose sulle Ferrovie dello Stato �. Fra di essi, come si osserva nel provvedimento di rimessione, vi �, certo, anche quello che ha riguardo � all'opportunit� di abbandonare i residui criteri collegati all'originaria posizione monopolistica del vettore ferroviario � e � di instaurare un maggior spirito di correttezza e di collaborazione con gli utenti �. Ma il dedotto motivo di incostituzionalit� non � suffragato da alcun dato del� l'interpretazione testuale o logica della statuizione normativa, in cui � posto il criterio che qui si considera; n� dai relativi lavori preparatori pu� argomentarsi che :iJl regolamento della specie sia contrario -o, come si vorrebbe dal Pretore di Cosenza, estraneo addirittura -alle previ� sioni del legislatore delegante. Invero, sia la relazione del ministro proponente, sia quelle dei relatori alla Camera e al Senato, nell'illustrare il criterio direttivo in parola -sotto il particolare riflesso delle indicazioni che avrebbero potuto discenderne per la discipiina del caso in esame -si fermano a considerare una serie di ipotesi, le quali richiedevano, a loro avviso, la produzione di norme nuove, rispetto a quelle poste a suo tempo nel decreto legge n. 9 del 1940 e nella relativa legge di conversione n. 674 del 13 maggio 1940 (cfr. artt. 34, 43, 46, 47, SO e 58): ma non toccano per alcun verso il problema della limitazione della responsabilit� del vettore, n� conducono altrimenti al risultato che la normativa censurata contraddice alla direttiva di rivedere i criteri connessi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con l'originaria posizione monopolistica del vettore ferroviario. Del resto, l'esistenza di massimali per il risarcimento dei danni alle cose trasportate non trae motivo del pur gravoso regime di responsabilit� incombente sul vettore ferroviario, n� dalla sua originaria posizione di monopolista. Il legislatore delegante, di fronte alle dimensioni assunte dal trasporto ferroviario, che � trasporto di massa, ha semmai tenuto presente la necessit� di non esporre l'Azienda Autonoma a insostenibili ooeri finanziari; e d'altra parte si � preoccupato di 1disporre che la funzione sociale e la natura del pubblico servizio adempiuto da:lle Ferrovie non influissero soverchiamente sul livello delle tariffe applicate. (omissis) Posto ci�, resta esclusa anche la prospettata lesione del principdo di eguaglianza. Il regime del trasporto per ferrovie, quale risulta dal decreto delegato n. 197 del 1961, forma un corpo normativo, che costituisce, ai sensi dell'art. 1680 del codice civile, una legge speciale, in rapporto alla disciplina del contratto di trasporto, dettata, in via generale, dallo stesso codice. Le disposizioni di questa legge o normazione speciaile vengono, quindi, a derogare lo schema dell'anzidetta disciplina. Ma la deroga, che nel caso in esame incide sulla responsabilit� del vettore (quanto alla previsione, denunziata come illegittima, dei limiti nei quali essa viene contenuta), non � arbitraria, n� comunque lesiva del precetto scaturente dall'art. 3 Cost.: sia perch� le peculiari esigenze e condizioni del traffico ferroviario giustificano un regime diverso da quello adottato dal codice, sia perch� il regolamento della specie si colloca razionalmente nel contesto di un apposito assetto normativo del trasporto ferroviario, che assicura parit� di trattamento a tutti gli utenti di quel servizio. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 20 maggio 1982, n. 98 -Pres. Elia -Rel. Rossano -Cappelletti (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. Stato Carafa). Procedimento penale -Incidente di esecuzione -Legittimo impedimento dell'imputato o condannato � Rilevanza. (Cost., art. 24; cod. proc. pen., art. 630). Contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 630, comma secondo, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede il rinvio della trattazione dell'incidente di esecuzione, ove l'imputato o il condannato, che abbia fatto domanda di essere udito personalmente, non compaia per legittimo impedimento. (omissis) La questione di legittimit� costituzionale dell'art. 630,. comma secondo, cod. proc. pen. -considerata proposta in riferimento al comma secondo dell'art. 24 della Costituzione -� fondata. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE H procedimento per incidente di esecuzione in materia penale ha camttere sicuramente giurisdizionale; quindi, pur svolgendosi con forme semplici e presentando caratteristiche notevolmente diverse da quelle del giudizio di cognizione, deve attuarsi con il rispetto delle garamiie fondamentali previste per tale giudizio sia per quanto concerne la presenza dell'interessato, imputato o condannato, sia per quanto concerne l'assistenza del difensore. Le norme di cui agli artt. 630 e 631 cod. proc. pen. sono dirette ad assicurare le esigenze proprie della difesa. Invero il primo di tali articoli, nei commi p!rimo e secondo, considem normale l'intervento diretto delle parti, ricon.oscendo cos� la funzione eminentemente difensiva dell'audizione personale dell'interessato da parte del giudice dell'esecuzione,. ed assicura un contraddittorio perch�: impone la comunicazione del giorno stabilito per la trattazione dell'incidente al Pubblico Ministero ed a tutti gli interessati almeno cinque giorni prima; attribuisce ai privati, che ne hanno fatto domanda, il diritto di intervenire ed essere uditi, pevsonalmente o a mezzo� dei difensori, in camera di consiglio e di presentare memorie direttamente o a mezzo dei difensori. Il comma terzo dello stesso articolo prescrive che l'inosservanza delle disposizioni precedenti � causa di nullit�. Questa Corte proprio con riferimento al procedimento per incidente di esecuzione, con la sentenza n. 69 del 1970, ha ampliato le garanzie previste dal citato art. 630 cod. proc. pen. affermando che i11. diritto di difesa non solo comprende in s� la facolt� del cittadino di difendersi personalmente, ma comporta anche l'obbligo per lo Stato di provvedere d'ufficio alla nomina di un difensore, ove a questo non abbia provveduto lo stesso interessato, nomina non contemplata dal suddetto articolo. E, con riferimento al processo di cognizione, ha precisato, con la sentenza n. 125 del 1979, che la possibilit� di una piena difesa personale � riconosciuta aill.'imputato in tutto il corso del dibattimento ed a conclusione di esso. Infine, con la sentenza n. 9 del 1982 ha rilevato che la presenza dell'imputato al dibattimento e la libert� ed autonomia di ogni sua scelta in proposito sono insostituibili e che l'esclusione aprioristica dell'imputato dal prosieguo del dibattimento contro la sua volont�, in �ragione della impossibilit� assoluta in cui egli si trova, per legittimo impedimento, di presenziare ad una udienza determinata, comporta una compressione del diritto di difesa che non pu� ritenersi giustificata dall'esigenza che il processo -al fine di garantire un'ordinata amministrazione della giustizia -possa progredire verso la decisione finale e se ne impedisca findefinito protrarsi. Deve ritenersi egualmente priva di giustificazione la mancata previsione del rinvio obbligatorio della trattazione dell'incidente di esecuzione nella ipotesi di legittimo impedimento a comparire dell'imputato o condannato, che ne abbia fatto domanda. RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO Invero la possibilit� di contraddittorio attraverso la presenza delle parti interessate, garantita dal menzionato art. 630 cod. proc. pen., comporta la necessaria conseguenza che deve tenersi conto di quelle situazioni che rendono impossibile tale presenza, senza tuttavia, fare richiamo alle disposizioni sulla contwnacia, istituto disciplinato in base a situazioni ed esigenze tipiche del processo di cognizione. Ne deriva che l'imputato o :il condannato, che ha diritto ad essere udito personalmente a seguito di sua domanda, pu� provare che l'assenza � dovuta all'assoluta impossibilit� a comparire per legittimo impedimento, e il giudice dell'esecuzione, riconosciuta la sussistenza dell'impedimento, deve sospendere o rinviare il procedimento. Solo in tal modo si consente l'esplicazione efficace del diritto di autodifesa da parte dell'imputato o condannato, che deve avere la possibilit� di rappresentare le proprie ragioni direttamente al giudice dell'esecuzione, al quale spetta di decidere questioni la cui soluzione determina immediate, gravi conseguenze sulla sua libert� personale, come nel caso di specie, in cui l'accoglimento della ri-� chiesta del Pubblico Ministero comporterebbe l'espiazione defila pena di complessivi tre anni di reclusione. La non indispensabilit� della presenza dell'interessato troverebbe giustificazione, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, nell'oggetto degli incidenti di esecuzione, nei quali si esaminerebbero ordinariamente questioni di solo diritto e sarebbe escluso l'accertamento inerente a questioni di fatto, che solo potrebbe richiedere l'intervento personale dell'interessato, imputato o condannato. Al riguardo si osserva che, � come ha precisato autorevole dottrina, sussistono varie ipotesi di incidenti di esecuzione nei quali sono prese in esame questioni di fatto. Si indicano le ipotesi previste dagli articoli 590, 601, 655 cod..proc. pen.: revoca della sospensione condizionale della pena o della libert� condizionale per trasgressione degli obblighi imposti dagli artt. 165 e 177 cod. pen.; accertamento delle prove effettive e costanti di buona condotta richieste per la riabilitazione. In tali ipotesi la decisione del giudice dell'esecuzione dipende dall'accertamento di questioni di fatto concernenti la condotta dell'interessato e, quindi, si impone la diretta audizione del medesimo affinch� il giudice stesso possa formarsi il convincimento nel modo pi� diretto e completo. La previsione del rinvio obbligatorio della trattazione dell'incidente di esecuzione, nella ipotesi di legittimo impedimento di chi abbia fatto domanda di comparire e di essere sentito personalmente, deve essere ristretta all'imputato o al condannato, dato che non sussiste la esigenza di garantire l'esercizio del diritto di autodifesa anche a tutti gli altri interessati cui fa riferimento lo stesso articolo. In questi limiti va dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 630, comma secondo, cod. proc. pen., in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 481 CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1982, n. 110 -Pres. Elia -Rel. Maccarone -INAIL (avv. Napolitano) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Fonti del diritto -Decreto legislativo � Disposiziione riproduttiva di previgente disposizione � Testo unico � Ha efficacia abrogante. (Cast., artt. 76 e 77; t.u. approv. con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 112). La disposizione di decreto delegato riproduttiva di previgente disposizione pone una norma nuova; un testo unico emanato in forza di delega � testo legislativo ed ha efficacia abrogante (1). (omissis) Occorre premettere che, secondo l'Avvocatura, sarebbe fuori luogo il richiamo alle norme costituzionali in materia di delega legislativa giacch�, se mai, nella specie potrebbe ravvisarsi una forma di esercizio incompleto della delega, che non potrebbe comportare vi<?lazione degli artt. 76 e 77 e non potrebbe quindi dar luogo ad una concreta violazione dei principi �e criteri direttivi della delegazione. E ci� tenuto anche conto che la norma impugnata si limiterebbe a riprodurre letteralmente il secondo comma dell'art. 67 sopra richiamato, mentre ii criteri e principi direttivi avrebbero riguardato soltanto le � :innovazioni � che il Governo avesse effettivamente apportato nell'esercizio del suo potere delegato. In contrario peraltro deve obbiettarsi che, se � pur vero che la norma impugnata riproduce quella a suo tempo sancita dal secondo comma dell'art. 67 del r.d. del 1935, non per questo pu� affermarsi che, sul punto, la delega non sia stata esercitata o sia stata esercitata in modo incompleto, giacch� la d1sposizione della legge delegata crea una norma nuova, anche se riproduttiva di quella precedente. Secondo la migliore dottrina, invero, non � dubbio che il testo unico, come le altre norme delegate, � testo legislativo ed ha effetto abrogante della disciplina precedente nel campo da esso regolato. (omissis) (1) La disposizione sub judice � stata abrogata dall'art. 4 della legge 29 febbraio 1980, n. 33; merita comunque segnalare il brano riportato, e per la distinzione tra disposizione nuova e disposizione <innovativa (distinzione coerente alle esigenze del processo costituzionale), e per la'fferma2lione in punt odi effiloacia dei testi unici. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sez. III, 11 mar� zo 1982, nella causa 129/81 � Pres. Touffait -Avv. Gen. Slynn -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dailla Corte �di cassazione italiana nella causa Ditta F.lli Fancon (avv. Leone) c. Soc. S.I.A.T. (avv. Capelli). Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione de1le C.E. (ag. Berardis). Co~unit� europee � Unione doganale � Tariffa doganale comune -Farina di estrazione di soia brasiliana � Voce ex 23.04 � Organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi � Prodotto ivi contemplato. (Regolamento e.E.E. del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136, art. 1; Tariffa doganale comune -regolamento e.E.E. del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 1/73, voci 12.02, ex 15.17, ex 23.04). La farina di estrazione di soia deve essere classificata sotto la voce ex 23.04 della Tariffa doganale comune ed � quindi compresa fra i prodotti elencati nell'art. l, n. 2, del regolamento del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136, relativo all'attuazione dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 28 gennaio 1981, pervenuta alla Corte il 27 maggio 1981, la Corte suprema di Cassazione, seconda sezione civile, ha proposto, in forza dell'art. 177 del Trattato C.E.E., una questione pregiudiziale relativa aill'interpretazione dell'art. l, n. 2, del regolamento del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136, relativo all'attuazione dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi (G.U. n. L. 172, pag. 3025). 2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra due imprese italiane, di cui l'una ha acquistato dall'altra farina di (1) Solu.Zione conforme a quella proposta dal Governo italiano. La sentenza 23 gennaio 1975, nella causa 31/74, GALLI, citata in motivazione, pu� leggersi in questa Rassegna, 1975, I, 312, con nota di MARZANO. Quanto alla giurisprudenza della Corte sui limiti al potere. degli Stati membri di intervenire, con norme nazionali adottate unilateralmente, nel meccanismo della formazione dei prezzi risultante dall'organizzazione comune, cfr. la nota ad alcune sentenze della Corte in questa Rassegna, .1980, I, 41. i ! ! I I i I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 483 estrazione di soia brasiliana, da consegnare tra fa fine di luglio e il settembre 1973. Nel periodo intercorrente fra la stipulazione di detto contratto e l'inizio della sua esecuzione, il Governo italiano emanava il decreto legge 24 luglio 1973, n. 425 (G.U. della Repubblica italiana n. 189 del 24 luglio 1973), convertito nell.a legge 4 agosto 1973, n. 494, concernente la disciplina dei prezzi di beni prodotti o. distribuiti da imprese di grandi dimensioni. La controversia verte sul se il contratto debba essere eseguito alle condizioni in esso stabilite o se queste ultime debbano essere modificate in fwraione del decreto legge n. 425. 3. -La soluzione del problema dipende dalla natura del prodotto in causa. Infatti, se quest'ultimo rientrasse in un'organizzazione comune di mercato, gli Stati membri non potrebbero pi� intervenire, con norme nazionali adottate unilateralmente, nel meccanismo della formazione dei prezzi risultante dall'organizzazione comune. 4. -Tale constatazione, basata sulla giurisprudenza della Corte (sentenza 23 gennaio 1975, causa .31/74, Galli, Racc. pag. 47), ha indotto la Corte suprema di Cassazione a sottoporre alla Corte di giustizia la questione � se la farina di estrazione di soia sia o non sia compresa fra i prodotti elencati nell'art. 1, sub 2, del regolamento CEE n. 136/66 del Consiglio del 22 settembre 1966, in particolare nelle voci 12.02, ex 15.17 ed ex 23.04 della tariffa doganale comune� (TDC). 5. -Il precitato regolamento n. 136/66 costituisce la normativa base comunitaria che ha istituito l'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi. All'art. l, secondo comma, esso elenoa i prodotti del settore dei semi e f�rutti oleosi che rientrano in tale organizzazione, classificandoli sotto vari numeri della TDC. 6. -Le tre voci specificate dal giudice nazionale erano, all'epoca dei fatti di causa, cos� formulate nel regolamento 19 dicembre 1972, n. 1/73, relativo alla TDC (G.U. n. L 1 dell'l gennaio 1973, pag. 1): � 12.02: Farine di semi e di frutti oleosi, non disoleate, esclusa la farina di senape: A. di soia B. altre ex 15.17: Residui provenienti dalla lavorazione delle sostanze grasse o delle cere animali o vegetali: A. contenenti olio avente i caratteri dell'olio di oliva: I. paste di saponificazione (� soap-stocks �) II. altri 1111-r11a1111�1111111r11111111111111r111~=11rm1111mr11111111:111t11 484 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO B. altri I. morchie o fecce di olio: pasta di saponificazione (� soapstocks �) II. non nominati 484 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO B. altri I. morchie o fecce di olio: pasta di saponificazione (� soapstocks �) II. non nominati ex 23.04: Panelli, sansa di olive ed altri residui dell'estrazione degli olii vegetali, escluse le morchie: A. sanse di olive ed altri residui dell'estrazione dell'olio di oliva B. altri�. 7. -Bisogna innanzitutto notare che i semi di soia rientrano in quest'organizzazione comune di mercato dei grassi perch� si tratta di semi oleosi menzionati, in modo generico, nella voce 12.01 defila TDC, richiamata nell'art. 1, secondo comma, del regolamento n. 136/66. 8. -Occore poi esaminare ciascuna delle voci doganali indicate dal giudice naziom1le al fine di accertare se la farina di estrazione di soia rientri o meno in una di esse. 9. -� assodato che il trattamento industriale dei semi d!i. soia consente di ottenere svariati prodotti tra cui 1a farina di estrazione di soia che � un prodotto ricco di proteine, destinato all'alimentazione del bestiame; la sua propriet� nutritiva -utile per la produzione di carne deriva da tale caratteristica e dal fatto che la maggior parte dell'olio ne � stato estratto mediante spremitura o uso di solventi. 10. -La voce 12.02 non pu� applicarsi alla farina di estrazione di soia in quanto la fabbricazione di questa d� come risultato un prodotto disoleato; ora, in questa voce, in base 'al suo testo ed alil.e note esplicative contemplate dalla Convenzione sulla nomenclatura per la classificazione delle merci, sono comprese solo le farine di semi e di frutti oleosi non disoleate. 11. -Nemmeno la voce ex 15.17, riguardando solo i residui provenienti dalla lavorazione delle sostanze grasse, si appl!ica alla farina di estrazione cli soia, poich� questa voce si riferisce a residui provenienti dalla lavorazione delle sostanze grasse che non possono servire per l'alimentazione del bestiame, qualit� caratteristica della farina di estrazione di soia. 12. -Per contro, la voce ex 23.04 riguarda i panelli e altri residui che, in base alla citata nomenclatura, sono �i residui solidi dell'estrazione, mediante pressione, solvenm o centrifugazione, dell'olio contenuto nei semi... oleosi...�, lavorazione effettuata per ottenere la farina di estrazione di soia. f ~ i. t I: E " f PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 13. -Alla classificazione della farina di estrazione di soia sotto la voce ex 23.04, � stato obiettato, in primo luogo, che tale farina non � totalmente disoleata e non pu� quindi essere definita come hl residuo dell'estrazione di una sostanza grassa, e, in secondo luogo, che essa non costituisce un residuo ma il. prodotto principale del procedimento di disoleazione. 14. -Alla prima di queste obiezioni va risposto che l'operazione di disoleazione � spinta fino al punto in cui la tecnica lo consente, e che la presenza di un quantitativo minimo di olio residuo non modifica la qualit� di una farina la cui propriet� principale � costituita dalla presenza di proteine di alto valore nutritivo per il bestiame. Alla seconda obiezione bisogna rispondere che il termine � residuo � non pu� confondersi col termine di scarti, come dimostra la formulazione della voce ex 23.04, la quale esclude le � morchie �, sostanze quasi senza valore, mentre la farina di estrazione di soia � il residuo dei semi di soia dopo la Javorazione industriale di questi ultimi intesa ad ottenere tale prodotto. 15. -Bisogna concludere che la farina di estrazione di soia deve essere classificata sotto la voce ex 23.04 della TDC e che essa � quindi compresa tra i prodotti elencati nell'art. l, h. 2, del regolamento del Consiglio n. 136/66, relativo all'attuazione dell'organizzazione comune dei �mercati nel settore dei grassi. 16. -Poich� Ia farina di soia � stata cos� classificata, � inutile esaminare altre voci alle quali detto regolamento rinvia. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. I, 27 maggio 1982, nella causa 196/81 -Pres. Bosco -Avv. Gen. Reischl -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Genova nella causa Provveditorie marittime S. Giacomo s.p.a. c. Amministrazione delle Finanze dello Stato. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. (ag. Berardis). Comunit� europee � Agricoltura -Zucchero � Esportazione -Prelievi � Data di riscuotibilit�. (Regolamenti e.E.E. del Consi~lio 18 dicembre 1967, n. 1009, mod. con reg. 23 marzo 1972, n. 607, art. 16; del Consiglio 10 luglio 1970, n. 1373, art. 15; della Commissione 25 maggio 1972, n. 1076, art. 3). L'espressione �esigibile al pi� tardi� che figura nell'art. 3, n. 2, del regolamento della Commissione 25 maggio 1972, n. 1076, che stabilisce modalit� di applicazione dei prelievi all'esportazione nel settore dello RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 486 zucchero e che modifica il regolamento n. 2637/70, non deve essere intesa nel senso di implicare una decadenza, ma nel senso di assumere il suo significato nel caso in cui il momento della determinazione, e quindi dell'esigibilit� del credito, si collochi prima del giorno dell'espletamento delle formalit� doganali. Pertanto la liquzaazione e la riscossione propriamente detta del prelievo, ossia il suo versamento, possono aver luogo in una fase successiva (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 25 maggio 1981, pervenuta alla Corte il 2 luglio successivo, il Tribunale di Genova ha proposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato C.E.E., una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dehl'art. 3, n. 2, del r.egolamento della Commissione 25 maggio 1972, n. 1076, che stabilisce modalit� di applicazione dei prelievi all'"sportazione nel settore dello zucchero e che modifica il regolamento n. 2637/70 (G.U. n. L 121, pag. 22). 2. -La causa principale riguarda il recupero del prelievo comunitario all'esportazione in Svizzera di alcune partite di zucchero raffinato, effet� tuata, fra l'agosto e il dicembre 1974, da!lla ditta Provveditorie Marittime San Giacomo, provveditore di bordo delle navi di linea della societ� di navigazione � Italia �. La merce era originariamente destinata all'approvvigionamento delle navi ed era stata immagazzinata nel deposito franco privato dell'attrice a Genova-Rivarolo. 3. -Tale esportazione non dava luogo alla riscossione del prelievo al momento della sua effettuazione, cio� all'atto dell'espletamento delle formalit� doganali. In seguito per�, nel gennaio 1975, la dogana di Genova ingiungeva all'attrice di corrispondere iil prelievo, sostenendo che la mancata riscossione di questo era dovuta ad errore. 4. -Il regolamento del Consiglio 18 dicembre 1967, n. 1009, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero (G.U. (1) La Corte ha accolto la tesi sostenuta dal Governo italiano e dalla Commissione. In effetti, malgrado la sua non precisa formulazione, la norma in questione (ormai superata) non poteva non essere interpretata che nel senso che non fosse intaccato il diritto-dovere dello Stato membro che, per errore, non avesse riscosso il prelievo al momento dell'espletamento delle formalit� doganali, di riscuoterlo successivamente nel termine di prescrizione eventualmente applicabile e previsto dal suo ordinamento mt.erno (prima deLl'entrata in vigore, il 1� luglio 1980, del regolamento comunitario 24 luglio 1979, n. 1697; per l'attribuzione agli ordinamenti interni degli Stati membri, in mancanza di disposizioni comunitarie in materia, del compito di stabilire le modalit� e le condizioni di riscossione degli oneri finanziari comunitari in generale, e dei prelievi agricoli in particolare, cfr., fra le pi� recenti pronunzie, la sentenza della Corte 27 marzo 1980, neHe cause 66, 127 e 128/79, MERIDIONALE IND. SALUMI, in Racc, 1980, pag. 1237, e in questa Rassegna, 1980, I, 535). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE n. 308, pag. 1), stabiliva, all'art. 16, n. 1, modificato dal regolamento del Consiglio 23 marzo 1972, n. 607 (G. U. n. L 75, pag. 4), che: � Se il prezzo cif dello zucchero bianco o dello zucchero greggio � superiore al prezzo d'entrata, all'esportazione del prodotto in questione viene riscosso un prelievo pari alla differenza tra tali prezzi. �Quando l'approvvigionamento di zucchero dell'insieme o di una delle regioni della Comunit� rischia di non essere pi� assicurato a un livello di prezzo nel limite del prezzo cli. entrata, pu� es,sere prevista la riscossione di un prelievo speciale all'esportazione del prodotto in questione. In caso di applicazione delle disposizioni del presente comma, le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate � (la distinzione tra prelievo e prelievo speciale non figura pi� nel regolamento n. 3330/74). � Sailvo disposizioni contrarie adottate dal Consiglio ,secondo la procedura cli cui al paragrafo 3, il prelievo o il prelievo speciale da riscuotere, se del caso, � quello applicabile il giorno dell'esportazione�. Tali prelievi avevano lo scopo di garantire alla Comunit� un approvvigionamento sufficiente ,di zucchero, disincentivando le esportazioni nei periodi in cui gli aumenti dei prezzi mondfali le incoraggiassero. 5. -Inoltre, iJl regolamento dclla Commissione n. 1076/1972, precitato, stabiliva le modalit� di applicazione dei suddetti prelievi all'esportazione. L'art. 3 disponeva: � 1. Salvo nei casi in cui il prelievo speciale all'esportazione � determinato tramite gara, i prelievi di cui all'art. 1 sono quelli applicabili il giorno dell'espletamento delle formalit� doganali di cui all'art. 8, paragrafo 2, secondo comma, lettera b) del regolamento (C.E.E.) n. 1373/70. 2. I prelievi di cui all'art. 1 sono riscossi dall'organismo dello Stato membro nel cui territorio sono espletate le formalit� menzionate al paragrafo 1. Tali prelievi sono esigibili al pi� tardi al momento dell'espletamento delle sopraddette formalit� doganali�. 6. -A seguito dell'opposizione alle ingiunzioni dell'Amministrazione doganale, proposta dalla San Giacomo dinanzi al Tribunale di Genova, quest'ultimo ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Quale sia l'.esatto significato della locuzione "al pi� tavdi" e in particolare se vada intesa in riferimento al momento di determinazione dell'ammontare del prelievo ovvero al momento iniziaile o finale dell'esigibilit� in senso proprio (riscuotibilit�) �. 7. -I prelievi di cui ai suddetti regolamenti erano quelli in vigore il giorno dell'espletamento delle formalit� doganali, definito dall'art. 15, n. 5, del regolamento della Commissione 10 luglio 1970, n. 1373, che stabilisce modalit� comuni d'applicazione per il ,regime dei titoli di impor RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tazione e di esportazione e dei certificati di fissazione anticipata relativi a prodotti agricoli soggetti ad un regime di prezzo unico (G.U. n. L 158, pag. 1), come quello � ...in cui l'ufficio doganale accetta l'atto mediante il quale il dichiarante manifesta la volont� di esportare i prodotti in causa... o di mettere i prodotti sotto controllo doganale ... �. 8. -Su.lila base dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 1076/1972, a norma del quale �tali prelievi sono esigibili al pi� tardi al momento dell'espletamento delle sopraddette formalit� doganali�, e del precitato art. 15, n. 5, del regolamento n. 1373/70, l'attrice nella causa principale giunge alla conclusione che il prelievo di cui trattasi avrebbe dovuto essere riscosso ail. momento della presentazione della domanda della licenza di esportazione. Il mancato esercizio, da parte dell'amministrazione doganale, del diritto di riscuotere hl prelievo comporterebbe, a norma delle disposizioni comunitarie succitate, �la decadenza della stessa da tale diritto. 9. -L'Amministrazione delle Finanze dello Stato � dell'avviso che la riscossione dei dazi doganaiLi o dei prelievii costituisca una fuse posteriore all'accettazione, da parte degli uffici doganali, della dichiarazione di importazione o di esportazione. Essa esclude che la disposizione comunitaria di cui trattasi comporti, per !\autorit� competente dello Stato membro, la decadenza dal diritto di esigere l'importo del prelievo non riscosso, per erz:ore,� al momento dell'espletamento delle formalit� doganali. 10. -A parere del Governo italiano e della Commissione, che hanno presentano osservazioni alla Corte, l'art. 3, n. 2, del regolamento n. 1076/72 non pu� essere interpretato nel senso che ponga in essere una decadenza che preclude la riscossione successiva nel caso !�.Il culi al momento dell'espletamento delle formalit� doganali non sia stato esercitato il diritto di riscuotere il prelievo. 11. -Questa � l'interpretazione da accogliere. Innanzitutto, la lettera stessa della disposizione comunitaria di cui trattasi non giustifica la conclusione che l'inciso � al pi� tardi � ivi contenuto significhi la decadenza dal credito tributario ad un momento determinato. A tale conclusione potrebbe pervenirsi soltanto se la disposizione in esame contemplasse espressamente la nozione di decadenza e contenesse una statuizione chiai:-a ed esplicita in tal senso. 12. -In secondo luogo, l'espressione �al pi� tardi� si riferisce palesemente non alla riscossione del credito, ma alla sua esigibilit�, che costituisca la nozione decisiva per comprendere la, disposizione di cui PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 489 � causa. Il momento della determinazione, e quindi dell'esigibilit� del credito, pu� infatti cadere anche prima del giorno dell'espletamento delle formalit� doganali. Questa � del resto la norma, come mettono in rilievo la Commissione e il Governo italiano. 13. -L'espressione �esigibile al pi� tardi� che figura nella disposizione di cui trattasi non deve essere pertanto intesa nel senso ,di implicare una decadenza, ma nel ,senso di assumere il suo significato nel caso in cui il momento della determinazione, e quindi dell'esigibilit� del credito, cada prima del giorno dell'espletamento delle formalit� doganali. Pertanto la liquidazione e la riscossione propriamente detta del prelievo, ossia il suo versamento, possono aver luogo in una fase successiva (omissis). �.� SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1051 � Pres. Mi� rabelli � Rel. CaturaIJJi. � P. M. Sgroi (parz. diff.) � RAI-TV (avv. Zoccoli) c. Soc. Telereporter (avv. Fratterelli) e Ministero Poste ~avv. Stato Azzariti). Radiotelevisione � Emittente privata focale � Esercizio d'impresa televisiva in difetto di autorizzazione � Interferenze provocate dalle trasmissioni RAI � Azione possessoria � Tutela in via d'urgenza � Difetto di giurisdi� zione del giudice ordinario. Poich� l'esercizio di una attivit� di teletrasmissioni via etere su scala locale � soggetto, in base alla vigente normativa, ad autorizzazione. concessione da parte della competente autorit� amministrativa, il privato esercente tale attivit�, in difetto o in attesa della detta autorizzazione, � titolare di una posizione di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo. Pertanto, sia l'azione di manutenzione che quella in via d'urgenza sono improponibili davanti al giudice ordinario, il quale, ai sensi dell'art. 4 della L. 20 marzo 1865 all. E, � carente del potere di revocare e modificare atti amministrativi emessi nell'esercizio di poteri di cui la P.A � investita (1). Con l'istanza di regolamento di giurisdfaione cui ha aderito l'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni, la RAI sostiene che nel caso in esame va dichiarata l'improponibilit� assoluta della domanda per difetto di una norma o di un principio di diritto che tuteli la posizione soggettiva .invocata dalla Radioreporter, mancando una legge che stabilisca i requisiti soggettivi e oggettivi per l'ottenimento della licenza per l'esercizio delle imprese radiotelevisive; comunque la posizione giuridica del soggetto che voglia svolgere nei limiti consentiti un'attivit� (1) Emittenti private locali e difetto assoluto di giurisdizione. -Questa sentenza intende dare piena conferma all'orientamento gi� sancito nelle sentenze delle Sezioni Unite n. 5335 e n. 5336 del 1� ottobre 1980 (in Foro It. 1980, I, 2391) circa il problema dell'individuazione della situazione giuridica soggettiva del privato, il quale, in difetto di autorizzazione, trasmette via etere programmi tele� visivi in ambito locale. In particolare la decisione n. 5336, prendendo le mosse dalle fondamentali pronuncie rese in materia (n. 59 del 13 luglio 1960; n. 225 e n. 226 del 10 luglio Ii I f: I PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 491 di teletrasmissioni via etere, ma che non abbia ancora conseguito il provvedimento di assegnazione non � configurabile come diritto soggettivo perfetto, ma come interesse legittimo, onde in ogni caso va riconosciuto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorso � fondato nei termini che sono precisati dalle seguenti considerazioni. Queste Sezioni Unite hanno gi� statuito in fattispecie analoga, che � .improponibile l'azione di manutenzione contro la RAI concessionaria del servizio pubblico di diffusione radiofonica e televisiva e che, nell'uso di una banda di frequenza as'Segnatale dalla p.a. abbia arrecato molestia ad programmi trasmessi sulla stessa banda da un privato esercente attivit� di trasmissione via etere (sent. 1 ottobre 1980, n. 5335). A sostegno di tale conclusione si � osservato che la improponibilit� dell'azione possessoria la quale tende ad eliminare gli effetti di un atto amminiistrativo, discende dal rilievo che il provvedimento del giudice che accogliesse il ricorso importerebbe J:a revoca dell'atto amministrativo in violazione del divieto posto dall'art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, il che si verifica non solo quando agisca direttamente la p.a. facendo uso dei suoi poteri pubblicistici (e non di mero diritto privato, nel qual caso la improponibilit� non sussiste), ma anche quando, come nella specie, agisca un privato concessionario o comunque un soggetto da esso autorizzato nei limiti dell'esercizio deH'attivit� demandatagli. Gli accertamenti rilevanti nella specie riguardano quindi: a) l'esistenza nella p.a. del potere di regolare, anche a mezzo concessione, le trasmissioni televisive anche con l'attribuzione delle relative frequenze; 1974; n. 202 del 28 luglio 1976) dalla Corte Costituzionale, e dopo aver puntualizzato che dal vuoto normativo susseguente alla citata sentenza n. 202 del 1976 non discende un diritto assoluto ed incondizionato per il privato alla trasmissione di programmi televisivi, n� di contro un interesse di mero fatto, come tale sottratto all'esame di ogni giudice, afferma che dall'esegesi dei dati normativi emerge la necessit� di autorizzazione, e cos� continua: � di essa (l'autorizzazione) costituisce elemento essenziale ed imprescindibile e parte integrante, se non addirittura presupposto condizionante, l'assegnazione di una banda di frequenza. Infatti l'esercizio di una impresa di teletrasmissioni postula necessariamente la possibilit� di avvalersi di una determinata frequenza; ma la scelta od individuazione di tale frequenza non rientra tra le facolt� riconosciute al privato: il provvedimento di assegnazione quindi inserisce un quid novi nella sfera giuridica del medesimo con l'attribuzione di una srpeciffica potest� di cui egli era privo e che attiene alle modalit� cli utilizzazione de11'� etere�, inteso come �bene comune �; rispetto al quale compete appunto allo Stato il potere-dovere di preservare e gestire le correlative utilit� e di disciplinare e controllarne la funzione per le esigenze dei pubblici servizi e per quelle dei privati, affinch� nell'interesse generale essa risulti ordinata, corretta e proficua. Dai su esposti motivi si deduce che nel caso in esame l'autorizzazione, per quanto concerne uno dei suoi momenti (assegnazione della banda di frequenza) ha carattere cos1Jitutiivo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO b) l'esistenza in capo a11a RAI della concessione e dell'atto attributivo del canale 40 VHF della zona in cui trasmette la Radioreporter. Ora l'esistenza del potere del Governo di provvedere al servizio pubblico delle radio e delle televisioni, mediante atto di concessdone risulta dall'art. 3 de11a legge 14 aprile 1975 n. 103; quello dell'assegnazione delle frequenze radioelettriche risulta dall'art. 183 del d.P.R. 28 marzo 1973, n. 156. La concessione in el!Clusiva alla RAI del servizio pubblico di diffu. sione radiofonica e televisiva circolare � stata conferita con atto 7 agosto 1975 ed � stata approvata e resa esecutiva con d.P.R. 11 agosto 1975, n. 452. Il piano nazionale delle frequenze � stato approvato con D.M. 3 dicembre 1976 e con atto dell'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni 19 ottobre 1978 � stato assegnato alla RAI il canale 40 UHF (D CSR/3/1/13303/45/4R) in relazione al quale � insorta la controversia con la Radioreporter. Ne consegue che la proposta azione di manutenzione -comportando la necessit� per il giudice ordinario di revocare o modificare atti amministrativi emessi nell'esercizio di poteri pubblicistici di cui la P.A. � senza dubbio investita, in violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E -� improponibile. N� il ricorso della Radioreporter innanzi al Pretore pu� ritenersi proponibile sotto il profilo dell'art. 700 cod proc. civ. invocato in quella sede dalla suddetta ricorrente, giacch�, come queste Sezioni Unite hanno gi� deciso in fattispecie identica (sentenza 1 ottobre 1980, n. 5336), il privato che abbia realizzato e gestisca un impianto di teletrasmissioni senza alcuna autorizzazione amministrativa o in attesa. della detta auto- e sotto questo profilo presenta elementi tipicamente � concessori �, e pi� avanti � data l'indeclinabile necessit� di tale momento pubblicistico della fattispecie e tenuto conto degli elementi concessori e discrezionali che caratterizzano il provvedimento dell'Amministrazione, � evidente che la menzionata situazione giuridica non � configurabile come diritto soggettivo perfetto, giacch� tale na tura essa assume solo in seguito alla emanazione del provvedimento ammini strativo che integra e completa la fattispecie complessa. Si tratta invece, fino a quando cib non si verifichi di una situazione che s'inquadra tra quelle che sono variamente definite in dottrina come diritti fievoli in origine, o come diritti condizionati o in attesa di espansione, e che nei con fronti delle P .A. e ai fini della tutela giurisdizionale si atteggiano come interessi legittimi �. Tale indirizzo giurisprudenziale, che configura quindi come interesse legit timo la posizione dei privato che utilizza l'etere per emissioni televisive su �Scala locale non pu� tuttavia essere condiviso laddove finisce con l'equiparare in via di tutela la situazione del privato che abbia richiesto alla P .A. compe tente l'emissione nei suoi confronti del provvedimento autorizzativo costitu tivo consistente nell'assegnazione motivata di una specifica banda di frequenza, con la situazione del pnivato che invece comunque esercita, di fatto, il preteso ! ! ! PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 493 rizzazione si trova nei confronti della p.a. ed ai fini della tutela giurisdizionale in una posizione di interesse legittimo, con la conseguenza che l'interesse di cui lo stesso privato lamenta la lesione per essere stata assegnata alla RAI una banda di frequenza in precedenza utilizzata � tutelabile dinanzi al giudice amministrativo. Ed il potere cautelare generale attribuito al giudice ordinario dall'art. 700 cod. proc. civ. non � esperibile rispetto a situazioni giuridiche tutelabili innanzi a quel giudice, dal momento che tale potere, per il suo carattere strumentale, spetta ai giudici di oiascun ordine giurisdizionale soltanto rispetto alle controversie devolute alla loro giurisdizione e pru� esercitarsi nelle forme e nei limiti pvevisti dalle norme regolatrici dei rispettivi ordinamenti. A sostegno del suddetto indirizzo che queste Sezioni Unite ritengono di confermare pienamente, valgano le seguenti ulteriori �considerazioni, le, quali, tengano conto anche delle critiche che all'orientamento medesimo sono state mosse in dottrina. Secondo una tesi di recente sostenuta il diritto soggettivo dei privati di installare e gestire impianti radiotelevisivi via etere non eccedenti l'ambito locale, in mancanza d! un intervento legislativo, Gleve considerarsi libero da vincoli, onde l'imprenditore privato sarebbe titolare di un diritto soggettivo perfetto di svolgere la corrispondente attivit�. La tesi parte dal presupposto che il potere organizzatorio amministrativo -pur previsto dall� Corte Costituzionale per l'esercizio della diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale -non potrebbe esercitarsi senza l'apposita disciplina normativa che ne specifichi il contenuto e le modalit�. � diritto di antenna� al di fuori di qualsiasi autorizzazione o quanto meno di una richiesta della medesima all'autorit� statale competente. In tale evenienza l'azione proposta dall'emittente televisiva privata, sia sotto il profilo della molestia possessoria arrecata dalle trasmissioni del concessionario di pubblico servizio, sia sotto quello della tutela in via d'urgenza del dirotto di installare e gestire impianto radio te1ewsivo via etere non eccedente l'ambito locale, non appare suscettibile di alcuna tutela giurisdizionale, tale attivit� di irradiazione essendo stata dntrapresa in modo del tutto abusivo ed illegittimo senza alcuna preventiva richiesta od istanza, al di fuori di qualsiasi provvedimento della P.A., che istituzionalmente gestisce le utilit� inerenti al bene comune che l'etere rappresenta. La situazione per la quale viene reclamata tutela in via possessoria o cautelare � dunque una situazione di mero fatto, al cui mantenimento altro non corrisponde che un interesse di fatto, cui l'ordinamento non ricollega alcuna tutela n� diretta n� indiretta, non configurabile in altre parole n� �n termini di interesse legittimo n� tanto meno di diritto soggettivo. Ci� � confermato dalla nota pronuncia n. 202 del 1976 della Corte Costituzionale, laddove la medesima, parlando di �diritto di libert�� alla diffusione privata via etere, ha Inteso limitarsi a dichiarare illegittima la normativa incriminatrice di alcune norme della legge 14 aprile 1975, n. 103. La sua immediata 5 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEU.O STATO Tale indirizzo non considera tuttavia che, ai sensi dell'art. 41 Cost. l'iniziativ:a economica privata non pu� svolgersi in contrasto con J'utiUt� sociale, mentre fa libert� di manifestare senza limiti li proprio pensiero (art. 21 Cost.) non esclude che limitazioni possano sussistere circa il concreto uso del mezzo adoperato, specie quando :fil vincolo � immanente alla struttura stessa del mezzo. Inoltre, se si riconosce che il provvedimento autorizzatorio della p.a. abbia in materia :natura costitutiva, importando mfavore del destinatario l'attribuzione di un quid navi (l'assegnazione delle bande di frequenza), di cui il medesimo prima non aveva disponibilit�, appare difficile conciliare questa ammissione con la preesistenza (al provvedimento autorizza. torio) di un diritto soggettivo assoluto di procedere al!la diffusione radiotelevisiva in ambito locale via etere da parte di chiunque lo desideri. In realt�, deve riconoscersi che la stessa connessione esistente tra l'iniziativa economica privata ed il servi2lio pubblico radiotelevisivo su scala nazionale (essenziale e di preminente interesse nazionafo: Corte Cost. 28 luglio 1976, n. 202; 21 luglio 1981, n. 148), pone problemi i quali non possono trovare adeguata soluzione ove si trascuri di considerare che se il servizio � pubblico e interessa per ci� la generalit� dei cittadini, esso, nella valutazione delle concrete fattispecie, non pu� essere collocato sullo stesso piano della attivit� economica che i privati svolgono al fine di conseguire un proprio individuale interesse. In altri termini la RAI non pu� essere considerata sullo stesso piano di qualsiasi emittente privata, perch� una tale valutazione contraddirebbe la stessa preminenza portata riguarda unicamente la liceit� penale delle radio diffusioni a livello locale. Ma ci� non basta certamente per affermare che tali emissioni costituiscono oggetto di un diritto, in quanto la semplice inesistenza di un divieto penalmente sanzionato non involge automaticamente l'esistenza di una facolt� giuridicamente protetta di tenere quel comportamento. In definitiva l'effetto della pronuncia della Corte � stato quello di eliminare dall'ordinamento una norma repressiva, non quello di inserirvi una norma concessoria avente ad oggetto non gi� il generale principio di libert� di manifestazione dt.l pensiero (che rimane ovviamente incontroverso), ma il peculiare diritto di esercitare tale libert� attraverso la gestione di una impresa. �l. appena il caso di aggiungere che la ricordata sentenza della Corte Costituzionale non ha dichiarato illegittime le norme denunciate per violazione dell'art. 41 Cost.: al contrario ha tenuto a precisare che l'impresa privata di emissione in sede locale non pu� essere libera. Orbene, il difetto di qualsiasi indicazione normativa cui 'parametrare l'eser cizio dell'accennata potest� disciplinatrice da parte dell'organo statale rende ragione dell'estrema latitudine della discrezionalit� al medesimo spettante, a fronte della quale non possono emergere posizioni suscettibili di tutela anche soltanto indiretta. ANTONIO CINGOLO I i .. . . PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 495 dell'interesse pubblico sull'interesse privato e la necessit� imprescindibile che il secondo debba cedere quando le imperiose esigenze dell'utile pubblico lo impongono (art. 41 Cost.). D'altra parte se si ammett� che il potere amministrativo esiste secondo l'ordinamento giuridico non � poi sostenibile che, non potendo esercitarsi in mancanza della disciplina legislativa si verserebbe di fronte ad una possibilit� di fatto di trasmettere spettante a chiunque lo voglia, del tutto indifferente sotto il profilo giuridico. Invero, se il potere non pu� essere esercitato ci� vuol dire che esso giuridicamente non , esiste, mentre se un potere amministrativo si riconosce esistente, I�!l medesimo deve pur essere in qualche modo esercitato anche in mancanza di una specifica normativa, potendo ammettersi soltanto una sua maggiore o minore latitudine, alla stregua dei principi ricavabili dall'ordinamento giuridico. Infine, a sostegno della tesi accolta da queste Sezioni Unite, pu� osservarsi che la stessa necessit� logico-giuridica di una specifica normativa pur prevista dalla Corte Costituzionale per dare un assetto definitivo alla materia in esame, non pu� condizionare l'esistenza del potere autori~zatorio spettante alla p.a. La norma giuridica, invero, non potrebbe non prevedere dei criteri assoluti ed astratti che necessariamente prescindono dalle particolarit� dei casi concreti, mentre la stessa nozione di ambito locale, come parte del territorio caratterizzato da fattori socio economici che concorrono a delimitarlo, non pu� determinarsi, come fattore ambientale in via astratta ma va individuata caso per caso. Il che dimostra che la nozione di ambito locale non solo mal si presta ad essere definita in via astratta da una norma giuridica, ma richiede l'apprezzamento di circostanze ambientali che non pu� non essere devoluta alla �discrezionalit� della p.a. Invero, gli stessi criteri che devono guidare la scelta amministrativa divergono a seconda delle fattispecie concrete, ~n considerazione, tra l'altro, non solo dell'estensione territoriale dell'area o della sua importanza e del numero dei soggetti che risiedono ~n quell'ambito, ma anche della frequenza e della potenza degli impianti che sono nei singoli casi necessari e sufficienti per assicurare la bont� delle trasmissioni ed un regolare svolgimento dell'attivit� economica, sia considerata in se stessa che in rapportq con le altre emittenti private e con il pubblico servizio di radiodiffusione. In definitiva, ribadendosi in questa sede che la posizione soggettiva dei titolari delle emittenti private via etere in ambito locale, deve identificarsi di fronte ai poteri spettanti in materia all'autorit� amministrativa, in un interesse legittimo, i ricorsi proposti dalla RAI e dall'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni, devono essere accolti. (omissis). 496 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 maggio 1982, n. 3085 -Pres. Marchetti -Est. Sensale -P. M. Sgroi -Bensa (avv. Casavola) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Sernicola) e Comune di Parma (avv. Taranto). Demanio -Strada -Proprietari frontisti -Posizioni soggettive -Natura. Demanio -Strada e passaggio a livello -Interi,-uzione o soppressione a seguito di costruzione di opera pubblica -Diritto all'indennizzo a favore del proprietario frontista -Ammissibilit� -Valutazione -Limiti. Espropriazione per p.u. -Costruzione di opera pubblica -Indennizzo corrisposto ai proprietari del fondo espropriato -Possibili mutamenti futuri dell'opera -Pregiudizio ai proprietari -Configurabilit� �di altro diritto all'indennizzo. I proprietari frontisti hanno, oltre l'uso comune del bene demaniale, spettante a qualsiasi cittadino, anche un uso speciale, ritraendo essi una particolare utilizzazione del bene demaniale posto a confine con le loro propriet� private, non tanto perch� ne usano pi� frequentemente, quanto perch�, per effetto della situazione di vicinato esistente fra i loro beni e la strada, possono trarre dal bene pubblico utilit� diverse e maggiori di quel ;:.. le consentite agli utenti della strada, quale, fra l'altro, quella di accedere i i i; ai loro fondi senza dover costituire un diritto di servit� (1). La soppressione del passaggio a livello o l'interruzione della strada f: f pubblica, che ne era attraversata, sono idonee ad incidere sul diritto di ! propriet� non solo rendendo sensibilmente pi� difficoltoso e disagevole a j il raggiungimento del fondo e traducendosi in una diminuzione delle nor ~� mali possibilit� di sfruttamento dell'intero possedimento secondo la sua ~ unitaria destinazione e quindi in un aumento dei costi di gestione e in ! una complementare riduzione del reddito come conseguenza di una diminuzione. del valore intrinseco dell'immobile, incidente sull'eserc_izio di I facolt� costituenti il contenuto del diritto di propriet�, ma anche impe I dendo quella che di tale diritto costituisce una essenziale esplicazione, e cio� la facolt� del proprietario di trasferirsi da una parte all'altra I dell'immobile senza gravi disagi e di mantenere in collegamento le varie parti del bene su cui si esercita il suo godimento; �, tuttavia, problema di I j (1-3) Le massime sono conformi all'orientamento della giurisprudenza, sei ! condo la quale la P.A., se modifica, sia pure nell'interesse pubblico, le condizioni I di una strada, con l'elevarne o abbassarne il fondo, rendendo pi� difficoltoso I i l'accesso ai fabbricati che la fronteggiano, � tenuta, in base all'art. 46 legge espropriativa, ad indennizzare il privato che dalle avvenute modificazioni abbia subito danni: Sez. un. 6 maggio 1971, n. 1981, Foro it., 1981, I, 1484, con nota. Per quanto concerne i pretesi danni derivanti dalla chiusura di un passaggio a livello cfr. Cass. 25 l~glio 1976, n. 2976. PARTE I, SEZ. III, GIURI$. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE merito accertare, oltre alla titolarit� dell'azione dal lato passivo, se la soppressione del passaggio a livello e la interruzione della strada abbiano concretato una sensibile difficolt� di accesso e di collegamento tale da risolversi in un danno derivante dalla menomazione delle facolt� spettanti al proprietario (2). La legge generale sulle espropriazioni ha come regola quella della corrispondenza dell'indennit� al valore del bene (nel caso di espropriazione totale) o aUa sua diminuzione di valore (nel caso di espropriazione parziale), ed il riferimento al giusto prezzo indica che la situazione da tener presente � quella instaurata con l'atto ablativo, totale o parziale, nel momento in cui viene fatta l'imposizione, mentre .le modifiche puramente eventuali dell'opera pubblica, ancorch� consentite dalla legge, effettuate successivamente, se provocano una ulteriore diminuzione del valore dei fondi interessati, comportano l'obbligo dell'indennizza. (omissis) Il problema, che interessa in questa fase del giudizio, investe l'interpretazione e l'ambito di applicazione dell'art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, il quale riconosce dovuta una indennit� ai proprietari che dalla esecuzione di un'opera di pubblica utilit� vengano gravati di servit� o, come si � dedotto nel caso, vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto, precisando che la privazione di un utile, al quale il proprietario non abbia diritto, non pu� mai essere tenuta a calcolo nel determinal:'e findennit�. Sotto la disciplina di questa norma (che ha contenuto indennitario e non risal:'citorio e sulla quale � stata costrudta fa teoria della responsabillit� per atti legittimi della pubblica Amministrazione) devono ricondursi, anche al di fuori della materia delle espropriazioni per pubblica utilit�, tutte le ipotesi di danno permanente alle private propriet� immobiliari, legato all'opera pubblica da un nesso di causalit� obiettiva (v. sentenze 1810/60 e 334/64). Peraltro � necessario che si tratti di danno permanente derivante dalla perdita e dalla diminuzione di un diritto (nel caso del diritto di propriet�, derivante dal sacrificio di talune delle facolt� in cui l'esercizio del diritto si esplica), escluso ogni altro pregiudizio economico e salvo che, traducendosi taie pregiudizio nel mancato reddito del bene, questo sia conseguenza di una reale perdita o diminuzione del valore intrinseco dehl'immobile (v. Sez. Un. nn. 2920/68 e 1281/71), che pu� anche concretarsi nella menomazione delle normali possibilit� di sfruttamento del fondo (cos�, la citata sent. 1281/71). E si � ulteriormente precisato che � permanente non solo il danno perpetuo e irreparabile, ma anche quello commisurato alla durata dell'azione lesiva che non sia transitoria (Sezioni Unite 2920/68) e cio� che si verifichi ininterrottamente per tutta la durata di tale azione che, protraendosi nel tempo, determini il mancato o diminuito godimento del diritto di propriet� (sent. 1404/71). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO In questo quadro, dovendosi stabilire se nella situazione prospettata sia astrattamente configurabile un danno permanente derivante dalla menomazione del diritto di propriet� a causa della chiusura del passaggio a livello e della interruzione della strada comunale che ne � attraversata, non soccorre, come ha erroneamente creduto la Corte d'appello, la individuazione, nella utilizzazione della strada da parte del ricorrente, di un uso comune anzi che di un uso speciale, ch� in entrambi in casi non esiste un diritto soggettivo in capo al privato ad utilizzare la strada e a servirsi del passaggio a livello. � noto, infatti, che il privato non ha, in relazione alla strada pubblica di cui � ammesso a servirsi, alcun diritto soggettivo, poich� la pubblica Amministrazione, pu� disporre liberamente della strada medesima, trasformandola o sopprimentola, se Jo ritiene d'interesse pubblico (sent. 1393/69, e a sezioni unite, 1281/71) o -nel caso di passaggi a livello stabilendo discrezionalmente le modalit� di sbarramento che ritiene pi� rispondenti a tale interesse (Sez. Un. 2976/76) e consentendo oppure vietandone .l'attraversamento (Sez. Un. 2619/75), ragione per cui non giova, nel caso, il richiamo alla legge n. 315/69, che non disciplina i . passaggi a livello rpubblici, ma soltanto quelli in consegna ai privati. La qualificazione, come uso comune oppure come uso speciale, della utilizzazione de.Ila strada da parte del ricorrente non incide, perci�, sulla individuazione della sua posizione soggettiva, ai fini della determinazione della giurisdizione, poich� la menomazione permanente che il ricorrente lamenta non riguarda, in s�, l'uso della strada e del passaggio a livello, ma investe il suo diritto di propriet�. A tal fine, soltanto, occorre precisare che, se nella situazione prospettata dal ricorrente, secondo la quale il suo possedimento non solo era tenuto in comunicazione immediata e diretta, nelle due parti separate dalla linea ferroviaria, per mezzo della strada S. Donato e del relativo passaggio a livello, ma era latistante ad essa, in analoga fattispecie, avente connotati anche meno pregnanti rispetto a quella in esame (poich� in essa si faceva riferimento soltanto alla condizione dei proprietari frontisti), si � esattamente osservato che costoro hanno, oltre l'uso comune del bene demaniale, spettante a qualsiasi cittadino, anche un uso speciale, ritraendo essi una particolare utili,;z;zazione del bene demaniale posto a confine con le loro private propriet�, non tanto perch� ne usano pi� frequentemente, quanto rperch�, per effetto deH.a situazione di vicinato esistente fra li il.oro beni e 1a strada, essi possono trarre dal bene pubblico utilit� diverse e maggiori di quelle consentite agli utenti dehla strada, quale, fra l'altro, quella di accedere ai loro fondi senza dover costituire un diritto di servit� (sent. 785/74). Tali considerazioni hanno sicura rilevanza per l'affermazione del nesso causale fra l'opera pubblica e il danno subito dal diritto di propriet�, del quale si chiede l'indennizzo. Quindi, tutto si riduce a stabilire se nella ! .~ - PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE situazione prospettata sia astrattamente configurabile un danno permanente derivante dalla diminuzione del diritto, inteso come sacrificio di talune delle facolt� che ineriscono all'esercizio del diritto di propriet�. Questa Corte ha costantemente ravvisato l'esistenza di un danno avente tali connotati (ed ha quindi affermato la giurisdizione ordinaria) nella ipotesi di modificazione delle condizioni di una pubblica strada, mediante l'elevazione o l'abbassamento del piano, in modo da rendere sensibilmente pi� difficoltoso o meno agevole l'accesso ai fabbricati latistanti (sent. 1810/60, 334/64, 1404/71 e, a 1sezioni unite, 2920/68) e in genere alila limitrofa propriet� (sent. 1195/74); e neHa ipotesi di soppressione della strada pubblica, determinante l'annullamento e la notevole menomazione permanente di qualcuna delle facolt� che costituiscono il contenuto e l'espressione essenziale del diritto 1di propriet� (sentenza 1393/69). Nell'alveo di questo indirizzo, non pu� dubitarsi che, nel caso concreto, sia da affermare la giurisdizione ordinaria, essendosi dedotta una situazione nella quale i;l diritto all'indennizzo previsto dall'art. 46 � in astratto configurabile. La soppressione del passaggio a livello e l'interruzione della strada pubblica, che ne era attraversata, sono infatti idonee ad incidere sul diritto di propriet� del ricorrente, non solo rendendo sensibilmente pi� difficoltoso e disagevole il raggiungimento dehl.a parte del fondo a nord della Jinea ferroviaria e traducendosi in una diminuzione delle normali possibilit� di sfruttamento dell'intero possedimento secondo la sua unitaria destinazione (anche in conseguenza della ubicazione dei fabbricatli. aziendaA.i nella parte a sud) e quindi in un aumento dei costi di gestione e in una complementare riduzione del reddito come conseguenza di una diminuzione del valore intrinseco dell'immobile, incidente sull'esercizio di facolt� costituenti il contenuto del diritto di propriet�; ma anche impedendo quella che di tale diritto costituisce una essenziale esplicazione, e cio� la facolt� . del proprietario di trasferirsi da una parte all'altra dell'immobile senza gravi disagi e di mantenere in collegamento le varie parti del bene su cui si esercita il suo godimento. Sar�, poi, problema di merito accertare, oltre ailla titolarit� dell'azione dal lato passivo, se la soppressione del passaggio a livello e la interruzione della strada abbiano concretato una sensibile difficolt� di accesso e di collegamento, tale da risolversi in un danno derivante dalla menomazione delle facolt� spettanti al proprietario, ovvero se, come si sostiene dai controricorrenti, fosse pi� scomodo l'uso della strada, in relazione ai lunghi periodi di chiusura del passaggio a Jivello nel corso del giorno, o se esistario altre pi� brevi vie di comunicazione (ad esempio, cavalcavia); se le due parti del fondo separate dalla linea ferroviaria siano strutturalmente, funzionalmente ed economicamente unitarie; se i fabbricati aziendali siano posti .realmente nella sola parte a sud. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� pu� negarsi la configurabilit�, nella situazione dedotta dal ricorrente, di un suo diritto all'indennizzo, con l'argomento, pure addotto dalla Corte d'appello, secondo il quale, con la indennit� corrisposta ai proprietari dei fondi colpiti dal provvedimento ablativo all'atto della costruzione della ferrovia, venne soddisfatto ogni loro diritto non solo in ordine al pregiudizio subito al momento dell'esecuzione dell'opera, ma anche in ordine a tutti i possibili mutamenti futuri operati legittimamente. Come queste Sezioni unite hanno gi� osservato (sent. 2976/76), l'argomento non incide sulla natura della posizione soggettiva dedotta in causa. La legge generale sulle espropriazioni ha come regola quella della corrispondenza dell'indennit� al valore del bene (nel caso di espropriazione totale) o ailla sua diminuzione di valore (nel caso di espropriazione parziale). E il punto di riferimento al giusto prezzo chiarisce che la situazione da tener presente � quella instaurata con l'atto ablativo, totale o parziale, nel momento ,in cui viene fatta la imposizione. Le modifiche puramente eventuali dell'opera pubblica, ancorch� consentite dalla legge, effettuate successivamente, se provocano una ulteriore diminuzione di valore dei fondi interessati, comportano l'obbligo dell'indennizzo e ad esso il proprietario del fondo gravato o maggiormente gravato ha un diritto soggettivo, che dev'essere fatto valere davanti al giudice ordinario. I l ! SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835 -Pres. Renda Est. Corda -P. M. Fabi -Pastorini (avv. Ricci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mataloni). Edilizia Popolare ed Economica -Cessione alloggi in propriet�. Diritto soggettivo all'assegnazione -Sussiste. Edilizia Popolare ed Economica � Cessione alloggi in :propriet� � Detenninazione del prezzo � Giurisdizione ordinaria � Sussiste. Edilizia Popolare ed Economica � Cessione alloggi in propriet� � Norme per la determinazione del prezzo � Imperativit� � Violazione � Nullit� del Contratto � Sussiste. Edilizia Popolare ed Economica � Cessione alloggi in propriet� � Nulli.t� del contratto � Responsabilit� precontrattuale della P.A. � Non sussiste. Le norme che disciplinano l'attivit� �vincolata� di determinazione del prezzo di cessione in propriet� degli alloggi sono norme di relazione, in base alle quali assumono consistenza di diritti soggettivi sia l'interesse del privato richiedente la cessione, che � tenuto al pagamento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse dell'ente cedente, cui il prezzo � dovuto a ristoro del diritto di credito (1). L'assegnatario di un alloggio, ha un diritto soggettivo alla cessione in propriet� e conseguentemente un diritto soggettivo alla determinazione del prezzo di cessione in conformit� al tipo di alloggio richiesto; pertanto ogni contestazione ad esso relativa deve trovare sede naturale davanti al giudice ordinario (2). (1-4) Sulla configurabilit� dell'interesse all'assegnazione come diritto soggettivo perfetto cfr. Cons. Stato Sez. VI, 12 giugno 1963, n. 335 in Foro lt. Rep. 1963, voce �Case popolari� n. 21; Cons. Stato, 11 dicembre 1964, n. 948, ibidem 1964, voce cit. n. 116 -Sulla giurisdizione v. C. CARBONE -Ancora in tema di assegnazione d'alloggio popolare ed economico in relazione alle posizioni tutelabili dinanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria, nota a Cass. 18 luglio 1973, n. 2095, in questa Rassegna, 1974, I, 141 -Nel senso che la determinazione del canone di locazione rientri nell'ambito della giurisdizione amministrativa cfr. Cass. 6 aprile 1964, n. 750, Foro lt. Rep. 1964, voce �Case popolari>>, n. 127, annotata da PUGLIESE in Giust. civ. 1964, I, 1099. Per le altre massime cfr. la giurisprudenza conforme citata in motivazione. 502 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO �Le norme dettate per la determinazione del prezzo di cessione hanno carattere imperativo ed inderogabile tanto da parte dell'assegnatario quanto da parte dell'ente proprietario. La nullit� che investe la controprestazione del trasferimento del bene oggetto del contratto, riguardando un elemento essenziale del negozio e non una clausola dotata di autonoma assistenza, esclude l'applicazione dell'art. 1419, cod. civ., e comporta la nullit� del contratto (3). In tal caso, non sorge il diritto a richiedere il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1338 cod. civ., quando l'assegnatario aderisce senza contestazioni al prezza determinato dall'Amministrazione (4). (omissis) 1. Deve essere per prima esaminata l'eocezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, la proposizione della quale, da parte del ricorrente, ha determinato l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Uni.te di questa Corte Suprema. Il ricorrente -convenuto, nel giufuio di merito, dall'Amministrazione statale interessata a invalidare la convenzione con cui era stata attuata la cessione in propriet� dell'alloggio, nell'assunto di un'errata adozione del criterio legale di determinazione del prezzo -ha sostenuto, nella prima memoria presentata in questa sede, che non potrebbe essere chiesta al giudice ordinario alcuna � revisione � del prezzo determinato, appunto, ai fini della cessione; e, a sostegno dell'assunto, ha ricordato la pronuncia di queste stesse Sezioni Unite (sent. 25 maggio 1965, n. 1026), secondo cui il provvedimento di determinazione del prezzo avrebbe natura semplicemente amministrativa. . A tale eccezione ha resistito l'amministrazione finanziaria osservando che la pronuncia predetta aveva riferimento a una fattispecie diversa da quella ora all'esame, perch� in quel caso la contestazione era caduta sui criteri tecnico-valutativi adottati (ai fini della determinazione del prezzo), mentre il caso presente riguarda solo l'individuazione della norma in base alla quale deve essere stabilito il criterio legale da seguire per i fini predetti. Delle due tesi appare, senz'altro, fondata quella prospettata dall'Amministrazione che, in definitiva, riallaccia la posizione giuridica delle parti al momento iniziale del complesso rapporto, caratterizzato, per quanto ora interessa rilevare, da una posizione di diritto soggettivo dell'assegnatario di un alloggio che, di quest'ultimo, domandi la cessione in propriet�. Per un compiuto inquadramento della fattispecie, occorre ricordare che dal d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, dopo le modifiche apportate dalla legge 27 aprile 1962, n. 231, erano contemplati tre tipi di alloggi, in relazione ai quali sussistevano differenti criteri di determinazione del prezzo. In un primo gruppo, erano quelli non contraddistinti da alcuna particolare specificazione, per i quali il prezzo di cessione doveva essere determinato PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE in base al valore venale, ridotto del 30 % e di un ulteriore 0,25 % per ogni anno di effettiva (precedente) occupazione (a titolo di locazione) da parte del richiedente. Nel secondo gruppo erano, invece, compresi gli alloggi costruiti con il contributo dello Stato (e ultimati dopo il 1� luglio 1961), per i quali il prezzo di cessione doveva essere determinato� con riferimento al costo di costruzione. Nel terzo gruppo, infine, erano compresi � gili alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti, nonch� gli alloggi costruiti dall'UNRRA�CASAS, anche con i fondi ERP �, per i quali il prezzo doveva essere pari al 50 % del costo di costruzione. Ai fini, poi, della determinazione concreta del detto prezzo, il sistema della legge prevedeva, appunto, un � sub-procedimento � per la valutazione del valore venale degli alloggi (artt. 6 del d.P.R. del 1959 e 4 della legge del 1962), di competenza di un'apposita commissione istituita a livello provinciale. E proprio perch� a tale Commissione era affidata la determinazione del � valore venale � degli alloggi, si riteneva, in sede ministeriale, che essa avesse competenza solo in relazione al primo dei tre gruppi di alloggi sopra indicati; mentre, per quelli il cui prezzo doveva essere determinato in ragione del costo di costruzione -ultimo comma (aggiunto con l'art. 14 della legge del 1962) del d.P.R. del 1959 si riteneva che la determinazione del costo e la ripartizione di esso fra i vari alloggi (appartamenti) fossero di competenza degli uffici del Genio Civile (in tal senso, la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 30 luglio 1965, n. 4788), salve le competenze dell'Ufficio Tecnico Erariale in ordine alla valutazione dell'area, ai sensi dell'art. 14, primo comma, del d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655. La Jegge (art. 7 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2) prevedeva, poi, una Commissione a livello regionale, competente in materia di �ricorsi � contro la determinazione del prezzo�; ed � alle decisioni di tale Commissione che si � riferita la ricordata sentenza di queste Sezioni Unite (invocata dal ricorrente), allorch� ha parlato di �atto amministrativo� che �non � di:r~etto ad attuare un diritto soggettivo dell'ente proprietario, ma si inserisce nel procedimento che conduce al trasferimento della propriet� agili assegnatari e concorre all'attuazione dei fini istituzionali dell'ente stesso e dell'interesse pubblico da essi perseguito �. Ora, posta -dalle parti -l'alternativa tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo, per ci� che attiene alle controversie sorte circa la determinazione del prezzo di cessione, non resta che stabilire, ai fini della risoluzione del problema, se le parti del rapporto � di cessione in propriet� dell'alloggio � versino in posizione di diritto sogfi!ettivo ovvero di interesse legittimo; e il criterio pi� sicuro, com'� stato ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di queste Sezioni 504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Unite, � quello volto alla individuazione della �direzione delle norme vincolanti�. Non v'� dubbio, intanto, c]J.e l'attivit� amministrativa che precede la stipulazione del contratto di cessione in propriet� � attivit� vincolata, sia perch�, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, la Pubblica Amministrazione non pu� rifiutare la cessione, sia perch� anche la determinazione del prezzo di cessione deve essere fatta alla stregua dei criteri di commisurazione tassativamente previsti dalla legge con riferimento 504 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Unite, � quello volto alla individuazione della �direzione delle norme vincolanti�. Non v'� dubbio, intanto, c]J.e l'attivit� amministrativa che precede la stipulazione del contratto di cessione in propriet� � attivit� vincolata, sia perch�, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, la Pubblica Amministrazione non pu� rifiutare la cessione, sia perch� anche la determinazione del prezzo di cessione deve essere fatta alla stregua dei criteri di commisurazione tassativamente previsti dalla legge con riferimento alle ipotesi da essa distintamente contemplate. Si tratta, allora semplicemente di stabilire se le norme vincolanti sono di azione o di relazione, in base al criterio accettato, appunto, dalla giurisprudenza e dalla dottrina tradizionale. Norma di relazione, com'� noto, � quella che prende in specifica e diretta considerazione l'interesse di un (altro) soggetto determinato, anche ae ci� avviene, pur sempre, in funzione di un interesse pubblico: in questa ipotesi, l'interesse contemplato, �, senz'altro, un diritto soggettivo (proprio perch� l'interesse predetto � direttamente considerato dalla norma), per cui la giurisdizione in ordine alla controversia su di esso insorta appartiene necessariamente al giudice OJ1chlnario. Norma di azione �, invece, quella che tutela in modo diretto e specifico l'interesse pubblico che fa capo alla Pubblica Amministrazione agente, anche se l'interesse � privato� ne risulti, in modo indiretto od occasionale, tutelato. � cio�, que11a !llorma che vincola, in qualche modo, l'attivit� della Pubblica Amministrazione in funzione del solo pubblico interesse: in questa ipotesi, la posizione del �privato �, cui giovi l'osservanza della norma, � configurabile come interesse legittimo, e la tutela di esso, da parte del giudice amministrativo, trova la sua ratio nel fatto che il comportamento della Pubblica Amministrazione, regolato dalla norma predetta (di azione) incide o, comunque, si riflette sulla sfera giuridica di altri soggetti, dando luogo, eventualmente, a rapporti giuridici con i medesimi. � chiaro, quindi, che secondo l'imposizione tradizionale la distinzione predetta (tra norme di azione e norme di relazione) ha ragion d'essere proprio in correlazione a quella tra diritto soggettivo e interesse legittimo, nel senso che se la norma vincolante, per la sua specifica .direzione, � di relazion~, si � in presenza di un diritto soggettivo; mentre, se � di azione, perch� essenzialmente dettata in contemplazione di un interesse pubblico, l'interesse � privato � che si giovi dell'osservanza di essa �, invece, un interesse legittimo. Applicando, quindi, tale criterio alla fattispeoie considerata, cio� alla fase �procedimentale � di pre-cessione in propriet� dell'alloggio, appare evidente che le norme regolatrici della materia sono norme di relazione, perch� se anche dettate in funzione �di un pubblico interesse mirante ad assicurar~, fra l'altro, una �entrata� che consenta il reimpiego delle PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 505 somme nel campo dell'edilizia abitativa, prendono sicuramente in diretta e specifica considerazione l'interesse del privato ad acquisire il diritto di propriet� dell'alloggio precedentemente detenuto a titolo di semplice locazione. Anche, per�, nella fase � sub-procedimentale � di quantificazione del valore venale o, secondo i casi, del costo di costruzione, demandata alla Commissione istituita a livello provinciale e, in sede di reclamo, alla Commissione istituita a livello regionale, l'attivit� della Pubblica Amministrazione � tale che non implica affatto esercizio di potere discrezionale -inteso questo in senso proprio -giacch� consiste in indagini e valutazioni obiettive, ancorch� di carattere meramente tecnico. Anche qliesta attivit� della Pubblica Amministrazione deve, perci�, essere qualificata come attivit� vincolata, essendo indubitabile che il comportamento della Pubblica Amministrazione, in tema di determinazione del prezzo di cessione, sia interamente vincolato da norme giuridiche, per ci� che attiene all'adozione del relativo criterio. Infatti -come gi� si � osservato -se l'alloggio richiesto in cessione � da ricomprendere fra quelli che non sono contraddistinti da alcuna particolare specificazione, l'Amministrazione deve determinare il prezzo in base al �valore venale�, ridotto poi, del 30 % e di un ulteriore 0,25 % per ogni anno di effettiva (precedente) occupazione (a titolo di .locazione) da parte del richiedente. Se, invece, l'alloggio rientra fra quelli costruiti con il contributo dello Stato (e ultimati dopo il 1� luglio 1961), il prezzo di cessione deve essere determinato in base al � costo di costruzione �. Se, infine, rientra fra quelli costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti (o fra quelli costruiti dall'UNRRA-CASAS, anche con i fondi FRP), il prezzo deve essere pari al � 50 % del costo di costruzione �. Pertanto, essendo tali criteri assolutamente inderogabili, � ovvio che in ordine all'adozione di ciascuno di essi difetta ogni potere discrezionale di scelta. Il solo apprezzamento (tecnico-discrezionale) che la legge concede all'Amministrazione, infatti, � quello relativo alla scelta dei criteri di computo utili per la determinazione del � valore venale � (ovvero del calcolo del �costo di costruzione�); ed �, proprio, per tale lhnitata valutazione che la legge ha istituito Je apposite Commissioni di cui gi� si � detto. Per quanto, poi, attiene alla � direzione� delle norme che disciplinano tale attivit� �vincolata� (di determinazione del prezzo di cessione), non v'� dubbio che trattasi di norme che prendono in specifica considerazione, sia pure in funzione dell'interesse pubblico, posizioni soggettive (reciproche) riferibili ai due potenziali soggetti del costituendo rapporto di cessione in propriet� dell'a11oggio sicch� trattasi �di norme di relazione, in base alle quali assumono consistenza di diritti soggettivi sia l'interesse del privato (richiedente la cessione) che � tenuto al paga 111r1�1111r11111111111f11:1111111~111t111;11111111111111111&1111111111111 506 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse del506 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento del prezzo in corrispettivo della cessione stessa, sia l'interesse dell'ente cedente, cui il prezzo � dovuto e che assume la veste di titolare di un diritto di credito. Infatti, il diritto soggettivo alla cessione in propriet� dell'alloggio gi� assegnato in locazione non ha contenuto circoscritto solo al simmetrico, corrispondente obbligo della . Pubblica Amministrazione di esaminare positivamente la domanda del richiedente, ma ha un contenuto ben pi� ampio, perch� comprende anche la pretesa del richiedente stesso c4 ottenere la cessione alle � condizioni previste. dalla legge � (sent. 30 marzo 1972, n. 1015): e non v'� dubbio che fra tali condizioni � compresa quella che, con riferimento al � tipo � di aliloggio, determina la scelta del criterio legale di quantificazione del prezzo. Infatti, l'interesse all'assegnatario (in locazione) a vedere classificato -ai fini della determinazione del prezzo -nell'una o nell'altra categori~ l'alloggio di cui ha chiesto la cessione, proprio per le riilevai:iti conseguenze che ne derivano in ordine alla determinazione del prezzo, deve trovare la stessa tutela che, nell'ordinamento, trova il � diritto alla cessione >>. Non sembra, peraltro, inutile ricordare ancora che questo ultimo diritto inerisce non gi� a uno qualunque degli alloggi di cui l'Amministrazione abbia la disponibilit�, bens� all'alloggio di cui il richiedente sia gi� assegnatario (art. 4 del d.P.R. del 1959, con la sola eccezione stabilita dal secondo comma dell'art. 5); di modo che � ovyio che se il richiedente ha diritto a che gli sia assegnato proprio quell'alloggio, non pu� certo essergli disconosciuto il diritto a che il prezzo di cessione venga determinato in base all'effettiva situazione giuridica nella quale l'alloggio stesso si trova. �, in definitiva, lo stesso diritto soggettivo alla cessione dell'alloggio che il richiedente '.!sercita allorch� pretende che la determinazione del prezzo venga effettuata tenendo conto dell'appartenenza dell'alloggio alla categoria che gli � propria. Ed � ovvio che, se tale diritto viene leso, la tutela che l'ordinamento gli appresta sar� esclusivamente quella della giurisdizione ordinaria. Stabilito, quindi, ch� le norme esaminate sono norme di relazione (e che, peraltro, all'obbligo del cessionario di pagare il corrispettivo della cessione fa riscontro l'interesse, direttamente contemplato e tutelato, del medesimo a ottenere che il prezzo sia determinato in conformit� alle prescrizioni legali e, quindi, contenuto nei limiti da. esse previsti) resta solo da concludere che l'obbligo dell'ente di consentire la cessione ha come necessario e giuridico risvolto il correlativo interesse dell'Amministrazione, anch'esso direttamente tutelato, di conseguire il giusto prezzo, da determinarsi, appunto, alla stregua dei criteri come sopra stabiliti dalla legge. ' Di fronte a tale impostazione, perci�, cadono gli argomenti addotti a sostegno della tesi contraria, secondo cui la giusta, esatta e corretta PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE valutazione di tutti gli elementi rilevanti agli effetti della determinazione del prezzo sarebbe in funzione non tanto degli interessi patrimoniali delle Amministrazioni o degli Enti proprietari o, rispettivamente, dei privati assegnatari, quanto, piuttosto, della destinazione delle somme ricavate (dalla alienazione) alla costruzione di nuovi alloggi., ai sensi dell'art. 21 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dall'art. 11 della legge 27 aprile 1962, n. 231 (destinazione in considerazione della quale era presumibilmente prevista in ogni caso, dall'art. 7, secondo comma, del citato d.P.R. del 1959, la legittimazione dell'Amministrazione dei lavori pubblici alla � impugnazione � delle deterininazioru della cominissione a livello provinciale). A siffatto rilievo, invero, pu� agevolmente contrapporsi l'osservazione che l'inclusione di un alloggio nell'una o nell'altra delle categorie per le quali sono stabiliti diversi criteri di determinazione del prezzo � attivit� (che, peraltro, compete all'amministrazione attiva, non gi� alle commissioni) sicuramente regolata da norme �di relazione�, in base a quanto fin'ora si � detto; di modo che, quando si parla di un interesse dell'Amministrazione correlato alla destinazione delle somme ricavate, ci si riferisce, necessariamente, a un interesse che non esclude la diretta e immediata considerazione, da parte del legislatore, dell'interesse del soggetto privato. Una situazione di mero interesse legittimo, infatti, sarebbe configurablie solo se l'interesse privato fosse tutelato indirettamente, occasionalmente, mediante una norma (di azione) che, pur incidendo sulle posizioni dei privati (i richiedenti) vincolasse la Pubblica Amministrazione in funzione del solo interesse pubblico. Ma tale ipotesi, resta sicuramente esclusa dalla considerazione che la norma esaminata, tenuto conto della sua ratio, va considerata come essenzialmente volta al, diretto riconoscimento dell'interesse del privato richiedente: interesse che, perci�, assurge al rango di diritto soggettivo. � conseguente, quindi, ritenere che se sussiste un diritto soggettivo del richiedente alla determinazione del prezzo di cessione in conformit� al � tipo � di alloggio richiesto, ogni contestazione ad esso relativa, da parte dell'Amministrazione cedente, deve trovare sede naturale davanti al giudice ordinario. L'assegnatario -come si � detto -ha un diritto soggettivo alla cessione in propriet�, il quale comprende anche l'interesse a che il prezzo venga determinato previa adozione del criterio stabilito dalla legge (interesse che, giova ripeterlo, trova protezione diretta per ci� che attiene alla individuazione della norma regolatrice del prezzo). A tale diritto, ovviamente, corrisponde l'obbligo dell'Amministrazione di attuare la cessione col rispetto dei limiti o le modalit� stabilite dalla legge, di modo che se i limiti o le modalit� predetti non vengono rispettati, nel senso che la prestazione dell'Amministrazione (cessione in propriet�) superi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO per valore la controprestazione (prezzo della cessione), sorge ovviamente l'interesse dell'Amministrazione stessa a esperire i possibili rimedi. Cosicch�, se l'inadeguatezza del prezzo trova causa nell'erronea individuazione del criterio legale di determinazione (in relazione alla quale le posizioni dei soggetti interessati sono specificamente e direttamente contemplate), anche l'interesse dell'Amministrazione dovr� trovare tutela di_ retta, cio� quella che l'Ordinamento appresta per i diritti soggettivi. Irrilevante, perci�, si appalesa il richiamo fatto dal ricorrente alla .citata sentenza 9 maggio 1965, n. 1026 di queste Sezioni Unite, perch�, .a prescindere da ogni altra considerazione, il richiamo predetto non � n� pertinente n� decisivo, in quanto quel �precedente� si riferisce a una fattispecie diversa. Infatti, la questione allora dibattuta concerneva non :gi� l'individuazione del criterio legale di determinazione del prezzo, bens� la concreta applicazione di tale criterio, e cio� la mera quantificazione .del valore venale, .e poneva perci� in discussione, a istanza della stessa Amministrazione, la determinazione fattane in sede di reclamo dalla -Commissione istituita a livello regionale, alla quale -come si � accennato -� demandata non la soluzione di questioni giuridiche (anche se 1a legge istitutiva la dichiara competente a conoscere dei ricorsi �contro la determinazione del prezzo �), ma una indagine di mera valutazione -che, al pari di quella istituita a livello provinciale, ha mero carattere tecnico. Pertanto, giacch�, nel caso di specie l'Amministrazione aveva agito -per lamentare l'erroneit� del criterio legale adottato ai fini della determinazione del prezzo (art. 26 del d.P.R. del 1959, come sostituito dall'art. 14 della legge del 1962, anzich� art. 6 del d.P.R. del 1959, come modificato dagli artt. 4 e 5 della legge del 1962), la relativa domanda -doveva essere proposta davanti al giudice ordinario, del quale ultimo .deve, quindi, essere riaffermata la giurisdizione. L'eccezione proposta dal ricorrente va, quindi, rigettata; e i motivi .del ricorso devono perci�, essere esaminati, posto che si riferiscono a �statuizioni di merito pronunciate da!l giudice investito di giurisdizione. Va, per�, ancora rilevato che -con la seconda de1le memorie illustrative presentate in questa sede il ricorrente ha pure sostenuto che la <lomanda di nullit� del contratto e la domanda di condanna al pagamento del supplemento di prezzo sal:'ebbero, in realt�, due domande � conseguenziali >>, rispettivamente correlate � alle vere due domande principali (tra di loro alternative): la prima rivolta alla distruzione (rectius: annullamento) di un atto amministrativo, e la seconda rivolta .alla formazione di un nuovo atto amministrativo �. Si tratterebbe, quindi, di domande sottratte alla cognizione del giudice ordinario, al quale, invece, l'Amministrazione avrebbe chiesto: a) di affermare che il prov- vedimento di determinazione del prezzo sarebbe affetto dal vizio di vio-i] i:,. -~ ! r � f PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILI! lazione di legge: e il detto giudice non avrebbe giurisdizione � su di una domanda siffatta, proposta come oggetto principale d,el giudizio � ( � proprio all'accoglimento di tale domanda principale, infatti, dovrebbe ricollegarsi la domanda conseguenziale di nullit� del contratto�); b) di � assumere una funzione di amministrazione attiva, per stabilire un momento necessario e non dissociabile della determinazione del nuovo prezzo da valere per il contratto Pastorini, cio� il momento che attiene ai criteri -con i quali tale determinazione dovrebbe essere fatta � ( � pertanto, l'accertamento oggetto della vera seconda principale, al quale si ricollega la domanda conseguenziale di pagamento del supplemento del prezzo, non pu� essere conseguito davanti al giudice ordinario�). Con la stessa memoria sostiene, infine, che � il difetto di giurisdi zione del giudice ordinario sarebbe rilevabile anche nell'ipotesi che esi stesse la determinazione amministrativa del nuovo prezzo, formata dagli organi tecnici previsti dalla legge�; e ci� perch� in tale ipotesi �sarebbe dato al Pastorini di ricorrere aJ giudice amministrativo entro il termine �di sessanta giorni dalla data in cui avesse avuto piena conoscenza di detta determinazione (restando parimenti esclusa la giurisdizione del giudice ordinario). E quand'anche risultasse che egli ne avesse avuta piena conoscenza gi� in tempi remoti, ne conseguirebbe che la determi nazione sarebbe divenuta ormai inoppugnabile ed esisterebbe, cio�, addi rittura il titolo definitivo, alla cui formazione � rivolta la seconda vera domanda principale. Questa sarebbe, allora, non solo improcedibile, ma oltre tutto superflua �. Anche siffatti rilievi sono, per�, privi di fondamento. L'errore di impostazione in cui cade il ricorrente, com'� ,chiaro,. con siste nel non avere individuat� nella richiesta dichiarazione di nullit� del contratto l'unico oggetto della domanda principale dell'Amministrazione (quella subordinata, di condanna al pagamento della somma risultante dall'applicazione del diverso criterio di determinazione del prezzo non viene in considerazione, non essendo stata neppure presa in esame dai giudici di merito). E non v'� dubbio, proprio perch� la domanda atte neva al contratto, che la stessa non poteva essere proposta se non da vanti al giudice ordinario. Giova, peraltro, ricordare che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha chiarito, in tema di assegnazione (in locazione), che esaurita la prima fase (c.d. di � preassegnazione �), caratterizzata �a posizioni di interesse legittimo, la fase successiva, che si realizza con la � conven zione� tra l'ente assegnatario e i<l privato, ha natura privatistica, per modo che le parti sono in posizione di parit�, � e quella del privato � caratterizzata da una situazione di diritto soggettivo azionabile da vanti al giudice ordinario �. Ed � chiaro, pertanto, che -se sorge con testazione in ordine alla validit� del contratto -l'azione esperibile, in RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 510 quanto rivolta alla tutela di diritti soggettivi, va proposta davanti al giudice ordinario. Analoga disciplina, quindi, deve ritenersi prevista in tema di ces sione in propriet� degli alloggi, in cui, peraltro, la fase �amministra tiva� � maggiormente circoscritta, essendo appunto limitata -come si � visto -al sub-procedimento di valutazione degli elementi indispen-. sabili per la determinazione del prezzo. Anche in tema di cessione, per d�, se la controversia insorge sulla validit� del contratto, la relativa domanda -qualunque sia la parte che la propone -� devoluta alfa cognizione del giudice. ordinario. In tale fattispecie, ogni eventuale pro nuncia sulla legittimit� dell'atto ammimstrativo sottostante alla forma zione del rapporto privato non potr�, perci�, non avere carattere inci dentale, nel senso che il giudice ordinario, cui � preclusa ogni possi bilit� di annUJJ.lare o revocare ti:1 provvedimento stesso, si limiter� a rico noscere l'eventuale non conformit� alla legge, per gli effetti che tale illegittimit� produce ai fini dell'illeceit� del comportamento della Pub blica Amministrazione. L'assunto, quindi, che l'Amministrazione avrebbe, di fatto, chiesto al giudice (come �domanda principale�) una pronuncia di annullamento dell'atto amministrativo e, conseguentemente, di � sostituzione � (nella emanazione di un nuovo atto amministrativo) non ha fondamento nella realt�. L'Amministrazione delle Finanze, infatti, come si � visto, ha sem plicemente chiesto una pronuncia di nullit� del contratto, per difetto di uno degli elementi essenziali di esso. La tesi, infine, secondo cui il provvedimento amministrativo era ormai divenuto inoppugnabile non � pertinente, in tema di accertamento della giurisdizione del giudice ordinario, oltre che erronea, perch� non considera che la domanda giudizia!le non coinvolgeva affatto il provve dimento amminist:riativo di accertamento del � valore venale � o del � co sto � dell'immobile, bens� il processo formativo della volont�, in rela zione, appunto, a uno degli elementi essenziali del contratto. 2. Col primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 26 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, (nel testo � sostituito� dall'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231) e 14 . del d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655; nonch� falsa applicazione dell'art. 6, del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 (secondo il testo modificato dagli artt. 4 e 5 della legge 27 aprile 1962, n. 231; e lamenta che la sentenza, accogliendo la tesi dell'Amministrazione (attrice-appellante), abbia negato che il prezzo di cessione dell'alloggio dovesse essere determinato secondo il criterio dndicato dall'art. 14 della legge del 1962 (applicabile con riferimento �a tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti�) e abbia ritenuto, invece, che dovesse essere applicato il criterio dndicato dall'art. 6 della fogge del 1959, come I' I ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE modificato d�gli artt. 4 e 5 della legge del 1962 (applicabile con riferimento a tutti gli altri alloggi, ivi compresi quelli costruiti �con il contributo dello Stato�). Sostiene che a tale conclusione -che si asserisce erronea -la sentenza sarebbe pervenuta per non aver tenuto conto che nella previsione dell'art. 14 della legge del 1962 erano compresi tutti gli alloggi �costruiti a totale carico dello Stato�; di modo che non sarebbe lecito distinguere tra gli alloggi semplicemente �costruiti a totale carico dello Stato� (fra cui quello per 11 quale si controverte) e queLli costruiti, sempre a totale carico dello Stato, � per le categorie meno abbienti � (assoggettabili alla disciplina pi� favorevole, quanto �a determinazione del prezzo, per il. cessionario). Deduce che la norma da ultimo citata (art. 14 della legge del 1962) avrebbe dovuto, invece, essere interpretata nel senso che, con essa, il legislatore aveva inteso prevedere una sola categoria di alloggi, cio� quelli costruiti �a totale carico dello Stato�, e che l'aggiunta delle parole � per le categorie meno abbienti � sarebbe stata del tutto superflua. E ci� per un triplice ordine di considerazioni: a) Con l'espressione � per le categorie meno abbienti.�, il legislatore aveva inteso indicare semplicemente gli � alloggi di tipo economico e popolare�: e sarebbe stata, perci�, ovvia la superfluit� dell'espressione, poich� tutti gli interventi dello Stato in materia di edilizia economica e popolare sono rivolti a soddisfare le esigenze delle categorie �meno abbienti� e tutti gli alloggi di tipo economico e popolare, costruiti direttamente o indirettamente con finanziamenti statali, sono, appunto, destinati alle categorie � meno abbienti �. b) Se dalla categoria degli alloggi �costruiti a totale carico dello Stato� si enucleasse una sottocategoria di alloggi diversi da quelli costruiti per le categorie �meno abbienti�, Ia determinazione del prezzo di tali alloggi sarebbe la meno favorevole per i cessionari, perch� dovrebbe essere fatta con riferimento al �valore venale�: di modo che si avrebbe un prezzo di cessione superiore a quello degli alloggi costruiti semplicemente �con il contributo dello Stato �, per i quali il prezzo va detenninato con riferimento al �costo di costruzione �. e) La successiva legge (art. 14 della legge 23 maggio 1964, n. 655), nel disporre che � per gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato restano ferme le norme dell'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231 �, non ha ripetuto le parole � per le categorie meno abbienti �, evidentemente ritenendo che le stesse erano � superflue� ai fini dell'individuazione del tipo di alloggi per i quali veniva riconfermata la precedente disciplina. Tali censure sono prive di fondamento. 512 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Dal contesto della norma (art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231), infatti, risulta chiaro che il legislatore, d!isponendo che la determinazione del prezzo di cessione dovesse essere fatta in ragione della met� del costo di edificazione, per gli alloggi � costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti�, ha voluto usare un particolare trattamento di favore non gi� agli assegnatari indistintamente considerati, che avessero avuto in assegnazione un alloggio costruito interamente con i fond!i dello Stato, quanto, piuttosto, in favore degli assegnatari �che si fossero trovati, al momento della assegnazione (in locazione) in una particolare situazione di bisogno (all'uopo espressamente considerata); e, proprio perch� tali, avessero avuto assegnato un alloggio fra quelli costruiti, appunto a totale carico dello Stato, � per le categorie meno abbienti �. E ci� si ricava, in primo luogo, da un duplice ordine di considerazioni. Anzitutto, la categoria in quesyone (dei �meno abbienti�) � compresa in una pi� ampia previsione che include anche gli occupanti (assegnatari) d!i alloggi costruiti per coloro che gi� abitavano case malsane (legge 9 agosto 1954, n. 640), ossia persone qualificate da un particolare stato di bisogno; e gi� questo solo elemento induce a ritenere che quel regime di favore aveva riguardo non tanto al tipo di finanziamento che aveva consentito la costruzione, quanto, piuttosto, alle particolari condizioni di disagio economico dei richiedenti. In secondo luogo, va considerato che da tutto il complesso del sistema normativo non si ricava (se, appunto, non si tiene conto di quella ratio e di quella limitazione) il perch� dovrebbe sussistere un cos� diverso criterio di determinazione del prezzo di cessione per gli alloggi costruiti �a totale carico dello Stato� ceduti a categorie di persone diverse dai � meno abbienti � e per quelli ceduti alle stesse categorie di persone, costruiti � con il contributo dello Stato �. Non si vede, cio�, perch� i cessionari degli alloggi compresi nel primo gruppo, pur non versando in situazione di disagio economico, dovessero pagare il prezzo di cessione in ragione della sola met� del costo di costruzione, mentre i cessionari degli aJ.loggi compresi nel secondo gruppo dovessero pagare un prezzo pari al costo di costruzione, al netto dei contributi statali (sistema, questo, corretto poi dall'ai't. 14 della successiva legge n. 655 del 1964 nel senso che il prezzo va stabilito in base al costo di costruzione, quale risulta dagli atti di contabilit� finale e collaudo, approvato dagli uffici competenti, con l'aggiunta del valore dell'area determinato dall'U.T.E., degli oneri di gestione e di preammortamento, dedotto il ricavato netto effettivo delle annualit� del contributo statale). La verit� � che il legislatore -come gi�, in precedenza, si � detto ha previsto, ai fini della determinazione del prezzo, tre categorie di alloggi. Nella prima, sono compresi gli alloggi costruiti dagli enti pub PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE blici, senza il concorso dello Stato. Nella seconda, quelli costruiti dagli enti pubblici, ma con il concorso dello Stato. Nella terza, infine, quelli costruiti a totaile carico dello Stato e assegnati (in focazione) a categorie di persone caratterizzate da un particolare stato di bisogno economico. Per quanto attiene alle due prime categorie di alloggi, individuate secondo un criterio �squisitamente obiettivo, in relazione alle quali non si � ritenuto di adottare un unico criterio per la determinazione del prezzo di cessione (anche perch� il legislatore non ha ritenuto opportuno imporre agli enti pubblici lo stesso sacrificio che imponeva alle amministrazioni statali), la legge ha, tuttavia, cercato di stabilire criteri che, per quanto possibile, conducessero a risultati concreti non eccessivamente dissimili fra loro: per una categoria (la prima), infatti," ha stabilito la determinazione del prezzo in base al valore venale, ridotto del 30 % e, ulteriormente, dello 0,25 % per ogni anno di effettiva (precedente) occupazione a titolo di locazione; per l'altra (la seconda), ha stabilito la determinazione predetta in base al costo di costruzione, con quel particolare meccanismo di aggiunte e di deduzioni del quale si � detto (e gi� questo rilievo priva di validit� quella censura che vorrebbe vedere un trattamento di sfavore nei confronti degli � abbienti � occupanti alloggi costruiti interamente a carico dello Stato che, in caso di cessione, dovrebbero pagare un prezzo superiore, determinato in ragione del valore venale dell'alloggio). Per la terza categoria, infine, il. legislatore ha adottato un oriterio totalmente diverso, senz'altro di maggior favore per gli assegnatari-cessionari, in quanto il prezzo .di cessione � fissato nella sola met� del costo di costruzione. E non si vede perch� un tale criterio di favore dovrebbe avere la sua ragione nel semplice fatto che gli . alloggi siano stati costruiti �a totale carico dello Stato�, dal momento che non sussiste ontologica o_ concettuale differenza tra il fatto del semplice �contributo� statale e quello della � totale � spesa di costruzione a carico dello Stato. Non resta perci�, che dare spiegazione di tale diverso. riferimento alla diversa condizione � economica � dei cessionari delle differenti categorie di alloggi: solo quella particolare condizione (di �meno abbienti�), infatti, spiega la ragione del diverso trattamento, non potendosi pensare a una �rinunzia� dello Stato rispetto alla fattispecie del semplice �contributo�, se non correlata ail potere-dovere (tipico dello �Stato sociale�) di concedere agevolazione, appunto, alle categorie �meno abbienti�, Peraltro, l'attenta difesa dell'Amministrazione (che, pure, non omette di ricordare che ad analoga conclusione era pervenuto il Consiglio di Stato, in sede consultiva, con i pareri 764/1973 e 655/1964) fa giustamente notare che un testo normativo (d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2) in cui si RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 514 parla, nell'art. 1 (oltre che degli alloggi costruiti, sempre a totale carico dello Stato, dalle Amministrazioni delle Ferrovie dello Stato, dall'Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni e dalJe Aziende di Stato per i Servizi Telefonici) di � alloggi costruiti a totale carico dello Stato esclusi i ricoveri provvisori� (n. 4) e di �ogni altro alloggio costruito o da costruire a totale carico dello Stato... per il quale le vigenti disposizioni gi� non prevedevano l'acquisto della propriet� da parte degli assegnatari... � (n. 5), la pi� complessa formulazione dell'art. 26, nel testo risultante dalla �sostituzione� apportata dall'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231 ( � ... tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti�) non potrebbe non avere un preciso significato limitativo, nel senso di individuare, nell'ambito della categoria degli alloggi costruiti a totale carico dello Stato di cui parla il citato art. l, una particolare sottocategoria avente una specifica destinazione. Vale, del resto, a conforto di tale conclusione, il rilievo della semplice interpretazione letterale della norma, apparendo chiaro che se il legislatore avesse inteso dettare una norma valida per tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato avrebbe, sicuramente, adoperato una espressione diversa, quale, ad esempio, � tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato, nonch� quelli costruiti dall'UNRRA-CASAS, anche con i fondi ERP, vengono ceduti�. � vero, peraltro, che la successiva legge (d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655), nel confermare (art. 14) la precedente disciplina non ha ripetuto le parole � per le categorie meno abbienti �. Ma fa scarsa consistenza di un siffatto argomento -introdotto dal ricorrente -� resa palese dal fatto che la legge in questione espressamente ha disposto che � restano ferme � le precedenti disposizioni (�per gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato restano ferme le norme dell'art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231 �): e gi� nel secondo dei sopra ricordati pareri il Consiglio di Stato aveva acutamente osservato che se intento della norma di richiamo fosse stato quello di � estendere � (a tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato) la disciplina particolare prevista dall'art. 14 della legge del 1962, l'espressione adoperata (�restano ferme�) sarebbe risultata assolutamente impropria, perch� in realt� si sarebbe disposta una �estensione�, non gi� la conferma di una �limitazione�. Non risponde al vero, infine, che tutti gli alloggi costruiti a totale carico dello Stato sarebbero sempre destinati alle categorie �meno abbienti �. In contrario infatti, basta ricordare le costruzioni �a carattere popolare � fatte a totale carico del Ministero dei Lavori Pubblici, nei Comuni particolarmente danneggiati dalla guerra (art. 55 del D.L.C.P.S. 10 aprile 1947, n. 261), per essere assegnate agli sfollati, ai profughi, ai I I ffi I lii PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE funzionari dello Stato e altri enti pubblici, ai mutilati e invalidi di guerra, ai reduci, ai partigiani e agli ex combattenti. Il motivo di ricorso esaminato deve, pertanto, essere respinto. Col secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, ri. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell'art. 1418 cod. civ. Nella premessa che trattasi (al pari di quelle che seguono) di censura proposta in via subordinata (subordinata, cio� al mancato accoglimento del primo motivo di ricorso), il ricorrente censura la sentenza nel punto in cui ha ritenuto che la norma contenuta nell'art. 6 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, come modificato dag1i artt. 4 e 5 della legge 27 aprile 1962, n. 231, sia norma di carattere imperativo e che la mancata osservanza (in sede di determinazione del prezzo della cessione) delle disposizioni in essa contenute sia, pertanto, motivo di nullit� del contratto di cessione. Sostiene che la norma predetta non avrebbe affatto carattere imperativo, � tale da rendere drasticamente vietata e irrimediabilmente invalida una pattuizione difforme�. Si tratterebbe, infatti, -secondo l'assunto -di una pr~visione normativa �dettata nell'interesse degli assegnatari, siccome rivolta a favorire le cessioni mediante contenimento del prezzo al di sotto del livello del valore venale�; di modo che, �un ulteriore abbassamento del prezzo al di sotto di tale livello potrebbe determinare, se mai, una responsabilit� amininistrativa di chi lo avesse (ingiustificatamente) disposto, non gi� infirmare la pattuizione attuativa �. Aggiunge poi, che non tutte le norme imperative hanno la medesima intensit�, essendovi fra esse anche quelle minus quam perfectae (quale la norma in questione, la quale non prevede alcuna espressa sanzione di nullit�), la cui inosservanza non inciderebbe sulla validit� di una sti pulazione difforme. Anche questa censura � infondata. Il carattere imperativo delle norme dettate per la determinazione del prezzo di cessione era stato gi� ritenuto ed esplicitamente affermato dalla ricordata sentenza di queste Sezioni Unite (25 maggio 1965, n. 1026), la quale aveva osservato che l'attivit� degli organi preposti a tale deter minazione � regolata non gi� in funzione diretta e immediata di un interesse degli enti del quale il legislatore abbia inteso assumere la diretta protezione, bens� in funzione dell'equo contemperamento dell'esi genza pubblicistica di realizzare i cennati fini assistenziali con l'esigen za, anche essa di pubblico interesse, di contenere (al di fuori di ogni intento speculativo) :hl prezzo di cessione entro i limiti TIO!Il ffiferiori ail costo reale di produzione degli alloggi, pur procurando di renderlo il pi� possibile vantaggioso e ridotto, come particolarmente si evince dal raffronto fra gli artt. 4 e 6 della legge 27 aprile 1962, n. 231. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 516 L'imperativit� di tale norma poi, � stata ribadita da altre pronunce cli questa Corte Suprema (sent. 22 settembre 1970, n. 1655 e 10 giugno 1977, n. 2392), sul rilievo che, cos� come l'ente proprietario non potrebbe pretendere dall'assegnatario-cessionario un prezzo superiore a quello risultante dall'applicazione delle norme (in considerazione delle particolari finalit� sociali che hanno indotto il legislatore a fissare rigorosamente i criteri di determinazione del prezzo. di cessione), cos� l'assegnatario non potrebbe pretendere di pagare un prezzo inferiore (e ci� anche perch� l'interesse pubblico dello sviluppo dell'edilizia popolare ed economica verrebbe ad essere pregiudicato da una mancata reintegrazione delle fonti di finanziamento). Tale impostazione deve ora essere riconfermata, col conseguente rilievo che correttamente la Corte 'di appello ha ritenuto il contratto di cessione affetto da nullit� (e non da semplice annullabilit�, come aveva ritenuto il primo giudice) per vdolazione di norme imperative. Anche questo secondo motivo di ricorso, pertanto, deve essere respinto. Col terzo motiv�, il ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1419 e.e. e 4 del d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2 (nel testo �sostituito� dall'art. 3 della legge 27 aprile 1962, n. 231). Censura ancora la sentenza impugnata nel punto in cui ha dichiarato la nullit� dell'intero contratto a causa delle nullit� deMa clausola relativa alla determinazione del prezzo di cessione. Sostiene che tale dichiarazione di nullit� sarebbe erronea, in quanto contrasterebbe: b) col principio stabilito dal primo comma dell'art. 1419 e.e., poich� l'ipotesi da tale norma prevista � manifestamente non ricorreva nella specie e, comunque, non � stata in alcun modo richiamata dalla Corte di Appello�; b) col principio stabilito dal secondo comma dello stesso articolo (ai sensi del quale le nullit� di singole clausole nulle sono sostituite da norme imperative), dato che, �nella specie, dalla stessa qualificazione data dalla Corte di Appello alla norma concernente la determinazione del prezzo discendeva necessariamente che alla clausola difforme era da considerarsi sostituita la norma anzidetta, senza alcun pregiudizio per la �validit� del contratto�; e) col principio enunciato nell'art. 4 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 (come modificato dall'art. 3 della legge 27 aprile 1962, n. 231), il quale escluderebbe che il diritto soggettivo perfetto dell'assegnatario alla cessione dell'ahloggio (cui corrisponde un obbligo dell'Amministrazione, tenuta alla stipulazione del relativo contratto) possa venir travolto in dipendenza di un errore, per di pi� imputabile alla stessa Amministrazione, sui criteri da applicare per la determinazione del prezzo. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Anche tali rilievi sono privi di fondamento. Prendendo spunto dall'ultima delle censure formulate, va chiarito che, secondo l'esatta impostazione della pronuncia impugnata, la dichiarazione di nullit� non incide affatto .sul diritto soggettivo (del richiedente) alla cessione in propriet�, ma concerne semplicemente il contratto di cessione (come atto negoziale). L'art. 4 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, infatti, dispone' che � hanno diritto alla cessione in propriet� coloro che al momento della pubblicazione dei bandi di cui all'art. 10 sono assegnatari di case contemplate dalle presenti norme�; ed � chiaro che tale diritto non viene meno per il solo fatto che sia stato commesso un errore in fase di stipulazione del contratto e che l'Amministrazione abbia chiesto al giudice di porvi rimedio. La formula .dispositiva della sentenza impugnata, del resto, non lascia al riguardo dubbi di sorta, essendo stato, semplicemente, dichiarato � nullo e inefficace il contratto �. Sempre a proposito di tale censura, con Ja prima delle memorie illustrative presentate in questa sede, il ricorrente ha sostenuto che, in base alla normativa sopravvenuta, risulterebbe �priva di senso la declaratoria di nullit� (del contratto), ove questa divenisse definitiva�. Tale rilievo ha riferimento al disposto dell'art. 52, primo comma, della legge 5 agosto 1978, n. 457 che ha aggiunto, al capoverso dehl'art, 27 della legge 8 agosto 1977, n. 513 il seguente periodo: �Si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l'ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione, se non previsto dalla legge �. E proprio richiamandosi a tale disposto normativo, il ricorrente testualmente osserva: � Poich�, nella specie, Ja domanda di cessione fu accettata e il prezzo comunicato (tanto che si pervenne alla stipulazione e alle volture catastali e tavolari), esisterebbe, pur sempre, in ogni peggiore ipotesi, un contratto ex lege che renderebbe priva di senso la declaratoria di nullit� (ove questa divenisse definitiva): non potendosi distruggere ci� che la legge espressamente considera stipulato e concluso �. / Siffatta chiave di lettura deHa norma sopravvenuta �, per�, sicuramente erronea. Dopo che la Corte di Appello aveva pronunciato la sentenza in questa sede impugnata, � sopravvenuta la legge 8 agosto 1977, n. 513 che, con l'art. 27 (primo comma), ha espressamente abrogato la disciplina sancita dal d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e successive modificazioni, nonch� dalla legge 14 febbraio 1963, n. 60, concernente la cessione in propriet� degli alloggi (del medesimo tipo) appartenenti a1la gestione INACasa e assegnati in locazione con patto di futura vendita o in locazione semplice, nonch� tutte le disposizioni � che comunque disciplinano il trasferimento in propriet� agli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale gi� assegnati in locazione semplice�. Col secondo comma, poi, lo PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE stesso articolo ha disposto, in via transitoria, che fo domande per le quali non fosse stato stipulato il contratto di cessione in propriet� dovessero essere confermate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a pena di �decadenza dell'interessato da ogni diritto �, Dopo la proposizione del ricorso, poi, � sopravvenuta la legge 5 agosto 1978, n. 457 che, con l'art. 52, ha aggiunto al detto secondo comma del citato art. 27 il periodo pi� sopra integralmente riportato. � stato, inoltre, prorogato iJ termine di presentazione delle domande ed � stato modificato, per le domande non ancora accettate ma confermate, il sistema di determinazione del prezzo di cessione, essendosi stabilito che, fermo re� stando il riferimento al valore venale (determinato ai sensi del terzo comma del citato art. 27, il quale rinvia al successivo art. 28), lo stesso va, per�, ridotto dell'art. 1,50 % per ogni anno di effettiva occupazione dell'alloggio da parte del richiedente, fino a un limite massimo di venti anni, con una ulteriore riduzione del 10 % da applicarsi al caso in cui il richiedente fruisca di un reddito annuo non superiore alle L. 4.800.000. Altre. modifiche sono state, pur disposte per ci� che attiene alla detrazione, dal prezzo, delle migliorie eventualmente apportate dall'assegnatario, la riduzione al 15 % della quota in contanti da versare per il caso di acquisto rateale da parte dei titolari di redditi inferiori alla misura predetta e al 30 % per i percettori di redditi inferiori. Tale complesso normativo (la cui legittimit� � stata affermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23 luglio 1980, n. 122) implica, come � evidente, una completa revisione dei principi di favore precedentemente accolti in materia, .ispirata -come risulta dai lavori preparatori -da un'incombente crisi economica e strutturaJe del settore, manifestatasi a seguito sia delle gravi carenze di disponibilit� per il finanziamento del- l'edilizia economica e popolare, le cui necessit� assurgevano a valori elevatissimi, sia alle disfunzioni dei meccanismi di base dell'investimento e della produzione edilizia del settore. Il legisJatore ha ritenuto, perci�, di sopprimere praticamente, per l'avvenire, la possibilit� di cessione in propriet� degli alloggi di tipo economico e popolare; ha, per�, con la norma transitoria, fatte salve alcune situazioni pregresse, stabilendo -come si � visto -che � si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita, qualora J'Ente proprieario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione, se non previsto dalla legge �. Ora, il ricorrente, deducendo che col sopravvenire �di detta normativa diventerebbe praticamente inutile una declaratoria di nullit� del contratto in questione, sembra, in definitiva, ritenere che, si sia in pratica determinata una cessazione della materia del contendere, in quanto, quando anche fosse dichiarato nullo il contratto predetto ad esso sa PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 519 rebbe, ex lege, sostituito un nuovo e diverso contratto, da intendersi � come stipulato � per il semplice fatto che, a suo tempo, vi era stata la accettazione della domanda e la comunicazione del prezzo, da parte dell'ente proprietario o gestore. Siffatta impostazione, per�, non pu� essere condivisa, sia perch� la norma transitoria in esame non considera affatto l'ipotesi del contratto gi� stipulato (ed anzi presuppone proprio la situazione contraria), sia perch� la fictio delineata da quella norma, quanto meno nella sua formulazione letterale, � in sostanza prevista -come pi� avanti si chiarir� ad effetti limitati, e certo non � tale da precludere alla parte interessata la possibilit� di far valere gli eventuali vizi della domanda di cessione, della correlativa dichiarazione di adesione e della comunicazione del prezzo (come, ad esempio, nel caso in cui l'adesione sia stata formulata in riferimento a domanda di un soggetto privo di legittimazione, o nel caso in cui il prezzo comunicato non sia stato determinato alla stregua della normativa vigente) o qualsiasi altro vizio da cui risulti comunque inficiato il processo di formazione e di incontro delle due volont�. E ancora meno si pu� ritenere che la portata effettuale della norma transicoria valga a sanare o neutralizzare i predetti vizi, e le nullit� che ne conseguono, perfino nell'ipotesi in cui, essendo stata gi� stipulata la convenzione, tra le parti sia gi� insorta controversia sulla validit� di essa. � chiaro, infatti, che in tale caso la controversia deve continuare fino alla !"Ua completa risoluzione. Il che, peraltro, non e~clude -come osserva la stessa Amministrazione resistente -che in altra sede si possa e si debba pur sempre vagliare se si siano comunque verificati i presupposti per la operativit� della predetta norma transitoria (e cio� l'accettazione della domanda e la comunicazione del prezzo) e quindi, se la declaratoria di nullit� del contratto possa non pregiudicare il diritto dell'assegnatario alla cessione in propriet� dell'alloggio in conformit� della normativa abrogata (o se, comunque, la cessione possa e debba essere attuata -per quanto attiene alle relative condizioni ed alla determinazione del prezzo -in base alle nuove norme dettate dall'art. 28 cit. legge n. 513 del 1977, cos� come modificato dall'art. 52 legge 45 del 1978: cfr. al riguardo la sent. 9 maggio 1981, n. 3062). Ma vi � di pi�: in sede interpretativa � senza dubbio decisiva l'osservazione -opportunamente suggerita dalla difesa dell'Amministrazione -che la norma transitoria in esame non esonera, neppure quando ricorrano i presupposti da essa contemplati, da un'effettiva stipulazione del contratto. La cessione in propriet�, invero, poteva essere attuata solo seguendo un iter iil cui atto terminativo, era appunto, la stipulazione del contratto; e poich� la detta norma transdtocia non ha appunto inteso im1ovare rispetto ai procedimenti e alle forme di stipulazione dei contratti pirevisti dalle singole Jeggi che gi� prevedevano fa soppressa facolt� di riscatto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 520 degli alloggi assegnati in locazione (e l'art. 10 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, gi� prevedeva, dopo la comUlllicazione del prezzo, ila stipulmone del contratto), la stessa deve necessariamente essere interpretata nel senso che ha, semplicemente, inteso porre una fictio iuris valida ai limitati fini di estendere. la 1sfera delle posizioni sa:lvaguardate dalla norma abrogatrice. La norma transitoria, cio�, si limita, in definitiva, a far salvo il diritto alla cessione in propriet� di quell'assegnatario che, all'intervenire della norma abrogatrice, si fosse trovato in quelle determinate condizioni; ma la semplice ricorrenza di queste ultime, a dispetto della terminologia del legislatore (�si considera stipulato e concluso il contratto�), non � di per s� idonea a creare il vincolo contrattuale, n�, di conseguenza, a operare il trapasso della. propriet�, se non intervenga, poi, l'effettiva stipulazione del contratto. E poich� la controversia concerne, proprio, la '!alidit� del contratto stipulato, appare vieppi� evidente che la 'norma transitoria predetta non ha, �affatto, sanato i vizi che inficiano il contratto predetto. Infondata, �, poi, anche la prima delle riportate censure contenute nel motivo di ricorso in esame, dovendosi ritenere fuori della previsione dell'art. 1419, primo comma, cod. civ. (il quale pu� trovare applicazione solo quando la parte del contratto o la clausola colpita da nullit� abbia un'esistenza autonoma e non concerna, invece, un elemento essenziale del negozio: sent. 10 gennaio 1975, n. 91), il caso di nullit� che investe la controprc:stazione del trasferimento del bene oggetto del contratto, che � elemento essenziale del contratto stesso. L'operativit� di tale norma, peraltro, � ben difficilmente configurabile quando una delle parti sia la Pubblica Amministrazione, la cui attivit� contrattuale � interamente regolata dalla legge e nei cui confronti non � neppure ipotizzabile quella indagine che Ja norma, invece, presuppone come possibile, intesa ad accertare se i contraenti avrebbero, o non, concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto che � colpita da nullit�. � stato, infatti, gi� ritenuto (sent. 14 febbraio 1974, n. 420) che se anche dovesse, in aderenza alla suggestione volontaristica della formula legislativa, ricercarsi la consistenza dell'orientamento psichico delle parti di fronte alla previa conoscenza dell'invalidit�, � certo che la Pubblica Amministrazione non potrebbe consapevolmente determinarsi alla stipulazione di un negozio contrario a norme imperative. Di modo che, se anche una volont� intesa in tal senso si venisse a formare, il negozio (residuale) posto in essere risulterebbe esso stesso nullo per contrariet� alla legge. Una volont� tesa ail perseguimento di un assetto di interessi contra legem, infatti, non potrebbe utilmente essere valorizzata per far salvo il contratto depurato della clausola nulla. Infondata �, anche, la seconda delle riferite censure, giacch� l'inserzione automatica delle norme imperative, in sostituzione delle clausole contrattuali <affette da nullit�, pu� verificarsi (a norma deltl'art. 1419, PARTl! I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE -:;econdo comma, cod. civ.) solo quando la sostituzione debba avvenire di diritto in forza di un'espressa disposizione di legge che imponga, appunto, la sostituzione di determinate norme alle clausole contrattuali da esse difformi, le quali norme imperative (che si sostituiscono di diritto alle clausole difformi) sono sempre dirette ad assolvere, nell'economia del contratto, la medesima funzione a cui erano destinate le clausole sostituite (sent. 12 luglio 1965, n. 1464). E questa ipotesi, palesemente, non ricorre nel caso di specie, dato che, nei contratti di cessione in propriet� di alloggi di tipo economico e popolare, alla imperativit� della norma che stabilisce il criterio legale di determinazione del prezzo (valore venale o costo di costruzione) non 1si accompagna contestualmente 1a precisazione dell'importo del prezzo stesso, la quale � invece demandata -previa individuazione del criterio applicabile -ad organi (le apposite commissioni o gli uffici del genio civile) estranei, oltretutto, all'una parte contraente, secondo apprezzamenti o accertamenti tecnico-contabili. D'altronde, come gi� � stato osservato con la citata sentenza 25 maggio 1965, n. 1026, il rapporto tra ente proprietario e assegnatario-cessionario non � assimilabile indiscriminatamente agli ordinari rapporti interprivati a prestazioni corrispettive, data la connotazione per certi aspetti pubblicistica del rapporto medesimo. Mentre, infatti, l'Amministrazione o, in genere l'ente proprietario o gestore sono (rectius: erano), comunque, obbligati alla cessione, qualunque sia o venga a risultare la misura del prezzo, determinato a norma di legge, l'assegnatario pu�, per contro, variamente determinarsi, secondo che il prezzo venga a risultare di una supposta o di altra maggiore misura, nell'alternativa tra l'acquisto _della propriet� o la conservazione dell'alloggio in locazione semplice (art. 10, sesto comma, del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, nel testo modificato dal� l'art. 7 della legge 27 aprile 1962, n. 231). Ci� che, evidentemente, conferma come sarebbe stato oltretutto impossibile dettare una norma (imperativa) che si sostituisse, di diritto, alla clausola da essa difforme. Col quarto e Uiltimo motivo, infine, il ricorrente, denuncia, ai sensi dell'art. 350, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 1338 cod. civ.; nonch� ai sensi delJ�art. 360 n. 5 cod. proc. civ., �motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo �. Censura la sentenza nel punto in cui ha respinto la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per responsabilit� precontrattuale e sostiene che a tale condusione la Corte di appello sarebbe pervenuta per non avere tenuto conto che il procedimento di determinazione del prezzo, nel quadro della normativa considerata, si svolge(va) autoritativamente ad �sclusiva cura dell'Amministrazione, la quale, in concreto, ha provveduto (appunto, unilateralmente) a tale determinazione, � dissentendo, consapevolmente e responsabilmente, dall'erroneo parere reso dal Con~ siglio di Stato �. Sostiene quindi, che erroneamente la detta Corte avrebbe fatto applicazione, al caso concreto, del principio giurisprudenziale se RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 522 condo cui non sussiste responsabilit� precontrattuale quando la causa di invalidit� derivi da violazione di norme imperative, in quanto entrambi i contraenti sono tenuti in eguale misura o conoscerle, usando la normale diligenza. Anche quest'ultima censura � priva di fondamento. La sentenza Jmpugnata, irnvero, ha in modo del tutto corretto fatto applicazione della regola, pi� volte enunciata da questa Corte Suprema (v., per tutte, le sentenze 11 luglio 1972, n. 2325), secondo cui non pu� configurarsi responsabilit� per colpa in contrahendo, quando la causa di invalidit�. del negozio, ancorch� nbta a uno dei contraenti e da questi taciuta, derivi da una norma di legge che, per presunzione assoluta, deve essere nota alla genericit� dei sottoposti all'ordinamento giuridico. L'appliabilit� di tale regola, invero, non resta esclusa dal fatto che la determinazione del prezzo sia, dalla legge, affidata all'Amministrazione (o, in genere, agli enti proprietari o gestori), se non altro perch� come ha esattamente osservato la difesa della resistente -prima della stipulazione del contratto l'Amministrazione stessa deve (rectius: doveva) comunicare all'interessato i valori non ancora definitivi (art. 10 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, nel testo �sostituito� dall'art. 7 della legge 27 aprile 1962, n. 231) o il prezzo definitivamente modificato; e in tale momento l'assegnatario ha la possibilit� di valutare la congruit� dei valori e la conformit� a legge del criterio di determinazione del prezzo (in base al valore venale, ovvero al costo di costruzione) e di esperire gli appropriati mezzi di tutela, in sede amministrativa o giurisdizionale, per far accertare il giusto criterio di determinazione del prezzo stesso. Sicch�, quando, stipulando iJ contratto, aderisce senza contestazione al prezzo determinato dall'Amministrazione, egli non soggiace affatto a un atto autoritativo, ma compie lllil atto del tutto ilii.bero, rne11'autonomo coovincimento della sua conformit� al diritto o, comunque, al suo interesse. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 958 -Pres. Mazzacane -Rel. Moltese -P. M. Leo -Inam .(Avv. Stato Corti) c. Zarrelli. Professioni -Sanitario � Farmacista -Prestatore d'opera intellettuale Convenzione nazionale Inam -Associazione categoria -Natura -Effetti vincolanti -Nozione. Sanitario -Farmacista -Convenzione nazionale Inam -Associazione categoria -Termine di durata -Recesso prima della scadenza -Compatibilit� -Fattispecie. Poich� il farmacista � considerato un professionista sanitario, � appropriato l'inquadramento del rapporto intercorrente tra l'Jnam ed il PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 523 farmacista nella categoria del contratto di prestazione d'opera intellettuale, con la conseguenza che il solo fatto dell'appartenenza del farmacista all'associazione di categoria comporta nei suoi confronti l'operativit� della convenzione normativa esistente con gli enti assistenziali ed il sorgere, con la spedizione della ricetta e lo svolgimento degli ulteriori atti � dovuti�, del titolo del suo obbligo di consegnare il medicinale agli assistiti e del suo diritto ad addebitarne il costo all'ente assistenziale. Pertanto, le disposizioni della convenzione, la quale ha natura di accordo privato, si traducono, nei confronti del singolo farmacista iscritto alla Associazione stipulante, sul contenuto di un contratto preliminare normativo (pactum de modo contrahendo) vincolante le parti nei singoli rapporti attuativi, che si realizzano, con i prescritti adempimenti fra il farmacista, l'Inam e l'assistito, beneficiario della prestazione (1). L'apposizione di un termine al contratto di prestazione d'opera intellettuale di durata non pu� essere risolta aprioristicamente come preclusiva delle facolt� di recesso, essendo la previsione del termine compatibile con tale facolt� se ci� pu� desumersi dalla volont�, tacita o espressa, delle parti , che, nel prevedere una disciplina delle infrazioni alla convenzione, da accertarsi da apposite commissioni, hanno posto una deroga implicita all'art. 2237 cod. civ. (2). I giudici d'appello, invero, hanno imperniato le proprie argomentazioni sull'affermazione della necessaria inerenza al rapporto INAM-Zarrelli del termine finale previsto dalla convenzione nazionale del 1959 e sul conseguente effetto preclusivo, dovuto alla presenza del termine, della normale facolt� di recesso ad natum, di cui all'art. 2237 cod. civ., nel rapporto di lavoro autonomo avente per oggetto una prestazione d'opera professionale, che (com'� riconosciuto dalla giudsprudenza nella parallela ipotesi del rapporto intercorrente fra l'I.N.A.M. e il medico convenzionato: Cass. 22 ottobre 1972, n. 3284) si instaura fra il singolo farmacista e l'I.N.AM. In base a tale premessa, la Corte d'appello implicitamente riconosce che, ove di un termine siffatto non si potesse parlare, opererebbe fra le parti, salvo una speciale disposizione contraria, la regola �generale di diritto comune dell'art. 2237 cod. civ. sulla libera facolt� di recesso. Ne consegue che solo aderendo al secondo profilo di censura con cui si tende ad escludere l'esistenza del termine e quindi a negare una deroga tacita all'art. 2237 cod. civ., si porrebbe l'ulteriore problema se nella convenzione nazionale del 1959, in mancanza di norme espresse, regola (1-2) Sulla prima massima cfr. Cass., Sez. Lav., 28 marzo 1974, n. 880; Sez. Un 10 settembre 1976, n. 3130; sulla seconda, oltre le sentenze citate in motivazione, cfr. Cass. Sez. Lav. 6 agosto 1975, n. 2995. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trici in modo autonomo della facolt� di recesso, le disposizioni sulla sospensione e sull'esclusione del farmacista dal servizio per effetto di determinate infrazioni ivi previste comportino, per altra via, una deroga tacita -e dii quale estensione -alla norma generale dell'art. 2237 cod. civ. Tale questione, appunto, viene posta dal ricorrente nello svolgimento del primo profilo di censura col rilevare l'assenza, nella convenzione del 1959, di una particolare disciplina del recesso, a differenza della detta convenzione sanitaria del 1966 (esaminata nella sent. Cass. 28 settembre 1978, n. 6106), con la conseguenza, a suo dire, della piena efficacia fra le parti della disposizione generale citata dall'art. 2237 cod. civ. Osserva questo Collegio che il secondo motivo di censura -pregiudiziale, come si � detto, al primo -appare fondato. Va premesso che il farmacista � tradizionalmente considerato un professionista sanitario, la cui attivit�, seppure indissolubilmente legata alla .alienazione dei prodotti medicinali e quindi all'esercizio di una impresa commerciale (permeata di caratteri pubblicistici), pur sempre concreta lo svolgimento di una professione intelletuale. Perci�, in considerazione .di questo preminente connotato qualificante, � appropriato l'inquadramento del rapporto intercorrente fra l'l.N.A.M. e il farmacista nella categoria del contratto di prestazione d'opera intellettuale. Inoltre, per quanto riguarda la correlazione fra la convenzione nazionale l.N.A.M.-Associazione di categoria e i concreti rapporti individuali fra il medesimo istituto e i singoli farmacisti, � opportuno ricordare secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, che il solo fatto dell'appartenenza del farmacista alle associazioni stipulanti (rispettivamente la spedizione della ricetta e i connessi adempimenti da parte del farmacista non iscritto) comporta nei suoi confronti l'operativit� della convenzione normativa esistente con gli enti assistenziali e il sorgere, con la spedizione della ricetta e lo svolgimento degli ulteriori atti dovuti, del �titolo del suo obbligo a consegnare il medicinale agli assistiti e del suo diritto ad addebitarne il costo all'ente assistenziale� (sent. 10 settembre 1976, n. 3130). Pertanto le disposizioni della convenzione, la quale ha natura di accordo privato, si traducono, nei confronti del singolo farmacista iscritto .all'associazione stipulante e dell'l.N.A.M., nel contenuto di un contratto preliminare normativo (p�ctum de modo contrahendo) vincolante le parti nei singoli rapporti attuativi, che si realizzano, con i prescritti adempimenti, fra il farmacista, l'l.N.A.M. e l'assististo, beneficiario della prestazione per conto dell'l.N.A.M. (per analoghe considerazioni, con riferimento al rapporto tra l'I.N.A.M. e i medici convenzionati, v. Cass., 28 marzo 1974, n. 880). 1"A DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 525 ... �onvenzione nazionale del 1959 -oggi non pi� in vigore ,,,e�'ogazione delle prestazioni farmaceutiche agli assistiti dall'INAM 1rti:1ubbiamente conteneva la clausola di tacita rinnovazione, di anno in anno, in mancanza di tempestiva disdetta da una delle parti, entro il 30 giugno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento (art. 37, u. co.). Di conseguenza, i singoli contratti normativi che, per le ragioni esposte, si costituivano ipso iure nei confronti dei farmacisti iscritti, non avrebbero potuto, ovviamente, sopravvivere all'efficacia nel tempo de11a convenzione, caducata, in ipotesi, per effetto di una tempestiva disdetta. Tuttavia, contrariamente a quanto afferma la Corte d'appello, ci� riguarda l'esistenza, non il valore, l'efficacia giuridica del termine. I giudici d'appello rilevano che secondo la pi� recente giurisprudeI1Z2i di questa corte, l'apposizione di un termine al contratto di prestazione d'opera !intellettuale di durata comporta una deroga alla facolt� di recesso dell'art. 2237 cod. civ., con esclusione di un diritto del contraente di recedere ad natum in pendenza del termine (sent. Cass. 6 agosto 1975, n. 2995 e 7 ottobre 1976, n. 3325), mentre le decisioni meno recenti riconoscevano al termine pattuito la sola funzione di determinare la durata massima del rapporto, lasciando immutata la facolt� di recesso (Cass., 3 aprile 1974, n. 947). Ne deducono che, nel caso concreto, il tradursi della previsione di un termine fiI~ale nel contenuto vincolante del contratto normativo fra le parti di per s� realizzerebbe, per 11 singolo farmacista aderente alla convenzione, la stessa ipotesi, esaminata dalla giurisprudenza, dell'appo sizione convenzionale di un termine al contratto di prestazione d'opera intellettuale, escludente -secondo il pi� recente indirizzo -la facolt� di recesso, per deroga implicita alla disposizione generale dell'art. 2237 cod. civ. Ritiene, invece, questo collegio che, riconosciuta l'esistenza del ter mine, la questione del valore, cio� dell'efficacia giuridica di esso, -non possa essere aprioristicamente risolta con un'apodittica affermazione di principio sulla sua natura di termine di durata minima, prooluSI�vo della facolt� di recesso e vincolante le parti. Trattasi, pur sempre, di una � quaestio voluntatis �. E ne d� atto, sia pure incidentalmente, la stessa giurisprudenza sopra citata, nel rilevare .che �il termine di durata massima esige espressioni tendenti a chiarire che il rapporto si esaurisce �entro� un certo periodo, in maniera che sia prevista l'eventualit� di cessazione del rapporto prima dell'esaurimento del termine � (sent. n. 2995 del '75 citata). Secondo una formulazione pi� ampia, comprensiva di ogni possibile atteggiarsi della volont� delle parti, s� dovr� dire che, per stabilire la natura del termine sar� determinante la � ratio � della disposizione che i ! 'I ~. ri tiffe. I I I~ I ~ I W1 l~h 'f'..:'.:::::.::::::;.;1'/./''.�=-� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lo contempla, rispettivamente di ogni altra norma facente parte del sistema della convenzione. Ora, per quanto riguarda la disposizione, in s� considerata, dell'art. 37, u. co. della convenzione del '59, basta individuarne il fine per rendersi conto che, anche trad.ucendosd nel contenuto dei sdngali contratti normativi, il termine in essa previsto non poteva assumere significato diverso da quello di semplice termine massimo della convenzione e dei vari rapporti attuativi. La norma, infatti, �veva semplicemente lo scopo di assicurare alle parti -I.N.A.M. e associazioni stipulanti -la possibilit� di una revisione degli accordi, secondo le nuove prevedibili esigenze del servizio e degli assistiti. Ognuno dei contraenti, pertanto, rimaneva vincolato per il solo periodo massimo di un anno, ailla scadenza del quale poteva, previa tempestiva disdetta, imporre il riesame della disciplina fino a quel momento in vigore. La vicenda, necessariamente pedissequa, dei singoli contratti norma1: ivi, ne condizionava l'efficacia alla mancata disdetta della convenzione e ne assicurava, pertanto, una durata massima non superiore ad un anno. Questa soltanto era la portata dell'art. 37 u. co. della convenzione del '59. Non si pu�, quindi, in contrasto con l'interpretazione della volont� delle parti, attribuire ad esso -come giustamente osserva il ricorrente -l'efficacia di una clausola istitutiva di un termine minimo di durata del rapporto, con deroga tacita alla libert� di recesso. Mentre � necessario esaminare le altre norme della convenzione per stabilire come il recesso e quindi la durata del contratto di prestazione d'opera intellettuale fossero, in realt� regolati. Il secondo profilo di censura, pregiudiziale al primo, appare, pertanto, fondato e deve essere accolto. Passando all'esame del primo, osserva il Collegio che effettivamente non esiste nella convenzione del '59 alcuna particolare disposizione esplicita sul recesso che possa valere come deroga espressa all'art. 2237 c. civ. Ma ci� non basta per riconoscere � sic et simpliciter � l'incondizionata operativit� di questa norma, sicuramente derogabile -come regola dispositiva -dalla volont�, espressa o tacita, delle parti, com'� ormai riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo la quale non osta a tale possibilit� la natura fiduciaria del rapporto (sent. n. 2995/'75) citata. Bisogna,' a tail fine, tener presente le clausole contenute nella conven zione sulla disciplina delle infrazioni, che rnppresentano il sistema vigente fra le parti. Tale sistema di certo non � compatibile con una incondizionata e immotivata facolt� di recesso dell'I.N.A.M. in danno del professionista. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 527 Esso, quindi, si pone come deroga implicita all'art. 2237 e.e., per incompatibilit� � delle norme convenzionali speciali con la regola generale del codice. Trattasi degli articoli -citati dall'I.N.A.M. nel suo ricorso -3, 15, 17, 32 e 37 della convenzione nazionale del '59, che dettano precise regole di comportamento del farmacista e devolvono alla commissione provinciale, di cui all'art. 32, compiti di sorveglianza per la regolare e integrale applicazione della convenzione stessa, con facolt� di adottare, �a carico delle farmacie inadempienti�, i provvedimenti ritenuti opportuni, che possono giungere fino all'esclusione dal servizio -cio� al definitivo recesso dell'I.N.A.M. -con possibilit� di ricorso alla commissione CF!ntrale di cui all'art. 33. Le parti -precisa la nota in calce all'art. 32 -� convengono di considerare particolarmente gravi, ai ,fini della convocazione d'urgenza della commissione provinciale, Je kregolarit� perseguibili anche penalmente �. Queste disposizioni hanno natura privatistica, avendo la propria fonte mun accordo normativo privato. Le stesse commissioni, provinciale e centrale, sono da considerare non com'� stato affermato, organi pubblici di controllo gerarchico, ma nonostante la loro composita formazione, in cui figurano il medico provinciale (rispettivamente, un rappresentante del Ministero della Sanit�) come presidente e tre rappresentanti dell'I.NA.M. quali membri -veri e propri collegi privati, perch� istituiti col detto accordo di natura privata. I relativi provvedimenti, qualunque ne sia la natura, decisoria o � consultiva, si pongono dunque, nel'.La coniplessa struttura della farmacia ove bisogna distinguere l'esercizio soggetto a vigilanza pubblica, l'impresa commerciale e la prestazione professionale del sanitario -a presidio degli impegni contrattuali assunti dalle associazioni di categoria verso l'l.N.A.M. con gli accordi normativi per lo svolgimento del servizio. Il sistema della convenzione, che opera su un piano evidentemente -:liverso da quello, a carattere strettamente pubblicistico, su cui incidono i provvedimenti sanzionatori degli organi pubblici preposti alla sorveglianza dell'esercizio delle farmacie (art. 23 t.u. I. sanitarie), � predisposto, quindi, per assicurare l'esecuzione degli accordi normativi privati a vantaggio degli assistiti dall'I.N.A.M. e, nel contempo, a tutelare l'interesse e il prestigio del professionista. Proprio a salvaguardia di tali esigenze, le disposizioni dell'accordo pongono le precise condizioni di applicabilit� delle sanzioni, che per la loro natura negoziale, si inquadrano nella normativa generale del codice civile sul contratto di prestazione d'opera intellettuale ed a essa possono, quindi, apportare deroga, anche con effetti cautelari di sospensione dal servizio, giuridicamente qualificabili -sul piano, appunto, privatistico 528 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO come atto dell'I.N.A.M. di recesso con offerta contestuale di riassunzione al cessare della causa determinante la sospensione. Deve ritenersi, peraltro, che le dette disposizioni non siano tassative, nel senso che, in generale, la commissione � competente a pronunciarsi, oltre che nei casi espressamente previsti, anche in merito ad ogni irregolarit� e inosservanza della convenzione da parte del farmacista: ne fa fede la disposizione -da ritenere non innovativa -del quarto comma dell'art. 29 della successiva convenzione nazionale del 29 marzo 1974 per l'erogazione delle prestazioni farmaceutiche agli assistiti dagli enti mutualistici, che in questo senso -appunto -testualmente dispone. Ci� stante, ogni possibile infrazione 'alle norme convenzionali pu� costituire giusta causa del provvedimento (o dei provvedimenti) in questione; e la deroga ad una assoluta e discrezionale facolt� di recesso dell'I.N.A.M. -che non sarebbe, evidentemente, giustificata secondo la logica del sistema -assume, tuttavia, un'estensione idonea ad assicurare sotto ogni aspetto la tutela dei contrapposti interessi. Per altra via, dunque, che non attraverso l'apposizione, di per s� non decisiva, di un termine, si deve ritenere che la regola generale dell'art. 2237 C-civ. subisca implicita deroga per incompatibilit� col sistema delle norme convenzionali dettate per i controlli e [a repressione delle infrazioni, a presidio della regolarit� del servizio. Si deve ora osservare che l'avere le parti considerato, nella convenzione del '59, particolarmente gravi le irregolarit� perseguibili penalmente dimostra come per la sola � perseguibilit� � in sede penale, indipendentemente da un accertamento giurisdizionale od anche dal rinvio a giudizio dell'imputato, possano essere adottati dall'Istituto, con valutazione del caso di volta in volta rimesso alla commissione, provvedimenti cautelari immediatamente esecutivi nei confronti del farmacista, a carico del quale siano comunque � emerse �, a giudizio della commissione, le dette � mancanze di particolare gravit��. Orbene, su questo punto decisivo della controversia la motivazione della sentenza impugnata non � affatto esauriente e giustamente viene censurata col primo motivo del ricorso. <::ORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 5 marzo 1982, n. 1382 -Pres. Marchetti - Rel. Corda -P. M. Martino -Ministero delle Finanze e dell'Interno (avv. Stato Caramazza) c. Provincia di Chieti (avv. Moscarini). Propriet� -Usucapione -Possesso solo animo -Intestazione catastale Rilevanza. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 529 Propriet� -Concessioni traslative operate con i decreti murattiani e confermate con i decreti della monarchia borbonica � Limitazioni � Natura obbligatoria � Configurabilit� di un modus � Acquisto della propriet� a titolo originario � Effetti. Ai fini dell'accertamento dell'acquisto della propriet� di un immobile per usucapione da parte del �possessore solo animo�, hanno rilevanza l'intestazione catastale dell'immobile stesso, dalla data dalla quale decorre il termine per l'usucapione, ed il pagamento dei relativi tributi erariali (1). Le limitazioni del contenuto delle � concessioni � traslative della propriet� operate con i decreti murattiani e confermate con quelli della restaurata monarchia borbonica, hanno natura e portata obbligatoria, riconducibili in senso lato alla categoria del �modus�. Nel caso di acquisto della propriet� per usucapione a titolo originario dei beni oggetto di tali � concessioni �, lo stesso deve considerarsi svincolato dal modus (2). La singolare vicenda attraverso la quale una controversia fra Stato e Comune si risolve, in genere, in beneficio della Provincia rappresenta una singolarit� storica non priva di qualche interesse (3). Formatosi, ormai, iJ giudicato (per acquiescenza delle parti) sui punti fondamentali della causa concernenti l'originaria propriet� del Comune di Chieti e l'usuoapibilit� dei beni facenti parte del patrimonio (1-2) La sentenza dn rassegna sembra concludere una ~unga serie di contro1ersie relative alla natura delle � ooncessioni dn uso � ai comuni di beni gfa appartenenti a soppressi conventi ed ordini religiosi sancite dai Decreti murattiani 16 novembre 1808 e 19 novembre 1808 e di quello borbonico 6 febbraio i1816 (~� prima di essa vedasi SS.UU. 9 luglio 1976, n. 2592). (3) Si riporta il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse del Ministero delle Finanze: 1) Violazione e falsa applicazione dei Decreti murattiani 16 novembre 1808 e 19 novembre 1808, di quello borbonico 6 febbraio 1816, delle leggi del Regno delle due Sicilie 8 agosto 1806 n. 132 e 12 dicembre 1816 n. 570 sull'amministrazione civile del Regno e del decreto 26 maggio 1821 n. 39, artt. 14 e 15, nonch� degli artt. 174 e 252 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. A, art. 1 stessa legge all. B, artt. 89, 90 e 110 R.D. 8 giugno 1865 n. 2321; artt. 685, 686, 687, 691, 692, 693 e 2106 e.e. del 1865; artt. 1141 e 2697 e.e. 1942. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Il tutto denunciato ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. Con significativa prudenza la Provincia di Chieti ha indicato, in ap pello, nell'anno 1865 il dies a quo del preteso possesso ad usucapionem, retrodatato invece in prime cure ai �primi decenni del secolo�, ed esattamente la Corte d'appello de L'Aquila ha rilevato come la legge comunale e provinciale del 1865 segnasse la � nascita della Provincia come ente autarchico territoriale� (cfr. pag. 27 della sentenza), s� che per l'innanzi 530 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE!l.O STATO dispoDJibile del Comune predetto, :il thema decidendum � ormai ridotto a due soli punti: concreta verificazione dell'usucapione da parte della Provincia (motivo di ricorso su esposto) e riflessi �di tale usucapione sul diritto dello Stato di continuare a detenere l'immobile (secondo e terzo motivo di ricorso, i quali saranno pi� avanti esposti ed esaminati). Per quanto attiene alla prima e alla terza delle censure contenute nel motivo di ricorso ora all'esame (le quali vanno esaminate congiuntamente, stante la loro intrinseca connessione), va chiarito, anzitutto, che, nella singolare fattispecie di che trattasi, l'Amministrazione provinciale, dovendo provare, nei confronti del detentore, il vantato acquisto per usucapione, non poteva addurre alcun fatto materiale (cio� �storico�) di apprensione del bene, ossia la � detenzione � (intesa, questa ultima, come l'elemento pi� idoneo a dimostrare la effettivit� e l'appariscenza del possesso), poich� l'immobile era detenuto, per tutta la durata del possesso e prima ancora del suo nascere, dallo Stato. L'Amministrazione provinciale, infatti, ha sempre affermato, in tutto il corso della causa, di avere posseduto solo � animus �; ed � proprio nell'ambito di questa prospettazione che i giudici di appello hanno potuto affermare che tale forma di possesso pot� essere esercitata, dall'amministrazione predetta, fin dal momento della sua nascita, ossia dal momento in cui fu creato l'ente autarch�co territoriale, con la legge comunale e provinciale 20 marzo 1865 n. 2248, allegato A. Contro questa affermazione si appuntano le censure delle ricorrenti, le quali sostengono che un soggetto, se pure pu� nascere come �proprietario�, non pu�, invece, nascere �possessore�, se non per effetto di successione ad altro soggetto possessore (circostanza, quest'ultima, da escludersi nel caso concreto). un qualsiasi possesso dell'immobile non sarebbe stato neanche ipotizza': Jile, per inesistenza di soggetto fornito di capacit� giuridica (cfr. Amendola, La Provincia e l'Amministrazione Provinciale, Roma, 1914, 172 e ss.). Come la difesa dello Stato confida idi aver dimostrato in prime cure, infatti, con il termine �Provincia� nell'ordinamento del Regno di Napoli non si individuava certo un ente autarchico territoriale, sibbene: a) la circoscrizione territoriale su cui si estendeva la competenza della autorit� governativa locale, e cio� l'Intendente, posto a capo dell'amministrazione civile, di quella finanziaria e di quella di polizia; b) una sorta di associazione o comitato rappresentante degli interessi locali, articolato in organismi collegiail.i, facenti capo all'Intendente, sprovvisto di personalit� giuridica e fruente soltanto di una modesta autonomia contabile (cfr. art. 2, Titolo I, legge 8 novembre 1806 n. 238 e, pi� in generale, tutta la legislazione borbonica in epigrafe). Per contro, il Comune gi� allora appariva costituito in ente autarchico territoriale: ne consegue che il termine � Provincia � contrapposto a quello di � Comune � aveva, all'epoca, il significato di Amministrazione statuale - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 531 Con siffatto assunto, per�, le Amministrazioni ricorrenti mostrano di non considerare, in primo luogo, che la sentenza impugnata, nell'affermare che il possesso (� animus �) risaliva al momento in cui era stata creata la Provincia, non ha affatto inteso configurare il sorgere di tale possesso come fatto automaticamente conseguente alla nascita dell'ente autarchico territoriale, ma ha semplicemente voluto chiarire che tiil. titolo del possesso (art. 692 cod. civile 1865), individuato nell'intestazione catastale, datava ai primi periodi di esistenza della Provincia stessa. Che, poi, fra i due momenti (nascita dell'ente autarchico territoriale e intestazione catastale) non vi fosse perfetta coincidenza cronologica (potendosi ipotizzare, in mancanza di ogni accertamento al riguardo, che quella intestazione fu fatta in applicazione del r.d. 4 luglio 1897 n. 276, con cui veniva approvato il Testo Unico delle disposizioni legislative suhla conservazione dei catasti dei terreni e dei fabbricati), appare cosa di ben scarsa rilevanza, sia perch� nessuna censura specifica � stata in tal senso mossa dalle ricorrenti, sia, soprattutto, perch� i giudici di appello hanno inteso stabilire -come si � detto -non gi� una perfetta coincidenza cronologica fra i due momenti, quanto, piuttosto, un collegamento logico tra il fatto che la Provincia era stata creata come soggetto capace di possedere �animo� e il fatto che l'avvenuta intestazione catastale le attribuiva titolo per esercitare quel possesso. � rilevante, comunque, constatare a tal proposito -che le Amministrazioni ricorrenti non negano, come non hanno mai negato, che a partire dalla data di t�le intestazione catastale (come, peraltro, degli altri fatti rivelatori del �possesso, di cui sar� ~udividuata con l'indicazione della sfera competenza dell'organo locale) 'l,trapposta all'ente autarchico. La documentazione in atti -vedasi \i;ltamente il doc. 12 -non lascia dubbi in proposito. \1anto sopra appare, d'altronde, pacifico: non contestato ex adverso 1,jcitamente od implicitamente scontato nella sentenza impugnata. '~nte, peraltro, i giudici aquilani non hanno tratto alle logiche \ze i pacifici presupposti di fatto e di diritto di cui sopra. \~icolare, hanno dato per provata ed, anzi, addirittura per \jpgolare circostanza di una coincidenza temporale fra nascita 'ii diritto (Provincia) in virt� della legge del 1865 e conte ...imento in capo ad esso del possesso dell'immobile de quo. ��e, se un soggetto pu� nascere gi� proprietario (ad es. per asse _...me di beni in propriet� da parte della stessa ilegge che Jo istituisce) .it>n pu�, per�, nascere gi� possessore se non per effetto di successione ad altro soggetto possessore: il che �, peraltro, escluso nella specie, atteso che l'ente Provincia nacque ex novo. . In tale situazione, mancando da parte della Provincia la allegazione (non che la prova) di un titolo di acquisto o di un atto di inizio di possesso ex artt. 691 e 692 e.e. 1865 (per non dire, addirittura, che appare dubbia 532 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO detto pi� ,avanti) possa essersi, ratione temporis, verificata fa prescrizione acquisitiva disciplinata dal codice civile del 1865. Per quanto attiene al fatto dell'intestazione catastale, le ricorrenti si affannano a dimostrare solo ch'essa sarebbe frutto di �animismo burocratico �, cio�, in definitiva, dell'equivoco sorto dal fatto che, sotto la dominazione borbonica, vi sarebbe stata una intestazione catastale dell'immobile a favore della circoscrizione territoriale statale sede dell'Intendenza, pur essa chiamata � provincia >>. Siffatto rilievo, per�, ai fini della risoluzione de1la questione proposta, � di nessuna importanza pratica, poich� la controversia verte non gi� in tema di prop11iet�, bens� di possesso e, soprattutto, di �possesso solo animo �: non occorre, quindi, in concreto discutere sull'efficacia �indiziante� di quel fatto, dovendosi semplicemente accertare, in questa sede, se sfa logica (e non contraria al diritto) l'affermazione dei giudici di merito secondo cui la Provincia, in virt� di quel � titollo �, cominci� a esercitare iJ. possesso con ~�animus possidendi. In proposito, la sentenza ha affermato che l'intestazione catastale, qualunque fosse stato il motivo che l'aveva determinata, �ha la sua rilevanza in quanto dimostra da un lato che la Provincia ha tratto e trae da essa motivo di conforto alla convenzione di essere proprietaria dell'immobile, del quale, per altro, ha sempre pagato le imposte (v. certificazione esibita) e dall'altro, come si vedr� in seguito, che il titolare della propriet� non si preoccupava e non intendeva preoccuparsi dell'esercizio la esistenza di un possesso attuale) non si comprende come possa affermarsi il compimento di una usucapione in suo favore. Di pi�, capovolgendo del tutto immotivatamente una puntuale (anche se non del tutto esplicitata) intuizione del primo giudice, la Corte d'Appello dell'Aquila ha affermato che la Prefettura e la Questura fruirono dei locali de quibus ex art. 174 Legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. A e 110 Reg. di esecuzione approvato con R.D. 8 giugno 1865 n. 2321 (da ci� traendo ulteriori erronee illazioni, attraverso le quali, in via presuntiva viene affermata la prova del possesso in capo alla Provincia). Il vero �, invece, che g;li uffici relativi e le connesse abitazioni dei funzionari allocarono nell'ex convento in virtt1 del combinato disposto dei decreti murattiani 16 e 19 novembre 1808, di quello borbonico 6 febbraio 1816 e dell'art. 252 della gi� citata legge comunale e provinciale del 1865, che, per quanto concerne le amministrazioni provinciali e comunali e la disponibilit� dei loro beni statuisce che: �continueranno ad osservarsi le leggi speciali ... in quanto non contrarie alla presente legge�. La locuzione si 1attaglia perfettamente aMa specie, in quanto trattasi di bene di propriet� del Comune (di Chieti), per esso, peraltro, non disponibile in quanto vincolato ad un uso pubblico di utilit� statuale da provve PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 533 del suo diritto, ben sapendo che il bene non figura~a in catasto al suo nome �, L'affermaZJione, come si vede, � sorretta da un rigoroso costrutto logico, in quanto ricollega al fatto della intestazione catastale il compi mento di atti continuativi di possesso (uti dominus), consistenti nell'as solvimento del carico fiscale, in relazione ai quali, peraltro, non � stata � mossa contestazione alcuna. Nel ragionamento svolto dai giudici di appello, in definitiva, J'intesta zione catastale rappresentava il � titolo � in forza del quale -secondo il disposto dell'art. 692 cod. civile del 1865 -l'antico possesso poteva essere desunto da quello attuale (contestato solo in questa sede e, per di pi�, con un'asserzione che, in quanto immotivata, non merita neppure cli ~ssere presa in considerazione); il fatto del pagamento delle imposte � (al pari degli altri che saranno qui appresso esaminati) rappresentava, a sua volta, l'effettivit�, oltre che la continuativit�, dell'esercizio del pos sesso predetto. Le esaminate censure, quindi, si appalesano infondate sia sotto il profilo della �violazione di legge�, sia sotto il profilo del �vizio di rnotivazione �. La seconda delle censure contenute in questo primo motivo di ricorso aggredisce la sentenza nel punto in cui trae argomento, per dimostrare lo animus possidendi, dal fatto che la Provincia non pagasse allo Stato la � pigione � prevista dall'art. 110 del Regolamento di Esecuzione della dimenti con forza e valore di leggi speciali (Oass. SS.UU. n. 2592 del 9 luglio 1976) non contrari alla legge comunale e provinciale, in quanto per �obbligatoriet� della spesa� deve intendersi, certo, solo indeclina bilit� di un onere con esonero, in ogni caso, dell'Amministrazione centrale dal correlativo peso. IJ che nella specie � stato, appunto, realizzato con l'accollo del relativo peso economico in conto capit�le ad un terzo: il Comune. Ne consegue la inapplicabilit� alla specie dell'art. 110 del Regolamento del 1865, in quanto lo Stato non aveva sull'immobile un diritto di pro priet�, ma solo un diritto reale pubblico di uso previsto da una norma speciale previgente e non abrogata da quelle generali successive. D'altronde, che l'utilizzazione dell'immobile in parte qua sia avvenuta ai sensi della previgente normativa, lo dimostra l'ovvia considerazione che venne mantenuto il vincolo di destinazione nella sua interezza con modalit� congruenti solo con la normativa preunitaria e che non si atta gliano, invece, a quella del 1865. Come risulta, infatti, dal combinato disposto degli artt. 174 della legge del .1865, all. A, e dagli artt. 89 e 90 del successivo Regolamento, la spesa obbligatoria della Provincia aveva ad oggetto gli uffici di prefettura e sottoprefettura e gli alloggi dei funzionari ad essi preposti, non anche gli uffici di questura e gli alloggi dei questori, pure in pari data istituiti 1r�11a1111111r111111111111,1111'r1111��1�11�1111��� 534 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge comunale e provinciale 20 marzo 1865 n. 2248, allegato A, approvato col r.d. 8 giugno 1865 n. 2321. In virt� di tale disposizione di legge, gravava sulle province l'onere di spesa per la fornitura allo Stato dei locali da adibire a uffici governativi: onere che doveva essere assolto o mediante la fornitura di locali propri, o mediante la fornitura di locali di terzi (la cui � pigione � doveva essere pagata dalle provincie), ovvero mediante il pagamento diretto della � pigione � allo Stato, qualora i locali predetti fossero di sua propriet�. E poich�, dii fatto, Jia Provincia di Chieti, non avev�a mai pagato detta �pigione.�, n� allo Stato n� a terzi, la Corte di appello ha tratto da ci� argomento per � confermare � che la Provincia � si comportava da proprietaria dell'edificio �. Le Amministrazioni ricorrenti, per�, censurano tale conclusione, assumendo che il fatto del mancato pagamento della � pigione � aveva causa nella concreta inapplicabilit� della legge predetta, noich� il rapporto doveva intendersi regolato dallo ius singulare costituito dal decreto murattiano del 1808 e da quello borbonico del 1816 (il cui perdurante vigore era richiamato, per ci� che atteneva alla disponibilit� dei beni enti autarchici territoriali, dall'art. 252 della citata legge comunale e provincia!le del 1865), in virt� del quale ~'onere deUa fornitura dei focali in questione era stato addossato a1 Comune. Una siffatta costruzione, per�, potrebbe reggersi -come correttamente fa osservare l'attenta difesa della resistente -solo ritenendo che i decreti murattiano e borbonico avessero attribuito allo Stato un diritto di godimento di natura reale, sopravvissuto, anche in ragione di tale (cfr. all. B alla stessa legge del 1865), mentre, come la Provincia di Chieti afferma e la Corte di Appello dell'Aquila conferma, fin dal 1865 Questura e Questore furono rispettivamente insediata ed alloggiato nell'immobile al pari di Prefettura e Prefetto. II che sarebbe inspiegabile alla stregua della legislazione italiana ma �, invece, pienamente conforme al dettato di quella preunitaria: il vincolo di destinazione era, infatti, in favore della �abitazione dell'Intendenza e di lei officine �. Il che, tradotto in pi� accettabile lingua, suona come �uffici della Intendenza e alloggio dell'Intendente�, Orbene, si � visto come l'Intendente napoletano fosse organo a com� petenza molteplice: tanto il Prefetto quanto il Questore furono, quindi, considerati suoi successori. Quanto sopra spiega forse anche -attraverso un curioso fenomeno di � animismo buroeratico � -la bizzarra natura delle liti quali quelle in esame, in cui un conflitto astratto fra Stato e Comune suole risolversi concretamente in favore di un � terzo incomodo�: la Provincia. L'Intendente napoletano, come si � visto, oltre che organo locale del Governo con competenza plurima sul territorio della Provincia, era anche capo di un organismo locale a carattere corporativo (anch'esso denominato Pro PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 535 natura, alle innovazioni legislative del Regno di Italia. Nessuna altra ultrattivit� di tali norme pre~itarie sarebbe, invero, configurabile, se non sotto la specie de1l'attribuzione di un diritto soggettivo; ma anche a voler ammettere che tale diritto, di natura reale, fosse sopravvissuto al 1sopravvenire della legislazione unitaria, non perci� sarebbe venuto meno l'obbligo della provincia di corrispondere ugualmente quella � pigione � di cui si � detto, la quale, se � dovuta quando l'edificio � di propriet� dello Stato, allo stesso modo � dovuta quando, sull'immobile, lo Stato ha un altro diritto di natura reale. La situazione descritta dalla Corte di appello, pertanto, appare ben pi� aderente alla realt� giuridica: la Provincia ometteva il pagamento della � pigione � perch� riteneva di P,ssere proprietaria dell'immobile; lo Stato, a sua volta, ometteva di richiederne il pagamento, perch� accettava quella situazione di fatto; il Comune, infine, non richiedeva il pagamento (quale terzo fornitore dell'immobile), evidentemente perch� ignorava che col decreto di � concessione � del 19 novembre 1808 (di Gioacchino Murat), confermato, poi, dal decreto 6 febbraio 1816 (di Ferdinando IV di Borbone), gli era stata attribuita la propriet� dell'immobile. La quarta e ultima censura contenuta nel motivo di ricorso in esame si appunta sul Tagionamento della sentenza, secondo il quaile il pacifico possesso era dimostrato anche dal fatto che la Provincia aveva effettuato, nell'edificio, degli ampliamenti e una sopraelevazione. Le ricorrenti come gi� � stato esposto -sostengono che quel fatto non sarebbe probante, perch� l'ampliamento (costruzione di una nuova ala del palazzo) sarebbe stato effettuato previo un accordo del Demanio dello Stato, come vincia), che, per non av.ere personalit� giuridica, svolgeva, nondimeno, una serie di attivit� che sarebbero state, poi, nella legislazione unitaria, deputate all'ente Provincia. Non occorre, dunque, troppo sforzo d'immaginazione per ricostruire il passaggio dal vecchio al nuovo regime, un passaggio che deve essere avvenuto senza traumi per gli uomini e senza spostamenti per le cose. Prooabilmente gJi stessi impiegati, nelle stesse stanze, avranno continuato ad occuparsi degli stessi affari, gli uni agilii ordini di un Prefetto o di un Questore invece che di un Intendente, gli altri alle dipendenze di una � Provincia � ente autarchico territoriale invece che di una � Provincia � ripartizione territoriale dello Stato e vaga corporazione. � Ci� spiega, tra l'altro, come all'intestazione catastale borbonica dell'immobile in capo ahla � Provincia � sia succeduta -con non innocua eterogenesi lessicale -l'omonima intestazione catastale sabauda, la cui valutazione come indizio ad opera dei giudici di merito appare viziata oltre che dall'errore di diritto sopra evidenziato da una conseguenziale msufficienza logica di motivazione. Lo stesso dicasi, naturalmente, per l'apprezzamento fatto in ordine al significato del mancato pagamento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esse stesse avrebbero gi� dedotto con la comparsa conclusionale in grado di appello. In proposito, per�, osserva giustamente la resistente che se veramente fosse esistita una � convenzione � con la quale lo Stato, agendo quale asserito proprietario dell'ex convento per cui � causa, avesse regolato con la Provincia il diritto di operarvi sopraelevazioni e aggiunte, le amministrazioni oggi ricorrenti avrebbero avuto il preciso onere non gi� di fame semplice e fugace menzione nella comparsa conclusionale di appello, bens� di fornire la rigorosa prova, attraverso tempestiva e rituale produzione in giudizio del relativo documento. Aggiunge, comunque, fa resistente che se ile dette Amministrazioni avevano inteso rirerirsi alla convenzione del 1912, allegata agli atti di causa, la censura sarebbe sicuramente priva di fondamento, risultando da tale atto che lo Stato intervenne, nel negozio stipulato fra la Provincia e una confraternita religiosa per l'acquisto della Chiesa adiacente all'immobile in questione (la quale doveva essere demolita, al fine di consentire la costruzione della nuova ala), solo per concedere alla Confraternita predetta l'uso di un'altra Chiesa, di sua propriet�. Lo Stato, cio�, intervenne in quel negozio non gi� manifestando l'intendimento di ritenersi, egli, proprietario dell'immobile per cui � causa, ma confermando, se mai, il proprio convincimento che lla Prov�inda avesse, a quell'epoca, il pacifico possesso uti dominus dell'edificio, del cui ampliamento esso Stato si avvantaggiava, per poter concedere maggiore spazio agli uffici governativi che vi avevano sede. Tutto ci�, peraltro, senza considerare che la convenzione predetta riguardava solo l'ampliamento dell'edificio, non anche la sua �sopraelevazione e de11a pigione aihlo Stato, erroneamente condotto aHa luce della normativa italiana (inapplicabile alla specie) invece che alla stregua di quella preunitaria e per le c:onsiderazioni svolte sulla manutenzione dell'edificio, affrontata dalla Provincia, considerazioni che non tengono conto dell'onere di manutenzione derivante alla Provincia dall'art. 174 del.le [eggi Com. e Prov. del 1865, aggiuntivo rispetto a quello di messa a disposizione dell'immobile, specialisticamente derogato nella specie. L'ultimo elemento presuntivo addotto dalla Corte riguarda gli ampliamenti e le sopraelevazioni dell'edificio effettuate dalla Provincia. L'argomento appare inficiato da un vistoso vizio di omissione: ampliamento e soprne1evazioni furono, infatti, come pacifico fra le parti e mai contestato (cfr. conclusionale di 2� grado, pag. 21) regolati da una convenzione del 1912 cui partecip� il demanio dello Stato. In definitiva e per concludere la Corte di Appello dell'Aquila, bench� la Provincia attrice non avesse portato alcuna prova del proprio � possesso ad usucapionem � sulle porzioni di immobile adibite a Prefettura, Questura e relativi alloggi, ha ritenuto provato tale possesso attraverso PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 537 gli altri miglioramenti che la Provincia ha sempre affermato di avere effettuato in quanto riteneva di avere, appunto, titolo per possedere pacificamente l'immobile. Giova, peraltro, ricordare che, a conferma di ci�, la Provincia aveva aggiunto di avere anche, senza opposizione da parte di alcuno, locato a terzi una parte dell'edificio; e quantunque anche da questo fatto la sentenza impugnata abbia tratto argomento per convalidare la tesi del possesso uti dominus, [e ricorrenti Amm�lllistrazioni statali hanno completa� mente omesso ogni censura al riguardo, evidentemente perch� ogni opposizione era mancata allorch� i relativi contratti furono stipulati. Col terzo motivo denunciano, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., �violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 3 legge 16 settembre 1960 n. 1014 �; nonch�, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., �omessa motivazione su un punto decisivo�. Dopo aver chiarito che questo motivo di ricorso viene proposto in via ancora pi� subordinata (cio� per l'ipotesi che venga riconosciuta natura obbligatoria al vincolo di destinazione preunitario), sostengono che �all'obbligazione in esame � dovrebbe quantomeno riconoscersi � la natura di obbligazion.e propter rem gravante per legge in perpetuo (fino a provvedimento uguale e di segno contrario, di pari forza e valore) su qualunque proprietario dell'immobile �. E ci� escluderebbe -secondo le ricorrenti � che possa applicarsi la norma di cui all'art. 3 in epigrafe, che contempla i locali di propriet� delle Province distoglibili dalla loro attuale destinazione sulla base di una mera intesa fra le parti �. Anche tali motivi -che, per la sostanziale unicit� della questione trattata, possono essere trattati congiuntamente -sono infondati. presunzioni che si sono tutte dimostrate viziate nei modi sopra denunciati per falsa applicazione di norme di diritto ed incongruenza o insufficienza (quando non per carenza) di motivazione. Dalle risultanze di causa emerge, al contrario, una opposta realt�: un godimento dell'immobile, da parte della P.A., con modalit� pienamente conformi al vincolo di destinazione preunitario e senza soluzioni di continuit�. Tale essendo la situazione, ed anche a voler prescindere dal come, quando e perch� possa essere sorto l'animus possidendi in capo alla Provincia, resta da spiegare a far data da quale giorno e per quali ragioni lo Stato italiano sia divenuto -e coscientemente divenuto! -detentore nomine alieno in nome e per conto della Provincia (cfr. De Ruggero, Istituzioni di Diritto Civile, ed. 1926, pag. 733). Mancando tale spiegazione -e addirittura la correlativa conclusiva affermazione -� errato il riconoscimento della propriet� acquisita per usucapione in capo alla Provincia di Chieti. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 538 Il prol:ilema giuridico con essi proposto, invero, � gi� stato risolto da questa Corte (sent. 9 luglio 1976 n. 2591, delle Sezioni Unite) in senso tutt'altro che favorevole alla tesi delle ricorrenti, essendosi ritenuto che le limitazioni del contenuto delle �concessioni� traslative ai comuni, operate con i decreti murattiani e confermate con quelli della restaurata monarchia borbonica; in forza dei quali la concessione della propriet� era accompagnata dal vincolo di destinazione degli immobili a sede di uffici governativi, hanno natura e portata obbligatoria, riconducibili, in senso lato alla categoria del modus apposto a un'attribuzione a titolo� gratuito (quali furono, nella sostanza, le predette �concessioni� traslative della propriet�), non gi� natura reale. Nel caso, quindi, di acquisto per usucapione della propriet�, da parte della Provincia, proprio perch� l'acquisto avviene a titolo originario, lo stesso deve considerarsi svincolato dal modus che, appunto, era stato posto alla originaria � concessione � a favore del Comune. Da tale impostazione non sussiste' ragione alcuna per discostarsi, non potendo in alcun modo ritenersi (una volta escluso il � diritto reale di uso�) che il modus predetto possa essere sopravvissuto all'usucapione della propriet� dell'immobile da parte della Provincia. Ci� che, invece, pu� ritenersi � sopravvissuta � all'usucapione � la destinazione del bene allo specifico uso pubblico; ma il relativo potere lo Stato ha esercitato non gi� per una sorta di ultrattivit� dei decreti murattiano e borbonico, bens� in virt� della legge comunale e provinciale del 1865 che imponeva alla provincia di fornire a esso Stato la sede dei suoi uffici periferici; e, dopo �l'innovazione legislativa del 1960, in forza della nuova legge che ha espressamente sancito, per d casi in cui i detti uffici siano situati in edifici di propriet� delle provincie, i'l diritto dello Stato di mantenerne il godimento, con l'obbligo, per�, di pagare alle provincie predette � un congruo canone di affitto �. Questa sopravvivenza della destinazione dell'edificio a quell'uso, per�, riguarda solo l'aspetto giuspubblicistico della indisponibilit� del bene (tanto che lo stesso fa parte del patrimonio indisponibile), non certo un potere di natura privatistico-patrimoniale dello Stato, avente ad oggetto il godimento del bene. Questa stessa considerazione, infine, toglie vaNdit� alla tesi (subordinata) dell'esistenza di una obbligazione propter rem, la quale potrebbe reggersi -per superare l'ostacolo della tipicit� delle obbligazioni reali solo ritenendo sussistente la sopravvivenza dello ius singulare che sarebbe .<iorto con i decreti murattiano e borbonico. Una volta, per�, ritenuto che la destinazione del bene all'uso pubblico trova fonte giuridica nella legislazione unitaria, vale sempre la conclusione che il diritto dello Stato di continuare a mantenere il godimento dell'edificio di propriet� provinciale deriva, nel momento attuale, dal disposto della Jegge del 1960, al quale diritto, per�, fa riscontro l'obbligo del pagamento di �un congruo canone di affitto�. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 539 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 20 marzo 1982, n. 1817 -Pres. e rel. Lo Surdo -P. M. Cantagneli -Ferrovie dello Stato (Avv. Stato De Francisci) c. Societ� Riunione Adriatica di Sicurt� (avv. Spada). Trasporti Pubblici -Ferrovie e Tramvie -Incendio sviluppatosi nella stazione Termini di Roma -Presunzione di responsabilit� delle Ferrovie dello Stato per danno cagionato da cose in custodia -Limiti. Responsabilit� civile -Clausole di esonero da responsabilit� -Limitazione della responsabilit� per dolo o colpa grave -Nullit�. La presunzione di responsabilit� ex art. 2051 e.e. non � applicabile nei confronti della P.A. per � quelle categorie di beni demaniali sui quali � esercitato un uso generale e diretto da parte dei terzi, giacch�, in questo caso, non � possibile un'efficace e continua vigilanza che possa impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i cittadini utenti; pertanto, tale responsabilit� � configurabile quando il controllo sul bene demaniale sia in concreto possibile; e, in particolare, nell'ipotesi in cui la P.A. fruisca, in tutto o in parte, del bene stesso con sostanziale esclusione della utenza ad opera di terzi estranei alla sua sfera di custodia (1). E nullo qualsiasi patto che escluda ovvero limiti preventivamente la responsabilit� del debitore per dolo o colpa grave, principio ritenuto operante anche nel campo della colpa extracontrattuale (2). Col primo motivo del ricorso, nel denunciare violazione dell'art. 2051 c,c., la difesa dell'amministrazione deduce che la Corte d'Appello ha errato nel ritenere che, nella specie, non sussistessero le condizioni per escludere l'applicabilit� della presunzione di colpa. sul rilievo che l'incendio de quo era sorto nella galleria dei servizi interdetta al pubblico mediante un robusto cancello e utilizzabile solo dagli addetti alla Azienda delle F.F.S.S. Secondo la ricorrente, la Corte non avrebbe considerato che si trattava di una zona a diretto contatto con quelle confinanti di libero accesso per i terzi concessionari dei locali (la Sommer e la Sanistar), talch� era praticamente impossibile l'esercizio di una idonea custodia. Il motivo non � fondato. Questa S.C. ha affermato il principio che la presunzione di responsabilit� ex art. 2051 e.e. non � applicabile nei confronti della P.A. per � quelle categorie di beni demaniali sui quali � esercitato un uso generale e diretto da parte dei terzi, giacch�, in questo caso, non � possibile (1-2) Sulla prima massima cfr. in termini Cass. 27 marzo 1972, n. 976, Foro it. 1977, I, 2021; v. anche Cass. 11 maggio 1954, n. 1481, Foro it. Rep. 1954, voce Ferrovie, n. 117; Cass. 9 maggio 1960, n. 1048, ivi, voce Responsabilit� civile n. 98. La seconda massima � applicazione del principio dell'art. 1229 cod. civ '540 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO un'efficace e continua vigilanza che possa impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i cittadini utenti (cfr. in termini Cass. 1972, n. 976; per altri riferimenti sul tema v. Cass. Sez. Un. 3060/1972). Ci�, pertanto, comporta che questa responsabilit�. sia, invece, con: figurabile quando il controllo sul bene demaniale sia in concreto possibile e, in particolare, nell'ipotesi in cui la P.A. fruisca, in tutto o in parte, del bene stesso con sostanziale esclusione della utenza ad opera <li terzi estranei alla sua sfera di custodia. Ebbene, con valutazione di merito, adeguatamente motivata, la Corte d'Appello ha stabilito, in punto di fatto, che la galleria dei servizi .della stazione ferroviaria era interdetta al pubblico, protetta da un can �ceLlo e con destinazione esclusiva all'uso del personale ferroviario. Essa .cio� costituiva una parte della complessa opera demaniale che veniva frequentata per i controlli tecnici e per la manutenzione degli impianti .esistenti, sicch� era obbligo dell'Amministrazione di vigilare la zona, mentre, nel caso concreto, quest'ultima era stata lasciata incustodita o .quasi, giacch� il detto cancello spesso era aperto. Ne derivava che la ricorrente, essendo investita di un potere fisico :sulla cosa, al pari di un titolare di un diritto di propriet� privata, .avrebbe dovuto fornire la prova <liberatoria -nella specie mancata . del fortuito che, com'� noto, ha un'estensione molto ampia, agli effetti �dell'art. 2051, perch� comprensivo del fatto del terzo o della colpa del <lanneggiato (giurisprudenza costante). Parimenti infondato � il secondo motivo (violazione degli artt. 2043 e 2697 e.e., 41 c.p.) con il quale si deduce che, a torto, i giudici d'appello .abbiano ritenuto una condotta dell'Azienda improntata a colpa gravis �sima ai sensi dell'art. 2043. Trattasi, infatti, di censura di merito che risulta resistita dai rilievi �contenuti nella consulenza d'ufficio svolta nel giudizio penale e utiliz �zata dal giudice civile, per la parte in cui aveva accertato: a) che l'im pianto elettrico, sito neLla galleria ove scoppi� l'incendio, era UIIl coacervo �di successive modifiche, ampliamenti e sovrapposizioni, di talch� i cavi dell'alta tensione si intersecavano con quelli a bassa tensione; b) che, 'in caso di corto circuito, era impossibile interrompere il flusso della <:orrente; e) che mancava il dispositivo antincendi; d) che l'impianto <ii condizionamento d'aria era mal costruito con canalizzazioni in ma teriale combustibile e, soprattutto, privo di qualsiasi strumento idoneo a interrompere il funzionamento �in caso di emergenza con l'effetto che .esso continu� a funzionare dopo l'incendio operando da mantice e facendo .a interrompere il funzionamento in caso di emergenza con l'effetto che .societ� concessionarie. Orbene, da questo complesso di fattori, anche Ge la perizia finale non aveva � tecnicamente accertato � la causa prima dell'incendio, la PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 541 Corte del merito ha tratto la convinmone, adeguatamente giustificata, che il comportamento complessivo della P.A. fosse caratterizzato da colpa gravissima e che, nell'economia dehl'accaduto, avesse avuto un ruolo importante ai fini dell'aggravamento dell'evento dannoso e, in ogni caso, del suo determinismo, convincimento incensurabile in questa sede, in quanto scevro da vizi logici ed errori di diritto. Col terzo motivo, denunciandosi la violazione degli artt. 1229, 1346, 1362, 1367 e 1419 e.e. si assume che, erroneamente, la impugnata sentenza abbia dichiarato nulle le clausole di esonero di responsabilit� della amministrazione contenute nelle convenzioni stipulate con le due societ�, e si evidenzia che le clausole erano ben determinate e che non vi era la ritenuta inosservanza dell'art. 1346 e.e. Nemmeno questa doglianza � fondata. Infatti, la Corte del merito ha esattamente concluso che le clausole di esonero erano, in ogni caso, nulle perch�, anche ammesso che fossero determinate nell'oggetto, esse avrebbero potuto ritenersi valide limitatamente alla colpa Heve, ma non anche in relazione alfa ritenuta colpa grave o gravissima poc'anzi discussa in sede di esame del secondo motivo. E cos� decidendo il giudice a quo ha correttamente applicato il disposto dell'art. 1229 I comma e.e. secondo cui � nullo qualsiasi fatto che escluda ovvero limiti preventivamente la responsabilit� del debitore per dolo o colpa grave, principio ritenuto operante anche nel campo della colpa extracontrattuale (cfr. Cass. 1968, n. 2240). Meritevole di accoglimento �, invece, il 4� motivo con cui si Jamenta che la Corte d'Appello -abbia errato nel ritentere debito di valore e non di valuta quello azionato in surroga da parte della R.A.S. ai sensi dell'art. 1916 C.c..Si censura, altres�, la ritenuta decorrenza degli interessi legali. Di recente la sentenza 1980 n. 383 di questo Supremo Collegio, con fermando un principio gi� enunciato dalla prevalente giurisprudenza di merito, ha statuito che ['indennizzo pagato dall'assicuratore, costituendo il limite della surroga dello stesso nel diritto dell'assicurato verso il terzo responsabile, integra un debito di valuta e non di valore con la conse guenza che il limite stesso non pu� essere superato per effetto della svalutazione monetaria. automatica afferente ai debiti di valore. Gli argomenti addotti a sostegno dell'enunciato principio appaiono persuasivi. Pu�, sostanzialmente, ritenersi: a) che l'assicuratore, il quale eserciti la surroga ex lege, pu� fare ci� sino alla concorrenza dell'ammontare dell'indennizzo corrisposto al danneggiato -suo assicurato -in quanto egli � un avente causa nel credito relativo; 8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 542 b) che, di conseguenza, il diritto di surroga � circoscritto a tale indennit� e che essendo questa predeterminata nei limiti del massimale di polizza (e quindi monetizzata) essa sostanzia un debito di valuta; c) che, per effetto di ci�, non pu� essere operata la c.d. rivalutazione automatica prevista per i debiti di valore, ma l'assicuratore potr� richiedere, ai sensi dell'art. 1224 e.e., i maggiori danni da svalutazione secondo i principi e con i Hmiti enunciati da questa Corte Suprema a Sezioni Unite (cfr. Cass. n. 3776, 1979). Del resto, va rilevato che, dal momento in cui l'assicuratore ha espresso la volont� di surrogarsi al!l.'assicurato, questo, limitatamente alla somma erogatagli, non potr� pretendere dal terzo responsabile il risarcimento corrispondente all'indennizzo ricevuto e, correlativamente, l'assicuratore non potr� chiedere al danneggiante un importo superiore a quello pagato al suo dante causa, salvo la riserva di danni ex art. 1224. Da ci� consegue che, erroneamente, la Corte di merito ha rivalutato con criterio automatico fil credito della R.A.S. da essa considerato di valore e non di valuta, e che competer� quind,i al giudice di rinvio riesaminare il tutto, mclusa la decorrenza degli interessi, adeguandosi al principio ora enunciato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 maggio 1982, n. 2918 -Pres. Tamburrino -Rel. Panzarani -P. M. Silocchi -Ente Ospedaliero di Parma (avv. De Luca) c. lnps (avv. Romoli) e lnam (avv. Stato Fiengo). Giurisdizione civile -Regolamento preventivo -Questioni di legittimit� costituzionale -Accertamento -Limiti. In sede di regolamento preventivo, possono essere prese in considerazione solo questioni di legittimit� costituzionale concernenti precetti legislativi la cui applicazione abbia specifica influenza ai fini della designazione del giudice investito della giurisdizione; non possono, invece, essere prese in esame, perch� spettano al giudice investito del merito della controversia, le questioni di legittimit� costituzionale delle norme di diritto sostanziali, alle quali sia riconducibile la fondatezza della domanda (1). (1) Cfr. in tal senso Cass. Sez. Un. 18 luglio 1980, n. 4682. In coerenza con la massima ora enunciata � da ritenersi che, qualora sia stata emessa una pronuncia che abbia esaminato la rilevanza della questione di costituzionalit� e ne abbia riconosciuto la manifesta infondatezza, il regolamento preventivo non � pi� ammissibile perch� la pronuncia ha investito gi� un aspetto su cui si basa la fondatezza dell'azione (e cio� il merito della causa); altrettanto deve ritenersi se la pronuncia abbia escluso la manifesta infondatezza, rimettendo cos� la questione alla Corte Costituzionale (Cass. 20 giugno 1977, n. 2567, Foro pad. 1977, I, 81). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 543 TRIBUNALE DI BARI, IV Sezione civile, 20 luglio 1981 n. 1568 -Pres. rel. Lezza -Ministero detlla Difesa (avv. Stato Latagliata e De Stefano) c. Concordato preventivo S.I.C.A. S.p.A. (avv. D'Ippolito), S.p.A. S.I.C.A. in liquidazione e Banca Nazionale dell'Agricoltura (contumaci). Fallimento -Notifica a societ� in liquidazione -Notifica personale all'ultimo liquidatore -Condizioni � Validit�. Fallimento -Concordato preventivo -Giudizi per l'accertamento dei crediti nei confronti del debitore concordatario -Ammissibilit�. Fallimento -Concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori Funzione del liquidatore dei beni e giudizi per l'accertamento delle passivit� -Legittimazione passiva del liquidatore e litisconsorzio necessario con il debitore concol'datario. Contabilit� pubblica -Contratti della pubbli.ca amministrazione -Conclusione del contratto -Approvazione del contratto quale � condicio juris �. Vendita -Compravendita in danno -Non costituisce forma di esecuzione forzata -Sua ammissibilit� in pendenza di un procedimento di amministrazione controllata. Fallimento amministrazione controllata e concordato preventivo -Divieto di azioni esecutive individuali -Limiti. Fallimento amministrazione controllata e concordato preventivo -Principio della cristallizzazione dei crediti -Applicabilit�. Vendita -Compravendita in danno -Requisito della tempestivit� -Conseguenze del ritardo. Quando trattasi di citare in giudizio una societ� in liquidazione che debba ancora rispondere di precedenti rapporti, ma che non compia alcuna nuova attivit� e non conservi pi� la sua sede autonoma, dovr� applicarsi l'ultimo capoverso dell'art. 145 cod. proc. civ., e colui che rappresenta la societ� sostanzialmente non estinta, cio� l'ultimo liquidatore, non potr� che essere ricercato nella sua residenza, domicilio o dimora (1). L'apertura del procedimento e la successiva sentenza di omologazione del concordato preventivo non impediscono l'accertamento dei crediti sorti anteriormente al decreto di ammissione al procedimento stesso. Tale accertamento potr� essere richiesto mediante l'ordinaria (1) Conformi: Cass., 16 maggio 1959, n. 1448, in Giust. civ., 1960, I, p. 383, citata in motivazione, e Cass., 13 giugno 1975, n. 2387, in Giur. comm., 1976, Il, p. 3. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 544 azione giudiziaria, non essendo prevista, nell'ipotesi del concordato pre ventivo, una procedura con effetti analoghi alla verifica dei crediti in sede fallimentare (2). Il liquidatore del concordato preventivo per cessione dei beni, a dif � ferenza dell'amministratore-liquidatore della cessio bonorum regolata dagli artt. 1977 e ss. cod. civ., non � mero mandatario dei creditori, con i soli �poteri di realizzare e distribuire i valori sui quali si � concordato, ma ha funzioni pi� ampie, che si estendono alla determinazione della situazione patrimoniale del debitore concordatario, in guisa che deve affermarsi che, in ragione del proprio ufficio, egli ha un autonomo interesse ed una distinta legittimazione in qualsiasi azione relativa all'accertamento delle passivit�, unitamente al debitore stesso, che pure conserva la piena capacit� patrimoniale e la piena capacit� processuale in rela zione a siffatti giudizi (3). I contratti della P. A. devono intendersi compiuti al momento della loro stipulazione, e non gi� nel momento dell'approvazione, in �quanto il controllo dell'Autorit� tutoria non ha funzione integrativa della vo lont� e non si inserisce nel procedimento di formazione negoziale, ope rando invece secondo il meccanismo della condicio juris, la cui efficacia implica che il contratto abbia effetto retroattivamente, fin dal momento della sua conclusione (4). La compera e la vendita in danno regolate dagli artt. 1515 e 1516 cod. civ., non possono essere ritenute autentiche forme di esecuzione forzata, vietate dagli artt. 168 e 188 l.f., ma costituiscono un atto di auto (2-3) Funzioni del liquidatore dei beni nel concordato preventivo e legittimazione passiva nei giudizi di accertamento della situazione patrimoniale del debitore concordatario. La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che lo strumento per ottenere il riconoscimento di un credito vantato nei confronti di un'impresa sottoposta a concordato preventivo, � costituito dal normale processo di cognizione, tenuto conto della specifica struttura del procedimento in esame. Si ritiene infatti che, mancando nel concordato preventivo un sistema di verifica dei crediti equivalente a quello previsto in sede fallimentare, non � precluso l'esercizio del giudizio ordinario per far valere l'esistenza, l'ammontare, ovvero il rango dei crediti vantati nei confronti del debitore concordatario. Tali azioni sono anzi esperibili anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, in quanto costituiscono l'unica forma di tutela giurisdizionale concessa ai creditori (1). (1) Cfr. Cass., 12 novembre 1980, n. 6061, in Foro it., Rep. 1980, voce Concordato preventivo, col. 498, n. 32; Cass., 19 dicembre 1978, n. 6083, e Cass., 18 dicembre 1978, n. 6042, ivi, 1980, I, p. 3073 ss., con nota di D. TEDESCHI; Cass., 2 agosto 1977, n. 3391, in Giust. civ., 1977, I, p. 1890 ss.; Cass., 19 maggio 1977, n. 2062, in Foro it., Rep. 1977, voce cit., col. 484, n. 32; Cass., 22 novembre 1976, n. 4383, ivi, 1977, I, p. 1746 ss.; Cass., 29 maggio 1976, n. 1939, ivi, 1976, I, p. 2666 ss., con ampi richiami. In senso conforme, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 18 marzo 1976, in Giur. comm., 1977, II, p. 539 ss., ed in dottrina R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, voi. Ili, pp. 2143-2144, e M. VASBLU, Concordato preventivo, in Encicl. Dir., voi. VIII, Milano, 1961, pp. 512-513. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CI\IILB 545 tutela contrattuale che consente al creditore il conseguimento immediato dell'oggetto della prestazione e la pronta liquidazione dell'ammontare del danno, in ragione delle differenze di prezzo e delle spese della operazione (5). Il divieto di cui agli artt. 168 e 188 l.f., colpisce indistintamente tutte le azioni esecutive individuali aventi natura appropriativa; per quanto riguarda l'esecuzione degli obblighi di consegna o rilascio, invece, il divieto opera nei soli casi in cui tali azioni pregiudichino le regole fondamentali del concorso e violino il principio della par condicio, ma non pure quando esse non contrastino affatto con le finalit� tipiche della procedura concorsuale, come avverrebbe nel caso della compravendita in danno, ove fosse considerata una specie di esecuzione forzata (6). Le procedure di amministrazione controllata e di concordato preventivo importano, al pari del fallimento, la cristallizzazione della posizione patrimoniale tanto del debitore quanto del creditore, a far capo dal momento del loro inizio, con la conseguenza che da quel momento non possono maturare interessi, n� applicarsi penali o rivalutazioni monetarie dei crediti, che altererebbero la par condicio creditorum (7). Le operazioni di compravendita in danno devono essere eseguite � senza ritardo �, con la conseguenza che le differenze di prezzo che consentono di liquidare il danno derivato dall'inadempimento andranno riferite al momento in cui si sono verificate le condizioni per esercitare la procedura coattiva, e non al momento in cui la compera o la vendita sono state concretamente eseguite (8). St�la base di tale pacifica premessa, si pone il tema pi� complesso della legittimazione a contraddire nell� predette azioni. In proposito, viene comunemente riconosciuta la legittimazione del debitore concordatario: si ritiene infatti che egli conserva non solo la titolarit� dei rapporti giuridici a lui facenti capo e, -nel caso di concordato a percentuale, -l'amministrazione dei propri beni, ma anche la capacit� processuale, che � invece perduta di regola dal soggetto dichiarato fallito (2). Appare invece contrastata la questione se anche gli altri organi del concordato possano essere considerati legittimi contraddittori nei predetti. gii.udizi, .>pecialmente in riferimento alla ipotesi del concordato per cessione dei beni ai creditori. Tale questione si inquadra d'altronde nel tema pi� generale delle funzioni e dei poteri di tali organi, con particolare riguardo per quelli del liquidatore dei beni; e questo tema � a propria volta correlato con lo stesso modo di intendere la procedura concordataria mediante cessione liquidativa. Il problema pu� riassumersi in questi termini: chi identifica tale cessione dei beni con l'istituto civilistico previsto e disciplinato dagli artt. 1977 e segg. (2) Cfr., in proposito, Cass., 2 agosto 1977, n. 3391, cit.; Cass., 21 marzo 1977, n. 1098, in Foro it., Rep. 1977, voce cit., col. 483, n. 23; Trib. Firenze, 15 settembre 1976, in Giur. merito, 1977, p. 252. In dottrina,� cfr. D. MAzzoccA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1980, pp. 553 e 569; P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1976, pp. 729 e 761; G. DB SBMO, Diritto fallimentare, Padova, 1968, p. 545; R. PROVINCIAU, op. cit., p. 2050. 546 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I SVOLGIMENTO DEL PROCESSO I Con contratto in forma pubblica/amministrativa rep. n. 19821 in data 1 febbraio 1972 la societ� SICA -Societ� Italiana Cioccolato Affini S.p.A., con sede in Bari si obbligava ad eseguire la fornitura di quintali I 1200 di cioccolato, per l'importo complessivo di L. 94.552.800, al Ministero I della Difesa. Resasi parzialmente inadempiente fa SICA e scaduto inutilmente il termine fissato alla medesima per l'approntamento e la consegna dei rimanenti quintali 741 di cioccolato puro, l'Amministrazione della Difesa, con fol. 148/1 del 5.2.74, comunicava alla societ� fornitrice che, a norma dell'art. 72 delle Condizioni Generali di Oneri facenti parte integrante Idel contratto, era decaduta dal diritto di proseguire la fornitura relativamente alla consegna di quintali 741 a saldo della provvista e che, I conseguentemente, avrebbe acquistato il predetto quantitativo di merce in danno della societ� medesima, a cui carico sarebbero state poste, I inoltre, le eventuali maggiori spese, salve le penalit� per il ritardo e la mancata consegna prevista dall'art. 70 delle citate C.G.O. I W: Andate deserte una licitazione privata in data 28 maggio 1974 e due i ~ raccolte d'offerte in data 20.6.74 e 9.7.74, l'acquisto in danno della SICA ~= avveniva con contratto n. 23354 di Rep. dell'8.10.74 stipulato a trattativa privata con la � S.p.A. De Licia -Compagnia Europea di produzioni Dolciarie �, con sede in Gorizia, per fornitura di q. 740 di cioccolato puro I del Codice Civile, tende ad identificare il liquidatore nominato ex art. 182 l.f. ~ con il liquidatore della normale cessio bonorum, attribuendogli pertanto la ~ niera funzione del mandatario ad amministrare ed alienare i beni ricompresi nella cessione e conferendogli di conseguenza i soli poteri processuali che a lui I competono per questo specifico incarico: e cio�, i soli poteri processuali che ineriscono alle azioni di carattere patrimoniale relative ai beni ceduti (arti� colo 1979 C.C.), o alle azioni che concernono lo stesso svolgimento . delle opera Izioni di liquidazione; viceversa, chi tende a distinguere le due forme di cessione dei beni, pone implicitamente le premesse per differenziare anche le funzioni ed i poteri del liquidatore nelle due ipotesi, in ciascuna delle quali la capacit� processuale sar� rapportata alla specificit� del relativo munus. II L'impostazione tradizionale appare chiaramente orientata verso la prima soluzione, nel presupposto di fondo che la sentenza omologativa � apre una fase di carattere negoziale, sulla quale nessuna influenza possono svolgere gli % ! organi del procedimento di concordato, oramai esauritosi� (3). Il carattere ~ negoziale della fase post-concordataria della liquidazione consente quindi di i parificare la cessione dei beni nel concordato preventivo alla cessione dei beni 1 di cui agli artt. �1977 e segg. C.C., con la conseguente unificazione della figura f: ~ giuridica del liquidatore. Questo indirizzo, -con i suoi logici riflessi sul pro� blema della capacit� processuale, che qui specificamente interessa, -� stato recentemente riaffermato dalla S.C. di Cassazione, la quale ha ritenuto che (3) M. VASELLI, Concordato preventivo, cit., p. 517. I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 547 . .,,co~plessivo L. 137.640.000, ridotto a L. 137.295.900 per sul essendo inI, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 547 . .,,co~plessivo L. 137.640.000, ridotto a L. 137.295.900 per sul essendo in _.,.o �dello 0,25 % prezzo unitario, stata accettata, , , .. :rtfog~ della cauzione, fideiussione bancaria. Per l'esatta copertura dell'acquisto in danno della merce non fornita dalla SICA (q. 741), l'Amministrazione, avvalendosi della facolt� di cui all'art. 11 del R.D. 18.11.1923 n. 2440, ordinava alla De Licia, entro il limite del quinto dell'ammontare del succitato contratto 23354, la fornitura di un altro quintale di cioccolato per il maggiore importo di L. 186.000, ridotto per l'abbuono dello 0,25 % a L. 185.535. Dall'acquisto in danno veniva cos� a risultare una maggiore spesa di L. 87.343.965 (di cui L. 79.095.080 per differenza prezzo della merce e L. 8.248.885 per IVA) da porsi -per effetto dell'art. 73 delle C.G.O. a carico della SICA, tenuta altres� al pagamento delle ulteriori somme di L. 6.650.215 a titolo di penalit� per ritardo nella consegna di q. 103 e per mancata esecuzione dell'approvvigionamento di q. 741 di cioccolato; di L. 1.222.025 IGE sull'importo di q. 240 e q. 116 di merce a suo tempo consegnati; nonch� di L. 1.411.800 per maggiore spesa risultata dall'acquisto in danno di n. 17400 razioni di cioccolato energetico, effettuato con ordinativo in economia numero TRM2/7724-7841 Li-2 in data 8.10.1972 presso la ditta Alemagna a seguito di decadenza della SICA dall'intera fornitura della predetta merce, oggetto del contratto n. 18900 i di Rep. del 24.8.1971. \ l � la legittimazione, sia attiva che passiva, a tali azioni spetta esclusivamente � al creditore dell'imprenditore e all'imprenditore medesimo, mentre non spetta mai n� al liquidatore dei beni ceduti ai creditori, e neppure al commissario l ~ giudiziale... Invero, la legge fallimentare, nel prevedere all'art. 182 la nomina del... liquidatore, non gli conferisce alcun potere di verifica della esistenza ed esigibilit� reale dei crediti ammessi, n�, tanto meno, di rappresentanza della massa dei creditori, sicch� il suo compito deve intendersi strettamente limitato a realizzare i beni del debitore concordatario e a ripartirne il ricavato secondo le modalit� stabilite nella sentenza di omologazione... In tale situazione, se da un lato non si pu� dubitare della legittimazione passiva del liquidatore rispetto ad un giudizio in cui in sostanza lo si chiama... a rendere conto del proprio II operato di liquidazione, dall'altro lato deve invece escludersi la sua legittimazione a proporre questioni che esulano dalla pura e semplice esecuzione della sentenza di omologazione del concordato� (4). La diversa soluzione adottata dal Tribunale di Bari nel caso di specie, si ispira, -coine si � accennato, -ad una concezione alternativa della ces-?.AW (4) Cass., 18 dicembre 1978, n. 6042, cit. In senso analogo sono orientate Cass., 8 gennaio 1979, n. 78, in Foro it., Rep. 1979, voce cit., col. 466, n. 60; Cass., 11 novembre 1970, n. 2346, in Dir. fall., 1971, II, p. 445 ss.; Cass., 18 luglio 1960, n. 1994, in Foro it., 1960, I, p. 1948 ss. e Dir. fall., 1960, II, p. 838 ss.; Cass., 23 novembre 1959, n. 3440, in Foro it., Rep. 1959, voce cit., eol. 510, n. 13, nonch�, nella giurisprudenza di merito, Trib. Firenze, 11 novembre 1978, in Giur. comm., 1980, II, p. 644 ss.; Trib. Milano, 20 settembre 1976, in Dir. fall., 1977, II, p. 143 ss.; Trib. Bologna, 27 dicembre 1969, in Giur. it., 1970, I, 2, p. 587 ss., ed ivi ampi richiami. In favore di questa soluzione si esprime, in dottrina, R. PROVINCIALI, p. 2126, n. 62, e pp. 2128-2129, n. 66, con ampi richiami giurisprudenziali. Manuale, cit., b,-,.:~ ,.� ,,,z:.,A~ '::~:1:%J @@.:.:<�::.� ~l~itil 548 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La complessiva somma di L. 96.528.005 dovuta dalla SICA veniva a ridursi a L. 59.732.400 per eseguita compensazione parziale con le minori somme spettanti alla cennata societ� di L. 36.653.390 (IVA compresa) per la parziale esecuzione del contratto n. 19821 in data 1 febbraio 1972 e di L. 142.215 (giuste fatture n. 9028 del 17 luglio 1972 e n. 675 del 27 settembre 1972) per le provviste effettuate presso l'Aeroporto di Alghero e presso il Q.G. Aeroregione di Bari. Con atto di citazione 19 maggio 1977 l'Amministrazione della Difesa, (Direzione Generale di Commissariato), in persona del Ministro della Difesa in carica, premesso quanto innanzi esposto, assumeva che la SICA era tenuta al pagamento della somma di L. 59.732.400, nonch�, in solido, per la parte afferente .i debiti dall'inadempimento del contratto 19821 in data 1 febbraio 1972 e limitatamente a L. 9.480.000, la Banca Nazionale della Agricoltura, sede di Milano, per l'obbligazione fideiussoria assunta nel cennato contratto; aggilllll.geva che la SICA, richiesta del pagamento, nel comunicare che, a termdne della procedura di amministrazione controllata, aveva proposto concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, aveva invocato a suo favore l'applicabilit� dell'art. 168 l.f., e che la Banca Nazionale dell'Agricoltura, sollecitata ad eseguire il pagamento, non vi aveva provveduto n� vi aveva dato riscontro; riferiva che, con sentenza 4 giugno 1975, il Tribunale di Bari aveva omologato il concordato preventivo proposto dalla SICA il 16 dicembre 1974 ed aveva nominato Commissario giudiziale il dr. Rino Formica e liquidatore l'avv. Francesco Troccoli; sione dei beni ai creditori nel concordato preventivo. L'istituto, in pratica, viene sottratto all'ottica meramente negoziale che caratterizza l'orientamento tradi . zionale, per essere piuttosto interamente ricondotto nella sfera del procedimento concorsuale a cui accede e di cui acquisisce l'impronta pubblicistica. In altri termini, la cessione liquidativa � considerata non com~ un'attivit� di attuazione del concordato rimessa alla semplice iniziativa privat�, nelle forme previste per l'ordinaria cessio bonorum, ma come una fase della procedura concorsuale, assoggettata al controllo pubblicistiCo proprio di quest'ultima (5). Nell'ambito di questa concezione, la figura del liquidatore concordatario acquista ovviamente una sua peculiarit�, con tutte le conseguenze del caso in (5) In dottrina, tale impostazione � sostenuta in particolare da C. CELORIA e P. PAJARDI, nel Commentario della legge fallimentare, vol. II, Milano-Messina, 1960, p. 957 ss. � Pare assurdo �, -si legge nel testo, -� che una procedura che nasce con chiari elementi puoblicistici... possa perdere per strada questo suo carattere per tFasformarsi in un semplice accordo tra privati, con una intromissione del Tribunale meramente estrinseca. Si cadrebbe, attraverso una simile concezione, nell'istituto della cessione dei beni previsto e regolatodagli artt. 1977 e segg. cod. civ., e non sareblie stato necessario creare un doppione. Si sarebbe rimasti fuori dall'equivoco di una situazione giuridicamente confusa: una procedura che prima � affidata interamente al Tribunale per l'ammissione o la reiezione, poi, in caso di giudizio positivo, viene passata al vaglio dei creditori per l'approvazione, poi ripassata al Tribunale per l'omologa, ed infine rimessa ai creditori e al debitore, con l'intromissione del liquidatore (o dei liquidatori). Sono invece fermamente dell'opinione... che il concordato preventivo... rimane una procedura con forti tinte pubblicistiche. Se il legislatore ha ritenuto di darle una regolamentazione particolare e di inserirla tutta quanta nel corpo e nella struttura della leggefallimentar,e, vuol dire che ha ritenuto anche che gli i11teressi dei creditori e del debitore non potessero essere racchiusi e risolti in un ambito meramente privatistico, ma dovevano essere trasferiti in uno pubblicistico, anche se meno denso di quello del fallimento. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 549 esponeva che successivamente, con deliberazione dell'assemblea dei soci, la SICA S.p.A. era stata sciolta ed era stato nominato liquidatore l'ing. Mario Banfi. Ci� premesso, al fine di conseguire le somme innanzi precisate, nonch� i danni da svalutazione monetaria da precisarsi in corso di causa, conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale: 1) fa societ� in concordato pre ventivo SICA Societ� italiana Cioccolato Affi.nd -S.p.A., in liquidazione, in persona del suo liquidatore e legale rarppresentante ing. Mario Banfi e 2) la Banca Nazionale deH'Agricoltura per sentir cosi provvedere: a) dichiarare che la SICA S.p.A. in liquidazione � tenuta a corrispon. dere all'Amministrazione della Difesa -Direzione Generale di Commissariato -per Je causali innanzi spiegate la complessiva somma di lire 96.528.005 (novantaseimilionicinquecentoventottomilacinque), ridotta, per parziale compensazione, a L. 59.732.400 (cinquantanovemilionisettecentotrentaduemilaquattrocento); b) dichiarare che la Banca Nazionale dell'Agricoltura � tenuta a corri spondere alla medesima Amministrazione attrice, in solido con la SICA, la somma di L. 9.480.000 (novemilioniquattrocentottantamila); e) condannare fa Banca Nazionale dell'Agricoltura al pagamento della somma di cui al precedente capo oltre agli interessi, come per legge, dal 29 maggio 1975 al soddisfo; d) condannare la SICA S.p.A. in liquidazione al pagamento della somma di L. 59.732.400 (cinquantanovemilionisettecentotrentaduemilaquat ordine alla sua capacit� processuale. Pi� specificamente, tale figura. acquista una precisa impronta ufficiosa, in relazione all'esigenza che sia assicurato un efficace controllo sull'esecuzione delle operazioni concordatarie, a garanzia del� l'equo contemperamento degli � interessi creditori. Ci sembra che questo orientamento, oltre ad essere ispirato da una visione pi� coerente del fenomeno in esame e da una sensibilit� maggiore per le fina lit� che esso tende a realizzare, � confermato, -in via induttiva, -dalla stessa disciplina legale, dalla quale si pu� desumere che il liquidatore del concordato possiede una funzione del tutto originale e pienamente . conforme alla dedotta ufficialit� della propria figura. Egli infatti, -a differenza del liquidatore della normale cessio bonorum, -non ha il limitato compito di amministrare ed alie nare i beni ceduti, in rappresentanza dei creditori che abbiano aderito alla pro posta liquidativa, ma � investito del pi� ampio e significativo dovere di rea lizzare le attivit�, di accertare il passivo mediante un procedimento ammini strativo che �sostituisce l'equivalente procedimento giurisdi:l!ionale previsto per il fallimento, e di predisporre e comunicare un piano di riparto delle attivit� liquidate, che ha effetto vincolante per i creditori, ivi compresi quelli assenti e dissenzienti: tutti compiti, -come ben si vede, -che consentono di para gonarlo per vari aspetti pi� al curatore fallimentare che al mandatario della cessio bonorum. Sulla base della ritenuta ufficialit� del proprio munus e della connessa pubblicit� delle sue funzioni, non sar� difficile trarre ormai le opportune con RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 550 trocento), oltre agli interessi come per legge, salvo a detrarre la somma di L. 9.480.000, nell'ipotesi di accoglimento delle conclusioni di cui ai capi b) e e); e) condannare la SICA -S.p.A. in liquidazione ai danni per svalutazione monetaria, da precisarsi in corso di causa; f) dichiarare, ove occorra, che l'Amministrazione della Difesa, creditrice concorsuale, ha diritto di essere soddisfatta per l'ammontare complessivo dei suoi crediti verso la societ� SICA in concordato preventivo nella percentuale a risultare a seguito della liquidazione dei beni; g) condannare i convenuti alle spese tutte del giudizio. La citazione veniva notificata altres� al dott. Rino Formica e all'avv. Francesco Troccoli, rispettivamente commissario giudiziario e liquidatore nel concordato preventivo della SICA S.p.A., per notizia e legale scienza. Dichiarata la contumacia delle convenute, in corso di giudizio il procuratore dell'attrice riduceva la domanda nei confronti della SICA a lire 49.130.375, avendo la SICA corrisposto L. 1.222.025 per IGE sull'importo df q.li 240 �e 116 di merce a suo tempo consegnata a fronte del contratto n. 19821 idi rep. -del 1� febbraio 1972 ed avendo fa Banca Nazionale dell'Agricoltura versato la somma di L. 9.480.000-(59.732.480-1.222.025 -9.480.000) e limitava i capi b) e e) al pagamento, da parte della Banca Nazionale dell'Agricoltura, degli interessi legaiJ.i sulla somma di L. 9.480.000 dal 29 magseguenze applicative con riguardo al tema specifico della legittimazione processuale, dal quale siamo partiti e che qui interessa in modo particolare. i;'. infatti evidente che su tali basi occorrer� riconoscere la sua autonoma ~d originaria capacit� (ad agire e) a resistere nei giudizi attinenti alla situazione patrimoniale del debitore C()[]:cordatario, in quanto idonei a modificare la posizione dei creditori, alla cui dndifferemii:ata tutela egli � .istituzionalmente tenuto a provvedere. Tale soluzione non � d'altronde p11iva di precedenti, ma � anzi conforme ad un indiI'izzo che, bench� minm1itario, ha gi� trovato autorevole ri.scontro nella giurisprudenza sia di !egiittimit� (6) che idi merito (7). Per esaurire l'argomento della capacit� processuale nei giudizi che investono la sfera patrimoniale del debitore concordatario, occorre infine considerare brevemente la posizione degli altri organi della procedura. A riguardo, non dovrebbe sembrare dubbia la legittimazione passiva del garante del concordato preventivo (da non confondere per� con il garante dell'obbligazione in contestazione, anch'egli d'altronde pienamente legittimato, iure proprio, nel (6) Cfr. Cass., 19 dicembre 1978, n. 6083, cit. (7) Cfr. Appello Torino, 12 aprile 1974, in Giur. it., 1974, I, 2, p. 679 ss., Trib. Bologna, 13 dicembre 1969, ivi, 1970, I, 2, �p. 587 ss., e Trib. Bologna, 7 febbraio 1963, ivi, 1963, I, 2, p. 434 ss. Nel senso che i liquidatori non sono litisconsorti, ma possono comunque intervenire volontariamente nel processo, si veda Trib. Firenze, 15 settembre 1976, cit. Pi� radicale, in dottrina, la tesi sostenuta da D. MAzzoccA (Manuale, cit., p. 570), secondo cui, nel caso di concordato per cessione, � tutti i poteri, anche processualmente, per recuperare e far valere ragioni attinenti alla integrit� patrimoniale... passano ... ai creditori ed al liquidatore >>. t ! PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 551 gio 1975 al 2 settembre 1977. La causa veniva quindi rimessa al collegio e ritenuta per la decisione all'udienza del 22 gennaio 1979. Il Tribunale, con ordinanza collegiale 29 gennaio -6 febbraio 1979, sul rilievo che dal progetto analitico 26 settembre 1977 redatto dalla seconda sezione della Direzione Generale Commissariato non emergevano con chiarezza i procedimenti attraverso cui si era pervenuti ai risultati nello stesso indicati, invitava il procuratore dell'Amministrazione Difesa a dare chiarimenti in proposito. Depositate da parte deU'attrice deduzioni istruttorie datate 4 aprile 1979, la causa. veniva nuovamente rimessa al collegio che con ordinanza 28 maggio -8 giugno 1979, al fine di attuare l'economia dei giudizi e di evitare contraddittoriet� di giudicati, ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'avv. Francesco Troccoli, liquidatore giudiziale della SICA S.p.A., ammessa al concordato preventivo con cessione di beni. Costituitosi in giudizio con comparsa 20 ottobre 1979, l'avv. Troccoli, nella detta qualit�, deduceva finopponibilit� dell'acquisto in danno alla societ� contraente ai sensi degli artt. 168, 1� comma e 188 2� comma, .legge fallimentare. Subordinatamente, eccepiva la tardivit� dell'acquisto esperito, affetto, di conseguenza, da inefficacia e, pi� subordinatamente, che i prezzi da considerare avrebbero dovuto essere quelli vigenti al momento dell'inadempimento (30 gennaio 1974). Ancora pi� subordinatamente, deduceva l'infodatezza della domanda di rivalutazione del credito, stante il principio della cristallizzazione dei giudizio di cog111z10ne relativo al credito), nonch� quella del terzo assuntore del concordato. Non legittimato appare invece il commissario giudiziale, le cui funzioni dopo l'omologazione del concordato appaiono limitate alla mera vigi� lanza sulla sua corretta esecuzione (8). (4) La massima � conforme sia alla dottrina che alla giurisprudenza dominanti. Si veda, tra l'altro, A. BENNATI, Manuale di Contabilit� di Stato, Napoli, 1977, p. 149 ss., e O. SEPE, Contratto (Diritto Amministrativo), in Encicl. Dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 1010 ss., nonch� Cass., 4 dicembre 1975, n. 4010, in Foro it., Rep. 1975, voce Contratti della P.A., col. 602, n. 36; Cass., 27 marzo 1973, n. 839, ivi, Rep. 1973, voce cit., col. 609, n. 33; Cass., 28 gennaio 1972, n. 244, ivi, 1972, I, p. 600 ss., e Cass., 16 aprile 1970, n. 1061, in Giust. civ., 1970, I, p. 1632 ss. Cfr. altres� Avvocatura dello Stato, Il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975, vol. III, Roma, 1976, p. 174. (.5-8) Un caso di compera in danno nei confronti di una societ� in amministrazione controllata. La fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Bari, -relativa alla ammissibilit� ed ai limiti di validit� di una compera in danno eseguita nei confronti di una Societ� posta in stato di amministrazione controllata, -con (8) Per quanto riguarda tali specifici profili, si rinvia alla nota di D. T�EDESCHI gi� citata, le cui osservazioni in merito appaiono pienamente condividibili. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO crediti nei confronti delle procedure concorsuali, nonch� della richiesta d'interessi in contrasto con gli articoli 169 e 55 L.F.. Concludeva per il rigetto delle domande, perch� inammissibili, infondate e comunque ingiustificate. Subordinatamente, chiedeva il contenimento delle .domande nei limiti del giusto e del provato. MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Rileva innanzi tutto il collegio che rettamente � stata dichiarata la contumacia delle convenute SICA S.p.A. in liquidazione e della Banca Nazionale dell'Agricoltura, ritualmente citate e non costituite. In relazione alla SICA, societ� in liquidazione, �vente quale liquidatore l'i.!ng. Mario Bainfi, cop:i!a dell'atto di citazione venne diall'UfficiaJe Giudooarrfo dapprima portato, Jl 23 maggio 1977, nella sede della predetta societ� alla Vii.a Postiglione n. 26, ma non venne consegnata perch�, come si legge nella relata, � omessa notifica perch� cessata la sua attivit� �. Altra copia venne portata nell'abitazione dell'ing. Mario Banfi, nella qualit� di liquidatore della SICA, sita in Bari alla Via De Nicol� n. 37, � quivi consegnandola a mano del portiere Massaro Domenico, tale si qualifica, capace, per la sua precaria assenza e dei familiari. Bari 23 maggio 1977 �. Il portiere Massaro provvedeva a firmare l'originale dell'atto di citazione. Altra copia venne portata nell'ufficio dell'ing. Mario Banfi (sempre nella qualit�) sito in Bari alla P.zza Aldo Moro (Roma) n. 54, quivi conse sente di verificare criticamente una lunga serie di interessanti questioni che attengono alla disciplina di entrambi gli istituti. Un problema preliminare, -ancorch� non suscitato in corso di causa, riguarda la stessa esigibilit� della prestazione ineseguita, essendo chiaro che solo nell'ipotesi affermativa si potrebbe ammettere l'adozione di un rimedio quale la compera in danno, che presuppone un diritto attuale all'adempimento. Occorre dunque soffermarsi innanzi tutto sugli effetti della apertura del procedimento di amministrazione controllata sui rapporti giuridici pendenti, onde verificare se la parte adempiente avesse davvero il diritto di esigere la prestazione inadempiuta e potesse avvalersi degli strumenti ordinariamente concessi per il caso di inadempimento. Sotto questo profilo generale, giova preliminarmente puntualizzare che nell'ipotesi di apertura del procedimento di amministrazione controllata non pu� ritenersi applicabile ai contratti in corso la disciplina dettata per il caso di fallimento, tenuto conto delle divergenze di natura e di finalirtl tra i due istituti: il primo riguardante il periodo della � temporanea difficolt� ad adempiere � e diretto a ricostruire quelle condizioni di solvibilit� dell'impresa che risultano momentaneamente compromesse; il secondo riferibile al tempo della definitiva � insolvenza � ed avente funzioni liquidative. Pertanto, -come insegna la pi� recente giurisprudenza della S.C. di Cassazione, -occorre che nell'ipotesi di amministrazione controllata � siano mantenuti... i rapporti gi� costituiti, ... senza PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE gnandola a mani del dipendente addetto alla ricezione Martiradonna Vittorio. Non sussiste, infatti, nella specie in esame violazione dell'art. 145 cod. proc. civ. (il quale determina la persona cui la copia dell'atto deve essere notificata quando la notifica deve essere effettuata nella sede della societ�) ricorrendo l'eccezione prevista nell'ultimo capoverso del cennato articolo, secondo cui se la notificazione non pu� essere eseguita a norma dei commi precedenti e nell'atto � indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, si osservano le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141. Ha, infatti, insegnato il Supremo Collegio, con sentenza 16 maggio 1959 n. 1448 (Giust. Civ. 1960, I, p. 388), che quando trattasi di societ� in liquidazione, che pur dovendo rispondere dei precedenti rapporti non ancora estinti, non compie, tuttavia, alcune nuove attivit� e, quindi di regola non conserva pi� la sua sede autonoma, stante l'impossibilit� di rinvenire una sede separata propria della societ�, dovr� applicarsi l'ultimo capoverso dell'art. 145, e colui che rappresenta ancora la societ� sostanzialmente non estinta, cio� l'ultimo liquidatore, non potr� che essere ricercato nella sua residenza, nel suo domicilio o nella sua dimora. Sulla scorta delle cennate osservazioni, pienamente rituale appare la notificazione effettuata presso l'abitazione e l'ufficio del liquidatore ing. Banfi e, conseguentemente, rettamente � stata dichiarata la contumacia della cennata societ� in liquidazione. Nessuna questione sorge in ordine alla ritualit� della notificazione effettuata nei confronti della Banca Nazionale dell'Agricoltura, onde correttamente � stata dichiarata la contumacia che vi sia per il debitore e per il commissario giudiziale una facolt� di scelta, come quella prevista per il curatore del fallimento (1) �. La ritenuta continuit� delle. situazioni giuridiche pendenti non esaurisce tuttavia la nostra indagine, in quanto non si pu� ignorare la necessit� di adat tarne opportunamente la normativa alle circostanze sopravvenute e di armo nizzarle con la disciplina dell'amministrazione controllata: disciplina che ancora una volta, -nel solito, equivoco silenzio della legge, -dovr� essere ricostruita (1) Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, in Dir. fall., 1976, II, p. 698 ss., Foro it., 1977, I, p. 477 ss., e Giust. civ., 1976, I, p. 1638 ss. Conformi: Cass., 3 luglio 1980. n. 4217, in Giust. civ., 1980, .I, P; 244'.J ss., e Dir. fall., 1980, II, p. 590 ss.;. Cass., 14 febbrai? 19~9, n. 973 e n. 974, m Gmr. tt., 1979, I, l, p. 1680 ss.; Cass., 21 aprile 1972, n. 1267, m Dir. fall., 1972, Il, p. 578 ss. e Giur. it., 1972, I, 1, p. 1155 ss. In dourina, si veda R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, vol. III, p. 2306, sec�1ndo il quale �i contratti non ancora eseguiti, in tutto o in parte, da entrambi i contraenti, continuano ... �; L. PAZZAGLIA, L'amministrazione controllata. Natura giuridica ed effetti. Milano, 1957, p. 145 ss.; S. SAITA, Amministrazione controllata, in Encicl. Dir., vol. Il, Milano, 1958, p. 188; D. MAzzoCCA, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1980, p. 592. L'individuazione delle predette differenze, -sia sostanziali che di disciplina, -tra amministrazione controllata e fallimento, non contraddice l'indirizzo giurisprudenziale iniziato con la sentenza della Cassazione del 7 dicembre 1966, n. 2872 (in Foro it., 1977, I, p. 756), ed univocamente ribadito successivamente, in merito al rapporto di � continuit� �, tra le due procedure, con la conseguente possibilit� di identificare i concetti di � temporanea difficolt� ad adempiere � e di � insolvenza � e di far risalire fino al primo momento gli effetti giuridici del dissesto fallimentare: tali considerazioni derivano infatti dalla constatazione postuma dell'esito negativo del risanamento tentato con l'amministrazione controllata, ma non escludono affatto le funzioni ontologicamente � terapeutiche � e sostanzialmente differenziate di quest'ultimo istituto. 554 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di detta convenuta. Legittimo, n� per altro contestato dall'attrice, appare l'intervento in causa iussu iudicis del liquidatore del concordato preventivo SICA S.p.A. al quale va riconosciuta una autonoma legittimazione, cos� risolvendo l'antica disputa relativa alla legittimazione del. liquidatore del concordato preventivo nelle azioni cognitive che riguardano i crediti ed i debiti del debitore in concordato. La questione si pone perch� il debitore concordatario, che resta in bonis, conserva la piena capacit� processuale attiva e passiva, ed il liquidatore del concordato viene ritenuto un mandatario dei creditori con i soli poteri di realizzare e distribuire i valori sui quali si � concordato, sia nel caso di concordato con percentuale predeterminata, sia nell'ipotesi di concordato per cessione di beni, con conseguente esclusione nel liquidatore della legittimazione passiva nei giudizi cognitivi sui crediti. Un pi� approfondito. esame delle norme fallimentari, quale � possibile dopo questi ultimi anni d'intensa sperimentazione dei procedimenti concordatari, deve indurre a modificare le sovraesposte tesi. Invero, posto che il concordato preventivo � un procedimento di ufficio, al quale si attribuisce addirittura carattere inquisitorio (Trib. Roma, 8 luglio 1970, in Dir. fall. 1971, II, 89) e che, nell'ambito della ufficiosit�, la nomina del liquidatore � riservata al Tribunale (art. 182 L.F.) e che esso concordato, una volta omologato, � obbligatorio per tutti i creditori, anche se assenti o dissenzienti (art. 184 L.F.), appare di tutta evidenza che per mezzo di interpretazione, tenuto sempre conto della natura e delle finalit� dell'istituto. A questo riguardo, sembra da disattendere la tesi pi� restrittiva, che limita al divieto di azioni esecutive individuali le deroghe alla normativa comune in tema di obbligazioni determinate dall'apertura della amministrazione control� lata, rimanendo cos� invariati gli obblighi dell'imprenditore di adempiere le proprie prestazioni alla scadenza pattuita e restando salvi tutti gli ordinari effetti previsti dalla legge o dal contratto per il caso di inadempimento. Viceversa, costituisce insegnamento costante della Corte Suprema che � la tutela dei crediti, considerati non singolarmente, ma nel loro insieme, � il fine comune di tutti gli istituti previsti dalla legge fallimentare e, quindi, anche della procedura della amministrazione controllata, e che la realizzazione di tale tutela, postulando la rigida applicazione della par condicio creditorum, esclude la possibilit� che siano compiuti atti che alterino, a vantaggio di un creditore, la situazione esistente al momento dell'apertura della procedura e, in particolare, esclude che siano soddisfatti i crediti anteriori all'inizio della procedura stessa. E quanto a questo principio, non sembra dubbio che il divieto di pagamento di debiti preesistenti e venuti a scadenza in costanza della procedura concorsuale realizzi il duplice scopo di mantenere intatte le garanzie per tutti i creditori, inalterata la loro posizione ed aperta la via della solvenza per l'imprenditore... L'inammissibilit�, invero, in pendenza della procedura di amministrazione controllata dei pagamenti dei debiti... scaturisce dalla natura stessa e dalle finalit� dell'istituto, i quali... devono evitare che il patrimonio PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 555 la natura e la funzione del liquidatore del concordato preventivo sono diverse e pi� ampie della natura e della funzione degli amministratoriliquidatori della cessio bonorum regolata dagli artt. 1977 e seg. cod. civ., ai quali le tesi innanzJi esposte e non condivise da questo Tribunale parificano la figura del liquidatore del concordato. Tale parificazione, gi� contestata da qualche autore, a parere di questo Collegio, non sussiste perch�, mentre il liquidatore della cessio bonorum di cui agli artt. 1977 e segg., che � nominato dal debitore, deve compiere due sole operazioni costituite dalla realizzazione dell'attivo e dalla distribuzione del relativo ricavato tra i creditori che hanno aderito alla cessio, collocandosi e qualificandosi con .i loro crediti gi� accertati negozialmente, il liquidatore del concordato, sia per percentuale che per cessione dei beni, ha funzioni pi� ampie e tutte di natura ufficiosa,, che si estendono, nel concordato per cessione, all'accertamento dell'attivo e del passivo ed al realizzo dell'attivo. Il liquidatore poi, al pari del curatore fallimentare, ha l'obbligo di predisporre e comunicare un piano di riparto dopo aver portato a termine il complesso delle operazioni di liquidazione delle attivit�, nonch� dell'accertamento delle passivit� (Cass., 6 settembre 1974, n. 2423, in Dir. Fall. 1975, II, 530). In proposito va ricordato che il concordato preventivo non ha la fase ufficiosa dell'accertamento delle passivit�, come nel fallimento, onde tale compito � demandato ufficiosamente al liquidatore. del debitore subisca manomissioni o ulteriori ingiustificate perdite... In questo sistema di garanzie, l'ammettere che il debitore possa a suo piacimento soddisfare i debiti precedentemente contratti, costituirebbe un'aperta contraddizione perch�, da un lato, si impedirebbe ai creditori muniti di titolo esecutivo di realizzare in via forzata il loro diritto e di acquistare posizioni di privilegio, dall'altro si consentirebbe all'imprenditore una libert� di pagamento dei debiti preesistenti, con sovvertimento di ogni principio di eguaglianza delle posizioni dei vari creditori (2) �. Alla luce delle precedenti considerazioni, si deduce che il problema della disciplina dei rapporti giuridici pendenti al momento della apertura del procedimento di amministrazione controllata, consiste in sostanza nella conciliazione del principio della loro continuit� con il divieto di pagamenti che alterino la par condicio creditorum. Ai fini di tale conciliazione, ci sembra co~retto ritenere che siano inesigibili le obbligazioni con prestazioni a carico della sola impresa controllata, che importino soddisfazione dell'altrui credito (2) Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, in Foro it., 1969, I, p. 1709 ss. Analogamente, sostengono che l'impresa di amministrazione controllata goda di una moratoria e che i pagamenti eseguiti siano inefficaci rispetto agli altri creditori: Cass., 24 luglio 1980, n. 4798, in Foro it., 1981, I, p. 117 ss., e Cass., 8 aprile 1959, n. 1024, in Giust. civ., 1959, pp. 598-599. Conforme, in dottrina, R. PROVINCIALI, op. cit., p. 2283. Costituisce applicazione di tale principio il divieto di compensare debiti preesistenti con crediti divenuti esigibili nel corso della procedura di amministrazione controllata. Sul punto, cfr. Cass., 24 luglio 1980, cit.; Cass., 14 febbraio 1979, n. 975, in Giur. it., 1980, I, 1, p. 136 ss., con nota di RAGUSA MAGGIORE; Cass., 14 febbraio 1979, n. 974, cit.; Cass., 2 agosto 1977, n. 3421, in Giur. it., 1978, I, 1, p. 1572 ss., ed ivi note di richiami; Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, cit. In dottrina, R. PROVINCIALI, op. cit., pp. 2302-2303, con note di richiami. 556 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Orbene, se � vero ohe il concordato non priva il debitore della propria capacit� patrimoniale e processuale e perci� � vero che, in caso di controversia circa l'esistenza e l'ammontare di un credito, non pu� negarsi la sua legittimazione al relativo giudizio, non � men vero che il <liquidatore � anch'egli legittimato in qualsiasi azione relativa all'accertamento del passivo, accertamento al quale � obbligato in ragione del suo ufficio. Pu� affermarsi che, come il debitore concordatario, che conserva le sue capacit�, ha interesse all'accertamento del debito, del pari i;l liquidatore, che possiede le capacit� che gli provengono dal. munus, ha il correlativo ed uguale interesse all'accertamento del debito, che � un momento dell'accertamento del passivo. Se il concordato preventivo costringe tutti i creditori, anche dissenzienti, � d'obbligo che la legge -e perci� l'ufficio -debba dare una garanzia ufficiosa in relazione alla esattezza delle operazioni di liquidazione, delle quali uno dei due momenti indispensabili � raccertamento del passivo. Tale garanzia non pu� essere che quella della iniziativa o della partecipazione del liquidatore in relazione alle cause aventi per oggetto crediti da collocare nel passivo. Da quanto innanzi si ricava che alle azioni giudiziarie relative all'accertamento del passivo hanno interesse -e perci� sono ,legittimati -tanto il debitore concordatario, quanto il liquidatore del concordato, al Punto di doversi affermare la necessit� del litisconsorzio. a discapito della massa. Nel caso di rapporti a prestazioni corrispettive, invece, l'adempimento da parte dell'imprenditore per un verso � necessitato dalla perdurante efficacia del negozio costitutivo, e per un altro verso � giustificato dall'esigibilit� dell'obbligazione reciproca, che garantisce, -sul pjano giuridico, -l'adeguata compensazione dei costi sostenuti con le utilit� attese in cambio. N� in tale ipotesi sar� possibile attribuire rilevanza alle concrete conseguenze economiche del rapporto e subordinare l'adempimento alla cir� costanza che si realizzi un saldo attivo o si garantisca comunque il bilanciamento degli oneri finanziari per l'impresa controllata, poich� altrimenti si finirebbe per reintrodurre quella facolt� di scelta tra conservazione e sciogli� mento del negozio che abbiamo gi� visto negata nel caso di specie, o si ver� rebbe comunque a configurare una facolt� di sospendere l'efficacia del rapporto che non trova alcun fondamento nel sistema normativo (3). Sulla base di queste considerazioni di carattere generale, non ci sembra difficile trarre le debite conclusioni in relazione al problema specifico da noi (3) La dottrina pi� autorevole ci sembra orientata nel senso da noi sostenuto: pertutti, si veda ancora R. PROVINCIALI, il quale sostiene che � i contratti non ancora eseguiti, in tutto o in parte, da entrambi i contraenti... vanno ordinariamente adempiuti � (op. cit., p. 2306), e che, nell'ipotesi specifica del contratto di compravendita, � il rapporto continua, e l'imprenditore dovr� far fronte alle obbligazioni che gli incombono, sotto pena di tro� varsi esposto alle azioni ordinariamente spettanti alla parte adempiente � (op. cii., p. 2307). Similmente, la giurisprudenza insegna che � erronea la tesi che collega la consegna della merce venduta ad un atto di autonomia del commissario giudiziale e che riconduce i debiti (o i crediti) nascenti da tali atti all'ufficio concorsuale, poich� �i contratti non ancora eseguiti, in tutto o in parte, da entrambi i contraenti debbono ricevere esecuzione �, ed � i rap� porti gi� costituiti esigono l'adempimento, salvo che questo non consista nel pagamento di un creditore � (Cass., 5 giugno 1976, n. 2037, cit.). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 557 Non senza rilevare che se si dovesse escludere la necessaria partecipazione del liquidatore alle azioni relative all'accertamento del passivo, riducendo le sue funzioni soltanto al prender nota delle azioni giudiziarie inter alias actae, l'intera liquidazione (il liquidatore come il ceto dei creditori) sarebbe esposta inerme agli effetti di quelle decisioni: effetti tra i quali � necessario considerare quelli che possono derivare dall'incuria del debitore, o, peggio, quelli che possono discendere dalla collusione tra debitore in concordato e creditore (magari privilegiato) litigioso. Invero � caratteristico del concordato, oltre il carattere ufficioso, del quale si � detto innanzi ponendo in rilievo il fenomeno della obbligatoriet� nei confronti dei debitori e della complessit� delle operazioni del liquidatore, il fenomeno che il debitore, pur restando in bonis, perde la disponibilit� dei beni ceduti, i quali -va sottolineato -d�bbono essere tutti i suoi beni e non possono esserne solo una parte. Sicch� nella procedura di concordato si formano una massa attiva ed una situazione passiva che acquistano una rilevanza giuridica autonoma per cui esse permangono ben distinte dalla sfera patrimoniale del debitore cedente. In relazione a tale autonomia dehla massa attiva e della situazione passiva � inevitabile che la logica del sistema giuridico attribuisce al liquidatore il potere-dovere di disporre come dei diritti cos� delle azioni che in qualilnque modo siano relative alla massa attiva o alla situazione passiva. L'opinione esposta trova sostegno in qualche autore e nella sentenza della Suprema Corte 15 novembre 1958 n. 3722 (in Dir. Fall. 1959, II, 37). Quasi vicina alla tesi cennata � la Corte d'Appello di Torino con sentenza proposto; e se il criterio di soluzione � rappresentato dalla incidenza o meno delle facolt� nascenti dal rapporto negoziale sulla condizione di parit� istituita tra i creditori, tali conclusioni non potranno che essere coerenti con quelle egregiamente ritenute dal Tribunale adito. La compravendita coattiva, infatti, comunque la si voglia astrattamente configurare, non altera lo stato patrimoniale dell'impresa co11trollata, n� determina alcun indebito vantaggio del creditore procedente a discapito della massa dei creditori, ma si limita, nella sua sostanza, a portare ad esecuzione una prestazione dovuta e pienamente esigibile, del cui adempimento spontaneo nessuno avrebbe avuto ragione di dolersi. N� giova osservare in contrario che da tale procedura pu� derivare un debito monetario. a carico dell'impresa in difficolt�, -cos� come � effettivamente avvenuto nel caso di specie, -in conversione dell'obbligazione originaria ed in ragione delle differenze tra il prezzo concordato e quello concretamente realizzato o corrisposto. � chiaro infatti che tale circostanza non contrasta con la natura e le finalit� della procedura concorsuale, sia perch� i predetti crediti residuali non vengono soddisfatti, ma solo opportunamente liquidati, sia perch� essi rimangono strettamente contenuti entro l'ambito delle obbligazioni originarie. In altri termini, i conguagli eventualmente dovuti per un verso rimangono legati al principio del concorso dei creditori, e per un altro verso, -lungi dal modificare le posizioni contrattuali, -costituiscono al contrario lo strumento necessario ad impedire che si verifichi una tale modificazione in danno della parte adempiente e ad assicurare che la situazione 9 558 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 12 aprile 1974 (in Giur. It. 1974, 1, 2, 680), che migliora un discorso accennato da App. Firenze 1� dicembre 1966 (Dir. Fall. 1967, II, 644), in cui si comincia a intravedere nella cessio del concordato � un patrimonio separato con vincolo di destinazione al pagamento dei debiti �. Parte di queste considerazioni sono riportate nella sentenza Aldegro/ Mennoia della Cassazione in data 11 ottobre 1978 n. 4551 (esibita in copia informe) dove si afferma: �non ha fondamento l'eccezione preliminarmente avanzata dai controricorrenti in ordine alla carenza di legittimazione attiva del liquidatore giudiziale... Non vi � dubbio, infatti, che pur conservando il debitore, ammesso alla procedura di concordato preventivo e nel corso di essa, l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, ai sensi dell'art. 167 p.p. legge fallimentare, tuttavia, bene si giustifica la presenza nel giudizio del liquidatore o del commissario giudiziale, per l'esercizio dei poteri di vigilanza espressamente previsti dalla disposizione citata ed ai quali il ricorrente ha fatto espresso riferimento nell'epigrafe del ricorso �. Sicch�, proseguendo il discorso iniziato dalla Cassazione nella riportata sentenza e concretando il concetto espresso dal Supremo Collegio con riferimento ai generici poteri di vigilanza, ai precisi doveri ed alle concrete funzioni del liquidatore riguardo alla autonoma massa attiva ed all'autonoma massa passiva che fa capo a lui, � possibile affermare che il liquidtore del concordato de1la SICA S.p.A., intervenuto iussu iudicis io::t questo processo, vi sta in forza di un'autonoma legittimazione, con diritto di dedurre, contraddire, chiedere ed eccepire a titolo proprio. giuridica finale rifletta quella iniziale, anche ove non si tratti di una situazione di equilibrio economico tra le prestazioni dedotte; e ci� si realizza, -nel caso della vendita coattiva, -mediante l'addebito del supplemento tra il prezzo dovuto e la somma percepita, in guisa che il venditore consegua il compenso pattuito ed il compratore sopporti i costi insiti nelle condizioni del suo acquisto, e, -nel caso della compera, -mediante l'addebito della somma pagata in pi� rispetto a quella concordata, cos� da riportare gli oneri del compratore entro i termini preventivati e da commisurare quelli del venditore al valore effettivo degli obblighi da lui assunti. A queste considerazioni si contrappone l'eccezione sollevata dalla liquidatela del concordato preventivo succeduto alla amministrazione controllata, secondo cui la esperita compravendita in danno, identificandosi con una forma di esecuzione fon;ata degli obblighi di fare, ricadrebbe sotto il divieto di compiere azioni esecutive individuali in pendenza di una procedura esecutiva concorsuale. Dopo avere gi� altrove discusso e disatteso il presupposto di questa eccezione, consistente nella assimilazione della compravendita coattiva ai mezzi di esecuzione forzata (4), converr� ora analizzare le conseguenze desumibili nella contraria ipotesi in cui tale assimilazione si ritenesse fondata. Pur ammesso infatti che la compera in danno costituisca una speciale forma, di esecuzione (4) Si veda a riguardo il nostro articolo: Natura giuridica della compravendita in danno, in questa Rassegna, 1982, II, p. 136 ss. -------.-.-.-.-.-.�.-.-.-.-.-.-----�� �--�..-.......--. ' PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA; CIVILE 559 2) Sull'ammissibilit� delle domande attrici, sia nei confronti della soc. SICA sia nei confronti della Banca Nazionale dell'Agricoltura, non sorge alcuna questione, ove si consideri che: a) -l'apertura del procedimento e la successiva sentenza di omologazione del concordato non preoludono l'accertamento dei crediti (sia per l'an sia per il quantum) sorti anteriormente al decreto di ammissione al procedimento; e ci� sia che i titolari di tali crediti abbiano, sia che non abbiano preso parte al procedimento. Infatti, a norma dell'art. � 184 l.f., il concordato preventivo omologato � obbligatorio per tutti i creditori concorsuali, anteriori. cio� al decreto idi ammissione alla procedura di concordato preventivo, con la conseguenza che, non essendo previsto in tale procedimento un accertamento dei crediti con effetti analoghi alla verifica in sede fallimentare, il creditore che in detta procedura non abbia fatto valere il proprio credito non incontra alcun pregiudizio alle proprie ragioni, con il solo limite, valido per tutti i creditori, dell'obbligatoriet� del concordato, abbiano essi o non presentato domanda di ammissione al passivo (in tal senso: Cass. 22 novembre 1976, n. 4383, in Mass. Giust. It. 1976, 1036). b) l'apertura del procedimento e l'omologazione del concordato preventivo non esplicano alcuna influenza sui diritti spettanti ai creditori concorsuali verso i coobbligati ed i fideiussori del debitore concordatario, diritti che restano integri, onde l'ammissibilit� della domanda proposta nei confronti della Banca Nazionale dell'Agricoltura per l'adempimento della in forma specifica, si dovr� ancora verificare se essa rientri ipso facto nel generale divieto di azioni esecutive individuali, o se questo divieto non incontri piuttosto eccezioni e limiti che ne escludano comunque l'applicabilit� al caso di specie. Il favore dimostrato dal Tribunale di Bari per questa seconda soluzione �merita di essere ampiamente condiviso, in quanto evita impostazioni di tipo rigoristico e tende piuttosto a temperare �la lettera della norma con la sua intima 'ratio. Il divieto di cui agli artt. 51, 168 e 188 l.f., infatti, si spiega e si giustifica per lo scopo di assicurare la posizione di parit� dei creditori; di conseguenza, allorquando l'azione esecutiva individuale non � tale da alterare tale equilibrio, il divieto stesso non avr� ragione di operare, rimanendo privo della sua finalit� essenziale. Risulteranno perci� vietate indistintamente tutte le procedure di esecuzione forzata che abbiano natura � espropriativa � e tendano a realizzare la singola pretesa creditoria sul patrimonio che costituisce la massa fallimentare e che � destinato, -come tale, -alla soddisfazione di tutti i crediti ammessi al concorso. Per quanto riguarda invece l'esecuzione degli obblighi di consegna o rilascio, ovvero di quelli di fare o non fare, giover� prudentemente distinguere a secondo del contenuto di tali procedure, in riferimento alla loro compatibilit� o meno con la natura ed i fini della esecuzione concorsuale (5): compatibilit� che non si potr� certo negare nel caso della compera in danno, per (5) Conformi, in dottrina; le autorevoli opinioni di S. SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1957, p. 160; G. BAVETTA, La liquidazione coatta amministrativa, Milano, 1974, p. 194; D. MAZZOCCA, Manuale, cit., p. 230. 560 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO obbligazione assunta con la fideiussione prestata in relazione al contratto di fornitura 1� febbraio 1972 ,rep. 19821. 3) Passando al merito sono pacifiche in punto di fatto, relativamente al contratto 1� febbraio 1972, le circostanze inerenti: a) all'avvenuta stipulazione di un contratto in data 1� febbraio 1972 tra l'Amministrazione della Difesa e la soc. SICA S.p.A. per la fornitura di quintali 1200 di cioccolato; b) alla successiva ammissione della societ� venditrice dapprima alla procedura di amministrazione controllata, con decreto 25/27 aprile 1972 e con la proroga di tale procedura con successivi decreti 26 novembre 1973 e 26 maggio 1974, e, successivamente, con decreto 16 dicembre 1974, alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, omologato con sentenza 21 aprile -4 giugno 1975, tuttora in corso; d) al parziale ina~empimento del contratto ed al ricorso all'acquisto in danno da parte dell'Amministrazione acquirente, a norma dell'art. 72 delle Condizioni Generali Oneri; e) alle fasi del procedimento di acquisto in danno, conclusosi con la stipulazione di un nuovo contratto di acquisto per la partita insoluta stipulato il giorno 8 ottobre 1974 con la S.p.A. De Licia ed approvato con decreto 22 marzo 1975; f) all'avvenuta stipulazione di un contratto in data 24 agosto 1971 tra la SICA e l'Amministrazione della Difesa per la fornitura di n. 17.400 razioni di cioccolato energetico, non consegnato nei termini, ed all'acquisto da parte dell'Ammi i rilievi gi� svolti in merito alla sua coerenza con i princ�pi della cristallizzazione della situazione patrimoniale del debitore e della par condicio creditorum. Altro genere di discorso occorre fare invece per gli altri possibili crediti derivanti dall'inadempimento del contratto di vendita, come quelli per il risarcimento dei maggiori danni subiti o per le penali previste in contratto. In tal caso, infatti, si tratta non gi� di conseguire l'adempimento nei termini concordati, ma piuttosto di esigere la riparazione del pregiudizio causato dalla tardivit� dell'adempimento, a differenza di tutti gli altri creditori, costretti invece a sottostare agli effetti della moratoria concessa all'imprenditore in difficolt�. Appare pertanto corretta la decisione di rigetto del relativo capo di domanda, conformemente all'insegnamento deUa S.C. di Cassazione, secondo cui � la disciplina inderogabile delle norme sulla concorsualit� non ammette danno, n� risarcimento, n� penali, e n� qualsivoglia altra forma di ristoro che addossi alla massa fallimentare il pregiudizio che il singolo creditore possa aver subito per effetto diretto del fallimento, anche se lo abbia previsto e determinato preventivamente in sede contrattuale (6) �. Per analoga ragione, si deve esclu dere altres� la possibilit� di rivalutare i crediti ammesS!i, ivi compres�i i creditti di lavoro (7). (6) Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, cit. (7) Per la rivalutazione dei crediti di lavoro in pendenza di procedure concorsuali si erano espressi, da ultimo, Cass., 23 agosto 1979, n. 4679, in Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), col. 1493, n. 243; Cass., 16 luglio 1979, n. 4137, ivi voce Fallimento, col. 918, n. 274, annotata, insieme a quella appresso citata, da A. CAIAFA, Operativit� della rivalutazione monetada dei crediti di lavoro nell'ambito delle procedure concorsuali, in Dir. lav., 1979, II, p. 284 ss.; Cass., 25 ottobre 1973, n. 4838, in Foro it., 1978, I, p. 2691 ss., con nota di richiami. Analogamente, con specifico riferimento alla procedura di concordato preventivo, cfr. Cass., 3 marzo 1980, n. 1408, ivi, 1980, I, p. 952 ss., con nota di richiami. Della dubbiosit� delle soluzioni accolte con queste ultime sentenze, si � per� resa conto la stessa Corte Suprema a Sezioni Unite, che, con ordinanza 13 ottobre 1980, n. 492 (ivi, 1980, I, p. 2629), ha sollevato questione di incostituzionalit� del combinato disposto degli artt. 59 !.f. e 429, terzo PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 561 nistrazione Difesa,. a seguito di dichiarazione di decadenza della SICA S.p.A., con ordinativo in economia 8 ottobre 1972, dell'intera partita di merce presso la S.p.A. Alemagna con la maggiore spesa di L. 1.411.800. Quanto innanzi premesso in punto di fatto, la questione da risolvere � se i due acquisti in danno eseguiti dall'Amministrazione della Difesa costituiscano valido fondamento del credito azionato in questa sede o, per diI'lo in altre parole, se siano opponibili o meno alla societ� contraente, sostenendo il liquidatore del concordato preventivo la tesi che le esecuzioni coattive della compravendita possono ritenersi autentiche esecuzioni forzate vietate dagli artt. 188 e 168 legge fallimentare e negando l'attrice la fondatezza di tale tesi. Precisato ohe, come � pacifico tra le parti, la questione non si prospetta in relazione all'acquisto in danno (quello relativo al contratto 24 agosto 1971 per la fornitura di n. 17400 razioni di cioccolato) avvenuto 1'8 ottobre 1972, circa un mese innanzi alla prima procedura concorsuale, ossia all'amministrazione controllata ammessa con decreto 25-27 novembre 1972, il problema si pone per l'acquisto in danno (que~lo relativo al contratto per la fornitura di q. 1200 di cioccolato) avvenuto con contratto 8 ottobre 1974, approvato con decreto del Ministero deJila Difesa in data 22 marzo 1975, essendo la SICA alla prima delle due date in amministrazione controllata ed alla seconda in concordato preventivo. Va precisato che l'acquisto in danno deve intendersi compiuto al momento della stipulazione del contratto di acquisto con la S.p.A. De Licia -e quindi alla data 8 ottobre 1974 -e non gi� nel momento de1l'approvazione di tale contratto, avvenuta il 22 marzo 1975, in quanto Per quanto concerne infine il problema degli interessi, si pu� condividere � la tesi de.ila infruttuosit� dei crediti in pendenza della procedura di concordato preventivo, tenuto conto del richiamo dell'art. 55 da parte dell'art. 169 l.f. (8). Meno giustificata sul piano normativo appare invece l'analoga soluzione adottata dalla sentenza in esame in riferimento alla procedura di amministrazione controllata, contrariamente agli orientamenti prevalenti sia della dottrina (9) che della giurisprudenza (10). L'ultima questione suscitata dal caso di specie riguarda il requisito legale della tempestivit� della esecuzione della compravendita in danno rispetto al momento dell'inadempimento. In proposito, mentre appare consolidata l'opinione che la valutazione del ritardo costituisce un apprezzamento discrezionale comma, c.p.c., interpretato nel senso che i crediti di lavoro non possono essere rivalutati peril periodo successivo alla data di inizio della procedura concorsuale. La questione risulta oggigiorno risolta dalla sentenza della Corte Costituzionale in data 21 luglio 1981, n. 139 (inForo it., 1981, I, p. 2347 ss., Cons. St., 1981, II, p. 728 ss., Giust. civ.; 1981, I, p. 2145 ss., Giur. cost., 1981, I, p. 1338 ss., Giur. it., 1982, I, 1, p. 150 ss.), che ha dichiarato infondata la normativa in esame, in riferimento all'art. 3 Cast., nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti di lavoro fatti valere in procedure concorsuali per il tempo successivo alla data della loro apertura. (8) In giurisprudenza, arg. ex Cass., 22 novembre 1976, n. 4383, in Foro it., Rep. 1976, voce Concordato preventivo, col. 563, n. 30, che ammette al concorso solo i crediti perinteressi sorti anteriormente all'inizio della procedura. (9) Cfr. R. PROVINCIALI, Manuale, cit., p. 2302, e S. SATTA, Amministrazione controllata, cit., p. 188. (10) Cfr. Cass., 9 maggio 1969, n. 1588, cit., e Trib. Roma, 11 ottobre 1961, in Dir. fall., 1961, II, p. 835 ss., e Temi romana, 1962, p. 26 ss. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO come ha affermato la Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza 4 dicembre 1975 n. 4010, (in Foro It., Rep. 75, voce � Contratti della Pubblica Amministrazione n. 36 e 602), il controllo dell'autorit� tutoria sui contratti degli Enti pubblici non ha funzione integrativa della volont� dell'ente e non s'mserisce nel procedimento .di formazione, operando invece secondo il meccanismo della condicio iuris, la cui verificazione implica che il contratto abbia efficacia retroattivamente, fin dal momento della sua conclusione �. Conforme, sul punto citato: Cass. 27 marzo 1973, n. 839, in Mass. Giur. It. 1973, col. 305. Tanto premesso, sostiene il liquidatore del concordato preventivo che l'inopponibilit� della cennata compera in danno discenderebbe dal combinato disposto degli artt. 168, primo comma, e 188, secondo comma, L.F., secondo cui dalla data di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, � dcreditori per titolo o causa anteriore al decreto non possOIIlo, sotto pena di nullit�, iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore �. Tale tesi, fondata da un lato, sulla totale equiparazione ~!ella c.d. � compera in danno � ai procedimenti di esecuzione forzata in forma specifica e, da un altro lato, sulla estensione del divieto di cui all'art. 168 L.F. a tutti i procedimenti con natura esecutiva, o ad essi equiparati, non � condivisa dal Collegio. Invero non � possibile accostare la compera in danno aN'esecuzione in forma specifica di un obbligo di consegna, atteso che nel primo caso � preso di mira il patrimonio di un terzo, mentre nel secondo viene aggredito il patrimonio del debitore. del Giudice di merito (11), e che comunque la sollecitudine richiesta non implica un'esigenza di immediatezza (12), non appaiono invece univoche le conseguenze dell'eventuale ritardo: alla tesi pi� rigoristica che considera l'invalidit� della compravendita eseguita fuori termine, agli effetti prev�sti dagli artt. 1515 e 1516 cod. civ. (13), si contrappone l'indirizzo pi� liberale accolto dalla sentenza annotata, per il quale la compravendita coattiva rimane comunque ~fficace, salvo a tenere esente la parte assoggettata ad essa dalle conseguenze dannose connesse con il ritardo (14). In mancanza di espresse comminatorie cii nullit� ed in applicazione del principio utile per inutile non vitiatur, ci sembra che la soluzione adottata costituisca quella pi� conforme a diritto e meriti, ancora una volta, la nostra convinta adesione . .ALESSANDRO DE STEFANO (11) Cfr. Cass., 7 marzo 1955, n. 667, in Giur. cass. civ., 1955, II, p. liO ss., con nota di G. SAVORELLI, e Cass., 16 giugno 1952, n. 1740, ivi, 1952, II, p. 1799 ss. (12) Cfr. Cass., 15 dicembre 1972, n. 3613, in Foro it., Rep. 1972, voce Vendita, col. 3086, n. 125, e Cass., 20 settembre 1954, n. 3080, in Giust. civ., 1954, p. 2115 ss. (13) Cfr. Cass., 13 febbraio 1973, n. 437, in Foro it., Rep. 1973, voce cit., col. 2795, n. 82, e Cass., 26 febbraio 1965, n. 319, in Giur. it., 1965, I, 1, pp. 1550-1551, e Giust. civ., 1965, I, p. 1897 ss.; ed ivi ampi richiami di �giurisprudenza. (14) Nello stesso senso, App. Firenze, 5 febbraio 1962, in Giur. tosc., 1963, p. 60, e Trib. Firenze, 8 marzo 1960, ivi, 1960, p. 962. Conforme, in dottrina, D. RUBINO, La Compravendita, nel Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di C1cu e MESSINBO, Milano, 1952, p. 709, secondo il quale � la soluzione pi� corretta teoricamente, e pi� opportuna praticamente, perch� meglio concilia gli opposti interessi, � quella che la ricompera, se avviene con ritardo, vale pur sempre; ... solo che, nei conteggi tra le parti, se nel frattempo il prezzo corrente � aumentato rispetto a quello del giorno in cui la ricompera avrebbe potuto e dovuto essere compiuta, deve tenersi conto non del prezzo effettivamente pagato per essa, ma di quello minore che si sarebbe pagato in quel giorno anteriore �. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE N� maggiormente fondata appare la tesi ove si volesse considerare la compera coattiva come una forma anomala di esecuzione specifica. ex art. 2931 cod. civ., nella considerazione che essa consente la realizzazione dell'interesse contrattuale dell'acquirente. Una tale assimilazione si baserebbe in sostanza su elementi estrinseci e formali (il conseguimento, in entrambi i casi, dell'oggetto della prestazione dovuta), ma giammai su una effettiva analogia delle due specie: nella realt�, il divario non potr� essere in alcun modo colmato, ove si consideri che in un caso � presupposta l'esistenza di un titolo esecutivo, e nell'altro il mero inadempimento; che l'esecuzione ~orzata si attua con provvedimento dell'Autorit� giudiziaria, e l'acquisto in danno ad iniziativa del creditore insoddisfatto; che l'obbligo di fare eseguibile ex art. 2931 cod. civ. si concreta in un facere materiale, mentre qui si tratta di acquisire un diritto di propriet� a carico del terzo, dismettendo� nel contempo quello gi� conseguito a carico del contraente inadempiente. La considerazione di� un simile divario appare sufficiente a negare fa dedotta a~similabilit� delle due figure giuridiche ed a contraddire l'affermazione che alla compera in danno possa essere. immediatamente estesa ila disciplina prevista per le procedure esecutive: il che basterebbe a negare la fondatezza delle ragioni addotte dal liquidatore. Ma anche l'altra possibile prospettiva della natura e della portata del divieto posto dall'art. 168 l. fall. fa apparire l'infondatezza della tesi del liquidatore. Tale 'divieto, infatti, se da un lato tende ad assicurare ed a gaxantire la par condicio dei creditori, da un ailtro ilato non pu� essere ragionevolmente spiegato aJ di fuori di tale finalit�. Pertanto, si ritiene esattamente in dottrina che il divieto in parola colpisca unicamente tutte le azioni individuali aventi natura � appropriativa �, che tendono cio� a destinare i;I patrimonio del debitore al soddisfacimento delle ragioni di alcuni creditori a danno degli altri, mentre per quanto attiene all'esecuzione degli obblighi di consegna o di rilascio, o di quelli di fare o non fare, occorrer� � distinguere a secondo del contenuto di tali obblighi: se questi non contrastano con le finalit� tipiche della liquidazione, allora l'azione � esperibile; in caso diverso il divieto deve essere ritenuto operante. In tal senso, infatti non sembra irrilevante la considerazione che tutti i divieti e le limitazioni imposti dalle leggi nei confronti dei terzi, debbano trovare una concreta e specifica giustif).cazione nell'ambito delle particolari finalit� della liquidazione stessa; finalit� che sono certamente preminenti rispetto all'interesse del singolo, ma che non importano una totale negazione dei diritti di cui sono titolari i privati. E, pertanto, tali diritti non sono esercitabili mediante esecuzione forzata, tutte le volte che si pregiudichino le regole fondamentali del concorso e si violi il principio della par condicio, mentre deve riconoscersi la possibilit� del loro esercizio quando nessun nocumento ne derivi a carico della liquidazione e dei creditori che vi concorrano �, 564 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Per effetto di tali principi, dunque, anche nella ipotesi in oui la � compera in danno � fosse assimilata quanto agli effetti giuridici ad un procedimento di esec;uzione forzata in forma specifica, non si potrebbe sostenere che essa rientri nel divieto delle azioni individuali posto dall'art. 168 l.f.: in nessun modo essa altera la pari condizione dei creditori in quanto, come � ovvio, non solo non ha natura espropriativa, ma neppure realizza la pretesa creditoria. Essa consente al creditore solo il conseguimento dell'oggetto della prestazione dell'originario rapporto, determinando nel contempo una forma di perpetuatio obligationis, mediante la conversione dell'obbligo di consegna nell'obbligo di corrispondere il maggior prezzo pagato, oltre al risarcimento degli eventuali danni ulteriori. In altri termini, �l'esecuzione coatta� non ha alcun carattere espropriativo satisfattivo, ma � piuttosto il presupposto per la quantificazione del credito in danaro; onde, non ha senso farla ricadere sotto il divieto di azioni esecutive individuali, che sono soltanto quelle che alterano !la par condicio creditorum, in quanto incidono sul �patrimonio del creditore>>, secondo l'espresso disposto dall'art. 168 1. fall. Nessuna difficolt�, !Il� d'ordine logico, n� d'ordine costruttivo, incontra invece la domanda attrice nell'ovvio presupposto che l'ammissione della soc. SICA S.p.A. alla procedura di amministrazione controllata non ha inciso sui rapporti giuridici preesistenti e, in modo specifico, sulla efficacia del contratto di compravendita stipulato con l'Amministrazione della Difesa in data 1� febbraio 1972. Resasi essa inadempiente all'obbligo di consegnare la merce venduta, l'Amministrazione acquirente, avendo la facolt� o di ricorrere agli ordinari 1rimedi avverso l'inadempimento negoziale (e quindi di ricorrere all'azione d'inadempimento o a quella di risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni) o di ricorrere alla speciale procedura della compera in danno, che, secondo la dottrina dominante, � costituisce un atto di autotutela contrattuale che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente l'ammontare del danno in ragione delle differenze di prezzo e delle spese dell'operazione�, ha scelto la seconda soluzione, salva la necessit� di ricorrere ad una azione di accertamento come la presente, nell'ipotesi in cui fossero stati contestati i presupposti del procedimento o il quantum della liquidazione. Rimane cos� accertata la possibilit� dell'Amministrazione di far ricorso a:lJ.a procedura di cui a!ll'art. 72 C.G,d'O., che crune si � chiarito dnnanzi, costituisce solo una forma di liquidazione del danno, e giammai una forma di realizzazione satisfattiva del credito. 4) Deve a questo punto il Collegio esaminare la subordinata eccezione sollevata dal liquidatore del concordato relativamente agli effetti della affermata tardivit� del contratto di acquisto in danno stipulato fra il PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 565 Ministero della Difesa e la S.p.A. De Licia nei confronti del Concordato della SICA S.p.A., considerando che, come si � precisato innanzi, il termine perentorio ad adempiere fissato dall'Amministrazione alla SICA ebbe a scadere il 30 gennaio 1974 (v. missiva 5 febbraio 1974 prot. 148/1) e che l'acquisto in danno deve intendersi compiuto al momento della stipulazione del contratto di acquisto con la S.p.A. De Licia, ossia alla data 8 ottobre 1974. Invero, posto che l'Amministrazione della Difesa ha fondato la domanda di decadenza della SICA S.p.A. dal diritto di proseguire la fornitura relativa alla consegna di q. 741 di cioccolato a saldo della provvista prevista dal contratto 1� febbraio 1972 a norma dell'art. 72 delle Condizioni Generali d'Oneri, facenti parte integrante del contratto, e che � conseguentemente si sarebbe proceduto ad acquistare il predetto quantitativo in danno della ditta medesima... �, l'indagine del Collegio deve essere diretta ad accertare se la cennata consegna in danno sia tardiva e, nell'ipotesi affermativa, quali conseguenze derivino. Stabilendo il cennato art. 72 delle Condizioni Generali d'Oneri: � si dichiara per patto espressamente convenuto che scaduto il termine utile fissato nel contratto per la consegna delle provviste o quello di gg. 10 specificato al n. 4 dell'art. 69, l'Amministrazione, assegnato all'assuntore un termine perentorio che sar� da essa medesima insindacabilmente stabilito, anche in relazione alle esigenze di servizio, avr� facolt� (ove tale termine sia trascorso, per tutte o parte delle consegne scadute, infruttuosamente) indipendentemente dall'applicazione delle multe sopra indicate, di dichiarare decaduto il fornitore dal diritto di proseguire il contratto e di far eseguire, a conto e a rischio del fornitore stesso, anche a trattativa privata o ad economia, le provviste appaltate e non eseguite, senza che occorra altro avviso di costituzione in mora o giudiziale affidamento�, ritiene il Tribunale che questa compera in danno debba essere effettuata con la massima sollecitudine, come appare evidente dall'inciso finale innanzi riportato che prevede la possibilit� della Amministrazione (verificatesi le condizioni indicate nella prima parte dell'articolo in esame), di far eseguire le provviste appaltate e non eseguite senza alcun'altra ulteriore attivit� da parte della P.A.. D'altronde il requisito della massima sollecitudine, quale risulta dal menzionato art. 72 delle C.Gid'O. contenuto nel R.D. n. 35 del 20 giugno 1930, trova riscontro nella successiva regolamentazione fatta dal cod. civ. del 1942 della vendita in danno e dell'acquisto in danno agli artt. 1515 e 1516, in cui si dispone che la compravendita deve avvenire �senza ritardo�, a parte l'osservanza di altre modalit� ivi precisate, e ci� al fine evidente, con riferimento alla seconda ipotesi, di evitare che la situazione del venditore venga aggravata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Orbene, sulla �scorta dei oennati rilievi, ritiene !il TribU!llaJ.e che l'acquisto in danno fatto dall'Amministrazione m data 8 ottohTe 1974 (ossia ad oltre otto mesi dalla scadenza del termine perentorio fissata da essa Amministrazione) non possa ritenersi effettuato tempestivamente, chiaro essendo che assolutamente irrilevanti rimangono i tentativi fatti dalla Amministrazione con la licitazione privata e due raccolte di offerte private effettuate in data 28 maggio 1974, 26 giugno 1974 e 9 luglio 1974. Ritiene in altri termini il Collegio che, scaduto il termine perentorio, l'Amministrazione avrebbe dovuto, se non immediatamente, ma con sollecitudine, quale � possibile per una Pubblica Amministrazion�, provvedere all'acquisto in danno e non attendere oltre otto mesi, perch� � indubbio che cos� comportandosi ha notevolmente aggravato la posizione della societ� venditrice, specie in considerazione della circostanza che nei primi mesi del 1974, come � notorio, si � verificato un forte aumento dei prezzi all'ingrosso. 5) Deve a questo punto il Collegio affrontare la questione avente ad oggetto gli effetti di questa tardiva compera in danno. Invero, precisato che detto istituto � una forma privata di autotutela che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente H danno in ragione delle differenze di prezzo tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto ed il prezzo convenuto, e posto che tale rimedio, che si aggiunge alle ordinarie azioni giudiziali di condanna all'adempimento o di risoluzione, costituisce un mezzo sostitutivo dell'ordinaria azione civile intesa ad ottenere l'esecuzione o la risoluzione del contratto, � di tutta evidenza che la tempestivit� nell'esecuzione della compravendita in danno � elemento essenziale di questa figura giuridica. La rapidit� dell'esecuzione del contratto, infatti, mentre da un lato assolve la funzione di una immediata realizzazione del risultato a favore del contraente adempiente, garantisce il contraente inadempiente dagli effetti negativi delle variazioni dei prezzi sul mercato che potrebbero verificarsi tra la data ultima dell'adempimento ed una lontana data di compera in danno. Orbene, una volta affermato che la compera m danno ha come oggetto la liquidazione anticipata del danno ed una volta accertato ohe la stessa, nella specie in esame, � stata effettuata ad oltre otto mesi dall'ultima diffida ad adempiere, ritiene il Collegio che i prezzi da considerare siano quelli del 30 gennaio 1974... (omissis). 6) Ci� premesso va precisato, con riferimento alle domande accessori~ relative agli interessi, alle penali ed alla rivalutazione, che le stesse non possono trovare accoglimento. E principio ormai pacifico, come chiarito dalla Suprema Corte con sentenza 8 maggio 1969, n. 1588 (esibita in PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE forma integrale) che le procedure di amministrazione controllata e di concoridato preventivo importano, al pari del fallimento, la cristallizzazione tanto della posizione. patrimoniale del debitore quanto del creditore a far capo del momento del loro inizio (art. 168 e 188 [.f.), con la conseguenza che da quel momento non possono maturare penali, che altererebbero la par condicio. Non �, pertanto, possibile riconoscere le penali. La richiesta degli interessi non pu� trovare accoglimento rper il combinato 1disposto degli artt. 169 e 55 U., per la regola della par condicio creditorum. La stessa regola rende inutile ogni discorso sulla rivalutazione... (omissis). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 gennaio 1982 n. 95 -Pres. Brancaccio - SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 gennaio 1982 n. 95 -Pres. Brancaccio - Est. Battimelli -P. M. Antoci (diff.). Salice (avv. Viola) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di bollo -Copia di atto pubblico da presentare all'ufficio del registro per la registrazione -Esenzione Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, tabella B, n. S; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 11 e 17). La copia conforme dell'atto pubblico che a norma dell'art. 11 del d.P.R. n. 634/1972 deve essere presentata, unitamente all'originale, per la registrazione, non ha la funzione di consentire l'accertamento e la riscossione dei tributi, bens� quella di pubblicit� e conservazione degli atti di cui all'art. 17; non � di conseguenza applicabile a tale copia l'esenzione dell'art. 5 tabella B del d.P.R. sul bollo n. 642/1972 (1). (omissis) Il ricorso non va accolto, in quanto la sentenza impugnata appare corretta nel suo dispositivo, seppure ne vada, come si dir�, parzialmente corretta la motivazione a sensi dell'art. 384, 2� comma, c.p.c. Ed invero, giustamente il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto di negare l'esenzione dal bollo della prima copia certificata conforme traendo argomento dall'art. 11 del nuovo testo dell'imposta di registro (D.P.R. n. 634 del 1972), secondo cui la seconda copia, da esibire in sede ,di registrazione idi atti compOTtanti trasferimento di diritti reali sui beni immobili, va redatta in carta libera, da ci� argomentando che detta norma contenga l'implicita e sottintesa affermazione che la prima copia (quella da prodursi in via generale per la registrazione di tutti gli atti notadli) debba essere redatta in carta bollata. L'art. 11 suddetto, invero, incluso nel testo di una normativa attinente ad una diversa imposta, non pu� essere utilizzato per ricavarne una disposizone in contrasto con la generale previsone di esenzione di cui aill'art. 5 della nuova legge di bollo (d.P.R. n. 642 del 1972), che specificamente disciplina la materia. L'art. 11 della nuova legge di registro, (1) Decisione esattissima di cui va segnalata la accurata esegesi delle norme esaminate. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA infatti, costituisce niente altro che la materiale trasposizione, effettuata dal legislatore delegato (nell'esercizio della funzione di coordinamento delle varie norme contenute nella complessa preesistente legislazione dell'imposta di registro), dell'art. 6 del r.d.I. 5 marzo 1942, n. 186, norma che prevedeva, nel complesso della nuova regolamentazione della procedura di accertamento di valore degli atti contenenti trasferimento di immobili, l'obbligo della presentazione all'ufficio del registro di una seconda copia in carta semplice, copia occorrente per l'invio ai competenti uffici ai fini dell'accertamento di valore. Non vi � . dubbio, pertanto, che tale copia fosse uno di quegli atti � presentati ai competenti uffici ai fini dell'applicazione delle leggi tributarie �, per la quale, in mancanza di una generale esenzione �ad hoc� nella legge di bollo del 1923, in vigore allorch� fu emanato il decreto del 1942, fu prevista una particolare esenzione. Detta norma, peraltro, non aveva pi� ragione di esistere dopo che, con l'emanazione della legge di bollo del 1953, che all'art. 47 soppresse tutte le esenzioni previste in leggi diverse da quelle sul bollo, fu istituita, all'art. 9 della tabella all. B, una esenzione del tutto corrispondente a quella prevista nell'art. 5 della tabella B della nuova legge di bollo del 1972, esenzione, per quanto detto, pienamente applicabile alla seconda copia esibita ai fini dell'accertamento di valore, e cio�, specificamente, ai fini dell'applicazione di un'imposta. La relativa disposizione dell'art. 11 della nuova legge di registro del 1972, pertanto, � puramente pleonastica e superflua, frutto di un difetto di coordinamento da parte del legislatore delegato alla emanazione dei nuovi testi in materia tributaria. Non pu�, pertanto, trarsi, dal suddetto art. 11, alcun argomento per la soluzione del problema che qui interessa. Ci� chiarito, ne consegue che il problema va risolto in base all'interpretazione dell'art. 5 della tabella B della nuova legge di bollo del 1972, che prevede ,J'esenzione per gli atti presentati ai competenti uffici in funzione dell'applicazione di leggi tributarie, norma da interpretarsi in correlazione con l'art. 2 della Tariffa allegata alla stessa legge, secondo cui sono soggette a bollo le copie di atti notarili, certificate conformi dal notaio rogante; categoria, questa, in cui senza dubbio rientra la copia della cui esenzione qui si discute. A tal fine, va chiarito che il suddetto art. 2 � del tutto corrispondente all'art. 3 della legge di bollo del 1953, norma, questa, a sua volta corrispondente alla previsione contenuta nella Tariffa della legge di bollo del 1923, e va precisato che ~ in errore il ricorrente allorch� afferma, come argomento collaterale a sostegno della propria tesi, che solo la legge del 1923 prevedeva espressamente l'obbligo della bollatura per le copie conformi esibite agli uffici del registro, mentre tale obbligo sarebbe stato soppresso dalle successive normative del 1953 e del 1972; ed 570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO invero il fatto che la sottoposizione a bollo delle copie conformi fosse prevista, nella legge del 1923, in un apposito articolo della tariffa, non dipendeva affatto dalla mancata previsione di tassazione in base ad altri articoli della stessa tariffa, ma pi� semplicemente dal fatto che, all'epoca, erano previsti diversi valori di carta bollata per i vari atti, e che, mentre per le copie notarili conformi in genere era prevista una tassazione di lire 4 o lire 3, per le copie presentate agli uffici del registro fu prevista una minore tassazione di L. 2; soppressa, con la legge di bollo del 1953, la previsione di diversi valori di carta bollata, la norma dell'art. 24 della precedente tariffa non aveva pi� ragione di sopravvivere, il che, peraltro, non comport� una generica esenzione dal bollo per le copie presentate agli uffici di registro (rientrando esse -come anche per la nuova 1legge del 1972 -nella generica previsione di tassabilit� di tutte le copie notarili conformi); l'esenzione, peraltro, era ammessa qualora ricorresse l'ipotesi di cui al gi� ricordato art. 9 della Tabella B, corrispondente all'art. 5 della Tabella nuova legge del 1972 che, su tale punto, in nulla ha immutato al precedente regime. La questione, pertanto, va risolta senza che !':indagine possa o debba essere influenzata da richiami alla precedente normativa, ma unicamente in forza dell'interpretazione dell'art. 5 della Tabella della legge di bollo del 1972, secondo cui sono esenti da bollo, fra l'altro, le copie presentate ai competenti uffici � ai fini dell'applicazione di leggi tributarie �; trattandosi di norma di esenzione, che non pu� estendersi, come norma eccezionale, oltre i casi da essa espressamente previsti, l'interpretazione va fatta approfondendo l'indagine sulle espressioni adoperate dal legislatore, il quale non ha gi� detto che l'esenzione spetti qualora le copie vengano presentate � in occasione � di una procedura di applicazione di una legge tributaria (ossia di una procedura cli �imposizione�), bens� che essa spetta quando le copie siano necessarie � ai fini � di tale procedura: occorre, cio�, che la funzione specifica della copia presentata sia quella di permettere l'espletamento della procedura di tassazione e pertanto, sotto tale angolazione, vanno esaminate le norme della nuova legge 'di registro del 1972, per accertare quale funzione espJ.ichino gli uffici del registro in conseguenza della presentazione della copia conforme, e, specularmente, quale funzione abbia detta copia. A tal fine, va ricordato che per la nuova legge di registro, come gi� per quella precedente del 1923, la registrazione degli atti notarili avviene con la presentazione, all'ufficio del registro, dell'originale dell'atto e di una copia conforme, in genere; inoltre, per tutti gli atti che possano dare origine ad un procedimento di accertamento di valore, � richiesta una seconda copia (la cui funzione � quella di essere inviata agli uffici accertatori come documentazione necessaria per la procedura di valutazione). La registrazione in base alle risultanze dell'atto va effettuata PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 571 sull'atto originale, sul quale essa viene annotata, ed in base a quanto risulta dall'atto stesso. Ne consegue che la copia conforme, appunto perch� tale, e quindi di nessun ausilio ai fini della lettura dell'atto originale, rispetto al quale non pu� fornire alcun ulteriore utile elemento, non ha a.J.cuna funzione ai fini della tassazione: n� per quella immediata, per la quale � sufficiente la lettura dell'originale, n� per quella eventuale futura, a completamento della registrazione e tassazione originarie, per la quale � appositamente prevista una seconda copia. La prima copia, pertanto, viene trattenuta dall'ufficio per fini che necessariamen.te sono diversi da quelli dell'espletamento di una attivit� di tassazione (ossia di �applicazione di leggi tributarie�), fini che si ricavano dalla lettura dell'art. 17 della nuova legge di registro; in base a detta norma, infatti, l'Ufficio trattiene presso di s� la copia per dieci anni, trascorsi i quali la invia all'Archivio notarile, e inoltre rilascia, a richiesta �di parte, copie delle note di trascrizione, svolge cio�, una funZione vicaria di conservazione e una funzione di certificazione, che giustificano l'obbligo di presentazione della copia, a tali fini richiesta. Ne consegue che fa sentenza impugnata, seppure ha ritenuto a torto che la conservazione della copia serve ai fini di rilasciarne copie (il che non � previsto per le copie di atti notarili, ma solo per le copie di scritture private, e in tali sensi, in applicazione dell'art. 384 c.p.c., va rettificata, anche su tale punto, la motivazione), ha comunque esattamente affermato che la presentazione della copia occorre ai fini previsti dall'art. 17, ossia a fini che non sono direttamente�connessi alla applicazione del tributo, e correttamente, quindi, ha escluso la applicabilit� dell'esenzione in questione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 gennaio 1982, n. 168 -Pres: Mazzacane -Est. Ricciardelli -P. M. Gazzara (conf.) -Societ� Cooperativa Lavoratori Luce (avv. Natoli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle . Commissioni � Partecipazione all'udienza . Sciopero del personale degli uffici tributari � Nullit� della decisione -Esclusione. (r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, artt. 28 e 29; d.l. 21 giugno 1961, n. 498).. La mancata comparizione del rappresentante dell'ufficio tributario a causa delta sciopero del personale non impedisce di adottare validamente la decisione (1). (1) Viene confermata, anche a seguito dell'esame di nuovi profili della que� stione, la sentenza 4 gennaio 1978, n. 18, in questa Rassegna, 1978, I, 171. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 572 (omissis) La censura del ricorrente fa esplicito richiamo alla sentenza di questa Suprema Corte n. 18 del 4 gennaio 1978, la quale, affrontando per la prima volta la questione concernente le conseguenze del mancato intervento dell'organo dell'amministrazione finanziaria all'udienza di discussione del ricorso innanzi a:lla commissione, a causa dello sciopero del personale, ha affermato hl principio che, anche in caso di sciopero che blocchi tutta l'attivit� dell'amministrazione, la legge non ricollega al mancato intervento del rappresentante dell'amministrazione l'assoluto impedimento per la Commissione di decidere. Le argomentazioni di quella decisione, integralmente recepite nel motivo di censura, riconoscendo che il diritto alla difesa, costituzionalmente tutelato, e l'esigenza del contraddittorio, come presupposto dell'esercizio della giurisdizione, non si esauriscono nel momento della valida instaurazione del rapporto processuale ma si sviluppano, e quindi vanno riguardati nella continuit� della vicenda giudiziale, considerano tuttavia che la tutela di quelle situazioni si articola in modo diverso a seconda delle caratteristiche dei singoli procedimenti, e non si riferisce a tutte le possibili facolt� concesse alle parti nei vari procedimenti, ma deve tener conto dei diversi poteri e facolt�, nonch� delle conseguenze derivanti dal loro mancato rispetto o dal loro mancato esercizio, con l'unico limite che la difesa e il contraddittorio non risultino vanificati. In questa prospettiva, l'art. 28 del decreto n. 1516 del 1937, il quale prevede che la mancata presentazione del contribuente, qualunque ne sia la causa, non impedisce alla Commissione di decidere, rivela un grado d'importanza non decisiva che la legge annette alla facolt� d'intervento, sicch� l'assenza del contribuente, pur determinata da una causa giustificata, non produce la nullit� della discussione del reclamo. E poich� la difesa dell'amministrazione non pu� ricevere una tutela maggiore rispetto a quella del contribuente, in quanto si verrebbe a creare una disparit� di trattamento contraria al principio costituzionale di uguaglianza, se la rilevanza che la legge conferisce alla presenza del contribuente nella fase della discussione � quella pi� sopra delineata, non pu� negarsi che il mancato intervento del rappresentante delle finanze all'udienza di discussione, qualunque ne sia la causa, non impedisce alla Commissione di decidere. Questo collegio, facendo adesione al richiamato orientamento giurisprudenziale, ritiene che il ricorso � fondato e merita, perci�, accoglimento. Invero, le puntuali argomentazioni della sentenza innanzi richiamata, ancorch� verificata alla luce delle critiche che le sono state mosse, restano tuttora valide e vanno confermate. Le posizioni critiche si fondano sostanzialmente su primo concerne la disciplina dei termini di prescrizione due rilievi; il e di decadenza j; i: ~: (: ji ! ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA e di quelli degli adempimenti e delle formalit� riguardanti imposte e tasse a favore dell'Erario, scadenti durante il periodo di mancato o ivregolare funzionamento degli uffici a causa di eventi di carattere eccezionale. Se il d.l. 21 giugno 1961 n. 498 convertito nella legge 28 luglio 1961 n. 770, proroga i termini e gli adempimenti fino aJ. decimo giorno successivo alla data in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale di accertamento del periodo di mancato o irregolare funzionamento, la mancata comparizione del rappresentante, verificatasi in uno di quei. periodi di irregolare funzionamento dell'ufficio, non costituirebbe, secondo questa posizione, l'esercizio di una facolt�, bens� la conseguenza di una forza maggiore. Il secondo rilievo prende invece le mosse dalle attivit� consentite al contribuente nel contenzioso tributario regolato dal decreto n. 1516 del 1937 e cio�, in particolare, della possibilit� di esporre i motivi del gravame cosiddetto interruttivo con le note aggiunte da depositare fino a cinque giorni prima della seduta fissata per la discussione, per infe� rirne l'importanza che oggettivamente deve annettersi alla partecipazione del rappresentante dell'ufficio fiscale alla discussione del rk:orso. Procedendo nell'ordine, � appena il caso di rilevare che il regime della legge del 1961 riguarda i termini di prescrizione e di decadenza e quelli per il compimento delle attivit� dell'amministrazione in materia di imposte e tasse e non � dunque applicabile alla materia contenziosa e meno che mai. ai termini ordinatori che regolavano le attivit� preordinate alla discussione della controversia tributaria, secondo la precedente disciplina di cui al decreto n. 1516 del 1937. � chiaro, dunque, che, dalla normativa concernente la proroga di quei termini, nessun valido argomento gi�ridico possa trarsi a sostegno della nullit� della decisione adottata dalla commissione nel periodo durante il quale pe1idurava lo sciopero dei dipendenti dell'amministrazione finanziaria. Altrettanto deve dirsi in ordine al secondo rilievo. In realt� il procedimento dinanzi alla commissione tributaria nel sistema anteriore alla riforma del 1972, prevedendo espressamente (articolo 28) che la mancata presentazione del contribuente, � qualunque ne sia la causa�, e quindi anche se egli sia legittimamente impedito, non preclude alla commissione di decidere, � evidentemente regolato dal principio della non essenzialit� del contraddittorio nella fase della di� scussione; pertanto anche nei riguardi dell'amministrazione finanziaria, qualunque sia la causa della mancata comparizione del suo rappresen� tante, l'applicabilit� di quel principio non esclude che la commissione possa decidere. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 574 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 230 -Pres. Granata Est. Pannella -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro) c. Quorti. Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Realizzazione nel corso di procedura fallimentare -Costituisce reddito tassabile. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81, 100, 106, 125). Costituisce reddito tassabile la plusvalenza realizzata in sede di liquidazione dell'attivo fallimentare di una impresa (1). (omissis) Col primo motivo di ricorso l'Amministrazione delle Finanze lamentando la violazione degli artt. 8, 81, 91, 100, 106 e 125 t.u. 645/58, dell'art. 2448 cfr. e degli artt. da 2449 a 2457 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata l� dove essa afferma che, cessando con la dichiarazione di fallimento, l'esercizio dell'impresa commerciale, mancherebbe l'attivit� produttiva di reddito, non potendosi equiparare la liquidazione fallimentare a quella volontaria. Sostiene, quindi, che, correttamente interpretando gli arti. 8, 81 secondo comma, 100 e 106 del t.u. n. 645/58, per i soggetti tassabili in base al bilancio, la plusvalenza sarebbe impossibile per il solo fatto della sua �realizzazione�, di l� dai concetti di attivit� speculativa o di esercizio di impresa; che la realizzazione di plusvalenza in sede fallimentare rappresenterebbe la conclusione dell'attivit� commerciale dell'impresa e costituirebbe presupposto del tributo. Aggiunge che l'art. 125 del t.u. n. 645/58, prevede espressamente fa possibilit� di realizzazione di � imponibili � puntualmente tassabili nell'ipotesi di liquidazione volontaria e non si spiegherebbe la esclus.ione di essa nel caso di liquidazione fallimentare, sul rilievo che anche se sussistono differenze tra i due tipi di liquidazione tuttavia essi hanno punti di contatto incentrati nell'identit� del fine: quale � la conversione dell'attivo in danaro, per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori. Col secondo mezzo di impugnazione la ricorrente amministrazione censura la sentenza per violazione degli artt. 81, 91, 100, 106 e 125 t.u. n. 645/58 e dell'art. 42 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nel punto in cui essa afferma che, con la perdita della qualit� di imprenditore commerciale della societ� dichiarata fallita, mancherebbe un presupposto necessario (requisito soggettivo) per la tassabilit� della plusvalenza realizzata .in costanza della procedura (1) Un'opportuna riconferma della sentenza 19 luglio 1980, n. 4746, in questa Rassegna, 1980, I, 387. ' .,�������� '"". PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 575 fallimentare. Sostiene, al contrario, che, anche se il fallimento determina la cessazione dell'impresa, tuttavia la liquidazione fallimentare costituirebbe la fase � conclusiva � della stessa attivit� imprenditoriale e le plusvalenze sarebbero tassabili per il solo fatto di essere realizzate, indipendentemente dall'esercizio di qualsiasi attivit� imprenditoriale. Col terzo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione degli artt. 100 e 106 t.u. n. 645/58 in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., l� dove essa esclude la tassabilit� della-plusvalenza per difetto dell'intento speculativo. Sostiene che tale intento non � richiesto dalla legge n� per i soggetti tassabili in base al bilancio (art. 106) n� per le imprese commerciali in genere (art. 100). Con sentenza n. 4746 del 19 luglio 1980, questa Corte ha gi� avuto occasione di prendere in esame una fattispecie analoga a quella di cui qui si discute ed a pronunciarsi nel modo riassunto nella seguente massima: � Le plusvalenze delle societ� tassabili in base a bilancio, le quali sono tassabili per il solo fatto della loro realizzazione, indipendentemente dallo svolgimento dell'attivit� speculativa e dall'esercizio di una impresa commerciale sono soggette all'imposta di r.m. ai sensi degli artt. 106 e 125 del d.P.R. 28 gennaio 1958 n. 645, sia che sopravvengano nel corso di una liquidazione ordinaria sia che si realizzino nel corso di una liquidazione fallimentare, in quanto il fallimento non fa perdere al fallito la propriet� dei suoi beni e pertanto i vantaggi economici, realizzati nel corso della liquidazione fallimentare, si riflettono, indirettamente, sulla sua situazione patrimoniale �. Ebbene, sia per la esistenza di un precedente cos� specifico, dal quale non sussistono ragioni di allontanarsi, e sia per l'evidente intreccio delle questioni oggetto dei tre motivi, � opportuno esaminare tali questioni congiuntamente, focalizzando in una breve sintesi i punti centrali di esse. � intuitivo, da quanto sopra detto, che tutti e tre i motivi sono fondati. Va chiarito innanzi tutto che con la dichiarazione di fallimento l'imprenrutore commercia:le (persona fisica, societ� di persone, societ� di capitali) non perde immediatamente tale sua qualificazione, restando proprietario dei suoi beni e conservando la titolarit� di tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, anteriori e posteriori a quella dichiarazione. Ci� che dismette � ila disponibilit� dei beni stessi la cui amministra zione � affidata all'ufficio fallimentare. Per quanto riguarda le societ�, l'affermazione suddetta si presenta ancor pi� aderente e chiara, sul rilievo che la dichiarazione di falli mento, essendo causa del loro scioglimento (artt. 2308, 2448, 2497 cod. civ.), fa sorgere Jo ,stato di iliquidazione con ila sola :rilevante conseguenza della mutazione dello scopo sociale: da scopo di realizzazione dell'og RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO getto sociale a scopo di liquidazione dei beni per il soddisfacimento delle ragioni dei creditori, con la restituzione dell'eventuale supero alla societ� stessa, la quale -ritornata in bonis -potr� distribuire quel supero tra i soci o anche riprendere la sua precedente attivit� di ge stione commerciale. Dalla suesposta osservazione si deduce come i due tipi di liquida zione, volontaria e fallimentare, ovviamente differenti nella disciplina giuridica, hanno un'identit� di scopo che li accomuna: sicch� l'attivit� dell'organo fallimentare, diretta a trasformare i beni in liquidit� pecu niaria, sempre entro l'ambito della sfera giuridico-patrimoniale della societ� fallita, produce effetti analoghi a quelli derivanti dalla attivit� del liquidatore liberamente nominato dall'assemblea dei soci. In questa prospettiva si comprende come -rispetto �al Fisco -i due tipi di liquidazione non potevano in passato, come non possono oggi, non essere considerati alla medesima stregua, soprattutto con riferimento alla realizzazione di � imponibili �. Ed invero, se, con lo scioglimento della societ�, verificandosi la cessazione dell'attivit� di gestione � normale ritenere la mancanza di produzione di redditi di impresa, tuttavia non � dato escludere che nella fase della liquidazione possono realizzarsi imponibili, come ad es. le � plusvalenze �, conseguen temente alla vendita di beni immobili. Certamente il legislatore con l'art. 125 t.u. n. 645/58, ebbe a tener � presente una tale evenienza, riferendosi alla tassazione dei soggetti tas sabili in base al bilancio e che fossero in istato di liquidazione. N� c'� motivo di ritenere che egli ipotizzasse le sole liquidazioni volontarie. Con la recente riforma tributaria, il medesimo legislatore ha espres samente previsto la possibilit� di tassazione di reddito di impresa nel caso di fallimento. Art. 10 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 e art. 73 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597. Va sottolineato che la realizzazione di �imponibili� nella fase di liquidazione volontaria o fallimentare delle societ� accentua il concetto della persistenza dell'imprenditore commerciale, al quale si riannodano i � residui � del pregresso dinamismo dell'impresa. � evidente che quegli � imponibili � costituiscono una nuova ric chezza, la quale non pu� ritenersi esclusa dalla tassazione per il ::;olo fatto che � destinata, in primo luogo, a soddisfare le ragioni dei creditori concorsuali, soprattutto se si tiene presente che tale destinazione non muta il fenomeno giuridico immediato, che � quello dell'accrescimento del patrimonio sociale. L'ultimo argomento riguarda l'intento speculativo. Va chiarito che la norma giuridica trascurata dalla sentenza impu gnata � quella del secondo comma dell'art. 81 del t.u. 29 gennaio 1958 Fo n. 645, che distingue tra le plusvalenze indicate dagli artt. 100 e 106 e ii fo i: ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 577 le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni speculative. Tale distinzione pone in evidenza come le plusvalenze, le quali concorrono a formare il reddito imponibile delle �imprese commerciali (art. 100) e dei soggetti tassabili in base al bilancio (art. 106), non sono condizionate, per la loro tassabilit�, dalla verificazione di attivit� speculative. A conforto di siffatta interpretazione si aggiunge che gli enunciati degli artt. 100 e 106 non fanno cenno alcuno dell'intento speculativo. Nella fattispecie in esame, essendo la Societ� Immobiliare Urbani una societ� a responsabilit� limitata e come tale soggetto giuridico tassabile in base al bilancio, per l'accertamento della plusvalenza non si richiedeva affatto un'operazione speculativa, attribuibile al curatore del fallimento. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1982, n. 231 -Pres. Marchetti Est. Bologna -P. M. Nicita (conf.) -Russo ed altri (avv. Guidi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -Soggetti passivi � Capacit� giuridica tributaria Organizzazioni di beni e di persone -Attivit� occasionale di un gruppo di persone -Sussiste. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 8). Poich� la capacit� giuridica di diritto tributario � pi� ampia di quella di diritto privato ed � estesa a soggetti collettivi non personificati, legittimamente viene individuato come soggetto passivo un gruppo di persone, non costituenti societ�, che abbia compiuto una singola ed occasionq.le operazione di mutuo rivelata dal rilascio di una cambiale con indicazione congiunta (1). (omissis) Con il primo motivo (violazione dell'art. 8 t.u. n. 645 del 1958) si deduce che erroneamente la Commissione Tributari.a Centrale avrebbe ritenuta la legittimit� dell'accertamento unico a carico di tre distinti soggetti passivi del rapporto tributario, avendo omesso di consi (1) Sulla soggettivit� tributaria, come definita nell'art. 8 del t.u. delle imposte dirette, in senso pi� ampio di quella di diritto comune non sorgono dubbi. Ed anzi quelle anomale (�altre�) organizzazioni di persone o di beni cui fa riferimento la norma, sono qualcosa di pi� inconsueto, giacch� l'unione di persone costituita con il fine di compiere una operazione di speculazione, pu� bene rientrare nello schema tipico della societ�, sia pure occasionale. Per una analoga questione cfr. Cass. 22 luglio 1980, n. 4784, in questa Rassegna, 1981, I, 391. 578 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO derare che non tutti i rapporti plurisoggettivi danno ongme alle associazioni di fatto e/o agli enti previsti dal citato art. 8 ma soltanto quelli configuranti un inequivoco centro di imputazione di interessi comuni; comunque non dovrebbero essere considerati unico soggetto ai fini tributari i prenditori di una cambiale; e per effetto della inesistenza di una obbligazione tributaria unica e del vincolo di solidariet� sarebbe da ritenere nullo �faccertamento effettuato daill'Uffi.cio di Acireale nei confronti del Russo e del Pagani aventi domicilio fiscale fuori della circoscrizione dell'Ufficio stesso. La censura � infondata. La capacit� giuridica nel diritto tributario, nei suoi riflessi sulla configurabilit� di soggetti passivi d'imposta, � pi� ampia di quella di diritto ..privato, essendo estesa al soggetto collettivo non personificato (Cass. 1971 n. 2645, 1964 n. 2808). Tale � il significato dell'art. 8 t.u. n. 645 del 29 gennaio 1958, secondo cui sono soggetti passivi del rapporto tributario, oltre alle persone fisiche e giuridiche, alle societ� ed associazioni, anche le altre organizzazioni di persone o di beni prive di personalit� giuridica e non appartenenti a soggetti tassabili in base a bilancio, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifichi in modo unitario ed autonomo. Come risulta dall'ampia e corretta motivazione della Commissione;> Tributaria Centrale, sulla base degli elementi di fatto acquisiti nel corso del procedimento tributario, era stato posto in essere tra Barbagallo Antonino, Gioacchino Russo ed Edoardo Pagani Mamiani Della Rovere un rapporto associativo, di fatto ed occasionale, per il compimento in comune di un singolo affare (mutuo garantito da cambiali) e risultante dalla indicazione congiunta (nelle cambiali) dei nomi dei prenditori e dalla inesistenza di una societ� tra i medesimi; da tale rapporto era necessariamente derivata un'obbligazione tributaria unica a carico dei prenditori delle cambiali ed in solido tra l�ro, in quanto fondata su un presupposto unitario ed autonomo non scindibile e non suscettibile di distinte valutazioni rispetto ai singoli soggetti ed alle rispettive partecipazioni. A giudizio di questa Corte, a conclusione dei rilievi formulati nella decisione impugnata, anche il fatto che pi� persone si associno per concedere in comune un mutuo con modalit� e risultati identici per tutti, d� luogo ad una organizzazione di persone anche .se occasionale; nei confronti di dette persone associate nel senso suddetto il presupposto dell'imposta si � verificato in modo unitario ed autonomo. La conseguente legittimit� dell'accertamento unico a carico dei soggetti associati comporta il superamento della questione relativa alla diversa individuazione dei domicili fiscali di Russo Gioacchino e di Edoardo Pagani. (omissis) PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 519 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1982, n. 500 -Pres. Marchetti -Est. Bologna -P. M. Sgroi. Reo (avv. Manfredonia) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Dipace). Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Imposta sui fabbricati � Agevo lazione per le case di abitazione non di lusso -Conformit� alla licenza edilizia � ~ richiesta. (1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13). L'agevolazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408 per le case di abitazione non di lusso, richiedendo la ultimazione e la dichiarazione di abitabilit�, presuppone la. conformit� della costruzione alla licenza edilizia (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso (violazione dell'art. 13 della legge 2 luglio 1949 n. 408) si deduce che l'esenzione venticinquennale dall'imposta sui fabbricati, di cui alla norma richiamata, spetta anche in caso di parziale ma definitiva -attuazione nel biennio -della costruzione prevista nella licenza di costru:zii.one, non riJevMl!do H raffronto tra la costruzione concretamente realizzata e la licenza edilizia. Con il secondo motivo (vizi della motivazione) si rileva che la decisione impugnata non avrebbe considerato che, sebbene fosse stata data parziale esecuzione alla !licenza edilizia, un'opera compiuta era stata realizzata nel biennio. Con il terzo motivo (violazione dell'art. 15 legge 6 agosto 1967 n. 765) si deduce che, poich� l'inizio della costruzione risale all'anno 1957, non sarebbe rilevante il contrasto tra costruzione e licenza edilizia, contrasto invece che sarebbe stato sanzionato soltanto con Ja [egge !Il. 765 del 1967, intervenuta successivamente. Le censure, per 1a loro stretta connessione vanno esaminate congiuntamente e, debbono essere respinte. L'art. 13 della legge n. 408 del 1949 (applicabile alla fattispecie de qua riguardante la costruzione di un fabbricato di quattro piani autorizzata con licenza edilizia n. 184 del 5 febbraio 1957) disponeva che le case di abitazioni, le quali noo abbiano H carattere di abitazioni di lusso, la cui costruzione sia ultimata entro il biennio successivo all'inizio, fossero esenti per venticinque anni dall'imposta sui fabbricati e relative sovraimposte a decorrere dalla data della dichiarazione di abitabilit�. (1) Un nuovo indirizzo di rilevante importanza. Era sempre stata ritenuta essenziale la licenza di abitabilit� (Cass. 19 novembre 1979, n. 6028, in questa Rassegna, 1980, I, 441), ma non si escludeva che questa potesse (o dovesse) essere rilasciata per fabbricati rispondenti alle norme igieniche non assistiti da licenza edilizia. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La norma esaminata pone l'accento sul fatto, richiesto al fine della esenzione venticinquennale dell'imposta sui fabbricati e relative sovraimposte della ultimazione della costruzione entro il biennio successivo alla data di inizio e fissa l'ini1io del periodo di esenzione dalla data della dichiarazione di abitabilit�. L'accertamento di tale fatto (ultimazione) presuppone la conoscenza delJ'oggetto dei lavori di costruzione (natura, estensione, altezza, caratteristiche tecnico-costruttive etc.) in relazione ai quali l'ultimazione rappresenta l'evento rilevante ai fini suddetti. La conoscenza in questione, necessaria quale termine di .riferimento dell'accertamento della ultimazione e quale presupposto del riconoscimento del diritto alla esenzione � fornita dalla licenza edilizia e dal suo ,contenuto, poich� l'ultimazione e l'esenzione non possono riguardare qual siasi lavoro di costruzione di abitazioni a libito del costruttore (cfr. sent. 3505 del 1972 in sede di interpretazione dell'art. 14 della stessa legge). H requisito della conformit� tra provvedimento autori.zzativo e costruzione realizzata � quindi intrinsecamente postulata dalla norma esaminata, con la precisazione che la conformit� stessa deve essere intesa anche come sopravvenuta, in quanto dipendente dalla successiva approvazione di varianti al progetto costruttivo autorizzato, di provvedimenti in deroga od in sanatoria, etc. La rilevanza del criterio di conformit� tra licenza e costruzione per il riconoscimento del diritto all'esenzione � confermata dai richiamo testuale alla dichiarazione di abitabilit� al fine della concreta decorrenza della esenzione. Invero, la dichiarazione o licenza di abitabilit� ai sensi dell'art. 221 r.d. n. 1265 del 1934 (testo unico delkleggi sanitarie) per gli edifici urbani o rurali di nuova costruzione o sopraelevati o modificati, emessa dall'autorit� comunale, quando, previ i necessari controlli tecnici ed ispezioni sanitarie, risulti tra l'altro che �la costruzione sia stata eseguita in conformit� del progetto approvato�. L'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, che ha inserito nel testo della legge urbanistica n. 1150 del l7 agosto 1942 l'art. 41 ter, e secondo il quale le opere iniziate (dopo l'entrata in vigore della legge n. 765/1967) senza la licenza od in contrasto con la stessa ovvero sulla base di licenza successivamente annullata non beneficiano delle agevolazioni fiscali, dei contributi e provvidenze dello Stato e degli enti pubblici, e secondo il quale il contrasto tra licenza e costruzione deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubature o superfici coperte in eccedenza, non � applicabile nella specie n� rilevante, contrariamente alla tesi del ricorrente. La norma redatta per le agevolazioni in genere ed avente quindi carattere generale non pu� derogare ad una norma speciale anteriore, quale quella di cui all'art. 13 della legge n. 408 del 1949: ed in tal senso si i l PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 581 � gi� espressa quest� Corte con sentenza n. 5722 del 1978, che peraltro ha adottato una diversa interpretazione dell'art. 13 citato. Inoltre, l'art. 15 in esame riguarda le costruzioni senza licenza e quelle contrastanti per eccesso il contenuto della licenza edilizia (in vista di una corretta attuazione delle prescrizioni urbanistiche), mentre l'art. 13, inserito in una legge diretta a garantire l'incremento delle costruzioni edilizie, submdina l'esenzione all'ultima:ZJi.one dei lavori cosi come previsti nella licenza edilizia e pertanto idonei a sfruttare le possibilit� costruttive ,(previste dalla licenza) in vista dell'incremento delle costruzioni edilizie considerate. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 febbraio 1982 n. 957 -Pres. La Farina Est. Lipari -P. M. Sgroi (conf.). Facondini (avv. Romanelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali � Accertamento -Revisione � Nozione � Termine � Elementi divel."si da qualificazione valore ed ori� gine � Termine quinquennale. (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74, 84, 91). La revisione dell'accertamento dell'art. 74 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, soggetta al termine semestrale di decadenza, ha per oggetto la qualit�, la quantit� e l'origine delle merci, ossia le questioni di identifi� cazione merceologica o di quantit� e di valore che concorrono a formare la base imponibile; tutte le altre rettifiche che, ferma restando la base imponibile, hanno riferimento, oltre che ad errori di calcolo, alla interpretazione della tariffa ed in genere all'applicazione della legge non sono soggette al termine semestrale di decadenza, ma al termine quinquennale di prescrizione sia per pretesa di un maggiore tributo (art. 84) sia per il rimborso di una somma non dovuta (art. 91) (1). (omissis) Con il primo mezzo l'importatore ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 84, 57 e 91 del t.u. delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, sostiene relativamente alle bollette doganali di data posteriore �all'entrata in vigore del d.P.R. medesimo (nell'implicito, ma (1) Sostanzialmente conforme � la sentenza 10 novembre 1981, n. 5951 di cui si omette la pubblicazione. Vtiene riconfermato, con ampiezza di argomentazione, l'indirizzo di cui alla sentenza 26 febbraio 1980, n. 1330, in questa Rassegna, 1980, I, 830. Giova ricordare che la decadenza dell'art. 84 non opera nemmeno riguardo a merci non dichiarate, anche se materialmente passata attraverso la dogana (Cass. 29 aprile 1980, n. 2836). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO erroneo, presupposto che lo ius superveniens procedimentale non si applichi a fatti di esportazione precedentemente verificatasi, e comunque introducendo una distinzione non mai adombrata nelle precedenti fasi del giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale) che nella specie non si poteva prescindere dal procedimento di revisione dell'accertamento di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 43 del 1973, soggetto al termine decadenziale di sei mesi dalla data in cui l'accertamento medesimo era diventato definitivo, gi� ampiamente decorso, per operare la rettifica dell'inquadramento tariffario delle merci importate (semi di zucca) alla voc� 12.03 (semi destinati alla semina) anzich� alla voce 12.01 (semi oleosi). Secondo hl ricorrente la modifica deHa voce doganale equivale alla modifica della qualificazione giuridica della merce, e tale operazione costituisce una vera e propria revisione dell'accertamento; la rettifica, a prescindere dal procedimento di revisione, sarebbe stata possibile solo se rilevata e contestata nella fase compresa fra l'accettazione della dichiarazione e la liquidazione dei diritti regolati dall'art. 59 del t.u. Nell'accertamento relativo alla qualit� si prendono in considerazione le qualit� fiscalmente rilevanti della merce, riconoscendosi da parte della dogana l'esistenza, della merce varificata, di caratteristiche merceologiche e funzionali idonee a fare inquadrare la merce stessa in una delle voci e sottovoci della tariffa, conseguendone fa diretta correlazione fra intrinseca qualificazione merceologica ed applicazione della tariffa.� L'articolo 84 si applica quando l'errore emerge dalla bolletta doganale come tale e non anche quando .non attiene alla compilazione della bolletta, ma alle valutazioni e classificazioni compiute nel corso dell'accertamento, che dovrebbe, pertanto, essere corretto con l'apposito procedimento di revisione. L'ambito di applicazione dell'ultimo comma dell'art. 84 sarebbe, pertanto, circoscritto alla riscossione (rispetto alla voce esattamente indi� viduata dall'accertamento) di un diritto previsto per un'altra voce, o, nell'ambito della stessa voce, per causale diversa da quella esattamente corrispondente alla classificazione, essendo incorsa la dogana nell'errore materiale di collegare una determinata voce, o sottovoce tariffaria, a diritto diverso. Il motivo � infondato. Occorre muovere per confutarlo dal riscontro dei testi normativi invocati. Il capo III del titolo II della vigente legge doganale (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) disciplina la procedura di accertamento che si correla alla dichiarazione doganale la quale deve contenere (fra l'altro), ai sensi dell'art. 57 lett. d), la descrizione delle merci, per ciascun collo, con l'indicazione, secondo le denominazioni della tariffa, della qualit�, com� posizione e quantit�, e per le voci di tariffe che siano determinate con PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA decreto del Ministro per le finanze, con la :indicazione anche delle denominazioni commerciali. Il successivo art. 59 stabilisce che, accettata la dichiarazione, la dogana deve procedere, in contraddittorio con il proprietario, all'accertamento della qualit�, della quantit�, del valore e dell'origine delle merci che formano oggetto della dichiarazione stessa. Se la merce � riconosciuta conforme alla dichiarazione, ovvero se l'operatore non contesta le difformit� risultanti dall'accertamento, si procede alla liquidazione di diritti e si annota la dichiarazione nel registro, munendola del numero e della data (che segna il termine di definitivit� dell'accertamento); la dichiarazione r�gistrata assume valore di bolletta. Nel corso dell'accertamento possono sorgere contestazioni � circa la qualificazione, il valore e l'origine della merce dichiarata� (ovvero circa il regime di tara od il trattamento degli imballaggi), disciplinate al Capo IV dello stesso titolo, contenente altres� l'art. 74, il quale stabilisce, sotto Ja rubrica �Revisione dell'accertamento�, che �la dogana pu� procedere alla revisione dell'accertamento divenuto definitivo, ancorch� le merci che ne hanno formato oggetto siano state lasciate alla libera disponibilit� dell'operatore�, Tale revisione, sia se compiuta d'ufficio, sia se sollecitata dall'interessato, � soggetta al termine decadenziale di sei mesi dalla data di definitivit� dell'accertamento. Quando dalla revisione medesima emergano inesattezza, omissioni od errori, riguardanti gli elementi presi a base dell'accertamento, la dogana procede alla relativa rettifica e ne d� comunicazione all'operatore interessato, notificandogli apposito avviso, e l'operatore pu� contestare tale rettifica entro trenta giorni, provocando al riguardo una controversia doganale secondo le regole generali. (Sulla genesi ed ambito applicativo dell'art. 74 cfr. l'ampia trattazione contenuta nella sentenza n. 2836 del 1980, nonch� la successiva decisione n. 4070/81). A sua volta l'art. 84 della legge doganale, che disciplina la prescri zione dei diritti doganali, stabilisce all'ultimo comma, che se il mancato pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualit�, della quantit�, del valore, o dell'origine della merce, si applicano le dispo sizioni dell'art. 74, mentre prevede al comma 2 lett. a) che l'azione dello Stato per la riscossione dei diritti si prescrive in cinque anni (comma 1�), decorrenti dalla data de1la bolletta doganale per i diritti in essa liqui dati e non riscossi in tutto o in parte per qualsiasi causa �o dovuti in conseguenza di errori di calcolo nella liquidazione, o di erronea applica zione della tariffa �. La tesi del contribuente � che nel caso considerato l'inquadramento di un dato prodotto in una anzich� in un'altra voce di tariffa, ferma ed incontestata la identit� merceologica, integrando una questione coinvol gente inesattezze, omissioni ed errori riguardanti elementi presi a base 584 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'accertamento, dovrebbe ricondursi all'ipotesi della revisione ex art. 74 d.P.R., e non gi� a .quella dell'art. 84 comma 2 lett. a), riguardante esclu� sivamente il caso in cui, senza che venga in d.is�cussione l'inquadramento tariffario, nell'operare la liquidazione si siano comm.essi errori, vuoi per non avere esattamente rilevato l'aliquota corrispondente, vuoi per avere operato malamente il relativo calcolo. Il ricorrente invoca a conforto del proprio assunto la circostanza che l'ultimo comma dell'art. 91 del t.u., in tema di rimborsi, opera esso pure un richiamo all'art. 74 se l'indebito pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualit�, della quantit�, del valore o dell'origine della merce (mentre i precedenti commi circoscrivono la sfera di operativit� della norma sui rimborsi alle somme pagate in pi� del dovuto per errori di calcolo nella liquidazione, o per l'applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la merce descritta nel risultato dell'accertamento, parlando espressamente di errore di calcolo o di tassazione). Ritiene, pertanto, che l'espressione �erronea applicazione delle tariffe � usata nell'art. 84 abbia il medesimo significato della locuzione � applicazione di un diritto diverso di quello fissato in tariffa � che, si legge nell'art. 91, assumendo esclusivamente che la facolt� di recupero consentita all'amministrazione dal suddetto art. 84, entro il termine di prescrizione, sia limitata all'erronea applicazione di un diritto doganale diverso da quello dovuto alla stregua della voce di tariffa cui si voleva fare riferimento, restandone esclusa l'ipotesi di inesatta inucleazione della congrua voce di tariffa, mediante sostituzione di quella risultante dalla bolletta doganale, essendo la correzione di un siffatto errore possibile soltanto attraverso la revisione dell'accertamento. 4. Con molta chiarezza il ricorrente contrappone l'errore di riscossione (rispetto alla voce esattamente individuata nell'accertamento) di un diriJto� previsto per un'altra voce, o nello ambito della stessa voce per causale diversa da quella esattamente corrispondente alla operata classificazione (inquadrabile nel genus errore materiale, stante la indebita riconduzione di una determinata voce o sottovoce tariffaria a diritto diverso), all'errore che incide sulla stessa identificazione della voce tarif. faria concretamente applicabile, suscettibile di correzione solo in sede di accertamento, ovvero con la procedura di revisione. Ma � proprio la chiarezza dell'impostazione seguita che ne mette in luce la insostenibilit� giuridica, evidenziando l'equivoco di fondo che la travaglia: la mancata considerazione, nel novern delle controversie doganali, di quelle di classificazione (o di assimilazione) in contrapposizione a quelle di qualificazione merceologica e di accertamento del valore. Trattasi di nozioni che non hanno riscontro nominalistico nella vigente legge doganale, pur mantenendo, cos� come sono state enucleate dalla dottrina, una loro attitudine a distinguere il momento fattuale dal ~ i ! I i ' . . I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 585 momento pm propriamente qualificatorio, in senso tecnico-giuridico, del presupposto del tributo gi� accertato nelle sue dimensioni merceologiche e valutative. Come � noto, intorno agli anni 60, a seguito di una decisione della Corte cost. (n. 40 del 1958) che ebbe a dichiarare l'illegittimit� costituzionale dell'art. 26 secondo comma del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, si discusse in giurisprudenza sulla tutela giurisdizionale spettante a proposito di controversie doganali riguardanti la qualificazione delle merci e l'accertamento del valore; e, dopo qualche oscillazione, fin� per. prevalere la tesi che postulava la competenza dell'AGO sulle questioni di estimazione doganaie sussistendo un diritto soggettivo del contribuente alla esatta determinazione del presupposto del tributo nelle sue dimensioni fattuali. Ma non si � mai dubitato della competenza del giudice ordinario a conoscere delle controversie di classificazione, riguardanti l'applicazione a merci di qualificazione merceologica e di valore gi� determinato dell'appropriato articolo di tariffa; poich� non si compie al riguardo un giudizio estimatorio, ma si tratta di applicare al fatto gi� accertato, senza margine di discrezionalit�, la norma, attenendo il problema in discussione esclusivamente alla interpretazione di tale norma. Analoghe alle controversie di classificazione sono quelle di assimilazione, riguard;mti la classificazione di merci di qualificazione merceofogica gi� determinata che, non essendo considerate specificamente da alcuna voce del repertorio o della tariffa, vanno ricondotte a quella maggiormente affine. Trattasi, all'evidenza, anche in questo caso, di risolvere un problema esclusivamente giuridico, senza alcuna componente estimatoria, ravvisabile, invece, nelle controversie di qualificazione merceologica ed in quelle di accertamento del valore. La enucleazione di pr<;>fili estimatori di merito, ovvero di profili qualificatori di puro diritto, si riflette non soltanto sul problema della giurisdizione, ma concorre a circoscrivere il � proprium � dell'accertamento doganale, in quanto inteso alla determinazione della base imponibile alla cui stregua applicare la tariffa. In questo senso prendono fondamentale rilievo le norme richiamate dal ricorrente le quali sottolineano tutte le componenti del giudizio estimatorio, che si radica sulla dichiarazione doganale nella quale deve essere contenuta anche l'indicazione della voce di tariffa cui ricondurre le merci importate, ma che fondamentalmente deve dare atto della � qualit�, composizione e quantit� � (cfr. art. 57), mentre l'accertamento di cui � parola nell'art. 59 riguarda appunto � qualit�, quantit�, valore, ed origine � delle merci che formano oggetto della dichiarazione medesima. Su questa linea della qualificazione merceologica e della determinazione correlativa del valore, si sviluppa coerentemente la normativa che attraverso il prelevamento m1�mKfllllltllllfrlllllllllllllrillllllllll1"lllllllllllfll 586 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO di campioni affida a periti doganali le fondamentali valutazioni merceologiche; perci� il procedimento riguardante tali contestazioni, nella sua fase amministrativa, � scandito dalla presenza di �periti doganali� il cui parere, a tutti i livelli di sviluppo delle contestazioni medesime, appare fondamentale. All'accertamento, inteso riduttivamente come determinazione della base imponibile risultante dalla qualificazione merceologica operata, si correla la specifica norma nella �revisione�, implicante, come emerge con sicurezza dal comma secondo dell'art. 74, una attivit� ispettiva e valutativa da compiersi sulle merci per �accertare� con maggiore esattezza, e superando eventuali dubbi, qualit�, quantit� e valore. Scopo dell'accertamento in revisione, come risulta testualmente dal comma quarto del menzionato art. 74, � la messa in evidenza di � omissioni ed errori riguardo agli elementi posti a base dell'accertamento �. Quando, invece, l'accertamento si � compiuto senza contestazioni circa gli elementi di identificazione deHa base imponibile, ed � assolutamente pacifico il � tipo � merceologico cui appartiene la merce, ai fini della corresponsione del tributo si tratta di operare il riscontro con le indicazioni della tariffa, che il pi� delle volte si risolve puramente e semplicemente nel raffronto nominalistico; qualche problema potrebbe sorgere quando il tipo merceologico determinato a seguito dell'accertamento non figuri nelle tariffe, dovendosi assimilare la merce alla categoria nominata con cui ha maggiore affinit� alla stregua della adeguata interpretazione della legge e della tariffa doganale. Tale giudizio di assimilazione non consiste in una interpretazione analogica, dato che il criterio applicativo scaturisce direttamente dalle norme positive e non deve essere creato dall'interprete, con strumenti ermeneutici integrativi, per colmare un vuoto di cui il legislatore era inconsapevole. A proposito di tariffe doganali, il legisfatore, anzich� elencare tutte le possibili merci tassabili, accingendosi ad un compito sicuramente destinato all'insuccesso, pur avendo provveduto a minuziose indicazioni, ha avuto cura di precisare, con norma di chiusura del sistema, che in ognuna de1le voci espressamente indicate si dovessero ritenere comprese anche le merci aventi caratteristiche simili, configurando tutti gli articoli delle tariffe come norma e fattispecie non esclusiva, integrabHi, quindi, volta a volta alla stregua del criterio dell'assimilazione. L'individuazione de11a merce pi� affine a quella in esame pu� richiedere nell'interprete nozioni extragiuridiche, presentando una componente tecnica, ed il compimento di una operazione logica non diversa da quella richiesta per la qualificazione merceologica, nel compiere la quale, peraltro, il risultato finale cui si perviene � rigorosamente qualificatorio in senso tecnico giuridico, operandosi alla stregua della ratio legis e quindi non I ! l ! �.�z.c�.�Z�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.�.�.'.-................................................................. �.�.��.�.�.�.�N.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.".'.'.'.'.'.'.�.�.-....................................... �.�.�.�.�.'.'.�.�.�.�n.�.�N.".'.'.".'.'.'.'.'.'.".'.'.'.".�.�.�.�_. .................................................... ..., ........... '.'.'.'.'.'.'.'.'.'.'�'.'.".�.�.�.�N.'.".'.".'.".'.".'.'.'.'.'.'.'.'.�.�.�.-.�.-.�.�.�.�.�.�.�.-. .J 11r11~~1f11flri1lilllririflri1;1rrr~�rriifrflr;l�!:rrgirlfrlllf~flt1tfllfl&1rlriflrlfidtillllirlr;1:1lfrllllllf'flfirl PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 587 soltanto in base al tipo merceologico (facendo leva sulle somiglianze fisico-chimiche), ma considerando la merce nella sua dimensione socioeconomica, applicando i criteri di politica economica fiscale che hanno presieduto alla formazione delle tariffe, e ne hanno ispirato Je statuizioni, venendo a configurarsi detta ratio come il fondamentale dato di lettura di cui l'interprete deve tenere conto. 5. Se, quindi, il momento dell'accertamento dei dati di base per la tassazione va tenuto distinto da quello dell'applicazione della tariffa da effettuare alla stregua della qualificazione merceologica, assume decisivo rilievo l'espressione contenuta nell'art. 84 comma 2 Jett. a) il quale, 1 nel riferirsi ad errori di applicazione della tariffa, sottolinea, secondo la lettera e lo spirito della locuzione, la cesura fra qualificazione merceologica, e riconduzione della specie all'una ovvero all'altra delle voci della tariffa medesima; nel campo doganale, invero, l'applicazione della tariffa si risolve puntualmente nell'dnquadramento di ogni fattispecie concreta, di ogni specifica � merce � presentata alla dogana al modello legale suo proprio, mentre fil ricorrente vorrebbe .interpretare riduttivamente la norma restringendone la portata alle ipotesi in cui, pur essendovi corrispondenza fra qualificazione merceologica e classificazione tariffaria, sia stato commesso un errore nel calcolo del tributo. La tesi non � sostenibile. Basta leggere al riguardo, nella successione delle proposizioni in cui si articola, la norma che distingue � errori di calcolo nella liquidazione�, ed �errori di applicazione della tariffa�; tale distinzione verrebbe ad essere completamente appiattita se fosse esatto l'assunto del contribuente, giacch� sarebbero ipotizzabili soltanto errori di calcolo. Quando nel presupposto dell'inquadramento della merce in una data voce di tariffa, la dogana impone un'aliquota diversa da quella rispondente all'operata classificazione o assimilazione, l'errore non riguarda l'applicazione della tariffa medesima come criterio che presiede alla classificazione, ma va annoverato fra gli errori materiali per non aver tratto dall'effettuato inquadramento gli esatti referenti numerici nella individuazione delle aliquote. In altre parole: la applicazione di una o di altra aliquota come corollario della classificazione d� origine a controversie di classificazione; mentre l'inesatta individuazione della aliquota che corrisponde all'operata classificazione comporta errore di calcolo (a parte la pi� banale ipotesi di errore di conteggio meramente aTitmetico per non rispond~nza del risultato rnggiunto dei dati posti a base del calcolo). Ma in entrambi i casi si � sicuramente al di fuori del campo della revisione dell'accertamento che resta circoscritto alle contestazioni riguardanti la determinazione della base imponibile .individuata, nelle varie disposizioni della Jegge, con riferimento a:Ha qualit�, alla quantit�, od all'origine della merce. RASSEGNA DEI.L'AWOCATURA DELLO STATO 588 Ben si comprende, quindi, che rispetto ad un accertamento definitivo per quanto attiene alle connotazioni della merce risultanti dalla bolletta doganale le possibilit� di � revisione � siano ristrette ad un termine decadenziale. quando, invece, si tratta di riesaminare la correttezza dell'operata tassazione su merci di indiscussa consistenza merceologica, e di quantit� e valore ormai certi, non venendo pi� in considerazione la base imponibile, ma la interpretazione della tariffa, sia da parte dello Stato (art. 84) sia da parte del contribuente (art. 91) � consentito uno spatium temporis di cinque anni per ripristinare la corrispondenza alla legge della imposta dovuta, non occorrendo pi� fare riferimento alla � merce � per risolvere la controversia. L'art. 91 contrappone con chiara evidenza il campo proprio di applicazione della norma sui rimborsi a quello della revisione ex art. 7 4 che viene in considerazione solo quando si tratta di incidere sulla base imponibile nelle sue componenti qualitative, quantitative, di valore e di origine: ed ancora una volta il presupposto della correzione della operata tassazione (a vantaggio del contribuente nell'ipotesi dell'art. 91) viene ad essere individuato non solo nell'errore di calcolo, ma anche nella � applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per la merce descritta nel risultato dell'accertamento�. L'espressione estremamente precisa, conferma l'esattezza della interpretazione della dizione pi� sintetica dell'art. 84, mettendo in evidenza che l'� accertamento � nella terminologia del t.u. doganale designa esclusivamente la determinazione della base imponibile, comportante anche la qualificazione merceologica alla stregua della quale (cos� come risultante dall'accertamento medesimo) va applicata de plano la tariffa. Ora non vi � dubbio che per porre riparo all'erronea applicazione della tariffa determinata da una classificazione (od assimilazione) impropria l'amministrazione pu� attivarsi imponendo un'obbligazione aggiuntiva al contribuente, ed avvalendosi del procedimento dell'ingiunzione fiscale, venendo ad essere posticipato il contraddittorio, come � appunto avvenuto nella specie, in cui si contesta da un lato il procedimento seguito, (e quindi la tempestivit� della richiesta) e si sostiene dall'altro che l'originaria classificazione rispondeva alla qualificazione merceologica per la determinazione della quale non occorre procedere ad alcun !riscontro della merce, essendo incontestato che si tratta di semi di zucca destinati alla alimentazione umana per i quali la tariffa non prevede una puntuale collocazione, occorrendo conseguentemente operare l'assimilazione alla voce pi� vicina (e consistendo il nucleo di merito della contestazione, non tradottosi peraltro in tempestive deduzioni, nello stabilire appunto se risulta pi� congruo l'inquadramento alla voce 12.01 ovvero a quella 12.03 (restando pacifica la consistenza merceologica del prodotto .importato). (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 589 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 febbraio 1982, n. 999 -Pres. Granata Est. Zappu1li -P. M. Cantagalili (conf.) -Ceci c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario -Procedimenti pendenti Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Ricorsi presentati dopo l'entrata in vigore e prima dell.'insediamento delle nuove coJlllllissioni -Non s1 appli<;a. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). La norma transitoria dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che prevede l'estinzione dei procedimenti pendenti ove non sia presentata istanza per la trattazione, non si applica ai procedimenti introdotti dopo l'entrata in vigore del d.P.R. (1� gennaio 1973) ma prima della data di insediamento deUe commissioni (1). (omissis) Il ricorrente Ceci ha lamentato, con l'unico motivo del ricorso, la violazione nella decisione impugnata degli artt. 42, 43 e 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, deducendo che la decadenza prevista dall'art. 44 per la mancata presentazione dell'istanza di trattazione dei ricorsi innanzi le commissioni tributarie non poteva applicarsi ai ricor. si presentati alle stesse dopo l'entrata in vigore del citato decreto pur se prima del loro rispettivo insediamento cos� come ritenuto nella decisione della commissione di secondo grado riformata da quella della commissione centrale. Il ricorso � fondato. Invero, come recentemente affermato da questa Suprema Corte (sent. 11 novembre 1981 n. 5967) pure se l'art. 44 citato, nello statuire che il contribuente deve chiedere entro sei mesi dalla data di insediamento delle rispettive commissioni la trattazione del ricorso �con istanza di retta alla commissione competente e presentata all'ufficio finanziario competente�, non ha posto una specifica distinzione tra i ricorsi ante riori alla data di entrata in vigore del decreto medesimo (1� gennaio 1973 ex art. 47) e quelli presentati nel menzionato periodo intermedio poste riore. La precisa interpretazione di quell'articolo, in collegamento con le altre norme dello stesso capo e con i ben noti fini della norma, induce a ritenere che la citata disposizione � applicabile solo ai primi. Invece, la decisione impugnata si � limitata, con apodittica affermazione, ad affermare che dal combinato disposto degli artt. 42, 43 e 44 si evince chiaramente che l'obbligo (melius onere) della presentazione dell'istanza si applica a tutti i procedimenti tributari pendenti alla data di inse (1) Precisazione che invero appare del tutto logica. 11 590 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO diamento delle nuove commissioni, senza considerare che la statuizione' dell'art. 47 sulla entrata in vigore del decreto alla data del 1� gennaio 1973 poneva con norma generale, una necessaria distinzione tra i precedenti e i nuovi ricorsi, per la quale occorreva un adeguato esame dello stesso art. 44 in correlazione con le altre norme e col fine della specifica disposizione. Come posto in rilievo nella citata sentenza, una serie di elementi concordanti, quali di seguito indicati, inducono a ritenere la dedotta inapplicabilit� del citato art. 44 ai ric�rsi presentati nel menzionato periodo intermedio. A) La specifica istanza di trattazione per i medesimi sarebbe stata manifestamente inutile e contraddittoria perch� la eventuale acquiescenza o rinunzia del contribuente ricorrente, implicitamente presupposta da quella norma, non poteva in alcun modo presumersi, a differenza che per i ricorsi precedenti alla nuova legge, per quelli presentati dopo l'entrata in vigore della stessa a causa dell'evidente contrasto con la intenzione di valersi della tutela giurisdizionale regolata dalla stessa manifestata con il ricorso successivamente presentato, tanto pi� che la nuova disciplina richiedeva la indicazione dei motivi con una conseguente garanzia di maggiore seriet� e precisione dei ricorsi rispetto alla precedente disciplina. N� pu� concepirsi la presentazione di un ricorso dopo quella data senza la contestuale volont� di farlo trattare, pur in relazione alla nuova situazione, rimanendo, in ogni caso, sottintesa e assorbita in essi la istanza di trattazione. B) La presentazione dei successivi ricorsi destinati ad essere decisi proprio secondo la nuova disciplina escludeva che il contribuente si trovasse nelle condizioni di dover riesaminare la propria richiesta originaria in relazione ai mutamenti apportati dalla stessa e particolarmente secondo le nuove norme sulla competenza delle commissioni di cui all'art. 43 e che egli, perci�, dovesse effettuare la scelta sulla prosecuzione del procedimento in rel!lZione alla sua convenienza o meno in base alle nuove norme. C) Il noto fine perseguito dal legislatore con la norma dell'art. 44 di draconiano rigore, tale da aver dato luogo a numerose censure nella dottrina, era quello di ridurre l'elevato numero dei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo testo legislativo, eliminando quelli per i quali i contribuenti, per la scarsa fondatezza del ricorso o per il suo mero fine dilatorio, non manifestassero l'intenzione e l'interesse di ottenerne fa definizione, mentre la gi� rilevata presentazione dopo l'entrata in vigore delle nuove norme costituiva di per s� una indubbia manifestazione dell'interesse suddetto. Inoltre lo scarso intervallo di tempo dalla presentazione non importava quegli inconve ! _......__! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nienti e quelle incertezze per i quali si era voluto lo sfoltimento delle precedenti pendenze. D) GJi ultimi comma degli artt. 42 e 43 statuivano che i :ricorsi diretti alle commissioni non ancora insediate, e pertanto presentati agli uffici finanziari, dovevano essere trasmessi con le relative deduzioni di questi ultimi alle segreterie delle stesse entro novanta giorni dal loro successivo insediamento mentre il termine per la presentazione della istanza di trattazione era di sei mesi con uguale inizio della decorrenza. A causa di tale diversit� di termini, da un lato, i suddetti uffici non avrebbero potuto indicare in quelle deduzioni i propri rilievi sulla assenza o irregolarit� delle istanze suddette, per le quali il termine non era decorso alla scadenza di quello per il suddetto adempimento dell'ufficio, e, dall'altro, la loro attivit� istruttoria sarebbe stata inutile in tutti i casi in cui si fosse verificata, necessariamente in �data successiva, l'ipotesi di decadenza prevista daH'art. 44 con l'estinzione del procedimento, mentre la nuova normativa era diretta ad evitare ritardi e inutili attivit� degli uffici ai fini di una maggiore snellezza e rapidit� delle procedure. E) Inversamente, infine, mentre la citata norma dell'art. 44 � giustificata dal mutamento della disciplina intervenuto con vasti effetti e conseguenti incertezze per i ricorsi presentati sec�ndo quella precedente, non si ravvisa per quale motivo quella disposizione dovrebbe essere applicata ai ricorsi proposti dopo l'entrata in vigore della nuova legge, e quindi in presunta conformit� alla stessa o, comunque, con la sua conoscenza, con una ingiustificata limitazione a quel periodo transitorio e con notevole differenza di trattamento e di rischl e oneri processuali rispetto ai ricorsi analogamente presentati secondo la nuova legge ma dopo la fine di quel periodo. N� pu� indurre in diverso avviso l'obiezione posta in udienza dal difensore del Ministero resistente, secondo la quale la necessit� della nuova istanza deriverebbe pure in questi casi dal secondo comma dello stesso art. 44, per il quale essa deve � anche indicare la residenza o l'eventuale domicilio eletto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 15 �. Invero l'elezione di domicilio �, in ogni caso, un adempimento autonomo e distinto dalla istanza medesima, pur se in essa contenuto, tanto che pu� essere fatta anche separatamente. D'altra parte, proprio l'art. 15 citato dal medesimo comma prevede espressamente per il caso di mancata indicazione di esso o della residenza non una sanzione di decadenza o di inammissibilit� del ricorso ma solo il particolare e diverso effetto di attribuire all'amministrazione finanziaria il potere di effettuare le comunicazioni o notificazioni � presso la segreteria della commissione �. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 592 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 febbraio 1982, n. 1050 � Pres. Mirabelli -Est. Corda -P. M. Sgroi (conf.) -Vecchione c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Azzariti). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Imposte indirette -Opposizione all'esecuzione � Giurisdizione ordinaria. Tributi (in gen�re) -Contenzioso tributario -Imposte indirette � Opposizione all'esecuzione � Foro dello Stato. (t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 8; c.p.c., artt. 25 e 27). L'opposizione all'esecuzione, con la quale si contesta il diritto dell'AmministraZione finanziaria ad agire esecutivamente per il recupero di un credito per imposte indirette, � soggetta alla giurisdizione ordinaria e non a quella delle commissioni (1). L'opposizione all'esecuzione, se pure estranea alle questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione tributaria, integra pur sempre una controversia di imposta riservata alla competenza del tribunale del foro dello Stato (2). (omissis) Nelle date 6 e 25 novembre 1975, l'Amministrazione Finanziaria dello Stato procedeva a esecuzione forzata �immobiliare per il recupero di somme delle quali era creditrice, per imposta di registro, risultanti dai seguenti titoli: 1) art. 5240 Camp. A.C.: recupero della somma di lire 2.100.430, a titolo di imposta di registro, accessori e interessi, relativa all'atto pubblico Notaio Martini del 13 ottobre 1966 (registrato iri Pontedera il 25 ottobre 1966, n. 2157) col quale Giuseppe Magro aveva venduto un immobile (terreno edificabile) alla s.r.l. Niki (l'imposta era dovuta in (1-2) Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni nella fase esecutiva. (1) La pronunzia delle Sez. Unite, che per la prima volta tocca il problema della riemersione della giurisdizione ordinaria, sembra peccare di una (ottimistica) semplificazione del problema; essa riesce con-estrema facilit� a tracciare una linea di discriminazione apparentemente netta, ma che nella realt� non � individuabile. In sostanza tutto il problema si ridurrebbe a questo elementare enunciato: le questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione tributaria (ovviamente per i tributi elencati nell'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972) sono soggette alla giurisdizione delle commissioni; tutte le questioni che attengono all'esecuzione, nelle quali non pu� pi� discutersi dell'an e del quantum, sono devolute alla giurisdizione dell'A.G.O. Ma questa separazione � appunto illusoria, perch� ignora la difficolt� che nel processo ordinario in genere e pi� ancora nel processo tributario crea l'opposizione all'esecuzione, nella quale riaffiorano o possono riaffiorare questioni sull'an e sul quantum e comunque si dibattono questioni che concernono non . : . . PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 593 quanto l'acquirente era decaduta dai benefici fiscali concessi � dalla legge 2 luglio 1949, n. 408, :avendo a sua volta rivenduto a Salvatore Vecchione, inedificato, il detto immobile); 2) art. 5241 camp. A.C.: recupero della somma di lire 2.823.400 a titolo di imposta di registro, accessori e interessi, relativa a un successivo atto pubblico Notaio Martini (registrato in Pontedera il 27 ottobre 1966, n. 2236) col quale la s.r.1. Niki aveva venduto (l'immobile predetto a Salvatore Vecchione (l'imposta era dovuta perch� l'acquirente era decaduto dai benefici fiscali :di cui alfa legge sopra citata, avendo a sua volta rivenduto -con atto del Notaio Salemi, in data 5 dicembre 1969 -alla s.r.l. Niki, inedificato, lo stesso immobile); 3) articoli 922, 223, 489 camp. a.e. recupero di somme varie (il cui ammontare non risulta dagli atti); a titolo di imposta complementare di registro, relativa all'atto pubblico Notaio Salemi, sopra �indicato. 1 In base al secondo e al terzo dei titoli predetti, l'Amministrazione procedeva al pignoramento dell'immobile di cui sopra. In pendenza del processo di esecuzione davanti al Tribunale di Pisa, Salvatore Vecchione -qualificandosi come �terzo possessore>? dell'immobile (che sarebbe stato pignorato dall'Amministrazione in virt� del �privilegio� di cui all'art. 97 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269) -proponeva soltanto il modo dell'esecuzione, ma il diritto di agire esecutivamente e quindi un diritto che ha gli stessi caratteri di quello fondamentale di credito. Se in generale il giudice competente per l'opposizione all'esecuzione non � il giudice dell'esecuzione (art. 615 c.p.c.), deve almeno porsi il problema se, nel processo tributario, l'opposizione all'esecuzione non consista in una � controversia in materia di imposta � della stessa natura della tipica controversia sull'an e sul quantum del tributo. Evidentemente non pu� persuadere l'affermazione che quando si contesta il diritto dell'Amministrazione ad agire esecutivamente, o a sottoporre a pignoramento un bene determinato, non si discute affatto (e non si pu� discutere affatto) della d~benza del tributo. Nel caso deciso l'opponente sosteneva di non essere debitore dell'imposta di registro perch� aveva stipulato l'atto come falsus procurator, perch� il contratto era sottoposto a condizione sospensiva e perch� il trasferimento doveva beneficiare dell'agevolazione, tutte questioni, che saranno state verosimilmente inammissibili e infondate, ma che evidentemente riguardano il se e il quanto del tributo. Ma su queste domande deve comunque �intervenire una decisione; non si pu� certo ritenere che, in base ad una generica e supposta improponibilit�, il giudice ordinario possa considerare irrilevanti nella sede dell'opposizione all'esecuzione questioni che riguardano l'esistenza dell'obbligazione. Ma infine il Tribunale che a seguito della sen tenza della Sez. unite dovr� decidere sulla opposizione proposta, si trover� ad affrontare le dette questioni, che non potr� dichiarare improponibili per difetto di giurisdizione e dovr� decidere nel merito. Questioni di questo genere possono essere dedotte nel giudizio di opposizione all'esecuzione non soltanto, come nel caso deciso, per ostinata ripropo 594 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO opposizione ex art. 619 cod. proc. civ., deducendo: 1) che l'Amministrazione non aveva pi� titolo (al momento del pignoramento) per far valere il �privilegio � di cui al citato art. 97 della legge di registro, in quanto ne era �decaduta�: in relazione ai crediti di cui �ai primi due articoli di campione�, per averlo esercitato nei confronti di un �terzo possessore � dell'immobile (diverso, cio�, dalle parti intervenute nel contratto e, quindi, dal debitore d'imposta) oltre il termine previsto dalla norma citata; in relazione al credito di cui al terzo articolo di campione, �per analogo motivo�, posto che, trattandosi di negozio concluso da un falsus procurator, anche in relazione ad esso egli aveva assunto la veste di �terzo� (cio� di persona diversa dal debitore d'imposta), 2) che in relazione aJ predetto terzo articolo di campione (cio� in relazione al � contratto di cui all'atto del Notaio Salemi, da intendersi -in quanto compiuto dal f alsus procurator -come sottoposto a condizione sospensiva) era insussistente il presupposto dell'imposizione (art. 17 della legge di registro); 3) che, sempre in relazione all'atto notarile da ultimo citato, non si era verificata l'asserita decadenza dal beneficio fiscale di cui alla legge 2 luglio 1949, n. 408, in quanto l'inedificazione del ter reno er:a da attribuire a causa di forza maggiore. Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione Finanziaria eccepiva: 1) che l'opposizione proposta non poteva essere qualificata come � di terzo � sizione di una domanda gi� proposta e decisa in altra sede, ma anche in modo del tutto corretto quando non esista ancora un titolo irrefutabile per la esecuzione o quando l'atto di natura esecutiva (ingiunzione e ruolo) non � stato preceduto dall'accertamento. Ma anche le questioni diverse dall'an e dal quantum con le quali si con testa il potere di promuovere l'esecuzione danno luogo a controversie tribu tarie sottratte alla giurisdizione dell'A.G.O. Tutte le volte che si afferma che il titolo esecutivo non poteva essere formato in quel momento, per quell'am montare e nei confronti di quella persona, si propone una questione che, se pure non rientra nell'an e nel quantum del rapporto tributario, � pur sempre una controversia di applicazione della norma tributaria. Queste semplici cons1derazioni sono �suffilcienti per constatare come l'af fermazione della sentenza in esame sia inaccettabile tanto sul punto conclusivo che i giudizi di opposizione all'esecuzione sono soggetti alla giurisdizione or dinaria, quanto sul punto argomentativo che in questi giudizi non possono ! entrare questioni tipicamente tributarie. t (2) Passando ad un esame pi� completo, possiamo rilevare che, come ! emerge dall'art. �16 del d.P.R. 636/1972, le controversie devolute alle commissioni I sono di due tipi fondamentali: controversie di accertamento dell'obbligazione, [ che sono occasionate da un atto di accertamento in senso ampio (compresi in l questa categoria l'ingiunzione e il ruolo non preceduti da altro atto, che hanno quindi funzione di accertamento); controversie relative alla riscossione, occa sionate dall'emissione dell'atto con funzione di titolo esecutivo (ingiunzione o I ruolo preceduti dall'accertamento) nelle quali ordinariamente non sono propo i nibili le questioni del primo tipo. 1 ! I PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 595 poich� il Vecchione non aveva agito per �reclamare la propriet� del bene sottoposto a esecuzione (egli, infatti, risultava � esecutato quale terzo proprietario del bene dal cui trasferimento aveva avuto origine l'obbligazione tributaria�); 2) che non sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario, essendo la materia delle controversie tributarie devoluta alle Commissioni; 3) che (in subordine) non sussisteva la competenza del Tribunale adito, sussistendo, invece, la competenza del Tribunale di Firenze, ossia quella del giudice del luogo in cui aveva sede l'ufficio dell'Avvocatura Distrettuale; 4) che, in ogni caso, era inammissibile l'opposizione per carenza di legittimazione attiva o di interesse dell'opponente; 5) che, infine, l'opposizione era infondata nel merito. Con sentenza del 1 � marzo -2 maggio 1980, il Tribunale di Pisa dichiarava la propria incompetenza funzionale, in base alle seguenti� osservazioni: 1) L'opposizione proposta dal Vecchione avrebbe potuto essere qualificata come � di terzo � solo rispetto al rapporto di cui all'art. di campione n. 5240 (il primo di quelli sopra indicati), in quanto relativo a un contratto di compravendita al quale l'opponente era rimasto del tutto estraneo: ma ci� era in pratica irrilevante, poich� l'Amministrazione non aveva agito esecutivamente (anche) per il credito di cui all'articolo di campione predetto. Meritano una particolare attenzione le controversie del secondo tipo, quelle che nel linguaggio dell'art. 16 sono le controversie per � vizi propri � dell'ingiunzione e del ruolo. Di questa categoria di controversie sembrerebbe che la sentenza in ras segna non riconosca l'esistenza. Se � vero che il ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo preceduti dall'accertamento non pu� rimettere in discussione le questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione, e se � vero che le questioni diverse da queste, riguardanti necessariamente la fase esecutiva, rientrano nella giurisdizione ordinaria, se ne dovrebbe dedurre che non esiste nel sistema l'idea del ricorso per vizi propri dell'ingiunzione e del ruolo. Essendo superfluo ogni commento su questo paradosso, sar� pi� opportuno tentare di definire i caratteri di questo tipo di controversia. I vizi propri dell'atto esecutivo vanno soprattutto individuati nei vizi sostanziali; questi si risolvono nel difetto di potere ad emettere l'atto esecutivo in quel momento, per quell'ammontare e contro quella persona; ma il tutto indipendentemente da questioni sull'an e sul quantum dell'obbligazione, comunque dedotte o deducibili contro un precedente atto di accertamento (in senso ampio). I detti vizi sostanziali non riguardano problemi attinenti al processo esecutivo come tali riconducibili nell'ambito del processo ordinario, ma sono all'evidenza materia della controversia di imposta. Pu� essere utile qualche esemplificazione. Riguardo al momento della formazione deli'atto, si pu� denunziare come vizio la prescrizione del credito gi� accertato definitivamente o la decadenza stabilita per la formazione dell'atto, ovvero, al contrario, il mancato compimento del termine minimo (ad esempio il termine per adempiere di 60 giorni decorrente dall'avviso di liquidazione). 596 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 2) Con riferimento agli altri titoli per i quali era stata effettivamente iniziata l'esecuzione (ossia le ingiunzioni relative agli altri due articoli di Campione), l'opposizione predetta doveva essere qualificata come �opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. del debitore o del terzo ritenuto per legge debitore�. 3) Era �irrilevante� l'eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto: a) per alcune delle questioni sollevate con J'opposizione (e, in particolare, quella relativa alla negata decadenza dai benefici fiscali), le Commissioni erano state a suo tempo adite e avevano emesso ila foro pronuncia, ormai rdivenuta denitiva; b) per ,fo ,aJtre questioni (e, in particolare, quella dell'opponibilit� al terzo possessore del credito tributario), erano ormai scaduti i termini per adire le Commissioni stesse. 4) Era, invece, fondata l'eccezione d'incompetenza, poich� l'opposizione si sostanziava in � una controversia sulla esigibilit� del tributo nei confronti del Vecchione, sia esso considerato debitore principale, sia esso considerato debitore per legge�: di modo che doveva trovare applicazione la disposizione .contenuta nell'art. 8 del irid. 30 ottobre 1933, n. 1611, ai sensi del quale appartiene al tribunale del luogo ove risiede l'ufficio deH'Avvocatura dello Stato (nel cui distretto trovasi l'ufficio che Riguardo all'ammontare, l'impugnazione pu� riguardare o la totale mancanza (o la nullit~) dell'atto di accertamento che � dato per presupposto o la difformit� tra la somma portata nell'atto esecutivo e quella dell'accertamento o la eseguibilit� !in via provv!i1soria del credito (come quando si discute se dn relazione alla natura suppletiva o complementare dell'imposta il ricorso contro l'accertamento abbia o meno prodotto effetto sospensivo o si discuta della esatta determinazione della frazione per la quale � consentita la riscossione in pendenza del giudizio) o anche la definitivit� dell'accertamento ove si discuta dell'esistenza di una impugnazione validamente proposta e coltivata. Infine quanto alla persona contro la quale l'atto di riscossione � formato possono nascere questioni sulla esistenza del vincolo di coobbligazione o di responsabilit� o di successione nel rapporto. Come ben si vede vi � uno spazio ampissimo tra le questioni sull'an e sul quantum, o pi� propriamente di accertamento dell'obbligazione, e le questioni propriamente esecutive, per loro natura non conciliabili con la giurisdi� zione speciale delle commissioni; quella che la sentenza in esame considera una linea nett� � un ampio territorio. Questo territorio, sicuramente rientrante nei poteri decisori delle commissioni sotto la forma del ricorso per vizi propri (sostanziali) dell'atto di riscossione, si identifica per l'appunto con l'opposizione all'esecuzione del processo ordinario, o almeno con un rilevante settore di essa. (3) !testa ancora uno spa2lio per la g;iurisdfaiione ordinaria nella fase esecutiva? Il problema pu� risultare pi� facile iniziando l'esame delle imposte dirette per le quali non � ammessa n� l'opposizione all'esecuzione in sede ordinaria PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ~97 ha liquidato la tassa o la sovratassa controversa) �la decisione delle controversie giudizia:li :riiguardanti le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione�. Contro tale sentenza, il Vecchione ha proposto ricorso per regolamento di competenza. L'Amministrazione Finanziaria ha resistito per riproporre la questione di giurisdizione. Il P.G. presso questa Corte -richiesto delle conclusioni scritte sulla questione di competenza -ha sollecitato l'assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite, stante la pregiudizialit� de1la questione di giurisdizione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -Con l'istanza per regolamento di competenza, il ricorrente Veochione sostiene che il Tribunale di Pisa avrebbe errato nel dichiarare Ja propria incompetenza (ex art. 8 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), in quanto non avrebbe tenuto conto che l'opposizione all'esecuzione (cos� qualificata dallo stesso Tribunale di Pisa) riguardava �solo l'estraneit� del ricorrente aHa procedura esecutiva ,instaurata dall'Amministrazione (art. 54 capov. d.P.R. n. 602/1973) n� l'opposizione agli esecutivi dell'esattore (art 53 d.P.R. cit.). Esiste soltanto il ricorso contro il ruolo (art. 39) e il ricorso amministrativo all'intendente di finanza; si omette ogni approfondimento su questo problema sul quale a fugare dubbi di legittimit� sono intervenute autorevoli pronunzie delle Sez. Unite (5 marzo 1980, n. 1471, in questa Rassegna, 1981, I, 345), e della Corte costituzionale (1� aprile 1982, n. 63). Quel che importa ora notare � che il ricorso contro il ruolo assorbe tutte le questioni che comunque influiscono sul potere dell'Amministrazione di emettere il ruolo; tutte le questioni successive alla notifica del ruolo (cartella dei pagamenti) riguarderanno gli atti esecutivi dell'esattore (l'Amministrazione � ormai estranea) sottratti al controllo giurisdizionale. Non esiste dunque una zona intermedia per l'inserimento del giudice ordinario; tutto ci� che esorbita dal ricorso contro il ruolo � materia di opposizione (non consentita) agli atti esecutivi. Resta soltanto al giudice ordinario la cognizione sulle opposizioni di terzo (art. 52 d.P.R. n. 602/1973), con l'avvertenza, per�, che non sono considerati terzi il coniuge ed i parenti e affini entro il terzo grado relativamente ai beni mobili pignorati nella casa di abitazione del debitore. Naturalmente spetter� al giudice ordinario la giurisdizione sull'azione di risarcimento del danno contro l'esattore proponibile dopo il compimento dell'esecuzione (art. 54, terzo comma), essendo questa un'azione oivile ord~naria. Il criterio ispiratore di questo tradizionale sistema di guarentigie � dunque quello di devolvere allo stesso giudice della controversia tributaria tutte le questioni inerenti al potere dell'Amministrazione di emettere e consegnare al� l'esattore il ruolo e di riservare alla stessa Amministrazione, in via di ricorso amministrativo, salvo l'ulteriore tutela innanzi al giudice amministrativo, le contestazioni contro gli atti dell'esattore. Si pu� vedere in ci� una ripartizione 598 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Finanziaria per la riscossione dell'assunto suo credito �, Non si sostanziava, cio� in una di quelle � controversie giudiziali riguardanti le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione�, per le quali la norma citata prevede la competenza del �foro erariale�; di modo che la competenza avrebbe dovuto essere stabilita secondo il disposto dell'art. 27 cod. proc. civ. che, per le cause di opposizione all'esecuzione forzata di cui agli articoli 615 e 619, prevede la competenza del giudice del luogo dell'esecuzione. Con la propria �scrittura difensiva� l'Amministrazione finanziaria sostiene che sarebbe insussistente la giurisdizione del giudice ordinario, poich� � le controversie in materia di imposta di registro � apparten� gono alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n._ 636. Censura la sentenza del Tribunale nel punto in cui ha dichiarato �irrilevante� l'eccezione predetta (che anche in quella sede era stata proposta), facendo notare che sarebbe erronea l'affermazione -contenuta, appunto, nella sentenza, -secondo cui alcune delle questioni sollevate dal Vecchione erano state decise dalle Commissioni, mentre altre delle predette questioni non potevano pi� essere proposte in detta sede, per avvenuta decorrenza dei termini. Chiarisce che un giudizio siffatto sarebbe spettato alle Commissioni tributarie, non gi� al giudice ordinario. che se pure non coincide perfettamente corrisponde in grandi linee alla distin� zione tra opposizione alla esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi. (4) Non molto dissimile � il criterio seguito nelle imposte inddrette. H ricorso contro l'ingiunzione per vizi propri � un'opposizione all'esecuzione diretta a contestare il potere di procedere esecutivamente emettendo l'ingiunzione. Nelle imposte indirette � ammessa tuttavia l'opposizione agli atti esecutivi e per questa (ma per questa soltanto) riemerge la giurisdizione dell'A.G.O. � piuttosto diffusa la convinzione che successivamente alla decisione delle commissioni, o in pendenza del relativo giudizio, l'ingiunzione possa essere impugnata innanzi al tribunale; ma questa eventualit�, alla quale la sentenza in esame d� esca, deve essere vivacemente contrastata, non essendo pensabile un rinserimento del giudice ordinario per decidere una questione sostanziai� mente tributaria. Non potrebbe trarsi argomento dal fatto che per le imposte iindirette manca una norma, corrispondente all'art. 54 del d.P.R. n. 602/1973, che espressamente vdeta l'opposizione all'esecumone. Questa norma � .invero superflua e si ritrova oggi nel testo legislativo solo perch� negli articoli 52, 53 e 54 del d.P.R. n. 602 sono stati trasportati gli articoli 207, 208 e 209 del t.u. del 1958; una volta stabilito che le due giurisdizioni, ordinaria e delle commissioni, non si sovrap� pongono come un tempo ma si escludono, quando con il ricorso contro fingiun� zione per vizi propri viene attribuita alla commissione la cognizione dell'oppo sizione all'esecuzione, quella stessa materia viene sottratta al giudice ordinario. � peraltro evidente il parallelismo che l'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 pone fra ruolo e ingiunzione e quindi il risultato non pu� essere che analogo quanto alla esclusione dalla giurisdizione dell'A.G.O. per queste controversie. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 599 2. -Per risolvere le due questioni, di giurisdizione e di competenza, occorre per primo definire l'azione che, in concreto, era stata proposta dall'attuale ricorrente, proprio perch� da tale definizione possono discendere conseguenze diverse, con riferimento sia alla giurisdizione che alla competenza. Tale definizione compete, ovviamente, alla Corte di Cassazione, come sempre avviene quando dalla definizione predetta discendono conseguenze rilevanti per la giurisdizione e per la competen.za. A ci�, pertanto, non contraddice la regola, ripetutamente espressa con riferimento alle controversie in materia di esecuzione civile, secondo cui l'individuazione della domanda concretamente proposta (individuazione che, norma1mente, assume rilevanza allorch� debbasi stabilire quale sia il mezzo di impugnazione esperibile in concreto contro fa pronuncia giudiziale che ha deciso sulla domanda predetta) compete esclusivamente al giudice di� merito (cfr. fra le tante, la sent. 17 dicembre 1980, n. 6531). Tale regola, infatti., ha riguardo ai poteri, istituzionalmente limitati, che la legge attribuisce alla Corte di Cassazione, quale giudice della stretta legittimit�; essa, perci� non trova applicazione quando la Corte di Cassazione � investita di questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza, proprio perch� in detta materia la Corte predetta � giudice anche �del fatto � nel senso che ha H poteredovere di accertare anche i presupposti di fatto della propria pronuncia. Solo l'opposizione sulla regolarit� formale dei singoli atti dell'esecuzione ridiventa una comune opposizione soggetta a tutti gli effetti alle regole normali. (5) Ftin qui si � parlato dei viri propri sostanziafil dell'atto di esecuzione. Qualche difficolt� incontra la disamina sui vizi propri di natura formale. Secondo le regole comuni la cognizione di questi vizi (regolarit� formale del titolo esecutivo e del precetto) sarebbe oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi. Nelle imposte dirette esiste una netta scissione fra il ricorso contro il ruolo, che � ancora rivolto contro l'ufficio dell'Amministrazione, e il ricorso contro gli atti dell'esattore subentrato nel momento in cui l'ufficio ha esaurito �ogni sua funzione; consegue da ci�, poich� la legittimazione passiva non pu� essere scavalcata, che con il ricorso alla commissione contro il ruolo sono deducibili tutti i vizi, ed anche quelli formali, imputabili all'ufficio; con il ricorso all'intendente che � diretto contro l'esattore potranno essere impugnati soltanto gli atti da questi emanati. In questi sensi l'impugnazione contro il ruolo � pi� ampia de1l'opposi�one all'esecuzione; ed i.n tal modo anche per i vi2li formali del ruolo � assicurata una tutela giurisdizionale innanzi alle commissioni. Nelle imposte indirette � sempre lo stesso ufficio tributario che conserva la legittimazione per ogni tipo di opposizione: per di pi� esiste una tutela giurisdi2Jionale in ogni fase de1l'esecu2lione, cosicch� � meno sentito l'dnteresse a ricomprendere nel ricorso per vizi dell'atto anche i vizi formali. Per queste ragioni non sembra ragionevole che le questioni sulla validit� formale dell'ingiunzione siano decise dal1a commissione (a meno che !llon sd tratti di vizi tanto radicali da ri;olversi in un difetto di potere all'azione esecutiva), mentre pi� apprezzabile sembrerebbe il proposito di far decidere dallo stesso giudice tutte le questioni di eguale natura riguardanti la regolarit� formale di tutti gli atti dell'esecuzione, compresa l'ingiunzione. In favore di questo orientamento giova la considerazione 600 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ora, nel caso concreto, non vi � dubbio che l'azione a suo tempo esperita dall'attuale ricorrente debba essere definita come � opposizione all'esecuzione proposta, ex art. 615 cod. proc. civ. da un debitore di imposta escusso dall'Amministrazione creditrice�. Analoga definizione, peraltro, ne aveva sostanzialmente dato il Tribunale con la pronuncia (sulla competenza) impugnata in questa sede, allorch� ha escluso che l'opposizione proposta potesse (per gli effetti previsti dall'art. 7 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611) essere qualificata come � di terzo�. In realt�, si � accertato (dal Tribunale) che in relazione al solo rapporto tributario nel quale il Vecchione assumeva effettivamente la veste di �terzo� (cio� que1lo riferibile all'ingiunzione fiscale di cui al primo degli articoli di campione pi� indietro ricordati) l'Amministrazione non aveva agito esecutivamente. La circostanza, quindi, che in relazione a tale rapporto il Vecchione potesse effettivamente assumere la veste di � terzo possessore� dell'immobile, oggetto dell'esecuzione, era assolutamente irrilevante. L'Amministrazione predetta, invero aveva agito esecutivamente in base alle ingiunzioni relative agli altri due articoli di campione, ,1e quali concernevano un rapporto di imposta di registro nel quale il Vecchione aveva assunto la veste di debitore d'imposta (rectius: di condebitore solidale). Occorre, peraltro, ricordare -per meglio chiarire l'assunto che l'ingiunzione, come � pacifico, ha anche valore di precetto, si che sarebbe arduo sostenere la giurisdizione delle commissioni sui vizi formali di tale atto. Vi � allora una coincidenza. pressoch� assoluta con 1a distinzione tra opposizione all'esecuzione e opposizione agli atti esecutivi, e questa costituisce il criterio discriminatore della giurisdizione delle commissioni e dell'A.G.O. nelle imposte indirette. Naturalmente sono sempre soggette alla giurisdizione ordinaria le opposizioni di terzo non aventi natura tributaria. Si deve per� predsare che l:e opposiZI�orn del debitore sulla pignorabildi� dei beni vanno sempre ricomprese fra l'opposizione agli atti esecutivi e saranno quindi deducibili innanzi all'A.G.O. nelle imposte indirette e con ricorso all'intendente nelle dirette. (6) Esatta � la seconda massima. Secondo fermissima tradil'Jione, cont�roversia di imposta, ai fini della competenza del foro dello Stato, � quella che si svolge fra i due soggetti del rapporto tributario ed ha per oggetto, anche se insorta in sede di esecuzione, sia la sussistenza dell'obbligazione (oggi per� sottratta alla giurisdizione dell'A.G.0.), sia l'estensione dei privilegi, sia la regolarit� formale del procedimento di riscossione, anche se non vengono in discussione norme e principi di carattere tributario. Non vi � ragione per modificare questo indirizzo. Se pure Ja giurisdizione ordinaria si � di� molto ristretta, ci� non toccale regole della competenza. E non vi � ragione nemmeno per mutare indirizzo sul punto che la competenza funzionale del foro dello Stato nelle controversie cli imposta (art. 8 del t.u. 30 ottobre 193~, n. 1611) prevale su quella, anch'essa fu=ionale, del foro de1l'opposizione all'esecuZI�one (art. 3 t.u. 14 aprile 11910, n. 639). CARLO BAFILE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dell'odierno ricorrente -che per l'esazione delle imposte di registro lo Stato ha azione personale contro il contribuente e, di conseguenza, azione sui beni del debitore, nonch� azione reale sui beni oggetto della contrattazione colpita da imposta, in forza del privilegio di cui agli articoli 97 della (veochia) legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, !Il. 3269), 2758 (booi mobili) e 2772 (beni immobili) cod. civile. E il Vecchione, tenendo a base del proprio assunto tali disposizioni ,di legge, aveva sostenuto che fa Finanza si era concretamente avvalsa del potere di esercitare l'azione reale e che tale azione non fosse pi� esperibile (e questo egli deduceva come �terzo possessore � dell'immobile gravato dal privilegio) essendosi verificata l'estinzione dell'azione, ai sensi del secondo comma dell'art. 97 da ultimo citato. La realt�, per�, � che fa Finanza aveva agito esecutivamente per il recupero di una imposta della quale il Vecchione era diretto debitore: avesse, quindi, o meno, la Finanza fatto esplicito riferimento al disposto dell'art. 97 della (vecchia) legge di registro, � certo che essa esercit� in concreto non gi� l'azione reale, bens� quella personale, proprio perch� ag� esecutivamente contro un bene del debitore di imposta. L'azione di opposizione proposta da quest'ultimo, perci� non avrebbe mai potuto essere definita come �di terzo�; si trattava, infatti, della tipica opposizione del debitore proposta, ex art. 615 cod. proc. civ. per contestare il diritto della Finanza (il titolo) di agire esecutivamente (la questione, poi, se la Finanza potesse o meno pignorare il bene predetto riguardava esclusivamente il merito dell'opposizione, non gi� la definizione giuridica dell'azione di esecuzione proposta). 3. -Definita in tal modo l'opposizione in concreto proposta, deve anzitutto essere risolta, per ovvie ragioni di logica giuridica, la questione di giurisdizione. Questione che, come � evidente, va risolta con la negazione che la controversia possa considerarsi rientrante nella categoria delle controversie in materia di imposte di registro di cui all'art. 1 del d.P.R . .26 ottobre 1972, n. 636 (legge istitutiva delle nuove Commissioni tributarie). Tale norma, infatti, ha evidente riferimento alle controversie sull'an e sul quantum del tributo; mentre nel caso concreto non si discute affatto del rapporto giuridico d'imposta, ma solo del diritto dell'Amministrazione di agire esecutivamente, o meglio di sottoporre a pignoramento un bene determinato. Ad analoga conclusione, del resto, era gi� pervenuto il Tribunale, allor �ch� ha dichiarato �irrilevante� l'eccezione di difetto di giurisdizione che, anche in quella sede, era stata sollevata dalla Finanza. La motivazione della sentenza di detto Tribunale (per la verit� espressa in termini che si prestavano all'equivoco) � stata, in realt�, equivocata dall'Amministrazione, la quale in definitiva sostiene (in questa sede) che un'eccezione di difetto di giurisdizione potrebbe, bens�, essere respinta, ma non dichiarata �irrilevante�. La realt� per� � che la detta eccezione � stata, proprio, 602 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO respinta dal Tribunale, il quale ha, in definitiva dichiarato che in sede di opposizione all'esecuzione non potevano pi� essere sollevate questioni attinenti all'an del tributo, di modo che � �irrilevante� eccepire che le questioni a ci� relative hl contribuente avrebbe dovuto proporle davanti alle Commission~ (come peraltro, aveva fatto, senza successo). In altri termini, se in alcune delle questioni sollevate dall'opponente l'Amministrazione intravedeva il tentativo di rimettere in discussione problemi relativi alla debenza dell'imposta, ci� era assolutamente irrifovante, dal momento che le questioni predette non avrebbero mai potuto avere ingresso in quella sede, ove si discuteva solo del diritto della Finanza di sottoporre a pignoramento quel bene determinato. Per compiutezza d'indagine va, peraltro, osservato che l'eccezione di giurisdizione (della cui infondatezza si � gi� detto) era in concreto proponibile in questa sede anche in difetto di uno specifico gravame contro la statuizione del Tribunale, essendosi gi� ritenuto, da queste stesse Sezioni Unite, che in sede di regolamento di competenza, ritualmente proposto a norma dell'art. 43 cod. proc. civ. in relazione a una pronuncia di primo grado che abbia deciso anche sulla giurisdizione, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di statuire sulla giurisdizione del giudice adito, tenuto conto che la relativa questione � rilevabile, anche di ufficio, in qualunque stato e grado del processo ~sent. 18 �luglio 1980, n. 4682). Non pu� quindi, <ritenersi che l'omessa proposizione di uno specifico ricorso sul capo della sentenza relativo alla statuizione sulla giurisdizione, da parte dell'Amministrazione, abbia determinato .una preclusione, perch� se tale regola vate per i ricorsi �ordinari�, non pu� certo valere in tema di ricorsi per regolamento di competenza. E ci� perch�, quando viene (da una delle parti) impugnato il capo sulla competenza, deve intendersi che l'impugnazione coinvolga, implicitamente, anche hl capo di pronuncia sulla giurisdizione, proprio per l'impossibilit� di determinare la competenza se non viene, prima, ritenuta la giurisdizione del giudiee della cui competenza si discute. In tale fattispecie quindi, se la questione di giurisdizione � riesaminabile di ufficio, a fortiori pu� .essere riproposta dalla parte che resiste al ricorso per regolamento di competenza. Tuttavia, per concludere, anche ammessa la concreta proponibilit� dell'eccezione.predetta, la stessa deve essere respinta in virt� del principi0 (sostanzialmente enunciato anche dal Tribunale) secondo cui .m tema di opposizione all'esecuzione, anche nell'ipotesi in cui questa sia iniziata dalla Amministrazione Filnrunzfaria per hl ["ecupero di un credito d'imposta, fa giurisdizione appartiene sempre al giudice ordinario (giudice dell'esecuzione). 4. -Affermata, dn tal modo, fa giurisdizione del 1giudice ordinario, occorre ora risolvere Ja questione di competenza: occorre, cio� stabilire se il foro dello Stato (art. 25 cod. proc. civ.) prevalga su quello delle opposi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA zioni alla esecuzione (art. 27 dello stesso codice). Ci� � stato negato dal ricorrente, ma le ragioni del convincimento che lo hanno determinato a sollevare la questione non sono state chiaramente enunciate, se non nel limite che, al cospetto di due competenze stabilite entrambe in modo inderogabile, prevalga quella che ha riferimento alla specialit� della materia. Ma un'impostazione siffatta non pu� essere condivisa. L'art. 25 � integrativo deHe leggi speciali sulla rappresentanza dello Stato in giudizio, dallo stesso ,richiamate: occorre, quindi, fare specifico rifer�mento (per stabilirne l'applicabilit�, o meno) alla norma contenuta ne11'art. 8 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (che ha il suo corrispondente nell'art. 147 della citata legge di registro) ai sensi del quale appartiene alla competenza (territoriale inderogabile, cio� funziona:le) del giudice ove ha sede l'Avvocatura distrettuale (nel cui distretto trovasi l'ufflicio che ha liquidato la tassa o la sovratassa controversa) la � controversia giudiziale riguardante le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione �. Per risolvere la questione di competenza, quindi, occorre stabilire se la controversia in atto (opposirione all'esecuzione promossa dalla Finanza per il recupero di un credito d'imposta) rientri fra quelle indicate nel predetto art. 8. A tale fine � indispensabile, anzitutto, osservare che la norma � stata dettata quando vigeva la regola della �competenza� (giurisdizionale) del giudice ordinario in tutte le controversie di imposta (con le vecchie Commissioni, infatti, non si ponevano problemi di giurisdizione, essendo principio pacifico che contro la ingiunzione fiscale l'opposizione potesse essere proposta tanto in via amministrativa che in via giudiziale, con l'unica conseguenza che, in caso di omissione del procedimento amministrativo, l'Amministrazione non potesse essere condannata alle spese di lite, ancorch� soccombente: Sez. Un. 12 gennaio 1951). Istituite, per�, le nuove Commissioni, le cui decisioni hanno natura giurisdirionale, la portata della norma va sicuramente ridimensionata, poich� deve ritenersi che le � controversie giudiziali � da essa menzionate sono soltanto quelle che non rientrano nella categoria delle � controversie � devolute alle Commissioni dall'art. 1 del citato d.P.R. n. 636 del 1972. Residuano, in sostanza, le controversie in materie eventualmente diverse da quelle menzionate da tale norma (sempre che possano esistere, come ad es. in materie di imposte non specificamente menzionate dalla norma, ovvero di nuova istituzione, per le quali non fosse stabilita la competenza giurisdizionale delle Commissioni sulle relative controversie). Ora � sicuro che non compete alle Sezioni Unite, in questa sede (cio� nella sede della risoluzione dell'attuale controversia), di individuare tutte le possibili controversie che fossero rimaste devolute al giudice ordinario: basta, infatti, per decidere la questione di competenza qui proposta, stabilire se le controversie sorte � in sede di esecuzione � circa il diritto della Finanza di agire (esecutivamente) per il recupero di un RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 604 credito d'imposta rientrino fra quelle indicate nel predetto art. 8. Occorre, in altri termini, iiaffrontare l'azione proposta dal contribuente, (pi� sopra definita come � opposizione all'esecuzione promossa dalla Finanza per il recupero di un credito relativo a un'imposta di registro�) con le controversie indicate da tale norma (anche sorte in sede di esecuzione) come appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario e per le quali � stabilita la competenza del foro erariale. Ora, non vi � dubbio che, dal raffronto, emerge una sicura corrispondenza tra i due tipi di controversia: entrambe, infatti, concernono un giudizio di cognizione (che, nel caso concreto, � una �opposizione all'esecuzione �) inserito in un processo esecutivo che ha ad oggetto il recupero di un credito di imposta. Tutto ci�, del resto, non sembra, in via di principio, essere negato dal ricorrente, il quale sembra solo sostenere che la competenza inderogabile del giudice dell'opposizione all'esecuzione (art. 27) debba prevalere, per la specialit� della materia, sull'altra competenza, pure inderogabile (art. 25) del foro dello Stato. Ma una tesi siffatta non sembra in alcun modo sostenibile, se non altro per l'evidente ragione che si fonda su un macroscopico paralogismo. � esatta la premessa maggiore del ragionamento (posta per implicito dal ricorrente) secondo cui occorre, per dirimere l'apparente conflitto fra le due norme, stabilire quale di esse sia � generale � e quale invece sia � speciale � (per farne �discendere che la norma concretamente applicabile � quella che stabilisce l'eccezione alla regola enunciata come generale). Palesemente erronea �, per�, la premessa minore della predetta costruzione logica, la quale individua come regola generale la norma che stabilisce il foro dello Stato e come norma speciale quella che individua il foro delle opposizioni alla esecuzione. La verit� �, invece, che nelle cause di cognizione (in tutte le cause di cognizione) la speciale competenza del foro erariale � posta come eccezione alle regole generali, appunto, sulla competenza (sent. 17 marzo 1978, n. 1337). Il contrario assunto, infatti, potrebbe avere base solo sull'inconsistente rilievo che nella topografia del codice di rito la regola del foro dell'esecuzione � posta dopo quella del foro erariale. Ma questo semplice argomento di collocazione della norma cade, sicuramente, di fronte al riJievo che l'art. 8 del rid. 30 ottobre 1933, n. 1611 (di cui l'art. 25 del codice di rito � -come gi� si � detto -solo norma �integrativa�), nel distinguere per quali controversie, proprio in materia esecutiva, si applica il foro dello Stato, ovvero quello stabilito dalle regole generali, chiaramente rivela la sua natura di � norma ~pedale � applicabile, quindi, come � eccezione alla regola generale �. E non vi � dubbio, allora, che se la regola generale stabilisce il foro dell'opposizione alla esecuzione e l'eccezione � quella del foro dello Stato, la corretta costruzione sillostica non pu� con! ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 605 durre che a conclusione opposta a quella rappresentata dal ricorrente. Sarebbe, peraltro, ben difficile scorgere la ragione per cui, in mancanza di una espressa esclusione (e l'art. 8 citato prevede, proprio, determinate esclusioni), dovrebbe ritenersi che per tutte le cause di cognizione vale la regola del foro erariale, ad eccezione di quelle che la [egge definisce cause di �opposizione all'esecuzione� e che sono, incontestabilmente, cause di cognizione. La specifica questione, del resto, ha gi� trovato soluzione, nella giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo la sent. 5 marzo 1979, n. 1365), proprio nei sensi sopra indicati, per cui trova scarsa giustificazione la riproposizione di essa, in difetto di valide argomentazioni che tengano conto dei precedenti arresti giurisprudenziali. L'istanza di regolamento di competenza, deve, pertanto, essere respinta, con la conseguente dichiarazione di competenza del giudice del foro erariale (Tribunale di Firenze). (omissis) 12 SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. l, 17 marzo 1982, n. 1726 -Pres. Brancaccio - Rel. Borruso -P. M. Zema (cont.) -S.r.l. Strade Ponti Acquedotti Edile Romana SPAER (avv. Ambrosio) c. A.N.A.S. (avv. Stato Cosentino). Appalto -Appalti di opere pubbliche -Sospensione -Rapporto tra l'art. 30 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e l'art. 16 R.D. 25 maggio 1895, n. 350 Onere della riserva � Sussistenza. (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 26 e 30; r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16 e 89). Appalto -Appalti di opere pubbliche -Riserve -Onere generale -Eccezioni -Fatti dolosi o colposi � Condizioni. Appalto -Appalti di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Allegazione di falsa causa -Non esclude l'onere de119 riserva. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16). La disciplina degli effetti della sospensione dei lavori, contenuta nell'art. 30 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, non � incompatibile con quella delle forme da osservare per documentare i provvedimenti che ordinano la sospensione e ripresa dei lavori, quale � contenuta nell'art. 16 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350. Pertanto la prima non pu� ritenersi aver abrogato la seconda e, a norma dell'art. 26 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, resta fermo l'onere dell'appaltatore, di formulare le riserve che ritenga di proprio inte: t!sse, all'atto della firma dei verbali di sospensione e ripresa dei lavori (1). Il principio per cui l'onere della riserva non sussiste quando le pretese dell'appaltatore si ricollegano al fatto doloso o gravemente colposo della Amministrazione opera solo con riguardo a fatti che non si inseriscono in un momento preciso della cronologia dei lavori registrati e non ne condizionino tempi modalit� e spese (2). La circostanza che le ragioni poste a base dell'ordine di sospensione dei lavori, e per le quali non spetti all'appaltatore alcun compenso o indennizza, non corrispondono alla realt�, non esclude l'onere dell'appaltatore di opporre la propria riserva per far valere la illegittimit� della sospensione stessa siccome ricollegantesi a fatto imputabile a dolo o colpa dell'Amministrazione (3). (1-6) Sulla prima massima non constano precedenti; sulla seconda, cfr. da ultimo, Cass. 2 luglio 1981, n. 4285, in questa Rassegna 1981, I, 828 con nota di ri.chiami, e Sass. il4 maggio 1981, n. 3167, ivi, 1981, I, 421. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 607 II COR'.fE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1982, n. 2006 -Pres. Marchetti - Rel. R. Sgroi -P. M. Paolucci (cont.) -S.p.A. Edilbeton (avv. Giordano) c. A.N.A.S. (avv. Stato Carbone). Appalto -Appalto di opere pubbliche -R.D. 25 maggio 1895, n. 350 -Natura Regolamento delegato. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350; I. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, artt. 346 e 364). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve e decadenza -Previsione contenuta nel R.D. 25 maggio 1895, n. 350 -Ulegittimit� -Esclusione. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 37, 53, 54, 64 e 89; I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, artt. 346 e 364; cod. civ., artt. 2966 e 1322; Cost., art. 24). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Riserva -Tempestivit� � � Condizioni. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 53, 54 e 89). Appalto -Appalti di opere pubbliche -Riserve -Sospensione derivante da fatto colposo -Onere -Sussiste. Il regolamento per la direzione, contabilit� e collaudazione dei lavori dello Stato, che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici, approvato con il r.d. 25 maggio 1895, n. 350, ha natura di regolamento delegato, la sua emanazione essendo stata prevista dagli artt. 346 e 364 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 aU. F (4). Le disposizioni che nel regolamento 25 maggio 1895, n. 350, disciplinano l'istituto della riserva e la correlata decadenza rientrano nel contenuto della delega conferita al Governo con gli artt. 346 e 364 della legge 20 marza 1865, n. 2248 all. F; non contrastano con l'art. 2966 cod. civ. secondo cui la decadenza pu� essere prevista dalla legge o dal contratto, perch�; non sussistendo nella materia una riserva di legge, nessun contrasto � configurabile tra la norma generale sopravvenuta, di rango ordinario, ed un precedente regolamento in materia specifica, emanato in forza di una legge anteriore, non abrogata da quella posteriore; non ledono il principio dell'autonomia contrattuale, perch� il primo comma dell'art. 1322 cod. civ. pone alla libert� di determinazione del contenuto del contratto i limiti fissati dalla legge, non limitano la tutela giurisdizionale del contraente privato, perch� n� richiedono adempimenti irrazionali o non adeguati al modo di svolgimento (2-3-7) Sui rapporti tra onere della riserva e pretese ricollegantesi a fatto doloso o colposo dell'Amministrazione, cfr. Cass. 1� aprile 1980, n. 2097 in questa Rassegna 1980, I, 967. 608 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO del rapporto considerato n� impongono di esercitare il diritto in termini cos� ristretti da vanificare ogni media diligenza (5). La domanda di indennizzi da sospensione dei lavori � tardiva se, formulata all'atto della firma dello stato di avanzamento� immediatamente successivo alla ripresa dei lavori, non sia stata preceduta da riserva iscritta nel verbale di ripresa (6). La domanda con cui l'appaltatore chieda la condanna al risarcimento del danno rappresentato dal maggior costo dell'opera, che l'Amministrazione gli avrebbe cagionato sospendendo i lavori dopo la consegna per non essersi prima procurata la disponibilit� delle aree, � correttamente rigettata ove la relativa riserva sia tardiva, senza che occorra stabilire se il fatto sia imputabile a colpa della stessa Amministrazione, perch� l'onere della riserva si estende anche ai fatti dolosi o gravemente colposi della stazione appaltante che abbiano diretta incidenza sull'esecuzione dell'opera (7). I (omissis) Col primo motivo di ricorso e con la prima parte del secondo l'Impresa lamenta che la Corte d'Appello abbia completamente omesso di prendere in considerazione un punto decisivo della controversia costituente uno dei motivi dell'atto di gravame e che, cio�, l'art. 16 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 era stato abrogato implicitamente e sostituito dall'art. 30 del capitolato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 con cui si disciplina � ex novo � il caso della sospensione e della ripresa dei lavori e che tale ultima disposizione entrata in vigore prima della stipulazione del contratto d'appalto � de quo � -[imitandosi a prevedere che detta sospensione e ripresa debbano essere attuate dall'amministrazione committente mediante oni.ini di servizio -non commina alcuna preclusione, n� alcuna decadenza in danno dell'appaltatore che non iscriva riserve in siffatti provvedimenti. Il motivo � infondato, anche se � vero che esso era stato gi� formulato nell'atto d'appello e che nella sentenza impugnata ne � stato omesso l'esame. Invero, come costantemente � stato ritenuto nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. sent. n. 1536 e 3179 dell'81) l'omesso esame di una questione � rilevante in sede di legittimit� soltanto se, qualora detto esame fosse stato compiuto, avrebbe potuto portare il giudicante a decidere la causa in modo diverso. (4-5) La natura cli regolamento delegato del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, � stata affermata da Cass. 6 maggio 1972, n. 1355 in questa Rassegna, 1972, I, 508, che ha anche affrontato il tema della legittimit� delle norme in materia di decadenza. I I 1 ! ~ I I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Ma questo non � certamente il caso della questione de qua perch�, se anche essa fosse stata esaminata dai giudici di merito, avrebbe dovuto essere respinta per le seguenti due ragioni che si integrano a vicenda: I) l'art. 26 dello stesso d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 -la oui sopravvenienza il ricorrente indica per ritenere tacitamente abrogato l'art. 16 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 -stabi.Usce che: �I documenti contabili sono tenuti secondo le prescrizioni del regolamento approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350. Le osservazioni dell'appaltatore sui predetti documenti... .devono essere presentate ed iscritte, a pena di decadenza, nei termini e nei modi stabiliti dal regolamento di cui al precedente comma �. Ora non v'� dubbio che anche i verbali di sospensione o di ripresa dei lavori debbano essere considerati �documenti contabili�, sia perch� il citato art. 16, che li concerne, prevede che in essi possano essere inserite riserve dell'appaltatore richiamando a tal fine il successivo art. 89 che riguarda proprio le eccezioni dell'appaltatore nei documenti contabili, sia perch� a norma dell'art. 36 del medesimo r.d. n. 350 del '95 formano oggetto di contabilit� tutti i fatti producenti spesa per l'esecuzione dell'opera� e la esistenza stessa della presente controversia � la prova pi� irrefutabile che la sospensione dei lavori disposta dalila stazione appaltante potr� essere fonte di spesa per la medesima. Conseguentemente deve ritenersi che, per quanto riguarda � le osservazioni � alle quali � tenuto l'appaltatore al momento della firma dei verbali di sospensione o di ripresa dei lavori (cio�, chiaramente, le sue eccezioni consistenti in domande o riserve), la disciplina dettata dall'art. 16 del r.d. n. 350 del 1895 rimane in vigore per espressa disposizione dell'art. 26 del d.P.R. n. 1063 del '62. Il) L'oggetto dell'art. 16 del vecchio regolamento del '95 e quello dell'art. 30 del nuovo capitolato generale del 1962, anche se recano la medesima rubrica(� sospensione dei lavori�) non � affatto identico: nella prima norma, infatti, si stabiliscono quali atti, con quali finalit� e con quali effetti vadano redatti al momento della sospensione o ripresa dei lavori; tale materia, invece, non � affatto presa in considerazione daJJ.a seconda norma volta esclusivamente a distinguere la sospensione dovuta a causa di forza maggiore da quella dovuta a ragioni di pubblico interesse o necessit� e a precisare in quali casi possa essere preteso un indennizzo. , Pertanto, non essendo verosimile immaginare che il legis:latore del '62 abbia voluto sopprimere qualsiasi formalit� per documentare un provvedimento cos� grave per entrambe le parti nell'economia del contratto d'appalto, quale la sospensione dei lavori, non resta che concludere anche sulla base del puro confronto testuale delle due citate norme, che la <lisci RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO plina degli atti da redigere al momento della sospensione e della ripresa dei lavori resti quella prevista nell'art. 16 del regolamento del 1895. Con la seconda parte del secondo motivo e con il terzo la SPAER torna a_ sostenere che, anche ammettendo la vigenza dell'art. 16 del r.d. n. 350 del 1895, esso nella specie non avrebbe potuto mai essere applicato perch� la sospensione dei lavori era stata determinata da un fatto doloso (in quanto simulato) che, come tale, l'Impresa aveva il diritto di contestare anche successivamente alla formazione dei verbali d:i sospensione e di ripresa dei lavori nonostante l'acquiescenza prestatavi in un primo momento. l:�.vero, l'onere di immediata contestazione delle ragioni della sospensione sarebbe potuto scattare solo in relazione a quelle vere, qualora fossero state esposte in un nuovo verbale di sospensione dei lavori. Rispetto a quelle simulate, invece, la SPAER non poteva non avere gravi incertezze circa l'eventuale necessit�, il tempo utile, la forma e la sede della formulazione delle proprie contestazioni e riserve. Anche il suesposto motivo � infondato. � ben vero, infatti, che in materia di appalti pubblici l'onere della 11iserva non sussiste quando le pretese dell'appaltatore si ricolleghino aJ comportamento doloso o gravemente colposo dell'Amministrazione; ma ci� soltanto quando non incidano direttamente sull'esecuzione dell'opera nel senso che non si inseris�ano in un momento preciso della cronologia dei lavori registrati e non ne abbiano condizionato quindi tempi, modalit� e spese. Soltanto in tale situazione, infatti, non ha pi� ragione di operare il principio della generalit� e della tempestivit� delle riserve (in tal senso giurisprudenza costante: cfr. Cass. 5300 dell'81, 2841 e 1458 del 75, 78 del 74, 717 e 677 del 73, 1384 del 71). Ma questo non � certamente !iJ oaso del dolo o della colpa grave consistita nell'aver fatto apparire falsamente la sospensione dei lavori dovuta ad una causa di forza maggiore (quali le condizioni climatologiche) -per le quali non spetta all'appaltatore alcun compenso o indennizzo (art. 30 ultimo comma) -perch�, come espressamente previsto nel terzo comma dell'art. 16 del r.d. n. 350 del '95, le ragioni della sospensione dei lavori devono essere indicate nel relativo verbale al fine di costituire materia di contraddittorio eventuale tra le parti e quindi di verifica da parte degli organi di controllo essendo decisive ai fini del diritto o meno all'indennizzo. Ci� spiega perch�, in perfetta aderenza con i principi sovraesposti questa Corte abbia sempre ritenuto che l'onere dell'appaltatore di formu lare tempestiva riserva in ordine alle maggiori pretese avanzate a causa della sospensione dei lavori sussista anche nel caso di illegittimit� della sospensione stessa per dolo o colpa dell'amministrazione appaltante (cfr. Cass. sent. n. 476 dell'81, 2097 dell'80, 1337 del '76). A tali considerazioni di puro diritto non pu� farsi a meno di aggiungere t per completezza di esame che, nella fattispecie, non sembra neppure che ~ I !i i: ' PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI possa ritenersi sussistente un fatto doloso o gravemente colposo della Amministrazione appaltante in quanto lo stesso ricorrente ammette, riconoscendo la � simulazione � della causa di forza maggiore cui nei verbali venne attribuita la sospensione dei lavori, di esserne stato perfettamente consapevole e di avervi consentito, n� adduce di averlo fatto per esservi stato costretto o per essere stato indotto in errore. Le spese seguono 'la soccombenza (omissis). II (omissis) La ricorrente sostiene che, in via pregiudiziale rispetto all'esattezza o meno della pronunciata decadenza delle proprie domande, si impone il riesame della legittimit� dell'istituto delle riserve e della correlata decadenza nelle ipotesi previste dal regolamento del 1895, in quanto: a) nessuna espressa e specifica delega a comminare decadenze da diritti soggettivi del contraente privato � contenuta nella fogge fondamentale sui lavori pubblici del 1865; b) il e.e. del 1942 ha ribadito che '1e decadenze possono essere vali-� damente poste o dal contratto o dalla legge; e) l'istituto delle riserve e correlativa decadenza previsto dal Regolamento n. 350 del 1895, prescindendo dalla consensuale adesione dell'interessato, vulnera il principio dell'autonomia contrattuale, crea una situazione di privilegio per il contraente pubblico, attenta alla pariteticit� del rapporto e limita la piena tutela giurisdizionale del contraente privato. Il Collegio osserva che, nell'ipotesi di illegittimit� di un regolamento, l'autorit� giudiziaria ordinaria � tenuta a riconoscerla in osservanza dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E sul coo.tenzioso amministrativo, che fa obbligo all'autorit� giudiziaria di applicare i regolamenti solo in quanto siano conformi alle leggi. Se il giudice ritenga illegittimo il regolamento deve applicare, anzich� la normativa da esso dettata, quella della legge con la quale contrasta; ma vi sono dei casi in cui la disapplicazione del regolamento illegittimo rimuove un ostacolo all'accoglimento della domanda, perch� in luogo di quell'ostacolo pregiudiziale posto dal regolamento non ne esistono altri nella legge, e pertanto la domanda potr� essere esaminata in base alle altre (diverse) norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio. Quando il privato promuove la azione denunciando una lesione del proprio diritto soggettivo prodotta da un rifiuto d1 pagamento della Pubblica Amministrazione basato su una norma regolamentare contraria alla legge, la dichiarazione incidentale di illegittimit� dell'atto amministrativo (regolamento) costituisce il mezzo adeguato a garantire la tutela del diritto soggettivo. Si applica la regola 612 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO normale della legge del giudizio, secondo cui il giudice deve qualificare la fattispecie in base alle norme che riconosce vigenti ed applicabili. In tale scelta il giudice procede di ufficio, nei limiti dei fat!i dedotti e delle domande proposte. Una questione concernente la vigenza ed applicabilit� delle norme non pu� dar luogo ad una eccezione proponibile soltanto dalle parti (a cui possa applicarsi il divieto posto dall'art. 112 cod. proc. civ.) perch� non � un'eccezione in senso proprio (art. 2697 comma secondo cod. civ.), ma una mera difesa. Trattandosi di applicare norme giuridiche senza alcun nuovo accertamento di fatto (per tale ipotesi di illegittimit� dell'atto amministrativo, non deducibile per la prima volta in cassazione cfr. invece le sentenze 12 marzo 1959, n. 724; 31 luglio 1957,.n. 3242), non esiste alcuna preclusione all'esame della questione, non solo in quanto dedotta per la prima volta con un motivo di ricorso (cfr. la sent. 22 settembre 1977, n. 4051), ma anche d'ufficio per la prevalenza del principio jura novit curia. Essendo impugnata integralmente la pronuncia di merito, non pu� essersi formato alcun giudicato implicito sull'accertamento incidentale della legittimit� di un atto amministrativo che costituisce anche una norma giuridica, e cio� una fonte del diritto. Le deduzioni della ricorrente sono, peraltro, infondate. a) n r;d. 25 maggio 1895, n. 350 (contenente hl regolamento per la direzione, contabilit� e collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei Lavori Pubblici) � un regolamento delegato, fondato cio� su un'espressa attribuzione di potest� normativa da parte della legge, che non conferisce al Governo il potere di emanare atti aventi forza di legge, ma attua una c.d. �delegificazione�, consentendo al regolamento di dettare una disciplina pi� articolata della materia regolata dalla legge di delega, nei limiti di essa, ed anche conferendo wn.a possibilit� di deroga, nel rispetto delle norme costituzionali (cfr. Sez. Un. 15 febbraio 1978, n. 701). Tale delega era contenuta nella legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F sulJe opere pubbVche, che dispone all'art. 346: � il regolamento determina le di� scipline da osservarsi in ovdine all'esecuzione dei lavori ed al modo di regolarne la contabilit� e la liquidazione loro � ed all'art. 364: � un regolamento determina le norme e la procedura di collaudazione e degli atti relativi per garanzia della perfetta esecuzione delle opere e dell'adempimento degli obblighi e delle condizioni dei contratti, per la liquidazione dei crediti dell'impresa e per 'la risoluzione delle contestazioni che insorgessero colla impresa stessa �. L'ampiezza della delega, comprendente tutta la materia della contabilit�, della liquidazione dei crediti dell'impresa e della risoluzione delle PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI controversie, si estendeva anche alla possibilit� di comminare decadenze, tenendo conto anche della circostanza che i codici allora vigenti (cod. civ. del 1865 e c. comma del 1882) non avevano una disciplina generale della decadenza, ma soltanto norme specifiche su diritti da esercitarsi entro certi termini, di cui si discuteva se realizzassero ipotesi di prescrizione (regolata invece con norme generali) o di decadenza. Pertanto, si trattava . di materia non specificamente regolata da altre leggi, per cui la legge di deiega non doveva contenere un'espressa previsione di deroga ad un'ine: sistente disciplina diversa. b) Nessun contrasto � ipotizzabile con l'art. 2966 cod. civ., da cui risulta che la decadenza pu� essere prevista �lalla legge (o dal contratto). Poich� la materia non riguarda un'ipotesi di riserva di legge costituzionalmente fissata con la Costituzione del 1948 (ipotesi in cui si pongono delicati problemi, variamente risolti: vedi per es. la sent. 5 febbraio 1975, n. 427), non pu� esservi contrasto fra la norma generale s�pravvenuta, di rango ordinario, ed un precedente regolamento su materia specifica, emanato in forza di una legge anteriore, non abrogata da quella posteriore; regolamento che attinge la sua efficacia dalla conformit� alla legge anteriore. In altri termini, tanto sotto il profilo della� legittimit� della produzione del regolamento, da verificarsi alla stregua dell'ordinamento costituzionale vigente nel 1895 (Costituzione �flessibile�), quanto sotto il profilo del contenuto intrinseco della norma regolamentare allora emanata, non pu� sorgere alcun problema di verifica alla stregua di una legge sopraordinata, quale � la Costituzione attualmente vigente, e resta in vigore la �delegificazione�, come attuata nel 1895, che consentiva la disciplina della materia in forma regolamentare. e) Non vi pu� essere, per le stesse ragioni appena esposte, alcuna . lesione del principio dell'autonomia contrattuale, perch� il primo comma dell'art. 1322 cod. civ. pone alla libert� di determinazione del contenuto del contratto, i limiti imposti dalla legge (e dalle norme secondarie da essa autorizzate e conformi a legge), che nella specie si preoccupa proprio di tutelare la P.A. contraente. Infine, la limitazione della tutela giurisdizionale del contraente privato (profilo di contrasto con l'art. 24 Cost. che deve essere preso in considerazione dal giudice ordinario, trattandosi appunto di norma regolamentare) potrebbe essere concretata da un ostacolo che renda pi� difficoltoso il diritto di agire in giudizio, imponendo adempimenti irrazionali, non adeguati alle circostanze del caso, che si .manifestino da un fato come vuote formalit� e dall'altro si debbano porre in essere in termini cos� ristretti, da risultare vana ogni media diligenza. Invece, non � illegittimo, in assoluto, �imporre congrue limitazioni temporali all'esercizio di poteri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processuali o subordinarli al compimento di oneri diretti a salvaguardare interessi generali (Corte cost. 29 marzo 1972, n. 57; 5 luglio 1973, n. 106). Nella specie, la stessa difesa della ricorrente ammette -nel ricorso e nella prima memoria -che il sistema delineato dagli artt. 53, 54 risponde a principi di sana e corretta amministrazione e pu� es�sere agevolmente osservato dall'appaltatore, e contesta soltanto la sua estensione al caso dei danni dipendenti da sospensione illegittima: il che pone, all'evidenza, non un problema di illegittimit� costituzionale, ma di interpretazione delle norme. Passando, finalmente, alla questione di interpretazione, � opportuno prendere le mosse da un'analisi letterale delle norme, nei limiti dell'esame delle osservazioni del ricorrente che non siano superate dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale � giunta ad affermare che, per risultare tempestiva, la riserva dipendente dalla sospensione dei lavori deve essere formulata al pi� tardi nel verbale di ripresa dei lavori, che segna la cessazione della continuit�, evidenziando sicuramente la rilevanza causale dei fatti. Infatti, il verbale di ripresa dei lavori costituisce un documento idoneo per la deduzione della riserva da parte dell'appaltatore, da trascrivere successivamente nel registro di contabilit�. L'onere di riserva riguarda ogni fatto produttivo di spesa e non va circoscritto alfa contestazione degli accertamenti compiuti dalla stazione appaltante, e cio� -nel caso dell'art. 16 del regolamento -della enunciazione delle ragioni poste a fondamento dei provvedimenti che diventerebbero incontestabili in caso di omessa iscrizione, ma si deve estendere alla richiesta di indennit� e compensi (sent. 20 gennaio 1981, n. 476, ove � contenuta un'esposizione della giurisprudenza precedente). Sul piano letterale, il terzo comma dell'art. 16 rinvia all'art. 89, che prevede che le riserve iscritte in atti diversi dal registro di contabilit�, per produrre effetto, devono essere ripetute nel registro di contabilit� nei termini e modi indicati nei precedenti artt. 53 e 54. La previsione di tale ripetizione confermerebbe che l'unica sede valida per l'apposizione delle riserve sia il registro di contabilit�. La suddetta opinione � infondata, perch� priverebbe di qualsiasi significato tutta la normativa del terzo comma dell'art. 16 e quella dei primi tre commi dello stesso art. 89. Se, infatti, col termine �ripetizione� il regolamento avesse inteso alludere all'irrilevanza delle riserve iscritte nei documenti diversi dal registro di contabilit� ed alla decisivit� solo di ci� che risulta da quest'ultimo, la proposizione della riserva di cui all'art. 89 primo comma sarebbe priva di efficacia alcuna, essendo indifferente che essa sia proposta o meno. Infatti, con l'opinione qui combattuta, la riserva nel registro di contabilit� avrebbe lo stesso effetto suo proprio, tanto se sia preceduta dalla riserva ex art. 89 primo comma, quanto se questa manchi, il che potrebbe sostenersi solo a patto di concepirla come PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI un atto puramente facoltativo, nel senso che sarebbe consentito alla libert� di determinazione dell'appaltatore o di formulare subito la riserva o di provvedervi solo in seguito, quando le scritture (a cui si riferisce l'art. 89) siano riportate nel registro di contabilit�. Ma ci� non pu� sostenersi: il termine �facolt��, letteralmente, pu� significare anche �potere� di riserva; e il potere, quando deve essere esercitato in un certo modo o entro un certo termine, � collegato con un onere posto a pena di decadenza. Per sostenere ohe si tratti di semplice �facolt� libera�, non collegata ad un onere, si deve sostenere, come fa la ricorrente riportandosi ad una corrente dottrinaria, che gli artt. 16 e 89 prevedono due sole ipotesi in cui (astrattamente) pu� verificarsi una decadenza: -che l'appaltatore abbia rifiutato di firmare i documenti contabili; -che ile ,rJserve e domande proposte nei documenti firmati dall'appaltatore non siano ripetute nel registro di contabilit�. Ma anche tale assunto � infondato. � evidente, infatti, che gli artt. 16 ed 89 prevedono anche il caso della semplice firma (diverso dal rifiuto di firma e dalla firma con riserva), dato che parlano di � documenti che devono essere firmati � e che la mancanza pura e semplice di riserve realizza un'ipotesi di inesistenza di �eccezioni dell'appaltatore� (ofr. la rubrica dell'art. 89) che deve essere trattata alla stessa stregua dell'ipotesi fondamentale dell'art. 54, il quale � formulato secondo la medesima tecnica. Invero, premesso ohe l'art. 54 primo comma prevede la firma �con o senza riserva�, il quinto comma commina espressa decadenza soltanto per le due ipotesi di mancanza di firma nel termine prefissogli a norma del secondo comma e nel caso in cui, avendo firmato con riserva l'appaltatore non l'abbia poi esplicata nel termine e nel modo di cui al terzo comma. Eppure, non si dubita menomente che anche la terza ipotesi di firma senza riserva realizza un'ipotesi di decadenza dalle domande che avrebbero dovuto proporsi e che non sono state proposte, nel momento identificato secondo le ben note regole generali fissate dalla giurisprudenza. In entrambi i casi, pertanto, il regolamento non ha avuto ragione � di comminare un'espressa decadenza, perch� l'ipotesi di �assenza di domanda, di indennit� e compensi � esaurisce la sua disciplina nella presa d'atto che l'appaltatore non fa alcuna domanda, a norma dell'art. 53, all'atto della firma del registro di contabilit�, i quindi non si mette in. moto il meccanismo che pone la stazione appaltante nell'obbligo di esaminare la domanda stessa. Ci� posto, il termine � facolt� � di cui all'art. 89 non pu� avere lo stesso significato della espressione �domande che l'appaltatore crede di fare� usata nell'art. 53, e cio� indica un potere dell'appaltatore il cui mancato esercizio implica l'assenza della domanda (termine contenuto anche nell'art. 89) e non pu� che dar luogo alle stesse conseguenze che unanimemente si riconoscono a tale assenza nell'ipotesi dell'art. 54, vale a dire il non poter far valere successivamente la domanda che avrebbe RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dovuto esser fatta, in che consiste l'essenza della decadenza. Dal fatto che l'ultimo comma dell'art. 89 prevede l'onere di ripetizione delle riserve e domande (contenute in documenti diversi dal registro di contabilit�) nO!Il pu� trarsi l'illazione che l'efficacia � conferita ad esse solo da tale ripetizione, perch� la norma � chiara nel senso che tal�' ripetizione � ulteriore condizione per la rilevanza delle riserve gi� fatte nei documenti diversi, tanto da ripetere due volte lo stesso concetto ( � non avranno efficacia � e �saranno considerate come non avvenute�), che descrive, in negativo, la qualificazione di rilevanza data alle riserve gi� fatte. In una fattispecie a formazione progressiva, gli effetti non sono prodotti dall'ultimo atto della procedura, anche se questo � previsto come condizionante, perch� la condizione, da sola, non pu� produrre l'effetto che � collegato a tutta la fattispecie. Non si pu� ripetere ci� che non � stato gi� scritto, in antecedenza, ma ci� non significa che -quandq la riserva � iscritta per la prima volta nel registro di contabilit� -si prescinda del tutto dai precedenti documenti: infatti il concetto di ripetizione implica una riproduzione e cio� una reiterazione di una dichiarazione gi� emessa, ciascuna delle quali ha un proprio effetto, non potendosi confinare nena irrilevanza la prima dichiarazione: ch�, anzi, la seconda, a parte l'effetto confermativo che le � proprio, � priva di autonomia rispetto alla prima. L'impossibilit� di ripetiziO! Ile non � quindi soltanto fenomenica, e cio� di fatto, ma si converte in una impossibilit� giuridica, nel senso della irrilevanza di una dichiarazione successiva che avrebbe dovuto essere meramente riproduttiva ed -invece, contro il sistema delle norme -� di carattere primario. Che soltanto il registro di contabilit� sia la sede per l'apposizione delle riserve, non risulta nemmeno dalla diversit� di contenuto delle dichiarazioni dell'appaltatore. Infatti, anche l'art. 89, come l'art. 54, parla sia di riserve che di domande. La riserva � una contestazione delle risultanze delle scritturazioni; la .domanda � la richiesta avanzata sulla base della contestazione, ma non pu� confondersi con la prima, perch� una causa petendi senza il petitum priva di rilevanza la contestazione. Anche l'art. 89 vuole che siano formulate entrambe, disponendo soltanto che esse siano inscritte �in succinto�, il che non equivale per� a genericit�, perch� la concisione implica anzi la precisione e la chiarezza della richiesta. L'art. 54, all'atto della riserva, non prevede la necessit� di una immediata esplicazione, con indicazione precisa delle cifre di compenso e delle ragioni di alcuna domanda, perch� tale �esplicazione� pu� avvenire nei successivi 15 giorni. Nell'art. 89, dopo non esiste possibile differenziazione fra riserve e domande e loro esplicazione, la motivazione di esse � immediata ed � sufficiente che sia � succinta � appunto perch� � prevista la loro ripetizione nei modi e termini degli artt. 53, 54. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Che, poi, la riserva nel verbale di cui all'art. 16, che rinvia all'art. 89, sia diretta soltanto a contestare le circostanze di fatto od i motivi addotti dalla stazione appaltante, in occasione della sospensione o della ripresa dei lavori, ma non le loro conseguenze, � smentito dalla gi� rilevata distinzione fra riserva, intesa come contestazione, e domanda, intesa come richiesta. Se dal verbale risulta che la sospensione � stata disposta nell'interesse della st~ione appaltante, le conseguenze di essa non possono essere implicite, se non sono formulate. Trarre le conseguenze dalle scritturazioni, se~za una formulazione scritta di tali conseguenze, � contrario a tutto un sistema basato sulla forma scritta. Non vi � alcuna necessaria illazione (dal fatto che la decadenza consegua dalla mancata ripetizione nel registro di contabilit�) nel senso che la stessa sanzione non possa essere prevista per l'omissione della riserva e delle conseguenti domande nei documenti a cui si applica l'art. 89, perch� l'onere dalla cui mancata osservanza dipende la decadenza pu� essere fissato in relazione ad una pluralit� di adempimenti, tutti concorrenti alla preservazione del diritto che si vuol fare valere, come � dimostrato proprio dall'art. 54, che prevede la decadenza da una domanda iscritta, ma non espHcata. Sulla base delle osservazioni che precedono � possibile contestare l'argomentazione di fondo della prima parte del motivo, secondo cui soltanto gli stati di avanzamento contenuti nel registro di contabilit� sono la sede per dedurre le domande dell'appaltatore, concretate da cifre, perch� nel verbale di sospensione e di ripresa di lavori non esistono soritturazioni contabili che possano essere contestate. A parte il fatto che tale tesi urta contro il richiamo all'intero art. 89, contenuto nell'art. 16, e quindi contro la gi� rilevata sussistenza dell'onere di formulare non solo le riserve, ma anche le conseguenti domande, si osserva che -facendo leva sulle espressioni contenute nell'art. 16 (� ragioni che hanno indotto a sospendere i lavori�) si potrebbe sostenere un'interpretazione ri,duttiva del suddetto richiamo, nel senso che le riserve sui verbali di sospensione o di ripresa dei lavori possono avere ad oggetto solo Ja contestazione dei fatti che hanno indotto a disporre la sospensione o a riprendere i lavori ovvero dei fatti che hanno portato a far qualifica � illegittima � una sospensione originariamente legittima. Ma anche con tale interpretazione non si giungerebbe affatto ad escludere la decadenza, nel caso di omissione delle riserve, la quale discende de plano anche da un'interpretazione meramente letterale e riduttiva dell'art. 89 in rela~ione all'art. 16. Infatti, se la decadenza colpisce la riserva riguardante il limitato oggetto descritto, e cio� la causa petendi delle successive richieste, questa causa petendi non potr� essere ripetuta nel registro di contabilit�, ex artt. 53 e 54 e rende pertanto irrilevante anche il petitum formulato in base ad essa con la specificazione delle richieste di indennit�, danni e compensi. Per arrivare a salvare dalla decadenza le suddette richieste bisognerebbe, in altri termini, 618 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO eliminare qualsiasi rilevanza delle riserve di cui al combinato disposto degli artt. 16 ed 89, il che si potrebbe sostenere solo a patto di accogliere la tesi della facolt� libera dell'appaltatore di formulare o meno, come semplice memoria o preavviso: ma ci� significa privare di qualsiasi serio significato le suddette norme, perch� non si vede che ragione ci sarebbe di regolare degli adempimenti che possono essere sostituiti dall'assoluto silenzio dell'appaltatore, con uguali conseguenze. Che, poi, i verbali di sospensione o di ripresa non siano documenti contabili, non serve a sostegno della tesi della ricorrente, di fronte all'estensione ad, essi di una norma posta sotto il capo V, che detta le norme generali per la tenuta dei documenti contabili. Asserire che la quantificazione della riserva non � possibile, nei verbali di sospensione o di ripresa, e che inoltre la stazione appaltante non pu� esercitare quel controllo che costituisce la finalit� della riserva, perch� non � possibile confrontarla con la spesa quale risulta soltanto dal registro di contabilit�, non � obiezione decisiva, di fronte al fatto che tale obiezione, evidentemente, dovrebbe valere anche per le riserve espressamente regolate dall'art. 89 con riguardo alle eccezioni dell'appaltatore contenute in documenti contabili diversi dal registro di contabilit�, perch� solo in quest'ultimo si d� contezza della spesa complessiva, in concomitanza con il suo svolgimento. Pertanto, l'obiezione prova troppo, lasciando alla �discrezione dell'appaltatore (che vi proceder� per mera utilit� sua, al fine di precostituirsi la prova, per esempio) l'apporre o meno la riserva, sicuro che la sua omissione non pregiudicher� il diritto di formulare la riserva stessa all'atto della sottoscrizione del registro di contabilit� in occasione del primo stato di avanzamento successivo. La tesi urta contro tutto il sistema del regolamento, ispirato alla tutela della Stazione appaltante, come risulta dall'art. 37, posto sotto la sezione prima (�scopo e forma della contabilit�� che tende all'accertamento e registrazione dei fatti di pari passo al loro avvenimento). La possibilit� di esporre le ragioni della domanda e, almeno in succinto, la domanda stessa, a norma del combinato disposto dell'art. 16 e dell'art. 89 non pu� essere esclusa in astratto: nella stessa narrativa della citazione della presente causa si afferma che le richieste di maggiori compensi furono formulate in una lettera inviata nel corso del periodo di sospensione, ed ancor prima della ripresa dei lavori, il che significa che l'impresa riteneva di avere gli elementi per quantificarli. Sar� quindi questione da risolvere caso per caso, quella della possibilit� di addurre oneri anche proiettati nel futuro, ma che si assumono sicuri, in dipendenza della sospensione. A sua volta, la Stazione appaltante a parte le � controsservazioni � di cui al secondo comma dell'art. 89, potr� procedere alla verifica ed al controllo della spesa in occasione della ripetizione delle domande nel registro di contabilit�, proprio in ragione del fatto che quest'ultimo � l'unico documento che rispecchia il costo com i l I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI plessivo. In tale momento, infatti, � possibile la piena esplicazione degli effetti della riserva per i maggiori oneri dipendenti dalla sospensione, ma ci� non significa che ogni atto anteriore � privo di effetti, dato che si tratta di un procedimento che acquista rilevanza solo in quanto sia iniziato e terminato, per cui ogni atto di esso � dotato dell'efficacia propria del suo inserimento nella successione degli atti dal cui complesso deriva l'efficacia definitiva. Si sostiene che, in tale modo, la riserva ex artt. 16 ed 89 acquista il significato di� un semplice preavviso di un costo o di un danno che possono essere anche futuri ed incerti (ma si � gi� visto che la collocazione nel futuro non � sintomo di incertezz~ e ohe la sospensione pu� produrre anche danni ed oneri durante il su� corso); preavviso che non avrebbe rilievo decisivo, perch� anche la stazione appaltante � in grado, a prescindere da esso, di rilevare l'efficacia causativa di maggiori oneri. Questa obiezione � priva di significato, in un sistema nel quale i fatti contano solo in quanto registrati nei documenti. � evidente, infatti, che in mancanza di una richiesta dell'appaltatore la stazione appaltante non potrebbe riconoscere d'ufficio dei compensi o delle indennit� di cui abbia -per altro verso -piena consapevolezza, perch� la stazione appaltante non � un privato che ha disponibilit� del suo debito, ma una Pubblica Amministrazione che deve sottostare ai sistemi di controllo dell'erogazione della spesa (cfr. la giurisprudenza di questa Corte a partire dalla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 1968 del 20 giugno 1972). Per tutte le suddette considerazioni, deve riconfermarsi fa giurisprudenza di questa Corte, esattamente applicata dalla Corte di Appello di Roma, posto che non � contestata l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui l'appaltatrice, nel momento della ripresa dei lavori era in grado di percepire e denunciare una situazione ormai esaurita, che aveva avuto diretta ed immediata incidenza nella esecuzione dell'opera e le aveva prodotto un pregiudizio; ovvero era un sicuro e diretto fattore causale di danni futuri (e cio�, sotto il primo profilo, i danni derivati dall'immobilizzazione del cantiere e del personale; e, sotto il secondo profilo, il prevedibile aggravio della �residua prestazione, che sarebbe venuta . a cadere in stagione sfavorevole). Esattamente, pertanto, la Corte di Appello ha ritenuto l'esistenza dell'onere di apporre le riserve e di formulare in succinto le domande conseguenti nei verbali di ripresa dei lavori (cfr., in tale senso sent. 14 maggio 1981, n. 3167). Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degJi artt. 5, 53 e 54 del �r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e dei principi generali che disciplinano l'istituto della riserva nei pubblici appalti; violazione e falsa interpretazione dei principi generali in tema di colpa e responsabilit� contrattuale ed extracontrattuale; manc_anza, insufficienza e contraddittoriet� della motivazione, lamentando che la sentenza abbia 620 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEILO STATO respinto la tesi che, nella specie ci si trovasse di fronte ad un comportamento colposo dell'Amministrazione, circostanza che escluderebbe ogni onere di riserva, insufficientemente motivando sulle circostanze di fatto che portavano a ritenere che l'ANAS aveva violato l'art. 5 del r.d. n. 350, in quanto all'atto della redazione del progetto non aveva la disponibilit� dei terreni su cui i lavori dovevano essere eseguiti, di modo che erano stati necessari circa tre anni per concludere i necessari accordi con le altre Amministrazioni interessate. Tale comportamento colposo aveva provocato dei danni, che dovevano essere risarciti, a prescindere dalla riserva, non avendo influenza la distinzione fatta dalla Corte d'appello fra comportamento colposo avente influenza o meno sull'esecuzione dell'appalto. Infatti, secondo la ricorrente, i comportamenti colposi della stazione appaltante che possono formare oggetto di controversia sono appunto solo quelli che influiscono sulla gestione o sull'esecuzione dell'appalto, di modo che la distinzione pu� farsi solo in base al comportamento del1' Amministrazione ed alle conseguenze che ne sono derivate. Il motivo � infondato. Non esiste, in primo luogo, il difetto di motivazione in ordine all'accertamento della colpa dell'Amministrazione, dato che la Corte di Appello ha esattamente ritenuto giuridicamente irrilevante detto accertamento di fatto, perch� -. ammesso che il comportamento dell'Amministrazione fosse colposo -tuttavia, esso aveva avuto una incidenza diretta nell'esecuzione dell'opera ed era stato causa di perturbamento della normale esecuzione della prestazione, e quindi permaneva l'obbligo della riserva. La valutazione suddetta � concretata dalla motivazione secondo cui il comportamento dell'ANAS, determinando l'arresto dell'attivit� del cantiere, aveva impedito all'app~ltatore di utilizzare la sua organizzazione in modo continuativo per l'esecuzione dell'incarico ed aveva avuto quindi diretta ripercussione sfavorevole nella sua prestazione, aggravandone il complessivo onere economico. Tale motivazione non � contestata dalla ricorrente, la quale non afferma affatto che, invece, doveva essere accertato se i danni di cui essa aveva chiesto il ristoro fossero indipendenti dall'esecuzione del contratto, in quanto colpivano la propria attivit� come impresa impegnata in altri lavori (a prescindere, ovviamente, dalla risarcibilit� di tali danni), ma anzi ribadisce che si trattava di riserve di danni e di indennit� riguardanti l'esecuzione dell'opera. Ci� posto, la questione doveva essere risolta solo sotto il profilo giuridico, affermando l'estensione della necessit� della riserva anche in relazione a fatti dolosi o gravemente colposi della Stazione appaltante (da ultimo Cass. n. 476 del 1981, cit.; Cass; 1� aprile 1980, n. 2097) (omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUNALE DI ROMA -Sez. IV, 28 ottobre 1981 -Pres. ed est. Muscar� - Imp. Pofferi ed altri -Parte civile Ministero del Tesoro (Avv. Gen. dello Stato) (1). Reato � Reato valutarlo previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Soggetto attivo E' � chiunque � anche se non residente. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile "1976, n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Valore delle disponibilit� valutarle o attivit� di qualsiasi genere superiore ai quindici milioni di lire -Non costituisce circostanza aggravante ma ipotesi autonoma di reato. Reato� Reato valutarlo previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Sanzioni di carattere amministrativo di cui all'art. 8 del decreto-legge 4 marzo 1976, n. 31 nel testo risultante dalla legge di conversione 30 aprile 1976, n. 159 ed in relazione all'art. 2 R.D.L. 5 �dicembre 1938, n. 1928 convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739 -Inapplicabilit�. Reato -Reato valutarlo previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689 -Confisca obbligatoria prevista dall'art. 1 del decreto-legge 4 marzo 1976, n. 31 nel testo risultante dall'art. 2 legge 23 dicembre 1976, n. 863 -Inapplicabilit� (2). Soggetti attivi del reato previsto dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dalla sostituzione operata dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689, sono tutti (�chiunque�) coloro i quali, anche se non residenti, alla data del 6 marzo 1976 avevano la cittadinanza italiana ed erano possessori all'estero di attivit� costituite anteriormente a tale data in violazione delle norme valutari~ vigenti al momento del fatto. (1) Questa Rassegna prosegue nella pubblicazione di pronunzie di merito in materia penale valutaria. La complessa problematica posta dalla normativa penale valutaria -che ebbe, come noto, una gestazione tormentata (nell'anno 1976 vennero emessi tre decreti legge e tre leggi di conversione), e che non rappresenta in verit� un esempio di perfezione di tecnica legislativa, dovuto anche alla notevole peculiarit� e al carattere alquanto ostico della materia (cambi e valute) e alla esigenza di fare presto al fine di contrastare, con urgenza e con maggiore 13 622 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nell'ipotesi di omessa dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi entro il 3 dicembre 1976 di disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere (art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dalla sostituzione operata dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976, n. 689), il valore di detta disponibilit� o attivit� superiore ai quindici milioni di lire d� vita ad ipotesi autonoma di reato e non costituisce circostanza aggravante, con la conseguente inammissibilit� del giudizio di comparazione con eventuali attenuanti. Al reato di omessa dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi di disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere costituite anteriormente al 6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del fatto non sono applicabili, quale pena accessoria, le sanzioni di carattere amministrativo di cui all'art. 2 del R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739. Al reato di omessa dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi di disponibilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere costituite anteriormente al 6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del fatto, non � applicabile la misura di sicurezza della confisca obbligatoria di cui all'ottavo comma dell'art. 1 del R.D. 4 marzo 1976, n. 3L nel testo risultante dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1976, n. 863 (2). (omissis) La difesa del Pofferi ha sostenuto l'inapplicabilit� della normativa valutaria, nelle fattispecie contestate, fil quanto l'imputato avrebbe uno status di �non residente�. Ad avviso del Tribunale l'elemento della �residenza effettiva� non acquista rilevanza in relazione alle fattispecie di reato ascritte al Pofferi. Invero con riferimento agli addebiti di omessa dichiarazione all'UIC delle partecipazioni azionarie possedute all'estero -capi a), c), d), f) il Tribunale osserva: La fattispecie criminosa che interessa � contemplata dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 nel testo risultante dalla sostituzione operata dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976, n. 689. Il primo comma di tale articolo prevede che chiunque possiede� all'estero, direttamente o indirettamente, disponi- efficacia, stante la grave situazione economica e monetaria del Paese, l'emorragia di capitali, e di agevolare il rientro di quelli gi� trasferiti -non ha ancora trovato un'esauriente elaborazione nella dottrina e nella giurisprudenza del Supremo Collegio, per cui si ritiene che la diffusione di sentenze di merito possa costituire un utile contributo all'approfondimento e alla soluzione delle molteplici questioni, sovente alquanto delicate, da affrontare nei procedimenti penali per infrazioni valutarie. (2) L'affermazione del Tribunale non pu� essere condivisa. Ci riportiamo a quanto sul punto � stato espresso nella nota alla sentenza 5 marzo 1981 della Corte di Appello di Genova pubblicata nel precedente numero di questa Rassegna (I, pag. 407). I ! . I PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE bilit� valutarie o attivit� di qualsiasi genere, costituite anteriormente al 6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del fatto, � tenuto con le modalit� stabilite dall'UIC a farne dichiarazione all'Ufficio stesso entro il termine del 19 novembre 1976 (tale termine � stato poi sostituito con quello del 3 dicembre 1976 dall'art. 1 del d.l. 19 novembre 1976, n. 759 convertito in legge dall'art. 1 della legge 23 dicembre 1976, ri'. 863), nonch� a provvedere ad altri adempimenti consistenti, per quanto concerne ��. titoli azionari, nel deposito dei titoli stess�i, entro iJ. 19 febbraio 1977, presso la Banca d'Italia o una banca agente (art. 11 decreto 22 dicembre 1975 del Ministro per il commercio con l'estero), con obbligo invece di vendere, entro il 19 novembre 1977, quei titoli azionari che non costituiscono investimenti diretti ai sensi delle disposizioni valutarie. Il deposito dei titoli nel termine previsto per la dichiarazione (3 dicembre 1976) fa ritenere assolto '1'obbligo della diohiarazione (quarto comma dell'-art. 2). L'ultimo comma cosi dispone: � Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle persone fisiche che, alla data del 6 marzo 1976, non avevano la cittadinanza italiana �. Soggetti attivi del reato sono pertanto tutti(� chiunque�) coloro i quali alla data del 6 marzo 1976 avevano la cittadinanza italiana ed erano possessori all'estero di attivit� costituite anteriormente al 6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del fatto. Indubbiamente il Pofferi alla data del 6 marzo 1976 era cittadino italiano e indubbiamente la costituzione all'estero delle varie societ� di comodo avvenne in violazione della norma valutaria di cui all'art. 5 d.l. 6 giugno 1956 n. 476 in quanto l'imputato, all'epoca sicuramente � residente �, non richiese la prescritta autorizzazione ministeriale n� rese la prescritta dichia� razione alla Banca d'Italia. L'art. 2 della legge n. 159/1976 � stato sostituito, dall'art. 3 della legge n. 689/1976, con gli artt. 2, 2-bis e 2-ter. L'art. 2-bis prevede che i residentL che, tramite l'interposizione di non residenti o la partecipazione in societ� estere, possiedono in Italia attivit� di qualsiasi genere costituite anteriormente al 6 marzo 1976 possono entro il 19 maggio 1977 rendersene cessionari senza corrispettivo, previo adempimento degli obblighi di cui al primo comma del precedente art. 2 dei quali ricorrano i presupposti. Tale norma offre quindi ai residenti, possessori di attivit� fittiziamente intestate a enti esteri, la possib1lit� di rendersi cessionari di quell'attivit� in alternativa all'obbligo di vendere entro il 19 novembre 1977 i titoli azionari delle societ� estere di comodo, obbligo sussistente ai sensi dell'art. 2 primo comma lett. b in quanto quei titoli non costituiscono, all'evidenza, investimenti diretti ai sensi delle disposizioni valutarie. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Peraltro i soggetti che si trovano nelle condizioni previste dall'art. 2-bis restano in ogni caso obbligati -come espressamente previsto -all'adempimento degli obblighi di cui al primo comma dell'art. 2 e cio� alla dichiarazione all'UIC la cui omissione sar� sanzionata con le pene previste nello stesso art. 2 al quinto comma. La tesi difensiva secondo la quale la violazione del disposto di cui all'art. 2-bis non pu� essere assimilata alla violazione del disposto di cui all'art. 2 si basa sull'erronea considerazione che l'art. 2-bis imponga prescrizioni distinte da quelle previste dall'art. 2: la norma invece si limita a concedere a determinati soggetti, che abbiano adempiuto ai prescritti adempimenti, una possibilit� in alternativa alla vendita dei titoli. azionari esteri. Per completezza d'indagine suhle fontri. normative � appena da rilevare che l'art. 1-bis del dJ. 4 marzo 1976, n. 31, quale risulta nel testo della legge n. 863/1976, prevede indubbiamente la qualit� di �residente� per il soggetto attivo del reato di fittizia intestazione a persone giuridiche o enti esteri di beni o attivit� esistenti in Italia. Ma tale norma all'evidenza riguarda condotte successive alla data d'entrata in vigore della legge mentre le situazioni esistenti a quella data trovano regolamentazione nelle disposi-. zioni gi� esaminate. Per quanto poi riguarda il problema della residenza in relazione agli addebiti di illecita costituzione di disponibilit� all'estero (capo e) il Tribunale osserva: L'art. 1d.l.4 marzo 1976, n. 31, nel testo finale contenuto nell'art. 2 legge 23 dicembre 1976, n. 863, prevede, nel primo e secondo comma, due distinte fattispecie di reato: l'illecita esportazione di valuta, titoli azionari od obbligazionari, titoli di credito ovvero altri mezzi di pagamento; l'illecita costl.tuzione fuori del territorio dello Stato di disponibilit� valutaria o attivit� di qualsiasi genere. Soggetto attivo del reato pu� essere � chiunque � secondo la formulazione letterale della norma. Trattasi per� solo in apparenza di un reato c.d. comune: invero la condotta dell'agente diviene illecita solo quando sussiste la necessit� dell'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria. � di tutta evidenza, ad esempio, che non potrebbe ritenersi responsabile di illecita costituzione di disponibilit� valutarie lo straniero residente all'estero che nella propria patria tale costituzione attui. La ratio della normativa valutaria � chiaramente quella di impedire il trasferimento all'estero di denaro o beni derivanti da una qualsiasi attivit� produttiva di ricchezza esistente in Italia. Invero anche lo straniero che esporti dall'Italia valuta deve essere ritenuto responsabile del reato previsto dal primo comma dell'art. 1 qualora l'esportazione avvenga senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria. I I 1: PARIB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Dalla necessit� di previsione di autorizzazione perch� la costituzione all'estero di disponibilit� valutarie o attivit�, avvenuta senza autorizzazione o con autorizzazione indebitamente concessa, costituisca reato deriva la conseguenza che soggetti attivi del reato possano essere soltanto i �residenti � quali definiti, trattandosi di reati valutari, dall'art. 1 d.l. 6 giugno 1956, n. 476 e dal decimo comma,dell'art. 1 dJ. n. 31/1976 nel testo sostituito dall'art. 2 legge n. 863/1976. In base a tali norme sono da considerarsi � residenti � le persone fisiche di nazionalit� italiana: a) aventi la residenza nel territorio della Repubblica; b) aventi la residenza all'estero limitatamente ,all'attivit� produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica. Devono peraltro ritenersi residenti all'estero le persone fisiche di nazionalit� italiana che, pur conservando la residenza anagrafica in Italia, hanno svolto lavoro dipendente o artigianale all'estero, limitatamente per� alle disponibilit� ed attivit� ivi costituite durante tale periodo con i proventi del lavoro medesimo. Emerge pertanto in modo indubbio la qualit� di � residente � del Pofferi, nella definizione prevista dalla normativa valutaria, in quanto trattasi di persona fisica di nazionalit� italiana la quale, ammesso e non concesso che al momento del fatto non avesse pi� la residenza nel territorio della Repubblica, ebbe a costituire a proprio favore, fuori del territorio dello Stato, disponibilit� valutarie provenienti da attivit� produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica (omissis). Venendo quindi alla determinazione della pena da infliggere agli imputati il Tribunale deve preliminarmente risolvere il problema relativo alla qualificazione da attribuire all'ipotesi di reato concernente l'omessa dichiarazione, entro il 3 dicembre 1976, all'UIC di disponibilit� valutarie o attivit� di valore superiore ai 15 milioni di lire: si tratta cio� di stabilire se tale fattispecie integri un'ipotesi autonoma di reato o se invece sia da ritenersi circostanza aggravante del reato base costituito dall'omessa dichiarazione di disponibilit� o attivit� di valore non superiore ai 15 milioni. La soluzione di tale problema � di piena rilevanza nel caso in esame in conseguenza dell'avvenuta concessione al Fantoni di attenuanti e, idi conseguenza, della necessit� del giudizio di comparazione tra le concesse attenuanti e le aggravanti eventualmente sussistenti. Il Tribunale non ignora che la giurisprudenza, sia di merito che della S.C., � orientata nel senso di ritenere come fattispecie aggravate le previ sioni normative dei vari provvedimenti legislativi riguardanti la materia valutaria succedutisi nell'anno 1976 l� dove viene prevista una pena superio re, ed anche di specie diversa, in dipendenza del maggior valore dei beni oggetto del reato. Si � in particolare ritenuto che configuri un'aggravante 626 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la previsione del terzo comma dell'art. 1 del d.l. n. 31/1976, convertito con legge n. 159/1976, peraltro nel testo anteriore alla sostituzione contenuta nell'art. 2 della legge n. 863/1976 (Cass. sez. III, 18 giugno -7 novembre 1979, mancardi). Si sostiene infatti che la diversit� nell'entit� del valore dei beni, alla quale corrisponde diversit� di sanzione, non pu� ritenersi, rispetto al reato base, un elemento specializzante, idoneo quindi a configurare un reato autonomo, in quanto non comporterebbe alcuna� variazione rispetto alla conformazione tipica del reato ma solo una variazione quantitativa della lesione del bene protetto. L'omessa dichiarazione all'UIC delle disponibilit� estere � stata per la prima volta prevista come reato dall'art. 2 della legge n. 159/1976 e sanzionata con rinvio alle punizioni previste nell'art. 1 del d.l. n. 31/1976. L'art. 2 della legge n. 159/1976 � stato poi sostituito integralmente dall'art. 3 della legge n. 689/1976. Nella nuova formulazione la sanzione � prevista in modo espresso: �Chi non osserva le prescrizioni stesse � punito con la multa fino a lire 500 mila ovvero, se la violazione si riferisce a disponibilit� o attivit� di valore superiore a 15 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa fino al quadruplo del predetto valore�. Non risultano al Tribunale precedenti giurisprudenziali concernenti espressamente l'interpretazione di tale normativa. Osserva il Tribunale, in via generale, che l'interpretazione della legge deve essere effettuata sulla base dei due canoni previsti dall'art. 12 delle disposizioni �sulla legge in generale: il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e l'intenzione del legislatore. Costituisce pertanto inaccettabile petizione di principio il ritenere in ogni caso elemento aggravante e non specializzante 'l'entit� del valore dei beni prescindendo dall'applicazione dei canoni obbligatori nell'interpretazione della legge. Tale rilievo assume particolare rilevanza in relazione al testo l~gislativo in esame.. Invero, con riguardo al significato proprio delle parole, il Tribunale rileva che � ovvero � � congiunzione che serve ad opporre al discorso precedente ed � sinonimo di � o al contrario �~ � o invece �. La norma in esame pu� e deve pertanto essere letta in questa formulazione: �Chi non osserva le prescrizioni stesse � punito con la multa fino a lire 500 mila o al contrario, se la violazione si riferisce a disponibilit� o attivit� di valore superiore a 15 milioni di lire, con la reclusione da uno a sei anni e con fa multa fino al quadruplo del predetto valore �. Appare quindi evidente che il maggior valore, superiore ai 15 milioni, si pone come elemento in opposizione a quello inferiore ai 15 milioni e pertanto di piena rilevanza ai fini di una specifica caratterizzazione della fattispecie criminosa. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE D'altra parte l'enorme divario di pena esistente tra la prima ipotesi multa fino a 500 mila lire -e la seconda -reclusione da uno a sei anni e multa fino al .quadruplo del valore dei beni -costituisce elemento univocamente sintomatico della volont� del legislatore di una diversa punizione tra fattispecie criminose essenzialmente diversificate tra loro proprio in relazione alla diversa entit� della lesione cagionata all'economia nazionale. Su1la effettiva intenzione del legislatore depone anche un altro ordine di considerazioni: l'art. 2 della legge n. 863/1976 ha modificato la disciplina delle sanzioni quale prevista nel precedente art. 1 d.l. n.. 31/1976 per i reati di illecita esportazione ed illecita costituzione di attivit� all'estero; per il reato � base � � in ogni caso prevista la pena della reclusione da 1 a 6 anni e della multa dal doppio al quadruplo dei beni; se il valore dei beni non supera i 5 milioni la pena � della multa dalla met� al triplo. La dottrina e la giurisprudenza (cfr. gi� citata sentenza della Cass. sez. III) concordano nel ritenere che, in virt� di tale modifica legislativa, il valore dei beni abbia perduto il ruolo di elemento circostanziante ed assunto quello di base per la determinazione della multa congiunta in ogni caso alla reclusione. Quello che importa rilevare in questa sede � l'opinione comune, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il legislatore sia stato indotto a quella modifica proprio per opporsi all'orientamento giurisprudenziale, affermatosi nel vigore della precedente normativa, che consentiva il giudizio di comparazione tra le attenuanti e l'aggravante del valore superiore ai cinque milioni; il che sostanzialmente equivale a riconoscere che, anche in precedenza, l'intenzione del legislatore era quella di considerare il reato � pi� grave � come fattispecie a se stante. La considerazione assume tanto maggior rilievo se si tien presente che la norma che stiamo esaminando (�Chi non osserva... ovvero... �) � stata emanata in una data (ottobre) di poco anteriore a quella (dicembre) della norma ritenuta innovatrice. In base alle esposte considerazioni il Tribunale ritiene di affermare che l'omessa dichiarazione di disponibHit� valutarie o attivit� superiori ai 15 milioni di lire, come prevista dall'art. 2 legge 159/1976 nel testo sostituito dall'art. 3 legge 689/1976, costituisce un'ipotesi autonoma di reato e non una circostanza aggravante: non � pertanto aminissibile il giudizio di comparazione con [e ,attenuanti concesse al Fantoni (omissis). Ai fini della quantificazione della pena pecuniaria da infliggere agli imputati il valore delle attivit� pu� essere convenientemente ritenuto corrispondente al valore nominale delle azioni delle societ� italiane delle quali le societ� estere erano apparenti titolari, valore gi� indicato nei capi d'imputazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO TrattandosJ di infrazioni punite con pena proporzionale il valore delle attivit�, pur nella ritenuta continuazione tra i vari reati ascritti al Pofferi, deve essere determinato ai fini della pena in base alla somma degli importi indicafil nei capi d'imputazione. Il minimo edittale della multa con riferimento ai capi a), e), d) � pertanto di lire 2.873.128.900; con rifer�� mento ai capi e) ed alla prima ipotesi di reato contestata sub f), � di lire 63. 977.474 tenuto conto che per i reati oggetto di tali capi il minimo della multa � pari al doppio del valore delle disponibilit� costituite o esportate all'estero. Complessivamente pertanto il minimo della multa risulta pari a lire 2.937.106.374. Tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. -in particolare della rilevante gravit� dei reati e della loro pluralit� e delle condizioni di vita sociale dell'imputato -ritenuto in concreto come reato pi� grave quello di cui al capo e), il Tribunale considera di giustizia condannare il Pofferi alla pena di anni quattro di reclusione (a. 2 m. 6 pi� 81 cod. pen. uguale a. 4) e di lire 3 miliardi di multa; il Fantoni alla pena di un anno di reclusione e di lire 260.000.000 di multa (a. 2-62 n. 6 cod. pen. uguale a. 1 m. 6-62-bis uguale a. 1; 575.000.000-62 n. 6 uguale 390.000.000-62-bis uguale 260.000.000). I reati di omessa dichiarazione all'UIC entro il 3 dicembre 1976 delle attivit� estere sono da ritenersi reati di omissione istantanei: l'obbligo della dichiarazione doveva essere adempiuto entro quel termine scaduto il quale il reato � da ritenersi perfetto. I reati di cui ai capi e) ed f) -prima ipotesi -devono ritenersi consumati al momento dell'acquisita disponibilit� all'estero delle somme e della esportazione delle azioni e cio� nel corso dell'anno 1977. Ne consegue l'applicabilit� del d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413: deve pertanto dichiararsi condonata la pena inflitta al Pofferi nei limiti di due anni di reclusione e di lire 2.000.000 di multa; totalmente condonata la pena detentiva e, nel limite dei due milioni, quella pecuniaria inflitte al Fantoni. Venendo quindi al problema concernente l'applicabilit� delle sanzioni di carattere amministrativo quale pena accessoria il Tribunale osserva che non � prevista l'irrogazione di tali sanzioni per il reato di omessa dichiarazione all'UIC di disponibilit� o attivit� costituite all'estero. Invero l'art. 1 della Jegge 30 aprile 1976, n. 159 (legge di conversione con modificamoni del d.1. 4 marzo 1976, n. 31), tra l'altro, cos� 1dispone: 1 �l'art. 8 (del d.I. n. 31) � sostituito dal seguente: �Art. 8 -Ai fatti previsti come reato dal presente decreto legge, si applicano anche dal giudice penale, quale pena accessoria, le sanzioni di carattere amministrativo previste dalle disposizioni vigenti �. Nel dJ. 4 marzo 1976, n. 31 non era ancora stata formulata fa previsione della fattispecie criminosa costituita dall'omessa dichiarazione ! ! ~ PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 629' all'UIC introdotta proprio dalla legge n. 159/1976 con J'art. 2. In tale articolo l'inosservanza dell'obbligo della dichiarazione � sanzionato con rinvio alle punizioni previste nell'art. 1 del d.l. n. 31 e si prevede anche l'applicabilit� degli artt. 2, 4 e 5 del d.l. ma non anche dell'art. 8 cio� di quella norma che impone al giudice l'irrogazione, quale pena accessoria, delle sanzioni amministrative. In ogni caso l'art. 2 della legge 159/1976 nel testo attuale (quale cio� risultante dalla sostituzione operata dall'art. 3 della legge n. 689/1976} prevede, senza alcun rinvio, le sanzioni applicabili al reato di omessa dichiarazione all'UIC; non prevede per� l'applicabilit� di sanzioni di carattere amministrativo. Tali sanzioni sono invece indubbiamente applicabili per i reati di illecita esportazione e costituzione di disponibilit� all'estero previsti dal�� l'art. 1 del d.l. n. 31/1976 quale sostituito dall'art. 2 della legge n. 863/19'76 (capi e ed f prima ipotesi) trattandosi appunto di fatti previsti come reato da quel d.l. Sostiene la difesa del Pofferi l'avvenuta prescrizione di tali sanzioni amministrative per decorso, dal giorno della commessa violazione, del termine dei 5 anni previsto dall'art. 17, primo comma, della legge 7 gen naio 1929, n. 4. La tesi difensiva � palesemente infondata in quanto l'irrogazione delle sanzioni amministrative � effettuata dal giudice penale, come espressa mente enunciato nell'art. 8 del d.l. n. 31, a titolo di pena accessoria. � pertanto evidente che la prescrizione prevista per le sanzioni aminini strative, come tali, non pu� ritenersi applicabile attesa la diversa natura -di pena accessoria -che tali sanzioni vengono ad assumere al momen to dell'applicazione da parte del giudice penale. Nella fattispecie pertanto devono essere applicate, a titolo di pena accessoria, le sanzioni amministrative in relazione all:a 'ritenuta responsa bilit� del Pof:feri per i reati sub e) ed f) -prima ipotesL Per le violazioni deHe norme irn materia valutaria l'art. 2 ir.dJ. 5 dicem bre 1938 n. 1928 -convertito 'con Jegge 2 giugno 1939 n. 739 -prevede una pena pecuniaria, non superiore ru quintuplo del valore dei beni che costi tuiscono l'oggetto deHa viiolazione. Nella fattispecie il valore dei beni ammonta complessivamente a lire 31.988.737. Ritiene il Tribunale di determinare nella somma di lire 60.000.000 l'importo della pena pecuniaria da applicare quale pena accessoria. Venendo quindi all'esame del problema concernente l'eventuale confi. sca dei titoli in sequestro il Tribunale osserva che non � prevista la confisca obbligatoria per il reato di omessa dichiarazione all'UIC di disponibilit� valutaria e attivit� costituite all'estero. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'art. 2 della legge n. 159/1976, nell'originaria formulazione, sanzionava l'omessa dichiarazione, come gi� notato, con rinvio alla punizione prevista nell'art. 1 del dl. n. 31/1976. In tale articolo era prevista -e lo � tuttora nella nuova formulazione ex art. ~ legge 863/1976 -la confisca obbligatoria. Non par dubbio al Tribunale che, in base a quel rinvio, la confisca obbligatoria fosse applicabile all'omessa dichiarazione all'UIC dovendosi ritenere ricompresa nell'espressione� � ... �. punito a norma dell'art. 1 del decreto legge... � ogni previsione sanzionatoria, sia come pena principale che come misura di sicurezza, contemplata in detto articolo. L'art. 2 della legge 159/1976 � stato per� sostituito integralmente dall'art. 3 della' legge n. 689/1976. Nel nuovo testo non � prevista la confisca obbligatoria e non � contenuto alcun rinvio ad altre norme s� da consentire, in via indiretta, un tale provvedimento. Osserva peraltro il Tribunale che potrebbe trovare applicazione nella fattispecie, in relazione alle azioni delle quali � stato disposto il sequestro, il provvedimento di confisca facoltativa, quale previsto dall'art. 240 cod. pen. Invero, l'omessa dichiarazione all'UIC ha consentito agli imputati di conservare, attraverso la titolarit� delle azioni delle societ� estere � di comodo � -azioni che invece avrebbero dovuto essere vendute entro il 19 novembre 1977 -fa propriet� nelile partecipazioni azionarie delle imprese italiane. � quindi indubbio che tali partecipazioni azionarie, che sono quelle in sequestro, debbano essere considerate come il profitto del commesso reato. Non ritiene comunque il Tribunale di adottare il provvedimento di confisca facoltativa sia tenuto conto della possibilit� prevista per gli imputati, ex art. 2-bis legge 159/1976, di rendersi cessionari dei beni (sempre che il Pofferi avesse dimostrato quel che attualmente si affanna a negare e cio� lo status di �residente�); sia perch� trattandosi di una misura di sicurezza, cio� di provvedimento diretto a prevenire la commissione di nuovi reati, non sembra che il possesso di quelle azioni potrebbe aver l'effetto di mantenere viva negli imputati l'idea e l'attrattiva per azioni delittuose (omissis). PARTE SECONDA QUESTIONI ** DEPENALIZZAZIONE E DECRIMINALIZZAZIONE NEL DIRITTO COMPARATO(*) SOMMARIO: 1) Premessa. -2) La legge 689/81 come legge di riforma. -3) Riforme penali e crisi della societ� e de11o Stato: A) l'et� della criminalizzazione ... -4) ... B) L'et� della decriminalizzazione. -5) Le grandi linee della decriminalizzazione e le relative filosofie. -6) Decriminalizzazione de facto e de iure. Sistemi sostitutivi. -7) Considerazioni conclusive. 1) Ringrazio, innanzitutto, il Presidente Sargentini per l'invito a partecipare a questa Tavola rotonda, dedicata ad un problema di cos� viva attualit�. Subito dopo, credo di dover dare due chiarimenti preliminari ai miei cortesi ascoltatori: il primo � terminologico, in quanto, in tema di depenalizzazione e di decriminalizzazione, vi � grande confusione di lingue. Il nostro legislatore, con scarso rispetto per il valore semantico dei termini, attribuisce a quello di depenalizzazione il significato di sostituzione di una sanzione penale con una sanzione amministrativa. Per la dottrina dominante la decriminalizzazione comporterebbe, invece, la sola elisione della sanzione penale, mentre la depenalizzazione implicherebbe la piena liceizzazione del comportamento decriminalizzato. Secondo il Consiglio d'Europa, infine, la decriminalizzazione comporterebbe la soppressione della sanzione penale (segua o meno una sanzione sostitutiva) mentre la depenalizzazione comporterebbe un � addolcimento � nell'ambito del sistema penale (1): riduzione quantitativa o qualitativa della sanzione o derubricazione del reato (ad es. da delitto a contravvenzione). Io seguir� il legislatore italiano, parlando di decriminalizzazione quando non venga pi� irrogata la sanzione penale per un fatto che in passato era penalmente perseguito e, pi� in generale, per ogni contra (*) Il presente scritto � la trascrizione -arricchita di note a pi� di pagina della relazione svolta alla Tavola Rotonda intitolata alle � Sanzioni amministrative -Nuovi aspetti e procedure introdotti dalla legge n. 689 del 24 novembre 1981 � tenutasi a Roma, 1'8 luglio 1982, ad �iniziativa della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Roma. (1) Consiglio d'Europa: Report on decriminalisation, Strasburgo, 1980, 13 ss. (**) Questa seconda parte della rivista -istituzionalmente destinata alla pubblicazione di articoli che esprimono solo il pensiero dei loro autori, come tale non riferibile alla pubblicazione di servizio -� aperta al graditissimo contributo di colleghi dell'Avvocatura o del libero foro, di docenti, di magistrati e di ogni altro operatore del diritto. Ogni volta che ci� risulter� utile e possibile si provveder� anche a mettere a confronto diverse opinioni ed a segnalare quella dell'Istituto con nota di commento o� con la pubblicazione di scritti difensivi che enuncino le tesi sostenute in giudi2lio. 1.26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione del sistema repressivo penale; di depenalizzazione quando a ci� si accompagni l'istituzione di una sanzione non penale. Il secondo chiarimento � metodologico, ed � un chiarimento sul titolo della mia Relazione che sembra indicare un approccio alquanto vago, lontano ed ampio rispetto al tema della Tavola rotonda. Dico tutto questo non certo per fare una premessa di carattere dogmatico- classificatorio -me ne guaiiderei bene! -ma solo per confessare un mio peccato di presunzione. Quando mi � stato chiesto di riferire sull'argomento ho pensato che avrebbe .potuto essere interessante una valutazione globale della legge, nella sua interezza di �corpus�, normativo ed in tal senso ho preso il mio impegno. Poi, passato ad analizzare pi� da vicino i problemi che questa comportava, mi sono reso conto che un discorso unitario su di essa, per quanto sommario e descrittivo, sarebbe andato ben oltre i limiti 'di ogni pur benevola capacit� di ascolto. Come accade quando si voglia rimpicciolire un oggetto di grandi dimensioni per abbracciarlo con un solo colpo d'occhio ho dovuto, quindi, arretrare il punto di osservazione, cercando di cogliere fra le varie parti della legge il momento unificante, il comune denominatore, per collocarlo in un quadro di insieme. Naturalmente un approccio di questo tipo, a grande distanza, deve rinunciare a dettagli e sfumature, privilegiare il generale sul particolare e contentarsi, molte volte, di semplificazioni, schematizzazioni ed approssimazioni. Se~plificazioni ed approssimazioni di cui vi chiedo sin d'ora di scusarmi. 2. Il momento unificante della legge non � d'altronde difficile da trovare e, come non sempre accade, � felicemente sintetizzato dal suo titolo: �modifiche al sistema penale�. Si tratta di modifiche assai incisive, perch� il testo si presenta come un ampio e ben articolato ventaglio di scelte legislative. Vi � in primo luogo una imponente depenalizzazione, estesa tendenzialmente a tutte le infrazioni punite con la sola pena pecuniaria. . Il legislatore si � posto, cos�, sulla scia dei precedenti del '67 e del '75 (leggi 3 maggio 1967, 111. 317 e 24 dicembre 1975, n. 706). Se una critica pu� essere fatta in proposito � quella di un certo qual pigro tradizionalismo: invece di operare �selettivamente, individuando i reati da depenalizzare secondo indici differenziati di disvalore attuale, il legislatore si � mosso su di un piano quantitativo e formalistico, avallando praticamente valutazioni comparative di disvailore non pi� consone con i tempi (1). (1) S. LuuzZA: Profili critici della politica di depenalizzazione, Riv. it. dfr. proc. pen. 1981, 62. PARTE II, QUESTIONI 127 Seconda importante innovazione � la contestuale introduzione di un sistema sanzionatorio amministrativo altamente procedimentizzato che costituisce la prima disciplina organica della materia nel diritto italiano e che si pone come un vero e proprio sottosistema punitivo. Importantissima in proposito la puntualizzazione dei princ�pi che reggono l'illecito amministrativo e che sono, in via tendenziale, desunti da quelli dell'ilileoito penale, quali il principio di �legalit�, di irretroatti� vit�, di riserva di legge, ecc. con marginali differenze ed una sostanziale diversit�: l'ammissione di una possibile responsabilit� oggettiva da rischio d'impresa, modellata sulla falsariga dell'art. 2049 cod. civ. Il che risponde, da un lato, ad una precisa linea evolutiva che prevede, nel diritto civile della nuova societ�, il progressivo emergere di un principio di responsabilit� oggettiva accanto od in luogo di quella per colpa (1). Contrasta, dall'altro, con il carattere genuinamente �punitivo� della sanzione amministrativa. Pi� coerentemente, infatti, nel sistema tedesco -che costituisce il modello pi� completo di sistema sanzionatorio amministrativo la responsabilit� oggettiva � esclusa (2). Altra grande innovazione � la introduzione di sanzioni sostitutive alla detenzione, quali la semidetenzione (che consiste nel trascorrere parte della giornata in apposito istituto) e la libert� controllata (assai simile nei contenuti alla libert� vigilata) al fine di eliminare le detenzioni brevi che sono ad un tempo causa del sovraffollamento carcerario (il 40 % dei detenuti sconta pene lievi), inutili sotto il profilo della prevenzione generale e dannose sotto quello della prevenzione speciale. L'innovazione � chiaramente ispirata da felici esperienze straniere, quali fa � probation � dei paesi di cultura anglosassone, consistente in una condanna sospesa condizionatamente all'osservanza di spe<?iali obblighi, sorvegliata da un � probation officer �; la � diversion �, sorta negli U.S.A. nei primi anni '70, consistente nella sospensione dell'azione penale dietro l'impegno di partecipa�re a programmi di. riabilitazione; il � Community Service � inglese, introdotto nel 1972 e consistente nella sostituzione di una pena detentiva con lavori di utilit� sociale (3); la � transac( 1) S. Rooor�: Il problema della responsabilit� civile, Milano, 1964; G. ALPA: Teorie e ideologie nella discplina dell'illecito, Riv. trim. dir proc. civ. -1977, 811 ss.; P. TRIMARCHI: Rischio e responsabilit� oggettiva, in Atti del Convegno sulla responsabilit� del produttore e la tutela dell'ambiente, 17-18 dicembre 1976; Corte di Appello di New York 8 aprile 1976, Micallef v/ Miehle co., in Foro it., 1977, IV, 460 con nota di G. ALPA; Cass. 25 maggio 1964, n. 1270; G. ALPA e M. BESSONE: La responsabilit� del pro�uttore, Milano, 1976. (2) E. DoLCINI-C. PALIERO: I principi generali dell'illecito amministrativo nel disegno di legge: � modifiche al sistema penale�, in Riv. it. dir. proc. pen. 80, 1154 ss. (3) G. GUARNIERI: Riflusso nell'evoluzione del diritto penale in Italia ed all'estero, in Riv. it. dir. proc. pen. 1981, 1271. :128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tion � francese consistente nella rinuncia all'azione penale dietro paga. mento di somma di denaro o .assunzione di un obbligo di fare (in materia di reati forestali) (1). Ancora pi� rivoluzionario, se possibile, il regime del � patteggiamento � introdotto dall'art. 77 sulla falsariga dei sistemi anglosassoni, che .consente all'imputato di chiedere, prima del giudizio, l'applicazione di una misura sostitutiva. L'istituto sconvolge non pochi dei princ�pi del nostro ordinamento, primi fra tutti quello .di indisponibilit� del processo penale, il principio �nulla poena sine judicio �, e la regola di giudizio .stessa del nostro processo penale. Si tratta di un � trapianto � piuttosto brusco di un istituto quanto mai lontano dalla nostra tradizione che rischia forse di generare de1le reazioni di rigetto. Altro contenuto importante della legge � l'estensione del numero dei reati perseguibili a querela, che rappresenta un classico strumento di .decriminalizzazione di tipo processuale e l'introduzione di nuove effica �cissime pene accessorie, quali l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, l'incapacit� di contrattare con la pubblica amministrazione e l'interdizione daU'emissione di assegni. Si tratta ..cli misure che hanno una rilevante efficacia di prevenzione speciale e che, .in alcuni Paesi, come in Francia, sono adottati addirittura come pene principali (2). Si tratta quindi, come pu� vedersi anche da tale sommarissimi accenni, di una radicale riforma che si muove, nel senso della storia, nell'alveo �di un generale processo di decriminalizzazione. N� con ci� contrasta la modesta criminalizzazione disposta dal Capo Il, in quanto trattasi soprattutto della ricriminalizzazione di ipotesi di reati economici depenalizzati nel '75 e poco avvedutamente, perch� riconoscibili come �delitti dei colletti bianchi � di qualche gravit�. 3. La riforma mira, dunque, a curare quella che fu felicemente definita .dal Frank l'� ipertrofia del diritto penale�, comune, in certo periodo storico, a tutti i paesi dell'occidente industrializzato, molto pi� legati fra loro nei grandi corsi e ricorsi del mutare delle istituzioni di quanto .spesso non si pensi. La sanzione penale -ha detto il Packer -� ad un tempo la principale garanzia e la principale minaccia della libert� umana. II diritto penale, sostanziale e processuale, � infatti espressione di un bilanciamento, di un punto di equilibrio fra principio di autorit� e prin (1) C.E. PALIERO: Note sulla disciplina dei reati � bagatellari �, in Riv. it. ..dir. proc pen. 1979, 976. (2) M. SINISCALCO: Dalla depenalizzazione di illeciti penali alla formazione ..di un sistema, in Riv. it. dir. proc. pen. 1981, 3 ss. PARTE II, QUESTIONI 129 c1p10 di libert�: punto di equilibrio in continuo spostamento e assestamento secondo il mutare della societ� e delle sue strutture economiche e politiche (1), di cui � un �indicatore� quanto mai preciso. Le sue sostanziali variazioni -e quella introdotta dalla legge 689/81 lo � certamente -rispondono, quindi, sempre alle � grandi crisi � della societ�; alle radicali trasformazioni dello Stato e del diritto. Orbene, dopo due grandi crisi di trasformazione che, pur diverse fra loro, hanno condotto allo stesso risultato di una imponente criminalizzazione, proseguita senza sosta per circa un secolo e mezzo, ne attraversiamo adesso una che vede muovere il pendolo nel senso inverso, prevalendo la linea di pensiero che vuole il ri.corso alla sanzione penale solo come extrema ratio. La prima grande crisi cui mi riferisco � quella che port� al passag� gio dallo stato assoluto allo stato liberale e che fu caratterizzata -con apparente contraddittoriet� -da un imponente fenomeno di � criminalizzazione. Ci� f.u dovuto a due concomitanti ragioni: la prima fu la giurisdizionalizzazione degli illeciti di polizia, come conseguenza (( garantista � dell'abolizione del potere punitivo dell'Amministrazione e attribuzione al giudice penale di tutta una serie di cause prima trattate da corti ammi� nistrative (2). La seconda fu la creazione dell'istituto penitenziario e della pena della detenzione. Nell'Ancien R�gime, infatti, le sanzioni criminali -a parte le minori pene corporali -erano la morte e la deportazione: la prigione come isti� tuzione nasce con i lumi del '700 come sanzione ragionevole, umanitaria e filessibile (3). Ci� comport� l'assoggettamento a ~anzione penale di molti comportamenti prima esenti da pena perch�, anche in tempi non certo teneri, non erano considerati tanto gravi da poter flSSere puniti con l'esilio o la morte. Fu. allora che nacquero -per non citarne che alcuni -i reati di truffa, falso, falsa testimonianza, diffamazione; fu allora che si deline� nella sua attuale fisionomia il reato di furto, in una ondata di intensa criminalizzazione non certo compensata dalla decriminalizzazione di comportamenti come la stregoneria e la lesa maest� (4). La seconda grande crisi � quella �he port� al passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale. (1) W. MILLER: ldeology and Criminal Justice Policy, in Alternatives to prison; Goodyear pub., 1975, Pasadena, pag. 26 ss. (2) C.E. PALIERO: Note sulla disciplino 4.ei reati � bagatellari >>, in Riv. it. dir. proc. pen., 1979, 920. (3) L. EMPREY, Correctional History in Alternatives to Prison, cit., 124 ss. (4) Consiglio d'Europa, in Report... cit., 55-56. 14 130 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO L'intervento sempre pi� incisivo del pubblico potere in speciali set� tori, soprattutto economici, comport� il sorgere di normative speciali la cui osservanza si trov� comodo garantire con fa sanzione penale (1), a volte solo per pigrizia mentale del legislatore, a volte per la pi� o meno confessata ragione -da condannare per la sua visione grettamente monetaristica -che il garantire l'effettivit� di un precetto con la comminatoda di sanzioni penali non comporta �nuove o maggiori spese� (2), per far fronte alle quali occorra reperire nuovi mezzi finanziari. Comporta, per�, dei costi elevatissimi in termini sociali: con felice immagine il sistema penale � stato, infatti, paragonato ad una lama senza manico, che ferisce per primo chi ['impugna. 4. L'ondata montante della criminalizzazione si � finalmente fermata ai tempi �nostri e l'ora attuale vede trionfare l'opposta tendenza, come risposta del diritto penale a quella terza grande crisi ancora in corso di svolgimento, il cui inizio possiamo datare alla fine degli anni 'SO o all'inizio degli anni '60 e che, con terminologia alla moda (anche se scarsamente significativa) possiamo indicare come quella del passaggio dalla societ� del benessere alla societ� �postindustriale �. Si tratta di una crisi gravissima, autorevolmente individuata in termini pessimistici dalle segu�nti caratteristiche: degradazione della convivenza a mera coesistenza e degenerazione del pluralismo in particolarismo, in una societ� in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit� ed il rifiuto del formalismo all'irrazionailit� (3). L'umanit� appare dunque minacciata dai mostri generati dal sonno della ragione, in una situazione inquietantemente simile nelle prospettive a quella degli anni '30. Non a caso, in termini quasi millenaristici, Massimo Severo Giannini ha parlato di fine dello Stato nazionale, giunto al termine del suo ciclo vitale e pronto a cedere il passo -dopo un travaglio di guerre e rivolu2lioni prossime venture -alla Repubblica Universale (4). Crisi profonda, dunque, e di difficile definizione perch�, se per le prime due che abbiamo indicato � possibile guardare come punti di riferimento -sia pure con approssimazione e semplificazione riduttiva -rispettivamente alla rivoluzione francese ed alla rivoluzione russa ed alle idee-forza relative, per questa attuale fatti specifici come i moti dell'universit� di Berkeley o il maggio francese non sembrano sufficientemente rappresentativi, ed appaiono piuttosto sintomi di un grande rholgimento generale. Tentando (1) C.E. PALIERO, op. loc. ult. cit. (2) Consiglio d'Europa, in Report... cit., pag. 60. (3) A. FALZEA, Relazione introduttiva al Convegno di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr�, Milano 1982. (4) M. S. GIANNINI, Esperienza scientifica -Diritto amministrativo, Relazione al Convegno di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr�, Milano, 1982. PARTE II, QUESTIONI 131. di �descriverla empiricamente ed in termini meno pessdmistici, potremmo notare come la combinazione dell'ideale politico dello Stato del benessere con un fenomeno economico di crescita vistosa e prolungata, grazie soprattutto a lunghi anni di energia disponibile a basso costo, abbia portato alla civilt� consumistica di massa e, subito dopo, alla sua crisi (1). L'accesso di un numero enorme di persone (praticamente di tutti) a tutti (o quasi) i beni artificiali di consumo ha paradossalmente sottratto a tutti quei beni naturali che erano considerati una volta fuori commercio perch� � res communes omnium �: il verde, l'aria pura, il mare limpido (2). Di qui l'avvio di una reazione di recupero dei valori profondi della persona umana, in una forma di nuovo umanesimo che vede in ciascun uomo, affrancato dai bisogni materiali e dai rischi il consapevole membro di una societ� sostanzialmente egualitaria, partecipe dalla sua costruzione e del suo divenire politico ed economico (3). Ci� ha comportato riflessi imponenti sul piano giuridico che sarebbe qui fuor di luogo anche solo elencare. Limitandoci ad alcuni aspetti soltanto del mutamento del diritto penale, giova rilevare che la crisi ha determinato, da un lato, il sorgere di nuove forme di criminalit� economica (i c.d. delitti dei colletti bianchi, tra i quali vanno ricompresi anche quelli contro l'ambiente e la salute); dall'altro ha portato ad una ventata di rinnovamento che ha soffiato in tutti i Paesi nella direzione della decriminalizzazione, della depenalizzazione, dell'adozione di nuove tipologie sanzionatorie che muovono nella linea di tendenza di eliminare la reclusione di breve durata (4). In proposito da taluno si � addirittura proclamato che l'istituto penitenziario ha ormai fatto il suo tempo e dovr� presto essere totalmente sostituito con trattamenti di riabilitazione (5). Per non citare che akuni Paesi ed alcune leggi a titolo meramente esemplificativo, ricorderemo i nuovi codici penali' tedesco e austriaco entrati in vigore il 1.1.1975, la legge di riforma francese dell'll luglio 1975 e le attuali imponenti modifiche mitterandiane in gestazione, il � Model penal Code� americano del 1962 e le nuove leggi penali che, sulla sua base, si sono dati quasi tutti gli Stati della Confederazione, il Criminal (1) G. MANZARI, L'Avvocatura dello Stato -esperienza professionale. Relazione al Congresso di Messina del 3-8 novembre 1981, Giuffr�, Milano, 1982. (2) A. CESSAR!, Aspetti della crisi del diritto del lavoro, in � Sulla crisi del diritto� a cura di E. Simonetto, Padova, 1973; S. RooOT�, Introduzione a �Il controllo sociale delle attivit� private�, Bologna, 1977, 20. (3) G. MANZARI, op. Zoe. cit. (4) J. ANDENAES, Punishement and deterrence, University of Michigan Press, 1974, 154. (5) M. G. RECTOR, Prefazione a � Prison inside out� di B. Alper, Bollioger Publishing Co. 1974, Cambridge Mass. 132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ Justice Act ingiese del 1972 che, tra l'altro, ha sostituito in certi casi la pena detentiva con lavori di utilit� sociale, il progetto di codice giapponese del 1974, i lavori del � Codigo penal tipo� per l'America Latina, la cui parte generale fu approvata a San Paolo nel 1971 (1). Tutto ci� sembra il riflesso di un mutato approccio p�litico e filosofico nei confronti della criminalit�, concepita non pi� come fenomeno marginale di patologia della societ� ma come manifestazione di un conflitto sociale razionalmente spiegabile e che razionalmente va combattuto. Di fronte ad esso la societ� deve reagire con i mezzi strettamente necessari alla tutela dell'ordine sociale (2), senza gravare n� il colpevole n� il Ii sistema pi� di quanto non sia mdispensabHe (3) sia da un punto di vista individuale che da quello sociale del rapporto costi-benefici, e soprattutto senza utilizzare lo strumento della pena per la tutela di valori diversi da quem della difesa sociale. 5. Ne consegue una serie di spinte sinergiche verso una accentuata decriminalizzazione di quattro grandi gruppi di reati: quello in cui la sanzione penale si poneva a presidio di concezioni etico-religiose (segnatamente in tema di morale sessuale); quello in cui la sanzione mirava a proteggere un sistema sociale rigorosamente ordinato alla tutela di una classe dominante, intollerante di qualsiasi minima devianza (come per i casi di vagabondaggio o mendicit�); quello in cui la sanzione mirava a proteggere il colpevole da s� stesso (c.d. reati senza vittime, come il consumo di droga o il gioco d'azzardo); quello, infine, relativo alla criminalit� economica minore, fondato su di una configurazione non pi� attuale dell'istituto proprietario. Le relative filosofie di decriminalizzazione sono facilmente individuabili:. da quella pi� generica dell'umanitarismo, che esige l'eliminazione di afflizioni non necessarie, a quella di razionalit� che vuole punibili sc:Jilo fattispecie ben definite (si pu� ricovdare aJ. riguavdo l'abolizione del delitto di plagio in Italia). Dall'approccio medico sociale, che vede neM'accattonaggio e nel vagabondaggio sintomi di una malattia da curare e nel drogato un soggetto innanzitutto da proteggere contro gli effetti perversi �di un sistema punitivo inadeguato, ad un principio Hbertario di �secolarizzazione� del diritto penale (4), che deve svincolarsi da presupposti etici e religiosi, e che ha portato alla decriminalizzazione di (1) Cfr. H. HANS H. JESCHECK, Il significato del diritto comporato per la riforma penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, 803. (2) Consiglio d'Europa, Report... cit., 56. (3) H. JEsCHECK, cit. (4) M. ROMANO, Secolarizzazione, diritto penale moderno e sistema dei reati in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 477. PARTE II, QUESTIONI 131 adulterio, omosessualit�, incesto, prostituzione, pornografia e simili tipi di reato. Da un principio di protezione della credibilit� del sistema, infine (1), che non pu� continuare a perseguire come reato un comportamento posto in essere da un numero troppo alto di consociati (come � avvenuto per l'aborto) ad un mutamento degli istituti di riferimento, come l'istituto proprietario, che ha portato in taluni sistemi, come quello tedesco e francese, alla decriminalizzazione di reati mdnori contro il patrimonio (piccoli furti nei grandi magazzini, assegni a vuoto di modesto importo, ecc.). Nell'attuale travaglio di trasformazione appare, infatti, gravissima la crisi del diritto di propriet�, istituto inidoneo alla tutela della sempre pi� importante categoria degli interessi diffusi (2) e sempre meno importante in un mondo in cui la vera grande ricchezza non � pi� quella immobiliare, ma � rappresentata da titoli azionari (3) ed � manovrata da soggetti diversi dai proprietari (4). Il che �rende drammaticamente inadeguato un sistema, quale il nostro attuale, che dedica quasi altrettanta attenzione al furterello della spigolatrice di spighe dopo la trebbiatura o al raspollatore di acini di uva dopo la vendemmia (art. 626 c. p.) di quanta non dedichi all'autore di imponenti manovre di aggiotaggio (art. 501 c. p.). 6. L'imponente ondata di decriminalizzazione de iure -cio� di espresso intervento del legislatore per eliminare dall'ordinamento norme penali -che si va cos� svolgendo, � stata preceduta (e in certa misura anche causata) da una decriminalizzazione �de facto�, consistente nel comportamento del corpo sociale nelle sue varie espressioni, ferma la legge vigente: omessa denuncia dei cittadini agli organi di polizia o alla magistratura, omesso attivarsi degli organi di polizia iri relazione a fattispecie minori, esercizio di un potere discrezionale cli non prosecuzione da parte del P.M. quando il $istema -come ad es. negli Stati Unit.i, in Francia ed in Belgio, con iJ � classement sans suite � -lo consente, adozione di interpretazioni evolutive della legge da parte del giudice (si pu� ricordare in proposito quella giurisprudenza italiana che derubrica in insolvenza fraudolenta il furto nel supermercato). (1) H.C. PACKER, I limiti della sanzione penale, in E. Dolcini, I limiti della sanzione penale -a proposito del vo~ume di H. C. Packer in Riv. it. dir. proc. pen., 11980, 458. (2) S. RooorA., Introduzione, cit. (3) G. KoLKO, La concentrazione del potere nelle societ� anonime in Il dirtto privato nella societ� moderna, a cura di S. Rodot�, Bologna, 1975, 355 ss. (4) R. DAHRENOORF, Propriet� e controllo: la scomposizione del Capitale in �Il diritto privato �, cit., 367 ss. ' ffi . ... .. . I 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A met� strada fra le due forme di decriminalizzazione, � quella operata nei sistemi in cui, come nel nostro, operi una Corte Costituzionale che possa dichiarare l'illegittimit� costituzionale di norme incriminatrici: oltre al caso del plagio possiamo ricordare quelli, famosi, delle infedelt� coniugali. Nella decriminalizzazione de iure, poi, possiamo distinguere tre �diverse ipotesi. Quella in cui il comportamento decriminalizzato non solo ha perso il suo originario connotato di disvalore sooiale, ma ne ha acquistato, anzi, uno di segno opposto, di meritevolezza; � il caso, ad es:, della propaganda di metodi contraccettivi, un tempo incriminata in molti Paesi, oggi considerata fatto auspicabile in altrettanti. La seconda ipotesi � quella in cui la decriminalizzazione segna il passaggio da un giudizio di disvalore ad un giudizio di ~ndifferenza: pu� essere questo il caso dei Paesi in cui � stato depenalizzato il rap I porto omosessuale fra adulti consenzienti e comunque tutti i casi in ~ I cui il sistema penale stesso preveda l'assoluzione quando un comportamento, pur astrattamente previsto come reato, non raggiunga certe ~ soglie di dannosit�, pericolosit� sociale, colpevolezza, riprovevolezza e simili, come accade negli ordinamenti austriaco, tedesco, cecoslovacco, polacco e statunitense, che contengono vere e proprie � clausole gene I ,. rali� di decriminalizzazione per i fatti penalmente meno rilevanti (1). La terza ipotesi risponde, invece, al caso in cui il comportamento decriminalizzato rimanga � indesiderabile � per la societ�, che deve quindi apprestare adeguati strumenti (non penali) di prevenzione, di controllo e di repressione. La prevenzione ed il controllo possono spesso essere attuati senza bisogno di inglobare i comportamenti in questione in � sistemi giuridici ~ostitutivi >>, attraverso riforme di servizi pubblici quali l'istruzione, la sanit�, l'organizzazione del lavoro o attraverso sistemi di tecno-prevenzione, quali i sistemi di controllo elettronico nei grandi magazzini, sistemi antifurto in genere, sistemi di sicurezza nelle autovetture. Si verificano in proposito, talvolta, curiosi effetti collaterali imprevisti, cos� ad es., in Olanda l'imposizione del casco ai motociclisti ha vidotto �di oltve !H quaranta per cento i furti idi motoveicoli. Altre volte � necessario invece -specie per realizzare il momento repressivo -ricorrere a sistemi giuridici sostitutivi di quello penale: il sistema a cui si fa talvolta ricorso � quello civile, pi� spesso quello amministrativo. L'inconveniente maggiore della trasformazione dell'illecito penale in mero illecito civile �, infatti, il maggior costo deJila �reazione per fa vittima dell'illecito, che dovr� individuarne l'autore, anticipare le spese i (1) C.E. PALIERO, Note, cit., 956 ss. l I ! I I -! ~ PARTE II, QUESTIONI 135 di un processo, fornire le prove del suo diritto, affrontare il rischio di una soccombenza. Ci� non accade in caso di depenalizzazione in senso stretto, cio� in caso di sostituzione della sanzione amministrativa a quella penale che appare indubbiamente la soluzione pi� appagante e completa del problema, caratteristica della tradizione mitteleuropea e che � stata realizzata con la creazione di veri e propri � sotto-sistemi punitivi � di notevole completezza ed organicit�, in Svizzera, Austria e, soprattutto, in Germania (1), e da cui il legislatore italiano ha tratto non poche ispirazioni. 7. La legge 689/81 ha dunque adottato sincreticamente, come si � visto, istituti elaborati in sistemi giuridici diversi ed in svariati settori del sistema penale, muovendosi in sintonia con le leggi di tutti i Paesi civili, nella direzione di un �addolcimento� o �ammorbidimento� della giustizia punitiva, e ci� non solo per sfollare le carceri e smaltire l'arretrato giudiziario -come pure purtroppo � -ma anche perch� la risposta del diritto penale sia pi� adeguata alla mutata coscienza sociale, quale � venuta ,evolvendo nel travaglio di quella Junga crisi � interepocaJ.e � (2) che abbiamo vissuto e forse stiamo ancora vivendo. Naturalmente nulla � immutabile e presto o tardi il pendolo della storia riprender� vichianamente il moto in senso opposto, in coincidenza con altri mutamenti sociali, economici e politici. Anzi, secondo alcuni studiosi, questa inversione di tendenza starebbe proptio verificandosi ai giorni nostri (3), 'aminsegna del �riflusso�. Ma questa, come direbbe Kipling, � un'altra storia. IGNAZIO F. CARAMAZZA (1) E. DoLCINI-C. PALIERO, L'illecito amministrativo nell'ordinamento della Repubblica federale di Germania, in Riv. it. dir. pen., 1980, 1134; e.E. PALIERO, Il � diritto penale amministrativo �: profili comparatistici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1980, 1254. (2) A. FALZEA, Relazione cit. (3) G. GuARNIERI, op. loc. cit. 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO NATURA GIURIDICA DELLA COMPRAVENDITA IN DANNO 1. La compravendita coattiva come forma di esecuzione forzata... 2.... e come ipotesi di risoluzione contrattuale. Critica. 3. Gli orientamenti della giurisprudenza. 4. La compravendita coattiva come fattispecie di autot1J,tela privata e come mezza di adempimento della prestazione dedotta in contratto. 1. Il problema della natura giuridica della � compravendita coattiva � disciplinata dagli artt. 1515 e 1516 cod. civ., non sembra ancora risolto in maniera soddisfacente dalla dottrina, sebbene le analisi sin qui compiute facciano registrare pluralit� di orientamenti e variet� di punti di vista. La tesi che appare prevalente tende a configurare tale istituto come una forma di esecuzione forzata in senso proprio, probabilmente per la suggestione esercitata dalla rubrica delle norme che ci interessano (�esecuzione coattiva per inadempimento del compratore�, ovvero �per inadempimento del venditore�). L'immediatezza e la spontaneit� di tale assimilazione non reggono tuttavia ad un pi� approfondito vaglio della critica. Per quanto riguarda la vendita in danno, infatti, non pu� parlarsi di una vera e propria forma di �espivpriazione mobiliare� ex art. 513 e ss. cod. proc. civ., sia perch� il venditore agisce non gi� per conto proprio, ma piuttosto per conto dell'altro contraente, sia perch� mancano del tutto i requisiti del titolo esecutivo e del prescritto controllo giurisdizionale, sia perch� il venditore avr� sempre bisogno di procurarsi un titolo esecutivo al fine di realizzare, sul patrimonio del debitore inadempiente, la differenza tra il prezzo dovuto e la somma ricavata (1). Per quanto concerne la compera in danno, invece, � agevole convincersi che non si tratta di una forma speciale di esecuzione forzata per consegna operata per autorit� privata, perch� il compratore non aggredisce un bene del venditore, n� si fa consegnare cose di propriet� di costui, ma si procura altrove l'oggetto della sua pretesa. Ma neppure sembra corretto affermare -secondo una pur autorevole opinione (1) Per la vendita, ha per� sostenuto che si tratta di una forma di esecuzione forzata per espropriazione. F. FERRARA JR., Esecuzione coattiva della vendita commerciale, Milano, 1937, p. 75 ss., (a differenza della compera di rimpiazzo, che realizzerebbe un adempimento in forma specifica). Ma la tesi non ha avuto seguito. PARTE II, QUESTIONI H7 che la compera in danno costituisce �una particolare applicazione della forma di esecuzione forzata specifica prevista per gli obblighi di fare (in senso stretto)�, regolata dallo stesso �meccanismo di quest'ultima figura, previsto dagli artt. 2931 cod. civ. e 612-614 cod. proc. civ. (1) �. Osta infatti ad una ,simile configurazione la circostanza che nella ipotesi della espropriazione forzata � richiesta l'esistenza di un titolo esecutivo, ed in quella della � compera in danno � il mero inadempimento; che l'esecuzione forzata si attua con provvedimento dell'autorit� giudiziaria, e quella coattiva ex art. 1516 cod. civ. ad iniziativa del creditore insoddisfatto; che l'obbligo di fare eseguibile ex art. 2931 cod. civ. si concreta in un facere materiale, mentre la � compera in danno� mira alla acquisizione di un diritto di propriet� (2). Oocorre inoltre rilevare che l'oridinamento processuale non prevede affatto l'eseguibilit� in forma specifica degli obblighi dii consegna di una cosa generica -n� ai sensi degli artt. 605 e ss. cod. proc. civ., n� ai sensi degli artt. 612-614 cod. proc. civ., in guisa che il titolo esecutivo eventuailmente costituito a riguardo si deve convertire in un altro avente ad oggetto l'obbligo di dare la aesti matio rei (3); ragion per cui appare ancor meno giustificato che una tale possibilit� possa configurarsi proprio quando il titolo esecutivo manchi del tutto, e possa essere perseguita mediante le forme di esecuzione previste per gli obblighi di fare, piuttosto che di consegnare. 2. In alternativa alla tesi che identifica la compravendita in danno con una forma di esecuzione, si � manifestata in dottrina una distinta opinione, secondo la quale si tratterebbe di un mezzo particolare di risoluzione del contratto, comprendente un modo preventivo ed automatico di accertamento e di liquidazione dei danni. In particolare, si sostiene che l'effetto risolutivo emerge dalla circostanza che la parte adempiente trasferisce la cosa a terzi, ovvero si procura da un terzo la cosa dedotta (1) In tali termini, D. RUBINO, La compravendita, nel Trattato di Diritto civile e commerciale, diretto da C1cu e � MEssINEO, Milano, 1952, p. 704. La tesi della esecuzione coattiva � stata altres� sostenuta, con varie argomentazioni, sotto il vigore del codice abrogato, da G. AULETIA, in Foro it., 1940, I, p. 715 ss., e S. PUGLIATII, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 204 ss., e, sotto quello vigente da F.U. DI BLASI Obbligazioni (parte speciale), Milano, 1950, p. 111 ss., e A. FALZEA, Offerta reale, Milano, 1947, pp. 355-356. (2) In tal senso, R. LUZZATO, La compravendita, Torino, 1961, p. 372 ss. (3) Cfr. Cass., 4 aprile 1950, n. 910, in Riv. dir. comm., 1951, II, pp. 22, e Cass., 21 maggio 1949, n. 1293, in Foro it., 1950, I, p. 197. Conformi, nella giurisprudenza di merito, App. Torino, 30 ottobre 1957, in Giust. civ., Rep. 1958, voce Esecuzione per consegna e rilascio, p. 1115, n. 2, e Trib. Ori:stano, 30 marzo 11962, in Rass. giur. sarda, 1982, p. 230. Contra: Cass., 21 luglio 1949, n. 1924, in Foro it., 1950, I, '.J?. 560, con osservamoni di P. PASCALINO e note di T. iPACIFICI, entrambe critiche. 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in contratto, in guisa che l'unica conseguenza giuridica dell'originario rapporto sarebbe 1costituita dall'obbligo di risarcire ii danni, identificati in sostanza nel minor prezzo conseguito o nel maggior prezzo pagato, salvi gli eventuali danni ulteriori (1). Neppure questa tesi si presenta per� immune da critica. In primo luogo, occorre osservare che l'istituto, cos� considerato, finirebbe per perdere la sua singolarit� e la sua specifica funzione rispetto alla speciale forma di risoluzione disciplinata dai successivi artt. 1517-1518 cod. civ. Ma l'ipotesi risolutiva risulta poi positivamente esclusa in base aJ.J.o stesso disposto normativo: nel caso della vendita coattiva, perch� la sua esecuzione � per conto del compratore� presuppone ed implica l'avvenuta traslazione della propriet� del bene compravenduto; nel caso della compera coattiva, perch� il conseguimento della propriet� del bene acquistato da parte del compratore � a spese del venditore� si rivela incompatibile con ilo scioglimento del vincolo contrattuale (2) (3). 3. Il panorama giurfaprudenziale non si rivela maggiormente utile ai fini della corretta individuazione della natura giuridica dell'istituto in esame. � vero infatti che le decisioni e fo massime edite sembrano avvalorare in prevalenza il concetto di � forma speciale di esecuzione forzata�: per � espropriazione �, nel caso della rivendita; � degli obblighi (1) In questo senso, cfr. F. CARNELUTTI, Processo di esecuzione, Padova, 1929, p. 13; T. AscARELLI, Appunti di diritto commerciale, Catama, 1931, I, p. 200 ss., ed in Foro it., 1932, I, p. 93; G. GoRLA, La compravendita e la permuta, nel Trattato di diritto civile, diretto da VASSALLI, VII, I, Torino, 1937, p. 202; N. DISTASO, Natura giuridica, forma, contenuto, luogo e tempo dell'esecuzione coattiva nella compravendita, in Giur. compl. Corte Cass., �1948, 3, p. 390; R. LuzZAro, La compravendita, cit., p. 372 ss. Una posizione intermedia assumono P. GRECO e G. Corrrno, Della vendita, nel Commentario del Codice Civile, a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna--Roma, J.962, p. 320 ss., secondo i qualii. il!a compravendita in da!Ilno avrebbe carattere �complesso '" avendo elementi sra dell'esecuzione forzata, sia della risoluzione. (2) A questo proposito, non rileva il fatto che nel secondo caso -a differenza che nel primo -il creditore insoddisfatto agisce per conto proprio, piuttosto che della controparte. La differenza non dndde infatti suhla natura giuridica de1le due fattispede, ma dipende dail!1a drcostanza meramente � tecnica � che neUa compera in danno Il compratore acquista per s�, e non pu� quindi agfre in rappresentanza c:Le1l'altro, mentre nehla vendita coattiva fil creditore aLiena una cosa gi� passata dn propriet� dcl compratme madempiente, e deve quindi agire ne1 suo nome. (3) Per quanto riguarda i corollari derivanti dalla critica esposta nel testo suil!la natura giuridica dei conguagi1i monetari che residuano alla esecuzione de11a compravendita coattiva, sii. veda infra, � 4. :. PARTE II, QUESTIONI 119 di fare�, 111el caso deHa compera coattiva (1) �. � per� altrettanto vero che le formule solitamente adottate appaiono tralatizie, poco motivate e generalmente prive dri immediate conseguenze applicative, e non sono comunque in grado di superare i rilievi critici innanzi evidenziati. Nella insufficienza di tali profili rico~truttivi, maggiormente apprezzabile si rivela dunque una diversa tendenza giurisprudenziale, che mira ad anteporre agli aspetti astrattamente definitori l'analisi funzionale e strutturale dell'istituto. In quest'ottica, si � cos� posto in evidenza che � le disposizioni degli artt. 1515 e segg. cod. civ. non prevedono ipotesi di esecuzione forzata propriamente detta, sebbene un procedimento coattivo commesso all'autonomia privata, un procedimento cio� con cui si attua il soddisfacimento del credit�re mediante sostituzione di costui a!l debitore inadempiente, allo scopo di realizzare una pi� compiuta ed immediata tutela del primo, senza necessit� del titolo esecutivo e senza autorizzazione del magistrato (2) �. Con a:nalogo atteggiamento idi immediata proiezione verso la disciplina positiva, la Cassazione ha osservato � altres� che � l'esecuzione coattiva... di cui all'art. 1515 cod. civ., in quanto si concreta nella realizzazione del diritto alla prestazione nascente dalla vendita a favore del venditore... non risolve l'obbligazione originaria, sostituendola con una diversa obbligazione (3) �. E la giurisprudenza di merito, sviluppando ulteriormente questo concetto, ha puntualizzato che la compravendita coattiva costituisce �un atto di autotutela contrattuale che rimpiazza il contratto inadempiuto e liquida prontamente l'ammontare del danno in ragione delle differenze di prezzo e delle spese dell'operazione,... �salva la necessit� di ricorrere ad una azione (giudiziaile) di accertamento,... nell'ipotesi in cui fossero contestati i presupposti del procedimento o il quantum della liquidazione �. Pi� in particolare, essa � consente al creditore il conseguimento dell'oggetto della prestazione dell'originario rapporto, determinando per� nel contempo una forma di perpetuatio obligationis, mediante la conversione dell'obbligo di pagamento o di consegna in quello di corrispondere la differenza di prezzo conseguito o pagato, oltre al risarcimento degli eventuali danni ulteriori (4) �, (1) Si vedano, per un verso, Cass., 21 luglio 1953, n. 2422, in Giust. civ., [953, I, p. 2564 ss.; Cas1s., 26 febbraio 1965, n. 319, ivi, 1965, I, p. 1897 ss. e Giur. it., I, ;l, :pp. 1550.1551; Oass., l3 febbraio 11973, n. 437, in Foro it., Rep. 1973, voce Vendita, col. 2795, nn. 82-83, nonch�, per un altro verso, Cass., 1.1 agosto 1961, n. 11958, ivi, Mass. 1961, p. 504. (2) App. Brescia, 19 novembre 1948, in Foro pad., 1949, II, p. 1. (3) Cass., 18 ottobre 1958, n. 333!.5, dn Foro it., Rep. 1958, voce Vendita, col. 28182819, n. 207. (4) Tmb. Bari, 20 luglio 1981, dn questa Rassegna, 1982 I, sez. IV, p. 543 ss. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 140 4. Nonostante la pertinenza e la propriet� di questi ultimi rilievi giurisprudenziali, rimane comunque insoluto il problema dogmatico che ci siamo proposti, che consiste nel comprendere e definire l'intima natura e la funzione sostanziale che la vendita e la compera in danno realizzano ne11'011dinamento giuridico. La soluzione -a nostro modo di vedere pu� essere facilitata adottando un criterio di interpretazione sistematica delle norme che ci interessano. Gli articoli del codice civile compresi tra il. 1515 ed il 1518, sembrano costituire infatti una puntuale specificazione -riferita al contratto di ve'.O!dita -dehla normativa generale disposta da:ll'art. 1453 cod. civ. per il caso di inadempimento .ella obbligazione contrattuale; e come questa norma concede al creditore insoddisfatto l'alternativa tra l'adempimento e la risoluzione, cos� le disposizioni speciali in esame intendono consentire l'esercizio della stessa scelta, concedendo per ciascuna delk due possibilit� un procedimento sommario, rimesso alla iniziativa dello stesso creditore insoddisfatto, salvo eventuailmente il successivo controllo giurisdizionale sulla correttezza del suo esercizio. Se questa impostazione � corretta, potremo ritenere che alla particolare fattispecie di 11isoluzione prevista dagli artt. 15171518 cod. civ., si contrapponga l'ipotesi disciplinata dagli artt. 1515-1516 cod. civ., che appare quindi, di converso, uno speciale mezzo di adempimento dell'obbligazione. Sotto questo profilo, la compravendita in danno assorbe le finalit� ed .i contenuti dell'azione esecutiva, ma non si �identifica con essa, e neppure le somiglia, almeno dal punto di vista strutturale; costituisce piuttosto una forma sintetica �di actio adimplendi contractus -comprensiva sia della fase di accertamento che di quella di esecuzione la cui specialit� � costituita dalla sua jntegrale rimessione alla potest� del creditore insoddisfatto. L'analisi funzionale dell'istituto sembra convalidare simile ricostruzione, in quanto consente di individuare la presenza di tutti gli elementi che caratterizzano la generale azione di adempimento di cui all'art. 1453 cod. civ.: l'.iniziale inadempimento di un contraente, il conseguimento coattivo dell'oggetto della prestazione per volont� dell'altro, il persistente diritto alla parte di obbligazione rimasta eventualmente� insoddisfatta, i!l diritto al ristoro dei costi dell'operazione ed al risarcimento dei danni ulteriori. Evidente � in primo luogo, nella compravendita in danno, l'elemento pregiudiziale dell'inadempimento di una parte, cos� come � ugualmente evidente l'obiettivo di conseguire l'oggetto del contratto (il prezzo della cosa venduta, ovvero fa cosa comperata). Il diritto alla prestazione residuale e a~ rimborso delle spese -che costituisce altro elemento essenziale dell'azione di adempimento -viene poi realizzato, nel caso di specie, mediante l'addebito della differenza tra PARTE II, QUESTIONI 141 il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, ovvero tra l'ammontare dehla 1spesa occorso per l'acquisto ed il. prezzo convenuto. Contrariamente alle opinioni pi� diffuse, .infatti, tali conguagli non costituiscono propriamente � una forma di liquidazione automatica del danno derivante dall'inadempimento�: tale concezione, in verit�, � collegata alla teoria della natura risolutiva della compravendita in danno e cade logicamente insieme con essa. In effetti, gli addebiti residuali o identificano una parte della obbligazione originaria non soddisfatta coattivamente -(nella vendita eseguita per un prezzo inferiore a, quello concordato) -ovvero costituiscono �i costi dell'azione cli adempimento -(che comprendono sia il prezzo pagato per l'acquisto in danno, detratto per compensazione il prezzo convenuto negozialmente, sia le spese di procedura occorse) che per loro natura gravano �sul patrimonio del debitore� (1). Questi conguagli, quindi, da un lato avranno l'effetto di esonerare la parte adempiente dalle perdite o dai maggiori oneri derivati dall'operazione rispetto al profitto divisato o alla obbligazione assunta, e da un altro lato -sommati agli ulteriori costi che la vendita o la compera in danno hanno gi� prodotto a carico dell'inadempiente (rispettivamente: la perdita del valore della cosa acquistata o del prezzo convenuto), produrranno come risultato finale esattamente il costo complessivo della prestazione assunta dal debitore. In altri termini, sia pure come sintesi aut-0matica di un procedimento complesso, si realizza anche nella fattispecie in esame l'effetto naturale dell'azione di adempimento, consistente nella conservazione delle reciproche obbligazioni nei termini originari e nell'addebito degli oneri relativi alle parti che ne avevano assunto la responsabilit�. Avr� invece carattere propriamente risarcitorio l'ulteriore sanzione per i maggiori danni subiti in conseguenza del ritardato conseguimento dell'oggetto della prestazione: sanzione prevista dall'ultimo inciso degli artt. 1515 e 1516 cod. civ., la quale costituisce una volta di pi� un'applicazione specifica della previsione normativa posta in via generale daU'art. 1453, primo comma, cod. civ., per il caso di ricorso all'ordinaria azione di adempimento. Un pi� approfondito esame del nostro tema ci consentit� a questo punto di evidenziare e cli apprezzare meglio, sotto il profilo stmtturale, gli elementi di specialit� insiti nel procedimento della �compravendita in danno �. In particolare, ci sembra opportuno porre in ampio rilievo la circostanza che in questo caso la tutela giuridica � realizzata ad iniziativa dello stesso creditore insoddisfato, senza la mediamone del processo, salva l'eventualit� del sindacato giurisdizionale nel caso in cui fossero contestati i presupposti o le modalit� di svolgimento dell'operazione. (1) L'opinione espressa trova riscontro nella lettera della norma, che di!Spone che 1a compravendirta coattiva sia eseguita � a spese � della parte inadempiente. 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il meccanismo attraverso il quale � consentito il raggiungimento di un simile risultato, si direbbe costituito da un particolare effetto naturale del contratto di compravendita: il conferimento, ope legis, a beneficio di entrambi i contraenti, di una vera e propria potest� di soddisfarsi autoritativamente in caso di inadempimento della controparte, salvi i gi� richiamati diritti ail ristoro per i minori utili conseguiti o i maggiori oneri sostenuti ed al risarcimento degli eventuali danni. � possibile per tale via perseguire con efficacia e con sollecitudine l'interesse dedotto in contratto, sintetizzando in un unico contesto le due fasi normali dell'ordinaria azione di adempimento (giudizio di accertamento e successiva azione di esecuzione). Inoltre, nel caso della compera in danno, sar� possibile perseguire un risultato specifico (il conseguimento della propriet� del bene acquistato), che l'azione giurisdizionale non � normalmente in grado di assicurare, tenuto conto del gi� richiamato orientamento giurisprudenziale che nega l'eseguibilit� in via forzata delle obbligazioni di dare una cosa di genere (1). In definitiva, dal nostro tentativo di ricostruire dogmaticamente l'istituto della compravendita in danno emergono da un lato -dal punto di vista funzionale -la tendenza alla tempestiva soddisfazione dell'interesse creditorio, e da un altro lato -sotto il profilo strutturale -la realizzazione di tale interesse al di fuori degli schemi del giudizio, merc� il conferimento in favore del creditore della potest� di. incidere sulla sfera patrimoniale del debitore, in forme che possono essere comunque assoggettate al successivo controllo giurisdizionale. Questi elementi, tuttavia, potrebbero essere ritenuti indici significativi di una pi� ampia categoria giuridica, nella quale la compravendita coattiva sarebbe conseguentemente inquadrata e della quale costituirebbe anzi un esempio paradigmatico: la categoria della cosiddetta �autotutela privata�, caratterizzata dalla rimessione della tutela giuridica alla potest� dello stesso creditore, per vie che esulano dai meccanismi dell'azione processuale (2). (1) V. supra, nota 4. (2) In verit�, la dottrina ha gi� da tempo evidenziato la collocazione dell'istituto della � compravendita in danno � nella categoria dell'� autotutela privata�, senza per questo contribuire efficacemente aHa precisazione deMa sua natura giuridica. In proposito, si vedano C.M. BIANCA, Vendita (Diritto vigente); in Noviss. Dig. It., vol. XX, Torino, 1975, p. 634, e La vendita e la permuta, nel Trattato di diritto civile, diretto da VASSALLI, vol. VII, Torino, 1972, p. 957 ss.; V. DENTI, Esecuzione in forma specifica, MUano, 1953, p. 32 ss.; G. TATARANO, nel Codice Civile annotato, a cura di P. I'ERLINGIERI, vol. IV, sub. art. 1515-1516, Torino, 1980, p. 758 ss.; D. RUBINO, La compravendita, cit., p. 676. In giurisprudenza, parlano della compravendita in danno come di una forma di autotutela privata, App. Brescia, 19 novembre 1948, cit.; Cass., 11 luglio 1%8, n. 2444, in Foro it., 1969, I, p. 112 ss.; Trilb. Bar.i, 20 lugHo 1981, cit. PARTE II, QUESTIONI 143 In tale prospettiva, i caratteri dell'istituto qm m considerazione ed i risultati dell'analisi fiino ad ora svolta potrebbero ritenersi applicabili, quanto meno in via di ipotesi, anche ad altre situazioni giuridiche analoghe, che siano tutte riconducibili nell'ambito del medesimo genere. Conseguentemente, l'indubbio interesse che la presente fattispecie riveste -in relazione ai profili di praticit� ed insieme di garantismo che la tipicizzano -potrebbero incoraggiare il tentativo dottrinario di meglio definire i lineamenti ed i contenuti della categoria cui essa appartiene che in verit� appaiono ancora alquanto incerti ed iindeterminati -in guisa da tradurre in una regola pi� generale quehla che oggigiorno pu� essere ritenuta soltanto un'ipotesi specifica (1). Avv. ALESSANDRO DE STEFANO (1) Tra i pi� recenti tentativi di definire i profili della � autotutela privata � nell'odierno ordinamento giuridico si vedano E. BETII, Autotutela (Diritto privato), in Encicl. Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 529 ss., che riunisce in un'unica categoria varie ipotesi tra loro eterogenee, e L. BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell'autotutela privata, I, Milano, 1971, che esclude la possibilit� di individuare un principio generale in ordine alla realizzazione personale e diretta dell'interesse creditorio. Sul tema si vedano altres�, in vda generaile, M. GIORGIANNI, Il negozio di accertamento, Mhlano, 1939, p. 23 ss.; F. MEssINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, p. 162; S. ROMANO, Autonomia privata, Milano, 1957, p. 52 ss, 75; In. Ordinamento sistematico del diritto privato, I, Napoli, p. 163 ss., 215 ss.; SANTI ROMANO, Frammenti di un dizionario giuridico, Mhlano, 1947, p. 179. I RAPPORTI TRA GIURISDIZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E LA FUNZIONE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (*) SOMMARIO: 1) I rapporti tra i poteri. dello Stato nell'ottica odierna. -2) Il dibattito sulle cause del deterioramento. -3) La crisi del rapporto tra potere esecutivo e potere giurisdizionale. -4) I perkoli e i rimedi. -5) La p�sizione dell'Avvocatura delJ.o Stato nel rapporto tra P.A. e giurisdizione. -6) La funzione equilibratrice dell'Avvocatura dello Stato. -7) L'Avvocatura dello Stato come produttrice di giusti.zia. -8) Come collaboratrice di giustizia. -9) Come riparatrice di giustizia. -10) Conclusioni. 1) L'evoluzione dei rapporti tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione appare, nell'ottica odierna, intimamente correlata alla situazione generale di instabilit� in cui versa da alcuni anni a questa parte l'azione pubblica ed Jmplica un'analisi complessa, sotto certi aspetti inquietante. Alla trasformazione profonda che ha subito la realt� sociale del nostro Paese nell'ultimo ventennio, sotto la spinta degli impulsi storico- politici di carattere interno ed internazionale, e delle esJgenze dell'economia, ha corrisposto una crisi, non meno profonda, delle strutture pubbliche. Tale crisi, determinata in gran parte da una sorta di immobilismo ordinamentale e, per altro verso, dalla incapacit� di adeguare gli apparati pubblici e la loro funzione alle sempre pi� complesse istanze della societ�, ha finito per appannare il quadro di coesistenza istituzionale tra i vari poteri dello Stato, per corroderne gradualmente i confini ed il reciproco rispetto: il ricorso, sempre pi� frequente al decreto-legge, aI).corch� non sussistano le ragioni di straordinaria necessit� ed urgenza indicate nell'art. 77 della Costituzione d� un'eloquente dimostrazione della tendenza dell'Esecutivo a voler superare la crisi profonda in cui versa il Parlamento, espropriandolo di attribuzioni sue proprie. Mentre, dalraltro verso, una dilagante proliferazione di norme interpretative di disposizioni di legge emanate in precedenza, esprime chiaramente la diffidenza del legislatore verso i non sempre uniformi e talvolta inaspettati processi interpretativi e l'intendimento di interferire, sia pure legittimamente attraverso la cosiddetta interpretazione autentica, con la vocazione istituzionale del giudice, che � appunto quella di interpretare la legge. E cos�, ancora, vanno ricordate le frequenti previsioni legislative di funzioni consultive o di vigilanza, affidate ad organi di estrazione parla (*) Relazione dell'avvocato dello Stato, Enzo Ciardulli, al XVII Congresso . Nazionale dei Magistrati. - PARTE II, QUESTIONI mentare ma destinati ad operare nell'ambito di poteri, quale ad esempio quello regolamentare, o di aree, come quella deJ.l'informazione, tradizionalmente riservati all'Esecutivo, con evidente sconfinamento delle at� tribuzioni proprie del Parlamento. In campo giudiziario, l'espansione del sindacato giurisdizionale verso settori riferibili fino a ieri alle funzioni legislative ed amministrative � fin troppo evidente: basti pensare, quanto al primo aspetto, a certe decisioni di cos� detta giurisdizione domestica che, a prescindere da ogni altra apprezzabHe valutazione, sono state emanate per finalit� perequative onde supplire a carenze e ad inerzie legislative in materia di pensioni, o di perequazione economica tra le magistrature, o nell'equiparazione dei magistrati a questa o quella categoria dirigenziale; e quan� to al secondo aspetto, alla crescente tendenza giurisprudenziale al sempre minor riconoscimento dei margini di �dis�rezionalit� nell'azione amministrativa e della insindacabilit� dei poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione. Sintomatica appare a questo proposito ;l'istanza, tutt'ora in itenere, di un nuovo ordinamento del processo amministrativo che vorrebbe esteso l'attuale sindacato giurisdizionale sull'atto impugnato anche al rapporto che tale atto ha determinato; e certe decisioni di taluni giudici di merito, modificative se non addirittura sostitutive di atti della Pubblica Amministrazione; e infine, la moltiplicazione delle inchieste preliminari o dei procedimenti penali su fatti inerenti al funzionamento della Pubblica Amministrazione o in ordine ai quali la Pubblica Amministrazione � titolare di una propria funzione di tutela o vigilanza. 2) Si � fatto un gran parlare, negli ultimi tempi, sulle ragioni di questa sintomatologia patologica dell'esercizio dei poteri dello Stato; taluni ritengono di doverle focalizzare nella inadeguatezza dei sistemi di democrazia parlamentare di tipo europeo a corrispondere tempestivamente alla complessit� delle esigenze e dei fermenti della societ� odierna, altri in una profonda crisi istituzionale del nostro Paese, soffocato dalla sua realt� partitocratica, o nelle spinte a carattere corporativo in cui tendono a degenerare i movimenti di massa, e che finiscono per estendersi ai vertici dello Stato, o nel ruolo di supplenza che � portato tendenzialmente ad assumere un poteie, nella latitanza degli altri con i quali � titolare part-time dell'esercizio della sovranit�, o infine, e ci� riguarda particolarmente l'ordine giudiziario, nella atomizzazione del potere giurisdizionale e nella con,,t:guente dissociazione della politica giudiziaria dalle scelte politiche dell'Esecutivo. Non mi sembra che, in questa sede, si possano superare i limdti dell'informazione storica sul dibattito sopraccennato ed affrontare un pro blema che ci porterebbe assai lontano dalla tematica della nostra tavola 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rotonda. � certo, per�, che una corretta analisi dei rapporti tra giurisdizioni e Pubblica Amministrazione non pu� che ricollegarsi al quadro di generale deterioramento sopraccennato, non fosse altro che per l'esigenza di considerare la realt� odierna per quel che essa �, e misurarne l'ambito di conduzione in ogni risvolto dell'intervento pubblico. 3) Che il rapporto di convivenza tra l'attivit� pubblica amministrativa e quella giur,isdizionale versi in una fase particolarmente difficile mi sembra fuori di discussione: la tendenza dell'indagine giudiziaria ad espandersi verso settori di pertinenza della Pubblica Amministrazione rischia di porre una mina vagante suHa strada delle scelte discrezionali spettanti agli organi amministrativi; mentre certe decisioni giurisdizionali, soprattutto se discordi e ancor peggio l'abuso del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., spesso adottato quale espediente per modificare o correggere atti della P.A. tendono a provocare un clima di incertezza nell'azione pubblica, con effetti talora paralizzanti. D'altra parte occorre considerare che l'esigenza prioritaria della Pubblica Amministrazione -che � essenzialmente operativa perch� richiede soluzioni immediate di problemi della vita sociale sempre pi� mutevoli e complessi -rischia quotidianamente di naufragare nel dedalo delle sue stesse strutture e delle leggi, per lo pi� vecchie entrambe ed inadeguate; ci� che spinge gli organi amministrativi a privilegiare a volte la scorciatoia della forzatura interpretativa, se non dei voli pindarici, che non sempre � dato al giudice di comprendere o di connettere con l'interesse pubblico tutelabile. Constatazione, questa, che ripetendosi nel tempo accumula un dato negativo di esperienza e determina negli organi giurisdizionali il convincimento che l'oggettivazione propria del potere amministrativo sia portata spesso a non corrispondere all'oggettivazione giuridica, propria dell'ordinamento al quale, invece, l'esercizio di tale potere avrebbe dovuto ispirarsi. Amministrazione e giurisdizione divengono in tal modo partecipi di una realt� i cui connotati divaricanti comportano una potenziale conflittualit� nella tensione verso i rispettivi fini istituzionali: che nel primo caso consistono nel conseguimento del risultato amministrativo, e nel secondo nella verifica che tale risultato sia conforme all'ordinamento giuridico e sia stato ottenuto in osservanza dei principi di legalit� e di imparzialit�. 4) Ho accentuato volutamente il rilievo sui segnali di un'antitesi in atto tra Pubblica Amministrazione e giurisdizioni perch� questo aspetto patologico del rapporto suona come un campanello d'allarme sui pericoli di una sua generalizzazione che, ove si verificasse, finirebbe per travolgere l'intero sistema. Ma vorrei anche dire, con una punta d'ottimismo, che il recupero alla condizione fisiologica del rapporto in que PARTE II, QUESTIONI stione sarebbe facilmente ottenibile, non soltanto se si maturi finalmente una volont� politica tendente ad adeguare in modo organico ordinamenti amministrativi, giurisdizionali e relative strutture alle esigenze del divenire sociale, quanto se si determini una comune presa di coscienza sui limiti invalicabili dell'azione amministrativa e di quella giurisdizionale, nella ricomposizione dell'unit� dello Stato; una presa di coscienza che liquidi il sistema della contrapposizione dei poteri, riaffermando nella osservanza dei principi della compartecipazione nel potere pubblico e nella identit� dei suoi fini, la fondamentale condizione per la realizzazione dello Stato di diritto al quale il disegno costituzionale ci ispira. 5) Il difficile rapporto che attualmente si evidenzia tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione chiama �necessariamente in causa l'Avvocatura dello Stato che, appunto per il ruolo assegnatole dall'ordinamento istituzionale si presenta in tale rapporto come un'interlocutrice necessaria e privilegiata. Non � certo questa la sede per fare riepiloghi e tanto meno per condurre un'indagine storico-giuridica sull'evoluzione dell'Avvocatura dello Stato nell'ordinamento italiano. Basti solo ricordare -per quanto qui interessa -che l'Istituto, nato nel 1876 da una scissione degli Uffici del Pubblico Ministero per corrispondere alle esigenze di difesa in giudizio degli interessi erariali, � andato via via evolvendo le sue funzioni, in parallelo con la trasformazione della nostra societ�. Il graduale passaggio di questa dal modello agri�olo -fondato essenzialmente sulla tutela dell'istituto proprietario -a quelli pi� avanzati, propri della societ� industriale e neo-capitalista e la conseguente progressiva espansione dell'ingerenza dello Stato nei rapporti economici e sociali, ispirava infatti alle esigenze di questo la istituzione di un proprio organo legale capace di concorrere, in via generale ed in piena autonomia funzionale, alla legalit� dell'azione amministrativa e di difendere gli interessi dello Stato in giudizio. Fu cos� che, con il R.D. 30 novembre 1933, n. 1611, l'allora esistente Avvocatura Erariale venne trasformata nell'Avvocatura dello Stato, accedendo pi� che a mutamento di carattere meramente nominalistico, all'acquisizione di pi� ampie funzioni che ne facevano, alla pari del Consiglio di Stato e della corte dei Conti un organo ausiliario dello Stato con compiti di consulenza generale in materia giuridico-amministrativa e di rappresentanza delle Pubbliche Amministrazioni, anche se ad ordinamento autonomo, nelle controvresie giudiziali. Non � importante stabilire qui il come ed il perch� la legge istitutiva dell'Avvocatura dello Stato avesse garantito, malgrado l'ispirazione auto ritaria dei tempi; la piena autonomia funzionale dell'Istituto, pur inqua drandolo amministrativamente nell'ambito della Presidenza del Consiglio. 148 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO fil I Quello che conta rilevare, invece, � che la suddetta trasformazione permise di precisare il carattere giustiziale della funzione esercitata dall'Avvocatura dello Stato; carattere che gi� affiorava nel patrocinio innanzi I le istituite sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ma che la visione " globale dell'interesse pubblico consentita dal potenziamento dei suoi 11 compiti e la vocazione istituzionale al richiamo alla legalit� dell'azione amministrativa rendevano ormai indubbio. L'avvento della Costituzione repubblicana, i profondi mutamenti II apportati alla forma istituzionale dello Stato ed alle sue strutture organizzative, ed i nuovi e pi� impegnativi compiti derivati all'Istituto -che, I ~ per comune accezione, ne hanno fatto un organo di rilevanza costituzionale -non hanno modificato il prevalente aspetto di giustizialit� della funzione dell'Avvocatura dello Stato che, anzi, proprio nel nuovo e pi� significativo suo rango appare confermata ed accentuata; la partecipazione ai giudizi di legittimit� costituzionale in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, il patrocinio dello Stato innanzi alla I I f: Corte di giustizia delle Comunit� europee, alla Corte Europea dei diritti {: dell'uomo e dinanzi a varie Commissioni di conciliazione e Collegi Arbitrali internazionali -procedimenti tutti in cui l'investitura dell'Istituto I non � limitatamente rappresentativa dello Stato-Apparato ma va riferita I ~ allo Stato-Comunit� -esaltano i connotati della funzione di collaboratrice di giustizia che gi� si desumevano dai compiti tradizionali dell'Avvocatura dello Stato. ~ f 6) � da questa rapidissima ma necessaria sintesi delle funzioni e ~ I f del ruolo dell'Istituto -le quali hanno trovato nella recente relazione fatta dall'Avvocato Generale al Convegno tenutosi a Messina dal 3 al1' 8 no_vembre dello scorso anno una eloquente quanto approfondita illustrazione -che si desume la rilevanza dell'attiv.it� dell'Avvocatura dello I Stato nel rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. L'attivit� consultiva e contenziosa che l'Istituto svolge quotidiana I mente a cagione dei suoi compiti viene infatti a porsi come un elemento di equilibrio tra i due poteri ed acquista un rilievo determinante, a I volte risolutivo, nel potenziale conflitto in cui l'attuale confusione nella quale versa la funzione pubblica tende a coinvolgerli. In tali attivit� l'Istituto utilizza infatti l'esperienza che gli deriva dalla sua contestuale e costante partecipazione alla realt� della Pubblica Amministrazione ed a quella della macchina giudiziaria, trasmettendo alle prime le indicazioni che vanno man mano scaturendo dalla evoluzione giurisprudenziale, ed alla seconda i fermenti del divenire sociale che la Pubblica Amministrazione via via raccoglie nell'adempimento della funzione esecutiva. Non a caso � stato affermato che l'Avvocatura dello Stato ricopre un ruolo di � cerniera � tra il potere esecutivo e quello giurisdizionale, assumendo una posizione intermediaria che tende a fare ritrovare nella PARTE II, QUESTIONI comune subordinazione alla legge, il momento ricompos.itivo della loro unit�. Per quanto qui interessa rilevare, si pu� aggiungere che tale posizione ha anche carattere originale e totalizzante: originale perch� mantiene connotati di autonomia tal.i da renderla inconfondibile, totalizzante in quanto presenzia all'intero arco del rapporto, nella sua triplice caratterizzazione di produttrice di giustizia, di collaboratrice di giustizia e di riparatrice di giustizia. 7) Indubbiamente l'Avvocatura dello Stato � produttrice di giustizia per l'Amministrazione., Il problema della giustizia nei confronti della Pubblica Amministrazione � infatti solo un aspetto di quello pi� ampio e complesso della giustizia nell'Amministrazione, che si realizza sollecitando o verificando l'osservanza del principio di legalit� nell'azione dell'apparato amministrativo. La funzione consultiva svolta dall'Istituto nella generalit� delle competenze che si desumono daLl'art. 13 del T.U. del 1933, !Il. 1611 e la sua vocazione giustiziale concorre, in parallelo all'analoga attivit� del Con. siglio di Stato, a potenziare se non a sostituire la cos� detta giustizia interna dell'Amministrazione che con la istituzione dei Tribunale Regio� nali Amministrativi ed il correlativo nuovo regime di impugnazione degli atti, si � sostanzialmente vanificata. L'estensione di tale funzione a tutto il complesso dell'attivit� del potere esecutivo, compresa quella normativa e contrattuale, la competenza a pronunciarsi su reclami e materie di possibile litigio, su componimenti stragiudiziali nonch�, per effetto delle pi� ampie funzioni attribuite dall'art. 15 della legge di riordinamento n. 103 del 1979, su eventuali carenze legislative, si traducono in altrettanti ammonimenti all'osservanza della legalit�; e questi seppure non producono effetti costitutivi, rappresentano manifestazioni di giustizia sostanziale, la cui inosservanza rischia di coinvolgere la responsabilit� amministrativa, contabile e politica dei suoi destinatari. Si viene cos� a delineare un modello giustiziale di cui l'Avvocatura dello Stato � protagonista, che sta per cos� dire a monte del rapporto tra giurisdizione ed Amministrazione ma vi appare intimamente connesso non fosse altro che per Ja sua potenziale capacit� di escludere o di pervenire lo svolgimento di tale rapporto. Basta citare esemplificativamente -tanto per fare cenno a qualcuno degli ultimi pronunciamenti -la consultazione n. 11460 del 1982, ben nota per la sua eco di stampa, con cui il Comitato Consultivo dell'Avvocatura ha affrontato il problema dell'assoggettabilit� dei� Buoni Ordinari del Tesoro ai tributi successori suggerendo altres� un chiarimento legislativo di tale problema; o la consultazione n. 8458 del 1982, 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURX DELLO STATO con cui l'Istituto si � espresso per l'ammissibilit� degli allievi di sesso maschile negli Istituti Tecnici femminili; o ila consultazione n. 16651 del 1981, con cui si � invitata l'Amministrazione finanziaria a prestare acquiescenza all'indirizzo giurisprudenziale -che si � condiviso -relativo alla estensione degli effetti del condono ex legge n. 823 del 1973 a tutti i condebitori solidali; o ancora la consultazione n. 1652 del 1981 con cui si � preso atto dell'orientamento della giurisprudenza della Autorit� Giudiziaria ordinaria ed amministrativa in tema di inclusione tra le componenti della retribuzione dei dipendenti pubblici, ai fini della liquidazione del compenso per Javoro straordinario, delle mensilit� aggiuntive e di altre indennit� aventi i caratteri della obbligatoriet�, della corrispettivit�, della continuit� e della determinatezza o determinabilit� e si � determinato l'abbandono dei giudizi in corso; basti ricordare infine le varie recenti consultazioni sulla controversa problematica dei porti e degli approdi turistici, ed in materia di opere pubbliche in generale o di disciplina espropriativa, per rendersi conto della tendenziale connotazione della attivit� consultiva dell'Avvocatura dello Stato alla risoluzione dei rapporti di pubblica amministrazione su piani giustiziali che si muovono al di fuori del terreno dello scontro giudiziario. 8) Non occorrono molte parole per illustrare il ruolo di collaboratrice di giustizia che l'Avvocatura dello Stato assolve ogni qualvolta sia parte in giudizio un'Amministrazione dello Stato e che attiene, d'altronde, alla sua vocazione tradizionale ed originaria. Il fatto che, in tale ipotesi, l'Istituto ripeta direttamente dalla legge la sua investitura rappresentativa che la rende partecipe del rapporto processuale, consente di individuare gli aspetti particolari che, nell'esercizio di questa sua funzione si riflettono sul rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. Si � esattamente osservato che l'attivit� contenziosa dell'Avvocatura dello Stato �, in un certo senso, la prosecuzione ed il completamento dell'attivit� consultiva perch�, con l'insorgere di una controversia, l'am bito della legittimit� viene, per cos� dire, portato fuori dall'Amministra zione ed � devoluto agli organismi giudiziari. Questo trasferimento, attributivo della competenza giurisdizionale ed istitutivo del rapporto tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione, � altres� operante di una specifica attribuzione dell'Avvocatura dello Stato, che � quella di svol gere il suo compito difensivo nella visione costante dell'interesse pub blico. E come lo Stato, pur comparendo in giudizio quale parte tuttavia si distingue dalle altre perch� titolare di interessi pubblici e generali, cos� l'Avvocatura dello Stato, pur svolgendo in giudizio compiti profes sionali alla stregua degli altri difensori, si distingue tuttavia rispetto ad essi perch� portatore e tutore a sua volta di quegli interessi pubblici PARTE II, QUESTIONI e generali che lo obbligano a far rispettare, nell'ambito dello stesso rapporto processuale, come al di fuori di questo i limiti derivanti dall'osservanza dei principi di legalit� e di imparzialit�. In questa visione delle cose l'apporto collaborativo di giustizia dato dall'Istituto nell'espletamento del suo ruolo difensivo acquista un significato del tutto particolare scaturendo dal delicato compito di orientare per una soluzione conforme a leggi le vicende sottoposte al vaglio giuri� sdizionale, e soprattutto i rapporti tra potere esecutivo e potere giudiziario, e tra gli stessi giudici. Le innumerevoli tesi prospettate dall'Avvocatura dello Stato agli organi di giurisdizione sia ordinaria che amministrativa, e da questi condivise e confermate in ripetute decisioni -si ricordano per gli aspetti che qui interessano, i temi portati a tutela della sfera di autonomia della Pubblica Amministrazione e quindi dell'insindacabilit� dell'azione amministrativa, le questioni relative ai limiti di competenza giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo, e sulla improponibilit� assoluta o relativa, delle azioni giudiziarie nonch� ai limiti di legittimit� del giudizio amministrativo, ed i contributi portati nella problematica dell'interesse tutelabile e del rapporto tra diritto ed interesse -testimoniano l'incidenza dell'azione dell'Istituto sulla linea di frontiera esistente tra giurisdizione e Pubblica Amministrazione. 9) Resta da esaminare -sempre nei limiti del tema del dibattito l'ultimo degli aspetti propri del ruolo cui assolve l'Avvocatura dello Stato: quello di riparatric edi giustizia. In questo suo ruolo si inquadra l'iniziativa di elevare il conflitto di attribuzioni e proporre il regolamento preventivo di giurisdizione ogni qualvolta si determini da parte di un organo del potere giudiziario o di quello esecutivo un'usurpazione di campo. Un'iniziativa che evidenzia una finalit� ripristinatoria dell'ordine costituzionale nella sua visione pluralistica e democratica dell'organizzazione dello Stato, e che mira perci� a recuperare nel rapporto tra giurisdizione ed Amministra21ione gli alti contenuti di giustizia che risultano violati. � tardi e vorrei concludere. Nel clima di tensione che va sfociando in una schermaglia sempre pi� vistosa e spesso inelegante tra potere esecutivo e giudiziario, la ricerca di un momento di mediazione pu� rappresentare il punto di partenza per la ricomposizione del conflitto. Il quadro funzionale dell'Avvocatura dello Stato pu� prestarsi a questo scopo. Ma occorre soprattutto che a tale astratta idoneit� corri sponda una volont� politica che se ne renda conto e la valorizzi. E che ci sia, a monte, una effettiva volont� di coesistenza. Non � tutto, ma sarebbe gi� abbastanza. ENZO CIARDULLI LEGISLAZIONE I � NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice di procedura penale, art. 630, secondo comma, nella parte in cui non prevede il rinvio della trattazione dell'incidente di esecu_zione, ove l'imputato o il condannato, che abbia fatto domanda di essere udito personalmente, non compaia per legittimo impedimento. Sentenza 20 maggio 1982, n. 98, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. codice penale militare di pace, art. 186, secondo comma, limitatamente alle parole � e la reclusione da sette a quindici anni, se il superiore non � un ufficiale �. Sentenza 27 maggio 1982, n. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, limitatamente alle parole � con la reclusione militare non inf�riore a cinque anni se il superiore � un ufficiale e con la stessa pena da tre a dodici anni se il superiore non � un ufficiale �. Sentenza 27 maggio 1982, 11. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, limitatamente alle parole � con la reclt1sione militare da tre a sette anni, se il superiore � un ufficiale, e da uno a cinque anni, se il superiore non � un ufficiale �. Sentenza 27 maggio 1982, 11. 103, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 9 gennaio 1929, n. 4, artt. 21, terzo comma, e 60, nella parte in cui prevedono che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta, div�nuto definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di im� poste dirette. Sentenza 12 maggio 1982, n. 88, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3], nella parte in cui prevede che i posti riservati ai magistrati di Cassazione possano essere assegnati a � magistrati che abbiano conseguito la rispettiva nomina, ancorch� non esercitino le rispettive funzioni�. Sentenza 10 maggio 1982, n. 87, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a), nella parte in cui esclude per i titolari di pensione diretta dello Stato l'integrazione al mi� nimo della pensione di riversibilit� INPS, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito. Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. I I I I I I PARTE II, LEGISLAZIONE 1f3 legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude per i titolari di pensione diretta dello Stato l'integrazione al minimo della pensione di invalidit� erogata dal fondo speciale per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito. Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui esclude per i titolari di pensione diretta statale l'integrazione al minimo della pensione di invalidit� erogata dalla gestione speciale commercianti, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo. garantito. Sentenza 27 maggio 1982, n. 102, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, nella parte in cui dispone che l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento � divenuto definitivo anche nel caso del reato indicato nel quarto comma dell'art. 50 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 633. Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 7, nella parte in cui prevede che la conseguita valutazione favorevole comporti la nomina a magistrato di Cassazione, indipendentemente dal conferimento delle relative funzioni, anzich� la sola attribuzione del corrispondente trattamento economico e la dichiarazione dell'idoneit� ad essere ulteriormente valutato, ai fini della successiva nomina. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U; 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 10, relativamente alle parole � secondo l'ordine di collocamento in ruolo � e nella parte in cui non prevede che la nomina a magistrato di Cassazione, quanto ai magistrati dichiarati idonei ai sensi dell'art. 7, sia contestuale al conferimento delle relative funzioni. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 16, nella parte in cui si riferisce ai magistrati di Cassazione che raggiungano una anzianit� di otto anni dalla nomina a tale categoria, anzich� ai magistrati che raggiungano una anzianit� di otto anni dalla dichiarazione di idoneit�, di cui all'art. 7. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 17, nella parte in cui prevede che la dichiarazione di cui al precedente articolo comporti, in difetto di vacanze, la nomina alle funzioni direttive superiori, indipendentemente dal conferimento di un corrispondente ufficio, anzich� la sola attribuzione del .trattamento economico previsto per i magistrati di Cassazione nominati a tali funzioni e la idoneit� ad essere ulteriormente valutato, ai fini della successiva nomina. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio �1982, n. 137. 16 RASSEGNA .OBLL'AVVOCATURA .DBI,LO STATO legge 20 dicembre 1973, n. 831, art. 19, secondo comma, relativamente alle parole �assegnandovi i magistrati, anche dopo la nomina, secondo� l'ordine di collocamento in ruolo >>, e nella parte in cui non prevede che la nomina alle funzioni direttive superiori, quanto ai magistrati dichiarati . idonei ai sensi dell'art. 16, sia contestuale al conferimento del relativo ufficio. Sentenza 10 maggio 1982, n. 86, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge regione Emilia-Romagna 8 marzo 1976, n. 10, art. 5, secondo comma. Sentenza 12 maggio 1982, n. 91, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. II � QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE codice penale, art. 688 (artt. 3, 32 e 27, secondo oomma, della Costituzione). Sentenza 27 maggio 1982, n. 104, G.U. 2 giugno 1982, ri. 1150. codice di procedura penale, art. 51 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 77, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. codice penale militare di pace, art. 260, secondo comma (art. 112 della Costituzione). Sentenza 18 giugno 1982, n. 114, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 21, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7 (nn. 2, 3 e 4), 34, 36 e 40 (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 92, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 21 marzo 1958, n. 267, art. 5, secondo comma (artt. 3, 10, primo comma; 11 .e 53 della Costituzione). Sentenza 20 maggio 1982, n. 96, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. legge 24 marzo 1958, n. � 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, primo comma, 104, quarto comma, e 107, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 10 maggio 1982, n. 87, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. d.P.R. 30 marzo 1961, n. 197, artt. 50, n. t, lettera e) e 52, prime comma (artt. 3, 70, 77, primo �comma, e 28 della Costituzione). Sentenza 12 maggie 1'982, n, 90, G.U. 20 maggio ,J:982, n. U7. PARTE II, LEGISLAZIONE 1Jf d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, secondo comma (artt. 24, 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1982, n. 110, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 19 novembre 1968, n. 1187, artt. 1, 2 e 5 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, primo comma, lettera c) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 84, G.U. 5 maggio 1982, n. ,122. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 84, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. dl. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 31 [come modificato dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 78, G.U. 5 maggio-1982, n. 122. dP.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3, 53 e 112 della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 89, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge regione Sicilia 5 novembre 1973, n. 38 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della Costituzione, e art. 14 statuto regione Sicilia). Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n . .122. legge 30 novembre 1973, n. 756, art. 1 (artt. 3, 42, terzo comma, 136 della Costituzione, e art. 14 statuto� regione Sicilia). Sentenza 29 aprile 1982, n. 82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge regione Lazio 2 luglio 1974, n. 30, artt. 1, lett. a) e b), 2, 3 e 8 (artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 83, G,U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costi~u::ione). Sentenza 10 giugno 1982, n. 109, G.U. 16 giugno 1982, n. 164." legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 70 e 101, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1982, n. 108, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo� comma (artt. 13 e 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. 1f6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (artt. 13, terzo comma, 17, primo comma, e 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo comma (art. 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, secondo e terzo comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). Sentenza 29 aprile 1982, n. 79, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1, 3, 4, 6, 11, 12 e 13 (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 12 maggio 1982, n. 92, G.U. 20 maggio .1982, n. 137. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma [modificati dalla legge 29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 12 novembre 1981, n. 35/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. codice di procedura civile, art. 152 disposizioni di attuazione (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 gennaio 1982, n. 71, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Pretore di Roma, ordinanza 29 dicembre 1981, n. 72/82, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Pretore di Roma, ordinanza 28 dicembre 1981, n. 83/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 novembre e 31 ottobre 1981, nn. 33 e 34/82, G.U. 12 maggio 1982, n. ,129. codice penale, art. 314 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Asti, ordinanza 26 novembre 1981, n. 39/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Tribtmale di Venezia, ordinanza 25 novembre 1981, n. 96/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. ff'l PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura penale, artt. 88 e 497 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 15/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. codice di procedura penale, art. 387 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 settembre 1981, n. 63/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. codice di procedura penale, artt. 441, 423, 424 e 426 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 30 novembre 1981, n. 93/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 67/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. codice di procedura penale, artt. 553, primo comma, n. 1, e 554, primo com� ma, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 116 ottobre 1981, n. 47/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. codice di procedura penale, art. 596 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 16 giugno 1981, n. 26/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. codice di procedura penale, art. 63S e segg. [in relazione artt. 231, 233 e 234, ultimi commi, codice penale] (art. 3, primo comma, della Costituzione). Magistrato di sorveglianza Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 10 dicembre 1981, n. 75/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 4 settembre 1981, n. 838, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. Tribunale militare di Padova, ordinanza 25 settembre 1981, n. 839, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. Tribunale militare di Padova, ordinanza 25 settembre 1981, n. 840, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. codice penale militare di pace, artt. 186, ultimo comma, e 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 23 settembre 1981, n. 841, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale militare di pace, art. 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 11 settembre 1981, n. 842, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29, n. 1, e 39 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. r.d.I. 12 marzo 1936, n. 375, artt. 1 e 25 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Asti, ordinanza 26 novembre 1981, n. 39/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100 (art. 24 della Costituzione). Corte d'appello di Messina, ordinanza 15 ottobre 1981, n. 101/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 21 ottobre 1981, n. 265/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 novembre e 31 ottobre 1981, nn. 33 e 34/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 18 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Potenza, ordinanza 17 novembre 1981, n. 84/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 8 [modificato dal d.l. 1� giugno 1974, n. 236, art. 2-quinquies, convertito in legge 12 agosto 1974, n. 351] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 27 novembre 1981, n. 87/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, n. 2 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Grosseto, ordinanza 4 dicembre il981, n. 54/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 23, secondo comma [come sostituito dalla legge 22 dicembre 1975, n. 695, art. 3] (artt. 3, 104 e 107 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 14 gennaio 1982, n. 284, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. r. ..~ PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, sesto e ottavo comma (artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione}. Pretore di Gubbio, ordinan7..a 16 ottobre 1981, n. 38/8~. G.U. 12 maggio 1982, n. 129. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma [come modificato dalla legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione). Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 7 maggio 1981, n. 53/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 14 dicembre 1981, n. 45/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. Pretore di Teramo, ordinanza 13 gennaio 1982, n. 85, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (artt. 3. e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Viterbo, ordinanza 3 novembre 1981, n. 50/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 15 settembre 1964, n. 756, art. 9 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 90/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 91/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 11 dicembre 1981, n. 49/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. dP.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 16, quinto comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 22 dicembre 1981, n. 86/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 20 maggio 1981, n. 844, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 9 ottobre 1967, n. 973 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di L'Aquila, ordinanza 18 novembre 1981, n. 60/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 1143. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 1� marzo 1968, n. 188, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 90/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. Pretore di Mesagne, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 91/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 19!32, n. 157. Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 25 maggio 1970, n. 364, art. 19 (art. 81, quarto comma, della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 20 ottobre 1981, n. 52/82, G.U. 20 mag If.: gio 1982, n. 137. f: legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (art. 3 della f: Costituzione). Corte dei conti, ordfoanza 2 luglio 1981, n. 65/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. I I f~ f.f� legge reg. Sicilia 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (artt. 5 e 97 della Costituzione e 1 e 14 statuto speciale re11:. siciliana). Corte dei conti, ordinanza 2 luglio 1981, n. 65/82, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 2 e 7. secondo comma <artt. 3, 24 e 25 I ~ della Costituzione). ii Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 69/82, G.U. 9 giugno 1982, n. 157. Corte di cassazione, ordinanza 6 ottobre 1981, n. 70/82, G.U. 16 giugno ,1982, n. 164. I legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo periodo, e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 1� dicembre 1981, n. 76/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. I Corte d'appello di Trento, ordinanza 24 novembre 1981, n. 97/82, G.U. ! 30 giugno 1982, n. 178. ! i ! d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, ordinanza 5 dicem I bre 11981, n. 29/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. ~ I d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 3 luglio 1981, n. 58/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. ! f ' I i I PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, secondo comma (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo 2rado di Modena. ordinanza 27 novembre 1981, n. 94/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 [modificato dalla legge 12 gennaio 1980, n. 2, art. 15] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Gorizia, ordinanza 16 luglio 1981, n. 836, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma [come modificato dalla legge prov. di Trento 23 ottobre 1974, n. 33] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 10 novembre 1981, n. 89/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. dl. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito nella legge 4 agosto 1973, n. 495] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, otdinanza 7 dicembre 1981, n. 99/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 42 e 61 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 24 novembre 1981, n. 28/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 22 ottobre 1981, n. 92/82, G.U. 16 giugno 1982, n. ,164. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 68 (art. 25 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 8 gennaio 1982, n. 95, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 51 e 87 (artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione). Pretore di Stradella, ordinanza 9 dicembre 1981, n. 55/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 18 luglio 1981, n. 56/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 10 ottobre 1980, n. 43/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. Tribunale di Sondrio, ordinanza 2 ottobre 1981, n. 44/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Udine, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 51/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 101 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 24 novembre 1981, n. 88/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. legge 8 luglio 1975, n. 306, art. 11 (artt. 11 e 10, primo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 20 giugno 1980, n. 64/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 27 giugno 1981, n. 48/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137. legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 28 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 3 novembre 1981, n. 32/82, G.U. 12 mag� gio 1982, n. 129. d.P.R. 23 dicembre 1975, n. 685, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 3 novembre 1981, n. 32/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 21 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 13 novembre 11981, n. 16/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 24 e 25 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Fornovo Taro, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 103/82, G.U. 30 giugno 1982, n. 178. legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1-quater (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 13 novembre 1981, n. 16/82, G.U. 12 maggio 1982, n. ,129. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione) . . Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 2 maggio 1978, n. 31/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1 e 17, lettera b) (art. 117 della Costituzione). Pretore di Alatri; ordinanza 10 giugno 1981, n. 61/82, G.U. 26 maggio 1982, Il. 143. ~ .....,.,..,~..,..,�.....J1 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 8 febbraio 1977, n. 16 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 27 giugno 1981, n. 48/82, G.U. 20 maggio 1982, n. 137� . legge. 8 agosto 1977, n. 583, art. 4, terzo comma (artt. 3, primo comma, e 38 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 19 novembre 1981, n. 30/82, G.U. 12 maggio 1982, n. �129. d.I. 23 dicembre 1977, n. 942, art. 1 [convertito in legge 27 febbraio 1978, n. 41] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 27 ottobre 1981, n. 42/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. legge 27 dicembre 1977, �l. 968, art. 8, quarto capoverso (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanze (cinque) 2 e 14 dicembre 11981, nn. da 77 a 81/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo comma, della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 19 novembre 1981, n. 62/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. j legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 24 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 27 novembre 1981, n. 68/82, G.U, 9 giugno 1982, n. 157. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27, terzo comma, 67, 69, sesto e settimo comma, e 71 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Montefiascone, ordinanza 4 dicembre 1981, n. 105/82, G.U. 16 giugno 1982, n. 164. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69, secondo e terzo comma, e 71, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucera, ordinanza 12 ottobre 1981, n. 14/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 73 e 61 (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Gubbio, ordinanza 18 settembre 1981, n. 36/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 1129. Tribunale di Pistoia, ordinanza 21 ottobre 1981, n. 37/82, G.U. 12 maggio 1982, n. 129. 164 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1981, n. 22/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1981, n. 23/82, G.U. '12 maggio 1982, n. 129. d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 1, terzo comma [convertito in legge 6 febbraio 1980 n. 15 art. 1] (art. 3 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Trento, ordinanza 27 maggio 1981, n. 66/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. d.l. 30 dicembre 1979 n. 663 art. 23-quater [convertito in legge 29 febbraio 1980 n. 33] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 74/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. d.l. 1� luglio 1980, n. 286, art. 1, primo e terzo comma [convertito in legge 13 agosto 1980, n. 444] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 74/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 2 (art. 42, della Costituzione). Corte d'appello di Potenza, ordinanza 11 novembre 1981, n. 73/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. d.P.R. 24 marzo 1981, n. 216, articolo unico, primo, terzo e quinto comma (artt. 3, 22 e 29 della Costituzione). Pretore di Bolzano, ordinanza 28 settembre 1981, n. 57/82, G.U. 5 maggio 1982, n. 122. legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 27, primo e quarto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 ottobre 1981, n. 74/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. d.l. 20 novembre 1981, n. 663, art. 8, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma (artt. 3, 9, 41, 42, 101 e 104 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 5 dicembre 1981, n. 82/82, G.U. 23 giugno 1982, n. 171. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 15 dicembre 1981, n. 59/82, G.U. 26 maggio 1982, n. 143. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 54 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Livorno, ordinanza 21 dicembre 1981, n. 40/82, G.U. 5 maggio n. 122. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 6, 7, 8 e 9 [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3, lett. f), statuto speciale regione Sardegna). Ricorso regione Sardegna 30 aprile 1982, n. 25, G.U. 2 giugno 1982, n. 150. legge approvata dal consiglio regionale Friuli-Venezia Giulia il 19 marzo 1982 e riapprovata il 18 maggio 1982. Ricorso Presidente Consiglio dei ministri 15 giugno 1982, n. 28, G.U. 23 giu� gno 1982, n. 171. legge 29 aprile 1982, n. 187, art. 1 [nella parte in cui sostituisce il d.l. 27 febbraio 1982, n. 57 art. 23] (artt. 117, 118 e 128 della Costituzione). Ricorso regione Campania 5 giugno 1982, n. 27, G.U. 23 giugno 1982, n. 171.